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INTERNATIONAL INSTITUTE FOR ADVANCED STUDIES OF SPACE REPRESENTATION SCIENCES

Projective geometry, Descriptive geometry, Survey, Photogrammetry

ISTITUTO INTERNAZIONALE STUDI AVANZATI DI SCIENZE DELLA RAPPRESENTAZIONE DELLO

SPAZIO

Geometria proiettiva, Geometria Descrittiva, Rilevamento, Fotogrammetria

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Giuseppe Maria Catalano

La scoperta delle dieci reali dimensioni dello spaziotempo

La più antica e commovente storia del pensiero

Non c’è nulla che intrattenga la mente dell’uomo più dello spazio, affascinante

essenza di tutto ciò che è fuori e dentro di noi. L’immensamente grande e

l’immensamente piccolo ci emozionano e ci sgomentano.

Ma cosa è lo spazio? Cos’è quest’ente di cui siamo parte, quest’ente che,

perfettamente in accordo al nostro sistema occhio cervello, ci ha permesso, grazie alla

luce, la conoscenza di se e di noi stessi?

Ci è sempre sembrato estremamente familiare tanto da impostare su poche

certezze, pochi assiomi, che ne danno descrizione, le basi secolari della scienza.

Mi riferisco naturalmente allo spazio tridimensionale, che nell’antica Grecia di

duemilatrecento anni fa, descrisse il grande Euclide.

La struttura euclidea ha retto per molti secoli lo spazio, pur non essendo chiaro

cosa realmente esso fosse. Essa è apparsa in accordo all’esperienza ed è l’esperienza

l’unica certezza che ha la scienza.

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Ma l’idea dello spazio, della sua essenza fisica, è stata tra le idee più soggette a

travaglio nel mondo del sapere, perché è innegabilmente difficile capire cosa sia

realmente lo spazio, soprattutto in assenza di materia. Per ricordarlo risaliamo il

sentiero della storia trasferendoci al sesto secolo prima della nascita di Cristo.

L’idea dei pitagorici è quella forse più immediata, più intuitiva. Lo spazio è un

contenitore vuoto dove trovano posto gli oggetti materiali. Secondo gli atomisti

sarebbe questo vuoto a permettere il movimento degli atomi e dei loro aggregati.

Diversa e più profonda l’idea di Aristotele. Non è lo spazio vuoto ad accogliere

gli oggetti materiali, ma sono gli oggetti a determinare lo spazio, che dunque non è

un ente unitario come lo spazio pitagorico, ma somma degli spazi dovuti agli oggetti.

Quest’idea però nel sesto secolo d.C. viene messa in discussione da Filopono, che

ritorna alla concezione dello spazio vuoto di atomisti e pitagorici. Per Filopono lo

spazio occupato da un oggetto è cioè volume dell’oggetto, vuoto che

permane anche in assenza dell’oggetto.

Al contrario il neoplatonico Damascio riprende il pensiero di Aristotele,

sostenendo che lo spazio è la misura della relazione posizionale delle diverse parti di

un oggetto e degli oggetti fra loro. Questa relazione è inseparabile dagli oggetti, in

quanto dovuta al rapporto fra gli oggetti stessi.

Assistiamo dunque ad un alternarsi tra l’idea di spazio vuoto unitario indipendente

dagli oggetti materiali e quella di spazio derivato dalla presenza degli oggetti

materiali. Ma il sentiero che lo sforzo umano di capire traccia sulla roccia della

conoscenza prosegue.

Salendo giungiamo ad una svolta interessante, al rinascimento e all’idea di B.

Telesio che oppone alla concezione di Aristotele uno spazio unitario omogeneo, in cui

oggetti simili e dissimili siano rispettivamente attratti e respinti da forze reciproche.

Lo spazio di Telesio è simile a quello di G. Bruno, cioè vuoto e infinito.

Poi incontriamo il grande Galilei la cui idea anticipa la scienza di oggi. Per lo

scienziato lo spazio non è affatto omogeneo, ne isotropo. E’ lo spazio a dirigere il

moto naturale.

Ancora un passo dell’uomo compiuto da un altro genio, quello di R. Descartes,

che esalta la configurazione geometrica dello spazio, riducendo la materia a pura

estensione in tre dimensioni, annullando in tal modo l’esistenza del vuoto.

Da non dimenticare la concezione dello spazio di H. More, della scuola di

Cambridge, per cui anche le sostanze spirituali avrebbero estensione nello spazio.

Prevale comunque l’idea dello spazio immateriale, infinito, uniforme, indivisibile,

immobile contenitore di tutto.

Anche per Newton lo spazio è assoluto, infinito, omogeneo ed isotropo.

J. Locke, G. Berkeley , D. Hume e G. W. Leibniz contrastano addirittura l’idea di

spazio realmente esistente, proponendo la concezione di spazio frutto di

un’elaborazione ideale soggettiva, tratta dalle sensazioni visive e tattili.

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Kant nega la realtà dello spazio assoluto di Newton, ma anche la realtà dello

spazio inteso come astrazione dai dati sensoriali. Lo spazio è per Kant l’intuizione

degli oggetti esterni a noi, intuizione che non ci permette di valutare la realtà dei

rapporti tra gli oggetti considerati in sé.

Arriviamo al pensiero di C. F. Gauss, che preme sulla conoscenza empirica delle

proprietà dello spazio, cioè sulla conoscenza geometrica basata sul pensiero greco

antico.

