TARVISIO ROMAM COMMENTARIUM DE ITINERE ET OTIO … · l’11 di gennaio, istituita da Numa Pompilio...

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1 TARVISIO ROMAM COMMENTARIUM DE ITINERE ET OTIO ROMANO ROMAE ante diem III KALENDAS APRILES NONIS APRILIBVS A.D. MMXVI PRIMA FASE II GEMELLAGGIO : 30 marzo- 5 aprile 2016 LICEO CL“SSICO ȃ“NTONIO C“NOV“Ȅ di Treviso – Classe V ginnasio sez. C LICEO CL“SSICO ȃConvitto Nazionale VITTORIO EM“NUELE IIȄ di Roma – Classe II ginnasio sez. A HIC LIBER EST______________________________________DISCIPULI

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TARVISIO ROMAM

COMMENTARIUM DE ITINERE ET OTIO ROMANO

ROMAE ante diem III KALENDAS APRILES – NONIS APRILIBVS A.D. MMXVI

PRIMA FASE II GEMELLAGGIO : 30 marzo- 5 aprile 2016

LICEO CL“SSICO “NTONIO C“NOV“ di Treviso – Classe V ginnasio sez. C

LICEO CL“SSICO Convitto Nazionale VITTORIO EM“NUELE II di Roma – Classe II ginnasio sez. A

HIC LIBER EST______________________________________DISCIPULI

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PRESENTAZIONE

Incontro e scontro fra culture : la stratificazione culturale nello sviluppo e nella

evoluzione storica di Roma.

Crescebat interim urbs munitionibus alia atque alia appetendo loca, cum in spem magis futurae multitudinis quam ad id quod tum hominum erat munirent. Deinde ne uana urbis magnitudo esset, adiciendae multitudinis causa vetere consilio condentium urbes, qui obscuram atque humilem conciendo ad se multitudinem natam e terra sibi prolem ementiebantur, locum qui nunc saeptus descendentibus inter duos lucos est asylum

aperit. Eo ex finitimis populis turba omnis sine discrimine, liber an seruus esset, auida

novarum rerum perfugit, idque primum ad coeptam magnitudinem roboris fuit. (Livius, Ab Urbe condita liber I, 8) Nel frattempo la città cresceva in fortificazioni che abbracciavano dentro la loro cerchia sempre

nuovi spazi: si costruiva più nella speranza di un incremento demografico negli anni a venire che

per le proporzioni presenti della popolazione. In seguito, perché l'ampliamento della città non fosse

fine a se stesso, col pretesto di aumentare la popolazione secondo l'antica idea di quanti fondavano

città (i quali, radunando intorno a sé genti senza un passato alle spalle, facevano credere loro di

essere autoctoni), creò un punto di raccolta là dove oggi, per chi voglia salire a vedere, c'è

un recinto tra due boschi. Là, dalle popolazioni confinanti, andò a riparare una massa

eterogenea di individui - nessuna distinzione tra liberi e schiavi - avida di cose nuove: e

questo fu il primo energico passo in direzione del progetto di ampliamento .

Fin dalle origini della città, Roma ebbe la caratteristica di aprirsi a quanti ricercavano una nuova possibilità di vita e a loro il leggendario Romolo fornì un punto di raccolta spinto dalla necessità di incrementare la popolazione della nuova realtà urbana e politica. Tale apertura contraddistinse Roma nel corso dei secoli: da piccolo villaggio arroccato sulla sommità sud-occidentale del Palatino seppe costruirsi nei secoli come potenza globale – oggi diremmo - , mantenendo quella capacità di assorbire quanto di meglio dagli altri e di restituire agli altri in forma di leggi e servizi – pensiamo alle strade, ai ponti, agli acquedotti….., i benefici ricevuti quanto esigeva dai popoli riuniti sotto il suo dominio era l’osservanza alle sue Leggi. Basti pensare che il riconoscimento della cittadinanza – per non sentirsi sfruttati dagli interessi della classe dirigente romana – determinò la guerra sociale , unico caso nella Storia in cui delle popolazioni richiedano con forza di

essere annesse e di essere riconosciute parte integrante di uno Stato fino a scendere in guerra con esso. La loro sconfitta militare nell’ a.C. fu però controbilanciata dalla loro vittoria politica: Marsi, Peligni, Vestini, Marrucini, Piceni, Frentani, Sanniti, Irpini, Lucani, Iapigi, non furono più tali, ma Romani. E così Roma e le città da lei conquistate mantennero sempre l’aspetto di città variegate, multilingue e multireligiose, ma tutte

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accomunate da un analogo stile di vita, da analoghe forme culturali garantite dalle Leggi romane. Il percorso iniziato da Romolo terminò nel 212 d. C. con la Constitutio “ntoniniana che riconosceva a tutti i sudditi dell’impero il diritto di cittadinanza. Ed anche in seguito, con la crisi dell’impero, Roma tentò di fermare le invasioni e di rallentare la perdita dei territori ricorrendo ai dediticii, ai foederati, fino a presentare come i suoi ultimi difensori generali di origine barbarica : il franco Arbogaste, il vandalo Stilicone, lo svevo-visigoto Ricimero.

Ogni popolo ha quindi lasciato un’impronta indelebile nella vita della città, nel suo sviluppo culturale ed urbano ed il nostro percorso vuole ritrovare nella Roma contemporanea le tracce di questa sovrapposizione di culture che si sono amalgamate e fuse, anche dopo violenti e sanguinosi contrasti.

In considerazione della ricorrenza dell’anno giubilare, il nostro percorso si snoda a partire dal Colosseo considerato nell’immaginario collettivo come il luogo dei martiri cristiani, procede sul colle più alto di Roma, il Celio per ritrovare i segni non solo di antiche domus romane di epoca tardo repubblicana ed imperiale, ma anche della trasformazione militare della città con lo stanziamento entro di essa di castra peregrina e in epoca

severiana dei castra nova equitum singularium, il nuovo corpo di cavalieri della guardia imperiale, collocazioni che non preservarono le domus vicine dal saccheggio di Alarico del 410 d.C.; la Roma tardo-antica, contraddistinta dalla crisi è testimoniata dall’imponente cerchia muraria delle Mura Aureliane, costruite tra il 270 ed il 275 per timore che Alani e Goti, fermati a Piacenza, potessero comunque ritentare l’impresa di scendere verso Roma esse hanno rappresentato con i successivi potenziamenti il baluardo difensivo della città contro Vandali, ”izantini, Goti, Saraceni, Lanzichenecchi l’ultimo assedio da loro patito è stato quello che il settembre con la breccia nel Muro di Porta Pia Porta Nomentana decretò la fine del potere temporale dei papi e l’annessione di Roma al Regno d’Italia. La visita alle Catacombe di S. Callisto documenta le prime fasi della presenza cristiana, mentre la visita a S. Giovanni in Laterano, lì dove sorgevano le proprietà della potente famiglia dei Laterani, documenta la libertà di culto concessa da Costantino ai Cristiani con la cessione delle proprietà dei Laterani a papa Melchiade che tra il 314 ed il 318 d. C. vi fece erigere la prima basilica dedicata al Salvatore. Il termine giubileo per designare l’anno consacrato al Signore, è ricalco dall’ebraico Jobel,

il caprone dal cui corno si ricavava lo strumento a fiato che accompagnava le cerimonie sacre . Tale solennità che il cristianesimo mediovale ricalcò dall’anno giubilare ebraico ci porta a considerare la storia della comunità ebraica di Roma, la più antica d’Europa, in quanto trasferitasi a Roma già in epoca flavia. Ripercorreremo quindi la storia della comunità, che tanto ha dato allo sviluppo della città, visitando la Sinagoga, il Museo ed il Ghetto, di anni più recente di quello di Venezia e quindi il secondo più antico d’Europa. L’itinerario così concepito, nel rintracciare nella contemporaneità le tracce del passato, ne vuole mettere in evidenza l’apporto che tante culture hanno lasciato in eredità alla città: Romani, Greci, Giudei, barbari ……. i nostri antenati !

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CRUCIVERBA : RESPONDE POSTQUAM SUPERIORES NOTAS LEGISTI

De moribus , occursu concursuque nationum in incremento Urbis

ORIZZONTALI 1. gen. sing. di fortificazione - 9. 1a sing. ind. perfetto di debeo – 10. il saluto iniziale dei Romani – 12. gli alleati che vollero far parte di Roma – 13. una piccola asina – 14. lo storico di età augustea che riporta le notizie sull’ asylum – 16. anche se in Latino – 17. congiunzione avversativa in Latino -18.

introduce il compl. di modo o compagnia in Latino - - 20. a tutto in Latino – 21. noi in Latino – 22. andate in Latino – 23. il territorio dei fieri nemici di Roma , che capeggiarono la guerra sociale - 25. Anno

Domini (abbr.) – 26. Gli spiriti dei morti a cui alcune volte si votavano i generali romani – 27. un popolo dei socii – 28. ecco in Latino - 29. in cifre romane - 31. nom. sing. masch. pronome determinativo – 33.

