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James George Frazer

Il ramo d'oro Studio sulla magia e la religione

Volume primo

Titolo originale: The Golden Bough

A Study in Magic and Religion Edizione ridotta dall'autore 1922

Traduzione di: Lauro De Bosis

1973 Editore Boringhieri SpA

Piano dell' edizione

VOLUME PRIMO

Prefazioni, XV L Il re dei bosco, 7

IL Re-sacerdoti, 19 III La magia simpatica, 23

IV. Magia e religione, 81 V. Il potere magico sul tempo, 99

VI I re maghi, 135 VII. Di umani incarnati, 147

VIII Re di elementi, 169 IX. Il culto degli alberi, 175 X. Vestigia del culto degli alberi nell'Europa moderna, 19?

XI. L'influenza dei sessi sulla vegetazione, 215 XII. Il matrimonio sacro, 223

XIII. I re di Roma e d'Alba, 233 XIV. La successione al trono nell'antico Lazio, 241 XV. Il culto della quercia, 251

XVI. Diano e Diana, 255 XVII. Il peso della corona, 265

XVIII. I pericoli dell'anima, 281 XIX. Tab di azioni, 305 XX. Tab di persone, 319

XXI. Tab di oggetti, 349 XXII. Tab di parole, 381

XXIII. Quel che dobbiamo ai selvaggi, 407 XXIV. L'uccisione del re divino, 411 XXV. Re temporanei, 439

XXVI. Il sacrificio del figlio del re, 449 XXVII. L'eredit dell'anima, 455

XXVIII L'uccisione dello spirito dell'albero, 450

VI Piano dell'edizione

XXIX. Il mito di Adone, 503 XXX. Adone in Siria, 509

XXXI. Adone a Cipro, 513 XXXII. Il rituale di Adone, 523

XXXIII. I giardini di Adone, 533 XXXIV. Il mito e il rituale di Attis, 543 XXXV. Attis come dio della vegetazione, 551

XXXVI. Rappresentanti umani di Attis,' 555

VOLUME SECONDO

XXXVII. Religioni orientali in Occidente, 559 XXXVIII. Il mito di Osiride, 569

XXXIX. Il rituale di Osiride, 579 XL. La natura di Osiride, 593

XLI. Iside, 601 XLII. Osiride e il sole, 605

XLIII Dioniso, 609 XL1V. Demetra e Persefone, 621 XLV. La madre e la vergine del grano nell'Europa settentrionale. 633

XLVI La madre del grano in vari paesi, 653 XLVII. Lityerse, 671

XLV III. Lo spirito del grano come animale, 707 XLIX. Antiche divinit della vegetazione come animali, 733

L. Del mangiare gli di, 753 LI. Magia omeopatica di una dieta carnea, 771

LII. L'uccisione dell'animale divino, 777 LIII Propiziazione della selvaggina da parte dei cacciatori, 801 LIV. Tipi di sacramento animale, 819 LV. La trasmissione del male, 831

LVI. L'espulsione pubblica degli spiriti maligni, 843 LVII. Capri espiatori pubblici, 867

LVIII. Capri espiatori umani nell'antichit classica, 891 LIX. L'uccisione del dio al Messico, 907 LX. Tra cielo e terra. 915

LXI. Il mito di Balder, 939 LXII. Le feste del fuoco in Europa, 943

Piano dell'edizione VII

LXIII. Interpretazione delle feste del fuoco. 989 LXIV. Olocausti di vittime umane, 1003 LXV. Balder e il vischio, 1015

LXVI. L'anima esterna nei racconti popolari , 1029 LXVII. L'anima esterna nei costumi popolari, , 1045

LXVIII. Il ramo d'oro, 1077 LXIX. Addio a Nemi, 1093

Indice analitico, 1099

Indice dei due volumi

Prefazione di Giuseppe Cocchiara

Prefazione dell'autore

Libro primo: Re-maghi e di morituri

I. Il re del bosco, 7 1. Diana e Virbio, 7 2. Artemide e Ippolito, 15 3. Ricapitola-zione, 17

II. Re-sacerdoti, 19

III. La magia simpatica, 23 1. I principi della magia, 23 2. Magia omeopatica o imitativa, 25 3. Magia contagiosa, 63 4. La carriera del mago, 75

IV. Magia e religione, 81

V. Il potere magico sul tempo, 99 1. Il mago pubblico, 99 2. Il potere magico sulla pioggia, 102 3. Il potere magico sopra il sole, 125 4. Il potere magico sopra il vento, 129

VI. I re maghi, 135

VII. Di umani incarnati, 147

VIII Re di elementi, 169

IX. Il culto degli alberi, 175 1. Gli spiriti degli alberi, 175 2. Poteri benefci degli spiriti ar-borei, 187

X. Vestigia del culto degli alberi nell'Europa moderna, 193

X Indice generale

XI. L'influenza dei sessi sulla vegetazione, 215

XII. Il matrimonio sacro, 223 1. Diana come dea della fertilit, 223 2. Il matrimonio degli di, 226

XIII. I re di Roma e d'Alba, 233 1. Numa ed Egeria, 233 2. Il re come Giove, 235

XIV. La successione al trono nell'antico Lazio, 241

XV. Il culto della quercia, 251

XVI . Diano e Diana, 255

XVII. Il peso della corona, 265 1. Tab di sacerdoti e di re, 265 2. Separazione del potere spiri-tuale dal temporale, 276

XVIII . I pericoli dell'anima, 281 1. L'anima come ometto, 281 2. Assenza e richiamo dell'anima, 283 3. L'anima come ombra e come riflesso, 297

XIX. Tabu di azioni, 305 1. Tab sui rapporti coi forestieri, 305 2. Tab sul mangiare e sul bere, 311 3. Tab sul mostrare la faccia, 313 4. Tab sul-l'uscir di casa, 314 5. Tab sul lasciare avanzi di cibo, 315

XX. Tab di persone, 319 1. Tabu di capi e di re, 319 2. Tab di persone in lutto, 323 3. Tab di donne durante la mestruazione e il parto, 326 4. Tab di guerrieri, 330 5. Tab di omicidi, 333 6. Tab di cacciatori e pescatori, 339

XXI. Tab di oggetti, 349 1. Il significato del tab, 349 2. Tab del ferro, 350 3. Tab di armi taglienti e aguzze, 354 4. Tab del sangue, 355 5. Tab della testa, 359 6. Tab di capelli, 361 7. Cerimonie al taglio dei capelli, 363 8. Collocazione di capelli e unghie tagliate, 364 9. Tab degli sputi, 369 10. Tab di cibi, 370 11. Tab su nodi e anelli, 371

XXII. Tab di parole, 381 1. Tab di nomi di persona, 381 2. Tab dei nomi di parenti, 387 3. Tab dei nomi dei morti, 391 4. Tab di nomi di re e di altri personaggi sacri, 398 5. Tab di nomi di di, 403

XXIII. Quel che dobbiamo ai selvaggi, 407

Indice generale XI

XXIV. L'uccisione del re divino, 411 1. La mortalit degli di, 411 2. Re uccisi al decadere della loro forza, 412 3. Re uccisi alla fine di un termine fisso, 425

XXV. Re temporanei, 439

XXVI. Il sacrificio del figlio del re, 449

XXVII. L'eredit dell'anima, 455

XXVIII. L'uccisione dello spirito dell'albero, 459 1. Le maschere della Pentecoste, 159 2. Il seppellimento del car-nevale, 467 3. L'espulsione della Morte, 476 4. L'evocazione dell'Estate, 481 5. La battaglia dell'Estate e dell'Inverno, 489 6. Morte e risurrezione di Kostrubonko, 491 7. Morte e rinascita della vegetazione, 493 8. Riti analoghi in India, 495 9. La pri-mavera magica, 496

XXIX. Il mito di Adone, 503

XXX. Adone in Siria, 509

XXXI. Adone a Cipro, 513

XXXII. Il rituale di Adone, 523

XXXIII. I giardini di Adone, 533

XXXIV. Il mito e il rituale di Attis, 543

XXXV. Attis come dio della vegetazione, 551

XXXVI. Rappresentanti umani di Attis, 555

XXXVII. Religioni orientali in Occidente, 559

XXXVIII. Il mito di Osiride, 569

XXXIX. Il rituale di Osiride, 579 1. I riti popolari, 579 2. I riti ufficiali, 586

XL. La natura di Osiride, 593 1. Osiride come dio del grano, 593 2. Osiride come spirito degli alberi, 597 3. Osiride come dio della fertilit, 598 4. Osiride rome dio dei morti, 599

XLI Iside, 601

XLII. Osiride e il sole, 605

XII Indice generale

XLIII. Dioniso, 609

XLIV. Demetra e Persefone, 621

Libro secondo: I sacrifici e la festa del fuoco

XLV. La madre e la vergine del grano nell'Europa setten-trionale, 633

XLVI. La madre del grano in vari paesi, 653 1. La madre del grano in America, 653 2. La madre del riso nelle Indie orientali, 657 3. Lo spirito del grano incarnato in esseri umani, 663 4. La doppia personificazione del grano come madre e come figlia, 665

XLVII. Lityerse, 671 1. Canzoni dei mietitori, 671 2. L'uccisione dello spirito del grano, 673 3. Sacrifici umani per il raccolto, 682 4. L'ucci-sione dello spirito del grano nei suoi rappresentanti umani, 692

XLVIII. Lo spirito del grano come animale, 707 1. Incarnazioni animali dello spirito del grano, 707 2. Lo spirito del grano come lupo o come cane, 708 3. Lo Spirito del grano come gallo, 712 4. Lo spirito del grano come lepre, 715 5. Lo spirito del grano come gatto, 716 6. Lo spirito del grano come capra, 717 7. Lo spirito del grano come toro, bove o vacca, 721 8. Lo spirito del grano come cavallo, 725 9. Lo spirito del grano come porco (cinghiale o scrofa), 726 10. Le incarnazioni animali dello spirito del grano, 730

XLIX. Antiche divinit della vegetazione come animali, 733 1. Dioniso, la capra e il toro, 733 2. Demetra, il maiale e il ca-vallo, 739 3. Attis, Adone e il maiale, 742 4. Osiride, il maiale e il toro, 743 5. Virbio e il cavallo, 748

L. Del mangiare gli di, 753 1. Il sacramento delle primizie, 753 2. Come mangiavano la di-vinit gli Aztechi, 764 3. Molti Mani in Aricia, 767

LI. Magia omeopatica di una dieta carnea, 771

LII L'uccisione dell'animale divino, 777 1. Uccisione dell'abuzzago sacro, 777 2. Uccisione del capro sa-cro, 779 3. Uccisione del serpente sacro, 780 4. Uccisione delle tartarughe sacre, 781 5. Uccisione dell'orso sacro, 784

Indice generale XIII

LIII Propiziazione della selvaggina da parte dei cacciatori, 801

LIV. Tipi di sacramento animale, 819 1. Tipo egiziano e tipo aino di sacramento, 819 2. Processioni con animali sacri, 824

LV. La trasmissione del male, 831 1. La trasmissione del male in oggetti inanimati, 831 2. La tra-smissione del male agli animali, 833 3. La trasmissione del male agli uomini, 836 4. La trasmissione del male in Europa, 838

LVI. L'espulsione pubblica degli spiriti maligni, 843 1. L'onnipresenza dei demoni, 843 2. L'espulsione occasionale degli spiriti maligni, 844 3. L'espulsione periodica degli spiriti maligni, 8S0

