Sector noir #3

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#3 2014 SPECIAL: "PENNY LANE E LE ALTRE" CULTURE : MARTIN MILLAR TRAVEL, CINEMA, LIFESTYLE HOT ALBUM: TY SEGALL TRACK BY TRACK : ARCH ENEMY NEW: LIVE! Clan Of Xymox, Alcest, Klimt1918 & more FOCUS: NEILS CHILDREN BLOODBATH, SATURNUS, THE CHAMELEONS, MANAGEMENT DEL DOLORE POST-OPERATORIO, INTERPOL , DAEMONIA, JOE MEEK. MIKAEL ÅKERFELDT THE NOW FACTOR + SPECIAL OPETH EDITION

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+ SPECIAL OPETH EDITION

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Direttore Responsabile Roberta Mastruzzi

Direttore Editoriale Federica Sarra - [email protected]

Vicedirettore/Caporedattore Centrale Francesco [email protected]

Art Director Emelie Vandewalle

Photo EditorJean Philippe Woodland

Grafica ed impaginazione Giacomo [email protected][email protected]

Traduzioni e consulenze linguisticheIrene Pennetta

Reviews Coordinator (web e magazine)Iacopo Mezzano

Contributors Alex NunziataAmelia TomasicchioEugenio CrippaGiuseppe BellobuonoGiuseppe Felice CassatellaFederico SannaFrancesco MelisRob BradfordStefano Solaro

È severamente vietata la riproduzione to-tale o parziale dei contenuti, foto, loghi ed altri elementi contenuti nella rivista previa autorizzazione del direttore.

Sector Noir © 2013

In copertinaMikael ÅkerfeldtPhoto: Eugenio Crippawww.adventprod.com

Photographers Catherine Jane RobertsonEliana GiaccheriGabriele CapriuloJorre Janssens

Segreteria di redazione Mattia Bertozzi

Redazione [email protected]

General Info [email protected]

Marketing [email protected]

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CONTENTS

CHECK IN pag. 6

ENTER THE SECTORFOCUS Neils Children pag. 8COVER STORY Mikael Åkerfeldt pag. 10

SPECIAL OPETH pag. 15

INTERVIEWSBloodbath pag. 34Saturnus pag. 37The Chameleons pag. 38THE STORY Daemonia pag. 42THE STORY/HERITAGEPenny Lane e le altre pag. 43

TRACK bY TRACKArch Enemy pag. 46CINEMA Alien pag. 48CULTURE Martin Millar pag. 50 Heinrich Karl Bukowski pag. 52SPECIAL Rock a Scalegna Festival 2014 pag. 54

REVIEWS/HOT DVDKatatonia pag. 56

EXTRA NOIRManagement del dolore post-operatorio pag. 59Interpol pag. 62HOT ALbUM Ty Segall pag. 63VISIONS Joe Meek pag. 64STYLE OFF pag. 68

ENGLISH TEXTMikael Åkerfeldt pag. ISaturnus pag. IVNeils Children pag. VBloodbath pag. VIIMartin Millar pag. IXJoe Meek pag. XIThe Chameleons pag. XIV

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check in

Where to go

Enjoy Music Everywhere FIDELIO PHILIPS wireless portatile

Listen To

Band to watch SOEN

What to read NICK DRAKE Remebered For A While

Waiting for it! John Patitucci will be recording a new, all electric bass album in November featuring guitarists Adam Rogers and Steve Cardenas, and Brian Blade on drums.August Films will be simultaneously filming a full length, behind-the-scenes documentary about the making of the album.

LAYOUT BY GIACOMO CERUTTI

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FOCUS

Con John Linger, chitarra e voce, abbiamo ripercorso i mo-menti più salienti di una lunga carriera nell'underground britannico. Un percorso denso di ricordi accompagnato da una colonna sonora d'eccezione, il sound unico, acido e oscuro dei Neils Children.

INGHILTERRAIl paese in cui sono nato e nel quale la mia band si è formata, il paese dove è stata creata molta della musica che preferisco.

"DIMLY LIT"Il nostro capolavoro. Senza dubbio l'album più gratifi-cante e coeso, che ci apre le strade a tanto altro. Ci ha visti per tutto il Regno Unito e l'Europa... Ora abbiamo solo bisogno di un bel seguito!

1999Gli anni Novanta sono stati decisamente formativi per me. Ho iniziato a suonare la chitarra nei primi anni No-vanta, mi sono fatto rapire dai Nirvana, poi è arrivata la cosiddetta era "Britpop", dove band come i Blur sono diventate molto influenti per la mia formazione musicale (penso sia un'annata importante visto che ci ha regalato la pubblicazione del loro sorprendente album "13"). Alla fine degli anni Novanta ho incontrato Brandon. Abbiamo formato i Neils Children, ed il resto è storia. Per come la conosco adesso, è stata l'inizio della mia vita.

DIGITALE Un qualcosa che ho visto anticiparsi molto spesso du-rante la mia carriera con la band. Quando abbiamo iniziato, lavoravamo in studi che an-cora utilizzavano i nastri. Ora lavoriamo al nostro studio con computer, interfacce, plugin... Nel bene o nel male, molta roba è passata al dominio del digitale. Registrare è diventato molto più veloce e modificare i brani molto più facile, ma in questa maniera è facile perdere la spon-taneità. In più, il colossale impero dei download digitali è stato davvero un fenomeno pazzesco. Tornando ai primi anni del 2000, abbiamo venduto vinili o cd, e dei down-load non se ne sentiva parlare. Abbiamo scalato le classifiche dei singoli in Regno Unito con la vendita di un prodotto fisico. Non c'è niente di sbagliato nei download digitali, anche

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NEILS CHILDREN A LIFE FOR MUSICText Federica Sarratraduzione Irene pennettaPhoto Courtesy of Neils Children

se per me compare ed ascoltare vinili è un vero e proprio rituale. É proprio così che mi piace.

PRESENTEPer me è difficile rimanere saldo al presente. Penso sempre al futuro o ripenso a qualcosa del passato, ma quando sono nel presente e vivo il momento, riesco ad essere più creativo. Quando registriamo, Brandon e Syd mi tengono ben ancorato al presente ed è assolutamente un bene. Altrimenti entrerei in un loop e sarebbe il panico!

VIDEONon sono sicuro di dire che ami così tanto fare video. Senza dubbio il mio preferito fra quelli che abbiamo gi-rato è "Always the Same". Abbiamo voluto dare molta importanza su come sarebbe dovuto essere, ma abbiamo lavorato con gente esperta per realizzarne l'idea. Io penso che sia qualcosa di marginale, a meno che tu non voglia essere Beyonce o chiunque altro che punta tutto ed il massimo nei video per poter vendere la sua musica. Per noi non è così importante; preferiamo farla, la musica, e farci concerti.

PRODUTTORIAbbiamo lavorato con diversi produttori in gamba, ma an-che con produttori scarsi. In quanto band, non abbiamo mai avuto le possibilità economiche per poterci sceglie-re "il" produttore, ma ad ogni modo abbiamo collabo-rato con tecnici e produttori di talento. Ringraziamo Brian O'Shaughnessy, Gareth Parton, Mark Aubrey e Scott McCor-mick. Dopo aver lavorato per anni ed anni sui nostri stessi brani, adesso ci autoproduciamo, come fanno tanti artisti. Ci sta bene così, sappiamo come e cosa vogliamo creare.

INFLUENZETroppe da doverne citare, cambiano continuamente. Basti dire che l'hip hop ha una forte influenza sul nuovo album su cui stiamo lavorando. Brandon si sta occupando di in-credibili multi tracce di batteria sincopata... 2 o 3 batterie e brani in una canzone. È incredibile. Mi aspetto molto an-che dal Broadcast, visto che in questo album ora suono le tastiere, ed è facilissimo avere una qualità massima dei su-oni della tastiera. Syd è ancora quella persona perfetta che è, Serge Gainsbourg il melodico bassista. Noi condividiamo le influenze, e questo rende il tutto sicuramente piacevole.

MEMBRIAbbiamo avuto un bel po' di membri, ma non così tanti considerando da quanto tempo siamo in attività. Il cuore siamo ovviamente io e B, ed è davvero come un matrimo-nio. Lui è il mio migliore amico e teniamo l'un l'altro, come nessun altro al mondo. Deve essere difficile per gli altri capirlo, e forse la gente ha percepito la nostra vicinanza un po' fuori luogo, a volte, ma sia James Hair che Keith Seymour (il nostro ex bassista) si sentono completamente

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saldi nella band. Ancora una volta, abbiamo la fortuna di avere un bassista completamente dedicato a Syd, e tutti e tre ci impegniamo come una sola unità, come ab-biamo sempre fatto. Ci vogliono tante emozioni e tanta dedizione per essere nella band, per quanto un cliché che suona è vero.

SPERANZELe mie speranze sono cambiate nel corso degli anni... inizialmente speravo di lanciare un singolo da 7 mi-nuti, poi di vedere il mio nome sul NME, e di creare un album. Roba da ragazzini, spicciola, ma solo così abbiamo potuto gettare le basi per il nostro successo. Ora, la nostra speranza è quella di sviluppare dei suoni che possano continuare ad interessare e a metterci in gioco. Quelle vecchie speranze ci sono ancora, ma non sono più una priorità. Noi speriamo sempre che le persone apprezzino quello che facciamo, ma ancora una volta non è un grande in-successo.

TESTISono importantI e non lo sono... in passato sono stati abbastanza velati, quasi ovviamente su di me e le mie si-tuazioni, quasi come una forma di liberazione. Ma quasi fin da subito ho perso qualsiasi legame emotivo con i testi, magari è stata una scelta subconscia. Penso che ora i testi siano leggermente più astratti, forse più poe-tici, ma di certo ora parlano meno di me. Li preferisco

così, penso che la musica e i testi abbiano raggiunto un livello di maturità che non abbiamo mai visto prima.

GIAPPONEUn posto incredibile... ci siamo stati in tour due volte, una volta per una settimana circa, quando fatto avuto 2,3 spettacoli a Tokyo, poi un anno dopo siamo tornati per promuovere "X.Enc" ed abbiamo suonato in giro per due settimane, molte serate in piccoli locali di periferia. Era-vamo molto famosi in Giappone, era strano la prima volta vedere persone che scalpitano quando ci incontravano. Ci piacerebbe tornare indietro, ma non sappiamo se la nuova musica risuoni tanto quanto quella vecchia, ora è meno incentrata sulle intensità e sulle immagini, e credo che queste sono le cose che i giapponesi apprezzano veramente da una band inglese. Ma chi lo sa?

JUNK CLUBÉ stato davvero l’apice di qualcosa. Non so che cosa... è iniziato solo con alcuni di noi a fare i dj in un posto chiamato Sunrooms nel Southend, ma è diventato poi qualcosa di tendenza. Siamo diventati dei Southender, per questo stati la band di casa per alcuni anni. Ho passato un sacco di tempo lì, ha trovato così tanti amici (yo Rhys, Oli-ver, Ciaran, Ed, Dean, Alex...). Per tutti noi è stato davvero un momento formativo, e adesso stiamo tutti facendo grandi cose. Una parte di me è triste perché tutto questo sta passando, ma eravamo più giovani allora e le cose vanno avanti. Ma un po' di questa vita è ancora dentro.

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MIKAEL ÅKERFELDTTHE NOW FACTOR Text Federica Sarra & Eugenio CrippaPhoto Eugenio CrippaTraduzione Irene Pennetta

La sua carriera è di quelle che racchiudono in sè abbastanza materiale da poterci scrivere la sceneggiatura di un film, oltre che una biografia - curata dal nostro Eugenio, tra l'altro- . Ma parlare del passato sonoro ormai non ha più senso, Mikeal Åkerfeldt è profondamente legato al presente, che lo vede nuovamente muoversi verso sonorità molto personali, lontano da ogni sorta di trend o schema. Potremmo dire che la disco-grafia degli Opeth è legata indissolubilmente con l'evoluzione e la crescita personale dei singoli individui, è per questo mo-tivo che il sound matura, muta forma e colore. Benchè tutto questo sia motivo di critiche da parte di alcuni nostalgici, è il normale percorso di vita, lo sviluppo di sensibilità e necessità espressive diverse rispetto a 20 anni fa. La chiave di lettura di Pale Communion è il presente, l'oggi, adesso. il resto è storia.

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Federica: Ci puoi spiegare il significato del titolo “Pale Communion”? Volevo qualcosa che unisse testi e concetto ed è un sorto di gioco con il termine “compagna pallida”, che si riferisce alla morte, ma ho cambiato in “comunione” perché sembra carino e suona bene.

Per quanto riguarda i testi, c’è un messaggio nascosto? Beh, non c’è alcun messaggio nascosto, si tratta di cose personali della mia vita, anche se non amo molto scrivere testi sulla mia vita, non mi piace il fatto che potrebbero farmi domande a riguardo, ho comunque voluto creare dei testi che potessero permet-termi di cantarli in maniera molto emozionale.

Ti senti nudo quando canti queste canzoni? Sì, un po’ sì, ovviamente sarebbe più facile mentire e dire che non hanno nulla a che fare con me, ma sono arrivato ora ad un punto della mia vita in cui mi sento a mio agio a scrivere questo genere di cose, come ho fatto negli ultimi 3 dischi.

Potreste darmi un aggettivo per ogni canzone dell’album? Questo è difficile! Molto difficile! Forse per la prima canzone direi inaspettata, per la seconda prevista! (risate).Fredrick: Io direi piuttosto "flusso" ! Per la terza direi lunga, Elysian Woas direi triste per via del testo.Mikeal: oppure “forestale”; esiste davvero questa parola? Goblin si spiega da sé!

Per quanto riguarda invece l’ultima canzone, Faith in Others, c’è la presenza degli archi, ed alcuni fan si sono preoccupati non poco per questo. Ma erano davvero preoccupati?

Sì! Lo erano! Soprattutto per gli archi che ci sono nel brano! Forse perché si aspet-tavano qualcosa di smielato... (Risate) in realtà è una delle mie preferite che abbia mai scritto! Assieme a River!

Qual è stato l’incipit per la creazione di questo brano? Ma che domande difficili! Mi sono seduto e ho scritto! Faith in Others è stata in realtà la prima canzone che ho scritto, assieme a Goblin, anche se ci è voluto molto tempo prima che prendesse una vera forma. Ma di solito mi siedo e scrivo, e mentre scrivo, più scrivo e più idee mi vengono, è un flusso costante! Avrei potuto continuare a scri-vere! Ho passato un sacco di tempo là nella mia “caverna”!Fredrick: sono davvero impressionato da Mike e di come riesca realmente a mettere a fuoco le cose quando si parla di scrivere testi.

Che cosa ne pensate di questo album? Potrà raggiungere un pubblico più vasto? Forse, non lo so, non so dove siamo, non so se siamo “caldi”, non so quale sia è l’interesse di questa band oggi! So che c'è un certo interesse...

Perciò lo sai! Forse, ma non posso tradurlo nel mondo reale! Penso che possa essere un album dal più facile coinvolgimento rispetto a Heritage, ma ciò non dà alcuna garanzia di diven-tare popolare, è chiaro cosa penso?

Sei d’accordo se dico che è come un’evoluzione dal vostro ultimo disco? Sì, mi piace se la pensi così!

La collaborazione con Steven Wilson è in qualche maniera cambiata rispetto alle altre volte? Si è occupato di mixaggio in questo album, ha il dominio totale per questa fase. I suoi

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riferimenti e gusti musicali sono davvero simili ai miei, amo la musica che scrive. Prima di essere in co-produzione, su questo album ha solo eseguito dei mixaggi, alcuni cori; aveva delle idee sul suono di certe canzoni e ci ha raccomandato Dave Stuard per le parti con gli archi. Steve è personalmente molto coinvolto nell’album, il che mi piace, anche se non ha scritto il materiale. Lo potremmo definire un difensore della musica! Nell’ultima canzone, per esempio, lui ama quella canzone, c’è un effetto vocale e lui ha detto: “questa è la tua miglior performance vocale, non avresti dovuto rovinarlo con questo effetto vocale!” Ma mi piaceva perciò l’ho tenuto! Mi fa piacere quando è così coinvolto! Mi piace lavorare con persone come Steve, mi sento molto a mio agio così.

Tutti noi conosciamo i tuoi gusti musicali, ma forse c’è una band che non potremmo mai e poi mai immaginare che ascolti? I Papir direi, ma vi dirò una cosa, porterò la mia figlia a vedere gli One Direction! (Ri-sate) e non vedo l’ora, non li ho mai sentiti!

Eugenio: Suppongo che non suonerete, come già fatto per “Heritage”, i nuovi brani prima dell’uscita del nuovo disco.Sì, penso proprio che andrà così, nessuno ci obbliga a farlo. Anche se capita a volte che gli organizzatori di qualche festival provino ad incrementare il compenso in cambio di un’esclusiva, anche se non credo ci sia mai capitato. Personalmente, la mia posizione resta quella che hai già detto tu.

Per i soliti timori del caricamento dei video su YouTube, immagino.Certo, non voglio che le persone possano ascoltare dei nuovi brani in condizioni ben lontane da quelle ottimali. La qualità di registrazione degli smartphone è comunque orrenda, e se a questo aggiungiamo l’eventualità che i suoni non siano diffusi a dovere e che noi magari commettiamo degli errori mentre suoniamo… non sarebbe proprio il massimo per un primo assaggio del nuovo disco!

Le ultime due canzoni di “Pale Communion” contengono degli arrangiamenti orche-strali, che troviamo anche nel disco di StormCorrosion, il progetto tuo e di Steven Wilson. È possibile che quella collaborazione abbia influenzato il songwriting nel caso di “Voice of treason” e “Faith in others”?Non ci ho mai pensato veramente, ma potresti anche aver ragione. “Faith in others” è nata quasi per errore, mentre stavo testando nel mio studio casalingo dei suoni di archi campionati; volevo semplicemente sentire quanto fossero fedeli al vero suono di uno strumento ad arco. Perciò in maniera del tutto naturale ho realizzato questo arrangiamento vagamente sinfonico, a cui ho poi aggiunto la parte di batteria per poi proseguire con tutto il resto.

Si è parlato molto di questa forte ricerca della melodia in “PaleCommunion”.Sì, ma non nel senso più comune del termine. Gli Opeth non hanno mai cercato la melodia ‘facile’, quel fraseggio che ti si ficca in testa sin dal primo ascolto. Canzoni del genere le trovo in generale fastidiose, spero tu capisca quello che voglio dire con questo. Ci siamo focalizzati sulle melodie più che in passato, ma con l’obiettivo di non risultare irritanti.

Una in particolare però ha catturato l’attenzione di molti, dato che a quanto pare il brano “Goblin” veniva canticchiato dai musicisti che vi hanno accompagnato in un precedente tour americano.Sì, “Goblin” è nato da una nostra jam durante i soundcheck – quiMikael canticchia le note suonate dall’hammond all’inizio del pezzo – e mi sono spesso imbattuto nei ragazzi dei Mastodon, deiGhost e nella loro crew mentre intonavano quel du-du-du-dum--da-dum--de-dum iniziale. Più catchy di così! Sicuramente funzionerà molto bene anche dal vivo.

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Mentre ascoltavo “Goblin” non ho potuto fare a meno di pensare ad una band italiana chiamata Calibro 35…(E qui parte tutto un discorso in cui parlo più io che lui: gli spiego che non ci sono parentele con gli Osanna della colonna sonora del film “Milano Calibro 9”, ma che i Calibro 35 nacquero come cover band orientata verso il sound del cosiddetto poliziot-tesco, e che degli Osanna propongono in concerto proprio il tema di “Calibro 9”. Si parla nuovamente di Goblin, e Mikael cita tra le colonne sonore della band romana estranee al contesto horror quella del thriller “La via della droga”, con un azzeccato paragone alla soundtrack dell’“Ispettore Callaghan”).Quando abbiamo suonato al Roadburn (nell’aprile 2014) coi Goblin di Claudio Si-monetti loro hanno iniziato con uno dei miei brani preferiti, “Snip Snap”, dall’LP “Roller”.È probabilmente il mio preferito, anche perché non essendo una colonna sonora si discosta dal classico ‘formato’ che prevede diverse versioni di un unico tema; il che va comunque bene, ma “Roller” resta un mio favorito, pur non essendo leggendario quanto “Profondo Rosso”.(E qui si apre una seconda parentesi, in cui spiego che alcuni brani di “Roller” sono stati in realtà successivamente inseriti in un film di George Romero, il regista di “Dawn of the Dead” a.k.a. “Zombi”. È uno dei suoi lavori meno noti, il cui titolo origi-nale è “Martin”: a curare la distribuzione europea fu Dario Argento, il quale lo rinominò “Wampyr” e vi inserì alcuni estratti da “Roller”).

