Voce per la Comunità

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VOCE per la COMUNITA ´ NOTIZIARIO PASTORALE PASQUA 2011 UNITA’ PASTORALE “S. ARCANGELO TADINI PARROCCHIE DI BOTTICINO Alleluja! Il Signore è Risorto! È veramente Risorto! Buona Pasqua!

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Notiziario pastorale delle parrocchie di Botticino. Quaresima 2011

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VOCE per la COMUNITA´NOTIZIARIO PASTORALE

PASQUA 2011UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“

PARROCCHIE DI BOTTICINO

Alleluja! Il Signore è Risorto! È veramente Risorto!

Buona Pasqua!

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RECAPITO DEI SACERDOTI E ISTITUTILicini don Raffaele, parroco

cell. 3283108944 e-mail:[email protected]

e-mail parrocchia:[email protected] segreteria: 0302193343

Mussinelli don Fausto tel. 3287322176e-mail : [email protected]

Zini don Giovanni tel. 3355379014 Loda don Bruno tel. 0302199768

Pietro Oprandi, diacono tel 0302199881Oratorio Botticino Sera tel. 0302692094Scuola don Orione tel. 0302691141

sito web : www.parrocchiebotticino.itSuore Operaie abit. villaggio 0302693689Suore Operaie Casa Madre tel. 0302691138

BATTESIMI BOTTICINO SERASabato 23 aprile alla Veglia Pasquale

Domenica 1 maggio ore 9,30 12 giugno ore 11,00 o ore 18,30

BATTESIMI BOTTICINO MATTINA Sabato 23 aprile alla Veglia Pasquale

Domenica 8 maggio ore 11,00 sabato 11 giugno ore 17,30 - 3 luglio ore 11,00

BATTESIMI SAN GALLOSabato 23 aprile alla Veglia Pasquale

12 giugno ore 10,00I genitori che intendono chiedere il Battesimo per i

figli sono invitati a contattare, per tempo, per accor-darsi sulla preparazione e sulla data della celebrazio-

ne, il parroco personalmente o tel.3283108944

Presentazione Ecco a voi il Notiziario di Pa-squa per le famiglie delle tre Par-rocchie di Botticino. E’ un notiziario-documento perchè non si limita a dare notizie, ma presenta pagine di formazione nei vari ambiti della pastorale. Nelle prime pagine ritorna il tema della comunione, sostenu-to più avanti dall’approfondimen-to del documento conciliare sul-la Chiesa, sulle due encicliche del papa sull’amore e il Convegno Eu-caristico Nazionale con i suoi temi attuali. Alcune pagine presentano i Giorni Santi del Triduo Pasqua-le e altre del Tempo Pasquale (50 giorni). Non mancano temi attuali, in particolare “lo straniero dentro di noi”.Isidoro, che a ‘60’ anni si prepara al Sacerdozio, con il suo scritto ci aiuta a rendere attuale la chiamata di Dio. Le pagine di pastorale familiare oltre ad alcuni articoli sulla famiglia,continuano la rilfessione sulla valorizzazione del-la ritualità in famiglia “ il saluto” e “la tavola”. Non mancano le pagi-ne rigurdanti la Caritas, l’oratorio, la scuola don Orione; iniziative in programma e la presentazione dei pellegrinaggi-gite per l’anno 2011. Conclude con il programma della Settimana Santa, i giorni che sono a fondamento della nostra fede.

la busta per l’offerta in occasione della Pasqua

Anche in occasione della Pasqua, viene ricordato ad ogni fa-miglia l’invito a contribuire ai bisogni della parrocchia mediante un offerta strordinaria. Anche questo è un modo per esprimere la propria appartenenza alla comunità parrocchiale. Gli impegni economici non sono pochi. Per la parrocchia di Sera i debiti, di Mattina i debiti, l’integrità e la messa in sicurezza delle campane, intervento ritenuto necessario e urgente. Per San Gallo non si è ancora potuto metter mano alla sistemazione della chiesa (sem-pre per danni del terrremoto) poichè la parrocchia è stata impegnata in questi ultimi anni nel pagare l’esposizione riguardante l’intervento eseguito in oratorio.. I Sacerdoti e i Consigli Parrocchiali delle tre parrocchie colgono l’occasione per ringraziare anticipatamente quanti vorranno cogliere questo appello e per esprimere l’augurio per le prossime festività.

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L’auguriodi“BuonaPasqua”èdiunaprofonditàinaspettatae,avolte,incon-sapevole.Èpropriobelloritrovaretuttalaricchezzaelaforzadelsalutopasqualedeibattezzati:“Alleluja!IlSignoreèRisorto!ÈveramenteRisorto!BuonaPasqua!”.Gesù,ilfalegnamediNazareth,ilCrocifisso,nonvacercatotraimorti,inunasitua-zionesenzasperanza,chiusaadogniulteriorepossibilitàdiripresaodicambiamento.Questoèveroancheperlanostravita,perilnostrocamminopersonaleecomunitario,perlanostrastoria.Nondobbiamocercareilsensodellanostravita“traimorti”,traledelusionielemormorazioni,traicapriccinonrealizzati.Siamochiamatia“farPasqua”,a“passare”damorteavita,alasciare“l’uomovec-chio”cheadorailproprio“io”per“passare”alvestitonuovodellamisericordiarice-vutadalPadre,al“lavareipiedi”delgiovedìsanto,allamissionegioiosache“parte”dalcenacolo.ConquestoAmore,lanostravitanonèpiùtralecosemorte,ma“traivivi”.Èunavitachesirinnovacontinuamente.L’amoreinfinitodelRisortochepronunciaripetutamenteilsuo“Paceavoi”allacomu-nitàradunata,cirende“vivaci”,pienidiSperanza.Laripetitivitàdeldonodell’amoreèlaveranovitàdellavita.Èsoloilmalecherende“vecchioedisperato”ungesto.Soltantounosguardoegoi-stanonstupiscedelsolechesorgeognigiorno:ètroppopresodaséperaccorgersidell’altro.ChiediamoalSignoredifarPasqua!Apriamoilcuorealdonodi“passare”dallanoiadiuncuoreripiegatosusèstessoallacontinuanovitàdell’amoredelPadre.

EallorabuonaPasqua!BuonaPasquaachi...hasperimentatolamisericordiadiDiofacendouncamminodiconversione.BuonaPasquaachi...sièlasciatoguidaredallaforzadellospirito...BuonaPasquaachi...sièmessoinascoltodellaparoladiDio,cheèparoladisal-vezza,esièlasciatotrasformareinunanuovacreatura.BuonaPasquaachi...hafattoconcretigestidiriconciliazione.BuonaPasquaachi...hasentitol’urgenzadicamminaresullaviadelSignore.BuonaPasquaachi...hasaputotestimoniarelacaritàdiCristo.BuonaPasqua...atuttiquelliche,comunque,dopoaverintravistoCristolucedivitaeterna,sisonodirettiversodiluiperchélapropriavitafosseilluminata.BuonaPasquaachi...nonostanteibuonipropositinonèriuscitoaviverelafedeltàaGesùCristo,acausadellapropriadebolezzaspirituale.Gesùrisorto,tucichiamiperchéciami.NelnostrospazioquotidianopossiamoriconoscerticometiriconobbelaMaddalena.Tucidici:“Va’eannunziaaimieifratelli:GESÙ’E’RISORTO”.GesùRisortoaiutaciadandareperlestradedelmondo,nellafamiglia,nellascuola,nell’ufficio,neitantiambitideltempolibero,perassolvereallagrandeconsegna.QuestoèilgiornodiCristoSignore!ALLELUIA!ALLELUIA!

Ancheanomedei sacerdoti,deldiaconoedelle suore,desidero rivolgereatuttoBotticinoeatutticolorochevivonoelavoranoperilbeneelacrescitadellacomunitàipiùcariauguridiBUONAPASQUA!BuonaPasquaatutti.

don Raffaele

e allora...Buona Pasqua

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parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie

Una scelta forte ed impegnativa ConlapresentazionedegliOrientamentipastoraliperil decennio 2011-2020: “Educare alla vita buona del Vangelo”laChiesa italiana compie una scelta forte ed impegnativa,chedasemprehacaratterizzatolasuamissionecentratasulpropor-rel’esempioel’insegnamentodiGesù,ilMaestro“seguendoilquale l’uomodiventapiùuomo”(ConcilioVaticanoII).Maèancheunaattesadellasocietàcivileenonsolodeicattoliciper-chéemergesemprepiùinsistenteil desiderio di una proposta di vita e di una prospettiva diversa daquell’atteggiamentori-nunciatariopercuisembrachenessunohapiùnientedadireedainsegnareedaquellarassegnazionechecogliepropriocolorocui è demandato il compito educativo: genitori ed insegnanti,sacerdotiedanimatorigiovanili. Di fronte ad un individuali-smocrescentechecorrodelerelazionidellaconvivenzaumanaealclimadirelativismodipensieroe.dicomporta-mentoincuinullaapparepiùcertoeconsistente,siavverteuna“pressanterichiestadiumanizzarel’ambienteso-cialeericostruirepuntidiriferimento,... recuperando il gusto della verità eilsaporedellaveralibertà”(Card.Ba-gnasco). Tuttoquestorichiederàchia-rezza di idee e di obiettivi, costanteimpegno e un tempo abbastanza di-steso,comed’altrapartesiproponeilprogettodecennaledellaChiesaitaliana,ancheperchéèalmenoda50annicheabbiamoassistitoalprogressivovenirmenodelcompitoeducativo.La parrocchia, ambito privilegiato per l’educazione La Comunità cristiana, in primo luogo la Parrocchiacheèil“voltoamicodellaChiesa”pergliuominieledonnecheabitano il territorio incuisicolloca,casadiDio inmezzoallecasedegliuomini,èunambitoprivilegiatoperquestoimpegnoeducativoperchéhatanteoccasionidiincontroconlepersone.Deveperòavereunachiaraefortecoscienzadiquellocheessaèedellasuamissione,unachiaraidentitàondenonrischiarediridursiastazionediserviziodelsacrooaunaholdingdiattivitàpastoralichevannoognunaperproprioconto. Ci viene incontro la felice coincidenza del CongressoeucaristiconazionalediAncona(settembreprossimo), favore-voleoccasioneperattingereallaEucarestia,che“fa” laChiesa,unachiaravisionedellasuaidentitàedellasuamissione. Ricordal’ApostoloPaolo:“poichéc’èunsolopanenoi,puressendoinmolti,siamouncorposolo:tuttiinfattiparteci-piamoallostessopane”(1Cor10,17).Èunachiaraesortazioneasentirsiparte,asentirsimembradiquestoCorpochehaperCapoCristoeincuisiamomembragliunideglialtri,cellulevive

diunorganismodacuiattingiamolagrazia,mainsiemevitali,cioèimpegnatiognunoperlasuaparteperlacrescitadeltutto. Nonc’èancoraintuttiicristianichepartecipanoall’Eu-carestiadomenicalequestacoscienzaepermaneuncertoindivi-dualismonellaricercaspiritualepersestessi. “Sirichiedeoggiunaavvertenzaesplicita:farepiùrete.Civuolemaggiorecollaborazioneeintesatraidiversieducatoridellecomunitàcristiane.NonèpensabilecheicatechistisenestannodaunaparteeglioperatoriCaritaseglianimatorisporti-videll’oratoriodaun’altra,quasichenoncifossedacondividerelastessapassioneeducativa”.(Card.A.Bagnasco) Vièun’altraparoladiGesùcheGiovanniciriportanelsuovangelo:“ilpanechedaròèlamiacarneperlavitadelmondo”(Gv6,51).

Non possiamo pensareall’Eucarestia se non pensandoall’umanità che deve accoglierla etrovareleoccasioniperquestaacco-glienza.Questociriportaall’esorta-zioneappassionatadellaChiesa ita-liana sulla “conversione missionariadellaparrocchia”,chiamatanonsoloa curare con attenzione e passionecolorochefrequentano,maapensa-re e farsi carico delle tante personeche stanno fuori del sagrato e sem-branoaverdimenticatoGesùCristopurcontinuandoasentirsicristiane. Siamo chiamati a sentirci

come i settantadue discepoli che Gesù manda avanti a sé perannunciarelapaceeprepararelasuavisita,chiamatiamettereafruttolecapacitàcheabbiamodiparola,dicarità,ditestimo-nianzaperchéilVangelofaccialasuacorsaegiungaallamenteealcuorediquantisonoamatidaDio.Educare tutta la persona “Senzadeporrelavestedelcredente...” ÈstatoforseilmessaggiopiùforteuscitodallaSettima-nasocialedeicattolici(ReggioCalabria14-17ottobre2010).Ilrelatore,prof.SavagnonedellaDiocesidiPalermo,hafortementeevidenziatochesevogliamousciredaquestoperiododicrisichetocca l’intero Paese, è necessario che i cattolici all’uscita dallamessanonlascinoinchiesalevestidelcredenteprimadiimmer-gersi nella vita quotidiana, onde diventare testimoni capaci diportareimessaggidiverità,giustiziaecaritàcoltinell’Eucarestianegliambientiovevivonoedoperano,famiglia,scuola,politica. Questo vale anche per i cattolici che frequentano lachiesachenondevono“smettere”levestidelcittadinoconivariproblemidellalorovitaprivataesociale,masaperliportarefi-duciosi nell’azione liturgica cosicché, rischiarati dalla luce delvangeloetrasformatidalmisteroeucaristico,acquistinoluceecoraggioperaffrontarlierisolverli.

PARROCCHIAluogo, occasione, ambito privilegiato

per tornare ad educare

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parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie

Dopo il Vangelo il primo punto di riferimento è il Concilio Vaticano II, dove troviamo un’ affermazione della Lumen Gentium: “...la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il se-gno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano.” (LG, 1). Una frase che non finiremo mai di medita-re. L’intima unione con Dio e l’unità di tutto il genere umano sono le coordinate della comunione verticale e della comunione orizzontale, che non si ferma a q u a n t i v i v o n o all’ombra del cam-p a n i l e , ma opera

come un fermento, un lievito, una primizia per tutta l’umanità. Occorre comprendere quello che è la Chiesa: segno e strumento di comunione, di unità. Il suo contrario è la divisione. È il diavolo che separa, si mette in mezzo, come dice la stessa etimologia del suo nome. Dove c’è odio, risentimento, separa-zione a livello personale, familiare, comunitario è evidente la presenza del diavolo. Questa comunione non è solo un fatto spirituale, ma an-che concreto. La Chiesa pellegrinante sulla terra e quella che abita la Casa del Padre non sono entità distinte, ma una unica realtà com-plessa, in cui tutti siamo parte facendo capo a Cristo, Redentore e Signore - una realtà vera, che è insieme umana e divina. Noi confessiamo nel Credo la Chiesa “una, santa , cattolica e apostolica” diffusa in tutta la terra. Nella Chiesa particolare o locale, che è la Diocesi, si ma-nifesta tutto il mistero della Chiesa, come afferma il Concilio: “il vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del suo gregge: da lui deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo. Perciò tutti devono dare la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale...” (SC n. 41) E dato che il Vescovo non può presiedere personalmente sempre e ovunque l’intero suo gregge “deve costituire necessa-riamente dei gruppi di fedeli, tra cui hanno un posto preminente le parrocchie organizzate localmente e poste sotto la guida di un pastore che fa le veci del vescovo: esse infatti rappresentano in certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra.”(SC n. 42) La Chiesa è resa dunque visibile e presente attraverso la parrocchia, che è la Chiesa “qui e ora”. Non dobbiamo mai dimenticare questa verità fondamentale. Qui si incontrano i cri-stiani, i battezzati che abitano quel determinato territorio, come la loro “casa comune”. Per non ridurre la parrocchia ad una sta-zione di servizio del sacro dove uno passa, chiede quello che ha bisogno e se ne va. La Parrocchia invece è il punto naturale di convergenza per tutti i fedeli e le diverse forme associative. Questa unione si riscontra soprattutto nel momento liturgico, nella celebrazione dell’eucarestia. La prima scuola di comunione, il primo luogo dove si impara a fare la comunione è la messa domenicale della parrocchia. È lì che si comincia. La cura della celebrazione do-menicale è di fondamentale importanza. Noi siamo quello che celebriamo. E celebriamo quello che siamo.

COSTRUIRE COMUNIONE

UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI”PARROCCHIE DI BOTTICINO

ORARI S.MESSE FEsTIvE DEl sABATO E vIgIlIA FEsTIvITA’

SERA CASA RIPOSO ore 16,15SERA VILLAGGIO ore 17,00

MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30SAN GALLO PARROCCHIALE ore 18,45

SERA PARROCCHIALE ore 20,00FEsTIvE DEllA DOmENICA E FEsTIvITA’

SERA PARROCCHIALE ore 8,00MATTINA SAN NICOLA ore 8,30SERA PARROCCHIALE ore 9,30

SAN GALLO PARROCCHIALE ore 10,00SERA PARROCCHIALE ore 11,00

MATTINA PARROCCHIALE ore 11,00MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30

SERA PARROCCHIALE ore 18,45

lUNEDI’CASA RIPOSO ore 17,00

MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00SERA PARROCCHIALE ore 20,00

mARTEDI’MATTINA SAN NICOLA ore 8,30

SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30SERA PARROCCHIALE ore 18,30

mERCOlEDI’SERA S.MICHELE ore 8,30

MATTINA MOLVINA ore 16,00SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30

SERA PARROCCHIALE ore 18,30

gIOvEDI’SERA VILLAGGIO ore 8,30

SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30MATTINA S.NICOLA ore 18,00

SERA PARROCCHIALE ore 20,00

vENERDI’SAN GALLO TRINITA’ ore 17,30

MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00SERA PARROCCHIALE ore 18,30

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Parlando di co-munione, è utile ricordare un para-grafo della lettera apostolica di Gio-vanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, che al n. 43 indica una piccola «summa» del significato della comunione. 1 “Fare del-la Chiesa la casa e la scuola della comunio-ne: ecco la grande sfi-da che ci sta davanti nel millennio che ini-zia, se vogliamo esse-re fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo. Che cosa signifi-ca questo in concreto?... Prima di programmare iniziative concrete oc-corre promuovere una spiritualità della comu-nione, facendola emerge-

re come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano... Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. “(NMI n. 43) Questo è il primo punto da cui partire: LA COMUNIONE SCATURISCE DAL MISTERO DELA TRINITÀ. Dio è comunione, è Padre e Figlio e Spirito Santo, tre Persone distinte ma talmente unite da essere un Essere solo. L’uomo è immagine di Dio e porta in sé come il “marchio di fabbrica” cioè la comunione. Così è stato creato maschio e femmina e la loro comunione è la famiglia, comunione che precede ogni altra comunità. Usiamo anche dire che la famiglia è una pic-cola chiesa e la parrocchia è la “famiglia delle fa-miglie”. Ma tutto questo lo teniamo presente nella nostra azione pastorale? Come nella famiglia non ci sono settori, anche se ognuno ha dei compiti diver-si, ma tutto converge in unità, così deve essere la nostra azione pastorale.

2 “Spiritualità della comunione signifi-ca inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come «uno che mi appartiene», per saper condivi-dere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia.”(NMI n. 43). Questo è il secondo punto: EDUCARE ALL’AT-TENZIONE AI POVERI, AGLI ULTIMI. Il catechismo non può prescindere da que-

sto. E nemmeno la liturgia. Che liturgia è se non promuove la carità?...Che catechesi è se non mi insegna a guardarmi intorno?...

3 “Spiritualità della comunione è pure ca-pacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un «dono per me», oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto.” (NMI n. 43) Questo è il terzo punto: FAR SENTIRE L’AL-TRO IMPORTANTE, RIUSCIRE A VALORIZZARLO. L’altro è un dono per noi.Qui c’è da fare un’osservazione sugli organismi di comunione che dovrebbero essere presenti in una parrocchia. A che punto sono i nostri consigli pasto-rali?...

4 “Spiritualità della comunione è infine sa-per «fare spazio» al fratello, portando «i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2) e respingendo le tentazio-ni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie.”(NMI n. 43) Questo è il quarto punto: FARE SPAZIO AL FRATELLO, favorendo tutto quello che è incontro, condivisione e collaborazione. Giovanni Paolo II conclude il paragrafo in questo modo: “Non ci facciamo illusioni: senza que-sto cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventereb-bero apparati senz’anima,maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita.” (NMI n. 43) Sono le indicazioni di marcia e i passi neces-sari per “costruire” una comunità, quella “casa di comunione” dove si incontra la famiglia di Dio.

parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi

PERCHE’ SIAMO TUTTI IN CRISTO “UNA SOLA COSA”

ULIVO E SALVEZZACon tanti rami d’ulivo, simbolo di pace Gesù entrò trionfante in Gerusalemme.C’era tanta gente che lo acclamava ed

osannava e sincera sembrava.Ma dopo pochi giorni la stessa gente che Lo osannava si scagliò contro di Lui e Lo

accusava, Lui che tanto amore e pace predicava.Penso che la grande passione di Gesù non era patire il male più grande, ma la ferita del cuore

vedendo l’indifferenza, il tradimento e l’abbandono.Mandato dal Padre per fare la sua volontà,

prende la croce e verso il calvario se ne va con umiltà,pur di salvare ogni uomo di ieri, di oggi e che verrà

e perdonare tutta l’umanità.Sicuro che con la risurrezione

in ogni cuore entrerà e chi lo segue si salverà.Pietro Stefana

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IL LOGO DELL’ANNO GIUBILARE

Una croce dentro il cerchio.Una parte della croce, quella a destra di colore nero, rappresenta S.TADINI, rintracciabile dall’inconfondibile ciuffo. Sono presenti nella composizione della croce due aspetti ulteriori:- la SACERDOTALITA’, rappresenta-ta dalla talare con i bottoni, che qui costituisce il corpo del Santo;- la STOLA, che assieme alla CROCE di colore rosso costitusce il motto di S.Arcangelo Tadini “la mia forza è la stola, la mia scienza è la croce”. Il tema della COMUNIONE è rappre-sentato dal perimetro - colore giallo -, che forma una particola con una croce al suo interno. Cristo, pane spezzato, unisce in comunione i suoi fedeli. Inoltre è rappresentata la SANTITA’, identificabile nell’aureola sopra il capo col ciuffo di Tadini-colore giallo.

basilica s.maria assuntasantuario s.arcangelo tadini

anno giubilare20 maggio 2011 / 21 maggio 2012

Il 20 maggio 2012 saranno 100 anni dalla morte del parroco S.Arcangelo Tadini. Per celebrare tale avvenimento il Vescovo indice uno speciale anno giubilare che avrà inizio il 20 maggio 2011 prossimo e terminerà l’anno successivo, il 21 maggio 2012 festa liturgica del Santo. Diocesi e Zona Pastorale, Parrocchie e Comune di Botticino con le varie presenze associative, e le Suore Operaie sono tutte le realtà impegnate nell’organizzazione di tale evento. S.Arcangelo è stato un parroco impegnato nella pastorale su molti fronti: da quello religioso (proprio del ministero sacerdotale) a quello sociale ma anche quello civico. Molte sono quindi le categorie di persone che potranno bene-ficaiare di questo Anno di Grazia:-I sacerdoti (non sono molti i parroci santi, forse in Italia è l’unico) per la loro conversione e l’amore all’Eucari-stia, la comunione fra i sacerdoti;-Le famiglie, in particolare per l’opera educativa dei ge-nitori nei riguardi dei figli;-Il mondo del lavoro;-Le congregazioni religiose femminili-Le varie categorie di persone che sono proprie dell’at-tività pastorale del parroco - Associazioni di volontariato religiose e civili...A breve verrà presentato il calendario delle iniziative.

Ora ci prepariamo all’inizio di questo anno con la Tadi-nifest 2011 dal titolo “Tutti per 1” per concludere con quella del 2012 dal titolo “100 per tutti”.

20 - 21 - 22 MAGGIO INIZIO

ANNO GIUBILARE

DOMENICA 22 MAGGIOTADINIFEST

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Nuove prospettive per la presenza delleSuore nella Scuola Materna di S. Gallo

Carissimi amici e fratelli di S. Gallo e dell’Unità pastorale di Botticino

Prima che trapelino voci, più o meno corrette e fondate, credo necessario comunicare a tutti, ufficialmente e con chia-

rezza, alcune informazioni riguardanti la Scuola materna di S. Gallo per la quale noi Suore Operaie siamo state costrette a ripensare la nostra presenza, ipotizzando una nuova modalità che non ne pre-giudichi il servizio ma lo permetta in altra forma, sia alla Scuola che alla Parrocchia. La comunità delle Suore Operaie giunge a S. Gallo nel lontano 1936, per cui da settantacin-que anni siamo presenti sul territorio come educatrici e assistenti dei bambini della Scuola materna, come animatrici nella pastorale parrocchiale in tutti i suoi aspetti, come presenza buona e portatrice di speranza per le famiglie e per gli ammalati. Fino agli anni cinquanta le Suore si sono dedicate anche alla colonia estiva per i ragazzi e per molti anni alla scuola di lavoro per le giovani. La presenza delle Suore Operaie a S. Gallo è stata considerata da sempre e da tutti una com-ponente essenziale della convivenza sociale e religiosa. Certamente tante persone di S. Gallo portano nel cuore il ricordo di alcune Suore particolarmente generose e instancabili nel servizio, attente e ap-passionate agli ammalati, ai poveri, ai bisognosi di ascolto e di comprensione, sorelle e madri di tutti, capaci di alleviare ogni sofferenza illuminandola con le certezze della fede. Chi non ricorda sr Carmela, sr Agnese, sr Elisa, sr Candida… sr Attilia? Penso che tanti potrebbero fare un lungo elenco di Sorelle semplici, ma meravigliose, potrebbero parlarci di tante Suore apprezzate per la ricchezza della loro umanità, donne cariche di amore e capaci di comunicare l’Amore di Dio a coloro che hanno avvicinato. Il tempo è trascorso veloce e gli anni sono passati inesorabilmente, tante Suore si sono suc-cedute nel servizio ai bambini, agli adulti, alle famiglie… alla Chiesa. Nel maggio del 1984 la gestione della Scuola materna passa al Comune di Botticino, ma le Suore restano per continuare lo stesso ser-vizio di educatrici/assistenti dei bambini e collaboratrici nella pastorale parrocchiale. In questi ultimi anni, anche l’impostazione della parrocchia è cambiata… e S. Gallo entra a far parte dell’ Unità pastorale di Botticino. Le Suore continuano la loro presenza nella scuola e nella pastorale, nonostante l’età e gli acciacchi che avanzano, continuano gli impegni di sempre. Alcune presenze però vengono meno per cui siamo costrette a pensare nuove forme di collaborazione. Il Consiglio della Congregazione si interroga a lungo sul da farsi e per far fronte a questa difficoltà giungiamo ad una decisione: la comunità delle tre Suore verrà ritirata da S. Gallo, ma non la-sceremo né la scuola, né la parrocchia. La suora attualmente assistente, continuerà il suo servizio ogni giorno rimanendo a tempo pieno nella scuola e facendo la pendolare, farà riferimento alla comunità delle suore operaie residenti al Villaggio. Con loro collaborerà all’impegno pastorale delle tre parroc-chie: S. Gallo, Botticino Sera, Botticino Mattina. Altre soluzioni non sono state possibili perché le nostre forze si assottigliano sempre di più e, pur riconoscendo di essere “privilegiate” per la presenza di Suore giovani nella nostra Famiglia religio-sa, dobbiamo ammettere che non riusciamo a sostituire quelle Sorelle che per motivi di salute devono ritirarsi dalle attività. Oggi, più che in altri tempi, ci rendiamo forse consapevoli dell’importanza dell’ invito di Gesù: “ La messe è molta e gli operai sono pochi, pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai alla sua messe”. Chiediamo insieme al Padrone della messe il dono di nuove vocazioni per la Chiesa, chiediamolo al Padre con insistenza e con fiducia, forti della promessa di Gesù: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aper-to…” ! Con l’augurio che ogni avvenimento della vita diventi opportunità di riconoscere la presenza di un Padre che tutto dispone per il bene di ognuno, auguro a tutti Buona Pasqua!

Sr Emma Arrighini Superiora generale delle Suore Operaie S.C.N.

Brescia, 21 Marzo 2011

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una nuova cooperativa di lavoro a Botticino Gli scenari del mondo del lavoro stanno ormai da alcuni anni posizionandosi su una contrazione della domanda di fronte ad una mirata professionale richiesta.Sempre di più si assiste ad un ingresso tardivo dei giovani nel mondo del lavoro e spesso con destinazione diversa dai loro studi ed indirizzi. A questo si aggiunge l’espulsione mirata di risorse che nonostante l’età non elevata (52/58) vengono ritenuti obsoleti dal mercato del lavoro.

L’Unità Pastorale “S.Arcangelo Tadini”, delle parrocchie di Botticino, vuole pro-vare a dare alcune risposte in merito alla gestione del mondo del lavoro ed insieme ad alcuni soggetti “volenterosi “ vuole provare a costituire un soggetto giuridico di stampo cooperativo, dove iniziare a dare senso di inclusione al mondo della ricerca del lavoro, dove si provi a diminuire la disoccupazione giovanile e dove si sperimen-tino recuperi di risorse lavorative definite obsolete (in quanto escluse in anticipo dallo stesso mondo) dandogli speranze di nuovo corso lavorativo e sociale. Molti sono gli appezzamenti di terreno, una volta vigneto, non più coltivati; altri in via di abbandono; il patrimonio boschivo, con tutta la sua ricchezza potenziale di lavoro, a Botticino non manca; una volta Botticino era considerato il giardino di Brescia.

Il segmento lavorativo, quindi, in cui si vorrebbe inserire il nascente soggetto giuridico potrebbe essere tra i seguenti elencati:

• Valorizzazione del patrimonio boschivo ed agricolo (in particolare vigneti)• Informativa sul lavoro agricolo• Ripresa dei vecchi metodi sulle culture antiche • Percorsi scuola-agricoltura per dare senso alla nostra vita

Tutti questi argomenti ed eventualmente altri che si vorranno inserire neces-siteranno di passare al recupero di terreni agricoli e boschivi che potranno essere conferiti alla nascente cooperativa tramite alcune forme che di seguito vengono elencate:

• Comodato gratuito• Comodato oneroso in denaro• Comodato oneroso in opere • Conferimento gratuito• Vendita dell’appezzamento agricolo

La popolazione è invitata a dimostrare la propria disponibilità in merito alle ri-chieste sopra elencate, per poter favorire l’inizio del percorso di attività lavorativa.

Tale richiesta viene rivolta anche all’ente pubblico, chiedendo la disponibilità a conferire (modi e metodologie da definire) zone boschive incolte per poter poi insieme partecipare alla fondazione del soggetto giuridico.

Quantifosserointeressatiafarsichequestosognopossadiventarerealtà,condi-videndoneilprogettoelefinalità,mettendoadisposizioneterreni,oaltro.....echièincercadiunaoccupazionelavorativasonoinvitatiarivolgersialparroco,aBusiAvelino,aTregambeGiuseppeePratiElisiocheanomedelConsiglioUnitàPastoralesonoire-ferentidelprogetto.

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Le feste della fede. L’anno liturgico riscoperto in famiglia

IL TRIDUO PASQUALEnel cuore dei 3 giorni

smarrito in una misteriosa regioneEmil Nolde è stato un pittore d’avan-guardia della prima metà del Nove-cento. Si può considerare uno dei pa-dri storici dell’espressionismo. Come dice la parola stessa, l’idea di fondo della pittura espressionista è quella di mettere gli strumenti dell’arte a servizio del bisogno del sentimento umano di uscire dal limitato con-tenitore dell’esistenza, in modo da esprimersi con tutta la sua potenza sensibile. Per fare questo l’espres-sionismo punta molto sul colore, che usa in modo elementare, immediato, violento. Emil Nolde negli anni dieci del Novecento tentava di riscrivere l’iconografia cristiana con gli stru-menti dell’espressionismo. In questa

ultima Cena il tasto privilegiato non è certo quello della gradevolezza formale. Tutto al contrario, è costruito in modo da trasmettere un senso di intensità pungente, di gravità quasi allucinata, una specie di silenzioso incendio emotivo. Come si vede, la rude materia pittorica, incendiata dai toni acidi delle carni giallastre, immette una so-spesa elettricità in questa scena in cui Gesù sembra smarrito in qualche regione parallela del tempo. I sentimenti acuminati che devono dominare un momento come questo sono perfettamente resi dai volti carichi delle maschere umane che circondano l’estasi del maestro.

CENA, CROCE, RESURREZIONE

Nel nostro percorso sulle feste cristiane, stiamo per raggiungere la vetta dell’Anno Liturgico, il Triduo Pasquale. Come per ogni ascesa che si rispetti gli ultimi passaggi sono anche i più impegnativi. Proviamo a specificarli:· Giovedì Santo. Si conclude in mattinata, con la Messa presieduta dal vescovo, il percorso quaresimale. La sera c’è la celebrazione “In coena Domini”. Queste le note:- L’intimità della cena, l’ombra di un tradimento.- Il gesto della lavanda dei piedi, il rovesciamento di un rapporto (il maestro e Signore svolge il ruolo di servo).- La decisa volontà di donarsi a costo della vita. Tutto questo è espresso nella frazione del pane e nel far passare il calice.· Venerdì Santo. Si compiono eventi tragici: un arresto, un processo, la crocifissione. Tutto ciò è narrato dalla Liturgia della Parola. Poi tutto tace. La sposa indossa l’abito del lutto. Contempla con amore la croce.· Sabato Santo. Al mattino tutto tace, è in attesa. La sera c’è la madre di tutte le veglie. Si prepara il fuoco. Ogni fedele accende una candela a Cristo che è luce. Si narra la storia di salvezza. Si canta il Gloria. Si sciolgono le campane. Si celebrano i sacramenti dell’iniziazione che culminano nell’Eucarestia. Cristo passa da morte a vita e noi con lui.

(Emil Nolde, Das Leben Christi, 1911-1912, Particolare, Ultima Cena)

L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TRIDUO PASQUALE- NEL CUORE DEI TRE GIORNI - L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TRIDUO PASQUALE- NEL CUORE DEI TRE GIORNI

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L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TRIDUO PASQUALE- NEL CUORE DEI TRE GIORNI - L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TRIDUO PASQUALE- NEL CUORE DEI TRE GIORNI

Dalla Pasqua Settimanale alla Settimana Santa

Abbiamo più volte ricordato il fatto che, per la Chiesa delle origini, la vita della grazia si incarnasse in una costruzione rituale del tutto semplice ed elementare. La forma base della liturgia, come sappiamo, era co-stituita dalla celebrazione pasquale ripetuta ogni otto giorni. Diversi passi evangelici portano ancora le trac-ce di quella antica semplicità. Ogni domenica, il miste-ro cristiano veniva celebrato nella sua completa sintesi pasquale. La Messa della domenica, come ci esprime-remmo oggi, era il tutto della liturgia, l’ottavo giorno permanente della vita rinata nel nome di Cristo, la con-tinuativa azione di grazia compiuta nel presente dal Si-gnore Risorto. In questa elementare costruzione liturgi-ca, in cui ogni domenica era Pasqua, persisteva come l’idea di un continuo presente tenuto vivo dall’azione dello Spirito nella liturgia. L’idea era che Gesù vive nel-la sua comunità, qui e ora, e la liturgia costituisce la modalità di questa presenza.

La prassi liturgica delle comunità cristiane, ancora molto legate alla loro origine ebraica, ha poi sentito il bisogno di non perdere il legame di questa Pasqua continua della vita cristiana con il carattere di evento storico in cui la Pasqua si è determinata. Questo era anche un modo per conservare, nella nuova liturgia pasquale cristiana, la perenne validità dell’antica pasqua dell’Esodo.

La Pasqua annualeNasceva così l’esigenza di vedere, nella celebrazione della Pasqua, non solo il continuo presente della grazia, ma anche la memoria dell’evento su cui questo presen-te si fondò. Il modo di esaudire questo bisogno è stato l’introduzione di una celebrazione annuale dedicata alla «memoria storica» dell’evento pasquale, quasi in forma di anniversario. Per molto tempo le Chiese hanno anche usato dei criteri diversi per stabilire la data in cui cele-brare la Pasqua. La Chiesa di Roma e quella africana sceglievano la domenica immediatamente successiva al primo plenilunio di primavera. Le Chiese del medio oriente, più legate alla memoria ebraica della Pasqua, sceglievano il quattordicesimo giorno della prima luna di primavera. Queste due scelte rappresentavano anche delle diverse accentuazioni teologiche relative al miste-ro pasquale. La prima metteva in risalto l’aspetto glorio-so e salvifico della pasqua. La seconda, coerente con il tema anticotestamentario del «passaggio», enfatizzava il ricordo della passione. Furono i Padri della Chiesa, in particolare la teologia di Agostino, a sintetizzare i due punti di vista teologici interpretando la Pasqua come un transitus per passionem, nel senso di una rinascita del cristiano all’autentica vita spirituale conquistata gra-zie al passaggio operato da Gesù nella sua passione. Nel 325 il concilio di Nicea aveva del resto già stabi-lito come data comune della Pasqua la prima domenica dopo la luna piena che segue l’equinozio di primavera.

Un ulteriore arricchimento della memoria liturgica della Pasqua sarebbe stato generato da alcune pratiche legate alla Chiesa di Gerusalemme che, sui luoghi stessi della vita di Gesù, aveva cominciato a ricordare ritualmente i diversi momenti della Pasqua: l’ultima cena, la passio-ne, la risurrezione. Sui presunti luoghi storici di questi fatti si erano infatti costruite altrettante chiese che erano diventate le stazioni di un percorso liturgico destinato a sviluppare in senso storico le tappe dell’evento pa-squale. L’evidente suggestione di queste liturgie «com-memorative», amplificata dal prestigio della Chiesa di Gerusalemme e dal fascino dei luoghi santi, avrebbero dato la spinta alla generalizzazione di questa invenzio-ne, mettendo le basi per quella che poi sarebbe diventata la Settimana Santa.

