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JUS- ONLINE 3/2019 ISSN 1827-7942 RIVISTA DI SCIENZE GIURIDICHE a cura della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano VP VITA E PENSIERO TOMMASO GAZZOLO Ricercatore in Filosofia del Diritto, Università degli Studi di Sassari Minority Report e il crimine senza crimine* English title: Minority Report: a crime without crime DOI: 10.26350/18277942_000004 SOMMARIO: 1. Introduzione; 2. I futuri multipli; 3. L’infallibilità della previsione; 4. Conoscenza necessaria e necessità del crimine; 5. Futuri contingenti; 6. Dal futuro al passato; 7. Il tempo del crimine. 1. Introduzione. Che cosa sarebbe un crimine un’azione, cioè, considerata in quanto delittuosa senza crimine, senza cioè che l’azione stessa sia stata compiuta? Minority Report 1 consente di articolare questa domanda, nei problemi che essa mette in gioco, ed in ciò che permette di pensarla. Dick fa del tempo, della riflessione sul carattere intrinsecamente temporale del crimine, il punto che consente questo passaggio: dal crimine che è tale in quanto accaduto, al crimine che è tale in quanto accadrà. Per questo, nel racconto, si tratterà di pensare anzitutto ciò che va sotto il nome di precrimine, di un crimine prima del crimine. Si potrebbe obiettare, è vero, che in realtà non saremmo di fronte ad un “crimine”, propriamente parlando: si tratterebbe, piuttosto, di impedire che lo si commetta, di intervenire prima che un crimine possa essere compiuto secondo una profilassi, una logica della prevenzione, della sorveglianza capillare sui cittadini. Il racconto stesso lo suggerisce, per certi versi: il precrimine è ciò che consente la «pre-detenzione profilattica * Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review. 1 P.K. Dick, The Minority Report, in Fantastic Universe, 4 (1956), pp. 4-36; trad. it. Rapporto di minoranza, in Rapporto di minoranza e altri racconti, trad. it. di P. Prezzavento, Roma 2002. Per una introduzione ai temi filosofici presenti nella narrativa di Philip K. Dick, cfr. F. Rispoli, Universi che cadono a pezzi. La fantascienza di Philip K. Dick, Milano 2001; D.E. Wittkower (a cura di), Philip K. Dick and Philosophy. Do Androids Have Kindred Spirits?, Chicago 2011; S.J. Umland (a cura di), Philip K. Dick. Contemporary Critical Interpretations, Westport-London 1995.

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ISSN 1827-7942

RIVISTA DI SCIENZE GIURIDICHE

a cura della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano

VP VITA E PENSIERO

TOMMASO GAZZOLO

Ricercatore in Filosofia del Diritto, Università degli Studi di Sassari

Minority Report e il crimine senza crimine*

English title: Minority Report: a crime without crime

DOI: 10.26350/18277942_000004

SOMMARIO: 1. Introduzione; 2. I futuri multipli; 3. L’infallibilità della previsione; 4. Conoscenza necessaria e necessità del crimine; 5. Futuri contingenti; 6. Dal futuro al passato; 7. Il tempo del crimine.

1. Introduzione.

Che cosa sarebbe un crimine – un’azione, cioè, considerata in quanto

delittuosa – senza crimine, senza cioè che l’azione stessa sia stata

compiuta? Minority Report1 consente di articolare questa domanda, nei

problemi che essa mette in gioco, ed in ciò che permette di pensarla. Dick

fa del tempo, della riflessione sul carattere intrinsecamente temporale del

crimine, il punto che consente questo passaggio: dal crimine che è tale in

quanto accaduto, al crimine che è tale in quanto accadrà. Per questo, nel

racconto, si tratterà di pensare anzitutto ciò che va sotto il nome di

precrimine, di un crimine prima del crimine.

Si potrebbe obiettare, è vero, che in realtà non saremmo di fronte ad un

“crimine”, propriamente parlando: si tratterebbe, piuttosto, di impedire

che lo si commetta, di intervenire prima che un crimine possa essere

compiuto – secondo una profilassi, una logica della prevenzione, della

sorveglianza capillare sui cittadini. Il racconto stesso lo suggerisce, per

certi versi: il precrimine è ciò che consente la «pre-detenzione profilattica

* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review. 1 P.K. Dick, The Minority Report, in Fantastic Universe, 4 (1956), pp. 4-36; trad. it. Rapporto di minoranza, in Rapporto di minoranza e altri racconti, trad. it. di P. Prezzavento, Roma 2002. Per una introduzione ai temi filosofici presenti nella narrativa di Philip K. Dick, cfr. F. Rispoli, Universi che cadono a pezzi. La fantascienza di Philip K. Dick, Milano 2001; D.E. Wittkower (a cura di), Philip K. Dick and Philosophy. Do Androids Have Kindred Spirits?, Chicago 2011; S.J. Umland (a cura di), Philip K. Dick. Contemporary Critical Interpretations, Westport-London 1995.

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dei criminali»2. Ma, se le cose ci appaiono in questo modo, è solo perché

stiamo già assumendo che l’idea di un crimine ante factum, di un crimine

prima del crimine, sia una contraddizione in termini, e che potremmo,

pertanto, parlare soltanto di un crimine che è stato prevenuto, che non c’è

stato e che, quindi, come tale, non è un “crimine”3.

Il punto, però, è che proprio tale assunzione è quanto dev’essere

abbandonato, perché il testo di Dick possa essere seguito in quel che tenta

di pensare. Il testo ha in fin dei conti poco interesse, finché lo si legge

secondo il registro della denuncia di una certa società del controllo,

poliziesca, della sorveglianza – che è poi la nostra, e non certo un’altra4 –,

2 P.K. Dick, Rapporto di minoranza, cit., p. 47. 3 Come sottolinea, tra gli altri, T. Elsaesser, Philip K. Dick, Hollywood e le causalità retroattive: il caso di Minority Report, in Imago. Studi di cinema e media, 10, 2 (2014), p. 91: «la stessa efficacia del programma Precrimine rappresenti in verità un eccesso di perfezione. Anticipare un reato evitando che il crimine venga commesso ha infatti come conseguenza (involontaria ma inevitabile) il fatto che la società crei (e incarceri) criminali che sono innocenti, agendo perciò essa stessa in modo immorale se non direttamente criminale. Il loop, basato sulla prevenzione e sulla deterrenza, rappresenta qui uno stallo morale, con la parte viziosa che cancella quella virtuosa». 4 Del resto, la forma di conoscenza, e quindi la concezione di verità ed i meccanismi della sua enunciazione che il pre-crimine implica, ci apparirà estranea al funzionamento della nostra pratica giudiziaria soltanto se la assumiamo come storicamente determinata a partire dall’indagine, fondata sulla testimonianza di ciò che è stato. Ma – Foucault vi ha dedicato analisi essenziali – l’indagine, come pratica dell’accertamento della verità nel diritto, non solo non si è affermata che da determinate condizioni politiche e sociali, ma, soprattutto, a partire dal XIX secolo è stata affiancata da pratiche – come ciò che Foucault chiama l’examen, l’esame – che determinano nuove “forme” di verità, nuovi modi mediante i quali si forma un sapere sul crimine. Per quanto qui interessa, dobbiamo sottolineare due aspetti. Il primo è che solo nel momento in cui l’indagine si afferma quale metodo di accertamento della responsabilità, si passa da un modo di enunciazione della verità di tipo profetico – e che dunque si ha nella forma del futuro (il crimine che verrà compiuto) – ad uno di tipo retrospettivo, che appartiene all’ordine della testimonianza, del sapere ciò che è stato. La scoperta giudiziaria della verità, dunque, soltanto a partire da un certo periodo storico – e certamente nell’ambito del pensiero greco – si è definita a partire dal riferimento al passato, dal primato del passato (e ciò dovrebbe, pertanto, ricordare come non vi sia nulla di naturale in tale concezione). Il secondo aspetto, invece, è legato al fatto che la nascita di discipline quali la criminologia, e le stesse trasformazioni della penalità alla fine del XIX secolo, determinano un nuovo spostamento: nel momento, infatti, in cui la pericolosità sociale ha fatto il suo ingresso nel diritto penale (almeno con riferimento alle misure di sicurezza), nel momento, cioè, in cui l’individuo viene in considerazione per la probabilità che possa commettere nuovi reati, il sapere che si lega ad essa non ha più nulla a che vedere con il problema di accertare se qualcosa sia accaduto o meno nel passato, ma con quello di esaminare le potenzialità dell’individuo, il suo modo d’essere, il pericolo che egli possa commettere

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e ciò per quanto queste possano essere state le stesse “intenzioni”

dell’autore. L’idea che il crimine venga eliminato prevenendolo, è

certamente presente, ma è anche in fondo smentita dallo stesso testo: la

pre-visione del crimine, infatti, non comporta che esso non esista più, ma

che esso continui ad esistere senza tuttavia essere mai presente, senza

realizzarsi.

Ciò che il pre-crimine implica, infatti, è che «la perpetrazione del crimine

stesso» divenga «un qualcosa di assolutamente metafisico» (So the

commission of the crime itself is absolute metaphysics)5. Il che significa:

non si tratta tanto dell’assenza di un crimine, quanto del fatto che la sua

presenza non coincide con il factum, con il suo verificarsi nella realtà.