So che una canzone di “Pale Communion” aveva il particolare titolo di lavorazione “Floyd”.Si tratta di “Moon above, Sun below”. Era completamente diversa all’inizio, e l’avevo intitolata così perché avevo cercato ispirazione in “Astronomy Domine”, dal primo LP della band inglese. Il risultato però non mi piacque per niente, perciò ho riscritto tutto da capo ed il risultato è appunto quello appena citato.

Non è stata registrata nessuna altra traccia oltre alle otto delfull-length?No, l’intenzione c’era, anche perché come ben sai di questi tempi è sempre richiesto del materiale extra per qualche versione deluxe del disco. Non ci saranno inediti, ma probabilmente delle cover… c’è in particolare questa canzone cantata in svedese che abbiamo suonato durante il tour acustico (dell’autunno 2012), “Varkommer bar-nen in” – degli Hansson De Wolfe United – e che farò di tutto per includere nella release ufficiale. Tutti gli show di quel tour sono stati registrati perciò, se non ci sarà tempo per ri-registrarla in studio, opteremo per una live version. Altrimenti un mio amico, con cui gioco spesso a badminton, mi darà una mano grazie al suo studio personale.

Siamo ancora in attesa dell’artwork finale, di cui suppongo si stia occupando ancora una volta Travis Smith.È così infatti, ci vuole più tempo del previsto perché ho avuto queste idee gran-diose (pronunciato alla francese): un trittico in cui ciascuno dei tre singoli dipinti è complesso, non dico allo stesso livello, ma quasi quanto l’illustrazione della copertina di “Heritage”. Ogni dipinto rappresenta una fase della nostra esistenza, ed il tutto verrà inglobato in una quarta cornice complessiva. Avrà un’aura medievale, con delle strisce di carta su cui sono riportate frasi in latino che ho personalmente selezionato.Per quanto riguarda noi musicisti, ho pensato di farci raffigurare come le figure delle comuni carte da gioco. A volte alcuni mi chiedono se io faccia uso di qualche stupe-facente che mi porti ad avere idee del genere, ma ti assicuro che la risposta è asso-lutamente negativa!

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SPECIAL OPETH

352 pagine in b/n, decine di fotografie esclusive, 16x23cm, una meravigliosa illustrazione in copertina realizzata da Marco Castagnetto, dodici capitoli più appendice che ripercorrono l’intera parabola artistica del gruppo svedese Opeth, dalle origini alla primavera 2014. Questi i dati tecnici, dietro ai quali, come sempre, c’è molto di più.Innanzitutto, una doverosa precisazione: non si tratta della primissima biografia dedicata alla band di Stoccolma, in quanto preceduta da un testo in lingua francese. Proprio grazie a quell’uscita, gli editori della milanese Tsunami Edizioni cominciarono a guardarsi intorno, chiedendosi chi

avrebbe potuto scrivere qualcosa di simile, ma destinato al mercato italiano.Se c’è qualcosa in cui credo, ecco, io credo nelle coincidenze. Eventi del tutto asincroni e casuali che fanno assaporare meglio certe congiunture della vita, che spesso altrimenti annegano nel mare della prevedibilità. Il caso ha dunque voluto che, nel momento in cui alla Tsunami hanno cominciato a discutere di un futuro libro sugli Opeth, la loro fedele traduttrice Stefania già sapesse a chi rivolgersi: a un individuo da cui, qualche anno prima, aveva acquistato alcuni numeri di una piccola rivista autoprodotta.

LE STAGIONI DELLA LUNA / Gli Opeth dal Death al ProgText Eugenio Crippa

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SPECIAL OPETH

352 pagine in b/n, decine di fotografie esclusive, 16x23cm, una meravigliosa illustrazione in copertina realizzata da Marco Castagnetto, dodici capitoli più appendice che ripercorrono l’intera parabola artistica del gruppo svedese Opeth, dalle origini alla primavera 2014. Questi i dati tecnici, dietro ai quali, come sempre, c’è molto di più.Innanzitutto, una doverosa precisazione: non si tratta della primissima biografia dedicata alla band di Stoccolma, in quanto preceduta da un testo in lingua francese. Proprio grazie a quell’uscita, gli editori della milanese Tsunami Edizioni cominciarono a guardarsi intorno, chiedendosi chi avrebbe potuto scrivere qualcosa di simile, ma destinato al mercato italiano.Se c’è qualcosa in cui credo, ecco, io credo nelle coincidenze. Eventi del tutto asincroni e casuali che fanno assaporare meglio certe congiunture della vita, che spesso altrimenti annegano nel mare della prevedibilità. Il caso ha dunque voluto che, nel momento in cui alla Tsunami hanno cominciato a discutere di un futuro libro sugli Opeth, la loro fedele traduttrice Stefania già sapesse a chi rivolgersi: a un individuo da cui, qualche anno prima, aveva acquistato alcuni numeri di una piccola rivista autoprodotta.Quell’individuo sono io, e la mia fanzine si chiamava “Advent‘Zine”. Quale fosse l’argomento principale di quelle 60 paginel’avete già capito, no? Mi occupavo in prima persona di scrivere, impaginare, stampare – grazie a uno zio che possiede una copisteria nel quartiere cinese di Milano – e diffondere quel piccolo opuscolo in formato A5 (stampato in A4 e piegato a metà), dopo essermi avvalso in principio della fondamentale spinta di un mio vecchio amico. Lui voleva fondare un fan club, io preferivo invece concentrarmi sulla ‘zine, peraltro ispirata a un’altra piccola rivista chiamata Carbon Nation, di cui avevo recuperato diversi numeri ai concerti di Porcupine Tree e Blackfield.Così Stefania mi contattò, ed io accennai la cosa al mio amico Filippo Pagani, che si unì poi al sottoscritto nel processo di scrittura del libro, il cui titolo sarebbe stato definito solo mesi dopo, nella primavera del 2013.Per litigare è sufficiente essere in due. E, per farla breve ma senza entrare nei dettagli, qualche screzio è stato inevitabile; credo peròche nel complesso si sia riusciti a trovare un buon equilibrio, in particolare a livello stilistico, dove è stato necessario, a volte, porre un freno ai barocchismi sintattici del mio collega. Dal punto di vista iconografico invece, sono decisamente soddisfatto, e l’unico rimpianto può essere al massimo quello di non aver potuto stampare a colori, ma in tal caso i costi di produzione sarebbero stati proibitivi.

Pochi lo sanno forse, ma l’Italia è stato il primo paese in assoluto in cui il nome Opeth è stato ufficialmente esportato,

precisamente sulle pagine della fanzine Thanatography, gestita da Stefano Longhi e Roberto Mammarella (che molti tra voi dovrebbero perlomeno aver sentito nominare, dato che il primo sarebbe diventato di lì a poco caporedattore di Metal Hammer e GrindZone, mentre il secondo, conclusa la parentesi Obscure PlasmaRecords, avrebbe presto fondato la Avantgarde e gestisce da anni il negozio Sound Cave, specializzato in metal estremo). Grazie all’insistenza di Filippo siamo riusciti ad avere da Stefano le scansioni della copertina della fanzine e di quel primissimo articolo, che tra l’altro riportava una fotografia dei Procreation in concerto, la band che David Isberg, fondatore degli Opeth, aveva messo in piedi insieme a Christopher Johnsson dei Therion.I ritrovamenti ‘archeologici’ sono stati molti, grazie a una costante ricerca di ‘materiale fanzinaro’ in rete che potesse degnamenteaccompagnare con delle immagini il racconto dei primi anni di vita della band. Decine di pubblicazioni scandagliate pagina per pagina, alla ricerca anche del più piccolo trafiletto in cui comparisse in qualche modo il nome degli Opeth. L’ultimo decennio del secolo scorso è stato, in ambito hard&heavy, letteralmente irripetibile, per una lunga serie di motivi e soprattutto di album che non sto qui a nominare: ecco, quelle riviste, messe insieme, costituiscono il racconto in tempo reale dell’incredibile evoluzione musicale di quei tempi, che già sembrano lontani ere geologiche quando in verità sono trascorsi solo vent’anni.In particolare, nel caso degli Opeth, abbiamo un giovane Mikael Åkerfeldt che, dopo aver ufficialmente preso le redini del gruppo – che ricordiamo, non contribuì a fondare ma vi entrò a far parte solo qualche mese dopo, sul finire del 1990 – a inizio ’92,cominciò a registrare, copiare e spedire ovunque potesse delle cassette sui cui nastri erano riversate le versioni primordiali dei brani che sarebbero finiti su “Orchid” (1995) e in parte su “Morningrise” (1996). Non si trattava di demotape, realizzati in veri studi di registrazione, ma di rehearsal tape, confinati alle pareti di qualche scantinato o di qualsiasi essenziale spazio rettangolare in cui ci si potesse trovare a suonare insieme. Si parlava di coincidenze: non saprei come definire in altro modo il fatto che il primo contratto discografico gli Opeth lo firmarono sulla base di una manciata di secondi posti alla fine di una compilation, spedita da Samoth degli Emperor al boss della Candlelight Records, quando decine di nastri inviati in mezzo mondo non avevano dato alcun frutto.“Orchid” fu registrato in dodici giorni nel marzo ’94 ma vide la luce solo più di un anno dopo. In quei mesi, però, diverse canzoni furono diffuse tramite tape trading, e in alcuni casi finirono anche oltreoceano, dove l’attenzione nei confronti del metal scandinavo era più alta di quanto si possa credere.Fino alla primavera del ’95 gli Opeth erano sostanzialmente una creatura mitologica, di cui si sentiva parlare sempre più

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spesso in termini lusinghieri, tuttavia senza poterne saggiare le capacità. Ma per diversi anni sarebbero rimasti ancora in sordina, fino a quando grazie a “Blackwater Park”, a un contratto con la Music For Nations e a un management vero e proprio che si prese carico delle questioni burocratiche e pecuniarie, fioccarono i primi tour e prospettive di carriera.

Più che ripercorrere gli ultimi anni di attività, per i quali esiste una valanga di materiale decisamente meno affascinante di quellarisalente agli anni ’90, la vera sfida è stata ricostruire le origini della band, facendo sì che i vari tasselli si incastrassero nel modo giusto. La raccolta di materiale è proseguita fino alle ultimissime battute che hanno preceduto “Pale Communion” (2014), e in particolare ringrazio la rivista Decibel che ad ogni uscita celebra un album fondamentale nella storia dell’heavy metal, con una hall of fame che cresce di mese in mese: nello specifico, grazie alle interviste dedicate a “Orchid”, “Blackwater Park” e a “Brave Murder Day” dei Katatonia, in cui Åkerfeldt sostituì Jonas Renkse alle death vocals, molti altri dettagli e sorprese vennero a galla, come ad esempio il fatto che il riff iniziale della canzone “Bleak”fu scritto sulla falsariga di quello di “Home” dei Dream Theater.Spesso vi è il timore che dietro alla maschera del musicista/artista vi sia qualcosa di più ‘umano’ che possa farci rivalutare in peggio il personaggio in questione. E ho sempre pensato che si è soliti compensare degli scarsi contenuti artistici con altri più frivoli. Ma il becero gossip non è di casa Opeth, perciò ne “Le Stagioni della Luna” gli unici retroscena che si possono trovare sono quelli relativi ai cambi di line-up, alle cause che hanno comportato l’abbandono o il licenziamento di un membro del gruppo. Sì, in un paio di discutibili casi Åkerfeldt ha letteralmente cacciato un musicista dalla band, e quando si è trattato di Per Wiberg subito dopo le registrazioni di “Heritage” (2011) questa decisione non è piaciuta nemmeno al sottoscritto: ritengo infatti Wiberg eccezionale, e vi invito qualora non li conosceste ancora, a recuperare del materiale di Spiritual Beggars, King Hobo,Bakerton Group e Mojobone. Cercando informazioni su di lui in rete, lo troverete non a caso nei crediti di decine di album.Un’altra piccola delusione risale allo scorso autunno. All’inizio di settembre partecipai al Melloboat Festival, kermesse di rock progressivo che dopo oltre cinque anni di stand-by tornò a solcare il Mar Baltico a bordo di una delle tante navi da crociera che collegano la città Stoccolma alla Finlandia e alle nazioni limitrofe. Un bill eccezionale e quasi esclusivamente svedese, con l’eccezione dei Cressida, storica formazione della scena proginglese degli anni d’oro. Suonavano anche gli Opeth, e a ciascuno di loro spiegai personalmente che io e Filippo stavamo scrivendo un libro su di loro; consegnai a ognuno una busta con delle foto che avevo scattato e stampato, e dei fogli con alcune domande.Due mesi dopo, a

pochi giorni dalle ferie natalizie, nessuno si era ancora fatto vivo: scrissi una mail a Mikael e lui mi rispose che stavano pensando di pubblicare loro stessi un libro ufficiale (che non sarà comunque rilasciato prima del 2015)!A questo proposito, devo perciò ringraziare infinitamente Travis Smith, che tra i vari interlocutori è stato l’unico a rispondere alle mie domande, nel periodo in cui era al lavoro tra l’altro all’artwork del nuovo “Pale Communion”. I suoi contributi sono stati posti all’inizio dei capitoli da “Still Life” in poi, da quando Travis è diventato in pratica il ‘copertinista ufficiale’ degli Opeth.Decidemmo di proseguire comunque, per non sprecare mesi di lavoro e ricerche. Il titolo del libro fu suggerito da Filippo verso metà dicembre 2013, in un rapido scambio di mail; mancavano ancora cinque mesi alla stampa vera e propria, ma alla Tsunami avevano già necessità di informare distributori e librerie delle loro future pubblicazioni.Oltre allo stress derivato dalle continue revisioni dei testi, l’ultimostep decisivo fu quello relativo all’apparato iconografico. Disponevo di una grossa quantità di fotografie dal vivo, molte delle quali le avevo scattate io stesso nel corso degli anni, a cui si aggiunsero i vari reperti ‘fanzinari’ e altre scansioni di recensioni, volantini, poster, copertine e così via: almeno un centinaio di pagine sono occupate da immagini, e questo rende “Le Stagioni…” decisamente diverso dalla tipica biografia di una band, dove per motivi di copyright non vi è quasi nulla a corredo del semplice testo.Con l’avvento di internet e in particolare dei social network le opinioni si diffondono molto più rapidamente dei fatti, e come qualsiasi ‘personaggio pubblico’, gli Opeth non sono esenti dai pareri di una nutrita schiera di detrattori, siano essi fan della prima ora delusi dal nuovo corso o fruitori di tutt’altra musica alla ricerca di un facile bersaglio. Nel nostro libro, io e Filippo abbiamo cercato di rispondere alle opinioni coi fatti, ripescando tra almeno un centinaio di interviste quegli interventi che potessero, ad esempio, spiegare come dal granitico “Watershed” (2008) si sia passati direttamente all’eleganza di “Heritage”.Pur avendo noi stessi seguito l’evoluzione della band da vicino, incontrando e intervistando di persona i musicisti degli Opeth più volte, abbiamo indubbiamente imparato molto dalle nostre ricerche; questa è la giusta attitudine, a mio parere, in un mondo in cui in molti si credono già arrivati da parecchio tempo, ed è l’atteggiamento che sicuramente contraddistingue il quintetto svedese, musicalmente parlando: imparare dal passato, per esprimere la propria visione musicale senza limiti imposti dall’esterno, questo è quanto gli Opeth hanno sempre fatto a dispetto dei pareri degli ascoltatori. E infine, in oltre 20 anni di carriera, lo spirito è rimasto quello delle origini, quello di un Åkerfeldt che sul finire del ’95 affermava: “Siamo una band onesta, e di questi tempi è una virtù”.

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OPETH“PALE COMMUNION”( 2014- Roadrunner Records ) Text Federica Sarra

Da una parte c'è il passato e dall'altra il nuovo che avanza, un "nuovo" che riprende però da un passato in cui la musica , rock e metal, non era una mera produzione in serie, ma ancora un fatto culturale e che dà vita alla più credibile sinfonia che si possa suonare oggi. Se il suo predecessore Heritage è stato di fatto indicato come uno spartiacque con un'attitudine espressiva nuova, Pale Communion è il risultato di un cammino luminescente, per certi versi straordinariamente liberatorio. Un album ricchissimo e complesso, compatto e unitario, un disco che ascoltandolo per la trentesima volta ti parla ancora e sempre in modo diverso, pieno e denso di piccoli segreti, di mille sfaccettature, ricco di influenze alte, rivoluzionario per l'era moderna ma in un modo del tutto inaspettato. Pale Communion si forgia di una ricchezza di particolari melodici, di emozioni latenti e una complessa struttura di idee, strati e intuizioni musicali da lasciarci senza fiato, nel quale si

esprime una visione compositiva di gran lunga superiore alla media, un invidiabile "sense of Rock" e una profonda ricerca. E poi c'è la voce di Åkelfeldt, inconfondibile, screziata con enfasi e vibrato, quel tono dolce e profondo che svela il segreto della musica, scottante e glaciale al tempo stesso, in grado di governare spazi e volumi dei brani, che definirei racconti sonori, dove nei passaggi più tecnici viene rivelata ancora una volta, l'abilità, eccezionale, dei singoli musicisti. Nel disco ci sono tutti i numeri per consegnare alla storia un atto supremo capace di avvolgerci nell'estasi di momenti sublimi difficilmente eguagliabili. Impossibile prevedere il futuro sonoro degli Opeth, che con Pale Communion giungono alla maturità artistica, difficile dire se il prossimo potrà essere migliore di questo, se così fosse di sicuro non ne resteremmo stupefatti, ma sta di fatto che esiste il presente e di sicuro ad oggi questo è il loro capolavoro.

Voto - 9,3/ 10

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FROM THE DAWN TO NOWSPECIAL OPETH

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zoom on... stockholmText Federica Sarra Photo Eugenio Crippa, Private Archive

Gli Atlantis Studios in origine erano una casa cinematografica chiamata Kadetten. Il teatro ospitava 330 posti . Aperto il 5 aprile nel 1941, fu progettato dall'architetto Olle Pettersson. Nel 1943, Kadetten venne acquistato da Institute Sveriges Folkbiografer e il nome fu cambiato in "Terry". Tuttavia, il cinema Terry chiuse i battenti nel 1959.Poco dopo, lo spazio era nuovamente in vendita e venne acquistato da Metronome che strappò tutti gli infissi teatrali trasformando lo spazio in uno studio di registrazione con attrezzature professionali di altissima qualità mai viste prima, tra cui una console Neve ordinata direttamente dall'Inghilterra.

Lo studio Metronome è stato inizialmente gestito da Anders Burman e Börje Ekberg e dal tecnico del suono Rune Persson. Alcune delle loro prime registrazioni includono Siw Malmkvist e Owe Thörnkvist. Non passò molto tempo prima che lo studio attirasse artisti di fama internazionale come Quincy Jones - che registrò la musica del film "Boy in the Tree"- ed alcuni tra i migliori musicisti jazz del tempo.Metronome fu a lungo l'unico studio di registrazione professionale a Stoccolma, vi registrarono anche band del calibro degli ABBA.Nei primi anni 70 Janne Hansson iniziò lì la sua carriera come tecnico del suono e quando gli fu offerta la direzione degli studios cambiò il nome in Atalantis Grammofon. Tutt'oggi Hansson gestisce ancora gli studios.

ATLANTIS STUDIOS Karlbergsvägen 57

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I consigli di Fredrik Åkesson per scoprire tutti gli angoli segreti di Stoccolma

DOVE ACQUISTARE STRUMENTI MUSICALI:Deluxe Music - Fridhemsgatan 40

DOVE ACQUISTARE DISCHI E RARITÀ:Bengans Skivbutik - Drottninggatan 20 Pet Sounds - Skånegatan 53

Trash palace - Sankt Eriksgatan 101

DOVE MANGIARE E ASCOLTARE MUSICA LIVE:Gröna Lund - Lilla Allmänna Gränd 9Restaurant & Pub Anchor - Sveavägen 90Garlic And Shots - Folkungagatan 84

Debaser - Medborgarplatsen 8

Sjätte Tunnan - Stora Nygatan 41-43

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BLOODBATH FOREVER MORBIDText Alex NunziataPhoto Courtesy of Peaceville Records

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Ci ritroviamo finalmente a parlare di un nuovo album dei Bloodbath in uscita dopo 6 anni di silenzio e li fac-ciamo con un disponibilissimo Anders Nystrom. Grand Morbid Funeral verrà pubblicato il prossimo 17 novembre su Peaceville Records.

