NotiCum n. 1 - 2014

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Periodico edito da Fondazione CUM - Lungadige Attiraglio, 45 - Poste Italiane spa - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Verona In caso di mancato recapito rinviare all’ufficio postale di Verona, detentore del conto, per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa - Taxe perçue N el cinquantesimo anno del mio impegno missio- nario (sono partito per la Colombia il 15 agosto 1964) sono felice, e con me, credo, lo sono tutti i missionari, per l’interesse nuovo, aggiornato, che sta riportando al centro delle comunità cristiane di tutto il mondo: diocesi, parrocchie, movimenti ecclesiali, l’impe- gno missionario. Segni e motori di questo risveglio sono il Sinodo sull’evangelizzazione dell’autunno del 2012, l’esortazione Evangelii Gaudium di Papa Francesco, tutta impregnata di missione, e il CAM-COMLA appena cele- brato a Maracaibo in Venezuela. Le Chiese latinoamerica- ne, gioiose del loro primo Papa latinoamericano, consa- pevoli di rappresentare la metà dei cristiani-cattolici del mondo, stanno diventando protagoniste dell’annuncio del Vangelo a 360 gradi. L’impegno di essere “Discipulos y misioneros de Jesucristo” i Vescovi sudamericani l’aveva- no preso ad Aparecida; il popolo missionario del conti- nente lo ha ribadito nella grande assemblea missionaria di Maracaibo del novembre scorso. I documenti del Sino- do, l’Esortazione del Papa e le dichiarazioni di Maracaibo sono per noi di NOTICUM e per ogni comunità, i punti di riferimento per l’evangelizzazione del mondo globalizza- to, che affronta sfide sempre più pressanti come la pace, una vita decente per tutti, il corretto uso delle risorse, la gestione delle inarrestabili migrazioni, l’incontro delle culture, il rispetto della natura. L’urgenza missionaria esi- ge di rinnovare l’impegno missionario. Chiede di prende- re coscienza di tutti i problemi che assillano l’umanità e muovere le comunità a mettere l’annuncio missionario al centro delle loro convinzioni, delle loro iniziative, del loro esistere. Da decenni ci sentiamo dire che la Chiesa esiste per la missione, ma che fatica rendere l’impegno missio- nario stella polare dell’agire delle nostre comunità. È un cammino in salita, una sfida “impossibile” a cui il Signore ancora una volta ci chiama con la voce e la testimonian- za personale di papa Francesco. Non ci sono più terre evangelizzate e terre da evangelizzare. Tutto il mondo, oggi più che mai, è campo di evangelizzazione. Sempre la Chiesa ha evangelizzato. Tutti i battezzati, ovunque si trovino, qualsiasi sia la loro condizione, il loro ruolo nel- la società, sono chiamati ad evangelizzare. A donare il Vangelo. In tutti i tempi, da Paolo a Francesco Saverio, da Daniele Comboni ad Annalena Tonelli, ci sono stati mis- sionari straordinari. Nei miei anni di impegno missionario ho conosciuto tanti missionari stupendi, ognuno col suo stile, ognuno con la sua sensibilità, ognuno con la gioia di fare presente Gesù nelle situazioni umane in cui la Prov- videnza li aveva posti. La gioia dell’annuncio a cui accenna il Papa aprendo la sua esortazione, in un tempo marcato da tanti foschi pre- sagi, è vangelo, è storia, è profezia. È Vangelo la gioia di Maria che esplode nel “Magnificat”, la gioia dei pastori che raccontano del Bambino che han- no visto, la gioia degli apostoli al ritorno dalla loro prima esperienza missionaria. È storia la gioia, la serenità dei missionari di tutti i tempi; la gioia dei missionari, delle missionarie che anche oggi incontriamo nelle periferie urbane, nei cottolenghi, nelle clausure, nei luoghi più inospitali del mondo; la gioia di tanti uomini e donne im- pegnati a servire, in nome di Gesù, le loro comunità. È profezia la gioia di ogni vita consacrata alla missione, la gioia che il papa Francesco dona agli uomini e alle donne di tutto il mondo. editoriale di Crescenzio Moretti LA GIOIA DELLA MISSIONE Noti Cum IL VOLTO DELLA MISSIONE ANNO 52 - n. 1 - GENNAIO 2014

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NotiCum è il mensile della Fondazione CUM (Centro Unitario per la Cooperazione Missionaria fra le Chiese) dedicato al mondo della missione. Titolo del primo piano di questo numero, "La gioia della missione". Contiene uno speciale sul CAM4 in Venezuela.

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Nel cinquantesimo anno del mio impegno missio-nario (sono partito per la Colombia il 15 agosto 1964) sono felice, e con me, credo, lo sono tutti

i missionari, per l’interesse nuovo, aggiornato, che sta riportando al centro delle comunità cristiane di tutto il mondo: diocesi, parrocchie, movimenti ecclesiali, l’impe-gno missionario. Segni e motori di questo risveglio sono il Sinodo sull’evangelizzazione dell’autunno del 2012, l’esortazione Evangelii Gaudium di Papa Francesco, tutta impregnata di missione, e il CAM-COMLA appena cele-brato a Maracaibo in Venezuela. Le Chiese latinoamerica-ne, gioiose del loro primo Papa latinoamericano, consa-pevoli di rappresentare la metà dei cristiani-cattolici del mondo, stanno diventando protagoniste dell’annuncio del Vangelo a 360 gradi. L’impegno di essere “Discipulos y misioneros de Jesucristo” i Vescovi sudamericani l’aveva-no preso ad Aparecida; il popolo missionario del conti-nente lo ha ribadito nella grande assemblea missionaria di Maracaibo del novembre scorso. I documenti del Sino-do, l’Esortazione del Papa e le dichiarazioni di Maracaibo sono per noi di NOTICUM e per ogni comunità, i punti di

riferimento per l’evangelizzazione del mondo globalizza-to, che affronta sfide sempre più pressanti come la pace, una vita decente per tutti, il corretto uso delle risorse, la gestione delle inarrestabili migrazioni, l’incontro delle culture, il rispetto della natura. L’urgenza missionaria esi-ge di rinnovare l’impegno missionario. Chiede di prende-re coscienza di tutti i problemi che assillano l’umanità e muovere le comunità a mettere l’annuncio missionario al centro delle loro convinzioni, delle loro iniziative, del loro esistere. Da decenni ci sentiamo dire che la Chiesa esiste per la missione, ma che fatica rendere l’impegno missio-nario stella polare dell’agire delle nostre comunità. È un cammino in salita, una sfida “impossibile” a cui il Signore ancora una volta ci chiama con la voce e la testimonian-za personale di papa Francesco. Non ci sono più terre evangelizzate e terre da evangelizzare. Tutto il mondo, oggi più che mai, è campo di evangelizzazione. Sempre la Chiesa ha evangelizzato. Tutti i battezzati, ovunque si trovino, qualsiasi sia la loro condizione, il loro ruolo nel-la società, sono chiamati ad evangelizzare. A donare il Vangelo. In tutti i tempi, da Paolo a Francesco Saverio, da

Daniele Comboni ad Annalena Tonelli, ci sono stati mis-sionari straordinari. Nei miei anni di impegno missionario ho conosciuto tanti missionari stupendi, ognuno col suo stile, ognuno con la sua sensibilità, ognuno con la gioia di fare presente Gesù nelle situazioni umane in cui la Prov-videnza li aveva posti.La gioia dell’annuncio a cui accenna il Papa aprendo la sua esortazione, in un tempo marcato da tanti foschi pre-sagi, è vangelo, è storia, è profezia.È Vangelo la gioia di Maria che esplode nel “Magnificat”, la gioia dei pastori che raccontano del Bambino che han-no visto, la gioia degli apostoli al ritorno dalla loro prima esperienza missionaria. È storia la gioia, la serenità dei missionari di tutti i tempi; la gioia dei missionari, delle missionarie che anche oggi incontriamo nelle periferie urbane, nei cottolenghi, nelle clausure, nei luoghi più inospitali del mondo; la gioia di tanti uomini e donne im-pegnati a servire, in nome di Gesù, le loro comunità. È profezia la gioia di ogni vita consacrata alla missione, la gioia che il papa Francesco dona agli uomini e alle donne di tutto il mondo.

editorialedi Crescenzio Moretti

LA GIOIA DELLA MISSIONE

NotiCumIL VOLTO DELLA MISSIONEANNO 52 - n. 1 - GENNAIO 2014

NotiCUMn.1 - gennaio 2014

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IL CAM 4 IN VENEZUELACelebrata a Maracaibo la quarta edizione del CAM, il Congresso Missionario Americano

Dal 26 novembre al 1 dicembre si è celebrato a Maracaibo, Venezuela, il CAM, il Congresso Missionario Americano giunto alla 4° edizione, nella città di Ma-racaibo in Venezuela. Oltre 3000 partecipanti, quasi un centinaio di vescovi

da tutta l’America, dal Canada alla Terra del Fuoco. Quello che era il Comla (Con-gresso Latinoamericano, giunto qui alla nona edizione) si è trasformato in CAM, quasi a voler sottolineare, più che una storia comune, un futuro che accomuna l’in-tera America. Papa Francesco ha inviato come suo rappresentante il cardinale Fer-nando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, che in un’intervista rilasciataci parla dell’impressione che ha avuto in questo congresso nel vedere così tanti giovani entusiasti di fare missione, e delle strade nuove della missione stessa: non più solo consacrati per la missione ma anche laici e nuove forme di partecipazione che affrontano le strade della missione. La Conferenza Epi-scopale Italiana, che da sempre, assieme alle Pontificie Opere Missionarie, contri-buisce alla realizzazione di questo evento, è rappresentata da S. E. mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone e presidente della Commissione per l‘evangelizza-zione dei popoli e la cooperazione tra le chiese, e da don Alberto Brignoli dell’Uf-ficio Nazionale di Cooperazione Missionaria. “America missionaria, condividi la tua fede. Discepoli missionari di Gesù Cristo, dall’America in un mondo secolarizzato e multiculturale”, così recita lo slogan più volte ripetuto e sottolineato durante le giornate di convegno. È l’atto finale di un percorso che ha visto il continente ame-ricano (dalle assemblee continentali degli episcopati fino ai vari CAM-COMLA) ad aprirsi a partire dalla propria povertà, a strutturarsi sempre più nelle vie della mis-sione. Aparecida - l’ultima assise dei vescovi latinoamericani nel 2007 - invita alla missione continentale: è giunta l’ora per l’America di varcare con decisione i confini nazionali per andare “ad gentes”. Non solo alcuni specialisti della missione, ma la chiesa intera, popolo di Dio: preti fidei donum, laici, religiose e religiosi anche di istituti non specificamente missionari. È arrivata l’ora di lasciare i tracciati consueti, è ora di intraprendere strade nuove. E molti degli interventi al CAM 4 sono andati in questa direzione. P. Raul Castillo, salesiano, ha ricordato che la missione dovrebbe far parte del paradigma di ogni chiesa, dovrebbe essere dimensione costituente, fondante. “Dovrebbe, ma troppo spesso ancora non lo è! Qual è la struttura dei nostri seminari, su cosa è centrata la formazione dei preti anche in America Latina? Quanto investiamo sui laici?”, si è chiesto. Una strigliata alla vita religiosa è arrivata anche da Israel Neri, brasiliano, fratello delle Scuole Cristiane: “Attenti a non adagiarsi sugli atteggiamenti di comodo: una vita religiosa che non rompa gli schemi, che non cerchi le frontiere, è una vita reli-giosa che a poco a poco si appiattisce. Non è per caso che abbiamo perso spinta e carisma, non è che ci accomodiamo troppo sulle tradizioni, sulle strade già intra-prese che ci mantengono lontani dai pericoli?” P. Sandro Faedi, Missionario della Consolata, prima in Venezuela e ora in Mozam-bico, parla di questo Paese. Sono arrivate le multinazionali nord e sudamericane