Il crimine in un certo modo accade, si realizza, l’azione si compie: ma non

in un tempo che sia mai stato o sarà mai presente. Non ci sarà infatti mai

un momento del tempo in cui si potrà dire che io sia colpevole: non ora, in

quanto non ho commesso alcun crimine; non in un futuro destinato a

divenire presente, in quanto – grazie al fatto di essere arrestato – non lo

commetterò più. Se c’è crimine, se c’è «colpevole», questa esistenza non

sta sul piano di ciò che, prima o poi, sarà presente in un qualche momento

del tempo.

Ed è proprio questo “crimine senza crimine” che costituisce il concetto

che viene progressivamente delineato nel testo di Dick, secondo una serie

di operazioni che dovremo, ora, analizzare.

2. I futuri multipli.

Il tema del pre-crimine viene articolato, nel racconto, attraverso il ricorso

ad una temporalità che è definita dalla logica dei futuri multipli.

Sappiamo che Anderton scopre, leggendo il “rapporto di maggioranza”,

che ciò che i pre-cog hanno previsto è che egli ucciderà Leopold Kaplan.

Poiché non sa neppure chi sia la futura vittima, e sa di non poter avere

alcuna “intenzione” di ucciderlo, egli sospetta immediatamente che la

relazione sia falsa, che sia stata manomessa dal suo nuovo assistente per

prendere il suo posto. Mentre si sta preparando a fuggire per sottrarsi

crimini in futuro. Sul punto, il riferimento è soprattutto a M. Foucault, La verità e le forme giuridiche (1973), trad. it. in Id., Il filosofo militante. Archivio Foucault 2. Interventi, colloqui, interviste. 1971-1977, a cura di A. Dal Lago, Milano 2017, pp. 83-165. 5 P.K. Dick, Rapporto di minoranza, cit., p. 29.

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all’inevitabile arresto, Anderton viene sequestrato dagli agenti di Kaplan e

portato davanti a quest’ultimo.

Kaplan – capo di una organizzazione di veterani molto influente – gli

rivela di essere a conoscenza del rapporto, e che per questo – secondo

quello che è il funzionamento normale della Precrimine – lo farà subito

consegnare alla polizia, affinché lo prenda in custodia. Durante il

trasporto, Anderton viene aiutato a fuggire e a nascondersi da un certo

Fleming, il quale dice di far parte di una specie di polizia che ha il compito

di sorvegliare la polizia, e che lo informa che il rapporto è stato falsificato

e che si tratta, come egli aveva sempre sospettato, di una manovra per

incastrarlo. E’ a questo punto che Anderton riesce ad accedere a quello

elaborato dal pre-cog che egli sa essere il rapporto di “minoranza”, quello

di Jerry, e legge per la prima volta ciò che questi ha visto.

Di esso sappiamo per ora solo questo: la sequenza temporale che Jerry ha

visto è relativa a ciò che è accaduto dopo che Anderton ha saputo che

avrebbe ucciso Kaplan. Il solo fatto di sapere che avrebbe commesso

l’omicidio, avrebbe infatti indotto Anderton a rinunciare: egli «avrebbe

cambiato idea e non l’avrebbe compiuto. La previsione dell’omicidio lo

avrebbe cancellato: la profilassi si sarebbe verificata semplicemente

informando il futuro omicida»6.

Anderton si convince, pertanto, che il rapporto di Jerry, invalidato

dagli altri due, sia quello corretto, in quanto, venendo dopo gli altri, ha

potuto tener conto delle conseguenze che la conoscenza, da parte di

Anderton, del rapporto di maggioranza avrebbe determinato. Il “rapporto

di minoranza” sarebbe, in questo senso, quel futuro che sarà a partire

dall’assunzione come dato del rapporto di maggioranza.

Non occorre, qui, ripercorrere nei dettagli l’intreccio – la

discussione con la moglie Lisa, lo scontro con Fleming, che si rivela essere

un agente di Kaplan. Giungiamo al momento in cui Anderton capisce che

Kaplan, che è in possesso del rapporto di minoranza, intende sfruttarlo

per screditare il sistema pre-crimine: egli potrà dimostrare, infatti, che,

poiché l’analisi predittiva dei pre-cog non tiene conto di ciò che la sua

stessa esistenza determina, essa giunge sempre a conclusioni sbagliate. Il

solo fatto di sapere che commetterò un crimine per ciò stesso mi

determinerebbe a non commetterlo. Come dirà Kaplan:

6 P.K. Dick, Rapporto di minoranza, cit., p. 53.

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[…] Non può esistere alcuna valida conoscenza del futuro. Non appena si

ottiene un’informazione precognitiva, questa si cancella da sé (as soon as

precognitive information is obtained, it cancels itself out). L’affermazione

che quest’uomo commetterà un omicidio è paradossale (paradoxical). Il

solo fatto di possedere in anticipo questo dato la rende spuria. In ogni

caso, e senza eccezione, il rapporto dei tre precog della Polizia ha

invalidato i loro stessi dati di partenza. Anche se non ci fosse stato alcun

arresto, non sarebbe stato comunque commesso alcun crimine (If no

arrests had been made, there would still have been no crimes

committed)7.

Un futuro che sia conosciuto in anticipo si revoca da sé, si cancella da sé

come futuro. Questa è la tesi di Kaplan, e la tesi che anche Anderton

pensa di poter ricavare dopo aver letto quello che crede essere il rapporto

di “minoranza” di Jerry.

Ciò che tuttavia la lettura degli altri due rapporti mostra, è che tutte e tre

le sequenze temporali sono differenti. Il primo rapporto, Donna, è quello

che Jerry ha assunto come dato. Donna pre-vede un futuro che non è

quello che si è verificato. In esso Kaplan rivela a Anderton il complotto ai

suoi danni, ed egli lo uccide. Jerry, come sappiamo, utilizza il materiale di

Donna, invalidandolo. Ma Mike, il terzo pre-cog, viene a sua volta dopo

Jerry. Egli vede come Anderton, una volta che sia venuto in possesso del

rapporto di Jerry – come accade nella storia – capisca che non uccidere

Kaplan significherebbe mettere fine alla polizia, al sistema pre-crimine, e

scelga pertanto di sparargli:

“Mike” è stato l’ultimo dei tre, certo. Avendo saputo dell’esistenza del

primo rapporto, avevo deciso di non uccidere Kaplan. Ciò ha prodotto il

secondo rapporto. Ma di fronte a quel rapporto, ho cambiato idea un’altra

volta. Il rapporto due, la situazione due, era quella che Kaplan voleva

creare. Era vantaggioso per la Polizia ricreare la posizione uno. E, arrivato

a quel punto, io avrei pensato alla Polizia. Avrei capito ciò che Kaplan stava

facendo. Il terzo rapporto invalidava il secondo proprio come il secondo

invalidava il primo. Questo ci ha riportati alla situazione di partenza8.

7 P.K. Dick, Rapporto di minoranza, cit., pp. 69-70. 8 P.K. Dick, Rapporto di minoranza, cit., p. 73.

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Non c’è dunque mai stato un rapporto di maggioranza. I tre

rapporti, diversamente, sono consecutivi: il futuro del primo è assunto

come dato dal secondo rapporto, che lo invalida, e a sua volta il futuro del

secondo è invalidato dal terzo. Ma se Anderton, infine, ucciderà Kaplan,

proprio come avevano previsto i pre-cog, ciò non vale a confermare

l’esattezza della loro previsione? In fondo, il racconto di Dick – ma

torneremo su questo punto – non sembra mai smentire in alcun punto ciò

che il lettore tende sempre a sospettare: che le previsioni dei pre-cog

siano realmente infallibili, che esse non siano affatto smentite9.

3. L’infallibilità della previsione.

Nel pre-crimine, la pre-visione che consente di conoscere

anticipatamente il delitto prima che sia commesso, si esprime

normalmente – a differenza di quanto accade nel caso di Anderton –

attraverso la formazione di un rapporto di maggioranza. E’ quanto

Anderton ribadisce: «l’unanimità tra tutti e tre i pre-cog è un fenomeno

auspicabile ma che si verifica di rado»10. Se seguiamo ancora il suo

discorso, la necessità di tre previsioni dipenderebbe dall’esigenza di

verificare, di controllare l’esattezza del risultato della prima. La seconda

previsione può infatti coincidere con la prima, validandola. Ma, laddove si

crei un contrasto tra le due, la terza previsione interviene risolvendo il

contrasto: «si può presumere con buona approssimazione che la

concordanza di due computer su tre indichi quale dei due risultati

alternativi sia più accurato»11.

Si tratterebbe dunque di una logica che ha a che vedere con il

calcolo, con la probabilità, con ciò che dovrebbe, in ultima istanza,

unicamente verificare la correttezza di una previsione? E’ evidente che

non si tratti di questo, se lo stesso Anderton, come ricordato, fa notare

9 Certamente, nel caso di Anderton – che è pero un caso “eccezionale”, l’unico caso in cui il soggetto che commetterà il crimine viene a conoscenza della previsione – i rapporti dei pre-cog funzionano secondo un «loop di causalità che si autoannulla», nel senso che «i rapporti di minoranza successivi sono la conseguenza di un feedback positivo, in cui è il prodotto del sistema stesso (i rapporti di minoranza) ad essere costantemente ridato in pasto al sistema come input, creando perciò una destabilizzazione permanente sia dell’identità dell’eroe che delle relazioni di potere del sistema stesso» (T. Elsaesser, Philip K. Dick, Hollywood e le causalità retroattive: il caso di Minority Report, cit., p. 94). 10 P.K. Dick, Rapporto di minoranza, cit., p. 48. 11 P.K. Dick, Rapporto di minoranza, cit., p. 48.