Erano stanziati sul Colle Celio – 37. La sigla automobilistica dell’antica Bononia in Emilia – 38. La preposizione con l’abl. o l’acc. – 39. Dopo Cristo – 40. L’equivalente italiano di galea o cassis - 41. messi in fuga participio passato) – 43. Il popolo di Alarico - 44. erano pirati ed infestavano le coste del Lazio - 49. congiunzione coordinante copulativa – 50. popolo in Latino – 51. Lo erano i soldati barbari prigionieri che si consegnavano ai romani ed in caso di necessità venivano richiamati alle armi per rifornire le truppe ausiliarie dei Romani - 53. Il fiume che i Romani chiamavano Padus - 54. Le fece costruire l’imperatore Aureliano a Roma – 55. con il 56 verticale ed il 58 orizzontale forma il titolo di un’importante opera storica di cui hai letto nell’introduzione le notizie relative alla fondazione di Roma – 57. Fu storico longobardo che descrisse le invasioni barbariche come il risultato delle scelleratezze compiute dai pagani - 58. Vedi il numero 54 – 59. preposizione con l’accusativo – 60. mura in Latino - VERTICALI : 2. Il popolo di Attila –

3. depose Romolo “ugustolo , l’ultimo imperatore romano di Occidente – 4. congiunzione coordinante negativa – 5. Avverbio di stato in luogo – 6. di sé in Latino – 7. il colle più alto di Roma - 8. Il re dei Visigoti – 11. Uno storico romano originario di Padua (vedi anche 14 orizzontale) – 13. dittongo – 14. Gli antichi proprietari dei terreni ove sorgerà la basilica di S. Giovanni in Roma – 15. Si dice di qualsiasi atto

violento di distruzione e/o saccheggio - 19. Preposizione con l’accusativo – 23. La porta di ingresso dalla via Appia a Roma – 24. un popolo di socii – 26. accusativo pronome personale di prima pers. in Latino -

30. preposizione con l’ablativo – 34. La prima intitolazione della Basilica di S. Giovanni – 35. e dinanzi vocale in Latino – 42. La porta di ….. Sebastiano – 45. ho saccheggiato in Latino – 46. 101 in cifre romane –

47. io vado in Latino – 48. il neutro di is, ea…. – 52. L’avverbio al di qua - 56. La preposizione del titolo dell’opera dello storico di età augustea -

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PRIDIE K“LEND“S “PRILES M“RZO

“M”VL“TIONES PER COLLEM C“ELIVM

HISTORIA: Il mons Caelius fu inserito nel perimetro cittadino già con Romolo e si trova menzionato nell'elenco del Septimontium, i colli originari su cui si svolgeva la cerimonia religiosa, l’11 di gennaio, istituita da Numa Pompilio e che prevedeva dei riti sacrificali presso i 27 sepolcri degli Argei, i principi eroi greci che avevano seguito Ercole nel Lazio e lo avevano sottratto all’egemonia delle popolazioni Sicule e Liguri ivi stanziate , come riferisce il grammatico del II sec. d. C. Sesto Pompeo Festo. Con la riorganizzazione serviana della città fece parte della I regione cittadina (Suburana). Solo con Augusto costituì la II REGIO (Caelimontium).

In origine il nome doveva essere Querquetulanus mons per la ricchezza di querce (quercus), mentre l'origine del nome Caelius viene concordemente fatta risalire all'etrusco Celio Vibenna (Caile Vipinas) che durante il VI secolo a.C. conquistò Roma insieme al fratello Aulo Vibenna (Aule Vipinas). Celio Vibenna avrebbe posto sul mons Celio il proprio accampamento militare, dando al colle il proprio nome. Dopo la sua morte scoppiò un contrasto tra Aule Vipinas e Macstrna; quest'ultimo prevalse e divenne re di Roma col nome di Servio Tullio.

La vocazione militare del Colle, attestata fin dalla leggenda storica delle origini di Roma, rimarrà nel corso dei secoli fino alla tarda età imperiale : l’imperatore Traiano vi porrà gli acquartieramenti

Il Celio è una sorta di lungo promontorio lungo circa 2 chilometri e largo dai 400 ai 500 metri. Esso si distacca da un pianoro dal quale nascono anche gli altri tre colli limitrofi l'Esqui-lino, il Viminale e il Quirinale. Il Colle degrada nella parte oc-cidentale nella valle poi occupa-ta dal Colosseo

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dei castra peregrina, il corpo degli “agenti segreti” dell’imperatore, le cui fondazioni si trovano sotto la basilica di S. Stefano Rotondo; Settimio Severo vi costruirà i castra nova equitum singularium ossia una nuova caserma per il corpo di cavalieri della guarda imperiale. Ancora oggi nello spiazzo dinanzi le mura perimetrali che sembrano contenere il lato occidentale del Colle e appartenenti al tempio del Divo Claudio, si trova l’Ospedale Militare del Celio, sorto tra il 1885 e il 1891, al centro di una vasta zona riservata al demanio militare in prossimità del sito medioevale di Santo Stefano Rotondo, che aveva anch'esso un ospedale annesso al monastero. Durante gli scavi per la costruzione furono ritrovate un gruppo di ricche dimore romane, tra le quali quella dei Simmachi.

In età repubblicana, poiché il monte si trovava all’esterno del pomerium, poté ospitare templi anche intitolati a divinità straniere, come quello dedicato a Minerva Capta, il cui culto proveniva da Falerii Veteres. La presenza della folta vegetazione determinò lo sfruttamento della zona ad insediamenti residenziali: numerosissime le domus ,- documentabili fin dal I sec. a. C. - i cui resti, sono rintracciabili ancora oggi sotto le Basiliche di S. Giovanni e Paolo e S. Gregorio, le cui mura esterne , forse ricalcano le mura su cui si snoda il Clivo di Scauro che all’incirca si inerpica sul colle dalla depressione della valle Murcia dove i Tarquini edificarono il Circo Massimo,

Dai resti rinvenuti nell'area del colle si può ricostruire una fase edilizia abitativa cospicua nella seconda metà del II secolo d.C., mentre edifici precedenti del I secolo a.C. furono probabilmente distrutti da un incendio del 27 d.C. Nel IV secolo vi avevano sede ricche domus inserite in vasti parchi, come quelle delle famiglie dei Simmaci (presso cui sorse la basilica hilariana) e dei Tetrici e quella di Fausta (domus Faustae), forse identificabile con la moglie di Costantino. Le proprietà degli Annii e di Domizia Lucilla (della famiglia di Marco Aurelio) e dei Quintilii, entrarono a far parte della domus Vectiliana di Commodo.

AMBULATIO PER CAELIUM : QUID VIDERI POTEST HODIE ? Aggirato l’anfiteatro Flavio, si percorre la lunga e stretta via di S. Giovanni in Laterano che nel suo tratto iniziale delimita lo scavo che ha riportato alla luce il Ludus Magnus, la palestra e dimora gladiatoria che era collegata da un camminamento sotterraneo ai sotterranei dell’anfiteatro, per facilitare l’ingresso degli atleti. Il Ludus o caserma dei gladiatori, oltre che come residenza degli atleti, ospitava anche una piccola arena , di cui rimane parte di un emiciclo, impiegata per gli allenamenti. Percorrendo la via si giunge alla Basilica di S. Clemente. QUID FUIT ANTE BASILICAM? La Roma attuale si trova “innalzata” rispetto a quella romana di circa 15 metri (l’indicazione è puramente teorica in quanto varia da zona a zona); quindi anche la Basilica in realtà poggia su costruzioni precedenti. Il primo “strato”, il più profondo e quindi il più antico è costituito da un horreum, un magazzino del grano, che probabilmente faceva parte del Ludus Magnus; funzionò dal I al III sec. d.C. , quando venne completamente interrato e sul suo livello superiore furono innalzate le mura di una domus patrizia che ebbe annesso un locale adibito alle riunioni di una comunità cristiana, da cui nel IV secolo si svilupperà la prima basilica. L’Horreum era separato da un vicus da un’insula nel cui cortile tra II e III sec. venne edificato un mitreo , il cui culto originariamente venne importato a Roma con le campagne in Asia Minore nel 67 a. C., ma che prese totalmente piede a Roma e nell’occidente romano tra II e III sec. d. C., quando i culti pagani non riuscirono più a soddisfare il bisogno di certezze consolatorie nei riguardi della precarietà dell’esistenza umana. La Chiesa del piano superiore risulta così la costruzione del terzo livello, la cui prima edificazione risale al IV sec. d.C., poi ricostruita all’inizio del XII sec. e rimaneggiata nella foggia attuale in età barocca. Nella Chiesa del II livello le pareti in affresco riportano la storia di S. Clemente e dei suoi miracoli tra cui si ricorda quello riguardante il prefetto Sisinnio che , sorpresa la moglie Teodora durante una funzione religiosa, ne ordinò l’arresto alle guardie…………ma …….…………………

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(TROVA NOTIZIE SUL MIRACOLO DI SAN CLEMENTE E SULLA ISCRIZIONE CHE ACCOMPAGNA L’AFFRESCO NEL SUO REGISTRO INFERIORE ) …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

La Schola cantorum e l’abside di S. Clemente

Cerca notizie sulla lavorazione ad intarsio dei pavimenti denominati cosmateschi

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AD CAELIUM MONTEM : Da S. Clemente si torna indietro alle spalle del Colosseo da dove inizia l’erta della VIA CLAUDIA sulla cui destra si notano , quasi a contenere le pendici del Celio, delle imponenti mura in opus latericium con nicchie nascoste da fitta vegetazione.

Le mura appartengono alle fondazioni di un tempio dedicato da Agrippina al Divo Claudio, ma subito riadattato da Nerone a Ninfeo del grande parco che circondava lo stagno della Domus Aurea su cui i Flavi erigeranno poi tra il 70 e l’80 d.C. il Colosseo. Nerone distrusse soltanto l'edificio di culto del patrigno, non le sue sostruzioni, che anzi sfruttò come base per la grande fontana utilizzata come sfondo scenografico della "Domus Aurea" ed alimentata dall'Acquedotto Neroniano, una diramazione dell'Aqua Claudia. Le sostruzioni invece sono ancora visibili, come il tratto occidentale conservato sotto la base del campanile e nel convento della basilica dei Ss.Giovanni e Paolo. Si sale fino a raggiungere lo slargo dove sulla sinistra si vede ancora mezza arcata dell’acquedotto neroniano, una diramazione dell’acquedotto Appio fatto costruire da Nerone per alimentare la grande fontana che alimentava i ninfei che si aprivano sullo stagno del parco della domus aurea. L’acquedotto neroniano venne poi addirittura prolungato verso il Palatino dall’imperatore Domiziano che volle portare l’acqua dell’acquedotto Appio alla reggia sul Palatino superando con enormi arcate la distanza tra Celio e Palatino. La costruzione fu voluta da papa Leone I, il papa che dissuase Attila a Mantova dal procedere verso Roma nel 451 d.C., e persuase Genserico, re dei Vandali, a risparmiare la popolazione civile e le tre basiliche di S. Pietro, S. Giovanni e S. Paolo durante il saccheggio di Roma del 455 d. C. . La Chiesa , che mantiene quasi l’aspetto di una fortificazione altomediovale, sorse nei luoghi dove in epoca traianea c’erano gli acquartieramenti del corpo di polizia segreta dell’imperatore (castra peregrina) a cui fu affiancato un mitreo in epoca antonina. L'edificio a pianta circolare, era costituito in origine da tre cerchi concentrici: uno spazio centrale (diametro 22 m) era delimitato da un cerchio di 22 colonne architravate, tutte provenienti da altre costruzioni (materiali di reimpiego) , sormontate da capitelli ionici costruiti appositamente per la Chiesa nel V sec., sulle quali poggia un tamburo (alto 22,16 m); tale parte centrale era circondata da due ambulacri più bassi ad anello Nell'anello più esterno alcuni colonnati radiali sormontati da un muro delimitavano quattro ambienti di maggiore altezza, che iscrivevano nella pianta circolare una croce greca riconoscibile anche al-

Si prende sulla sinistra la stretta via

di S. Stefano Rotondo che collega il

Celio con il Laterano: è la zona più

ar ari a di Ro a. La via

costeggiata da imponenti mura di

recinzioni, sulla destra dietro un

a pio po tale d i g esso, si ap e su una corte, chiusa nel fondo dal

protiro colonnato della Chiesa. Di

forma circolare, unico esempio a

Roma insieme al Mausoleo di S.

