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A.J. Cross

Ossa freddeTraduzione di

Annalisa Di Liddo

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Titolo originale:Gone In SecondsCopyright © A.J. Cross, 2012All rights reserved

The moral right of A.J. Cross to be identified as the author of this work has been asserted in accordance with the Copyright, Designs and Patents Act, 1988

Progetto grafico di collana e copertina: Yoshihito FuruyaFotografia in copertina: © boazyiftach / Fotolia© Roman Sigaev / Fotolia

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© 2012, 2014 Giunti Editore S.p.A.Via Bolognese 165 – 50139 Firenze – ItaliaPiazza Virgilio 4 – 20123 Milano – ItaliaPrima edizione: giugno 2012

Ristampa Anno8 7 6 5 4 3 2019 2018 2017 2016 2015

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Due bambine camminano senza pensieri lungo una strada che conoscono bene. È una calda giornata d’estate di tanti anni fa. Un uomo le supera in bicicletta, le saluta con la mano, scompare oltre il cancello del parco poco distante. Le bambine non sanno chi è, pensano al gelato. Pochi minuti dopo, seguono la stessa strada percorsa dall’uomo ed entrano nel parco, ciascuna con un cono in mano. Ridono. Leccano il gelato.

L’ uomo è lì, appoggiato alla bici, accanto a una fitta macchia di alberi. Le osserva, aspetta. Lui intuisce come sono le bambine. Individua subito quella più prepotente e la scarta d’istinto; preferi-sce l’altra, la più piccola. La studia mentre sgambetta felice insieme all’amica, contempla i capelli scarmigliati, la maglietta a maniche corte che mostra braccia abbronzate e ben tornite, la gonnellina a righe che, sollevata dal vento leggero, rivela le mutandine rosa.

Basta un solo richiamo a bassa voce per farla avvicinare, mentre la mano dell’uomo si muove ritmicamente, sempre più in fretta. La guarda negli occhi, guarda il viso come ipnotizzato dal movi-mento. Poi la prende per i capelli e la bambina cade all’indietro, aprendo la bocca a pronunciare una o silenziosa. L’ uomo emette un verso gutturale, mentre i riccioli scivolano dalla presa della sua mano viscida.

I tempi cambiano. Le persone no. C’è sempre un predatore a caccia di una vittima. Una ragazza con i capelli biondi legati da un

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foulard rosso esce di casa: ha una borsetta a forma di cuore e alcune lettere del padre strette in mano. Scompare.

Quattro anni dopo un’altra ragazza passeggia in un centro com-merciale, ride con le amiche. A un tratto anche lei scompare, e il mondo continua a girare.

Passano gli anni, il predatore si nasconde, ma la ragazza con il foulard ha lasciato una piccola traccia, un segno intrappolato nel cemento, in una minuscola crepa. Attende solo che qualcuno la noti, qualcuno a cui importi qualcosa.

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La dottoressa Kate Hanson oltrepassò silenziosamente la porta – nascosta da una tenda – che dava accesso a un lato della grande aula. L’ unica persona che si aspettava di trovare lì era già arrivata: Julian Devenish, il bravissimo allievo che le faceva da assistente. Leggeva un libro di testo, tutto accigliato, il corpo asciutto seduto scomposto su una sedia rivestita di tela. Si alzò quando la vide entrare.

«Buongiorno, Kate, dottoressa Hanson. È tutto pronto» disse indicando con un dito. «Ho testato l’audio, ho sistemato le luci come richiesto, il PowerPoint è già avviato e ora è in standby. Ho lasciato sul tavolo alcune copie degli appunti, così gli stu-denti potranno prenderle dopo la lezione. Se qualcosa va storto – ma non accadrà – me ne occupo io. Tutto quello che va fatto è toccare...»

Kate sollevò lo sguardo e sorrise al viso serio dello studente alto e dai capelli lunghi. Annuì e, con voce bassa e rassicu-rante, disse: «Grazie, Julian. Apprezzo moltissimo il tuo aiu-to. Continua pure a studiare. Sono sicura che andrà tutto alla perfezione».

Appoggiandosi al bordo di un tavolo lì accanto, controllò l’oro-logio da polso: erano le due meno cinque di un mercoledì pomerig-gio. Sentiva il trambusto nell’aula che si riempiva, accompagnato da un brusio diffuso. Ancora cinque minuti e avrebbe cominciato

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la prima lezione dell’anno accademico. Chiuse gli occhi, fece una serie di respiri profondi e li riaprì.

Julian le stava tendendo un bigliettino. Chinandosi in avanti, Kate glielo sfilò di mano e lo scorse velocemente, frugando in borsa per recuperare il cellulare. Controllò il display e aggrottò la fronte: non c’era traccia della telefonata che aspettava. Allora si concentrò sul foglietto. «Chiamare D.S. Watts, Rose Road. Urgente.» Fece scorrere la rubrica fino a trovare il numero e rimase in attesa. Nes-suno rispose. Chiuse la chiamata e spense il telefono. Pareva che quel giorno nessuno avesse voglia di parlare con lei. Guardò di nuovo l’orologio. Un minuto.

Alzandosi in piedi, si lisciò la gonna aderente sulle anche e si si-stemò la giacca del completo Armani. Dopo un’occhiata e un cenno di assenso da parte di Julian, inspirò a fondo, scosse energicamente la testa facendo ricadere sulle spalle i folti capelli color rosso scuro, riaggiustò la giacca un’ultima volta e salì sul palco, mentre nell’aula calava un silenzio carico di aspettative e centocinquanta paia di occhi seguivano i suoi movimenti.

