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EDITORIALE COME REGOLA- MENTARE LE LOBBY LA FORMAZIONE DEI COMUNICATORI SPECIALE UCSI VERONA 2006 CONVEGNI E CONGRESSI LIBRI S O M M A R I O Paolo Scandaletti Irene Pivetti Nicola Lupo Pier Luigi Petrillo Gabriele Mazzoletti Lucia Larese Piero Onofri Furio Garbagnati Andrea Melodia Massimo Milone Angelo Sferrazza Giorgio Tonelli Ezio Berard Camilla Rumi Rosa Maria Serrao R.M.S. Paolo Scandaletti Igor Scognamiglio Giuseppe Nucci Marica Spalletta Camilla Rumi C.R. Rosa Maria Serrao Giorgio Tonelli Tutte sorprese? E per chi? Fare lobby per la lobby Urge la regolamentazione di lobbies e partiti I Gruppi di pressione nelle Regioni italiane? Le attività di lobbying nella legislazione americana Competenza e fiducia nei rapporti lobbistici L’esperienza dell’Unione Europea I giovani nelle società di comunicazione Percorso e accesso alla professione dei comunicatori I media globali e la salvaguardia delle coscienze - La proposta dell’Ucsi Intercettare il futuro Il tempo del pensare e dell’agire Giornalisti meglio raccordati con l’opinione pubblica AOSTA Giornalismo: professione o mestiere? BOLOGNA Compa 2006 ROMA Giornalisti: al via dibattito interno su riforma Ordine FIRENZE Ucsi Toscana: il giornalismo nel servizio pubblico MILANO Nasce l’annuario della free press M. Giuseppina Muzzarelli, Pescatori di uomini Arjuna Tuzzi, Le cento professioni della comunicazione Giampietro Vecchiato, Relazioni pubbliche: valore che crea valore Gruppo Marcuse, Miseria umana della pubblicità A. Ferrari, L. Scalettari, Le periferie dell’informazione Enrico Manca, Frammenti di uno specchio Mascia Ferri, Come si forma l’opinione pubblica Guido Gili, La violenza televisiva. Logiche forme effetti 3 5 9 15 22 24 28 33 37 39 42 46 48 50 53 54 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 DESK n. 3/2006 1

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EDITORIALE

COME REGOLA-

MENTARE LE LOBBY

LA FORMAZIONE

DEI COMUNICATORI

SPECIALE UCSI

VERONA 2006

CONVEGNI

E CONGRESSI

LIBRI

S O M M A R I O

Paolo Scandaletti

Irene PivettiNicola LupoPier Luigi PetrilloGabriele MazzolettiLucia LaresePiero Onofri

Furio GarbagnatiAndrea Melodia

Massimo MiloneAngelo SferrazzaGiorgio Tonelli

Ezio BerardCamilla RumiRosa Maria SerraoR.M.S.

Paolo ScandalettiIgor ScognamiglioGiuseppe NucciMarica SpallettaCamilla RumiC.R.Rosa Maria SerraoGiorgio Tonelli

Tutte sorprese? E per chi?

Fare lobby per la lobbyUrge la regolamentazione di lobbies e partitiI Gruppi di pressione nelle Regioni italiane?Le attività di lobbying nella legislazione americanaCompetenza e fiducia nei rapporti lobbisticiL’esperienza dell’Unione Europea

I giovani nelle società di comunicazionePercorso e accesso alla professione dei comunicatori

I media globali e la salvaguardia delle coscienze- La proposta dell’UcsiIntercettare il futuroIl tempo del pensare e dell’agireGiornalisti meglio raccordati con l’opinione pubblica

AOSTA Giornalismo: professione o mestiere?BOLOGNA Compa 2006ROMA Giornalisti: al via dibattito interno su riforma OrdineFIRENZE Ucsi Toscana: il giornalismo nel servizio pubblicoMILANO Nasce l’annuario della free press

M. Giuseppina Muzzarelli, Pescatori di uominiArjuna Tuzzi, Le cento professioni della comunicazioneGiampietro Vecchiato, Relazioni pubbliche: valore che crea valoreGruppo Marcuse, Miseria umana della pubblicitàA. Ferrari, L. Scalettari, Le periferie dell’informazioneEnrico Manca, Frammenti di uno specchioMascia Ferri, Come si forma l’opinione pubblicaGuido Gili, La violenza televisiva. Logiche forme effetti

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DESKC U LT U R A E R I C E R C A D E L L A C O M U N I C A Z I O N E

Rivista trimestraleUniversità Sr. Orsola Benincasa e Ucsi Anno XIII n. 3DIRETTORI

Paolo Scandaletti (responsabile)Lucio D’Alessandro

COMITATO SCIENTIFICOFrancesco M. De Sanctis (Presidente)Giuseppe AcocellaErmanno Bocchini Pasquale Borgomeo Isabella Bossi Fedrigotti Enzo CheliMassimo CorsalePiero CraveriLucio D’AlessandroDerrick De KerckhoveOrnella De SanctisGianpiero Gamaleri Paolo Mazzoletti Massimo MiloneMario MorcelliniAgata Piromallo GambardellaEmilio RossiPaolo ScandalettiFranco Siddi

COORDINATORI DI REDAZIONERoma: Rosa Maria Serrao06/68.80.28.74 fax 06/45.44.96.21cell. 392/00.19.687e-mail: [email protected]: Arturo LandoAndrea Pitasi cell. 339/22.65.709e mail: [email protected]

Proprietà ed Editore: Ucsi GIUNTA ESECUTIVA

Massimo Milone (Presidente) AngeloSferrazza (Vicepresidente), Giorgio Tonelli(Segretario), Francesco Birocchi (Tesoriere), P. Pasquale Borgomeo (consulenteecclesiastico), Maurizio Del Maschio, PaoloLambruschi, Andrea Melodia, AntonelloRiccelli, Giuseppe Vecchio

Finito di stampare: ottobre 2006 da CSR - Roma, Via di Pietralata 157

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Paolo Scandaletti, è giornalista e dirige questarivista. Insegna Storia del giornalismo all’Usob di Napoli ed Etica della comunicazione alla Luiss di Roma

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TUTTE SORPRESE?E PER CHI?

PAOLO SCANDALETTI

E D I T O R I A L E

sservando con qualche continuità e sistematicità le prime pagine deinostri quotidiani, si possono notare due linee di tendenza,complementari e significative: la presenza, oltre ai titoli «strillati» pernotizie che lo meritano, anche per dati e fatti sorprendenti; e l’assenzasempre più vistosa di quelle inchieste e di quegli approfondimenti checonsentirebbero di dare il giusto peso a quelle notizie, e diraccoglierle con l’indispensabile vaglio critico.Navighiamo invece spensierati in un assordante rumore di fondo, conuna progressiva assuefazione che ci allena a «vedere e passare oltre»,senza soffermarsi a stimare le novità per valore e credibilità, senzaricerca di senso e necessità di compiutezza; quando invece la libertàmentale e spirituale si può salvaguardare proprio controllando ilflusso delle informazioni, per depositarle nella memoria con il nostropersonale filtro analitico - critico.Ma se i fruitori sono persone che vanno di fretta - in largamaggioranza lo sono - e dunque indotte dall’incalzare degli eventi asorvolare sull’offerta informativa (spesso forzatamente limitata ai solititoli, riservando la lettura a tempi migliori, la sera), perché tendono adiventarlo anche i professionisti dell’informazione? Perché dai fattivengono sorpresi loro per primi? Siamo convinti che sia pericoloso per le quote di mercato interno edinternazionale lo straripante potenziale dei cinesi. A fine agosto siriuniscono i giovani leader italiani (quarantenni) e nei titoli compare«Minaccia cinese finita». Considerando, in aggiunta, che l’Italia è unmosaico di corporazioni tendenzialmente autoreferenziali eautoriproducentesi: lo sono perfino le primarie fondazioni bancarie,in mano a gente che nel credito è nata, vissuta e invecchiata.Il governo - finalmente, dopo le ripetute denunce di Giavazzi e dialtri - «scopre» che abbiamo una società ingessata e costosa, e coldecreto Bersani tenta di liberalizzare le professioni di avvocati,farmacisti e tassinari. Raccontando delle loro rendite ‘protette’ i

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giornali confezionano titoli sorprendenti. E sorprendono appuntoperché i giornalisti, anziché fare i cani da guardia dei poteri, silimitano a pubblicare, al riparo delle virgolette o col microfonodavanti, le parole dei rispettivi esponenti.Ci sono voluti quindici anni e più di guerre in Medio Oriente perscoprire che quelle società sono appesantite dal fardello della lorostoria, di concorrenze etniche e religiose all’interno dello stesso Islam,dei poteri ereditari e delle élite militari. E che con le armi è difficilemettere in piedi perfino democrazie puramente formali e gracilissime.Ma se queste condizioni non erano abbastanza chiare oltreoceano,che dire di noi europei, che veniamo storicamente e culturalmente daquelle parti: perché ci siamo fatti sorprendere a nostra volta?Stiamo scoprendo oggi anche l’incidenza delle lobby rappresentativedei vari interessi, corposi e legittimi, presso gli organi decisionalieuropei, nazionali e regionali (per non dire delle authority). Stuoli diprofessionisti competenti e grintosi invadono corridoi e anticamere,mandando in soffitta l’idea polverosa delle pubbliche relazioni tutteintrattenimento e sottile «corruzione». Ma perché, mentre negli Statese a Bruxelles sono riconosciuti, accreditati e ‘verificati’, il Parlamentoitaliano, pur ignorandoli formalmente, intrattiene con loro rapportinon sempre virtuosi? Aspettiamo titoli «sorpresi» o i giornali sidecidono ad affrontare la questione in modo spietato edapprofondito?«L’intellettuale - ha scritto Umberto Eco - svolge la propria funzionecritica e non propagandistica solo (o anzitutto) quando sa parlarecontro la propria parte». Sia pure con mano leggera, come cisuggeriva Italo Calvino, DESK cerca di farlo da quasi quindici anni.

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’attività di lobbying e re-lazioni istituzionali, tecni-camente, altro non è chela diffusione di infor-mazioni, presso i decisori,

da parte dei soggetti sui quali ri-cadono le conseguenze delle decisioni.La lobby è quindi la rappresentanza diinteressi legittimi, svolta in modo pro-fessionale, ed in questo solo si dif-ferenzia dall’ordinaria rappresentanzadi interessi, o rappresentazione dibisogni, che la politica conosce dasempre. Oggi tuttavia il sistema politi-co-istituzionale al quale siamo abit-uati, edificato nel dopoguerra sullabase di partiti a forte radicamento so-ciale e diffusa organizzazione territo-riale, appare profondamente mutato, equei potenti canali di comunicazionefra la società civile e i centri decision-ali della politica sono ormai venutisostanzialmente a mancare.Anche in Italia è necessario dunqueassumere una iniziativa, ma anchepromuovere un’operazione culturale,che affranchi definitivamente l’attivitàdi lobbying e di relazioni istituzionalidal pregiudizio che la associa ad intesesottobanco, confermandone invece lanatura di attività professionale ad alto

FARE LOBBY PER LA LOBBYLA VIA ITALIANA PER IL RICONOSCIMENTOIRENE PIVETTI

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Irene Pivetti,giornalista, Responsabile Re-lazioni Istituzionalidi Reti S.p.A.

contenuto specialistico, garante perquesto motivo della trasparenza e lin-earità dei propri metodi di azione edella piena liceità dei suoi obiettivi.Da qui nasce la proposta di individ-uare una forma di regolamentazioneche renda visibili tutti e solo i profes-sionisti, e perciò pubblicamentetrasparente il loro operato, ed insiemead essi tutti coloro che sono social-mente legittimati a compiere opera dipersuasione sui decisori (cioè le varielobbies sociali), per il rispetto che sideve alla dignità delle istituzioni.Il nodo culturale vero oggi è rappre-sentato dal «fare lobby per la lobby».Oltre alla professionalità specifica (es-sere ferrati nella materia, avere la com-petenza giuridica necessaria, più tuttoil bagaglio pratico, psicologico), è nec-essaria una buona dose di dialettica edi capacità di persuasione preliminaresulla liceità del nostro comportamen-to. Questo non vale per le grandi soci-età, ovviamente, i cui capitali eviden-ziano grande potere. Il problema di-venta consistenze se non si ha allespalle un grosso marchio da rappre-sentare.Da questo punto all’interno di RETIsono gemmate più proposte. Da una

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parte il ragionamento sulla via regola-mentare, dall’altra sulla via legislativa.In realtà la «via legislativa» viene prat-icata ad ogni legislatura anche se l’ulti-ma legislatura è quella che ha portatoavanti la materia arrivando alla formu-lazione di un Testo Unificato dellavarie proposte presentate.

La riflessione che vorrei proporre èsul piano giuridico. È doveroso sotto-lineare che la pratica debba essere lib-era. Non occorrono nuove norme inquanto è sufficiente il Codice Civile.E’ bene, anzi, che i lobbisti venganodalle diverse professioni della comuni-cazione. Dall’Albo degli avvocati, deicommercialisti, dei giornalisti. Perchéchi opera da lobbista, appartenendo aun Albo professionale, ha il controllodi qualità. A meno che non si giungaalle associazioni riconosciute (vedidisegno di legge del governo initinere) comprese quelle delle relazioniesterne dove si collocano i lobbisti.La regolamentazione, dunque, devepassare per la Legge o per il Regola-mento? I Regolamenti Parlamentari sono unafonte del diritto superiore alla Leggeordinaria. Se decidiamo di intervenirea livello di Regolamento parlamentaredecidiamo di intervenire su ciò che fada cappello a tutta la normativa sot-tostante, comprese le eventuali legis-lazioni autonome regionali. Questo, enon altro, sarà eventualmente il moti-vo che ci porterà a prediligere even-tualmente il Regolamento parla-mentare.L’obiettivo finale? Trovare una normache arrivi in fondo al suo iter. Attra-verso il Regolamento o con la normaordinaria. L’importante è che venga ri-

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conosciuta l’attività di lobby.Perché è importante il riconoscimen-to? Nei Paesi anglosassoni l’attività dilobby non è un problema, nei Paesi la-tini lo rappresenta. Il motivo risiedenella natura della rappresentanza, lanatura costituzionale della rappresen-tanza.Nel diritto anglosassone la rappresen-tanza è, per sua natura, contrattuale, èla rappresentanza degli interessi che sibilanciano, e che nel loro bilanciarsi,liberamente, decidono, non solo qualisono i rapporti di forza, ma anchecosa è lecito e cosa è illecito. Se lanatura della rappresentanza parla-mentare è il contratto, divento un con-traente, l’azienda diviene contraente,così come l’interesse economico, l’in-teresse lucrativo.Nel diritto latino la rappresentanzademocratica è la rappresentanza gen-erale che, nel suo essere generale, devetener conto degli interessi collettivi.Il primo contesto al quale si ritieneimportante dedicare attenzione è ilParlamento, che è senz’altro l’isti-tuzione più delicata da affrontare daun punto di vista giuridico. Le Assem-blee elettive infatti vivono della du-plice natura di essere da un lato isti-tuzioni rappresentative, e cioè perdefinizione espressione della Nazione,ma dall’altro essere il luogo in cui ilsingolo è perfettamente libero ed in-dipendente nella manifestazione delleproprie opinioni, secondo il dettatodell’art. 67 della Costituzione: «Ognimembro del Parlamento rappresentala Nazione ed esercita le sue funzionisenza vincolo di mandato». Violare ocomunque forzare questa indipenden-za assoluta è incostituzionale, ma lo èanche lasciare che altri lo facciano. In

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altre parole, la libertà del parlamentareè un bene indisponibile, anche per luistesso.Inoltre, una efficace soluzione alproblema della lobbying all’internodel Parlamento costituirà un utileparametro anche per tutte le altre as-semblee elettive (es. Regioni, Enti lo-cali, ecc.)Poiché è utile rifarsi ad esempi es-istenti, e già metabolizzati dal sistemaistituzionale italiano, si ricorda il casodei giornalisti parlamentari. Si tratta diprofessionisti, la cui attività è di im-portanza assai rilevante non solorispetto alle istituzioni e alla politica,ma rispetto alla vita del paese ingenere, il cui accesso ai palazzi è disci-plinato in via regolamentare, e nonlegislativa. Fondati giuridicamente sul-la previsione dell’art. 12 del regola-mento della Camera, essi sono infattiorganizzati dalla Associazione StampaParlamentare, che ne assegna e revocai permessi di accesso. (art.12, c. 3:«L’Ufficio di Presidenza adotta i rego-lamenti e le altre norme concernenti:a. le condizioni e le modalità per l’am-missione degli estranei nella sede dellaCamera»)Pur non prevedendo la medesima for-ma di auto-organizzazione collettiva, ilobbisti si augurano di poter beneficia-re di un pari trattamento, e cioè diveder applicato a se stessi la medesimaprevisione regolamentare.In questo momento, invece, tali per-messi di accesso, che pure in qualchecaso esistono, sono assegnati asoggetti portatori di interessi secondoun criterio puramente discrezionale,essenzialmente da parte di uffici del-l’Amministrazione a ciò delegati dalCollegio dei Questori, a nome dell’Uf-

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ficio di Presidenza. Esplicitare nellamisura del possibile i criteri oggettividi tali assegnazioni avrebbe la primariafunzione di legittimare, rispetto all’is-tituzione, la professione e chi la es-ercita.In secondo luogo l’esplicitazione deicriteri di assegnazione concorrerebbea chiarire, anche all’interno delleaziende stesse, chi siano i soggetti au-torizzati ad interloquire con le isti-tuzioni e quali non lo siano, problemain qualche caso presente, specialmentenelle aziende pubbliche, o ex-pub-bliche, nelle quali la struttura (e il per-sonale) sono rimasti in grande parteimmutati da un’epoca precedente laprivatizzazione.L’effetto benefico di questa assun-zione obbligatoria di responsabilitàsarebbe inoltre quello di acculturareanche le imprese su cosa sia lecito ecosa non lo sia, ai fini di persuadere idecisori della bontà delle proprie ra-gioni. Ed anche questo è un elementoimportante di quell’evoluzione cultur-ale che si auspica.Il regolamento, comunque lo si vogliaformulare, deve soddisfare necessaria-mente a queste condizioni:1) Trasparenza. Il lobbista devedichiarare chi è e per conto di chiopera. A questo proposito l’istituzionedi un apposito registro, pubblico econsultabile, ci pare la soluzione piùsemplice ed efficace.2) Responsabilità. Il lobbista devedichiarare il proprio codice etico, chedeve necessariamente includere il divi-eto ad esercitare pressioni, e dunque lapossibilità, in caso di trasgressione,della cancellazione dal registro.3) Credibilità. Il lobbista può accredi-tarsi se il soggetto per cui lavora

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rispetta alcune condizioni (personalitàgiuridica, forma societaria, almeno treanni di attività al suo attivo). Questaprevisione non si applica agli organis-mi no profit.4) Pertinenza. Il lobbista contatta ilparlamentare allo scopo di fornirgliinformazioni che concorrano a for-mare la sua opinione sulle diverse ma-terie che sono oggetto del mandatoparlamentare, e per nessun altro moti-vo. Per ogni altra questione il lobbistacercherà il contatto al di fuori delle se-di parlamentari.5) Limitazione. L’accredito non dà lu-ogo ad alcun rapporto istituzionalecon il parlamento, ed il lobbista ha ildovere di chiarirlo con i soggetti terzi,pena la cancellazione dal registro.Questo è un problema non indiffer-ente. Questo è ciò che fonda lo scetti-cismo, l’antipatia verso la normazionedella lobby.Altri due elementi costituzionali dacontrobattere sono il classico art. 50, il

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diritto di presentare petizioni alleCamere, e l’art. 21, che fonda la libertàdi espressione, - correttamente- comefondante la libertà di stampa. Ma laCostituzione non parla di «libertà distampa» ma di «libertà di espressione».Nell’espressione, infatti, ci sono unaserie infinita di altri mezzi che nonsono solo la stampa, ma anche l’e-spressione della nostra opinione sugliinteressi che noi rappresentiamo.Questo è il motivo per il quale occorredare delle norme alle attività all’inter-no del Parlamento. Proprio per il suoelevato valore simbolico. Perché unasanzione in quel «sacrario», che rendatrasparente l’attività di lobbying a chiin Parlamento svolge interessi gener-ali, determinerebbe una gestione e unanormativa diversa dagli altri livelli.Il nostro obiettivo deve essere internoalle Istituzioni se vogliamo ottenereche al loro interno si arrivi all’utilizzodella parola «lobby» legittimandola.

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Professore associatodi Diritto delle as-semblee elettive nellaFacoltà di Scienzepolitiche della LuissGuido Carli di Ro-ma.

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l rapporto tra le attivitàche in genere si ricom-prendono sotto l’etichettadel lobbying e la rego-lazione giuridica non è

mai stato un rapporto semplice. E ciòspecialmente nei paesi dell’Europacontinentale, come l’Italia, il cui ordi-namento giuridico si fonda su una se-rie di istituti - si pensi, per tutti, al«mito» dell’interesse pubblico e della«volontà generale» - che hanno a lun-go collocato su un piano patologicol’esplicito perseguimento, nella di-namica istituzionale, di un interesse diparte che non fosse fatto proprio daun partito politico.Oggi, quando questo pregiudizio negati-vo nei confronti del lobbying e delle lob-bies inizia ad incrinarsi, ma pare ancoralontano dall’essere definitivamente su-perato, si tende spesso a passare all’at-teggiamento opposto: alla richiesta, cioè,di una disciplina legislativa che possa -come spesso si dice - «legittimare» ilfenomeno del lobbying e, soprattutto, laprofessione di lobbista, dando ad essauna dignità maggiore ed evitando che ilobbisti siano costretti a presentarsi pub-blicamente con altre qualifiche, ritenutein genere meno anomale e più tranquil-

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URGE LA REGOLAMENTAZIONE DI

LOBBIES E PARTITINICOLA LUPO

lizzanti.Vi è il rischio, insomma, che l’atteggia-mento delle regole giuridiche nei con-fronti del lobbying passi da un estremoall’altro, ossia dall’ostilità alla legitti-mazione.A ben vedere, entrambi gli atteggiamentipossono essere considerati errati. O per-lomeno, non utili ai miei fini. L’ottica conla quale mi propongo di affrontare iltema è, infatti, più «disincantata»: intendocioè domandarmi quali siano - e, ancorprima, dove vadano collocate nell’ordina-mento - le regole giuridiche che effettiva-mente servono e che non finiscano peressere facilmente eludibili.A questo riguardo, un’ultima cautela misembra necessaria: le regole giuridiche sullobbying - così come quelle relative ad al-tri fenomeni contigui, quali il finanzia-mento dei partiti politici, o il conflitto diinteressi - presentano una probabilità as-sai elevata di non cogliere i fenomeni re-ali, che spesso tendono a svolgersi «di-etro le quinte», e di delineare proceduremolto artificiali e il più delle volte ineffi-caci (in quanto agevolmente aggirabili).Per esemplificare, in modo forse un po’banale: possiamo disciplinare con accu-ratezza i rapporti dei lobbisti con depu-tati e senatori, o anche gli accessi dei lob-

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bisti ai palazzi di Camera e Senato, ma iltutto finisce per essere del tutto vanifica-to dalle figure di ex parlamentari che fun-gono da lobbisti e altresì - assai più fre-quentemente di quanto si creda - da quel-li che chiamerei «parlamentari-lobbisti»,ossia deputati e senatori che, come final-ità essenziale o persino unica del loromandato parlamentare, hanno appuntoquella di perseguire ed appoggiare lerichieste di una categoria o di un gruppodi interesse.