Una riscoperta recenteLa Chiesa patristica aveva degli strumenti teologici formidabili per condensare nelle liturgie pasquali, or-mai già articolate nella loro scansione ternaria, i gran-di temi di sostanza della coscienza pasquale cristiana. In particolare, se si deve dire in sintesi, aveva trovato una stupefacente traduzione liturgica del rapporto fra memoria dell’evento pasquale e celebrazione della vita battesimale. Voleva dire che, attraverso la forza simbo-lica della liturgia, la nuova vita del Cristo risorto diventa il principio attivo della nuova vita del discepolo. Tutti sanno infatti come, per esempio, la grande Veglia Pa-squale della Chiesa antica fosse dominata dai rituali di ingresso dei catecumeni nella pienezza della comunio-ne battesimale. Quando la riforma liturgica del Concilio Vaticano II si è posta il problema di riportare i tre gior-ni della Pasqua alla loro natura specifica non ha potuto perciò che ritornare alla grande sapienza di quella tra-dizione, consegnandoci così il rinnovato spartito della grazia dei tre giorni.

Come e perché si è passati dalla domenica, come nucleo originario, alla celebrazione annuale della Pasqua, allo spartito della grazia dei tre giorni?

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Giovedì, Venerdì, Sabato santo sono tre tappe di un unico evento. Pongono

al centro rispettivamente la dedizione incondizionata, l’esperienzadell’invisibilità di Dio, la rilettura di una storia d’amore.

Giovedì Santo: il sigillo della dedizione divinaAbbiamo cercato di capire, nel capitolo dedicato all’«in-venzione» liturgica dell’Eucaristia, il senso dato da Gesù alla cena che ha preceduto la sua morte. Ci si ricorderà che in essa Gesù dava gli strumenti spirituali adeguati per prepararsi a comprendere il senso della sua morte scandalosa. La liturgia del Giovedì Santo traduce quel-le intenzioni, innanzitutto enfatizzando la naturale fon-dativa di quella cena. L’Eucaristia del Giovedì Santo, con il linguaggio della tradizione, si chiama appunto in Coena Domini. In ogni Eucaristia, nel canone, precisa-mente alle parole consacratorie, ci si riferisce all’ultima cena. Ma quella del Giovedì Santo è l’unica Eucaristia dell’anno a definirsi con esplicito riferimento alla Pa-squa di Gesù nel cenacolo. Nella Preghiera Eucaristica II infatti si prescrive, per questa sola Eucarestia, l’ag-giunta dell’espressione «Egli, in questa notte». Questa particolare enfasi eucaristica ha lo scopo di mettere in primo piano il nuovo senso che Gesù dà al sacrificio. Nell’alleanza tra Dio e l’uomo, se c’è qualcuno che si deve sacrificare, questi è Dio stesso. La dignità della vita risplende, non dove qualcuno mette al sicuro la propria

vita a scapito di quella degli altri, ma quando qualcuno, pur di prendersi cura della vita degli altri, mette in gioco la sua. Questo nuovo senso dato da Gesù al sacrificio esprime nello stesso tempo la verità dello stile di Dio e quella del destino dell’uomo. Il gesto di lavare i piedi, ripetuto ritualmente nella liturgia, per quanto edulcorato dalle nostre interpretazioni infantilizzanti, è la versione giovannea di questo principio. Su questo fondamentale criterio di dedizione Gesù pone il suo sigillo che è nello stesso tempo la porta d’ingresso al senso della Passione.

Venerdì Santo: eloquenza dell’indicibileIl Venerdì Santo, come tutti sanno, si partecipa a una «azione liturgica», non si celebra l’Eucaristia. Viene messa in scena l’esperienza dell’invisibilità di Dio. Si tratta di rivivere lo sconcerto dei discepoli di fronte allo spegnersi dell’aura gloriosa attorno al corpo umiliato di Gesù. Anche la liturgia si spoglia, depone i suoi segni, agisce nella completa nudità. Niente musica, niente Eu-caristia, nessuna gioia. Restano la sconcertante procla-mazione di un racconto che parla di una morte ignomi-niosa e un gesto di adorazione all’ambiguo simbolo del Crocifisso. Davvero noi cristiani sappiamo vedere la po-tente grazia di Dio nell’esposizione terrificante di questa estrema perdita di umanità? Ma il paradosso è proprio qui. Esiste uno splendore che emana, non dalla perfe-zione di una forma armoniosamente intatta, ma proprio dalla straordinaria eloquenza di una forma che accetta di rompersi. Ci sono gesti di sacrificio che feriscono il cor-

La larva umana del CrocifissoDopo il terrificante crocifisso dipinto da Grunewald nel 1514, è difficile, nella pit-tura del nord Europa, affrontare il tema senza riferirsi a quel capolavoro di arte drammatica. Anche Emil Nolde lo fa di-pingendo la pala centrale del suo politti-co sulla vita di Cristo. Da esso trae chia-ramente una composizione nella quale la larva umana del Crocifisso si trova appe-sa nel vuoto, con le braccia stirate verso l’alto, mentre le dita delle mani si inchio-dano con meccanica involontarietà. Al truce senso del dettaglio dell’antico pitto-re, Nolde però sostituisce la fosforescen-za di colori allucinati che costruiscono le figure senza bisogno del disegno, renden-dole così ancora più impressionanti. Si aggiunge a questa potenza grezza del co-lore l’insolente semplicità delle forme, il loro inquietante infantilismo, il quale tut-tavia contribuisce al senso di terrore che questa scena deve ispirare. Il dolore del-le donne e del discepolo si trasforma in qualcosa di patetico. Il cinismo dei soldati diventa una sorta di celebrazione amara

dell’animalità umana. Tutta l’orrenda banalità del male è impressa in questa pala stupefacente con una precisione che le edulcorate immagini sacre dell’epoca (ma anche quelle della nostra) non sanno nemmeno sospettare.

LA GRAZIA DEI TRE GIORNI

(Emil Nolde, Das Leben Christi, 1911-1912; Particolare, Crocefissione)

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creativa-mente per attivarsi in famiglia genitori e figliUn cammino in 3 tappe1. Apriamo gli occhiOsserviamo L’Ultima Cena dipinta da Emil Nolde:· Un cerchio di volti. Il più riconoscibile è quello di Gesù. Egli regge il calice che diventa il centro del dipinto. Si intravede una tavola. I colori accesi ci danno l’idea di un evento drammatico che incombe. Ci chiediamo:a) Quali sentimenti proviamo? b) Che cosa vorremmo dire a Gesù?Osserviamo la seconda immagine dello stesso autore:· Tre figure appese alla croce. Al centro sta Gesù, coronato di spine. · A sinistra in basso ci sono le figure della solidarietà e compassione (Maria, Giovanni); a destra quelle della derisione.Ci chiediamo: Che cosa ci comunica questo strano e impressionante dipinto?2. Apriamo le orecchie e il cuoreLe due immagini ci lasciano perplessi. Abbiamo bisogno di una rivelazione per capire.In queste pagine si racconta come si sia passati, nella storia della liturgia cristiana, dalla domenica alla Pasqua annuale, alla Settimana Santa, al Triduo. Ecco la luce che ci occorre! Dobbiamo interpretare tutto a partire da questo evento: Dio ha fatto risorgere Gesù. Proviamo allora a comprendere i riti culminanti dell’anno liturgico:· Il Giovedì Santo. Il Signore si inginocchia di fronte agli uomini.· Il Venerdì Santo. È certo giorno di lutto per la Chiesa-sposa. Le viene tolto il Signore. Ella ne rilegge la pas-sione. Ha due volti: è sconfitta e morte; è “passione”, amore ardente per l’uomo.· La Veglia Pasquale. È il “passaggio” in tutti i sensi. Cristo risorge. È luce che illumina.3. Attiviamo il corpo· Il Giovedì Santo portiamo all’altare il frutto del nostro digiuno. Spezziamo il pane durante un pasto di questo giorno e ricordiamo il gesto di Gesù. Lasciamoci educare dal gesto della lavanda dei piedi . Sostiamo in silen-zio di fronte all’Altare della Reposizione.· Il Venerdì Santo. Prestiamo ascolto alla narrazione della Passione. Verifichiamo se in casa nostra ci sia un crocifisso. Come singoli o come famiglia sostiamo in contemplazione. Pratichiamo il digiuno o l’astinenza.· Il Sabato Santo. Eliminiamo dalla casa ciò che sa di vecchio. Prepariamoci alla Veglia con la Penitenza sa-cramentale. Partecipiamo alla grande Veglia. Accendiamo la candela al cero pasquale. Attingiamo dall’acqua, posta al centro del presbiterio. Ogni papà potrà poi benedire la mensa, a Pasqua.

po, ma da cui non si riesce a staccare gli occhi. In questa esperienza si conserva qualcosa di universale. Proprio per questo, al Venerdì Santo la preghiera della Chiesa è davvero per tutti.

Sabato Santo: il riscatto di un’alleanzaLa Veglia pasquale è una specie di riunione di famiglia nella quale tutti tornano a casa e per una sera stanno at-torno al fuoco a raccontarsi per l’ennesima volta le sto-rie che fanno di ciascuno un fratello di tutti. Il senso di un’alleanza promessa da Dio agli uomini che, nella mor-te di Gesù, sembrava infranta per sempre, appare defi-nitivamente affidabile, chiedendo di guardarsi indietro con occhi nuovi. Tutto viene fatto vivere attraverso quat-tro liturgie che sono come la sintesi dell’idea cristiana del rito. Una liturgia della luce apre la Veglia facendo rivivere l’inaudita esperienza del corpo spirituale del Cristo risorto. Il cero entra nella chiesa buia come Gesù dovette sconvolgere la notte interiore dei suoi discepo-li scoraggiati. La forza simbolica di questo segno, se è fatto bene, è magnetica. Basta una fiamma a distrugge-re il buio. Le risonanze emotive sono immediate. Con questa luce negli occhi, che è l’illuminazione della fede pasquale, prende inizio la liturgia della parola, insolita-mente prolungata. Essa ha come lo scopo di riprendere da capo tutta la storia della salvezza alla luce della fede pasquale. Tutto improvvisamente diventa chiaro. Si pro-clamano dunque sette letture che parlano nuovamente del Dio creatore, del Dio liberatore, della sua presenza profetica nella storia, della sua atavica amicizia con le generazioni, del suo modo di annunciarsi nella storia, fino alla sua inaudita rivelazione nella risurrezione di Gesù. Dopo essersi nuovamente immersi in questa sto-ria comune del Dio di Gesù con la storia degli umani,

una liturgia battesimale celebra, attraverso il simbolo dell’acqua, la nuova vita nella qua-le tutta la comunità viene trasformata dallo Spirito di Gesù. L’assemblea infatti è come il secondo corpo umano di Cristo. Come il suo capo e maestro, anch’essa muore e risorge simbolicamente, per trasformarsi in una co-munità di persone che vivono già in Dio. In questa simbolica rinascita comunitaria viene ospitata anche l’azione iniziatica del battesi-mo dei catecumeni. La veglia si chiude con la Liturgia Eucaristica che esprime la definitiva condizione fraterna in cui ai cristiani è dato vivere nella storia, come grazia anticipatrice della sua perfetta realizzazione oltre i confini del tempo.

Tre tappe di un unico eventoIl principio della scansione cronologica dei tre giorni rischia di gerarchizzarli secondo criteri del tutto parziali. Valga su tutto la co-statazione che la forza affettiva del Venerdì Santo, per delle ragioni che attengono anche alla storia del folklore, prevale normalmente sulla forza spirituale delle altre due liturgie. In realtà la grazia dei tre giorni è profonda-mente legata alle loro reciproche connessio-ni. L’evento pasquale in realtà è uno solo. Le tappe attraverso le quali per noi diventa assimilabile non devono presentarsi come prestazioni intercambiabili. Tutto è sempre in ciascuna di esse, come ognuna di esse ha la sua verità nella relazione con il tutto.

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L’EMOZIONANTE ESPERIENZA DELLA PASQUANel Tempo Pasquale il discepolo può assimilare il senso della vita, morte e resurrezione di Gesù. Purtroppo l’attenzione resta galvanizzata su enfatiche celebrazioni di appartenenza sociale.Tanto per trasformare in pettegolezzo qualche aspetto delle abitudini pastorali delle nostre comunità, è interessan-te notare come, di tutti i passaggi liturgici dell’anno, il Tempo Pasquale sia quello di cui si ha meno consapevolezza e a cui si dedicano le minori cure. Esso in realtà viene consumato dall’ingombrante messa in scena delle grandi oc-casioni sacramentali dell’iniziazione cristiana. Si avrà anche l’occasione di riflettere, per quel che sarà possibile, sul contesto intimamente pasquale della loro celebrazione. Ma si può francamente ammettere l’oggettiva pesantezza rituale di appuntamenti liturgici abbondantemente dominati da enfatiche logiche di appartenenza sociale. La loro presenza, che dovrebbe apparire precisamente il frutto più eloquente del tempo legato alla grazia pasquale, finisce in realtà per oscurarne non solo il senso, ma anche la percezione effettiva. Chi, fra eccitate prime comunioni e

L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TEMPO DI PASQUA- SEGUIRE E IMITARE GESU’ - L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA - IL TEMPO DI PASQUA- SEGUIRE E IMITARE GESU’

Giotto, Ascensione 1303-1305; Padova, Cappella degli Scrovegni

Il tempo di PasquaLA DOMENICA

SENZA TRAMONTOAbbiamo parlato, nelle pagine precedenti, di arrivo in vetta (la Veglia

Pasquale). Ora bisogna sostare, godere il panorama nei 2 versanti (i 40 giorni della Quaresima, i 50 giorni del Tempo pasquale).

Gesù è entrato nel mondo del Padre. Con i segni della passione vive immortale. Noi celebriamo il Tempo di Pasqua.

Ha queste note caratteristiche e inconfondibili: · Dura 50 giorni.· Si estende dalla Domenica di Risurrezione ai secondi vespri della Pentecoste.· È da considerarsi come una serie di giorni festivi o, per esprimerci con

il linguaggio della liturgia, come una domenica senza tramonto.Le “attività” del Tempo Pasquale sono queste: attingere (dal costato trafitto di Cristo), rimanere (nella vite

che è il Signore), gioire. · Paradossalmente è il tempo meno sentito nelle nostre comunità.

VERSO LA GRAZIA DI UN DESTINO COMUNESi è definitivamente spento il cielo dorato e ideale della pit-tura bizantina. Questo è un cielo vero, aggressivamente bluastro, una grande scato-la cartesiana nella quale sia possibile tratteggiare la rotta di un corpo che la attraversa in volo. Perché anche il Miste-ro dell’Ascensione, metafora evangelica per esprimere l’idea di un ritorno del Verbo nell’oriz-zonte della vita teologale, pos-siede qui tutta la concretezza di una fisica del moto. Persino le nuvole servono a dire che Gesù dovrà pur appoggiare i piedi da qualche parte se non vuole cadere di sotto. Quello di Cristo difatti è un corpo vero. Sono corpi perfettamente tangi-bili anche quelli dei molti giusti che, prelevati direttamente da-gli inferi, sulla scia di Gesù, si protendono verso il cielo, verso la grazia di un destino comu-ne, per il quale, a nome di tutti, il Cristo ha preparato il posto. Sono corpi anche gli apostoli e Maria, combattuti fra lo stupo-re per la scena che li sovrasta e l’ascolto di due angeli vesti-ti come diaconi del Trecento. Il nimbo dorato che circonda le loro teste non fa che mettere in risalto la tornitura plastica dei loro splendidi volti umani. La terra, infine, è proprio terra, bruna, bitorzoluta, irregolare. È il mondo che l’uomo sa di do-ver calpestare, anche con gli occhi rivolti al mondo di un Dio pieno di sorprese.

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L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TEMPO DI PASQUA- SEGUIRE E IMITARE GESU’ - L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA - IL TEMPO DI PASQUA- SEGUIRE E IMITARE GESU’indolenti cresime, si accorge del Tempo Pasquale?A questa prima osservazione se ne potrebbe aggiungere un’altra. Essa riguarda il Tempo Pasquale come itinerario. Mentre il nostro impegno pastorale si accanisce, con dovizia di strumenti e profusione di energie, nel dare la forma di itinerario all’Avvento e alla Quaresima, lascia assolutamente privo di una reale strutturazione pastorale il Tem-po Pasquale, le cui coordinate evangeliche sono le uniche ad essere già pensate come un cammino. La Scrittura evangelica su questo è di una trasparenza totale. Il vero cammino del discepolo si apre nell’istante dell’emozionata esperienza della Pasqua, prendendo la forma di un’esigenza di assimilazione del mistero che richiede il suo tem-po e richiama ai suoi punti fermi. La stessa testimonianza evangelica, nel senso proprio del Vangelo scritto, non è altro che il frutto di questo cammino. In esso il discepolo è chiamato ad assimilare lentamente, alla luce della resurrezione, il senso della rivelazione di Gesù: vita, morte e miracoli. Nel nostro organigramma pastorale invece questo tempo rimane la coda evanescente di una Pasqua già a rischio di essere semplicemente il grande titolo di coda dell’imponente impegno della Quaresima.

Assimilare l’esperienza della PasquaEppure lo spartito liturgico sarebbe di una ricchezza esorbitante. Attraverso la scelta delle Scritture infatti esso ri-avvia, a beneficio del discepolo di oggi, il processo di rilettura cristologica della vicenda storica di Gesù. Vuol dire che si capisce l’identità teologica di Gesù solo riguardando la sua vita alla luce dell’evento pasquale. La convinzione che Gesù fosse davvero il Figlio di Dio è stata veramente e coscientemente possibile ai suoi discepoli solo dopo la Pasqua e solo dopo un lungo processo di rivisitazione della loro esperienza. Si saranno trovati sovente a dire cose del tipo «Adesso capisco che cosa intendeva veramente quando diceva che se il chicco di grano non muore…», oppure «Adesso capisco che cosa intendeva fare quando ha restituito la vista a quel cieco…». Il frutto di questi pensieri è la sostanza di cui è formata la fede e la materia di cui è costruito il Vangelo. Naturalmente questo cam-mino di rilettura non è un tempo infinito. La tradizione evangelica dice che si è trattato di cinquanta giorni. Non è il numero che conta. Tutti sanno che il cinquanta è un numero simbolico. Quello che conta è l’idea che sia un frammento di tempo determinato che ha un inizio, un processo, una conclusione. Il tempo di Pasqua, queste sei settimane che dalla Domenica in Albis arrivano fino alla Pentecoste, similmente ai discepoli di allora, ci prendono per mano e ci accompagnano alla scoperta del mistero pasquale secondo due temi precisi: il primo è la questione dell’identità del Cristo e il secondo è la natura della nuova vita nella Grazia.

Tenuti per mano dai testimoniDovrebbe darci qualche sospetto il fatto che a dominare la Li-turgia della Parola del Tempo di Pasqua, oltre ai racconti d’ap-parizione, sia la grande meditazione pastorale che l’evangelista Giovanni mette in bocca a Gesù durante l’ultima cena (Gv 13-17). Questo lussureggiante catalogo di metafore cristologiche (io sono il pane, io sono la vite, io sono il buon pastore, io sono la via, la verità, la vita), che dà l’idea di esprimersi in una forma talvolta esoterica, involuta, coscientemente elaborata, è il do-cumento più impressionante dello sforzo dei discepoli, e delle comunità di cui essi sono i riferimenti apostolici, di compren-dere per quanto umanamente possibile il profilo del mistero di Cristo. Giovanni fa dire a Gesù quello che in realtà lui è riuscito finalmente a capire dopo un laborioso itinerario di comprensio-ne. Questo non significa che Gesù non abbia mai pronunciato quelle parole o usato per sé quelle metafore. Vuol dire che l’evan-gelista le mette per iscritto in questa forma solo quando e solo perché lui è riuscito a capire il vero senso in cui Gesù le aveva usate. Ha capito cioè che in molti modi e molte volte Gesù aveva lasciato intendere di essere il Cristo. Ma allora erano sembrate metafore curiose. Solo dopo la Pasqua il discepolo intende che esse riflettevano una realtà ben più profonda. Ogni domenica la liturgia fa ascoltare la voce del discepolo diventato apostolo ed evangelista perché la sua testimonianza scritta è il binario sul quale può correre l’itinerario di assimilazione e di comprensio-ne del discepolo di oggi. Quello che si cela dietro i grandi gesti profetici e taumaturgici di Gesù, presentati nelle domeniche di Quaresima, deve diventare chiaro grazie alla nuova coscienza data dalla Pasqua. Gesù non semplicemente moltiplica il pane per la fame della gente: Egli è il pane della salvezza umana. Gesù non solo indica delle vie di sapienza: Egli è la via. Gesù non semplicemente parla autorevolmente di Dio: Egli è Dio. Senza questo cammino di rilettura, ben pilotato dalla testimo-nianza evangelica, il cammino di quaresima rischia per esem-pio di arrestarsi su di un piano puramente morale, se non mo-ralistico. Il compito del discepolo è giungere alla confessione di Gesù come il Cristo Figlio di Dio. Si dovrebbe diventare più consapevoli di questa logica e dare una forma corrispondente all’itinerario liturgico che la incarna.

Le “attività” del Tempo Pasquale sono queste: attingere (dal costato trafitto di Cristo), rimanere (nella vite che è il Signore), gioire.

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LO SCAMBIO DEI DONIAscensione e Pentecoste sono la parola ultima detta da Dio sul-la trasformazione della storia. Grazie alla Pasqua, anche Dio è umano e qualcosa di Dio resta nel mondo

Il Tempo Pasquale prepara anche a capire il senso ultimo della vita di Grazia garantita dalla Pasqua di Gesù alla storia umana. Esso, nel suo conte-nuto teologico più profondo, viene da sempre custodito e insieme esibito nelle due grandi tappe conclusive del tempo pasquale: l’Ascensione e la Penteco-ste. Non va ripetuto che ad esse si sovrappone quasi sistematicamente la scan-zonata euforia con cui si celebrano i sacramenti dell’iniziazione. Ma quando per miracolo rimangono libere, esse alimentano l’imbarazzo delle occasioni poco «predicabili», quelle nelle quali al «tema del giorno» non si riesce a dare una consistenza attualizzatrice, delu-dendo più che le attese dei fedeli le ansie di prestazione dei celebranti. Normalmente finisce che queste due splendide tappe pasquali siano l’occasione di tonitruanti coreografie rituali. Ascensione e Pentecoste potrebbero essere invece il vertice del cammino pasquale come una parola detta sulla reale trasformazione della storia da parte della nuova Alleanza stipulata nel corpo di Cristo. L’Ascensione custodisce difatti l’idea che per Gesù il corpo umano nel quale si è incarnato non è stato, come avrebbero voluto i monofisiti e i docetisti del cristianesimo antico, una sorta di travestimento tattico in vista di una migliore comunicazione con la limitatezza degli umani, di cui Gesù si sarebbe disfatto appena venuta meno l’esigenza della sua missione. La natura umana, fatta di carne e di sangue, è al contrario per Gesù un orgoglio da cui è deciso a non separarsi e che, appunto, porta con sé nel suo pieno ritorno nel grembo dei legami divini. Gesù sale al cielo, ritorna in Dio, conservando per sé il suo corpo di carne, rimanendo pienamente un essere umano. Con espressione evidentemente imprecisa, ma utile a darci l’idea dell’importanza del tema, potremmo dire che, grazie alla Pasqua di Gesù, c’è un uomo in Dio, anche Dio è umano. L’Ascensione non sollecita perciò facili ed eccitate ammirazioni per l’effetto paranormale di una sparizione miracolosa verso cieli misteriosi. Richiama il senso ultimo dell’incarnazione. Lo dichiara irrevocabile. Ne suggerisce la conseguente elevazione della carne umana a vero luogo di incontro dell’uo-mo con Dio. Persino Dio ha della carne umana presso di sé.

UNA VOLIERA APERTA ALLO SPIRITO

Giotto di Bondone può essere considerato uno dei padri del-la pittura occidentale. Il gesto

con cui inaugura il suo corso è l’esplicito abbandono dell’ideali-smo bizantino. Giotto, traducen-do la pittura dal greco al latino,

insegna alla nostra cultura a conferire volume al mondo e

corpo alle figure. Il suo realismo è ciò che consente di introdurre

nella pittura il prodigioso uni-verso psicologico della natura

umana. Compiendo questa rivo-luzione a partire da temi sostan-zialmente sacri, quella di Giotto si può anche definire una nuova

incarnazione del Vangelo cristia-no, come principio attivo della

cultura universale. In questo affresco, Giotto mette in scena

il prodigio della Pentecoste. Spalanca le pareti del cenacolo facendolo diventare una specie

di voliera aperta, nel quale lo Spirito sia libero di spruzzare dal

cielo le sue insanguinate lame di fuoco e l’osservatore abbia il

dono di penetrare con i propri occhi la grazia sospesa di questo evento. Qualcuno degli apostoli volta la schiena senza problemi. Per la pittura bizantina sarebbe stato uno scandalo. Qui si tratta dell’ovvietà di trovarsi nel mon-

do reale, dove vigono le leggi fisiche dello spazio. Giotto si

compiace di costruire visivamen-te l’illusione di un cerchio di

uomini perfettamente percepibi-le. Lo Spirito che inonda la sala

sembra il gigantesco lampadario di un designer contemporaneo.

Giotto, Pentecoste 1303-1305; Padova, Cappella degli ScrovegniL’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TEMPO DI PASQUA- SEGUIRE E IMITARE GESU’ - L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TEMPO DI PASQUA- SEGUIRE E IMITARE GESU’

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L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TEMPO DI PASQUA- SEGUIRE E IMITARE GESU’ - L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TEMPO DI PASQUA- SEGUIRE E IMITARE GESU’

Ascensione e Pentecoste possono essere il vertice del cammino pa-squale come una parola detta sulla reale trasformazione della storia da parte della nuova Alleanza sti-pulata nel corpo di Cristo.

Mentre l’Ascensione dichiara che c’è qualcosa di umano in Dio, la Penteco-ste testimonia che qualcosa di Dio resta nel mondo. Si tratta di uno scambio di doni. Cristo torna in Dio conservando la sua natura umana ma non senza lasciare la sua presenza di Spirito ad accompagnare per sempre la storia degli umani. C’è qualcosa di Dio nel mondo. C’è dello Spirito nell’uomo. Anche in questo caso il principio non è privo di conseguenze. La storia non è più lo spazio buio dell’assenza divina dominato dall’azione del male. Nella storia, a fianco del piccolo e coraggioso essere umano, continua ad agire la presenza del suo Dio, nella forza dello Spirito del Figlio. Non si sposterà di un centi-metro quando si tratterà di infondergli coraggio e sapienza.

Nel corpo e nello spirito La vita cristiana, forgiata nella misteriosa riconciliazione pasquale, possiede allora il suo principio di azione nel corpo e nello spirito. È l’intero dell’uomo che Dio ama con una passione irragionevole, non soltanto una sua parte. Così la vita evangelica, anche mediante la potenza performatrice della liturgia, non ha lo scopo di liberare le anime, ma di spiritualizzare i corpi. L’uomo nuovo, immaginato da Dio sull’immagine stupefacente del suo Fi-glio, non è il frutto di inumane lacerazioni, è il risultato dell’integrità che a Dio piace restituire a chiunque impari a mettere la propria vita sotto il giogo dolce e leggero della dedizione divina. Solo perché il corpo e la storia vengo-no eletti a essere lo spazio di congiunzione del volere di Dio e del cammino dell’uomo, i segni della liturgia non sono espedienti linguistici dell’umana propensione a simbolizzare, ma efficaci strumenti con cui la grazia di Dio modella la vita dei suoi figli adottivi.

PER VIVERE IN FAMIGLIA I 50 GIORNI DI FESTA1. Apriamo gli occhiNella pagina precedente c’è il dipinto che rappresenta l’Ascensione dipinta da Giotto:· Gesù è tutto proteso verso il cielo. Pare ansioso di giungere dal Padre. A destra e sinistra stanno gli angeli. Due di essi stanno in basso. Indicano ai discepoli una direzione. In basso, a sinistra e a destra, in bella evi-denza stanno Maria e i discepoli.Ci chiediamo:a) Che cosa ci colpisce? b) Quali i sentimenti di Maria e di coloro che vedono la scena?Osserviamo La Pentecoste, dipinta anch’essa da Giotto.· Tutte le figure paiono contenute in una specie di cubo. Sono persone con una loro precisa identità, un peso, un volume. È’ come se vedessimo una voliera aperta allo Spirito. Tutte le figure sono raggiunte dai suoi raggi.Ci chiediamo: Quale aspetto dell’evento vuole sottolineare Giotto? Con quale di queste figure possiamo identificarci?2. Attiviamo le orecchie ed il cuoreChe cosa ci colpisce in particolare?· Proclamiamo At 1,1-11 Che cosa accade a Gesù nell’Ascensione? Come reagiscono i discepoli?· Leggiamo At 2,1-8 Ci chiediamoa) Con quali immagini viene rappresentato lo Spirito (rombo, vento, tuono)?b) Quali sono gli effetti nei discepoli?c) Che cosa ha inizio a partire da lì?

3. Attiviamo il corpo● Già dal Sabato sera (prima della festa di Pentecoste) addobbiamo la casa, mettiamo fiori sulla mensa.● Facciamo trovare gli auguri e la sorpresa sotto il piatto, nel giorno di Pasqua.● Prima del pasto, il papà benedica la mensa. Oppure si proclama uno dei Vangeli della Pasqua.● Rappresentiamo “il cielo”. Nella “casa di Dio”, nel suo giardino collochiamo anche le figure dei nostri cari.

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CONOSCIAMO LA “LUMEN GENTIUM”

LA COSTITUZIONE SULLA CHIESA DEL CONCILIO

VATICANO II 3^ parte Abbiamo pensato di offrire alle parrocchie – a tutti i sacerdoti e ai laici, soprattutto quelli impegnati nella pastorale – alcune schede che sollecitino e orientino una lettura attenta della Costituzione Conci-liare ‘Lumen Gentium’. La lettera pastorale che guida il nostro cammino quest’anno, infatti (“siano tutti una cosa sola”) trae la sua origine dall’insegnamento del Concilio e può essere capita appieno solo sullo sfondo del Concilio. È necessario, allora, che i documenti conciliari importanti diventino parte del patrimonio di cono-scenze condiviso da tutti i battezzati.

L’UNIVERSALE VOCAZIONE ALLA SANTITÀ NELLA CHIESA

(Lumen gentium, c. V; 1Pt 2,9-12; 1Cor 1,29)

I capitoli III e IV della Costituzione svolgono il tema dell’apostolicità, ossia della Chiesa che resta ‘una nel tempo’ grazie alla sua struttura ge-rarchica e al suo apostolato: si tratta di due sensi diver-si ma complemen-tari, da prendere e

da vivere alla luce del ‘servizio-ministero’, unica con-dizione in grado di unificarli, nella teoria come nella pratica. Il termine apòstolos è la traduzione greca dell’aramaico shalìah, e designa una persona inviata con la stessa autorità e con gli stessi poteri dell’in-viante. Esso caratterizza la ‘prefigurazione di Chiesa’ che noi troviamo nei Vangeli con la chiamata degli apostoli da parte di Cristo e la loro formazione comu-nitaria, che quindi configura il ‘collegio gerarchico’ sin dagli inizi. Con la Pentecoste prende avvìo la Chiesa secondo gli Atti degli Apostoli, ma il ‘modello aposto-lico’ la caratterizzerà in tutte le epoche e a tutti i livelli. Le Lettere pastorali e i Padri apostolici documentano chiaramente che gli apostoli si sono scelti dei collabo-ratori (presbìteri e diaconi) e dei successori (vescovi) nel loro ministero: anche se la Chiesa oggi conta più di 5 mila vescovi, si tratta sempre dello stesso colle-gio apostolico, presieduto dal successore di Pietro,

che si dilata man mano che essa va crescendo in ogni punto della terra e la mantiene nell’unità nono-stante il trascorrere dei secoli. È questa l’idea di fondo che sorregge tut-to il cap. III: al n.18 si afferma chiaramente che esiste nella Chiesa una vera autorità, e che essa ha un’origine voluta da Dio nel ministero origina-rio del vescovo (nn.19-21), la cui autorità include la collegialità (nn.22-3) e del quale si descrive la missione evangelizzatrice, santificatrice e di go-verno (nn.24-27). Il capitolo si conclude mostran-do come il vescovo possa partecipare ai presbiteri e ai diaconi le rispettive mansioni spirituali e ma-teriali loro proprie (nn.28-9). Il Concilio completa poi le indicazioni pratiche per l’episcopato con il decreto Christus Dominus e per il presbiterato con i decreti Presbyterorum ordinis e Optatam totius, mentre lascia il diaconato senza indicazioni detta-gliate, pur optando decisamente per il suo ristabi-limento. Sebbene la ‘terna ignaziana’ di vescovo-presbitero-diacono esista chiaramente enunziata e praticata sin dagli inizi del secolo II, non siamo in grado di affermare fin dove essa sia vincolante per la Tradizione ecclesiale, mentre quanto alla sacra-mentalità dell’episcopato quale ‘ministero origina-rio’ dell’Ordine sacro non vi è nessun dubbio per il Vaticano II. Il grosso problema che abbiamo nella rece-zione concreta di questo capitolo è sottolineato dal fatto che, proprio in tema di rapporti fra Primato e Collegialità esso ha visto la più pericolosa contrap-posizione fra i tradizionalisti in nome del Vaticano

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I e i progressisti nel nome di un fantomatico Vati-cano III (!). È stato necessario l’intervento diretto di Paolo VI con la famosa Nota praevia per scon-giurare questo pericolo e impostare la questione in termini chiari, ricordando ai padri conciliari che la collegialità nella Chiesa è gerarchica, avendo come modello il ‘collegio apostolico’, nel quale uno da solo ha il potere degli altri membri messi assie-me, e non il collegium del diritto giustinianeo, che è una specie di tavola rotonda, presieduta da un primus inter pares. Tale articolazione fra autorità e collegialità si ripresenta puntualmente a tutti i li-velli della via ecclesiale (Papa-vescovi, Vescovo-presbiteri, Parroco-laici; il Diacono ne è per ora esente, fintantoché non gli venga affidata una por-

zione del popolo di Dio), e va vissuta con autentico spirito di fede, andando quindi ben oltre gli stretti confini politici della monarchia o della democrazia. Un caso tipico di infelice interpretazione di questo punto l’abbiamo nella posizione di Hans Küng, che rappresenta il polo opposto a quello di Lefèvre nel rigetto del Vaticano II. Egli ha soste-nuto ripetutamente che della LG sono accettabili soltanto i primi due capitoli, perché conformi alla Scrittura, mentre il terzo lo «fa fremere». Purtrop-po, a conseguenza del movimento sessantottino molti oggi simpatizzano per le sue tesi e si rifiutano di accettare l’autorità ecclesiale e la gerarchia nel-la Chiesa. Il fenomeno esige da parte di tutti rifles-sione, ponderatezza e saggezza.

I due titoli dai quali partiamo per la riflessione sul c.VI della LG si corrispondono specularmente, alla luce del fenome-no religioso del profetismo, che non è esclusivo dell’Antico Te-stamento, ma si estende anche alla vita ecclesiale. La menzio-ne, poi, del mondo cattolico accenna alla confessione cristiana in cui la vita religiosa ha conosciuto il suo pieno sviluppo. Come è solita fare, la Costituzione chiarisce innanzi-tutto il concetto di vita religiosa (43-5) in due aspetti: 1°. È una scelta personale e libera di vivere il Vangelo in modo radicale, seguendo i consigli evangelici di castità, povertà e obbedien-za; 2°. Ufficializzata in uno stato di vita approvato dalla Chiesa mediante istituzioni stabili, dottrina solida, fraternità effettiva e disciplina oggettiva. Si afferma anche qui ciò che il religioso non è: egli non appartiene alla struttura della Chiesa (gerarchia e laicato), come sosteneva la visione medioevale dei ‘tre stati’, ma in pratica risulta provvidenziale perché essa funzioni a do-vere. Quindi, abbiamo qui un carisma personale, che di fatto dà origine a gruppi particolari: per evitare che essi divengano sèt-te, creando seri problemi alla comunione ecclesiale, l’autorità della Chiesa li indirizza verso il bene comune, con il fine di ricor-dare a tutti la condizione di vita inculcata da Cristo ai discepoli, che dà decisa priorità al Regno di Dio in questo mondo in vista della vita eterna. Le forme di vita religiosa sono alquanto variate. Stori-camente, quella più antica è la più semplice (riferita da Tertul-liano nel s.II): include solo la notifica pubblica da parte del ve-scovo alla comunità ecclesiale, lasciando gli interessati inseriti nel loro ambiente d’origine; viene poi alla fine delle persecuzioni il grande sviluppo del Monachesimo, prima in Oriente (Basilio) e poi in Occidente (Benedetto), che si conclude con l’esenzio-ne dall’autorità locale e il riferimento a quella papale con Cluny (s.X); col s.XIII gli Ordini Mendicanti sostituiscono al monastero rurale il convento urbano; lo stile di vita si fa ancor più inserito nel mondo, anche femminile, con l’avvento delle Compagnie religiose moderne (assistenza, educazione, missioni) dal Cin-quecento in poi; l’ultima novità è, curiosamente, una ripresa del modello più antico con le Associazioni religiose laicali. Se la storia documenta mezza dozzina di forme religiose diverse, la loro configurazione le raggruppa in tre generi (monastiche-con-ventuali-secolari), mentre il Codice di diritto canonico distingue

soltanto fra Istituti religiosi e Istituti secolari.Il Decreto sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae cari-tatis è l’applicazione di questo capitolo, e risulta nel suo genere uno dei più indovinati con le sue 5 unità tematiche. La prima (1-6) raccomanda di dare l’assoluta priorità alla vita spirituale e alla scelta del regno di Dio; la seconda (7-11) distingue 5 ge-neri di istituti: contemplativi, apostolici, monastico-conventuali, laici e secolari; la terza (12-14), la più importante, richiama il riferimento ai tre consigli evangelici quali ‘segni tipici’ della vita religiosa; la quarta (15-18) considera i vari fattori che dan tono alla vita religiosa; la quinta (19-25) accenna alle varie novità che ciascun istituto potrà introdurre. Nonostante l’intenso lavoro postconciliare che vi è seguito, la grave crisi di vocazioni che grava sul primo mondo ci fa riflettere sulle obiezioni odierne contro la vita religiosa (46: ostacolo allo sviluppo della persona ed estraneità ai valori terreni) e sulla risposta concreta da offrire (Henry Bergson: i mistici cristiani rappresentano l’avanguardia spirituale dell’evoluzione umana).Concludendo i due capitoli che trattano della santità della Chie-sa in questo mondo, optiamo con il Simbolo per la ‘Chiesa san-ta’ più che per la ‘Chiesa dei santi’, come han fatto parecchie sètte: è una scelta realistica, che proclama con decisione il vero fine della Chiesa e allo stesso tempo ammette che si tratta di una ‘santità imperfetta’, che resta tale nel popolo cristiano come nei suoi specialisti, i religiosi, ma che non s’arrende mai a nes-sun limite. La formula più accettabile resta, allora, quella propo-sta da Karl Rahner: “Apparteniamo tutti alla Santa Chiesa dei peccatori”.