Costanza, venne costruita nella

metà del V secolo

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l'esterno per la differenza di altezza delle coperture. Gli interni furono riccamente decorati con lastre di marmo e preziosi mosaici nel corso del VI sec.: sono stati rinvenuti tratti del pavimento originale, con lastre in marmo cipollino e dei fori sulle pareti testimoniano la presenza di un rivestimento parietale nello stesso materiale. Nello spazio centrale si trovava l'altare, inserito in uno spazio recintato. Il tratto massiccio ed imponente della costruzione fornì rifugio ai monaci di S. Benedetto messi in fuga dai Longobardi da Subiaco nel 601 d.C. ,

Qui duces barbarorum a

Pontifice Leone ut Romae et

Basilicis parcerent persuasi

sunt ? …………………………

…………………………………. …………………………………. …………………………………. ………………………………….. …………………………………Quod fecerunt militiae

Longobardorum ?

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Ante aedificationem basilicae christianae quid fuit

in eadem area?

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Nel VII secolo papa Teodoro I (642-649) trasferì a Santo Stefano Rotondo le reliquie dei santi

martiri Primo e Feliciano. Sul nuovo sepolcro dei martiri, collocato nel braccio nord-orientale,

venne eretto un nuovo altare, con un paliotto d'argento, alle spalle del quale il muro esterno venne

demolito per realizzarvi una piccola abside.

Il catino absidale venne decorato da un mosaico a fondo d'oro, sul quale sono raffigurati i due santi

ai lati di una croce gemmata, sormontata da un medaglione con il busto del Cristo; da un anello

superiore si intravede il cielo stellato, con la mano di Dio che offre la corona del martirio. Il

mosaico, uno dei pochi esempi di quest'epoca ad essersi conservato a Roma, fu probabilmente

eseguito da un artista di origine bizantina.

Nell'XI secolo la cappella fu ristretta con tramezzi per ospitare una sacrestia e un coro secondario e nel 1586 le pareti furono affrescate da Antonio Tempesta con le storie del martirio dei due santi.

Cerca notizie su S. Primo e S.

Feliciano.

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La Basilica venne ampiamente ristrutturata nella metà del XII sec. , sotto papa Innocenzo II,

quando l'anello esterno e tre dei quattro bracci vennero abbandonati, mentre rimase intatto

solo quello che ospitava la cappella dei santi Primo e Feliciano. Il colonnato più esterno venne

chiuso con muri in mattoni e fu creato un porticato di ingresso, coperto a volta, a cinque arcate

su colonne con fusti di reimpiego in granito e capitelli tuscanici. Un'importante decorazione

pittorica i ve e si t ova sulle pa eti pe i et ali dell a ula o: ui i fatti alla fi e del 5 la parete venne tamponata poi fatta affrescare con un Martirologio sotto l'ordine di Gregorio XIII

dai pittori Antonio Tempesta e Niccolò Circignani, detto Il Pomarancio. Il ciclo pittorico consiste

in trentaquattro tristi scene di martirio, con tutte le possibili torture rappresentate in modo

i uzioso e ealisti o i ui viva i olo i as o o le udezze a ative lì app ese tate. Gli affreschi sono accompagnati da didascalie in Latino ed Italiano che servono ad identificare il

a ti e ed ad i di a e evissi a e te il a ti io. “ull aff es o, ese pio più u i o he a o i a te, so o ipo tate a a to ai pe so aggi delle u i he he ichiamano ciò che è riportato

si teti a e te dalla didas alia ella o i e i fe io e dell aff es o.

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ARCO DI DOLABELLA L'arco di Dolabella e Silano fu costruito nel 10 d.C. dai consoli Cornelio Dolabella e Gaio Giunio Silano. Ma in verità si trattò di una ricostruzione perché il sottostante arco in travertino si deve identificare con l'antica porta Caelimontana delle Mura Serviane, come confermano anche alcuni blocchi di tufo di Grotta Oscura situati sul lato destro dell'arco stesso. Nel 211 d.C., durante i lavori di restauro realizzati per volere di Settimio Severo e di Caracalla all'Acquedotto Neroniano, un ramo secondario dell'Acquedotto Claudio, l'arco venne utilizzato per sostenerne le grandi arcate che tuttora lo sovrastano. Secondo un'antica tradizione del XVIII secolo quella finestrella sovrapposta all'arco nasconde un piccolo locale nel quale visse dal 1209 fino all'anno della sua morte, avvenuta nel 1213, S.Giovanni de Matha, fondatore dell'Ordine dei Trinitari, che avevano la missione di curare gli schiavi riscattati. Per questo motivo l'Ordine ricevette in dono da papa Innocenzo III i locali di un antico monastero benedettino denominato S.Tommaso in formis.

P. CORNELIUS P. F. DOLABELLA / C. IUNIUS C. F. SILANUS FLAMEN

MARTIAL(IS) / CO(N)S(ULES) / EX S(ENATUS) C(ONSULTO) / FACIUNDUM

CURAVERUNT IDEMQUE PROBAVER(UNT)

Traduci l’iscrizione sull’attico dell’arco il cui testo è riportato sopra con le opportune

integrazioni

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SS. GIOV“NNI E P“OLO La basilica dei Ss.Giovanni e Paolo sorge nell'omonima piazza sul pendio occidentale del Celio ed è dedicata ai due ufficiali romani Giovanni e Paolo, ferventi cristiani e vittime della persecuzione dell'imperatore Giuliano l'“postata che nel d.C. li fece uccidere e seppellire nella loro stessa casa. Gli scavi sotto la chiesa hanno effettivamente evidenziato due case romane risalenti all'inizio del II secolo la prima era costituita su due livelli, con un edificio termale al piano inferiore ed un cortile-ninfeo nel quale si conserva tuttora un elegante affresco del III secolo raffigurante "Proserpina" con alcune divinità marine. L'altra casa, adiacente al Clivus Scauri, già alla fine del II secolo assunse l'aspetto di un'insula, ossia un'abitazione con portico e botteghe al pianterreno ed appartamenti ai piani superiori, almeno due, come si può dedurre dalle due file di finestre che si affacciano sul Clivus Scauri. Nel III secolo le due abitazioni si unificarono, probabilmente sotto un unico proprietario, assumendo così l'aspetto di una grande "domus". Soltanto agli inizi del V secolo venne costruita la basilica, che poggiava sugli edifici preesistenti: suddivisa in tre navate, separate da tredici archi poggianti su dodici colonne, presentava una facciata traforata da cinque arcate sovrastate da altrettante finestre ed a protezione della quale fu costruito un nartece a tre piani. La basilica non ebbe vita facile: saccheggiata e distrutta dai Visigoti nel 410, colpita da un terremoto nel 442, saccheggiata e nuovamente distrutta dai Normanni nel 1084. A destra della chiesa si trova il convento degli inizi del XII secolo, situato, come la base dello splendido campanile romanico, sulle fondazioni del grandioso Tempio di Claudio.

Superato l’arco di Dolabella, si percorre via S. Paolo della Croce che corre incassata tra due lunghe murate che tanto richiamano alla memoria l’aspetto delle vie romane incassate tra le domus. La via è intitolata a Paolo della Croce fon-datore della Congre-gazione della Passione di Gesù Cristo e delle monache claustrali Pas-sioniste, ordini appro-vati da papa Benedetto XIV nel 1741. La salma del Beato è conservata nella Basilica di S. Gio-vanni e Paolo al Celio.

Qui fuerunt Ioannes et Paulus ?

Quomodo occisi sunt?

…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

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CLIVO DI SC“URO

La via conserva l'antico nome originario, "Clivus Scauri", con un percorso che ricalca perfettamente quello antico, come testimoniato da fonti medioevali a partire dall'VIII secolo, ma anche da un'iscri-zione imperiale. L'apertura della strada va attribuita ad un membro della importantissima famiglia degli "Aemilii Scauri" (si pensa a M.Emilio Scauro, censore nel 109 a.C.). La via, che ha conservato nell'insieme il suo aspetto assunto nella tarda età imperiale, è affiancata, lungo la parete adiacente alla basilica dei Ss.Giovanni e Paolo, dalla facciata di un'antica "insula" del II secolo d.C., ossia un'abita-zione con portico e botteghe al pianterreno ed appartamenti ai piani superiori, come si può dedurre dalle due file di finestre che si affacciano sulla via. Qui i due ufficiali romani subirono il martirio ad opera di Giuliano l'Apostata e qui vennero sepolti: ciò trasformò la casa in un luogo sacro e venerato, sulla quale fu costruito prima un "titulus" e poi l'attuale basilica dei Ss.Giovanni e Paolo. Caratteristici gli archi in laterizio che scavalcano la via, rifatti in età medioevale ma probabilmente già esistenti in antico e che fino al Cinquecento erano sormontati da un secondo ordine.

RESPONDE:

1. Imperator qui capitis Ioannem et Paulum damnavit ………………………………………………………. 2. Pontifex qui Attilam et Gensericum detinuit ………………………………………………………. 3. Ab Urbe condita anno septecentesimo sexagesimo tertio consulibus……………………………………….. aut anno decimo post Christum natum arcus a consu-libus………………………………aedificatus est. . Templum Divi ………….. rursus restauratum a…….

…………… imperatore in nimphaeo mutatum est

5. Divi Tiberii Claudii Caesaris Augusti Germanici uxor quae templi aedificationem curavit in colle Caelio ………………………………………………………………..

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KALENDIS APRILIBVS 1 APRILE

GLADIATORES AUT LEGIONARII ?