Toccò un tasto sul portatile in standby e si rivolse alla schiera di giovani visi dei suoi studenti. Alcuni li riconobbe: li aveva già visti durante i colloqui di ammissione all’università. Ce n’erano due tre che conosceva bene, compreso uno spettatore inatteso seduto in fondo all’aula. Aveva i capelli biondi e una camicia candida che rifletteva la luce. Kate gli rivolse un sorriso, ma lui non se ne ac-corse. Era troppo lontano.

«Benvenuti alla lezione introduttiva del corso di Criminologia. Primo anno, primo modulo. Il titolo del corso è Psicologia, crimine e giustizia penale. Se c’è qualcuno che ha sbagliato aula o che non è interessato, può andarsene.» Aspettò. Diversi allievi si guardarono intorno. Nessuno si mosse. «Bene» disse. «Ho una classe appassio-nata. Cominciamo.»

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Toccò di nuovo un tasto e l’enorme schermo si riempì di fo-tografie a mezzobusto. Tutte donne, circa due terzi delle quali bianche, alcune con pettinature fuori moda, giovani, sorridenti, dall’aria ingenua. Altre con facce più vissute. Dal pubblico salì qualche mormorio sommesso.

Kate guardò lo schermo e poi si rivolse all’aula, con voce tran-quilla ma autorevole. «Una bella galleria, vero?» Indicò alcuni scatti con il puntatore laser. «Queste otto donne sono collegate. Queste sette fanno parte di un altro raggruppamento... così come queste quattordici.»

Gli studenti avevano gli occhi fissi sulle foto. Kate li stava con-trollando con la coda dell’occhio. «Immagino che quasi nessuno di voi sia in grado di riconoscere questi visi, ma spero che costitui-scano almeno in parte la ragione per cui avete scelto Criminologia come materia di studio e oggetto della vostra futura professione. Secondo me è fondamentale.»

Kate camminò lentamente verso la parte anteriore del palco, mettendosi di fronte alla platea silenziosa. Abbassò la voce per esporre il primo concetto essenziale della lezione. «Ventinove donne. Quasi tutte giovani. Inglesi, italiane, tedesche, statu-nitensi, canadesi, australiane. Non ci sono confini geografici. Avrei potuto mostrarvene molte, molte altre.» Una pausa di qualche secondo. «Tutte, comprese le ventinove che vedete sul-lo schermo, stanno aspettando. Aspettano qualcosa da parte dei criminologi.»

Sapendo che il pubblico stava ascoltando, rapito, Kate tornò al portatile. «Ciò che è accaduto a queste giovani donne, e che le ha rese delle vittime, è il fatto che abbiano incrociato sul loro cammino degli individui...» un colpo deciso sulla tastiera «come questi.»

Lo schermo, ora, offriva una galleria di volti maschili. Dal-

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la platea arrivarono espressioni di sorpresa e mormorii di riconoscimento.

«Può darsi che non li identifichiate tutti, ma sono disposta a scommettere che chiunque di voi possa nominarne almeno cin-que.» Rimase in attesa.

Silenzio.«Ho vinto» disse piano. «Non è strano? Conosciamo gli autori

di crimini spietati meglio di coloro che li hanno subiti.» Annuì, osservando i deboli sorrisi imbarazzati di alcuni studenti.

Kate indicò le foto con il laser. «Questi uomini sono, o erano, predatori. Chi di loro è ancora in vita, se ne avesse la possibilità, sarebbe pronto a commettere altri crimini violenti, simili a quelli per cui è stato incarcerato.»

Sollevò lo sguardo verso lo schermo e poi tornò a osservare il pubblico.

«Non c’è ragione di sentirci in colpa se sono i visi dei predatori e non quelli delle vittime a far scattare il riconoscimento, a stimolare il nostro interesse. Gran parte della responsabilità è dei mass media. In tutte le loro forme.»

Kate fece una pausa di qualche secondo. «Prima di cominciare il corso, vi do un consiglio. Dimenticate i crimini romanzati dei libri, della televisione o dei film hollywoodiani. Dimenticate certe teorie sull’omicidio seriale, secondo cui gli assassini si fissano sulla stessa tipologia di vittima, senza mai deviare da un unico modello.»

Un’altra pausa.«I predatori sessuali hanno i loro gusti, ma non si comportano

necessariamente in modo stereotipato, identico per tutte le vitti-me. Purtroppo, negli ultimi vent’anni ha preso piede un cliché che invece presuppone proprio questo, perché è perfetto per produrre libri, film o programmi televisivi affascinanti. Ma la cosa finisce

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qui. Noi dobbiamo diffidare delle ipotesi di comodo, basate su scienze inesatte.»

Kate scrutò gli ascoltatori. «Può darsi che i predatori non siano rigidi come ci fanno credere.» Fece alcuni passi avanti. «Perché no?» Abbassò la voce. «Perché le fantasie di questi uomini cambia-no. Come me e come voi, queste persone si adattano. Imparano» aggiunse in tono ancora più basso. «E spero che questo avverrà anche qui, nelle prossime settimane.»

Il rintocco della campana della Chamberlain Tower si fece sentire dall’altra parte del campus, nell’insolito caldo di quel tardo set-tembre, e si insinuò fino nell’aula. Nessuno degli studenti di Kate si mosse.