L’APOSTOLATO LAICALE NELLA CHIESA DI IERI E D’OGGI

(Lumen gentium, c.IV: I laici; Atti 18,1-4

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L’ultimo capitolo della LG è in realtà una costi-tuzione suddivisa in 5 parti, a suggello conclu-sivo della Cost. dogmatica sulla Chiesa; concre-tamente, si propone di riassumere con l’icona della devozione mariana quanto si è affermato nei 7 capitoli precedenti sulla sua realtà, spesso con linguaggio difficile e complesso. Tale decisio-ne è prevalsa rispetto a quella che si proponeva una costituzione conciliare autonoma, perché è parsa preferibile ai Padri la tendenza mariana ‘ecclesiotipica’ rispetto a quella ‘cristotipica’. I due termini impiegati mostrano il cambiamento di prospettiva indotto dal Vaticano II nel culto mariano: prima del Concilio c’era stato il rischio di porre la Madonna su di un piano concorrenziale rispetto a Cristo (“Di Maria, non s’è mai detto abbastanza”), mentre la prospettiva conciliare mette al sicuro la dottrina mariana dalle critiche dei Protestanti: Maria è il modello insuperabile della Chiesa. L’esposizione adotta lo schema del-la Storia di salvezza, per mostrare i fondamenti biblici della dottrina e della devozione mariana.Il proemio (52-4) chiarisce che non è intenzione del Concilio esporre una mariologia completa, ma soltanto mostrare l’intima relazione fra la Madon-na e la Chiesa, perché entrambe hanno ‘accolto nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio’: l’Annuncia-zione resta paradigmatica in ciò. La prima parte (55-9) descrive la funzione di Maria nella strategia divina di salvezza in modo ‘cristotipico’, perché dall’Annunciazione alla Croce ella partecipa con fede (11 v.) al mistero di Cristo, assecondandone l’atto redentivo. La seconda parte (60-5), invece, è ‘ecclesiotipi-ca’: la presenza di Maria nella Chiesa sin dalle origini non sminuisce affatto l’unica mediazione di Cristo, ma l’asseconda in tutto come madre e come vergine, divenendo in tal modo ‘modello [typus] della Chiesa’ e quindi anima del suo apo-stolato. La terza parte (66-7) ricorda brevemente i princìpi che dal Conc. di Efeso dirigono il culto a Maria, evitando che in questo campo si pecchi di difetto o di eccesso. La conclusione (68-9) fa perno sulla comune fede mariana con gli Orien-tali, per concludere in modo beneaugurale che la Madonna aiuti il ‘pellegrinante popolo di Dio’ a raggiungere l’unità.Stando agli esperti, 4 sembrano i princìpi teolo-gici che si possono dedurre da questa esposizione dottrinale e soprattutto dal n. 53: 1° Principio di solidarietà, che consiste nello stretto coinvol-gimento di Maria nella vicenda umana di Cristo,

nel suo mistero di salvezza e quindi con la nostra salvezza; 2° Pr. di singolarità, dal momento che i privilegi e le prerogative della Madonna, incen-trati per la loro giustificazione nella sua divina maternità, propongono una relazione unica con Cristo; 3° Pr. di eminenza: la singolarità della Fi-glia di Sion consiste nel rappresentare il punto più alto della rivelazione divina agli uomini, avendo dato la vita a Cristo nella pienezza dei tempi; 4° Pr. di esemplarità, perché ella rappresenta il mo-dello da assimilare da parte del cristiano nella sua vita personale e da parte della Chiesa nelle sue strutture. Soprattutto quest’ultimo principio, che fa perno sulla causalità esemplare, ha un in-dubbio valore per le anime semplici, che trova-no nella devozione mariana la connessione con il mistero di Cristo, e quindi una risposta reale e profonda ai loro problemi. Tutto ciò è occasione di un’ultima riflessione.Di solito si prende la teologia come un tentativo esclusivamente teorico di approfondire le verità rivelate, installando così la dogmatica in una tor-re d’avorio avulsa da ogni aggancio con la realtà umana. Tale espediente, molto discutibile, falli-sce del tutto con la mariologia, per il semplice fatto che essa è prioritariamente una teologia pratica, che la devozione del popolo cristiano ha vissuto ed elaborato attraverso i secoli. Questo dato ‘pastorale’ consiste in una prassi concreta che dà plausibilità ai corrispettivi contenuti della fede e permette loro la riprova dei fatti da parte della sensibilità cristiana. Non si tratta a questo punto di una ‘teologia di serie B’, come si po-trebbe pensare della stessa ‘teologia spirituale’ per quanto concerne la mistica. In definitiva, la secolare devozione alla Madonna, che da sempre accompagna il fatto cristiano, costituisce un fat-to concreto da registrare e sul quale riflettere, una grazia da non respingere.

L’ECCLESIOLOGIA DEI SEMPLICI(Lumen gentium, c.VIII: La BVM Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa; Lc 1,26-38

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INDOLE ESCATOLOGICA DELLA CHIESA PELLEGRINANTE

E SUA UNIONE CON LA CHIESA CELESTE (Lumen gentium, c. VII: At 1-2 e Apoc)

Il titolo del cap. VII riporta il termine greco di escatolo-gico, che non viene recepito nel linguaggio della gente comune, nonostante sia comparso nella nostra predica-zione da 50 anni circa. Tale allergia è dovuta al malinte-so che gli è insito, ma anche alla cordiale antipatia con cui noi dell’epoca del benessere (dagli anni ’60 in poi) rispondiamo a qualsiasi invito verso le ‘realtà ultime’: il materialismo sembra che ci abbia persuaso che la realtà ultima è la presente esistenza, al di là della quale non v’è nulla. Poco importa, poi, se attorno a noi si conti-nua incessantemente a morire e se tocchiamo con mano che nessuno si porta via alcunché di materiale da questa vita; siamo tanto materialisti, da sembrarci quasi più ac-cettabile il nichilismo che la fede in un’altra vita. Eppure il buon senso, che neppure la vuota so-cietà dei consumi ha potuto distruggere, non si rassegna alla peggiore disgrazia della vita umana, rappresentata dalla morte: anche l’uomo della strada continua a porsi la profonda domanda circa una propria sopravviven-za, che neppure il miraggio marxistico della ‘società dell’avvenire’ ha saputo soddisfare. Come sopravvivere al disastro di una vita umana che va progressivamente disfacendosi fino al suo annientamento? Sin dai tempi apostolici, la fede cristiana ha ricordato a tutti la ne-cessità di puntare sulle realtà che si trovano al di là dei valori terreni: “Voi infatti siete morti, e la vostra vera vita è ormai nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3). Si tratta di una delle più forti convinzioni di tutto il Nuovo Testamento. Con i primi cristiani, crediamo anche noi che Cristo Risorto è la nostra vera speranza, al di là di tut-te le umane illusioni, vecchie o nuove; crediamo anche che il suo Corpo, che è la Chiesa, è destinato a essere germe di speranza imperitura fra gli uomini, soprattutto perché a Lui si sono associati nella gloria la Madonna e i Santi, che costituiscono la Chiesa ce-leste, verso la quale siamo tutti orientati come ‘pellegrini’ (l’unica novità rispetto al passato, è che si è sostituito al termine di Chiesa ‘militante’ quello meno belli-coso di ‘pellegrina’). La Costituzione, poi, non ha atteso il c. VII per menziona-re questa convinzione, che è alla base di un equilibrato concetto di Chiesa: essa accenna alla Chiesa definitiva già nei ca-pitoli precedenti (16 volte nel c. I; 12 v. nel II; 3 v. nel III; 6 v. nel IV; 2 v. nel V e nel VI, e 5 v. nell’VIII) per riprenderlo decisamente nel capitolo che s’è riser-vato a questo fine, quasi per ricordarci che si tratta della Chiesa di Dio, e tutto ciò che appartiene a Dio deve quasi per forza includere la definitività di una vita meno precaria dell’attuale.

Al n. 48 si introduce, quindi, il tema della ‘devo-zione ai Santi’, che fanno già parte della Chiesa giunta al suo ultimo compimento. Da parte nostra aspettiamo tra le creature e le istituzioni di questa vita il compi-mento della nostra speranza, alla quale avremo accesso soltanto dopo la morte con il giudizio che ci attende. Sa-remo ammessi a questa porzione di Chiesa in tutto e per tutto Santa (non imperfettamente santa come la Chiesa dei vivi), se eviteremo l’inferno e avremo in sorte il pa-radiso. Quindi, la premessa è posta perché si tratti il tema della Comunione dei Santi, che è la comunione e lo scambio di bene fra la Chiesa terrena e quella celeste. Di ciò si incaricano di parlare i nn. 49-51, e non si tratta di un tema secondario, dal momento che lo ri-porta lo stesso Simbolo apostolico: “l’unione fra vivi e morti non è minimamente spezzata, anzi è consolida-ta dalla comunicazione di beni spirituali” (49); in altre parole, i meriti acquistati in terra dai morti grazie alla comunione con Cristo, unico Mediatore, possono rime-diare alla nostra debolezza. Stabilito questo principio, si ricorda la prassi ecclesiale sin dagli inizi della Chiesa verso i Santi (Madonna, Angeli, Apostoli, Martiri, Con-fessori, Vergini) nei tre aspetti di venerazione, invoca-zione e imitazione. Tale unione fra noi e loro si realizza soprattutto nella liturgia (50). Vengono alla fine date varie disposizioni perché la comunione con la Chiesa purgante e trionfante sia portata avanti rispettando le norme date nei concili del passato (Niceno II, Fioren-tino e Tridentino): l’adorazione a Dio e la mediazione di Cristo non avranno nessun scapito, se nel culto ai Santi si osserverà il dovuto equilibrio fra le deviazioni di eccesso, tipiche della devozione popolare, e quelle di difetto dei protestanti, che hanno impoverito il culto cristiano.

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Nel bel mezzo del Mediterraneo, c’è una nave che batte bandiera tricolore. Va avanti o indietro? Diciamo che gal-leggia. La sirena suona in continuità. Ormai tutti si sono abituati a questo richiamo: lo considerano un normale ru-more di fondo. Tutto è emergenza. Le questioni sono tutte tragiche, ma non serie. Ogni sera, vanno in scena gli psico-drammi. Qualcuno tende a motivare la fragilità, indicando la data di nascita come Stato (17 marzo 1861). Paradossal-mente non si ha la sensazione di stare sulla stessa barca. In termini tecnici si direbbe che manca il senso del bene comune. Sono spariti i luoghi della politica. Le sezioni dei par-titi hanno ceduto al fascino dei talk-show. C’è il par-lamento, ma è anoressico. Se volete avere altre notizie precise sulle alleanze (o le divisioni), rivolgetevi a Por-ta a Porta, oppure frequentate il Meeting di Rimini. Soprattutto se intendete capire chi prende poi le deci-sioni, andate ai colloqui di Cernobbio. Gli ufficiali di bordo tendono ad usare i toni acuti. Essi sono molto consapevoli che la rotta della nave è in gran parte predeterminata (dai poteri economici, dalle alleanze internazionali, dall’appartenenza all’Europa). Gli ufficiali di bordo (i politici) hanno messo da par-te la loro specifica funzione di mediare tra idealismo e realtà, tra esigenze della base e possibilità. Girano nella veste di camerieri che raccolgono le ordinazioni (Voglio un caffè, un tè, una granatina…). A bordo ci sono molti cattolici. Vari stazionano sul ponte di comando. Altri, al contrario, sono ammassati nelle stive; il loro motto è "Ci siamo, ma non fatelo sapere in giro". Pochi sono "di origine controllata". Imperversano in-vece i cattolici "stagionali". Nessuno mai li ha visti. Compaiono in parrocchia in prossimità delle elezioni. Infinite le variabili. Ci sono i teodem: sono lì a vantag-gio della totalità o per curare gli interessi della parte cattolica? Ci sono (e militano sotto varie bandiere) i camaleonti. Risultano invisibili perché assumono i co-lori delle cose su cui si posano. Ci sono i "cappellani di corte". Svolgono il loro compito storico: dire che le ispirazioni dello Spirito Santo coincidono esattamente con le idee del capo. Ci sono coloro che aspettano la soluzione di tutto dal Magistero. Sono in realtà dei "passeggeri della scia-luppa": la nave può anche incagliarsi o affondare, tanto loro hanno il rifugio della fede. Ci sono quelli che adoperano Presepi e Crocifissi a mo’ di corpi contundenti, salvo poi rinnegare comple-tamente la logica di Betlemme e del Golgota. Ci sono i cattolici democratici. Sicuramente hanno un prezioso retaggio da custodire (il carattere popolare della presenza cristiana, la mediazione). Ma quanto su di loro ha gravato il peso della logica antagonista? Quali brutti scherzi ha giocato loro la fretta di un car-tello elettorale? Serve una nuova generazione di cattolici impegnati in politica (Benedetto XVI, Cagliari 7 settembre 2008).

Mai una frase di un papa è stata così perentoria e chia-ra. In direzione di questo obiettivo la Chiesa italiana sta investendo molto. Lo testimoniano la Settimana Socia-le dei Cattolici (Reggio Calabria 14-17 ottobre 2010), gli stimoli offerti da tante riviste (Civiltà cattolica, il Regno, Jesus, Coscienza…), l’opera instancabile di p. Bartolomeo Sorge, la rinascita delle scuole di forma-zione... Si tratta di rimettere in circolazione il "fattore Camal-doli". Ci riferiamo ad un preciso monastero. Ivi nel 1943 fu scritto il codice che servì per la ricostruzione del paese. Ivi si sono ritrovati per anni, per gli esercizi spirituali, i vari De Gasperi, Moro, Fanfani, La Pira, Dossetti… Questo fattore è un combinato di forte appartenenza ecclesiale, di spiritualità, di esercitazioni, in vista della forma più esigente della carità che è la politica. Si tratta di far emergere la carica progettuale che ha la fede. Non si parte dal nulla. Abbiamo una grande storia alle nostre spalle. I "pro-fessorini" alla Costituente non erano lì per ritagliarsi un proprio spazio. Hanno avuto la capacità di offrire un orizzonte umanistico-ideale che, di fatto, ha supe-rato l’antagonismo inconcludente marxismo-liberali-smo. Occorre avere il coraggio della semina. La situazione è ben diversa da quella del ’48. Ivi la scelta era chiara tra salvaguardia della libertà e rischio di asservimento ad un totalitarismo. Ora i cattolici sono presenti nei tre poli. Ma hanno da essere coscienza critica. Autorevol-mente è stato precisato che la democrazia partecipati-va per i cattolici si basa su 5 condizioni: l’agire politico nella legalità, il principio di uguaglianza, l’adeguata rappresentatività, il principio di solidarietà e quello della sussidiarietà.

La Repubblica Italiana in navigazione

Come procede la navigazione della Repubblica Italiana? Quale ruolo svolgono, a bordo, i cattolici? Uno sguardo sorridente (ed amaro). Con una prospettiva.

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“Dastranieri”-Interrogativi

LO STRANIERO DENTRO DI NOICogliersi come stranieri è una sfida dell’intelligenza e del cuore. È la base per comprendere la stessa condizione umana

Parroco in un paesino delle valli bergamasche, ho scoper-to essere un paese di emigranti da un gioco di carte, in

voga solo in quella ristrettissima area montana: importato dall’Argentina per dove erano partiti agli inizi del Novecento a chiedere pane per sé e per le famiglie arroccate su monti senza futuro, prima di approdare su rive più vicine, ma deci-samente meno accoglienti come la Francia e la Svizzera e il Belgio. Anni di baracche, di polizia, di disprezzo: il racconto di una vita impossibile, e tuttavia vissuta per una necessità che non aveva alternative. Una storia che non si racconta più, che alcuni oggi negano facendosi essi stessi aguzzini dei nuovi emigranti. E, non per farci del male, ma che a gridare di ributtarli a mare siano rappresentanti del popolo che si dicono cattolici... (finiti poi tra i fautori delle messe d’antan, chissà perché!).Questo dossier non entra nel merito di una analisi sociolo-gica dell’inevitabile arrivo di albanesi, marocchini, slavi, fi-lippini, senegalesi, in fuga da paesi miserrimi; e neppure del bisogno che si ha di loro per rivitalizzare settori produttivi e servizi: la cura degli anziani, l’edilizia, l’agricoltura; non se ne parla neppure per denunciare vergognose proposte degne di Auschwitz: formare campi di accoglienza separati per uo-mini, donne e bambini. Non si vuole neppure rilevare - al-meno più di tanto - l’incongruenza di una sostituzione della figura del meridionale con l’islamico da impallinare, soprat-tutto da parte di chi si è convertito alle ragioni del nord con linguaggi all’Abatantuono: dato, e sia concesso, che sotteso permane il fumus antimeridionale, il primo grande stranie-ro della nazione nata dall’ultimo dopoguerra. È appunto da incongruenze come queste che prende spunto la riflessione proposta in queste pagine: l’assenza della peculiarità di stra-niero che appartiene alla storia biblica quanto all’umanità uscita dalle mani di Dio per una provvisorietà che chiama oltre la terra che si abita.

Lo straniero come figuraPer capire l’ordine biblico, occorre partire dal vissuto. E poi inoltrarsi dentro quel sentire umano che fa di una terra una patria; ma anche il sentire che si possono “avere più patrie, che corrispondono ai diversi luoghi della propria vita; o ave-re più case: sentirsi a casa in più luoghi può essere qualcosa di magnifico; ma diventare un senza patria è un destino ter-ribile. Un emigrante può diventare uno dei nostri, mentre per i senza patria il mondo acquista un carattere sempre più inquietante” (Josef Rovan, prestigiosa figura della costruzio-ne europea). Dunque l’idea di una terra come patria ha a che fare con un sentirsi a casa: può uno straniero rinascere in una terra in cui emigra? Ma come può avvenire se incon-tra uno che si definisce uno stanziale, un padrone a casa propria, uno che a sua volta non si vede egli stesso come straniero su questa terra?

Qui probabilmente si scontrano le visioni di fondo della vita: il credere, come Abramo, che nel partire si definisce un sen-za terra, e lo fa per obbedienza a una promessa, è dissimile da chi sta sulla terra, pur viaggiando, come fosse l’ultimo porto dell’esistere. Non si tratta di distinzioni manichee: ma di un modo per descrivere a se stessi, con l’audacia della verità che si va a snidare, la condizione umana. È la condi-zione di straniero che sta alla base dell’esperienza umana: “La domanda «chi è l’altro?» si sdoppia nell’interrogativo «Chi sono io?» e conduce alla consapevolezza che la paura istintiva suscitata in noi dallo straniero è lo specchio di una «stranierità» che ci abita” - come ha scritto E. Bianchi, in una sua riflessione di qualche anno fa. Sentirsi straniero è dunque il modo di vivere le relazioni con il forestiero, a par-tire dalla definizione di sé come di chi si cerca. Per capirsi nei desideri e nelle ansie che lo abitano, l’uomo è chiamato a cogliere e rispettare la differenza dell’altro.

Da stranieriGli stranieri. Li conosciamo sempre meglio. Colorano i nostri paesi e le no-stre città. Vanno a scuola con i nostri figli. Lavorano come noi nelle aziende.Ma stavolta non intendiamo parlare di "alcune persone", cioè degli emigranti e degli immigrati. Stranieri siamo noi. Stranieri e pellegrini: questi sono i trat-ti della condizione umana, secondo la Scrittura.

dossier

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È una sfidaC o g l i e r s i come stra-niero per accog l iere lo straniero è una sfida dell’intelli-genza e del cuore, oltre che di quel g r o v i g l i o psicologico che irretisce spesso nelle paure del-le diversità. “L’ascolto è un sì radicale all’esisten-za dell’altro come tale; nell’ascolto le rispettive d i f ferenze

si contaminano, perdono la loro assolutezza, e quelli che sono i limiti dell’incontro possono diventare risorse per l’in-contro stesso. Ascoltare uno straniero non equivale dunque a informarsi su di lui, ma significa aprirsi al racconto che egli fa di sé per giungere a comprendere nuovamente se stessi: così lo straniero non abita tra di noi, ma abita con noi. Lo straniero, infatti, cessa di essere estraneo quando noi lo ascoltiamo nella sua irriducibile diversità, ma anche nell’umanità comune a entrambi”.E la fede cristiana educa ad accogliere e apprezzare le pe-culiarità culturali dei popoli, chiamando a uno scambio di beni e di culture. Se manca questo ascolto, si vive accanto: accanto non solo all’estraneo, ma anche a se stessi. Accanto e non con: genera ostilità da entrambe le parti, e una irridu-cibilità all’altro che genera diffidenza e scontri. E una falsa tolleranza che non permetterebbe quelle contaminazioni che arricchiscono (non sono forse gli italiani da sempre un popolo meticcio?). Occorre una sensibilità diversa, che non nasce da un buonismo senza regole, ma dalla necessità di riconoscersi per quello che si è. Talvolta nell’uso stesso delle parole si pronuncia quella irriducibilità al comandamento

del Signore: “Vi sarà una sola legge per tutta la comunità, per voi e per lo straniero che soggiorna in mezzo a voi; sarà una legge perenne, di generazione in generazione; come siete voi, così sarà lo straniero davanti al Signore. Ci sarà una stessa legge e uno stesso rito per voi e per lo straniero che soggiorna presso di voi”, perché anche “noi siamo stranieri davanti a te e pellegrini come tutti i nostri padri”.

Contro stereotipi e pregiudiziParole distanti da quelle che si usano incrociando lo stranie-ro che ti chiede attenzione: parole che offendono, che mo-strano disprezzo per il povero che viene da lontano - forse per mascherare a se stessi il povero che ci abita. Un percor-so non facile, un cambio di prospettiva che richiede tem-pi lunghi. Ma soprattutto una conversione che non accetti più in sé quel cuore di pietra che si rivela nella vicinanza: non siamo forse stati tra i più generosi nel sostenere i paesi accompagnati dai missionari? Ma quando i neretti si sono fatti vicini e gli zingari hanno cominciato ad alzare la voce per essere accettati, si è dipanato quel sentimento che se non è proprio razzista, certamente si nutre di xenofobia: un sentimento irrazionale che si dovrebbe educare come altre fobie che generano risposte ansiose. Un sentimento da cor-reggere con le categorie della carità che san Paolo descrive per ogni relazione umana. Ma serve anche un’educazione politica, la più alta forma di carità come ha insegnato papa Montini: non far passare tutti i musulmani come estremisti, né tutti gli stranieri come delinquenti. Per fortuna ci pensa il tempo a smentire i pregiudizi: ci siamo accorti, dopo un po’ che stanno tra noi, che marocchini e albanesi sono dei gran lavoratori. Ma forse non ancora che sono nostri fratelli, anche se gli uni vengono da una fede religiosa diversa dalla nostra e gli altri da una educazione atea.

O forse proprio per questo: siamo stati formati ad imma-ginare Dio a nostra immagine e somiglianza, e non come lo Straniero che resta per ciascuno e che dunque diventa facitore di uomini fatti a Sua immagine e somiglianza; tanto diversi come i pianeti e le stelle, ma irriducibili all’omologa-zione nel panorama totale dell’universo. Insomma è della stessa dignità, seppure differenziata, di tutti gli uomini di cui dovrebbero impregnarsi, prima degli altri, ma non senza gli altri, i cultori del Vangelo. Sapendosi pellegrini su questa terra, loro, per la promessa di altri cieli e di altra terra.

“Dastranieri”-Dimensionebiblica

ACCOGLIENDO CI SI PUÒ RIGENERARE

Personaggi, luoghi biblici Chi siamo noi secondo la Scrittura? Non Ulisse, ma Abramo. Anche noi ospitati e pellegrini.Lo straniero è debole. Non ha né terrà né diritti secondo la Bibbia, però, è simbolo della condizione umana e figu-ra del Cristo

Abramo, ovvero dell’ospitalità“La casa di Abramo era aperta ad ogni creatura umana, alla gente di passaggio e ai rimpatriati, e ogni giorno

arrivava qualcuno per mangiare e bere alla sua tavola. A chi aveva fame egli dava del pane e l’ospite mangia-va beveva e si saziava. Chi arrivava nudo in casa era da lui rivestito e da lui imparava a conoscere Dio, il creatore di tutte le cose”, così un midrash ebraico com-menta l’esperienza di Abramo, narrata dal capitolo 18 di Genesi. Alla quercia di Mamre, metafora dello spazio accogliente, Abramo vede apparire personaggi straor-

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dinari e strani che all’improvviso diventano uno e poi da uno si trasformano in tre (per questa ragione Rublev ha inteso le tre figure come la rappresentazione della Trinità nel suo celeberrimo dipinto). Nel testo non si parla di esseri divini, ma di tre stranieri, tre uomini che all’improvviso passano per il deserto e sono accolti da Abramo, che offre loro tutto quello che ha. Abramo è l’uomo accogliente per eccellenza e nel midrash è de-scritto come colui che insegnava a conoscere Dio ospi-tando. Abramo vede, va incontro, si prostra e supplica: agisce prendendosi cura. In questo testo è racchiusa tutta la dinamica dell’ospitalità: tenere la porta aperta, dare il benvenuto, accorgersi di ciò di cui l’altro soffre e ha bisogno. Dall’attenzione, Abramo passa all’acco-glienza e lo straniero entra nella tenda, prende il centro della scena. Tutto è per lui e gli viene offerto da bere e da mangiare. L’ospitalità riporta il tema della nascita. Lo straniero pone una domanda ad Abramo e consegna la promessa di fecondità di Sara, pur vecchia e appesan-tita dagli anni, non più in età per procreare; una nascita ormai ritenuta impossibile. È dunque solo accogliendo che ci si può rigenerare.

Un altro testo rabbinico si chiede come mai, nell’ora più calda del giorno, Abramo sedesse all’ingresso della tenda e non si trovasse, piuttosto, al suo interno per ripararsi dal caldo. E la risposta è: per stare all’erta e vi-gilare perché, scorgendo qualcuno da lontano, potesse subito invitarlo nella sua tenda, offrendogli riparo al più presto. Splendida parabola di chi vegliando si risveglia dal torpore dell’io che riposa su di sé e vigila sull’altro. Di chi sa che non esiste l’io senza il tu, che non si dà identità senza relazione. Ed è interessante come, in un altro testo rabbinico, ci si interroghi sul numero delle entrate o delle porte della tenda di Abramo, che, dice il midrash, sono quattro, in corrispondenza dei punti cardinali, perché i passanti potessero entrarvi subito e facilmente da qualsiasi parte provenissero. Sempre in un’interpretazione midrashica dello stesso capitolo 18 si dice che Abramo preferisce tre stranieri a Dio, facen-do intuire un modo di esprimere la relazione con Dio: negli stranieri e in quel gesto vi è la rivelazione dell’in-contro con Dio.

Abramo contro UlisseNon solo. Come acutamente ricorda Carmine Di Sante, da un punto di vista linguistico, Abramo è il primo per-sonaggio biblico appellato come straniero nella Bibbia perché egli è colui che non ha una terra, e non l’avrà mai. Per capire la radicalità di questo personaggio basti pensare a ciò che lo distingue da Ulisse, figura centrale nell’epica greca. Ulisse è colui che parte per un lungo viaggio, che durerà quasi un’intera vita, per poi tornare allo stesso punto di partenza: la sua isola, la sua terra. Ha quindi un radicamento. Abramo, invece, parte e si dirige verso una terra che non sarà mai sua e che avrà sempre e solo lo statuto di terra data, nel senso di do-nata. È colui che non può pronunciare “mio”. Straniero è colui che non può dire “questa lingua è mia, questa terra è mia, questa casa è mia”. È colui che non ha un luogo in cui insediarsi. Straniero è extra. Non a caso l’autodefinizione che Abramo dà di sé o la definizione che la Bibbia dà di Abramo, capostipite di Israele, è gher ve-toshav. Gher vuol dire straniero; toshav vuol dire inquilino. È un vero e proprio ossimoro di diffi-cilissima traduzione, perché straniero vuol dire colui che non ha una terra dove radicarsi, ma che allo stesso tempo rimane toshav, cioè residente, ma nella modalità dell’ospite.

Lo straniero al centro del racconto di fondazioneL’unicità della Bibbia non consiste solo in questo. Tutte le culture del Mediterraneo e tutte le culture umane hanno intuito che si diventa umani quando ci si apre all’accoglienza dell’altro e del diverso. J. Daniélou ha scritto: “Si può dire che la civiltà ha compiuto un pas-so decisivo, e forse il passo decisivo, il giorno in cui lo straniero da nemico (hostis) è divenuto ospite (hospes), cioè il giorno in cui la comunità umana è stata creata». Il fatto nuovo della Bibbia però è altrove. Sta nel fatto che essa ha messo lo straniero al centro del suo raccon-to di fondazione. Nei primi cinque libri della Bibbia, più di trenta volte è presente il comandamento di amare lo straniero. Il comandamento dell’amore, “Ama il pros-simo tuo come te stesso”, è invece presente una sola volta. Nel Pentateuco, quindi, più che il comandamento di amare il prossimo, ricorre continuamente il coman-damento di amare lo straniero e ne è presente la moti-vazione: “Tu, che sei stato straniero in Egitto e sai che cosa significa essere straniero, che cosa significa patire, essere escluso dall’ordine linguistico, sociale, cultura-le, economico, politico, religioso, ricordati di compor-tarti nei confronti dello straniero non come l’Egitto si è comportato nei tuoi confronti, ma come io mi sono comportato con te: ti ho liberato e ho asciugato le tue lacrime”. Questa è la definizione che Dio dà di se stesso: il Dio biblico è, infatti, il Dio che si è chinato sullo stra-niero Israele e ne ha asciugato le lacrime e chiede allo straniero Israele di accogliere gli stranieri e di asciuga-re le lacrime degli stranieri (Salmo 56). Hanno ragione, allora, gli esegeti che individuano in “Ama lo straniero come tu sei stato amato quando eri straniero” il vero comandamento biblico.

Dio si rivela attraverso lo straniero.Un’affermazione di questo genere rappresenta, dunque, una novità assoluta. Per esempio, nel racconto mitico della fondazione di Roma, Romolo e Remo fondano la città attraverso uno scontro di forza: il fratello che ha più forza ha vinto il fratello che è più debole e l’ordine che è istituito è l’ordine del più forte. Tutte le cultu-re sono fondate sul mito della forza, sul mito della po-tenza: c’è uno scontro e nello scontro si afferma chi è più forte, chi è potente e chi vince stabilisce l’ordine. Questo è l’ordine che nasce dalla forza bruta; c’è anche un ordine che nasce dalla forza della razionalità e della ragione (Socrate). Tutte le culture, quindi, mettono al

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centro la potenza e un dio è sinonimo di potenza. Il Dio biblico d’Israele, invece, si rivela non a un portatore di potenza, ma ad un portatore di impotenza, perché non c’è nulla di più impotente di uno straniero. Non solo, nella Torah ebraica si sottolinea il valore dello stranie-ro anche per altri due significati. Anzitutto, perché lo straniero è il simbolo della condizione umana. È una ca-tegoria che ha una valenza antropologica, che riguarda l’uomo, ogni uomo. Lo straniero - come l’uomo - può vi-vere solo in forza di un’accoglienza, di una mano, di una solidarietà che è donata. Ognuno di noi è mendicante, precario, è fragile e vive solo in forza di una mano che accoglie e di una mano che accarezza. Se c’è qualcuno che si china su di noi. Inoltre, lo straniero è paradigma dell’alterità, tema che oggi sta attraversando le culture mondiali. Lo straniero mette in luce che esiste un’alte-rità che abbraccia ogni uomo e ogni donna. L’uomo nei confronti degli altri uomini è similarità e alterità. Simi-larità in quanto può condividere con gli altri la lingua, le abitudini, la cultura, alterità in quanto, essendo altro, è irriducibile ai desideri, progetti, lingue dei suoi simi-li. Per la Bibbia c’è una dimensione di alterità che non è quella culturale, ma è l’alterità del bisogno, l’alterità come povertà, che invoca solidarietà e giustizia. L’al-terità culturale è difficile, ma è superabile con un atto d’intelligenza e di tolleranza. Si accetta che l’altro abbia delle diversità culturali, ma il povero non ha bisogno di un riconoscimento intellettivo, il povero richiede un movimento di giustizia. Incontro al povero si va a mani piene, dando e accogliendo (E. Levinas). L’alterità della Bibbia è quella di cui è portatore l’orfano, la vedova, il povero, lo straniero, e caratterizza ciascuno di noi, è l’alterità del bisogno che invoca aiuto, protezione, ca-rezza, tenerezza.

Ero forestiero e mi avete ospitatoIl Nuovo Testamento segna un passo ulteriore e decisi-vo nel rapporto con lo straniero. Il cardinal Martini ha riassunto le motivazioni che fondano il comportamento cristiano verso il forestiero e le esprime così: una moti-vazione cristologica, una carismatica e una escatologi-ca. Il motivo cristologico è ricordato in Matteo 25, nella scena del giudizio finale, là dove Gesù proclama che chi accoglie il forestiero accoglie lui stesso: “ero forestiero e mi avete ospitato...Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Si dice dunque molto di più del testo del Deutero-nomio (Dio ama il forestiero e tu devi imitarlo). L’acco-glienza dello straniero non è una semplice opera buona, che verrà ripagata da Dio, bensì l’occasione per vivere un rapporto personale con Gesù. Il secondo motivo, che Martini chiama carismatico, sta nel primato della cari-tà. “Aspirate ai carismi più grandi”, insegna san Paolo in 1Cor 12, 31 e, nel capitolo 13, dice che il carisma più grande è la carità. L’accoglienza dello straniero è una delle attuazioni dell’amore, amore che è la legge fon-damentale del cristiano. “Ama il prossimo tuo come te stesso”, risponde Gesù a chi gli chiede qual è il primo dei comandamenti (cf Mc 12,31); e in Mt 7,12 Gesù riassume la Legge e i Profeti nella cosiddetta regola d’oro: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”. La carità, dono superiore a ogni altro, si esercita verso tutti, quindi pure verso lo straniero, come sottolinea la parabola del buon samari-

tano. Costui, considerato straniero dal popolo ebraico, non ha esitato a soccorrere un ebreo ferito che si tro-vava sul ciglio della strada; ha superato le barriere raz-ziali e religiose, “si è fatto prossimo” (cf Lc 10,36), ha vissuto il carisma della carità. Il terzo motivo che emer-ge da alcuni passi del Nuovo Testamento è di carattere escatologico, concerne le cose ultime, la destinazione dell’uomo alla vita eterna. In tale visuale, tutti i creden-ti in Cristo sono pellegrini e stranieri in questo mondo: “Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchia-mo quella futura”(Eb 13,14; cf Eb 11,10-16). Dunque, come il ricordo di essere stati migranti e forestieri in Egitto, costituiva per gli Israeliti un invito all’ospitalità verso gli stranieri, ad avere compassione e solidarietà per coloro che partecipavano alla medesima sorte, così i cristiani, sentendosi pellegrini in questa terra, sono in-vitati a comprendere le sofferenze e i bisogni di quanti sono stranieri e pellegrini rispetto alla patria terrena. Un cristiano dei primi secoli descriveva lo stato di “pel-legrino” proprio del cristiano in un modo convincente: “I cristiani abitano la propria patria, partecipano a tutto come dei cittadini, e però tutto sopportano come stra-nieri. Ogni terra straniera è la loro patria e ogni patria è terra straniera” (Lettera a Diogneto). E non perché i cristiani si disinteressano della città terrena, bensì per-ché sanno di essere in cammino verso quella città che Dio stesso ci sta preparando. Per questo, essere stranie-ri - ci ricorda la Bibbia - è la strada per essere credenti.

Tu, curioso forestiero(cf. Lc 24,13-35)

Ti avvicini a noi,prendi il nostro passo,tu, curioso forestiero,

mentre voltiamo le spalle a Gerusalemme.Ti lasci interrogare da noi;

rallenti il camminoper dar spazio ai nostri dubbi.

Ti offriamo brandelli sconnessidi una storia che ha in fondo una croce.

Ci definisci “stolti e tardi di cuore”.Spieghi a noi il nostro Libro,

quello delle vie di Dio.Entri nella casa,

spezzi il pane per noi.Ti riconosciamo,

ma tu riprendi il tuo viaggio.Ti abbiamo ospitato

per un breve spazio di tempo.Per sempre ci hai aperto gli occhied hai riscaldato il nostro cuore.

Sarai sempre con noimentre la notte si avvicina,ma sempre un passo avanti

sulle vie della Gerusalemme del cielo.Amen.

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“Dastranieri”-Dimensionespirituale

UOMINI E DONNE IN MOVIMENTOLe “nuove” parole della spiritualitàTransizione. Nomadismo. Minorità. Povertà.Dio, quando incontra nel tempo le persone, provoca in loro lo strappo dalla stabilità e l’apertura di un cammi-no. Ecco le note della spiritualità che induce.

Le persone di cui parliamo sono uomini e donne in movi-mento. Hanno lasciato la stabilità della loro terra magari per sfuggirle e si sono portati in orizzonti nuovi e scono-sciuti. Ma non stiamo parlando di “alcune” persone, per esempio di emigranti e di immigrati. Lo straniero siamo noi. Stranieri e pellegrini. Il Dio di Abramo, nel quale abbiamo il dono di credere insieme alla fatica della nostra fragile fede, ci offre a priori un volto prezioso della nostra condizione: anche Lui, Dio, si è fatto migrante e pellegrino con noi, per noi. E in certo senso prima di noi. Perché l’abbiamo trovato, o meglio Lui ci ha trovati, non nella spaziosità immobile di un tempio, ma nei sentieri del tempo e nel tumulto della storia. Questo è un dato fondamentale della nostra rela-zione con Lui: un incontro non nello spazio, ma nel tempo.