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come sia necessario che esistano sempre diversi percorsi temporali, che

non vi sia un unico sentiero, perché altrimenti non esisterebbe neppure la

possibilità di arrestare il futuro colpevole, di «alterare il futuro». Affinché

il sistema funzioni – affinché cioè sia possibile anticipare il crimine che i

precog hanno pre-visto – occorre, cioè, che l’informazione fornita circa

ciò che accadrà possa essere smentita dall’intervento tempestivo della

polizia.

Ma le profezie dei pre-cog sono corrette? Il delitto che prevedono, si

compirebbe davvero se la polizia non intervenisse per tempo? Kaplan ha

davvero ragione, quanto sostiene che la polizia in realtà non conosce

affatto il futuro o, quantomeno, non può avere la certezza di conoscerlo?

Il fatto stesso di possedere l’informazione precognitiva “x ucciderà y”, e di

agire preventivamente impedendo che ciò si verifichi, non rende

impossibile sapere se x avrebbe davvero ucciso y, laddove la polizia non

fosse intervenuta?

Certamente, se non disponesse di questa informazione, la polizia non

potrebbe intervenire – ma ciò non assicura che sia vera. L’obiezione di

Kaplan, in fondo, è ancor più radicale: come sarebbe possibile

commettere un crimine laddove sia certo che esso verrà commesso – con

la conseguenza che mi sarà reso impossibile commetterlo? Per cosa vengo

arrestato, se per il fatto stesso dell’arresto viene smentito quel futuro in

cui commetto il crimine e che è stato la ragione del mio arresto?

Come rispondere a queste domande? Bisogna cominciare a

distinguere, per prima cosa, tra l’informazione finale che è elaborata dal

computer – la “scheda” che annuncia il delitto che si compirà – e i tre

rapporti dei pre-cog, le loro visioni.

Per farlo, dobbiamo provare a ipotizzare il modo in cui i diversi rapporti si

articolano tra loro per tutti i casi ordinari, in cui il sistema funziona

normalmente. E che funzioni, che le visioni dei pre-cog siano, nel futuro

che delineano, infallibili, è ciò che risulta dal racconto stesso: anche di

fronte al caso che dovrebbe ritenersi eccezionale, in realtà i pre-cog

dimostrano di aver previsto correttamente il futuro.

Cominciamo a chiederci, allora, che cosa renda possibile l’elaborazione

della scheda definitiva, che la Precrimine riceve dai computer, in cui viene

indicato il nome dell’autore, il delitto che verrà commesso e la vittima12, in

12 P.K. Dick, Rapporto di minoranza, cit., p. 32.

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cui, cioè, il “rapporto di maggioranza” dei pre-cog giunge alla previsione

che un crimine verrà commesso. Ipotizziamo che l’informazione, la

scheda finale, sia del tipo “X ucciderà Y”. Sappiamo che questa previsione

non accadrà: la polizia, sulla base di essa, arresterà infatti X. Era allora

falsa? Ma cosa significa?

Siamo di fronte al problema della verità o falsità delle proposizioni

concernenti eventi futuri – a quello dell’applicabilità o meno del principio

di bivalenza a tali enunciati. Che cosa implica, dobbiamo chiederci, che

una proposizione del tipo “domani ci sarà un omicidio” sia vera o falsa fin

dal momento della sua formulazione? Certamente, per sapere se essa sia

vera o falsa dovrò attendere domani. Ma ciò implicherebbe comunque

negare il carattere contingente del futuro. Proviamo a fare due ipotesi. Se

l’omicidio si verificherà, allora posso dire era vero fin da ieri che si

sarebbe verificato. Ma se ciò era già vero prima che esso fosse commesso,

allora devo concludere che era necessario che si verificasse, che era

impossibile che non accadesse. Viceversa, se l’omicidio non avviene, posso

dire che era già falso ieri sostenere che esso sarebbe stato commesso: il

che equivale a dimostrare che era impossibile che avesse luogo. In altri

termini, se le proposizioni riguardanti eventi futuri fossero già vere o false

nel momento in cui vengono formulate, ne conseguirebbe il venir meno di

ogni contingenza. E’ l’aporia già individuata da Aristotele:

[…] se qualcosa è bianco ora, era vero dire prima che sarà bianco, cosicché

sempre era vero dire in precedenza, di qualsiasi cosa di quelle che sono

venute ad essere, che sarebbe stata; e se sempre era vero dire in

precedenza che qualcosa è ora o sarà, ciò non è in grado di non essere ora o

nel futuro. E ciò che non è in grado di non venire ad essere, è impossibile

che non venga ad essere; e ciò che è impossibile che non venga ad essere, è

di necessità che venga ad essere; e quindi tutto ciò che sarà nel futuro è

necessario che venga ad essere13.

Per evitarla, dovremmo allora limitare la validità del principio di

bivalenza agli eventi passati o presenti? Non possiamo qui discutere la

ripresa e la riformulazione del problema che è avvenuta almeno a partire

dai lavori di Łukasiewicz – nonché soffermarci sullo stato del dibattito

13 Aristotele, De Interpretatione, 18b 10-15, trad. it. A cura di A. Zadro, Napoli 1999, p. 144.

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contemporaneo sul tema, soprattutto in ambito analitico. Ciò che,

tuttavia, possiamo osservare è come una delle soluzioni proposte sia

quella di considerare tali proposizioni sottratte al principio di bivalenza:

non si tratterebbe, cioè, di proposizioni vere o false, ma indeterminate14.

Esse non sarebbero, in altri termini, vere o false al momento della loro

enunciazione. Se ciò che enunciano sia vero o falso, non è deciso in questo

momento. Potremmo dire, piuttosto, che è dotato di un certo grado di

probabilità – come Anderton sembra suggerire spiegando il

funzionamento dei computer alla base del sistema Pre-crimine.

Eppure non è questa la strategia che segue Dick: non si tratta, infatti, di

affermare la probabilità, di prevedere il futuro delitto con un certo grado

di probabilità. Il pre-crimine è a rigore infallibile – questa ipotesi, a

leggere attentamente il testo, non è mai messa in dubbio, non è mai

smentita, come si è già ricordato.

Per capire come Dick risolva l’aporia – che è quella che denuncia Kaplan

– dobbiamo invece tener sempre distinti due livelli: quello della visione,

di ciò che vedono i pre-cog, e quello dell’informazione, di ciò che in base

alla visione risulta dal rapporto.

Ciò che vedono i pre-cog, va sempre ricordato, non è mai da loro

compreso: essi sono immersi nel «caos senza senso dell’idiozia»15, non

capiscono nulla delle immagini che scorgono, avvolti nell’ombra della loro

demenza. Se essi forniscono informazioni, certamente non le

comprendono. Ma cosa significa, questo, se non che tra ciò che accade e

ciò che si predica di esso, tra l’evento e la sua previsione si introduce

sempre una distanza, uno iato, uno scarto? E’ questo che occorre spiegare,

facendo un passo avanti.

Dobbiamo tener presente che quello che si scopre, nel racconto, è che i

futuri che vedono i pre-cog non sono, come Anderton ha sempre creduto,

14 J. Łukasiewicz, On Determinism, in Id., Selected Works, a cura di L. Borrowski, Amsterdam-London 1970, p. 126: «I maintain that there are propositions which are neither true nor false but indeterminate. All sentences about future facts which are not yet decided belong to this category. Such sentences are neither true at the present moment, for they have no real correlate, nor are they false, for their denials too have no real correlate. If we make use of philosophical terminology which is not particularly clear, we could say that ontologically there corresponds to these sentences neither being nor non-being but possibility. Indeterminate sentences, which ontologically have possibility as their correlate, take the third truth-value». 15 P.K. Dick, Rapporto di minoranza, cit., p. 52.

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alternativi. Non vi è affatto la necessità che vi sia sempre più di un

sentiero temporale, affinché la polizia possa intervenire per tempo. Il

sentiero è sempre uno solo, ma si modifica nel suo stesso farsi16. Se i

rapporti sono consecutivi, come Anderton si accorge, è perché ciascun

pre-cog utilizza il rapporto del pre-cog precedente come «dato di

partenza»17.

Spieghiamo il punto. L’informazione finale, la proposizione predittiva “x

ucciderà y” rimanda alle tre visioni che i pre-cog hanno avuto. Il primo

pre-cog, certamente, vede l’omicidio: vede, cioè, in un futuro, che per lui è

il presente, che x uccide y. L’informazione che trasmette, pertanto, nel

tempo presente, è “x ucciderà y”.

Il secondo pre-cog vede il futuro che ora l’informazione del primo pre-cog

ha modificato: vede, cioè, che il primo ha fornito la previsione – infallibile

– della futura uccisione, e che in forza di questa informazione la polizia

arresterà il colpevole. Il risultato, per lui, è dunque che x non ucciderà y.

Dal punto di vista della predicazione, dell’ “informazione” che il computer

potrebbe ricavare, al momento avremo perciò le due schede alternative:

P1 (“x ucciderà y”) e P2 (“x non ucciderà y”).