«Ho detto che le giovani donne che prima vi ho mostrato stanno aspettando qualcosa. Da voi e da me. Cos’è che vogliono?»

Sentì diverse persone rispondere con una sola parola e annuì, soddisfatta. «Sì. Se e quando diventerete criminologi professionisti, ci saranno altre vittime. Per dare loro la giustizia che attendono dovrete essere lucidi e fondarvi su teorie affidabili.»

Kate scrutò nuovamente il pubblico e poi procedette a sottoline-are un altro concetto chiave. «Questi uomini non si fermano mai» disse piano. «Perché il loro comportamento nasce da un profondo bisogno di natura psicologica. Non è raro che si prendano una pausa ogni tanto, magari di un anno o anche più.» Si interruppe. «Ma non dubitate. Alla fine ritornano sempre.»

Nel silenzio denso dell’aula si sollevò una mano incerta.«Sì?» domandò Kate.«Perché? Perché ogni tanto si prendono una... pausa?»Kate sorrise allo studente dall’aria perplessa. «Per un crimino-

logo, “perché” è una delle parole più potenti che esistano.»Tornò nella parte anteriore del palco. «Perché si prendono una

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pausa? I trattati suggeriscono che possa capitare quando un as-sassino recidivo sperimenta un cambiamento positivo nella sua vita. Qualcosa di nuovo, che gli dia soddisfazione, che calmi la sua compulsione. Magari un nuovo lavoro, o una nuova relazione, che lo appaghi quanto basta da distoglierlo dal suo modello di comportamento e di pensiero deviato.»

Gli allievi osservarono Kate camminare e poi voltarsi per sot-tolineare le sue parole con un gesto deciso della mano. «Tuttavia, è inevitabile che si arrivi a un punto in cui la nuova soddisfazione non è più sufficiente a sopprimere l’urgenza della fantasia e il bri-vido della ripetizione. Una volta esaurito il periodo “sabbatico”, l’omicida tornerà.»

Con un sorriso appena accennato, Kate puntò il laser sulle foto-grafie ancora proiettate sullo schermo, gli occhi rivolti alla platea di giovani che la fissava. «Un’ultima richiesta, soprattutto alle donne qui presenti. Guardate bene. Che cosa vedete? Uomini come tanti? Qualcuno anche abbastanza attraente?»

Molti visi mostrarono un ghigno.Dopo alcuni secondi, Kate si fece seria. «Per le giovani donne

che vi ho mostrato, una di queste facce potrebbe essere stata l’ul-tima che hanno visto prima di morire. Uno di questi uomini po-trebbe essere stato l’incarnazione di un incubo. Non sottovalutate mai un uomo simile. Non è un attore.» Fece una pausa. «Nel teatro dell’omicidio seriale, lui è il regista.»

Le sue parole rimasero sospese nell’aria immobile dell’aula.Kate si aspettava che forse qualcuno, tra il pubblico, ricono-

scesse la descrizione concreta del predatore che stava per fornire. «Quindi, la prossima volta che un bel tipo con una cinghia in mano fa cadere i libri ai vostri piedi e vi chiede di aiutarlo a metterli nel bagagliaio del suo Maggiolone, vi prego di rispondergli: “Mi dispia-ce, mi piacerebbe aiutarti, ma non ti conosco proprio”.»

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Le luci dell’aula si accesero e la lezione si concluse. La tensione si dissolse, mentre il pubblico prorompeva in un applauso sponta-neo. Kate sorrise e fece un breve cenno di saluto, poi si incamminò svelta verso il retro del palco e scomparve.

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Nel trambusto dei sedili a ribalta che si sollevavano e delle voci chiassose degli studenti, Kate raccolse la valigetta e sue carte, con-scia del battito accelerato del suo polso. Dopo la lunga pausa delle vacanze estive le capitava sempre, o quasi.

Con la sua ampia falcata e i jeans sfrangiati a mezza gamba, Julian le passò accanto per recuperare l’attrezzatura dal palco. Sulla maglietta nera c’era una scritta rossa: grateful davanti e dead dietro. Quando tornò, con il portatile e il puntatore laser sottobrac-cio, Kate gli rivolse un sorriso caloroso.

«Grazie di essere venuto, Julian. Potermi concentrare sulla le-zione senza farmi distrarre dalla tecnologia e dal timore di buttare tutto all’aria, per me è una liberazione.»

«Non c’è problema, Kate.»Kate non era un tipo pomposo e non le interessavano gli ossequi

da parte degli allievi, quindi, al di fuori delle lezioni accademiche, lasciava che i rapporti fossero informali. Per di più, Julian era an-che un collega, benché più giovane, nel lavoro di consulenza che svolgeva di tanto in tanto per la polizia delle West Midlands.

Vedendo che era pronta ad andare, Julian agitò una mano. «Ci vediamo al prossimo incontro.»

«Puoi starne certo.»Kate lasciò l’aula e uscì nel pomeriggio rovente. Con passo sicuro,

si incamminò sul sentiero asfaltato e bordato di erba ispida e mar-

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roncina, oltrepassando gli alberi immobili e ancora carichi di foglie estive, anche se alcune stavano cominciando ad arrossare e a cadere.

Guardando davanti a sé, scorse una sagoma atletica in jeans e camicia bianca, con un borsone su una spalla. Lo spettatore inat-teso. Si affrettò per raggiungerlo.

«Harry! Ehi, Harry! Aspetta!»Nessuna risposta. Ci riprovò, questa volta gridando più forte.