Sembrerebbe che la geometria, dopo tanti secoli di inerzia, rimasta indietro

rispetto al progresso della fisica, si avvii ad una rinascita, mantenendo il presupposto

originale di aderenza all’esperienza.

Si torna infatti a parlare degli assiomi di Euclide. Il quinto in particolare, già

discusso nel diciassettesimo secolo, torna a destare inquietudine, divenendo

nuovamente oggetto di studio. Si tenta di fare chiarezza dimostrandone la validità per

assurdo, negandone cioè il contenuto.

L’inatteso fallimento porta a pensare che si possano avere geometrie indipendenti

dal postulato delle rette parallele e si blocca così la rinascita di una geometria fedele

rappresentazione dell’esperienza dello spazio.

Con l’opera di J. Bolyai e Gauss si comincia anzi a distinguere tra spazio

geometrico e spazio fisico.

Anche per B. Riemann lo spazio geometrico è tridimensionale come quello

euclideo, ma non l’unico spazio possibile.

A metà del diciannovesimo secolo la distinzione fra spazio geometrico e spazio

fisico porta agli studi di H. L. von Helmholtz e a quelli di M. Faraday. Le forze

elettromagnetiche possono agire senza l’esistenza dell’etere, mezzo tenuissimo,

elastico e imponderabile, presente ovunque nell’Universo, postulato per spiegare la

propagazione della luce, la polarizzazione ed altri fenomeni.

Grandiosa l’idea di Faraday che tende a considerare la materia come una

concentrazione di forze attrattive e repulsive.

E la luce rivoluziona lo spazio

Intanto le equazioni di Maxwell dimostrano che l’onda elettromagnetica, quindi

la luce, non rispetta il principio di relatività di Galilei. Si scopre che la sua velocità è

sempre la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali, cioè in moto rettilineo

uniforme.

Questo fenomeno è il primo campanello d’allarme che segnala l’imminente

rivoluzione del concetto di spazio, è la scintilla stessa che innesca la rivoluzione. Ma

la costanza della velocità della luce è anche, come vedremo più avanti, il primo

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segnale della presenza di più dimensioni oltre le tre che finora hanno retto tutte le

leggi della fisica.

Malgrado il grandioso lavoro di J.C. Maxwell che permette di capire la natura non

elastica delle onde luminose, rimane l’idea dell’etere immobile nello spazio assoluto,

sino a quando le esperienze elettrodinamiche, come quella di A. Michelson e Morley,

tese a dimostrare l’immobilità dell’etere, dando risultati negativi, portano a negarne

del tutto l’esistenza.

La distinzione tra spazio matematico e spazio fisico si amplia notevolmente con

l’opera di F. Klein , matematico che teorizza il gruppo di trasformazione, insieme di

operazioni astratte dotate di proprietà caratteristiche.

Klein amplia, generalizzandolo, il significato di geometria, intesa come teoria

delle proprietà degli invarianti rispetto a un certo gruppo di trasformazioni. Si ha in

tal modo il totale distacco della geometria dall’ordinaria percezione sensoriale.

E’ importante riflettere su questo passo della storia del pensiero, perché è qui che

si colloca la causa dell’enorme difficoltà di coniugare gli studi più avanzati della fisica

con le conoscenze arretrate dello spazio.

Il distacco della geometria dall’esperienza arriva a tal punto da negare che la

geometria possa descrivere lo spazio in cui viviamo e far ritenere che lo studio dello

spazio sia divenuto un problema della fisica.

Per H. Poincaré la scelta di una geometria è solo una convenzione fra scienziati,

la scelta che ci permette la massima semplificazione nella descrizione delle leggi

naturali. Egli è convinto comunque che questa scelta ricada sempre sull’antica

geometria tramandataci da Euclide.

All’improvviso una svolta

Nel 1915 accade però qualcosa di davvero inatteso e sconvolgente, qualcosa che

falcia la concezione dello spazio di H. Poincarè.

Dieci anni prima giungono alla celebre rivista tedesca Annalen der Physik due

articoli profondamente rivoluzionari. Nel primo si dimostra che la luce è fatta di

particelle, come la materia. Nel secondo si unifica la teoria della materia con quella

della luce.

Alla rivista, ai suoi illuminati editori va la riconoscenza di tutti noi per aver avuto

l’intelligenza di pubblicare questi due articoli, malgrado essi fossero stati inviati da

un allora sconosciuto impiegato dell’ufficio brevetti di Berna.

E’ l’inizio della rivoluzione che porterà alla teoria della relatività generale.

Einstein, rivoluziona l’idea dello spazio, dimostrando che questo, fuso col tempo,

si deforma, si incurva. La geometria torna a essere aderente alla realtà empirica, tanto

da fondersi con la fisica.

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Si dimostra infatti che lo spaziotempo è un ente fisico, non affatto omogeneo, né

isotropo.

Lo spazio non è quello che si è creduto per secoli, sebbene la rappresentazione

basata sugli assiomi di Euclide sia ancora sufficiente per tutte le attività umane che

non interessino macrocosmo e microcosmo.

Essendo lo spaziotempo un ente fisico, esso può e deve essere rappresentato da

una geometria conforme all’esperienza, capace di spiegare i fenomeni noti e

anticipare quelli ancora sconosciuti.

Il ruolo della geometria si conferma quello originario di studiare le reali

dimensioni in accordo all’esperienza.

Lo spaziotempo della relatività tuttavia è ancora ben distinto da materia ed

energia. Che cosa distingue queste tre realtà fisiche?