Sappiamo dalla scheda finale che la terza previsione avrà come risultato

quello di far sì che l’informazione sarà del tipo “x ucciderà y”. Dobbiamo

allora chiederci come ciò sia possibile. Infatti, il futuro che si verificherà è

un altro: x, alla fine, non ucciderà y, poiché sarà arrestato prima di poter

commettere il fatto. Cosa vede il terzo pre-cog, allora?

Anche la previsione del pre-cog dev’essere consecutiva rispetto alle prime

due: egli vede, cioè, a partire da esse. Vede, dunque, il futuro – che è

16 Come osserva D. Velo Dalbrenta, Criminalità come destino? Philip K. Dick e lo straniante mondo di Minority Report, in Teoria e Critica della Regolazione Sociale, 1, 18 (2019), p. 167, secondo la teoria dei futuri multipli ciascuna delle previsioni dei pre-cog «ha seguito una linea di sviluppo diversa, derivante dall’annullamento della linea precedente. Difatti, sembra suggerire Dick, il modificarsi delle circostanze, nel tempo, modifica la coscienza, e, forse, lo stesso senso dell’identità di Anderton». Dobbiamo, credo, distinguere, allora: il futuro che il singolo pre-cog vede, non è mai “errato”, in quanto è l’unico futuro possibile, in quel momento. Esso, però, si modificherà. 17 Questo assunto, lo ricaviamo da come il racconto spiega si siano definiti i tre rapporti nell’unico caso che conosciamo, che è quello che vede come protagonista Anderton. Se l’eccezione, qui, è costituita dal fatto che Anderton, per la sua particolare posizione, viene a conoscenza del rapporto che lo riguarda, essa non dovrebbe intaccare il fatto che il secondo pre-cog, come viene spiegato, abbia utilizzato il rapporto del primo «come dato di partenza» (p. 73). Il primo sentiero temporale viene dunque «superato» (p. 63), nel senso di modificato attraverso il suo essere ripreso.

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quello che si verificherà – in cui x non uccide y perché è stato arrestato

dalla polizia che ha ricevuto l’informazione P1, e non quella P2. Il terzo

pre-cog, in altri termini, vede il futuro in cui la polizia non ha ricevuto il

rapporto del secondo pre-cog (ossia l’informazione: x non ucciderà y). Un

futuro in cui egli stesso ha convalidato – cosa che infatti farà – il primo

rapporto, che è la condizione indispensabile affinché esso si verifichi.

Perché la polizia possa arrestare x, occorre infatti che il rapporto finale la

informi che x ucciderà y18. Nel futuro che il terzo pre-cog vede, egli stesso

ha necessariamente convalidato la proposizione P1: “x ucciderà y”. In

questo terzo futuro, dunque, si verifica l’evento che ha visto il secondo

pre-cog, ma ad essere stata convalidata è la proposizione che ha fornito il

primo rapporto.

4. Conoscenza necessaria e necessità del crimine.

Quanto all’evento, la maggioranza dei pre-cog, due su tre, vede che esso

non si verificherà. Ed è esattamente così, infatti, che andranno le cose.

Quanto, invece, alla proposizione sull’evento, alla proposizione che ne

dice la necessità, anche qui la maggioranza dei pre-cog, sempre due su

tre, vede un futuro nel quale, tra le due, quella vera è la proposizione p “x

ucciderà y”.

Ci sarebbe in altri termini uno scarto, una discrasia, una mancata

corrispondenza tra l’evento e la proposizione che dice la necessità

dell’evento.

18 E’ su questo punto, dobbiamo qui precisare, che la nostra analisi procede necessariamente senza tener conto del modo in cui il testo di Dick è stato ri-attivato nel film di Spielberg, Minority Report, 2002. Su quest’ultimo, e sulle relazioni con lo stesso racconto di Dick, si rimanda a D. Velo Dalbrenta, Crimini predicibili? L’eclissi del diritto penale moderno in Minority Report di Steven Spielberg, in L’Ircocervo (2017), pp. 40-69; J. Früchtl, For here there is no place that does not see you:”'Minority Report” and Art as de/legitimisation, in Necsus, 5, 2 (2016), pp. 73-88; J.P. Vest, Future Crime: Minority Report, in Id., Future Imperfect. Philip K. Dick at the Movies, Lincoln – London 2009, pp. 115-142; M. Huemer, Free Will and Determinism in the World of Minority Report, in S. Schneider (a cura di), Science Fiction and Philosophy. From Time Travel to Superintelligence, West Sussex 2009, pp. 104-115; D.A. Kowalski, Minority Report, Molinism, and the Viability of Precrime, in D.A. Kowalski (a cura di), Steven Spielberg and Philosophy. We’re Gonna Need a Bigger Book, Kentucky 2008, pp. 227-247;M.G. Cooper, The Contradictions of Minority Report, in Film Criticism, 28, 2 (2004), pp. 24-41; A. Soncini, La fine dello sguardo: Minority Report di Steven Spielberg, in Cineforum (2002), pp. 8-11.

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Si tratta, del resto, di due necessità differenti. La scolastica medievale

aveva già distinto due diversi sensi della modalità. Nell’opuscolo De

propositionibus modalibus, attribuito dalla tradizione a Tommaso, viene

indicato come la modale possa, anzitutto, essere de dicto, se il dictum

funge da soggetto e il modo è ciò che è predicato di quanto viene detto:

Socratem currere est possibile, che Socrate corra è cioè detto possibile.

Diversamente, la modale è de re, se il modo interponitur al detto, se cioè

la modalità si riferisce a come il predicato inerisce al soggetto: Socratem

possibile est currere, dove viene detto che è propria di Socrate la

possibilità di correre19.

La modalità de dicto, cioè, si riferisce all’intera asserzione, è una modalità

“proposizionale”, mentre il senso de re è relativo all’evento o al soggetto

della proposizione. La prima necessità – come è stato osservato - è di tipo

semantico, è riferita alla proposizione (ha carattere pertanto

metalinguistico). La seconda, invece, è ontologica, è relativa all’evento20.

L’una si riferisce alla necessità di ciò che è detto, l’altra alla necessità della

cosa che è detta. Distinguere tra questi due livelli è ciò che consente di

capire in che senso sia necessaria la previsione dei pre-cog del tipo “x

ucciderà y”. Essa può infatti significare:

19 De propositionibus modalibus, a cura di H.-F. Dondaine, in Sancti Thomae de Aquino, Opera Omnia XLIII, Roma 1976, p. 421: «Propositionum utem modalium quedam est de dicto, quedam de re. Modalis de dicto est in qua totum dictum subicitur et modus predicatur, ut cum dicitur ‘Socratem currere est possibile’. Modalis autem de re est quando modus interponitur dicto, ut cum dicitur ‘Socratem possibile est currere’». Non è possibile, in tale sede, affrontare la questione neppure nelle sue linee generali – specie se si tiene conto degli sviluppi e del dibattito nella filosofia analitica contemporanea. Per ciò che qui interessa, si rimanda a G. Corà, “De re” e “de dicto”. Riferimento modale e possibilità in Aristotele, in Verifiche, 17 (1988), pp. 3-60; M. Astroh, Petrus Abelardus on Modalities de re and de dicto, in T. Bucheim (a cura di), Potentialität und Possibilität. Modalaussagen in der Geschichte der Metaphysik, Stuttgart 2001, pp. 79-95; W. Kneale, William of Auvergne on De re and De dicto Necessity, in Modern Schoolman, 69 (1992), pp. 111-121; C. Normore, Ockham and the Foundations of Modality in the Fourteenth Century, in M. Cresswell - E. Mares - A. Rini (a cura di), Logical Modalities from Aristotle to Carnap: The Story of Necessity, Cambridge 2016, pp. 133–153. Si veda infine anche M. Mugnai, Possibile/necessario, Bologna 2013; S. Knuuttila, Modalities in Medieval Philosophy, London-New York 1993. 20 Per tale corrispondenza tra de dicto-semantico e de re-ontologico, cfr. E. Melandri, La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull’analogia, Macerata 2011, pp. 387-388.

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(1) De dicto - è necessariamente vero che x ucciderà y, che significa anche,

nella nostra rilettura: “x ucciderà y” è necessariamente vera, ove la

necessità è predicata della proposizione che afferma l’evento. Si tratta,

diremmo, di una necessità semantica, necessità dell’enunciato. E’ il

dictum, cioè che viene detto, ad essere affermato come necessario;

(2) De re - x ucciderà necessariamente y: dove la necessità si riferisce

invece all’evento stesso. All’evento è cioè attribuita la proprietà di

verificarsi necessariamente. Qui la necessità è cioè dell’evento o dello stato

di cose sul quale verte la proposizione.

La conoscenza dei pre-cog è infallibile, ma essa non implica in

alcun modo la necessità de re che l’evento si verifichi. L’argomentazione

era già presente in Tommaso: il fatto che Dio conosca i futuri contingenti,

non significa che essi accadano per una loro propria necessità. Dio, infatti,

conosce i futuri come presenti, dal momento che la sua conoscenza è

«presente a tutte le cose». In tal senso, ogni cosa è conosciuta da Dio

come ciò che si vede di presenza: per questo tutto ciò che Dio conosce è

necessario, «come è necessario che Socrate sieda quando si vede che

siede»21.