HERI……… ……….HODIE

A.D. XVII KALENDAS MAIAS a.D. MMXV - KALENDIS APRILIBVS a.D. MMXVI

PORTA APPIA aut S. SEBASTIANVS

HIC INCLUDE TUAM IMM“GINEM……….

Il nome originario era Porta

Appia perché da lì passava la via Appia, la regina

viarum che cominciava poco più indietro, dalla Porta Capena delle mura serviane, e lo conservò a lungo. Nel medioevo sembra fosse chiamata anche “ccia o Dazza o Datia , la cui etimologia,

alquanto incerta, sembra però legata al fatto che lì vicino scorresse il fiumi-cello Almone, chiamato acqua “ccia . Un docu-

mento del 1434 la menziona come Porta Domine quo vadis.

QUO VADIS, DOMINE?

EO ROMAM, ITERVM CRUCIFIGI

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La struttura originaria edificata verso il 275 cui l'arco or

Secondo il libro apocrifo degli Atti di Pietro, durante la persecuzione dei cristiani ordinata dall'imperatore Ne-rone, san Pietro sta fuggendo da Roma per evitare il martirio, quando sulla via Appia gli appare Gesù che cammina nella direzione opposta, verso la città. L'apostolo capisce allora che Gesù, con questo segno, gli chiede di ritornare a Roma e accettare il martirio, e obbedisce. Secondo la tradizione, sarà crocefisso, sul colle Vaticano, a testa in giù, su sua richiesta, non sentendosi degno di morire nello stesso modo del suo Maestro.

L'episodio del Quo vadis? è famoso soprattutto per essere stato raccontato nel romanzo Quo vadis? dello scrittore polacco Henryk Sienkiewicz, al quale si sono ispirati diversi film.

Lungo la Via Appia, nei pressi delle catacombe di San Callisto, si trova oggi la piccola chiesa del "Domine quo vadis", che ricorda l'evento, visitata nel 1983 da Giovanni Paolo II, il quale definì il luogo di "speciale importanza nella storia di Roma e nella storia della Chiesa"

La struttura originaria edificata verso il 275

dall’imperatore “ureliano, sotto la spinta della preoccupazione che Alemanni, Marcomanni e

Iutungi, già fermati al fiume Metauro, giungessero a

Roma, prevedeva un'apertura con due fornici sormontati da finestre ad arco, compreso tra due torri semicilindriche. La copertura della facciata era in travertino. In seguito ad un successivo restauro le due torri furono ampliate, rialzate e collegate, con due muri paralleli, al preesistente arco di Druso, - l’ arcata della

deviazione dell’acquedotto dell’“qua Marcia voluta

dall’imperatore Caracalla per alimentare le sue imponenti Terme all’inizio della Via Appia nei pressi della Porta Capena, - distante pochi metri verso l'interno, in modo da formare un cortile interno in cui l'arco aveva la funzione di controporta. In occasione del rifacimento operato nel 401-402 dall'imperatore Onorio la porta fu ridisegnata con un solo fornice, con un attico rialzato nel quale si aprono due file di sei finestre ad arco e venne fornita di un camminamento di ronda scoperto e merlato. La base delle due torri fu inglobata in due basamenti a pianta quadrata, rivestiti di marmo. Un successivo rifacimento le conferì l'aspetto attuale, in cui tutta la struttura, torri comprese, venne rialzata di un piano.

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PORT“ S“N SE”“STI“NO ……attraverso i secoli

Dal medioevo in poi la porta fu spesso teatro di scontri come quello avvenuto nel 1327 tra le fazioni romane dei guelfi e dei ghibellini, i quali si opposero all’attacco di Roberto d’“ngiò re di Napoli che tentava di occupare Roma. Di questo evento rimane memoria in un’immagine dell’“rcangelo Michele che uccide il drago, graffita nello stipite interno

della porta, a fianco un’iscrizione in latino ricorda che l’anno 7, indizione XI, nel mese di settembre, il penultimo giorno,

festa di S. Michele, entrò gente straniera in

città e fu sconfitta dal popolo romano,

essendo Jacopo de’ Ponziani capo del rione . Nel 1536 Porta S Sebastiano fu scelta, per ordine di Papa Paolo III, come ingresso solenne per l’arrivo di Carlo V Re di Spagna per l’occasione la porta fu addobbata e decorata come un arco trionfale su progetto di Antonio da Sangallo il giovane, con statue, festoni e pitture ad affresco, di tutto rimangono solo i ganci in ferro a cui si appendevano i festoni sotto la cornice dei bastioni marmorei. Il 4 dicembre 1571 la

porta fu di nuovo ornata con trofei, festoni

e pitture in occasione dell’entrata trionfale di Marcantonio Colonna vincitore nella

battaglia di Lepanto. L'elemento che di tale corteo suscitò maggior curiosità ed interesse fu certamente la sfilata dei centosettanta prigionieri turchi in catene. Per l'occasione Pasquino, la famosa statua parlante di Roma, volle dire la sua, ma stavolta senza parlare: fu vista con una testa di turco sanguinante ed una spada.

GRAFFITI ED EPIGRAFI

Tutti hanno lasciato, come accade

anche oggi, segni, incisioni,

fir e….osserva ili elle ura interne

ed esterne della porta

Pelleg i i e via da ti….. seg a o o i cristogrammi o le indicazioni stradali

per la Basilica di S. Giovanni in Laterano

visibile appena fuori della porta, sulla

sinist a: DI QUA “I VA A “. GIO… : dello scontro tra Guelfi e Ghibellini

uest ulti i las ia o o e o ia ell epig afe i a atte i goti i el lato

dx del fornice interno vicino

all a a gelo Mi hele

Sapresti decodificare il simbolo

raffigurato qua sotto ed inciso ripetu-

tamente sulla Porta S. Sebastiano?

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SEPOLCRO DEGLI SCIPIONI

Elogio funebre dedicato a Lucio Cornelio Scipione

Barbato, console nel 298 a,C. e censore nel 280; di lui si ricordano le virtù, il cursus honorum e le gloriose imprese militari

La fronte del sepolcro

La scelta di collocare l’edificio funerario a poca distanza dalla via Appia, alla base di una collinetta che risaliva verso il tracciato della via Latina, non fu certamente casuale e indicò un preciso orientamento politico. La via Appia era stata infatti inaugurata nel 312 a.C. con lo scopo di agevolare e di sostenere l’espansione del dominio di Roma nell’Italia meridionale. Il suo costruttore, il censore Appio Claudio Cieco, era un convinto sostenitore della politica imperialistica romana, oltre a essere stato il primo importante uomo politico a dimostrare una netta inclinazione per il mondo greco. Appare dunque conse-guente che la famiglia degli Scipioni, una delle più aperte alla cultura ellenizzante, abbia voluto costruire il suo monu-mento funerario in prossimità della nuova strada consolare, simbolo di quell’idea politica di espansione verso il mondo magnogreco sostenuta da un’importane fazione di famiglie nobili nello scenario politico di Roma in età mediorepubblicana.

L’area archeologica del sepolcro degli Scipioni si trova lungo il tratto urbano della via Appia Antica: all’interno delle Mura Aureliane, prima della Porta S. Sebastiano. . La prima notizia del ritrovamento risale al 1614, ma la vera e propria scoperta risale al 1780, quando due fratelli, i sacerdoti Sassi, proprietari della vigna soprastante, allargando la cantina della loro casa trovarono un ingresso al sepolcro. Tutto quello che era iscritto o figurato fu portato nei Musei Vaticani, ma il sepolcro, in quegli anni, divenne meta abituale per molti studiosi e visitatori che compivano il “grand tour” di Roma.

Testo dipinto : L Cornelio Cn f Scipio

Testo inciso : Cornelius Lucius Scipio Barbato

Gnaivod patre prognatus, fortis vir sapiensque quoius forma virtutei parisuma fuit consol censor aidilis quei fuit apud vos Taurasia Cisaunia Samnio cepit subigit omne Loucanam opsidesque abdoucit CERCA DI TRASCRIVERE IN LATINO CLASSICO IL TESTO DELL’ISCRIZIONE ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

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POSTRIDIE KALENDAS APRILES 2 APRILE

APPIA REGINA VIARVM

……dove il viaggio incontra il ricordo dei defunti……. Monumenti funebri e catacombe

Dopo la Torre geodetica di Capo di Bove la via Appia da qui in avanti la via assume il caratteristico aspetto che tanto la contraddistingue: una fila quasi ininterrotta di tombe, ad ara, a torre, a dado, a tempietto, a tumulo, nonché i singolari

"monumentini", costruiti dal Canova all'inizio dell'Ottocento, per conservare in loco frammenti architettonici, sculture ed iscrizioni disperse nei dintorni.

COLATE LAVICHE e MASSE

TUFACEE a ROMA e dintorni

Circa 600.000 anni fa si formarono due grandi distretti

vulcanici: inizialmente si formò il distretto vulcanico dei monti

Sabatini, a nord di Roma, e in seguito quello dei Colli Albani

situato circa a 15 km sud-est di

Roma. I prodotti dell’attività vulcanica dei due complessi, prevalentemente tufi, colate piroclastiche e colate di lava, coprirono tutta la zona intorno

a Roma nascondendo ogni

traccia della precedente storia

geologica dell’area. I prodotti vulcanici dei due distretti finirono con il congiungersi e contribuirono a sbarrare per un breve arco di tempo il corso del Paleotevere. Tra l'odierna “ppia “ntica e l’“rdeatina, si può vedere una delle colate di

lava scese dal cono delle Faete, tra 290.000 e 270.000 anni fa, detta di Capo di Bove. La colata, lunga 11 km, si estende da Marino verso Santa Maria delle Mole e arriva fino alla tomba di Cecilia Metella,

sull'Appia Antica. Parte della colata che scende dall'edificio vulcanico princi-pale è mascherata dai pro-dotti esplosivi del cratere di Albano, più recente.