Lui si fermò, si tolse gli auricolari e si voltò, con un’espressione dura e arcigna, mentre la fiumana di studenti gli passava accanto. Kate si ricordò della passione di Harry per Mahler e Wagner. Quei due avrebbero incupito chiunque.

Quando vide Kate, il viso di Harry si rischiarò e poi, mentre lei copriva svelta la distanza che li separava, si aprì in un grande sorriso. Raggiuntolo, col sudore che le imperlava la fronte e il petto, Kate si aggiustò gli occhiali scuri sul naso e spostò la valigetta da una mano all’altra.

«Non mi aspettavo di trovarti a lezione, oggi.»Harry Creed era a capo della Scientifica delle West Midlands,

che gli addetti ai lavori chiamavano semplicemente “Rose Road”. Kate faceva da consulente presso l’Unità delitti insoluti e quindi qualche volta, nei diciotto mesi passati, si era trovata a lavorare con Harry e i suoi colleghi. Si sentiva in debito con lui, visto che nel precedente anno accademico Harry aveva permesso a Julian di seguire la squadra, dandogli così la possibilità di aggiungere un modulo al suo piano di studi. A parte questo, Kate trovava che Harry, con i suoi quarant’anni circa, fosse una persona piacevole.

«Ciao, Kate. Ho pensato di fare un salto a vedere come se la passano i pochi fortunati che lavorano nel mondo accademico.»

Kate sorrise. Sapeva che a Harry, laureato in Scienze forensi, sarebbe piaciuto da morire insegnare part-time al Dipartimento di Psicologia dell’università.

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«Allora, che ne pensi? Ti è piaciuto quel che hai visto?»Lui annuì, entusiasta. «Indubbiamente. Mi ci vedrei benissimo.

Gli studenti sono attenti e quando fai lezione sei padrone assoluto del tuo universo... nel tuo caso, padrona assoluta.»

Kate rise. Stavano camminando l’uno accanto all’altra. «Sì, be’... certe volte.»

Fecero qualche altro passo in silenzio, poi Kate gli lanciò un’oc-chiata. «Cosa ti ha detto il professor Bennett quando sei andato a parlargli?» Aiden Bennett era docente di Psicologia criminale all’Università di Birmingham e Kate aveva accettato di segnalargli l’interesse di Harry nei confronti del lavoro accademico. Lo aveva fatto volentieri, dato che aveva notato la sua capacità di comunicare con gli studenti quando lo aveva visto interagire con Julian. Aveva preso accordi perché ottenesse un appuntamento con il professor Bennett per discutere della possibilità di tenere, tanto per comin-ciare, qualche seminario gratuito sul suo lavoro alla Scientifica.

«Non l’ho ancora visto.»«Credevo avessi fissato un colloquio» rispose Kate, sorpresa.Harry scosse la testa. «No, ma lo fisserò. Di sicuro. Voglio pre-

pararmi adeguatamente all’incontro. Voglio che capisca quanta passione metterei nella formazione delle giovani menti e...»

«Ma perché intanto non scambi due parole con lui in via infor-male? Così, solo per tastare il terreno?» domandò Kate.

«Vorrei presentargli con chiarezza i miei punti di forza e il mio impegno...» Kate lo osservò. Si capiva che era interessato, ma la sua voce tradiva la presenza di un problema. «Il fatto è che in questo momento ho delle perplessità. Il futuro di Donald è incerto. Ha un contratto a termine e con i tagli che stanno facendo potrebbe dover prendere in considerazione un trasferimento.» Calò il silenzio. Kate sapeva che Harry aveva un compagno. «Inoltre, i miei non stanno benissimo. Sto a casa loro per qualche giorno.»

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Lei annuì in segno di comprensione. Poco dopo che Kate aveva iniziato a lavorare a Rose Road come consulente, Harry era passato alla Udi. Si erano trovati a proprio agio e avevano chiacchierato. Kate gli aveva raccontato un po’ di sé e Harry le aveva parlato della sua vita, in particolare dei suoi genitori e di come lo avevano so-stenuto nella relazione con Donald. Kate si era sentita incoraggiata dalla sua affabilità.

Stava per fare un commento affettuoso, ma il viso di Harry si era già illuminato di nuovo. «Si risolverà tutto e allora chiamerò il professor Bennett. Ti farò sapere. Ti sono davvero grato per aver messo una buona parola per me, Kate.»

Lei sorrise. «Io ho solo fatto il tuo nome, ma Aiden sembrava sinceramente interessato.»

Erano arrivati al viottolo che portava al parcheggio multi-piano.«Sei qui in macchina o ti do un passaggio?» chiese Kate, osser-

vando il livello più basso, che non era la scelta che preferiva.Il suo sguardo passò in rassegna l’area semibuia e gremita di

macchine. Quella cautela era il risultato delle sue competenze te-oriche di docente di Psicologia criminale, oltre che del lavoro di valutazione dei delinquenti che svolgeva per conto dei tribunali pe-nali. In quelle occasioni le venivano rivolte molte domande diverse, ma il succo era sempre lo stesso: che rischio c’era che l’accusato, in futuro, commettesse ulteriori atti di violenza generica o, nello specifico, di violenza sessuale? Quel tipo di incarico la costringeva a stare a contatto con una serie di individui problematici. C’erano gli opportunisti, i sadici, i perversi. E qualche volta le capitava di trovarsi a difendere le sue posizioni durante i processi.