in Mozambico, ma per fortuna sono arrivati anche molti missionari, e non insieme a queste! Se le multinazionali succhiano le risorse, il missionario latinoamericano arriva per mettersi dalla parte della gente. Attenti però a una missionarietà fatta di corsa, con il passaporto sempre in mano. Il missionario rischia di essere l’uomo degli impegni, frequentatore di aeroporti, di corsi di formazione, di settimane di esercizi spirituali. Preti, suore e laici locali sono invece frequentatori di incontri con la gente, anche partecipando a momenti di vita sociale come i funerali e i matrimo-ni. Questo si nota, e fa la differenza: la missione non può prescindere dallo stare con le persone, dal camminare con il loro passo, anche se è molto diverso dal nostro. La missione deve rivelare il volto del Padre, in una Trinità che dal Padre va al Figlio, e attraverso lo Spirito dal Figlio, alla Chiesa. Una missionarietà solo del “fare” non porta da nessuna parte. La grande risorsa che abbiamo, è stato più volte ripetuto al CAM 4, è il Vangelo, ossia rivelare attraverso il Figlio il volto del Padre, nello Spirito che ci ha lasciato e che anima la Chiesa. È questo il centro della missionarietà che la chiesa americana vuole “blindare” per farne tesoro nell’aprirsi con decisione al mondo. I problemi sono molti. Darsi al mondo nella povertà quando intere regioni latinoamericane rimangono senza Eucaristia per molti mesi all’anno per mancanza di preti è più facile a dirsi che a farsi. Ma la strada è tracciata e nessuno ha intenzio-ne di tornare indietro.

LA GIOIA DELLA MISSIONEprimo piano

Servizi di Alberto Brignoli e Paolo Annechini

Tanti giovani entusiasti di fare missione e nuove strade da percorrere: non più solo consacrati per la missione, ma anche laici e nuove forme di partecipazione

NotiCUMn.1 - gennaio 2014

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LA GIOIA DELLA MISSIONE

Parole di Vangelodi Giandomenico Tamiozzo

La gioia del Vangelo

Fin dall’inizio il vangelo è stato sorgente di gioia. Lo capiamo dalle parole dell’angelo ai pastori: “ecco vi annuncio (euanghello: evangelo) una grande gioia che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvato-

re che è Cristo Signore” (Lc. 2,11). Da allora, questo annuncio ha portato gioia a tutti coloro che ne sono venuti in contatto: anzitutto a Maria e Giuseppe, e poi alla cu-gina Elisabetta e a Zaccaria, ai pastori e ai magi, e ancora al vecchio Simeone con la profetessa Anna, e via via fino ai fortunati primi discepoli, e alle folle che sentivano apprezzare la loro umiltà e povertà, la bontà d’animo, la misericordia, la giustizia, la pace, come valori degni di essere vissuti da quanti desiderano il Regno di Dio. Una gioia, quella del vangelo, che si diffuse a macchia d’olio non solo in terra di Palesti-na, ma in tutto il mondo dell’impero romano, grazie all’annuncio coraggioso che gli apostoli portarono in ogni angolo della terra e che ancora continua a fiorire dove il vangelo viene riaccolto e vissuto. Una gioia che fu anche combattuta, per quello strano intreccio di opposizione tra luce e tenebre, ma che niente e nessuno riuscì a bloccare. Fa sempre bene ricordare l’esperienza dei martiri, che andavano incontro al supplizio cantando o pregando o lodando Iddio. Esperienza questa, vissuta an-che da Pietro e Giovanni, che “se ne tornarono a casa pieni di gioia per essere stati fatti degni di percosse per il nome di Gesù”. La gioia di cui parliamo noi, che non va confusa con la gioia superficiale dei piaceri o delle facili illusioni, e che non disde-gna, anzi che aiuta a capire e valorizzare le gioie semplici della vita, è la gioia della fede che sgorga dalla consapevolezza di essere amati e salvati da Dio.L’esortazione apostolica di papa Francesco (Evangelii gaudium), uscita in questi gior-ni, è un dono inatteso e graditissimo, all’insegna della gioia cristiana, di cui tanto sentiamo tutti il bisogno. In questo testo, il papa ha sintetizzato i contenuti del sinodo dei vescovi sul tema della nuova evangelizzazione, tenuto a Roma nell’ot-tobre del 2012, dal titolo “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede”. Papa Francesco dedica tutto il n. 5 dell’esortazione a un elenco di testi del Nuovo Testamento sul tema della gioia cristiana, e che riportiamo: “Il Vangelo, dove ri-splende gloriosa la Croce di Cristo, invita con insistenza alla gioia. Bastano alcuni

esempi: «Rallegrati» è il saluto dell’angelo a Maria (Lc 1,28). La visita di Maria a Elisa-betta fa sì che Giovanni salti di gioia nel grembo di sua madre (cfr Lc 1,41). Nel suo canto Maria proclama: «Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore» (Lc 1,47). Quando Gesù inizia il suo ministero, Giovanni esclama: «Ora questa mia gioia è piena» (Gv 3,29). Gesù stesso «esultò di gioia nello Spirito Santo» (Lc 10,21). Il suo messaggio è fonte di gioia: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). La nostra gioia cristiana scaturisce dalla fonte del suo cuore traboccante. Egli promette ai discepoli: «Voi sarete nella tristezza, ma la vo-stra tristezza si cambierà in gioia» (Gv 16,20). E insiste: «Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia» (Gv 16,22). In seguito essi, vedendolo risorto, «gioirono» (Gv 20,20). Il libro degli Atti degli Apostoli narra che nella prima comunità «prendevano cibo con letizia» (2,46). Dove i discepoli passavano «vi fu grande gioia» (8,8), ed essi, in mezzo alla persecuzione, «erano pieni di gioia» (13,52). Un eunuco, appena battezzato, «pieno di gioia seguiva la sua strada» (8,39), e il carceriere «fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per aver creduto in Dio» (16,34). Perché non entrare anche noi in questo fiume di gioia?”. Con questa domanda di papa Francesco concludiamo il nostro discorrere per lasciarci pene-trare anche noi nuovamente dal vangelo come sorgente di una gioia che niente e nessuno ci può rubare e, allo stesso tempo, come stimolo per condividere con altri quel vangelo che è dono di Dio per tutti, nel ministero di una chiesa che è invitata a tenere le porte aperte, che non si lascia intorpidire dalle lusinghe mondane, una chiesa povera per i poveri, una chiesa rappresentata da persone non dal volto triste e scoraggiato, ma da evangelizzatori abitati dallo Spirito, una chiesa che sa dire parole che facciano ardere i cuori, che non si perda nelle cose di minor importanza, ma che si giochi nell’amore a Cristo e all’uomo, capace anche di denunciare le in-giustizie e i sistemi economici iniqui, che sappia offrire speranza e valori innovativi in una società in crisi culturale, una chiesa fervorosa, che non si lascia abbattere dal grigio pragmatismo della vita quotidiana, ma che cerca di rigenerarsi all’acqua pura della fede evangelica.

NON SI PUÒ ESSERE DISCEPOLI SE NON SI È MISSIONARI

Intervista con S.E. Mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone e inviato dalla CEI al CAM in quanto presidente della commissione per l’evangelizzazione dei popoli e lo scambio tra le Chiese

D. Mons. Spreafico, le prime impressioni dal CAM. Cosa le sem-bra?Sono contento di essere qui, mi ha colpito fin da subito l’im-

magine di popolo. Sia nella celebrazione iniziale sia nelle mattinate di convegno è stato un aspetto che ho rilevato con costanza. L’ingresso delle varie immagini della Madonna, come pregata e venerata nei di-versi luoghi latinoamericani, provoca e fa riflettere su come mondi profondamente diversi tra loro, gli indigeni, gli afro, i meticci… con lingue e culture differenti, nel cristianesimo hanno trovato identità. Un cristianesimo che ha saputo accogliere le culture latinoamericane e innestare in loro attraverso il vangelo motivi di profonda trasfor-mazione. In questo mondo globalizzato questa religiosità popolare ha una sua forza e certamente conferisce identità. In questi giorni di partecipazione al CAM la preghiera iniziale, il modo di pregare ameri-cano, mi ha colpito molto.

D. Discepola e missionaria, questo è ciò che vuole essere la chiesa mis-sionaria latinoamericana. Trasportiamolo in Italia: cosa vuol dire per la nostra Chiesa essere missionaria?Ascoltando le relazioni di questi giorni ho pensato come la globalizza-zione uniformi mondi anche molto lontani. Le problematiche sociali che ho sentito affrontare in questi giorni potrebbero benissimo esse-re le nostre problematiche. Qui forse aggravate da problemi sociali più marcati dalla violenza, dal narcotraffico e da altre piaghe sociali. Discepoli e missionari, è un messaggio bello e avvincente: se non si è discepoli non si è missionari. Il discepolo non può essere individuali-sta: è nella Chiesa ed è missionario. Le chiese autoreferenziali, malate di se stesse, inaridiscono e rischiano di sparire. Nel nostro mondo che ha dato i natali a migliaia di missionari, vedo chiusure, vedo perdere il legame con la realtà, vedo messaggi che non incidono più nella re-altà con la passione di un discepolo, che cresce perché è missionario, portatore di un messaggio bello e avvincente.