LVII. Capri espiatori pubblici, 867 1. Espulsione di mali incarnati, 867 2. L'espulsione occasionale degli spiriti maligni dentro un veicolo materiale, 869 3. Espul-sione periodica dei mali per mezzo di un veicolo materiale, 873 4. I capri espiatori in generale, 886

LVIII. Capri espiatori umani nell'antichit classica, 891 I. Il capro espiatorio umano nell'antica Roma, 891 2. Il capro espiatorio umano nell'antica Grecia, 892 3. I saturnali a Roma, 899

LIX. L'uccisione del dio al Messico, 907

LX. Tra cielo e terra, 915 1. Non toccare la terra, 915 2. Non vedere il sole, 919 3. Re-clusione delle fanciulle alla pubert, 920 4. Ragioni della reclu-sione delle fanciulle puberi, 921

LXI. Il mito di Balder, 939

LXII. Le feste del fuoco in Europa, 943 1. Le feste del fuoco in generale, 943 2. Fuochi di quaresima, 944 3. Fuochi pasquali, 950 4. I fuochi di Beltane, 954 5. Fuochi di mezz'estate o di S. Giovanni, 960 6. I fuochi della vigilia d'O-gnissanti, 975 7. Fuochi del solstizio d'inverno, 980 8. Il fuoco della miseria, 983

LXIII. Interpretazione delle feste del fuoco, 989 1. Le feste del fuoco in generale, 989 2. La teoria solare delle fe-ste del fuoco, 991 3. Teoria delle feste del fuoco come purifica-zione, 998

XIV Indice generale

LXIV. (Olocausti di vittime umane, 1003 1. Effigi arse nei fuochi, 1003 2. Olocausti di esseri umani e ani-mali, 1005

LXV. Balder e il vischio, 1015

LXVI. L'anima esterna nei racconti popolari, 1029

LXVII. L'anima esterna nei costumi popolari, 1045 1. L'anima esterna nelle cose inanimate, 1045 2. L'anima esterna

nelle piante, 1048 3. L'anima esterna negli animali, 1051 4. Il rituale della morte e della risurrezione, 1063

LXVIII. Il ramo d'oro, 1077

LXIX. Addio a Nemi, 1093

Indice analitico, 109Q

Prefazione di Giuseppe Cocchiara

stato pi volte osservato che l'opera svolta dal Frazer nel campo dell'antropologia, dell'etnologia e del folklore si pu paragonare a quella che nel campo della storiografia svolse in Italia Ludovico Antonio Muratori. Al Muratori il Frazer si avvicina infatti per straor-dinaria capacit di lavoro, per l'infaticabile alacrit di ricerche, per la ricchezza stessa della sua opera. Con questa differenza, tuttavia: che mentre il campo della indagine muratoriana rimane l'Italia, quello di Frazer il mondo. E il mondo visto nei suoi aspetti pi misteriosi e inquietanti, quali sono appunto le credenze e le supersti-zioni, alla cui natura si rifanno le istituzioni, i miti, le leggende.

Il metodo di indagine di cui il Frazer si serve per internarsi in quel mondo quello stesso del Tylor: il comparativo.1 Egli si muove in mezzo a una cultura dominata e impregnata di positivismo. Vi si sente a suo agio.

Il mondo dei selvaggi cos, come il Tylor, egli chiama i pri-mitivi gli si dispiega con molteplici interessi. E coi selvaggi, sulle orme stesse del Tylor, lo interessa la vita spirituale quale vive o sopravvive fra i volghi dei popoli civili. Sotto questo aspetto, anzi,

1 [Edward Burnett Tylor (1832-1917), autore di Primitive Culture (1871), che pu considerarsi il manifesto della scuola antropologica inglese. Tylor design col termine "animismo" le idee e credenze dei primitivi, che mediante l'attribuzione di un'anima alle cose costituirebbero una spiegazione "coerente e razionale" del-l'universo. Tali credenze si estrinsecherebbero in particolare nel culto dei morti e delle anime, culto in cui il Tylor ravvis l'origine della religione, assurta poi a forme superiori Becondo uno schema evoluzionistico.]

XVI Giuseppe Cocchiara

egli non solo completa Tylor, di cui accoglie il concetto di soprav-vivenza, ma d al folklore stesso, cio alla sua materia, un organiz-zamento pi metodico di quanto non avesse fatto lo stesso Tylor. Gli sar di esempio Mannhardt.1

Cos attraverso le credenze, le istituzioni e le superstizioni il Frazer collega le civilt classiche coi popoli primitivi e questi coi volghi dei popoli civili, per quanto nei suoi collegamenti risulti poi una scala, il cui primo gradino costituito precisamente dai popoli primitivi, dalle civilt classiche il secondo, dal folklore l'ultimo. N il Frazer si limita a raccogliere le varie testimonianze. Che anzi questa la sua preoccupazione: non imbalsamare quelle testimonianze, ma renderle vive e suggestive perch le sue pagine si possano articolare in una scrittura omogenea e compatta. Si direbbe, leggendo le sue opere, che gli etnologi e i folkloristi d'Europa abbiano tutti lavorato per lui. Ma lui ricambier il dono ricevuto, tanto vero che nelle sue pagine anche gli etnologi e i folkloristi pi rigidi e irsuti diventano scrittori letterariamente apprezzabili e piacevoli. Il Frazer avvicenda quindi tali testimonianze con le pagine pi suggestive delle letterature clas-siche o anche orientali. Riporta, con compiacimento, pagine di lette-rati, brani di poeti. La sua cultura profondamente umanistica si in-nesta su una cultura moderna, sensibilissima e raffinata. E le sue pagine, e di pagine egli ne ha scritte migliaia, non affaticano n stan-cano, ma spingono il lettore a seguirlo. Anche quando l'autore integra la sua analisi descrittiva con le interpretazioni date ai vari elementi costitutivi di una tradizione, di un uso, di un rito.

Si aggiunga che quasi tutte le sue opere sono il frutto di una ela-borazione continua, di un impegno ch'egli ritiene di aver assolto sem-pre a met e nel quale si sente la forza di un temperamento volitivo.

Cos, ad esempio, il primo lavoro etnologico pubblicato dal Frazer

1 [Wilhelm Mannhardt (1831-80), autore di Antike Wald- und Feldkulte [Anti-chi culti dei boschi e dei campi] (1873-77), che ripropone con rigore "filologico" una metodologia affine a quella del Tylor. La suprema importanza data ai riti della vegetazione.]

Prefazione XVII

si intitola Totemism [Il totemismo] ed del 1884. Nel 1892 egli ri-torna sull'argomento. Ma dobbiamo arrivare al 1912 per vedere quel tema svolto, con ricchezza di particolari, nei quattro volumi del-l'opera Totemism and Exogamy [Totemismo ed esogamia]. N meno laboriosa stata la compilazione del lavoro pi popolare del Frazer, The Golden Bough [Il ramo d'oro]. Pubblicato in due volumi nel 1890, esso fu ristampato nel 1900 con un volume in pi. Ma le sue ricerche, gi ben avviate in quelle prime edizioni, si dirameranno in direzioni sempre pi numerose finch dal 1911 al 1915 II ramo d'oro uscir in dodici volumi.1

questa la pi suggestiva opera nella quale gli interessi del Frazer si sommano, illuminandosi gli uni con gli altri. Gli Inglesi l'hanno definita la Bibbia dei tempi moderni . In essa il letterato si accom-pagna all'etnologo, l'etnologo al folklorista. E l'uno e l'altro, l'etno-logo e il folklorista, rimangono sempre pi ammirati della cultura e della civilt classica. Le quali ancor giovane, nel 1884, il Frazer aveva curato il Bellum Jugurthinum [La guerra contro Giugurta] di Sallustio sono state affrontate dal Frazer ancora pi direttamente in quei mirabili monumenti che sono i sei volumi di Pausanias's Description of Greece [La Periegesi della Grecia di Pausania] e i cinque dei Fasti of Ovid [I Fasti di Ovidio], dove le feste, le cre-denze, le istituzioni e le superstizioni dell'antica Grecia e dell'antica Roma vengono spiegate, illuminate e chiarite col vivificante contri-buto dell'etnologia e del folklore.

Sullo stesso piano di questi lavori che segnano il pi deciso e deci-sivo incontro tra l'etnologia, la filosofia classica e il folklore, si arti-

1 [Dai dodici volumi Frazer stesso trasse nel 1922 un'edizione ridotta che appunto quella qui presentata (si veda il motto preposto dall'autore alla sua prefa-zione). I dodici volumi portano i titoli: 1-2.The Magic Art and the Evolution of Kings [L'arte magica e l'evoluzione della regalit]; 3.Taboo and the Perils of the Soul [Il tab e i pericoli dell'anima]; 4.The Dying God [Il dio morente]; 5-6.Adonis, Attis, Osiris [Adone, Attis, Osiride]; 7-8.Spirits of the Cnrn and of the Wild [Gli spiriti del grano e della landa] ; 9. The Scapegoat [Il capro espia-torio] ; 10-11. Balder the Beautiful [Balder il Bello]; 12. Bibliografia e indice analitico generale.]

XVIII Giuseppe Cocchiara

cola l'opera in tre volumi dedicata al Folklore in the Old Testament [Il folklore nell'Antico Testamento]. N qui si ferma l'attivit del Frazer, ove si pensi, senza tener conto dei suoi lavori di carattere letterario, che egli dal 1913 al 1924 pubblic i tre volumi, di interesse prevalentemente etnologico, The Belief in Immortality and the Worship of the Dead [La credenza nell'immortalit e il culto dei morti] ; nel 1926 i due volumi The Worship of Nature [Il culto della natura]; nel 1930 l'ampio saggio Myths of the Origin of Fire [Miti sull'origine del fuoco]; nel 1933, ormai ottantenne, il volume The Fear of the Dead in Primitive Religion [Il timore dei morti nelle reli-gioni dei primitivi]. Di notevole interesse, per quanto si tratti di materiali non elaborati, i tre volumi Anthologia Anthropologica [Antologia antropologica], editi fra il 1938 e il 1939.

A riassumere alcune conclusioni, cui era giunto nella sua vasta opera, il Frazer pubblic fin dal 1908 una serie di saggi che allora presero il titolo di Psyche's Task [Il compito di Psiche]. Nel 1927, nel ripubblicare tale volume cui, nello stesso anno, aggiungeva la vivace antologia tratta dalle sue opere, Man, God and Immortality [Uomo, divinit e immortalit], il Frazer volle cambiargli titolo e lo chiam, non senza significato, The Devil's Advocate [L'avvocato del diavolo].

Laureatosi in legge, il Frazer avrebbe potuto essere ammesso al foro di Londra. Era destino per che i suoi clienti dovessero essere ben diversi da quelli che si incontravano in quel foro. Questa la ragione per cui egli volle ribattezzare col titolo di L'avvocato del diavolo il suo libro su Psiche. E quell'avvocato, l'avvocato del diavolo, difender, si, nel lungo corso della sua vita, dei clienti, ma questi, come egli stesso afferma in quel suo libro, saranno le credenze, le istituzioni, le leggende. E in particolar modo - ecco il cliente pili pericoloso le superstizioni, nelle quali, se non vi tutta la storia dell'umanit, vi indubbiamente una parte di quella storia.

Con questo intento il Frazer si accinse alla compilazione del Ramo d'oro, nel quale egli si preoccupa anzitutto di vedere quale sia stato

Prefazione XIX

effettivamente il primo stadio del pensiero umano. Convinto, come il Tylor, che l'etnologia un criterio di interpretazione per il folk-lore, egli dell'avviso che per applicare questo principio anzitutto necessario respingere il concetto che il Tylor aveva dell'animismo. Al principio era l'animismo, aveva detto Tylor. Al principio era la magia, dir invece il Frazer. E lo stesso Ramo d'oro porta appunto per questo il sottotitolo Studio sulla magia e la religione .