Il mistero dell’entanglement

Intanto gli studi sulla luce che portano alla teoria della relatività, portano anche

alla meccanica quantistica, la teoria che descrive il comportamento della materia e

dell’energia, cioè di particelle elementari, atomi, nuclei, radiazioni, le cui proprietà

assumono solo valori discreti.

Quanto afferma la meccanica quantistica è sperimentalmente evidente, ma come

è noto, rimane la sua incompatibilità con la teoria della relatività, pur essendo stato

Einstein uno dei principali autori della prima con il concetto di quanti di luce.

Einstein considera la meccanica quantistica “incompatibile con ogni concezione

ragionevole e realistica dell'universo”, quando essa afferma che i risultati della misura

di un osservabile non sono pienamente determinabili. Egli ritiene che i valori degli

osservabili esistano oggettivamente, indipendentemente dal fatto che venissero

misurati o no.

Sembra che il concetto di spazio non abbia alcuna evoluzione nella meccanica

quantistica, ma la teoria evidenzia un fenomeno nuovo e difficilmente accettabile, che

E. Schrodinger chiama entanglement, cioè intreccio, un fenomeno certamente legato

allo spazio.

Il fenomeno è accertato dagli esperimenti di Bell, Clauser, Aspect, Rarity e

Tapster, che sembrano contraddire il principio di località sostenuto da Einstein.

Se si hanno due particelle, nate nel medesimo istante da un processo naturale o da

una suddivisione, come quella dei fotoni derivanti da un unico fotone

nell’esperimento di Mendel, si verifica che, qualunque sia la distanza tra esse, il valore

di una proprietà di una particella determina istantaneamente il corrispondente valore

dell'altra, mantenendo il valore globale iniziale.

Qualunque sia la distanza tra esse!

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Avviene cioè proprio ciò che Einstein riteneva assurdo e impossibile quando

aveva proposto l'esperimento EPR.

Sembra non esserci alcuna relazione tra questa incredibile realtà e la sconvolgente

realtà di uno spazio curvato insieme al tempo. Eppure entrambe segnalano la presenza

di forze. Che legame esiste tra le forze della natura e lo spazio?

Uno spazio inadeguato

Nel 1919, pochi anni dopo la nascita della teoria della relatività generale, il

matematico T. Kaluza pensa che se Einstein descrive la forza di gravità in termini di

deformazioni e curvature dello spaziotempo, allora forse è possibile utilizzare la

stessa idea, lo stesso modello, con l’altra forza conosciuta, la forza elettromagnetica.

Ma se lo spazio tridimensionale descrive la gravità, allora quale spazio usare per

descrivere la forza elettromagnetica? Kaluza pensa allora alla possibilità di altre

dimensioni oltre le tre conosciute.

In uno spazio a quattro dimensioni anziché tre, descrive le deformazioni e le

curvature e perviene alle equazioni di Einstein, più una nuova equazione e scopre che

essa coincide con l’equazione con cui da tempo la forza elettromagnetica era descritta.

Ma dov’è la quarta dimensione?

Molti scienziati, tra cui lo stesso Einstein, ricercano, come Kaluza, una teoria

unificata in grado di descrivere tutte le forze della natura con un solo insieme di idee,

una teoria del tutto.

Si pensa che l’esistenza di altre reali dimensioni oltre le tre conosciute potrebbe

portare a realizzare questo sogno. Klein nel 1926 ipotizza dimensioni grandi ben

visibili e dimensioni piccolissime raggomitolate, impossibili da vedere, ma questa

geometria non ha aderenza alla realtà.

Perciò non si va oltre. La teoria non decolla. Nella seconda metà del secolo scorso

quest’ipotesi straordinariamente affascinante viene trascurata e non si parla più di

dimensioni.

Poi, in tempi più recenti, per opera soprattutto di Schwarz e Scherk si sviluppa

una nuova, affascinante, quanto rivoluzionaria teoria, che mira ad unificare le leggi

del mondo. E’ nota come teoria delle stringhe.

Essa riporta prepotentemente l’attenzione sullo spaziotempo di Einstein e le

dimensioni di Klein e di Kaluza.

Per essere formulata essa ha infatti bisogno che esistano ben dieci reali dimensioni

dello spazio. A prima vista potrebbe apparire una follia, come sembrò tanti anni prima

la rivoluzione dello spazio di Einstein.

Dove possono nascondersi tante dimensioni sinora ignorate dall’uomo?

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Secondo la teoria all’interno delle particelle c’è un insieme di filamenti di energia,

di stringhe appunto, vibranti. Come le corde di un violino esse possono vibrare in toni

differenti, vibrare a diverse frequenze, producendo le differenti particelle

dell’Universo, elettroni, quarks, fotoni, gravitoni, etc.

La teoria realizzerebbe il sogno di tutti gli scienziati se solo esistessero veramente

queste dieci dimensioni.

In ogni caso rimane da scoprire una geometria che sia adeguata alla rivoluzione

che nel secolo scorso ha sconvolto la fisica, generando i rami poderosi della relatività

generale e della meccanica quantistica.

Quale rivoluzionario sviluppo della pianta euclidea può descrivere i fenomeni già

noti e anticipare quelli ancora sconosciuti?

La scoperta delle dieci reali dimensioni dello spaziotempo

Il sentiero che abbiamo tracciato giunge ad oggi, alla scoperta tanto rivoluzionaria

quanto attesa, delle dieci dimensioni dello spaziotempo in cui viviamo.

Ne accenneremo in modo semplice, comprensibile a tutti, rinviando alla

pubblicazione della scoperta chi voglia approfondire (1).