D. Papa Francesco: In questi giorni è a contatto con l’episcopato lati-noamericano, nel quale ha vissuto. Incontrando questa Chiesa latino-americana come rilegge la figura di papa Francesco?Mi collego a quanto ho affermato all’inizio, ovvero l’essere Chiesa di popolo. È un’immagine che combatte l’individualismo imperante: non ci si salva da soli, dice l’enciclica Spe Salvi. Qui al CAM si coglie perfettamente cosa il Papa intenda quando parla di non essere Chie-sa autoreferenziale ma vivere un cristianesimo che mentre si comuni-ca si rafforza. E poi i giovani. Questa è una Chiesa giovane, la maggior parte dei 3000 partecipanti al CAM è giovane. I giovani guardano al futuro con speranza, con gioia. I giovani lottano per conquistarsi la vita, magari vivendo in situazioni economiche molto peggiori del-le nostre. Per ultimo, lo sguardo non giudicante ma misericordioso, senza condanna. In questo mondo, soprattutto l’Europa, rassegnata e vittimista, il Vangelo deve dare gioia piena e speranza.

Il discepolo non può essere individualista: è nella Chiesa ed è missionario. Le Chiese autoreferenziali, malate di se stesse,inaridiscono e rischiano di sparire

primo piano

NotiCUMn.1 - gennaio 2014

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NUOVE PROSPETTIVE MISSIONARIEIntervista con il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e inviato da papa Francesco al CAM 4

D. Eminenza, quali impressioni trae da questo congresso missionario ameri-cano?Innanzitutto che non è un’iniziativa improvvisata. Si coglie dai contatti con

la gente e dai contenuti del congresso che è stato ben preparato in questi anni. Hanno una gestazione lunga questo tipo di iniziative: qui arrivano persone che sono molto attive nelle rispettive comunità e che hanno una preparazione speci-fica in campo missionario. Ho trovato l’entusiasmo tipico di queste nostre chiese latinoamericane, in particolare, un forte senso della missione che forse in passato non era vissuto in termini di missione ad gentes, ma solo di missione ad intra, rife-rita più alle necessità locali. Questa spiccata apertura è una novità, mi par di capire.

D. Siamo nel contesto di una nuova evangelizzazione anche per l’America: conti-nua l’ad gentes a essere il paradigma della vita di Chiesa? Si, e il Vaticano II rappresenta lo spartiacque con il sistema storico di evangelizzare che faceva leva sugli istituti religiosi missionari (sono sorte tra la seconda metà e la fine del XIX secolo non poche congregazioni appositamente istituite per questo, che hanno offerto innumerevoli vocazioni maschili e femminili per l’Africa, l’Asia, l’America Latina). Oggi ci troviamo di fronte ad una diminuzione di questi istituti, ma la passione per la missione non è venuta meno, non è calata. Il problema oggi è come rispondere alle nuove realtà e a contesti profondamente cambiati: la dimi-nuzione della natalità e quindi delle vocazioni, la facilità nelle comunicazioni; il mis-sionario un tempo partiva e sapeva che non tornava più. Che tipo di missionarietà possiamo sviluppare? Questo è il punto fondamentale. Ora credo che ci siano degli elementi che possono farci pensare a nuove forme di sviluppo dell’evangelizzazio-ne, che non è solo quella di tipo tradizionale con sacerdoti, missionarie, religiosi/e, ma c’è anche un coinvolgimento forte da parte dei laici. E questo aspetto nuovo non è tanto quando il laico si muove da solo, parte e va, ma è quando si creano del-le équipe, dei gruppi, delle diocesi che accompagnano queste esperienze. Questo vale per l’America, ma vale ancora di più per noi europei: il vecchio mondo cristia-no europeo inizia a trovare delle formule interessanti che andrebbero sostenute e sviluppate.

LA GIOIA DELLA MISSIONEprimo piano Ho trovato l’entusiasmo

tipico delle chiese latinoamericane, un forte senso della missione che forse in passato non era vissuto in termini di missione “ad gentes”, ma solo di missione “ad intra”, riferita più alle necessità locali‘

IL CAM 5 IN BOLIVIA NEL 2018

È stato un tripudio quando alla fine della celebrazione di chiusura del Cam 4, come di consueto, è stato annunciato il paese ospitante il prossimo Cam. Sarà la Bolivia ad ospi-

tare il CAM 5- COMLA 10, nella città di Santa Cruz, nel mese di luglio 2018. A ricevere il testimone, S.E. mons. Oscar Aparicio, presidente della Conferenza Episcopale Boliviana, e S.E. mons. Eugenio Scarpellini, vescovo di El Alto.

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LA GIOIA DELLA MISSIONE

primo piano

Benedetto sia Dio Padre amoroso e misericordioso, che è uscito da se stesso per comunicarsi agli esseri umani e vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino a conoscere la verità (1tm 2,4) e che ha creato l’essere umano come l’anello ulti-

mo per conoscere questa verità e arrivare alla pienezza della sua vita (cfr Ad Gentes, 8).Grazie, padre di tutti i popoli per riunire i diversi paesi e culture che compongono la nostra America in questo IV Congresso Americano Missionario, realizzato in Ma-racaibo dal 26 al 30 di novembre 2013. Lo slogan era: “America Missionaria condividi la tua fede” e il tema “Discepoli e missionari di Gesù Cristo dall’America in un mondo secolarizzato e multiculturale”. Culture indigene, contadine, afroamericane, urbane, suburbane, meticce e migranti si sono riunite per condividere esperienze e disegna-re cammini di evangelizzazione inculturata e interculturale.Lodato sia Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, inviato dal Padre, che annunciò il Regno di Dio con parole e gesti e che, una volta resuscitato, inviò i suoi discepoli a continuare la sua missione. Egli ci segue, inviando tutti - ordinati e laici, consacrati e famiglie, bambini, giovani e adulti - ad annunciare la Buona Notizia del suo Regno di fratellanza e giustizia e a fare discepoli tutti i popoli.Sia glorificato lo Spirito Santo inviato da Gesù. Lui, protagonista della evangelizza-zione, ci invita a continuare con impegno e creatività la missione di Gesù nei diversi tempi, situazioni e culture. Rendiamo grazie a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo per questi giorni di convivenza, riflessione, preghiera e proposte di azione per e dalle chiese particolari della nostra America. Cinque relazioni, 22 ambiti di studio, celebrazioni liturgiche e diversi testi-moni missionari hanno dato nuovo impulso per continuare avanzando nel nostro impegno di evangelizzazione verso dentro (inter gentes) e verso fuori (ad gentes). Gli ambiti di studio si sono organizzati attorno a cinque assi tematici: discepolato, conversione, secolarizzazione, multiculturalità e missione ad gentes. Benedetto sia per il Santo Padre Francesco, primo papa latinoamericano, che ci ha inviato un caloroso messaggio nel quale si rallegra per la trascendenza di un Con-gresso che contribuirà a dare un nuovo impulso alla missione Continentale promos-sa da Aparecida. Benediciamo il Signore per l’esortazione apostolica Evangelii Gau-dium (l’allegria del vangelo) nella quale il Papa ci invita a iniziare una nuova tappa di evangelizzazione, segnata dall’allegria che nasce e rinasce nell’incontro con Gesù.Grazie Signore per la presenza del cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congre-gazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e delegato straordinario del Santo Padre. Egli ha reso presente in mezzo a noi la persona di papa Francesco e il suo nuovo stile di Chiesa, ricordandoci che la missione ad gentes è compito di tutta la Chiesa.Insegnaci Signore ad osservare questo mondo che cambia, plurale e complesso, con speranza e amore, con profondità e profezia. Aiutaci ad incontrare nella Parola di Dio, centro della vita e della missione della Chiesa, una risposta a un mondo indivi-dualista che sembra vivere senza senso. Gesù è Parola di Dio incarnata. La Parola di Dio è una parola che informa e forma, che comunica un progetto di valori rivelato in Gesù in modo efficace e potente e che ci fa vedere con gli occhi di Gesù e ci rende capaci di trasformare il mondo. Fa’ Signore che noi comprendiamo che la missione fa la Chiesa, che ci rendiamo conto che è una sfida teologico-spirituale e che essa si origina all’interno della co-munità trinitaria che, per amore, esce da se stessa per relazionarsi con l’umanità. La fede nell’incarnazione implica entrare nelle culture. La fede nella resurrezione porta a evangelizzare a partire dalle culture. Pentecoste rende possibile l’incontro parita-rio e arricchente delle diverse culture. Fa che le nostre Chiese vivano una comunione al servizio della missione e siano missionarie, profetiche, liberatrici. Che la Chiesa, pellegrina in America, sia una Chiesa che si metta in cammino, una Chiesa del dia-logo, che opti per i poveri, testimoniale e in permanente conversione personale e

strutturale. In questa Chiesa missionaria la vita religiosa consacrata si concepisce come una missione mistica, simbolica e profetica. Essa è missionaria ad gentes per natura (Ad Gentes, 2).Spirito di Dio, dacci valore e creatività per realizzare nelle nostre comunità gli orien-tamenti pastorali assunti in questo Congresso Americano Missionario:- a livello di discepolato missionario: ci proponiamo di ringraziare e esprimere me-glio che possiamo tutto ciò che ci è successo nella vita, l’avere incontrato Gesù Cri-sto facendoci discepoli missionari e rinnovando il compromesso e la gioia di farlo conoscere;- a livello di conversione: conversione ecclesiale a tutti i livelli, dall’ascolto della pa-rola che ci porta a una comunione ecclesiale che promuova una pastorale profetica che denunci l’ingiustizia;- a livello di secolarizzazione: sviluppare un cambio di atteggiamenti e di mentalità in tutte le strutture umane; un nuovo sguardo delle relazioni; evangelizzazione dal volto umano, includendo dialogo e rispetto con i governanti e le società per por-tare avanti lo sviluppo umano, sia per l’area rurale che per la città, in ogni ambito della vita politica, economica, sociale, culturale e ecologica. Dando priorità alla for-mazione in tutte le strutture ecclesiali e sociali per dare nuovo impulso allo spirito missionario;- a livello di pluriculturalità: promuovere l’interculturalità attraverso un avvicina-mento rispettoso alla diversità, che illuminata con il Vangelo ci porti a promuovere azioni pastorali liberatrici, centrate sul diritto e sulla pertinenza culturale, rivitaliz-zando mediante la liturgia inculturata la formazione di agenti di pastorale e il lavoro apostolico con la realtà sociale, politica, economica e culturale l’annuncio del van-gelo in comunità escluse, impoverite e marginalizzate. Perché i nostri popoli indige-ni, afro e culturalmente emarginati abbiano vita e vita in abbondanza; - a livello di Missione Ad Gentes: le conferenze Episcopali nell’arco di 5 anni assu-mano un impegno di missione e mandino religiose, religiosi, sacerdoti e laici. Per questo devono promuovere la formazione alla missione universale per tutti i cor-responsabili della pastorale attraverso itinerari di formazione. Questo richiederà la creazione di strutture economiche che permettano di inviare e ricevere missionari.