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INTERVIEW

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Come è andato il processo di registrazione del nuovo al-bum? Ti diverti ancora tanto a scrivere e suonare del buon vecchio death metal per allietare i nostri timpani?Sì, mi sono proprio divertito durante tutto la lavorazione. C'era una specie di magia racchiusa già dalle prime fasi di discussione sulle idee per l'album, qualcosa che ha dav-vero acceso le scintille creative e le fiamme sono cresciute attraverso la scrittura e la registrazione. Quando si tratta di musica, il death metal sarà sempre la scelta e l'alternativa del "divertimento", soprattutto per me che non sono ca-pace di farlo più di un paio di volte al decennio, mentre mi trovo impegnato con qualcosa di completamente diverso per il resto del tempo, ma ciò lo mantiene comunque dav-vero intenso. Tutti questi anni di mezzo agli album creano una tensione positiva per nutrire la propria voglia e adesso dopo 6 anni dall'ultimo lavoro, è tempo di liberare nuova-mente quei demoni interiori.

Ascoltando il vostro nuovo singolo Unite In Pain, nonostan-te il passare degli anni e i cambiamenti, sembrate tuttora molto coerenti come band di metal estremo. C'è stato qual-che tipo di evoluzione nel vostro suono o preferite restare sempre fedeli alle radici?C'è stata certamente una forma di evoluzione lungo gli anni perché nessuna album suona uguale all'altro, ma questo non è qualcosa che è avvenuto in un intervallo cronologico, siamo andati avanti e indietro parecchie volte per fermarci ad omaggiare ceti stili e, cosa più importante, abbiamo soltanto esplorato i differenti percorsi all'interno del death metal, non lasciandone mai il campo né esplorando un altro genere musicale al di fuori. Questa band non riguarda ciò, non cerchiamo di progredire, di essere unici, originale e mai sentiti. Abbiamo iniziato come tributo al death metal e la parola "regressione" è probabilmente un termine ricor-rente utilizzato nei Bloodbath più di qualunque altro, forse con l'eccezione di "Morbid Angel" e "Entombed" haha! Nel modo in cui la vedo io, la scena death metal mondiale è come un'incudine su cui versiamo un crogiolo di influenze per forgiare la spada dei Bloodbath! L'acciaio può anche cambiare, ma sarà sempre letale!

Dopo l'uscita di Mikael nel 2012 molte voci hanno circolato rigurado il nome del nuovo cantante, tuttavia siete riuscite a stupirci con l'arrivo del leggendario Nick Holmes, che credo non abbia usato il growl per circa 20 anni.Quando e perché avete deciso di ingaggiarlo nei Bloodbath e quale beneficio pensi abbia apportato alla band?Avevamo già cominciato a parlare di un nuovo cantante quando Mike era ancora "ufficialmente" nel gruppo. Lui fece capire abbastanza chiaramente di non essere più interessato ad eseguire death metal ed era solo una questione di tempo prima che se ne andasse. Perciò non fu una sorpresa dato che il cuore e la testa di Mikael erano in un posto diverso e sarebbe stato ingiusto per se stesso, noi e i fans continuare ad andare avanti con qualcosa di sleale. Invece iniziammo a

fare una lista di potenziali nomi basati su origine, storia della scena e stile vocale. Prendemmo contatti con alcuni di loro, ma ci bloccammo su uno solo - il vecchio Nick! Sentivamo che non solo era giusto per la nostra visione di quest'al-bum, ma era anche uno dei quei ragazzi con cui andavamo già d'accordo a livello sociale, aspetto molto importante da considerare se si deve provare, registare ed esibirsi dal vivo insieme. Penso che Nick abbia portato un altro stile nei Bloodbath, qualcosa di molto putrido, maligno e old school, proprio come volevamo, proprio quello avete avuto!

Per questo nuovo lavoro avete chiamato Chris e Eric de-gli Autopsy a dare un contributo come ospiti speciali. Dev'essere sicuramente stata un'esperienza morbosamente costruttiva. Come siete arrivati a collaborare con loro?Perché ritengo Mental Funeral uno dei miei 5 album death metal preferiti di tutti i tempi. Ho scritto a entrambi un'email per dire che sarebbe stato un vero sogno farli comparire come ospiti, specialmente su quest'album, in cui abbiamo virato verso il loro territorio musicale. Tutti e due mi hanno dato l'ok per partecipare. Mi è piaciuto molto incorporare i loro approcci compositivi nelle nostre canzoni, quella roba malata che solo gli Autopsy possono fare! Non potremmo essere più orgogliosi! Hail Autopsy!

Tutti voi membri della band avete contemporaneamente al-tri importanti gruppi in attività (Katatonia, Opeth, Paradise Lost). I Bloodbath non sono il tipico progetto parallelo ma un'entità assai rilevante e con un largo seguito. È difficile trovare tempo ed energie da dedicare a mantenere i Blood-bath vivi e vegeti?Già, si è rivelato totalmente impossibile programmare un intero tour. In effetti, non siamo mai riusciti a farcela. E' già abbastanza difficile mettere insieme un nuovo album oggigiorno e questo è il motivo per cui un notevole numero di anni scivola via in mezzo alle pubblicazioni. Persino registrare un album è qualcosa che deve essere fatto su un periodo di tempo più lungo, con membri che vanno e vengono durante il processo. Per esempio su quest'album abbiamo completato le parti di batteria già in marzo o aprile, ma non abbiamo messo apposto il resto e finito fino ad Agosto, entrando e uscendo.

Quali sono i programmi della band per il prossimo futuro? Avete intenzione di fare un tour per promuovere il nuovo al-bum? Speriamo di avere la possibilità di vedere i Bloodbath dal vivo qui in Italia! Vuoi dire qualcosa ai fans italiani?Ovviamente per adesso non ci sono ancora programmi di tour veri e propri, ma ci stiamo focalizzando parecchio sul fare una manciata di festival il prossimo anno. Stiamo cer-cando di riservarli in quanti più Paesi diversi possibile per renderlo più equo per i nostri fans, ma tuttora non possiamo andare a trovarli tutti, così speriamo che si sposteranno loro in qualche Paese vicino visto che i programmi e le formazioni di quei festival probabilmente valgono il viaggio in ogni caso.

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Nel 1991 si forma in Danimarca il gruppo death metal/doom dei Satur-nus. Oggi, con alle spalle ormai anni di esperienza, quattro album in studio, un ep e vari cambiamenti di forma-zione, Henrik e Brian si sono fermati con noi di Sector Noir per parlare del nuovo album, degli obiettivi futuri e di cosa successe con i My Dying Bride nel lontano ’96.

Sappiamo che state componendo il materiale per il nuovo album. Cosa ci potete anticipare a riguardo? Stiamo cercando di scrivere qualcosa di leggermente di-verso rispetto all'ultimo album, ma senza allontanarcene troppo. Penso che vogliamo cercare di mantenerne la mag-gior parte degli elementi, come per esempio lo stile doom della canzone "Forrest Of Insomnia". Se così non fosse, non saprei nemmeno come faremmo io e Rune a iniziare a scrivere nuovo materiale!

Qualche giorno fa avete raggiunto i 30.000 fan su Face-book. Oggigiorno quanto è importante secondo te avere una grande fanbase online?I fan su Facebook sono veramente importanti per noi. È quello il luogo in cui possiamo parlare con i fan, ottenere interviste che andranno pubblicate sui webzine e mante-nerci in contatto con la gente che lavora con noi a livello professionale. Per esempio un agente di booking svedese, un manager inglese, ecc… È veramente bello poter rimanere in contatto con il resto della famiglia Saturnus. Il raggiun-gimento dei 30.000 fan è stato bellissimo per noi e devo ammettere che non vedevamo l’ora. Siamo onorati di aver raggiunto questo traguardo.

Quali sono i vostri obiettivi futuri? Penso che lo scopo sia sempre fare meglio e provare a fare quello che hai nel cuore. La musica per noi rappresenta il mondo in cui vogliamo vivere. Cercheremo di finire il nuovo album il più prima possibile e ovviamente cercheremo di suonare più concerti possibile. Non so se trascorreremo un anno come il 2012, durante il quale avemmo la fortuna di suonare molto e di essere in tour in Europa con i Vision Bleak. Proveremo a fare qualcosa di simile. Non c’è sensazi-one migliore di quando tutto si risolve e va a buon fine.

Riuscire a suonare in tutto il mondo e incontrare i nostri grandiosi fan è un privilegio impossibile da esprimere a parole. Ci piacerebbe fare un tour da headliner in Europa e speriamo di ritornare in alcuni posti dove abbiamo suonato anche fuori dall’Europa. Ma tutto è nelle mani degli agenti di booking del mondo. Noi possiamo solo lavorare duro e sperare per il meglio. Inoltre il mio obiettivo (Henrik) è migliorare come musicista e come persona.

Potete raccontarci qualche storia divertente riguardante l’ultimo tour?Durante il nostro ultimo tour abbiamo fatto tre date in Italia insieme ai nostri buoni amici degli Shores of Null. L’unica cosa che ricordo è il torneo di ping pong fatto insieme a loro. Fu divertente. Durante il grande tour europeo con i Vision Bleak abbiamo realizzato un piccolo cortometraggio sulle settimane passate insieme. Ne è uscito un video dav-vero divertente. Penso sia su Youtube.

Qual è stato il vostro pubblico migliore? Il pubblico italiano fu meraviglioso. Davvero dei ragazzi eccezionali. Abbiamo incontrato una ragazza che aveva la copertina del nostro album “ Veronika decides to die” ta-tuata sulla schiena. Davvero folle.

Il 1996 è stato un anno molto importante per voi, visto che avete conosciuto i My Dying Bride. Cosa ci potete dire a riguardo? Per me è stata una grande esperienza poter suonare con i My Dying Bride. Sono dei ragazzi veramente in gamba. Dopo quel concerto per i Saturnus si è verificata una svolta. Tutti noi amiamo lo stile dei My Dying Bride, quindi de-cidemmo che il genere della nostra band sarebbe stato il Death/Doom e così iniziammo a comporre nuove canzoni.

SATURNUS SONIC BANG!

Text Amelia TomasicchioPhoto Courtesy of Saturnus

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THE CHAMELEONSCULT WAVE

Text Federica SarraPhoto Courtesy of The Chameleons

Traduzione Irene Pennetta

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Incontrare Mark Burgess, mente e unico superstite della formazione originale è sicuramente stata una delle espe-rienze più intense. Mark è ancora un grande leader indis-cusso di una band seminale che ancora oggi riesce ad influenzare nuove generazioni di musicisti anche molto diversi fra loro e non solo. Ai Chameleons dobbiamo anche la nascita di Sector Noir, la spinta emozionale fatta di chiaroscuri, luci ed ombre, sonorità liquide o durissime, oscure o lucenti, alienazione ed una ben reale integrità artistica. Abbiamo fatto nostro il concept e la visione di Mark.

Come ti fa sentire il fatto di fare musica da così tanto tempo?In realtà non penso al tempo, ho passato un lungo periodo lontano dalla scena musicale, a parte delle collaborazioni con un mio amico, era l’unica musica di cui mi occupassi. Ma in realtà non segno il tempo, penso solo a dove mi trovo ora, non penso molto al passato perché non c’è più, è andato! Il futuro non esiste ancora, quindi l’unica cosa che esiste è il presente.

Quindi non guardi mai indietro alla tua carriera, a tutto quello che hai fatto in passato? Personalmente l’unica volta in cui ho ascoltato i brani vec-chi è stato quando abbiamo rilanciato l’album, quando abbiamo rimasterizzato Script Of The Bridge; non mi piace nemmeno guardare video vecchi dove ci sono io.

Come organizzate i vostri live? C’è una sorta di equilibrio fra le nuove canzoni e quelle vecchie? Abbiamo un paio di nuove canzoni che facciamo ora, quindi ci occupiamo principalmente di canzoni vecchie ed è ancora così eccitante per noi! Ci danno ancora un sacco di energia, non posso fare musica se non sono preso come una volta, è tutta una questione di passione! E io amo i tour!

Chi è il vostro pubblico oggi? È molto difficile dirlo, perché c’è un grande mix di fan da dover nominare! Molti giovani vengono da me e mi chie-dono di cantare vecchie canzoni!

E ti senti orgoglioso quando succede? Sì, certo! Mi fa sentire estremamente orgoglioso di cos’ho fatto! Questo la dice lunga sulla musica!

E come ti senti quando un sacco di artisti nuovi e diversi si sono ispirati alla tua musica, penso agli Interpol, agli Alcest, agli Editors... È una cosa positiva! Non è rubare; anche noi siamo stati in-

fluenzati da alcune band dell’epoca. Ed è incredibile perché le band che hai citato sono così diverse fra loro. Amo gli Editors, sono brillanti! Inoltre non mi piace sfidare i generi, potevo farlo a 16 anni quanto strimpellavo col punk, ma ora non più, c’è molta differenza col passato. A volte i ge-neri erano tutti ben definiti, ora, prendiamo la Rough Trade per esempio, i Cherry Red e i Factory che sono diversissimi l’uno dall’altro, ma tutti stanno sotto lo stesso “ombrello” new wave, seguono la stessa nuova ondata punk. Non è possibile avere spazio per un grande scenario, visti tutti questi sottogeneri.

Pensi che gli anni ‘80 siano stati il periodo d’oro? No, non per me almeno! Ho odiato gli anni ‘80! C’erano solo poche band che mi piacevano molto, ma detestavo la maggior parte della musica mainstream degli anni ‘80! Gli anni ‘70 sono stati il vero periodo d’oro! Ho visto i T-Rex suonare dal vivo, loro sì che mi hanno davvero influenzato!

Qualche nuovo album a cui stai lavorando? Sì, purtroppo però abbiamo avuto alcuni problemi con il batterista e siamo veramente in ritardo con l’uscita del-l’album, ma va bene così, anche se non siamo nemmeno a metà strada! Vi posso assicurare che sarà un gran disco, molto dark, ma non posso dirvi altro, per ora abbiamo solo bozze e alcune canzoni che hanno bisogno di prendere forma sul serio. E sarà anche in vinile!

Ci sarà un fil rouge con quello che avete fatto in passato con album precedenti? I temi in comune, come il tema principale dei miei brani, parlano di alienazione, è facile da dire! Quando ero giovane mi sentivo alienato ed è per questo che sono nate canzoni come In Shreds; ora sono meno alienato, ma sono più vecchio, posso gestire molto meglio la mia alienazione. Comunque, rimane ancora una parte centrale di me.

E ora che sei più saggio (ride) hai trovato il motivo della tua alienazione? No, in realtà non direi! Onestamente non ho cercato una risposta. Ma ho trovato la mia strada, faccio quello che voglio fare veramente e io perdo più tempo a fare cose che non voglio fare!

Mi sono sempre chiesta che cosa ti ha ispirato a scrivere un capolavoro come il brano Second Skin... È una canzone molto vecchia, l’ho scritta nel 1981. Liri-camente ha a che fare con l'esperienza extracorporea e l’immortalità.

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backstagePhoto Gabriele Capriulo

DESTROYER666’s MASTERPIECE FINALLY AVAILABLE AS VERY NOBLE VINYL EDITION.

MORE SINISTER TUNES TO DISCOVER ON NOBLE DIGIPACK CD OR LIM. VINYL EDITION...

+ TRUPPENSTURM / THORYBOS +APPROACHING CONFLICT

+ KERMANIA +KEHRE HEIM

+ DEATHRONATION +HALLOW THE DEAD

+ BLOOD OF KINGU +DARK STAR ON THE RIGHT HORN OF THE CRESCENT MOON

www.van-records.de

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THE STORY

Per chi non la conoscesse, la storia dei Daemonia è intrinsencamente collegata a quella dei Goblin, Claudio Simonetti è infatti il leader di entrambe le formazioni.Questa sua più recente creatura discografica mette in luce lo scopo prima-rio di riportare in auge le colonne sonore dei Goblin e continuare a deliziare l'ascoltatore con un raffinato Horror Prog. Claudio Simonetti ancora una volta dimostra di essere un'autentica forza della natura, circondatosi di ottimi musicisti della scena romana - come Giuseppe Previtali, Federico Amorosi in seguito rimpiazzato da Silvio Assaiante, e Titta Tani- ci consegna lavori di altissima qualità, meticolosamente curati, degni eredi contemporanei degli antichi fasti della tradizione progressiva anni 70.L'ultima fatica, Dawn of The Dead/Zombie, uscita nel 2013 per l'etichetta Black Widow e registrata all'Acquario Studio di Roma, incurante dei condizionamenti commerciali si mostra fedele alle origini stilistiche di Claudio Simonetti che veste anche i panni del produttore.L'album riprende nella quasi totalità le tracce storiche, divenute grandi classici della discografia dei Goblin, ma non si limita ad una semplice operazione di copia/incolla, i brani vengono tutti arrangiati e suonati con una rinnovata per-sonalità. Da sottolineare i virtuosismi di Simonetti alle tastiere. Dedicato a tutti coloro i quali vogliono riscoprire i Goblin, ai giovanissimi che si affacciano al prog. tricolore e ai nostalgici.

DAEMONIA JOURNEY TO THE PAST Text Federica Sarra

TRACK LIST

L’ALBA DEI MORTI VIVENTIZOMBIAT THE SAFARITORTE IN FACCIAZARATOZOMLA CACCIATIRASSEGNOOBLIORISVEGLIOZOMBI SEXYSUPERMARKETBonus tracks:ROLLERTOCCATA E FUGAIL CARTAIO

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Il fenomeno “Una macchina veloce, l'orizzonte lontano e una donna da amare alla fine della strada” ha scritto qualcuno tempo fa. Ma se la macchina è un pulmino più o meno scassato e le strade sono tante? Beh, meglio avere una donna alla fine di ognuna di esse, meglio se ricca di premure, anche se l’amore altro non è che devozione. Probabilmente è questa la parolina chiave per capire il mondo delle groupie, le vere e uniche regine di ogni fine strada. Le altre che di solito le accompagnano, più o meno colorite, ne arricchiscono quanto ne sminuiscono la leggenda.Il fenomeno nasce so-prattutto negli Stati Uniti, dove le strade non man-cano, tant’è che coglie im-preparati persino gli Stones alla loro prima esperienza oltreoceano: <<Con le tipe inglesi o eri tu a fare la pri-ma mossa o erano loro, sì o no. Mentre con le ragazze nere quello non sembrava mai essere il problema principale. Erano fantasti-che perché erano femmine, ma erano molto più simile ai a noi maschi delle tipe inglesi>>. E continuando, parlando di Flo, una ra-gazza di colore conosciuta in America: <<Mi amava? No. Mi Rispettava? Sì>>.Questo mette in luce come la figura della groupie sia molto più complessa di quanto ci vogliano far cre-dere.Ed è sempre il chitarrista delle Pietre Rotolanti (se-condo Bill Wyman, bassista degli Stones, fu proprio Keith a inventare il termine) a raccontare come funzionavano le cose al principio. Più di vere e proprie ragazze nomadi che giravano con la band, si tratta di signorine stanziali, in contatto fra di loro, pronte ad accogliere nella proprie città la band di turno, offrendo non solo sesso, ma anche un tetto, un letto e un pasto caldo.Il tam tam tra queste ragazze avveniva per telefono: la tizia di New Orleans si prendeva cura dell’artista X che il giorno

THE STORY/ HERITAGE

PENNY LANE E LE ALTREText Giuseppe Felice Cassatella

Photo Private Archive

prima aveva suonato nella città della sua collega groupie che aveva messo una buona parola per lui.A confermare quanto fosse diverso il Nuovo Mondo ris-petto il Vecchio Continente interviene il Dottor Ozzy: <<E poi c’erano le ragazze americane che con le ragazze inglesi non c’entravano proprio niente. Cioè, quando rimorchiavi una ragazza in Inghilterra le lanciavi uno sguardo, da cosa nasce cosa, la portavi fuori, le compravi questo e quell’altro e poi, circa un mese dopo, le chiedevi se per caso aveva voglia di una partitina a nascondi la salsiccia. In America le tipe venivano lì e ti dicevano: ehi, scopiamo? Non dovevi neanche alzare un dito>>.