«Oggi sono a piedi. Vuoi che ti accompagni alla macchina?» chiese Harry notando la sua espressione. Era consapevole dei timo-ri di Kate. La sua cavalleresca offerta non la sorprese, ma lei declinò.

«Grazie, Harry, ma va bene così.» Se fosse stata mezzanotte,

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magari, avrebbe accettato. Ma erano le tre e mezza di un pome-riggio assolato.

Fece un cenno di saluto e Harry si avviò verso l’uscita princi-pale. Kate si affrettò a entrare nel parcheggio e andò dritta verso la sua Audi tt nera, in sosta nella penombra. Mentre raggiungeva la piccola automobile, esaminò le macchine presenti su tutto il piano. In quel periodo del trimestre il campus era affollatissimo. Quando era arrivata, poco prima della lezione, non aveva avuto molto tempo per cercare un posto e quello era l’unico disponibile.

Controllando l’area circostante, Kate disattivò l’allarme e aprì la portiera. Va bene, sono paranoica. Ma sono anche viva. Buttò la sua roba sul sedile del passeggero, ci mise sopra la giacca, poi si sistemò alla guida. Un vantaggio di quel parcheggio era che la macchina non diventava un forno.

Riattivò la chiusura centralizzata e controllò che ore fossero. Scorse la rubrica del cellulare e selezionò un numero. Lasciò squil-lare. Riprovò, assumendo un’espressione imbronciata. Questa volta lasciò un breve messaggio. Poi, ricordandosi del bigliettino che le aveva dato Julian, chiamò anche l’altro numero. Ma nemmeno in questo caso ebbe fortuna. Con un sospiro, lasciò cadere il telefono nella vaschetta per le monete e avviò prima il motore e poi l’aria condizionata.

Guidò l’Audi fuori dal parcheggio e, mentre si dirigeva verso l’uscita principale del campus universitario, scrutò la costruzione di mattoni rossi che si trovava di fronte: la King Edward VI High School for Girls, un collegio femminile. Era quella la destinazione del messaggio che aveva lasciato in segreteria. Tamburellando sul volante con le dita, attraversò il traffico intenso di quell’ora del pomeriggio e seguì la curva della strada fino ai cancelli spalancati della scuola, passando in rassegna i gruppetti di studentesse e le ritardatarie che si allontanavano girovagando.

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Fermò la macchina e sbirciò oltre il portone sormontato da una targa con l’antico motto della scuola, trouthe schall delyvere. Scorse l’atrio, con i suoi freddi pavimenti di marmo e le pareti rivestite di pannelli di legno. Deserto. Se ne erano andati tutti. Controllò di nuovo l’orologio, tornò indietro lungo il vialetto e si rituffò nel traffico.

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Madre e figlia erano impegnate in un faccia a faccia nella spaziosa cucina quadrata, che proprio in quel momento cominciava a rinfre-scarsi grazie alle porte a soffietto spalancate sull’ampio giardino. In pantaloni militari verde scuro e maglietta nerofumo firmata agnès b., Kate stava sistemando la spesa, percorrendo avanti e indietro il pavimento di ceramica chiara per collocare cartoni e confezioni dentro le ante di ciliegio delle varie dispense.

«Eravamo d’accordo che mi avresti chiamata in mattinata o alla fine della pausa pranzo per dirmi a che ora dovevo venire a prenderti. Non hai chiamato» concluse in tono stizzito, chiudendo con forza un’anta per sottolineare quanto aveva appena detto.

A partire dal suo decimo compleanno, Maisie aveva insistito per avere un cellulare. Kate aveva resistito alle pressioni per diciot-to mesi circa. Da un momento all’altro si aspettava anche che le chiedesse il permesso di aprire un profilo su Facebook. Tuttavia, sorprendentemente, la richiesta non era arrivata. Se fosse successo, Kate aveva deciso che la sua risposta sarebbe stata: niente Facebo-ok, a meno che Maisie non avesse dimostrato di essere affidabile nell’uso del cellulare.

Sentì salire un dolore sordo alle tempie. Non lanciarti in batta-glia prima ancora che sia cominciata. Aprì gli sportelli gemelli del freezer all’interno del frigo in alluminio; ripose alcune confezioni e ne tolse altre, poi li richiuse usando un piede e un gomito.

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Seduta al grande tavolo di legno anticato, sorreggendo la testa con una mano, Maisie stava lanciando sguardi di fuoco alla madre, con i grandi occhi azzurri. Il viso a forma di cuore aveva assunto un’espressione sprezzante, la pelle abbronzata era arrossata sotto una massa di riccioli folti.

«Perché sapevo che stamattina facevi lezione alle matricole, quindi non aveva senso! E comunque cosa c’è che non va nel pren-dere l’autobus?» Maisie si alzò e fece per sgraffignare qualcosa dalla biscottiera poggiata su un ripiano in granito nero.

Kate non aveva una risposta a quella domanda, quindi la ignorò, riluttante a spiegare in modo esplicito le sue paure riguardo alla sicurezza personale. «Sai benissimo che se io non avessi risposto avresti potuto lasciare un messaggio in segreteria. Io e te dobbiamo concordare delle regole, Maisie, per i momenti in cui sei fuori da questa casa, e poi dobbiamo rispet...»

All’improvviso qualcuno bussò alla porta di quercia massiccia. I colpi risuonarono dall’ampio ingresso fino alla cucina. «Chi è, adesso?»

«E come faccio a saperlo!» brontolò Maisie, lasciandosi cadere di nuovo sulla sedia e sgranocchiando un biscotto.