TransizioneNella storia Dio si rivela, parla e chiama a Sé. Getta e semi-na la sua Parola, il suo Verbo eterno, nella provvisorietà e nella mobilità del tempo. Se mai è Lui a provocare in noi lo strappo dalla stabilità e l’apertura di un cammino: da Ur dei Caldei per Abramo alle barche del lago per Pietro e Andrea, per Giacomo e Giovanni, fino a noi. Ma è decisivo questo suo mettersi nella storia. È la rinuncia di Dio alla fissità di una relazione fuori dal tempo, per visitare e invadere il frammento del viaggio breve di ogni esistenza umana. La Parola viene negoziata, viene messa in gioco. Rinuncia alla presunta sicurezza di verità fuori dal tempo e si affatica con noi. Siamo in epoca di transizione: forse ci è chiesto di guar-dare con maggiore prudenza alle glorie delle filosofie del-la classicità tradotte nella scolastica di Tommaso d’Aquino e nel pensiero minore delle neoscolastiche, per guardare con più attenzione all’uomo biblico, ad un’antropologia co-struita nella misura e nell’esperienza di pastori nomadi nel deserto del Sinai.

Un cammino verso terre ignoteÈ un viaggio in certo senso rovesciato rispetto alle grandi gemme filosofiche che pure tanti doni hanno portato al pensiero e alla prassi dei discepoli di Gesù di tante genera-zioni. Oggi però è fatica. Si voglia con più o meno sincerità mettere al centro dei cammini formativi la Bibbia, è inevita-bile accorgersi che le grandi sfide e gli interrogativi etici che ogni giorno si pongono alla coscienza cristiana trovano vie di accoglienza, di comprensione e di normatività quando si lasciano condurre dalla grande tradizione semitica scelta da Dio per comunicare, e per comunicarsi, piuttosto che la-sciarsi fermare e spaventare da principi e valori gloriosi, ma forse troppo pesanti per una storia che corre vertiginosa. Il contrario del “negoziabile” è l’ozio, e se non si negozia, si mette in ozio. Si chiude tutto in un glorioso immobile ar-madio, che sta fuori dalla storia e non può che giudicarla e condannarla. Ma che forse anche non è in grado di capirla. Ognuno che accetti di avviarsi nelle vie di Dio sa di essere condotto verso strade che non conosce, e verso terre a lui ignote. La “via” precede la “verità” e la “vita”. Lo Spirito ci

sta conducendo verso la verità tutta intera. Mai un greco accetterebbe simile prospettiva.

Nomadismo e minoritàMa straniero dice anche minorità. Dice cammino in mezzo ai santuari e ai templi della mondanità. Il nomadismo dei padri ebrei verso la Terra promessa non si è sedentarizzato. Anzi: se qualche volta siamo costretti a guardare con qual-che apprensione quella parte dei nostri fratelli ebrei che si sono fissati nella terra d’Israele come ogni popolo si stabi-lisce nel territorio che con più o meno ragione dice “suo”, con ancora più attenta vigilanza dovremmo osservare la vicenda delle Chiese e della Chiesa di Gesù , chiamate ad un cammino che va al di là della morte, e che dunque non ha nessun termine nel confine dell’esistenza terrena. Vivia-mo in una sottocultura preoccupata di rinchiudersi e di di-fendersi - ma anche di aggredire - in nome di una “identità soffocante e soffocata. L’ “altro”, nella sua diversità, mette in questione e in pericolo la mia identità. Quindi mi chiu-do per non perdermi. La nostra prospettiva è rovesciata. Solo accettando di esiliarmi nell’altro, per conoscerlo e per accoglierlo, posso, proprio nell’incontro tra le diversità, ri-conoscere e custodire quello che più profondamente mi ha generato e mi caratterizza. Il termine “parrocchia” vuol dire una “quasi-casa”, una tenda più che una casa: oggi sia-mo qui, ma domani bisognerà raccogliere i teli e i pali delle nostre tende per proseguire il cammino dietro al Signore del Vangelo e dietro al Vangelo del Signore. La verità, qua-si per un piccolo dispetto linguistico, si dice nella lingua di Platone e di Aristotele con un termine “negativo”: qualche cosa che “non è nascosto”. Vien voglia di pensarlo come un processo di disvelamento, mai terminato. La verità non si può possedere. Non perchè non ci sia. Al contrario! Ma perché è sempre più grande di ogni nostro conseguimen-to. Di ogni nostro progresso o conquista. Solo da stranieri, come giungendo da lontano, possiamo camminare nelle vie della verità. C’è una sfida nella parabola del prossimo, quella che solo Luca annota nella sua memoria evangeli-ca, per collocare il viaggio di Dio, fino a Gesù di Nazaret, e dunque fino alla pienezza della misericordia, quando ri-conosce lo sguardo compassionevole del Salvatore negli occhi di un Samaritano viandante. E ama compiacersi Gesù

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di quel Samaritano che, unico tra dieci, torna a riconoscere e ad adorare Colui che l’ha liberato dall’orrore della lebbra. Ed è ancora Gesù tacciato da indemoniato e da Samaritano, Lui pronto a stupirsi della fede dello straniero nelle vicende del centurione di Cafarnao e della mamma sirofenicia che lo supplica per la sua bambina. “Solo tu sei forestiero a Ge-rusalemme!” gli diranno due rattristati discepoli sulla strada del tramonto di Emmaus, con il cuore ancora non infuocato dalla sua spiegazione delle Scritture e con gli occhi non an-cora aperti dal suo spezzare il pane.

PovertàCertamente, il viaggio dello straniero esige una condizione aspra e severa: l’impossibilità di affaticare il viaggio con il peso di troppe cose. La povertà non è rinuncia masochisti-ca, ma esigenza di leggerezza per poter seguire Colui che per noi si è fatto povero. Se ne andrà triste l’uomo troppo ricco. Ne daranno felice riscontro gli amici che al termine del grande viaggio verso Geusalemme e verso la Pasqua saranno da Lui interpellati: “Quando vi ho mandato senza borsa, né sacca, né sandali, vi è forse mancato qualcosa? E loro gli risponderanno: “Nulla!”. La povertà è condizione preliminare per mettersi in viaggio, e Gesù vuole che lo si sappia prima. Per questo, a chi vuole seguirlo senza condi-zioni né limiti, Egli dice come avvertimento: “Le volpi han-no le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. E non è solo questo. C’è anche l’osservazione dell’Apostolo che, scrivendo ai suoi fratelli della Chiesa di Corinto, ricorda loro che “quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono”. Ed è in nome dell’obbrobrio della Croce che Paolo ricorda la scelta divina. Per seguire il Figlio di Dio occorre ogni giorno prendere la propria croce, dolce peso e soave giogo.Dunque, la precarietà della storia, la fragilità di un viaggio

indifeso ed esposto, la povertà di chi vuol seguire Gesù, “mite e umile di cuore”.

Tutto è donoE alla fine, ma poteva essere il principio, e forse l’unico ba-stone dell’Abramo pellegrino e l’unico sostentamento del povero discepolo, la grande figura del Dono. Tutto è dono. Tutto è grazia. Questo può intenderlo solo chi è nella bea-titudine dei poveri in spirito. Chi sa di essere nessuno e di avere nulla, e ne è lieto, solo lui è capace di guardare a tutti e a tutto come dono prezioso, da accogliere, custodire e far fiorire. Allora, anche le briciole che cadono dalle tavole dei signori sono regalo stupendo. Allora, come Francesco d’As-sisi, si può lodare Dio per la luce e il calore del sole, e per la terra che produce i suoi frutti, fino a lodarlo per coloro che perdonano e addirittura per sorella nostra morte corpora-le. Chi vive del dono, non si affatica nella ricerca dei meriti, perché anche il buono che viene da lui e dalla sua vita, è dono di Dio. Persino la povera storia del peccatore è per lui, se è povero in spirito, dono di Dio! Gemito di una vita ferita e deviata, che proprio per questo ha sedotto il Signore della misericordia. Questo strano Dio che non ci viene a premiare sulle nostre presunte vette, ma ci viene a cercare negli abis-si delle nostre povertà. E dunque anche nella vicenda di noi poveri peccatori. Ci eravamo arrampicati sul sicomoro e ci eravamo nascosti tra le fronde mentre passava, ma è stato Lui a vederci, e a chiederci di scendere subito per aprirgli la porta della nostra casa. E noi - ma anche questo è stato dono - lo abbiamo accolto con gioia.

Che cosa ha provocato nei discepoli di Emmaus la pre-senza del “forestiero” (Lc 24,18)? Quale percorso può avviare in noi il fenomeno migratorio?Ogni cristiano si muove e lavora in mezzo agli altri, come i discepoli che vanno verso Emmaus (Lc 24,13-35). Erano in viaggio verso quel villaggio insieme ad un forestiero. Dovet-tero condividere lo stesso pane per riconoscere in lui Gesù.Noi che crediamo in Cristo siamo chiamati a riconoscerlo così, venuto da altrove, vicino e irriconoscibile, che arriva al di là delle nostre frontiere. Giunge proprio al di là di quelle sicurezze che cerchiamo con insistenza.

Dio: misconosciuto e stranieroDio resta anche oggi lo sconosciuto, lo straniero, colui che

non conosciamo anche se crediamo in lui. Nello stesso tem-po è misconosciuto perché non vogliamo e non riusciamo a riconoscerlo.La nostra vicenda di credenti in un Dio che è straniero, sem-pre al di là dei nostri sforzi di comprenderlo, definisce anche la nostra figura di credenti. Essa si comprende dentro la ca-tegoria di forestiero.Fin qui, nel dossier, abbiamo potuto riflettere sull’urgenza di coglierci noi stessi come stranieri per comprendere, la nostra condizione umana e la nostra esperienza del credere. La Scrittura ha illuminato questa esperienza. Con Abramo ospitiamo lo straniero che è in noi e accanto a noi e scopria-mo che Dio ci visita. Nasce da qui la possibilità di accoglie-re l’invito della legge: “Ama lo straniero, come tu sei stato amato quando eri straniero”.

“stranieri”-L’attivazionedellecomunità

ERANO IN VIAGGIO INSIEME A UN FORESTIEROL’attivazione delle comunitàOspiti e non padroni. Vivere in forza di un’accoglienza. Il cammino da percorrere.

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La condizione umana è anche spazio di incontro e di “sal-vezza”. È luogo teologico. “Da stranieri” è condizione di vita piena perché, chi accetta di avviarsi nelle vie di Dio, sa di essere condotto verso strade che non conosce, e verso terre a lui ignote.Essere credenti è riconoscersi serenamente stranieri a questo mondo, a questa stessa vita, sentirsi ospiti e sradicati perché tutto è nostro, ma nulla ci appartiene.Fin dall’inizio, il credente in Gesù sta nella situazione di considerare tutto come proprio, ma anche tutto come estra-neo. Né dà concretezza di stile la Lettera a Diogneto, che ci è giunta come specchio della nostra realtà di seguaci di Co-lui che è via. I cristiani “Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Amano tutti e da tutti sono persegui-tati…”(Lettera a Diogneto).Ma quale stile di vita ecclesiale ne deriva? Che cosa siamo invitati a mettere in atto?Come educare ed educarci a vivere da stranieri? E, quale impatto può avere questa nostra riflessione sul modo di stare con chi è tra noi “straniero” ?Queste e altre domande, che sono nate dalla lettura degli arti-coli precedenti, fanno da sfondo a questa uscita, che, mentre offre qualche suggestione, sottolinea un modo di procedere: interrogare la vita, lasciarla illuminare, per tentare percorsi di cambiamento.Proponiamo un possibile cammino che può essere utilizza-to sia tra operatori pastorali: (presbiteri, catechisti, consigli pastorali), sia con adulti o gruppi di credenti che in questo nuovo tempo della Chiesa e della storia, desiderano vivere il Vangelo .1.Lo straniero Il primo passo è una seria considerazione di chi è lo stra-niero. Di che cosa suscita in noi anche solo il termine, quali paure emergono, quali atteggiamenti ci sono abituali, a che cosa colleghiamo la parola “straniero”.Ecco alcune piste:a) La singola personaStraniero = colui che mi è estraneo, che non conosco, che non è come me, che viene da altri luoghi, che porta altri modi di vedere. Colui che ha un’altra religione, che emigra in cer-ca di lavoro, di un altro modo di vivere e di guadagnare.Ognuno di noi, nella sua considerazione dello straniero, sot-tolinea un aspetto di questa realtà, quello che, in vario modo, lo interroga maggiormente. Già da questo primo esercizio emergono le nostre diversità di approccio e le nostre varie esperienze.b) Il fenomeno migratorioOggi siamo di fronte al fenomeno crescente della migrazio-ne che ci permette molti incontri, accosta molte visioni e fac-ce diverse della stessa umanità.La migrazione è un fenomeno antico: la natura globale è ciò che oggi la caratterizza. Sempre più persone scelgono o sono costrette ad emigrare rispetto al passato, e si dirigono verso un numero crescente di paesi. Come conseguenza, le socie-tà stanno diventando sempre più multiculturali. Individui di diverse culture non solo sono oggi a più stretto contatto, ma spesso sono anche costrette a vivere gli uni accanto agli altri. Molte delle città del mondo sono popolate da gruppi di per-sone di origini culturali e di appartenenza religiosa estrema-mente diverse. Anche i nostri luoghi quotidiani sono così!Che cosa suscita in noi questa realtà?Ci sono paure espresse o inespresse? Proviamo a dare un nome a ciò che ci abita.

2.Io straniero Il secondo passo è considerarci anche noi stranieri rispetto ad altri o ad altro.a) Scambio di esperienzeRipensiamo a quando ci siamo sentiti stranieri.In quella situazione, in quella famiglia, in quel paese, in quel momento mi sono sentito “estraneo”. Perché?Io, nella mia esperienza, sono straniero quando …………Inoltre io sono straniero a qualcun altro, a qualcosa, a qual-che situazione, a qualche idea, a questi modi di agire. Tutto ciò non è sempre solo un aspetto mancante, ma è spazio di libertà.In questo passaggio ci invitiamo reciprocamente a speri-mentare e a ricordare questa estraneità nella nostra esistenza e impariamo ad ospitarla.b) Demolizione di un modelloNe consegue che ci educhiamo a vivere da stranieri cam-biando modo di immaginare e pensare le relazioni, a partire da un lavoro paziente e cosciente di decostruzione del mo-dello dominante/dominato. Concretamente, nell’ambito ec-clesiale, è urgente andare al di là delle pratiche discriminato-rie ed esclusive che sono alla base delle distinzioni tra clero/laici; donne/uomini; umanità/natura; Occidentale/Orientale; nomade/sedentario.C’è qui, in questo sentirci anche noi stranieri, la chiamata a trascendere ogni forma di esclusione per assumere la frater-nità e l’ospitalità non come azioni buone, ma come condi-zione per vivere ciò che siamo.

3.Con lo stranieroSolo i primi due passaggi permettono ad ogni uomo e donna di buona volontà, ad ogni credente di vivere anche con lo straniero in una sorta di rinnovata scelta di vita pienamente umana.E’ possibile una progressi-va e graduale conversione di sguardo sulle differen-ze, incominciando dalle più vicine.Per far questo siamo invi-tati a:a. sognare, immaginare nuove forme di conviven-za civile che permettano il dialogo, nel rispetto e nel riconoscimento della ric-chezza della diversità in cui è stata creata l’umanità e la casa in cui essa abita.

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“Da stranieri” - Documenti

LONTANIVICINIChe cosa può significare nella Chiesa antica essere stranieri? Significa essere/essere percepiti/ percepirsi come estranei? Non c’è una sola risposta, né un solo termine dietro le risposte possibili, ma la stranierità come dimensione spirituale si può cogliere solo tenendo presente l’intera gamma di significati e sfumature.

Xenoi,paroikoi,cittadiniIn primo luogo è necessario ricordare che i cristiani delle prime generazioni sono stati, all’interno dell’Impero Romano, spesso e a lungo etnicamente e politicamente stranieri, così come, all’interno del mondo giudaico, hanno spesso rappresentato qualcosa di altro, almeno nella misura in cui erano tenuti ad avere le mense (eucaristiche, almeno qualche volta) in co-mune con pagani non in “regola” con le prescrizioni di purità rituale. Dunque non si trattava solo di questioni spirituali, ma di necessità di misurarsi reciprocamente: una nuova religione, nuovi usi, “barbari”, secondo i greci. Quando leggiamo in Efe-sini o 1Pietro di “stranieri” è anche a questo che ci si riferisce. La condizione di difficoltà diventa anche un punto di vista: si vedono le cose, l’impero, la vita diversamente. Fra i termini greci a disposizione si crea così una sorta di mappa e si ten-de a distinguere: percepiti come xenoi, stranieri/estranei, ci si dice piuttosto persone che “abitano presso”, senza identificarsi totalmente con un territorio, ma abitandolo finché è dato far-lo. A questa modalità corrisponde il termine paroikoi, costituito proprio da “presso” e “casa/abitazione”: stranieri che risiedo-no per un tratto. Di questa prospettiva sono esemplari le frasi di saluto di lettere “sub-apostoliche” : «alla Chiesa “straniera residente” in Corinto [scrive] la Chiesa straniera residente in Roma» (Clemente Romano ai Corinzi; cfr. Policarpo, lettera e martirio). Uno scritto del II secolo A Diogneto riprende il lessico di Efesini e introduce anche l’idea di cittadini: essere paroikoi è accettare una condizione di stranierità senza rinunciare a farsi carico della cosa come cittadini. Se infatti «ogni patria è terra straniera» altrettanto «ogni terra straniera è patria»: non estra-neità spiritualistica o disinteresse elitario, ma presenza attenta anche se non disposta a confondere il Vangelo con il potere.

LontaniviciniNon è difficile intuire come una dimensione di questo genere sia un modo di stare nel mondo e nella Chiesa e diventi perciò una spiritualità, testimoniata anche nella forma cristiana radicale che è il monachesimo. La xeniteia ne è una delle caratteristiche, sia che si realizzi anche andando altrove, nel deserto o per mare (come il mimo della Sto-ria Lausiaca), sia che prenda solo la forma di una dimensione dell’anima, “come uno che non esiste”. Ma questa libertà è anche parrhesia e questa distanza è vicinanza profonda: come il monaco (Apa Aphu) che vive coi bufali, ma scende a rimproverare il papa di Alessandria, o come Evagrio che sa di essere «lontano» per essere «vicino a tutto». Nella storia è anche diventata frater-nità, come testimoniano i monasteri di San Saba, in cui vivevano latini, arabi e greci, e benedettini, che hanno integrato goti come fratelli: ma questo esito non è scontato.

Concretamente questo avviene mettendole in atto anche nel nostro territorio, nel gruppo, nella co-munità parrocchiale, nella équipe di lavoro. Ogni modo di vivere, pensare, è una apertura; ogni di-versità che scomoda ci allarga l’orizzonte.

b. Incontrarci e accompagnarci in questi proces-si di costruzione di cittadinanza e di ecclesialità adulta, responsabile e partecipativa per situarci nei nuovi scenari e riconoscere i temi emergenti in questi tempi di cambiamento epocale.Concretamente questo ci rende corresponsabili nella modalità di essere Chiesa, nella responsabi-lità condivisa.

1.Nuove forme di vitaAllora la comunità dei credenti, una comunità di stranieri che abitano la terra con amore e creati-vità, sarà segno della generazione di nuove forme di vita.Tante persone oggi e tanti gruppi esigono apertura e rispetto del pluralismo.La comunità sarà il luogo in cui si può, ed è bello, esprimere la diversità nella libertà, anche di mani-festare la propria opposizione o il proprio disac-cordo con le dottrine e le pratiche ufficiali.Da questi passaggi sarà possibile considerare, con immaginazione creativa, il lavoro della costruzio-ne dell’uguaglianza umana che si erge limpida nel-la diversità, che ci struttura come persone e come credenti.Aprire gli occhi al nuovo, è una condizione neces-saria per percepire il soave mormorio del silenzio (1 Re 19,12) in cui la Divinità si rivela a noi e ci indica nuove forme di vita. L’immagine stessa di Dio è determinante per sperimentare, in modo in-ventivo, forme alternative di relazioni tra persone e popoli perché cessino di essere costruite barriere che allontanano.La sorgente intima della fede che alimenta il no-stro esistere, il nostro amare e agire è la relazio-

ne con quel DIO STRANIERO che abita dentro di noi ed è così oltre noi da in-vitarci continuamen-te ad “escasarci”. La Pentecoste spinse fuori della casa, ove erano chiusi, i disce-poli di Gesù, che poi se ne andarono in tutto il mondo. Pos-siamo ancora annun-ciare a tutti i cristiani che lo Spirito di Dio è l’ “escasatore” che rinnova la faccia del-la terra e della Chie-sa, che mette sempre in movimento per l’incontro, la fratel-lanza e l’ospitalità ad ogni creatura e a tutto il mondo.

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“Signore,dachiandremo?”(Gv6,68)

Messaggiod’invitodelConsiglioEpiscopalepermanentealXXVCongressoeucaristiconazionale(Ancona,3-11settembre2011)

1.“Signore,dachiandremo?”(Gv6,68)èl’iconabiblicasceltaperilluminareilnostrocamminopersonaleecomunitarioin vista della celebrazione del CongressoEucaristicoNazionale,chesiterràadAnco-nadal3all’11settembreprossimi.“Signo-re, da chi andremo?” è la confessione chel’apostolo Pietro rivolge a Gesù, a conclu-sione del discorso sulla Parola e sul panedivita.Èanchelaprovocazioneche,dopoduemilaanni,ritornacomequestionecen-tralenellavitadeicristiani.Inuncontestodi pluralismo culturale e religioso, il pro-blemafondamentaledellaricercadifedesitraduceancoranell’interrogativo:“Lagen-techidicechesiailFigliodell’uomo?…Mavoi,chiditecheiosia?”(Mt16,13.15).Riscoprire e aiutare a riscoprire l’unicitàsingolarediGesùdiNazareteragiàl’inten-todelGiubileodell’Incarnazionedel2000,come pure degli Orientamenti pastoraliper il primo decennio del Terzo millen-nio,...ilCongressoEucaristicoNazionalediBari(2005),eripropostoconforzaedeffi-caciadalSantoPadreBenedettoXVIalIVConvegno Ecclesiale Nazionale di Verona(2006).Anche il prossimo Congresso Eucaristi-co Nazionale intende collocarsi in questocammino: riscoprendo e custodendo lacentralità dell’Eucaristia e la stessa cele-brazioneeucaristicacomeil“culmineversocuitendel’azionedellaChiesae,insieme,lafontedacuipromanatuttalasuavirtù”,lenostre Chiese particolari potranno diven-tareautentichecomunitàdi testimonidelRisorto.Preparato e vissuto così, il Congresso Eu-caristico non sarà certo una “distrazione”ouna“parentesi”nellavitaquotidianadel-le comunità, ma una “sosta” preziosa permettercidifrontealMisterodacuilaChie-saègenerata,perriprendereconrinnova-tovigoreeslanciolamissione,confidandonellapresenzaenelsostegnodelSignore. 2.AncheilSantoPadreBenedettoXVI, nell’Esortazione postsinodale Sacra-mentum caritatis, avverte la necessità diinsisteresull’efficaciadell’Eucaristiaperlavita quotidiana.... È questo il punto foca-le del prossimo Congresso Eucaristico e ilsenso della proposta tematica e di appro-fondimentochesisvilupperàsull’arcodellasettimanacongressuale.Qualepastoraleequale spiritualità fluiscono dall’Eucaristiaper la vita quotidiana? Quali sono i luo-ghi della testimonianza che il cristiano è

chiamato a dare di Gesù Parola e pane divita negli ambiti del vissuto quotidiano?Quest’ultima sottolineatura non rimandaa un livello mediocre di esistenza, bensìmetteafuocolaconcretezzaelaprofondi-tàdellavita,cheognigiornocièchiestodirispettareeamarecomedonoepromessae, insieme, di onorare con impegno e re-sponsabilità.Inquestomodo,vieneripre-saecompletatalatematicadelprecedenteCongressodiBari,Senzaladomenicanonpossiamovivere.È l’invito a non dare per scontato il nu-cleo essenziale della fede, a tenere apertoil senso del Mistero che si celebra lungol’anno nella pratica della domenica, “gior-no del Signore”, da custodire anche comegiorno della comunità cristiana e giornodell’uomo, del riposo e della festa, tempoperlafamigliaefattorediciviltà.Èforte,

infatti, il rischio che una pratica religiosaassidua resti rigorosamente circoscrittaentro spazi e tempi sacri, senza incideredavverosuimomentiquotidianidellavitafamiliare, del lavoro e della professione epiù in generale della convivenza civile. Èdoverosopreoccuparsideimoltifedelichenon partecipano alla Messa domenicale,madobbiamoanchechiedercicomeescanodall’Eucaristiadomenicalequantivihannopresoparte. 3. “Signore, da chi andremo? Tuhai parole di vita eterna”. Il testo giovan-neorivelacheGesùèpanediscesodalcieloper la vita secondo una doppia modalità:nonsolocomepaneeucaristico,maanchecome pane della Parola di Dio. Nella cele-brazione eucaristica, questi due modi dipresenzadelSignoreprendonolaformadiun’unicamensa,intrecciandosiesostenen-

Il logo nel suo insieme rappresenta un’importante e immediata comunicazione visiva, l’immagine stessa si integra di vari fattori caratterizzanti la cultura e l’identità cristiana-cattolica.Il cerchio come elemento base, uno stile “iconico” e tratti decisi permettono una precisa percezione degli elementi espressi dal logo. Uno stile pittorico con tratto pulito ed es-senziale e un perfetto equilibrio tra la parte iconografica e quella testuale, uniti al tratto marcato e alla consistenza del colore, trasmettono immediatezza e semplicità. All’interno del logo sono presenti i Simboli Cristiani in grado di sintetizzare in maniera suggestiva il messaggio “Signore da chi andremo”? – Tu solo hai parole di vita eterna.Il Sole, simbolo di Giustizia divina, vuol essere una rappresentazione del “Giorno del Si-gnore”; la Patena ritratta nell’iconografia del sole, contiene, secondo il Mistero, il Corpo di Cristo; l’Alba, biancore immacolato simbolo di purezza; la Luce del Messia che illu-mina gli uomini nel cammino verso la Salvezza; i Pesci, che rappresentano le anime degli uomini chiamati ad essere salvati nelle reti di Dio e dei suoi servi; il Mare, creatura la cui grandezza è al servizio della divinità; il Popolo in Cammino raffigura la via rivelata dal Padre “Io sono la Via, la Verità e la Vita” (Gv 14, 6). “Accorriamo tutti, dalle diverse Chiese e Comunità ecclesiali sparse per il mondo, verso la festa che si prepara; portiamo con noi ciò che già ci unisce e lo sguardo puntato solo su Cristo ci consenta di crescere nell´unità che è frutto dello Spirito” (IM, 4); il Cerchio, figura geometrica perfetta, senza principio né fine, un simbolo di Dio; la Terra, da cui fu plasmato l’uomo e che in essa vede una madre; la Chiesa, a simboleggiare la Rivelazione e l’Incarnazione.Altrettanto importante è il linguaggio dei co-lori che traspare dalla lettura del logo.Il Giallo evoca regalità e luce divina; l’Oro, simbolo di luce eterna, rappresenta la ric-chezza spirituale; il Blu, colore del cielo, sug-gerisce immaterialità e profondità infinita; il Rosso, simbolo della vita, è il colore del Sacri-ficio supremo, quello della croce, per questo è il colore dell’Offerta e dell’Amore; il Verde, colore equilibrato, calmo, fresco e rassicuran-te, simboleggia l’acqua, caratterizza il mon-do vegetale ed evoca la primavera;il Bianco identifica il Mistero divino, essendo al tempo stesso assenza e onnipotenza.

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dosi mutuamente. ... Con la Costituzione conciliare Dei Verbum, ripresa dalla recente Esortazione postsinodale Verbum Domini, la Chiesa si è prodigata perché la Parola di Dio fosse portata con abbondanza al cuore delle celebrazioni liturgiche e in una lingua percepita dal popolo con immediatezza, raccomandando al tempo stesso di incre-mentare la pastorale biblica non in giustap-posizione ad altre forme della pastorale, ma come animazione biblica dell’agire ecclesia-le, avendo a cuore l’incontro personale con Cristo, che si comunica a noi nella sua paro-la.Aiutare a scorgere in Gesù, Parola e pane per la vita quotidiana, la risposta alle in-quietudini dell’uomo d’oggi, che spesso si trova di fronte a scelte difficili, dentro una molteplicità di messaggi: è questo l’obietti-vo posto al cuore del cammino verso il Con-gresso Eucaristico. L’uomo ha necessità di pane, di lavoro, di casa, ma è più dei suoi bi-sogni. È desiderio di vita piena, di relazioni buone e promettenti, di verità, di bellezza e di amicizia, di santità.Si apre qui un prezioso campo di lavoro, affinché, nel cammino verso il Congresso Eucaristico e nelle stesse giornate congres-suali si promuovano iniziative di ascolto della Parola, di meditazione e di preghiera. Prima delle tante iniziative, che spesso af-faticano e frammentano l’azione pastorale, è necessario ricuperare anzitutto l’andare e lo stare con Gesù, credendo nella sua Parola e mangiando il pane dato da lui stesso.Troviamo qui il punto nevralgico del movi-mento di attrazione che il Risorto esercita dall’interno della celebrazione eucaristica. Qui anche noi veniamo attirati nel dinami-smo della donazione che Gesù ha fatto di sé al Padre, animando la sua intera esistenza fino alla morte in croce per i suoi e per tut-ti, e manifestando la sua bellezza e forza di trasfigurazione nella nostra esistenza quo-tidiana....Dall’unità di Parola di Dio ed Eucaristia nasce così un atteggiamento contemplati-vo, in grado di dare “forma eucaristica” ai contenuti della vita quotidiana: il senso di gratitudine per i doni di Dio, la coscienza umile della propria fragilità, la capacità di accoglienza e di relazioni positive con le persone, il senso di responsabilità nei con-fronti degli altri nella vita personale, fami-

liare e sociale, l’ab-bandono in Dio come attesa e speranza affi-dabile. 4. Riscoprire l’unità di Parola ed Eucaristia significa tenere aperta la ce-lebrazione alla vita quotidiana, tanto nella contemplazione quanto nell’azione. L’agire che ne consegue è soprattutto la te-stimonianza, l’evangelizzazione, la missio-ne.Usciamo dalla Messa cresciuti nella fede e più responsabili. Scopriamo così il volto missionario della tematica congressuale.Sappiamo quanto i cristiani siano ricono-sciuti e apprezzati come uomini e donne di carità, esperti di umanità, socialmente solidali, anche da quelli che non frequen-tano la vita della comunità cristiana. Nello stesso tempo, la presenza cristiana nella società rischia di non essere presa in con-siderazione, quando addirittura non viene contestata, come testimonianza di Dio, di Cristo Risorto, di vita eterna e di valori so-prannaturali.Siamo consapevoli e preoccupati del fatto che oggi si sperimenti una “distanza cul-turale” tra la fede cristiana e la mentalità contemporanea in tanti ambiti della vita quotidiana. Tuttavia, abbiamo compreso che questa distanza non ha da essere consi-derata con fatalismo, ma al contrario come sollecitazione per scelte incisive nel nostro modo di essere cristiani.Rientra in questa prospettiva l’opzione di coltivare in modo nuovo e creativo la ca-ratteristica popolare del cattolicesimo ita-liano. “Popolarità” non significa una solu-zione di basso profilo, ma la scelta di una fede che si fa presente sul territorio, capace di animare la vita quotidiana delle persone, attenta alle esigenze della città, pronta a orientare le forme della coscienza civile.Una sfida in particolare - confermata ne-gli Orientamenti pastorali per il decennio, Educare alla vita buona del Vangelo, - inten-de raccomandare e incoraggiare la declina-zione del tema eucaristico: l’agire pastorale deve concorrere a suscitare nella coscienza dei credenti l’unità delle esperienze della

vita quotidiana, spesso frammen-tate e disperse, in vista di ricostrui-re l’identità della persona. Essa, infatti, si realizza non solo con stra-tegie di benesse-re individuale e sociale, ma con percorsi di vita buona, capaci di stabilire una fe-conda alleanza tra famiglia, comuni-tà ecclesiale e so-cietà, promuoven-

do tra i laici nuove figure educative, aperte alla dimensione vocazionale della vita. 5. L’Eucaristia per la vita quotidia-na diventa così anche il luogo di germina-zione delle vocazioni. La storia della Chiesa è la grande prova di questa affermazione: in ogni stagione, l’Eucaristia è stata il luogo di crescita silenziosa di splendide vocazioni al dono di sé e all’amore. La ricchezza delle vo-cazioni a servizio dell’edificazione comune trova nell’Eucaristia il luogo di espansione nella dedizione incondizionata al ministe-ro ordinato, alla vita religiosa e monastica, alla consacrazione secolare, al matrimonio e all’impegno missionario.Riscoprire l’Eucaristia come “grembo voca-zionale” è compito della comunità cristia-na, della famiglia - valorizzando non solo i genitori ma anche i nonni -, di quanti si dedicano all’educazione dei giovani, dei credenti impegnati nel lavoro, nella pro-fessione e nella politica. Ritroviamo qui un invito implicito a impegnarci a dare forma e valore all’idea della “santità popolare”, che si manifesta nella vitalità del costume cri-stiano,nell’unità della famiglia, nella qualità edu-cativa della scuola e degli oratori, nella ricchezza della proposta cristiana rivolta a tutti nelle parrocchie e offerta nelle asso-ciazioni e nei movimenti.Ciò di cui oggi si sente più bisogno è pro-prio rendere visibile giorno per giorno la vita credente, che è altro rispetto al modo corrente con cui si esprime il sentire diffuso nella gestione del tempo, degli affetti e del-la presenza sociale.Nel cammino verso il Congresso Eucaristi-co vogliamo impegnarci perché cresca e sia condivisa una rinnovata spiritualità della vita quotidiana.È questa la sfida che abbiamo di fronte: lo stile di vita nuovo dei credenti deve traspa-rire in tutta la sua bellezza e piena umanità. La nostra confessione di fede diviene per-suasiva e promettente tutte le volte in cui noi, discepoli del Signore, testimoniamo con i fatti e non solo a parole la gioia, la bellezza e la passione di seguire Gesù passo dopo passo. 6. ...Sarà l’occasione di evidenziare il rapporto tra l’Eucaristia e i “cinque am-biti” della vita quotidiana, individuati a Verona: affettività, lavoro e festa, fragilità, tradizione, cittadinanza....

27 gennaio 2011Il Consiglio Episcopale Permanente

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IN CAMMINO VERSO IL 25° CONCGRESSO EUCARISTICO

L’Eucarestia ci educa ad accogliere e a integrare la fragilità umanaCi sono due testi dove fragilità (creta) e preziosità (tesoro), il primo, debolezza e forza dell’annuncio evangelico, il secondo, ci offrono le coordinate per saper discernere e vivere nell’accoglienza e nell’accettazione le nostre fragilità personali e comunitarie.“Abbiamo un tesoro in vasi di creta” 2 Cor 4,7“…quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti, quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio…” 1 Cor 1,26-31

la descrizione della situazione di “rimozione” della fragilità umana nella cultura contemporanea che viene espressa come delirio di onnipotenza:• Eccessiva cura del corpo (fitness, palestre, centri benessere e loro diffusione sul territorio)• Cultura mediatica e modelli proposti: veline e modelli maschili• Ricadute educative nel mondo giovanile a partire dal principio che” tutto è possibile”: ricerca dell’estremo

(sport estremi)• Non consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti: appiattimento della ricerca e dello studio diffe-

renziato e conseguenze nella formazione e nella scuola (cfr. università)• Nuova percezione del limite mediata dalla cultura virtuale: il” virtuale” cambia il modo di sentire • Negazione della vecchiaia: anziani alla ricerca della giovinezza passata • Censura della” preparatio ad mortem”: allontanamento del moribondo (non

si muore più in casa)• Nella pastorale: incapacità a stare nell’ incompiuto, nel fallimento, nell’in-

certo, nel non sicuro, e a camminare con umiltà. Una prima conseguenza di questa nuova cultura è l’mergere di nuove fragilità: • Incapacità a sostenere ogni forma di dolore (la soglia si è abbassata nelle

nuove generazioni con gravi conseguenze: es. aumento dei suicidi)• Depressioni latenti e bulimie e anoressie nascoste e più difficili da stanare• Ricerca del “branco” per superare la solitudine e sentirsi “forti”• Nella pastorale: burnout degli “uomini di Chiesa”

Eucarestia-fragilità-pastorale•Eucarestia sorgente della misericordia: il perdono dei peccati è il primo atto nell’azione liturgica eucaristica•Eucarestia e Pastorale della Salute: importanza del malato come membro della comunità cristiana (visita costante

dei malati e degli infermi; comunione domenicale al malato durante Eucarestia comunitaria, in alcune occasioni Eucarestia e Unzione degli infermi, Eucarestia e preghiera di guarigione)

•Eucarestia e “conoscenza -custodia” della propria fragilità : educazione nella pastorale giovanile a conoscere i doni ma anche i limiti della propria vita. Mettere a confronto i giovani con il limite e la fragilità.

•Eucarestia e pastorale ecclesiale: consapevolezza del limite di ogni programmazione, delle fragilità delle strutturee della tentazione di far leva su mezzi di potere umano, sulla apparenza, sul successo, sull ‘immagine

Eucarestia-fragilità-comunità cristianaL’esperienza dell’accoglienza e dell’accettazione delle fragilità nella comunità parte dalla possibilità di comunica-re le proprie difficoltà in ambienti accoglienti, dove il mostrare la propria “debolezza” non è un “mostrare il fianco” a un nemico, ma è esperienza di condivisione e di comunità.•Da questo ambiente accogliente si può partire per una lettura delle proprie fragilità alla luce del Vangelo, come

condizione che ci avvicina a Cristo-Eucarestia (“quando sono debole è allora che sono forte”) e non come giogo della condizione creaturale.

•Il saper creare comunità accoglienti diventa atto di testimonianza per il mondo dove sembra non esserci spazio per chi mostra le proprie debolez-ze e viene dunque considerato “uno sconfitto”. Su questo si può conside-rare come si tenda a rimuovere, come se non fossero parte dell’esperienza umana, la vecchiaia, il dolore, la morte, momenti della vita che non pos-sono essere nascosti.•Talvolta anche il nostro essere comunità cristiana tende a “selezionare i perfetti”, adeguandosi, seppure con categorie e “criteri di selezione” di-versi, alle logiche del mondo.