Ovviamente il fenomeno cambia con gli anni, cresce con il successo del rock, così come spesso decresce l’età media delle fanciulle coinvolte, molte volte mi-norenni. Però la natura da croce-rossina resta invariata: è lo stesso Robert Plant a sancirlo quando fa un distinguo tra la semplice fan affamata di sesso e la groupie che è colei che “è un surrogato della fidan-zata, che spesso si prende cura del guardaroba del musicista e di ciò che ri-guarda la sua vita sociale”. Però qualcosa è mutato, perché è lo stesso singer riccioluto a evidenziare come questo avvenga per un periodo piuttosto lun-go, quindi la mutazione è avvenuta, la groupie si emancipa, lascia la propria città e segue l’artista.Emancipazione è l’altra pa-

rola chiave, non bisogna decontestualizzare il fenomeno: ci troviamo negli anni 60, nel pieno dei fermenti femministi. La donna prende consapevolezza della propria importanza, si ritaglia un nuovo ruolo all’interno della società, la libertà sessuale è uno degli strumenti adottati per ribadire questo concetto.Se Lemmy, all’epoca roadie di Hendrix, afferma che mai nessuna donna è uscita della stanza del chitarrista mancino senza avere un sorriso stampato sulla faccia, altre sono

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andate ben oltre, arrivando all’altare o legando il proprio destino in modo indissolubile a quello dell’artista di turno (Nancy Spungen e Sid Vicious).Certo con gli anni Ottanta le cose cambiano ulteriormente: la poesia viene meno, le ragazze vogliono solo divertirsi, come canta qualcuno, e il sesso, con la droga e la bella vita, diventa la centralità.Megaparty e orge sono all’ordine del giorno (o nottata, se si pensa che il tutto avveniva nel post esibizione), però non manca chi ancora usa l’ingegno per poter incontrare il proprio idolo. Esempio lampante di dove potessero ar-rivare queste fanciulle è raccontato da Vince Neil, testimone dell’estro di una fan che addirittura si è fatta murare sotto una finta parete di cartongesso per un giorno intero nel camerino del biondo, per poterlo poi incontrare a concerto terminato. Parossismi a parte, con la fine degli anni ottanta il feno-meno scema, il rock si fa triste e con lui tutto il baraccone, se si escludono alcune eccezioni. La figura della groupie viene sempre più relegata allo stereotipo sessuale, con buon pace della crocerossina, e dire che sarebbe servita

THE STORY/ HERITAGE

una mano, visto lo stato decrepito in cui versa il rock dal 2000 in poi.

Oggi come oggi assistiamo a una dicotomia: groupie suora vs. groupie zoccola. Da un lato c’è chi sostiene di seguire le band solo per passione musicale, magari dando una mano a montare smontare. Dall’altro chi sostiene che segue il grup-po solo per farsi montare e smontare. Salomonicamente, preferivamo il periodo in cui la verità stava nel mezzo.

Le protagonisteIl pantheon delle groupie è ricco e variopinto. Il gradino più alto del podio è sicuramente appannaggio di Pamela Des Barres, capostipite e più celebre signorina. Passata dalle fantasie giovanili sui Beatles alla conoscenza diretta di personaggi quali Captain Beefheart, passando per il ruolo di baby sitter dei pargoli di Frank Zappa, arrivando infine a rapporti ben più intimi con gente del calibro di Mick Jagger, Jimmy Page e Keith Moon, solo per citarne alcuni. Oggi è una bella donna che scrive libri, tra i quali spiccano “Des Barres I'm with the Band” (1987) e “Take

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Another Little Piece of My Heart: A Groupie Grows Up” (1993), vere proprie memorie di una geisha. Vogliamo solo ricordare una sua frase, vero e proprio manifesto del movi-mento: <<Le groupie stanno al rock come Maria Maddalena sta a Gesù Cristo!>>.“Welcome to the wonderful world of plaster! Hi, I'm Cyn-thia — artist and recovering groupie. I make plaster casts of penises and breasts that are attached to rock stars and other talented earthlings. And it's time to give y'all a polite warning about a Plaster Invasion soon to hit Planet Earth!” Questa frase la trovate in bella mostra sul sito ufficiale di Cynthia Plaster Caster (http://www.cynthiaplastercaster.com). La signora in questione è passata alla storia per il suo particolare modo di intendere la figura della grou-pie, che l’avvicina più al ruolo di artigiana che a quello di femme fatale. Grazie a Cynthia oggi abbiamo un numero impressionate di calchi di peni famosi (l’elenco lo trovate sul sito) che serviranno a tramandare ai posteri la parte più dura del rock. L’artista non lavorava da sola, ma in coppia: mentre l’amica preparava l’arnese, lei si dedicava all’impasto del materiale necessario per l’opera: l’unione fa la forza. Hendrix, Noel Redding (Jimy Hendrix Experience), Wayne Kramer (MC5), Jello Biafra (Dead Kennedys), più tutta una pletora di Dj, produttori, manager e roadie hanno la loro personalissima statua del loro amichetto!<<Il nostro era un gioco decadente, ma non eravamo delle galline. Nulla a che vedere con i personaggi nauseanti di “Almost Famous”>>, così parlò Jenny Fabian, più nota Che-mical Jenny. Nella sua rete sono caduti personaggi come Syd Barret, Eric Burdon e il Police Andy Summers. Certo il ruolo che Jenny ricopriva al Middle Earth, storico locale che ha legato in modo indissolubile il proprio nome alla scena prog e psych britannica, cioè quello di intrattenere i rapporti con le band, ha sicuramente agevolato la sua pas-sione. La cronaca della sua “carriera” è contenuta, anche se in forma romanzata, nel libro “Groupie”, Arcana Edizioni.

THE STORY/ HERITAGE

Marianne Faithfull ha una storia tutta particolare che l’ha portata dal backstage al frontstage. Groupie, amante e compagna di Mick Jagger, oggi vanta una discografia cor-posa, svariati film, oltre che pezzi firmati a quattro mani con altri artisti, in particolare con i Rolling Stones e i Metal-lica di The Memory Remains, ai tempi di Load.Cosa hanno avuto in comune George Harrison ed Eric Clap-ton? Una moglie, ovviamente. Pattie Boyd può vantarsi di aver ispirato alcune delle canzoni più famose del rock come Wonderful Tonight e Layla. Oggi è una fotografa di successo.Passata alla storia come la groupie bambina, Lori Maddox, all’età di 14 anni è stata la compagna di Jimmy Page. Bebe Buell ha il merito di aver dato i natali, in partecipazi-one con Steven Tyler, all’attrice e modella Liv.

L’ereditàL’elenco è infinito, forse è meglio quindi soffermarci sulle canzoni che queste muse hanno ispirato o contribuito a scri-vere, come As Tears Go By e Sister Morphyne (Faithfull/Sto-nes), Some Girls (Rolling Stones), Easy Meat (Frank Zappa), Little Martha (The Allman Brothers), Plaster Caster (Kiss).Ovviamente non manca un’ampia bibliografia sul fenomeno, oltre al già citato “Groupie”, basti pensare alla proficua at-tività di scrittrice di Pamela Des Barres. Tra gli altri posiamo trovare: l’autobiografia di Marianne Faithfull, “Rebel Heart: An American Rock'n'Roll Journey” (Bebe Buell), “Backstage Passes: Life on the Wild Side with David Bowie” (Angela Bowie). Restando dalle nostre parti Barbara Tommasino con “Groupie: ragazze a perdere” e Eleonora Bagarotti con “Magic Bus: Diario di una Rock Girl”. Per quanto concerne il cinema, non si può non citare il film d’eccellenza (oltre che premio Oscar) sul fenomeno “Almost Famous”. Carino invece “Due Amiche Esplosive”. Delittuoso non segnalare “Groupies Bleiben Nicht Zum Frühstück” (Le Groupie Non Rimangono A Colazione) dedicato ai Tokyo Ho-tel, oppure il nostrano “Sposerò Simon Le Bon” del 1986.

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Tempore Nihil Sanat (Prelude in F Minor) (instrumental)Bella introduzione orchestrale che, inizialmente, si poggia sull'affascinante suono del clavicembalo per poi svilupparsi in un coro in latino con un notevole crescendo di tensione che forma la base perfetta per il lancio della seconda traccia.

Never Forgive, Never Forget See the wolf in sheep's skin, Waiting in the shadows Watching, learning, Too bad I did not recognize.Tre powerchord di chitarra distorta, un brevissimo inserto melodico ed ecco che gli Arch Enemy danno il via al loro assalto frontale. Punta del cuneo di questo assalto è sicuramente la nuova entrata Alissa White-Gluz, degna erede della dimissionaria Angela sia per doti canore che per aspetto/fama, alla quale non manca il supporto di una sezione ritmica inarrestabile oltre che delle chitarre della nuova coppia Amott-Cordle. Travolgente.

War Eternal It's a hellish inferno This is war eternal.L'assalto frontale continua con la titletrack dell'album che, con la sua ritmica sostenuta intrecciata a pregevoli inserti più melodici in pieno stile Amott, andrà sicuramente a nutrire la folta schiera dei cavalli di battaglia live della band grazie anche all'ottima interpretazione delle violente lyrics da parte della White-Gluz. Guerrafondaia.

As the Pages Burn Rewriting history starting now Erase the misery Let the flames eat your doubts.Quarta traccia che segue la stessa strada tracciata dalle due precedenti. La sezione ritmica continua a costruire una solida base per lo splendido riffing delle chitarre di Amott che riesce sempre ad inserire quegli spunti geniali che elevano esponenzialmente la qualità del pezzo, perfino in una traccia dove la parola “Riempitivo” sembra essere un eco alquanto fastidioso anche se ancora molto lontano.

No More Regrets Never again. No! No more regrets. What's done is done - can't be erased. Know, know your regrets...savour the bitter aftertaste.Se per i primi due minuti la band sembra continuare a girare in tondo su sentieri già percorsi, quando la coppia Amott-Cordle sale in cattedra con un breakdown a base di chitarre in palm muting dando il via ad una battaglia mozzafiato di assoli in stile neoclassico le carte in tavola sembrano finalmente cambiare. È un

ARCH ENEMY“War Eternal” (Century Media Records)

text: Francesco PassanisiPhoto: Patrick Ullaeus

Le due importanti defezioni di Christopher Amott e soprattutto di Angela Gossow (per molti chiave del successo della band) e le non esaltanti ultime uscite della band hanno reso “War Eternal” una delle uscite più attese del 2014 sia per la folta schiera di fan della band svedese che per l'altrettanto folta schiera dei detrattori, ancora una volta pronti a sfoderare le armi di fronte al progetto melodic death dell'ex Carcass Michael Amott.

TRACK BY TRACK

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vero peccato che la band non osi di più preferendo tornare ad una versione ritmicamente modificata del ritornello.

You Will Know my Name There's something inside me And I know it's good. I'm not evil, I'm just misunderstood.Traccia con un Michael Amott poco ispirato impegnato in una melodia un po' troppo banale, nonostante un buon intro di chitarra clean che si intreccia con una breve orchestrazione. A salvare la situazione ci pensa Alissa White-Gluz con una prestazione vocale ineccepibile dal punto di vista tecnico ma in grado di trasmettere ampiamente le emozioni del bel testo di Amott. Menzione d'onore per i (troppo) brevi momenti orchestrali che si insinuano nel pezzo, fornendo finalmente una ventata di novità nel sound della band.

Graveyard of Dreams (Instrumental)Strumentale che taglia a metà l'album anche a livello concettuale con un bell'arpeggio di chitarra clean sul quale si appoggia la linea solista di Amott, presto doppiata da una bella orchestrazione.

Stolen Life What's next, more betrayal? Have I not suffered enough? You made me feel so alive Now you're just killing me, killing me.Traccia travolgente che rimette finalmente in mostra un affiatamento non indifferente per una band che ha visto ben due importanti cambi di line-up poco prima della realizzazione di questo album. La band comincia finalmente a mostrare dinamicità cambiando spesso registro ed abbandonando l'ormai abusata forma canzone delle tracce precedenti infondendo finalmente nuova linfa al loro sound. Liberatoria.

Time is Black If I could pull the fabric of time And bring the future near, The answers wouldn't be so far. The truth would be so clear.Un ottimo intro orchestrale ci introduce una delle tracce migliori dell'album. Il riffing delle chitarre, duro ed incisivo ma finalmente dinamico, mette finalmente in piena mostra la genialità di un Amott che si muove in un genere che lui stesso ha profondamente influenzato già nei primi anni 90. Le orchestrazioni assumono finalmente la giusta importanza donando alla traccia un respiro epico ed aumentandone l'impatto, grazie anche allo splendido mixaggio di Jens Bogren.

On and On On and on The battle knows no victory... On and on Weapons high Reject defeat.Con “On and On” gli Arch Enemy ritrovano lo spirito genuinamente guerrafondaio che sembrava essersi perso dopo la titletrack dell'album. Alissa White-Gluz ci regala una prestazione maiuscola grazie al suo scream incisivo e trascinante, anche se si sente la mancanza della suggestiva alternanza scream-clean vocals che aveva fatto la fortuna dei The Agonist, sua band precedente. Devastante.

Avalanche Sick, sick, sick I'm sick of being your martyr Your inflated ego is just dead weight.Un altro ottimo intro orchestrale ci consegna l'epica “Avalanche” dove le tastiere curate dal guest Per Wiberg sottolineano perfettamente l'epicità di alcuni passaggi. Le chitarre, vero punto di forza musicale degli Arch Enemy, continuano il loro lavoro sopraffino inanellando una sequenza di riff vincenti dopo l'altra mentre la sezione ritmica ritrova finalmente una dinamicità pressochè perfetta nel sottolineare l'andamento del pezzo. Uno dei capolavori dell'album.

Down to Nothing Alone again, facing the demons In this hell of my own making I will not let this moment define who I am.Mid-tempo che, a livello strumentale, ci riporta ai fasti dei Carcass di “Heartwork” con riff brutali ma al contempo molto melodici che mettono in piena mostra la classe di Amott e soci e una White-Gluz assolutamente sugli scudi per quanto riguarda la prestazione vocale anche quando sorge il dubbio che le linee vocali siano state pensate più per lo stile della Gossow che per il suo. La classe non è acqua.

Not long for this World (Instrumental)Strumentale dal ritmo marziale che ci congeda da un album non perfetto, con qualche riempitivo di troppo. Ma, superando una prima parte quasi noiosa dove gli Arch Enemy giocano ad autoclonarsi, ci troveremo di fronte ad un album solido e innovativo per la band svedese, suonato divinamente e cosparso di chicche di pura classe che solo un musicista come Amott, attorniato da una band solida, può partorire. Ancora una volta non resta che togliersi il cappello di fronte agli Arch Enemy.

TRACK BY TRACK

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CINEMA

Cruda, perentoria, spaventosa, non poteva esistere tag-line più indovinata di questa. A 35 anni dalla sua uscita, Sector Noir paga il suo omaggio ad Alien, cult-film che ha segnato una pietra miliare nella storia del cinema.

Houston, 21 Luglio 1969 ore 22:59: All'interno della sala operativa della NASA risuonano le ormai storiche parole del-l'astronauta Neil Armstrong “Questo è un piccolo passo per l'uomo, un gigantesco balzo per l'umanità”. Dopo 12 anni di “corsa allo spazio” l'uomo ha finalmente calcato per la prima volta un suolo extraterrestre e lo spazio, con la sua immensità e le sue infinite possibilità, sembra ormai pronto per essere conquistato. Ma ben prima di Armstrong e Aldrin, milioni di persone avevano solcato il vuoto cosmico grazie alla fantasia di scrittori e soprattutto di registi che avevano inscenato, su carta o su pellicola, impressionanti e fantas-tiche storie di pianeti lontani e pionieristici viaggi interga-lattici. Con il passare degli anni, la perdita di interesse nei viaggi spaziali da parte delle superpotenze mondiali resero lo spazio molto più lontano dalla vita delle persone comuni, riportandolo alla sua dimensione di terreno fertile per storie di sfrenata fantasia che trovarono la loro summa in Star Wars e in Star Trek con i loro universi costellati di cavalieri

dalle spade laser, androidi, gigantesche navicelle spaziali, scienziati intelligentissimi, specie viventi appartenenti alle razze più disparate e computer dalle potenze e dalle capacità spropositate, mantenendo come costante una grande dis-tanza visiva ed ideologica dalla vita quotidiana della Terra.

Un Mercantile nello spazioNel 1979 Ridley Scott, al suo secondo film da regista, por-ta sullo schermo la vicenda dell'equipaggio dell'astronave mercantile Nostromo che, dopo che il computer di bordo capta un SOS proveniente da un pianeta vicino, si trova intrappolato sulla nave con la ben poco gradita compagnia di un alieno assetato di sangue. Non è la prima volta che fantascienza e horror incrociano le loro strade sul grande schermo, già negli anni '50 il fenomeno fanta-horror portò sullo schermo svariate lotte tra esseri umani e mostruosi alieni provenienti da altri pianeti, ma è la prima volta che un viaggio nello spazio riesce ad assumere una dimensi-one così “quotidiana” e abitudinaria. Perfino il geniale in-novatore Stanley Kubrick, nel suo “realistico” 2001: Odissea nello Spazio non aveva resistito ad una certa idealizzazione del viaggio spaziale, piazzando i classici “scienziati geniali” all'interno dell'asettica e “bianchissima” Discovery One. Pur

Nello spazio nessuno puo' sentirti urlareText Francesco Passanisi Photo Private Archive

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e Carlo Rambaldi, traspone nel film buona parte delle te-matiche costanti della sua opera artistica. L'ambiente del-la Nostromo, offre evidenti richiami all'architettura gotica mentre le continue compenetrazioni tra metalli e plastica richiamano una sessualità non più appannaggio della ma-teria organica, elemento sempre presente nell'opera del-l'artista svizzero. La sessualità assume un ruolo centrale nel comportamento riproduttivo dell'alieno (il termine comune xenomorfo, con il quale oggi conosciamo la creatura, è stato creato dai fan e non viene mai utilizzato nel film). L'assalto del “Facehugger” (altro termine coniato dai fan) al vicecapitano Kane, inoculando il suo seme per via evi-dentemente orale ha tutto l'aspetto di uno stupro, così come la comparsa del “Chestburster” è assimilabile ad un grottesco parto. Altro dettaglio importante è notare come sia un uomo ad essere “stuprato” e a “partorire” la creatura mentre è una donna a riuscire ad avere la meglio su un mostro con capacità fisiche ampiamente superiori a quelle dell'essere umano, in un terreno fino a quel momento con-siderando appannaggio del genere maschile come la caccia e un combattimento molto simile alla guerriglia.

Ellen Louise Ripley, madre e ufficialeÈ proprio la sua protagonista femminile un altro degli in-gredienti fondamentali del successo del film. Per quanto mascolino, cosa peraltro abbastanza naturale per l'ufficiale di un astronave, il tenente della Nostromo (che nell'uni-verso espanso descritto nei fumetti, libri e film usciti dopo il successo del primo film scopriamo essere madre di una bambina) è una delle prime eroine di una Hollywood che stentava ancora a riconoscere il ruolo sempre più parita-rio che le donne hanno assunto nel corso del Novecento. Oltre che come madre di Amanda, possiamo considerare il tenente Ripley come la madre di Lara Connors, Lara Croft, Alice Abernathy, Claire Redfield e di tutte le eroine che si sono fatte largo nell'immaginario culturale pop mondiale.Alla riuscita del personaggio contribuisce una giovane Susan Alexandra “Sigourney” Weaver che, al suo primo ruolo da protagonista, riesce a costruire un personaggio androgino ma al contempo affascinante, donando al suo ruolo da uf-ficiale eroico una forza straordinaria pur senza dimenticare il suo lato femminile, che sarà alla base degli eventi di Aliens (conosciuto in Italia come Aliens – Scontro finale), Alien3 e Alien Resurrection (Alien – La clonazione in Italia).

L'impronta dell'alienoA 35 anni dalla sua uscita l'impronta dello xenomorfo è più viva che mai. Le profonde innovazioni apportate al genere fantascientifico è l'iconicità della sua componente visiva lo hanno reso una pietra miliare del cinema, in grado di suscitare lo stesso terrore ogni volta che l'alieno insegue Ripley per i corridoi della Nostromo.E se mai sentirete qualcosa che si muove dentro il vostro stomaco, potrebbero non essere semplici problemi diges-tivi. Attenti ai Chestburster!

condividendone l'avanzatissima tecnologia nei motori e nel computer di bordo, la Nostromo rappresenta l'esatta antitesi delle navicelle che popolarono lo schermo prima di lei. I suoi contorti e sgraziati corridoi costellati di tubi e cavi danno l'impressione di odorare di grasso, polvere e ruggine do-nando all'astronave un aspetto trascurato e vissuto (o sfrut-tato) rendendola più simile ad una nave mercantile odierna che ad un mezzo nato per girare l'immensità dell'universo. Perfino guardando il suo equipaggio si percepisce una quoti-dianità disarmante. Dimenticate l'eroicità dell'Alleanza Ribel-le in lotta con il “temibile” Impero Galattico, la genialità del Dottor Spock e del suo equipaggio di pionieri dello spazio o la compostezza del dottor Heywood Floyd, in Alien troverete semplici marinai che sembrano provenire direttamente dalla working-class americana impegnati in un viaggio di routine che ha ben poco dell'epicità respirata in qualsiasi film di fantascienza. Più che a un viaggio interplanetario, sembra di assistere ad un turno in fabbrica, con tanto di pausa pranzo accompagnata da discussioni sulle ultime rivendicazioni sindacali verso la Weyland-Yutani, una colossale multinazio-nale nippoamericana in odore di sfruttamento.