2. L’esigenza di regole giuridiche specifichePur con le suddette cautele, mi sembradi poter affermare che qualche regolagiuridica specificamente rivolta alfenomeno del lobbying sia opportuna,se non necessaria.Traggo questa conclusione da due or-dini di considerazioni, le quali si van-no ad aggiungere ad un ordinamentocomunitario, caratterizzato - come ènoto - da una intensa attività lobbisti-ca, e che quindi sembra spingere condecisione nella direzione di un ri-conoscimento ufficiale delle lobbies.In primo luogo, è vero che, se si ragionasul piano sociologico, il fenomeno dellobbying, in assenza di regole giuridiche,tende comunque ad essere soggetto aregole etiche o deontologiche, magariposte dalle stesse società o associazioni acui i lobbisti fanno capo. Tuttavia, è evi-dente che le regole etiche, da sole, nonbastano, perché esse, ove non support-ate da alcune regole giuridiche, finisconoper risultare ancor più facilmente ag-girabili, finendo per premiare, anzichéscoraggiare, il comportamento dei freeriders (almeno nel breve periodo).In secondo luogo, è altresì vero che,specie in un ordinamento normativo iper-

regolato come il nostro, se non vengonodettate regole giuridiche specificamenteriferite all’attività di lobbying, tale attivitànon si muove certo in un vuoto giuridico,in quanto ad essa si applicano comunquele regole generali o quelle previste per at-tività in qualche misura analoghe.Da questo punto di vista, potrebbepersino sostenersi, a stretto rigore dilogica, che non vi sia alcun bisogno didisciplinare specificamente il fenome-no lobbistico, che sarebbe libero disvolgersi, nell’ambito dell’autonomiadei privati, ovviamente nel rispettodelle regole stabilite dal codice penale.Tuttavia, a prescindere dalla consider-azione che un tale stato di cose finirebbeinevitabilmente per privilegiare le lobbiespiù forti, assai diffusa è la critica alle dis-posizioni attualmente vigenti in relazionead una serie di profili, cruciali ai fini dellosvolgimento dell’attività di lobbying.Basti citare l’annosa questione del regimedegli accessi in Parlamento, affidato a de-cisioni discrezionali del Collegio deiquestori, ma anche la regolamentazionedelle audizioni parlamentari e delle stesseconsultazioni che hanno luogo in sedegovernativa: il primo strumento, configu-rato come bon à tout faire nei regola-menti parlamentari, tende ad essere uti-lizzato per sentire i vari interessi (individ-uati spesso su base casuale o in base a«precedenti» non sempre significativi), ingenere mediate la procedura delle au-dizioni informali, prive per definizione diogni forma di resocontazione e di pub-blicità7; le consultazioni governative risul-tano talvolta assai strutturate, con veri epropri «tavoli» istituiti nei ministeri di set-tore, mentre talaltra - ad esempio, ove sisvolgano nell’ambito dell’AIR - sonoconfigurate come a scopo esclusiva-mente informativo, come se l’infor-

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svolta da un’autorità indipendente11.Particolarmente significativo mi sem-bra, tra questi, il caso del codice sul trat-tamento dei dati effettuato a fini gior-nalistici: la sua adozione, in esito ad unprocedimento dialettico con il Garanteper la protezione dei dati personali, è in-fatti obbligatoria (e, in caso di inerzia delconsiglio nazionale dell’ordine dei gior-nalisti, il Garante è autorizzato a sosti-tuirsi ad esso); il suo testo è stato pub-blicato sulla Gazzetta ufficiale (e costi-tuisce ora l’allegato A al d.lgs. 30 giugno2003, n. 196) ; infine, esso si applica an-che ai non iscritti all’ordine, riguardandoanche coloro che effettuino pubbli-cazioni occasionali di articoli, saggi edaltre manifestazioni del pensiero .

4. Legge o regolamento parla-mentare?Un problema ulteriore consiste nell’in-dividuare la fonte normativa in cui col-locare le norme relative all’attività dilobbying; ciò, ovviamente, nel presup-posto che vi sia bisogno almeno di al-cune regole appartenenti al c.d. hardlaw. Il dubbio che in genere si pone, inproposito, pone l’alternativa tra la legge(e gli atti aventi forza di legge) e il rego-lamento parlamentare. La risposta, inprima battuta, è piuttosto agevole:dipende dal tipo di regola che si vuoleintrodurre.A prescindere dal diverso quorum di ap-provazione (maggioranza semplice per leleggi; maggioranza assoluta dei compo-nenti per il regolamento parlamentare) edal differente regime di impugnabilità (lalegge essendo soggetta al giudizio di le-gittimità costituzionale; il regolamentoparlamentare essendovi invece in linea dimassima sottratto, salva la possibilità cheesso rilevi in sede di conflitto di at-

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mazione non fosse anch’esso un poten-tissimo mezzo di influenza nei confrontidel decisore politico.

3. Hard law o soft law?Il passaggio immediatamente successivo,una volta riconosciuta l’esigenza di unaregolamentazione giuridica del fenome-no, consiste nel domandarsi se questeregole debbano essere poste dall’esternoo possano essere stabilite, attraversoforme di auto-regolamentazione, daglistessi protagonisti: usando termini inuso negli ordinamenti anglosassoni, purcaratterizzate da non poche ambiguitàsemantiche, si pone insomma l’alternati-va tra il ricorso all’hard law o al soft law8.Nel considerare questa alternativa, oc-corre tenere presente che non si trattadi una scelta drastica, dal momento cheil problema consiste individuare qualesia il corretto mix tra regole del primotipo e regole del secondo tipo. Anche aprescindere dal tema specifico del lob-bying, ove pure vi sono ordinamentiche fanno prevalere l’hard law, come gliStati Uniti, e altri che invece optano ilpiù possibile per regole di soft law,come l’Unione europea9, basti prenderein considerazione la regolazione di altrisettori: ad esempio, nel settore dellapubblicità, attualmente in Italia vi sono(poche) regole di principio poste dallegislatore statale, che coesistono conquelle, assai stringenti e perlopiù effi-caci, dettate dagli operatori attraversoun apposito codice di autodisciplina10.Inoltre, nell’ordinamento italiano es-istono anche soluzioni in qualche misuraintermedie, di regole difficilmente ricon-ducibili all’hard law o al soft law: si pensi,in particolare, ai codici deontologici inmateria di privacy, che sono stati adottatigrazie all’opera di impulso e di controllo

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tribuzioni tra poteri dello Stato), mi sem-bra che il regolamento parlamentare in-contri, nel nostro ordinamento, limiti pi-uttosto incisivi, specie ove si tratti di dis-ciplinare aspetti che vanno al di fuori delprocedimento legislativo (inteso in sensostretto, come procedimento di for-mazione della legge in Parlamento, esclu-dendo cioè quei processi decisionali chevedono ugualmente realizzarsi un con-fronto degli interessi, che si svolgono siain parallelo al procedimento legislativomedesimo, sia nelle fasi che più o menoimmediatamente lo precedono) e quan-do occorra configurare le posizionigiuridiche di soggetti esterni all’amminis-trazione parlamentare.E’ vero che la delimitazione dell’ambitomateriale riservato al regolamento parla-mentare, o comunque nel quale talefonte è abilitata ad intervenire, appare, inassenza di una individuazione esplicitanell’art. 64 Cost., tutt’altro che sicura ;tuttavia, va anche considerato che, al-lorquando i regolamenti parlamentari sisono spinti al limite della propria com-petenza, ove, per esempio, hanno prova-to ad incidere in modo significativo suipoteri del Governo, o ove sono statichiamati, da una fonte di rango costi-tuzionale a delineare poteri procedimen-tali in capo alle autonomie territoriali,hanno incontrato non poche difficoltà.Nel primo senso, basti pensare alla vi-cenda relativa all’inattuazione, nel corsodella XIV legislatura, del c.d. «Premierquestion time», pur in presenza di unastringente disciplina regolamentare,ritenuta punto qualificante dello statutodell’opposizione. Nel secondo senso, sipuò ricordare la mancata attuazione, atutt’oggi, della previsione di cui all’art. 11della legge costituzionale n. 3 del 2001,che, in attesa di una revisione del nostro

sistema bicamerale, affida appunto ai re-golamenti parlamentari il compito di in-tegrare la composizione della Commi-sione parlamentare per le questioni re-gionali e di regolarne il funzionamento .Quelle appena enunciate costituiscoolimitazioni piuttosto forti delle potenzial-ità proprie dei regolamenti parlamentari,specie se si considera che ormai l’attivitàdi lobbying è affidata sempre più spessoa professionisti (e non dunque a assisten-ti o a giornalisti parlamentari) e si svolgeanche, quando non prevalentemente, neiconfronti degli esecutivi, avvalendosiampiamente delle molte opportunità chead essa sono offerte nell’ambito di un sis-tema decisionale multilivello.In definitiva, non escluderei che qualchenorma dei regolamenti di Camera eSenato possa essere utile, ma credo chegran parte della disciplina dell’attività dilobbying vada necessariamente colloca-ta in una fonte legislativa: l’unica in gra-do di configurare diritti e doveri in capoai lobbisti e ai loro interlocutori.

5. Alcune (piccole, ma importanti)questioni da regolamentareNon è questa la sede per entrare nelmerito delle regole che dovrebbero es-sere adottate per la disciplina dell’attivitàdi lobbying. Del resto, da tempo vi sononumerose proposte di legge presentatein Parlamento e l’esperienza comparataè sicuramente in grado di offrire impor-tanti punti di riferimento in proposito .Può peraltro essere il caso di ipotizzarealcune regole minime che potrebbero es-sere introdotte piuttosto agevolmente,salvo poi valutarne, con attenzione, l’effi-cacia, alla luce delle prime applicazioni. Aquesto proposito, va ricordato che sonointervenute alcune - invero piuttosto es-senziali di contenute e identiche tra di

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cazioni successivamente istituito, pur inmodo «semiclandestino» , non mi pare sisia fatto molto. In tutto ciò, si pone nat-uralmente anche il problema del legamecon il Consiglio nazionale dell’economiae del lavoro (CNEL), che è al momentol’unica sede di rappresentanza degli in-teressi di categoria nel nostro sistema is-tituzionale, e che dovrebbe essere forseriformato, aprendolo anche alle nuoverealtà espresse dalla società contempo-ranea e rendendolo in grado di inserirsitempestivamente ed efficacemente neiprocessi decisionali.

6. Regoliamo le lobbies, ma anchei partitiIn ogni caso, prima di affontare opzioniregolative di maggiore spessore e rilievo,mi sembra necessario che il legislatoreitaliano si ponga più complessivamente ilproblema della regolazione dell’attivitàpolitica e dei soggetti che la svolgono.L’attività di lobbying non si svolge infattinel vuoto, ma in un contesto politico-isti-tuzionale ben determinato: la stessa vi-cenda italiana ci mostra che le lobbieshanno cominciato ad emergere con lafine dei partiti di massa e delle ideologie .Nel quadro attuale, in estrema sintesi, e amo’ di battuta conclusiva, se i partiti politi-ci sono onnipotenti - e all’onnipotenza civanno ora molto vicino, specie alla lucedella nuova legge elettorale, a lista blocca-ta - e, pur godendo di cospicue risorsepubbliche, erogate nella veste di rimborsiforfettari delle spese elettorali, non hannopraticamente alcun obbligo di assicurareforme di trasparenza e di democrazia in-terna, non si può neppure pretendere chetali regole si applichino solo a chi svolgeattività di lobbying.

Nicola Lupo

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loro - leggi regionali in Toscana e inMolise, le quali però non sembrano finqui aver prodotto effetti di grande rilievo,eccezion fatta per la creazione, presso ilConsiglio regionale, di un registro deigruppi di interesse che svolgono, a livelloregionale, attività di lobbying (purché es-si siano organizzati in associazioni o fon-dazioni, ancorché non riconosciute,ovvero in comitati con finalità tempora-nee, e producano, oltre alla domanda e al-l’atto costitutivo, lo statuto e la deliber-azione degli organi statutari relativa allarappresentanza esterna del gruppo).Tra queste regole minime, comparespesso quella volta ad istituire, a livellostatale, un registro o un albo profession-ale, sul quale si potrebbe fare leva ancheper stimolare l’autoregolazione. Altre re-gole dovrebbero essere dirette ad incen-tivare le forme di trasparenza dei sogget-ti che svolgono l’attività di lobbying: tut-tavia, il semblice obbligo di trasmettereuna relazione alle Camere sull’attivitàsvolta non mi pare gran che utile, se nonabbinato a strumenti più incisivi.Regole piccole, ma importanti, dovreb-bero riguardare - come si è accennato -l’accesso ai palazzi (Palazzo Montecito-rio e Palazzo Madama, ma anche Palaz-zo Chigi….) e la tempestiva fornitura didocumentazione, anche on-line, ai lob-bisti; ma anche lo svolgimento delle au-dizioni parlamentari dei portatori di in-teresse (che dovrebbero essere obbliga-toriamente configurate come indaginiconoscitive nell’ambito del procedimen-to legislativo, con relativa pubblicità dellesedute e dei documenti trasmessi, dis-tinguendole più nettamente, ad esempio,dalle audizioni di «esperti») e delle con-sultazioni governative. A quest’ultimoriguardo, dopo il «patto di Natale» del1998 e l’Osservatorio sulle semplifi-

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Le criticità dell’attività di lobbying in Italia

L’attività di lobbying, riconosciuta come vera e propria professione sia negli Stati Unitiche in gran parte d’Europa, stenta a trovare un’adeguata regolamentazione in Italia.Perché? Probabilmente per l’accezione negativa che troppo spesso viene conferita al«fare pressione». Eppure, le lobby nascono semplicemente per rappresentare gli interes-si di una determinata categoria sociale presso le sedi pubbliche.

1. Presso le istituzioni centrali e regionali, il ruolo professionale del «responsabile deirapporti istituzionali» (esponente di un’organizzazione pubblica/privata) o del «lob-bista» (anche consulente esterno) non appare riconosciuto.2. Le professioni dei comunicatori istituzionali e le relative associazioni, non avendo inItalia il riconoscimento normativo/regolamentare, non godono della reciprocità a livel-lo comunitario. 3. Manca un iter formativo consolidato e diffuso a livello universitario-associativo checonduca alle necessarie competenze per la professione del lobbista: quindi è neces-saria la laurea obbligatoria per l’esercizio dell’attività professionale di «lobbying» coer-ente con il quadro normativo legato alla comunicazione istituzionale (cfr. legge n. 150del 2000)?4. Per la carenza di cultura della comunicazione istituzionale e il mancato riconosci-mento europeo del ruolo, si genera confusione, si alimentano il pregiudizio, le pratichescorrette e i metodi impropri di fare «lobby»; nonché corsi (? professionali) «privati». 5. Esiste l’intento di mantenere lo status quo? E’ possibile individuare invece una «viaitaliana» di pieno e formale riconoscimento dell’attività lobbistica?6. Qual è in Italia la volontà politica? E’ urgente uscire dal sommerso e dare ri-conoscimento formale alle attività hobbistiche: attraverso una apposita legge o inte-grando il regolamento delle Camere e dei Consigli Regionali?7. Si osserva in Italia una prima ma significativa offerta di corsi di formazione e mas-ter in comunicazione politica e istituzionale. Quali saperi e contenuti vengono veico-lati? Quale bilanciamento e selezione viene adottata tra le conoscenze giuridiche-economiche e le competenze tecnico-specifiche relative ai settori regolamentati (a tito-lo indicativo, farmaceutico, reti, telecomunicazioni, energia, trasporti, finanza, ecc.),necessarie per l’esercizio dell’attività di «lobbying»? Come avviene la selezione deidocenti? Quali competenze professionali sono richieste ai docenti? Sono professori acontratto senza possibilità di influire all’interno dei consigli di facoltà? Perché non ipo-tizzare concorsi con lo status strutturato a termine?8. Si ritiene che la formazione del «lobbista doc»possa prescindere da un’etica dellacomunicazione?9. Aiuterebbe a far lobby per le lobby pure l’eliminazione della disomogeneità termi-nologica nella definizione delle attività di lobbying: rapporti/relazioni istituzionali, pub-lic affairs, relazioni esterne, comunicazione istituzionale, ecc.;

(dal convegno del Club Relazioni Esterne a Roma il 5 giugno 2006)

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Dottore di ricercain Diritto pubbli-co comparato e collaboratore delCentro Studi sulParlamento dellaLuiss GuidoCarli

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n Italia manca una regola-mentazione nazionale delfenomeno lobbistico,sebbene molto forte (e avolte evidente) sia l’in-

fluenza esercitata dai gruppi di pres-sione.Con il passaggio ad un sistema elet-torale maggioritario il dibattito sullelobbies è tornato ad essere attualequasi che si trattasse di una tendenzanuova e non - come invece è - di uncarattere strutturale del sistema politi-co italiano che trova la propria originenella fitta rete di rapporti di «clientela»e di «parentela» tra gruppi di interesse,partiti politici e burocrazia. In realtà laquestione supera i confini nazionalipoiché il fenomeno dei gruppi di pres-sione che, organizzati secondo comu-ni obiettivi, premono sul decisorepubblico affinché compia una deter-minata azione, è questione stretta-mente legata allo sviluppo delledemocrazie industriali. Il passaggiodallo Stato liberale allo Stato sociale,infatti, ha fatto crescere le aspettativedella cittadinanza più attiva, spingen-do i più ad organizzarsi per divenire

I

I GRUPPI DI PRESSIONENELLE REGIONI ITALIANE

PIER LUIGI PETRILLO

portatori, presso i decisori pubblici, diinteressi particolari.La «risposta» degli ordinamentinazionali a tale fenomeno non è uni-forme: in alcuni di questi l’accesso deigruppi di pressione ai luoghi decision-ali è oggetto di specifica legislazione,in cui sono indicati obblighi e diritti;in altri, contano molto le procedureconsuetudinarie o i codici di condottae di deontologia professionale; in altriancora, manca ogni normazione comese la questione non si ponesse. La«risposta» muta, quindi, a secondadegli aspetti che il legislatore intendeprivilegiare: la trasparenza, da un lato,e la partecipazione, dall’altro.Le analisi comparate evidenzianocome nei sistemi in cui il Parlamento è«forte» - nel senso che gioca un ruolochiave nei processi politici - esiste unaregolamentazione della rappresentan-za parlamentare delle lobbies; all’op-posto, al Parlamento debole cor-rispondono interessi oscuri . Non acaso, in ambito comunitario con il raf-forzamento del ruolo decisionale delParlamento si è posta la questione dicome regolamentare i rapporti tra l’is-

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tituzione e i gruppi di pressione .In Italia, alla scarsa propensione dellegislatore ad intervenire in argomen-to, fa eco la scarsa propensione deigiuristi ad analizzare il tema e questoper diversi motivi: il ruolo pressochémonopolistico dei partiti politici nel-l’intermediazione tra società e Stato, lanatura del tessuto economico-socialecaratterizzato da piccole e medie imp-rese, il basso livello di cittadinanza at-tiva e, certamente, il «mito» dell’inter-esse pubblico di derivazione francese(specialmente nell’azione amministra-tiva) che solo negli ultimi vent’annisembra in via di superamento. L’ef-fetto è che «dopo la caduta verticaledei partiti come soggetti di intermedi-azione degli interessi, il processo deci-sionale pubblico, nella composizionedegli interessi contrapposti, risultacoperto da un velo impenetrabile» .Eppure non mancano proposte dilegge volte a regolamentare il rappor-to tra istituzioni rappresentative e digoverno, e portatori di interessi parti-colari.Dal 1948 al marzo 2006 (termine del-la XIV legislatura) sono stati presen-tati circa 25 disegni in materia. Nes-suno di questi è stato mai approvato;solo 6 sono stati esaminate dalle Com-missioni competenti (in genere laCommissione Lavoro e, nella XIV leg-islatura, la Commissione Affari costi-tuzionali); nessuno è stato mai discus-so in Assemblea.In un quadro così deprimente, carat-terizzato anche da parlamentari e gior-nalisti parlamentari che, al di fuori diogni regola e trasparenza, operano

come lobbisti, la Regione Toscana e,senza troppa fantasia, la RegioneMolise, hanno introdotto norme min-ime volte a disciplinare il rapporto tragruppi di pressione e Istituzioni.

2. L’eccezione si chiama Toscana: lalegge regionale 18 gennaio 2002 n. 5.Nel panorama italiano la RegioneToscana ha, infatti, dettato una primaregolamentazione del fenomeno lob-bistico a livello di Consiglio regionale,imitata, come vedremo, dal Molise.Si tratta della legge 18 gennaio 2002n.5 recante «Norme per la trasparenzadell’attività politica e amministrativadel Consiglio regionale della Toscana».Il Presidente del Consiglio regionaleToscano, l’on. Riccardo Nencini, findal discorso di insediamento, nel mag-gio 2000, aveva annunciato la volontàdi approvare una normativa in materiadi lobbies, forte dell’esperienza di par-lamentare europeo. Per il PresidenteNencini l’obiettivo della legge dovevaessere quello di garantire l’uguaglianzadell’accesso ai decisori politici daparte di tutti gli interessi organizzati,estendendo la partecipazione concretaai lavori consiliari anche alle associ-azioni minori, con una ridotta visibil-ità, ma diffusamente presenti nellatradizione toscana .La legge regionale è stata, così, ap-provata a larghissima maggioranza,con il solo voto contrario del con-sigliere dei Comunisti italiani, non fa-vorevole al riconoscimento dei gruppidi pressione.Il 9 aprile 2002, infine, è stato deliber-ato dall’Ufficio di Presidenza del Con-

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i secondi è necessario indirizzare alConsiglio una domanda sulla base diun modello-tipo disponibile sul sitodella Regione . In particolare, disponel’art. 6 del Disciplinare di attuazionedella legge, sono automaticamente ac-creditati i gruppi ammessi, diretta-mente o indirettamente, al tavolo diconcertazione in fase di program-mazione economica.L’art. 2, c. 5, della legge limita la pos-sibilità di iscrizione al Registro ai soligruppi «la cui organizzazione internasia regolata dal principio democrati-co», «perseguano interessi meritevolidi tutela secondo l’ordinamentogiuridico» e «siano costituiti da al-meno sei mesi alla data della richiestadi iscrizione». Questo è un primo pun-to critico poiché una tale formu-lazione rende praticamente impossi-bile per una società specializzata nella«pressione» (lobbying firm, direbberogli americani) di essere iscritta nel reg-istro; il legislatore, con spirito (forsetroppo) realistico, sembra così ritenereche siano interessate a «fare lobby»presso il Consiglio, solo associazioni ecomitati civici ma non anche, ad es-empio, multinazionali. O forse am-mette (davvero realisticamente) chequeste ultime possono ben ricorreread altre forme di pressione e si rivol-gono ad altri centri di potere.Possono comunque iscriversi i gruppiorganizzati in associazioni o fon-dazioni, ancorché non riconosciute,ovvero in comitati con finalità tempo-ranee . Ai fini dell’iscrizione i gruppid’interesse devono produrre, oltre alladomanda e all’atto costitutivo, lo

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siglio regionale, ai sensi dell’art. 2, c. 2,della l.r. n. 5/2002, il disciplinare di at-tuazione della normativa .