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IN CAMMINO VERSO IL 25° CONCGRESSO EUCARISTICO

L’ Eucarestia ci educa alla vera relazione:

autentica vita affettivaLa prima grande verità da contemplare: Dio ha un corpo. Una veri-tà data per scontata dove in Gesù “abita corporalmente la pienezza della divinità” (Col.2,9). È questo il corpo “preparato da Dio” (Eb. 10,5-7): quello del suo Figlio, Gesù. Dobbiamo evitare di sot-trarre l’immagine di Dio da ogni pensiero che non sia il suo Corpo. È questa un’azione contemplativa che ridefinisce i contorni della

nostra stessa vita perché ogni brandello del nostro corpo, grazie a Lui, è trasformato. Il corpo di Cristo interpella la vita cristiana dell’apostolo, che rigenera e offre il suo corpo come “sacrifi-cio e offerta a Dio” (Rom 12,1-2). La corporeità è “offerta”, culto vivente. La spiritualità diviene per ciò stesso correlazione dinamica e vitale degli esseri, dono di corpi, apertura dialogica e amorevole che il credente vede generata e continuamente alimentata da Dio. Il contrario dello spirito, in questo senso, non è la materia, ma la chiusura nel proprio io, l’ostinato rifiuto della relazione, l’annullamento persino del colloquio. Per questo anche la vita verginale di Gesù non conge-la i suoi atteggiamenti affettivi e il suo cuore. L’atteggiamento che meglio trasmette questa sua personalità è raccolto nel ver-bo avere compassione (Mt 9,36; Mt 14,14;Mc 1,14; Mc 8,2). Meraviglia poi la spontanea maturità umana in cui Gesù lascia spazio a tutti i sentimenti. Non appare mai asceta impassibile privo di emozioni, anzi la varietà dei suoi sentimenti si colora di passione: Lc 10,38-42; Mt 19,13; Mc 10,14; Mc. 10,16;Mt 21,12; Mt 23,13-39; Lc 7,9; Mt 15,28; Mc 12,41-44; Lc 17,17-18.

La descrizione della situazione• Ambiguità dei termini e fraintendimento del loro significato: es.

amore….• Identificazione dell’affettività con la sessualità: il campo af-

fettivo vive una restrizione (riduzione dei corsi sulla formazione all’amore al campo sessuale)• Rifiuto dell’appartenenza concepita come limite della relazione• Instabilità e fragilità della relazione (amicale, di coppia, sociale…)• Liquidità dei rapporti con risultati estremi: indifferenza assoluta (passaggio da un rapporto all’altro senza im-

pegno e responsabilità) esigenza di fusione con il risultato della con-fusione e assenza della distanza (pretesa di rapporti empatici assoluti, assolutizzazione dei sentimenti …)

• Affettività disturbate e aumento di patologie frutto anche di esperienze familiari negative

Suggerimenti pastorali• Mostrare la bellezza e la bontà del Vangelo dell’amo-re in tutti gli itinerari formativi: “Amatevi come io vi ho amato”• Fondare l’esperienza comunitaria cristiana (parroc-chia, unità pastorale, comunità pastorali, associazioni, mo-vimenti, nuove comunità ecclesiali)) come frutto dell’amo-re reciproco (comandamento nuovo), segno della presenza vita del Cristo risorto e testimonianza evangelizzante• Curare gli itinerari di formazione affettiva in prepa-razione al sacramento del matrimonio, alla vita consacrata, nei seminari e nella formazione permanente del preti• Preparare uomini e donne capaci di corresponsabili-tà e sinergia nei diversi ambiti formativi così da mostrare concretamente la complementarietà uomo-donna• Porre attenzione preventiva alle situazioni di fragi-lità affettiva conclamate presenti sul territorio offrendo o indicando una rete di persone-istituzioni di sostegno ( es.centro di aiuto alla vita, centri di ascolto, centri caritas, singoli operatori)

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IN CAMMINO VERSO IL 25° CONCGRESSO EUCARISTICO

L’ Eucarestia per il lavoro e per la festaPer il lavoro:Esperienza dell’Apostolo Paolo: cristiano,missionario e lavoratore; Interessante l’intreccio fra vita ordinaria intessuta di lavoro e annun-cio cristiano dei primi apostoli. Vita eucaristica nel lavoro. Vedi i testi biblici :At. 18,3 e 2 Tess. 3, 10.

La descrizione della situazione• Ricaduta della crisi economica attuale sulle nostre famiglie• Crisi delle piccole imprese e dell’artigianato (uomini e donne di mezza età che non trovano lavoro)• Mobilità del lavoro e nuova emigrazione: fuga dai piccoli centri• Studenti e immissione nel lavoro: es. neo-laureati• Ricaduta: procastinazione delle scelte di vita: es. matrimonio Suggerimenti pastorali• Vita comunitaria ecclesiale e lavoro: consapevolezza della vita della maggior parte dei membri della co-

munità che lavorano ( rivisitazione degli orari della comunità: eucarestia, catechesi, incontri)• Pastorale giovanile: una pastorale fatta su misura degli studenti• Presenza cristiana imprenditoria e sindacato• Educazione ad una economia di comunione: conoscenza

delle esperienze in atto• Favorire una cultura di una economia etica reale non astratta

e utopica• Far maturare una solidarietà ecclesiale-diocesana stabile e

non solo occasionale: es. fondi di solidarietà una tantum

Per la festa:Preghiera sacerdotale in Gv 17: la festa è la vita della Trinità partecipata ad ogni credente. Fare festa come occasione di vi-vere la vita in Dio, relazione d’amore, dono reciproco, amore che custodisce, perdona, santifica e fa essere nella gioia vera.Allora la festa è un dono da accogliere e custodire prima di una conquista e di un merito-diritto acquisito. La descrizione della situazione• Aumento del tempo libero e suo utilizzo• La vita è gioco, concepito come libera invenzione; un gioco

in quell’istante, senza passato né futuro. È l’apologia della distrazione, di un pensare come pulsione continua

• Non esiste la festa perché tutto è festa (festa “spalmata” su tanti momenti, in più luoghi): modo di vestire, mangiare, riposare…

• Nella frammentarietà degli istanti l’Homo ludicus moderno o rischia salti all’indietro nel culto della me-moria, con enfatizzazione della tradizione, dei principi autoritari o fideistici, con la nostalgia del passato o del già fatto; oppure salti in vista di un varco nel futuro voluto senza nessuna continuità con quanto esiste oggi.

Suggerimenti pastorali • Eucarestia e domenica: favorire l’incontro-festa-riposo. Importanza dell’ ante e post messa (acco-glienza-ascolto)• Eucarestia e sacramento del perdono e della festa: dispo-

nibilità totale il sabato pomeriggio• Celebrazione dell’Eucarestia e ministero della presiden-

za: il prete costretto a rincorrere le Eucarestie da celebra-re (quale festa riesce a vivere con la sua gente?)

• Unificare la domenica come giornata della comunità che si ritrova: Eucarestia, formazione, festa, riposo, carità

• Preparare una pastorale del turismo capace di accogliere i cristiani nella comunità-eucaristica:es. testi in lingua per stranieri.

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IN CAMMINO VERSO IL 25° CONCGRESSO EUCARISTICO

L’ Eucarestia luce per la vita sociale Liturgia e Padri della Chiesa

I Padri della Chiesa condannano le ingiustizie e gli abusi a partire dall’Eu-carestia. Senza vivere la giustizia non si può partecipare alla liturgia:Questa vita sociale intensa, scaturita dalla liturgia cristiana, è fedelmente descritta da A. HAMANN, Vita liturgica e vita sociale. Milano 1969; il quale scrive riassumendo:"La storia del primi secoli dimostra fino a che punto la Chiesa» lungi dal limitarsi a predicare il Vangelo della carità si sforza di viverlo nel clima fraterno delle sue comunità... Per tutti i bisogni i fratelli non si contentano di pregare nel corso dell'assemblea liturgica; si impegnano anche a pren-dere iniziative, a prestare soccorsi materiali. Moltiplicano le collette ordinarle e straordinarie, in un ammire-vole ardore di solidarietà. Inventano pranzi di carità, cui danno il nome caratteristico di "agape"... L'esercizio della carità insegna ai cristiani che Cristo aveva spezzato le barriere sociali che separavano i ricchi dai poveri, gli uomini dalle donne... La dignità di ogni uomo era stata da lui fondata non su una situazione umana, ma sul fatto che ciascuno è stato scelto da Dio... Le diverse iniziative caritative che abbiamo visto esistere nella Chiesa antica, erano colte ad esprimere le esigenze della fede e della liturgia ... Nella Chiesa antica la solidarietà è intesa come una estensione della "frazione del pane"... Essa tende a mettere in luce ed a saziare la fame di giustizia e fraternità dell'uomo...".

La descrizione della situazione

• Fede vissuta e alimentata in forma intimistica e spiritualistica• Giudizio negativo di tutto ciò che è servizio politico • Indifferenza e distacco dall’impegno sociale e politico: chiusura nel privato • Narcisismo di gruppo: solidarietà e condivisione “provinciale” e ri-servata agli “amici”• In ambito pastorale: assenza di una coscienza popolare, tutto è ri-mandato al magistero sociale della Chiesa• Ricaduta mediatica: l’intervento della Chiesa (inteso come Papa e Vescovi) viene letto come ingerenza politica in assenza di cristiani che offrono un contributo costruttivo dall’interno

Suggerimenti pastorali

• Educare i cristiani di diverse correnti ad un confronto/incontro unitario circa il servizio politico e culturale• Prestare attenzione al territorio, evitare superficiali atteggiamenti che ostentano sicurezza ed esclusione di tutte

le forze collaboranti in campo sociale, culturale e politico

• Educarsi alla legalità che si esprima in scelte comuni di Chiesa

• Vivere il proprio lavoro come espressione della volontà di Dio e come impegno a edificare il Regno. E’ impli-cito in un tale atteggiamento l’impegno di acquisire la mas-sima competenza nel proprio specifico campo d’azione. Il lavoro svolto con “professionalità”, qualificata e aggiornata, accresce anche l’autorevolezza della Chiesa nell’attuare con incisività la nuova evangelizzazione.

• In fase operativa coinvolgere responsabilizzare tutte le forze in campo. Il tempo investito nel fare reciprocamente cono-scere, collaborare tra loro le diverse forze, le diverse realtà di aggregazione anche laiche è sempre tempo prezioso e ot-timamente impegnato. Testimoniare lo spirito di lavoro in comune offrendo percorsi e iniziative maturati dalla colla-borazione tra più settori.

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IN CAMMINO VERSO IL 25° CONCGRESSO EUCARISTICO

L’ Eucarestia per comunicare la fedeLa sorgente della vita della comunità evangelica primitiva sta nella triplice uni-tà dell’azione eucaristica: l’ascolto della Parola, lo spezzare il pane e la condi-visione fraterna come è descritta negli Atti degli Apostoli (At 2,42s; 4,32-35; 5, 12-16 La comunicazione della fede ha la sua fonte nell’Eucarestia. La descrizione della situazione• La tendenza alla riduzione dello spazioLe comunicazioni stanno rendendo il mondo piccolo, trasformandolo sempre più nel famoso “villaggio globale”. Le distanze del passato si vanno riducendo con lo stesso ritmo incalzante dello sviluppo tecnico. Questo fenomeno contiene immediatamente un’esigenza pratica e urgente per il campo delle azioni degli uomi-ni: richiede la capacità di pensare in termini di mondialità, di affrontare i problemi nei vari ambiti (economico, politico, culturale…) con un’ottica planetaria e di interdipendenza. Non si può più seguire una logica di dettagli. Questa cultura però rischia di essere animata da un movimento “egologico” tendente all’affermazione egocen-trica-narcisistica dell’io. Gli esiti sono di tipo ideologico-totalitario in quanto l’io (cioè una parte) pretende di ingigantirsi fino ad occupare tutto lo spazio e diventare la totalità, e questo è intrinsecamente violento. Un sociale, un collettivo, un tutto, un uno che elimina le diversità, la distinzione, in realtà nasce dalla divisione, dalla guerra e conserva in sé tutto il negativo del conflitto violento.• La tendenza alla riduzione del tempoUna seconda tensione presente ai nostri giorni, ancora più emblematica, è il tentativo della riduzione del tempo nella simultaneità degli istanti. Anche questo elemento, se da un lato è un profondo richiamo al fato che la vita “si gioca” realmente nell’attimo presente, dall’altro contiene il rischio che gli attimi rimangano nella totale fram-mentazione, avendo perso il fondamento dell’Eterno che come “filo d’oro” li potrebbe legare. Staremmo per entrare nell’epoca della “fine della storia” non tanto nel senso catastrofico di un tramonto del pianeta terra per distruzione atomica o ecologica, ma piuttosto nel senso dell’impossibilità di “raccontare una storia” sia in termini personali, sia in termini più generali, a causa della rottura stessa dell’unità del tempo nelle sue dimensioni di passato, presente e futuro.• Non basta dire Dio, occorre interrogarci su quale volto di Lui si presenti. È l’attesa di un Dio che sia in rapporto con il concreto esistere dell’uomo, un Assoluto concreto. La cultura contemporanea non si è semplicemente arresa alla frammentazione e alla frattura; si è rimessa in cerca di un Oltre che poteva ridonare l’unità, ma spesso si è avviata sulla strada di un Assoluto senza volto e senza lega-mi con la storia concreta degli uomini. Un Assoluto che non incontri mai il concreto esistere dell’uomo, non può interessare, anzi diventa una spinta verso una fuga dalla vita di ogni giorno. In questi ultimi anni il fatto nuovo del ritorno di un certo tipo di sacro presente nelle sette e nei vari gruppi gnostici ha rimesso fortemente in scena un religioso anonimo che come tale rischia di cancellare i nostri volti Suggerimenti pastorali• Una pastorale che mette al centro il Volto di CristoA questo punto possiamo esplicitare la sfida che è posta all’evangelizzazione. Se le rotture sono esito del tentativo dell’affermarsi di una parte sulle altre, cioè di un individualismo chiuso su se stesso, prima tappa che il Vangelo ci indica per la nuova storia è l’uscire dalla fortezza dell’ego per scoprire il Volto dell’Altro. E di questo l’Euca-restia ne è manifestazione. L’io è chiamato a deporre la propria sovranità per essere custode di un’epifania, per accogliere l’irruzione di un inatteso. Il volto dell’altro richiede:• responsabilità : dare una risposta al suo appello, uscendo dall’indifferenza e dal disimpegno.• disinteresse: una visione dell’essere «ferito» interiormente dal rapporto, quindi mai riducibile a possesso• prendersi cura: che non è un sostituirsi all’altro, ma è un “farsi uno”, un far sì che l’altro sia.Ma tra tutti i volti diventa decisivo l’incontro con il Volto che in modo inatteso si fa incontro come Risorto, ma con i segni del Crocifisso, e ti doman-da: «Mi ami tu?». Ed è proprio questo volto che i nostri occhi possono scopri-re nell’Eucarestia.• l’evento dell’unitàUn passo avanti è ancora richiesto per realizzare una pastorale evangelizzan-te: non fermarsi al riconoscimento del volto dell’altro, ma giungere alla reciprocità del rapporto, dell’amore.In questo spazio accade l’avvenimento di una terza realtà: l’unità. L’evento dell’unità permette ai due di uscire dalla solitudine, di non entrare in conflitto, di non fondersi in una situazione impersonale. L’unità è un evento che fa uscire sia da una logica monistica che da una duale-conflittuale e rende possibile la più grande comunione insieme alla più grande realizzazione della propria personalità e libertà.Il “gioco” dell’unità è l’irruzione sorprendente di una nuova logica: quella trinitaria che l’Eucarestia significa. Il volto dell’Assoluto che è rivelato in pienezza nella cattedra del Cristo pasquale è Trinità. Il «gioco» dei rapporti trinitari è la patria a cui ci spinge l’inquietudine del cuore umano.La testimonianza prima di tutto e poi l’annuncio di questo vangelo appare «interessante» per l’uomo perché ricrea l’unità e la bellezza: un’unità e una bellezza che nemmeno la morte può spezzare: questa è la grande nostalgia dell’uomo.

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Il filo rosso del “benedire” e del “rendere grazie” collega parole e gesti dal Prefazio alla Dossologia. Siamo nel cuore della Messa. Ci vien svelato il cuore di Dio.

Dopo l’Orazione sulle offerte, colui che presiede rivolge l’invito: “In alto i cuori”. Ci alziamo. D’ora in poi tutto si unifica. Risuona una sola voce, quella del presidente. Più che mai agisce “in persona Chri-sti”. L’uno (il Signore Gesù) parla a nome dei molti. Ogni altro suono tace. Solo Gesù è altare, vittima e sacerdote. Dal Prefazio sino alla Dossologia i verbi di Gesù (e nostri) sono “benedire” e “rendere grazie”. La preghiera - è bene precisarlo - è rivolta al Padre.

Il prefazio Colui che presiede allarga le braccia. È proprio il simbolo del Cristo della Pasqua il quale, nell’ora su-prema della sua vita, “stese le braccia sulla croce” e così “morendo distrusse la morte e proclamò la Resurrezione” (Preghiera Eucaristica II).Il Prefazio riepiloga tutta la storia di salvezza o, più spesso, ne mette in rilievo un segmento. Anche noi abbiamo l’impressione di salire verso il cielo. Ma questo non è vero. Ce lo rivelano le tante chiese che hanno la cupola proprio sopra l’altare. Intendono dir-ci: il cielo è qui. Sarebbe faticoso volgere lo sguardo in su. Spesso, nelle cupole è raffigurata la Trinità e la gloria del paradiso. In realtà scendono tra di noi, il Padre, Gesù, lo Spirito, gli angeli. Sfilano, nella voce narrante di colui che presiede, i colori dell’iride del-le meraviglie di Dio: la creazione, l’incarnazione, la passione, la morte, la resurrezione, la Pentecoste.In questa fase, il silenzio è il livello massimo della partecipazione. È suggerito dallo stupore, dalla ri-conoscenza.

Epiclesi-anamnesi Il presidente impone le mani sul pane e sul vino e invoca lo Spirito. Il gesto esprime una trasmissione di forza, di potenza. Ne è autore lo Spirito. Quando egli discende, il caos diventa cosmo, gli uomini pro-nunciano le parole di Dio, la Vergine concepisce il Salvatore.Qui c’è l’inabissarsi di Dio. Il Verbo si fa carne. Pane e vino diventano Corpo e Sangue del Signore.Colui che presiede narra la cena, la croce, la resur-rezione del Signore. La Pasqua è il capolavoro del Padre. La si racconta ed essa ci raggiunge.Vengono messe in rilievo le modalità precise: il Fi-glio in una data precisa si è mostrato disponibile a divenire “corpo donato e sangue versato”. Si sono incontrati il tradimento e la fedeltà. La disponibilità anche alla morte è stato il sigillo che Gesù ha im-presso alla sua vita.Colui che presiede prende in mano il pane e il vino. Li riceve da Dio. Non sono suoi. Più avanti lo spez-

zerà il pane per tutti, giacché questo è il volere del Padre. C’è la totalità del dono (corpo e sangue) da parte del Signore.Ove più forte è la presenza, ivi più alta è la nostal-gia. “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamia-mo la tua resurrezione nell’attesa della tua venuta”.

L’offerta della Chiesa Siamo coinvolti totalmente in una maniera irrever-sibile nell’oblazione del Cristo: “Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima im-molata per la nostra redenzione” (Preghiera Eucari-stica III). Gesù ha offerto non cose né animali, ma se stesso. Così avviene per noi e di noi. Non dobbiamo cercare al di fuori di noi che cosa offrire. Viviamo il memoriale della sua Pasqua per divenirne memoriale.

Intercessioni Grande momento quello in cui (con la famiglia, con gli amici) riusciamo a “mettere i piedi sotto la tavola”. Allora possiamo scorgere volti, nomi, per-sone. È ciò che avviene, a livello infinitamente su-periore, nell’Eucarestia. La presenza del Signore ha un effetto rivelativo. Nominiamo Maria, i santi, il papa, i nostri cari, vivi o defunti. Non sono ombre o fantasmi, ma persone. Per questo le chiamiamo per nome. Il Cristo ha sfondato il muro della morte. Ora fa da ponte tra il tempo e l’eternità. Accoglie chi cadrebbe con la morte nel nulla e lo consegna al Padre (Apoc 1,17). Già il Vangelo di Luca ci mostrava che la distanza tra il cenacolo ed il cielo è minima (Lc 4,36-50). La Chiesa appare come una foresta. Ha i piedi nel tempo, ma le punte più alte sono già nell’aldilà. Sfi-lano davanti a noi i vari scenari: la Chiesa pellegri-nante, quella “purgante”, quella gloriosa.Si manifesta anche come capofila. È preceduta, ac-compagnata dai giusti (Canone Romano, LG 2) (da Abele in poi). Di tutti gli uomini il Signore si fa ca-rico: è venuto perché nessuno perisca, ma ognuno abbia la vita eterna (Gv 10,10). L’Eucarestia è la festa di Dio. Gioia del Padre è vederci tutti convocati, riuniti, commensali. Sta con noi. Nulla potrà separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù (Rom 8,39).

Dossologia Chi presiede eleva verso l’al-to il Pane ed il Vino. Vanno ver-so il cielo. Indicano la direzione di tutte le cose. Il terminale della storia non sta in basso (il fallimento, il sepolcro, la terra) ma in alto. Dio ha fatto risorge-re Gesù da morte: in lui tutto è destinato al Padre, alla sua vita eterna.“Amen” dice l’assemblea.

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I riti dal prefazio alla dossologia

Prendere tra le mani, rendere grazie

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Con i Riti di Comunione, si passa dalla partecipa-zione alla condivisione. Siamo invitati al banchetto del Signore per divenire suo corpo. Tante sono le vie per comunicare. Possiamo elen-carle in ordine crescente: trovarsi casualmente all’interno di una folla, abitare lo stesso palazzo e salutarsi frettolosamente, essere colleghi di lavoro, condividere un’esistenza come coniugi. A livello simbolico, il mangiare insieme esprime la massima comunione. Il cibo è ciò che più radicalmen-te ci unisce perché dà vita. Nei Riti di Comunione della Messa superiamo anche questo livello. Nessuna esperienza umana può farci giungere a tanto. Perché questo? Il Figlio di Dio ha voluto scendere tra di noi, divenire uno tra gli esseri umani, vivere integralmente la condizione umana; la morte e la resurrezione sono state rispettivamente sepoltura del seme e sua rinascita come grano (Gv 12,22). Dio gli ha dato, a partire dalla Pasqua, illi-mitate possibilità relazionali. Per chi crede in lui è

possibile mangiare di lui e vivere di lui (Gv 6,48-58). La sua carne è vero cibo e il suo sangue vera bevanda (Gv 6,55). Mangiando di Cristo diventiamo suo organi-smo totale (1Cor 10,14-17). Non siamo più semplice-mente com-pagni (da uno stesso pane): diventiamo con-viventi. Nei Riti di Comunione passiamo dalla partecipazio-ne alla condivisione. Condividiamo il Padre, lo Spiri-to, il Figlio.

Il Padre nostro “Il Signore ci ha donato il suo Spirito. Con la fiducia e la libertà dei figli diciamo: Padre nostro”. L’invito che ci rivolge chi presiede fa riferimento alla Pasqua. Ne sottolinea un particolare aspetto: l’effu-sione dello Spirito. È il regalo che Gesù custodisce nel cuore; è rivelato dopo il colpo di lancia (Gv 19,30-34). Lo Spirito viene donato a noi da Gesù nel Battesimo, confermato nella Cresima, effuso in pienezza (Pre-ghiera eucaristica III) nella Cena del Signore.

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Il senso dei riti di comunione durante la Messa

Partecipare al banchetto

Dal cuore della liturgia al cuore della Trinità Come sarebbe bello se riprendessimo a parlare di Dio a partire dalla liturgia! Essa narra la Trinità. La mostra nel suo agire. Lo fa, in modo mirabile, la Preghiera Eucaristica IV. Proviamo ad attingere ad essa.· Ci permette di narrare il Padre. È il solo che meriti l’aggettivo buono, è fonte della vita. Si muove verso il mondo partendo dal suo regno di luce infinita. Fa ogni cosa con sapienza e con amore. Viene incontro a tutti in modo che coloro che lo cercano lo possano trovare. Si lega agli uomini con legami di progres-siva alleanza. Ama talmente il mondo da donare a noi, nella pienezza dei tempi, il suo Figlio.Ben diversa è la fisionomia della divinità che ci vie-ne offerta da altre religioni: il Dio adirato, che esige espiazioni o che non si occupa minimamente del de-stino dell’uomo.· Possiamo narrare Gesù. Egli è il Figlio di Dio fatto uomo per opera dello Spirito Santo. Nasce da Ma-ria vergine. Condivide in tutto fuorché nel pecca-to la nostra condizione umana. Annunzia il Vangelo ai poveri, dà la libertà ai prigionieri, agli afflitti la gioia. Per attuare il progetto di redenzione del Pa-dre si consegna volontariamente alla morte. Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li ama sino alla fine. Nella cena spezza il pane e fa passare il calice: rivela il significato della sua Pasqua: divenire pane di vita, sangue di salvezza. Dal Padre riceve, nella resurrezione, il sigillo di ciò che ha detto e fatto.· Possiamo narrare lo Spirito. Egli spinge il Figlio ver-so il mondo. È il primo dono ai credenti fatto da colui che è morto e risorto. Porta a compimento nell’og-gi, le opere del Padre e di Gesù. Trasforma il pane e il vino in Corpo e Sangue di Gesù. Rende coloro

che mangiano l’unico pane e bevono all’unico calice corpo unico del Risorto e offerta viva al Padre.La Preghiera Eucaristica IV non è una bella pa-gina lettera-ria. Narra ciò che accade, in modo sommo, nell’Eucarestia. In questo convi-to si concentra l’agire simul-taneo delle Tre divine persone. Si vede come il Padre, per mez-zo di Gesù ed in forza dello Spi-rito, doni “ogni bene al mon-do”. La storia umana non è narrata con ac-centi ingenui: si parla di disobbedienza, di morte, di peccato, di sangue. Dentro questa vicenda si inserisce la linea del Figlio, punta avanzata della nostra condizione umana, con i suoi verbi: amare i suoi sino al segno estremo, offrirsi in sacrificio per noi, versare anche il sangue per tutti in remissione dei peccati, restare come eternato in questo gesto. “Prendete e mangia-te; prendete e bevete, questo sono io”. In definitiva possiamo chiederci: “Dio, chi è secondo la liturgia eucaristica”? “La risposta: un Pane da condividere, una Coppa di vino da far passare tra i commensali per la loro gioia eterna.

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Lo Spirito di Gesù ci ha resi corpo del Signore. Pos-siamo quindi, parlando a Dio, usare lo stesso termine che valorizzava Gesù “Abbà” (Mt 11,25-27; Mc 14,36). Preghiamo stando in piedi. Non siamo più servi, ma amici (Gv 15,15). Non restiamo curvi a terra come altri adoratori di Dio. Stiamo in piedi, essendo risorti in Cristo. Abbiamo - come Gesù - gli occhi rivolti al cielo (Gv 11,41) e le braccia allargate, quasi a voler abbraccia re il mondo. Preghiamo usando il “tu”. Non ci rapportiamo con un “ente”, ma con il papà di Gesù. Egli è vicinissimo eppure diverso. Lo diciamo con l’espressione “che sei nei cieli”. Intendiamo dire che non nasce e non

muore; attraversa e supera il tempo. Ci lasciamo mo-dellare da lui, dal suo nome, dalla sua volontà. Non ten-tiamo di piegarlo ai nostri desideri. Dopo aver alza-to gli occhi al cielo (prima parte), li rivolgiamo, (nella seconda parte), alla terra. Chiediamo 3 regali: il Pane, il perdono, la salvezza.

Il rito della pace Ricevendo, a partire dalla Pasqua, lo Spirito che viene dal Risorto (Gv 19,34), abbiamo la sua pace da con-

dividere (Gv 14,27). Ce la scambiamo. Non si tratta della riconciliazione personale: essa va fatta in altra sede (Mt 5,23). Gesù venendo dai suoi dice Shalom (Gv 20,19-21). Questa parola significa salute, gioia, abbondanza, fe-licità. Gesù ci mostra la sorgente della sua pace: le piaghe delle mani e le ferite del costato (Gv 20,20). Lo scambio della pace è la fase in cui ci giriamo, ci guardiamo in faccia. Non è un gesto di pura cortesia. Indica il principio vitale (lo Spirito) che ci rende con-corporei e consanguinei del Signore.Lo spezzare del PaneColui che presiede spezza il pane. È il gesto del Pa-dre, pronto a nutrire gli esseri umani con la fatica, la resurrezione del suo Cristo. Per ognuno ci deve esse-re una porzione di questo cibo. È il gesto del Risorto che ancora oggi dice: “Pren-dete e mangiate; prendete e bevetene”. Sono giunti i tempi messianici; gli uomini sono diventati commensali di Dio. Mentre si spezza il Pane, si ripete il canto Agnello di Dio. Sono posti in evidenza tutti i paradossi espressi dal Vangelo di Giovanni e della sua scuola: la vittima diven-ta il Salvatore; colui che è estremamente fragile pren-de sulle sue spalle il peccato del mondo (Gv 1,29); colui che è stato ucciso è il vero

vincitore al centro dell’adorazione, nella liturgia ce-leste (Ap 12,11). Ora anche noi partecipiamo come sposa alle sue nozze (Ap 19,7). Ancora ci purifica, ha pietà di noi, ci rinnova dal di dentro con l’effusione del suo Spirito.

La processione Colui che presiede ci invita: “Ecco l’agnello di Dio”. Ci possono essere altre modulazioni secondo il Vangelo del giorno: “Ecco il pastore che dà la vita”, “Ecco lo sposo che viene”, “Ecco colui che nasce da Maria”... Tutto è pronto e noi volentieri accogliamo l’invito. C’è l’incontro tra:- Dio che apre la sua mano- Noi i figli, le creature che accedono alla mensa Facciamo nostre le parole del centurione “Signo-re, non son degno” (Mt 8,8). La salvezza, il Salvatore sono ora di casa. Come il funzionario del re noi pos-siamo constatare che la sua parola è stata efficace (Gv 4,53). Si forma una processione. Siamo come Israele nell’Esodo che riceve la manna (Es 10), come Elia che attraversa il deserto (1 Re 19,8). Ci guida un antico testo “Quando ti accosti, non avanzare con le palme delle mani stese né con le dita aperte; ma fai della mano sinistra un trono per la mano destra perché essa deve ricevere il re. Nel cavo della mano ricevi il corpo di Cristo dicendo: “Amen” (Cirillo di Gerusalemme, Catechesi mistagogiche 21-22). È importante anche la comunione al Calice (OGMR 85;284). Rivela meglio la nostra totale partecipazio-ne: Dio è per noi pane cioè vita e vino cioè gioia. Il canto esprime la gioia comune. Segue il silenzio adorante. Più volte è previsto nel rito. Ora il suo significato raggiunge il vertice. Non si relaziona con la Parola, ma con il Pane. È una ce-lebrazione: lo si fa tutti e contemporaneamente. È l’unico atteggiamento possibile di fronte a ciò che si compie. Possiamo dire “Non son più io che vivo, è Cristo che vive in me” (Gal 2,20). Possiamo usare l’espressione di Simone: “Rabbi, è bello per noi stare qui” (Mc 9,5). L’ascolto è divenuto (per tutti e per ognuno) contatto, unione mistica, esperienza uma-no-divina. Si realizza la promessa che fa il Signore a nome dell’intera Trinità: “Verremo a lui e prendere-mo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Questo carattere “culminante” è sottolineato dall’Antifona di comunione che andrebbe cantata a mo’ di ritornello. Nel gustare il banchetto sta l’av-verarsi del sogno di Dio: “Gerusalemme sorgi e sta in alto; contempla la gioia che a te viene dal tuo Dio (2ª dom. di Avvento). “Questo è il Figlio mio prediletto,

nel quale mi sono compia-ciuto, ascoltatelo (2ª dom.Quaresima che fa riferi-mento alla Trasfigurazio-ne). “Accosta la tua mano, tocca le cicatrici dei chio-di…” (II dom. di Pasqua, ove si parla di Tommaso)”. I discepoli riconobbero il Signore nello spezzare il pane” (III dom. di Pasqua; il vangelo è quello dei due di Emmaus, Lc 24, 13-35). In tutte quelle figure ci ri-conosciamo.

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LE DUE LETTEREDI BENEDETTO XVI SULL’AMORELa prima enciclica di Benedetto XVI portava il titolo “Deus caritas est - Dio è amore” (2006). A questo scritto fece seguito, tre anni più tardi, l’enciclica “Caritas in Veritate - La carità nella verità”. Non è casuale che il Papa abbia voluto indirizzare ai cristiani di tutto il mondo in così breve tempo due lettere che recano nel titolo la stessa parola “caritas”.È vero che Gesù stesso ha indicato il precetto dell’amore verso Dio e verso il prossimo come il comandamento più importante. Ma quanti fraintendimenti e quanti tradimenti in nome dell’amore!Benedetto XVI con questi due scritti ha voluto non solo richiamare l’attenzione dei cristiani di tutto il mondo sull’importanza dell’amore fraterno, ma anche spiegare la maniera più ade-guata con cui il cristiano del terzo millennio può rispondere a questa chiamata. Sì, perché come dice il Papa, “l’amore non è solo un comandamento, ma è la risposta al dono dell’amo-re, col quale Dio ci viene incontro” (Deus caritas est n. 1).

Caritànella Verità

“Abbiamo creduto all’amore di Dio”, così il cristiano può esprimere la scelta fonda-mentale della sua vita. All’inizio dell’essere cristiano... c’è l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che da alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”. (Deus caritas est, n. 1)

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Per la Chiesa, ammaestrata dal Vange-lo, la carità è tutto perché.... “Dio è ca-rità” (n. 2). Ma la carità è strettamente collegata alla verità perché questa “è luce che da senso alla carità. Questa luce è, a

un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l’intelli-genza perviene alla verità natura-le e soprannaturale della carità: ne coglie il significato di donazio-ne, di accoglienza e di comunio-ne.Senza la verità la carità scivola nel sentimentalismo... è preda delle emozioni e delle opinioni con-tingenti dei soggetti, una parola abusata e distratta, fino a signi-ficare il contrario” (n. 3). Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. È esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra saperi e operatività... Nell’attuale con-

testo sociale e culturale, in cui è diffusa la tendenza a relativizzare il vero, vivere la carità nella verità porta a comprendere che l’adesione ai valori del cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale (n. 4).

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La Verità illumina la Carità

L’enciclica“Caritasinveritate”,diBenedettoXVIèstatapubblicatanel2009inoccasionedelqua-rantesimo anniversario della “Populorum pro-gressio”diPaoloVI.ConquestoscrittoilSommoPontefice intende “rendere omaggio allamemo-ria” del suo predecessore “riprendendo i suoiinsegnamenti sullo sviluppoumano integrale” ecollocarsinelpercorsodaessi tracciato,perat-tualizzarlinell’erapresente.

***Questoopuscolo,piùcheriassumereledueenciclichediBenedettoXVIsull’amore,prendedaquestelospuntoperrichiamarel’attenzionesual-cuniaspettidellacaritàcristiana,perchésianopuntidiriferimentosaldinelcamminodicrescitanellafedepersonaleedellenostrecomunità.

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“Dio ci ha amati per primo”(1 Gv. 4,19).L’amore di Dio per l’uomo nasce nel momento stesso in cui Dio vuole coronare l’opera della creazione con un essere fatto “a sua immagine” (Gn. 1,27).L’uomo e la donna entrano così nel mondo con una missio-ne ed una dignità che i distinguono essenzialmente dalle altre creature: saranno capaci di conoscere Dio, di stabili-re con Lui un rapporto di figliolanza, di continuare l’opera della creazione con il lavoro materiale e intellettuale e con la procreazione di nuove vite umane. Ma l‘amore di Dio per ‘umanità non conosce confini. All’uomo, che con il peccato ha smarrito la vera dimensione del suo essere, viene incontro con un atto di amore che solo Dio poteva in-ventare: dona all’umanità il proprio Figlio come redento-re. San Giovanni, nella sua prima lettera, scrive: “In que-sto si è manifestato l’amore di Dio per noi. Dio ha mandato

i suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato suo Figlio come vittima d’espiazione per i nostri peccati” (1 Gv. 4,9-10). Se la vita umana è un dono d’amore, tan-to più la salvezza offerta all’uomo da Gesù, Figlio di Dio, testimonia la so-vrabbondanza di questo amore.

Dio è Amore

“Prima che noi fossimo, un Cuore ci ha amati di un amore eterno e per tutta la durata della nostra vita questo Cuore ci abbraccia col più caldo degli amori...Dio ci ama, Dio ci ha amati ieri, ci ama oggi, ci ame-rà domani. Dio ci ama in ogni istante della nostra vita terrena e ci amerà durante l’eternità se non re-spingeremo il suo amore... Mio Dio, quanto ci ami, tu che per noi hai voluto essere sprofondato in quest’abisso di sofferenze e di disprezzo... Hai vo-luto dimostrarci il tuo amore, quest’amore inaudito al quale il Padre ha dato il suo unico Figlio e l’ha dato in mezzo a tali sofferenze e tali umiliazioni... allo scopo di indurci ad amare Dio a nostra volta”.