Che la Vergine di Guadalupe, san Juan Diego, Santa Teresina del Bambino Gesù, San Francesco Saverio illuminino la nuova tappa evangelizzatrice alla quale ci invita il papa Francesco: America missionaria, condividi la tua fede!

Maracaibo, 29 novembre 2013

primo pianoMESSAGGIO FINALE

DEL CAM 4 – COMLA 9

Racconti di Fidei Donumdon Felice Tenero - Fidei Donum in BrasileLa Chiesa che sogniamo

Un vento nuovo soffia nella chiesa. Si spalancano porte e finestre e un’aria primaverile circola fra le vecchie mura dei palazzi curiali. Uno spirito nuovo rivolge parole antiche ad una cristianità un po’ stanca e delusa. Parole che vengono da molto lontano, da una chiesa che ha fatto della scelta dei poveri la sua strada mae-

stra, delle comunità ecclesiali di base il suo terreno di vita, della profezia e giustizia il suo servizio all’umanità e della pratica del martirio la sua lettera di presentazione. Papa Francesco viene da questa chiesa ed è frutto di questa chiesa. E ne siamo felici! Il suo volto di ‘pastore’ porta i tratti caratteristici di molti altri ‘pastori’ che hanno sognato, pregato e lavorato per una chiesa più evangelica, una chiesa che si vesta solamente della tunica del Vangelo e calzi ai piedi i sandali della povertà. Già alcuni decenni fa Dom Herder Camara, che è stato arcivescovo di Recife, grande metropoli nel Nordest del Brasile, manifestava apertamente una passione profonda per questa Chiesa “povera e serva”. Quando ne parlava, sconfinava nel sogno: i vescovi dell’America Latina, così scriveva da Roma, durante le quattro sessioni del Concilio Vaticano II, «si liberino delle terre della Chiesa donandole con intelligenza ai poveri; si pongano apertamente, decisamente e senza eccezioni dalla parte delle riforme strutturali; stimolino i movimenti per la nonviolenza affinché esercitino una pressione democratica che aiuti a vincere l’inerzia e l’egoismo dei poteri economici; stimolino lo sviluppo cercando di assicurargli un senso umano e cristiano, al fine di salvaguardare la dimensione umana nei piani d’investimento e di preparare l’uomo allo sviluppo attraverso programmi educativi che portino le masse subumane a trasformarsi in popoli […]» (Roma, due del mattino. Lettere dal Concilio Vaticano II, Cinisello Balsamo [mi] 2008) (p. 336).

>Prosegue

NotiCUMn.1 - gennaio 2014

Racconti di Fidei Donumdon Felice Tenero - Fidei Donum in Brasile

E,di sogno in sogno verga, di getto, una pagina vibrante, che vale la pena leggere. “Ieri — scrive — mi hanno chiesto quale sarebbe la prima cosa che farei se fossi Papa. Ho iniziato ricordando loro che non è per niente facile essere Papa. È difficilissimo. È difficile persino essere arcivescovo. Non so cosa riuscirei a fare. Ma so cosa

avrei voglia di realizzare. Mi insedierei in piena Piazza San Pietro. Direi al popolo e al mondo che, in linea con Paolo VI che ha do-nato la sua tiara per non essere e non voler essere mai più un Re di questo mondo, in quell’istante, per una questione di coscienza, vorrei dire ai Paesi che hanno accreditato ambasciatori presso la Santa Sede che, malgrado il Papa ci tenga a mantenere sempre ottime relazioni personali con tutti i popoli, ormai non hanno ragion d’essere né gli ambasciatori in Vaticano, né i nunzi presso i governi. E ancora, comunicherei la decisione di trasformare il Vaticano in semplici Museo e Biblioteca, affidati a un’istituzione internazionale che si impegnasse a mantenere questi organi al servizio della cultura (il prezzo dell’affitto sarebbe impiegato per i poveri). Manie di Povertà!... Affinché la Chiesa sia serva come Cristo, affinché non offra al mondo lo scandalo di una Chiesa forte e potente che si fa servire, mi sembra fondamentale questo inizio d’inizio da fare subito, il primo giorno. Vi rendete conto di che rivoluzione sarebbe? [...]. Da lì alla riforma della Curia romana sarebbe un passo. Nella misura in cui sarà vissuta la collegialità e l’atteggiamento verso i vescovi smetterà di essere di sfiducia e di sorveglianza, la Curia potrà essere molto semplificata […]. Le spese scenderebbero moltissimo: senza nunziature né nunzi; senza il Vaticano da mantenere; con il decentramento effettivo del governo della Chiesa, il Papa potrebbe togliersi dall’imbarazzo dei beni che scandalizzano tanto. Forse il prestigio del Papa crolle-rebbe. Ma è essenziale che abbia prestigio? Essenziale è che faciliti alla gente l’identificazione fra Cristo e il suo rappresentante di-retto e immediato sulla terra. Essenziale è che l’umanità non veda nella Chiesa un Regno in più, un Impero in più […].» (pp. 381 s).Oggi, dopo più di cinquant’anni, gli fa eco Papa Francesco con queste parole: “«Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a uno gravemente ferito se ha il colesterolo e la glicemia elevati! È necessario guarire le ferite. Poi, si può parlare di tutto il resto”. “La Chiesa” – continua – “a volte è chiusa in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante, piuttosto, è il primo annuncio: ‘Gesù ti ha salvato!’. Pertanto, i ministri della Chiesa, in primo luogo, devono essere ministri di misericordia, le riforme strutturali e organizzative sono secondarie, vale a dire, vengono dopo, la prima riforma dovrebbe essere l’atteggiamento. I ministri del Vangelo devono essere persone in grado di scaldare il cuore della gente, camminare con loro durante la notte, dialogare e anche entrare nella “loro” notte senza perdersi nel buio” (Civiltà Cattolica: intervista a papa Francesco). In Brasile, parlando ai vescovi latinoamericani, ha chiesto loro di fare la “rivoluzione della tenerezza”. Ne saremo capaci?

Dalla pagina precedente

LA GIOIA DELLA MISSIONErubriche

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“MISSION” E LA RAILe riviste missionarie aderenti alla FESMI diffondono un comunicato sull’utilità del programma trasmesso da Rai Uno

Il programma Mission, andato in onda in prima serata su Rai Uno il 4 e il 12 dicembre ambientato nei campi profughi in Medio Oriente, Africa e America Latina,

ha aiutato a far conoscere meglio al grande pubblico la realtà drammatica dei rifugiati. Le testimonianze, le storie di dolore, di violenze subite e raccontate ai noti personaggi televisivi hanno toccato certamente la sen-sibilità dei telespettatori, i quali hanno potuto verifica-re le terribili condizioni di vita di centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini costretti a fuggire dal loro paese d’origine. Sincera è apparsa la testimonianza dei promotori uma-nitari dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) e di Intersos che si prodigano gior-nalmente, in condizioni spesso difficili, per alleviare le sofferenze dei profughi e provvedere una accoglienza almeno decente.

Ma era necessario anche mettere in evidenza nel programma televisivo quali sono gli interessi e i fattori economici, politici e geostrategici che scatenano conflitti e causano l’esodo in massa di milioni di profughi.L’assenza di un’analisi di questo tipo non ha affatto aiutato i telespettatori a capire come le guerre nei vari paesi toccati dal reality show facciano guadagnare i commercianti di armi, chi le produce, le banche che si prestano nelle transazioni della compravendita di armi e i paesi interessati a tener vivo questo business.Senza questa essenziale informazione, il programma Mission ha sollecitato il pubblico a gesti di carità ma ha ridotto l’impegno a un buonismo sterile che serve solo a superare il nostro senso di colpa. Non è stato capace, invece, di invitare i telespettatori a un impegno di pace, a individuare le cause e le complicità che protraggono questi conflitti.Un servizio pubblico, com’è quello della Rai, non può quindi limitarsi a una sensibilizzazione generica del-la drammatica realtà dei profughi. Deve, innanzitutto, offrire un’informazione critica che porti a un impegno politico e a prese di posizione concrete, in grado di con-tribuire a risolvere alla radice le cause della guerra.

Un servizio pubblico deve offrire un’informazione critica che porti a un impegno politico e a prese di posizione concrete

L’assenza di un’analisi non ha aiutatoi telespettatori a capire come le guerre facciano guadagnare i commercianti di armi, chi le produce, le bancheche si prestano nelle transazioni della compravendita di armi e i paesi interessati a tener vivo questo business

NotiCUMn.1 - gennaio 2014

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LA GIOIA DELLA MISSIONE

TRAGEDIA E SOLIDARIETÀUna riflessione dei missionari a un mese dal tifone Haiyan

Questa è una semplice riflessione, da non-esperto, fatta a un mese dall’arrivo del Super-tifone Haiyan, con le sue terribili devastazioni, i morti per le strade, la gente che aspetta aiuti, la confusione. Ha spazzato via non solo più di 5000 persone, ma centinaia di case, magliaia