Non è difficile comprendere dove e come si estendano queste dieci dimensioni,

perché tutte si basano su poche semplicissime regole, sperimentate nelle prime tre, e

dunque patrimonio di tutti.

Lo spaziotempo che esse formano, come è noto, s’incurva.

Meno nota è una conseguenza della teoria della relatività generale. Il fatto che lo

spaziotempo possa sempre incurvarsi, provoca l’inesistenza della retta nella realtà

dello spazio.

La retta infatti, ente aperto, non può mai divenire una curva, una circonferenza,

ente chiuso (2).

La retta è in realtà la massima circonferenza possibile rispetto all’osservatore

uomo, rispetto cioè al nostro sistema occhio cervello.

Chiarito ciò, passiamo alle poche regole tratte dalle prime tre dimensioni.

La prima è che ogni dimensione ha due versi opposti di estensione.

La seconda è che ogni spazio a n dimensioni, incurvandosi, copre l’intera

estensione dello spazio a n+1 dimensioni (per esempio, lo spazio a due dimensioni, la

superficie sferica, mutando raggio, quindi curvatura, come un palloncino che si

gonfia, copre l’intero volume sferico a tre dimensioni).

La terza è che l’ente geometrico che separa i due versi opposti della dimensione

n, ha n-1 dimensioni (per esempio qualsiasi parallelo che separa la seconda

dimensione della superficie sferica di un mappamondo, ha una sola dimensione).

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La quarta infine è che se da un ente separatore della dimensione n si segue sulla n

il verso di divergenza da esso, si giunge ad un qualsiasi altro ente separatore della n

nel verso di convergenza a questo (per esempio, se da un punto separatore della prima

dimensione, da un punto di un meridiano, si segue su questo il verso di divergenza da

esso, si giunge ad un qualsiasi altro punto del meridiano nel verso di convergenza a

questo).

Queste poche regole bastano a descriverci tutte le dimensioni dello spaziotempo

ed è così che scopriamo una realtà inattesa, straordinariamente armonica, una melodia

dall’eleganza impareggiabile.

Partiamo da quanto sappiamo sulle prime tre dimensioni.

Lo spazio a una dimensione s1 è quello di una circonferenza massima qualsiasi.

Lo spazio a due dimensioni s2 è quello di una superficie sferica massima qualsiasi.

Lo spazio a tre dimensioni s3 è quello di un volume sferico massimo qualsiasi.

Abbiamo detto che lo spazio a due dimensioni appartenente allo spazio a tre

dimensioni, incurvandosi, mutando cioè il raggio e quindi la curvatura, copre l’intera

estensione dello spazio a tre dimensioni (seconda regola). Ovviamente

l’incurvamento dello spazio a due dimensioni, cioè della superficie sferica, provoca

l’incurvamento delle circonferenze ad esso appartenenti.

Dunque l’incurvamento dello spazio a tre dimensioni nella quarta dimensione,

deve coprire l’intera estensione dello spazio a quattro dimensioni, ma deve anche

incurvare i volumi sferici, le superfici sferiche, le circonferenze, che ad esso

appartengono.

Cosa significa allora curvare lo spazio tridimensionale?

Significa espanderlo o contrarlo, poiché in tal modo muta la curvatura dei volumi

sferici, delle superfici sferiche, delle circonferenze, che ad esso appartengono.

E’ facile immaginare la quarta dimensione, perché l’ingrandimento fornito dal

microscopio o dal telescopio simula la realtà che si espande in quarta dimensione,

ovvero vista da un osservatore che si contrae in quarta dimensione.

Ma anche il nostro sistema visivo simula la quarta dimensione quando ci

avviciniamo o allontaniamo da un oggetto.

Vedremo che senza la quarta dimensione non avremmo neppure la luce e dunque

non avremmo conoscenza.

La materia

Soffermiamoci ancora brevemente sulla quarta dimensione e proviamo ad

applicare le regole esposte, ma una prima semplice riflessione ci porta già ad

affermare che lo spazio a quattro dimensioni non può certo accogliere la natura

corpuscolare.

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La materia avrebbe infatti infiniti stati tridimensionali sovrapposti, il che

renderebbe impossibile la nostra realtà.

Fatta questa riflessione, ci chiediamo come si configuri l’ente separatore della

quarta dimensione, che vorremmo conoscere in natura.

Questo ente è un volume sferico (terza regola) che separa i due versi della quarta

dimensione, che separa cioè un volume sferico concentrico in espansione (come il

palloncino che si gonfia) da un volume sferico concentrico in contrazione (come il

palloncino che si sgonfia).

Dovendo potersi espandere e contrarre, avremo necessariamente una sfera, che

chiamiamo M3 , avente un raggio ben definito rispetto a noi uomini.

Si può divergere da un ente separatore o convergere ad esso (quarta regola), ma i

versi opposti non sono sovrapponibili. Non può lo stesso spaziotempo espandersi e

insieme contrarsi.

Allora avremo (F. 1):

+M3 , sfera s3 che separa i versi opposti della quarta dimensione divergenti da

essa, di espansione dello spazio s3 all'esterno, di contrazione all'interno;

-M3 , sfera s3 che separa i versi opposti della quarta dimensione convergenti ad

essa, di contrazione dello spazio s3 all'esterno, di espansione all'interno.

Così, se da una sfera +M3 si segue in quarta dimensione il verso di divergenza da

essa, il verso cioè di espansione, si giunge ad una qualsiasi altra sfera –M3 nel verso

di convergenza a questa, nel verso cioè di contrazione (quarta regola).