2.1. Le finalità della legge regionaleL’art. 1 della legge regionale riconoscetre distinti, ambiziosi, obiettivi allanormativa: assicurare la trasparenzadell’attività politica e amministrativa,garantire l’accesso e la partecipazioneper un numero sempre maggiore disoggetti, favorire i consiglieri regionalinello svolgimento del loro mandato.La regolamentazione così introdotta èquindi da inserire, teoricamente, in un«modello» di normazione che potrem-mo definire di «regolamentazione-partecipazione»: il Consiglio regionale,infatti, riconosce i gruppi di pressionee ne valorizza il ruolo di portatori diinteressi che, «ove siano compatibilicon gli interessi della collettività» ,sono «recepiti».

2.2 La definizione dei gruppi di in-teresse e il loro accreditamento La legge regionale non dà unadefinizione di gruppi di interesse né dipressione o lobbies.L’art. 2 distingue due tipologie digruppi:1) quelli che rappresentano categorieeconomiche, sociali, del terzo settoree sono maggiormente rappresentativea livello regionale e provinciale;2) e altri gruppi comunque attivi sulterritorio toscano.Per entrambi è obbligatoria l’is-crizione presso il «Registro dei gruppidi interesse accreditati», ma mentreper i primi è automatica, d’ufficio, per

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statuto e la deliberazione degli organistatutari relativa alla rappresentanzaesterna del gruppo .Ove da controlli successivi all’is-crizione nel registro risulti che uno opiù gruppi d’interesse non possiedanoi requisiti previsti dalla presente legge,l’Ufficio di Presidenza del Consiglioregionale provvede alla comuni-cazione dell’esito del controllo aisoggetti controllati ed alla eventualecancellazione degli stessi dal registro.Le richieste di iscrizione sono presen-tate entro il 31 marzo ed il 31 ottobredi ogni anno. L’iscrizione è dispostaentro il trimestre successivo alla sca-denza del termine.Il Registro è diviso per settori secon-do le materie di competenza delleCommissioni consiliari ordinarie . Almarzo 2006 i settori sono 5 e cioè at-tività istituzionali, agricoltura, attivitàproduttive, sanità, cultura e turismo,territorio e ambiente.Nell’iscriversi, i gruppi interessati deb-bono indicare il settore o i settori per iquali si richiede l’accreditamento, inrapporto con le proprie finalità sociali,nonché i soggetti incaricati a rappre-sentare il gruppo presso il Consiglio re-gionale a seguito dell’accreditamento.A fine marzo 2006 risultano iscritti102 gruppi di interesse (con un incre-mento del 9% rispetto al 2005), ancheprofondamente diversi tra loro, per fi-nalità e organizzazione interna: si vadall’Associazione Amici dei Museifiorentini, al Comitato per lo sport re-gionale, all’Associazione conciatoridella Toscana, ad Associazione cultur-ali di quartiere (come la Tethys), fino

alle grandi associazione di categoriacome Confcommercio, Lega Coop,Cgil, Cisl, Cna, Coldiretti .

2.3 Modalità di tutela dell’interesseI gruppi iscritti nel Registro possonorappresentare e perseguire presso ilConsiglio regionale (non, quindi, laGiunta) interessi pertinenti le loro fi-nalità.Ai sensi dell’art. 3, c. 2, della legge re-gionale toscana, le richieste rappresen-tate dai soggetti accreditati possonoriguardare atti proposti o da proporreall’esame del Consiglio. Nel primo ca-so, i rappresentanti dei gruppi di inter-esse possono chiedere di essere as-coltati dalle commissioni consiliari in-caricate dell’istruttoria degli atti; nelsecondo caso, le richieste formali deigruppi d’interesse e la relativa docu-mentazione sono trasmesse indistinta-mente a tutti i gruppi politici del Con-siglio regionale, fatto salvo il principiodi autonomia e di libertà nel deter-minare, nel rispetto della normativavigente e del principio della trasparen-za, le proprie modalità di relazione.Le proposte relative ad atti già all’e-same delle Commissioni sono presen-tate al Servizio competente per la ges-tione dell’iter degli atti consiliari, chene cura entro i successivi 5 giorni l’i-noltro alle Commissioni competenti;altrimenti sono trasmesse a tutti igruppi consiliari .Per le proposte relative ad atti già al-l’esame delle Commissioni, i gruppiaccreditati hanno altresì il diritto - sul-la falsa riga di quanto accade con lehearings statunitensi - di chiedere di

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ertà di giudizio e di voto».Spetta all’Ufficio di Presidenza delConsiglio regionale, cui i consiglierisono tenuti a comunicare fatti chepossono presentare violazione dellenorme di comportamento, valutare lasussistenza della violazione e com-minare le sanzioni che, correlate allagravità della stessa, possono andaredal richiamo formale, alla sospensionetemporanea, alla revoca dell’iscrizione.Le deliberazioni relative all’ir-rogazione delle sanzioni di sospen-sioni e revoca dell’iscrizione sonopubblicate sul Bollettino ufficiale re-gionale . Dal 2000 al 2006 non risul-tano comminate sanzioni di alcuntipo.

3. Una legge inattuata ma imitata: ilcaso MoliseA fine marzo 2006, lo si è detto, risul-tano iscritti 102 gruppi di interesse,molti dei quali hanno formulato larichiesta di accreditamento nei succes-sivi tre mesi dall’entrata in vigore del-la legge.Eppure la legge rimane lettera morta.Nessun gruppo registrato ha, fino adora, sfruttato gli strumenti previsti;nessun documento inviato alle Com-missioni, nessuna proposta per i grup-pi; nessuno ha chiesto, ufficialmente,di essere audito, o di ottenere spie-gazioni su atti del Consiglio.Una legge sulla carta efficace per re-golamentare la rappresentanza degliinteressi, risulta essere, al momento,del tutto inutile.Senza alcuna riflessione sui motivi diquesto (momentaneo?) fallimento, il

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essere ascoltati dalle Commissioni.I rappresentanti dei gruppi accreditatipossono accedere ai locali del Con-siglio; possono seguire per via telem-atica le sedute delle commissioni con-siliari di loro specifico interesse, sec-ondo le modalità disciplinate dal rego-lamento interno del Consiglio .Possono inoltre accedere agli uffici delConsiglio regionale per informazionie chiarimenti di carattere tecnico rela-tivi agli atti di loro interesse ovverorelativi all’organizzazione proceduraledei lavori del Consiglio stesso, nelrispetto dei principi di cui alla leggeregionale in materia di accesso agli at-ti, con modalità e criteri di completez-za e tempestività idonei a salva-guardare le finalità di trasparenza fis-sate dalla legge stessa .In ogni caso, dispone il quinto commadell’art. 3 della legge, «rimane fermoquanto disposto dallo Statuto e dal re-golamento relativamente alla parteci-pazione, al dovere di informazione, alpotere delle commissioni in ordinealle consultazioni, ai soggetti da con-sultare e alle modalità delle consul-tazioni stesse».

2.4 Attività di controllo e sanzioniSecondo l’art. 4 della legge regionale,gli atti formali dei gruppi accreditati ei componenti dei loro rappresentantidebbono essere coerenti con il ruolo ele funzioni che lo Statuto attribuisce alConsiglio regionale e ai suoi membri.E’ vietato, in particolare, «esercitare,nei confronti dei consiglieri regionali edelle rispettive organizzazioni, formedi pressione tali da incidere sulla lib-

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Consiglio regionale del Molise haadottato la stessa identica legge,copiandone (è il caso di dirlo) ognisingola parola nella legge regionale 22ottobre 2004 n. 24 recante, esatta-mente come quella toscana, «Normeper la trasparenza dell’attività politicaed amministrativa del consiglio re-gionale del Molise», come se i due ter-ritori fossero assimilabili pertradizione, cultura e, soprattutto, arti-colazione sociale ed economica.Al di là di questo infelice fenomenoimitativo, rimane l’interrogativo sulleragioni della mancata attuazione dellanormativa da parte degli stessi gruppiregistrati.C’è un dato di fatto che è comunquepositivo: moltissime associazioni sisono iscritte, e, iscrivendosi, hanno re-so pubblico il loro status, hanno ac-cettato di divenire visibili a chiunque,navigando in internet o passando pergli uffici del Consiglio, prenda visionedel Registro dei gruppi di interesse.E ce ne è un altro che forse è la spie-gazione del fallimento della legge: ledisposizioni della l.r. 5/2002 si appli-cano al Consiglio, all’attività di persua-sione svolta nei confronti dei Con-siglieri, non anche dei componentidella Giunta e degli altri amministra-tori regionali.

4. Forma di governo e gruppi dipressione: una riflessione neces-saria per una possibile (auspica-bile?) legge nazionale E’, dunque, nell’aver ignoratol’evoluzione della forma di governoregionale, che va ritrovata la ragione

del fallimento?Come si sa, l’organizzazione delpotere a livello regionale ha subito,negli ultimi dieci anni, profondi cam-biamenti. I Consigli non determinanopiù la vita e la morte degli esecutivi:molto tempo è trascorso dall’assem-blearismo degli anni ‘70, caratterizzatodal predominio delle Assemblee sullaGiunta, e da una legge elettorale pro-porzionale (la legge 17 febbraio 1968n. 108) utilizzata come strumento perrendere omogenea sul territorionazionale la forma di governo re-gionale .La riforma del sistema elettorale nel1995 (attuata con la legge 23 febbraio1995 n. 43) e, soprattutto, la legge cos-tituzionale 22 novembre 1999 n. 1,che ha modificato anche gli articoli122 e 126 della Costituzione, preve-dendo un netto rafforzamento del-l’esecutivo sul Consiglio attraversol’elezione diretta del suo Presidente edil meccanismo dell’ aut simul stabuntaut simul cadent, hanno attribuito un«vantaggio competitivo» alla realtà re-gionale nei confronti del governo cen-trale , trasformando radicalmente irapporti di forza all’interno del Con-siglio e tra questo e la Giunta, ed af-fermando logiche conflittuali trasoggetti politici diversi e nuovi, comela maggioranza e l’opposizione.Il legislatore costituzionale ha confer-mato, in tal modo, la sua predilezioneper un sistema politico competitivo,rilanciando, a livello regionale, quel-l’assetto istituzionale -derivato dalnazionale- che vede contrapposti, findal momento elettorale, due o più as-

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spazio per le lobbies presso il Con-siglio? O ancora (e meglio), qual è lospazio per il Consiglio? L’ultima do-manda, è evidente, esula da questatrattazione (ma quanto è interessante!)e impone approfondimenti pure svoltidalla dottrina più autorevole, che evi-denziano, tuttavia, lo stretto legametra forma di governo e regolamen-tazione dei gruppi di pressione.Certo è che la legge regionale toscanan. 5 del 2002 rappresenta un primotentativo di regolamentare dei gruppidi interesse. Seppur il tentativo del leg-islatore regionale di portare nel-l’Assemblea rappresentativa il pluralis-mo sociale pare essere fallito, essosuggerisce al livello centrale una possi-bile soluzione giuridica del ruolo, fon-damentale e naturale, delle lobbiesnell’ordinamento democratico.

Pier Luigi Petrillo

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piranti Presidenti di Giunta (ovverodel Consiglio) e, con loro, due o piùcoalizioni di partiti (o singoli partiti).Ed infatti, in attesa della deliberazionedei nuovi Statuti, le norme transitoriepredisposte dalla legge costituzionalen. 1 del 1999, stabiliscono l’elezionediretta del Presidente della Regione edun sistema elettorale di tipo essenzial-mente proporzionale (per l’80% deiseggi), con voto uninominale e pre-mio di maggioranza per la/e lista/edel candidato Presidente risultatovincitore.La ulteriore modifica del Titolo V del-la Costituzione con la legge costi-tuzionale 18 ottobre 2001 n. 3, ha im-posto l’approvazione di nuovi Statutiregionali da parte dei Consigli. Dopoil rinnovo dei Consigli regionali con leelezioni del 3 e 4 aprile, sono stati ap-provati, in seconda deliberazione, epromulgati 9 nuovi Statuti regionali:Calabria, Puglia, Lazio, Toscana,Piemonte, Marche, Umbria, Emilia-Romagna, Liguria .In alcuni dei nuovi Statuti e, special-mente, in quello dell’Emilia Romagna,si definiscono forme allargate del-l’istruttoria legislativa, tali da permet-tere (e legittimare) l’intervento diqualunque soggetto portatore di inter-essi particolari registrati presso un al-bo pubblico (suddiviso per commis-sioni e per materie) previsto dalloStatuto stesso .Pur con queste note positive, in uncontesto così definito, ci si chiedequanto possa essere efficace una disci-plina delle lobbies solo presso il Con-siglio? Anzi: qual possa essere lo

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a regolamentazione delleattività di lobbying negliStati Uniti d’America è sta-ta adottata con un atto leg-islativo nel 1995 attraverso

il Lobbying Disclosure Act - successi-vamente emendato nel 1998 - che hasostituito una precedente regolamen-tazione che non aveva forza di leggema si basava sulla auto-registrazionedelle attività da parte dei lobbisti.La attuale regolamentazione, e le rela-tive procedure applicative, è molto det-tagliata sia nel definire le attività di lob-bying, i soggetti che la praticano e cui sirivolge (i public official), e sia nell’es-plicitarne limiti e modalità. Una parteconsistente è relativa alla procedure diregistrazione dei soggetti attivi e di ren-dico ntazione delle attività su base se-mestrale.Il Congresso nei due rami - Camera deiRappresentanti e Senato - dispone dinumerose pagine web dove trovare og-ni spiegazione relativa alle modalità ap-plicative della legge, la modulistica e ilcalendario degli adempimenti unita-mente ad una esaustiva serie di do-mande e risposte corredata da esempi

pratici su cosa è o non è assoggettabilealla disciplina.La prima considerazione che viene dafare leggendo la disciplina americana eguardando alla realtà italiana è relativaall’estremo «candore» con cui negli Sta-ti Uniti si riconosce la «attività di in-fluenzamento della legislazione e del-l’esecutivo « da parte di qualunque por-tatore di interesse purchè esso sia reg-istrato e rendiconti la propria attività.Tale riconoscimento può certamenteessere ricondotto alla diversa natura edal minor radicamento organizzativo edi apparato dei partiti politici negliUSA rispetto a quelli italiani. Ovvero,data la natura dei partiti americani digrandi «comitati elettorali» piuttostoche di libere associazioni che concor-rono con metodo democratico a deter-minare la politica nazionale (cfr. art. 49Costituzione), il Congresso non potevanon riconoscere il ruolo dei singoliportatori di interesse nel contribuire,con tecniche di comunicazione, ad in-fluenzare tanto la legislazione in itinerequanto gli atti dell’esecutivo.La seconda considerazione è relativa al-la «ingegnerizzazione» delle attività di

Gabriele Mazzoletti,Direttore RelazioniEsterne, Bristol-Myers Squibb

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LE ATTIVITÀ DI LOBBYINGNELLA LEGISLAZIONE AMERICANA

GABRIELE MAZZOLETTI

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lobbying che la legislazione americanariconosce e disciplina. Si dà infatti perscontata l’esistenza di agenzie e ufficidedicati, che lavorano per diversi clientidei quali rappresentano gli interessi.Nella legislazione del 1995 e nellanovella del 1998, vengono passate inrassegna le singole attività di comuni-cazione , dalla richiesta di appuntamen-to alla predisposizione e presentazionedi documentazione sino alla singolatelefonata per conoscere lo status di unprovvedimento.Per quanto riguarda lo svolgimento del-l’attività professionale, è interessante no-tare che si giunge sino al riconoscimentodella «tariffa a risultato», qualcosa che inItalia sarebbe più probabilmente oggetto

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di titoli di cronaca che non di atti legisla-tivi.Tale differenza nell’accezione e nella ac-cettazione delle attività di lobbying deveforse ricondursi ad una diversa autop-ercezione di integrità da parte dei legisla-tori americani, tanto sicuri della loro pro-bità da riconoscere che qualcuno possaessere incentivato economicamente perinfluenzarli di più e meglio? Molto prob-abilmente non è così. Tuttavia le dif-ferenze rispetto alla percezione che si hain Italia delle attività di lobbying, tanto daparte dei destinatari quanto dei commit-tenti, sono molte e risiedono in ragionistoriche, politiche in senso lato e da ulti-mo culturali.

Gabriele Mazzoletti

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Dal 7 settembre il Corriere della sera offre ai propri lettori una collana dedicata ai grandi maestri dellafotografia: Cartier-Bresson, Doisneau, Lindbergh, Salgado, Capa, Bourke-White, Newton. Si tratta di12 volumi, in vendita ogni giovedì.Dal 22 settembre, per 12 settimane, ai lettori del giornale è offerta la Bibbia, con la guida di mons.Ravasi.

Il 2 settembre i quotidiani della Poligrafici editoriale hanno offerto un libro dedicato alle Torri gemelle diNew York pubblicato per commemorare il quinto anniversario della loro distruzione. Gli stessi gior-nali offrono ai loro lettori la collana "La storia del fascismo" in dvd realizzata in collaborazione conRai Trade. L'opera è composta da 13 dvd della lunghezza di circa 60 minuti.

Il Sole-24 Ore offre la collana "Computer24": 20 cofanetti in edicola tutti i venerdì per conoscere e us-are il computer in tutte le sue potenzialità.Dal 19 settembre la Repubblica offre un corso d'inglese in dvd rivolto ai ragazzi e realizzato in collabo-razione con la Disney.

La Gazzetta dello sport e Sportweek hanno offerto ai propri lettori una serie di supplementi informativisulla stagione calcistica. Il 7 settembre il quotidiano è andato in edicola con un dorso aggiuntivo ded-icato alla presentazione del campionato. Sabato 9 il settimanale è andato in edicola come numero spe-ciale con la presentazione delle squadre e i calciatori della nuova stagione calcistica.

Dal 12 settembre il quotidiano Il domani di Bologna è venduto in edicola con La Stampa al prezzo di 1euro. L'abbinamento era stato interrotto nel 2004. Oggi il giornale si presenta rinnovato nella graficae con tre nuovi inserti settimanali di 12 pagine dedicati all'innovazione, allo sport e al week-end.

Dal 21 settembre La Stampa offre 16 volumi sull'arte di decorare con la carta.([email protected])

INIZIATIVE PROMOZIONALI

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e caratteristiche perriuscire a instaurare unnetwork di relazioni aBruxelles e guadagnarecredibilità con gli inter-

locutori internazionali sono senz’al-tro:1. la competenza2. la capacità di instaurare un rappor-to di fiducia3. avere una mentalità e un approcciodi tipo internazionale oltre alla padro-nanza della lingua. Essere in grado difare una battuta in inglese può esserepiù utile di molti discorsi in alcunecircostanze Grazie all’ esperienza di 12 anni comeresponsabile dei rapporti Istituzionaliinternazionali di un’importante asso-ciazione del settore farmaceutico pos-so dire che è molto utile essere in gra-do di comprendere e rispettare lamentalità degli interlocutori.

Ho vissuto momenti non facili (e par-lo del ‘93) in cui, negli incontri inter-nazionali, da Dresda a Lisbona, daLondra a Francoforte Parigi e Brux-elles si riusciva, comunque, a man-

tenere una propria credibilità perchécon il lavoro serio di anni si riesce aessere considerati «del gruppo».Spesso gli italiani non ci riescono perla scarsa padronanza dell’inglese e unapproccio che viene considerato tipi-camente «italiano».A volte si ha un po’addosso l’etichetta di «quelli che nonfanno la fila» quelli che cercano lascorciatoia, l’amicizia giusta per ar-rivare lì.All’estero per costruire le relazioni civuole, tempo, attenzione, dedizione,serietà. In una parola bisogna con-quistarsi sul campo fiducia e credibil-ità, oltre che avere le competenze nec-essarie.Però quando si instaura questorapporto le gratificazioni arrivano.Con i funzionari a Bruxelles, prima siinizia con un rapporto epistolare incui si rappresentano le istanze che sivogliono sostenere, poi si prosegueper telefono e dopo si può cominciarea chiedere.Bisogna, però, essere pronti anche adare. Non «favori» ma in cambio in-formazioni utili ai fini della legis-lazione, dettagli tecnici della materia,informazioni sulle situazioni esistenti

Lucia Larese,esperta di rapportiistituzionali inter-nazionali

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COMPETENZA E FIDUCIA

NEI RAPPORTI LOBBYSTICI

LUCIA LARESE

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nei propri paesi, disponibilità a seguirel’iter interno prima di poter parlarecon il grande capo. Se si danno anchecontribuiti creativi sei molto apprez-zato !