di ettari di riso, noci di cocco ecc. I giornali e TV locali e anche le TV Internazionali - CNN, BBC, Al Jazeera... - hanno mostrato le immagini della devastazione. Si sono visti i limiti di preparazione del governo filippino, l’incompetenza dei leader e la mancanza di mezzi e di coordinamento nel gestire una situazione d’emergenza senza precedenti come vastità e disperazione. Questo ha portato a ritardi nell’arrivo di aiuti e soccorsi alle vittime rimaste senza niente. Comunque si deve ammettere che sin dalle prime ore si è visto pure il meglio dell’animo filippino. Non solo l’impegno della Chiesa che si è mossa con varie iniziative promosse da Caritas Manila, dalle Diocesi e Congregazioni reli-giose, ma anche il cuore grande, la solidarietà, la collaborazione (Bayanihan) e generosità di tanti filippini, giovani e anziani, ricchi e poveri, che hanno donato soldi, viveri, vestiti, o hanno lavorato per giorni nei centri di raccolta per preparare i pacchi e portarli sul posto. Compagnie hanno rinun-ciato a celebrazioni e regali di Natale in solidarietà con la popolazione sofferente. Anche la nostra povera gente di Tondo non è stata a guardare! Gruppi e società si stanno già programmando col governo per la ricostruzione.È triste vedere gente che ne approfitta; ci sono stati casi di sciacalli e gente che ha saccheggiato case e negozi, compresi i depositi di riso del governo (NFA), ma è pure vero che tanti osservatori stranieri sono stati colpiti dal carattere, dalla fede, dalla pazienza e capacità di sopportare emersa tra le popolazioni colpite. Anderson Cooper, un giornalista di CNN che al momento dell’arrivo del ti-fone si trovava in Tacloban e lì ha speso la prima settimana visitando aree devastate di Leyte, Samar e Cebu, ha scritto: “Quando tutto il resto è tolto, rotto e malconcio, intriso di crudo, spogliato nudo, si vede la verità. Si vede la gente come realmente è. Questa settimana a Tacloban, Samar e Cebu, in mezzo a fame e sete, caos e confusione, abbiamo visto il meglio del popolo filippino. La loro forza, il loro co-raggio, io non riesco a levarmelo dalla mente. Immaginate la forza che ci vuole per una madre a cercare da sola i suoi bambini scomparsi, la forza di dormire sulla strada vicino al corpo del vostro bambino”. Credo che questa tragedia sia stata una grande lezione per il popolo filippino. Mi chiedo se sia solo una realtà emotiva di passaggio, che magari col passare del tempo e della bufera si rischia di di-menticare, e si va avanti come prima, o se realmente tocca il cuore e aiuta a crescere come persone e come credenti. Diventa una sfida alla nazione, una chiamata ad affermare e a vivere certi valori! Chiaramente le Filippine, specie le zone colpite, avranno bisogno di tanto aiuto per tornare in piedi e credo che la sfida per noi sia di non dimenticarli quando i fari delle TV saranno spenti e la loro sto-ria non farà più notizia. Come diceva il nostro Delegato p. Rey Daguitera, nel nostro piccolo, come Delegazione, stiamo valutando non solo come mandare cibo e vestiti e rispondere all’emergenza, ma soprattutto come impiegare bene gli aiuti che raccogliamo e arriveranno dai benefattori, attra-verso piccoli progetti mirati alla ricostruzione, anzitutto là dove sono presenti e operano i nostri Confratelli in Samar, in coordinamento con le Canossiane e con le diocesi. Ancora grazie a tutti coloro che ci seguono e ci aiutano.

p. Carlo Bittantecanossiano, missionario nelle Filippine

QUESTA È LA NOSTRA MISSIONE

Carissimi,un impegno straordinario di questi ultimi mesi è stata la lunga sessione di formazione dei cate-chisti venuti dalle parrocchie della nostra zona pastorale. Per l’esattezza erano 58! Tutti uomini di una certa età; già con parecchi anni di servizio come educatori e animatori delle Comunità Cristiane.Per la maggioranza di loro si trattava della prima esperienza di formazione “mirata” al loro servi-zio pastorale. Il che significa che per anni si sono impegnati a sostenere le loro Comunità ricchi soltanto di una forte motivazione spirituale e attrezzati di quelle nozioni essenziali ricevute al Catechismo da ragazzi.Ma vi rendete conto? Questo è il miracolo che ha fatto crescere e tiene viva la Chiesa Africana fino dall’inizio della sua esistenza. Semplici fedeli, sposati con famiglia e impegnati a guadagnarsi da vivere come qualsiasi altra persona, trovano il tempo e la forza di animare la loro Comunità cristiana, di guidare la Preghiera domenicale, di preparare ragazzi e adulti al Battesimo e agli altri Sacramenti importanti. I tratta di autentici “Padri della Fede” (in lingala li chiamano “Ba-tatà wa Boyambi”), che sanno tenere vive le Comunità cristiane anche dove i Sacerdoti arrivano solo raramente.

Questa è la Missione che stiamo vivendo! Per questo Vangelo, per questa Buona Notizia che Dio ci ama e ci vuole tutti in comunione con Lui, noi Missionari stiamo spendendo la vita “con gioia e con amore”.Per questo tesoro prezioso abbiamo scelto di lasciare quanto di più caro si può avere nella vita e deciso di vivere in fraternità con chi deve ancora scoprire l’Amore di un Dio che si è fatto compa-

lettereFILIPPINE

Manila, Dicembre 2013

R.D. CONGODondi,

novembre 2013

gno di cammino e di lotta in un mondo pieno di difficoltà enormi.Noi lo facciamo volentieri. Anche a nome vostro. E il vostro soste-gno ci conforta davvero. Ma se volete davvero essere felici come noi, trovate un attimo di tempo per vedere se quel “tesoro” che vi è stato affidato tanti anni or sono, non sia per caso sepolto sotto mille cose inutili. O peggio ancora perso per strada. Abbiate il co-raggio di buttare all’aria la casa del vostro cuore, di liberarvi da ciò che vi impedisce di vivere con serenità quel Vangelo di Gesù che per tanti anni ha illuminato il cammino della vostra giovinezza.Non rassegnatevi ad una Fede mediocre. Non serve a nulla. Non lasciatevi derubare della gioia di vivere in amicizia con il Signore. Altrimenti cosa racconterete di bello ai vostri ragazzi che il Signo-re continua a regalarvi e che vi faranno domande intelligenti sul senso della vita?

Un abbraccio forte e a presto!

P. Gianni Nobilimissionario comboniano

NotiCUMn.1 - gennaio 2014 LA GIOIA DELLA MISSIONE

Africa

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NON ESISTONO!Sono 250 milioni di bambini, nel mondo, che non risultano iscritti ad alcun registro anagraficoUgo Piccoli

Il Natale appena passato ci ha ricordato l’inizio della vi-cenda umana di Gesù, nato a Betlemme in una capan-na, ignorato da tutti ma non dalle persone più umili e

intellettualmente più oneste ai quali Dio rivela i segreti più profondi dell’esistenza umana. Come sappiamo, Giuseppe e Maria si erano messi in marcia da Nazareth per il censimento che le autorità romane avevano previ-sto su tutto il territorio , censimento che come sappia-

mo non era andato a buon fine per Gesù visto che le paurose tresche di Erode non seppero dargli un volto preciso. Gesù ignorato dunque, così come oggi nel mondo “non esistono” 250 milioni di bambini che non risultano su nessun registro anagra-fico e vivono fuori dalla storia ufficiale dei popoli ma non dallo spazio affettivo del loro ambiente. In occasione del 67° anniversario della sua fondazione, l’Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, ha reso noto un rapporto particolareggiato condotto in 161 Paesi sulla situazione anagrafica dei bambini fino ai cinque anni di età nel mondo, rapporto dal quale si evince che almeno un terzo dei piccoli nati non sono iscritti da nessuna parte e quindi ufficialmente non esistono. Il rappor-to, intitolato “Diritto di ogni bambino alla sua nascita, disuguaglianze e tendenze nella registrazione delle nascite”, afferma che “malgrado il tasso di registrazione sia aumentato dal 55 al 70% è un fatto che secondo le inchieste EDF-Minsc 2005-2011 solo per il 60% dei bambini esiste un regolare certificato di nascita”! Pur riconoscen-do che gli Stati, soprattutto quelli istituzionalmente ed economicamente più fragili, hanno fatto e stanno facendo sforzi enormi nel campo dell’assistenza e della scola-rizzazione infantile, bisogna anche ricordare che, continua l’Unicef, “ affinchè ogni bambino venga preso in considerazione è assolutamente indispensabile che esso abbia accesso al primo dei suoi diritti, ad avere cioè un’esistenza riconosciuta attra-

verso un’identità certa registrata allo stato civile, qualunque sia il suo statuto o la sua situazione materiale”. Elementare! Consapevole di questo problema, l’Unicef sostie-ne i Centri Nazionali di Stato Civile, una nuova formula progettuale e organizzativa per facilitare alle strutture pubbliche il compito di registrare tutti i suoi cittadini. Non è semplice, ovviamente, per motivi vari, alcuni legati alla debolezza organizzativa ed economica di certi Stati, ma anche per altri più propriamente culturali, soprattutto laddove le strutture pubbliche devono “lottare” contro una specie di resistenza pas-siva in un contesto sociologico particolare nel quale “ si contano gli animali e le cose, ma viene considerata una peccaminosa violenza contare i figli che appartengono a Dio”. Come conciliare questo con le perentorie affermazioni di Geeta Rau Gupta, direttrice generale esecutiva dell’Unicef, secondo la quale invece “ le società potran-no essere eque e inclusive solo se tutti i bambini saranno conteggiati alla nascita, e questo sia per il loro benessere personale che per il benessere di tutta la comunità di cui fanno parte”? Mettere d’accordo queste due “tendenze” è una sfida non da poco perché in molti casi, aldilà delle contingenze organizzative, si scontrano due mondi “alternativi” nei quali modernità razionalista e tradizione sembrano non avere punti di contatto. Dare un’occhiata ai dieci Paesi a più basso tasso di registrazione anagra-fica ci può aiutare a mettere a fuoco il problema: in Somalia solo il 3% dei neonati viene registrato in una struttura pubblica; in Liberia il quattro, in Etiopia il 7, in Zam-bia il 14, in Ciad il 16, cosi come in Tanzania, nello Yemen il 17, in Guinea Bissau il 24, in Pakistan il 27 e nella RDCongo il 28. Anche in questo settore, quindi, la presenza dei missionari e delle parrocchie è quanto mai preziosa. Attraverso di loro infatti, migliaia di bambini possono godere di una traccia di registrazione e di un’identità riconosciuta. Questo, oltre a permettere un’integrazione sociale più consapevole è anche il primo passo per contrastare efficacemente gli abusi sull’infanzia e il triste fenomeno della tratta minorile di cui molti bambini sono vittime.

2014 Anno dell’Agricoltura famigliareLa Comunità Internazionale ha decretato il 2014 come l’anno dell’Agricoltura famigliare, un settore poco valorizzato, almeno a livello dei media, ma che in-vece sappiamo essere l’asse economico portante sul quale vivono milioni di persone e che per questo soprattutto nell’Africa sub sahariana dovrebbe es-sere al centro di ogni politica economica, il cuore ispiratore di ogni intervento pubblico e privato. Servono investimenti, quindi, perché l’armonia e l’equilibrio sociale di intere comunità dipende da questo, da una sicurezza alimentare con-solidata su cui costruire quella rivoluzione verde che aumenti la produttività, preservi le risorse naturali e sappia gestire i cambiamenti climatici. Certo non mancano i problemi, legati soprattutto alla proprietà fondiaria che in molti Pa-esi africani è fonte di grossi conflitti che spesso paralizzano qualsiasi forma di crescita economica.