Una società poco evolutaAl di là della vicenda in sé, che riprende parzialmente il film Terrore nello spazio di Mario Bava con un'estetica vicina al nascente genere Slasher, a rendere Alien un vero cult è, oltre alla componente visiva creata dall'artista svizzero Hans Ruedi Giger, la cura riposta nei dettagli a prima vista più insignificanti che riesce a delineare la società terres-tre immergendo lo spettatore in un universo pulsante che sembra vivere anche al di fuori dei ponti della Nostromo. L'aspetto trasandato della nave e del suo equipaggio, il sudore e la sporcizia imperanti e realistici (niente a che ve-dere, per esempio, con l'artificiosa polverosità di Tatooine) lasciano intendere come lunghissimi viaggi intergalattici siano ormai normale routine in una società che sembra non essersi evoluta di pari passo con l'evidente progresso tecnologico. Le rivendicazioni sindacali dell'equipaggio e il comportamento del computer di bordo “Mother” che, consapevolmente o meno, interpreta il segnale prove-niente dal planetoide come un SOS invece di un segnale di pericolo e la presenza dell'ufficiale scientifico Ash, in realtà un androide programmato dalla multinazionale per seguire ciecamente ordini nascosti all'equipaggio ci rega-lano l'immagine di una Weyland-Yutani in grado di arrivare a sfruttare e perfino sacrificare i propri dipendenti pur di mettere le mani su qualsiasi tecnologia aliena che avrebbe sicuramente portato a profitti inimmaginabili, rendendola molto simile a qualsiasi multinazionale che oggi come 35 anni fa imperversa nella nostra società capitalista.

Sessualità alienaLa componente visiva di Alien è stata disegnata e sviluppa-ta concettualmente dall'artista svizzero Hans Ruedi Giger il quale, in stretta collaborazione con i tecnici Bernard Lodge

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Qual è stato l’incipit della tua carriera? Mi sembra sempre di essere stato uno scrittore. A scuola scrivevo lunghi saggi. Ho provato a scrivere il mio primo romanzo a diciotto anni circa, ma non era un granché. Mi ci sono voluti un paio di tentativi prima di riuscire a scrivere un libro che piaceva. Si chiamava “Latte, Solfato e Alby Starvation”. Da quando l’avevo finito, mi ci sono voluti tre anni prima di trovare un editore.

Quali sono le sfide più grandi della tua carriera?C'è stato un tempo in cui tutti i miei vecchi libri erano fuori stampa e non riuscivo a trovare un editore per il mio nuovo libro. Quel libro era “Ragazze lupo”. La mia carriera di scrittore sembrava essere arrivata alla fine. Allo stesso tempo ho sviluppato l’agorafobia. Non era un buon periodo della mia vita. Per fortuna le cose sono migliorate. Alla fine ho trovato un editore per “Ragazze lupo” e il suo sequel, assieme ai miei libri più vecchi, sono tornati in stampa. Anche la mia agorafobia è migliorata, anche se non com-pletamente scomparsa.

Qual è tuttora la sfida più grande? Non è facile guadagnarsi da vivere come scrittore. Io faccio il possibile, ma la situazione può sfociare facilmente nel precariato. Un’altra sfida è la mia potente pigrizia. Posso sprecare molte, moltissime ore, quando invece dovrei scri-vere. Amo parecchio i videogiochi, e forse ho probabilmen-te sprecato troppo tempo a giocare a Skyrim, Portal e Tomb Raider, quando invece avrei dovuto fare altre cose. Poi, non ho più tanta energia come scrittore, come un tempo. Non riesco più a scrivere per lunghi periodi di tempo.

Come spiegheresti la tua espressione d’amore per la mu-sica attraverso la tua penna? È chiaramente presente nel mio libro “Io, Suzy e i Led Zep-pelin”, che parla sostanzialmente dell’incredibile sensazi-one di andare a vedere la tua band preferita quando sei giovane. È una bella sensazione, un qualcosa che però non può succedere nella vita adulta. Una delle cose più belle che può accadere quando si è giovani è vedere un grande concerto. Fui colpito a vita dai concerti che ho visto quando

martin millar“I HAVE CARRIED THIS SPIRIT OF PUNK ROCKTHROUGH MY WRITING CAREER”Text Federica SarraPhoto Courtesy of Martin Millar

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CULTURE

ero a scuola e subito dopo. La mia scrittura e la fiducia in me stesso sono stati alimentati dai Sex Pistols. Loro mi hanno insegnato a credere nel mio talento personale e a non fare affidamento su pareri di altre persone. Ho portato con me questo spirito punk rock nella mia carriera di scrittore. In più, i personaggi dei miei libri sono molto spesso degli appassionati di musica e non faccio nessuno sforzo per te-nerli aggiornati alla musica moderna. Ho scritto una scena in cui Kalix, il giovane lupo mannaro, era stato preso da un momento di estrema violenza, e solo l’ascolto dei Marine Girls l’aveva calmato. Mi piacevano i Marine Girls, la loro musica era tranquilla. Kalix è un fan anche delle Runaways, band femminile degli anni ‘70. Erano brave, anche se non hanno avuto abbastanza fama all’epoca. Mi ha fatto piacere quando hanno fatto un film su di loro qualche anno fa.

Leggi le recensioni dei tuoi libri? Influenzano in qualche maniera il tuo processo creativo? No, non leggo più le recensioni. In passato sì, lo facevo. Ero molto interessato ai giudizi e alle critiche, ma ora non lo sono più. Apprezzo molto quando qualcuno fa una bu-ona recensione sui miei lavori, cosa che comunque non ha alcun tipo di influenza su quello che scrivo. Nemmeno le recensioni negative condizionano i miei lavori. So esatta-mente quello che voglio, e nessuno può influenzarlo.

Che band ascolti quando hai del tempo libero e qual è ora il tuo album preferito? Mi piace ascoltare rock e punk anni ‘70, non è facile per me trovare delle band moderne a cui appassionarmi. I miei gruppi preferiti erano, e sono, Led Zeppelin, T Rex e Sex Pistols. Ora ascolto i My Bloody Valentine, mi è sempre piaciuto il loro album “Loveless”. Ascolto anche i Cocteau Twins, e i loro album “Treasure” e “Heaven or Las Vegas”. Molto spesso ascolto David Bowie “Ziggy Stardust”, “Dia-mond Dogs” e gli altri suoi album anni ‘70. In “Vex e Kalix. La maledizione delle ragazze lupo”, uno dei personaggi crea un abito per un uomo, basandosi sul vestito che David Bowie indossava nella copertina di “The Man Who Sold The World”.

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“Il Sogno Americano, che nel passato ha attirato milioni di persone di ogni nazionalità nella nostra terra, non è stato solo un sogno di abbondanza materiale, anche se questa ha indubbiamente avuto un grande peso. È stato il sogno della possibilità di raggiungere il pieno sviluppo come uomo o donna, senza l'ostacolo delle barriere che si eressero nelle civiltà più antiche, senza venire bloccati da ordini sociali creati per il beneficio di poche caste invece che per qualsiasi essere umano di ogni classe possibile.”Con questa frase lo storico James Truslow Adams descriveva il Sogno Americano, parte fondamentale dell'immagine che l'America proietta a se stessa e al mondo intero, ovvero quella di una terra ricca e dalle mille opportunità per chi-unque le sappia cogliere. Ma sogno e realtà sono due cose ben distinte e per molti l'America si è rivelata ben diversa dal paradiso prospettato dal Sogno Americano rimanendo un paradiso difficile perfino da immaginare quando si con-duce la propria vita nei sobborghi malfamati di qualche città con i grattacieli, da sempre simbolo della potenza e della produttività americana, lontani come un mirag-gio nel deserto. A raccontare questa seconda faccia del Sogno con un realismo disarmante che spesso sconfinava in un'apparente rudezza ci pensò un tedesco di origini polacche e americane vivendole per primo sulla sua pelle,

Ospedali e galere e puttane: ecco le universita' della vita.

Ho preso diverse lauree.Chiamatemi dottore.

Text Francesco PassanisiPhoto Private Archive

Heinrich Karl Bukowski, passato alla storia come Chuck. Nato nella Germania in piena crisi del dopoguerra da una donna tedesca e da un sergente americano che ben presto lascerà l'esercito attirato dalle false promesse di grandi affari che il campo dell'edilizia prospettò per la ricostruzione della terra tedesca, Heinrich Karl Bukowski si trasferisce negli Stati Uniti nel 1923 a seguito della sua famiglia che insegue il sogno americano dell'imprenditoria edile, già avveratosi per suo nonno Leonard, trasferitosi anch'egli dalla Germania agli Stati Uniti circa quarant'anni prima e proprietario di una ditta edile molto redditizia. Ma il South Central di Los Angeles è un sobborgo che ha ben poco a che fare con sogni e realiz-zazioni personali, soprattutto quando la Grande Depressione colpisce ogni settore dell'economia americana trasformando, per il padre di Charles (come viene adesso chiamato dai ge-nitori in un ennesimo pallido tentativo di integrarsi nella co-munità americana) come per molti altri uomini, il sogno in un incubo. Quest'ennesima delusione porta il padre a diventare violento e autoritario verso un giovane Charles con grossi problemi di inserimento. La sua condizione di immigrato dalle origini molto miste e il suo marcato accento tedesco, unite ad un'innata sensibilità e timidezza esacerbate da una fortis-sima acne che segnerà il suo volto a vita, ne fanno un reietto nel suo duro quartiere dove la sua propensione per l'arte

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CULTURE

Il successo di Post Office libera Bukowski dalle catene del lavoro marcando l'inizio dell'ennesimo periodo di vagabon-daggio dello scrittore impegnato in letture pubbliche, confe-renze e presentazioni. I suoi viaggi e la sua vita restano sem-pre costellati di sbornie, grosse perdite al gioco d'azzardo e relazioni che, quando non hanno la durata di una notte, ver-tono sempre su alcool e gioco d'azzardo. La sua produzione letteraria, inframezzata da poesie e racconti brevi pubblicati su piccole riviste indipendenti, verte sempre su una rilet-tura della sua stessa vita presentataci attraverso le azioni di Hank Chinaski, con una linea che divide le vite dell'autore e del suo alter ego che tende ad assottigliarsi sempre di più. Dalla spasmodica ricerca di lavoro di un Chinaski “inabile a servire la patria in guerra” di Factotum alle crude descrizioni del suo rapporto con il sesso femminile in Donne per finire con l'infanzia disagiata di Panino al Prosciutto e la follia imperante di Hollywood, Bukowski è il cantore dell'America dei borderline, dei dropout e di tutte quelle persone per le quali il Sogno Americano è rimasto, appunto, solo un sogno.L'apparente rudezza dei suoi racconti, i suoi sproloqui bag-nati dall'alcool e inondati di misantropia, la vita da “perden-te” condotta dal suo alter ego così lontana dall'immagine dell'americano medio (per intenderci quello che ritorna dal suo lavoro, nel quale eccelle ed è ben pagato, alla sua vil-letta a schiera trovando i bambini che corrono da lui e la bella moglie con in mano un drink e un bacio pronto per lui) celano una sensibilità ed una capacità di vedere il mondo senza preconcetti disarmante, anche quando la decadenza tratteggiata dalle sue parole risulta quasi insostenibile, un pugno nello stomaco che porta vicino al vomito. Immergersi in un romanzo di Bukowski, in un suo racconto o in una sua poesia significa aprire il mondo sull'altro lato della società moderna, quello messo più in ombra dalla sfavillante facci-ata mostrataci da altre produzioni artistiche più mainstream.Sembra quasi uno scherzo del destino che Hank Chinaski condivida l'anno di “nascita”, il 1971 (anche se era già stato protagonista di un breve racconto contenuto in Confessioni di una mente abbastanza pazza da vivere con le bestie), con due classici ed iconici personaggi immaginari come Harry Callahan (stereotipo del “duro vincente”, poliziotto ligio al dovere, al sistema e alla patria) e John Shaft (detec-tive privato simbolo della Blaxploitation, il pallido tentativo del cinema di mostrare un'integrazione degli afroamericani dei ghetti ancora ben lontana dal compiersi), come se la storia stessa volesse rimarcare la sua folle genialità.Oggi, a 20 anni dalla sua morte, l'impronta lasciata da Bukowski appare più vivida e profonda che mai; la pro-fonda conoscenza dell'essere umano e l'assenza di tabù nel raccontarne i lati più oscuri e decadenti e l'incapacità di conformarsi ad una società che tende a reprimerlo sono figlie di una sensibilità e una genialità non comuni che hanno lasciato un'enorme pietra miliare a marcare il cam-mino della letteratura. Grazie Buk!

conta veramente poco. Dopo il diploma e due anni di college, Charles cerca di trasferirsi a New York per inseguire la carriera di scrittore ma viene arrestato in Pennsylvania con l'accusa di renitenza alla leva dove, dopo due settimane di prigione, viene dichiarato inabile al servizio militare e rilasciato. Il me-diocre riscontro ottenuto dopo la pubblicazione di due rac-conti brevi, Aftermath of a lenghty rejection slip e 20 tanks from Kasseldown, spinge Bukowski a smettere di scrivere per circa dieci anni, iniziando così il periodo più importante della sua vita che verrà soprannominato dallo stesso “Una sbronza di 10 anni”. Durante questo periodo Charles viaggia per l'America, dormendo in motel e pensioni a basso prezzo, lavorando saltuariamente (con l'unico periodo relativamente stabile di 3 anni come postino a Los Angeles) e iniziando a scommettere negli ippodromi ma soprattutto bevendo ed ubriacandosi, cosa che lo porterà a rischiare la morte per la perforazione di un'ulcera nel 1955. Il rapporto di Charles con l'alcool sarà infatti una costante nella sua vita, rivelando profetica la frase che proferì ad appena 13 anni dopo i suoi primi bicchieri di vino: <<Questo mi aiuterà per molto tempo>>.Il riposo forzato della convalescenza e l'incontro con la poetessa texana Barbara Frye, riportano Chuck (diminutivo di Charles piuttosto comune negli Stati Uniti) nel mondo della letteratura con una serie di poesie e racconti brevi pubblicati senza troppa convinzione dalla stessa Barbara, nel frattempo diventata sua moglie. Il divorzio da Barbara e l'assurdo lavoro di impiegato alle poste riportano Chuck alla bottiglia il cui alcool sembra quasi essere il componente dell'inchiostro che imprime le sue poesie e i suoi racconti. Il successo della rubrica Taccuino di un vecchio porco, ini-zialmente pubblicata sul piccolo giornale “Open City” per poi passare allo storico “Los Angeles Free Press”, gli vale l'interessamento della neonata Black Sparrow Press che gli offre un contratto di pubblicazione che Bukowski, per gra-titudine, rispetterà anche dopo il successo che arriverà con il suo primo romanzo, Post Office, che sarà il primo e più fulgido esempio del suo stile. Il postino Henry Chinaski è un misantropo e ubriacone donnaiolo con problemi di gioco ma soprattutto con problemi ad adattarsi alla rigida società gerarchica delle poste (metafora dell'intera società con quel suo bisogno di regole e gerarchie), dove un “capo” di cat-tivo umore può rendere la giornata un vero inferno per tutti i suoi sottoposti. Parallelamente al tedio lavorativo Chinaski si scontra con l'umanità varia e multiforme dei sobborghi losangelini e degli ippodromi oltre che con le donne, dalla futura alcolizzata Betty all'intellettuale hippy e poetessa fal-lita Fay, vero motore della vita personale di “Hank” Chinaski. Per quanto non esplicitamente autobiografico e abbastanza romanzato, i diversi punti in comune condivisi dalle vite di Bukowski e Chinaski e l'estremo realismo col quale certi dettagli vengono messi in evidenza suggeriscono che le “av-venture” di Chinaski non siano altro che riletture ed amare riflessioni dell'autore sulla sua stessa vita.

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Rock a Scalegnafestival 2014

Text Giuseppe BellobuonoPhoto Isabella Latini

L'edizione di quest'anno di Rock a Scalegna, manifestazione musicale che si è svolta il 1 e il 2 agosto scorso, ritornava, dopo 30 anni circa (fu un evento storico all'epoca), con un bill di artisti davvero interessante e per un weekend da trascorrere all'insegna della buona musica, in uno scenario impreziosito dal castello che domina lo sperone di roccia del piccolo comune abruzzese.

Il programma ha visto nella prima giornata (il 1 agosto) una serie di dj set che hanno avuto come protagonisti artisti di rilievo del panorama nazionale ed internazionale come Gary Powell (batterista dei Libertines), gli Is Tropical componenti dei Neils Children, White Rabbit e Lou Liberatore (leader dei Bohémien).La giornata di sabato 2 agosto, invece, come protagonista c'era la musica dal vivo con i francesi Alcest come headli-ner; i Clan of Xymox, formazione storica e fondamentale per generazioni di dark-wave, gothic, ebm fans; i Diaframma, una vera istituzione italiana; il gruppo dei KLIMT1918 con i loro suoni shoegaze e dream pop e per finire il gruppo che ha aperto il festival i Dianime e quello che invece ha chiuso la serata a tardissima notte, I Management del Dolore Post operatorio. Ore 21,00, tutto è pronto, si parte!

L'apertura di Rock a Scalegna 2014 è affidata ai DIANIME che con la loro musica ROCK 100%, energica e coinvol-gente, tra riffs di chitarra rocciosi e una ottima padronanza del palco, hanno inaugurato nel migliore dei modi la ma-nifestazione.

Primo cambio di palco e tutto è pronto per il live set dei KLIMT1918 che ritornavano sulle scene dopo un'assenza di 4 anni dalla loro ultima esibizione. Le atmosfere dream pop e shoegaze e il loro suono a tratti post punk e dark investe tutto il pubblico che sembra gradire lo spettacolo di questa band romana che tra brani passati e due pezzi nuovi che saranno contenuti nel loro prossimo lavoro (do-vrebbe uscire tra la fine di quest'anno e l'inizio del pros-simo), esauriscono il tempo a loro concesso ed escono tra gli applausi di tutti.

Dopo i KLIMT1918 si cambia completamente atmosfera ed è la volta del terzo gruppo in scaletta: i Diaframma, molto attesi, con Federico Fiumani in ottima forma. La musica dei Diaframma e i suoni caratteristici della telecaster di Fede-rico hanno facile presa sul pubblico ormai numerosissimo:

SPECIAL

persone arrivate da ogni parte che hanno partecipato e seguito i brani proposti con molta attenzione e cojnvolgi-mento e che alle prime note di Siberia si sono scatenati in una bellissima danza tutti insieme.

Ancora un cambio di palco (un applauso per i tecnici che hanno avuto un bel da fare tra la preparazione dei vari live set) ed ecco che l'atmosfera è giusta per accogliere i Clan of Xymox (le prime file sono piene di loro fans), vera istituzione musicale, dal glorioso passato (Medusa è un classico) e dal carisma notevole del loro leader "Ronny Moorings", che con le loro atmosfere elettro dark wave e dopo un inizio molto suggestivo, hanno fatto ballare il pubblico presente.Nella set list molti classici (Louise e Back Door) e anche spazio per delle cover (tra cui una versione di Venus, ce-lebre tormentone anni 70) e un bis richiesto a gran voce dal pubblico che chiude il loro live show applauditissimo e ballatissimo.

Giusto il tempo per riprendere fiato, i ragazzi con le t-shirt degli Alcest sono sempre di più, e tutto è pronto per gli headliner della serata finalmente.Ho seguito con attenzione il loro live set perchè il loro ultimo album contiene spunti musicali (slowdive e sigur ros tanto per citarne qualcuno) davvero interessanti per un gruppo fondamentalmente metal o black metal dei primi lavori. La prova è stata ampiamente superata: le melodie sono bellissime, i suoni spettacolari, e su alcuni pezzi i brividi non sono mancati: da manuale le versioni di Deli-vrance, Percées de Lumière e una stupenda versione di Sur l'Océan Couleur de Fer.

Dopo l'esibizione degli Alcest (erano le 3 di notte quasi) un ringraziamento è d'obbligo per i Management del Dolore Post Operatorio che hanno dimostrato una professionalità notevole nel concludere questa lunghissima giornata ripa-gando con una ottima perfomance le persone che erano rimaste per il loro live set.