Reciproco riconoscimento del ruoloL’azione di lobbying nell’esercitare gliinteressi di parte crea un reciproco ri-conoscimento del ruolo;il politicoparlamentare viene informato e for-mato ad una determinata problemati-ca ed esigenza specifica, assume su disé la responsabilità istituzionale e po-litica di esaminare il dossier presenta-to da lobbyista, pone interrogativi,fornisce risposte.Il lobbista opera con l’istituzionefacendo gli interessi del propriocliente ma non contro la legge, cer-cando di aggirarla o adoperando stru-menti illegittimi e corruttivi.Tutelando gli interessi del propriocliente salvaguarda anche gli interessidell’istituzione perché apporta con-tributi di conoscenza e cultura settori-ale suggerisce soluzioni a problemiche in numerosi casi afferiscono agruppi sociali semmai deboli o pocorappresentati.Trasparenza e coerenza viaggiano dipari passo: l’accesso alle informazionilegislative, l’azione politica traspar-ente, il rispetto delle regole di mercatosono parte integrante del dettato Cos-tituzionale e quindi della democrazia.Il lobbying in Italia è assimilato gener-icamente all’attività di relazioni pub-bliche : organizzare un party conpolitici e imprenditori, veicolare unanotizia attraverso un ufficio stampa

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non è azione di lobbying; questeazioni ne possono costituire un corol-lario, un supporto comunicativo utilealla gestione delle relazioni tra i diver-si soggetti pubblici e privati

Motivazioni per attuare lobbying E’ importante però che i committenti comprendano la necessità di attuareun’ attività lobbyistica di un certorespiro con programmi a medio ter-mine.Le caratteristiche delle aziende o deisoggetti che voglio fare lobbying a liv-ello europeo sono:- Saper prevedere e saper investire unminimo per anticipare l’evento- Comprendere che creare un networkdi relazioni è un investimento e nonun costo - Considerare la qualità della docu-mentazione prodotta,organizzazionedi seminari o tavole rotonde, in termi-ni di valore aggiunto che apre molteporte e poi vedremo perchèSpesso è dopo una scottante bocciatu-ra di qualcosa di molto rilevante ai fi-ni del business che l’azienda o l’asso-ciazione decide di fare sul serio e dismettere di affidarsi a un lobbyingbasato sulla logica dell’emergenza esenza una progettualità per lo meno abreve termine.E’ il caso di General Electric che è hacreato un ufficio a Bruxelles dopoche Il commissario Monti stroncò unprogetto di fusione con HoneyweelMa è un caso che ho vissuto in primapersona di cui vorrei parlarvi breve-mente come un caso di ottimo lobby-ing a livello europeo, portato avanti da

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Italiani, di cui la stessa federazione eu-ropea e gli eurodeputati dell’epoca sicongratularono, oltre al risultatopolitico portato a casa.Sto parlando della proposta di diretti-va sulla protezione legale delle inven-zioni biotecnologiche che nel 94 fustroncata dall’aula di Strasburgo conun’azione molto forte da parte diGreenpeace, degli attivisti verdi, chein occasione della votazione in aulaportarono immagini di Frankestein emostri di vario genere come possibileesito della brevettabilità biotecnologia.L’industria farmaceutica ne ricevetteuno smacco non indifferente: negliUsa e in Giappone i prodotti farma-ceutici di origine biotecnologia pote-vano essere brevettati da tempo con ilrisultato che le aziende, anche quelleitaliane, andavo a fare la loro ricercabiotecologica negli Stati Uniti, es-portando idee e know how .Con il risultato di aumentare semprepiù il gap tecnologico fra Europa eUsa in termini di nuove molecole in-ventate, brevettate, prodotte e im-messe sul mercato.Dopo l’eclatante, inattesa bocciatura,in Italia nell’associazione per cui lavo-ravo fu creata una Task Force pre-sieduta da un amministratore delegatoche ora è numero uno in un’impor-tante azienda farmaceutica tedesca .In questa tak force - di cui ho avutol’onore di curare la segreteria tecnica -confluivano diversi amministratoridelegati di aziende che avevano un in-teresse specifico e con i loro sherpa sicreavano i documenti tecnici che veni-vano forniti agli eurodeputati

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Furono organizzati tre convegni aBruxelles per i nostri Parlamentari acui vennero chiamati a parlare premiNobel (Rubia, Dulbecco, Rita Levi diMontalcino) per spiegare che ilbrevetto non significa creare nuovimostri ma portare alla luce, pubblicareil risultato di ricerche scientifiche e faruscire dall’ombra una materia cosìcomplessa.Lo sfruttamento dell’invenzione duravent’anni per il recupero degli investi-menti ma la direttiva pose paletti e li-nee guida, discusse preventivamente eapprofondite con tutti gli eurodepu-tati.A livello europeo la federazione euro-pea delle associazioni del settore presespunto dalla task force italiana e necreò una omologa dove venivano co-ordinate le attività di informazionesugli altri parlamentari europei dellealtre nazioni, in modo che se noi ital-iani andavamo dai nostri parlamentaridi un certo gruppo a dire al nostra po-sizione, questa era in linea con quelloche dicevano i colleghi francesi ai loroeurodeputati, gli spagnoli ai loro, gliinglesi ai loro e via discorrendo.La documentazione che fu fatta circo-lare a livello parlamentare e di com-missione europea era di ottimo livelloe omogenea: i deputati iniziavano acapire questa difficile materia perchéchiarezza e omogeneità di posizionierano fondamentali per far passare ilmessaggio

Saltare gli steccatiIn quel caso spesso si saltavano glisteccati: i parlamentari si trovavano a

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cooperare al di là dei partiti. Le pre-occupazioni etiche sul tavolo facevanocollimare posizioni fra loro distantiAllo stesso modo tutti i gruppi dei di-versi schieramenti volevano capire lamateria per essere in grado di spiegareai loro elettori e alla stampa una presadi posizione che sapevano sarebbestata sotto gli occhi di tutti.A Bruxelles, l’approvazione fu un suc-cesso di un’azione di informazione eformazione coordinata a livello eu-ropeo. La direttiva fu approvata perpoi restare in attesa di approvazione inItalia per anni.Vorrei concludere con una frase trattada un libro di un medico Americano

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di orgine indiana Deepak Chopra«Ogni intenzione e ogni desiderio rac-chiudono in sé il meccanismo per re-alizzarsiOgni azione genera una forza che ri-torna a noi con la medesima inten-sità…»In altre parole:quel che si semina siraccoglie.Sono certa che il dibattito sulla rego-lamentazione delle attività di lobbyingsia un buon seme per raccogliere ifrutti del lavoro serio di tante personeper arrivare al riconoscimento diquesta difficile ma stimolante profes-sione.

Lucia Larese

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La 7 e Apcom Il Cdr della testata televisiva ha chiesto un incontro urgente all'azienda per conoscere le con-seguenze del piano di riassetto Telecom nel settore media. Il 3 ottobre è prevista un'assembleacongiunta. Intanto con 44 voti contrari e 19 favorevoli l'assemblea dei giornalisti de La 7 habocciato il piano editoriale del direttore delle news, Antonello Piroso.Antonio Calabrò lascia AP Com ed entra in Pirelli.

Il MeridianoDal 27 settembre è in vendita, soprattutto in Puglia, il nuovo quotidiano. La redazione centraleè a Foggia. Editore è un imprenditore pugliese e direttore è Roberto Parisi. Il giornale ha 28pagine, delle quali 12 dedicate alla vita nella regione. L'obiettivo è di "dare spazio ai valori dellafamiglia, in un confronto aperto con tutte le religioni".

Tg5 minutiE' il nuovo appuntamento pomeridiano di Canale5. Inizio il 18 settembre. Un'edizione flashche vuole imitare il modello americano della Cnn. Il conduttore è sempre in onda mentre alsuo fianco scorrono i servizi con i titoli delle notizie sul rullo.

Panorama FirstE' in edicola dal 29 settembre il nuovo periodico lifestyle di alta gamma. Il primo numero èabbinato al settimanale. Un altro numero dedicato ai consumi alti e agli stili di vita esclusivi, èin programma entro la fine anno. ([email protected])

NOTIZIE DAL MONDO DELL’INFORMAZIONE

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rattare di lobby significacomunque parlare di rap-porti istituzionali equindi di Comunicazione equesto vale ancora di più

in Europa. Perché la Unione Europeaè un unicum straordinario e problem-atico al contempo. Non una Confed-erazione di Stati né un Superstato, mauna Unione appunto o meglio unasommatoria di Stati ognuno con le suecaratteristiche e specificità come la lin-gua, l’assetto politico, la cultura, letradizioni. Più una grande zona dilibero scambio con una sola monetaed una Banca centrale che detta la po-litica monetaria senza alcuna influenzadel potere politico, che una Unionepolitica che rimane però il grande obi-ettivo che è stato da sempre il grandesogno degli Europeisti veri come adesempio Schuman, Spaak e Spinellisolo per citarne alcuni.L’assetto legislativo ed esecutivo sulquale si concentrano gli sforzi dei por-tatori di interessi è originale ed ec-cezionale così distante e diverso daquelli esistenti negli Stati membri. Conuna confusione, almeno al primo ap-

proccio, tra potere legislativo ed esec-utivo. Non sono le due grandi Isti-tuzioni che hanno il potere legislativoa proporre le Leggi - Direttive o Re-golamenti che siano -, bensì la Com-missione che rappresenta il vero mo-tore della Unione e che detiene nellostesso tempo, il potere di controllo sulrispetto delle normative comunitarieda parte degli Stati Membri.Consiglio dei Ministri e ParlamentoEuropeo detengono il potereLegislativo in «codecisione»su granparte degli aspetti regolamentari, talche nel caso si trovino in disaccordonel corso dell’iter legislativo semprelungo e complesso, devono ricercareun accordo secondo una procedura di« conciliazione» che vede rappresen-tanti in numero paritetico di PE eConsiglio. Una procedura complessa,articolata, difficile da monitorare.Tutto questo per porre nella dovutaevidenza non solo le difficoltà di im-pattare tale realtà legislativa, ma anchedi verificare i punti di riferimento chevariano nel corso del tempo neces-sario per pervenire ad una decisionefinale e questo tempo è molto lungo

Piero Onofri,Consulente per le re-lazioni internazion-ali Consulta Gen-erale del Trasporto edella Logistica,Ministero deiTrasporti

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L’ESPERIENZA

NELL’UNIONE EUROPEA

PIERO ONOFRI

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rarissimamente inferiore ai due anni.A ciò va aggiunto che i lavori vengonoportati avanti attraverso le competentiCommissioni Parlamentari da un latoe dai Rappresentanti Permanenti degliStati Membri ( COREPER) dall’altrononché dagli esperti dei vari Ministerivia via interessati. Con Parlamentariche rispondono agli elettori ed i Min-istri che devono invece difendere gliinteressi dei Paesi da cui provengonoe dei relativi Esecutivi. Un solo esem-pio per evidenziare tali diversità di ap-proccio. Il budget per le RetiTrasnseuropee che rappresentano lachiave di volta per incidere sullosviluppo civile ed economico in otticadi sostenibilità sociale ed ambientale.Orbene la Commissione, i cui compo-nenti a tutti i livelli sono autonomirispetto agli Stati di provenienza - al-meno sulla carta- ed il PE avevanodefinito le necessità finanziarie in 21miliardi di �. Il Consiglio dei Ministridell’economia e finanze degli Statimembri - ECOFIN - ha ridotto ilbudget a poco più di un terzo.La regolamentazione della lobbyrisente di questa impalcatura e, sullabase di un Regolamento del 2001 levarie Istituzioni si sono date norma-tive differenziate. Su una base gen-erale che prevede da un lato la neces-sità della partecipazione dei cittadini aiprocessi decisionali, dall’altro la in-eluttabilità di una politica di trasparen-za. Il PE è quello che ha previsto siaun Registro dei lobbisti e delle relativerealtà rappresentate regolarmente vi-sionabile sul sito internet, sia uncodice generale di condotta che non

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prevede peraltro sanzioni se non quel-la del ritiro della carta di accesso chenel caso di necessità di presenze con-tinue può essere rilasciata per un mas-simo di un anno su responsabilità deiquestori del Parlamento. La proceduraè stata irrigidita agli inizi dell’anno incorso con la richiesta di numerose in-formazioni aggiuntive. I registratisono attualmente circa 4200 ed i con-tatti vengono fatti ascendere a circa70000 l’anno. I numeri non devonomeravigliare se solo si pensi che ognianno vengono pubblicati nella GUdella UE circa 40.000 documenti. E’stato fatto giustamente notare che ilvero valore aggiunto non è dato dal«denaro» ma dalla possibilità di in-fluire su normative che condizionanoormai oltre l’80% degli assetti legisla-tivi degli Stati Membri.Nessun registro è previsto a livello diCommissione e Consiglio conimpostazioni leggermente diverse perl’accesso agli uffici delle due Isti-tuzioni. Alla Commissione è suffi-ciente prendere un appuntamento efar registrare il proprio documento diidentità. L’accesso agli uffici avvienesolo su accompagnamento da partedel Personale degli uffici con i quali siha l’appuntamento,

Da rilevare che a livello degli Statimembri, se si eccettua il Bundestagin Germania che prevede un registroriservandosi però la facoltà di convo-care anche gruppi non registrati, nonesistono norme o regolamentazionidel lobbying. In Ungheria e Slovacchiasi sta predisponendo una normativa

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ancora allo stato embrionale cheprevede un codice di condotta obbli-gatorio A livello mondiale, se si ec-cettuano USA e Canada non esistononorme in tal senso. In Italia le RegioniToscana e Molise hanno previsto unregistro dei Gruppi di pressione.

Nel frattempo, in UE, il fenomeno haassunto un rilievo notevole. Secondouna indagine fatta dal PE ed una rile-vazione effettuata dal CIPI 500 gran-di imprese hanno sedi di rappresen-tanza a Bruxelles, 130 sono gli ufficilegali che svolgono anche azioni in-formative o di lobby tramite «gruppidi relazione con le Istituzioni eu-ropee», 120 i gruppi transnazionalicon circa 15000 addetti. 150 sono gliuffici dei Governi Regionali. Oltre1.000 i giornalisti e gli inviati di piùche a Washington. Università comeHoxford ed ospedali come il San Raf-faele hanno scelto di avere una rapp-resentanza fissa a Bruxelles. Di parti-colare interesse una società di dirittobelga costituita da 5 Regioni del cen-tro Italia ( Abruzzo, Lazio, Marche,Toscana e Umbria) detta del « patto diOrvieto» - un accordo politico- parte-cipata dalle finanziarie regionali chefornisce personale, gestione e servizi.Il Comitato con la sua risoluzione - ri-cordiamo mai adottata dal PE - pone-va in evidenza la necessità essenzialedi avere informazioni tecnico-special-istiche purché trasparenti e precise;dall’altro poneva un accento criticosulle attività di Commissione e Con-siglio che sembrerebbero più disponi-bili e più sensibili all’attività delle

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azioni di lobby. Sul Consiglio eviden-ziava che operano oltre 100 gruppi dilavoro costituiti da soggetti che svol-gono anche azione di lobby.La situazione è in fase di evoluzione.Il 3 maggio la Commissione ha pub-blicato un libro verde su Lobby eTrasparenza nella premessa che la lin-ea generale di considerare tale attivitàperfettamente legittima in un contestodemocratico, rimane invariata. I lob-bisti possono contribuire ad attirarel’attenzione delle Istituzioni europeesu questioni importanti, ma le Isti-tuzioni non debbono subirne l’in-fluenza.Il Libro verde pone l’accentoin particolare sulle consultazioni pub-bliche; la partecipazione è condiziona-ta alla fornitura preventiva di una seriedi informazioni sugli interessi rappre-sentati. Le preoccupazioni poste inevidenza sono di vario segno:- False informazioni fornite alle Isti-tuzioni circa l’impatto socioeconomi-co e ambientale delle proposte di re-golamentazione.- Posizione delle ONG che da un latoricevono contributi anche dalla Com-missione Europea e dall’altro lamen-tano il potere del mondo imprendito-riale che può contare su budget elevati- Utilizzo disinvolto del mezzo infor-matico per organizzare campagnemassicce ed azioni di pressione pro ocontro le proposte della UE.- Più in generale viene criticata l’assen-za di informazioni sufficienti sui lob-bisti che esercitano la loro attività alivello della UE.La possibile soluzione viene accenna-ta in:

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- Sistema volontario di registrazione.La volontarietà verrebbe premiata conla comunicazione tempestiva ed auto-matica delle consultazioni.- Codice di condotta anch’esso fa-coltativo fondato su tre punti:- Obbligo di indicare gli interessi rap-presentati- Obbligo di non diffondere notizieriservate - Divieto di offrire qualunque formadi gratificazione nell’intendimento diavere informazioni privilegiate o ben-eficiare di trattamenti di favore.- Sistema di controlli e sanzioni in ca-so di registrazione scorretta e/o vio-lazione del codice di condotta.La Commissione è contraria ad ogniforma di registrazione obbligatoria.Critiche da parte delle ONG che con-siderano la proposta estremamenteriduttiva, favorevole l’UNICE. D’altrocanto la Commissione pone in eviden-za che nel settore delle politiche fi-nanziate da UE che rappresenta unodegli aspetti più delicati e soggetti apressioni, il 76% del bilancio comuni-tario il che significa 86,6 miliardi �/anno, è speso in accordo con gli Sta-ti membri che detengono tutte le in-formazioni relative.Come si può rilevare non si ravvede lanecessità di regolamentarerigidamente il fenomeno, consideratoespressione di una democrazia matu-ra. La Commissione ha posto in evi-denza che i facenti parte della Isti-tuzione sono soggetti ad un codice dicomportamento che li astrae da inter-essi e collegamenti con la Madre Pa-tria e sono soggetti a sanzioni in caso

C O M E R E G O L A M E N T A R E L E L O B B Y

di violazione.

D’altro canto la presenza di normefortemente penalizzanti non ha porta-to neppure negli USA vantaggi con-creti e generali se si considera che ul-timamente si è verificato uno scanda-lo costato circa 20 milioni di $ al su-perlobbista Abramoff. Ed anche inquesto caso per colpa di una donnaabbandonata da un collaboratore diun potente Parlamentare. Viene spon-taneo ricordare l’inizio della fine dellaprima repubblica con quanto accadu-to al Pio Albergo Trivulzio.Termino con una frase tra le più con-geniali a noi italiani: «qui ci vuole unaLegge». E’ così che siamo divenuti laPatria delle Leggi e non del Diritto di-venendo così, ma qui cito un grandegiornalista e storico, «la tomba dellagiustizia». Per non dimenticare appun-to Indro Montanelli.

Piero Onofri

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D O C U M E N T I E N O T I Z I E

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Dalla stampa e dal web: l’esperienza dell’»Audiolibro»

Un gran bel viaggio sonoro attra-verso circa dieci secoli di nostraletteratura, in poco meno di dici-assette ore. E’ quanto garantisce IlNarratore con la recente pubbli-cazione nei suoi “audiolibri” della“Audio Antologia della LetteraturaItaliana”. Mai prima d’ora, se nonandiamo errati, è stata realizzatauna simile gigantesca rivisitazionedelle cose di casa nostra, che sipossono sì ascoltare ma anche leg-gere (come si usava una volta) at-traverso i testi che il doppio CD-MP3 contiene: ben 198 brani di 85autori (tanto per dare il sensoquantitativo della silloge sonora).Come per ogni antologia, ancheper questa ci si potrà lasciare an-dare al gioco dei presenti-assenti e,tra i primi, a quello relativo a unbrano scelto piuttosto che a un al-tro; ma, come per ogni gioco, sitratterebbe di fatuità e non sicoglierebbe in pieno l’essenza chetali registrazioni in sé con-tengono…Oggi, grazie al Narratore, questopiacere della riscoperta può esserevissuto in pieno standosene co-modamente seduti in salotto, op-pure guidando o, semplicemente,facendo quattro passi nel parco… Cos’altro aggiungere a sottolin-eare l’utilità e il piacere prove-niente da tale antologia? Poc’altro,per la verità; ascoltatela e ve nerenderete immediatamente conto.Un’opera siffatta, infatti, si pre-

senta da sola, per qualità e quan-tità offerte.

(Franco Borrelli, America Oggi)

Chiesa e comunicazione"Nella Chiesa c'è un problema dicomunicazione": lo dice il cardi-nale Bertone, nuovo segretario diStato vaticano. Che aggiunge: "Stopensando a come migliorare il sis-tema di comunicazione dellaChiesa e ne ho già parlato con ilnuovo direttore della sala stampavaticana, padre Lombardi". Aigiornali il cardinale Bertone hachiesto di "essere accoglienti versola vita della Chiesa e il volume diattività che svolge a favore dellacomunità mondiale. Però dobbi-amo anche noi organizzare un sis-tema migliore di quello che abbi-amo ora". ([email protected])

«La Stampa» per l'universitàL'editrice ha messo a disposizionedella comunità accademical'archivio digitale di due dei suoiinserti (Tuttolibri e Tuttoscienze)e ha predisposto un nuovoservizio di consultazione a paga-mento dell'intero archivio on lineche consente una ricerca del mate-riale pubblicato dal 1992. E' statointanto confermato che dal 19 no-vembre il giornale uscirà rinnova-to nella veste grafica e interamentea colori. Cambiamenti saranno ap-portati anche al sito che ha rag-giunto un milione 200 mila acces-si al mese. ([email protected])

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L A F O R M A Z I O N E D E I C O M U N I C A T O R I

Furio Garbagnati,Presidente Assorel

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na quarantina di corsi dilaurea, tra primo e secon-do livello, includendo icorsi di laurea specifici inRelazioni Pubbliche e

quelli in Scienza delle Comunicazioni,Comunicazione di impresa e affini; unnumero di master imprecisato ed im-precisabile che nascono su tutto il ter-ritorio sotto le più disparate tito-lazioni; una stima di circa mille nuovilaureati in relazioni pubbliche ogni an-no, solo in relazioni pubbliche, senzacontare i corsi di laurea in scienza del-la comunicazione, comunicazioned’impresa e affini; una stima di oltreventicinquemila iscritti oltre al nu-mero imprecisato di iscritti ai masterspesso considerati una sorta diparcheggio a breve termine (chepurtroppo sovente si trasforma in lun-go termine).Sono dati impressionanti e per certiaspetti sconvolgenti, che non possononon toccare direttamente chi comeme rappresenta Assorel, l’associazioneche comprende cinquanta tra le piùimportanti società operanti in Italianel comparto delle relazioni pub-

bliche. In molti casi infatti noi rappre-sentiamo l’interlocutore primario perquesti giovani che, anche quando ab-biano prospettato la loro carriera al-l’interno di aziende o di organismipubblici vedono nelle agenzie (mapreferisco chiamarle imprese) di co-municazione il primo passo nel mon-do del lavoro. Intendiamoci, ben ven-ga l’aumento della scolarizzazione deicomunicatori.Per troppi anni e troppo a lungo inItalia abbiamo accusato pesanti ritardiin questo settore e dato per scontatoche la professione non potesse assurg-ere al rango di disciplina. Oggi le re-lazioni pubbliche sono considerate atutti gli effetti parte integrante delmanagement strategico di impresa ecome tali hanno il diritto/dovere divedersi riconosciuto un ruolo specifi-co anche nelle modalità formative dicarattere universitario e post universi-tario.Non possiamo però non chiederci sel’incremento del numero di corsi dilaurea, dei master e delle scuole in co-municazione corrisponda ad una realecrescita della qualità del percorso for-

I GIOVANINELLE SOCIETÀ DI COMUNICAZIONE

FURIO GARBAGNATI

U

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mativo che esse offrono.E, soprattutto, è inevitabile doman-darsi quali sono gli effettivi sbocchisul mercato del lavoro per coloro chescelgono di intraprendere questa strada. Insomma, in che modol’offerta può coniugarsi con la doman-da del mercato? Noi operatori abbi-amo infatti spesso l’impressione che,salvo poche e lodevoli eccezioni, ilproliferare dell’offerta formativarisponda più a logiche commerciali.Mi spiego meglio: cavalcando un mer-cato, per certi versi ancora immaturo,e alimentando attese professionalinon chiaramente delineate, numeroserealtà formative in relazioni pubblichepropongono da un lato la specializ-zazione in un settore in forte crescita,ma dall’altro si affidano a docentipurtroppo non sempre preparati espesso avulsi dal contesto profession-ale di riferimento. Non vale inoltresostenere che il numero elevato di stu-denti, se frequentano corsi di buona ericonosciuta qualità professionale, siaper se un dato positivo.Lungi da me prefigurare piani quin-quennali e pianificazioni dell’accessouniversitario ma il dato positivo nonpuò essere il numero in assoluto ma lacapacità di assorbimento da parte delmercato del lavoro: avere un elevatonumero di studenti ben preparati madestinati ad essere disoccupati nonpuò certo essere motivo di soddis-fazione ne per i formatori ne per leimprese.Studi e statistiche, per la verità a scar-so livello di scientificità, stimano cheoggi sul mercato italiano operino più

di settantamila comunicatori in re-lazioni pubbliche con un fatturato di-retto ed indotto di circa dodici miliar-di di euro. Insomma, le aziende hannoe avranno sempre più bisogno di co-municatori capaci e in grado di gestiresistemi di relazioni complessi, dinami-ci e allargati.Inoltre, visto il ruolo ormai primarioassunto dalla comunicazione nellanostra società, anche il miglioramentodella formazione è un fattore impre-scindibile per garantire al mercato ilmiglior utilizzo possibile di questa le-va competitiva.Ma può il mercato reggere l’impatto diun numero così elevato di profession-isti o aspiranti tali? O forse c’è il rischio che cresca inmodo drammatico il numero di gio-vani precari ( e qui parlo veramente diprecariato e non della giusta flessibil-ità del lavoro) che sotto finte etichettesi ritrovano per anni in situazioni la-vorative instabili e soprattutto prive diveri contenuti professionali? Moltigiovani riescono a trovare lavoro per-ché tante organizzazioni pubbliche eprivate si stanno attrezzando nelmigliore dei modi per accoglierli, matanti altri nostri ragazzi rischiano disostare a lungo nel limbo della sottooccupazione. Come mai tutto ciò?L’ultima Legge Finanziaria cheprevede per le amministrazioni pub-bliche un taglio del cinquanta per cen-to degli investimenti in comuni-cazione (e nella quale caso più unicoche raro le relazioni pubbliche sonocitate come disciplina autonoma) nonva certamente nella direzione di creare