Le forme più antiche di monumenti funebri sono quelle a tholos (tumolo) sul tipo dei sepolcreti attribuiti agli Orazi e Curiazi che sorgono presso la curva determinata dall’antico alveo della Fossa Cluilia che tagliava l’Appia trasversalmente ed arrivava fino alla via Latina, dove la tradizione leggendaria riporta che vi sia avvenuto il duello tra i quattro campioni delle due città, segnando l’alveo il confine tra il territorio di Alba Longa e Roma

Seguono poi le tante edicolae , per lo più risalenti all’ultimo periodo repubbli-cano, le arae, forse la forma più sfruttata nei secoli, i mausolei rotondi,

più piccoli ma simili per impostazione a quello di Cecilia Metella ed quindi di moda nella prima età imperiale, e poi i tempietti, che sor-gendo su un alto podio, riservavano questo, che era cavo, alla collocazione dei sarcofaghi

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APPIA REGINA VIARVM

CERNE ISTAE IMMAGINES

MONVMENTORVM FUNEBRIVM ET

SCRIBE NOMEN EORUM FORMAE

INCLUDE TUAE IMMAGINES VIAE APPIAE IN HOC SPATIO

A……………………………………………………………………..

B……………………………………………………………………..

C………………………………………………………………………………….

D………………………………………………………………………………….

A

B

C

D

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CATACOMBE S. CALLISTO

S. Cecilia, nobildonna romana del III sec d.C. che, andata sposa al nobile Valeriano,……….....

……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

L’ORIGINE Nel p i o se olo i istia i di ‘o a

o aveva o i ite i p op i. “e possedeva o dei te e i, seppelliva o là i lo o defu ti, alt i e ti i o eva o ai i ite i o u i usati a he dai paga i. Pe

tale otivo “a Piet o fu sepolto ella " e opoli" " ittà dei o ti"

sul Colle Vati a o, ape ta a tutti; o e pu e “a Paolo fu sepolto i

u a e opoli della Via Ostie se. Nella prima metà del secondo secolo,

in conseguenza di varie concessioni e

donazioni, i cristiani presero a

seppellire i loro morti sottoterra.

Ebbero così inizio le catacombe.

Molte di esse sorsero e si

svilupparono attorno a dei sepolcri di

famiglia, i cui proprietari, neo-

convertiti, non li riservarono soltanto

alla famiglia, ma li aprirono anche ai

loro fratelli nella fede. A questo

periodo si riferiscono i nomi di alcuni

cimiteri o catacombe che ricordano i

proprietari, i benefattori, come le

Catacombe di Priscilla sulla Salaria, di

Domitilla sulla Via delle Sette Chiese,

di P etestato sull Appia Pignatelli, le

C ipte di Lu i a sull Appia A ti a. Col

passare del tempo le aree funerarie

si allargarono, talvolta per iniziativa

della Chiesa stessa. Tipico è il caso

delle catacombe di San Callisto: la

Chiesa ne assunse direttamente

l'organizzazione e l'amministrazione,

a carattere comunitario.

Co l avve uta li e alizzazio e dei ulti i o os iuta dall editto di tolle a za di Li i io e Costa ti o del 3 3 d.C. le catacombe continuarono a funzionare come cimiteri

regolari fino all'inizio del quinto secolo, quando la Chiesa

ritornò a seppellire esclusivamente sopratterra o nelle

basiliche dedicate a martiri importanti.

Durante questo lungo periodo di tempo (400-800 circa

d.C.), le Catacombe furono considerate autentici santuari

dei martiri e numerosissimi pellegrini si recarono a visitarle

o l u ico scopo di pregare presso le loro tombe. A questo

periodo, specialmente, appartengono i devoti graffiti (brevi

invocazioni di preghiere o ricordo di riti compiuti, incisi

sugli intonaci delle cripte dai pellegrini) e la compilazione di

alcuni itinerari da considerarsi vere e proprie guide delle

Catacombe.

Quando nel VI sec. prima i Goti e poi i Longobardi invasero

l'Italia e scesero a Roma, vi distrussero sistematicamente

molti monumenti e saccheggiarono molti luoghi, incluse le

Catacombe. Impotenti di fronte a tali ripetute devastazioni,

verso la fine dell'ottavo e l'inizio del nono secolo, i papi

fecero trasferire le reliquie dei martiri e dei santi nelle

chiese della città, per ragioni di sicurezza.

Le catacombe di S. Callisto si trovano sulla destra della Via

Appia Antica, dopo la chiesetta del "Quo Vadis?".

Le catacombe di S. Callisto sono tra le più grandi e

importanti di Roma. Sorsero verso la metà del secondo

secolo e fanno parte di un complesso cimiteriale che occupa

un'area di 15 ettari di terreno, con una rete di gallerie

lunghe quasi 20 chilometri, su diversi piani, e raggiungono

una profondità superiore ai 20 metri. In esse trovarono

sepoltura decine di martiri – S. Cecilia e Tarcisio, tra i più

famosi - 16 pontefici e moltissimi cristiani. Prendono nome

dal diacono S. Callisto, poi controverso Papa, che, all'inizio

del III secolo, fu preposto da Papa Zefirino

all'amministrazione del cimitero e così le catacombe di S.

Callisto divennero il cimitero ufficiale della Chiesa di Ro-

ma.

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“PPI“ REGIN“ VI“RVM

La strada, fatta costruire dal censore Appio Claudio Cieco nel 312 a.C. doveva garantire una più veloce penetrazione nel territorio dei Sanniti dai quali, da quasi quarantanni, Roma si vedeva ostruita l’espansione verso sud. La strada , iniziata alla fine del IV sec. a.C. , arrivava fino a Capua seguendo un percorso più protetto perché correva in prossimità del mare, lontano dai monti Lepini, Ausoni ed Aurunci percorsi dalla più antica via Latina (così denominata perché percorreva interamente i territori dell’antica Lega Latina , esposta agli agguati di popolazioni non ancora interamente sottomesse. Contraddistinta da un lungo rettifilo che congiungeva direttamente Roma a Terracina oggi Km , ove sorgeva sull’alto della rupe il

tempio di Giove Anxur, risultava più breve della via Latina di circa 15 miglia (22 Km circa , che per un esercito in movimento significava un intero giorno in meno di marcia). La costruzione fu preceduta da importanti opere di bonifica e di ristrutturazione agraria del territorio appena sottratto ai Volsci. Le circa 30 miglia che attraversavano la pianura Pontina furono, infatti, precedute dalla centuriazione*

La centuriazione (centuriatio o castramentatio) era il sistema con cui i Romani organizzavano il territorio agricolo, basato sullo schema che già adottavano nei castra e nella fondazione di nuove città. Si caratterizzava per la regolare disposizione, secondo un reticolo ortogonale, di strade, canali e appezzamenti agricoli destinati all'assegnazione a nuovi coloni (spesso legionari a riposo).

Le strade che Roma costruì, fin dai tempi più antichi, furono sempre precedute da un’attenta politica di occupazione e trasformazione del territorio, mediante la formazione di colonie e municipi che venivano a controllare le regioni interessate. La via Appia fu tracciata via via per tappe successive con l’avanzata delle conquiste militari: Capua, Benevento, Venosa, Taranto, Brindisi quest’ultima raggiunta all’incirca prima del 191 a.C.). Collegando le più fiorenti città dell’Italia centro Meridionale coi porti dai quali salpavano le navi per la Grecia e l’Oriente, divenne non solo la strada militare per eccellenza, ma snodo fondamentale per i commerci ed i viaggi: famoso è il viaggio del poeta Orazio in missione diplomatica verso “ntonio insieme a Mecenate e Cocceio Nerva nel 37 a.C. ,a cui è dedicata la lunga e scherzosa descrizione della V Satira del primo libro. Data l’importanza della via, essa richiamò ai

suoi lati una ricca attività edilizia – ville, lungo tutto il suo tracciato, appartenenti a uomini in vista e facoltosi, come i figli di Pompeo, o Erode Attico, senatori ed imperatori e soprattutto sepolcri in vicinanza degli abitati l’ingresso o l’uscita dall’Urbe erano contraddistinti dalla presenza dei più monumentali sepolcri, quello degli Scipioni poco prima di Porta S. Sebastiano o quello di Cecilia Metella. Il percorso monumentale che ancora oggi possiede è dovuto agli scavi che, con grande dispendio di risorse ed energie, e con l’appassionato apporto di studiosi ed intellettuali, tra la fine del

e l’inizio dell’ il Governo pontificio promosse al fine di testimoniare la grandezza del passato

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M“USOLEO DI CECILI“ METELL“

VERTE IN LINGU“ IT“LIC“

VERTE IN LINGUA ITALICA

C“ECILI“E METELL“E TITULUM

L’iscrizione è molto semplice e concisa. “ prima vista potrebbe stupire il fatto che in essa non solo non si elencano i meriti della donna titolare del sepolcro, ma vengono anche taciuti quelli del padre e del marito. In realtà, una tale austerità non è una stranezza o un mistero la stringatezza del testo fa parte di un vero e proprio programma ideologico ed autocelebrativo messo in atto dalla famiglia dei Metelli.

Un mausoleo è una tom-ba di eccezionale monu-mentalità, generalmente costruito per conservare il corpo di un grande leader o un personaggio impor-tante. Tale monumento comprende al suo interno una stanza in cui si conservano sarcofagi o ur-ne funerarie. Il termine deriva dal re Mausolo

di Caria, satrapo persiano la cui moglie Artemisia fe-ce costruire il famo-so Mausoleo di Alicar-nasso, una delle sette meraviglie del mondo antico.

Ricostruzione del mausoleo

CAECILIAE Q. CRETICI

F. METELLAE CRASSI

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LAGO DI ALBANO (ALBA LONGA) O CASTEL

GANDOLFO

Di forma singolare nel panorama dei laghi vulcanici , il lago presenta la forma di un ovale allungato con asse maggiore in direzione NO-SE, pendii ripidissimi sul versante meridionale e più dolci, ma sempre scoscesi, a settentrione proprio sotto al Monte Cavo. Ciò dipenderebbe dalla sua genesi in quanto frutto di almeno cinque esplosioni vulcaniche differenti. Quanto alla ripidezza delle pareti del cratere, accentuata nella parte meridionale, si spiega con l'intersezione tra l'esplosione e la sovrastante colata lavica prodotta da un edificio ben più grande, quello cosiddetto delle Faete. A settentrione invece l'esplosione trovò meno materiale sopra di sé, perché non c'era nessun cratere vulcanico in quella zona, ma solo colate laviche di altri edifici. L'unico emissario, artificiale e costruito dai Romani, , non è più attivo. La superficie del lago è situata a circa trecento metri di altitudine. Tra gli anni sessanta e il 2014, il livello delle acque si è abbassato di 5 metri. Il fenomeno (che interessa anche il vicino Lago di Nemi) viene attribuito sia a cause naturali sia al consumo d'acqua: la notevole antropizzazione e lo sviluppo dell'agricoltura intensiva avrebbero comportato un sovrasfruttamento della falda acquifera albana.