(Charles de Foucauld, Scritti spirituali)

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Nell’Amore il senso

della Vita

“La gioia provienedal dare e condividere,non già dall’accumulare e sfruttare”.(E. Fromm, Avere o essere)

"CreatiadimmaginediDiopossiamore-alizzarcisoloneldonodinoistessienell'ac-coglienza dei fratelli" (C.E.I., Documentodopo Palermo, n. 4). Oggi molte personecredonocheperrealizzarelapropriavitaoc-corraguadagnaremoltodenaro,accumulareproprietà,diventarefamosi,esercitareilpo-tere...Questomodo di pensare è diffuso a pienemanidaunapubblicitàsemprepiùmartellan-teche,asensounico,ciproponeconimetodipiùconvincentisoloprodottidaacquistareedaconsumare.Malecose,ancheseposse-duteingrandequantità,nonpossonosaziarelanostrasetedifelicità,comenonpossonodare,dasole,sensoallavita.Perquesto,for-

se maic o m eoggi lag e n t esi sente

nonrealizzata,speri¬menta lamancanzadisignificato dell'esistenza e, talvolta, vienetentataaddiritturadirifiutare lavitastessa.Percomprendere il sensodellavitaumanadobbiamometterci in ascolto di Colui che,avendola creata, puòdirci l'unicaparoladiverità su di essa: Dio. Attraverso le paro-leed igestidiGesù,Dioci rivelachesoloattraverso l'amore, inteso come dono disé, lavitaacquistalasuaveradimensione,l'uomosenterealizzate lesuepiùprofondeaspira¬zioni,sisenteutile.Gesùesprimequestarealtàconunasugge-stivaimmagine:"Seilchiccodigranocadu-tointerranonmuore,ri¬manesolo,seinve-cemuoreproducemoltofrutto.Chiamalasuavitainquestomondolaperdeechiodialasuavitainquestomondolacon-servaperlavitaeterna"(Gv.12,24-25).Occorrequindirecuperareilsensopro¬fondodella nostra vita interpretandola, alla lucedelle parole e dell'esempio di Gesù, comeamore-dono.

InnoallaCaritàSeancheparlassilelinguedegliuominiedegliangeli,manonavessilacarità,sareiunbronzorisonanteouncembalosquillante.Seavessiildonodellaprofeziaeconoscessituttiimisterietuttalascienzaeavessituttalafedeinmododaspostarelemontagne,manonavessilacarità,nonsareinulla.Sedistribuissituttiimieibenipernutrireipoveri,sedessiilmiocorpoperesserearso,enonavessilacarità,nonmigioverebbeanulla.Lacaritàèpaziente,èbenignalacarità;lacaritànoninvidia,nonsivanta,nonsigonfia,nonmancadirispetto,noncercailpropriointeres-se,nonsiadira,nontienecontodelmalericevuto,masicompiacedellaverità;tuttotollera,tuttocrede,tuttospera,tuttosopporta. Lacaritànonavràmaifine.(1 Cor. 13,1-8)

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La Chiesa è chiamata a portare agli uomini di ogni tempo un annuncio di gioia e di speranza: “Dio ti ama, Cristo è venuto per te, per te Cristo è via, verità e vita”. Un messaggio che non deve essere trasmesso solo a parole ma con la testi-monianza della vita, sull’esempio di Gesù, che dimostrò di essere il volto di Dio che ama l’uomo, che si china sul dolore fisico e sul male morale per guarirli.L’amore di Gesù per l’uomo si manifestò innanzi-tutto nel riconoscere dignità ad ogni persona che incontrava. Prendere come modello l’amore che Gesù ha testimoniato vuol dire soprattutto imitar-lo in questo. I Vescovi nel documento “Evangeliz-zazione e testimonianza della carità” esprimono questa convinzione con parole chiare ed inequi-vocabili: “La carità evangelica poiché si apre alla persona intera e non soltanto ai suoi bisogni coin-volge la nostra stessa persona ed esige la conver-sione del cuore. Può essere facile aiutare qualcuno senza accoglierlo pienamente. Accogliere il pove-

ro, il malato, lo straniero, il carcerato è infatti far-gli spazio nel proprio tempo, nel-la propria casa, nelle proprie ami-cizie, nella propria città, nelle proprie leggi. Lacaritàèmoltopiù impegnativadiunabe-neficenza occasionale: la prima coinvolge ecreaun legame, lasecondasiaccontentadiungesto”(E.T.d.C., n. 39).Queste parole ci riportano direttamente al cuore della carità cristiana che è fondata sull’accoglien-za e la condivisione, chiarendo una volta per tutte che l’elemosina, specie quella fatta “per tenere tranquilla la coscienza”, se non ci coinvolge con i problemi degli altri ha poco a che vedere con la vera carità cristiana.

Amatevi come Io vi ho amato

La Chiesa vive e opera nel mondo, ma sa che il suo destino non si compie quaggiù. Il passaggio dal tempo all’eter-nità sarà segnato dall’ultimo giudizio nel quale, come descrive l’evangelista Matteo, Gesù giudicherà tutti gli uomini sull’amore (Deus caritas est, n. 15).

Saremo giudicati sull’amore

“Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si sederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli sepa-rerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e ‘porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: «Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazio-ne del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avere dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi ave-te vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e sie-te venuti a trovarmi». Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbia-mo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti

a visitarti?». Rispondendo, il re dirà loro: «In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». Poi dirà a quelli alla sua sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi ave-te visitato». Anch’essi allora risponderanno: «Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o fo-restiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?». Ma egli risponderà: «In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me». E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla Vita eterna”. (VANGELO DI MATTEO 25,31-46)

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La Carità in PARROCCHIA

“La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende d’intromettersi nella politica degli sta-ti. Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uo-

mo, della sua dignità, della sua vocazione”.

(Caritas in veritate, n. 9).

Eucarestia e CaritàOgni domenica i cristiani si riuniscono per celebrare in manie-ra solenne l’Eucaristia. Ma questa non può ri-manere una celebra-zione fine a se stessa. Ascoltare insieme la Parola di Dio e mangia-

re l’unico pane eucaristico sono premesse per “fare comunione” anche una volta usciti dalla chiesa: nelle strade, nelle case, nei luoghi di ritrovo e di lavoro: “L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali egli si dona (Deus caritas est, n. 14). Eucari-stia e carità hanno un rapporto strettissimo che Gesù stesso ha voluto mettere in risalto duran-te la cena del Giovedì Santo, quando istituì il sacramento dell’Eucaristia. I Vangeli sinottici (Marco, Luca, Matteo) ci riferiscono che Gesù

Quando si parla di Parrocchia alcuni pensano che si tratti di qual-cosa che sta fuori di noi e che non ci riguarda se non in determinate circostanze della nostra vita (bat-tesimi, prime comunioni, matrimo-ni...).Eppure il Concilio Vaticano II ed i documenti successivi dicono con chiarezza che la Parrocchia è “la Chiesa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie” (Christifideles laici, n. 26). Essere Chiesa vuol dire essere comunità di persone unite dalla stessa fede in Dio, fede che diventa visibile nelle scelte e nei comportamenti che la vita di ogni giorno ci chiama a fare. È innan-zitutto nella Comunità Parrocchiale che il Vangelo della carità deve essere vissuto e annunciato per-ché è lì che il cristiano vive la sua vita di ogni gior-no e il suo cammino di fede. La Parrocchia diventa testimone della carità di Dio quando:-ANNUNCIA il Vangelo di Cristo nella sua integri-tà, consapevole che trasmettere la Parola di Dio è il primo e fondamentale atto di carità verso l’uomo, bisognoso innanzitutto di conoscere la verità sulla vita umana e sul destino dell’uomo.-CELEBRA con gioia la liturgia - in special modo l’Eucaristia domenicale - riconoscendo un intimo

l e g a m e tra Sacra-menti e vita di ca-

rità. Per questo le celebrazioni nelle quali parteci-piamo alla vita di Cristo risorto, dovrebbero essere un momento intenso di educazione alla carità. -TESTIMONIA la carità diventando la “casa co-mune”, caratterizzata dall’accoglienza reciproca, dalla valorizzazione di tutti e, specialmente, del-le persone a rischio di emarginazione e di oblio, dall’impegno attivo sui problemi del territorio che creano sofferenze e preoccupazioni nelle famiglie, in particolare in quelle più povere. Riguardo alle povertà, pur non dimenticando quelle tradizionali, occorre acquisire una nuova sensibilità nei con-fronti delle “povertà post materialistiche” che “se affliggono soprattutto i giovani, toccano in genere i più deboli e indifesi, come gli anziani soli e non autosufficienti, le persone in grave e cronica ma-lattia, le vittime dell’alcool, della droga, dell’Aids, i morenti abbandonati, i malati di mente e disadatta-ti, i bambini in vario modo oggetto di violenza fisica o psicologica da parte degli adulti” (E.T.d.C., n. 47).

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La carità non può essere considerata come una delle tante attività della Parrocchia da delegare ad un gruppo ristretto di fedeli, ma deve diventare l’atteggiamento, lo stile di vita di tutta la comunità, che vive come una comu-nità d’amore e in tal modo si rende riconoscibile e credi-bile al mondo: «Da questo vi riconosceranno come miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv. 13,15). Per realizzare questo ideale all’interno della Parrocchia è utile un’agile struttura pastorale, la Caritas parrocchiale,

che non ha il compito di assistere qualche categoria di poveri, bensì quello di animazione di tutta la comunità alla carità:• portando a conoscenza le situazioni di povertà presenti nel territorio;• suggerendo e promuovendo iniziative di impegno caritativo nelle quali tutta la Parrocchia sia coinvolta;• aprendo spazi alla presenza e alla partecipazione dei poveri nelle attività della vita parrocchiale;• individuando le strade attraverso le quali la carità non si limiti all’elemosina ma esprima l’ansia di giustizia e diventi impegno sociale;• aiutando quanti si impegnano nel volontariato o lavorano nei servizi sociali (sanità, assistenza...) a realizzare il loro servizio con vero spirito cristiano. La Caritas Parrocchiale deve quindi tendere a che tutta la comunità acquisisca una sensibilità nuova e una partecipazione diffusa al servizio.

La Caritas Parrocchiale

“Auspichiamo che le Caritas diocesane inco-raggino e sostengano le varie e benemerite espressioni del servizio caritativo e ne curino il coordinamento. Evidenzino inoltre la loro “prevalente funzione pedagogica” promuo-vendo ed attivando la Caritas parrocchiale in ogni comunità”.(E.T.d.C., n. 48)

quella sera prese il pane e, dopo averlo benedetto, lo spezzò e lo diede agli apostoli dicendo: “Questo è il mio corpo”. Lo stesso fece con il vino: “Questo è il mio sangue della nuova alleanza”. Poi aggiunse: “Fate questo in memoria di me”. Il vangelo di Giovanni, inve-ce, racconta un altro episodio avvenuto durante quella cena. Gesù si cinse di un asciugatoio, prese dell’acqua e lavò i piedi agli apostoli. Dopo aver compiuto questo gesto, che voleva significare un atteggiamento di servi-zio, disse: “Fate anche voi come ho fatto io”. Nell’ultima cena Gesù non solo consegna agli apostoli, e dunque alla Chiesa di ogni tempo, l’ Eucaristia, ma anche il co-mandamento dell’amore-servizio. E per ambedue rac-comanda: “Continuate a fare così come io ho fatto”. Se anche noi vogliamo rimanere fedeli all’insegnamento di Gesù dobbiamo riconoscerlo presente nell’Eucaristia come anche nel nostro prossimo.

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La fede non distoglie il cristiano dai suoi doveri so-ciali, anzi è proprio dal Vangelo che vengono nuove motivazioni e nuove energie per un impegno più con-sapevole nella storia. Infatti, se Dio tra gli uomini ha prescelto e preso le parti dei più deboli, degli indifesi, degli emarginati, dei poveri, degli oppressi, dei malati, dei peccatori, il cristiano deve agire di conseguenza. Il primo dovere che nasce dalla sequela di Cristo è quello di impegnarsi per la giustizia nel mondo e per la libera-zione dell’uomo da tutto ciò che ne limita la dignità e ne viola i diritti fondamentali.Come ammonisce il Concilio “siano anzitutto adempiu-ti gli obblighi di giustizia” e “non si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia” (Aa. n. 8). Ma la giustizia da sola non basta. A volte potrebbe degenerare nel burocratismo, nell’anonimato, nel le-galismo. Per diventare giustizia autentica deve essere alimentata e vivificata dalla carità che immette “un’ im-

pronta di gratuità e di rapporto in-terpersonale nelle varie relazioni tu-telate dal diritto” (E.T.d.C, n. 38). Inoltre la carità sa individuare e dare risposta ai bisogni sempre nuovi che la rapida evoluzio-ne della società fa emergere.È compito soprat-tutto dei fedeli laici realizzare nella società una maggiore giusti-zia animata dalla

carità in modo che sia la comunità cristiana, nel suo insieme, a testimoniare l’amore e la giustizia.Di qui l’impegno socio-politico che opera prima di tutto nelle strutture che devono essere trasformate per garan-tire una sempre maggiore giustizia e per promuovere l’autentico bene della persona e della società. Bisogna tenere in grande considerazione il bene comune... è il bene di quei “noi-tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità socia-le” (Civ n. 7). La ricerca e il perseguimento del bene comune è chiamato da Benedetto XVI come “esigenza di giustizia e di carità” a cui è chiamato ogni cristiano nel modo della sua vocazione e secondo le sue possi-bilità di incidenza nella società. Naturalmente le scelte dei cattolici in ambito sociale e politico non possono non essere coerenti con la visione cristiana dell’uomo e con la dottrina sociale della Chiesa, specie per quanto riguarda quei valori fondamentali quali la persona, il rispetto della vita umana, la famiglia, la libertà scolasti-ca, la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace. Infine, coloro che sono chiamati ad esercitare una pubblica autorità lo devono fare non come si trattasse di gestione di potere o privilegio, ma con spirito di servi-zio autentico al bene comune.

Le modalità con cui l’uomo tratta l’ambiente influiscono sulle modali-tà con cui tratta se stesso e, viceversa. Ciò richiama la società odier-na a rivedere seriamente il suo stile di vita che, in molte parti del mondo, è incline all’ edonismo e al consumismo, restando indifferente ai danni che ne derivano. È necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita “nei quali ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti”. Ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni ambientali, così come il degrado ambientale, a sua volta, provoca insoddisfazioni nelle relazioni sociali. (Caritas in veritate, n. 51)

“La cari-tà” - scrive Benedetto XVI° - ecce-de la giusti-zia, perché amare è

donare, offrire del “mio” all’altro; ma non è mai sen-za giustizia, la quale indu-ce a dare all’altro ciò che è “suo”, ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo sperare”. (Carìtas in veritate, n. 6)

Carità, giustizia e impegno socio-politico

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Lo zoccolo in fioreRACCONTO DI PASQUA A CURA DI AVELINO BUSIEra là, davanti al Sepolcro. Era là con dentro il grano delicato e bianco. Era là lo zoccolo, davanti all’altare della piccola chiesetta di montagna. Il ragazzo era incantato, gli pareva di sognare ma era proprio il suo.Era partilo di buon’ora con i suoi compagni, trascinando le catene dei caminetti per viottoli e sentieri e pas-sando davanti alla Chiesa aveva approffittato di un attimo di sosta per entrare furtivamente a pregare Gesù deposto nel Sepolcro, fuori i ragazzi lo chiamavano: Giovanni, noi andiamo.Così è finito davanti a Gesù, sopra un tappeto ricamato, in mezzo ai vasi di fiori, in mezzo alle primule, alle viole e ai rami di pesco in fiore.La Chiesa odorava di cera e d’incenso, c’era un silenzio misterioso, rotto soltanto dal rumore di qualche tarlo che abitava nei banchi vecchi e scoloriti dal tempo.Al ragazzo basta un’attimo per correre col pensiero a ritroso nel tempo, si ricorda benissimo sette mesi pri-ma, quando la sera del nove agosto suo padre disse a lui e alle sorelle Marta e Maria: domani vi porto alla fiera di S. Lorenzo.Chi ha dormito quella notte? Giovanni no di certo e nemmeno le sorelle.E così la mattina dopo, prima dello spuntar del sole, giù di corsa verso il piano, passando per viottoli e scor-ciatoie con il padre davanti che faceva passi da sette leghe.Che meraviglia la fiera, quante bancarelle, con zucchero filato, caramelle, frutta candita, mandorlato e altre leccornie che facevano venire l’acquolina in bocca ai ragazzi che si fermavano ad ammirare tutto questo ben di Dio. Giovanni pensava: forse mio padre mi comprerà lo zufolo, da tanto tempo lo desiderava; e alle mie sorelle un bambola ciascuna.Ma non fu così. Dopo aver acquistato una grossa anguria, comperò due cappellini di paglia per Marta e Maria e un paio di zoccoli per lui.Giovanni apprezzò talmente quel regalo da indossarli subito all’istante. Verso le undici riprendono la strada del ritorno, nuvole nere e minacciose si accavallano in fondo alla pianura spinte da un forte vento, il tuono si sente a breve distanza.Suo padre davanti, quasi di corsa e loro dietro ansanti, e dopo circa venti minuti di cammino tra scorciatoie e capitanie vengono sommersi da un forte acquazzone. Ansanti arrivano a ripararsi sotto il portico di un ca-scinale situato a circa mezz’ora di strada da casa.Ed è lì che Giovanni si accorge di aver perduto uno zoccolo, nella corsa si era sfilato dal piede ed era rotolato giù per il canalone, che gonfiato dalla pioggia torrenziale l’aveva trascinato a valle.Ed ora dopo tanto tempo eccolo lì ancora lucido.Veronica è appena entrata silenziosamente in chiesa, vede il ragazzo e in un attimo capisce tutto, si avvicina, gli accarezza la bionda testa sudata e sorride.Era lei che lo aveva trovato impigliato nei cespugli che costeggiano la valle, era lei che all’inizio della quare-sima vi aveva seminato il grano, era lei che lo aveva deposto davanti al sepolcro di Gesù.Se vuoi: disse Veronica quasi sussurrando, se vuoi leviamo il grano e te lo puoi riprendere. Giovanni si guardò i piedi nudi e rispose: ormai è arrivata la Primavera, posso farne benissimo a meno, lui sta bene lì, dove l’hai messo tu, farà compagnia a Gesù.Uscì di chiesa sorridente e contento!

Rilanciamol’AzioneCattolicaIlgruppo“storico”dell’AzioneCattolicaAdultidiBotticinoMattinasièri-trovatoneigiorniscorsiperpensarealpropriofuturoancheinvistadelrin-novodeiconsiglioedellecaricheannesse:daquestoincontroèuscitaunaproposta:perchènonestenderelarealtàassociativaatuttal’unitàpasto-rale?Inoltreinquest’annopastoralehamossoiprimitimidipassil’AzioneCattolicaRagazzichehacoinvoltoungruppodibambinidel2°annodell’Ini-ziazioneCristianacon l’intezionediproseguiresuquestastradaanche ilprossimoanno...Perquestiduemotivisiprevedeun’azionedirilanciodell’AzioneCattolica:all’iniziodelprossimoannopastoralesiintendeprogrammareunaseriedi

incontri formativiperfarconosceremeglioquestarealtàassociativaepotercosìavviareunnuovocamminoalivellodell’interaunitàpastorale;inquestaestatedeigiovanisarannoinvitatiapartecipareaicampiformatividiocesanicosìdafavorirelaprosecuzionedelcamminoperibambini.Tuttoquestocipareunascommessachevalelapenafareeperlaqualeinvitiamotuttiacrederciepartecipare.

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LA GIORNATA DELLE CARITAS PARROCCHIALIIl mandato: riscoprirsi comunità nella quotidiana prossimità

In quest’anno pastorale, la Caritas Diocesana invita ogni parrocchia a celebrare una “Giorna-ta delle Caritas parrocchiali”, come occasione per richiamare all’attenzione della comunità il mandato della Caritas. Nel solco della continuità con il messaggio dello scorso anno, “Tessere la carità in parrocchia”, la proposta 2010/2011 recita: “per riscoprirsi comunità nella quotidiana prossimità, so-stare”.Un so-stare avvalorato dalle parole del Vescovo Luciano,e del diacono Giorgio - responsabile diocesano della caritas - nei messaggi inviato ai sacerdoti e agli uomini e donne della carità.

Cari confratelli,Cari uomini e donne della carità,

dopo la lettera sulla Parola di Dio e sulla Eucaristia, veniva naturale com-pletare il ciclo attraverso una riflessione sulla comunità cristiana. Perché

insieme le tre Lettere Pastorali vorrebbero richiamare quelli che sono gli elementi essenziali della vita pastorale: la vita pastorale tende a edificare una comunità cristiana che sia testi-mone nel mondo dell’amore di Dio e questa edificazione dipende dall’eucaristia che viene celebrata insieme e dalla Parola di Dio che ci illumina, ci orienta, ci mette in comunicazione personale con Dio.In questa prospettiva, la Giornata delle Caritas parrocchiali mi offre l’occasione di sottolinea-re l’importanza che le nostre comunità abbiano come regola fondamentale quella dell’amore reciproco, vivificato attraverso “atti di amore” quotidiani.Durante l’ultima cena Gesù si alza da tavola, si cinge un asciugatoio attorno alla vita, versa acqua in un catino e passa a lavare i piedi ai suoi discepoli, l’uno dopo l’altro. Gesù si è fat-to servo dei discepoli, li ha voluti amare in modo concreto, attraverso un servizio che è un servizio da servi. Ma non importa: è un “atto d’amore”. E’ fare qualcosa perché i discepoli vi-

vano, perché l’uomo possa vivere, perché l’uomo si senta amato, accolto, perdonato. A noi, Gesù non dice solo: amatevi come io ho amato, ma an-che amatevi siccome io vi ho amato. L’amore di Gesù non è solo un modello da riprodurre ma un dono da ricevere e trasmettere; nell’amore frater-no sarà operante l’amore di Gesù stesso.Moltiplichiamo dunque nelle nostre comunità gli “atti di amore”: quel Tutti siano una cosa sola si farà allora esperienza quotidiana.Con le parole “Così risplenda la vostra luce da-vanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.” (Mt 5,14-16), invoco su tutti Voi, la benedi-zione di Dio Padre. + Luciano Monari

NELLE PARROCCHIE DI BOTTICINO

GIORNATA CARITAS PARROCCHIALE

DOMENICA 5 GIUGNO

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AlledonneeagliuominidellacaritàCarissimi, nel convegno diocesano delle Caritas parrocchiali “Nella carità…RISCOPRISI COMUNITA’” (17 aprile 2010), il nostro Vescovo, a partire dalla meditazione dei due sommari degli Atti degli Apo-stoli (At 2, 42-47; At 4, 32-35), ci ha indicato quelle “tracce” capaci di favorire presenze di comunio-ne e relazioni di prossimità: “dobbiamo fare in modo che la comunione che abbiamo tra di noi, che c’è perché la fa il Signore, si esprima in gesti. In concreto, torna fuori il concetto della rete, della conoscenza reciproca: noi non riusciamo a fare questo discorso di comunione piena con gli scono-sciuti; non è una specie di regola del diritto, è una esperienza che può nascere quando abbiamo una serie di legami concreti con delle persone, che ci guardano in faccia, che noi guardiamo in faccia”.In questa prospettiva la proposta dell’Avvento di carità ci ha invitato a porci come “volti rivolti” verso gli ultimi, riscoprendoli come briciole lucenti, forza della comunione. E’ in questo tempo pro-pizio per “diventare una cosa sola” che il mandato per le Caritas parrocchiali trova rinnovato vigore attraverso quel “so-stare” nella prossimità quotidiana.Un “so-stare” che richiama l’immagine delle costellazioni: le stelle, unite da vincolo di reciprocità, sembrano simboleggiare una rete di fraternità compiuta. Come nel cielo stellato ciascuna stella, anche quella apparentemente più piccola, trova significato nell’insieme e nel suo convergere verso la stella polare, così le nostre comunità sono chiamate a rinnovare l’essere e l’operare della carità attraverso gesti di quotidiana prossimità, vivificate dalla Parola e dall’Eucarestia.Mi unisco a voi nella preghiera perché le nostre comunità siano sempre più una “costellazione d’amore”, perché “Tutti siano una cosa sola”.

diacono Giorgio Cotelli

PER RISCOPRIRSI COMUNITÀNELLA QUOTIDIANA PROSSIMITÀ

Voisietelalucedelmondo;nonpuòrestarenascostaunacittàchestasottoilmonte,nésiaccendeunalampadapermetterlasottoilmoggio,masulcandelabro,ecosìfaluceatuttiquellichesononellacasa.Cosìrisplendalavostralucedavantiagliuomini,perchévedanolevostreoperebuoneerendanogloriaalPadrevostrocheèneicieli.Mt 5,14-16

CARITAS

sERvIzIO AllE FAmIglIE PER RICERCA COlF, BADANTI E BABy-sITTER

L'associazione Centro Migranti mette a disposizione uno spazio dedicato all'incontro tra le esigenze di assistenza e sostegno ai bisogni delle famiglie

e la disponibilità di persone straniere al soddisfacimento di tali bisogni. Il servizio è gestito da tre operatrìci che hanno il compito di raccogliere i nominativi e le caratteristiche di persone idonee.

Tutti i mercoledì pomeriggio dalle 14,30 alle 17,30 Contatti : 030/42467030/41356 - [email protected]

ASSOCIAZIONE CENTRO MIGRANTI Onlus, via delle antiche mura 3 - Brescia

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Una d’Etiopia, tra le tante che traggo dal mio bagaglio…

Partita di campionato in uno stadio. Sono allenatore. Non mi ricordo bene, ma è probabile che stiamo per-dendo. Un giocatore della nostra squadra, rapido per talento naturale ma nervosetto, ti fa un’entrata di quel-le che non sono ammesse da nessuna parte nel calcio. L’arbitro, stranamente perché in genere quegli arbitri fanno penare le squadre delle missioni, non sanziona il fallo. Intervengo io e chiamo fuori il giocatore. Un “cartel-lino rosso” invisibile così non è politically correct.. Non ne sono cosciente neanch’io, ma la cosa funziona. E il nostro giocatore se ne esce, mogio e salutarmente mor-tificato. Magari pensa che non posso farlo. Però esce. Le autorità ‘Fifa’ mi dicono qualcosa nel dopo-parti-ta, ma ormai hanno perso l’attimo.

Una d’Italia, tra le poche che prendo dalla scarsa borsa di questi mesi…

Calcio a 7 tra bambini. Il gioco viene sospeso. L’al-lenatore entra in campo ad allacciare le stringhe della scarpa a un ‘suo’ giocatore-bambino. Visto più volte,in partite diverse; e allora è un vizio, penso. L’arbitro naturalmente benedice. Adesso, se avete bisogno di un minuto di pausa nella lettura di questi scarabocchi, concedetevelo. Forse ci sta. A me, da salesiano di don Bosco, e quindi forse per deformazione professionale, una cosa del genere “scar-pa-slacciata-del-bambino-e-allenatore-inginocchiato-ai -suoi-piedi” riesce indigesta. Nello sport, poi! I no-stri avi buttavano in acqua e abbandonavano chi doveva imparare a nuotare. Da qualche parte usa ancora mettere i bambini sul balcone a sentire un pochino di freddo per-ché vi si abituino. Morale? I cartellini rossi quando ci vogliono bisogna estrarli. E magari bisogna contemplarli anche per gli allenatori-animatori dei nostri oratori che stanno a bi-sticciare indecorosamente con certe stringhe. Ma da dove viene ‘sta storia? Dall’humus culturale (o sub-culturale?!) occidentale?

Allora me ne torno, e invito anche voi a farlo, ad altre riflessioni d’Africa. Lasciamo però perdere i pre-giudizi e i complessi di superiorità di cui soffriamo più o meno colpevol-mente nei suoi confronti altrimenti il canale reci-proco di dialogo si chiude subito qui. Spesso, laggiù, gli anziani hanno ancora peso. “Meno male!”, mi dico. Innanzitutto perché così si possono considerare ancora prioritari rapporti veramente umani, non troppo asettici o clorofor-mizzati e democraticamente corretti. Dire “gli anziani contano” significa che cultu-ralmente <il padre> funziona ancora, cioè <fa il padre>. Grandi questioni di riconciliazione passa-no attraverso gli anziani, rispettati e importanti. Da noi in occidente, invece, sembra che la figu-

ra del padre non debba più funzionare. Ognuno fa i ca-voli suoi. La bacchettata non ci sta. E’ antidemocratica, va contro l’autonomia del soggetto, la libertà individua-le deve regnare sovrana. Nessuno più deve predicare. La Chiesa men che meno. Non c’entrano i suoi duemila anni di storia. Le regole ognuno se le fa. E’ un diritto. A parte, poi, che di regole ci subissiamo perché ci vo-gliono paletti ad ogni passo per garantire i diritti che facciamo spuntare come funghi in ogni settore della vita sociale umana e… animale (!). Persino alla TV si deve applaudire a bacchetta, che tu condivida o meno. E’ il momento! E’ lì che ti realizzi. Torniamo agli anziani, anzi, entriamo in famiglia, quella antropologicamente ben definita, ben fondata e sana. In Africa come in Italia. E’ più facile capirci se parliamo di famiglia. In essa i rapporti non sono mai perfettamente simme-trici, di parità e democrazia. Il padre è padre. Il figlio è generato e dipende originariamente da padre e madre. Il figlio senza di loro non esisterebbe neanche. Qualcuno lavora e guadagna; altri possono così studiare. Mamma e papà dirigono. Niente da dire. Trasmettono fede e valori e garantiscono una cresci-ta disciplinata. L’amore è proprio una cosa seria, non post-modernamente ‘liquida’. E’ bello che il rapporto in famiglia si basi istintivamente sulla fiducia. Il bambino crede, si affida. Dopo il rimprovero torna a cercare l’af-fetto o un’espressione visibile che lo rassicuri del per-dono e dell’amore che comunque percepisce non essere mai venuto meno. E i più grandicelli accettano, vedendo con naturalezza il rapporto vero dove sta e che alla fonte c’è vero affetto, non interesse. Ecco, la famiglia si modella sulla Trinità. Pensiamola bene allora la Trinità. Nelle chiacchiere, che vi ho unilateralmente offerto per farmi conoscere negli articoli precedenti, parlavo di sorrisi come mezzo e segno della tranquillità interiore, della gioia anche, nel sentire gli interventi di Dio nella nostra storia. Vi invitavo a scoprire questi buoni inter-venti. Dio è Padre e noi ci dovremmo rapportare con Lui come figli. Gli dovremmo concedere quella fiducia che non è altro che il nome giusto della nostra fede. Il suo agire spesso non lo capiremo, ma la fede-fiducia entra in azione proprio qui, perché sappiamo per esperienza, o è ora che ce ne convinciamo, che il suo è comunque un agire da padre-madre che vede un po’ più in là, e ci ha da sempre sognati e modellati per un destino di felicità

Isidoro,prete a ‘60 anni’

CARTELLINI ROSSI e… PATERNITA’

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e comunione con Lui. Senza di Lui non ci saremmo neppure. E allora perché la soffe-renza? Ci erava-mo fermati pro-prio qui: “Ma, Isidoro, è proprio tutto bello?” Gli esem-pi ‘sportivi’ di cui sopra e quello degli anziani in

Etiopia entrerebbero nella linea di comprensione anche della Pasqua, l’evento massimo che ci rivela il Padre, il suo modo di amare. La nostra natura è stata ferita. Siamo entrati in un in-treccio di solidarietà col male, purtroppo. Ma è come eravamo stati pensati quello che conta. E’ questo che vie-ne prima. Eravamo stati sognati in Gesù, nostro prototi-po. Dovremmo diventare come Lui, Gesù, veri figli. Nel disegno grande del Padre era stato previsto il caso (poi accaduto, purtroppo) che noi rifiutassimo la sua proposta. Ne sono venute le tragiche perdite di armonia e di pace tra marito e moglie (Adamo-Eva), tra fratel-li (Caino-Abele), tra uomo e cosmo, dell’uomo con se stesso ecc. A questo rifiuto è dovuto subentrare un aggiustamen-to nella dimostrazione del suo amore per noi. Il patatrac, il male del mondo, le tragedie enormi e le sofferenze individuali fino alle torture degli inno-centi (frutti della malvagità dell’uomo che sono sotto gli occhi di tutti) hanno scatenato in Lui, innamorato di noi, una strategia di riscatto: sono disponibile a dare la vita, a donare mio Figlio, perché il sospetto dell’uo-mo su di noi, Padre Figlio Spirito S., venga meno. Le parabole del vangelo ci raccontano questa sua strate-gia. Del riscatto Gesù se ne è assunto l’onere. La croce è lì a dircelo. Dio ci ama fino a subire una morte violenta. Adesso tocca anche a noi la parte di coloro che vedono il significato della Croce, ne raccolgono il messaggio e si decidono liberamente a realizzare la primitiva somiglianza che ci era stata destinata. Quella somiglian-za si recupera nella croce, che è dare la vita per, voler bene fino a, fidarsi a co-sto di… Quando risorgeremo le ferite ci rimarranno trofeo di gloria, come anche Gesù ci mostra le sue dopo la Resurre-zione. Sono quelle la sua vera gloria. E’ proprio dal legno a cui è stato inchioda-to che regna. La croce è ormai il nostro marchio di fabbrica. Il nostro rifiuto, il male è una cosa troppo seria perché la soluzione si trovi in acqua e sapone. Il male e la sofferenza non verranno meno nella loro misteriosità, ma almeno nella Croce acquistano un senso. In mezzo al mondo anche questo è il nostro compito. Quello che Gesù si è assunto non lo pretende da noi, ma collaborazione sì. Anche nella linea dei cartellini rossi. Alla paternità vera non si rinuncia. Apocalisse 3,19-20: “Io tutti quel-li che amo li rimprovero e li castigo (…). Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. Chi è che non ci sta a questa cena?

Torniamo due passi indietro, per ragionare pasqual-mente fino in fondo: al Getsemani, quando il Figlio è angosciato per la prospettiva che gli si affaccia, chiede al Padre se per caso non ci sia un altro modo di conclu-dere la propria storia. Il Padre sta zitto. <Sta zitto>. Il Figlio capisce, si fida e obbedisce. Obbedendo è Figlio. La sua obbedienza è ben più che una virtù. E’ la sua identità stessa di Figlio. Anche sulla croce si sente come abbandonato dal Padre, ma come ultimo atto Gli conse-gna lo Spirito, cioè tutto se stesso. Fiducia totale, anche senza capire. La nostra fede funziona così. Ci fidiamo. Anche nel mistero. Ma ragionevolmente, perché abbia-mo conosciuto, abbiamo sperimentato, sappiamo che è Padre. Siamo della famiglia, noi. Buona Pasqua! Isidoro – sdb. - da Torino

Il 30 di aprile a ISIDORO viene conferito il ministero

dell’ACCOLITATOUltima tappa nel persorso istituziona-le verso il diaconato e il presbiterato è l’Accolitato. Il termine «accolito» de-riva da un verbo greco che significa

«seguire» o anche «servire». L’accolito quindi è il ministero affidato a coloro che, nella Chiesa, sono chiamati a segui-re i pastori, cioè a collaborare strettamente con loro nella specifica missione ad essi affidata e a offrire ai fratelli un servizio ispirato ad una sincera carità, soprattutto nel momento in cui questa carità si manifesta e si celebra, cioè durante la celebrazione eucaristica. Nella Chiesa cattolica il ministero dell’accolitato viene con-ferito in modo ufficiale e permanente dal vescovo; tuttavia quasi tutte le funzioni dell’accolito vengono di solito svolte dai ministranti.L’accolito è un laico a tutti gli effetti chiamato ad essere il

promotore della vita liturgica di una comunità e a un più vasto e profondo esercizio della carità verso i poveri, i sofferenti, i ma-lati, gli emarginati.L’esortazione che il vescovo ri-volge agli accoliti, mentre con-ferisce loro il ministero, definisce l’identità propria: «L’esercizio di questo ministero vi stimoli ad at-tingere dal sacrificio del Signo-re una vita spirituale sempre più intensa, e a conformarvi sem-pre più perfettamente a questo stesso sacrificio; procurate an-che di penetrare il senso intimo e profondo delle mansioni a voi affidate, in modo da offri-re ogni giorno voi stessi a Dio in sacrificio spirituale a lui gradito, per Cristo Gesù. Questi vostri

compiti vi ricordino che dovete formare con i fratelli un solo corpo, come partecipare con essi all’unico pane dell’Eucari-stia. Amate di sincero amore il popolo di Dio che è il Corpo mistico di Cristo, amate specialmente i deboli e gli infermi: attuerete così il comando dato dal Signore agli apostoli nell’ultima cena: amatevi l’un l’altro, come io ho amato voi».

dal rito di istituzione degli accoliti:Padreclementissimo,

chepermezzodeltuounicoFiglio,haimessol’EucaristianellemanidellaChiesa,benediciquestituoifigli

elettialministerodiaccoliti.Fa’che,assidui

nelserviziodell’altare,distribuiscanofedelmente

ilPanedellaVitaailorofratelli

ecrescanocontinuamentenellafede

enellacaritàperl’edificazionedeltuoRegno.