AfricaNews di Henry Piccoli

AFRICA

Violenze religiose ignorateLo Human Right Watch HRW, un’organizzazione mondiale specializzata nei di-ritti umani, ha reso noto che in Nigeria le autorità chiudono gli occhi sempre più spesso di fronte alle violenze etniche religiose che stanno insanguinando il Paese, nelle regioni del Plateau d di Kaduna. Le inchieste dell’HRW, pubblicate il 12 dicembre scorso, testimoniano che le autorità non sono mai riuscite a rom-pere il circolo della violenza dei Boko Haram e che in molti casi hanno preferito non intervenire ignorando tout-court la situazione. L’impunità nei confronti dei responsabili sarebbe quasi totale, nessuno paga mai per i massacri e rarissimi sono i casi in cui qualcuno viene tradotto in giustizia. Secondo Eric G., ricerca-tore nigeriano della divisione Africa dell’HRW, sarebbe proprio questa impuni-tà ad alimentare nuove violenze come risposta al complice immobilismo delle autorità.

NIGERIA

Affinchè ogni bambino venga preso in considerazione è indispensabile che abbia accesso al primo dei suoi diritti, ad avere cioè un’esistenza riconosciuta attraverso un’identità certa registrata allo stato civile

L’iscrizione anagrafica è il primo passo per contrastare gli abusi e il fenomeno della tratta minorile di cui molti bambini sono vittime

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LA GIOIA DELLA MISSIONE

Alla conclusione del 149° periodo di sessione, la com-missione interamericana dei Diritti Umani ha pubblica-to un comunicato nel quale ha analizzato la situazione

dei popoli indigeni e ha espresso profonda preoccupazione per il mancato riconoscimento a livello continentale dei diritti territoriali dei popoli indigeni e ha rinnovato l’appello agli sta-ti al compimento dei loro obblighi di consultare e di ottenere il consenso dei popoli indigeni nelle decisioni che in qualche modo li riguardino e li danneggino. Nelle varie udienze realizzate, la Commissione Interamericana ha ricevuto informazioni preoccupanti circa la situazione dei diritti umani dei popoli indigeni in vari paesi della ragione, in particolare riguardo alla minaccia e all’impatto dei progetti di sviluppo e investimento e delle concessioni alle imprese estrattive nei territori indigeni, alla criminalizzazione dei le-ader indigeni che difendono i loro territori, alla mancanza di misure effettive per la protezione dei popoli indigeni, all’im-patto del conflitto armato sui popoli indigeni in Colombia. La Commissione Interamericana ha ricevuto informazioni da parte dei rappresentanti dei popoli indigeni di Honduras, Ecuador e Colombia sugli effetti dei progetti di sfruttamento delle risorse naturali, che segnalano danni ambientali rilevan-ti, distruzione del territorio ancestrale, l’allontanamento di in-tere comunità, l’irruzione di attori non indigeni nel territorio, e in alcuni casi l’estinzione fisica e culturale dei popoli indigeni. Una particolare preoccupazione è stata espressa dalla Com-missione riguardo alla situazione dei popoli indigeni che vi-vono isolati in Perù, e i cui territori sarebbero minacciati, tra l’altro, dalle concessioni per lo sfruttamento di idrocarburi e dal taglio legale e illegale di alberi. I popoli che vivono isolati rischiano, al contatto con altre persone, non solo la perdita della loro cosmo visione e identità culturale, ma anche epide-mie che possono decimare i gruppi indigeni. La Commissione Interamericana ha visto con favore che il Perù stia dotandosi di una legge specifica che tutelerà i diritti di questi popoli, la “Legge per la protezione dei popoli indi-

geni o originari in situazioni di isolamento e di primo contatto”, anche se ha espresso la sua preoccu-pazione per la mancanza di meccanismi di protezione, come posti di controllo e sanzioni per ingressi abusivi nei territori dei popoli isolati. È necessario, per tutelare questi popoli, garantire il rispetto dei diritti umani, anche mediante l’adozio-ne di misure concrete ed effettive dirette alla protezione giuridica e fattiva dei loro territori.Nonostante l’esistenza nel continente di standard che stabiliscono gli obblighi degli stati membri della Organizzazione degli Stati americani di vegliare per il rispetto e le garanzie dei diritti dei popoli indige-ni, la Commissione ha espresso la sua preoccupazione per il disconoscimento generalizzato dei diritti territoriali dei popoli indigeni. I rappresentanti di questi popoli hanno denunciato spesso l’esistenza di una strategia di persecuzione e criminalizzazione dei leader indigeni, diretta a costringere al silen-zio e a scoraggiare gli indigeni nella difesa della loro terra e delle risorse naturali. La Commissione ha sottolineato l’aumento degli omicidi dei leader indigeni come rappresaglia alla lotta per proteggere i loro territori.

Esiste una strategia di persecuzione dei leader indigeni, diretta a costringerli al silenzio e a scoraggiarli nella difesa della loro terra‘

La lebbra è stata introdotta in America Latina dai primi esploratori e coloniz-zatori europei e dagli schiavi portati dall’Africa. Con il passare del tempo la malattia si è diffusa e localizzata in alcune aree geografiche.

La lebbra è stata uno dei principali flagelli nel passato. Ma non è purtroppo rele-gata alla storia: ogni anno ci sono 200.000 nuovi casi. Nonostante oggi esista una profilassi efficace con antibiotici, le persone che vivono in zone remote spesso ricevono diagnosi errate o tardive.Dopo l’India, è il Brasile il secondo paese al mondo per l’incidenza della malattia: è la nazione che concentra il 90% dei casi dell’America Latina. In Brasile ci sono 30.000 nuovi casi l’anno, ed è difficile arginare la sua diffusione e diagnosticarla in tempo. A causa del lungo periodo di incubazione, la gente può diffondere il contagio ad altri senza saperlo. Ma sembra che ci sia nuova speranza per il riconoscimento della lebbra allo stato primario, prima che la malattia possa causare lesioni ai nervi o deformazioni al paziente e prima che il contagio possa diffondersi. Un laboratorio di Rio de Ja-neiro ha presentato un test in grado di diagnosticare la malattia con una goccia di sangue in soli dieci minuti; se ne fosse provata l’efficacia, potrebbe costituire una vera rivoluzione dopo che per 3000 anni la lebbra ha causato sofferenze e pregiudizi. Un aspetto positivo è sicuramente la diminuzione dei nuovi casi a partire dal 2006, passando da 47.612 nel 2006 a 36.494 nel 2011 (Brasile ha registrato il 93,04% dei nuovi casi); nel 2011 tutti i Paesi del continente americano avevano raggiunto la meta della eliminazione della lebbra (meno di 1 caso ogni 10.000 abitanti), con la sola eccezione del Brasile (1,5 casi su 10.000 abitanti). I risultati ottenuti nella regione per la riduzione della lebbra fino al 2012 sono stati il frutto dell’implementazione della polichemioterapia raccomandata dalla Organizzazione Mondiale della Sanità come terapia globale.

America Latina

Panoramica

LA LEBBRA

POPOLI INDIGENI A RISCHIOContinuano a non essere riconosciuti i diritti territoriali dei popoli indigeni

Legalizzata la marijuanaÈ il primo paese latinoamericano a legalizzare la produzione, distribu-zione e vendita della marijuana, e il primo al mondo a delegarne il controllo nelle mani dello stato. Si tratta di una decisione che ha lo scopo di sottrarre il mercato ai cartelli del narcotraffico. Secondo que-sta legge, tutti i cittadini uruguaiani o residenti nel paese, maggiori di 18 anni, potranno acquistare cannabis nelle farmacie autorizzate, pre-via registrazione come consumatori di marijuana per uso ricreativo o medicinale. È stabilito in 40 grammi il possesso massimo per persona.

AmericaLatinaNews

URUGUAY

La Chiesa nel mirinoDue sacerdoti sono stati assassinati il 6 dicembre nello stato messicano di Veracruz senza che si conosca il movente del crimine. Nella lettera di condoglianze al vescovo della diocesi di Tuxpan, il nunzio apostolico Mons. Cristophe Pierre ha invitato a riconoscere il lavoro umile e prezio-so di questi sacerdoti che hanno dedicato la loro vita all’annuncio del Vangelo e che si sono sforzati di essere testimoni del Signore della Vita.I vescovi delle diocesi di Michoacán e di Guerrero hanno riconosciuto l’11 novembre, durante la 96° assemblea della conferenza episcopale messicana, che ogni giorno si devono affrontare crescenti attacchi con-tro la Chiesa, cosa che rende difficile le condizioni di lavoro. Veracruz, Guerrero, Michoacán e Tamaulipas sono territori ferocemente disputati da vari cartelli, che oltre a dedicarsi al narcotraffico, commettono se-questri, estorsioni e assassini.

MESSICO

NotiCUMn.1 - gennaio 2014 LA GIOIA DELLA MISSIONE

Asia

INDIA: AUMENTANO I CASI DI LEBBRAÈ ancora il Paese con il più alto numero di malati. E ora l’incidenza ha ripreso a crescere, nell’indifferenza del governo

È ancora l’Asia il luogo del mondo dove la lebbra ha più incidenza: nel solo 2012 in tutto il continente sono stati 200mila i nuovi casi riscontrati. Il Sud Est asiatico è ancora la regione in assoluto più colpita, e l’India il Paese dove

vive oltre la metà dei malati di tutto il mondo. Con in media 700 nuovi casi ogni giorni, la lebbra è tutt’altro che debellata. La Chiesa missionaria ha una lunga tradizione di assistenza verso i malati di lebbra, e gestisce nel mondo 547 lebbrosari. A conferma della situazione in India, qui si trovano 220 centri di cura della malattia; l’unico altro Paese asiatico che ne ospita è la Corea del Sud, qui sono attivi 15 centri. La lotta alla lebbra e il sostegno ai malati in Corea è legata ad alcune personalità che hanno speso la loro vita al fianco degli ultimi, come Kim Deuk-kwon, medico, ribattezzato “il dentista dei lebbrosi”, che in oltre 33 anni di servizio, prima di andare in pensione, ha curato gratuitamente 15mila malati.Ormai ultraottantenne, in occasione del suo ritiro dal lavoro, nel maggio 2013, la comunità locale lo ha festeggiato, e l’arcidiocesi di Seul ha raccolto la sua storia, perché resti un simbolo di impegno per le nuove generazioni.Anche in Nepal la lotta alla lebbra è ancora oggi una sfida. Il Paese ha lottato per anni contro la malattia, e fino al decennio scorso la sconfitta della lebbra era in testa agli obiettivi sanitari e di salute pubblica. Nel 1996 il Nepal registrava 100.000 casi, di cui solo 2.445 in cura. Oltre l’80% dei casi si concentravano nelle zone più rurali della regione meridionale di Terai, dove da dicembre 2009 il tasso di contagi è andato progressivamente abbassandosi.All’inizio del 2010 il governo ha dichiarato ufficialmente sconfitta la malattia nel Paese, ma nella realtà il lavoro non è terminato, e il governo si è imposto di de-bellare totalmente la lebbra entro il 2015. L’Organizzazione Mondiale della Sa-nità stabilisce che la malattia è eliminata quando si registra meno di un caso su 10mila, e in questo senso il Nepal può giustamente cantare vittoria: si contano 0,89 casi su 10mila. Restano però da sostenere le decine di migliaia di vittime colpite dalla malattia che le ha rese disabili, e da informare con campagne di prevenzione e di informazione soprattutto i cittadini che vivono nelle zone dove la malattia è endemica, e in particolare tra i pazienti che si fanno curare troppo tardi.