Il lago di Albano (Lacus Albanus), o lago di Castel Gandolfo , è il lago vulcanico più profondo d'Italia (168 m), situato nell'area vulcanica dei Castelli Romani, sui Colli Albani. Di forma quasi circolare, sulle sue coste si trovano importanti resti archeologici preistorici e romani, come il Villaggio delle Macine, l'emissario artificiale ed i ninfei dorico e del Bergantino, quest'ultimo parte integrante del complesso della villa albana di Domiziano. Presso questo lago si tennero le gare di canottaggio delle Olimpiadi di Roma del 1960.

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Il toponimo "albano" infatti deriva all'intera zona dalla mitica capitale della Lega Latina fondata dal figlio di Enea, Ascanio, e rasa al suolo intorno al VI secolo a.C. dai Romani, secondo la tradizione sotto il regno di Tullo Ostilio. L'ubicazione esatta della città non era chiara neppure agli storiografi romani, ed oggi l'ipotesi più accreditata è che sorgesse sopra il versante orientale o sud-orientale del lago Albano, alle pendici di Monte Cavo, appunto "vicino ad una montagna e ad un lago, occupando lo spazio tra i due", come riferisce lo storico di età imperiale Dionigi d'Alicarnasso[7].

Ad ogni modo la denominazione "albanus" si estese indistintamente al Mons Albanus, il monte sacro a Giove Laziale convenzionalmente identificato con lo stesso Monte Cavo, dove vi sorgeva il tempio dedicato allo stesso dio, protettore della Lega Latina e riservato poi dai Romani a consacrare i trionfi che non ricevevano dal Senato il riconoscimento di essere celebrati a Roma; così l'aqua ed il rivus Albanus, nome attribuito a più corsi d'acqua o acquedotti della zona, l'ager

Albanus disseminato di ville repubblicane ed imperiali, albanae anch'esse, ed infine il lacus

Albanus. Solo nel II secolo l'imperatore Settimio Severo edificò all'interno delle grandi proprietà imperiali della villa albana di Domiziano (l'Albanum Domitiani) i Castra Albana, nucleo di sviluppo dell'attuale centro storico di Albano in epoca altomedioevale.

Heri et

hodie,

fortasse

etiam cras ,

in lacu

Albano

semper

villae erunt

quia hic

bene

dormitur,

bene

manducatur

et bene

vivitur AVETE DISCIPULI

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ANTE DIEM III NONAS APRILES 3 APRILE

SANTA MARIA IN COSMEDIN

Nel sito in cui sorge oggi la chiesa, prossimo al Tevere, al Foro Boario e al Circo Massimo, sorgeva in epoca imperiale la Statio Annonae, il servizio che gestiva l'approvvigionamento e la distribuzione di cibo al popolo romano. Ancor prima, però, esso era stato sede dell'"Ara Massima di Ercole", santuario "internazionale" deputato a garantire i commerci e i mercanti che in quella zona trafficavano e vivevano. Ancora nel I secolo a.C., Vitruvio cita un tempio a pianta rettangolare posto all'ingresso del Circo Massimo e dedicato ad Ercole Invitto o Pompeiano. Proprio per la storia del luogo, l'annona e gli edifici vicini divennero sede fin dal VI secolo di una diaconia, struttura ecclesiale destinata a garantire assistenza al popolo cristiano. La prima piccola chiesa fu fatta costruire da papa Gregorio I, la cui famiglia aveva grandi possedimenti nella zona, attorno all'inizio del VII secolo. Papa Adriano I la fece ricostruire alla fine dell'VIII secolo dentro la struttura dell'antica sede dell'Annona, di cui la chiesa incorporò la struttura e il colonnato, dividendola in tre navate e abbellendola di splendide decorazioni. La chiesa e i suoi annessi furono affidati ad una colonia di monaci greci che si erano rifugiati a Roma per sottrarsi alle persecuzioni degli iconoclasti e si erano stabiliti su questa riva del Tevere, dove era già insediata la comunità greca ed era per ciò nota come Ripa Greca. Da questi la chiesa prese il nome di Santa Maria in Schola Greca, e divenne poi nota come Santa Maria in Cosmedin, dalla parola greca kosmidion (ornamento). Diversamente dalla gran parte delle chiese romane del periodo, questa non era sorta sulla tomba di un martire. Tuttavia ebbe anch'essa la sua cripta, scavata nel podio della stessa Ara Massima. Durante il pontificato di papa Niccolò I (858-867), alla chiesa furono aggiunti una sagrestia, l'oratorio e una residenza diaconale. Papa Gelasio II nel 1118 fece riparare i danni subiti dalla struttura quasi cento anni prima (1082) a seguito dell'invasione dei Normanni guidati da Roberto il Guiscardo, mentre papa Callisto II, intorno al 1120, fece costruire il portico

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S. GIOVANNI IN LATERANO

La basilica sorse nel IV secolo nella zona allora nota come Horti Laterani, un antico possedimento fondiario della famiglia dei Laterani confiscato ed entrato a far parte delle proprietà imperiali al tempo di Nerone. Nel161 Marco Aurelio costruì un palazzo nella zona. Alla fine del II secolo Settimio Severo fece costruire su una parte del fondo una fortificazione (i Castra Nova

equitum singularium); successivamente gli Horti ritornarono di proprietà della famiglia Laterani. Il terreno e il palazzo che vi sorgeva pervennero all'imperatore Costantino quando questi sposò nel 307 la sua seconda moglie, Fausta, figlia dell'ex-imperatore Massimiano e sorella dell'usurpatore Massenzio. La residenza era dunque nota, a quell'epoca, con il nome di Domus

Faustae e Costantino ne disponeva come proprietà personale quando vinse Massenzio alla battaglia di Ponte Milvio, nel 312. La tradizione cristiana aulica fa risalire la vittoria a una visione premonitrice che nel motto In hoc

signo vinces avrebbe spinto l'Imperatore a dipingere il simbolo cristiano della croce sugli scudi dei propri soldati. Vittorioso, Costantino avrebbe donato, in segno di gratitudine a Cristo, gli antichi terreni e la residenza dei Laterani al vescovo di Roma, in una data incerta, ma associabile al papato di Milziade (310-314). Sul luogo degli antichi castra venne edificata dunque la primitiva basilica, consacrata da Milziade al Redentore, all'indomani dell'editto di Milano dell'anno 313 che legalizzava il Cristianesimo. Nella domus, divenuta sede papale, si tenne in quello stesso anno il concilio con cui venne dichiarato eresia il donatismo. La dedicazione ufficiale della basilica al Santissimo Salvatore fu compiuta però da papa Silvestro I nel 324, che dichiarò la chiesa e l'annesso Palazzo del Laterano Domus Dei ("casa di Dio"). Sul primitivo aspetto della basilica, dopo l'editto di Milano, sono note le descrizioni delle fonti e le informazioni relative alle successive ricostruzioni, che per un certo periodo continuarono a basarsi sulla struttura originaria. L'originale basilica era nota, per il suo splendore e per la sua importanza, con il nome di Basilica

Aurea ed era oggetto di continue e importanti donazioni da parte degli imperatori, dei papi e di altri benefattori, testimoniate nel Liber Pontificalis. L'edificio era orientato secondo la direttrice est-ovest tipica delle basiliche paleocristiane, con la facciatarivolta a oriente, cioè verso l'alba, e l'abside con l'altare rivolti a occidente, cioè verso il tramonto

La facciata a forma di capanna della chiesa presenta un portico con sette arcate, cui si sovrappongono sette finestre; in posizione decentrata, sulla destra dell'osservatore, si erge il bel campanile romanico risalente al XII secolo che si eleva dal tetto per sette piani, con bifore e trifore, e decorato da maioliche colorate. Sotto il portico, il monumento di Alfano che curò per conto del papa Callisto II i restauri della chiesa. L'interno della chiesa, tre navate, separate da pilastri e da diciotto colonne di varia provenienza. Il soffitto è ligneo, costituito da capriate, mentre il pavimento è arricchito dagli smalti e dagli ori dei mosaici cosmateschi, oltre che da superfici marmoree, levigate dal corso del tempo. Qui si possono ammirare la schola cantorum proprio a metà della navata centrale, la "cattedra" episcopale, il ciborio gotico dell'altare maggiore (opera di Deodato di Cosma) e l'altare di granito rosso posto sul fondo dell'abside risalente al 1123.

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La primitiva basilica aveva una forma oblunga e disponeva di cinque navate fortemente digradanti in altezza, divise da colonne: la navata centrale era la più larga e più alta e si elevava sopra delle altre permettendo di aprire luminose finestre nel cleristorio. Il soffitto era coperto a capriate, che probabilmente dovevano essere a vista. Opposta alla facciata era presente un'unica abside dove venne posta la cattedra vescovile, in analogia con le tribune allestite per le sedute solenni nelle basiliche civili[4]. In fondo alle navate esisteva una navatella trasversale, il primitivo transetto, nella quale prendevano posto durante la celebrazione il vescovo, sedendo in centro, su un seggio rialzato, affiancato dai sacerdoti, disposti ai lati. Tra le navate e il transetto due possenti colonne sostenevano un grande arco detto arco trionfale. Tra la navata e la parte destinata all'altare venne posto il fastigium una grande struttura su quattro colonne che fu l'antecedente di tutte le strutture simili (pergule, tramezzi, iconostasi, pontili, jubé) che in seguito caratterizzarono le chiese sia in occidente sia in oriente. Le colonne in metallo dorato sorreggevano un frontone con statue d'argento e lampade d'oro, come descritto nel Liber

Pontificalis]. Verso il centro della navata si disponeva il lettore dei testi sacri, che doveva disporre di una struttura rialzata. Già colpita nel 410 dal Sacco di Roma dei Visigoti di Alarico, nel 455 la basilica venne

nuovamente saccheggiata dai Vandali di Genserico, che la privarono di tutti i suoi tesori. La chiesa venne però restaurata e riportata al suo originario splendore da papa Leone Magno attorno al 460, venendo poi ulteriormente arricchita sotto il successore Ilario, il quale vi aggiunse tre oratori. In totale la basilica venne dunque a essere circondata da sette oratori, in seguito parzialmente inglobati nell'edificio, da cui nacque in seguito la tradizione di dotare le chiese di sette altari. Declinata parallelamente al declino della città, la basilica venne restaurata da papa Adriano I alla fine dell'VIII secolo, apparendo in tutto il suo splendore in occasione della Pasqua dell'anno 774, quando vi ricevette il battesimo Carlo Magno.