Naturalmente questo significa che l’espansione in quarta dimensione è legata alla

contrazione da uno stadio di passaggio in cui avviene l'inversione.

I raggi della stella descritta dai punti della +M3 durante l’espansione, convergono

in un'antistella descritta dai punti della –M3 durante la contrazione. Stella e antistella

formano quella che potremmo chiamare una bistella +M3 -M3.

A questo punto ci chiediamo dove risiedano questi enti M3 nella realtà in cui

viviamo.

Come comprenderete fra poco, per poter rispondere a questa domanda conviene

dare un’occhiata alla quinta e alla sesta dimensione.

Incurviamo allora lo spazio a quattro dimensione nella quinta.

L’avvicinamento di +M3 e -M3 è un verso della quinta dimensione, perché si ha

la contrazione dello spazio a quattro dimensioni nella quinta.

L’allontanamento di due +M3 , o -M3 , è il verso opposto, perché si ha l’espansione

dello spazio a quattro dimensioni nella quinta.

L’estensione della quinta dimensione si manifesta dunque mediante una forza che

avvicina o allontana le sfere M3.

Forza?

Sì, si ha la necessità di una forza che abbia due versi opposti, uno di espansione,

l’altro di contrazione.

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Una +M3 ed una -M3 sovrapponendo infatti i propri versi della quarta dimensione,

cioè i versi di espansione e contrazione della forza, si avvicinano, realizzando un verso

della quinta.

Due +M3 , o due -M3 , sovrapponendo i propri versi della quarta dimensione, cioè i

versi di espansione, o contrazione, della forza, si allontanano, realizzando il verso

opposto della quinta.

Questa conclusione è di grande rilevanza, perché lo sviluppo squisitamente

geometrico ha portato a scoprire la presenza di forze nell’estensione delle dimensioni,

di tutte le dimensioni.

In effetti avremmo dovuto aspettarcelo, visto che anche la teoria della relatività

generale descrive lo spaziotempo come ente fisico di curvatura mutevole in relazione

alla grandezza della massa incurvante. La relatività mostra cioè la presenza di forze

che legano profondamente materia e spazio tempo.

Consapevoli della fusione di forze e dimensioni, passiamo allora dalla quinta alla

sesta dimensione.

Lo spaziotempo a cinque dimensioni s5 separa i versi opposti della sesta

dimensione (terza regola).

La contrazione di s5 è un verso della sesta dimensione. L’espansione di s5 è il

verso opposto.

Nel complesso (F. 2) la risultante delle forze espresse dalla quarta, quinta e sesta

dimensione, appartenente ad un raggio della bistella +M3 -M3 , si incurva secondo

un'elica avvolta su una superficie di rotazione della bistella stessa. La sesta dimensione permette la rotazione intorno all’estensione della quarta

dimensione, così come la terza dimensione permette la rotazione intorno

all’estensione della prima dimensione.

Abbiamo ora abbastanza elementi per riconoscere dove la natura manifesti la

quarta, la quinta e la sesta dimensione.

L'esperienza fisica mostra che l’incurvamento dello spazio a tre dimensioni nella

quarta si identifichi con il campo elettrico.

Il verso di espansione della quarta dimensione corrisponde al campo generato

dalla carica positiva, il verso di contrazione al campo generato dalla carica negativa.

La curvatura convessa di espansione è legata alla curvatura concava di

contrazione da uno stadio di passaggio in cui avviene l'inversione.

Se chiamiamo scorrimento l’incurvamento dello spaziotempo a n dimensioni

nella dimensione n+1, possiamo allora affermare che il tempo dello scorrimento della

quarta dimensione non è altro che il tempo di propagazione del campo.

La particella +M3 corrisponde all’elettrone.

La particella -M3 corrisponde al positrone.

Ora possiamo comprendere che cosa da concretezza alla realtà. In accordo col

terzo principio della dinamica, è il contrasto tra i versi della quarta dimensione,

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l’opposizione dei versi della forza f4, divergenti nell’elettrone, convergenti nel

positrone, a permettere la concretezza, la corpuscolarità della materia.

L’incurvamento della quarta dimensione nella quinta si identifica con la corrente

elettrica.

L’incurvamento della quinta dimensione nella sesta si identifica col campo

magnetico.

In generale, cioè per tutte le dimensioni, l’alternanza di enti +Mn e -Mn realizza

un’estensione dello spazio a n dimensioni in equilibrio. Le forze espresse da tale

spazio si oppongono al mutamento di questo equilibrio.

E’ questa reazione delle forze espresse dalle dimensioni al mutamento

dell’estensione di queste a spiegare un fenomeno straordinariamente affascinante e

importante per capire il nostro mondo.

L’accelerazione di una particella di spaziotempo +M3, un elettrone, porterebbe un

aumento della normale estensione della quarta, quinta e sesta dimensione. Per opporsi

all’incremento la parte dello spazio contigua a quella in cui variano le estensioni,

procedendo trasversalmente al moto delle particelle, si incurva nelle stesse dimensioni

in verso opposto. Questo secondo incremento, a sua volta, da luogo nuovamente al

fenomeno, creando un’inversione a catena, cioè l’ente a sei dimensioni a noi noto

come quanto di energia.

Si giunge così ad una conclusione rilevante.

Il quanto Q6 , espresso dallo spazio a sei dimensione, passa da essere limite tra i

versi di quarta, quinta e sesta dimensione divergenti, come la particella di materia, ad

essere limite tra i versi opposti convergenti, come la particella di antimateria.