Partito, pellegrino e rapsodo per le vie del mondo, da Nemi, o meglio dal Santuario di Diana Nemorensis, dove nell'antichit era stata osservata una legge inesorabile, quella del Re del Bosco, che era stato al tempo stesso un sacerdote e un assassino in quanto poteva aspirare a quell'ufficio soltanto chi avesse ucciso il suo predecessore il Frazer, nell'indagare la genesi di quell'usanza, si accorse subito che anche nelle societ primitive il re spesso non solo un sacerdote, ma anche un mago, il quale ottiene il potere per una supposta perizia nell'arte magica. Come il Re del Bosco di Nemi, anche il re primitivo deve sottostare a tutta una serie di divieti da cui dipende il suo ufficio e la sua vita. Il fatto che la legge del Re del Bosco non trovava ri-scontro nell'antichit classica aveva spinto il Frazer a spingersi assai lontano, fra i selvaggi. Senonch, com'egli stesso avverte, per com-prendere l'evoluzione della regalit e il carattere sacro di cui que-st'ufficio stato comunemente investito agli occhi dei popoli barbari e selvaggi essenziale avere qualche conoscenza dei principi della magia .

Cos, come se compisse una sosta, il Frazer affronta uno dei pro-blemi pi difficili cui sia collegata la storia del pensiero primitivo. Da questa sua sosta dipender il suo orientamento. Ammiratore e discepolo del Tylor, il Frazer avrebbe potuto trovare tale orienta-mento nell'animismo. Fin dal suo piccolo libro sul totemismo, egli si era per trovato a tu per tu con le credenze magiche che legano la vita del selvaggio dentro una catena di ferro. Ma qual , egli si do-mander, il carattere, la natura, l'ufficio di queste credenze?

Nel 1890, nella prima edizione del Ramo d'oro, il Frazer si era

X X Giuseppe Cocchiara

limitato a constatare che ai selvaggi il mondo appare dotato e diretto non soltanto da esseri personali, ma anche da forze impersonali, che quanto dire da leggi naturali, nell'ambito delle quali si sarebbe svolta la magia. Nella seconda, in quella del 1900, egli mette in mag-gior rilievo quelle concezioni. Il che verr poi ribadito, con maggior impegno oltre che con una pi scaltrita dialettica, nella terza edizione del Ramo d'oro, nel cui primo volume egli cerca di determinare l'ori-gine stessa della magia, classificandone i principi e i mezzi: per lui le credenze magiche saranno giudizi ai quali fa da leva l'istinto casuale.

Considerata la magia come una falsa scienza che insieme una falsa arte, il Frazer illustra, quindi, i principi che la reggono. E questi, a suo avviso, sono due: primo, che il simile produce il simile o che l'effetto rassomiglia alla causa; secondo, che le cose che siano state una volta a contatto continuano ad agire l'una sull'altra, a distanza, dopo che il contatto fisico sia finito. Il primo principio, egli aggiunge, pu chiamarsi legge di similarit. Il secondo, legge di con-tatto o di contagio. Questi principi a loro volta, egli incalza, non sono che due cattive e diverse applicazioni delle associazioni delle idee. La magia omeopatica (o imitativa) fondata sulla associazione di idee per similarit. La magia contagiosa sull'associazione per contiguit. In pratica per, i due principi sono spesso combinati; o per essere pi esatti, mentre la magia omeopatica o imitativa pu essere prati-cata da sola, si trover che la magia contagiosa implica generalmente un'applicazione del principio omeopatico o imitativo .

L'applicazione pi familiare del primo principio il simile pro-duce il simile consiste, ad esempio, nel credere che si possa distrug-gere o danneggiare un nemico, danneggiando o distruggendo la sua immagine; nel guarire o prevenire le malattie trasferendole alla terra, a un albero, a una pietra ecc.; nel ritenere che le cose della stessa specie si attraggono l'una con l'altra per mezzo dei loro spiriti; nel-l'aiutare, o anzi meglio, nel far si che, mediante le cerimonie che li riproducono, sia abbondante il raccolto, la pesca, la caccia ecc. Il

Prefazione X X I

sistema della magia simpatica, tuttavia, non composto soltanto di precetti positivi, ma comprende un gran numero di precetti negativi, cio proibizioni. Insomma, non vi dice soltanto quel che dovete fare, ma anche quel che non dovete. I precetti positivi sono gli incantesimi, quelli negativi sono i tab... I due fenomeni sono semplicemente i due lati opposti o i poli di una grande e disastrosa illusione, di una errata concezione dell'associazione delle idee. Di questa illusione l'incantesimo il polo positivo, il tab quello negativo .

L'esempio pi familiare, invece, della magia contagiosa, osserva il Frazer, la simpatia magica che si crede esista tra un uomo e le parti del suo corpo separate, come, ad esempio, i capelli e le unghie,

cos che chiunque venga in possesso di capelli e unghie pu fare quel che vuole, a qualsiasi distanza, sulla persona da cui furono tagliati. Altro esempio: la connessa simpatia che pu esistere tra l'uomo e l'arma che l'ha ferito. La magia contagiosa pu essere inoltre eser-citata su un uomo anche per mezzo delle impronte lasciate dal suo corpo sulla sabbia o sulla terra.

L'una e l'altra di queste forme, sia pure nel loro continuo intrec-ciarsi, possono essere praticate a beneficio di un privato, ma anche a beneficio della comunit. Ed in quest'ultimo caso che il mago di-venta un funzionario pubblico, una personalit.

Concepita dunque la magia, in cui rientra il totemismo (nel suo primo lavoro sul totemismo, egli si era mostrato dell'avviso che il totemismo un fenomeno in parte religioso, in quanto presuppone dei rapporti tra l'uomo e il totem, e in parte sociale, in quanto presup-pone degli obblighi fra i membri dello stesso clan; ma questa defini-zione del 1887 nel 1910 non lo soddisfa pi, tanto vero che egli passa a considerare il totemismo soltanto come una forma di organizza-zione), come un tessuto di errori, essa viene assunta come criterio di interpretazione per chiarire e illuminare i culti, i miti e i riti del-l'antichit classica. A volte, in tal caso, le sue note sono rapide, altre volte, invece, i suoi excursus sulle civilt classiche sono vere e pro-prie trattazioni in cui la magia fa da quadro generale. Insegni il caso

XXII Giuseppe Cocchiara

stesso del Re del Bosco, che insieme il coro e la voce dominante del Ramo d'oro. Ma insegni anche II folklore nell'Antico Testamento oltre i commentari di Ovidio e di Pausania. Sembra che il Frazer voglia dire : i vostri Greci, i vostri Romani non erano poi tanto lontani dal pensare come la pensavano i barbari. E i suoi quadri ecco, poi, quasi di rincalzo, che si animano del folklore, vale a dire delle so-pravvivenze che tuttora rimangono nel seno delle nostre civilt. allora, si pu dire, che il folklore viene assunto come controprova stessa delle sue asserzioni. Con questa differenza, rispetto al Tylor: che in quei quadri il folklore finir col diventarne l'anima. Il Frazer, nella sua immensa opera, cos come non ha trascurato un culto, un mito, una credenza dell'antichit classica, allo stesso modo ha avuto presenti quasi tutte quelle espressioni che allo Herder apparivano, ed erano davvero, voci dell'umanit. Il folklore europeo si ricompone infatti nelle sue opere, dandoci appunto l'espressione dell'umanit stessa: un'umanit ricca, immaginosa, viva, calda, che si effonde nelle credenze, palpita nei suoi spettacoli, si esprime nei suoi racconti e nelle sue leggende.

Nel Ramo d'oro il Frazer costretto, tra l'altro, ad affrontare un campo di indagini su cui aveva lungamente arato il Mannhardt: il culto degli alberi. Si detto che il Frazer popolarizz in maniera sug-gestiva le teorie esposte dal Mannhardt (che pur era stato di stimolo a tanti altri studiosi). Ed vero. Ma il Frazer che pur riconosce quanto deve al Mannhardt riduce a giuste proporzioni la teoria di questo. Non v' dubbio per che egli, ove quel culto venga circoscritto, accoglie in fondo molte premesse dello stesso Mannhardt. Si legga, ad esempio, il suo esame dedicato alle vestigia del culto degli alberi nel-l'Europa moderna. Si tratta di vere e proprie escursioni in cui lo stesso folklore ci si presenta sotto uno dei suoi aspetti pi poetici. Ebbene : qui che egli senz'altro fa sue le opinioni del Mannhardt, e cio che nelle processioni primaverili lo spirito della vegetazione spesso rappresentato dall'albero. Oppure si leggano le sue pagine dedicate all'uccisione dello spirito dell'albero. Anche qui egli chiede

Prefazione XXIIJ

l ' a l to appoggio del Mannhardt. E nel Ramo d'oro, in sostanza, il Mannhardt pur sempre presente. Con questa innovazione, per: che, s'egli accetta il Mannhardt, lo piega pur sempre al suo sistema, in base a cui il culto degli alberi non che un aspetto della magia, la quale ancor oggi domina incontrastata nella vita dei volghi dei popoli civili.

Ogni tradizione che vive nei volghi dei popoli civili viene quindi ricondotta dal Frazer a un rito, il rito a una credenza, la credenza a un sistema di idee. E il folklore par quasi che assuma il corso di un fiume che nessuna civilt pu arginare, perch in fondo anch'esso un aspetto di quella civilt. Questa la conclusione del Frazer: ma qual la via attraverso cui egli vi giunto? E attraverso quale travaglio?

Nel seguire le vie di questo corso, la prima via che si dischiude al Frazer quella dei popoli primitivi. Anche lui, come Tylor, con-vinto che i selvaggi di oggi sono tali in senso relativo e non in senso assoluto. Eppure l, fra i selvaggi, il suo prima cronologico. Nel chiarire i rapporti fra etnologia e folklore lo stesso Frazer osserva che i nostri predecessori furono una volta dei selvaggi i quali avrebbero trasmesso ai loro discendenti le loro idee e le istituzioni .

Il mondo dei selvaggi, quel mondo che i teorici dell'Illuminismo avevano esaltato, diventa cos lo stesso mondo del Frazer, il quale in esso vede il passato. E nel passato l'importanza assunta dalla magia, che pur di quel passato non che un aspetto particolare. Senonch come vede egli questa magia? Lo abbiamo notato: come un tessuto di errori, di false associazioni di idee, frutto di ignoranza. La sua una conclusione induttiva, la quale convoglia in s la premessa che la magia sia una forma elementare rispetto alla religione, che una forma superiore. C' in lui insomma l'illuminista che si convertito alla religione. Ma giudicando in quel modo la magia, egli non si mette nella posizione di quei dotti che vorrebbe condannare?

ovvio infatti osservare che la magia, se per noi pu costituire un errore, una superstizione, non lo affatto per i selvaggi, per i quali

XXIV Giuseppe Cocchiara

essa una forma storica di pensiero nella quale si avvicendano idee, paure, angosce, fughe, patimenti ecc. Lo stesso Frazer considera la magia come un tentativo inteso a estendere i confini della propria facolt di fare o di produrre qualcosa. Bene: ma allora come pu egli conciliare quel tentativo, che appunto l'attivit di un essere co-sciente e intelligente, con la sua medesima condanna, la quale sen-tenzia che il selvaggio sarebbe soggetto a far uso soltanto della cate-goria di contiguit?