La nuova Costituzione non tutela la libertà religiosaIl 1° gennaio 2014 è entrata in vigore la nuova Costituzione del Vietnam, appro-vata il 28 novembre scorso con la maggioranza del 98% dell’Assemblea Nazio-nale, e duramente criticata dalla società civile e dai leader religiosi. Per molti si tratta infatti di una occasione mancata per l’inizio di un serio cammino di rifor-me politiche e sociali. Secondo l’organizzazione non governativa “Christian So-lidarity Worldwide”, la nuova Carta tiene ancora la libertà religiosa sotto stretto controllo dello stato. Pur contenendo clausole che tutelano il diritto di seguire o non seguire una religione, include infatti il divieto di “uso improprio delle reli-gioni per violare la legge”. Il timore è che i funzionari pubblici che si oppongono alla crescita della religione sfruttino queste disposizioni per reprimere leader e gruppi religiosi malvisti dal governo.

AsiaNewsVIETNAM

Il “kimjang” premiato dall’UnescoL’Unesco ha deciso che il kimjang coreano è un bene culturale intangibile dell’umanità, che va preservato, dato che “rappresenta lo spirito comunitario dei coreani e fa parte della loro identità”. Il kimjang è la tradizione di preparare e consumare il kimchi, piatto a base di cavolo e altre verdure che vengono fatte macerare nelle spezie e lasciate fermentare interrate in vasi di coccio. Per molti secoli è stato un processo fondamentale per il popolo coreano, dato che d’in-verno non c’era possibilità di trovare verdure fresche. La preparazione è un rito che coinvolge la famiglia e l’intera comunità.

COREA

Panoramica

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LA LEBBRA IN ASIA

Due casi ogni 10mila persone, il doppio rispetto a soli 8 anni fa: questi dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, relativi all’incidenza della lebbra in 36 distretti dell’India, fotografano un notevole passo indietro rispetto al lun-

go percorso di lotta alla malattia. La stessa agenzia, nel 2005, parlava di 1 caso ogni 10mila persone, e sulla base di questi dati autorevoli il governo indiano si era spinto ad affermare che la lebbra era stata debellata. A rivelare che purtroppo il trend sta cambiando è anche Asianews, l’agenzia informativa dedicata all’Asia del Pime, che in un articolo del 19 settembre scorso racconta, attraverso sue fonti locali, come l’incidenza del morbo stia aumentando visibilmente. Nel lebbrosario “Swarga Dwar” (Porta del Cielo), gestito proprio dal Pime a Mumbai, si registrano ogni settimana 2 o 3 nuovi casi. Il lebbrosario è attivo dal 1983, e da questo osservatorio è stato quindi possibile riconoscere, negli anni passati, un calo nell’incidenza del batterio. Questa fase purtroppo sembra ora conclusa. A contribuire al nuovo diffondersi oggi è di certo l’apertura di diversi cantieri edili nelle grandi metropoli, proprio come Mum-bai, che attirano manodopera dalle aree più rurali dell’India. Le città non sono in gra-do di accogliere e gestire questi flussi migratori, e gli operai vengono pagati pochis-simo, tanto che gli stipendi non permettono di sostenere un affitto e di sistemarsi in abitazioni dignitose. Queste famiglie sono quindi costrette a vivere all’aperto, in condizioni igieniche precarie, cucinando e mangiando in mezzo a polvere e sporco; elementi questi che costituiscono l’humus ideale del batterio della lebbra. Padre Vijaya Kumar Rayarala, missionario Pime e responsabile del lebbrosario, racconta ad Asianews di avere recentemente curato un bambino: “era nato in uno slum da geni-tori lebbrosi. Abbiamo scoperto subito una macchia dietro le spalle, sintomo della malattia. Dopo una cura di sei mesi la macchia è sparita e lui è guarito”. In queste condizioni i bambini sono soggetti particolarmente a rischio: non possono contare su un’alimentazione regolare e molto spesso inoltre vengono lasciati da soli tutto il giorno, perché i genitori sono impegnati al lavoro. Una delle maggiori difficoltà è determinata dal fatto che non esiste una vera e pro-pria prevenzione, e che il morbo può avere un’incubazione molto lunga, anche anni. Legata a questo aspetto, una delle maggiori preoccupazioni oggi è che le famiglie emigrate per il lavoro nei cantieri potrebbero tornare ai propri villaggi di origine e diffondere nuovamente la malattia. Aspetti questi che le autorità stanno sottovalu-tando, denunciano i missionari del Pime: “Il problema - riportano ancora le fonti di Asianews - è che il governo non vuole accettare questa realtà, ovvero che dobbiamo ancora debellare la lebbra. Finché le autorità fingono il contrario, non si può andare avanti e avviare programmi di sostegno. Per i malati, e anche per questi nuovi im-migrati”.

Gli operai non possono permettersi abitazioni dignitose e le loro famiglie sono costrette a vivere in condizioni igieniche precarie,in un habitat che favorisce la crescita del batterio della lebbra

NotiCUMn.1 - gennaio 2014

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LA GIOIA DELLA MISSIONE

IL VOLONTARIATO IN EUROPA100 milioni di persone coinvolte. L’Europarlamento verso una legge quadroTratto da Agensir

Non basta dire “volontariato” e riempirsi la bocca di complimenti. È più utile schierarsi concretamente dalla parte di chi, generosamente, si pone al servizio

degli altri, in spirito di gratuità, nei più svariati campi: sociale e assistenziale, culturale, sportivo, educativo, ambientale… Per questa ragione il Parlamento europeo, facendo tesoro di quanto emerso durante il 2011, Anno Europeo del volon-tariato, ha voluto rilanciare alcune attenzioni prioritarie in questo ambito della convivenza civile, nel quale sono attivi, sotto le più diverse forme e con svariate idealità, 100 milioni di cittadini Ue.

Un pilastro della società“Il volontariato è un pilastro delle nostre società democra-tiche e pluralistiche; è espressione di impegno, sostegno e partecipazione alla vita sociale”; “è un aspetto importante della cittadinanza attiva e della democrazia, nonché della for-mazione personale, in cui si traducono concretamente valori europei come la solidarietà e la non discriminazione”. Sono alcuni passaggi della relazione approvata dal Parlamento eu-ropeo durante la sessione plenaria del 9-12 dicembre scor-si. Il documento ha fatto proprie alcune delle acquisizioni dell’Anno europeo 2011, dal quale era emersa la necessità di “creare un ambiente favorevole per le attività di volonta-riato”. La relazione denuncia peraltro “il persistere di vincoli burocratici a livello nazionale” che limitano le possibilità di fare volontariato, la mancanza di quadri normativi comuni di riferimento a livello Ue, le difficoltà di accesso ai finanzia-menti pubblici. Fra l’altro “la grave crisi economica, le misure di austerità e la pressione fiscale mettono a rischio la stabilità finanziaria di molte ong e associazioni”.

Realtà e volti diversi Il Parlamento di Strasburgo esorta dunque gli Stati membri ad andare incontro al volontariato, “soprattutto mediante l’in-troduzione di un quadro giuridico laddove non esista ancora”; chiede l’adozione di uno “statuto europeo delle associazioni di volontariato”; promuove per l’associazionismo un accesso semplificato ai finanziamenti Ue. Benché non esista un “regi-stro ufficiale” del volontariato in Europa, la Commissione ha calcolato che non meno di 100 milioni di cittadini, ossia un adulto su quattro, siano impegnati in qualche forma di attivi-tà a favore di altre persone, mediante l’assistenza a soggetti disagiati, soli o indigenti, per la tutela dei minori, degli anziani o dei migranti, per la promozione della cultura, dello sport o delle tradizioni del proprio Paese, per difendere la natura.

Geografia variabile“Il volontariato è un fenomeno essenziale della nostra società poiché promuove la solidarietà tra generazioni e l’inclusio-ne sociale attraverso una concreta partecipazione dei citta-dini alla vita del Paese. È anche una forma di partecipazione democratica e di rafforzamento della cittadinanza”. Quindi segue un’analisi preoccupata: “La crisi economica ha però messo in difficoltà questo tipo di attività, che non ha come obiettivo immediato l’interesse economico”. Il volontariato non è ugualmente diffuso in tutti i 28 Paesi Ue. È una realtà

ben radicata nell’Europa occidentale, mentre sta crescendo ora in quella dell’est dove durante gli anni dei regimi comunisti non erano consentite associazioni di volontariato. Ma ci sono differenze anche tra sud e nord Europa: nell’area mediterranea esso è molto diffuso, al nord talvolta si incrocia con forme di attività cooperativistiche o profit che sono, dun-que, altro rispetto “alla gratuita solidarietà che sta alla base del volon-tariato”. Inoltre andrebbero considerati altri elementi problematici, fra cui la “supplenza” del volontariato rispetto a inefficienze statali, oppure il suo travisamento quando esso diventa sfruttamento del lavoro. Il vero volontariato è quello che promuove la solidarietà, la quale sta alla base del progetto europeo.