La proposizione “chi si vede sedere è necessario che sieda” – la quale si

ricava dalla condizionale “Se è veduto sedere, siede” – , allora, potrà

essere intesa in due sensi: (a) in senso composito, ossia come enunciato,

essa è vera, in quanto afferma che sedere è una conseguenza necessaria

dell’essere veduto sedere (necessità della conseguenza); (b) in senso

diviso, ossia come «dato oggettivo»¸ essa è invece falsa, in quanto

affermerebbe la necessità del conseguente, ossia la necessità dell’oggetto

o dello stato di cose conseguente. La distinzione richiama quella, che

abbiamo visto, tra modalità de dicto e de re. Così ancora Tommaso

precisa:

[…] quando si dice che Tutto ciò che Dio conosce è necessario, questa

proposizione ha un duplice significato, in quanto può riguardare o

l’enunciato o la cosa. Se riguarda l’enunciato, in tal caso la proposizione è

composta ed è vera e il [suo] senso è il seguente: l’enunciato [nel quale si

21 Tommaso, Summa contra Gentiles, I, LXVII; trad. it. Somma contro i gentili, a cura di T.S. Centi, Torino 1975, p. 199.

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dice che] Ogni cosa che Dio conosce esiste è necessario, poiché è

impossibile che Dio conosca che qualcosa esiste e che esso non esista. Se

riguarda la cosa, allora [la proposizione] è divisa e falsa e il [suo] senso è il

seguente: ciò che è conosciuto da Dio è necessario che esista. Infatti, le

cose conosciute da Dio non per questo accadono necessariamente22.

Possiamo pertanto affermare, in prima battuta, che ciò che i pre-

cog vedono è necessario che si verifichi, ma ciò non significa che si

verifichi necessariamente. O, in altri termini, dalla verità di (a) “è

necessariamente vero che x ucciderà y”, non segue che (b) “se x uccide y,

allora era necessario che lo facesse”.

La strategia di Dick – che è ciò che rende pensabile, che consente di

pensare il concetto di pre-crimine senza che l’obiezione di Kaplan possa

fare davvero presa – è quella tuttavia di non limitarsi alla discrasia, lo

scarto, tra questi due registri, tra il semantico e l’ontologico, tra la

necessità della proposizione e la necessità dell’evento che essa ha ad

oggetto. Egli si spinge più avanti, e in un’altra direzione. Infatti:

(a) da una parte, abbiamo la necessità de dicto, la verità della proposizione

che dice che “x commetterà un delitto”. E’ questa necessità che giustifica

l’arresto di «individui che non hanno infranto alcuna legge» (We’re taking

in individuals who have broken no law) e che garantisce la verità del

commento di Witwer: «ma che sicuramente la violeranno» (But they

surely will) 23;

(b) dall’altra, il non verificarsi dell’evento: «Per fortuna non lo faranno»

(Happily they don’t), come aggiunge ancora Anderton nel corso del

dialogo sopra ricordato con Witwer. L’evento non accadrà mai, non sarà

22 Tommaso, De Veritate, 2, 12; trad. it. Sulla verità, a cura di F. Fiorentino, Milano 2005, p. 285. Cfr. anche Tommaso, Logica dell’enunciazione. Commento al libro di Aristotele Peri Hermeneias, XIV, 196, a cura di G. Bertuzzi e S. Parenti, Bologna 1997, p. 220: «Ora, per il fatto che un uomo vede che Socrate è seduto non si toglie la contingenza di ciò, perché essa riguarda l’ordine della causa all’effetto; tuttavia l’occhio dell’uomo vede in modo certissimo e infallibile che Socrate sta seduto, fintanto che sta seduto, perché ogni cosa, in quanto è in se stessa, è determinata. Così dunque resta chiaro che Dio conosce tutte le cose che accadono nel tempo in modo certissimo e infallibile, e tuttavia quelle cose che accadono nel tempo non sono o divengono per necessità, ma in modo contingente». 23 P.K. Dick, Rapporto di minoranza, cit., p. 29.

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mai commesso quel crimine di cui sappiamo che è vero che sarà

necessariamente commesso.

Dick giunge fino al punto di pensare come la necessità che il crimine

accada sia esattamente ciò che fa sì che esso non accadrà mai. Il pre-

crimine sarebbe dunque quel crimine che necessariamente sarà

compiuto, ma che proprio per questo non verrà mai compiuto.

5. Futuri contingenti.

“Se stiamo parlando di Philip,

essenzialmente direi che è vero – solo

che non è accaduto” (Kleo Mini,

febbraio 198624).

Questa scissione tra semantico e ontologico viene portata da Dick fino al

suo punto estremo – ed è solo da qui che il tema paranoico si inserisce,

propriamente, nel racconto. Per ora, però, chiediamoci: perché, alla fine,

non dovremmo dare ragione a Lisa, non dovremmo difendere la

Precrimine? Anderton stesso, nel finale, non sembra aver perso la

convinzione che il sistema non vada in alcun modo screditato, come

vorrebbe Kaplan. Se fosse possibile realizzarlo, per quale ragione non

dovremmo? Sappiamo che i pre-cog sono realmente infallibili. Che cosa

non va, allora?

Il punto da cui ricominciare è il seguente: cosa consente di credere che,

dalla verità necessaria della proposizione “x ucciderà y”, segua che, se non

si procederà all’arresto, x necessariamente ucciderà y?

E’ questo l’assunto, infatti, su cui si fonda il sistema della Pre-crimine, la

sua giustificazione, la sua accettabilità. E’ vero, infatti, che i pre-cog a

rigore non “sbagliano”. Ma non potremmo accettarne comunque le

previsioni, se non avessimo la certezza che, non intervenendo, il crimine

che essi vedono verrebbe necessariamente commesso.

Come si è detto, è proprio la separazione tra necessità de dicto e necessità

de re che consente di dar conto dell’ “infallibilità” dei pre-cog e, insieme,

24 L. Sutin, Divine invasioni. La vita di Philip K. Dick, trad. it. di A. Marti, Roma 2001, p. 112.

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del carattere ingiustificato dell’assunto alla base del funzionamento del

sistema pre-crimine.

La possibilità di fondare la necessità della proposizione sul futuro, non

dice nulla circa la diversa necessità, de re, che l’evento si compirà. Se gli

arresti “preventivi” possono apparire, allora, come arbitrari, illegittimi,

non è perché – come solitamente si sottolinea – la conoscenza del futuro

falsificherebbe lo stesso futuro che conosce, secondo la logica della

profezia che si autoannulla (self-defeating prophecy). Piuttosto, è perché

se anche potessimo prevedere con certezza che un crimine si verificherà,

se cioè potessimo giungere a stabilire la necessità della proposizione sul

futuro p “domani x ucciderà y”, ciò non implicherebbe in alcun modo che

domani, necessariamente, x ucciderà y.

Ma, se seguiamo il modo in cui Dick separa le due necessità – de dicto e

de re – fino al loro punto estremo, vediamo che egli ripensa questa

distinzione portandola ad un nuovo livello.

Nella logica del racconto, infatti, il fatto che il crimine non accadrà

necessariamente, non significa semplicemente che sarebbe sempre

possibile che non accada – non è affatto questo ciò che è in gioco, ossia la

semplice esistenza di “futuri contingenti”, tali per cui le previsioni dei pre-

cog non definirebbero sempre e niente altro che mere possibilità.

Se l’evento non necessariamente accadrà, lo ricordiamo, è perché il futuro

si modifica in quanto futuro, ossia: il futuro può sempre cessare di essere

il futuro che sarà. Questo è il senso dello “spostamento”, nel racconto,

dalla concezione dei futuri alternativi (f1 o f2 o f3) a quella dei futuri

consecutivi (f1→f2→f3). I pre-cog, a rigore, non “sbagliano”, non vedono

un futuro solo possibile: ciascuno di loro vede l’unico futuro che esisterà.

Ma questo stesso futuro non cessa di trasformarsi, ogni volta che un

nuovo pre-cog lo vede. Questa è la ragione, diremo, per cui alla necessità

de dicto dell’evento non può mai corrispondere la sua necessità de re.

Dobbiamo spiegare, allora, cosa vi è, qui, in questione. Come si spiega la

contingenza, infatti, dell’evento? Come, in altri termini, la discrasia tra

necessità de dicto e necessità de re si definisce in Dick?

Abbiamo già accennato ad una delle soluzioni “classiche” rispetto al

problema dei futuri contingenti. Poniamo la previsione p “x ucciderà y nel

tempo futuro f”. Se, in f, x avrà ucciso y, ciò significa, forse, che la

previsione era vera – ed era vera già al tempo in cui è stata formulata. Ma

questo vorrebbe dire che x non avrebbe potuto non uccidere y. Una delle

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strategie per fare salva la contingenza del futuro, allora, è quella di

introdurre l’idea che, per quel momento del tempo t in cui la previsione è

stata enunciata, rispetto alla proposizione p esistano due futuri

alternativamente possibili – quello in cui x ucciderà y (f1), e quello in cui

non lo farà (f2). In tal senso, nel contesto in cui la proposizione è

enunciata, nulla consente di dire quale dei due futuri si realizzerà, con la

conseguenza che l’evento resta meramente “possibile”. Al di là delle

diverse conseguenze che da tale posizione dipendono – e che

costituiscono oggi oggetto del dibattito soprattutto in ambito analitico25 –

, quel che interessa, per noi, evidenziare, è che tutte presuppongono una

certa concezione del tempo, che è quella che, talora, si tende a ravvisare

anche nel racconto di Dick, del tipo:

f1

t

f2

Dick, come abbiamo cercato di mostrare, non segue però tale

strategia. Il futuro che i pre-cog vedono non è un futuro possibile, nel

senso di un futuro tra altri. Ciascuno di loro vede lo stesso futuro, che è

l’unico futuro che si realizzerà. E lo vede senza errore: nella visione del

primo pre-cog, il futuro che è visto è l’unico futuro in quel momento, è il

futuro che necessariamente si realizzerà. Ma questo futuro si modifica,

attraverso le successive e consecutive pre-visioni dei pre-cog.