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REVIEWS/HOT DVD

“Last Fair Deal Gone Down” fu l'album che, a dieci anni esatti dalla nascita della band, confermò il coraggioso cambio di rotta che, dai territori Doom Metal che loro stessi hanno contribuito a definire li portò a sviluppare un sound ancora più personale tendente al Dark rock e al Gothic rock alleggerendo di molto il loro sound ma rendendolo ancora più emozionante e malinconico. Dieci anni dopo “Last Fair Day Gone Night” rende pienamente onore a quest'importante album proponendoci il meglio del concerto tenutosi allo storico Koko Club di Londra, parte dell'omonimo tour, regalandoci la spettacolare per-formance di una band che, nonostante i recenti cambi di line-up che hanno visto l'uscita degli storici fratelli Nor-rman (rimpiazzati perfettamente da Niklas “Nille” San-din al basso e Per “Sodomizer” Eriksson alla chitarra), mostra una coesione perfetta. Oltre allo splendido con-certo che, graziato da una regia ed una fotografia di qua-lità eccelsa, ci trascina di peso nella magica atmosfera costruita da una scaletta che oltre all'intera esecuzione di “Last Fair Deal Gone Down” vede anche pezzi presi da altri album (con menzione d'onore per la meravigliosa e mozzafiato esecuzione di “Brave”), troviamo anche un gran bel documentario che ripercorre, con interviste e filmati inediti, l'intera storia della band con l'intimismo proprio di una band che ha sempre messo a nudo le proprie emozioni nella musica. Un'opera imponente che celebra perfettamente i vent'anni di onorata carriera del quintetto di Stoccolma!

KATATONIA“Last Fair Deal Gone Down” DVD( Peaceville Records )Text Francesco PassanisiPhoto Courtesy of Peaceville Records

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LAYOUT BY GIACOMO CERUTTI

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MANAGEMENT DEL DOLORE POST-OPERATORIO

BEAUTIFULREVOLUTIONTexT Federico Sanna

Photo Private Archive

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Si sono fatti largo nella scena italiana imponendosi con la loro musica e donando lustro, tono e qualità al "made in Italy" con talento e coraggio.Ecco chi sono i Management Del Dolore Post-Operatorio. Ne abbiamo parlato con Marco Di Nardo.

In questi anni di attività il Management si è distinto dalle numerosissime altre band che popolano la scena indie italiana. Avete calcato grandi palchi andandovi a togliere, credo, delle soddisfazioni. Siete appagati di come stanno andando le cose oppure aspirate ancora a di più? Inoltre per curiosità, riuscite a vivere di sola musica? O credete che ci si possa riuscire?

La curiosità è una brutta bestia, fortunatamente (o sfor-tunatamente) io sono la persona meno curiosa al mondo (ride n.d.r.). A parte gli scherzi, certamente il mondo della musica - quella sana però, fatta di gavetta, cantine, sala prove e chilometri di furgone - è un mondo per nulla facile. L’artista non sarebbe tale se fosse sempre sod-disfatto di ciò che fa o vive, d’altronde è dalla crisi che nasce l’arte. Il brutto maanche il bello di tutto ciò è, che se hai scelto di fare questa vita, non avrai MAI certez-ze. Nulla può essere scritto o programmato. È come essere costantemente appesi ad un filo, ed è proprio questo che ti tiene in vita, poiché fai di tutto per non farlo spez-zare. Non puoi mai fermarti, soprattutto col cervello, e

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guai a sentirsi appagati, nonostante tu abbia toccato con mano traguardi prestigiosi. Che poi, retoriche a parte, personalmente reputo soddisfazioni il sudore della tan-ta gente sotto il palco che salta come un ossesso, che canta a squarciagola e si immedesima nelle tue canzoni. Provocare emozioni e soprattutto reazioni, questa è la vera soddisfazione. Basta poi aggiungerci goliardicamen-te una bella tavolata con del buon vino e siamo felici così! Siamo cafoni provincialiinside che si accontentano di poco, per ora nessuno di noi lavora, siamo contro il lavoro… e probabilmente quando lo diventerà anche il su-onare, smetteremo, perché il lavoro è noioso! Ovviamente devi scendere a compromessi, in primo luogo adattar-ti, adattarti alla tua condizione, adattarti almercato, adat-tarti ai posti, adattarti alle situazioni, adattarti al palco, adattarti alla gente del cazzo. Bisogna sempre mettersi in gioco, anche se la sera prima eri a suonare davanti a tremila persone su un mega palco, e la sera dopo in unpiccolo pub. Più suoni, più la probabilità che qualcuno si accorga di te è maggiore. Cosa ne pensi dell'attuale scena musicale a livello di proposte? Intendo sia al circuito mainstream che under-ground. La situazione sembra molto confusa, soprattutto quando si parla di musica indipendente: qual'è la tua opinione?Non è che la situazione è confusa, è che le major divo-rano tutto. Ma poi ti ritrovi l’artista X famoso che si è fatto la sua etichetta “indipendente” personale e si insi-nua nella scena indie, e magari te lo ritrovi nella classi-fica farlocca dei singoli radio vicino al tuo! Dal mio canto ci sono band e artisti della scena underground che ap-prezzo e stimo molto, non necessariamente da un punto di vista musicale, bensì soprattutto per indole e approccio alla musica. Sicuramente in Italia c’è scarsissima valo-rizzazione della musica emergente,in effetti è più profi-cuo investire su progetti creati a tavolino e vendere mer-da alla Dear Jack. Che poi la proliferazione dei fenomeni major o da talent show e l’amplificazione dei canali di comunicazione web e social, ha creato di riflesso la pro-liferazione di una moltitudine di progetti indie anch’essi scadenti, della serie “se i Modà riempiono gli stadi per-ché non posso fare musica anche io?”. Di conseguenza le band diventano tante e gli spazi per esibirsi sempre meno, cosicché spesso progetti potenzialmente validi si perdono per strada.Il circuito mainstream artisticamente neanche lo considero. Fatta eccezione per qualche artista meritevole, tutto il resto è spazzatura. È cool, o meglio lo diventa, solo quello che ti sbattono tutti i giorni in faccia, nelle radio, nei centri commerciali, in tv e nei talent show.Appartenere alla scena underground è invece uno sti-

le di vita musicale, ma anche etico: significa poter fare fondamentalmente quello che ti pare, senza dover per forza rispettare canoni e stilemi imposti dal mercato. Ed è proprioquesta l’essenza che dovrebbe avere il termine “indipendente”, farne parte non significa solamente lo staresotto qualcosa di più grande per assenza di mezzi, bensìl’essere per l’appunto scientemente indipendente da tutto e tutti. Certo anche nella scena underground si creano inevitabilmente un giro e micro-circuiti.Tuttavia, v’è da dire che ultimamente il gap tra i due mondi ha incominciato a livellarsi un bel po’, basti vedere band della scena indie che partecipano a Sanremo o a program-mi televisivi di rilievo.

Vorrei farti una domanda in relazione ai vostri due album. Cosa ti ha ispirato principalmente? Ti rivolgi ad un pub-blico in particolare, per esempio i giovani? Qual'è il mes-saggio principale che vuoi comunicare?L’interlocutore della nostra musica è ovviamente in par-ticolar modo il giovane, ma tendenzialmente il messag-gio èsicuramente un messaggio universale che abbraccia anche un pubblico più adulto, che in quanto a verve non ha nulla da invidiare alla massa di giovani finti hip-ster del momento.Da un punto di vista emotivo-compositivo, i primi album va-bèrappresentano probabilmente una summa di tutto il tuo meglio adolescenziale, quindi volendo sono anche più in-genui, ma sicuramente più diretti e “urgenti”. L’ispirazione proviene in ogni caso sempre da quello che vedi, senti e vivi. Col tempo si cresce, si matura e credo fermamente che, così come la vita è fatta di cose belle e di cose brutte, così la musica è – o perlomeno dovrebbe essere – sempli-cemente l’espressione piùpura e genuina dei sentimenti e dei momenti che si stanno vivendo il QUEL determinato pe-riodo mentre stai partorendo l’album. Scrivere qualcosa di differente sarebbe un po’ tradire se stessi in primis, e in generale chi ti ascolta.

Se ti senti felice allora perché scrivere un brano incazzato?Sicuramente avrai saputo dell'annunciata chiusura del MEI (Meeting Etichette Indipendenti) da parte del fonda-tore...cosa pensi in merito? Sarà una grave perdita per l'industria discografica in Italia?Sinceramente? Credo che questa notte ci dormirò comun-que sereno.. Così come son fallite numerose iniziative e festival storici, non mi sorprende affatto che il MEI abbia chiuso battenti. Ovviamente parlo da musicista, piuttosto che da mercante musicale. Certo mi dispiace per chi, come Sangiorgi, ha perlomeno sempre provato a cavarne qualcosa di buono da questo mondo malato del teatrino discografico. Purtroppo arrivi un giorno che dici “ma sai che c’è, mi sarei anche rotto i coglioni, chi

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me lo fa fare più”. Ma non ci voleva di certo la chiu-sura del MEI per decretare il calo dell’industria disco-grafica, già morta da tempo con l’avvento del digitale, del download e ad oggi dello streaming. Ma non è detto che ladigitalizzazione del mercato sia necessariamente un fattore negativo.Al MEI son stato svariate volte, sia a suonare sia da spettatore per ritirare premi, e mi son sempre annoiato. L’ho sempre visto per l’appunto una fiera delle “banca-relle”, piuttosto che un meeting di etichette indipen-denti coalizzate per un obiettivo comune (anzi tutt’al-tro.. ). Ricordo poi che tutte le band emergenti ambivano a parteciparvi, trattandosi di una situazione che sulla carta avrebbe dovuto essere valorizzante,e invece ti ri-trovavi magari a suonare in contemporanea dentro a tendoni ad orari improbabili, su palchi minuscoli divisi a metà, dove te stai suonando, e nell’altra metà nel frat-tempo stanno montando il set per la prossima band in scaletta, oppure ad esibirti davanti a tre persone contate, fonico compreso. Per non parlare del flusso di ragazzi che partivano demo alla mano da non si sa quale paesino d’Italia,per raggiungere Faenza, quasi fosse “l’isola che non c’è”, convinti che qualcuno avrebbe realmente as-coltato quella demo!

Avresti qualche consiglio da dare a giovani musicisti e band che di questi tempi vogliono dedicarsi alla carriera musicale sia dal punto di vista del marketing che del-la scrittura della musica stessa?Moralmente non mi sento mai di dare consigli, mi limito apareri asettici se qualcuno me li chiede. Il consiglio è sem-pre influenzato dalle proprie esperienze personali, mentre ogni storia è a sé stante, e non è detto che una cosa che è capitata a te si riveli giusta o sbagliata per un’altra situazione o band.Solo sbattendoci i denti da solo puoi veramente un giorno arrivare a discernere il giusto dal non giusto, o quantomeno iniziare a capire come funziona il

sistema… Ovviamente se vieni da una cittadina sperduta del cazzo come Lanciano - piuttosto che da una grande città, bacino di contatti e utenze - rischi che di denti te ne rimangano ben pochi, ma stai sicuro che i piedi poi ti diventano di piombo..Sicuramente bisogna essere abili anche a “vendersi”, ma non nel senso che devi calarti le braghe, voltarti e fare qualsiasi cosa pur di arrivare ad una fetta di pubblico mag-giore. Bisogna essere abili a far passare il proprio mes-saggio, qualunque esso sia in quel determinato momento o contesto. Chi ti segue, prima o poi, se ne accorge se stai barando o meno.Per quanto riguarda la scrittura dei brani, non saprei, og-nuno ha i suoi metodi, col tempo capisci qual è il migliore per te e il più funzionale alla band. Il più delle volte è fon-damentale azzeccare anche la produzione artistica.

Per concludere ti chiedo cosa ci riservano i Management del Dolore Post-Operatorio per il prossimo futuro? Circa un anno fa avete pubblicato il vostro ultimo lavoro, pre-ferite quindi dedicarvi ai live o avete già del nuovo mate-riale pronto?In realtà l’ultimo nostro lavoro è uscito pochi mesi fa, a Marzo di quest’anno. Dopo un centinaio di date, conclu-deremo il ciclo McMao con un mini-tour a Dicembre (per chi vuole tenersi aggiornato è sufficiente seguire la nostra pagina facebook). A noi piacerebbe sempre stare in tour, anche perché altrimenti non sapremmo che fare tutto il giorno... Ma non si può stare sempre in mezzo ai piedi, a volte è anche bene uscire un po’ di scena e far salire l’ormone a chi ti segue. Quindi dopo capodanno sicuramen-te ci prenderemo una pausa dai concerti. Ovviamente non posso svelarti tutto, posso dirti che stiamo già lavorando alla produzione del nuovo album… Puoi chiudere come meglio credi...Coerenti mai, sinceri sempre!!

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È difficile credere che siano passati già una dozzina d’anni da quando gli Interpol emersero con il loro folgorante debutto dalla scena musicale del Lower East Side di Manhattan. È nei locali bui e fumosi del distretto newyorchese che la musica di “Turn On The BrighLights” prese lentamente forma. Quell’album fu capace di incarnare la quintessenza del cupo disincanto della New York post 9/11, incanalandola in un sound fatto di spigolose chitarre,ritmiche incalzantie puro lirismo da strada. “Turn On The BrightLights” venne eletto disco dell’anno dalle più influenti webzine internazionali, ed è tuttora considerato uno dei lavori più importanti dello scorso decennio. Gli Interpol fecero per il post-punk quello che i cugini Strokes avevano fatto l’anno prima per il rock e quello che i Franz Ferdinand avrebbero fatto oltremanica poco tempo dopo per un certo tipo di new-wave: rivitalizzare un genere, recuperando e rivisitando molti dei suoi codici musicali (ed estetici). Anche per questo motivo il nome deiJoyDivision venne associato al gruppo di NYC fin dal principio, tanto che l’ingombrante paragone con la leggendaria band di Manchestercontinuò a disturbare a lungo le notti di Paul Banks e compagni. In realtà, gli Interpol furono tutt’uno con lo zeitgeist dei primi anni’00 e solo come tali andrebbero analizzati: un fenomeno unico, difficilmente scindibile dalla propria epoca musicale.

INTERPOLTHE GREAT COMEBACKText Stefano SolaroPhoto Eliot Lee Hazel

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Già, la loro epoca. Dal 2002 di anni ne sono passati parecchi, e gli Interpol faticano ormai a trovare un loro spazio e un loro ruolo nel rock odierno. Il quartetto, che nel frattempo è diventato un trio, non è più riuscito ad avvicinarsi ai livelli dell’esordio, tranne forse che col secondo album “Antics”, comunque di caratura nettamente inferiore al predecessore. “El Pintor”, il loro ultimo disco, è uscito a settembre, ha raccolto un buon numero di recensioni positive e quasi nessuna stroncatura.La scrittura della band appare molto più fluida rispetto al precedente album omonimo, da molti considerato il lavoro peggiore del gruppo. I brani provano, spesso riuscendoci, a essere evocativi e maestosi come quelli di un tempo. Eppure, nonostante gli sforzi, i fasti di “Turn On The BrightLights” sono lontani. Gli Interpol non sembrano in grado di cambiare, di sperimentare, di evolversi. O magari si rifiutano semplicemente di farlo.Dal loro debutto in poi, la strada della band di NYC è stata in lenta ma costante discesa, e non è difficile capire il perché: l’asticella era stata fissata davvero troppo in alto. Ben vengano quindi album come questo “El Pintor”, ma per noi gli Interpol resteranno sempre quei quattro ombrosi rocker, capaci di dare alle stampe uno degli album più belli di inizio millennio. E forse va bene così.

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Tra le poche certezze degli ultimi anni c'è anche l'uscita, quasi a cadenza annuale, di un disco di Ty Segall. La pro-lificità dell'artista americano, che sta diventando ormai quasi proverbiale, si unisce a una notevole qualità pre-sente in tutte le sue produzioni.Un lavoro di diciassette nuovi brani che riesce a spaziare con facilità ed efficacia nell'universo musicale dell'istrio-nico cantante e chitarrista. “Manipulator” ci dimostra che sarebbe delittuoso banalmente rinchiudere Ty Segall nel-l'ambito del garage rock. O meglio, si parte da lì, per poi andare a scandagliare qualsiasi possibile sonorità che possa sposarsi con l'agile song-writing che da sempre con-traddistingue i dischi dell'artista. Un percorso che inizia dall'ipnotica title track e che poi prosegue spedito, pas-sando per momenti più acustici o comunque più rilassati, come “The Clock” e “The Hand”, per arrivare a chitarre più corrosive ed incalzanti, come l'arrembante “It's Over”. In mezzo tante piccole perle, da “Feel” a “Tall Man Skinny Lady”, con le sue venature glam.Forse sarebbe inutile parlare di “Manipulator” come “disco della maturità”, ma di sicuro si può affermare con con-vinzione che sia il miglior capitolo della discografia, già numericamente piuttosto importante, di Ty Segall.

EXTRA NOIR/HOT ALBUM

TY SEGALL “Manipulator”( Drag City )“I’m the faker with the other name. On the paper riding on the fame”Text Francesco Melis Photo Denee Petracek

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EXTRA NOIR / VISIONS

JOE MEEK HOLLOWAY ROAD 304Text Rob BradfordTraduzione Irene PennettaPhoto Courtesy of The Joe Meek Society

Ai passanti che camminano sull’affollata e a volte sciatta e malconcia Holloway Road di Londra, si può perdonare di non alzare lo sguardo verso gli appartamenti anonimi al numero 304. Se lo facessero, potrebbero chiedersi per un secondo cos’è quella placca montata lì (oggi in parte oscurata da una parabola satellitare - stranamente preveggente e ad hoc) dedicata a “Joe Meek... produttore musicale... pioniere della tecnologia della registrazione del suono... lui ha vissuto, lavorato ed è morto qui”. Una volta sono stato intervistato da una stazione radio locale di Gloucestershire (Meek è nato a Newent, Gloucestershire, il 5 Aprile 1929) e sono rimasto spiazzato dall’ignoranza del presentatore/intervistatore e dalla sua scarsa conoscenza. “A parte ‘Telstar’, ha fatto altro Joe Meek?” chiese. Ovvio che sì!! Non per niente è stato recentemente votato dalla NME come ‘Il più Grande Produttore Musicale del mondo’. Un sorprendente riconoscimento da parte di questo emblematico giornale britannico musicale che non ha mai avuto paura di esprimersi anche con critiche e recensioni brutali. Ha incredibilmente lodato Joe Meek, pur al di sopra di calibri come George Martin, Phil Spector, Sam Phillips, Rick Rubin, Quincy Jones e molti altri luminari. Joe Meek arrivò a Londra nel 1954 e per un breve periodo lavorò nel negozio di articoli elettrici Stones sulla Edgware Road. Prima aveva lavorato per molto tempo per la IBC e dimostrò rapidamente il suo immenso talento per la registrazione e l’editing di programmi radiofonici live. Nel 1955 Joe Meek era un tecnico del suono richiesto da tutte le principali etichette discografiche del Regno Unito del 1950. Columbia, Decca, HMV, Parlophone, Philips and

Pye, tutte se lo contendevano durante gli anni 1955-1959. In questo periodo lavorò sorprendentemente su circa 1.500 registrazioni disponibili in commercio. Non c’era nulla che la sua mano non potesse trasformare, tracce che comprendevano cantastorie, musica skiffle, rock and roll, jazz, r’n’b, folk, country, musica di pianoforte, opera, orchestra , classica e tantissimo altro.Vale davvero la pena di citare alcuni degli artisti che hanno registrato da Joe Meek in quel momento, e molti di loro erano veramente superstar dell’epoca: Kenny Ball, Chris Barber, Shirley Bassey, Acker Bilk, Petula Clark, Lonnie Donegan, Diana Dors, Edmund Hockridge, Humphrey Lyttleton, Gary Miller, Harry Secombe, Ann Shelton, Dickie Valentine, Frankie Vaughan, Cherry Wainer, Marty Wilde e Gene Vincent..giusto per nominarne alcuni! Per tutto il 1958 e 1959 Joe è stato chiamato per aiutare a progettare e allestire il Lansdowne Studios (“La Casa dei Vetri Rotti”). Era un posto all’avanguardia e Joe, insieme a Denis Preston era il manager/ingegnere del suono. Tuttavia, Joe portava continuamente le cose al limite fino ad affossarle per sempre, e con loro anche le persone attorno a lui (quello che successe verso la fine del 1950). La situazione peggiorò quando nel Novembre 1959 dopo l’ennesima lite con Preston, Joe Meek uscì imbestialito a metà sessione. Fortunatamente, fu trovato presto un ingegnere a sostituirlo, ma si arrivò al punto di pensare che c’erano troppi disaccordi e Joe venne poi licenziato. Fu proprio in quel periodo che Joe decise di essere il capo di se stesso e di creare il suo studio di registrazione personale e la sua casa discografica. Durante la seconda metà del 1960 le camere sopra il piano terra di Holloway Road 304 (che era poi negozio di pelletteria Shenton) sono diventate il suo studio. Prima però, ha fondato l’etichetta discografica Triumph, con le prime uscite nel mese di aprile dello stesso anno. Si tratta della prima etichetta indipendente di successo della Gran Bretagna a guadagnarsi il “Big 4” (Columbia/HMV, Decca, Philips, Pye) e a competere nelle classifiche. Il primo successo fu