INCLUDE IN HOC SPATIO IMMAGINEM BASILICAE S. IOANNIS

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PRIDIE NONAS APRILES 4 APRILE

LA SINAGOGA ED IL QUARTIERE EBRAICO A ROMA

STORIA DI UNA PAROLA: QUANTO LA CULTURA E LA RELIGIONE EBRAICA

ABBIANO CONTRIBUITO ALLA FORMAZIONE DELLA CULTURA CRISTIANA ED

OCCIDENTALE: Il Giubileo ha origine dalla tradizione ebraica che fissava, ogni 50 anni, un

anno di riposo della terra (con lo scopo pratico di rendere più forti le successive coltivazioni), la restituzione delle terre confiscate e la liberazione degli schiavi, questo affinché non ci fossero comunque il troppo ricco o il troppo povero (Levitico, 25, 8 e sgg.). Per segnalare l'inizio del Giubileo si suonava un corno di ariete, in ebraico jobel, da cui deriva il termine cristiano Giubileo. Gesù cita esplicitamente un testo del profeta Isaia che segna così l'ingresso del tema giubilare nel Nuovo Testamento. Gesù infatti, recatosi a Nazareth, entra nella sinagoga e legge una pagina di Isaia che proclama "l'anno di grazia del Signore" (Luca, 4, 18-19; Isaia 61, 1-2). Un evento che anticipò e predisse il Giubileo fa parte più della leggenda che della storia: la cosiddetta "Indulgenza dei Cent'anni". Non esistono documenti del XII o XIII secolo al riguardo, ma fonti del 24 dicembre 1299 riportano come masse di pellegrini, a conoscenza di una leggendaria "Indulgenza Plenaria" che si sarebbe ottenuta al capodanno del secolo nuovo, cioè nel passaggio da un secolo all'altro, muovessero verso Roma fin dentro l'antica basilica di San Pietro per ottenere la remissione completa di tutte le colpe. Né il Papa dell'epoca, Bonifacio VIII, né i prelati sapevano nulla di questa usanza, ma memorie del cardinale Jacopo Caetani degli Stefaneschi nel documento De centesimo sive

Jubileo anno liber parlano di un vecchio di 108 anni che, interrogato da Bonifacio, asserì che 100 anni prima, il 1º gennaio 1200, all'età di soli 7 anni, assieme al padre si sarebbe recato innanzi a Innocenzo III per ricevere l'"Indulgenza dei Cent'Anni". Nonostante la testimonianza di questo centenario esista, non abbiamo fonti coeve a Innocenzo o più antiche che testimonino di quest'usanza (per la quale Innocenzo è l'unico papa menzionato), né di altre indulgenze simili.

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Il ghetto ebraico di Roma è tra i più antichi ghetti del mondo; è sorto infatti 40 anni dopo quello di Venezia che è il primo in assoluto. Il termine deriva dal nome della contrada veneziana, gheto, dove esisteva una fonderia (appunto gheto in veneziano), ove gli ebrei di quella città furono costretti a risiedere. Il 12 luglio del 1555 il papa Paolo IV, al secolo Giovanni Pietro Carafa, con la bolla Cum nimis absurdum, revocò tutti i diritti concessi agli ebrei romani ed ordinò l'istituzione del ghetto, chiamato "serraglio degli ebrei", facendolo sorgere nel rione Sant'Angelo accanto al teatro di Marcello. Fu scelta questa zona perché la comunità ebraica, che nell'antichità classica viveva nella zona dell'Aventino e, soprattutto, in Trastevere, vi dimorava ormai prevalentemente e ne costituiva la maggioranza della popolazione.

Oltre all'obbligo di risiedere all'interno del ghetto, gli ebrei, come prescritto dal paragrafo tre della bolla, dovevano portare un distintivo che li rendesse sempre riconoscibili: un berretto gli uomini, un altro segno di facile riconoscimento le donne, entrambi di colore glauco (glauci coloris). Nel paragrafo nove, inoltre, veniva loro proibito di esercitare qualunque commercio ad eccezione di quello degli stracci e dei vestiti usati. Da tale eccezione ebbe successivamente origine, in Roma, una tradizionale presenza degli ebrei nel campo del commercio dell'abbigliamento e di alcuni dei suoi accessori. Nella stessa bolla era loro proibito di possedere beni immobili. Ciò contribuì, a partire dagli ebrei dell'epoca, a rivolgersi verso i beni mobili per eccellenza: l'oro e il denaro. Da ciò ebbe origine quella liquidità che fu utile agli stessi papi per ottenere prestiti. Inizialmente erano previste nel ghetto due porte che venivano chiuse al tramonto e riaperte all'alba. Il numero degli accessi, aumentando l'estensione e la popolazione, fu successivamente ampliato a tre, a cinque e poi ad otto]. La proibizione al possesso dei beni immobili da parte degli occupanti diminuì la cura per la loro conservazione. Per questo motivo le case del ghetto erano particolarmente degradate. Ciò giustificò il neo insediato governo italiano, in occasione della costruzione dei muraglioni lungo il Tevere, ad autorizzarne la distruzione. Il ghetto, prima della sua distruzione, costituiva un unicum rispetto al resto della città. Le case erano alte a causa della forte densità abitativa. Porte di comunicazione tra abitazioni limitrofe e ponti di collegamento tra un isolato e l'altro facilitavano la fuga in occasione delle prevaricazioni dei gentili (come, ad esempio, quelle che avvenivano per la caccia degli ebrei in occasione dell'allestimento del carnevale romano). Poiché il ghetto era a ridosso del Tevere, a causa del fango del fiume, le facciate degli edifici assumevano una colorazione a strati che corrispondeva alla cronologia delle ultime piene. Nel 1572 papa Gregorio XIII, al secolo Ugo Boncompagni, impose agli ebrei romani l'obbligo di assistere settimanalmente, nel giorno di sabato, a prediche che avevano il fine di convertirli alla religione cattolica. Queste "prediche coatte" si tennero, nel corso dei secoli, con risultati invero assai modesti, in sedi diverse, tra le quali: Sant'Angelo in Pescheria, San Gregorio al Ponte Quattro Capi (ora San Gregorio della Divina Pietà) e nel Tempietto del Carmelo. L'obbligo fu revocato solamente nel 1848 da Pio IX. Secondo quanto afferma un'antica tradizione, gli ebrei si preparavano all'ascolto tappandosi le orecchie con la cera (la scena è rievocata nel film Nell'anno del Signore di Luigi Magni).

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Il 6 ottobre 1586, con il motu proprio Christiana pietas, papa Sisto V revocò alcune restrizioni e consentì un piccolo ampliamento del quartiere che raggiunse un'estensione di tre ettari. Le vicende della Rivoluzione francese e delle conquiste napoleoniche, sia pure con anni di ritardo e per un periodo limitato, modificarono le condizioni di vita degli ebrei romani. Il 10 febbraio 1798 le truppe francesi, comandate dal generale Berthier, entrarono in città. Il 15 febbraio venne proclamata la Prima Repubblica Romana, il 17 dello stesso mese all'interno del ghetto, in piazza delle Cinque Scole, fu eretto un "albero della libertà", il 20 papa Pio VI fu costretto a lasciare Roma ed il giorno dopo, a Monte Cavallo, il comandante francese proclamò la parità di diritti degli ebrei e la loro piena cittadinanza. Tale condizione ebbe breve durata: nel 1814, con il definitivo ritorno del nuovo pontefice Pio VII, gli ebrei furono nuovamente rinchiusi nel ghetto. Nel 1825, durante il pontificato di papa Leone XII, il ghetto, la cui popolazione era considerevolmente aumentata, venne ulteriormente ingrandito. Il 17 aprile 1848, papa Pio IX ordinò di abbattere il muro che circondava il ghetto. Con la proclamazione della Repubblica Romana, nel 1849, la segregazione fu abolita e gli ebrei emancipati. Caduta la Repubblica, lo stesso pontefice obbligò gli ebrei a rientrare nel quartiere sia pure ormai privo di porte e recinzione. Il 20 settembre 1870 toccò ad un ufficiale ebreo Piemontese l'onore di comandare la batteria dei cannoni che aprì una breccia nelle mura di Roma a Porta Pia, con l'annessione della città al Regno d'Italia, terminò il potere temporale dei papi, il ghetto fu definitivamente abolito e gli ebrei equiparati agli altri cittadini italiani. Nel 1888, con l'attuazione del nuovo piano regolatore della capitale, buona parte delle antiche stradine e dei vecchi edifici del ghetto, malsani e privi di servizi igienici, furono demoliti creando così tre nuove strade: via del Portico d'Ottavia (che prendeva il posto della vecchia via della Pescheria), via Catalana e via del Tempio. Sono scomparsi in questo modo interi piccoli isolati e strade che costituivano il vecchio tessuto urbano del rione, sostituiti da ampi spazi e quattro nuovi isolati più ordinati ma anche meno caratteristici. Per avere un'idea di come doveva apparire il vecchio ghetto basta osservare la fila di palazzi che si trovano sul lato di via del Portico d'Ottavia, accanto a ciò che rimane dell'antico complesso augusteo. Nel 1889 venne indetto un concorso per la costruzione della nuova sinagoga e selezionati due progetti. Nel 1897 la Comunità ebraica acquistò dal Comune di Roma l'area tra Lungotevere Cenci e via del Portico d'Ottavia, resa libera dalle precedenti demolizioni, per la costruzione del tempio. Nel 1899 venne scelto il progetto degli architetti Osvaldo Armanni e Vincenzo Costa, ispirato a motivi assiro-babilonesi e dell'Art Nouveau. I lavori, iniziati nel 1901, terminarono nel 1904 ed il 29 luglio dello stesso anno il Tempio Maggiore di Roma fu inaugurato. Nel seminterrato dell'edificio ha trovato recentemente sistemazione il Museo ebraico.