La sua natura oscillatoria, che assume e perde istantaneamente corpuscolarità,

spiega perché, pur non avendo massa a riposo, esso ha tuttavia quantità di moto,

momento.

La velocità delle onde elettromagnetiche, dei fotoni, è sempre la stessa, perché

essa è la velocità di scorrimento della quarta, quinta e sesta dimensione. La luce

quindi, essendo estensione a sei dimensioni, non può accelerare o rallentare, né

osservare la regola per la composizione delle velocità di due corpi materiali in

movimento.

Nel celebre esperimento della doppia fenditura, la spiegazione del comportamento

simile manifestato dagli elettroni +M3 e dai quanti Q6 sta nel fatto che sia i primi che

i secondi separano allo stesso modo i due versi opposti della quarta, quinta e sesta

dimensione.

Ci chiediamo a questo punto come la rivoluzione dello spaziotempo, la

coincidenza di forze e dimensioni, possa mettere d’accordo la meccanica quantistica

con la relatività generale.

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Gravità e antigravità

Lo studio della quarta, quinta e sesta dimensione mostra che tutte le dimensioni,

dunque anche le prime tre, in accordo alla teoria della relatività, sono fuse con

altrettante forze in natura.

Alla prima dimensione corrisponde la forza f1.

Si passa dall'assenza di dimensioni alla prima dimensione dello spaziotempo.

Sappiamo che l’ente M0 separatore dei versi opposti della prima dimensione è il

punto, ma la scoperta della quarta, quinta e sesta dimensione ha dimostrato che la

forza associata a qualsiasi dimensione assume sempre i due versi opposti della

dimensione stessa.

Perciò avremo +M0 , punto che separa i versi opposti della prima dimensione

divergenti da esso, e -M0 punto che separa i versi opposti convergenti ad esso.

In ogni centro +M0 si passa dal nulla allo spaziotempo e, viceversa, in ogni centro

-M0 si passa dallo spaziotempo al nulla.

Ciò, come vedremo fra poco, può spiegare fondamentali fenomeni dell’Universo

sinora misteriosi.

All’incurvamento dello spazio ad una dimensione nella seconda corrisponde la

forza f2. All’incurvamento dello spazio a due dimensioni nella terza corrisponde la

forza f3.

Gli incurvamenti sovrapponendosi fanno sì che ogni curva, cioè ogni spazio ad

una dimensione, per +M0 e -M0 si incurvi secondo un'elica avvolta su una superficie

di rotazione della bistella +M0 -M0.

Secondo tali raggi si dirige la risultante delle forze f1 f2 f3, avente i versi opposti

di divergenza e convergenza.

Divergenza.

Sapevamo della convergenza prodotta dall’incurvamento dello spaziotempo, ma

adesso si spalanca una realtà sconosciuta, di cui però si intuiva l’esistenza.

L’evidenza sperimentale mostra che l’incurvamento delle prime tre dimensioni si

identifica col campo gravitazionale, ma le dimensioni rivelano un campo più ampio e

completo di quanto credevamo.

La disposizione delle forze -f1 -f2 -f3 convergenti, attrattive al punto -M0, spiega

l’aggregazione a questo delle particelle di materia +M3 e -M3 .

La disposizione delle forze +f1 +f2 +f3 divergenti, repulsive dal punto +M0, spiega

l’allontanamento da tale centro delle particelle +M3 e -M3 , l’assenza cioè di materia

e radiazione.

Possiamo notare a questo punto che lo spazio 3d si manifesta immenso

nell’universo e infinitesimo in ogni particella 3d. Entrambi contengono le dimensioni

0d, 1d e 2d.

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E’ lo stesso fenomeno dimensionale che si ha quando consideriamo una superficie

isolata ed una superficie separatrice di un volume. La seconda è limitata dalla

grandezza del volume, mentre la prima non ha limiti. Entrambe hanno le stesse

caratteristiche, contengono le dimensioni 0d e 1d.

Dunque all’interno di una particella 3d ci sono punti +M0 e –M0 in equilibrio di

forze, così come accade nello spazio immenso dell’universo.

In questo spazio, quando sono presenti particelle 3d, dovute alla quarta

dimensione, queste, in quanto porzioni di spazio 3d, vengono attratte o respinte dalle

forze f1 , f2 ed f3 corrispondenti agli incurvamenti degli spazi s0, s1 ed s2 , a seconda

che si abbia un aumento di curvatura, come accade nei punti –M0 , o una diminuzione

di curvatura, come accade nei punti +M0.

Secondo la configurazione delle dimensioni, agli spazi attrattivi di atomi in

pianeti, stelle e galassie corrispondono altrettanti spazi repulsivi invisibili, corpi

celesti oscuri. Le forze repulsive addensano le particelle verso i centri attrattivi,

sommando il loro effetto a quello delle forze attrattive, come farebbe una materia

invisibile.

Ciò spiegherebbe l’enigma della materia oscura. Si tratterebbe di aggregati di

centri repulsivi +M0.

Questi aggregati ai margini delle galassie eviterebbero la diminuzione delle

velocità orbitali delle stelle nelle regioni periferiche delle galassie, prevista dalla terza

legge di Keplero.

Lo stesso fenomeno potrebbe motivare la deviazione della luce constatata anche

in spazi dove è assente la materia.

Inoltre l'incurvamento della prima dimensione, dovuto al moto non uniforme della

particella M0, provocherebbe l'onda gravitazionale.