Dobbiamo però ancora chiederci: perché accade tutto ciò? Che cos’è che,

propriamente, cambia, se la visione dei pre-cog è, a rigore, infallibile?

Quello che cambia, in realtà, è il passato. Il futuro che il primo pre-cog

vede, infatti, è il futuro di un determinato passato p1 (es: x ha litigato con

y). Ora, il secondo pre-cog non vede un altro futuro, nel senso di un

futuro alternativo rispetto al primo. Vede lo stesso futuro, il quale però,

25 Cfr., tra le posizioni più significative, A. Malpass – J. Waver, A Future for the Thin Red Line, in Synthese, 188 (2012), pp. 117-142; J. McFarlane, Future Contigents and Relative Truth, in The Philosophical Quarterly, 53 (2003), pp. 321-336; R.H. Thomason, Combinations of Tense and Modality, in D. Gabbay – F. Guenthner (a cura di), Handbook of Philosophical Logic, Dordrecht 1984, pp. 135-165; A.N. Prior, Past, Present and Future, Oxford 1967. Cfr. anche, per una introduzione sul punto, S.M. Schieppati, Determinismo, indeterminismo e il problema del futuro vero, in Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, 1-2 (2018), pp. 171-184.

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adesso, è il futuro di un diverso passato rispetto a p1: è, infatti, il futuro di

quel passato in cui x ha litigato con y, il primo pre-cog ha visto tutto ciò

ed ha, poi, informato la polizia del fatto che x ucciderà, per questo, y. Se

allora l’evento resta contingente, se x non ucciderà necessariamente y, è

perché, a potersi sempre modificare, è il passato26.

A rigore, del resto, i pre-cog non vedono mai un “futuro”, almeno dal loro

punto di vista. Se l’evento si svolge sotto i loro occhi, essi vedono sempre

un presente sulla base di un certo passato, vedono qualcosa che accade

ora, per loro. Pertanto, si dovrebbe dire, propriamente, che se ciò che

vede il primo pre-cog è un evento diverso da quello che vede il secondo, è

perché è il passato del presente a modificarsi, tra una visione e l’altra.

Il primo pre-cog vede l’omicidio: o meglio lo ha visto, esso è per lui

passato. Il secondo pre-cog non vede dopo il primo pre-cog, ma vede a

partire da esso: vede, cioè, che il pre-cog ha visto l’omicidio e che, sulla

base di quel che ha visto, ha informato la polizia del fatto che esso

accadrà.

Dal punto di vista dei pre-cog, possiamo allora ricostruire come segue la

vicenda. L’omicidio è accaduto in un tempo, che chiamiamo t, che si

colloca sempre nel passato rispetto alla visione del primo pre-cog. E’ sulla

base di esso che egli informerà, in un tempo t1, che per lui è futuro –

poiché è successivo a ciò che vede – la polizia. Il secondo pre-cog vede a

partire da qui. Per lui t1 è passato: la polizia è stata informata del crimine

che sarà compiuto. Ma t1 presuppone t; presuppone, per poter essere

stato, che anche t – che ne è la condizione - sia stato. Eppure, come

sappiamo, il pre-cog vede, nel suo presente t2, che l’omicidio non è stato

26 E’ in questo senso che possiamo seguire, qui, quanto osserva M. Salazar, Letteratura e diritto in Philip K. Dick. Note sparse su Rapporto di minoranza, in M. Salazar – M. Salazar, Scritti sfaccendati su diritto e letteratura, Milano 2011, pp. 143 e ss. Se si ammettono, tuttavia, futuri multipli in quanto alternativi o paralleli, allora si conclude, necessariamente, che la visione dei pre-cog è «necessariamente parziale, essendo limitata ad uno tra i possibili aspetti del futuro delineabili in quel particolare momento» (p. 144). Ora, ciò, a nostro avviso, è quanto il racconto non ammette: il sistema del pre-crimine non è “criticabile” in quanto la pre-visione dei pre-cog sarebbe sempre e soltanto parziale o darebbe luogo ad una mera probabilità che il delitto si compirebbe se la polizia non intervenisse. Al contrario, la critica del sistema presuppone proprio che si assuma l’infallibilità della pre-visione, ossia la conoscenza certa e necessaria del futuro. Ma, al contempo, che tale certezza non renda necessario l’evento che prevede.

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commesso: la polizia, infatti, è intervenuta prima che esso sia stato

commesso, in un tempo t3 che, ora, viene ad esistere, revocando t.

Per il secondo pre-cog, pertanto, t è al contempo ciò che è stato (perché,

senza di esso, non potrebbe esservi stato t1) e che, in forza di t3, ha

cessato di essere stato.

t3 t t1 t2

La linea continua indica il percorso temporale che vede il secondo pre-

cog: t1 (l’informazione passata alla polizia) è il passato a partire da cui, in

t2, in ciò che vede ora il pre-cog, ad essere stato è t3, anziché t.

Ma t, come indica la linea tratteggiata, ha dovuto essere stato, in un

passato che non è più quello che vede il secondo pre-cog, se anche per il

secondo pre-cog t1 è stato (esso è la condizione affinché, infatti,

l’informazione sia stata passata alla polizia – a meno di non voler

ipotizzare che il primo pre-cog abbia “errato” in ciò che ha visto, il che è

quanto il racconto esclude).

Se il racconto di Dick non fa vedere tutto questo apertamente, è

perché in esso l’elemento di fiction consente di spostare sulla narrazione

relativa al futuro questo meccanismo. Dal momento in cui, infatti, ciò che

i pre-cog hanno visto è qualcosa che dovrà accadere, è cioè un tempo che

per il tempo del racconto è il futuro, questo consente di essere letto

seguendo una logica che ci è più familiare: quella “classica”, diremo dei

futuri contingenti. Ma, se vogliamo seguire fino in fondo il testo di Dick,

esso – consapevolmente o no – in realtà apre ad una logica del tutto

diversa, e più difficile: quella della revocabilità del passato.

6. Dal futuro al passato.

Stiamo giungendo, finalmente, ad uno dei punti di svolta cui occorre

pervenire, se si intende leggere il pre-crimine come qualcosa che ci

riguarda, che ha a che vedere con il modo in cui noi giudichiamo il

crimine. In quanto accadimento, in quanto “fatto”, il crimine resta, infatti,

sempre contingente. Ma questa contingenza è definita, da Dick, non tanto

dall’esistenza di futuri possibili rispetto ad un determinato presente e ad

un passato che resterebbe, come tale, irrevocabile. Diversamente, essa è

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resa disponibile da una concezione della temporalità tale per cui, nel suo

farsi, il futuro modifica se stesso. Ma, in ultima istanza, Dick sembra dire

che ciò che realmente cambia, ciò che può sempre cessare di essere ciò

che era, è il passato.

Dobbiamo intenderci su questo punto. Non si tratta di limitarsi a dire che

il passato avrebbe potuto essere diverso da ciò che è stato (questa è

ancora la logica dei futuri contingenti tradizionale). Si tratta, piuttosto, di

capire come il passato possa sempre cessare, dopo che è stato, di essere

ciò che è stato.

Questo è ciò che vi è più difficile da pensare: se, infatti, la contingenza del

futuro ci appare sempre qualcosa da “salvare” rispetto a quanto

conseguirebbe dall’accettazione di un “determinismo” radicale, essa è

stata assicurata a partire dall’assunzione dell’irrevocabilità del passato,

dell’impossibilità che ciò che è stato possa cessare di essere stato.

E’ proprio, tuttavia, questo assunto che la logica del testo di Dick tende a

far venire meno, ed è su questo piano che esso si rende leggibile nella sua

radicalità. E’ a partire da qui che il racconto consente di porre ad un

nuovo livello le domande che esso presenta. In questo senso, non si

tratterà di leggere Minority Report come se in esso fosse in questione il

problema di come “prevedere” i crimini, di un mondo in cui i crimini

vengono puniti prima che siano commessi. Al contrario, nel testo si

articola il tema di ciò che separa la conoscenza del crimine dal suo essere

o meno accaduto, della separazione tra il crimine come oggetto di un

enunciato che lo dice e il crimine come evento.

La domanda, pertanto, non è più: “quali conseguenze, dal fatto di poter

prevedere con certezza che un crimine sarà commesso?”, bensì “quali

conseguenze, se potessimo giungere a conoscere con assoluta certezza che

un crimine è stato sicuramente commesso?”

Non si tratterà più di chiedersi, per noi, che cosa segua dalla possibilità di

prevedere il futuro, ma, diversamente, che cosa implicherebbe una

conoscenza vera del passato. Che cosa significherebbe, che cosa verrebbe

in gioco se potessimo un giorno giungere a conoscere necessariamente il

passato? Se, in altri termini, i nostri metodi di indagine, se la verità a cui il

processo giunge, potesse essere una verità necessaria, con riferimento al

crimine che accerta? E’ l’ipotesi di un giudice infallibile, per la quale ciò

che egli conosce, lo conosce necessariamente. Ma cosa vorrebbe dire? Di

che cosa si predicherebbe la necessità?