Kate sentì l’aspirapolvere spegnersi al piano di sopra e poi il rumore di passi pesanti che scendevano le scale. Ancora scocciata con Maisie, abbandonò l’atmosfera ostile della cucina e si spostò nell’ingresso. Vide che Phyllis, la domestica, stava già raggiungendo la porta a grandi passi. Kate rallentò e rimase a guardare i movi-menti della donna. Sembrava un galeone col vento in poppa: i seni prosperosi, i capelli in cui il grigio si mescolava al biondo delle mèches. Phyllis aveva cominciato a lavorare per Kate molto tempo prima, quando Kate aveva ancora un marito assente e una Maisie paffutella tra le braccia. Le due donne erano andate subito d’accor-do. Ora Phyllis aveva raggiunto la porta massiccia e la stava aprendo.

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In piedi sotto l’ampio portico, in maniche di camicia bianche, le braccia incrociate sul torace largo e imponente, c’era un uomo che andava per i sessanta. I capelli ormai grigi erano incollati al cranio per il caldo, il viso congestionato, gli occhi acuti sotto le sopracciglia folte. Stava sorridendo, mettendo in mostra la piccola fessura tra i due incisivi anteriori che accresceva l’impressione che fosse un tipo un po’ losco.

«Buon pomeriggio, cara. Tua mamma è in casa?»Mentre Phyllis storceva la bocca, schifata, si sentì un risolino

malizioso dalla cucina.Kate riconobbe il visitatore. «Oh, sei tu. Entra.» Si voltò e si

diresse di nuovo in cucina. «Tutto a posto, Phyllis.»«Buon pomeriggio anche a te» rispose il sergente Bernard

Watts, della centrale di polizia delle West Midlands, mentre se-guiva Kate in casa.

Kate e Bernie Watts si erano incontrati circa diciotto mesi pri-ma, quando era stata avanzata la proposta di fondare l’Unità delitti insoluti, con lo scopo di riaprire e reinvestigare i casi di omicidio a sfondo sessuale rimasti irrisolti. Nonostante Kate, inizialmente, fosse molto circospetta nei confronti della franchezza e del sar-casmo di Watts, del suo pesante accento di Birmingham e delle sue continue allusioni storiche e geografiche che a volte faticava a seguire, la collaborazione con lui e con gli altri colleghi dell’Unità si era presto trasformata in un rapporto di piacevole cameratismo. L’ umorismo macabro e le prese in giro li ricordava fin dai primissi-mi tempi nelle forze dell’ordine. Ormai aveva capito che entrambi erano meccanismi psicologici necessari a quel tipo di lavoro.

Kate entrò in cucina e trovò Maisie appollaiata sul tavolo, con un’espressione calcolatrice dipinta in viso. Lanciandole un’occhiata di avvertimento, Kate la oltrepassò e si avvicinò al piano di lavoro per preparare un panino, parlandole da sopra la spalla.

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«La nostra discussione non finisce qui, Maisie, ma ades-so ci prendiamo una pausa.» La figlia rispose con un sospiro melodrammatico.

Watts si sedette al tavolo, sorridendo alla ragazzina. «Che hai combinato, piccina?»

La ragazzina si imbronciò. «Niente! È questo il problema! Non ho il permesso di fare nulla e ogni azione che faccio viene messa in discussione. Chi? Quando? Cosa? Perché? Dove?» Sospirò di nuovo. «Non ho una vita privata» concluse, guardando la madre da sotto le lunghe ciglia.

Kate si voltò con fare stanco, il coltello ancora imburrato in ma-no, sapendo che avrebbe dovuto lasciar perdere quel tira e molla. «Maisie, sei troppo piccola per avere una “vita privata”. Hai dodici anni, e finché...»

«A dire il vero tredici, tra diciotto settimane e mezzo, mamma.»«... sei giovane e di te mi occupo io, dobbiamo concordare alcu-

ne regole. Devo sapere dove sei quando non ti trovi in questa casa.»Imbronciata, Maisie saltò giù dal tavolo della cucina e si diresse

borbottando verso la porta.«Che cosa ha detto?» chiese Kate, osservando la schiena della

figlia che scompariva su per le scale. «E quei pantaloncini sono troppo... corti!»

Dopo qualche secondo di silenzio, si sentì sbattere una porta al piano superiore. Kate sospirò, posando sul tavolo il piatto che aveva in mano.

«Ha detto qualcosa tipo “Non c’è da stupirsi se papà se n’è andato”» rispose Bernie, servizievole. Allungò la mano verso il panino che Maisie non aveva mangiato, mentre Kate prendeva dal frigorifero la bottiglia di latte scremato. «Ti do un consiglio, Doc. Lascia stare. La vita è già abbastanza incasinata.»

«Ti va un caffè insieme a quello?» domandò Kate. «Il guaio è che

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ha capito come farmi uscire dai gangheri. So che ha un’età in cui pensa di poter prendere decisioni da sola. Ma è ovvio che non può. Quindi per adesso facciamo così: io stabilisco regole e linee guida, lei le ignora o si ribella, io mi arrabbio per le sue provocazioni... È una giostra infinita. In confronto a questa esasperazione domestica, la mia vita lavorativa è... sì, lo so. Me ne sono scordata. Vedi?» Mise in mostra i denti bianchi e regolari in un sorriso forzato e appoggiò la bottiglia sul tavolo.