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di avere molti dubbi e di avanzare iltimore che si possa assistere, quandociò avvenga, all’ingresso sul mercatodi professionisti o di micro realtà in-capaci di garantire la qualità dell’offer-ta e competitive sul mercato solo dallato del prezzo.E’ necessario poi tenere sempre benea mente che la nostra industry con iprocessi formativi ad essa connessi simuove in un contesto europeo. talproposito un indubbio riconoscimen-to va all’università IULM di Milanoche per facilitare la mobilità degli stu-denti e il riconoscimento accademicodei periodi di studio effettuati all’es-tero ha adottato il sistema di creditiECTS (European Credit Transfer Sys-tem). Lo Iulm si sta attivando affinchéi laureati ricevano il Diploma Supple-ment nel rispetto delle indicazioni cheprovengono dall’Unione Europea edalle Conferenze dei Ministri del-l’Istruzione Europea.Il panorama, dunque, dell’accesso edell’offerta formativa per le profes-sioni dei comunicatori presenta luci eombre. Ciò che è sicuramente moltochiaro è la necessità di un percorsoformativo accademico strettamentecollegato al mondo delle imprese edelle associazioni che come Assorelrappresentano il settore. ‘ indubbioche la costante crescita dei Servizi ingenerale e delle Relazioni Pubbliche inparticolare, stia modificando il mododi intendere e di fare la professione,che si avvia verso un contenuto dispecializzazione e di internazionaliz-zazione sempre più rilevante.E’ quindi necessario che, da un lato, i

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un contesto occupazionale più fa-vorevole.Ed è proprio alla luce di tali tagli chenoi di Assorel insieme a Ferpi, Compae altre associazioni del settore abbi-amo avviato un tavolo di discussionesul tema.Neppure le ventilate ipotesi (anche sepoco credibili) di un radicale stravolgi-mento della Legge Biagi sembrano es-sere favorevoli al settore per il quale laflessibilità (e non la precarietà che es-iste e come mai che, forse più che inaltri comparti, dovrebbe essere com-battuta poiché quasi sempre sinonimodi scarsa qualità professionale oltreche, naturalmente di piaga sociale)rappresenta elemento insito per la so-pravvivenza di molte imprese del set-tore che si confrontano con un mer-cato per sua natura flessibile e conprogetti spesso di breve periodo. eni-amo inoltre presente che propriol’aspetto professionale dell’attività delcomunicatore, fa si che non si escadalle università per così dire «impara-ti» ma che sia necessario una fase diformazione sul campo che talvolta leaziende ma soprattutto le agenziesono chiamate ad assolvere. E lo fac-ciamo volentieri, e non come alcunipensano, per procurarci mano d’operaa basso costo, ma per garantirci uncorretto turnover di capitale umano,che altrimenti non potremmo trovare,da inserire stabilmente nelle nostre or-ganizzazioni che vivono e produconosolo in forza della qualità dei propriprofessionisti. a riusciremo a reggere esupportare lo sforzo informativo sulcampo di tanti giovani? Permettetemi

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DESK n. 3/2006 36n. 3/2006

contenuti formativi che si richiamanoalle relazioni pubbliche ed alla comu-nicazione di impresa siano ispiratisempre più al principio della qualitàsenza tema di un robusto shake outladdove questo principio non siarispettato, e dall’altro, che cresca ilrapporto tra il mondo dell’università ein generale della formazione, con

quello delle imprese e delle associ-azioni che le rappresentano. Soltantoin questo modo potrà esserci una cor-retta sinergia e una più completa sin-tonia tra le attese de mercato, il per-corso didattico e le aspettative dei gio-vani.

Furio Garbagnati

Gianni Riotta è il nuovo direttore del Tg1. Lascia la vice direzione del Corriere della sera. Sostitu-isce Clemente Mimun che resta a disposizione del direttore generale Cappon. Nella stessa sedu-ta del 13 settembre il c.d'a della Rai ha nominato Maurizio Braccialarghe direttore del person-ale. Subentra a Gianfranco Comanducci, nuovo responsabile della direzione acquisti. Le duenomine sono avvenute a maggioranza.Massimo Donelli è il nuovo direttore di Canale 5. Sostituisce Giovanni Modina che assumel'incarico di vice direttore generale contenuti di Rti.Umberto Brindani è il nuovo direttore di "Tv sorrisi e canzoni". Subentra a Massimo Donelli.Alfonso Signorini è il nuovo direttore del settimanale "Chi".Pierangelo Giovannetti è il nuovo direttore de L'Adige. Subentra a Paolo Ghezzi.Xavier Jacobelli è il nuovo direttore responsabile della testata on line Quotidiano.net. Conserva l'in-carico di vice direttore di QN.Francesco Verducci è il nuovo responsabile della comunicazione del partito Ds; Roberto Cuilloè il nuovo responsabile per l'informazione e l'editoria dello stesso partito; Gianni Giovannetti èstato confermato capo ufficio stampa della direzione nazionale e assume l'incarico di portavocedel segretario Fassino.Antonello Perricone, a.d. di Rcs MediaGroup è stato nominato anche a.d. di Rcs Quotidiani.Giorgio Valerio è il nuovo direttore generale della divisione. Fabio Vaccarono si è dimesso dadirettore generale di Rcs pubblicità.Gianni Vallardi è il nuovo direttore generale della divisione periodici Italia del gruppo Mon-dadori. Era amministratore delegato di Cairo Publishing dal gennaio 2005.Emanuele Giacoia è il nuovo direttore responsabile del Quotidiano della Calabria. MatteoCosenza è stato nominato vice direttore.Paola Bottelli è il nuovo vice direttore di Vanity Fair del gruppo Condè Nast. Lascia l'incarico didirettore responsabile di Uomo Vogue che passa a Franca Sozzani che mantiene la direzione diVogue.Francesco Douglas Flaminio è il nuovo capo ufficio stampa della direzione Comunicazionedella RAS.Padre Danilo Salezze è il nuovo direttore generale della società Messaggero di Sant'Antonio. Suc-cede a padre Gardin, nominato segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata ele società di vita apostolica.Giacomo Kahn è il nuovo direttore del mensile Shalom, periodico di cultura e di informazioneebraica fondato nel 1967. Diffonde 15 mila copie prevalentemente in abbonamento.

CHI VIENE E CHI VA

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Andrea Melodia,Giornalista,Dirigente RAI

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Dopo quarant’anni diprofessione, tra gior-nalista e dirigente tele-visivo, e dieci anni diinsegnamento a Scien-

ze della comunicazione ancora non hoidee chiare sul percorso formativo perl’accesso alla professione.A quale professione, anzitutto? Cherapporto c’è tra la grande firma di unquotidiano di informazione, il com-mentatore del campionato di calcio, ilcritico letterario, il capo ufficio stam-pa, l’esperto di moda, ...?E’ veramente difficile pensare a unpercorso formativo comune, salvoquello relativo alla padronanza dellalingua (delle lingue) e alla conoscenzadelle regole della professione, cui cias-cuno comunque attribuirà valenze dif-ferenti. Ci sono altri gruppi di compe-tenze comuni a categorie differenti(per esempio le basi del diritto pubbli-co, privato e costituzionale, la storiacontemporanea, la geografia politi-ca...) ma non dubito che qualcunopossa diventare un buon giornalista inun campo lontano da queste disciplinesenza aver raggiunto competenze reali

ANDREA MELODIA

riguardo ad esse.A chi mi sollecita consigli su come«diventare giornalista» io chiedo anzi-tutto a cosa sia interessato, poi sug-gerisco di leggere buona letteratura edi dedicarsi allo studio non superfi-ciale di una materia qualsiasi, purchéverso di essa si trovi una qualche at-trazione.Per la verità, esiste una categoria di as-piranti giornalisti/comunicatori chepossono trarre giovamento da un ap-proccio formativo specialistico relati-vo non ad una competenza tematica,ma alle pratiche specifiche della co-municazione attuata, nel suo insieme,attraverso un determinato mezzo.Sono coloro che in un giornale o inuna emittente televisiva o in qualsiasialtro canale di comunicazione hannocompiti di coordinamento, che de-vono «dirigere il traffico» tra i tantispecialisti tematici e garantire il gover-no equilibrato della linea editoriale. Acostoro è necessario approfondirel’analisi delle regole di funzionamentodi quella specifica tipologia di canale.Tuttavia, in termini quantitativi il nu-mero di questi professionisti è certa-

PERCORSO E ACCESSOALLA PROFESSIONE DEI COMUNICATORI

D

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mente molto più ridotto di quellodegli specialisti tematici, e quindi èraro che si entri a far parte di questacategoria all’inizio della carriera.Normalmente, questo gruppo profes-sionale si forma non attraverso for-mazioni finalizzate, ma per naturaleselezione tra le diverse categorie dispecialisti. Dunque, per l’accesso allaprofessione serve assai più la compe-tenza specialistica che quella generalerelativa alle regole di funzionamentodel canale di comunicazione.Siamo dunque di fronte a un parados-so: chi volesse divenire giornalista af-frontando gli studi tipici che portanoin questa direzione (tipicamente,Scienze della comunicazione) troveràattività formative che non favorirannole competenze specialistiche chepotrebbero realmente agevolarel’avvio della sua attività lavorative,bensì quelle che potrebbero essergliutili solo in un improbabile futuro dicarriera, diciamo così, «editoriale». Equesto, ammesso che il corso universi-tario sia veramente in grado di offrirecompetenze di sintesi sulla gestionedelle differenti tipologie di canali;mentre mi pare che invece sia spesso

privilegiata una infarinatura casuale dirami specialistici assai differenti traloro, utili solo - e a ben vedere non èpoco - a risvegliare negli studenti cu-riosità che comunque pretendonosuccessive applicazioni sia teoriche siapratiche.La conclusione di questo ragionamen-to mi porta a suggerire che i corsi dilaurea in Scienze delle comunicazionidovrebbero, in ciò contraddicendoforse in parte i dettami ministeriali, es-sere riorganizzati privilegiando nel tri-ennio esclusivamente la formazioneteorica e culturale di base. Invece lelauree specialistiche dovrebbero ac-centuare il carattere specifico degli ap-profondimenti prescelti da ciascunateneo, costringendo i ragazzi ascegliere sulla base delle personali in-clinazioni: quindi nell’università X sistudierà giornalismo sportivo, in quel-la Y la informazione sulla politica in-terna, nella Z la gestione del palinses-to televisivo. Forse così si aprirannocentri di studio e di ricerca che pro-durranno competenze, e magari risul-tati di eccellenza.

Andrea Melodia

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Il docu-mento dell’UCSI per il Con-vegno di Verona

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n vista del ConvegnoEcclesiale di Verona, tra iresponsabili dellatradizione, citati nelDocumento preparatorio

(capitolo IV), la Chiesa cattolica hacoinvolto anche i cristiani attivi neimedia. Nel rispondere a questaconvocazione, noi dell’Ucsi ci sentiamoparticolarmente responsabili. Anche noiinfatti siamo partecipi a vario titolo enelle modalità più diverse di un processoculturale, divenuto eticamente epoliticamente nevralgico: quello cheassegna ai media un potere gigantesco diinfluenzare l’intera società umana,anzitutto forgiando i modelli di pensieroe di comportamento di vaste masse dicittadini.Di fatto il ruolo dei media, in particolaredella televisione e di Internet, haacquisito una precedenza rispetto aitradizionali strumenti formativi, qualierogati dalla famiglia, dai sistemieducativi e dalle stesse Chiese. Èprimario ammettere le potenzialitàstraordinarie che le trasformazionitecnologiche suscitano nel nostro secolo,in particolare per la produzione di

intelligenza comunicativa in unoscenario globale. Si tratta ditrasformazioni strutturali, cherichiedono su scala globale adeguamentigiuridici, come nel caso dell’accordo giàraggiunto di recente, anche se soloparzialmente soddisfacente, per unagestione più globale di Internet.D’altro lato, il potere dicondizionamento dei media,specialmente sui minori, è fonte disollecitudini per quanti hanno a cuore latrasmissione delle memorie, dei saperi,dei linguaggi e dei simboli e lariproduzione dei valori fondamentali nelguado, in cui si trovano oggi tutte leciviltà, le religioni e i sistemi, verso unainedita coscienza comune dell’unità delgenere umano. Non si potràsottovalutare l’impatto dei media nellasocietà democratica globale, tanto piùnell’ora in cui i conflitti sulle identità,assai più rilevanti ormai dei conflittieconomici del XIX e ideologici del XXsecolo, infiammano il sistema globale.

Pertanto noi siamo grati alla Chiesa diaverci interpellato, più ancora di

avere finalmente risvegliato le risorse

I MEDIA GLOBALI

E LA SALVAGUARDIA DELLE

COSCIENZE

I

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delle molteplici aggregazioni laicali peruna partecipazione, che auspichiamonon occasionale ma sistematica, inmodo che il Popolo di Dio che è in Italiapossa sentirsi corresponsabile della vita,delle decisioni e della missione dellaChiesa, secondo l’antico principio percui «ciò che riguarda tutti, da tutti deveessere deciso» (San Cipriano). Anche imedia a disposizione della comunitàcristiana, a vari livelli, devonorappresentare fattori di comunicazione,discussione e partecipazione reale dellacomplessa e variegata realtà dellecomunità cristiane. Non sembrainattuale il monito di Pio XII secondo ilquale l’opinione pubblica va considerataparte vitale dello statuto della Chiesa,tanto che, se ne fosse priva, «qualcosa lefarebbe difetto».In questi brevissimi elementi iniziali diuna riflessione, noi abbiamo ricevutonuova forza e chiarezza dal Messaggio diBenedetto XVI per la GiornataMondiale delle Comunicazioni Sociali indata 25 gennaio 2006. Lo abbiamo lettoinfatti come un invito ad abbandonareuna lettura pessimistica dell’attualecongiuntura dell’informazione e dellacomunicazione, per quanto deplorevoline siano gli abusi e le deformazioni.Ciò non ci esime dalla consapevolezzacritica, una volta investiti del compito di«illuminare le coscienze degli individui eaiutarli a sviluppare il proprio pensiero,di essere protagonisti della verità epromotori della pace». Il potenzialetecnologico a disposizione dei medianon è mai stato così ampio, in tutta lastoria umana, ma come usarlo perchél’informazione sia più veridica e

rispettosa della dignità della persona,soprattutto dei minori e dei più deboli,sia accogliente dell’Altro, non simanipolino le coscienze dei cittadini invista di interessi partigiani, non sicostruiscano nuovi Muri di Berlino suscala globale, non si spengano i riflettorisu vaste aree del pianeta, non sialimentino i pregiudizi e gli odi religiosi,razziali, nazionali ed etnici, non siforgino stereotipi distruttivi edisgregatori, se non seminatori letalidello scontro di civiltà?È ben chiaro: non bastano la facilità el’immediatezza globale dello scambio diinformazione e di idee perché i mediasiano all’altezza del loro compito storico,quello di essere non disgregatori dellegame sociale, ma artigiani della unitàdel genere umano. Nel mantenersi inquesta direzione essi possono oggitestimoniare la loro natura di benipubblici, destinati a tutte le genti. Percitare di nuovo il messaggio pontificio, imezzi della comunicazione sociale «sonouna «grande tavola rotonda» per ildialogo dell’umanità, ma alcunetendenze al loro interno possonogenerare una monocultura che offusca ilgenio creativo, ridimensiona lasottigliezza del pensiero complesso esvaluta la peculiarità delle praticheculturali e l’individualità del credoreligioso. Queste degenerazioni siverificano quando l’industria dei mediadiventa fine a se stessa, rivoltaunicamente al guadagno, perdendo divista il senso di responsabilità nelservizio al bene comune.»I cristiani sono interpellati direttamente,e non solo a livello dei media, da tale

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prospettiva. La missione primordiale checi attende soprattutto nel mondo deimedia è quella di intraprendere unacampagna di mobilitazione per lasalvaguardia della libertà delle coscienzedei cittadini dalle nuove servitù indottedall’uso mercenario dei media. Semprepiù contrassegnato da concentrazioniproprietarie, un sistema mediatico conevidenti connotazioni imperiali su scalaglobale funziona largamente per ladistruzione dei significati e linguaggiplurali e la manipolazione dellecoscienze, onde obbedire alle leggi delmercato. Siamo spettatori quotidianidelle ricadute di questo sistema sullaautonomia effettiva dei soggetti, sullaformazione dei minori,sull’indipendenza dell’informazione,sulla ricerca della verità dei fatti, sullacapacità del linguaggio di essere segnosignificativo, per il valore aggiunto dellacultura e della professionalità.Non c’è dubbio che le coscienze deicittadini, soprattutto se minori, sono leprincipali vittime dell’intrusioneincontrollata nella sfera intima della vitadelle persone, della mercificazione delcorpo della donna, dellaspettacolarizzazione della violenza edella banalizzazione della stessa morte,dell’esaltazione dell’individualismo edell’impostura, della diluizione delconfine tra vero e falso. Non si puòsottacere infine che la corsa alla servitùvolontaria e all’adulazione anche fra gliintellettuali espone i media al rischio diessere ritenuti meri ingranaggi di unsistema in cui la verità sembra malata, senon democraticamente interdetta.Un dibattito si è aperto in Occidente, e

nel nostro Paese, specie dopo l’11settembre, sui doveri che incombono inuna congiuntura critica della liberainformazione nelle societàdemocratiche. Si è considerato conmaggiore e più condivisa sensibilità ilpericolo che, a causa dellaconcentrazione eccessiva dei media nellemani di pochi, e la riduzione delpluralismo informativo, lamanipolazione della verità, fino astravolgere il significato delle parole daparte dei potenti, ottunda la possibilitàper una società di formarsi liberamenteun giudizio. Il pericolo di unafalsificazione del linguaggio è unaperversione civile, che svuota i dirittielementari, riducendo il diritto alla forza.Questa esigenza ci interpella. Comecristiani. Come giornalisti. Fa emergerecon evidenza la necessità di incoraggiareun processo di autodifesa intellettualedei cittadini, mediante la formazione adun uso responsabile e critico dei media.Rende improrogabile la formazione diun’etica dei media e di nuovi strumentigiuridici più adeguati a fronteggiare ilneoliberalismo e la privatizzazione delmercato dei media. Consiglial’istituzione, da gran tempo invocatadall’Ucsi, di una Comitato Nazionale diMediaetica.

Di nuovo la Chiesa, a questotornante della storia, è chiamata a

giocare un ruolo liberatore, e lo potràfare soltanto se troverà il modo dichiarire dentro il sistema dellacomunicazione che quanto fa senso esegno non dipende dalla logicadell’appropriazione, che l’informazione

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non può essere trattata come una mercequalsiasi, che di sua natura essa è unbene pubblico (e non solo per il serviziopubblico) e che essa richiede pertantouno statuto pubblico, munito diappropriate garanzie di difesa daqualsiasi processo di privatizzazione. Lopotrà dare, inoltre, diventando più chemai -attraverso i propri organi dicomunicazione, grandi e piccoli-esempio di informazione veridica, liberae pluralista, come ogni informazionedovrebbe essere.Dobbiamo impegnarci, per quanto sta anoi, a bloccare questa logica devastatricee aiutare l’insieme dei comunicatori edegli utenti a non perdere la bussola nelcaos di segni divenuti insignificanti. Uncompito che appare pertinente allavocazione del Vangelo della libertà, inquanto incoraggia il cristiano aprovocare con la sua indipendenza,ribellarsi a ogni sorta di manipolazione edi pressione, essere colui cheprincipalmente mette in dubbio i sistemi,i poteri e le loro formule magiche, essereil testimone delle loro menzogne. Uncompito che mobilita una laicità che è esi vuole cristiana nella misura in cui salevare la voce in faccia ai potenti per lasalvaguardia e la promozione di valorifondamentali della convivenza civile.Ma la società stessa sembra avvertire ilbisogno che una forza trascendentemobiliti le risorse, sue e di tutti, affinchéuna nuova cultura dei media siapromossa e impegnata per farsi caricodella ricostruzione della cittadinanza,della promozione del dialogo, di unavisione favorevole allo scambio fra leculture, alla solidarietà e ai vincoli di pace

fra tutti i popoli.Allo stesso tempo noi dovremmomeglio vegliare in avvenire perché lanostra visibilità corrisponda alle leggidella discrezione evangelica in modo chenon succeda che, rincorrendo tutti imezzi, politici o finanziari, per esserepubblicamente notati, si ricada nellastessa servitù al mercato e mancanza dilibertà che segna gli altri media, comericordava Urs Von Balthasar, «il lievitoagisce scomparendo». Gratuità e umiltàgenuina dovranno essere lecaratteristiche di una missione cristianaconsapevole di essere stata sorda non dirado agli incitamenti dello Spirito, maanche alle sollecitazioni dei non cristiani.Anche questo stile può servire aricostituire il significato trascendente deisegni, il senso delle parole. Forse lavisibilità ha bisogno anche di recuperareil silenzio come linguaggio.