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UNITA’ PASTORALE -PARROCCHIE BOTTICINOCommissione pastorale familiare e coppia

Associazione PUNTO FAMIGLIA E DINTORNI

Famiglia:palestra di umanità La felice espressione di Papa Paolo VI “Famiglia: palestra di umanità” dice bene il compito proprio e originale del mondo fami-liare nell’educazione e nella socializzazione primaria, quella cioè basilare, che riguarda soprattutto i figli. L’immagine della palestra, però, lascia intendere anche una dimensione di impegno e un lavoro continuo di manteni-mento, fatti di scelte mirate e di fatiche fina-lizzate a scopi precisi. Si tratta, insomma, di un cammino graduale lungo tutto l’esistenza e alimentato dalle virtù sociali, intese come azioni e stili buoni del vivere comune: impa-ro in casa come si vive in società, secondo un allenamento costante, in un ambiente protet-to ed educativo. La sorgente teologica e gli strumenti primi di testimonianza sono rappresentati dai genitori, dal loro legame sponsale e dalla loro intesa nell’indirizzare la crescita dei figli. So-prattutto il matrimonio sacramento si pone come forza divina nelle dinamiche umane di amore, di cura e di comunione, di vita e di fedeltà. La presenza di Cristo è roccia su cui costruire e strada in cui camminare, verso la meta della felicità e della beatitudine eterna. Però, oltre che un bene per gli sposi e per il resto del familiare, il sacramento si pone come evangelico contagio sia per la Chiesa che per il mondo intero. E’ il compito rice-vuto dagli sposi nel giorno delle nozze, un servizio da vivere nella comunione con tutti gli altri doni che vivificano il vasto corpo ec-clesiale, quello cioè di far crescere il Regno di Dio. La famiglia si pone come ambiente vitale a metà tra la singola persona e la socie-tà intera; in essa, soprattutto nei primissimi anni di vita, si acquistano quelle dimensioni di fondo che orienteranno poi per tutta l’esi-tenza e in tutte le situazioni. Tra le virtù domestiche, alcune vengo-no sollecitate dai vescovi italiani anche nei nuovi Orientamenti pastorali per il prossimo decennio (2010-2020) e corrispondono alla capacità di instaurare legami stabili, alla gra-tuità, al riconoscimento autentico dell’altro e all’ascolto. Uno dei problemi drammaticamente emergenti nel nostro tempo è proprio l’in-capacità di costruire o mantenere dei lega-

pagine per lafamiglia e... dintorni

Dal mese di marzo 2011 è a disposizione dei genitori, singoli o in coppia, e degli insegnanti uno

sportello, gestito da una psicopedagogista, per colloqui di

CONSULENZA EDUCATIVA. Per informazioni: telefonare al cell 3883686585 o scrivere alla e-mail:

[email protected]

BIENNIO DI BASE: CONOSCERSI PER EDUCARE

quattro cicli di sei incontri ciascuno1° ciclo: primavera 2011

CONOSCERSI PER EDUCARE 2° ciclo: autunno 2011

VITA DI COPPIA3° ciclo: primavera 2012

RELAZIONI FAMILIARI 4° ciclo: autunno 2012CRESCERE CON I FIGLI

BIENNIO DI APPROFONDIMENTO EDUCARE IN FAMIGLIA

quattro cicli di quattro incontri ciascunoLE STAGIONI DI VITA DELLA COPPIA

1° ciclo: primavera 2011LE GIOVANI COPPIE SENZA FIGLI

2° ciclo: autunno 2011I GENITORI DI BIMBI DA 0 A 6 ANNI

3° ciclo: primavera 2012I GENITORI DI RAGAZZI DA 6 A 11 ANNI

4° ciclo: autunno 2012I GENITORI DI PREADOLESCENTI

E ADOLESCENTI

Progetto genitoriPercorso di formazione permanente a cicli

per genitori - anno 2011/2012

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2 giugno (inizio col pranzo alle ore 13)

IncontriamociRelazione fondativa sulla sponsalità

(Padre Angelo Epis)Condivisione sui cardini della pastorale familiare,sull’esistente in diocesi con il materiale illustrativo

delle proposte ed esperienze di appartenenzaportato dai partecipanti.

3 giugnoPer conoscerci

Identità e servizioIl nostro servizio nella/per la comunità

ecclesiale e civile.4 giugno

Per progettareVerso un progetto:

matrimonio, famiglia, comunità cristiana.Come pensare e agire in comunione per il futuro?

5 giugno(fine col pranzo alle ore 13)

Per affidarci al SignoreConsegna dei propositi e ringraziamento a Dio.

Mattinata di spiritualità.

Destinatari:- tutti gli sposi che si vogliono interrogare sullaloro missionarietà;- tutti coloro che a vario titolo servo-no in diocesi la pastorale familiare;

Sede:Villaggio per famiglie “Ain Karim” a S. Nicolò di Val-furva (5 Km da Bormio direzione S. Caterina – SO) via Sascin 35 23030 Valfurva (SO). Tel. 0342/945791.Il Villaggio propone per le famiglie con figli, una se-rie di mini appartamenti per la notte (due camere più bagno con ingresso indipendente). Per i luoghi comuni (sala giochi, chiesa, sala conferenze, mensa, campo da calcetto) sono adisposizione ampi spazi, sia interni che esterni.

Costo dell’intero soggiorno:dal pranzo del 2 giugno al pranzo del 5 giugno (com-preso il servizio di lenzuola e salviette): per adulto euro 110. Figli dai 3 anni compiuti ai 16 anni euro 65.Dal terzo figlio in poi si può lasciare un’offerta.Disponibilità di camere anche singole e doppie. Il pa-gamento si effettua direttamente al responsabile ammi-nistrativo del Villaggio. è possibile partecipare anche a singole giornate. è prevista l’accoglienza e l’animazio-ne dei figli, previa segnalazione del numero ed età.

Iscrizioni:entro il 6 maggio presso l’Ufficio famiglia dioce-sano dal martedì al venerdì dalle 8,30 alle 12,30 allo 030/3722232.

INSIEMEPER LA FAMIGLIAVerificare e progettare

S. Nicolò di Val Furva 2-5 giugno 2011

E’giuntoiltempodifareinsiemeunbilanciodell’esistenteperrilanciare

lasperanzadellabuonanotiziacheèilmatrimoniosacramento,delvaloreso-cialedellafamigliaesuscitaremaggiorisiner-

gieall’internodellacomunioneecclesiale.AllalucedellaricchezzadirisorseperlafamigliainDiocesivogliamo

raccoglierel’invitodeiVescovichechiedono“diprocedereallaverificadegliitinerariformativiesistentiealconsolidamentodellebuonepraticheeducativeinatto”.(Educare alla vita buona del Vangelo n.6).

mi stabili, seri e affidabili. Lo stillicidio di molti fallimenti (familiari, amicali, ecc.) di certo non facilita la crescita di consapevolezza e non raf-forza la decisione nei giovani. Addirittura, ap-parentemente di segno opposto, si assiste alla fatica di chiudere definitivamente delle relazioni importanti, trascinandole in un estenuante “tira e molla”, che tiene le esistenze bloccate, sospese. La quotidianità del familiare, fatta di tanti fram-menti ma di un unico quadro, deve rinvigorire le virtù della fiducia e dell’affidabilità, della re-sponsabilità e della decisione definitiva, attra-verso parole franche e scelte coerenti. La virtù del vivere nella dimensione della gratuità è quella che sostiene la famosa regola del dono e che sola sa promuovere persone, rela-zioni, veramente libere, liberanti. L’idea di poter ridurre tutto l’esistente, soprattutto l’essere uma-

no, al puro utile e al semplice quantificabile in termini di costi – benefici, ha impoverito gran-demente il nostro vivere, le nostre relazioni e i vari mondi vitali. Invece, il percepirsi e ricono-scersi provenienti dalla gratuità divina, ci pone nel giusto atteggiamento di ringraziamento e di libertà, di equilibrio nella gestione dei beni e di speranza verso il futuro. La persona umana non è una merce e il suo valore non è mai negoziabi-le; per questo, la dignità di ciascuno è prima di ogni cosa e la vita non può essere soggetta alla discrezione della volontà di nessuno. Con questi presupposti si comprende ap-pieno che cosa voglia dire il riconoscere l’altra persona per quello che realmente è, nella sua ricchezza e povertà, nella diversità e nella somi-glianza. La categoria evangelica del prossimo è l’unica che ci può far uscire dall’infernale tunnel

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Elisabetta Canori Mora nasce a Roma il 21 novem-bre 1774 da Tommaso e Teresa Primoli. La sua è una famiglia benestante, profon-damente cristiana e attenta all’educazione dei figli. Il pa-dre è un importante proprie-tario terriero che amministra senza avidità. Nel giro di pochi anni, i

cattivi raccolti, la moria di bestiame e l’insolvenza dei creditori, cambia la situazione economica e Tommaso Canori si trova costretto a ricorrere all’aiuto di un fra-tello che abita a Spoleto che si fa carico delle nipoti Elisabetta e Benedetta. Lo zio decide di affidare le nipoti alle Suore Agosti-niane del monastero di S. Rita da Cascia, qui Elisabet-ta si distingue per intelligenza, profonda vita interiore e spirito di penitenza. Rientrata a Roma, conduce per alcuni anni vita bril-lante e mondana, facendosi notare per raffinatezza di tratto e bellezza. Elisabetta giudicherà questo periodo della sua vita un “tradimento”, anche se la sua coeren-za morale non viene meno e la sua sensibilità religiosa è in qualche modo salvaguardata. Il 10 gennaio 1796 nella chiesa di Santa Maria in Campo Corleo, si sposa con Cristoforo Mora, ottimo giovane, colto, educato, religioso, ben avviato nella carriera di avvocato. Il matrimonio è una scelta ma-turata attentamente ma, dopo alcuni mesi, la fragilità psicologica del marito compromette tutto. Allettato da una donna di modeste condizioni, tradisce Elisabetta e si estranea dalla famiglia, riducendola sul lastrico. Eli-sabetta nonostante le violenze fisiche e psicologiche re-sta fedele alla sua vocazione matrimoniale e rifiuta di separarsi dal marito. Continua a sperare e pregare per la sua conversio-ne. La nascita delle figlie Marianna nel 1799 e Maria Lucina nel 1801 non migliora le cose. Costretta a gua-dagnarsi da vivere col lavoro delle proprie mani, segue con la massima attenzione le figlie e la cura quotidiana della casa, dedicando nello stesso tempo molto spazio alla preghiera, al servizio dei poveri e all’assistenza degli ammalati. La sua casa diventa punto di riferimen-to per molte persone che a lei si rivolgono per necessità materiali e spirituali. Svolge un’azione particolarmente attenta alle famiglie in difficoltà. Conosce ed appro-fondisce la spiritualità dei Trinitari e ne abbraccia l’or-dine secolare, rispondendo con dedizione alla vocazio-ne familiare e di consacrazione secolare. La fama della sua “santità”, l’eco delle sue espe-rienze mistiche e dei suoi “poteri taumaturgici” hanno grande risonanza particolarmente a Roma e nelle sue vicinanze. Niente, però, incide sul suo stile di vita pove-ro, improntato ad una grande umiltà e ad un generoso spirito di servizio ai poveri e ai lontani da Dio. Dona se stessa per la conversione del marito, per il Papa, la Chiesa e la sua città di Roma, dove muore il 5 febbraio 1825. Subito dopo la sua morte, il marito si converte, entra nell’Ordine secolare dei Trinitari e diviene, poi, frate Mi-nore Conventuale e sacerdote, come gli aveva predetto la consorte. Elisabetta Canori Mora viene beatificata il 24 aprile 1994, Anno Internazionale della Famiglia.

del confronto – scontro amico e nemico. La sua forza è l’amore di Cristo, che ci insegna ad incontrarlo nel fratello più piccolo e debole, come degni figli del Pa-dre misericordioso. I tempi e gli eventi che ci stanno coinvolgendo hanno bisogno di apprendere nel les-sico familiare la virtù del riconoscimento e dell’ac-coglienza, del non percepirsi come degli assoluti, ma tutti relativi a Dio. L’amore casalingo si sostanzia, poi, di dialo-go, di cura e di vicinanza; quando vengono a manca-re, si chiudono le strade del bene e il futuro appare nero, senza speranza. Ascoltare, poi, è prima di tutto fare spazio, come esercizio di umiltà e di amore, di rispet-to e di interesse. Proviamo nelle nostre famiglie e nel-le relazioni più prossime a ritornare a questa grande virtù, forse un po’ trascura-ta e messa da parte da tanto rumore, da innumerevoli faccende (cfr. Lc 10,38-42).

Famiglia:crocevia della storia Stiamo celebrando da tempo i 150 anni dell’unità d’Ita-lia, ricordando giustamente persone, date e avvenimenti. Non ci deve sfuggire, però, che l’Italia e gli italiani rischiano di essere concetti astratti e pensieri idealizzati, se non riconosciamo il tes-suto portante di un popolo e della sua patria: le famiglie e le loro storie particolari. Dietro statisti, militari, pensatori, imprenditori e artisti, ad esempio, c’è sempre una moglie o un marito, una fa-miglia insomma da cui si sorge e che costantemente è impegnata a supportare. Il sogno di unità del popolo italiano non può non aver trovato nella comunione domestica una straordinaria ispira-zione e una tenace speranza di buona riuscita. Alla fine, la cellula fondamentale della società è il motore e la compagna affidabile di ogni cambiamento epocale, anche se raramente assurge agli onori delle cronache tra i grandi. Prendendo lo spunto dal mes-saggio del Santo Padre per l’annuncio ufficiale della prossima giornata mondiale delle famiglie, a Milano dal 30 maggio al 3 giugno 2012, vorrei guardare al processo di unificazione italiana attraverso gli occhi del lavoro e delle feste delle famiglie, due elementi che scandiscono il calendario quotidiano di tutte le esi-stenze.“Il lavoro e la festa sono intimamente collegati con la vita della famiglie: ne condizionano le scelte, influenzano le relazioni tra i coniugi e tra i genitori e i figli, incidono sul rapporto della fa-miglia con la società e con la Chiesa. La Sacra Scrittura (Gen. 1-2) ci dice che famiglia, lavoro e giorno festivo sono doni e benedizioni di Dio per aiutarci a vivere un’esistenza pienamente umana” ( Benedetto XVI, Messaggio di indizione del VII incon-tro mondiale per le famiglie). Le influenze sono reciproche, ovviamente, sia nella di-rezione che la famiglia produce lavoro e vive la dimensione della festa, sia per il fatto che le attività lavorative e il modo di concepire le feste plasmano ritmi e stili familiari. Andando per sommi capi, sembra verosimile descrive-re i passaggi dal lavoro principalmente agricolo, all’industria, fino al terziario, come fenomeni che hanno offerto certamente maggior benessere economico, indipendenza e sicurezza di vita, ma hanno anche ridotto, frammentato e privatizzato la famiglia.

Profili di santità coniugaleElisabetta Canori Mora

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La sua vita fu insieme una guerra continua e una continua preghiera. Giuseppe Tovini nacque a Cividate Camuno il 14 marzo 1841, primo di set-te fratelli; ebbe sin dall’infanzia un’educazione particolarmente austera e una ferrea disciplina dalle scuole elementari frequentate a Cividate e poi a Breno. Nel 1852 a 11 anni, entra nel Col-legio municipale di Lovere dove rimane per sei anni, ma le condizioni economiche della famiglia non gli permettono più di restare a continuare gli studi intrapresi; interviene in aiuto uno zio sacer-dote che gli fa ottenere un posto gratuito presso il Collegio per giovani poveri a Verona. Nel 1859

muore il padre e lui si trova a 18 anni con cinque fratelli minori da mantenere, con una situazione economica disastrosa. Abbandona così l’idea di farsi missionario e conseguita la licenza liceale nel 1860, si scrive come privatista alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova. Un sacerdote lo aiuta a rimanere ospi-te del Collegio trovandogli un lavoro presso lo studio di un avvocato; il piccolo stipendio viene arrotondato dando lezioni private. Nel 1865, si laurea brillante-mente, ma la gioia è offuscata dalla perdita della mamma, avvenuta cinque mesi prima. Si mette a lavorare presso gli studi di un avvocato e di un notaio di Lovere, mentre ha anche il compito di vicerettore e professore nel Collegio municipale lo-cale, riscuotendo stima da tutti; si distingue perché è il solo a recitare le preghiere prima e dopo le lezioni e far la Comunione ogni domenica. Nel 1867 si trasferisce a Brescia, dove divenuto avvocato, entra nello studio dell’avv. Corbolani.Il 6 gennaio 1875 sposa la fi glia Emilia Corbolani. Dalla loro unione nascono 10 figli, di cui uno diverrà sacerdote e due religiose; si dimostra padre affettuoso e premuroso, educatore attento ad inculcare nei figli i principi della morale cattolica, infiessibile nel reprimere le deviazioni.Dal 1871 al 1874 viene eletto sindaco di Cividate, promuove varie iniziative per attuare opere pubbliche, sgrava il Comune dai molti debiti; fonda nel 1872 la Banca di Vallecamonica in Breno; inizia gli studi per un collegamento ferroviario che va da Brescia ad Edolo, per risollevare l’economia della Valle, opera che sarà realizzata dopo la sua scomparsa. Partecipa alla Fondazione del quotidiano “Il Cittadino di Brescia”; sempre dal 1878 diviene Presidente del Comitato dioce-sano dell’Opera dei Congressi e da lì in poi, il suo ruolo nelle attività e iniziative istituite dalla diocesi, diviene di primaria importanza; percorre tutta la Provincia per promuovere ben 145 comitati parrocchiali. Si candida come cattolico alle ele-zioni amministrative, venendo eletto come consigliere provinciale e poi dal 1882 consigliere comunale di Brescia, incarico che terrà fino alla morte. Sono innu-merevoli le iniziative ed istituzioni da lui ispirate, promosse, fondate in Brescia e Lombardia, come pure a livello nazionale, nel campo della scuola, della stampa, istituti di credito, opere pie, assistenziali, caritative, sociali. La preoccupazione di una sempre più profonda presenza della Chiesa nel mondo del lavoro, lo induce a partire dal 1881, a fondare le ‘Società Operaie Cattoliche’ che cominciando da Lovere si estenderanno in tutta la Lombardia, tanto che nel 1887 queste fiorenti Società possono celebrare il loro primo congresso. Nel 1885 propone la fondazio-ne dell’ “Unione diocesana delle società agricole e delle Casse Rurali”; nel 1888 fonda a Brescia la ‘Banca S. Paolo’ e nel 1896 a Milano il ‘Banco Ambrosiano’.Nel 1882 fonda l’asilo “Giardino d’Infanzia di S. Giuseppe” e il collegio “Ven. A. Luzzago”; il Patronato degli Studenti nel 1889; l’Opera per la conservazione della fede nelle scuole d’Italia nel 1890. Nel 1892 promuove l’erezione di Circoli uni-versitari cattolici, collabora alla fondazione della “Unione Leone XIII” di studenti bresciani, da cui nascerà la FUCI. Nel 1893 fonda la rivista pedagogica e didatti-ca “Scuola Italiana Moderna”, primo periodico cattolico a diffusione nazionale per i maestri e promuove il settimanale “La Voce del Popolo”. L’educazione cristiana, l’azione pedagogica, la scuola, costituiscono la sua opera preminente, per que-sta si sente apostolo e missionario, affermando: “ le nostre Indie sono le nostre scuole”. Si impegna senza riserve nell’ambito educativo e scolastico, difensore dell’insegnamento religioso scolastico e del principio della libertà d’insegnamen-to, della scuola libera, privata, come strumento efficace per formare le generazio-ni a compiti di responsabilità civile e sociale. Il dinamismo di Giuseppe Tovini si rivela veramente sorprendente, se si considera la sua gracile costituzione fisica che a partire dal 1891 andrà man mano peggiorando. Fu soprattutto uomo di Dio, la sua pietà, il suo ritmo di vita devoto, il suo fervore eucaristico, la devozione alla Madonna, lo spirito e la visione francescana da terziario della vita, il profondo ‘senso della Chiesa’ si uniscono all’esercizio eroico delle virtù teologali e cardina-li. Muore a soli 55 anni il 16 gennaio 1897. La sua salma il 10 settembre 1922 fu solennemente traslata dal cimitero alla chiesa di S. Luca in Brescia, dove riposa tuttora. E’ stato proclamato beato da Giovanni Paolo II il 20 settembre 1998.

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A lato di queste considerazioni, è doveroso ri-cordare come anche nei fenomeni migratori, legati soprattutto alla necessità di lavoro, il tes-suto delle relazioni familiari ha sempre svolto il compito di sostegno morale, traino ideale e ammortizzatore sociale. E oggi? Le feste, poi, da occasioni di riposo e di incontro informale, di tempo da dedicare a Dio e alla solidarietà, oggi si sono trasformate in eventi strutturati, dove “l’esserci “è più im-portante che “l’essere con”: si vive l’occasione con spiccato individualismo e con criteri di sod-disfazione assolutamente legati al singolo indi-viduo. Lavorare insieme e condividere le stesse feste sono certamente strade importanti per co-struire l’identità e l’unità di un popolo, di una patria; ugualmente, però, è doveroso chiedersi, da un lato, se oggi il processo di unità è realmente concluso, dall’altro, se le modalità correnti di far vivere il lavoro e la festa creano davvero terre-no favorevole alla comunione nazionale. E poi, la disgregazione del coniugale e del familiare, quanto influiscono in questo cammino di unità? Le famiglie sono diventate precarie come il lavoro: instabili nella tenuta e incerte verso il futuro. Il tanto decantato concetto di flessibilità, prima ancora che essere un necessario antidoto ad infruttuose rigidità, è diventato un modo per traghettare la perdita di aalcuni diritti lavorativi e per far meglio digerire le insoddisfazioni pro-fessionali. Le feste spesso scivolano in un indi-stinto tempo libero, troppo dominato da criteri economici, poco attento invece a riti e simboli di comunione umana. L’emblema potrebbe essere rappresentato dal centro commerciale, dove si affida il tempo della festa ad un luogo che riuni-sce, ma non unisce, instaura relazioni utilitaristi-che e non facilita la gratuità dell’incontrarsi, del divertisi e alleggerire il peso della quotidianità. Anche il modo di vivere le relazioni familiari, poi, rischia di omologarsi allo stile del centro commerciale: passeggio senza impegno, spendo e occupo tempo, compro e consumo, finché... non mi stanco! Riprendere le redini dei processi lavo-rativi e delle occasioni di festa, significa impe-gnare la famiglia a riscoprire la propria identi-tà e missione sociale, ergendosi a vero criterio etico e propulsore di comunione, integrazione e solidarietà. Lavoro e festa saranno occasioni di unità, solo se ritorneranno a promuovere la per-sona umana, nella sua dignità intangibile e nella chiamata alla pienezza dell’amore.

don Giorgio Cominisegretariato diocesano pastorale familiare

Profili di santità coniugaleGiuseppe Tovini

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Diventare fratelli e sorelle

Cè chi ha sostenuto, come il poeta tedesco Novalis, che in fondo la storia del pensiero umano altro non esprima che una profonda ed inesauribile «nostalgia di casa»; la cultura è lo sforzo umano di far fronte alla precarietà e all’incertezza della vita. Non si tratta solo di una meta-fora e, meno ancora, di pensieri astratti o di disquisizioni teoriche. Le persone affrontano l’angoscia di percepirsi «gettate nel mondo» o il disagio di sentirsi «lì, per caso» proprio con il sostegno dei loro legami affettivi, ancoran-dosi saldamente ai mondi vitali, nei quali nasce la fiducia e la sicurezza, e creando dei significati che permettono di interpretare ed affrontare il mondo. La casa è il luogo dell’intimità, dell’amore e del dolore condivisi, dove si vivono gli affetti più cari e si conservano i ricordi più struggenti, dove si costruisce la

comunione attra-verso il dialogo e la condivisione quotidiana. La casa acquista così una sorta di ca-rattere sacro che la distingue da ogni altro luogo. Nelle case i ro-mani onoravano gli dei della fa-miglia (i penati), i cinesi elevano l’altare familiare; i cristiani d’orien-te ornano le loro abitazioni con ico-ne sacre, quelli di occidente appen-dono alle pareti il crocifisso. Là dove resiste l’usanza, la maggioranza delle famiglie ac-cetta e gradisce il costume di bene-dire le case. La pre-senza nello spazio non è solo fisica ma è, più ancora, intenzionale: at-

traverso il gesto la persona sorpassa la materialità dello spazio e il suo stesso corpo. L’orecchio ascolta, la parola interpella, la mano raggiunge, i gesti creano i significati, li incarnano, li comunicano.Il gesto è senso vissuto attraverso il corpo, come il senso è gesto allo stato nascente: il vissuto emotivo inferiore traspare immediatamente attraverso la mimica facciale che nel corpo umano raggiunge un’intensità comunicativa di grande rilievo. La persona umana, infatti, è ca-pace di superare la materia ed il suo con-dizionamento; sa in-terrogarsi e divenire consapevole dell’«in-finito», cosa che suppone uno sforzo di trascendenza nei confronti dei limiti che impediscono: «Attraverso lo spazio, l’universo mi comprende e mi inghiottisce come un punto; attraverso il pensiero io lo comprendo» (B. PA-SCAL). Il corpo fornisce al pensiero gli schemi d’ìnterpre-tazione del reale e le categorie concrete. I gesti, i segni, le espressioni facciali, le usanze sono gli elementi fami-liari con cui l’intenzionalità si esprime. La casa produce così una rete complessa di interazioni che comprendono anche l’organizzazione dello spazio, il vestiario, l’arredo e costituisce il terreno fertile delle ritualità che vi si vivo-no.

Il copione familiare Non sempre, però, le emozioni si esprimono ade-guatamente nel dialogo affettivo, soprattutto a motivo del difetto nella comunicazione verbale. A volte lo scambio emotivo si fissa e si standar-dizza, e così si innescano pericolosi «copioni» familiari: anziché persone, i componenti della famiglia appaiono «personaggi», ognuno con il suo ruolo inflessibile, con le proprie motivazioni indiscutibili, con i soliti comportamen-ti prevedibili. Discussioni, scontri e litigi, si replicano in termini sempre uguali, secondo un vero e proprio sche-ma, che sì ripete nel tempo provocando sofferenza e allontanando i membri familiari l’uno dall’altro. La fami-glia non è più vissuta come un’avventura appassionata e nuova ogni giorno ma una trama dove le sequenze della conversazione appaiono prefissate e le risposte preve-dibili. Luogo della mediazione nell’incontro con l’altro, infatti, è la parola: quando le persone comunicano le proprie emozioni, producono una narrazione che trasfor-

LA RITUALITA’ DEL SALUTO

FAMIGLIA E RITUALITA’

«L’individualismodella società nascedalle famiglieche vedono spegnersile loro emozionie finiscono per crearein sé e attorno a séun mondo chiuso dove“ognuno fa i fatti suoi”.La privatizzazionedella famiglia va messain stretta connessionecon l’individualismosociale, la chiusuradegli interessisulla materialitàdell’esistenza,l’apatia politica.Al narcisismodelle famiglie corrispondel’individualismodei cittadini, e,nella sfera pubblica,il disinteresseper la cosa pubblica».

L’attenzione ai piccoli riti familiari introduce alla liturgia; ne fa comprendere e vivere il senso.

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pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - ma il vissuto (ciò che si è fatto, visto, ascoltato...) in senti-mento, dove, cioè, le parole non trasmettono solo conte-nuti ma definiscono e costruiscono delle relazioni. Coloro che non sanno narrare la vita, invece, chiudono l’esperienza nel cerchio della monotonia. In quanto chiusura, la monotonia è una scelta di comodo per evitare il conflitto e risparmiare la fatica che la costante esposizione alla comunicazione compor-ta. La si previene esercitandosi alla comunicazione ver-bale, all’interno di relazioni emotivamente intense. Conoscere e trasmettere tra genitori e figli quan-to si vive nell’interiorità emozionale è un’esperienza di intensa gratificazione e di altrettanta fatica. Vi corri-

sponde una dop-pia tentazione, di eccesso oppure di difetto. Nel primo caso le relazioni che le persone instau-rano (i rapporti di coppia, il legame madre-bambino, le

forme autoritarie d’imposizione...) cercano di dominare o di invadere interamente lo spazio dell’altro e perse-guono un’illusoria ricerca di fusione. Si vuole o si preten-de di «dirsi tutto», quando invece il limite della parola non può contenere la profondità dell’intimità familiare che esige anche altri linguaggi, come quelli del corpo e dei simboli. Nel caso di difetto la chiusura in sé conduce alla negazione del punto di vista dell’altro (i capricci del bambino, l’indisponibilità dell’adulto, le diverse forme di nervosismo...). La comunicazione umana trova, invece, la sua completezza quando parola, sentimenti, simboli fanno tutt’uno, restituendo il primato alla trasmissione degli af-fetti e dei sentimenti (e non all’adeguamento standardiz-zato). L’individualismo della società nasce dalle fami-glie che vedono spegnersi le loro emozioni e finiscono per creare in sé e attorno a sé un mondo chiuso dove «ognu-

no fa i fatti suoi». La privatizzazione della famiglia va messa in stretta connessione con l’individualismo sociale, la chiusura degli interessi sulla materialità dell’esistenza, ‘apatia politica. Al narcisismo delle famiglie corrisponde l’individualismo dei cittadini, e, nella sfera pubblica, il di-sinteresse per la cosa pubblica. Giustamente il narcisismo è descritto dalla psicologia come incapacità a provare ed esprimere veri sentimenti. L’empatia è, all’opposto, la possibilità di provare i sentimenti dell’altro, di mettersi nei suoi panni. Senza empatia il vissuto familiare va in crisi, perché ‘amore perde i suoi connotati più specifici. Può ancora manifestarsi come «virtù» in senso unidire-zionale («mi sacrifico per te, anche se per te non provo nulla», «obbedisco per pau-ra o per convenien-za», «compio quanto mi è chiesto, per do-vere»...) ma in questo modo non può più es-sere vissuto come va-lore familiare. Produ-ce solo frustrazione, delusione, rinuncia.

«La comunicazioneumana trova la sua completezza quando parola, sentimenti, simboli fanno tutt’uno, restituendo il primato alla trasmissione degli affetti e dei sentimenti».

«II saluto è molto piùdi un’etichettadi buona educazione:è un gesto umanodi complessa intensità».

Le parole che dicono l’amore non sono quelle che ne parlano, sono le parole che lo donano. Le parole che fanno quello che dicono diventano performative: una volta pronunciate, non smettono di esistere, anzi incominciano a operare: le parole diventano fatti. La catechesi deve im-parare queste parole, le uniche degne di parlare di Dio. La catechesi familiare cerca l’unità performativa del-la Parola di Dio, della liturgia e della vita morale attra-verso le ritualità familiari, che sono le azioni quotidiane in cui si condensa la comunicazione dell’amore, che è l’esperienza umana più capace di fare cenno a Dio. Es-sendo unico l’amore e uno solo il comandamento nuovo (Gv 13,34), le ritualità familiari, preparano le liturgie sacramentali, le quali a loro volta rigenerano insieme alle persone anche le ritualità dell’amore. Si può considerare il pasto familiare come un model-

lo di catechesi performativa. La tavola dei pasti quotidiani è lo specchio della vita familiare e anche la palestra dove la sua unità può es-sere ricostruita e il dialogo ristabilito ogni giorno (come fa per analogia l’Eucaristia, immagine, fonte e culmine della vita delle comunità parrocchiali). La tavola familiare è un vero «sacrificio», dove il superamento dell’«arroganza» (la pretesa capricciosa dei piccoli come dei grandi) avviene su almeno tre ver-santi: la preparazione degli alimenti, lo stare a tavola e il rapporto con il cibo. Nella preparazione del cibo e della tavola vale una prima regola «sacrificale», quella della collaborazione: tutti devono dare il loro contributo, in base all’età, ad altri possibili impegni familiari. Anche un bimbo di pochi anni può portare, ad esempio, il suo tovagliolino in tavo-la.

A TAVOLA COME ALL’ ALTARE

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La tavola unisce la famiglia anche in quanto è opera comu-ne. Nel consumo dei pasti esiste una dimensione di necessi-tà (mangiare si deve) e una di piacere (il gradimento del cibo, la soddisfazione di un bisogno, l’incontro e la conver-sazione). La collaborazione di tutti sul primo lato permette di avere più possibilità e tempo per godere il secondo. Il mansionario familiare potrebbe attribuire ad ogni membro della famiglia il suo incarico. La liturgia partecipata non consiste certo nell’aver tutti qualcosa da fare sull’altare. Nella liturgia, infatti, è il si-lenzio che adora il massimo grado dell’essere presenti e partecipi. Si può fare molto, però, per migliorare la par-tecipazione liturgica. Ci sono dei modi d’esprimersi da cor-reggere (non si va dal sacerdote a «ordinare» una Messa, né si entra in chiesa per assistere al sacrificio), abitudini da cambiare (stare in fondo alla chiesa, restare muti e per i fatti propri, non partecipare al canto), pratiche da per-fezionare (pregare e cantare insieme, curare l’espressio-ne dei gesti, praticare il silenzio, favorire l’attenzione). È partecipazione preparare la domenica fin da lunedì pre-cedente, arrivare in anticipo in chiesa, salutarsi prima di entrare in chiesa e fermarsi a dialogare in piazza al ter-mine della celebrazione, parlare a casa e agli amici della liturgia celebrata. Lo stare alla tavola sacrificale comporta poi il dove-re della conversazione familiare (chiedere e rispondere in modo esaustivo alle domande, partecipare al dialogo, togliere le distrazioni, spegnere il televisore, chiudere il te-lefono) e nell’attenzione alle persone (riconoscere la fatica di chi ha preparato il pasto, non allontanarsi da tavola, aspettare gli altri prima della portata successiva ecc.). La liturgia partecipata richiede la massima cura per la mensa della Parola, ‘importanza da dare ai tempi di silen-zio, la risposta corale e convinta alle letture e nel canto del ritornello al salmo. Il silenzio prolungato, l’attenzione con cui si è oltrepassata la soglia per entrare in chiesa, distolgono le persone da ogni distrazione e le orientano all’invisibile Presenza. Il tempo dello stare a tavola, il consumo del cibo allo stesso ritmo, la calma del dopo cena, comportano un eser-cizio di sacrificio di sé in favore dell’altro, attraverso l’os-servanza di regole precise (aspettarsi, non alzarsi, ser-virsi vicendevolmente, segui-re le regole fondamentali dell’igiene e delle buone maniere) che sono una disci-plina indispensabile perché la tavola non sia un ulteriore caos e stress della giornata ma ricostruisca il vivere fa-miliare, donando un po’ di pace e di riposo. Anche la liturgia ha la sua disciplina: va celebrata

come si deve, secondo le sue regole e «buone maniere» (il tono di voce, la solennità dei gesti, la cura e la bellezza dei paramenti). Anche attorno all’altare e in tutta l’aula liturgica, durante la celebrazione, si svolgono dei servizi e si fanno anche delle cose concrete e umili per il bene di tutti (portare le offerte all’altare, passare tra i banchi per la colletta, accendere i lumi), proprio come attorno alla ta-vola imbandita. L’Eucaristia si chiama, infatti, anche agape fraterna. Il capriccio ha oggi libera espressione e non trova re-sistenze soprattutto nella regolamentazione del rapporto con il cibo. Là dove l’educazione tradizionale era interve-nuta in modo rigoroso (per non sprecare il cibo, consumare tutta la portata, non brontolare davanti al cibo prepara-to) è subentrata una liberalizzazione pressoché totale. In molte famiglie non esistono più regole e l’unico criterio è il piacere del gusto immediato. La nobile semplicità della liturgia libera di tutti i fronzo-li, riduce all’essenziale ogni parola umana, regola anche le emozioni. Le sue regole sono sempre identiche (alcune re-sistono da duemila anni) eppure ciò che avviene è sempre nuovo, mai si ripete identico. Tempo forte in casa è anche la conclusione del pasto familiare: si finisce tutti insieme ma non si va subito via. Ri-mane ancora la cosa più importante da fare: non fare nul-la! Godere almeno qualche istante la presenza di coloro che si amano e che nel pasto condiviso si sono conosciuti un po’ di più, apprezzando la loro persona e sopportando i loro limiti, pregi e difetti che a tavola diventano ancor più evidenti. Anche nella celebrazione eucaristica il grande silenzio dopo la Comunione è un momento breve ma di emozionan-te intensità. Il silenzio totale, senza neanche il suono dell’or-gano, esprime, in quel momento, la massima comunicazione con Dio e i fratelli. Il tavolo del pasto familiare è, innanzitutto, l’arredo del dialogo; per questo costituisce uno dei simboli della casa. Condividendo il cibo, in famiglia si condivide la vita. Attra-verso il cibo distribuito, le persone della famiglia si sentono un corpo solo. Il pasto crea comunione e la parola della conversazione la esprime. Alla mensa familiare la parola ha un valore nutritivo, come il cibo, perché il pasto è tem-po privilegiato d’incontro interpersonale. Sono evidenti le controprove: è sempre triste bisticciare a tavola, il pasto subito si corrompe, l’appetito si blocca, si mangia veloce-mente e si riparte in fretta. Nella casa-albergo mancano le motivazioni per parlarsi, interrogarsi, rispondere alle inter-pellanze. Contano di più le comunicazioni di fuori: si è più espansivi al telefono che nel faccia a faccia della tavola imbandita. Il tavolo della mensa eucaristica è un altare: è di pie-tra perché ricorda il monte Calvario. Quel giovedì santo di passione il Maestro rappresentò nel pane la sua carne offerta in sacrificio perché i discepoli, deboli e impauriti, si sentissero un corpo solo con lui.