Il Frazer, ligio ai suoi principi evoluzionistici, secondo i quali ci che semplice prima del tempo, colloca la magia all'inizio del pen-siero umano. Ma chi ci dir mai se per l'uomo veramente primitivo non sia stata pi semplice la concezione di un Dio, anzich quella di un potere magico? E se effettivamente nel passaggio dalla magia alla religione quale lo suppone il Frazer avesse agito una causa psicologica, dovuta allo spirito dell'uomo, esisterebbero oggi in mezzo alle nostre societ tutte quelle credenze di carattere squisita-mente magico di cui ricco non solo il folklore, ma tutta la nostra vita?

Il fatto che la magia non pu porsi come un prima che porta ad assumere arbitrariamente un momento o aspetto del corso storico, n come la condizione necessaria (e la sola necessaria) del resto, e tanto meno, come si poi obiettato al Frazer, come un dopo. Am-mettiamo, senz'altro, che la magia vada nettamente distinta dalla religione. Ma l'una e l'altra non sono, n possono non esserlo, che due gradi di pensiero. E soltanto, come tali, del pensiero storico. Pertanto vano ricercare in essi una minore (magia) o maggiore (re-ligione) intelligenza, una maggiore o minore elementarit dello spi-rito. Magia e religione sono in tali casi concetti empirici, classifica-zioni che indicano un pi o un meno rispetto al prevalere di una determinata concezione del mondo e dei rapporti di esso con l'uomo. Religione la divinit concepita libera rispetto all'uomo. Magia una forza assoggettabile all'azione costruttiva dell'uomo. E magia e religione nascono e si sviluppano dall'esperienza del primitivo, e cio

Prefazione X X V

da un atteggiamento dello spirito, il quale, secondo determinate con-dizioni storiche, si invera nell'una o nell'altra, oppure prevale nel-l'una anzich nell'altra.

La verit pu anche nascere da un errore. Ma a un patto : che l'er-rore venga considerato come un atto logico. vero che la storia pu nascere anche da un'illusione. Ma a un patto : che quell'illusione sia appunto il portato di una esperienza umana. Del negativo, evi-dente, non si fa storia.

In realt per il Frazer, pur considerando la magia come un tes-suto di errori, vuol fare di essa non solo la storia, ma il comincia-mento della storia. Un buon avvocato deve sapere accusare anche il suo cliente per passar poi meglio, e con pi credito, alla sua difesa. E la sua difesa consiste in ci. Egli ritiene, si, che la magia un tes-suto di errori, di concezioni assurde, una forma di superstizione; ma ritiene altres che da quegli errori, da quelle concezioni, da quella superstizione derivata una grande utilit alla vita umana.

Nell'Avvocato del diavolo il Frazer riprende infatti i concetti da lui sostenuti nelle sue varie opere. E afferma : 1) che presso certi po-poli e certe razze la superstizione ha consolidato il rispetto del go-verno, contribuendo allo stabilimento dell'ordine sociale; 2) che presso certe razze e in certe epoche la superstizione ha consolidato il rispetto della propriet privata, contribuendo ad assicurarne il godi-mento; 3) che presso certe razze e in certe epoche la superstizione ha consolidato il rispetto del matrimonio, contribuendo anche a una maggiore osservanza delle regole della morale sessuale; 4) che presso certe razze e certi popoli la superstizione ha consolidato il rispetto della vita umana.

Queste istituzioni (governo, propriet, matrimonio, rispetto della vita umana) sono, aggiunge il Frazer, la vita stessa della societ umana. Distrutti quei pilastri, cade la societ. E qui, almeno apparentemente, siamo sullo stesso piano del Vico, il quale, come noto, fondava la civilt stessa su tre umani costumi. Senonch, mentre nel Vico quelle istituzioni si collegano al processo della storia, dove si avvicendano

XXVI Giuseppe Cocchiara

corsi e ricorsi, nel Frazer quel processo si identifica col postulato della teoria dell'evoluzione organica, la quale sostiene che per sapere che cosa sia l'uomo bisogna anzitutto conoscere la sua origine. Come se l'origine dell'uomo non fosse insita nello sviluppo stesso delle sue istituzioni. Il Vico ricercava la genesi dei fatti nell'intimo della loro stessa natura, la quale la sola che ci d le guise del conoscimento . E ammoniva : Quello che fece il mondo delle nazioni fu per niente, perch il fecero gli uomini con intelligenza; non fu fatto perch il fecero con elezione; non caso perch con perpetuit, sempre cos facendo meno le medesime cose . Ecco perch, conosciuta la natura eterna delle cose, stolta curiosit domandare altri primi .

Il Frazer invece alla ricerca disperata di questi primi, del prima e del poi, l'uno e l'altro attribuiti, nel campo dei primitivi, a una mentalit indifferenziata, alla quale si assimila l'anima stessa dei volghi dei popoli civili. Cos come egli crede al progresso illimitato, crede anche a una comparazione dedotta esclusivamente dalla unifor-mit umana. E stabilite queste premesse, ecco la sua ambizione: spalancare le porte a una storia universale dell'umanit. Questa l'am-bizione stessa della sua opera, della quale, bench inficiata dalla concezione di una storia universale in cui si inverano tanto la filosofia della storia quanto la sociologia, e nonostante i suoi molti difetti, pu dirsi quel che egli stesso pensava della magia : che dai suoi errori fa scaturire tanta utilit. Distaccate i quadri che ci dipinge il Frazer dal contesto delle sue teorie, dal prima e dal poi; considerate gli istituti che egli ci rappresenta, animandoli di una propria vita nella loro na-tura, che poi la loro effettiva natura storica; esaminate i suoi excursus nell'impeto potente delle atmosfere che si sanno creare: ed ecco che allora avrete un Frazer il quale non manca di darci delle pagine, egli naturalista, di interesse strettamente storico. Si direbbe anzi che il Frazer diventa storico quando dimentica di voler es-sere tale.

Non mancano infatti nella sua opera interpretazioni felici su vari problemi etnologici, messe a punto penetranti, accostamenti che, pur

Prefazione XXVII

posti sul terreno della natura, rivelano di per se stessi una natura sto-rica. Come quelle del Tylor, come quelle del Mannhardt, le pagine del Frazer che hanno un profondo interesse storico sono quelle in cui egli lega in senso ideale le credenze dei volghi dei popoli civili con quelle dei popoli primitivi, onde l'etnologia e il folklore si fanno al-lora veramente storia contemporanea. allora che quelle tradizioni si ravvivano e diventano vita stessa della storia. Vero: egli dell'avviso che le tradizioni popolari sono dei fossili per l'idea primitiva che pos-sono contenere. Ma poi con quale e con quanta cura egli ne indaga la natura! Lo stesso Frazer del resto osserva quelle tradizioni nelle loro varianti, nelle loro somiglianze, ma anche nelle loro differenze. Ed ecco allora che egli si impone alla nostra attenzione per la finezza stessa con la quale collega i materiali nell'ambito di determinate con-nessioni culturali e soprattutto per la disposizione di animo, virtual-mente poetica, con cui egli lumeggia quelle connessioni. qui che il Frazer porta non solo una sensibilit pi raffinata rispetto ai suoi predecessori, ma direi la civetteria di una intelligenza che fa dello scienziato un poeta.

Partito, insomma, con la missione dello storico alla ricerca della storia dell'umanit, il Frazer non sempre assolve felicemente questo compito, ma in ogni caso rivela qualit eccezionali di letterato, di artista, di poeta. Egli stesso, d'altro lato, negli ultimi anni della sua vita, e ci sia detto a suo onore, comprese che in cambio della storia dell'umanit ci aveva dato piuttosto i documenti di essa: Se non ci inganniamo, i fatti da noi accumulati assumeranno col tempo un va-lore e un pregio che le nostre teorie non conosceranno mai. Noi pen-siamo dunque che, se le nostre opere troveranno posto nelle biblio-teche dei nostri posteri, ci avverr per le costumanze e le credenze strane che vi sono descritte, anzich per le teorie da noi costruite per interpretarle.

GIUSEPPE COCCHIARA

Prefazione dell'autore

Longior undecimi nobis decimique libelli Artatus labor est et breve rasit opus.

Plura legarti vacui.

[II testo prolisso del mio undecimo E del mio decimo libro l'ho accorciato

E una silloge breve ne ho curato. Il di pi lettura da poltroni.]

MARZIALE, X I I . 4

Scopo iniziale di questo libro fu di spiegare le misteriose leggi che regolavano la successione dei sacerdoti di Diana ad Alicia. Quando, pi di trent'anni fa, mi accinsi per la prima volta a risol-vere quel problema, io pensavo che se ne potesse dare brevemente una soluzione; ma presto mi accorsi che per renderla probabile o persino intelligibile era necessario discutere certe questioni pi gene-rali, alcune delle quali erano state prima a malapena affrontate. Nelle edizioni successive la discussione di questi soggetti e di altri affini ha occupato sempre pi spazio, le ricerche si sono diramate in direzioni sempre pi numerose, finch i due volumi dell'opera originale arrivarono a dodici.

Frattanto stato molte volte espresso il desiderio che questo libro fosse pubblicato in una forma pi compendiosa. Il presente

volume un tentativo di soddisfare tale desiderio e di portar quindi il libro a una pi vasta cerchia di lettori. Mentre le dimensioni del libro sono state molto ridotte, ho cercato di mantenerne intatti i principi generali, insieme a una quantit di fatti sufficiente per illustrarli con chiarezza. Anche la scrittura dell'originale stata per la maggior parte conservata, sebbene qua e l abbia un po' condensato l'esposizione. Per mantenere quanto pi mi fosse pos-sibile il testo, ho sacrificato tutte le note e con esse tutte le esatte

citazioni delle mie fonti. I lettori che desiderassero accertare la fonte di ogni mia affermazione debbono quindi consultare il lavoro originale che pienamente documentato e provvisto di una completa biblio-

grafia.

2 Prefazione dell'autore

In questa edizione abbreviata non ho n aggiunto nulla di nuovo, n alterato le vedute espresse nell'ultima edizione; i fatti che sono venuti nel frattempo a mia conoscenza hanno, nel loro complesso, servito a confermare le mie prime conclusioni e a fornire le nuove prove. Cos, per esempio, per la questione fondamentale della pratica di uccidere i re allo spirare di un termine fisso o quando la loro salute o le loro forze cominciano a decadere, il corpo di prove che mostra la stragrande diffusione di questa usanza stato considere-volmente aumentato in questo frattempo.

Un esempio impressionante di una monarchia limitata di questo tipo ci vien fornito dal potente regno medioevale dei Khazari nella Russia meridionale, dove i re potevano esser messi a morte o allo spirare di un termine fisso o quando qualche pubblica calamit, come carestia, siccit o sconfitta in guerra, sembrasse indicare una diminuzione dei loro poteri naturali. La prova della sistematica uccisione dei re Khazari, tratta dai resoconti di antichi viaggiatori arabi, stata da me raccolta altrove1.

Anche l'Africa ha fornito nuove prove di una simile pratica di regicidio. La pi notevole forse il costume gi osservato a Bunyoro di scegliere ogni anno da un clan speciale un finto re, che si credeva incarnasse l'ultimo re, conviveva con le sue vedove nel suo mausoleo, e dopo aver regnato per una settimana, veniva stran-golato.2 Questo costume presenta una stretta somiglianza con l'an-tica festa babilonese delle Sacee, in cui un finto re veniva vestito di abiti regali, godeva le concubine del re, e dopo aver regnato per cinque giorni, veniva spogliato, flagellato e messo a morte.