La proposta dell’Ucsi L’ampiezza delle sfide che l’attualemomento storico pone alla comunità dicredenti e alla società tutta,responsabilizza così, con urgenza, chi ,come giornalisti e comunicatori, sono, diquella comunità, lo specchio.Da operatori cristiani, alla vigilia diVerona, la domanda che dobbiamoporci non riguarda la maggiore ominore attenzione, nei circuiti dellacultura e della comunicazione, delProgetto culturale voluto dalla Chiesaitaliana, ma l’effettiva presenza eincidenza, in quei circuiti, della Propostacristiana. Questo crediamo, e non altro,sia lo scopo a cui il progetto è rivolto. Sitratta di sviluppare, qui, quella «nuova

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L’Ucsi lo fa con i mezzi che ha adisposizione: l’annualeRapporto,d’intesa con il Censis, sullacomunicazione in Italia; il trimestrale dicultura della comunicazione Desk; iforum e i dibattiti; il rapporto costantecon le articolazioni istituzionali dellaprofessione, ma innanzitutto, con quelladiscreta ragnatela di rapportiinterpersonali, tra giornalisti ecomunicatori, che, da decenni, è il valoreaggiunto di una associazione ramificatanel territorio.Ci sentiamo fortemente custodi di unpatrimonio prezioso di intelligenza e divalori. Sarebbe illusorio ritenere pero’che, un tale patrimonio, possa sussistereculturalmente, se non venga interpretatoe sviluppato dinamicamente. L’occhio èalle nuove generazioni, in particolare, digiornalisti e comunicatori, e a tuttoquell’esercito, oggi senza identità, chealimenta il grande circo comunicativonel paese.Con quali parole, quali strumenti, qualirapporti, spiegheremo a questi operatoridella comunicazione che il cristiano vivela situazione di chi sperimentacostitutivamente, nella quotidianetà dellasua esperienza, il paradosso dell’incontrodell’eterno con il tempo? Un incontroche non conosce limiti di esperibilità. Eanche se il suo luogo più proprio èquello della spiritualità e della preghiera,esso si impone, comunque, comeineludibile sul piano dell’esperienzastorica e politica, nell’orizzonte dellaconoscenza scientifica e della creazioneartistica, dell’esperienza morale edell’esperienza giuridica. Insomma,«comunicando» il messaggio che ha

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evangelizzazione» di cui ha parlatoinstancabilmente Giovanni Paolo II .Questa evangelizzazione non parte certoda zero, le radici cristiane nel paesesussistono. Ma in quel circuito, inparticolare, appare più che maiineludibile una domanda: la dimensionetrascendente cioè della persona umana,che va oltre la proposta di valori comegiustizia, pace e libertà.

È in gioco, oggi, qualcosa di piùoriginario che ci riporta al versanteoriginario e fondativo della nostrapresenza, da oltre 40 anni, nel panoramamediatico italiano e ripropone lanecessità, più che mai, nel nostro campod’azione di un grande dinamismoformativo che abbia il coraggio diinvestire sul futuro.Prendendo a spunto l’immaginetelevisiva, vera e propria icona di questitempi, non trascureremmo l’opinione dimolti, secondo la quale, oggi, i valoricristiani non riuscirebbero piu’ a tradursiin «immagini di vita». È proprio questo ilterreno su cui ci stiamo misurandoanche in rapporto con diverseesperienze professionali. L’enciclicaFides et Ratio ci ha stimolato allacreatività del pensare.Da giornalisti cattolici pensiamo chesiamo solo agli inizi di un camminoenormemente impegnativo, indicatofondamentalmente dal ConcilioVaticano II, per pensare ed esprimere ilmistero di verità e di salvezza, rivelato inCristo e fedelmente custodito dallaChiesa, in rapporto ai multiformisviluppi, alle difficoltà e alle crisi di unacultura sempre più planetaria e, alcontempo, sempre più frammentata.

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ricevuto e dando ad esso forma etica, ilcristiano «comunica» parole pronunciatee confinate nel tempo e nello spazio, macontestualmente «comunica» unmessaggio che va oltre il tempo e lospazio, possedendo i caratteri diquell’assoluto dalla cui fonte essoproviene. Una dialettica poco avvertitain epoche di compatta omogeneitàmorale, ma che appare, oggi, in tutta lasua evidenza paradossale. E che dunquenecessita di risposte forti. Appare, qui,ineludibile, come giornalisti cristiani,dare una risposta all’appello pronunciatoda Benedetto XVI. «Non si può - ci haricordato il Papa - non porre in evidenzail bisogno di chiari riferimenti allaresponsabilità etica di chi lavora neimedia, specialmente per quanto riguardala sincera ricerca della verità e lasalvaguardia della centralità e delladignità della persona. Solo in questecondizioni i media possono rispondereal disegno di Dio che li ha posti a nostradisposizione per scoprire, usare, farconoscere la verità, anche la verità sullanostra dignità e sul nostro destino di figlisuoi, eredi del suo regno eterno». L’Ucsiè consapevole, così, che le nuovefrontiere della comunicazione sono,certo, nuovi sistemi di garanzia, masono, innanzitutto, sistemi diresponsabilità degli operatori, neiconfronti del cittadino-recettore.Una opzione sull’etica dellacomunicazione, che dia forma politica avalori largamente condivisi sarebbe dinon poco vantaggio, non solo per lasocietà tutta, ma innanzitutto per tutti glioperatori in termini di autonomia,libertà, credibilità. Ma il solo richiamo

alla responsabilità individuale deglioperatori non basta ad assicurare lagestione dei processi di cambiamento incorso.È necessaria una presa di coscienzageneralizzata, alla quale non deve e nonpuò sottrarsi la Chiesa insieme alleaggregazioni laicali. La pastorale dellacomunicazione si rivela sempre piùimportante quale punto di riferimentosia per gli operatori dei media che per ifruitori di essi. Particolarmenteinteressante appare l’esperienza degli«animatori» di comunicazione nellearticolazioni territoriali. Occorreintensificare, e l’Ucsi è pronta a fare lapropria parte, l’azione apostolica, nellaconsapevolezza della nostraresponsabilità nella Chiesa e nellasocietà.Gli oltre 40 anni di storia dell’UnioneCattolica della Stampa Italianadimostrano che, la cooperazione deilaici, anche in questo speciale settore diintervento culturale, deve esserericercata e alimentata medianteun’attenzione pastorale rinnovata. Latradizione del giornalismo cattolico inItalia ha avuto un indiscutibile peso nellaformazione di generazioni di credentianimati da una forte fede. È unatradizione alla quale ci sentiamosaldamente ancorati. E per questo, ancheda Verona, non ci appare eccessivorilanciare un interrogativo. Dove val’informazione in Italia? Quali stradepercorre ? Quali pericoli registra ? Qualisono oggi gli strumenti di formazioneper una intera generazione dicomunicatori? Non è un dato retoricol’aver collocato il diritto all’informazione

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umana. Certo, oggi, avvertiamo il limitedell’analisi nel racconto dei nostri giorni.Nei giornali e nelle tv. Ma vogliamoinsieme, tutti insieme, individuare lenuove opportunità, più che subire glieventi. Discutere, da Verona, insomma,di futuro. Della difficile costruzione, digenerazione in generazione, del futuro.

(Si ringraziano in particolare Padre Pasquale Borgomeo, Consulente

Ecclesiastico UCSI e Giancarlo Zizola)

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al centro del nostro sistema giuridico,sociale, culturale, non è una forzaturaridefinirlo come diritto alla democrazia.Ma quale informazione oggi, per qualepaese? Verità, dignità, pluralità, sono leautostrade della nostra comunicazione.Certo, un sociologo come Bauman cidirà che «la società liquida deiconsumatori» non accoglie con favorenessuno di questi valori. Ma noi siamoostinati. Certo, non tocca solo a noioperatori la responsabilità di unatestimonianza. Agli editori chiediamoinvestimenti; alla politica, trasparenza; alsindacato, la difesa dell’autonomia. AllaChiesa, infine, giornalisti di unmovimento ecclesiale, di alimentare,sempre, la testimonianza della forzadello Spirito sulla fragilità dell’esistenza

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Massimo Milone,è giornalistaRAI. E’ PresidenteNazionale dell’UCSI

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erona e i cattolici?Produrre visioni difuturo. Ruolo digiornalisti ecomunicatori cattolici?

Intercettare, possibilmenteanticipandole, queste visioni di futuro.Con una certezza. Il cristianesimo e’una grande risorsa per il futuro delpaese. Poco? Non credo. Certo, le solecertezze che puo’ dare un giornalistasono i fatti. Niente e’ piu’ dimostrato dicio’ che e’ accaduto. E allora mi chiedo,perplesso come tanti, (pescando, adesempio, nel block notes degli ultimieventi mediatici) nella pubblicazionedella foto di un bambino mai nato, inprima pagina su un quotidiano, qualefatto sia stato aggiunto per agevolare illettore a capire, e quale completezza alracconto di un omicidio che parlava dasolo? L’interrogativo, sorta di metaforaper parlare della posta in gioco, vale perla cronaca e vale per tutto il raccontodella vita. Potremmo parlare di sport, odi politica estera, o di diritti di donne eanziani. Mille gli spunti dalle nostrecronache, mille le riflessioni per chi,ostinatamente, crede in una

professione con l’anima. Come noidell’Ucsi. Cosa significa oggi eticita’dell’informazione? Osservanza di meridivieti, accettazione di limiti? Oqualcos’altro. Andiamo a Verona, contutti i cattolici italiani, per chiederci sesia possibile riconoscere nella personaumana, insieme, il fine e la misuradell’uso dei media. Come Ucsi,proponiamo un documento che nascedall’esperienza corale dei nostri tantiassociati nel paese. Terreno diconfronto. Nessuna aprioristicacertezza. Apprezzo l’ammissione diresponsabilita’ della direzione delquotidiano che pubblico’ la foto delbambino, ma mi chiedo, da operatore,se oggi, tutti insieme, giornalisti,legislatori, esperti, opinione pubblica,possiamo lasciare soli chi informarispetto a scelte sempre piu’ difficili, eche investono la nostra esistenza. Enon entro nel merito della formazionedi giornalisti e comunicatori, lasciataancora oggi nel vago, con una legge diriforma dell’accesso ferma e la paleseritrosia della nostra categoria, igiornalisti, a dire, con chiarezza, chedobbiamo essere piu’ preparati, piu’

MASSIMO MILONE

INTERCETTARE IL FUTURO

V

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internet e all’interconnessione tramedia. Nel racconto della vita siprivilegia il dato marginale. Il trionfodell’apparenza. Senza arrivare aPopper, (che chiedeva patenti) nonesistono vincoli morali. Con lasuperficialita’, il cinismo e’ la piagadelle nostre redazioni. La societa’italiana, pero’, ci chiede un impegnoautorigenerante. Recuperando studio eumilta’, onesta’ e peccati di omissione,sudditanze e autocensure.L’informazione puo’ e deve esserefattore essenziale di sviluppo dellademocrazia e della coscienza civile delpaese. E nell’informazione italiana icattolici storicamente hanno avuto unruolo trainante. Certo, non tocca solo anoi giornalisti. C’e’ la responsabilita’della politica, degli editori. Alla Chiesa,giornalisti di un movimento ecclesiale,chiediamo di alimentare sempre piu’ latestimonianza della forza dello Spiritosulla fragilita’ dell’esistenza umana.Abbiamo nel cuore, ancora, il volto delPapa polacco che ci ha accompagnatonel Terzo millennio cristiano, simbolodi una comunicazione universale cheha promosso la dignita’ di ogni essereumano; abbiamo nel cuore il recentemonito alla responsabilita’ etica di chilavora nell’informazione di PapaBenedetto XVI. Negli anni ilgiornalismo, in Italia, ha raccontato esvelato, ha indicato vie di uscita. Poic’e’ stato un corto circuito. Orabisogna individuare, tutti insieme, sfideed opportunita’. Discutere, insomma,di futuro. Il lavoro che ci attende e’complesso ma non ci spaventa. Veronapuo’ essere tappa fondamentale di un

qualificati, piu’ coraggiosi nel reclamaredi pari passo autonomia e liberta’. Sesiamo consapevoli, per ritornare altema (interessera’ credo, tutti, aVerona) che, nel confine, tra interessi dimercato, codici, utopie, esiste un’areadi professionisti onesti e seri checredono nella responsabilita’individuale fondata sulla propriacoscienza, sul proprio vissuto, sullapropria cultura, ma che appareineludibile l’esigenza forte di tornareanche a una testimonianza in cui siaimmanente una esperienza di verita’.Non e’ questione di giornalismo laico ocattolico. Quale verita’ in piu’, semprecome esempio, sollevava quella foto?O quale verita’ sollevanointercettazioni legate a vicendepersonali che nulla hanno a che vederecon episodi oggetto di cronaca? L’Ucsinon ha soluzioni definitive, vuoleaprire un dibattito. In questo contestola redazione del documento. In unasocieta’ che rischia di avere nei mediauna sorta di specchio opaco, privo divalori forti, crediamo sia giunto ilmomento di assumersi responsabilita’precise. E’ forse oggi malato il nostrosenso della verita’? Verona (dove icattolici s’interrogano sul loro ruolonella societa’ italiana) puo’ servire a ungrande esame di coscienza. L’Ucsirilancia una idea nata anni fa.L’esigenza di dare vita ad un Comitatoper la Media Etica posto sotto l’egidadel Capo dello Stato. Con giornalisti egiuristi, ma anche psicologi e filosofi.Per affrontare temi nuovi edinquietanti che offre, oggi, la societa’dell’informazione. Basti pensare ad

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Angelo Sferrazza,è giornalista, es-perto di comuni-cazione. E’ Vi-cepresidenteNazionale dell’UCSI

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IL TEMPO DEL PENSARE

E DELL'AGIRE

ANGELO SFERRAZZA

on si potrà capire ilvalore di straordinarianovità del " IVConvegno EcclesialeNazionale" di Verona"

se non dopo aver ripercorso gliavvenimenti vissuti in questi ultimitrent'anni: per capirci, dal "ConvegnoEcclesiale" di Roma" del 1976 adoggi. E non è che in questi trent'annisiano accaduti fatti di poco conto.Verona ci indica dunque la strada dicome"comunicare il Vangelo in unmondo che cambia". Il problema èche il mondo è "già" cambiato, su tuttii fronti: da quello politico a quellosociale ed economico, da quelloculturale a quello religioso. Il mondonon è più rappresentato dalladivisione in blocchi, i ritmi dimutamento sono contraddistinti dauna continua accelerazione chepurtroppo non segue disegni unitari:creandosi così contraddizioni edisparità di ogni genere. Riappaionofantasmi del passato che sembravanoscomparsi e allungano la loro ombradi morte fenomeni parapolitici eparareligiosi che confondono le

menti, feriscono le coscienze e creanosituazioni di pericolo per la solidità ela coerenza delle istituzioni che siispirano ai principi della democrazia edella libertà. I valori e la forza dellereligioni occupano di conseguenza, inquesto inizio di secolo, spazi nuovi eruoli per certi versi, inattesi. Fannosorridere le analisi di uno dei capidel'68 francese che annunciava lascomparsa dalla società della religione!E questo fenomeno va guardato conmolta attenzione, seguito con pazientecautela e valutato nella sua corretta egiusta importanza. E certamente sonoproprio i cattolici, mutuando untermine che è più del lessico dellosport e della politica, che dovranno"giocare un ruolo"rilevante. Come cihanno ricordato gli altri convegni, diRoma (1976) di Loreto (1985) e diPalermo (1995), c'è nel fare deicattolici un qualcosa di anticipatorio,una lucidità analitica coraggiosa e unacapacità propositiva robusta esaldamente innovativa. La dottrina e idocumenti che ereditiamo da PaoloVI e Giovanni Paolo II ed oraarricchiti dal nuovo Pontefice

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sono tante e incontrovertibili: bastarifarsi agli ultimissimi avvenimenti dicui ancora sono piene le cronache o diqualche tempo fa come la vicendareferendaria. Il valore della parolaprimeggia fra tutti e quindi il nostroimpegno deve essere predisposto ache essa giunga in modo corretto e,ancor più, convincente. La Chiesa sista avviando ad affrontare unconfronto come mai nel passato èaccaduto, un confronto su tutti i temiche rendono la società odiernainquieta e turbata, alla ricerca di solidipunti di ancoraggio. La sparizionedelle ideologie, malattia aberrante delXX secolo, il talvolta perverso poteredel mercato quando non è sottopostoa regole, le fragilità del pensiero e lesupponenze della scienza, rendonocedevole la struttura sociale e diriflesso il prodotto dellacomunicazione. La Chiesa, sostenutadal pensiero di Benedetto XVI edall'insegnamento di Paolo VI eGiovanni Paolo II è attesa dai tantiche si sentono persi. Pesante, dunque,il compito dei laici, soprattutto dicoloro che operano nei mezzi dicomunicazione. Con umiltà ecoraggio risponderanno alla chiamatache certamente verrà da Verona.

Angelo Sferrazza

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Benedetto XVI, ci consentono diagire solidamente e guardare, conspirito sereno e coraggio, laquotidianità del nostro rapportarsicon gli altri. In spazi che sempre più siallargano, che si manifestano in formesempre più mutevoli e che richiedonoun'attenzione alta e una estesaconoscenza. Le parole stesse hannocambiato il loro significato e ladialettica è resa ancor più difficiledalla mutevolezza degli interlocutori espesso dalla volubilità del loropensiero, ma ancor più spesso daimezzi a loro disposizione, non solo dicarattere economico e finanziario. Lanostra associazione, l'UCSI, è fraquelle in prima linea perché partecipedi quel "grande gioco" che è oggi ilmondo della comunicazione. Ed èproprio la comunicazione iltermometro del cambiamento, ilmegafono, talvolta stridulo, dellemolte voci che cercano di influenzarele scelte, modificare i comportamenti,sostenere le scelte politiche in ognimodo e senza ritegno. Veloce, mamutabile, incapace di seguire i fatti e diapprofondirli, presa com'è dallenovità che ingordamente distruggonoil passato del giorno prima. Conquesto mondo, a cui le nuovetecnologie aggiungono forza epenetrazione, bisogna confrontarsi:con media di elevata qualità, con unarete estesa e capillare, con solidecapacità professionali. Lacomunicazione religiosa oggi giungedi riflesso, mediata e spesso"sterilizzata", talvolta confusa eincompleta. Le prove di questa realtà

Lacomunicazioneè il termometrodelcambiamento, ilmegafono,talvolta stridulo,delle molte vociche cercano diinfluenzare lescelte,modificare icomportamenti,sostenere lescelte politichein ogni modo esenza ritegno.

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Giorgio Tonelli,è giornalistaRAI. E’ Segre-tario Nazionale dell’UCSI

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GIORGIO TONELLI

è chi dice che, se SanPaolo vivesse oggi,farebbe il giornalista.L ’ a p o s t o l o ,evangelizzatore per

eccellenza, invece di andare a piedi per lepiazze del mondo greco e romano,disputando con i filosofi ateniesi opredicando ai mercanti di Corinto, oggipropaganderebbe il Vangelo dalle paginedei giornali, dagli schermi delle Tvoppure dai siti di Internet. Ma sarebberealmente tutto così semplice? E’proprio vero che tutto dipenda dallabuona volontà degli operatori dei media?Certo, i media possono essere anchebuoni e se gli operatori sono uomini dibuona volontà, tanto meglio! Ma non èsufficiente. Perché fra i media e glioperatori c’è il «sistema commerciale epolitico dell’informazione».Cioè i media sono soprattutto strumentiper la costruzione del consumo o delconsenso. Sono dunque una merce,sicuramente particolare. I media infattivendono idee, opinioni, valori, stili divita e di comportamento. Una merce chedipenderà sempre più dal mercatopubblicitario.

Ormai le vendite e i dati di ascoltocontano solo per fissare la tariffa dellapubblicità.Dunque, quando si parla ‘male’ deigiornalisti (lo fanno un po’ tutti, vescovicompresi) bisognerebbe spostarel’attenzione al sistema dei media. Perchése il giornalismo cerca la verità, i mediavendono la verità esistente.Se il giornalismo cerca di comprendere,anche poco, la natura umana, i media‘utilizzano’ la natura umana. Se ilgiornalismo si rivolge ai cittadini, i mediasi rivolgono ai consumatori. Se ilgiornalismo vuole informare, i mediavogliono solo divertire (e convincere).Per il celebre reporter polacco RyszardKapuscinski «I media non sonointeressati a rispecchiare la realtà delmondo, ma a competere fra di loro».Questo non significa assolvere igiornalisti, categoria non certo esente dapeccati. Ma significa cercare dicomprenderli, ed aiutarli se possibile nelmomento in cui la professione èattraversata da forti cambiamenti egrandi divisioni. In poche categorieprofessionali come i giornalisti èavvertibile il conflitto fra generazioni,

GIORNALISTI MEGLIO RACCORDATI

CON L’OPINIONE PUBBLICA

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con i «vecchi» al riparo di robusti sistemidi garanzia salariale e previdenziale ed i«giovani» alle prese con retribuzioni dafame ed un futuro estremamenteprecario. C’è poi lo scontro fra redattoridi testate forti e testate deboli, fra chilavora solo al desk e chi ogni mattinadeve uscire e - se piove - bagnarsi lescarpe alla ricerca della notizia, delladichiarazione, del fatto di cronaca.Anche la figura del direttore è cambiata.Un tempo era il garante dell’autonomiadella redazione. Oggi è il cavallo di Troiadell’editore o, spesso in Rai e in certigiornali, del proprio partito diriferimento.

Giornalismo e pre-evangelizzazioneIl convegno ecclesiale di Verona nelsollecitare testimonianze di speranza inCristo Risorto auspica una nuovaprimavera del laicato. Come giornalistiche trovano «ispirazione nel servizio allepersone, nel Vangelo e nel Magisterodella Chiesa»(art.1 Statuto Ucsi) cisentiamo a volte in una terra di confine,quasi di missione. Consapevoli che imedia (anche quelli cristianamenteispirati) non servono direttamente perl’evangelizzazione, ma rappresentano ilprimo contatto. Possono, in certi casi,essere luogo privilegiato per una pre-evangelizzazione affidata alle nostreparole, ai nostri microfoni, alle nostreimmagini. Certo, la logica dei media èspesso compromissoria. E i giornalistinon sono anime candide. Hanno ancheloro passioni, ambizioni, desideri. Efanno quotidianamente i conti con lapropria coscienza. Spesso dicono degli‘incauti’ sì! (anche i giornalisti ‘tengono

famiglia’), ma, a volte, anche dei no! Esono dolori. In un settore dallaconcorrenza spietata, ci sono altri diecicolleghi che aspettano fuori dalla porta,pronti anche al ‘lavoro sporco’ ….Anche la Chiesa possiede propri media.Ma le regole del Mercato (perché ognimedia vive nel Mercato e non nelTempio) spesso non coincidono con leesigenze di una esemplarità cristiana. Edunque, in un mondo dominato dallaBabele dei linguaggi, la Chiesa puòrischiare di rimanere afona? Oppuredeve accettare la sfida del Mercato, fattadi una informazione a volte ridondanteo ad alta conflittualità spesso solovirtuale? L’esperienza insegna che imedia, quando sono troppo ‘controllati’sono privi di interesse. Vanno inveceaffidati, quando è possibile, a giornalistiprofessionisti. La stessa proprietà deimedia ‘cattolici’, in certi casi, forse èopportuno che sia affidata a gruppi dicristiani, ad associazioni o a movimentipiuttosto che direttamente ai singoliVescovi o alle stesse ConferenzeEpiscopali.

Una nuova stagione di impegnoCi aspetta un futuro ricco di incognite edi responsabilità. Dove ilriconoscimento di ogni identità devealimentarsi con il dialogo senza mairidursi in un relativismo passivo. E doveil sistema della comunicazione, semprepiù immerso nel ‘villaggio globale’ dovràdare un importante contributo alrispetto, alla tolleranza, allacomprensione fra le genti. La difesa delprimato della persona, la tutela dei dirittidei minori, la coesione sociale,

L'esperienzainsegna che imedia, quandosono troppo'controllati' sonoprivi di interesse.Vanno inveceaffidati, quandoè possibile, agiornalistiprofessionisti.