Il volontariato è un pilastro delle nostre società, è espressione di impegno, sostegno e partecipazione alla vita sociale‘

Strasburgo chiede l’adozione di uno “statuto europeo delle associazioni di volontariato”e promuove per l’associazionismo un accesso semplificato ai finanziamenti Ue

UNA POVERTÀ GRIDATA E UN’ALTRA NASCOSTA

Una voce che non può non essere ascoltata e di cui va tenuto conto. Che va indubbiamente decifrata, interpretata, stigmatizzata nel momento in cui cede alla violenza e all’illegalità. Ma che deve far riflettere. Tutti. A partire da chi ha il

compito di governarci in questi tempi difficili, tra incertezze, povertà e crisi. Che non è solo crisi dell’economia, ma questione drammaticamente più ampia. Si può discu-tere su chi siano i genitori della protesta dei forconi, che ha infiammato alcune piazze, e sul rischio che il fenomeno venga in qualche modo strumentalizzato da più parti, ma è pur vero che è segno di un disagio dilagante e trasversale. E si potrà discutere anche sui metodi di protesta, sulle degenerazioni e derive violente di gruppi più o meno numerosi di persone, ma resta un fatto: quel disagio, quel malessere non sono un’invenzione. “C’è una povertà gridata e un’altra nascosta. Ma tutte e due sono povertà - ha com-mentato lunedì 9 dicembre scorso monsignor Pier Giorgio Debernardi, vescovo di

Pinerolo, anche lui ‘bloccato’ dalle manifestazioni -. Ciò che fa esplodere la protesta non è tanto la povertà quanto vedere lo spreco, la corruzione, l’evasione fiscale e una speculazione sempre più ampia tra chi ha di più e chi invece si sente escluso”. Di qui un invito a chi governa il Paese ad ascoltare il grido e la protesta della gente: “Il compito dello Stato è arginare, anzi demolire, la corruzione che, come un cancro, crea spazi di povertà sempre più ampi”. Ovviamente la protesta, tutte le proteste, non pos-sono soltanto essere volte a “distruggere ciò che ormai è intollerabile”. Serve una pro-posta, uno spiraglio, un progetto di ricostruzione. È questo il messaggio che devono cogliere le persone che abbiamo delegato a rappresentarci e gestire la cosa pubblica. Al di là ancora delle diverse opinioni politiche, dei giochi di potere e delle lotte tra chi governa e chi si oppone. Bisogna tornare a una politica che guardi ai problemi reali e non soltanto alle campagne elettorali e agli spot da salotto televisivo. Un concetto tanto abusato da diventare un banale luogo comune. Ma resta il punto da cui partire.

Walter Lambertidirettore La Fedeltà (Fossano)

Europa

LA GIOIA DELLA MISSIONEUltimaPagina

In una commedia della tradizione natalizia piemon-tese, intitolata Gelindo, si narra dei pastori che vanno a trovare Gesù nella grotta in cui è nato. Poi, quando

apprendono che Erode lo vuole uccidere, ripartono da casa per difenderlo. Resta a casa il più anziano, che chiede dove vanno tutti. E uno dei garzoni della fami-glia, che ha sulle spalle un forcone, gli dice solo che vanno a fare dei pezzi (anduma a fé di toc, nel dialetto molto più espressivo). Il vecchietto prende una scure e segue il garzone con il forcone, senza sapere bene dove stia andando.Nei giorni della protesta dei forconi, le cui ragioni sono senz’altro valide, nella mia città in piazza vi erano quasi solo degli studenti che, secondo una prassi or-mai in vigore, approfittavano della situazione per non andare a scuola. Interrogati, molti di loro non sape-vano esattamente perché stessero protestando; e mi veniva in mente il vecchietto con la scure che correva, ma non sapeva dove.Non intendo affatto fare dell’ironia su una protesta che ha le sue ragioni: anche se ho sempre qualche perplessità di fronte a modelli di protesta da parte di lavoratori che usano metodi tali per cui impediscono di andare al lavoro ad altri lavoratori.È il termine che mi solleva qualche problema, o forse solo qualche nostalgia. Il forcone ci serviva, a noi pic-coli lavoratori della terra, per caricare il fieno o i covo-

ni di grano, o per dare da mangiare alle bestie nella stalla. Che oggi sia diventato il simbolo della protesta, ci pare quasi un’appropriazione indebita. Ben venga però se serve a far conoscere a chi non ne ha mai nean-che sentito parlare che una volta vi erano persone per le quali quello era uno strumento di un lavoro spesso molto duro e poco gratificante: perché bastavano po-chi minuti di grandine per rendere vano quel lavoro, senza che si sapesse contro chi protestare. O meglio, l’unico considerato responsabile era il Padre eterno, e non erano pochi a prendersela con Lui. Il Quale dal cielo, vedendo quella che un poeta aveva chiamato “la gran ruina”, doveva pure avere qualche scrupolo di co-scienza: ma non interveniva direttamente, perdonan-do subito, poiché li capiva, quelli che se l’erano presa con lui, dicendo parole che qui è meglio non ripetere.Così quel termine, usato per indicare la protesta di tanti la cui vita è diventata molto difficile, solleva in altri la “nostalgia del passato”, di un mondo agricolo cancellato dalla tecnica, di un mondo che non è affat-to da idealizzare, ma era molto diverso. Dove spesso le colpe erano date al Padre eterno, segno che rima-neva al centro della vita delle persone, e non era un estraneo. Forse quei forconi, prima che simbolo della protesta sono per alcuni solo il ritorno di una grande nostalgia del passato.

L’opinione

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I FORCONIdi Maurilio Guasco

Pontificie Opere Missionarie; Movimento Giovanile MissionarioNostalgia di speranza – Itinerario missionario di catechesi per giovani e adolescentiRoma - MGM – 2006

Utile testo di supporto per il catechismo di giovani e adolescenti, elaborato da un’equipe di gruppi diocesani e parrocchiali del MGM per i loro compagni. Guida il let-tore attraverso un itinerario le cui tappe coincidono con quelle dell’anno liturgico. A partire da testi del Vangelo, vite di testimoni, messaggi di Papi e brani del Catechi-smo dei giovani, propongono vari spunti per aprirsi alla speranza e scoprire la gioia della vita nel dono quotidia-no.

Giuseppe MorottiRilanciamo la speranza. Esperienze di incontro tra cristiani e musulmaniBologna – EMI – 2009 L’autore, con esperienza di vita comuni-taria coi Piccoli Fratelli di Charles de Fou-

cauld in Iran ai confini con l’Iraq, racconta i momenti di guerra, di paura, di incontro e condivisione vissuti con la gente del posto. Attraverso l’esperienza di rapporto tra cristiani e musulmani, coglie il “non vero” nelle due reli-gioni, cioè ciò che in ognuna favorisce il conflitto invece

della pace e si muove alla ricerca dell’esperienza di Dio che avvicina, che unisce. Per questo nella seconda parte del libro descrive le esperienze mistiche del mondo cri-stiano e musulmano, perché qui è testimoniata l’espe-rienza della “festa di nozze” a cui tutte le creature sono chiamate e a cui ogni esperienza profonda di fede apre.

Carlo UrbaniLe malattie dimenticate. Poesia e lavoro di un medico in prima lineaMilano – Feltrinelli – 2004 Carlo Urbani, primo medico che riuscì a diagnosticare la Sars, di cui morì nel 2003,

visse a lungo in paesi del Sud del mondo, curando le persone affette da malattie tropicali e ottenendo buoni risultati di cura e prevenzione anche con nuove meto-dologie di intervento sanitario. Questo libro raccoglie le sue lettere e le testimonianze dei suoi viaggi in Vie-tnam, Cambogia e Mauritania, dove l’estrema povertà e la mancanza di strutture sanitarie causano la morte di migliaia di persone. Così scrive Carlo Urbani in un diario da Hanoi: “Tornavo da una cena di lavoro e ho approfit-tato per perdermi nella notte…. Attraverso un viottolo di campagna, …qualche palma ne segna il tragitto… arrivo a un piccolo cimitero di grandi tombe di pietra in-fisse nel terreno della risaia. Spengo la moto per sentire che rumore fa la notte in un posto così. Era bellissimo,

rane e altri animali commentavano lo splendore di un cielo fitto di stelle… Un intenso profumo di erba e zaga-re… E io ero lì, solo, fragile, esposto, ma profondamente felice”. La gioia delle piccole cose, frutto di un grande impegno. Egli fu anche coordinatore di Medici senza frontiere, grazie a cui ricevette il Nobel per la pace nel 1999. All’interno del testo si trovano schede informative su varie malattie infettive.

Jacques Gaillot; Alice Gombault; Pierre de LochtUn catechismo per la libertàMolfetta – La Meridiana – 2003Un catechismo per il cristiano di oggi, scritto a tre mani da tre cristiani (un vesco-

vo e due docenti) che intendono proporre una bozza di approfondimento dei principi del cristianesimo ispiran-dosi a tutti coloro che hanno cercato di seguire la Buo-na Novella di Gesù di Nazareth. Un catechismo senza regole né dottrine, perché, per promuovere veramente il messaggio del Vangelo, bisogna essere liberi; bisogna uscire per strada e incontrare la gente, relazionarsi all’al-tro, al diverso senza paura; bisogna cercare ciò che sta al di là dell’umano, perciò in Dio, una ricerca che è la spe-ranza di qualcosa di migliore. Un catechismo che offre nuovi punti di riferimento per una società che cambia; che invita a non aver paura di fare domande sulla fede perché solo cosi si può arrivare ad una maggiore com-prensione e credere nella Chiesa, che ci guidi nel cam-mino della speranza.

Tutto il materiale segnalato è disponibile al prestito presso il “Cedor” - Centro di documentazione della Fondazione Cum

SpazioCedor P apa Francesco: il vescovo di Roma che viene “dall’altra parte del mondo”, fin dalla sua nomina ha avviato un

indiscutibile processo di rinnovamento. La gioia di cui parla nella sua prima Esortazione Apostolica è frutto di un lungo cammino: suo, della Compagnia di Gesù, della collegialità dei Vescovi, della Chiesa Latinoamericana,

di generazioni di teologi e missionari che da anni scrivono di gioia, speranza e libertà, vivendole saldamente radicati nel messaggio evangelico. Proponiamo alcuni testi che individuano un itinerario di evangelizzazione aperto alla gioia.

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Noticum è un’iniziativa editoriale con la quale il CUM vuole raccontare mensilmente al pubblico italiano la missione, i missionari italiani, la vita del

CUM. Attraverso Noticum il Centro Unitario Missionario vuole aiutare anche economicamente i bisogni dei missionari italiani e stranieri che entrano in

contatto con questo centro di formazione della Chiesa italiana. Noticum si regge unicamente sulle offerte dei suoi lettori. Noticum viene spedito

solo a chi, durante l’anno, invia un’offerta. Se non l’hai già fatto, ti invitiamo a usare il conto corrente allegato per inviare un’offerta a sostegno di Noticum per il 2014 e delle iniziative del CUM a favore dei missionari.

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NotiCUMn.1 - gennaio 2014

Periodico di formazione sulla missione universale

e di informazione sulle realtà del sud del mondo

Edito dalla Fondazione Cum - Centro Unitario per la cooperazione Missionaria tra le chiese promosso dalla Conferenza

Episcopale Italiana

Direttore responsabileFrancesco Ceriotti

Direttore Crescenzio Moretti

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Giandomenico Tamiozzo, Ugo Piccoli, Beppe Magri

SegreteriaCInzia Inguanta

Redazione e direzione Lungadige Attiraglio, 45 - 37124 VeronaTel. 045 / 8900329 - Fax 045 / 8903199

www.fondazionecum.ite-mail: [email protected]

ImpaginazioneFrancesca Mauli

StampaStimmgraf - Verona

Autorizzazione Tribunale di Verona: N° 1319 del 7/5/1998

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