Questa festa ha ricevuto a sua volta nuova luce da certe iscri-zioni assire3 che sembrano confermare l'interpretazione da me

1 J. G. FRAZER, The Killing of the Khazar Kings, Folk-Lore , XXVIII , 1917, pp. 382-407.

1 J. ROSCOE, The Soul of Central Africa, Londra, 1922, p. 200 Cfr. J. G. FRAZER, The Mackie Ethnological Expcdition lo Central Africa; Man, X X , 1920, p. 181.

3 H. ZIMMERN, Zum babylonischen Neujahrsfest, Leipzig, 1918. Cfr. A. U. SAYCK nel Journal oi the Royul Asia tic Society , luglio 1921, pp. 440-442.

Prefazione dell'autore 3

gi data della festa come una celebrazione di capodanno e come l'origine della festa ebraica del Purim1. Altri casi recentemente scoperti, analoghi a quello dei re-sacerdoti di Aricia, ci sono offerti dai sacerdoti e dai re africani che venivano messi a morte allo spirar di sette o di due anni, mentre durante quel periodo potevano essere assaliti e uccisi da qualche uomo vigoroso che succedeva loro nel sacerdozio o nel regno 2.

Con questi esempi, e con altri analoghi costumi dinanzi a noi, non pi possibile considerare come eccezionale la regola di succes-sione dei sacerdoti di Diana ad Aricia; essa chiaramente esemplifica una istituzione molto diffusa, della quale si sono trovati in Africa i casi pi numerosi e pi somiglianti. In che misura questi fatti possano far supporre una primitiva influenza dell'Africa in Italia, o anche l'esistenza di una popolazione africana nell'Europa meri-dionale, io non so. Le relazioni preistoriche tra i due continenti sono ancora oscure e formano oggetto di studio.

Se la spiegazione da me offerta di questa istituzione sia corretta o no giudicher l'avvenire. Io sar sempre pronto ad abbandonarla se me ne sar suggerita una migliore. Per ora, affidando questo libro nella sua nuova forma al giudizio del pubblico, desidero difen-derlo da una errata interpretazione del suo scopo, che sembra ancora prevalere, per quanto abbia gi altre volte cercato di correggerla. Se nel presente lavoro ho indugiato alquanto sopra il culto degli alberi ci non dipende, confido, perch io esageri la sua importanza nella storia delle religioni e anche meno perch io ne voglia dedurre un intero sistema di mitologia; semplicemente perch non posso passar sotto silenzio questo argomento cercando di spiegare il signi-ficato di un sacerdote che port il titolo di Re del Bosco e di cui una delle funzioni era lo strappare un ramo il Ramo d'Oro da un albero del sacro bosco.

1 The Golden Bough, parte VI, The Scapegoat, pp. 354 sgg., 412 sgg. 2 P. AMAURY TAI.BOT, nel Journal of the African Society, luglio 1916,

pn. 309 sq.; Id., in Folk-Lore X X V I , pp. 79 sq.; H. R. PALMER, nel Journal of the African Society , luglio 1912, pp. 403, 497 ng.

4 Prefazione dell'autore

Ma sono talmente lontano dal considerare la venerazione degli alberi come cosa di suprema importanza nella evoluzione delle religioni, che io la considero addirittura subordinata ad altri fattori e in particolare al timore dei morti, che in complesso credo sia stata probabilmente la forza pi potente nel formarsi delle religioni primitive. Io spero che dopo questa esplicita dichiarazione non sar pi accusato di abbracciare un sistema di mitologia che considero non soltanto falso, ma inconcepibile e assurdo. Ho troppa fami-liarit con l'idra dell'errore per aspettarmi che, tagliando una delle teste del mostro, io possa impedire a un'altra, o anche alla stessa, di sorgere ancora. Posso solo contare sulla lealt e sulla intelligenza dei miei lettori per rettificare questa grave interpretazione delle mie vedute paragonandola con la mia espressa dichiarazione.

J . G . FRAZER

Londra, giugno 1922.

Libro primo Re-maghi e di morituri

I. Il re del bosco

1. Diana e Virbio.

Chi non conosce il Ramo d'oro del Turner? La scena del quadro, tutta soffusa da quella aurea luminescenza d'immaginazione con cui la divina mente del Turner impregnava e trasfigurava i pi begli aspetti della natura, una visione di sogno di quel piccolo lago di Nemi, circondato dai boschi, che gli antichi chiamavano lo specchio di Diana. Chi ha veduto quell'acqua raccolta nel verde seno dei colli Albani, non potr dimenticarla mai pi. I due carat-teristici villaggi italiani che dormono sulle sue rive e il palazzo egualmente italiano i cui giardini a terrazzo digradano rapidamente gi verso il lago, rompono appena l'immobilit e la solitudine della scena. Diana stessa potrebbe ancora indugiarsi sulle deserte sponde

o errare per quei boschi selvaggi. Nei tempi antichi questo paesaggio silvano era la scena di una

strana e ricorrente tragedia. Sulla sponda settentrionale del lago, proprio sotto gli scoscesi dirupi su cui si annida il moderno villaggio di Nemi, si ergeva il sacro bosco e il santuario di Diana Nemorensis, la Diana del bosco. Il lago e il bosco erano spesso conosciuti come il lago e il bosco di Aricia. Ma la citt di Alicia (l'attuale Ariccia) era situata pi di tre miglia lontano, ai piedi del monte Albano, separata per mezzo di un'aspra pendice dal lago che giace in un piccolo cratere sul costone della montagna. In questo bosco sacro cresceva un albero intorno a cui, in ogni momento del giorno, e

8 Il re del bosco

probabilmente anche a notte inoltrata, si poteva vedere aggirarsi una truce figura. Nella destra teneva una spada sguainata e si guardava continuamente d'attorno come se temesse a ogni istante di essere assalito da qualche nemico. Quest'uomo era un sacerdote e un omicida; e quegli da cui si guardava doveva prima o poi tru-cidarlo e ottenere il sacerdozio in sua vece. Era questa la regola del santuario. Un candidato al sacerdozio poteva prenderne l'ufficio uccidendo il sacerdote, e avendolo ucciso, restava in carica finch non fosse stato ucciso a sua volta da uno pi forte o pi astuto di lui.

L'ufficio tenuto in condizioni cos precarie gli dava il titolo di re; ma certo nessuna testa regale ripos tra maggiori inquietudini, n fu mai turbata da pi diabolici sogni. Anno per anno, d'estate o d'inverno, col tempo buono o con la bufera, egli doveva proseguire la sua solitaria vigilia, e se cedeva a un tormentato sonno lo faceva a rischio della sua vita. Una diminuita vigilanza, la pi piccola diminuzione nella forza delle sue membra o nella destrezza della sua guardia, lo metteva nel pi grave pericolo; l'imbiancarsi dei suoi capelli poteva segnare la sua condanna a morte. Ai miti e pii pellegrini di quel santuario sembrava certo che il solo suo aspetto oscurasse la bellezza di quel paesaggio, come quando una nuvola, in un giorno di luce, copre a un tratto il sole. L'azzurro fantastico del cielo italico, l'ombra gaia del bosco e lo scintillare dell'onde mal s'accordavano con quella cupa e sinistra figura. Meglio possiamo raffigurarci la scena come pot apparire a qualche viandante sor-preso dalle tenebre in una di quelle selvagge notti d'autunno, quando le foglie morte cadono dense e sembra che i venti cantino il lamento funebre sull'anno che muore. Ecco veramente una cupa visione, accompagnata da una malinconica musica; lo sfondo nero della foresta, che spicca contro il cupo e tempestoso cielo, il sospirar dei venti tra i rami, il fruscio delle foglie morte sotto i piedi, il lambire dell'acqua gelida contro la sponda, e, in primo piano, una tenebrosa figura che si aggira a gran passi, su e gi, ora nell'ombra e or nella luce, con un lampeggiar d'acciaio sopra la spalla, quando la luna pallida, tra nube e nube, l'illumina, tra l'intrico dei rami.

Diana e Virbio 9

La strana regola di questo sacerdozio non ha alcun riscontro in tutta l'antichit classica e non si pu spiegare per mezzo di essa. Per trovarne una spiegazione dovremo spingerci molto lontano. Nessuno potr negare che questo costume ha tutto il sapore d'un'et barbara, e che, sopravvivendo nei tempi imperiali, sia in singolare contrasto con la raffinata societ italiana del tempo, simile a una rupe primordiale in mezzo a un prato ben coltivato. Ma proprio l'asprezza e la barbarie di questo costume che ci fa sperar di spie-garlo. Le recenti ricerche sulla storia primitiva dell'uomo hanno infatti mostrato l'essenziale similarit con cui, sotto molte differenze di superfcie, la mente umana ha elaborato la sua prima e rude filosofia della vita. Se noi potremo quindi provare che un costume barbaro come quello del sacerdozio di Nemi esistito anche altrove, se potremo scoprire i motivi che hanno condotto alla sua istituzione, se potremo provare che questi motivi hanno operato ampiamente

e forse universalmente nella societ umana, producendo in varie circostanze una variet di istituzioni specificamente diverse, ma genericamente consimili, se potremo infine mostrare che questi stessi motivi, con alcune delle istituzioni che ne derivano, erano attualmente in opera nell'antichit classica, allora noi potremo giustamente arguire che in et pi remota gli stessi motivi diedero origine al secerdozio di Nemi.

Comincer con l'esporre i pochi fatti e le leggende che ci furon tramandati su questo argomento. Secondo una di tali leggende, il culto di Diana a Nemi fu istituito da Oreste, che, dopo aver ucciso Toante, re del Chersoneso Tauric (la Crimea), fuggi con sua sorella in Italia, portandosi il simulacro della Diana Taurica nascosto dentro un fascio di sterpi. Dopo morto, le sue ossa furon trasportate da Aricia a Roma e sepolte di fronte al tempio di Saturno, sulle pendici del Campidoglio, dietro il tempio della Concordia. Il san-guinoso rituale che la leggenda attribuiva alla Diana Taurica familiare a ogni lettore dei classici; si dice che ogni straniero che approdasse a quelle sponde fosse sacrificato sopra il suo altare.

Ma, trasportato in Italia, il rito assunse una forma pi mite.

10 Il re del bosco

Nel recinto del santuario di Nemi cresceva un albero da cui non era lecito spezzare alcun ramo. Soltanto uno schiavo fuggitivo, se ci fosse riuscito, poteva spezzarne uno. In questo caso egli aveva il diritto di battersi col sacerdote, e, se l'uccideva, regnava in sua vece col titolo di re del bosco, rex nemorensis. Secondo l'opinione degli antichi, questo ramo fatale s'identificava con quel ramo d'oro che Enea colse per invito della Sibilla prima di accingersi al suo periglioso viaggio nel regno dei morti. Si credeva che la fuga dello schiavo rappresentasse la fuga di Oreste e che il combattimento col sacerdote fosse una reminiscenza dei sacrifici umani offerti un giorno alla Diana Taurica. Questa regola di successione per mezzo della spada veniva ancora osservata nei tempi imperiali; infatti Caligola, tra gli altri capricci, pensando che il sacerdote di Nemi avesse tenuto troppo a lungo il suo ufficio, pag un pi robusto sgherro perch l'uccidesse; e un viaggiatore greco che visit l'Italia al tempo degli Antonini scrive che, anche ai suoi tempi, il sacerdozio era il premio della vittoria in duello.