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Essa sarebbe, lo abbiamo già ricordato, la necessità della proposizione

che accerta il fatto. La necessità, cioè, caratterizzerebbe la conoscenza che

il giudice avrebbe: saremmo cioè di fronte ad un giudice per cui vale che,

necessariamente, se qualcosa è da lui conosciuto, è vero. Diversamente,

essa non potrebbe mai significare: se qualcosa è conosciuto dal giudice,

allora è necessariamente accaduto, non avrebbe potuto non accadere. Il

delitto si sarebbe sempre potuto anche non compiere.

Forse non siamo giunti a prendere realmente sul serio tale

considerazione, sul piano del diritto. Che cos’è questo poter non essere

accaduto di un crimine, di cui pure potremmo sempre accertare, al limite,

il suo essere certamente accaduto?

Esso non mette, in fondo, in crisi la pretesa – che sempre il diritto ha – di

poter, almeno idealmente, raggiungere una conoscenza certa, definitiva,

in modo tale da separare una volta per tutte la colpevolezza

dall’innocenza?

Per il passato, noi tendiamo a interpretare il “poter non essere accaduto”

di un crimine che si è verificato come una mera possibilità logica:

diciamo, cioè, che non era logicamente impossibile che il crimine non

accadesse, che non sarebbe stato contraddittorio che non fosse

commesso. In questo modo, ci limitiamo a intendere il possibile come

non-impossibile. Certamente, dunque, ciò che necessariamente è

accaduto non per questo era necessario che accadesse.

Ma, come si è visto, la posizione di Dick porta ad un nuovo livello la

discrasia tra proposizione ed evento: il fatto che sia vero che il crimine è

stato commesso, diremo ora, non esclude il fatto che esso possa sempre

non essere stato commesso. La prima, infatti, è sempre e soltanto una

verità della proposizione che enuncia, accerta, il passato. La seconda,

diversamente, è una possibilità che il passato conserverebbe sempre in

quanto tale, sul piano ontologico, e non semantico. Indica, cioè, che il

passato può sempre essere non stato.

Dobbiamo, allora, fare i conti non tanto con il fatto – in fondo banale –

che il crimine, anche se accaduto, avrebbe pur sempre potuto non

accadere, quanto con l’idea che il passato, nel suo stesso essere accaduto,

potrebbe sempre cessare di essere tale. Si tratta di quanto tendiamo

sempre ad escludere: nessuno può scegliere di avere saccheggiato Troia,

per dirla con Aristotele. Neppure Dio potrebbe far sì che ciò che è

accaduto non sia stato, e viceversa:

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Egli può certamente distruggere tutte le cose che sono state fatte, in modo

che esse non siano più, ma non si riesce a vedere in che modo potrebbe

fare che le cose che sono accadute non siano accadute. Ossia egli può far sì

ora e in avvenire Roma non esista più, giacché può essere distrutta; ma in

nessun modo si riesce a capire come possa darsi che non sia stata fondata

anticamente27.

Dick, diversamente, suggerisce questa ipotesi: noi potremmo, da un

momento all’altro, trovarci in un mondo in cui Roma non è mai stata

fondata. E’ qui che si inserisce l’effetto propriamente paranoico della sua

scrittura, che presuppone che sia revocata ogni credenza preliminare

nella realtà della realtà, in ciò che la garantisce come tale. Se “paranoica”,

lo sottolineiamo, è la condizione della scrittura dickiana, è perché

quest’ultima non comincia, non si fa, se non a partire da questa revoca, da

questa messa in questione del reale. E, con esso, del tempo stesso, della

realtà del tempo: «Ho la straordinaria frase rivelata su cui basarmi: “fa

apparire le cose differenti così da far sembrare che il tempo è passato”. Ho

studiato con impegno questa frase, con risultati stupefacenti. Per

ricapitolare: c’è solo una differenza apparente. Dunque non c’è nessuna

vera differenza»28. Ipotesi, dunque, che il passato non esista: che il tempo

non passi. Ma ipotesi, appunto, perché la scrittura di Dick non procede

che per continui ripensamenti, ri-articolazioni della domanda su che cosa

sia reale – e, qui, che cosa sia reale del tempo. Le ipotesi, le tesi, le

soluzioni possibili si sposteranno, allora, con i suoi racconti, e con essa la

funzione del passato29.

In Minority Report il tema è sempre quello del tempo: che cosa c’è di

futuro e di passato? Che cosa li separa? Se ciò che i pre-cog vedono è, per

loro, passato, come fissare la differenza reale rispetto al futuro? Se questo

27 Pier Damiani, De divina omnipotentia, in De divina omnipotentia e altri opuscoli, a cura di P. Brezzi, trad. di B. Nardi, Firenze 1983, pp. 71-73. 28 Su di esso, si veda a A. Lucci, Umano Post Umano, Roma 2016, pp. 115-144. 29 Cfr., sul tema, S. Cooper, The potency of the past in comic science fiction: Aristophanes and Philip K. Dick, in Classical Receptions Journal, 10, 1 (2018), pp. 86–107. Per una lettura in chiave “biopolitica” del problema del tempo in Dick, cfr. Y. Lanci, Remember Tomorrow: Biopolitics of Time in the Early Works of Philip K. Dick, in A. Dunst – S. Schlensag (a cura di), The World According to Philip K. Dick, London 2015, pp. 100-113.

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è il motivo che attraversa il racconto30, noi lo potremo fare funzionare

anche come momento che mette in questione l’idea che il passato sia

“reale”, che esso sia certo, a differenza del futuro, in quanto e nella misura

in cui non può cessare di essere ciò che è stato.

7. Il tempo del crimine.

“Some men a forward motion

love / But I by backward steps

would move” (H. Vaughan)

Torniamo, finalmente, al concetto di pre-crimine, di un crimine che

sarebbe necessariamente compiuto, senza mai essere stato compiuto.

Non arriveremo a vederne le implicazioni, le questioni che sono poste,

finché non capiremo l’operazione che Dick pone in atto con esso. Il pre-

crimine non è altro, da questo punto di vista, che il nostro stesso concetto

di crimine pensato, sviluppato secondo una strategia paranoica, tipica

della scrittura dickiana31. Varrebbe la pena, allora, utilizzare quanto

possiamo isolare nella logica di questo racconto per tornare al problema

del crimine, del giudizio su di esso, della condanna.

Quale certezza avrete mai – sembra chiederci Dick – nel condannare? Ma

lo fa spingendo la domanda in una direzione nuova. Qui essa non riguarda

infatti i limiti, sempre possibili, di ogni atto di conoscenza del passato

(come a sottolineare che sarebbe sempre possibile l’ “errore”). Essa chiede

altro, e mette in gioco un diverso problema. Ed è questo problema che,

attraverso Dick ma al di là del suo testo, riguarda il nostro modo di

pensare, di affrontare la punizione dei crimini.

Se anche, infatti, fosse possibile giungere ad una conoscenza vera del

passato, davvero essa ci assicurerebbe del fatto che esso non possa

30 In tal senso, diremo che è questo tratto che costituisce l’originalità propria della lettura di Dick, e ciò senza negare le influenze possibili e le corrispondenze con altre posizioni – quella di Bergson, ad esempio, che hanno indagato P. Atkinson, I Know What You Did Next Summer, in D.E. Wittkower (a cura di), Philip K. Dick and Philosophy, cit., pp. 261-270, e J. Burton, The Philosophy of Science Fiction: Henri Bergson and the Fabulations of Philip K. Dick, London 2015. 31 Sulla paranoia in Dick, si rinvia a C. Freedman, Towards a Theory of Paranoia: The Science Fiction of Philip K. Dick, in Science Fiction Studies, 11, 1 (1984), pp. 15-24; N. Brémaud, Le délire paraphrénique de Philip K. Dick, l’homme reprogrammé, in L’en-je lacanien, 16, 1 (2011), pp. 143-171.

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cambiare? Il passato non conserva sempre la possibilità – ontologica, de

re – di revocarsi, di non essere stato ciò che è stato?

Se diciamo che il colpevole avrebbe potuto essere innocente, non

intendiamo più, allora, soltanto che potremmo sempre aver commesso un

errore, al livello della nostra conoscenza dei fatti. Intendiamo dire,

diversamente: ciò che egli ha fatto, conserva sempre, in se stesso, la

possibilità, la potenza di non essere stato 32. Anche la “realtà” del passato,

cioè, può sempre cedere.

Il problema è spostato, finalmente. Non si tratta più di “denunciare” la

sempre possibile incertezza del giudizio, la sempre possibile divergenza

tra la “verità” processuale e la realtà dei fatti. Fino a qui, infatti, non c’è

nulla di diverso rispetto a quanto i giuristi non hanno mai smesso di

sottolineare. Se, infatti, essi ormai ammettono che la giustificazione che il

processo produce è sempre e soltanto quella dell’enunciato sui fatti33,

l’ideale di una “verità” come corrispondenza alla realtà viene, in realtà,

mantenuto se, come osserva MacCormick «ogni lite giudiziaria implica la

supposizione che si possano stabilire delle verità nel tempo presente

intorno a fatti passati»34.