Nella comunità domeni-cale il corpo e il sangue di Cristo trasformano i deboli (i cristiani che sanno di dover ogni domenica ricominciare da capo la loro sequela), at-traverso il dono dello Spirito, un corpo solo. Anche i bam-bini lo cantano: «Un cuor solo e un’anima sola per la tua gloria Signore!» (Preghiera eucaristica dei fanciulli n 2). Alla mensa eucaristica la Pa-rola di Dio ha «valore nutriti-

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vo» come il corpo di Cristo: i riti performativi dell’ambone rendono corpo la stessa Parola. La disponibilità a lasciarsi toccare da quella Parola converte la comunità e la manda nel mondo, che Dio ha amato così appassionatamente da regalare suo Figlio (Gv 3,16). Nelle liturgie spente e ritua-listiche, la voce contraddice ciò che le parole raccontano, il corpo impacciato dice che il cuore è assente, il mutismo è più rumore che devoto silenzio. Il grado di comunità che il pasto realizza è tanto più evidente quanto più condivisi sono i simboli che il cibo incor-pora e produce. Solo i simboli, infatti, possono trasformare un atto fisiologico in un momento di comunione, possono ri-empire di senso condiviso il «non senso» del mangiare in-sieme quando il cibo è solo necessità o piacere individuale. Scopo del simbolo è «mettere insieme» (come, etimologi-camente, la parola significa). Le persone si uniscono attra-verso il cibo, preparato, consumato, interpretato. Il consumo del pasto che riunisce, però, non è distruzione vorace di ali-menti ma rigenerazione delle persone, di cui il cibo diventa simbolo. Ogni incontro attorno alla tavola pone indiretta-mente delle domande di senso e non soltanto di gusto o di appetito: «chi cucina per chi?», «Perché si mangia ora e

in questo luogo?», «Perché ci si aspet-ta tutti?», «Perché quei gusti?», «Cosa rappresenta la tradizione di quel “piatto” per quelle persone?». La risposta alle domande che il cibo rituale pone è tanto più evidente quanto maggiore è il livello dell’inti-mità comunicativa. Comunità e intimità emozionale sono, infatti, le colonne portanti delle ri-tualità che trasfor-

mano la tavola in una scena che celebra e, al tempo stesso, costruisce i legami. Le ritualità familiari sono prodigiose. Trasformano la materia in simbolo, il cibo in intermediario dell’amore: un vero cambiamento della sostanza! Infinitamente più radicale (ma simile nel processo) il mi-racolo eucaristico del pane che diventa Cristo. Potenza del rito sacramentale! È infatti l’altare che rende sacra l’offer-ta, non viceversa (Mt 23,19). Quale altro modo, più semplice e affascinante, per spiegare ai bambini i concetti «impossibili» della transu-stanziazione o della presenza reale nel tabernàcolo, delle metafore del pasto rituale familiare? È possibile ricostruire una storia familiare a partire dal cibo: i piatti che si tramandano, i significati di certi cibi che si conservano nei passaggi generazionali, la predilezione per certi gusti che resistono nel tempo, raccontano l’origina-lità di una vicenda umana intergenerazionale. Ogni famiglia potrebbe, così, disegnare il proprio ge-nogramma a tavola: uno specchio in cui si riflette una storia di affetti e di relazioni dove il cibo è l’intermediario del-la storia della famiglia e delle radici di un popolo. Ogni membro familiare, insieme allo scambio del cibo, riceve il dono di un legame che dura nel tempo. Chi resta chino sul suo piatto e non pensa che al suo piacere, rimane solo: per lui il cibo è solo materia. La liturgia proviene da una storia lunga millenni che nel rjto si condensa e si attualizza. È sempre la stessa ma

si realizza in un’esplosione di forme anti-che e sempre nuove. Accogl ie e trasforma tutte le tona-lità affettive. Diventa” di volta in volta, liturgia feria-le o festiva, quaresimale o pasquale, matrimoniale o funebre, di piccolo grup-po o di gran-de assem-blea, perché ogni espe-rienza umana è riportata all’unico Si-gnore. La com-pagnia che si crea attorno al pane («cum panis») costruisce sempre un nucleo di comunità, perché le persone sono unite nella re-ciprocità dei corpi attraverso il pasto condiviso. In nessun altro luogo, forse più che a tavola, l’altro appare come il proprio simile. Adulti e bambini, adolescenti e anziani, don-ne e uomini sono uniti dalla medesima tavola. Il rapporto con il cibo, frutto della terra e del lavoro umano, svela il proprio modo di stare al mondo, di rapportarsi alla natura e a chi la abita. La tavola può essere, così, considerata una rappresentazione del modo specifico che la famiglia ha di intendere gli altri e il mondo. Nell’Eucaristia la compagnia diventa comunità, unione non di persone che si sono scelte ma di discepoli che sono stati scelti. L’aula liturgica racconta ogni domenica il modo specifico di quella comunità di intendere il legame fraterno e la missione nel mondo. Il cibo è anche come arte, fantasia creativa dettata dall’amore. La liturgia è bellezza, azione degna al cospetto di Dio. Imparare a stare a tavola è una buona palestra per imparare a celebrare. L’Eucaristia domenicale è anche la fonte e il culmine della catechesi intergenerazionale. Le attività catechistiche pastorali si svolgono per lo più secondo un modello di se-parazione (divisione per gruppi e per età) ma l’Eucaristia ricompone ogni differenza nell’unico popolo di Dio, comu-nità messianica, corpo di Cristo, come la tavola della sera riunisce la famiglia dispersa durante il giorno. I genitori diventano causa d’incredulità quando presentano un Gesù divinizzato che non ha nulla da spartire con la vita con-creta, quando non s’impegnano a umanizzare la loro vita familiare. Sono promotori di fede quando si dedicano alle le ritualità familiari. La catechesi parrocchiale non fa altro che assegnare un nome eucaristico a ciò che genitori e figli vivono in casa, per esempio, durante i pasti.I genitori possono riscoprire la loro fede portando i figli a Messa. I bambini possono evangelizzare le loro famiglie (Evangelii Nuntiandi n 71) quando, tornando dal catechismo, apparecchiano con devozione la tavola e spiegano ai genitori perché.

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Scuola Parrocchiale don Orione

QUI SCUOLA

ALUNNI IN ZONA D’OMBRA

Idee di una prof, che nessuno è obbligato a condividere Sempre più spesso capitano nelle nostre classi, arrivano con uno zaino già carico degli insuccessi ac-cumulati nei cinque anni di scuola primaria, accompagnati dall’ansia e dalla mai sopita speranza, di genitori amareggiati che non sanno più a che santo votarsi. Sono demotivati, indifferenti, preoccupati o semplicemente rassegnati al loro ruolo ormai consolidato di ultimi della classe . Sono quelli che non sono mai attenti, che faticano a stare nel banco, che pastic-ciano diario, libri e quaderni, che perdono il materiale, puntualmente riconsegnato dalla famiglia; se interpellati alzano le spalle o balbettano scuse, sono quelli che non trovano mai la voglia o il momento giusto per studiare, che non… che non… che non… e potremmo andare avanti all’infinito. Per qualcuno di loro sono già stati attivati tutti possibili accertamenti, alla ricerca disperata di un perché, ad opera di pedagogisti, psicologi, neuropsichiatri, grafologi, esperti delle “zone d’ombra” che rilasciano certificazioni più o meno credibili agli occhi di noi insegnanti che di fronte al ragazzo che non “va” neppure in “carrozza” diciamo “Ma”, “E’ mai possibile che ?”. Altri arrivano sprovvisti anche di questo, allora subito pensiamo che sia opportuno interpellare l’esper-to che ci dica come procedere, perché noi prof siamo pieni di zelo e vogliamo sempre sapere, conoscere tutto per fare al meglio! Ci aiutano leggi , decreti e circolari ministeriali che parlano di individualizzazione, di alunno al centro del processo di apprendimento e noi ci attiviamo con impegno e precisione, ma la zona d’ombra non ci dà pace. Che fare? Ci deve pur essere un modo per smuovere anche i più inetti, quelli che a un certo punto ci sembra stiano anche bene nelle loro ormai acquisite “non capacità”. Eppure è proprio a questi ragazzi che deve andare la nostra attenzione, indirizzare la nostra profes-sionalità docente, ma soprattutto educante. Sono loro quelli che rompono le nostre convinzioni, che ci mettono in discussione e che mettono in moto la nostra intelligenza e creatività. Sembra assurdo, ma ci insegnano ad insegnare: ci fanno capire che non esiste nulla di predefinito e statico e che dobbiamo, come ci hanno insegnato gli antichi, procedere per tentativi e fallimenti, “provando e riprovando”, rischiando, mettendo in conto che dopo aver fatto tanto, non abbiamo ancora fatto niente e ci tocca ripartire da capo. Nell’”ombra” le etichette si confondono, si assomigliano un po’ tutte e purtroppo non esistono formu-le magiche o ricette che guariscono e miracolosamente trasformano quei ragazzi in alunni ideali, perché ognuno ha una storia e un vissuto completamente diversi dall’altro. A volte basta solo un piccolo barlume per indicare la strada, ma non dobbiamo stancarci di tentare , di dare non solo opportunità, ma anche strumenti che con molta umiltà possiamo imparare a costruire

insieme in un pacato confronto con altri insegnanti, con genitori , con gli stessi ragazzi; dobbiamo provare ad entrare nell’ombra senza tema di sentirci per questo fallimentari o defraudati del nostro ruolo. Dobbiamo allora essere flessibili, diversificare metodi e strategie, gra-duare le prove, spianare il più possibile la strada, semplificare, che non si-gnifica banalizzare, dare degli appigli. Attivare risorse( e che fatica!) senza temere che chi è in piena luce possa essere oscurato dall’ombra. Dobbiamo allora sforzarci di essere fermi, non rigidi, esigenti,ma non pretenziosi,accoglienti, non pietisti, sempre aperti alla speranza, alla fidu-cia e pronti a ricominciare per non incorrere nel rischio di voler dare tutto a tutti e a tutti i costi , evitando, come diceva Don Milani, l’ingiustizia di fare parti uguali tra disuguali. Non dobbiamo dimenticare infine che la scuola dell’obbligo una volta aveva una funzione formativa ed orientativa, ma se così non fosse più, allora davvero possiamo solo essere giudici integerrimi di un sistema dove chi sa procede e chi non sa o non può o non vuole( non sono tutti sin-tomi di uno stesso disagio ?) resta nella sua beata zona d’ombra.

Auguri di Buona

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“Retrouvaille” propone weekend per coniugi che vivono un momento di difficoltà, di grave crisi, che pensano alla separazione o sono già separati ma desiderano ritrovare se stessi e una relazione di coppia chiara e sta-bile. Per info: [email protected] e www.retrouvaille.it.

sito web: www.retrouvaille.it e-mail: [email protected]

solo da numero fisso800-123958

numero verde da numero fisso

800-123958da cellulare3462225896

Il Gruppo Galilea un cammino difede per persone che vivono situazioni

matrimoniali difficili o irregolari (es. divor-ziati-risposati). Gli incontri sono mensili,

al centro la Parola di Dio, con ampispazi di ascolto, riflessione e condivisione.

Ogni primo sabato del mese. Gli incontri si tengono da calendario an-nuale, presso il Centro Pastorale “Paolo VI”, (situato in via Gezio Calini, 30 - Bre-

scia) un sabato al mese, dalle ore 17.00 alle ore 19.00.

Guida e accompagnatore del Gruppo è don Giorgio Comini, direttore dell’Ufficio

Diocesano di Pastorale Familiare.

Sulle orme e in compagniadi Sant’Arcangelo Tadini

PELLEGRINAGGIODIOCESANOPERLEFAMIGLIE... a piedi dal Santuario di Valverde di Rezzato al Santuario

dedicato al culto di S.Arcangelo Tadini di Botticino Sera

ore9.00RitrovopressoilSantuarioepreghie-ramarianapressoilluogodell’apparizione(è possibile parcheggiare presso il cimitero di Rezzato a circa 200 metri dal Santuario)

ore9.30Iniziodelcamminoconpercorsointretappe,seguendoleletterepastoralidelVescovoLuciano (il percorso di 4 km è pianeggiante e asfaltato, adatto quindi per tutti, anche per i passeggini)

ore10.50ArrivoalSantuariodiBotticinoSeraepreghieraaS.Arcangelo.

ore11.00S.MessaincomunionespiritualeconRomadoveverràproclamatoBeatoGiovanniPaoloII.

ore12.30Pranzoinoratorio(al sacco).

ore14.30TestimonianzedicoppiaememoriadelpontificatodiGiovanniPaoloIIconletappepiùsignificativeasostegnodellafamiglia(per i figli è prevista l’animazione a cura dei giovani dell’oratorio).ore16.30Salutofinaleemandato.

Domenica 1 maggio 2011

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La scelta pastorale del Vescovo e il programma in oratorio Todos sean uno

tempo di Pasqualettera del Vescovo LucianoAll’angelo della Chiesa di Oviedo

Abbiamo iniziato il nostro cammino dicendo che la vita nasce da un dono perché nessuno può darsi la vita da se stesso. Adesso possiamo aggiungere che anche nel progresso della vita rimane indispensabile il dono. E cioè: il cammino della vita è più grande di noi; richiede delle forzeche non possediamo in noi stessi; siamo fatti per correre verso un traguardo, ma i nostri muscoli non sono sufficiente-mente potenti. Dobbiamo avvilirci? Siamo condannati alla depressione di chi sa di non poter concretizzare gli ideali nei quali crede con tutto il cuore? No: piuttosto dobbiamo aprire la nostra vita a un Altro, imparare a vivere con Lui, a camminare insieme con Lui, ad appoggiarci a Lui.Lui c’è; c’è per noi; c’è per me. Devo solo imparare a stare davanti a Lui insieme con il mio mondo, con gli altri, con tutti i miei pensieri e i miei desideri – davanti a Lui. Lui non si tira indietro; nemmeno di fronte ai miei peccati e alle mie infedeltà. Al contrario, i miei peccati lo muovono e lo com-muovono: siccome non vuole che si perde neanche uno solo dei suoi figli, quando vede qualcuno a rischio di perdersi, mette in atto tutte le sue risorse per svegliare, correggere, aiutare, sostenere, dare fiducia e speranza.Si chiama fede: assomiglia all’atteggiamento del bambi-no che affronta il mondo tenendo la mano di suo padre. Il mondo è più grande di lui, è pieno di rischi e di minacce, potrebbe fargli paura; ma basta la mano di suo padre per infondergli sicurezza. Può guardare il mondo con gioia, può affrontarlo con sicurezza, può entravi con speranza: il mon-do non potrà fargli del male fino a che suo padre è con lui. “Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome… Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai.”Iniziare la giornata con la preghiera è come iniziare met-tendo la nostra mano nella mano che Dio ci tende. Pregare durante la giornata è prendere coscienza della mano gran-de che ci sostiene.Pregare alla fine della giornata significa consegnare al Pa-dre un frammento della nostra esistenza:un frammento che è passato e su cui non abbiamo più nes-sun potere, ma che Dio può accogliere,purificare, conservare, valorizzare.

Vescovo Luciano

Perdialogarenonbastasaperascoltare,bisognaaverequalcosadadire.Ilpianodell'incontrocivedeattingereallaradicedellanostrastoriaedellanostrafede,benraccontatadallacittàdiOviedocheconservailSagradoRostro(iltelodilinocheavrebbeavvoltoilcapodiGesù)echefutappadiiniziodelleavventuredelguerrieroPelayo,protagonistadellareconquistaspagnola.

L'incontroperòprevedeancheun'aperturaincondizionataall'altro:comecomunitàeducativasignificaavereobiettividaconfrontareconilnostrotempo;amareipiùgiovaniperquellochesono,certicheancheperloroCristohascrittopaginedellastoriadisalvezza,significaaprirsiallezonaliediocesaneperesserecontributo,stimoloesostegnoallecomunitàvicine.

OVIEDO

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PHILADELFIAdal libro dell’Apocalisse (3,7-13)All’angelo della Chiesa di Filadelfia scrivi:Così parla il Santo, il Verace,Colui che ha la chiave di Davide:quando egli apre nessuno chiude,e quando chiude nessuno apre.Conosco le tue opere. Ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere. Per quanto tu abbia poca forza, pure hai osservato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di satana - di quelli che si dicono Giudei, ma mentiscono perché non lo sono -: li farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi e sap-piano che io ti ho amato. Poiché hai osservato con costanza la mia parola, anch’io ti preserverò nell’ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra. Verrò presto. Tieni saldo quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona. Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più. Inciderò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che discende dal cielo, da presso il mio Dio, insieme con il mio nome nuovo. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.

Miparedipercepirechealivellodicoscienza,dapartedichifal’analisi,èpocopresentel’influssodeimezzidicomunicazioneconsumatidairagazzi. Quantepropostevannoa tenerecontodi talimezziecambiamenti?Hopaurache, interminidiadulti,c’èpocacoscienza:nonperchénonsappianochehannofiglichenaviganoininternet,perònonhannoconoscenzedialcunitipidiregolecheforseservirebberoinquestimondi.Quindi,comepossiamonoieducarliquandolastragrandemaggioranzadilorobasaiproprimodellisustrutturenonnostremasuelementidettatidaimedia? Inostrioratori,soprattuttoinfrasettimanalmente,sonoabitatidaglistranieri,dacolorochenonhannoaltrepossibilità,perchél’oratorioèilluogogratuitopereccellenza.Checosasignificaeducarecristianamentecolorochenonappartengonoallareligionecristiana?Pensosiaunasfidamoltointeressantedaporciesplicitamente:illaboratorioculturaleedintercultura-lemiglioreèl’oratorio.

Lasestatappaciinterrogasuquantolanostracomunitàeducativasiaapertaalmondoealnostrotempo:conlenovitàel’approcciodeigiovanidelnostrooratorio;conleistituzionichesioccupanodieducazionedelterritorio. Alcunedomandeperlaverifica:•Lanostracomunitàsainterrogarsieconfrontarsisullesfidecheciproponeilnostrotempo?Riesceaproporremomentidiapprofondimentoancheculturale?•Riusciamoadintercettareedialogareconiminoristranieripresentiinparrocchia?•Leopinionieisuggerimentideigiovanisonolievitoperlavitadellanostracomunitàoliacco-gliamoconscetticismoediffidenza?

Laproposta:IlpercorsodipreparazioneallaGMGdiMadrid,checoinvolgeràalcunigiovanidellacomuni-tà,puòdiventareun’occasioneperfarconoscereatuttalacomunitàeducativadell’oratorioilsignificatoeitemidiquestoappuntamento.

Come una colonna del tempiouna comunità che si confronta

Fondata da Eumene II re di Pergamonel 189 a.C. nella Provincia di Manisa, a circa 45 km da Sardi, Filadelfia fu una città funestata da terremoti, tanto che per alcuni anni i cittadini preferirono vivere al di fuori della città. Sorgeva nella vallata di Kuzuçay, ai piedi del mon-te Bozdaˇg, al centro di una regione agricola di grande prosperità.

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SETTIMANE (da Lunedì a venerdì) ATTIVITA’ LUOGO ORARI DESTINATARI13-24 GIUGNO ENGLISH CAMP don Orione 9.00-16,30 elem -2 media13-17 GIUGNO GREST-GIOCHEST SAN GALLO 9,00-17.30 I,II,III elem17-24 GIUGNO GREST-GIOCHEST SAN GALLO 9,00-17.30 ele e medie27 GIU-1 LU GREST-GIOCHEST ORAT.MATTINA 9,00-17.30 ele e medie4 LU-8 LU GREST-GIOCHEST ORAT.MATTINA 9,00-17.30 medie11 LU-15 LU GREST-GIOCHEST ORAT.MATTINA 9,00-17.30 medie18 LU-22 LU GREST-GIOCHEST ORAT.SERA 9,00-17.30 elementari25 LU - 29 LU GREST-GIOCHEST ORAT.SERA 9,00-17.30 ele e medie 1 AG0 - 5AGO GREST-GIOCHEST ORAT.SERA 9,00-17.30 ele e medie17 LU - 24 LU CAMPEGGIO Meritz cresimandi24 LU- 31 LU CAMPEGGIO Meritz adolescenti22 AGO-26 AGO CAMPUS don Orione 8.00-17,30 ele.-medie29 AGO- 2 SET CAMPUS don Orione 8.00-17,30 ele.-medie5 SET -9 SET CAMPUS don Orione 8.00-17,30 ele.-medie

grand’estate 2011 - PARROCCHIE DI BOTTICINO

GREST:Giochest - Battibaleno Proposta di animazione e attività per i bambini e ragazzi dalla 1° elementare alla 2° media; la proposta è pensata secondo una spe-cie di rotazione che coinvolga tutte le nostre comunità parrocchiali: sarà attivato un apposito servizio di trasporto per permettere a tutti di partecipare. L’attività si svolgerà dal lunedì al venerdì con inizio alle ore 9.00 e termine alle 17.30; sarà possibile inoltre usufruire del servizio di accoglienza dalle ore 8.00.

L’estate è un tempo tutto per noi...c’è voglia di giocare, c’è voglia di esprimersi, c’è voglia di mettere tutto l’impegno possibile per riuscire a rendere l’estate un tempo davvero per noi! I bambini e ragazzi, al centro delle nostre attenzioni, del nostro tempo, saranno aiutati con giochi, attività e varie proposte a rendere prezioso il loro tempo, a non sprecarlo, a comprendere che è un dono e come tale va fatto fruttare!Per fare tutto questo c’è bisogno dell’aiuto di tutti: - degli adolescenti e giovani che con una giusta preparazione, fin dal mese di aprile, possono animare, cioè dare un’anima al tempo dei ragazzi e anche al loro!- dei genitori che fidandosi della comunità cristiana pensano ad una esperienza di crescita completa per i propri figli e si rendono partecipi con la propria attenzione, disponibilità, compren-sione e, perché no, con un po’ di aiuto nei servizi necessari al buon funzionamento dell’esperien-za.- di tutta la comunità pronta a sostenere, più che criticare, l’impegno e la buona volontà di chi decide di dare tempo all’educazione anche durante l’estate!Così quest’estate...sarà un Battibaleno!

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CAMPI ESTIVI AL MERITZ

dal 17 al 24 luglio per i cresimandidal 24 al 31 luglio per gli adolescenti 1°- 4° superiore

Un battibaleno per il Grest 2011

VOGLIA DI IMPARARE A CONTARE I GIORNIUn estate che, attraverso l’impegno di molti educatori e la parte-cipazione di moltissimi ragazzi, proverà a toccare quattro obiettivi

fondamentali: la scoperta del tempo, il tempo personale, il tempo per gli altri, il tempo della grazia

“Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più”. La do-manda di Sant’Agostino è una sfida educativa per l’oggi: cogliere il significato del tempo, custodirne il valore, superare il “tutto e subito” per gustarne lo scorrere. Ecco alcuni temi che impastano la proposta del Grest 2011 dal titolo “Bat-tibaleno, insegnaci a contare i nostri giorni”.

“Battibaleno”, come un fulmine che indica la velocità di un’azione o del tempo che passa: un tempo che vola via e a fatica ci permette di affrontare le questioni più impor-tanti. Eppure cogliere il senso del tempo è questione chiave del vivere, è il Salmo 90 a ricordarcelo: “insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore”. Il tempo corre rapido: ai bambini di quest’anno - attraverso l’esperienza estiva - vorrem-mo insegnare quanto è prezioso perché imparino a spenderlo bene. Un’estate quindi che, attraverso i Grest, proverà a toccare quattro obiettivi fondamentali: la scoperta del tempo; il tempo personale (nel quale scrivo la mia biografia e realizzo la mia vocazio-

ne); il tempo per gli altri (scoperta del tempo come dono ricevuto, che diventa a sua volta dono); il tempo della grazia (luogo dell’azione di Dio nel mondo). Le parrocchie, come ogni anno,sono dotate del manuale, contenente tutta la strumentazione pastorale (letture di approfondimento, incontri di catechesi sul tema, un corso di formazione per animatori, la storia, i giochi, i laboratori e le avventure), l’agenda dell’animatore (di formato tascabile che costituisce un vero e proprio accompagnamento per i nostri adolescenti), il cd multimediale (con balli, canti, strumenti per i disegni, spartiti). La storia del Grest racconta di una fabbrica di orologi ormai in disuso e di un bambino e una ragazza che cer-cano di scoprire da dove viene un misterioso ticchettio che si riesce a sentire solo di notte. Una storia contraddistinta da tre ingredienti principali: un piccolo giallo, l’ambientazione notturna come tempo magico per eccellenza, nel quale è più facile confondere il reale con il fantastico e la fabbrica abbandonata, luogo che racconta l’aggancio con la vita dei genitori dei nostri bambini e ragazzi. La fabbrica è un grande labirinto, con tante porte che immetteranno in stanze dove i protagonisti scopriranno una dimensione particolare del tempo. cessi di comunità che coinvolgano gli adole-scenti non solo nelle tre settimane estive: un calendario che vede le prime pagine iniziare a svolgersi in queste setti-mane, attraverso i primi incontri locali creativi e di progettazione. In occasione dell’Anno Giubilare S.Arcangelo Tadini i grest delle parrocchie della diocesi passeranno una giornata a Botticino.

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1° MiniSunBottiGameper i ragazzi dai 10 ai 16 anni

12 giugno Botticino Sera Pallavolo sull’acqua 19 giugno San Gallo Calcetto umano 3 luglio Botticino Mattina Pallamano

2° SunBottiGame proposta per squadre dai 16 anni in poi: 12 giugno Botticino Sera Pallavolo sull’acqua 19 giugno San Gallo Calcetto umano 3 luglio Mattina Pallamano

Ai bambini, attraverso l’esperienza estiva, si vuole insegnare quanto è prezioso il tempo perché imparino a spenderlo bene

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Il sito web dell’Unità Pastorale di Botticino.

La realtà del web è ormai entrata all’interno della nostra vita. L’ Unità Pastorale è presente in internet con una propria pa-gina web. L’indirizzo del sito è www.parrocchiebotticino.it. Potete trovare informazioni sulle tre realtà parrocchiali, i vari gruppi con i referenti, associazioni, espressioni della comuni-tà, una galleria fotografica e con l’andar del tempo tante nuove informazioni.. Nel sito è possibile trovare anche una newslet-ter, un sistema utile per tenersi aggiornati alle varie iniziative, e un forum per poter condividere le proprie idee. Chi volesse partecipare a questa iniziativa o volesse contribuire con materiale può mettersi in contatto attraverso l’indirizzo di posta elettronica [email protected]

INDIOCESIABRESCIA Il tradizionale appuntamento della Ve-glia della Palme partirà dal piazzale del Castello per raggiungere piazza Paolo VI dove il nostro Vescovo Luciano presiederà la preghiera per adolescenti e giovani. Un buon modo per prepararsi alla Pasqua e all'estate in vista della giornata mondiale della gioventùdi Madrid.

sabato 16 - domenica 17 aprile

domenica delle palmeGIORNATA DELLA GIOVENTU’ IN DIOCESI E A BOTTICINO

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FERROe METALLI

La parrocchia attraverso i vo-lontari, promuove la raccolta di materiali ferrosi. Le fami-glie o ditte che hanno ferro, alluminio,ottone...ecc. che vo-gliono eliminare, possono con-tattare i seguenti numeri te-lefonici 3338498643 oppure 3283108944, per accordarsi sul-la modalità del ritiro che può avvenrire tramite le persone in-caricate o indicare il luogo della raccolta.

TORNEO DI CALCIO all’oratorio

di Botticino Sera LasocietàUsoBotticinoinvitatuttiaparteciparealPRIMO TORNEO NOT-TURNO DI CALCIO CAT. PULCINI perbambininatinel2001,nelleseratedi23-24-27-28-maggioe3-4-9-11giugnoalleore19,45e20,30. Nelleseratedell’8e11giugnoalleore20,15e21,10sisvolgera’ ilmemorial “Anna e Demetrio”quadrangolaredical-cioperbambininatinel2000.Partecipiamoallamanifestazionepercon-dividerelagioiadeinostribambinieperdivertirsi godendo di buon calcio, sanacompetizionesportivae..buonacucina! Si coglie l’occasione per porgere atuttisinceriauguridiunaPasquaserena.

Angelo Frassine,presidente USO Botticino

Le feste d’estatenelle parrocchie dell’Unità

Pastorale di Botticino

18-22maggio

FESTA UNITA’ PASTORALE DI S.ARCANGELO TADINI

10maggio-12giugno Botticino Sera torneo calcio bambini

domenica5giugno festa inizio estate

(Oratoriamo con estensione serale)

20-26giugno San Gallotorneo Street Soccer

30giugno-3luglioBotticino Mattina festa dell’oratorio

4-8luglio Botticino Sera torneo Beach volley

22-24luglio San Gallo festa di mezza estate

15agosto Botticino Serafesta dell’Assunta

19-28agosto San Gallo festa patronale S.Bartolomeo

2-3-4settembre Botticino Mattina festa S.Faustino al Monte

9-10settembre Botticino Mattina festa S.Nicola

23-25settembre Botticino Sera Serainsieme

inizio nuovo anno pastorale

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PARROCCHIA SAN GALLO RESOCONTO ECONOMICO 2010 al 31 .12.2010USCITEtasse/imposte 762,00culto 1.888,00oblazioni zona past. 300,00remuneraz. sacerdoti e rel. 2.425,00assicurazioni (09/010) 7.780,00Ris.luce,ac,gas,tel. 12.628,00stampe. strisc.sussidi 2.744,00manutenzioni varie 4.294,00debito ristrutt. orat. 8.600,00progetti oratorio 3.544,00partite di giro 2.460,00totale uscite 47.425,00

PARROCCHIA BOTTICINO SERA RESOCONTO ECONOMICO 2010 al 31.12.2010 ENTRATE USCITE Comp.banc.attive 97,50 Inter. e compet. bancarie. 22.796,90 Ostie-Vino-cera (arredi sacri) 7.237,90Collette messe/candele/serv. religiosi 54.073,46 Pubblicazioni e serv. litur.sussidi 6.064,68Goccia, mattonelle, liberalità e varie 12.501,77 Cancelleria 9.998,12 Attività 5.729,76 Contributi pubblici e privati 314.980,10 Remunerazione clero e laici 7.821,00 Tasse e Den. Redd. (+ F.24) 10,326,08 Assicurazioni 13.394,99 Utenze (gas/elettr./acqua/ Telef./ 46.398,76Iniziative parr. 44.698,74 Attività oratorio/centr.parr ebar 162.411,52Raccolte finalizzate 46.997,57 RATE MUTUO 115.573,46Attività Oratorio/Centro parr. 41.081,00 Rimborso prestiti 60.000,00 Manutenz. Ordinaria 18.688,58 Rimborsi utenze 11.020,92 Opere e manutenz. straordinarie 89.100,00Prestiti 50.000,00 Giornate Seminario/Missioni/Caritas 6.985,20 Giornate Seminario/Missioni/Caritas 7.133,51 Prestiti vari 4.250,00 Partite di giro 38.948,00 Partite di giro 38.948,00 Totale 621.384,26 Totale 625.872,49 posizione debitoria al 31.12.2010 Verso banche 677.770,90

Mutui residui 632.894,10 Per lavori pregressi 94.296,00 Verso privati 247.000,00 totale debito 1.651.961,00

PARROCCHIA BOTTICINO MATTINA RESOCONTO ECONOMICO 2010 al 31.12.2010 ENTRATE USCITEEntrate ordinarie 55.969,53 Uscite Ordinarie 46.621,46Affitto fabbricato 3.500,00 Imposte 2% curia 585,00Interessi Attivi 145,60 Interessi passivi 936,45Feste e oratorio 34.176,02 Saldo opere e acconto rest.organ 113.197,60Contributi Enti privati 5.250,00 Assicurazioni 7.560,00 Contributi Enti pubblici 129.970,30 Oratorio 8.679,72Contributi Curia 20.000,00 Rate mutuo 45.252,26Partite di giro 14.525,25 Partire di giro 14.525,25 TOTALE ENTRATE 249.011,45 TOTALE USCITE 208.310,06 SALDO conti correnti +108.951.36 Mutuo residuo - 349.860,98 DEBITO al 31 -12-2010 - 240.909,62

ENTRATEelemosine fer.e fest. 3.954,00 serv.liturgico 1.350,00straordinarie 1.823,00off.candele 2.179,00uso strutture 2.130,00feste (utile) 21.542,00bar (utile) 11.460,00contributi 4.792,00partite giro 2.460,00

totale entrate 51.690,00

Scuola don Orione ha chiuso l’esercizio con un avanzo di cas-sa di € 29.611,00 a fronte del quale si deve procedere all’ac-cantonamento del TFR e a lavori di adeguamenti impianti.

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UNITA’ PASTORALE PARROCCHIE DI BOTTICINO

Pellegrinaggi - Gite 2010/2011

Un viaggio veramente affascinante e unico. settembre/ottobre 1° GIORNO:In serata itrovo all’aeroporto e partenza per Damasco. All’arrivo trasferimento in albergo pernottamen-to. 2° GIORNO: Partenza per Maaloula, pittoresco villaggio annidato tra le rupi dove si parla ancora l’Aramaico, e visita al Convento dei Santi Sergio e Bacco. Proseguimento per il Krack dei Cavalieri. Pranzo in ristorante. Visita della fortezza crociata e continuazione per Latakya. Sistemazione in albergo. 3° GIORNO: Colazione. Pranzo in ristorante lungo il percorso. Giornata dedicata alla visita degli importanti siti archeologici di Ugarit, città risalente al terzo millennio a.C.; di Apamea, che rappresenta un esempio di arte elle-nistica-romana meglio conservato in Medio Oriente; di Ebla, nella cui biblio-teca reale furono recuperate oltre quindicimila tavolette incise con i caratteri cuneiformi sumeri. Arrivo in serata ad Aleppo. Sistemazione in albergo. 4° GIORNO: . Mattina dedicata alla visita di Aleppo: museo archeologico, la Cittadella e la Grande Moschea. Nel pomeriggio escursione a San Simeone, dove rimangono resti del complesso basilicale dedicato al Santo Stilita. 5° GIORNO: Partenza verso la grande diga di Assad sull’Eufrate e continuazione per Rakka.Proseguimento per Ra-safa, anticamente chiamata Sergiopoli. È la più interessante città morta del deserto, dopo Palmira: qui fu martirizzato San Sergio. Arrivo a Palmira in serata. Sistemazione in albergo. 6° GIORNO: P Colazione. Mattinata dedicata alla visita di Palmira, la regina del deserto, e dei suoi tesori: tempio di Bel, arco di trionfo, teatro, cardo massimo, necropoli. Pranzo in ristorante. Al termine partenza per Damasco con arrivo in serata. 7° GIORNO: . Inizio della visita della città con il museo archeologico, la Grande Moschea degli Omayyadi e il Gran Bazaar. Nel pomeriggio partenza per Bosra antica città nabatea. Visita dell’imponente teatro romano. Rientro a Dama-sco nel tardo pomeriggio. 8° GIORNO: Visita dei luoghi della conversione di Paolo: la Via Recta, la chiesa di Anania, la Porta di San Paolo. Salita al Monte Kassium.Cena in albergo e pernottamento. 9° GIORNO: al mattino presto trasferimento in aeroporto per il rientro in Italia.Quota di partecipazione a noi riservato: € 1395,00 + € 35,00 gestione pratica. Totale € 1430,00 da catalogo € 1.570,00 + € 35,00 gestione pratica. Totale 1605,00. Supplemento: camera singola € 280,00. La quota comprende: Iscrizione individuale. Passaggio aereo in classe turistica Italia/Istanbul/Damasco/Istanbul/Italia con voli di li-nea - Tasse aeroportuali (tasse di imbarco/tasse di sicurezza/tasse comunali/adeguamento carburante) € 150,00 - Trasferimenti da/per l’aeroporto di Damasco in pullman - Alloggio in alberghi di 5 stelle (4 stelle ad Aleppo) con sistemazione in camere a due letti con bagno o doccia - Vitto dalla 1° colaz.del 2° giorno alla cena dell’8° giorno - Spese per l’ottenimento del visto consolare - Tasse in uscita per via aerea dalla Siria - Visite, escursioni, con guida parlante italiano per tutto il tour in pullman - Ingressi come da programma - Assistenza sanitaria, assicurazione bagaglio e annullamento viaggio Europ Assistance.N.B.: È necessario il passaporto individuale valido almeno sei mesi oltre la data di partenza. Entro un mese prima della partenza devono pervenirci i dati anagrafici e gli estremi del passaporto (numero, luogo e data di rilascio, eventuale rinnovo e scadenza). Sul passaporto non devono risultare timbri d’ingresso e/o di uscita in Israele e/o qualsiasi dogana Israele/Giordania/Egitto.

Informazioni e iscrizioni presso sacerdoti, diacono o in segreteria .

mercoledì 18 maggio 2011Santuario della Madonna delle Lacrime Incoronata a Pontenossa (BG)

SIRIA, SULLA VIA DI DAMASCO

Partenzaore8,00.ArrivoalSantuariodiPonteNossa(BG),nel 500° anniversario della Lacrimazione Miraco-losa dell’immagine della Madonna.Tempoadisposizio-neperlapreghierapersonale,laConfessioneealleore11,00laS.Messa.Pranzo.Nelpomeriggioproseguimen-toperlavisitaailuoghidiPapaGiovanniXXIIIaSottoilMonte.Iscrizioni presso Segreteria, sacrestie ... Quota € 45,00 (pullman-pranzo).

Un Santuario della Madonna è sempre un “luogo di grazia”, dove il Signore si fa vicino per mezzo della Vergine santa, la quale è la più vicina a Dio e la più vici-na a noi. Nei santuari della Madonna si ascolta sempre l’eco delle parole di Ma-ria che invita a fare quello che il Signore dice: rinnovamento del cuore e della vita, riconciliazione con Dio e con il prossimo, impegno nuovo di comunione.

***GIOVEDI’ SANTO Solenne celebrazione della Cena del Signore con il rito della lavanda dei piedi BOTTICINO MATTINA ore 18,00 SAN GALLO ore 19,30 BOTTICINO SERA ore 21,00 (Ogni famiglia è invitata a consegnare la cassettina-salvadanaio per le missioni frutto dell’impegno quaresimale) segue adorazione eucaristica dopo la celebrazione e nel giorno seguente

***VENERDI’ SANTO Durante il giorno adorazione al Santissimo SacramentoNelle tre parrocchie Ufficio delle letture e lodi ore 9.00 .Incontro per i ragazzi in chiesa ore 10.30 Confessioni individuali ore 16-17 (Botticino Sera) . Solenne celebrazione della passione e morte del Signore

BOTTICINO MATTINA ore 15,00 SAN GALLO ore 17,30 BOTTICINO SERA ore 21,00 Adorazione e bacio del Crocifisso. Comunione.A Bott.Sera segue processione

La Croce rimarrà espota in chiesa per la preghiera e la meditazione dopo la celebrazione e nel giorno seguente.

***SABATO SANTO Giornata di preghiera e adorazione alla Croce Nelle tre parrocchie: Ufficio delle letture e lodi ore 9.00 Incontro per i ragazzi ore 10.30 Confessioni individuali a Botticino Sera 9,30-11,00 e 15,00-19,00 a Botticino Mattina ore 15,00 -18,00 a San Gallo 17,00-19,00

Solenne Celebrazione della Veglia Pasquale SAN GALLO ore 19,00 BOTTICINO MATTINA ore 21,00 BOTTICINO SERA ORE 23.00

***DOMENICA DI PASQUA*S.MESSE come orario festivo Ore 16,00: Vespri e Benedizione a Sera e a S.Gallo Ore 17,00: Vespri e Benedizione a Botticino Mattina LUNEDÌ DI PASQUABotticino Sera: S.Messe ore 9,00 e 11,00 (chiesa parrocchiale) San Gallo:ore 11,00 S.Messa al Monte DragoneBotticino Mattina S.Messe ore 10 in chiesa parr. e ore 16 alla Croce degli alpini monte Paine

DOMENICA DELLE PALME XXV Giornata dei Giovani SAN GALLO ore 17,00 benedizione ulivi presso oratorio e S.Messa con i giovani e per i giovani di Botticino BOTTICINO SERA ore 9,30 benedizione ulivi presso il don Orione, processione e S.Messa in BasilicaBOTTICINO MATTINA ore 11,00 benedizione ulivi presso parco piazza del comune,processione, S.Messa in chiesa

Giornata penitenziale Celebrazioni comunitarie della Riconciliazione con la presenza di più sacerdoti per laConfessione SAN GALLO LUNEDÌ’ SANTO ore 16,30 e 20,30 BOTTICINO SERA MARTEDI’ SANTO ore 9,00 (villag.),16,30 e 20,30 (ch.parr)BOTTICINO MATTINA MERCOLEDI’ SANTO ore 16,30 e 20,30 (ch.parr)