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l’incompatibilità con ogni forma dipubblicità, fanno (o dovrebbero) già farparte del ‘bagaglio’ di ogni giornalista. El’Ordine professionale, pur con tutti isuoi acciacchi, è da sempre impegnatonel difendere il cittadino anche da un usoscorretto del potere di informare. Maoggi occorre qualcosa di più. Aigiornalisti serve soprattutto una maggiortutela dell’autonomia edell’indipendenza ed un migliorraccordo con l’opinione pubblica che-spesso più a parole che nei fatti- sidichiara di voler servire. E insieme serveuna maggior tutela della professionegiornalistica. Le recenti vicende digiornalisti pedinati e intercettati, nelcorso dello svolgimento delle loroinchieste, aprono scenari inquietanti.Come giornalisti cristianamente ispiratici preoccupa inoltre contribuire allosviluppo di una cultura e di un’etica della

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comunicazione sociale. La storia diquesti ultimi anni ci ha ampiamentedimostrato più volte che il consenso simanipola, il consenso muta e soprattuttoobbedisce allo spirito del tempo, che avolte può anche essere uno spirito dibarbarie.Promuovere momenti di formazione edi lettura dei mass media significadunque anche aiutare l’opera didiscernimento e contribuire alla libertàda ogni condizionamento. Così come èimportante, per gli associati, favorire unamaggior formazione culturale, maidisgiunta dall’esigenza di rafforzare unpercorso spirituale interiore, anche comeaiuto per meglio interpretare i ‘segnali disperanza’che pure lievitano nel mondo,ma che sono spesso nascosti da millevanità e dall’inquietudine e dalpessimismo del tempo presente.

Giorgio Tonelli

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Aosta - Giornalismo: professione o mestiere

Si è parlato di giornalismo, della necessità di regole, di etica e di deontologia dei co-municatori ed ancora di privacy tra diritto di cronaca e dignità della persona, saba-

to 20 maggio, ad Aosta, nella sala del Cinema Teatro de la Ville, durante il convegnonazionale «Giornalismo: professione o mestiere?» promosso su iniziativa dell’UnioneCattolica della Stampa Italiana, che ha così iniziato le manifestazioni per ricordare iventicinque anni di attività e i vent’anni della costituzione dell’Associazione regionale.Alla manifestazione coordinata dal presidente del Circolo valdostano della Stampa,Maria Grazia Vacchina, hanno aderito l’Ordine dei Giornalisti, l’Associazione Stam-pa Valdostana e il Circolo Valdostano della Stampa, l’Ufficio diocesano della Culturae delle Comunicazioni Sociali mentre hanno dato il loro patrocinio la Presidenza del-la Giunta regionale e il Premio Saint-Vincent di Giornalismo.Prima dell’inizio dei lavori, introdotti dal presidente regionale U.C.S.I., hanno portatoi saluti: il presidente della Giunta regionale Luciano Caveri, il sindaco di Aosta GuidoGrimod, il presidente dell’Ordine regionale Anna Nigra, il presidente dell’Associ-azione Stampa Giorgio Macchiavello, il vescovo di Aosta mons. Giuseppe Anfossi, ilcapo ufficio stampa del Casinò de la Vallée Marco Fiore.Nel suo intervento Lorenzo Del Boca, presidente dell’Ordine nazionale dei Giornal-isti ha ricordato che nell’ultimo anno e mezzo i giornali italiani hanno perso un mil-ione e quattrocento mila copie tornando come distribuzione ai livelli del 1956 quan-do metà della popolazione italiana era analfabeta.«Certo è - ha proseguito Del Boca - che i giornalisti in questo momento, non stannodando il meglio di sé stessi, più attenti ai pettegolezzi che ad essere controllori; trop-po contigui ai poteri che al servizio del cittadino»Pino Nardi, dell’esecutivo della Federazione nazionale della Stampa Italiana, ha parla-to di un rinnovo contrattuale difficile evidenziando la necessità di regole e di libertà.Paolo Scandaletti, docente di etica della Comunicazione alla Facoltà di ScienzePolitiche della LUISS, dopo aver ricordato il potere dei mezzi di comunicazione, haillustrato l’etica della responsabilità e la deontologia dei comunicatori auspicando«professionisti completi, colti, capaci di lavorare in gruppo, veri manager delle idee».Il presidente dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali FrancescoPizzetti entrando nel vivo del cronaca ha parlato delle intercettazioni telefoniche iner-enti il calcio: «Il fatto che alcune informazioni siano pubbliche non significa che sianopubblicabili. Non so cosa potrebbe decidere l’Autorità - ha proseguito - nel caso incui venisse interpellata ufficialmente sull’argomento, ma è evidente che alcune delleintercettazioni riportate dai giornali fanno riferimento a circostanze che non hannonulla a che fare con le problematiche inerenti lo scandalo del calcio e all’esigenza diinformazione su questo specifico argomento».Il professor Pizzetti dopo aver accennato alla legge sulla privacy, ha evidenziato alcu-ni punti di riferimento sicuri per i giornalisti che fanno cronaca: tutela del domicilio,della fonte, dei minori, dei dati sanitari, della dignità della persona, senza dimenticarela lealtà nell’acquisizione delle varie informazioni. Ai lavori erano presenti gli studen-ti di alcune classi del «Manzetti» di Aosta che hanno avuto così la possibilità di parte-cipare alla seconda edizione del Premio «Ufficio Cultura e Comunicazione Sociali -U.C.S.I Valle d’Aosta».

(Ezio Bérard)

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Bologna COMPA 2006

Sono già on-line le anticipazioni sulle numerose iniziative in programma dal 7 al9 novembre al Salone Europeo della Comunicazione Pubblica di Bologna. Eu-

ropa, Multiutilities, Università e Formazione, No Profit e Politiche Sociali, Co-municazione Politica e Nuove tecnologie sono i grandi temi sui quali COM-PA haintenzione quest’anno di avviare un proficuo dibattito. L’obiettivo, come si leggedal comunicato stampa, è quello di «verificare quanto è stato fatto e quanto an-cora occorre fare in termini di servizi ai cittadini e alle imprese, innovazione e am-modernamento della pubblica amministrazione, armonizzazione delle politiche edelle scelte rispetto all’Unione europea».Il programma, facilmente consultabile attraverso una maschera di ricerca per pa-rola chiave o categoria, anticipa alcuni degli eventi speciali previsti dalla manife-stazione, come il confronto su «Donne e media», promosso in collaborazione conla Commissione Pari Opportunità della Federazione Nazionale Stampa Italiana,«Lo scaffale di comunicazione pubblica - Un libro all’ora» e il «Premio Europa2006», che concluderà l’evento, per omaggiare una personalità del mondo dellapolitica, dell’economia o della cultura distintasi per l’impegno nella sensibilizza-zione e diffusione dei valori e degli ideali europei. Da ricordare anche il «PremioObiettivo Comunicazione», alla sua seconda edizione, volto a presentare i progettidei futuri comunicatori ispirati ai temi della cittadinanza, delle Istituzioni europeee delle opportunità di studio, lavoro, scambio, sviluppo economico e sociale of-ferto da un’Europa allargata.

(Camilla Rumi)

Roma - Giornalisti: al via il dibattito sulla riforma dell’Ordine. Presentato il pdl Capezzone

Presentata in Parlamento la proposta di legge sull’abolizione dell’Ordine dei giornali-sti, che vede come primo firmatario il segretario dei Radicali Daniele Cappezzone a

cui ha fatto seguito il dibattito della categoria per arrivare ad una proposta con cui anti-cipare la politica.La semplice illustrazione del Pdl Capezzone era bastata ad aprire, nel mese di agosto, unaccesso dibattito tra politica e rappresentati dei giornalisti, sul futuro dell’Ordine.Per non far cadere la provocazione e aprire «un dibattito serio a cui dovranno seguire ini-ziative forti, insieme all’Ordine, per avanzare proposte alla politica italiana», ha spiegatoil segretario nazionale Fnsi Paolo Serventi Longhi, sulla questione, si sono messi intornoad un tavolo, il 19 settembre scorso presso la sede nazionale della FNSI, il presidenteFranco Siddi e il segretario Fnsi, il segretario del Consiglio nazionale dell’Ordine dei gior-nalisti, Vittorio Roidi e lo stesso Capezzone. A promuovere l’inizitiva Autonomia e Soli-darietà, la componente Fnsi a nome della quale ha preso la parola Gianni Scipione Ros-si, coordinatore nazionale per chiedere prima di tutto che «le cose cambino e che in que-sto cambiamento i giornalisti dicano la loro».Il punto di partenza, da tutti condiviso, è che «la legge istitutiva dell’Ordine non sta piùin piedi, e sono anni che lo diciamo», ha spiegato ancora Serventi. A suo avviso però«vanno fatte proposte serie perché la professione di oggi con quella legge ha in comunesolo i principi di saper scrivere bene un articolo e non dare notizie false». Per il segreta-rio del sindacato è importante arrivare ad una riforma, «evitando chiusure a riccio», pri-

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ma di tutto perché ci si trova in una situazione in cui «si vuole comprimere la libertàd’informazione. Oggi - ha aggiunto - è quasi impossibile fare informazione giudiziariasenza avere il computer sequestrato dalla magistratura. Quest’estate ci sono stati almeno10 casi, abbiamo avuto poi la legge sulle intercettazioni che noi non condividiamo, e nonsi ha invece il coraggio di perseguire seriamente i magistrati che danno le informazioni.Andiamo dal Ministro Mastella perché noi vogliamo continuare a fare i giornalisti».Serventi, Siddi e Scipione Rossi, hanno puntato il dito sull’incapacità dell’Ordine di pren-dere provvedimenti e in tempi adeguati. «Non possiamo avere organismi di categoria de-putati solo alla difesa di tutti i giornalisti - ha aggiunto il segretario Fnsi - mentre dob-biamo essere severi con chi ha gettato fango sul giornalismo italiano negli scandali degliultimi tempi».Su questo, secondo il presidente Fnsi Siddi, «ci potrebbe essere anche la possibilità di in-tervenire con un decreto legge, per fare la riforma di articoli come il 49, a proposito de-gli interventi in caso di violazione della deontologia. Ad esempio per cacciare via subitoRenato Farina che andrebbe immediatamente radiato dall’albo. Bisogna poi introdurre ilGiurì dell’informazione, sulla linea di quello nato e presto scomparso, del ‘94. Bisognaavere la possibilita’ di intervenire, quando ad esempio ci sono violazioni della privacy, an-che in tre-quattro giorni». Tutto questo per lui potrebbe chiamarsi anche «Pippo, o me-glio Consiglio dell’informazione libera e democratica, ma deve esserci per garantire ac-cesso qualificato, segreto delle fonti, autonomia e appunto un Giurì».«La proposta di legge che oggi è stata formalmente depositata - ha spiegato da parte suaDaniele Capezzone - ricalca lo schema adottato da tanti e dalla Francia in particolare: siagiornalista chi lo fa effettivamente e per questo merita il tesserino. Non dimentichiamochi, come Antonio Russo, ha fatto il giornalista senza avere una tessera in tasca». Il Pdlparte da alcune domande: «Perché l’Italia è quasi l’unico paese ad avere un Ordine e no-nostante questo le classifiche sulla libertà di stampa non la vedono certo in posizioni lu-singhiere? Come mai - ha chiesto Capezzone - non c’é la severità che ad esempio esistein Gran Bretagna nonostante lì l’Ordine non esista? Perché si interviene su Mara Veniero la Ventura ma non si è abbastanza solerti quando si tratta di questioni delicate come cal-ciopoli o le intercettazioni?» Alle argomentazioni di Capezzone, ma anche a quelle del sindacato, ha risposto VittorioRoidi a nome dell’Ordine dei giornalisti, ammettendo in primo luogo che «la legge al mo-mento non consente interventi rapidi di tipo deontologico, e se sospendiamo mister Be-tulla lui domani può fare ricorso al Tar. Le leggi non le facciamo noi ma abbiamo i cas-setti pieni di proposte, abbiamo fatto quello che potevamo fare». Secondo Roidi bisognacapire «quali sono gli obiettivi e con che cosa si sostituisce l’esistente». Non si sostituiscea suo avviso con la proposta di legge di Cappezzone che «apre ai somari mentre l’acces-so alla professione deve essere per quelli che hanno almeno una laurea triennale, perchécosì dice l’Europa». Né per Serventi si sostituisce dando il potere sanzionatorio alle Au-torità, come quella della privacy o quella per le garanzie nelle comunicazioni «che sonoscarsamente indipendenti dalla politica». (Rosa Maria Serrao)

Firenze - Ucsi Toscana: il giornalismo nel servizio pubblico. Ricordo di Federico Scianò

Il quinto anniversario della morte del giornalista Federico Scianò è stato ricordato nelcorso di una giornata di studio tenuta il 29 settembre scorso nella sede Rai di Firenze.

L’iniziativa, organizzata da Ucsi Toscana in collaborazione con Ordine Giornalisti dellaToscana, Associazione Stampa Toscana e Usigrai, ha visto gli interventi del giudice costi-

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tuzionale Ugo De Siervo, che ha sottolineato come il settore radiotelevisivo non possariguardare esclusivamente il diritto d’impresa, il presidente «Comitato tv e minori» Emi-lio Rossi, che ha portato l’attenzione sulla responsabilità di chi confeziona i messaggi te-levisivi ricordando che esiste anche la responsabilità di chi li riceve, che non deve esserepassivo. Il segretario nazionale Usigrai Roberto Natale, che ha ribadito l’importanza diriflettere con particolare attenzione sulla Rai, in un momento delicato per il futuro di unagrande azienda, troppo spesso minacciata dalle cattive ragioni di una cattiva politica.Il di-rigente Rai Andrea Melodia, che ha proposto l’utilizzo del digitale terrestre per svilup-pare il rapporto il territorio. Il vescovo di Prato Gastone Simoni, delegato alle Comuni-cazioni Sociali dei vescovi toscani, ha concluso il ritratto di federico Scianò ricordandoche il bene comune non può essere affidato al mercato.Numerosi anche gli interventi programmati, intervallati dalla proiezione di spezzoni di re-portage televisivi svolti da Scianò.«La circostanza che proprio oggi i giornalisti siano in sciopero per difendere la qualità delloro lavoro - ha sottolineato Mauro Banchini, presidente Ucsi Toscana - è fortuita, maè anche fortunata e tale da rilanciare l’originalità di un incontro pensato non come il so-lito convegno ma come uno strumento per aiutare ad una severa riflessione sul giornali-smo nel servizio pubblico e per aumentare la consapevolezza sul diritto dei cittadini aun’informazione non schiavizzata alle logiche di mercato». (R.M.S.)

Milano - Nasce l’annuario della Free Press con tutti i numeri del mercato

Nasce l’Annuario della Free Press, la guida che raccoglie informazioni sul mondo dellastampa a distribuzione gratuita, mercato che Italia vale oltre 2 miliardi di copie l’anno.Con più di 80 schede tecniche, suddivise tra quotidiani, settimanali, mensili e altri perio-dici, e un’appendice con i dati di sessanta testate, l’Annuario rappresenta il primo tentati-vo di censire il mercato italiano della free press con l’obbiettivo di fornire una fotografiadella sua composizione e dimensione e di monitorarne nel tempo sviluppo ed evoluzio-ne attraverso un aggiornamento trimestrale.I dati raccolti evidenziano che accanto ai grandi quotidiani gratuiti a tiratura nazionale,che non rappresentano più del 50% del totale delle copie annue distribuite, esistono ol-tre 100 testate periodiche che compongono complessivamente l’altra metà del comparto.

La realizzazione della guida è promossa dall’Associazione della free press, associazionenata nel 2005 con lo scopo di sostenere lo sviluppo della free press e creare un’istituzio-ne di rappresentanza degli operatori del mercato capace di offrire servizi agli associati etutelarne gli interessi.Come spiega Marco Bracaglia, presidente dell’Associazione «l’Annuario rappresenta ilprimo passo per la realizzazione di questo nostro progetto. Prima di muoverci in qualsia-si direzione, era necessario esaminare il settore per cercare di conoscerlo».La guida, contenente i dati di tutti coloro che hanno aderito all’iniziativa verrà distribuitagratuitamente in 10.000 copie a tutti gli associati, ai centri media, ai maggiori investitoripubblicitari e a tutti gli addetti del settore. «Crediamo che l’Annuario - ha concluso Bra-caglia - possa contribuire a far acquisire alle testate free press maggiore credibilità ed au-torevolezza presso il mercato» conclude Bracaglia.

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LIBRIRECENSIONI

Se è vero che «non esiste oratore senza pubblico», è altrettanto vero che un pubblico siraduna là dove e allorquando c’è un oratore che lo meriti davvero. Sono queste le due

modalità di lettura dell’accattivante libro della Muzzarelli: storica della città, con estensionequanto meno alla storia della comunicazione verbale. Ovvero di quei lunghi secoli che han-no preceduto l’invenzione di Gutemberg: alla cui vigilia fa la sua comparsa uno degli esem-plari di maggiore successo, quel frate Bemardino da Feltre che radunava in piazza a Pado-va fino a quattordicimila persone.Oggetto di questo testo è dunque la storia dei predicatori medievali in quanto comunicato-ri di grandissima efficacia. Un’attenta disamina della loro preparazione, dei metodi esposi-tivi in uso (compreso il far leva sulle paure e il servirsi di ‘effetti spaciali’), di quali relazionisi instaurassero con le popolazioni di riferimento; se e quanto ne venissero influenzati icomportamenti o si esercitasse un ascendente sui potenti dell’epoca, o al contrario se su-bisse il condizionamento.L ‘intento originario era indubbiamente spirituale, trattandosi soprattutto di frati: ma nonv’è dubbio che per le virtù di volta in volta promosse e il tipo di rapporti fra i cittadini in-coraggiati, era anche un modello di società che si andava proponendo: meno superstiziosae più razionale, meno egoista e più solidale (se proprio da qui vennero promossi i Monti dipietà per combattere l’usura, gli interessi e lo strapotere dei banchieri-signori, o le miseri-cordie per soccorrere l’indigenza).La ricostruzione del profilo del predicatore comprende certo i libri della sua formazione equelli che leggeva - pochissimi, perchè difficili da portare con sé, a piedi o a dorso di mulo- l’ abilità nel modulare la voce e nel servirsi del lessico più efficace e della lingua volgare,la gestualità del corpo, i dialoghi con gli ascoltatori. La prolissità praticata da molti, lungi dalrafforzare i concetti, si rivelava anche allora controproducente, perchè faceva addormenta-re gli astanti: san Bernardino da Siena fece un seminario proprio su «come si fa una predi-ca». L ‘incisività e l’efficacia preoccupavano invece i potenti: Piero de’ Medici osservava co-me il frate di Feltre avesse la capacità di «condurre quel popolo alle sue voglie». Un con-tropotere a tutti gli effetti, prima contrastato e poi invocato.La loro stessa scelta di vita era trascinante e persuasiva: a cominciare da Francesco che la-sciò famiglia ricca, abiti sontuosi e abitudini gaudenti pur senza troppa istruzione, facendo-si seguire da molti della sua stessa classe sociale; così come fece in parallelo Chiara con leragazze della buona società di Assisi e poi di Europa.In queste storie - nate ben prima dei giornali, della radio e della tv- sono rintracciabili sug-

M. GIUSEPPINA

MUZZARELLI

Pescatori di uomini Ed. Il Mulino pp. 315, � 22,00

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gerimenti preziosi anche per quanti oggi rincorrono i voti degli elettori. Storie fondate sul-la parola, più che sull’immagine: sulla parola credibile, supportata dai semplici comporta-menti. (Paolo Scandaletti)

«Cosa farò da grande» o meglio «con una laurea in Scienze della Comunicazione cos’è chepotrò fare?». Sembrano domande dalla facile risposta, ma per uno studente che si accin-

ge a studiare o che si è laureato in Scienze della Comunicazione non è sempre così facile,perché, come sottolinea Arjuna Tuzzi, autrice di questa importante ricerca, svolta pressol’Università degli Studi di Padova, su di un campione rappresentativo di laureati tra il 2001e il 2004 e appartenenti al vecchio ordinamento, la comunicazione è una forma mentis piùche un profilo professionale, un’attitudine più che una competenza, che si apprende comemetalinguaggio dal complesso di stimoli ricevuti sia in ambito didattico e accademico cherelazionale ed esperienzale. La figura del laureato in Scienze della Comunicazione si delineacome quella di uno specialista della complessità: egli potrà gestire la non-univocità degli og-getti con cui si confronta (in termini di simbolo, significato e significante) inserendosi in uncontesto che può essere non sempre facilmente comprensibile per mancanza di informa-zioni complete oppure troppo ricco e ridondante e quindi difficile da gestire.L’autrice evidenzia come la comunicazione risulti essere ancora un oggetto di studio, uncampo di applicazione, un terreno di confronto per studiosi provenienti da diverse discipli-ne, per cui non è ancora considerata essa stessa una disciplina, sfuggendo a tentativi di de-finizione omnicomprensiva. Forse, proprio questa natura interdisciplinare che caratterizzail campo della comunicazione implica la possibilità di costruzione di un linguaggio comu-ne, per cui i laureati in Scienze della Comunicazione dovrebbero trovarsi nella situazione dimediatori, avendo gli strumenti per interagire con gli specialisti di altri campi ed essendo isoggetti più indicati per la diffusione di questo metalinguaggio. In altre parole per far par-te di questo corso di laurea bisogna possedere una certa predisposizione, così come avvie-ne per altri ambiti disciplinari, in quanto, proprio per il fatto che si tratta di un corso gene-ralista e interdisciplinare, non significa che sia adatto a chiunque: chi si è trovato bene, den-tro il corso di studi prima e fuori nel mondo del lavoro poi, possedeva già una propria for-ma mentis e, in generale, un modo «creativo» di pensare a se stesso. Per cui è possibile trac-ciare due categorie di laureati che, nell’ambito della comunicazione, sembra abbiano avutosuccesso: i laureati pragmatici, cioè quelli che sapevano già cosa fare avendo le idee piutto-sto chiare, e hanno adattato il percorso di studi e le esperienze lavorative alla proprie aspi-razioni, trovando precocemente la propria strada con soddisfazione; i laureati flessibili do-tati di uno spirito molto indipendente, felici di adeguarsi a situazioni lavorative diverse,adottando una strategia che riproduce un modo di essere, caotico e creativo, che mal si adat-terebbe a posizioni più stabili e vincolanti e che trovano successo proprio nella flessibilitàche esso comporta. A metà strada tra queste due categorie vi sono coloro che non hannouna particolare predisposizione, orientati al posto fisso e che vivono la propria condizionecon profonda insoddisfazione.La ricerca, che si avvalsa sia di interviste in profondità che di questionari, come metodi diindagine, offre una visione tangibile di quale sia la situazione intra e post universitaria (li-mitatamente all’Università degli Studi di Padova, ma che può essere facilmente esportata an-

ARJUNA TUZZILe cento profes-sioni della Co-municazioneCarocci Editore, Ro-ma, 2006pp. 191, � 18,00

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che in altri contesti), offrendo soprattutto la prospettiva di coloro che hanno investito il lo-ro futuro in questo campo. Le numerose testimonianze riportate risultano essere una otti-ma linea guida per quelli che hanno intenzione di cimentarsi nel corso di laurea in Scienzedella Comunicazione; allo stesso modo l’appendice conclusiva del volume, nella quale sonoriportate sotto forma di glossario, le principali professioni legate alla comunicazione, frut-to anche di quanto detto dagli intervistati, risulta essere di orientamento agli studenti lau-reati o laureandi, al fine di creare un punto di contatto con il mondo del lavoro, e spiegarecosa ci sia dietro a nomi che contraddistinguono certe figure emblematiche del mondo del-la comunicazione. Le schede dell’appendice, organizzate per categorie, oltre a presentare lafigura professionale in termini di ruolo, inquadramento, responsabilità, mansioni, settore eluogo di impiego, riportano indicazioni sulle competenze che i laureati ritengono di utiliz-zare di più nello svolgimento della loro attività.Al contempo, è un utile promemoria per coloro che si occupano di disegnare e organizza-re i percorsi didattici di questo corso di laurea, al fine di comprendere sia le aspettative chesono riposte negli studenti che lo seguiranno, e gestire, quindi, al meglio gli elementi di cri-ticità, sia gli scenari occupazionali che si stanno delineando in maniera sempre più netta at-torno a questo ampio settore, proponendo un’offerta didattica adeguata, affinché il laurea-to in Scienze della Comunicazione possa competere con laureati che hanno preparazionipiù specifiche rispetto al lavoro ambito e possa vincere questa concorrenza solo giocandola propria specificità. (Igor Scognamiglio)

Nell’ambito dei testi «istituzionali» dedicati alla comunicazione e alle pubbliche re-lazioni, questo libro occupa una posizione di sicuro interesse.