Del culto di Diana a Nemi possiamo ancora conoscere alcuni caratteri principali. Dalle offerte votive che furono trovate sul posto si rileva che ella veniva concepita specialmente come una cacciatrice e poi come una dea che largiva a uomini e a donne la prole e assi-curava alle madri un facile parto. Sembra inoltre che il fuoco avesse una parte preponderante nel suo rituale. Infatti, durante le sue feste annuali, che si tenevano il 13 agosto, nel tempo pi caldo dell'anno, il suo bosco splendeva tutto d'una moltitudine di fiaccole, il cui rosso bagliore si rifletteva nel lago, e per tutta quanta l'Italia quel giorno veniva celebrato in ogni domestico focolare con riti sacri. Statuette di bronzo, trovate nel suo recinto, rappresentano la stessa dea con una torcia nella mano destra, e le donne che avevano avuta esaudita la loro preghiera venivano al santuario incoronate di ghir-lande, portando torce accese a compimento dei loro voti. Un ignoto dedic in una cappelletta di Nemi una lampada che ardesse peren-nemente per la salute dell'imperatore Claudio e della sua famiglia. Le lampade di terracotta che furono scoperte nel bosco, possono

Diana e Virbio 11

forse aver servito per simile scopo a persone pi umili. Se cos , evidente l'analogia tra questa consuetudine e la pratica cat-tolica dei ceri sacri. Per di pi il titolo di Vesta portato da Diana indica chiaramente il mantenimento di un fuoco sacro e perpetuo nel suo santuario. Un grande basamento circolare, all'angolo nord-est del tempio, che si alza su tre gradini e porta ancor traccia d'un pavimento in mosaico, apparteneva probabilmente a un tempio circolare di Diana, nel suo carattere di Vesta, come il tempio circolare di Vesta, nel Foro Romano. Sembra che anche qui il fuoco sacro fosse custodito dalle vergini vestali, perch fu trovata sul luogo una testa di vestale in terracotta, e il culto di un fuoco perpetuo custodito da sante vergini sembra sia stato comune nel Lazio dai tempi pi antichi fino ai pi recenti. Inoltre, alla festa annuale della dea, i cani da caccia venivano incoronati, e non si molestavano le bestie selvagge; i giovani facevano in suo onore una cerimonia purificatrice, si portava del vino, si faceva festa con del capretto, delle torte calde, su piatti fatti di foglie, e delle mele ancora attac-cate in grappolo ai rami.

Ma Diana non regnava da sola nel suo bosco di Nemi. Due minori divinit si dividevano il suo silvestre santuario. Una era Egeria,

la ninfa della limpida fonte che, sgorgando dalle rocce basaltiche, scendeva con graziose cascatelle nel lago, nel luogo detto Le Mole,

perch vi eran posti i molini del moderno villaggio di Nemi. Il mormorio di quel ruscello tra i sassi ricordato da Ovidio, che ci

racconta di aver spesso bevuto quell'acqua. Le donne, durante la gravidanza, solevano sacrificare ad Egeria, perch si credeva che,

come Diana, potesse accordare un parto felice. Diceva la tradizione che questa ninfa fosse stata la moglie o l'amante del saggio re Numa, che egli si unisse a lei nella segreta profondit del sacro bosco, e che le leggi che egli diede ai Romani fossero state ispirate dalla sua

intimit con la dea. Plutarco paragona questa leggenda con altri racconti di amori di dee per mortali, come gli amori di Cibele e della

Luna per i bellissimi giovani Attis ed Endimione. Secondo alcuni, il luogo di convegno degli amanti non era nelle selve di Nemi ma in un

12 Il re del bosco

bosco fuori della stillante Porta Capena a Roma, dove un'altra sorgente sacra a Egeria sgorgava da un'oscura caverna. Ogni giorno le vestali romane attingevano acqua da quella fonte per lavare il tempio di Vesta e la portavano in brocche di terra sul capo. Ai tempi di Giovenale la roccia naturale era stata ricoperta di marmo e il luogo sacro era profanato dalle frotte di ebrei poveri che si lascia-vano bivaccare nel bosco, come gli zingari. Possiamo supporre che la sorgente che finiva nel lago di Nemi fosse la vera e originaria Egeria, e che quando i primi coloni scesero dai colli Albani verso le rive del Tevere, portarono con loro la ninfa e le trovarono una nuova sede nei boschi fuori della citt. I resti dei bagni che sono stati scoperti dentro il sacro recinto, insieme a parecchi modelli in terracotta di varie parti del corpo umano, ci fan supporre che le acque di Egeria fossero usate per guarire dei malati, che indicavano le loro speranze e attestavano la loro gratitudine dedicando alla dea delle imagini dei membri malati, secondo un costume che ancora osservato in molte parti d'Europa. Sembra che la sorgente conservi anche oggi le sue virt medicinali.

L'altra divinit minore di Nemi era Virbio. Diceva la leggenda che Virbio non era altri che il giovine eroe greco Ippolito, casto e bello, che aveva imparato l'arte venatoria dal centauro Chirone e passava tutto il suo tempo nelle foreste cacciando gli animali selvaggi con la vergine cacciatrice Artemide (la greca sorella di Diana) per sua sola compagna. Fiero della sua divina compagnia, egli disprezzava l'amor delle donne e fu questa la sua rovina. Afrodite, offesa dal suo disprezzo, accese d'amore per lui la sua matrigna Fedra, e quando egli sdegn le sue impure profferte, essa lo accus falsamente a suo padre Teseo. La calunnia fu creduta e Teseo preg Poseidone suo padre di vendicare l'immaginaria offesa. Cos, mentre Ippolito guidava il suo carro lungo la sponda del golfo Saronico, il dio del mare fece uscire dalle onde un toro selvaggio. I cavalli

atterriti s'impennarono, sbalzarono Ippolito fuori del carro e cal-pestandolo l'uccisero. Ma Diana, per l'amore che gli portava, per-suase Esculapio a riportare in vita con le sue erbe medicamentose il

Diana e Virbio 13

bel cacciatore. Giove, indignato che un mortale fosse tornato dalle porte della morte, sprofond nell'Ade l'indiscreto chirurgo.

Ma Diana sottrasse il suo favorito all'ira del dio, nascondendolo in una densa nube, trasform il suo aspetto dandogli un'et pi avanzata e lo port lontano, nei valloncelli di Nemi, dove lo affid alla ninfa Egeria, perch vivesse l, sconosciuto e solitario, sotto il nome di Virbio, nelle profondit della foresta italica. Qui egli regn come re e dedic a Diana un sacro recinto. Ebbe un figlio leggiadro chiamato anch'esso Virbio che, non intimidito dal destino paterno, guid un tiro di feroci corsieri nella guerra dei Latini contro Enea e i Troiani. Virbio era venerato come un dio non solo a Nemi ma altrove, poich troviamo che nella Campania v'era un sacerdote speciale dedicato al suo culto. I cavalli erano esclusi dal bosco e dal santuario di Aricia perch furono essi a ucci-dere Ippolito. Non era neppure permesso di toccare la sua imagine. Alcuni pensavano che egli fosse il sole. Ma il vero si , dice Servio, ch'egli una divinit collegata con Diana, come Attis collegato alla madre degli di, Erittonio a Minerva e Adone a Venere . Quale sia la natura di questa relazione quel che presto ricerche-remo. Val qui la pena di osservare che nella sua lunga e avventu-rosa carriera questo mitico personaggio mostr una notevole tenacia

di vita; poich difficilmente si potrebbe dubitare che il Sant'Ippolito del Calendario romano, che fu trascinato a morte dai suoi cavalli il 13 agosto, il giorno appunto di Diana, non sia tutt'uno con

l'eroe greco dello stesso nome che, dopo essere morto due volte come peccatore pagano, fu felicemente resuscitato come santo cristiano.

Non v' bisogno di una elaborata dimostrazione per convincerci che le storie narrate per spiegare il culto di Diana a Nemi siano

tutt'altro che storiche. Esse appartengono chiaramente a quella vasta classe di miti fabbricati apposta per spiegare l'origine di un

rituale religioso e che non hanno altro fondamento se non la somi-glianza reale o immaginaria che si pu trovare tra esso e qualche

rituale straniero. L'inconsistenza di questi miti di Nemi appare

14 Il re del bosco

infatti evidente poich l'istituzione del culto fatta risalire ora a Oreste, ora a Ippolito, secondo che si debba spiegare questo o quel tratto del rituale. Il vero valore di questi miti che essi servono a illustrare la natura del culto, formando un modello con cui para-gonarlo, e che portano inoltre una testimonianza indiretta della sua venerabile et, mostrando che la sua vera origine si era perduta nelle brume di un'antichit favolosa. Sotto questo punto di vista, c' probabilmente da fidarsi pi di queste leggende di Nemi che non della tradizione apparentemente storica, garantita da Catone il Vecchio, secondo cui il sacro bosco fu dedicato a Diana da un certo Egerio Bebio o Levio di Tusculo, dittatore latino, per incarico degli abitanti di Tusculo, Aricia, Lanuvio, Laurento, Cora, Tivoli, Pomezia e Ardea.

Anche questa tradizione dimostrerebbe la grande antichit del santuario, poich sembra datare la sua fondazione a prima del 495 a. C., anno in cui Pomezia fu messa a sacco dai Romani e scom-pari dalla storia. Ma noi non possiamo certo supporre che una cos barbara regola come quella del sacerdozio di Aricia fosse delibera-tamente istituita da una lega di comunit civili, come erano, senza dubbio, le citt latine. La sua origine deve ricercarsi in un tempo anteriore a memoria umana, quando l'Italia era ancora in uno stato assai pi selvaggio di qualunque altro da noi conosciuto nei tempi storici. Il credito di tale tradizione pi scosso che non confermato da un'altra storia che attribuisce la fondazione del santuario a un certo Manio Egerio che diede origine alla locuzione: Vi sono molti Manii ad Aricia . Taluni spiegano questo modo di dire affer-mando che Manio Egerio era il capostipite di una lunga e distinta discendenza. Altri pensano che vi erano ad Aricia molte persone brutte e deformi, e fanno derivare il nome di Manio da Mania, un mostro o spauracchio da far paura ai bambini. Un satirico romano usa il nome di Manio come tipico dei mendicanti che aspettavano i pellegrini sulle pendici di Aricia. Queste diversit d'opinione, insieme alla differenza tra Manio Egerio d'Aricia ed Egerio Levio di Tusculo, e la somiglianza d'ambo i nomi con la mitica Egeria,

Artemide e Ippolito 15

sollevano i nostri sospetti. Eppure la tradizione ricordata da Catone sembra troppo circostanziata e il suo mallevadore troppo rispet-

tabile per permetterci di scartarla come un'oziosa invenzione. Possiamo piuttosto supporre che si riferisca a qualche antico restauro

o ricostruzione del santuario, veramente eseguita dagli stati con-federati. A ogni modo, essa attesta la credenza che il bosco fosse stato fin da tempo antico un luogo di venerazione, comune a molte

delle pi antiche citt della regione, se non a tutta la Confederazione latina.

2. Artemide e Ippolito.

Ho detto che le leggende di Aricia di Oreste e d'Ippolito, seb-bene senza valore Come storia, hanno un certo valore in quanto ci

aiutano a comprendere meglio il culto di Nemi, paragonandolo coi rituali e coi miti di altri santuari. Dobbiamo chiederci ora: Perch gli autori di queste leggende scelsero proprio Oreste ed Ippolito per spiegare Virbio e il re del bosco? In quanto a Oreste la risposta

ovvia. Egli e il simulacro della Diana Taurica, che poteva esser pla-cata soltanto col sangue umano, furono messi in ballo per spiegare la cruenta legge di successione del sacerdozio di Nemi. In quanto a Ippolito il caso non cos semplice. La maniera in cui mori ci d una ragione sufficiente per l'esclusione dei cavalli dal bosco; ma ci non sufficiente per giustificare l'identificazione. Dobbiamo

tentare di approfondir la questione esaminando tanto il culto quanto la leggenda o il mito di Ippolito.