«Non ce n’è, di latte decente, in questa casa?»Kate si massaggiò le tempie. «Non cominciare anche tu. E co-

munque come mai sei qui? Ho ricevuto il tuo messaggio. Ti ho chiamato. Due volte. Nessuna risposta.»

Bernie si asciugò le grosse dita sullo scottex e infilò una mano in tasca, mentre Kate si affaccendava con la caffettiera.

«È probabile che la Udi abbia una nuova pista fredda da seguire. I resti sono stati trovati vicino allo svincolo di Halesowen, sulla tan-genziale. Abbiamo già un possibile nome, pensa. Da’ un’occhiata.»

Tirò fuori dalla tasca una busta piatta di cartoncino e la buttò sul tavolo. Kate venne a prenderla, guardò all’interno e ne estrasse una fotografia venticinque per venti. «Chi è?»

Bernie si chinò in avanti e tamburellò sull’immagine con un dito. Kate lesse il nome sulla catenina d’oro intorno al collo della ragazza. «Molly.»

«Se è lei, il nome completo è Molly Elizabeth James. Diciotto anni. Scomparsa dal centro commerciale di Touchwood, a Solihull, nel 2002.» Tacque brevemente mentre masticava. «Sai che Joe è tornato?»

Kate prese il mezzo panino avanzato e vi dedicò tutta la sua attenzione. «L’ ho sentito dire» rispose piano.

«Viene qui tra una decina di minuti» continuò Watts.Il cuore di Kate fece un piccolo salto mortale all’indietro.

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Bernie proseguì: «Andiamo a dare un’occhiata alla scena del crimine. Connie è lì da stamattina presto».

Kate si accorse del gesto involontario con cui Bernie, nel nomi-nare l’affascinante patologa di Rose Road, si era passato una mano fra i capelli. Gli appoggiò davanti una tazza di caffè, ne versò una per sé e si mise a sedere di fronte a lui.

«Che ne dici, Doc? Ci farebbe comodo se venissi anche tu. Ti do un passaggio io?» Le sopracciglia di Bernie si sollevarono e si riabbassarono in fretta.

Kate guardò l’orologio, poi annuì. «Sicuro. Anche se la mamma mi ha detto di diffidare di questo genere di inviti.»

Bernie finì il panino ed esaminò il tavolo. Mentre Kate si alzava, sentirono un gran baccano fuori dalla porta della cucina. Apparve Phyllis, tirandosi dietro l’aspirapolvere. Lei e Bernie si scambiarono un’occhiata sospettosa. Avevano una specie di passato comune: era-no cresciuti nello stesso quartiere operaio di Birmingham, che do-veva essere una comunità molto unita e a cui Bernie faceva sempre riferimento chiamandolo «Old End». Kate non era del tutto sicura di dove si trovasse e nemmeno se esistesse ancora, considerando lo sviluppo della città negli ultimi quarant’anni.

Molti mesi prima, quando Phyllis aveva saputo della collabora-zione di Kate con la polizia di Rose Road e, nello specifico, con il sergente Bernard Watts, la domestica le aveva impartito un corso accelerato sulla vita della Birmingham operaia degli anni cinquanta e sul ruolo di Bernie in quell’ambiente.

«Sergente? Ah! Sua madre aveva sette figli, sai. Uno dietro l’altro.» Per illustrare meglio la serrata produzione di figli nella famiglia Watts, Phyllis aveva sollevato una mano, mimando una specie di scala. «Era una donna irascibile e a dirla tutta anche un po’ violenta. Se ne stava sempre all’angolo della via a sbraitare i nomi dei ragazzi – “Chrissie! Josie! Malky!” – e quelli arrivavano

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di corsa, tutti da direzioni diverse. Lui era il più piccolo. Nel quar-tiere li conoscevamo tutti. Mia madre diceva che erano rozzi.» Con quella dichiarazione, Phyllis aveva chiuso la bocca, riaprendola solo per aggiungere: «Noi avevamo il televisore. E pure la macchina».

Kate si voltò per rivolgersi alla domestica. «Phyllis, ti avevo detto di chiamarmi. Lo avrei portato giù io, l’aspirapolvere. Prendi un caffè?»

La donna continuò ad affaccendarsi. «Sì, grazie. Che cosa vuole lui?» borbottò.

Bernie si stampò in faccia un’espressione neutra. «La nostra Doc sta aiutando la polizia nelle indagini.» Guardò Kate. «Cu-linfaccia tirerà fuori il caso alla riunione di domani mattina, alla centrale.»

Kate annuì, per indicare che aveva capito il riferimento all’ispet-tore Roger Furman e anche che sarebbe stata presente alla riunione del giorno successivo. Le attività di quel trimestre, all’università, non si stavano ancora svolgendo a pieno regime. Sentì Phyllis espri-mere sdegno, probabilmente per via della parola «culo», mentre ficcava l’aspirapolvere nell’armadio.

«Lei ne ha già abbastanza per sé, non serve che le diate altro da fare. Ha quella ragazzina da tirare su da sola, se ne sta tutto il tempo a lavorare all’università e poi deve andare in tribunale...»

Bernie abbassò le sopracciglia, rivolto a Kate. «Ti hanno beccata di nuovo a rubacchiare nei negozi?»

«Phyllis, lascia stare. È tutto a posto.»Ma lei si era avvicinata al tavolo: ormai aveva deciso di darci

dentro.«Quel che non le serve affatto è che tu o quell’altro veniate qui

con i vostri omicidi e con tutte quelle storie di...» A quel punto ammutolì e si limitò a muovere le labbra per dire «sesso». «E non so che altro, poi. Lei avrebbe bisogno di una vacanza.»

