Fuoco!

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Fuoco! di Giancarlo De Cataldo

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verdenero

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noir di ecomafia

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Giancarlo De CataldoFuoco!

© 2007 by Giancarlo De Cataldo published by arrangement with Agenzia Letteraria Roberto Santachiara

© 2007, Edizioni Ambiente S.r.l., via Natale Battaglia 10, 20127 Milanowww.edizioniambiente.it; tel. 02 45487277

Ufficio stampa: [email protected]; tel. 02 7490794

Distribuzione: PDE, [email protected]; tel. 055 301371

Tutte le edizioni e ristampe di questo libro sono su carta riciclata 100%

Finito di stampare nel mese di novembre 2007 presso Arti Grafiche del Liri – Isola del Liri (Fr)

Questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti accaduti o personerealmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

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A Gabriele, il futuro è suo.

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L’uomo inginocchiato davanti alla canna dellasemiautomatica giunse le mani come in preghierae lasciò partire un singhiozzo quasi incredulo.

«Aspé, Leona’, fammi spiegare...»«Non c’è niente da spiegare» disse l’uomo che

impugnava la semiautomatica. «È tutto molto chia-ro. Siete d’accordo pure voi, no?»

I due giovani, piccoli, magri, gli occhi accesi difame e di roba, annuirono vigorosamente.

«Jamme, Leona’! È stato tutto un malinteso!»implorò l’uomo inginocchiato.

L’uomo armato (Leonardo) scosse la testa.«È troppo tardi, Vincenzo, dovevi pensarci prima!»

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«Don Carmelo ti strapperà le palle dagli occhi,infame, piezzo ’e mmerda, rinnegato!»

L’uomo inginocchiato (Vincenzo) prese a striscia-re verso i due giovanotti. Mentre avanzava, si lascia-va alle spalle una bava di sudore e di chiacchiere. Iosono il figlioccio di don Carmelo. Don Carmeloverrà a saperlo e vi farà murare vivi in un sotterraneoa Ponticelli. A te, Leona’, che sei già una carogna checammina, e pure a voi due, che siete così fessi da dar-gli spago, a ’stu fetiente, rinnegato e carnamolla. Idue ragazzi si scambiarono un’occhiata perplessa epoi i loro sguardi conversero su Leonardo.

«Ingegne’, ma vuie site sicuro che don Carmelo...»«Don Carmelo non ne sa niente! Niente di niente!»

ur lò Vincenzo. «Guaglio’, fermate ’stu strunze! Ci stan -no diecimila euri per voi! E don Carmelo vi sarà rico-noscente in eterno! Guaglio’, siete ancora in tempo!»

La situazione si stava facendo sgradevole. Vincen-zo ’O Prufessore era piuttosto in gamba, con leparole, e si era già perso troppo tempo. I due ragaz-zi cominciavano pericolosamente a dubitare. Leo-nardo si chiese se non avesse commesso un erroreingaggiando quei due balordi. In ogni caso, avreb-be sempre potuto rimediare...

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«Ingegne’» disse Ciro, o forse Ciccio, non riusci-va mai a ricordare i nomi, ma in fondo non avevaimportanza «ma vuie site proprio sicuro sicuro?»

«Sicurissimo» sospirò Leonardo, facendo fuocosulla sagoma ululante del giustiziando.

Dopo un attimo di esitazione, Ciro e Ciccio siunirono al coro.

Tre quarti d’ora dopo, mentre i ragazzi, incassatii cinquecento euro a cranio, provvedevano a cospar-gere di benzina e dare fuoco alla moto Triumphusata per la comanda, l’ingegner Leonardo Coppe-tiello entrava nella sala grande del Convitto Mosca-ti. Per raggiungere la prima fila dovette farsi largo,fra spinte e sorrisi imbarazzati, attraverso la piccolafolla che assiepava la sala, accalcandosi intornoall’improvvisata pedana sulla quale, proprio in quelpreciso momento, tre ragazzi e una ragazza finiva-no di accordare viole, violini e violoncello. Leonar-do liberò una seggiola dalla borsa che l’occupava,porgendola alla signora seduta alla sua sinistra. Ladonna, una quarantenne piuttosto elegante dalvolto equino e dal collo ingioiellato, gli sorrise. Leo-nardo si aggiustò il nodo della cravatta. Facevaancora la sua bella figura, a quarant’anni suonati.

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E le donne non gli mancavano. Ricambiò il sorrisocon un lieve cenno del capo ma poi si dedicò all’u-nica, fra le tante donne della sua vita, che gli stesseveramente a cuore. Cecilia. Cecilia alta, esile, cosìbionda e così perfetta. La sua piccola Cecilia.Mamma mia, quanto assomigliava alla povera Nun-ziatina! Però, che scherzo gli aveva giocato lascian-dolo tutto solo a occuparsene! Come se la vita fossesolo rose e fiori! La vita era una chiavica, ecco checos’era la vita. Ma Cecilia non lo avrebbe saputo.Non finché ci fosse stato lui a proteggerla. Leonar-do rivolse alla figlia un vago cenno di saluto. Laragazza annuì seccamente. Era emozionata, ovvio.Ma nei suoi occhi luminosi lampeggiavano baglioridi gratitudine. Tranquilla, figlia mia, non mi sareiperso il tuo concerto per tutto l’oro del mondo! Salìsul palco la direttrice del Convitto. Si fece silenzio.La signora dalla faccia cavallina gli sfiorò distratta-mente una mano, come per un gesto casuale. Leo-nardo si ritrasse, sdegnato. Stattene al posto tuo,grandissima zoccola. Questa non è la tua serata.Questa è la serata di Cecilia mia! Infine, le luci sispensero, il brusio tacque e la melodia invase la stan-za. Bach, Beethoven, Schubert, uno di quelli, chiun-