Il quanto Q3 passerebbe da essere limite tra i versi opposti divergenti, ad essere

limite tra i versi opposti convergenti.

Dunque, anche se non ce ne accorgiamo, un corpo accelerando provocherebbe

un’onda gravitazionale di quanti Q3 .

Come le onde elettromagnetiche, anche le onde gravitazionali sarebbero

trasversali. Le forze attrattive o repulsive dello spazio a tre dimensioni, impedirebbero

a qualsiasi corpo un moto a curvatura costante.

Un corpo in moto curvilineo uniforme, prosegue il proprio moto indisturbato

secondo lo scorrimento s3 se non soggetto ad altre forze. Le forze esercitate dagli

esseri viventi sarebbero necessarie per contrastare lo scorrimento naturale delle

dimensioni.

L’alternanza di centri -M0 di attrazione e centri +M0 di repulsione presenta un

universo in equilibrio, in accordo con i principi cosmologici secondo cui le leggi della

natura sono le stesse nello spaziotempo.

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Questa alternanza fornisce una nuova spiegazione al paradosso di Olbers. I corpi

celesti oscuri, alternandosi ai corpi luminosi, spiegherebbero perché il cielo non è una

volta interamente luminosa. E’ l’alternanza a donarci l’effetto meraviglioso del cielo

stellato.

L’allontanamento delle galassie più lontane ad una velocità proporzionale alla

distanza dalla Terra sarebbe solo apparente, considerando che lo spazio tra due

galassie oscure sarebbe espanso dalle forze repulsive. L’allungamento delle

lunghezze d’onda della luce proveniente da una galassia, attribuito

all’allontanamento, l’effetto redshift, sarebbe perciò dovuto all’attraversamento dello

spazio tra due galassie oscure, attraversamento che si ripete tante più volte quanto più

la galassia luminosa è lontana dalla Terra.

L’espansione delle galassie oscure sarebbe bilanciata dalla contrazione delle

galassie luminose. Ne contrazione, ne espansione, nel suo insieme, manifesterebbe

l’Universo.

In accordo al principio cosmologico di omogeneità e isotropia, le informazioni

provenienti da lontano non implicano l’esistenza di uno stato dell’universo molto

differente da quello di oggi, ma possono essere gli effetti finali di una trasmissione di

energia da uno stato simile posto ad una enorme distanza dalla Terra.

La radiazione cosmica di fondo, a microonde, sarebbe quanto giunge a noi della

luce la cui lunghezza d’onda si sarebbe via via allungata attraversando spazi enormi

in espansione dai centri +M0 (effetto redshift).

Dunque non sarebbe necessario il Big Bang.

La natura delle dimensioni manifesta inoltre che il tempo non è una dimensione,

ma una caratteristica di ogni dimensione, perché appartiene all’estensione di ogni

dimensione.

Il tempo si manifesta nello scorrimento dello spazio a n dimensioni,

nell’incurvamento cioè di questo nella dimensione n+1 , mutamento che rinnova

attimo per attimo l’esistenza dello spazio.

Lo spaziotempo si addensa

Ma torniamo alla sesta dimensione.

La settima dimensione è lo spazio in cui si incurvano le prime sei dimensioni.

Essa si manifesta quindi nell’incurvamento dell’elicoide che descrive lo spazio a

sei dimensioni.

L’elicoide separa ovviamente i versi opposti dello spazio a sette dimensioni (terza

regola).

Avremo:

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+M6 , che separa i versi opposti della settima dimensione divergenti da essa, di

espansione dello spazio elicoidale a sei dimensioni all'esterno, di contrazione

all'interno;

-M6 , che separa i versi opposti della settima dimensione convergenti ad essa, di

contrazione dello spazio elicoidale a sei dimensioni all'esterno, di espansione

all'interno (F. 3);

Per semplificare la comprensione delle successive dimensioni, rappresentiamo

l’elicoide a sei dimensioni in forma di particella ellissoidale.

L’espansione in settima dimensione è legata alla contrazione (quarta regola) da

uno stadio di passaggio in cui avviene l'inversione.

L’elicoide estendendosi in settima dimensione descrive quindi un fascio di

elicoidi.

Andiamo all’ottava dimensione.

Il fascio di elicoidi separa i versi opposti dell’ottava dimensione (terza regola).

L’avvicinamento delle particelle +M6 e -M6 è un verso della ottava dimensione.

L’allontanamento di due particelle +M6 , o –M6 , è il verso opposto.

Il fascio di elicoidi, estendendosi in ottava dimensione, descrive un fascio di fasci

di elicoidi.

Saliamo infine alla nona dimensione.

Il fascio di fasci di elicoidi dell’ottava dimensione separa i versi opposti della

nona dimensione (terza regola).

La contrazione di questo fascio è un verso della nona dimensione. L’espansione

del fascio è il verso opposto.

I due incurvamenti nell’ottava e nella nona dimensione, sovrapponendosi, fanno

sì che ogni coppia di particelle +M3 –M3, cioè ogni elicoide a sei dimensioni si espanda

e contragga da +M6 a -M6 secondo traiettorie elicoidali (F. 4).

Secondo tali eliche si dirige la risultante delle forze f7 f8 f9, espresse dalla settima,

ottava e nona dimensione avente i versi opposti di espansione e contrazione.

Infine va notato che lo spaziotempo a nove dimensioni implica l’esistenza della

decima dimensione, così come lo spaziotempo a una dimensione implica l’esistenza

della nulla dimensione.

Adesso di nuovo ci chiediamo dove si manifestino queste ultime dimensioni,

queste particelle a nove dimensioni, che inglobano elettroni e positroni.