Per questo si continua a parlare dell’enunciato fattuale come di una

proposizione di natura descrittiva, nel senso che essa si riferirebbe ad

determinato fatto come una «realtà esterna al processo»35. Il riferimento

alla possibilità di verificare se la proposizione corrisponda o meno alla

realtà dovrebbe perciò essere sempre mantenuto, se non altro per

consentire la valutazione critica della sentenza da parte di chi, ad

32 E’ un tema, questo, su cui hanno insistito – se pur da diverse prospettive - sia Agamben, nello sviluppo del concetto aristotelico di non-potere (cfr. G. Agamben, Bartleby o della contingenza, in G. Deleuze – G. Agamben, Bartleby. La formula della creazione, Macerata 1993) che Vitiello, attraverso l’elaborazione del concetto di possibilità del possibile (riferita anche al passato, cfr. V. Vitiello, Il Dio possibile. Esperienze di cristianesimo, Roma 2002). 33 Come osserva correttamente R. Alexy, Teoria dell’argomentazione giuridica, trad. it. a cura di M. La Torre, Milano 1998, p. 86, la “giustificazione” dell’enunciato fattuale “x ha ucciso y” è sempre una giustificazione che non verte sulla corrispondenza dell’enunciato ai fatti, all’evento per come esso è accaduto. Un fatto è «ciò che viene espresso da una proposizione che può essere giustificata discorsivamente». 34 N. Maccormick, Ragionamento giuridico e teoria del diritto, ed. it. a cura di V. Villa, trad. it. di A. Schiavello, Torino 1994, p. 108. 35 J. Ferrer Beltrán, Prova e verità nel diritto, Bologna 2004, p. 27.

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esempio, sia in grado di provare «in base a successive scoperte, che la

ricostruzione dei fatti operata dal giudice “non era vera”»36.

Per questo si mantiene sempre, in ultima istanza, una certa concezione

dell’ “errore” giudiziario, come se un enunciato relativo ai fatti potesse

essere dimostrato “falso” in quanto non corrispondente ai fatti, per come

essi sono accaduti. Se tutto ciò può continuare a funzionare, è solo sul

presupposto che il fatto, per come accaduto, sia in ultima istanza

irrevocabile. Certamente, cioè, x può essere falsamente ritenuto di aver

commesso un crimine: ma, se lo ha commesso, è impossibile far sì che

non lo abbia commesso (factum infectum fieri nequit). La possibilità

stessa – come generalmente si ammette – che l’enunciato relativo ai fatti

possa essere “falso”, possa non corrispondere alla realtà, implica che

quest’ultima resti indifferente a ciò che nella proposizione si dice di essa.

Ma questo significa che, se potessimo mai giungere alla certezza della

verità dell’enunciato che accerta il delitto, ciò non potrebbe che

significare la certezza che il delitto sia stato commesso. La verità, la forma

di sapere che le pratiche giuridiche, il modo di giudicare gli uomini in

relazione ai crimini, si sono imposte nella modernità, non ha mai smesso

di essere pensata, in fondo, a partire dall’ideale - per quanto non

raggiungibile - corrispondenza tra la conoscenza del fatto e il suo essere

accaduto.

Dick fornisce, nel racconto, questo ideale compiuto: potrebbe sempre

darsi, non può escludersi, che sia possibile giungere ad una conoscenza

necessaria del passato, ad una conoscenza infallibile di ciò che è stato. Se

giungessimo mai ad essa, avremmo realizzato l’ideale del processo per

come pensato dalla modernità giuridica: ci sentiremmo, cioè, finalmente

garantiti nel nostro condannare, nel fatto che non vi sarebbe, qui, errore

possibile.

E’ a questo punto che Dick giunge a porre la domanda, nel momento e nel

modo in cui essa va pensata: tutto ciò ci assicurerebbe davvero, in fondo,

di condannare soltanto crimini che siano stati commessi? Di non

condannare mai, dunque, degli “innocenti”?

Se vi è risposta affermativa, la si ottiene solo assumendo che un fatto, se si

è compiuto, non può non essersi compiuto. Che ciò che è stato non può

mai, non può più non essere stato. Ma questa credenza da che cosa è

36 P. Comanducci, Assaggi di metaetica, Torino 1992, p. 238.

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assicurata? Che cosa le consente di essere mantenuta, se non ciò che essa

stessa assicura?

Essa è la condizione affinché, per il processo, vi possa essere una “verità”,

affinché cioè esso possa presentarsi come atto di conoscenza – per quanto

imperfetto – di ciò che è stato. Ma, dall’altra parte, è solo in quanto

assumiamo che questo atto di conoscenza tenda in ultima istanza a

corrispondere alla realtà che facciamo di quest’ultima qualcosa di

“irrevocabile”, perché funziona come criterio ultimo di valutazione della

correttezza di quell’atto. E’ dunque il condizionato che è condizione della

sua condizione: è, cioè, il nostro modo di pensare che la conoscenza tenda

verso l’accertamento dei “fatti”, a far sì che questi ultimi non possano che

essere pensati come irrevocabili. La credenza nell’irrevocabilità del

passato è ciò che costituisce quell’illusione di realtà che rende possibile il

processo, la produzione della sua “verità”.

La paranoia, va ricordato, in Dick è ciò che consente di articolare la

domanda: che cos’è reale? In altri termini: soltanto ad un livello

“paranoico” è possibile che la realtà si riveli per ciò che essa è, è possibile

giungere a ciò che costituisce il reale di ciò che è reale.

Che cos’è dunque reale? Il crimine, nel modo in cui lo pensiamo, in

quanto fatto accaduto? Non più di quanto lo sia il pre-crimine – è questa

la risposta implicata nel racconto. Perché la conoscenza del passato non è

meno “illusoria” della pre-visione del futuro. Anche se, a rigore, non si

dovrebbe parlare di illusorietà. Se infatti la realtà stessa è una illusione, e

se non vi è un’altra realtà cui contrapporla, allora non c’è più la possibilità

di dire che cosa il crimine sia “in realtà”. Esso è reale come, in quanto

illusione37.

Il processo diventa il luogo, allora, in cui ri-assicuriamo, ogni volta, la

credenza nell’irrevocabilità del passato, in cui anzitutto condanniamo ciò

che è stato ad essere stato. “Accertare” un fatto, ciò che è accaduto, non

significa, per il diritto, escludere che esso possa non essere accaduto,

quanto escludere che, se è accaduto, non possa cessare di essere accaduto

(e, analogamente, se non è accaduto). Il problema, cioè, non è di

condannare un innocente, non è la condanna di qualcuno per un crimine

che non ha commesso. Il problema, piuttosto, è che la condanna per un

37 Cfr., sul punto, J. Baudrillard, Simulacres et science-fiction, in Id., Simulacres et Simulation, Paris 1981, pp. 177-186.

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crimine che si è commesso è sempre, anzitutto, condanna

all’irrevocabilità di quel passato, è ciò che impedisce al crimine che è stato

commesso di poter giungere, un giorno, a non essere stato commesso38.

Questa possibilità, il testo dickiano giunge a pensarla sul piano ontologico

– e non, dunque, limitandosi a fare di essa una possibilità che

riguarderebbe il nostro modo di modificare il passato attraverso la

narrazione che facciamo di esso. L’idea che sia al livello della costruzione

narrativa della realtà che il passato viene reso “modificabile”, infatti, non

fa che fondarsi sull’assunto per cui, nel suo essere accaduto come tale,

esso sarebbe invece irrevocabile. Ma la scrittura di Dick non va in questa

direzione, poiché la questione che essa sviluppa è sempre quella della

realtà (ontologica) del passato. Ed è qui che l’incubo di un futuro che può

sempre essere diverso da ciò che necessariamente e infallibilmente sarà,

può anche rivelarsi come l’incubo di un passato a cui viene impedito di

poter non essere stato.

Potremmo distinguere, allora, tra l’aver-avuto-luogo dell’evento e il suo

essere-stato. Certamente esso ha avuto luogo, e come tale è irrevocabile.

Ma può sempre cessare di essere stato, di essere il passato che è stato. E’

questa la domanda che, allora, andrebbe finalmente sviluppata: che cosa

ne sarebbe di un diritto, in tutto ciò che riguarda il suo modo di

considerare, di pensare il passato, se quest’ultimo ci apparisse, ora, come

revocabile? Che ne sarebbe della pena, del giudizio, ma anche della

riparazione, del crimine estinto, amnistiato, “perdonato”? Non

cambieremo nulla dei nostri modi di giudicare, di condannare, di punire,

finché non giungeremo ad essere all’altezza di ciò che realmente è ancora

da pensare: che un crimine che è stato, possa sempre cessare di essere

stato.

Abstract: The paper analyses the topic of “pre-crime” included in Philip K. Dick’s novel, “Minority Report”. The purpose of the analysis is to identify the concept and implications of a “crime without a crime”, namely a crime which has been prevented from occurring thanks to the fact that it was forecasted. The idea of “pre-crime” questions the typical meaning given by the

38 Anche la stessa “estinzione” del reato, nella dottrina penalistica, è spesso definita come “impropria” proprio «perché è evidente che il reato nella sua materialità di fatto storico non si può estinguere (factum infectum fieri nequit)» (F. Ramacci, Corso di diritto penale, a cura di R. Guerrini, Torino 2013, p. 579). Così, analogamente, Antolisei osservava che «il reato, come fatto storico, una volta sorto, non può essere posto nel nulla» (F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano 1980, p. 631).

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modern society to delict, guilt and punishment opening to a reinterpretation of our juridical categories.

Keywords: Philip Dick – Minority Report – Pre-Crime – Multiple Futures – Future Contigents