L’aspetto più significativo, a nostro avviso, è costituito dalla sua struttura. Il testo, infatti, èdiviso in dodici capitoli, sette allegati ed una valida bibliografia. In sostanza sono trattati itemi più rilevanti della comunicazione, da quelli più tradizionali quali il capitale relazionale,la comunicazione istituzionale, le relazioni pubbliche, il valore del brand, il marketing re-lazionale, il lobbismo (capitoli 2, 4, 5, 6 e 9) a quelli più recenti come la reputazione azien-dale, la responsabilità sociale delle imprese e il problema della misurazione dei risultati nel-l’attività di relazioni pubbliche (capitoli 7, 10, 11 e 12).Dai contenuti del libro appare evidente lo sforzo di approcciare in modo integrato le tem-atiche della comunicazione, anche nella loro dimensione dinamica, contestualizzandole nel-la realtà aziendale.Il risultato è nel complesso positivo, anche se talvolta emergono dei limiti riconducibilisostanzialmente a due ordini di motivi.Il primo, forse il più rilevante, deriva da una delle consuete esigenze connesse ai lavori «apiù mani»: quella di contemperare la ricchezza dei diversi approcci con un’adeguata armo-nizzazione dei vari contributi. Non sempre ciò è avvenuto e, ad esempio, accanto apanoramiche strategiche, hanno trovato posto interventi operativi, talmente dettagliati da e-vocare… la proiezione dei noti lucidi in powerpoint nelle aule di formazione. Insomma, ilrischio di una lettura non semplice e scorrevole è apparso possibile.Il secondo ordine di ragioni può riassumersi in una visione spesso «ingenua» e semplicisti-ca del complesso contesto aziendale (ad esempio nei capitoli 10 e 12) o, al contrario, trop-

GIAMPIETRO VEC-CHIATO (a cura di), Relazioni pub-bliche: valoreche crea valoreFrancoAngeli,pp. 270, � 23,00

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po avulsa da esso (capitoli 3, 8, 11).Queste osservazioni critiche non intaccano comunque il merito - come sopra già accenna-to - di aver proposto ed evidenziato l’esigenza di trattare i temi della comunicazione e del-l’attività delle pubbliche relazioni in un contesto più globale che, nonostante i generali e fre-quenti richiami ai concetti di trasversalità e di integrazione, è molto raro trovare in concre-to. E ciò, come già anticipa il titolo, per poter conseguire un valore che, a sua volta, crei ul-teriore valore. (Giuseppe Nucci)

Che la pubblicità abbia avuto, nel corso degli anni, una letteratura spesso fortementenegativa è cosa risaputa: sociologi, pedagoghi, economisti hanno infatti ripetutamente

messo in luce gli innumerevoli difetti di questo fenomeno, finendo per essere, il più dellevolte, bollati come «tristi moralisti», nell’inevitabile confronto con quegli «edonisti liberali»che, della pubblicità, si professano invece grandi estimatori.Tuttavia, nessuno dei cosiddetti «apocalittici» si era spinto fin dove arriva la severa criticache il Gruppo Marcuse (Movimento autonomo di riflessione critica ad uso dei sopravvis-suti dell’economia) propone nel volume «Miseria umana della pubblicità»: un’indagine a tut-to tondo il cui obiettivo è invitare il lettore a riflettere sulla reale natura del fenomeno pub-blicitario e, di conseguenza, esortarlo a prendere le dovute «contro-misure».I pubblicitari vengono, infatti, descritti come «evangelizzatori delle masse», «moderni curatidel sovraconsumo», «pastori del supermercato che guidano le pecorelle verso le casse», mer-canti di sabbia che lavorano per l’espansione del deserto», professionisti fortunatamentenon abbastanza conosciuti dalle masse che, altrimenti, giudicherebbero il loro operato nonsolo cattivo, ma addirittura esecrabile.Davanti a questa miseria l’umana, l’unica possibile reazione è una seria presa di coscienzadel fenomeno e delle sue conseguenze: la pubblicità è infatti ovunque intorno a noi, pene-tra la nostra realtà come quell’ago ipodermico già teorizzato dalla Scuola di Francoforte cuiil Gruppo Marcuse chiaramente si ispira, invade lo spazio pubblico trasformandolo in unimmenso catalogo pubblicitario.L’enorme potere della pubblicità sta anche nella sua capacità di aver saputo orientare il di-battito più sui suoi effetti che sulla sua natura: spesso, infatti, «ci si rifiuta di riflettere sullapubblicità in generale. Focalizzandosi sugli «eccessi immorali» si ammette implicitamenteche la pubblicità in quanto tale è al di là di ogni sospetto. Tuttavia, non si può separare lapubblicità dai suoi eccessi, semplicemente perchè è grazie ai suoi eccessi che essa è effi-cace». Come difendersi, dunque, da questo «cancro» della nostra epoca, tanto più deleterioperchè strettamente connaturato con i sistemi economici e politici dominanti? Come su-perare la miseria umana di una «vita impoverita che esalta una pubblicità onnipresente», maanche la «miseria degli ambienti pubblicitari stessi, che illustrano in modo caricaturale l’im-poverimento morale di cui soffre la società mercantile»? La risposta che il Gruppo Marcuse propone va nel segno della valorizzazione delle sceltedell’individuo: non c’è infatti alcun segno che lasci supporre che la pubblicità voglia ar-retrare o fermare la propria avanzata. Tuttavia, non c’è neppure alcuna ragione perchè lagente non voglia sfuggire al trattamento pubblicitario shock cui è quotidianamente sotto-posta.

Miseria umanadella pubblicità.Il nostro stile divita sta ucciden-do il mondoGruppo Marcuse,Elèuthera, pp. 144, �12,00

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Ciò detto, il pregio maggiore del volume sta senz’altro nel tentativo di offrire una letturacontestualizzata del fenomeno in esame: la pubblicità non è infatti un’isola sperduta nell’o-ceano della realtà sociale in cui viviamo, bensì uno snodo nevralgico attorno al qualeruotano fenomeni e situazioni altrettanto centrali della nostra epoca. «La pubblicità -scrivono infatti gli autori - è l’arte di vendere qualsiasi cosa e con qualsiasi mezzo. È il mar-keting nella sua dimensione comunicazionale. Passando attraverso la scappatoia dei media,essa costituisce l’archetipo della comunicazione. La critica alla pubblicità si estende quindialla critica contro il marketing e contro la comunicazione: questi tre flagelli compongonoinsieme il sistema pubblicitario. Il problema non si riduce dunque all’abbrutimento pub-blicitario, ma include anche la disinformazione mediatica e la devastazione industriale. Nonbisogna illudersi: la pubblicità è sola la punta dell’iceberg del sistema pubblicitario, ovverodi quell’oceano glaciale nel quale si sviluppa e si espande la società consumistica con la suacrescita devastante. E se siamo contro tale sistema e tale società, è perchè il nostro stile divita sta uccidendo il mondo». (Marica Spalletta)

Il libro, nato da un’iniziativa dell’Associazione Ilaria Alpi, l’inviata Rai uccisa in Somalia il20 marzo 1994, consiste in una raccolta di articoli volti a far conoscere ed approfondire

alcune delle realtà spesso ignorate dall’informazione tradizionale. Pace, solidarietà e dirittiumani rappresentano i temi privilegiati e, allo stesso tempo, i valori trainanti di questo pri-mo volume della neonata collana «I taccuini del Premio Ilaria Alpi».A fronte di un giornalismo sempre più incline all’emotività e al sensazionalismo, il libro,frutto di inchieste di noti giornalisti della carta stampata e non, vuole attirare l’attenzionesu alcune tematiche volutamente trascurate da gran parte del panorama mediatico perché s-comode o semplicemente non conformi alle regole di un’informazione che sembra doverstupire ad ogni costo. Storie reali con risvolti sociali importanti rappresentano il filo con-duttore di un volume che tenta di contrastare la tendenza dominante, la spettacolarizzazionedelle notizie, per far finalmente emergere problemi e situazioni, volendo parafrasare il tito-lo del libro, «periferiche». Storie di immigrati e clandestini, di poveri e delinquenti, ma an-che di persone che hanno saputo reagire alle ingiustizie della vita con estrema dignità e cor-aggio. Kabiria, Amona, Skhodnia, Houston, Lagos e Dakar sono soltanto alcuni dei luoghiche fanno da sfondo ad eccezionali episodi di impegno civile e sociale, i quali, almeno perora, non hanno trovato spazio nell’agenda setting dei principali organi di informazione.La questione non può che assumere proporzioni ancora più rilevanti se, ad essere comple-tamente trascurate, sono proprio le nostre realtà più difficili. Scampia, Secondigliano, Brai-da, San Donato e Lampedusa rappresentano qualcosa di troppo vicino ed importante pernon riguardare tutti. Anche in questo caso, siamo di fronte ad un elenco esemplificativo diun modo di vivere e di rapportarsi con la realtà molto più diffuso di quanto si possa pen-sare, è ciò che in fondo intende Giorgio Bocca quando afferma «Napoli siamo noi». Per-iferie avvolte da un inquietante disinteresse che arrivano ad occupare le prime pagine deigiornali solo se protagoniste di fatti orribili o, come nel caso delle banlieue parigine, se col-pite da un degrado sociale ed ambientale impossibile da non documentare.«Le periferie sono, per chi è capace di vedere, anche i laboratori della società del futuro.Come potremmo far conoscere meglio le loro storie, come far arrivare loro una corretta in-

ANGELO FERRARI

E LUCIANO SCALET-TARI

Le periferie del-l’informazioneEdizioni Paoline,pp.171, � 15,50

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formazione?». A questi interrogativi, posti nella prefazione da Renato Sesana, se ne aggiun-gono ancora molti altri relativi al criterio con il quale si è deciso da cosa sia costituito il cen-tro e da cosa la periferia. Il volume volge, infatti, una critica radicale all’etnocentrismo,definito «una malattia grave che ha infettato tutto l’Occidente», e, oltre a rendere giustiziaad un giornalismo attento ed approfondito, spinge in definitiva il lettore a riflettere su comesia possibile rimettere in discussione gerarchie e visioni del mondo ormai superate perchéincapaci di confrontarsi e dialogare con culture diverse. (Camilla Rumi)

Il libro rappresenta un’interessante riflessione sul ruolo strategico ricoperto al giorno d’oggi daimezzi di comunicazione di massa e sul rapporto esistente tra questi ultimi e le politiche in-

traprese dai diversi poteri, politico, economico e sociale, nell’epoca attuale.A presentare l’autore del volume è Alberto Abruzzese, direttore dell’Istituto di Comunicazionedell’Università Iulm di Milano, nella prefazione: «Enrico Manca può rivendicare un lungo e in-vidiabile percorso intellettuale, una figura originale di professionista della politica, essendolo, allostesso tempo, anche dei media». La poliedrica attività dell’autore, giornalista professionista, parla-mentare, presidente della Rai e, successivamente, dell’Isimm (Istituto per lo Studio dell’Inno-vazione nei Media e per la Multimedialità), direttore della rivista Innovazioni e segretario di Polis,associazione per il rinnovamento delle istituzioni, fa sì che egli possieda gli strumenti idonei perfornire una visione compiuta dei molteplici cambiamenti in atto. In virtù di questa indiscutibileesperienza politica e mediatica, Manca sostiene come la comunicazione, e quindi le diverse formeespressive in cui essa si concretizza, abbia costituito, e costituisca tutt’ora, il nodo centrale dellasocietà in cui ci troviamo a vivere.Le conversazioni raccolte in questo libro rispondono infatti all’esigenza di dare una spiegazioneunitaria alle profonde trasformazioni verificatesi negli ultimi anni, attraverso una precisa chiave dilettura: quella dei media. Un tentativo senz’altro coraggioso, a fronte di una realtà estremamentecomplessa e indecifrabile, caratterizzata - afferma Vincenzo Susca, curatore del volume - «daafasie e da un generale disordine creativo». Tali contraddizioni sono valutate a partire dal puntodi vista del lettore, dello spettatore, del cittadino politicamente impegnato, che non può chetrovarsi disorientato nel tentativo di dare un senso ad una eterogeneità di fondo che non perme-tte di ricondurre i diversi tasselli ad una razionalità comune e ad un progetto determinato a pri-ori.Il terrorismo, lo scollamento tra tessuto sociale e sfera politico-intellettuale, la multimedialità, ilruolo giocato dal servizio pubblico, la nascita della cybercultura e della democrazia elettronica, lenuove frontiere del giornalismo e il problema della tutela della proprietà intellettuale sono soltan-to alcuni dei temi affrontati nelle conversazioni riportate nel volume. «Frammenti di uno spec-chio», volendo parafrasare il titolo del libro, trattati con estrema accuratezza, cercando di concil-iare diversi piani discorsivi, con il preciso intento di offrire una cornice interpretativa generale.Un volume agile, caratterizzato da una struttura coerente e da uno stile comprensibile an-che a chi non opera nel campo politico o mediatico, diretto a tutti coloro che sentono ilbisogno di ritrovare quell’unitarietà nella lettura e nella comprensione dei fenomeni di ques-ta nostra postmodernità. (Camilla Rumi )

Il nuovo giornalismo di precisione è un giornalismo scientifico. Ciò significa trattare ilgiornalismo come se fosse una scienza, adottando il metodo scientifico, l’oggettività sci-

ENRICO MANCA

Frammenti diuno specchio. Imedia e lepolitiche dellapostmodernità.

Marsilio Editori,pp.142, � 11,00

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entifica, e gli ideali scientifici per l’intero processo della comunicazione di massa». Questala tesi di fondo del volume, attraverso la quale si comprende chiaramente come l’autore,Philip Meyer, docente di giornalismo all’Università del North Carolina, reputi molto similitra loro il mestiere del giornalista e quello dello scienziato.Tale convinzione, maturata negli anni Settanta, a seguito di alcuni mutamenti che scosseroprofondamente l’ambiente giornalistico, è legata alla questione dell’obiettività e della com-pletezza dell’informazione, troppo spesso trascurate da chi ha il gravoso compito di con-tribuire alla formazione di un’opinione pubblica critica e responsabile.Il volume, giunto ormai alla quarta edizione negli Stati Uniti, a testimonianza del successoottenuto presso il pubblico, si pone come preciso intento quello di incoraggiare i profes-sionisti della comunicazione ad applicare il metodo scientifico al loro compito di raccoglieree presentare notizie. Secondo Meyer, infatti, il giornalismo è più una scienza che un’arte,dovendo incorporare «gli efficaci strumenti scientifici per la raccolta e l’analisi dei dati, siala disciplinata ricerca di una verità controllabile». L’accostamento, in copertina, di un mi-croscopio ad una macchina da scrivere chiarisce in maniera inequivocabile quali dovrebberoessere le qualità essenziali di un buon giornalista: imparzialità, selettività, accuratezza.La nascita del computer, rendendo accessibile una grande quantità di dati fino ad allora im-pensabile, e poi la scelta degli editori di offrire ai propri lettori un prodotto sempre piùoggettivo e completo, non fecero che accelerare questo processo. Un avvicinamento, quel-lo tra giornalismo e scienza, che però continua ad essere ignorato da molti professionisti delsettore. Questo è il motivo per cui, nell’introduzione al volume, Massimo Baldini, profes-sore ordinario alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Luiss di Roma, afferma che«nel nostro paese, popolato da giornalisti moschettieri, che prediligono la faziosità allaparzialità, che troppo spesso si ritengono infallibili e onniscienti, l’opera di Meyer è chia-mata a svolgere un ruolo culturale di decisiva importanza».Sondaggi, basi di dati, esperimenti ed elezioni sono soltanto alcuni dei campi presi in con-siderazione dall’autore per dimostrare l’efficacia di un metodo che, sopra ogni cosa, vuolerispettare il lettore ed essere onesto fino in fondo. Un vero e proprio manuale per impara-re ad applicare il metodo scientifico nel giornalismo, che non può che trovare il consensodi chi vuole tutelare, come spiega Meyer, «una professione che si sforza di mantenere lapropria identità contro le degenerazioni provocate dalle prospettive dell’intrattenimento edella pubblicità». (Camilla Rumi)

«In qualsiasi società che non sia talmente assorbita nei suoi interessi né tanto piccola chetutti siano in grado di sapere tutto ciò che vi accada, le idee si riferiscono a fatti che sono

fuori dal campo visuale dell’individuo e che per lo più sono difficili da comprendere»: diconseguenza, «ciò che l’individuo fa si fonda non su una conoscenza diretta e certa ma suimmagini che egli si forma o gli vengono date».Su questa impostazione di base Walter Lippmann, nel suo saggio «L’Opinione Pubblica»pubblicato nel 1922 a New York, affrontava il problema del crescente peso che, nelle soci-età occidentali, stavano assumendo i mezzi di comunicazione nei confronti della vita polit-ica.Nonostante il grande peso che Lippman ha avuto nell’individuare i processi di formazionedell’opinione pubblica, fino ad oggi in Italia non sono state approfondite adeguatamente la

PHILIP MEYER

Giornalismo emetodo scien-tifico. Ovvero ilgiornalismo diprecisioneArmando Editore,pp.255, � 24,00

MASCIA FERRI

Come si formal’opinione pub-blica. Il contrib-uto sociologico diWalter Lippmann Franco Angeli, pp.128, � 14,00

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GUIDO GILI

La violenzatelevisivaLogiche formeeffettiEdizioni Caroccipp. 196, � 18,80

sua figura e l’eccezionale anticipazione delle sue analisi.E’ per questo che il saggio di Mascia Ferri, collaboratrice alla cattedra di Sociologia dellascienza presso l’Università La Sapienza di Roma, rappresenta un contributo rilevante perconoscere Lippmann giornalista e raffinato intellettuale, ma anche teorico dei media.Va riconosciuto all’Autrice lo sforzo di aver tentato una «affiliazione disciplinare» di Lipp-mann al campo sociologico, attraverso la riorganizzazione dei suoi concetti con un approc-cio alla sociologia della conoscenza.Spaziando dalla ricerca di una definizione, alle strategie mediatiche, al crollo delle ideologiee al controllo delle opinioni, questo saggio rappresenta un valido percorso sia per studiosidella materia che per i non «addetti ai lavori», curiosi di afferrare l’articolata attualità, indi-viduando in Lippmann l’anticipatore della sociologia della conoscenza. (Rosa Maria Serrao)

Negli Stati Uniti, dopo importanti incontri di pugilato trasmessi in Tv, si registra un au-mento di omicidi. Le vittime presentano perlopiù le caratteristiche del pugile sconfit-

to: se è nero aumentano gli omicidi dei giovani neri, se è bianco aumentano gli omicidi dibianchi. E' una delle interessanti ricerche presentate nel volume "La violenza televisiva" scrit-to da Guido Gili, docente di "Sociologia dei processi culturali e comunicativi" e preside del-la facoltà di "Scienze umane e Sociali" dell'università del Molise. L'Autore, anche attraversol'esame di una ricca documentazione bibliografica, considera le diverse forme di violenza inTv, senza limitarsi a quelle più estreme. Esce dai luoghi comuni. Analizza le forme che la vi-olenza assume nei diversi generi televisivi, le motivazioni che spingono i creatori a produrree distribuire programmi con contenuti violenti ma anche le ragioni che spingono il pubblicoad apprezzarli. Centinaia di ricerche, soprattutto americane, non sono invece ancora riuscitea dare una risposta univoca sugli effetti che la violenza televisiva può produrre sulla mental-ità, le emozioni , i comportamenti dei telespettatori. Dalle tragedie greche ai "PowerRangers" si ripropone il dilemma fra funzione catartica e funzione imitativa: una situazioneviolenta in modo virtuale con forte coinvolgimento emotivo favorisce una 'scarica' innocua(e anzi salutare) delle tendenze aggressive oppure determina un effetto imitativo, che puòindifferentemente essere generato da un episodio reale o da una vicenda immaginaria? Numerosi esempi sembrano suffragare entrambe le ipotesi. Ma la tesi centrale del lavoro diGili è che accanto ad una violenza "nella" televisione, vi sia una violenza "della" televisionecon caratteristiche particolari. Gili esplora le tante facce violente della Tv, dai programmi diinformazione ai film, alla fiction, dai dibattiti ai talk show, perfino alla pubblicità. Svelandoneprofili e linguaggi. Il conflitto piace o meglio innalza l'audience: sull' " L' isola dei famosi"come al "Grande fratello" o a "Porta a porta" (memorabile lo scontro Belillo-Mussolini conun insolito Sgarbi a far da paciere ). Esiste dunque una "violenza tiepida" , una specie di ec-citazione continua, uno stare costantemente 'sopra le righe', nella speranza di creare interessee curiosità. Ed è questo forse il pericolo maggiore al quale sono sottoposti soprattutto i mi-nori che invece, per "crescere con una personalità equilibrata e fiduciosa, hanno bisogno diidealizzare le figure degli adulti, di affidarsi a loro, di credere in loro".L'Autore, recuperando l'insegnamento di Popper, auspica quindi maggior consapevolezza daparte degli autori, ma anche normative che evitino abusi, maggior controllo da parte dellefamiglie insieme allo sviluppo della 'media education' in ambito scolastico. (G.T.)