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que fosse, nessuno aveva la grazia, la bellezza, l’abi-lità di Cecilia. Sì, la vita, dopo tutto, era proprio nabella cosa, pensò Leonardo Coppetiello, abbando-nandosi, con gli occhi chiusi, sulla seggiola.

In quello stesso preciso momento, nel garageabbandonato sotto i portici di un casolare dirocca-to alla periferia di Casal di Principe, Vincenzo Ier-volino, detto Vincenzo ’O Prufessore, si risvegliò,sorpreso di essere ancora vivo. Con le dita rattrap-pite, indebolito dalla perdita di sangue, si frugònelle tasche in cerca del cellulare. Stronzi, non ave-vano pensato a perquisirlo. E si erano pure scordatidel colpo di grazia! L’aveva sempre detto, lui, cheCoppetiello era ’n ommo ’e niente! Don Carmelorispose al quarto squillo. I suoi ragazzi ci miseromeno di un quarto d’ora a raggiungere il casolare.

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L’estate in cui sarebbe inaspettatamente diventatouomo era cominciata per Lu quando suo padre eraentrato nella mansarda e l’aveva strappato all’incu-bo nel preciso istante in cui i due mostri sulla pan-china stavano per voltarsi.

«Il viaggio è saltato. Mi dispiace, ragazzo. Lasciache ti spieghi.»

Mentre il padre accennava vagamente a fiamme,grave crisi, necessità di non mollare la presa in unmomento difficile per la sua carriera di giornalista,Lu la sciava vagare lo sguardo sulla stanzetta illumi-nata dal sole d’agosto. I libri di fantascienza che nonavrebbe mai letto. La play-station che aveva smessodi frequentare. Il pc coperto da uno strato di pol-

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vere. Il basso elet trico che illanguidiva appeso a unchiodo sbilenco.

«So che per te è una grande delusione, ma... Per-donami, Lu!»

Che pensasse pure alla sua grande delusione,papà. Per Lu non si trattava che di un piccolo con-trattempo. La verità era che qualunque cosa avessedetto o fatto l’uomo che gli aveva dato la vita, inquello o in qualunque altro momento, non aveva,per lui, il minimo interesse. L’unica cosa che desi-derava era tornare a dormire.

«Non fa niente. Ho capito. Va bene, papà.»L’uomo smise di accalorarsi, trasse un profondo

sospiro, rivolse un’ultima occhiata preoccupata aquel figlio assente, alla sua disperata mansuetudineche poteva mutarsi d’improvviso in aggressivitàdistruttiva. Stava sbagliando un’altra volta. Ma checi poteva fare? Era la vita che era sbagliata. Primagli aveva tolto Carla, e adesso, lentamente, pianopiano, gli stava portando via anche Lu. E lui checosa faceva per evitarlo? Niente. A parte infligger-gli l’ennesima delusione.

«Davvero, Lu, mi dispiace. Ho pensato che forsepotremmo comunque andare insieme...»

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«E dove?»«Ma non mi hai sentito? Giù... Io devo occupar-

mi di questi incendi, sai, il Sud sta bruciando, nonla guardi la televisione? Magari, mentre io vado ingiro a raccogliere informazioni, tu potresti passarequalche giorno da zio Nicola... Te lo ricordi, no, zioNicola?»

Il padre lo stava fissando, l’aria a metà fra spe-ranza e delusione. Che si fa in questi casi? Come sirisponde?

«Zio Nicola, diamine! Il papà di Daniele... Nonte lo ricordi, Daniele? Quante estati avete passatogiocando insieme, quando...»

Ecco. L’inevitabile mozione dei sentimenti. Ilpadre dal ciglio umido. Stava subentrando la me -moria della Grande Assente. Prima che il padrescoppiasse a piangere, prima che gli affiorasse sullelabbra quel nome che non doveva essere pronun-ciato, Lu si affrettò a rassicurarlo.

«Sì, certo, è una splendida idea. Staremo benissi-mo tutti e due.»

Poi si voltò verso il muro, cercando di recupera-re l’incubo, così confortevole, così rassicurante.

«Non dimenticarti le pillole, Lu, per piacere.»

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Mentre il padre richiudeva piano la porta, i duemostri sulla panchina si voltarono. Erano suo padree la mamma che non c’era più. Sorridevano dalleloro bocche dai denti aguzzi e insanguinati e glifacevano segno di avvicinarsi.

Lu si tirò su, e prima di affrontare un’altra stupi-da giornata senza senso si fece una canna.

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