Egli aveva un santuario famoso nella sua patria Trezene, situato su quella bellissima baia chiusa tra i monti, dove boschi di aranci e limoni, con gli alti cipressi ergentisi come oscure guglie sopra un

giardino delle Esperidi, rivestono ora quella striscia di fertile sponda, ni piedi delle scoscese montagne. Oltre le acque azzurre della tran-quilla baia che le difende dal mare aperto, si eleva l'isola sacra a

Poseidone, con le sue vette velate dal verde cupo dei pini. Su questa bella costa era venerato Ippolito. Nel suo santuario si ergeva un

16 Il re del bosco

tempio con una antica imagine. Il culto era servito da un sacerdote che teneva a vita il suo ufficio. Ogni anno si teneva in suo onore una festa sacrificale; e la sua morte precoce veniva pianta ogni anno da vergini con lamentazioni e con canti funerei. Giovani e fanciulle, prima di celebrare le nozze, dedicavano nel suo tempio una ciocca dei loro capelli. A Trezene esisteva anche la sua tomba sebbene il popolo non volesse mostrarla. stato supposto con grande plausibilit che nel bell'Ippolito amato da Artemide, ucciso nella sua prima giovinezza e annualmente pianto dalle vergini, si debba riconoscere uno di quegli amanti mortali delle dee, che compaiono

cos spesso nelle religioni antiche e di cui Adone il tipo pi familiare. La rivalit di Artemide e di Fedra per l'affetto di Ippolito sembra

riprodurre, sotto diversi nomi, la rivalit di Afrodite e di Proser-pina per l'amore di Adone, poich Fedra non che un duplicato di Afrodite. Questa teoria non fa probabilmente torto n a Ippolito n ad Artemide, perch Artemide era originariamente una grande dea della fertilit, e, pei presupposti della religione primitiva, chi rende fertile deve essere fertile essa stessa e per esserlo deve avere necessariamente un compagno maschile. Sotto questo punto di vista Ippolito era il compagno di Artemide a Trezene, e le chiome recise offerte in suo onore dai giovani e dalle vergini di Trezene prima delle nozze, erano designate a rafforzare la sua unione con la dea e a promuovere in tal modo la fertilit della terra, del bestiame e dell'uomo. Serve a conferma di questa opinione il fatto che dentro al recinto d'Ippolito a Trezene erano venerate due potenze femmi-nili, Damia e Auxesia, la cui connessione con la fertilit della terra fuor di questione. Quando Epidauro soffri di una carestia, il popolo, in obbedienza a un oracolo, scolpi con del sacro legno d'ulivo due immagini di Damia e d'Auxesia, e appena furono fatte e messe a posto, la terra port di nuovo le messi. Per di pi, nella stessa Tre-zene, e apparentemente nel recinto d'Ippolito, si faceva una curiosa festa con lancio di pietre in onore di queste vergini, come le chiama-rono i Trezeni; ed facile dimostrare che costumi simili furono prati-cati in molti paesi con l'espresso scopo di ottenere dei buoni raccolti.

Ricapitolazione 17

Nella storia della tragica morte del giovane Ippolito possiamo scorgere un'analogia con tante altre storie di giovani belli e mortali che pagarono con la vita il breve rapimento di un amore divino.

Probabilmente questi infelici amanti non erano sempre i protagonisti di semplici miti, e le leggende che ravvisarono il loro sparso sangue nel fiore purpureo della violetta, nelle macchie scarlatte dell'ane-mone o nel chermisino rossore della rosa non erano degli oziosi emblemi poetici della giovent e della bellezza, fuggevoli cose come i fiori estivi. Tali favole contengono una pi profonda filosofia sulle relazioni della vita dell'uomo con la vita della natura, una triste filosofia che diede origine a una pratica tragica. Quali fossero questa lilosofia e questa pratica, noi lo impareremo pi tardi.

3. Ricapitolazione.

Possiamo forse ora comprendere perch gli antichi identificas-sero Ippolito, il compagno di Artemide, con Virbio, il quale, secondo Servio, stava a Diana come Adone a Venere, o come Atti alla madre

degli di. Poich Diana era, come Artemide, una dea della fertilit in generale e della nascita in particolare, e come tale aveva bisogno,

al pari della sua sorella greca, di un compagno maschile. Questo compagno, se Servio ha ragione, era Virbio. Nel suo carattere di fondatore del sacro bosco e di primo re di Nemi, Virbio chiara-mente il predecessore tipico e l'archetipo di quella linea di sacerdoti

che servirono Diana, sotto il titolo di re del bosco, e che uno dopo l'altro morirono tutti di morte violenta. quindi naturale supporre

che essi stessero alla dea del bosco nello stesso rapporto in cui vi stava Virbio; e insomma che il mortale re del bosco avesse come

regina la stessa Diana silvestre. Se l'albero sacro da cui dipendeva la sua vita era creduto, com' probabile, una speciale personificazione

di lei, il sacerdote pu averlo non soltanto venerato come una dea, ma abbracciato come una moglie. Non v' per lo meno nulla d'as-

surdo in questa supposizione, poich anche al tempo di Plinio un nobile romano usava trattare in questa maniera un bel faggio in

18 Il re del bosco

un altro sacro bosco di Diana, sui colli Albani. L'abbracciava, lo baciava, giaceva alla sua ombra, e gli versava del vino sul tronco. Apparentemente prendeva l'albero per la dea. Il costume di mari-tare fisicamente uomini e donne a degli alberi, viene praticato ancora in India e in altre parti d'Oriente. Perch dunque non lo sarebbe stato nell'antico Lazio?

Guardando questi fatti nel loro complesso, possiamo concludere che il culto di Diana nel suo sacro bosco di Nemi aveva una grande importanza e una immemoriale antichit, che essa era venerata come dea dei boschi e degli animali selvaggi e probabilmente anche del bestiame e dei frutti della terra; che le si attribuiva il potere di accordar la prole a uomini e donne, che aiutava le madri nel parto, e che il suo sacro fuoco custodito da sante vergini ardeva perpetua-mente, in un tempio circolare dentro il recinto; che vi era, associata con lei, una ninfa acquatile, Egeria, la quale esercitava una delle funzioni proprie di Diana, soccorrendo le donne in travaglio, e di lei si diceva che aveva avuto rapporti d'amore con un antico re di Roma. Inoltre che Diana silvestre aveva un compagno chiamato Virbio, che era per lei ci che era Adone per Venere e Attis per Cibele, e che infine questo mitico Virbio era rappresentato nei tempi storici da una suc-cessione di sacerdoti, chiamati re del bosco, che perivano regolarmente sotto la spada dei loro successori e la cui vita era in un certo modo legata a un albero speciale nel bosco ; perch essi erano al sicuro da ogni attacco finch a quell'albero non fosse stato strappato un rametto.

chiaro che queste conclusioni non bastano da sole a spiegare la strana regola di successione a quel sacerdozio. Ma forse l'esame dedicato a un pi vasto campo di fatti ci potr condurre a pensare che esse contengono, in germe, la soluzione di quel problema. A questo pi vasto esame dobbiamo ora rivolgerci. Sar lungo e labo-rioso, ma avr forse l'interesse ed il fascino di un viaggio d'esplo-razione e di scoperta, in cui visiteremo molte e strane terre lontane, e strani popoli dagli ancor pi strani costumi. Il vento soffia tra le sartie: spieghiamo dunque al buon vento le nostre vele e lascia-moci dietro per qualche tempo la costa d'Italia.

II. Re-sacerdoti

Le domande a cui ci proponiamo di rispondere sono principal-mente due. Perch a Nemi il sacerdote di Diana, il re del bosco, doveva uccidere il suo predecessore? E perch, prima di far ci, do-veva strappare il ramo di un certo albero che l'opinione degli anti-chi identificava con il ramo d'oro di Virgilio?

Il primo punto di cui ci occuperemo il titolo del sacerdote, Perch portava il nome di re del bosco? Perch il suo ufficio era con-

siderato un regno? L'unione di un titolo regale con le funzioni sacerdotali era comune

nell'Italia antica ed in Grecia. A Roma e in altre citt del Lazio vi era un sacerdote chiamato re dei sacrifizi o re dei sacri riti, e

sua moglie portava il titolo di regina dei sacri riti. Nella repubblica ateniese il secondo magistrato annuale dello Stato era chiamato il re e sua moglie la regina; le funzioni d'ambedue non erano che reli-

giose. Molte altre democrazie greche avevano dei re, i cui doveri, per quanto sappiamo, sembra che fossero sacerdotali, e concernes-sero il focolare pubblico dello Stato. Alcuni Stati greci avevano

parecchi di questi re titolari che stavano in carica simultaneamente. A Roma vi era la tradizione che il re dei sacrifizi fosse stato istituito

dopo l'abolizione della monarchia per offrire quei sacrifizi che prima erano offerti dai re. Sembra che anche in Grecia sia prevalsa un'opi-nione simile circa l'origine dei re-sacerdoti. Quest'opinione non in se stessa improbabile, ed confermata dall'esempio di Sparta,

20 Re-sacerdoti

quasi il solo Stato puramente greco che mantenesse nei tempi storici la forma regale di governo. A Sparta infatti, tutti i sacrifizi di Stato erano offerti dai re, come discendenti degli di. Uno dei due re spar-tani presiedeva al culto di Zeus Lacedemone e l'altro a quello di Zeus Celeste.

Questa combinazione delle funzioni sacerdotali con l'autorit regia familiare a tutti. L'Asia Minore, per esempio, era sede di varie e grandi capitali religiose, popolate da migliaia di schiavi sacri e governate da pontefici che avevano insieme il potere temporale e quello spirituale, come i papi della Roma medioevale. Fra queste citt rette da sacerdoti vi erano Zela e Pessinunte. Sembra, anche, che negli antichi tempi del paganesimo, i re teutonici fossero in tal posizione ed esercitassero le funzioni di sommi sacerdoti. Gl'im-peratori della Cina offrivano pubblici sacrifizi i cui dettagli erano regolati dai libri del rituale. Il re del Madagascar era anche il sommo sacerdote del regno. Alle grandi feste dell'anno nuovo, quando si sacrificava un torello per il benessere del regno, il re presiedeva al sacrifizio pregando, mentre gli inservienti sgozzavano l'animale. Negli stati monarchici che mantengono ancora la loro indipendenza tra i Galla dell'Africa occidentale, il re sacrifica sulle vette delle montagne e dirige l'immolazione delle vittime umane. La fioca luce della tradizione rivela una simile unione del potere temporale e di quello spirituale, dei doveri regi e dei sacerdotali, nei re di quella dolce regione dell'America centrale la cui antica capitale, ora sepolta sotto la rigogliosa vegetazione della foresta dei Tropici, ci rivelata dalle superbe e misteriose rovine di Palenque.

Quando abbiamo detto che gli antichi re erano anche comune-mente sacerdoti, siamo ben lungi dall'aver chiarito tutto l'aspetto religioso del loro ufficio. In quei tempi il senso di divinit che avvol-geva i re non era un vuoto modo di dire, ma l'espressione di una ben salda credenza. I re erano riveriti in molti casi non solo come sacerdoti, ossia come intercessori tra l'uomo e dio, ma come di essi stessi, capaci di largire ai loro sudditi e adoratori quei doni che sono comunemente considerati al di sopra della portata umana

Re-sacerdoti 21

e, se mai, ricercati soltanto con preghiere e con sacrifizi offerti ad esseri sovrumani e invisibili. Cos si pretendeva spesso dai re che

dessero la pioggia e il sole, che facessero crescer bene il raccolto, e via dicendo.