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il brano strumentale “Green Jeans” (una versione focosa, rokkeggiante, forte di “Greensleeves”) che è stato bandito dalla BBC perchè mancava di rispetto alla memoria di Ralph Vaughan-Williams e alla sua opera orchestrale “Fantasia On Greensleeves”. È stato notevolmente superato quando la versione di “Angela Jones” di Michael Cox aveva scalato le classifiche arrivando alla 7a di distribuzione della Triumph, avrebbe potuto scalare fino alla 1a Chakiris (i cui brani Joe aveva registrato quando faceva parte del cast londinese di “West Side Story”) ha avuto anche un piccolo successo con “Heart Of A Teenage Girl”. Purtroppo il progetto era tormentato da difficoltà finanziarie e di business. Joe ha dovuto abbandonato la nave (portando con sé la maggior parte degli artisti e dei diritti per le loro registrazioni) e si è in seguito concentrato su attività di leasing di tracce master complete con le principali etichette discografiche. La sua sigla sonora RGM si riferiva al suo vero nome, Robert George Meek, Joe era un epiteto di famiglia con cui era sempre conosciuto.Una volta sistemati nel 304, e con i suoi musicisti al suo fianco, la produzione di registrazioni divenne prodigiosa e le più notevoli cominciarono ad andare al di là di quel piccolo appartamento-studio, con tutto il lavoro di registrazione e di produzione fatto solo da lui. Anche se non gli mancavano attrezzature commerciali, Joe aveva tutta una serie di mixer, amplificatori, registratori e unità echo, costruiti a mano da lui stesso. I risultati che ha raggiunto sono stati davvero sorprendenti. Oltre ad essere in grado di registrare “tradizionalmente”, Joe era un pioniere e un maestro della prima “electronica” e delle manipolazioni audio sound-on-sound e relativi effetti sonori. Nell’arco di sette anni (fino alla sua orrenda e prematura morte nei primi mesi del 1967), Joe produsse oltre 700 registrazioni da oltre 100 artisti registrati alla RGM. Ci ha lasciato un numero quasi simile di brani non rilasciati, demo e prove audio. La sua lista include artisti come Mike Berry, Michael Cox, Heinz, the Honeycombs, Peter Jay & the Jaywalkers, John Leyton, the Outlaws, Screaming Lord Sutch e the Tornado. Fra i suoi successi più memorabili della RGM c’erano “Tribute To Buddy Holly”, “Just Like Eddie”, “Angela Jones”, “Can Can ‘62”, “Wild Wind”, “Low Swingin” e le tre mega hit che hanno fatto il giro del mondo “Johnny Remember Me” (John Leyton), “Telstar” (The Tornado) e “Have I The Right” (The Honeycombs). Nel 2014 Holloway Road 304 è stato ristrutturato. I nuovi inquilini saranno sicuramente confusi ed increduli nello scoprire che questi giganti della musica registravano nel soggiorno (3°piano) (con angolo cottura, essendo la sala di controllo di Joe): Ritchie Blackmore (Deep Purple), Marc Bolan (T Rex),

David Bowie, Chas’n’Dave, posizione nelle Hit Parade. Se non fosse stato per i lunghi problemi Adam Faith, Georgie Fame, Jet Harris, Noddy Holder (Slade), Steve Howe (Yes), Sir Tom Jones, Denny Laine (Ali), Steve Marriott (Small Faces), Mitch Mitchell e Noel Redding (Jimi Hendrix Experience), Jimmy Page (Led Zeppelin), status Quo, Rod Stewart, Ten Years After e Roy Wood (Move, Wizzard). Sì, tutte queste superstar sono state in quel salotto e anno registrato da Joe Meek! È davvero

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difficile riassumere gli strabilianti successi di Joe Meek in un articolo breve come questo. Joe era affascinato dal mondo della registrazione fin dai 7 anni, quando gli fu dato un piccolo grammofono e scoprì (non sapeva minimamente chi fosse Thomas Edison) che i suoni potevano essere registrati sulla “cera morta” dei dischi a 78 giri fuori scanalature. Nel 1938 (all’età di soli 9 anni) costruì le sue radio (senza manuali di istruzioni). A 16 anni cominciò a costruire i suoi registratori e a modificare le unità disponibili in commercio. Nel 1948 elaborò la sua personalissima (e incredibilmente convincente) LP Effetti Sonori (qualcosa di sconosciuto per i servizi specializzati all’interno della BBC). Nello stesso anno costruì da zero due schermi da lavoro (niente manuali nemmeno qui!!). Nel 1950 sperimentò il ‘sound-on- sound’, le sovraincisioni e le multitracce (non sapeva minimamente chi fosse di Les Paul). Sperimentò anche le prime “Electronica” in un modo simile al lavoro di Louis e Bebe Baron (“Il pianeta proibito”). La ragione per cui Joe Meek vinse il premio NME sta nel fatto che tutta la sua vita ed il suo stesso essere erano stati interamente

dedicati e devoti alla registrazione e alla musica. Era un uomo ossessionato. Ha infranto le regole degli studio e ha “soffocato la registrazione manuale”. Nel Regno Unito ha aperto la strada al sound-on-sound. Fu il primo a sperimentare le cassette all’indietro, l’effetto phasing e l’effetto flanging. Quando George Martin voleva gli effetti "Revolver" e "Sgt. Pepper"- c’erano ingegneri che lavoravano con Joe Meek e si ricordavano come avesse raggiunto dei suoni così strani e meravigliosi. Ci sono stati membri del famoso Laboratorio radiofonico della BBC che hanno applicato le tecniche che avevano imparato da Joe Meek. Pare che Joe sia stato invitato a contribuire alla classica, originale colonna sonora di “Dr. Who” nel 1962. Non ci stupisce che Joe si infuriò quando la BBC aveva rifiutato di consentirgli di rivendicare una co-composizione di credito con Ron Grainer. Il più Grande Produttore Musicale del mondo: un bel riconoscimento per un uomo che manipolava da un piccolo appartamento sopra un negozio in Holloway Road. Parliamo di realizzazioni uniche di Joe Meek; e queste meritano di essere riconosciute.

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LAYOUT BY GIACOMO CERUTTI

ENGLISHTEXT

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I

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Federica: Could you explain us the meaning of the title Pale Communion?I was looking for something that tight together the lyrics and the concept and it's a sort of playful thing with the term "pale companion" which is referred to death, but i've changed it in "communion" because it looks good and it sounds good.

And in terms of lyrics, there is a message behind? Well, no there is any hidden message, it's personal stuff related with my personal life even if i don't like much to write personal lyrics as somebody could ask questions about them but i wanted to make lyrics that i can deliver singing in a very emotional way.

Don't you feel like naked when you sing those songs? Yeah a little bit, of course would be easier to lie and say that it doesn't have to do anything with me, but i just came to a point in my life where i feel comfortable writing those kind of stuff, as i did in the past 3 records.

Could you give me an adjective for each song of the album? That's difficult! Very difficult! Maybe with the first song i would say unexpected, second one expected! (laughs).

MIKAEL ÅKERFELDT

THE NOW FACTORText Federica Sarra & Eugenio CrippaPhoto Eugenio CrippaTraduzione Irene Pennetta

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Fredrick: I would rather say Flow! third song i would say long, Elysian Woes i would say sad because of the lyrics.Mikeal: Or i would say "forestry" it's actually a word? Goblin is self explanatory!

And about the last song, Faith in Others, where there are strings, and some of your fan became really worried about this fact? Were they worried? seriously? Yes! they were! mainly because of the strings in it! Maybe because they were expecting something cheesy with it... (Laughs) actually it's one of my favourite songs i ever written! And River!

What was the incipit for composing this material? Difficult questions! I just set down and wrote! and Faith in Others was actually the first song i've wrote, and Goblin as well even if it took long time before it took shape. But usually i sit down and write, and in the middle of the writing process the more i wrote the more i had ideas, it was a steady flow! i could have continued to write! I've spent a lot of time down there in my "grotto"! Fredrick: i'm really impressed by Mike as he have a real focus when he gets into the writing process.

Do you have any visions about this album? do you think it will be able to reach a broader audience? Maybe, i don't know, i don't know where we are, if we're "hot", i don't know what the interest is sur-rounding this band today! I know there is certain interest...So you know! perhaps, but i can't translate it in the real world! I think it may be an easier record than Heritage to get into, but that doesn't make any guarantee to become popular, do you what i mean?

Do you agree if i say that is like an evolution from your last record? Yeah i like if you think so!

And the collaboration with Steven Wilson has changed somehow compared to the other times? He did the mixing on this album, it's something he is totally comfortable with. His musical refereces and tastes are really closed to mine, i love the music that he writes. Before he was co producing, now on this album he just did the mixing, some backing vocals and he had some ideas about the sound of certain songs and he recommended us Dave Stuard for the strings parts. Steve get personally really involved with the album,which i like, even if he hasn't written the material. Can be also kind of defen-ding the music, there is the last song, for example, he loves that song, there is a vocal effect on it and he is like: "this is your best vocal perform, you shouldn't have ruined it with this vocal effect!” but i loved it so i keep it! But i 'm glad he gets so involved! And i like to work with people like Steve, i feel very comfortable.

We all know about your music taste and preference, but maybe there is a band we would never ever expect you to listen to? Papir i would say, but i can tell you one thing, i will bring my daughter to see One Direction! (laughs) and i'm looking forward to, i've never heard them!

Eugenio: I suppose you will not play, as you did for “Heritage”, the new songs before the new album release. Yes, I think things will go this way; no one forces us to do so. At times, it happens festival organizers try to raise up more money in return for an exclusive; I don’t think we've ever experienced something like this though. As for me, my opinion remains as it has.

For the widespread fear of uploading videos to YouTube, I guess. Sure, I don’t want people to hear our new songs in conditions well away from the best ones. The point is that smartphones recording quality still remains awful, and together with the remote possibility for the sounds to be uttered not as they should, and maybe we make mistakes while playing... well, that’s not exactly the nicest very first taste of the new album!

The last two songs from “Pale Communion” have some orchestral arrangements, which we also enjoy in Steven Wilson’s and your project, the StormCorrosion album. It’s possible that this collaboration would have affected the “Voice of treason” and “Faith in others” songwriting?

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I've never really thought about it, but you could be right. “Faith in others” was born almost by mistake, while in my home studio I was trying new string sampled sounds; I just wanted to hear how much close they were to real strings. So, I naturally made this vaguely symphonic arrangement, which I then added drums and then continue with the rest to.

There’s been loads of talk about this strong melody search in “PaleCommunion”.Yes, but not as we get used to know. Opeth has never gone for the ‘easy’ melody, that phrasing drum-ming into your head from the very first listening. I generally find songs like these annoying, I hope you understand what I mean by this. We focus now on melodies more than ever, but without being irritating.

Anyway, one in particular has grabbed lot of people’s eyes, since apparently the “Goblin” song was hummed by those musicians who came along with you to a past American tour. Yes, “Goblin” was born from during a jam session for soundcheck – now Mikael hums the notes played by the hammond at the beginning of the song - and I have often came across with Mastodon, Ghost guys and their crew while starting to sing that du-du-du-dum--da-dum--de-dum at the beginning. It’s impossible to be more catchy than that! It definitely will work very well in live shows.

While listening to “Goblin”, I couldn’t help but think about an Italian band called Calibro35... (And here it comes a huge part of talk where I do much of it; I told him that there are no relationships with the Osanna of the “Milano Calibro 9” movie soundtrack, but that Calibro35 arose as a so-called poliziottesco (Italo-crime)-oriented sound cover band, and Osanna in concert has proposed the “Calibro 9” topic. We talk about Goblin once again, and Mikael quotes among the Roman band’s soundtracks unrelated to the horror scenario that thriller “La via della droga”, with a spot-on comparison to the “Inspector Dirty Harry Callahan” soundtrack). When we played @ the Roadburn (April 2014) with Claudio Simonetti’s Goblin, they started out with one of my favourite songs, “Snip Snap”. From the “Roller” LP. It’s like enough to be my favourite, because it isn’t a soundtrack much more different from the standard ‘format’ that provides different versions of a single theme; which it still has to be good, but “Roller” still is one of my favourite, though not as legendary as “Deep Red”. (And here it comes another talk, where I clear up some “Roller” tracks were in fact added later on into a George Romero’s movie, the “Dawn of the Dead” aka “Zombie” director. It’s one of his least-known work, whose original title was “Martin”: Dario Argento was in charge of the European distribution, and he renamed it “Wampyr” and then inserted some excerpts from “Roller”).

I know a song of “Pale Communion” was the particular working title “Floyd”. It’s “Moon above, Sun below”. At first, it was completely different, and so I called it that way because I was trying to get inspired by “Astronomy Domine”, from the English band’s first album. Anyway, sur-prisingly, I didn’t like so much the final result, so I changed it all over again and the result is exactly the one just said.

Apart from that eight full-length tracks, are there other recordings? No, we intended to do it, because as you know now some extra material for the deluxe album version is more in demand. There shall be no unreleased songs, but probably some cover... there’s in particular this song in Swedish language that we played during the acoustic tour (fall 2012), “Varkommer barnen in” - by Hansson De Wolfe United - and I’ll try my best to bring it in the official release. All shows of that tour were recorded, therefore, if there will be time to re-record it in studio, then we will opt for a live version. Otherwise, a friend of mine, which often play badminton with, will help me, thanks to its personal studio. We are still awaiting the final artwork, which I suppose Travis Smith is once again dealing with. Sure, it takes longer than expected because I had these grandiose ideas (pronounced in French): a trip-tych where each of the three single painting is complex, I don’t mean at the same level, but almost as much as the “Heritage” cover picture. Each painting represents a stage of our existence, and the whole thing will be included in a overall fourth frame. It will have an aura medieval, with strips of paper on which they are listed in the Latin phrases that I have personally selected. As for us musicians, I thought to portray us as the figures of ordinary playing cards. Sometimes some people ask me if I make use of some amazing take me to get ideas like that, but I assure you that the answer is absolutely bad!

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SATURNUS

SONIC BANG!Text Amelia TomasicchioPhoto Courtesy of Saturnus

We know you're writing material for a new album. What can you anticipate about it?Well, we are trying to write something a little different from the last album without going to far away from the last album. I think we will try to keep the big elements and keep the really doomy stuff (like Forrest Of Insomnia track). Otherswise I don't really know what we (Rune) will come up with since we are only JUST starting writing some new stuff.

Some days ago you reached 30.000 fans on Facebook. Nowadays how is important for you having a large online fanbase?The facebook fansight is very important to us. It’s here we can talk with the fans, get interviews from webzine and get in contact with the people who we work with on a professional level. E.g. a booker from Sweden or a manager from the U.K. It’s a very cool way to get in contact with the rest of the Saturnus family. The 30.000 mark was very cool for us and I (Henrik) have to admit that we were looking forward to it. We are so honored to have reach that milestone.

What are your next goals? As in music as in life...I think you always strife to be better, do better and try harder if you do something that really is close to your heart. Music for us is the way we like to live. We will try to finish the new album as soon as we can and then of course play as many gigs as we can. I don’t know if we can hope for a year as 2012 where we were so fortunate and lucky to play a lot of gigs as well as going on the road for the European Tour with The Vision Bleak. But I know we will try to do something along the lines of that. When it all comes together there is no better feeling. To be able to play all over the world and meet all the great fans and family we have is such a privilege that words can hardly express. We would really love to try a headliner tour in Europe if we can and hopefully go back to some of the places we have played outside of Europe. But it’s all up to the bookers etc. around the world to see if this can be a reality. We can only work as hard as we can and hope for the best. New Goals in life for me (Henrik) is to better myself as a musician and a friend to friends and family.

Can you tell us any funny stories that happened on your last tour?Well the last tour was a minitour around Italy and it was a 3gig tour. We toured with our good friends in Shores Of Null. The only thing I can remember is maybe the ping pong tournament we all did. That was pretty funny. On the last big tour (European Tour with The Vision Bleak) we made a little movie over the weeks we toured with them. Some really funny stuff came out of that (think it's on youtube).

What was the best audience (last tour)? The audience in Italy is amazing. Really cool guys. We actually meet a girl who had the Veronika Decides to Die album cover tatooed on her back. pretty crazy.

1996 is said to be a very important year for you, because of the meeting with My Dying Bride. What do you think about that?For me(Brian) is was a really big experience to play with My Dying Bride. They were all very cool guys. After the gig we had a turning point in Saturnus. We all loved the style My Dying Bride played and then we decided the grnre for the band as Death/Doom and started to write some new tracks.

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EnglandThe country I was born in, that my band formed in and where most of my favourite music was made.

'Dimly Lit'Our masterpiece. Easily the most rewarding and cohesive work and an album that opens everything up for us from here on. It's taken us across the UK, across Europe... Now we just need to top it with the follow up!

1999The 1990's were very formative years for me. I started playing guitar in the early 1990s, got heavily into Nirvana, then came the so-called 'Britpop' era, where bands such as Blur became hugely influential to me (and I'd say this year is important as it was the year of release of their amazing '13' album). By the end of the 1990's I'd met Brandon. we'd formed Neils Children and the rest is history. It was the beginning of my life as I now know it.

DigitalA domain that I have seen advance in frequency throughout my time in the band. When we started, we were working in studios that still ran tape. Now, we work at our own studio using a computer, interfaces, plugins... a lot has been transferred to the digital domain, for better or for worse. It makes our work a lot quicker to record and easier to edit, but it's easy to lose spontaneity. The huge takeover of digital downloads has been a crazy thing to notice too. Back in the early 2000's, we were selling vinyl or CD's and downloads didn't even come into it. We charted in the UK singles chart by selling physical product. There's nothing wrong with digital downloads, although I love the ritual involved with buying/playing vinyl. It's my medium of choice.

PresentI find it hard to stay in the present... I'm always thinking about the future or reminiscing about the past, but when I am at my most present and in the moment, that's when I'm most creative. Brandon and Syd keep me fixed in the present when we are recording, and I think that's such an important way to be. Otherwise I'll just float off and panic!

VideosI'm not sure I really enjoy making music videos very much. By far my favourite of ours is the 'Always The Same' video... we had a huge part in saying how it looked but we were working with great people to realise the vision. I guess it's an aside really, unless you're Beyonce or whoever, people that really

NEILS CHILDREN

A LIFE FOR MUSICText Federica SarraPhoto Courtesy of Neils Children

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rely on videos to sell their music, but for us it's simply not that important. We'd rather make music, or play live.

ProducersWe've worked with some good ones, some not so good. As a band, we've never had the money put into us to choose a 'big name' producer, but we've worked with some very talented engineers/producers. Shout out to Brian O'Shaughnessy, Gareth Parton, Mark Aubrey and Scott McCormick. But, having worked on our own records for years and years, we now produce ourselves, as do many artists. It works well for us, we know how we want things to sound.

Influences To many to mention, and they change every time. Suffice to say that hip hop is becoming a big influence on the new album we are working on. Brandon is creating amazing, multiple syncopated drum tracks... having 2 or 3 different drum kits/tracks in one song. It's amazing. I'm still getting a huge buzz off Broadcast too, as I'm now playing the keyboards on the album, and they easily have the greatest keyboard sounds. Syd is still that perfect, melodic Serge Gainsbourg bassist. We share influences, and that makes things enjoyable.

MembersWe've had quite a few but not to many considering how long we've been running. The crux is obviously me and B, it's like a marriage really. He's my best friend and we get each other, like no one else in the world gets us. It must be tough for people to come into that, and maybe our closeness has made people feel a little out of place at times, but both James Hair and Keith Seymour (our previous bassists) were completely locked into the band, so perhaps that's not the reason. Again, we've now got a completely dedicated bassist in Syd, and all three of us work as one unit as we always have. It takes a lot of emotion dedication to be in the group, as much of a cliche that sounds it is true.

HopesMy hopes have changed over the years... initially it was to release a 7" single, then to be written about in the NME, then to release an album. Juvenile, shallow stuff really, but markers of our achievement. Now, it's really hoping to develop our sounds so that it continues to interest and challenge us. Those old hopes are there, but they are not the focus at all. We always hope that people will enjoy what we do, but again it's not a huge deal breaker.