Intanto, sapendo che +M3 e -M3, cioè elettroni e positroni, sono le uniche

particelle a tre dimensioni, quindi le uniche particelle attratte dai punti –M0 , centri di

gravità, si giunge ad una importante conclusione.

Anche se in stato di espansione o contrazione nello spazio a nove dimensioni, esse

devono essere necessariamente le costituenti dei nuclei atomici, perché, se così non

fosse, le particelle dei nuclei non sarebbero aggregate intorno ad un punto –M0 , e si

perderebbero nello spazio, anziché appartenere ai pianeti, alle stelle e alle galassie.

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Ci aspettiamo allora che le particelle a sei dimensioni, +M6 e –M6 siano proprio il

neutrone e la sua antiparticella.

La forza nucleare forte è allora espressione della settima dimensione. La forza

nucleare debole è espressione dell’ottava e nona dimensione.

Un allentamento della morsa prodotta dalle forze dell’ottava e nona dimensione,

che lega +M6 a –M6 , cioè un incurvamento in decima dimensione, a confine del

nucleo atomico, permetterebbe alla particella esterna +M3 di +M6 , all’elettrone in

espansione nello spazio a nove dimensioni, di allontanarsi dal nucleo, lasciando in

esso un protone e provocando la generazione di un quanto Q9 (decadimento )

secondo un processo analogo a quello che genera i quanti Q3 e Q6.

Il quanto Q9 non sarebbe altro che l’antineutrino elettronico.

A proposito è interessante ricordare che il moto uniforme degli elettroni si ha

quando non vi è incurvamento nella quinta dimensione.

Dunque anche il moto della particella nell'atomo è uniforme. Ciò spiega perché,

per quanto circolare, durante tale moto non si verifichi emissione di energia, come

invece accade nella particella accelerata in rotazione nel ciclotrone.

Salendo nella scala delle dimensioni si nota come le dimensioni addensino lo

spaziotempo secondo involuzioni elicoidali successive. Un primo elicoide si muove

secondo una traiettoria elicoidale e l’elicoide dell’elicoide che ne consegue si muove

a sua volta secondo una traiettoria elicoidale, producendo l’elicoide dell’elicoide

dell’elicoide.

Le forze legate alle dimensioni si addensano conseguentemente divenendo

enormemente più elevate.

Malgrado ciò però le particelle a tre dimensioni, elettroni e positroni, pur

espandendosi nelle dimensioni successive, mantengono costante la forza relativa alla

quarta dimensione, cioè la carica.

Perciò nella particella a sei dimensioni, nel neutrone, contenente una coppia +M3

-M3 , elettrone positrone in espansione in settima dimensione e una coppia +M3 -M3 ,

elettrone positrone in contrazione, dobbiamo ritrovare due cariche elettriche negative

e due cariche elettriche positive.

Consideriamo allora le cariche dei quark del neutrone e del protone.

Nel passaggio da neutrone a protone un quark d (carica -1/3) libera un elettrone

trasformandosi in quark u (carica +2/3). Si ha cioè -1/3 -(-1) = +2/3 di carica.

Se il secondo quark d del neutrone liberasse un altro elettrone si avrebbe nel

protone un altro quark u, cioè ancora +2/3 di carica .

Se il quark u del neutrone liberasse un positrone si avrebbe nel protone un quark

d. Si avrebbe +2/3 -1 = -1/3 di carica.

Rimarrebbe così nel protone la carica +2/3 + 2/3 -1/3= +1 di -M3 un positrone.

Dunque nel neutrone +M6 abbiamo due cariche elettriche negative e due cariche

elettriche positive, come previsto dalla configurazione della settima dimensione.

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Lo spazio torna a rappresentare l’Universo

Riassumendo, la scoperta delle dieci dimensioni consolida la fusione dello

spaziotempo con le forze della natura e la estende alla materia e all’energia.

Questa realtà, annunciata per lo spazio tridimensionale dalla teoria della relatività

generale, si conferma presente in tutto l’Universo, manifestandosi in modi differenti

a seconda del numero di dimensioni e quindi di forze che si addensano sempre più,

salendo nella scala dimensionale, secondo un susseguirsi di elicoidi.

Ne deriva una struttura concettualmente semplice e armoniosa, tesa ad un

equilibrio universale.

Questo modello dell’Universo è fondato sull’esperienza, su regole elementari che

tutti conosciamo.

Dalla teoria della relatività alla teoria delle stringhe, la fisica, la scienza della

natura, è ormai da molti anni inscindibilmente fusa con la scienza dello spazio.

In questa meravigliosa fusione, che fa grande la scienza, si inquadra la scoperta

di cui abbiamo insieme trattato.

Note

1 Ten real dimensions of spacetime discovered, International Institute for Advanced Studies of Space

Representation Sciences, Palermo, Italy

2 Il teorema sulla curvatura dello spazio dimostra che lo spazio non è rappresentabile con rette (Giuseppe

M. Catalano, Le dimensioni dello spazio, International Institute for Advanced Studies of Space

Representation Sciences, Palermo 2008, pp. 4-6).

Lo spaziotempo curvo della relatività generale implica già l’inesistenza della retta.

Il concetto di retta nasce dall’allineamento di sorgenti puntiformi irradianti che hanno immagini coincidenti sulla

retina. Il recettore retinico è un osservatore avente la stessa dimensione della linea cui appartengono le sorgenti.

Esso non è quindi in grado di valutare la curvatura di tale asse.

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