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La Fontana delle

tartarughe in Piazza

Mattei nel cuore del

Ghetto

LA FONTANA DELLE TARTARUGHE: UNA LEGGENDA NEL

QUARTIERE EBRAICO

Si narra, infatti, che il duca Mattei, amante del gioco d'azzardo un giorno perse in un colpo l'intero patrimonio. Il suocero venuto a conoscenza dell'accaduto rifiutò di concedergli in sposa la figlia. Il duca, allora, decise di stupire il suocero dimostrando di essere, nonostante tutto, un gran signore. Fece quindi realizzare nell'arco di una sola notte questa magnifica fontana. Il giorno dopo convocò nel suo palazzo il suocero e la figlia e li fece affacciare alla finestra per ammirare lo spettacolo. Mattei, di fronte allo stupore dei due, disse loro: "Ecco che cosa è in grado di realizzare in poche ore uno squattrinato Mattei!". Seguirono naturalmente le scuse e la conferma del matrimonio. Dopodiché il duca decise di murare la finestra, a ricordo di quel giorno memorabile e affinché nessuno più potesse affacciarvisi. In realtà la fontana venne realizzata nel 1588 su progetto di Giacomo Della Porta, mentre il palazzo Mattei fu costruito, su disegno del Maderno, solo nel 1616. Così la leggenda si ingarbuglia ancora di più: probabilmente ai tempi la fontana si trovava nel giardino di un palazzo principesco, quindi è possibile che il duca Mattei l'abbia chiesta in prestito per una notte e, successivamente, sia rimasta per sempre nella piazza. Un'altra curiosità su questa fontana riguarda le tartarughe bronzee: nel progetto originario non erano presenti, furono aggiunte successivamente, nel 1658, probabilmente dal Bernini. La sorte di queste tartarughe è stata sempre avversa: sono state più volte rubate, ma sempre recuperate e rimesse al loro posto. Nel 1981, ancora una volta la fontana è stata privata di una tartaruga, così si decise di sostituirle con delle copie, mentre le tre superstiti originali sono conservate nei Musei Capitolini.

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LA TRAGEDIA : Sabato 16 ottobre 1943, i nazisti effettuarono una retata che, pur interessando molte altre zone di Roma, ebbe il suo epicentro nell'ex ghetto, ove furono catturati oltre mille ebrei.[6] Dopo aver circondato il quartiere alle prime luci del giorno, reparti delle SS sequestrarono numerose persone, soprattutto in via del Portico d'Ottavia. Da uno dei due palazzi rinascimentali della via, posto al numero civico 13, chiamato dai locali "il portonaccio", furono infatti prelevate a forza molte delle persone poi deportate. I prigionieri furono rinchiusi nel Collegio Militare di Palazzo Salviati in via della Lungara. Trasferiti alla stazione ferroviaria Tiburtina, furono caricati su un convoglio composto da diciotto carri bestiame. Il convoglio, partito il 18 ottobre, giunse al campo di concentramento di Auschwitz il 22 successivo. Soltanto diciassette deportati riusciranno a sopravvivere, tra questi una sola donna, e nessun bambino.

La lapide commemorativa che ricorda il rastrellamento del 16 ottobre 1943 in cui furono prese 1259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 tra bambini e bambine quasi tutti appartenenti alla comunità ebraica, effettuato dalle truppe tedesche della Gestapo tra le ore 5.30 e le ore 14.00 principalmente in Via del Portico d'Ottavia e nelle strade adiacenti ma anche in altre differenti zone della città di Roma. Dopo il rilascio di un certo numero di componenti di famiglie di sangue misto o stranieri, 1023 deportati furono avviati ad Auschwitz.

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NONIS APRILIBVS 5 APRILE

IL PALAZZO DEL QUIRINALE

Costruito a partire dal 1583, è uno dei più importanti palazzi della capitale sia dal punto di vista artistico sia dal punto di vista politico: alla sua costruzione e decorazione lavorarono insigni maestri dell'arte italiana come Pietro da Cortona, Domenico Fontana, Alessandro Specchi, Ferdinando Fuga, Carlo Maderno, Giovanni Paolo Pannini e Guido Reni. Attualmente, ospita anche un ampio frammento d'affresco di Melozzo da Forlì. Il Palazzo si impose, soprattutto a partire dal pontificato di Paolo V Borghese, come residenza stabile dei papi (il Quirinale ha ospitato 30 papi, da papa Gregorio XIII a papa Pio IX), per quanto una vulgata creata ad arte lo propose con fortuna solo come residenza estiva del romano pontefice. Dal colle del Quirinale i papi erano in più agevole contatto con le sedi delle congregazioni pontificie (ovvero la residenza dei loro prefetti o decani) in cui la Curia si era riarticolata negli ultimi decenni del '500. Il Quirinale divenne così di fatto la residenza del pontefice nella sua qualità di sovrano, complementare a quella del Vaticano, che costituiva la sede del papa vescovo. Residenza complementare e non alternativa: è per questo che il complesso vaticano si sviluppò nel corso del 600 (fine dei lavori della basilica, costruzione della facciata, ultimazione del Palazzo Apostolico, erezione del colonnato), anche se i pontefici vi risiedettero, come mostrano le fonti, saltuariamente. Per contro, il Quirinale si sviluppò quale palazzo del tutto secolare, quasi senza simboli religiosi visibili e soprattutto privo di una chiesa aperta al pubblico (unico tra i palazzi apostolici con questa particolarità)[1]. Interessato da un progetto che lo voleva residenza napoleonica nel tempo dell'occupazione

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francese della città del papa, ma Napoleone Bonaparte non vi fece mai ingresso, dopo il 1870 divenne palazzo reale dei Savoia. Con la proclamazione della Repubblica Italiana, avvenuta dopo il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, l'edificio divenne definitivamente la sede del Presidente della Repubblica. Il palazzo del Quirinale si estende su una superficie di 110.500 m² ed è il sesto palazzo più grande del mondo in termini di superficie, nonché la seconda più estesa residenza di un capo di Stato al mondo dietro ad Ak Saray ad Ankara. Per fare un confronto, l'intero complesso della Casa Bianca negli Stati Uniti d'America è 20 volte più piccolo. Il palazzo fu una delle residenze romane (Palazzo di Monte Cavallo)] del cardinale Ippolito II d'Este (1509-1572), che ottenne in affitto nel 1550 la villa e la vigna dei Carafa per un periodo di cinque anni, che poi più volte rinnovò insieme al nipote Luigi d'Este.]. Nel 1583 papa Gregorio XIII cominciò la costruzione di una residenza estiva, in un'area considerata più salubre del colle Vaticano o del Laterano, che venne affidata all'architetto Ottaviano Mascherino. I lavori si conclusero nel1585, e quello stesso anno la morte del papa impedì a Ottaviano Mascarino di avviare un secondo progetto che prevedeva l'ampliamento del palazzetto per trasformarlo in un grande palazzo con ali

porticate parallele e grande cortile interno. L'edificio costruito da Mascherino è ancora riconoscibile nella testata nord del cortile d'Onore, caratterizzata da una facciata a doppia loggia e sormontata dalla torre panoramica oggi nota come torre dei Venti, o torrino, successivamente innalzata con la costruzione del campanile a vela su supposto progetto di Carlo Maderno e Francesco Borromini. L'edificio di Ottaviano Mascherino era stato costruito su un terreno ancora appartenente alla famiglia Carafa affittato a Luigi d'Este, al quale pare che il papa volesse lasciare il palazzetto. Pertanto papa Sisto V nel 1587 fece acquistare il terreno dalla Camera Apostolica e

solo dopo intervenne per ampliare il palazzo servendosi dell'opera di Domenico Fontana, da lui utilizzato in tutte le grandi opere architettoniche e urbanistiche del suo pontificato, e impegnato in un rimodellamento complessivo della zona, con la costruzione dell'asse Strada Pia e Strada Felice e del conseguente crocicchio delle Quattro Fontane e con la definizione dell'altra residenza "privata" del pontefice a Termini. Al Fontana si deve anche la sistemazione della piazza antistante, con il restauro delle statue dei Dioscuri (che fin dall'antichità erano situate sul Quirinale, ed erano tradizionalmente attribuite a Fidia e a Prassitele, come ancora dichiara il piedistallo), e l'erezione della prima fontana. Dal gruppo scultoreo derivò il toponimo "Monte Cavallo",

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che indicava la sommità del colle e la piazza, ancora oggi usato (benché ormai inesistente nelle toponomastica cittadina) da alcuni vecchi romani. Il palazzo del Quirinale fu la residenza estiva del pontefice fino al 1870, quando Roma venne conquistata dal Regno d'Italia; divenne quindi la residenza dei re fino al 1946. L'ultimo papa ad abitare il Quirinale fu Pio IX. Durante il loro soggiorno, i Savoia ristrutturarono diversi ambienti per adattarli alle nuove esigenze della Corte regia. Il palazzo fu riarredato con mobilio proveniente da varie regge del Paese, in particolare le residenze sabaude in Piemonte e il Palazzo Ducale di Colorno. Molti ambienti furono completamente ripensati, soprattutto durante il periodo di re Umberto I (1878-1900), per impulso della sua consorte, la Regina Margherita. L'antica Sala Regia fu rifatta e divenne l'attuale salone delle Feste, utilizzato come salone da ballo, si realizzò la raffinata decorazione della Sala degli specchi in stile neo rococò, e si modificarono gli appartamenti pontifici nel nucleo antico del palazzo per adattarli alla vita

della famiglia Reale. Infine, la napoleonica sala di Augusto divenne sala del Trono. La celebre scala elicoidale edificata tra il 1583 e il 1584 su progetto di Ottaviano Mascherino, è caratterizzata da coppie di colonne in travertino che accompagnano l'andamento delle rampe a pianta ellittica. È coronata da un lucernario, ellittico anch'esso. Era la scala d'accesso al nucleo più antico del Palazzo e conduceva agli appartamenti dei pontefici, ai quali si poteva accedere direttamente a cavallo data la bassa ripidità dei gradoni della scalinata. Giovanni Piranesi, Veduta del quirinale

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NOTATIONES : hodie ad finem tui itineris pervenisti : age ! scribe in hoc spatio quod tibi placuit :

Amicus meus/Amica mea, dum profecturus/profectura est, memento tuorum comitum magistraeque tuae et tui itineris Romani !!!! quam celerrime te visitabo . Vale !

Magistra Convicti Mariarosa Mortillaro

Statio Terminalis Romae h. decima circiter

VALETE, AMICI MEI…. Centurio Cneus Tribuntivs Caramella

Vos expectabit

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