Lyrics Important and not important... they were fairly thinly veiled in the past, quite obviously about me and my situations, almost like a for of release. But I lost any emotional connection with the lyrics almost immediately, maybe through subconscious choice. I think the lyrics now are slightly more abstract, maybe more poetic but certainly less about me. I prefer them, I think the music and lyrics have reached a maturity we've never had before.

JapanAn amazing place... we went on tour there twice, once for a week or so when we played 2-3 shows in Tokyo, then a year or so later we went back to promoter 'X.Enc' and played around 2 weeks of shows, lots at small venues in the suburbs. We were quite popular over there, the first time was strange having people shaking when they meet you. We'd love to go back, I dunno if the new music would resonate as much as the old stuff, it's less focussed on intensity and image, and I think those are two things the Japanese really dig from UK bands. But who knows?

Junk ClubIt was the pinnacle of something really. I don't know what... it started out just a bunch of us DJing at a place called the Sunrooms in Southend, but it mutated into a happening, a moment in time really. We were the house band there for a few years, as we are adopted Southender's and I spent a lot of time there, made so many great friends (yo Rhys, Oliver, Ciaran, Ed, Dean, Alex...). It was a formative time for all of us really, and we're all doing great things now.Part of me is sad about it's passing, but we were younger then and things move on. There's still a bit of it in all of us though.

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How was the whole recording process of the new record? Do you still enjoy that much writing and playing some old school death metal for our greedy ears?Yeah I was really enjoying myself throughout this whole process. There was some kind of magic involved already from the early stages of discussing the visions for the album, something that really set the attitude ablaze and the flames grew tall on through the writing and during the recording. When it comes to music, death metal will always be the “fun” choice and alternative, especially for me not being able to do it more than a couple of times per decade while I’m busy with some-thing completely different the rest of the time, but that also keeps it really passi-onate. All those years in between albums buil built up tension to fuel your hunger and now 6 years since the last one, it’s time to unleash those inner demons again.

Enjoying your new Unite In Pain single, through years and changes have rolled over our heads, you still seem very consistent as an extreme metal band. Has there been any kind of "evolution" in your sound or are you likely to stay always true to the roots?There’s definitely been a form of evolution through the years because not one al-bum sounds the same as the other, but this ain’t something that’s been done in a logical timeframe, we’ve gone back and forth several times to nail and pay tribute to certain styles and most importantly, we’ve only explored the different paths within death metal, never left the domain and explored another genre outside of it. This band isn’t about that, we do not seek progress, uniqueness, originality; we’ve never claimed such things. We started out as a tribute to death metal and the word “regress” is probably a more common used vocabulary in Bloodbath than in any other word, well maybe with an exception of “Morbid Angel” and “Entombed” ha-ha! The way I see it, is that the worldwide death metal scene is like an anvil on which we pour a melting pot of influences to forge the sword of Bloodbath! The steel might vary, but it will always be deadly!

After Mikael's departure in 2012 many rumours came out about the name of the new singer, anyway you managed to surprise us all with the arrival of legendary Nick Holmes from Paradise Lost, who I guess hadn't been growling for about 20 years. Why and when did you decide to recruit him in Bloodbath and what sort of benefit do you think he brought to the band?We first started talking about a new singer already while Mike was still “of-

BLOODBATH

FOREVER MORBIDText Alex NunziataPhoto Courtesy of Peaceville Records

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ficially” in the band. He made it pretty clear he wasn’t interested in performing death metal anymore and it was just a matter of time before he pulled himself out. That didn’t come as a surprise though as Mike’s heart and head was at a different place and it would be unfair for himself, us and the fans to keep going with something dishonest. instead we started making a list of potential names based on origin, history of the scene and vocal style. Got in touch with a few of them, but only stuck with one - Old Nick! We felt he wasn’t only right for our vision of this album, but he was also one of the guys we already got along with on a social level, highly important aspect to consider if you’d rehearse, record and perform live together. I think Nick brought yet another style into Bloodbath, something very rotten, evil and old school, just like we wanted, just what you got!

For this new work you had Chris and Eric from Autopsy contributing as special guests. It must have surely been a constructive morbid experience. How did you get to collaborate with them?Because I value ‘Mental Funeral’ one of my top #5 death metal albums of all time, I wrote them both an email to express that it would be a dream come true to have them featured as guests, especially on this album, where we stirred the wheel towards their domain. They both gave me thumbs up to participate. I loved incor-porating their signature approaches into our songs, the sick stuff that only Autopsy can do! We couldn’t be more proud! Hail Autopsy!

All of you members have parallel important active bands (Katatonia, Opeth, PL). Bloodbath is not a typical side-project but an entity with full relevance and large following. Is it difficult to find dedicated time and energy to keep Bloodbath alive and kicking nowadays?Yeah, it’s proven totally impossible to schedule a full tour. Actually, we’ve never been able to make that work. It’s even pretty difficult these days to get a new album together and that’s why a significant number of years sneak in between releases. Even recording an album is something that has to be done over a longer period of time with members coming and going throughout the process. For instance, on this album we cut the drums already back in March or April, but we didn’t put down the rest and finished it until August, going in and out.

What about the near future plans for the band? Are you going to tour in support of the new record? We hope for the chance to see Bloodbath live here in Italy! Can you say something to the Italian fans?As of right now there are obviously still no proper tour plans, but we are put-ting a lot of focus on doing a bunch of festivals next year. We’re trying to book them in as many different countries as possible to make it fair for all our fans, but still we can’t visit them all, so we hope the fans will travel to some neighbor countries themselves as those festival billings and line-ups are probably worth the trip anyway.

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What was the incipit of your career? I always seem to have been writing. I used to write long essays at school. I tried writing my first novel when I was around eighteen, but it wasn't very good. It took me a few attempts before I managed to write a book I liked. This was called 'Milk, Sulphate and Alby Starvation.' After I finished it, it took me three years to find a publisher.

What are the major challenges that you have faced in your career?There was a time when all of my old books went out of print, and I could not find a publisher for

MARTIN MILLAR

"I have carried this spiritof punk rock through mywriting career" Text Federica SarraPhoto Courtesy of Martin Millar

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my new book. That book was Lonely Werewolf Girl. My writing career seemed to be at an end. At the same time, I developed agoraphobia. It wasn't a very good period in my life. Fortunately, things improved. I eventually found a publisher for Lonely Werewolf Girl, and its sequels, and my older books came back into print. My agoraphobia improved too, though it hasn't fully gone away.

What continues to be the biggest challenge?It's not easy earning a living as a writer. I do manage to earn a living, but it can be precarious. Another challenge is that I can be very lazy. I can waste many, many hours, when I should be writing. I am quite a keen gamer, and have probably spent too long playing Skyrim, Portal and Tomb Raider, when I should have been doing other things. Also, I don't have as much energy for writing as I used to. I can't write for such long periods of time.

How would you say that you express your passion for music through your writing process?I mainly expressed it in my book "Suzy, Led Zeppelin and Me,' which largely concerns the incredible feeling of going to see your favourite band when you are young. That's a great feeling, and one that you can never have in later life. Seeing a great gig when you're young is one of the best things that can ever happen to you. I was permanently affected by the gigs I saw when i was at school, and just after that. My writing, and my self-belief was greatly assisted by the Sex Pistols. They taught me to believe in own talent, and not to rely on other people's opinions. I have carried this spirit of punk rock through my writing career. Other than that, the characters in my books are very often music fans, although I make no effort to keep them up to date with current music. I wrote a scene where Kalix, the young werewolf, had gone violently insane, but was calmed down by listening to Marine Girls. I liked Marine Girls, they were very peaceful. Kalix is also a fan of the Runaways, 70s girl band. The Runaways were good, they never got enough credit at the time. I was pleased when there was a film about them, a few years ago.

Do read reviews about your books and does that have any influence over your creative process?No, I no longer read reviews. I used to. I used to be very interested in reviews, but these days I am not so interested. I like it if someone gives me a good review, but it won't affect anything I write. Bad reviews won't affect my writing either. I know exactly what I want to write, and no one else can influence that.

What bands do you listen to when you have time and what album is currently your favorite?I like listening to rock and punk from the 70s because these days I find it difficult to like new bands. My favourite bands were, or are, Led Zeppelin, T Rex and the Sex Pistols. At the moment I've been listening to My Bloody Valentine, I have always liked their album 'Loveless.' I've also been listening to The Cocteau Twins, 80s albums 'Treasure,' and 'Heaven or Las Vegas.' I very often listen to David Bowie's 'Ziggy Stardust,' 'Diamond Dogs' and his other 70s albums. In 'Curse of the Wolf Girl, one of the characters makes a dress for a man, based on the dress David Bowie wore on the cover of 'The Man Who Sold The World.'

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Walking along London’s busy, but sometimes shabby and down – at – heel, Hol-loway Road - pedestrians could be forgiven for not glancing up at the nondescript flats above number 304. If they did, they might briefly wonder about the plaque mounted there (nowadays partially obscured by a satellite dish – strangely prescient and apposite) dedicated to ‘Joe Meek….record producer…pioneer of sound recording technology… lived, worked and died here’.

I was once interviewed by a Gloucestershire (Meek was born in Newent, Glouces-tershire on April 5th, 1929) local radio station and was taken aback by the pre-senter/interviewer’s ignorance and lack of knowledge. “Did Joe Meek do anything else, apart from ‘Telstar’?” he asked. He most certainly did!! Not for nothing was he recently voted by the N.M.E. – ‘The World’s Greatest Ever Record Producer’. An astonishing accolade from this iconic UK music journal which has never been afraid to brutally trash reputations. Amazing that they rated Joe Meek above the likes of George Martin, Phil Spector, Sam Phillips, Rick Rubin, Quincy Jones and many other luminaries. Joe Meek arrived in London during 1954 and, for a short while, worked at Stones’ electrical store on the Edgware Road. Before very long he was working for the IBC and quickly demonstrated his immense talent for recor-ding and editing live radio shows. By 1955 Joe Meek was an in – demand sound recording engineer for all of the major UK record labels of the 1950s. Columbia, Decca, HMV, Parlophone, Philips and Pye records all vied for his services during the years 1955 – 1959. During this period he worked on an astonishing 1, 500 or so commercially released recordings. There was nothing that he couldn’t turn his hand to as the tracks encompassed ballad singers, Skiffle music, Rock and Roll, Jazz, R’n’B, Folk music, C & W, Novelty records, piano music, Opera, Orchestral, Classical and all points in between.

JOE MEEK

304 HOLLOWAY ROADText Rob BradfordPhoto Courtesy Of The Joe Meek Society

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It really is worth listing just some of the artists recorded by Joe Meek at this time as many of them were truly superstars of the era: Kenny Ball, Chris Barber, Shirley Bassey, Acker Bilk, Petula Clark, Lonnie Donegan, Diana Dors, Edmund Hockridge, Humphrey Lyttleton, Gary Miller, Harry Secombe, Ann Shelton, Dickie Valentine, Frankie Vaughan, Cherry Wainer, Marty Wilde and Gene Vincent to name but a few! Throughout 1958 and into 1959, Joe had been enlisted to help plan, design and fit out Lansdowne Studios (‘The House Of Shattering Glass’). It really was state – of – the – art and Joe, along with Denis Preston was studio manager / recording en-gineer. However, Joe was continually pushing things to the limit and forever falling out with those around him (which had been the case throughout the latter part of the 1950s). Matters came to a head in November, 1959 following yet another blazing row with Preston, with Joe Meek storming out mid – session. Fortunately, a replacement engineer was found – but it was deemed to be one disagreement too many and Joe was subsequently dismissed.

It was during that period that Joe resolved to be his own boss and to establish both his own personal recording studio and record label. The rooms above the ground floor of 304, Holloway Road (which was then Shenton’s leather goods shop) would eventually become Joe’s studio during the latter half of 1960. He established the Triumph record label earlier than that, issuing the first releases during April of that year. It was Britain’s first successful independent label to take on the “Big 4” (Columbia / HMV, Decca, Philips, Pye) and compete in the charts. The first success was the instrumental “Green Jeans” (a fiery, rocked – up, raucous re – working of “Greensleeves”), which was banned by the BBC as being disrespectful to the memory of Ralph Vaughan – Williams and his ‘Fan-tasia On Greensleeves’ orchestral opus. Remarkably that was surpassed when Michael Cox’s version of “Angela Jones” climbed all the way to No.7 in the Hit Parade. Had it not been for Triumph’s chronic distribution problems, it may have gone all the way to No.1. Heart throb of the day George Chakiris (who Joe had recorded when he was part of the London cast of “West Side Story”) also had a minor hit with “Heart Of A Teenage Girl”. Unfortunately the project was bedevil-led by financial and business difficulties. Joe jumped ship (taking most of the artists and the rights to their recordings with him) and thereafter concentrated on leasing completed master tracks to the major record labels. His RGM Sound imprint related to his real name Robert George Meek, Joe being a family epithet by which he was always known.

Once ensconced in 304, and with his own musicians at his disposal, Joe’s recorded output was prodigious and some remarkable recordings began to emerge from his tiny flat – cum – studio with all of the recording and sound production work being done solely by him. Although he had some commercial equipment, Joe also possessed a whole raft of mixers, amplifiers, tape recorders and echo units, which were hand built by the man himself. The effects that he achieved were truly asto-nishing. As well as being capable of producing “mainstream” recordings, Joe was both a pioneer and a master of early “electronica” and sound – on – sound tape manipulation and effects. In the space of seven years (until his grisly and untimely death in early 1967), Joe produced over 700 commercially released recordings from over 100 artists signed up to RGM. He left behind nearly as many unissued tracks, demos and rehearsal takes. His own roster of acts included Mike Berry, Michael Cox, Heinz, the Honeycombs, Peter Jay & the Jaywalkers, John Leyton, the Outlaws, Screaming Lord Sutch and the Tornados. His most memorable RGM hits included “Tribute To Buddy Holly”, “Just Like Eddie”, “Angela Jones”, “Can Can ‘62”, “Wild Wind”, “Swingin’ Low” and the three worldwide No.1 mega hits “Johnny Remember Me” (John Leyton), “Telstar” (The Tornados) and “Have I The Right (The Honeycombs). In 2014, 304 Holloway Road has just been refurbished. The new tenants will surely be both bemused and incredulous to discover that

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the following music giants made records in their front (3rd floor) living room (with the kitchenette being Joe’s control room): Ritchie Blackmore (Deep Purple), Marc Bolan (T Rex), David Bowie, Chas’n’Dave, Adam Faith, Georgie Fame, Jet Harris, Noddy Holder (Slade), Steve Howe (Yes), Sir Tom Jones, Denny Laine (Wings), Steve Marriott (Small Faces), Mitch Mitchell and Noel Redding (Jimi Hendrix Expe-rience), Jimmy Page (Led Zeppelin), Status Quo, Rod Stewart, Ten Years After and Roy Wood (Move, Wizzard). Yes, all of those megastars had stood in their lounge and been recorded by Joe Meek!

It is very difficult to sum up Joe Meek’s remarkable achievements in such a short article as this. He was fascinated by sound recording from the age of 7 when he was given a small gramophone (paying 78 rpm records) and discovered (totally unaware of Thomas Edison) that sounds could be recorded on the “dead wax” of the 78 rpm discs run out grooves. By 1938 (aged just 9) he was building his own radios (without instruction manuals). By age 16 he had begun to build his own tape recorders as well as modifying commercially available units. By 1948 he had produ-ced his very own (and incredibly convincing) Sound Effects LP (something unheard of beyond the bounds of specialist departments within the BBC). In the same year he built two working TV sets from scratch (no manuals to refer to!!). By 1950 he was experimenting with “Sound – On – Sound”, overdubbing and multi – tracking (completely unaware of Les Paul). He also experimented with early “Electronica” in a similar way to the work of Louis and Bebe Baron (“The Forbidden Planet”). The reason Joe Meek won the NME award was that his whole life, his very being was totally dedicated to sound recording. He was a man obsessed. He broke studio rules and “threw away the recording manual”. In the UK he pioneered “sound – on – sound”. He was the first to utilise the D I - ing of instruments. The first to experiment with backwards tapes, “phasing” and “flanging”. When George Martin wanted those effects on “Revolver” and “Sgt. Pepper” - there were engineers who had worked with Joe Meek and they recalled how he had achieved such weird and wonderful sounds. There were members of the BBC’s famed Radiophonic Workshop who employed techniques there which they had learned from Joe Meek. It transpi-res that Joe was invited to contribute to the original, classic “Dr.Who” theme back in 1962. Not surprisingly, he stormed out when the BBC refused to allow him to claim a co – composing credit with Ron Grainer. The Wold’s Greatest Record Produ-cer - quite an accolade for just one man working from a tiny flat above a shop on the Holloway Road. Joe Meek’s unique achievements deserve to be acknowledged.

Rob Bradford (Chairman – The Joe Meek Society)

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How does it make you feel that you're doing music for such long time? i don't really think about the time , i went through a long period when i didn't do much music, aside from collaborating with a friend of mine, and that was the only music i was doing. But i don't really mark time, i only think where i am now, I don't think about about cause it doesn't exist anymore, it's gone!The future it doesn't exist yet, so the only thing that does exist is right now.

So you never look back at your career, all you have done in the past? Personally the only time i've listened to the old material is when we've been reissuing the album, when we remastered Script Of The Bridge, i also don't like watching old videos of myself.

How your live is structured? There is a balance with new songs and old ones? We got a couple of new songs that we do at the moment, so it’s primarily old songs and it's still really exciting for us! It's still got a lot of energy, i couldn't perform this music if was not passionate anymore, cause it's all about passion! And i love touring!

Who is your audience nowdays? It's very difficult to say because there is such a mixture! Many young people come to me and ask me to play old songs!

THE CHAMELEONS

CULT WAVEText Federica SarraPhoto Courtesy of The Chameleons

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And don't you feel proud when this happens?Yes! Of course this makes me feel extremely proud of what I've done! That says a lot about the music!

And how does make you feel a lot of new and different artists are inspired by your music, i think about Interpol, Alcest, Editors... That’s a positive thing! It's not stealing, we were also influenced by some other bands at the time. And it's amazing because those bands you've mentioned are so different. I love Editors, they are brilliant! Moreover i don't really like defying genres, i could do it when i was 16 year old and i was playing punk, but now not anymore, there such a difference with the past. At the time genres were all well defined, now, let's take Rough Trade for instance, you have Cherry Red and Factory they are very different from each other but they're all under the same , new wave sort of punk/new wave "umbrella" and you can't have a big scene going on, because all these subgenres.

Do you think the 80s were the golden era? No, not for me! i hated the 80s! There was were few bands i really liked but most of the mainstream music of the 80s i detested! The 70s was the golden age for me! I've seen T Rex playing live, that was a big influence for me!

Any new record in the work? Yes, but we had some troubles with the drummer and we are really late with the release, but i think it can be a good thing for the record, we are not even half way yet! But i can assure you it's going to be a great record, very dark, but i can't really describe you now as all we got are sketches and some songs need to get shape still. And it will be in vinyl form as well!

There will be any theme connected with what you have done, with the past albums?

The themes of course, as the main theme of my writing is all about alienation, that's easy to say! When i was young i felt alienated that's why you got songs like In Shreds, i'm less now but now i'm older , i can handle much better but it's still it's my component.

And now that you're wiser (laughs) have you found the reason why of your alie-nation? No, actually not really! I haven't searched for an answer honestly. But i've found my way, i only do what i really want to do and i don't waste my time anymore doing things i don't want to do!

I was always wondering what have inspired you to write such a masterpiece as Second Skin song...It was an early song, I wrote it in 1981. Lyrically has to do with body experience and immortality.

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ADDRESSESARCH ENEMY www.archenemy.netBLOODBATH www.bloodbath.bizDAEMONIA www.blackwidow.itINTERPOL www.interpolnyc.comJOE MEEK www.joemeek.comMANAGEMENT DEL DOLORE POST-OPERATORIO www.managementdeldolorepostoperatorio.itMARTIN MILLAR www.martinmillar.comNEILS CHILDREN www.neilschildren.co.ukOPETH www.opeth.comSATURNUS www.saturnus.dkTHE CHAMELEONS www.thechameleons.comTY SEGALL www.ty-segall.com

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VÁN RECORDSPRÄSENTIERT

the wounded kings

26.10.2014, HELVETE / OBERHAUSENVVK: 10 EUR / AK: 12 EUR

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OCCULT DOOM // UKSHAMANIC DOOM // IT

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CARONTE

S H A M A N I C D O O M

CHURCH OF SHAMANIC GOETIA AND ASCENSION

both available as noble digipack CDs and later this year as lim. vinyl edition

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