Per quanto strana possa apparirci questa credenza, essa intera-mente conforme al pensiero primitivo. Il selvaggio difficilmente concepisce la distinzione comunemente tracciata dai popoli civili tra il naturale e il soprannaturale. Per lui, il mondo in gran parte determinato da agenti soprannaturali, ossia da esseri personali che agiscono per impulsi e motivi simili ai suoi, e passibili quanto lui di essere influenzati da appelli alla loro piet, alle loro speranze, ai loro timori. In un mondo cos concepito egli non vede alcun limite

alla sua capacit d'influenzare a proprio vantaggio il corso della natura. Preghiere, promesse e minacce possono assicurargli dagli di il bel tempo o un abbondante raccolto, e se, come spesso egli crede, un dio s'incarni nella sua persona, allora egli non ha alcun bisogno di appellarsi a esseri superiori; egli, il selvaggio, possiede in se stesso tutti i poteri necessari ad aumentare il proprio benessere e quello del prossimo.

questo uno dei modi in cui l'idea dell'uomo-dio vien raggiunta. Ma ve n' un altro. Insieme alla rappresentazione del mondo come pervaso da forze spirituali, il selvaggio ha un'altra concezione, e probabilmente pi antica, in cui possiamo scoprire un germe della moderna nozione di legge naturale o di una visione della Natura come una serie di eventi che si succedono in un ordine invariabile, senza intervento di azioni personali. Il germe di cui parlo contenuto in quella magia simpatica , come potrebbe chiamarsi, che ha una parte cos importante in quasi tutti i sistemi di superstizione. Nelle societ primitive, il re assai spesso non solo un sacerdote ma un

mago; sembra infatti che abbia sovente ottenuto il potere per mezzo della sua supposta perizia nell'arte bianca o in quella nera. Per comprendere quindi l'evoluzione della regalit e il carattere sacro di cui quest'ufficio stato comunemente investito agli occhi dei popoli selvaggi o barbari, essenziale d'aver qualche conoscenza

22 Re-sacerdoti

dei principi della magia e di farsi un'idea della straordinaria influenza che quest'antico sistema di superstizione ha avuto sulla mente umana in tutti i tempi e in tutti i paesi. Mi propongo, quindi, di considerare questo argomento pi particolareggiatamente.

III. La magia simpatica

1. I principi della magia.

Se analizziamo i principi di pensiero su cui si basa la magia, troveremo probabilmente che essi si risolvono in due: primo, che il simile produce il simile, o che l'effetto rassomiglia alla causa;

secondo, che le cose che siano state una volta a contatto, continuano ad agire l'una sull'altra, a distanza, dopo che il contatto fisico sia cessato. Il primo principio pu chiamarsi legge di similarit, il

secondo, legge di contatto o contagio. Dal primo di questi principi il mago deduce di poter produrre qualsiasi effetto, semplicemente coll'imitarlo. Dal secondo, a sua volta, deduce che qualunque cosa

egli faccia a un oggetto materiale, influenzer ugualmente la persona con cui l'oggetto stato una volta in contatto, abbia o no fatto

parte del suo corpo. Incantesimi basati sulla legge di similarit si possono chiamare magia omeopatica o imitativa. Incantesimi basati sulla legge di contatto o di contagio si possono chiamare

magia contagiosa. Per denotare il primo di questi rami della magia forse da preferirsi il termine di omeopatica, perch i termini di

imitativa o mimetica, anche se non implicano, suggeriscono un agente conscio che imita, e pongono quindi dei limiti troppo ristretti al campo della magia.

Infatti gli stessi principi che il mago applica in pratica alla sua arte, sono da lui implicitamente considerati come regolatori degli eventi della natura inanimata; in altre parole egli ammette tacita-

24 La magia simpatica

mente che le leggi di similarit e di contatto sono di applicazione universale e non limitate soltanto alle azioni dell'uomo. Insomma, la magia tanto un falso sistema di leggi naturali quanto una guida fallace della condotta; tanto una falsa scienza quanto un'arte abortita. In quanto sistema di leggi naturali, ossia in quanto esposizione di quelle regole che determinano il succedersi degli eventi nel mondo, pu prendere il nome di magia teoretica; considerata come una serie di precetti che gli uomini osservano per conseguire i loro scopi, si pu chiamare magia pratica. Nello stesso tempo bisogna bene fissarsi in mente che il mago primitivo conosce la magia soltanto dal lato pratico; egli non analizza mai i processi mentali su cui la sua pratica poggia, n riflette mai sui principi astratti impliciti nelle sue azioni. Per lui, come per la maggior parte degli uomini, la logica implicita, non esplicita; egli ragiona come digerisce il suo cibo, in completa ignoranza dei processi intellettuali e fisiologici che sono essenziali tanto a l'una che a l'altra operazione. La magia, in fondo, per lui sempre un'arte, non mai una scienza; l'idea stessa di scienza manca del tutto nella sua mente poco sviluppata. com-pito del filosofo rintracciare il processo mentale nascosto sotto la pratica del mago e trovare il bandolo dell'intricata matassa; estrarre i principi astratti dalle loro applicazioni concrete; insomma, discer-nere la falsa scienza sotto l'arte bastarda.

Se la mia analisi della logica del mago corretta, i suoi due grandi principi non sono altro che due diverse e cattive applicazioni del principio dell'associazione delle idee. La magia omeopatica fon-data sull'associazione delle idee per similarit; la magia contagiosa sull'associazione per contiguit. La magia omeopatica commette l'errore di postulare che le cose che si somigliano siano le stesse; la magia contagiosa commette l'errore di postulare che le cose che siano state una volta a contatto continuino a esserlo sempre. Ma in pratica i due rami sono spesso combinati; o, per esser pi esatti, mentre la magia omeopatica o imitativa pu esser praticata da sola, si trover che la magia contagiosa implica generalmente un'appli-cazione del principio omeopatico o imitativo. Esposte cos in gene-

Magia omeopatica o imitativa 25

rale, le due cose possono essere difficili ad afferrare, ma diverranno subito intelligibili quando saranno illustrate con esempi particolari,

Effettivamente queste forme di pensiero sono ambedue estrema-mente semplici ed elementari. E difficilmente potrebbe non esser

cos, dal momento che sono familiari in concreto, sebbene non certo in astratto, alla rozza intelligenza non solo del selvaggio ma delle persone ignoranti e ottuse, dovunque esse vivano. Tutti e due i rami della magia, l'omeopatica e la contagiosa, si possono giustamente comprendere sotto il nome generale di magia simpatica, poich ambedue affermano che le cose agiscono l'una su l'altra a distanza, per mezzo d'una segreta simpatia, mentre l'impulso trasmesso da l'una a l'altra per mezzo di quel che possiamo conce-pire come una specie di etere invisibile, non troppo diverso da quello che postulato dalla scienza moderna per uno scopo del tutto simile, per spiegare, cio, come mai le cose possano influenzarsi fisicamente attraverso uno spazio che appare vuoto.

Pu essere utile schematizzare nel modo seguente i rami della magia secondo le leggi del pensiero che li sostiene.

Illustrer ora con degli esempi questi due grandi rami della magia simpatica, incominciando dalla magia omeopatica.

2. Magia omeopatica o imitativa.

L'applicazione pi familiare del principio che il simile produce il simile forse il tentativo che stato fatto in molte epoche da molti popoli di danneggiare o distruggere un nemico, danneggiando

o distruggendo una sua imagine, nella credenza che l'uomo debba soffrire come soffre l'imagine e che, quando questa sia distrutta,

26 La magia simpatica

egli debba morire. Pochi esempi, tra i molti che ve ne sono, baste-ranno a provare la larga diffusione di questa pratica e la sua notevole persistenza attraverso le et. Migliaia di anni or sono essa era nota tanto agli incantatori dell'India antica, di Babilonia e d'Egitto, come a quelli della Grecia e di Roma, e viene usata anche oggi da selvaggi maligni e astuti in Australia, in Africa e in Scozia. Cos, gl'Indiani dell'America del Nord credono che disegnando l'imagine di una persona nella sabbia, nella cenere o nell'argilla, o conside-rando qualsiasi oggetto come se fosse il corpo di quella persona, e pungendolo quindi con uno stecco acuto, o danneggiandolo in qualunque altro modo, essi infliggono un danno corrispondente alla persona rappresentata. Per esempio, quando un indiano Ojebway vuol far del male a qualcuno, si fabbrica una piccola imagine in legno del suo nemico, v'infigge un ago nella testa o nel cuore, o vi scaglia contro una freccia, credendo che dovunque l'ago trafigga o la freccia colpisca l'imagine, il suo nemico sar nello stesso istante colpito da acuto dolore nella corrispondente parte del corpo; ma se intende di ucciderlo addirittura, brucia o seppellisce il fantoccio, pronunziando durante l'operazione delle speciali parole magiche. Gli Indiani del Per modellavano delle imagini di grasso misto dj grano che imitavano la persona odiata e bruciavano quindi l'effigie sulla strada dove la vittima doveva passare. E chiamavano ci bru. ciare l'anima sua.

Un incantesimo malese della stessa specie il seguente. Prendete dei ritagli di unghia, dei capelli, delle ciglia, della saliva e via dicendo della vostra designata vittima e plasmateli a sua somiglianza, mesco-landoli con la cera di un'arnia abbandonata. Bruciate lentamente questa figura tenendola ogni notte per sette notti sopra una lampada e dite:

Non la cera ch'io sto bruciando, Ma brucio il fegato, la milza e il cuore del tal dei tali.

Dopo la settima volta bruciate l'imagine e la vostra vittima morir. Questo incantesimo combina chiaramente i principi della

Magia omeopatica o imitativa 27

magia omeopatica e di quella contagiosa, poich l'imagine fabbricata a somiglianza del nemico contiene delle cose che erano una volta a contatto con lui, le sue unghie, i suoi capelli, la sua saliva. Un'altra forma d'incantesimo malese che somiglia anche pi da vicino alla pratica degli Ojebway consiste nel fabbricare con un'arnia vuota un fantoccio alto circa 30 cm: trafiggete l'occhio dell'imagine e il vostro nemico diventa cieco; trafiggetegli lo stomaco, ed egli cade malato; la testa, e gli vien l'emicrania; trafiggetegli il petto ed al petto che soffrir. Se volete ucciderlo, trafiggete l'imagine dalla testa ai piedi, avvolgetela in un sudario come se fosse un cadavere, dite le preghiere dei morti, e seppellitela in mezzo a un sentiero dove la vostra vittima dovr certamente passarvi sopra. Perch il suo sangue non ricada sulla vostra testa dovete dire:

Non son io che Io sotterro; Gabriel che lo sotterra.

Cos, il peso dell'assassinio graver sulle spalle dell'arcangelo Gabriele, che sapranno sopportarlo meglio assai delle vostre.

Se la magia omeopatica o imitativa, per mezzo di imagini, stata comunemente praticata per il maligno scopo di sloggiare dal mondo le persone nocive, essa stata anche, sebbene pi rara-mente, impiegata con la benevola intenzione di aiutare altri a venirci. In altre parole, stata usata per facilitare la nascita dei bambini e procurare una prole a donne sterili. Cos, tra i Batak di Sumatra, una donna sterile che vuol divenir madre s'intaglia nel legno un'ima-gine di bambino, e se la tiene in seno, credendo che questo far adempire i suoi voti. Nell'arcipelago di Babar quando una donna vuol avere un bambino, invita un uomo che sia padre di una grande famiglia a pregare in suo favore Opulero, lo spirito del Sole. Viene q