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Phyllis tornò a focalizzare l’attenzione su Kate. «Te l’ho detto? Avis è appena tornata da Santo Domingo. Ha detto che è stato fantastico!»

Kate offrì a Bernie un altro panino e uno sguardo che gli con-sigliava vivamente di tacere, mentre Phyllis usciva dalla cucina.

Lui scosse la testa, sogghignando. «Quella vale ogni sterlina che le dai, anche solo per la comicità.»

«Sssh» sibilò Kate. «Se Phyllis decidesse mai di licenziarsi, per me sarebbe un vero casino.»

Qualcuno bussò all’improvviso. Si sentirono i passi pesanti della domestica, un altro borbottio e il rumore della porta che si apriva. Kate udì una voce profonda e sonora. Il cuore prese a battere più forte nel suo petto. Dopo pochi secondi, Phyllis ricomparve in cucina.

«È quell’altro. Lo yankee. Gli ho detto di aspettare. Che faccio, lo lascio entrare?»

«Certo, Phyllis!»Kate si piegò su un lato per vedere meglio l’uomo alto, dalle

spalle larghe, che stava attraversando l’ingresso per entrare in cuci-na. Indossava una camicia azzurra – lo stesso colore dei suoi occhi –, un paio di jeans e stivali da cowboy marroni. I capelli erano più lunghi dall’ultima volta in cui Kate lo aveva visto. Erano tirati in-dietro dal viso abbronzato e avevano striature più chiare per via del sole. Arrivavano fino al colletto della camicia. L’ uomo aveva anche un filo di barba castana spruzzata di grigio. Osservandolo, Kate si sentì turbata dai cambiamenti avvenuti in circa otto settimane. Gli lanciò un’altra occhiata, intuendo che fosse ignaro dell’effetto su-scitato dalla sua prestanza fisica, proprio come lo era stato quando era entrato a Rose Road, più di un anno prima, causando una certa agitazione tra le impiegate della polizia, sia quelle in uniforme che quelle in abiti civili.

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Kate si allontanò dal tavolo con la caffettiera, in cerca di un’altra tazza.

Sapeva che la polizia di Birmingham aveva colto al volo l’occa-sione di offrire un posto a Joe Corrigan – in trasferta da Boston –, un agente perfettamente addestrato nell’uso delle armi. In quel momento tutte le forze dell’ordine del Regno Unito dovevano af-frontare la minaccia del terrorismo interno e dunque c’era bisogno di preparare al meglio le squadre destinate alla reazione armata.

Quando lo sentì dire «Ciao» in tono sommesso, Kate si sentì felice. Gli sorrise, porgendogli una tazza di caffè e lui la ringraziò con un sorriso stanco.

Nel giro di un paio di minuti, Bernie si alzò e si diede una si-stemata ai pantaloni larghi. «Va bene. È ora di andare.»

Kate seguì i due uomini nell’ingresso, gridando, rivolta verso il piano di sopra: «Phyllis? Puoi rimanere finché non torno? Poi ti porto a casa io. Vado con Bernie e Joe».

Dopo aver ascoltato quella che parve una risposta positiva, Kate si girò per uscire con i colleghi. Però Maisie apparve sul pianerot-tolo, ciondolando contro la balaustra, con gli occhi fissi su di loro.

Bernie sollevò lo sguardo verso la ragazzina e ammiccò. «Smet-tila di far impazzire tua madre.»

Joe la salutò con un sorriso. «Ciao, genietto. Come va con la matematica?» domandò, facendo riferimento al prodigioso talento di Maisie per i numeri, una cosa riguardo a cui Kate non si sentiva per niente tranquilla: le faceva piacere per Maisie, ma era preoc-cupata che potesse finire per isolarsi dai suoi compagni. Tuttavia, fino a quel momento non era accaduto. La ragazzina non lasciava che il suo dono diventasse un peso.

Maisie sorrise a sua volta. «Tutto tranquillo» rispose. Poi, ricor-dandosi che stava facendo la parte di quella che creava fastidi, fece una smorfia e agitò i riccioli, lanciando una rapida occhiata alla

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madre. «Vado a casa di Chelsey. Bernie, mi daresti un passaggio fino a Hamilton Avenue?»

Bernie sbirciò in direzione di Kate, che fece un impercettibile cenno di assenso.

«Va bene. Sei pronta?» domandò lui.Maisie risalì le scale saltellando e ricomparve dopo pochi se-

condi con uno zainetto. Kate la seguì e uscirono di casa insieme.«Sette e mezza, Maisie. Vedi di non dimenticarlo. Inoltre, ti ho

già detto che non dovevi farti ricamare il nome su quello» disse, indicando lo zainetto rosa. «Diffondere i tuoi dati personali in que-sto modo ti fa correre rischi inutili.»

«Smettila di fare la bisbetica su tutto. È solo un nome» brontolò Maisie, mentre un gattino bianco e nero sgusciava in mezzo alle loro caviglie per entrare in casa dalla porta aperta.

«Phyllis?» chiamò Kate, rivolgendosi verso l’ingresso. «Mugger è tornato!»

Attraversarono il vialetto nell’afa opprimente del pomeriggio e salirono nella quattro per quattro di Bernie. Una volta in strada, Kate, seduta sul sedile posteriore accanto a Maisie, chiese a Joe del suo rientro in Inghilterra.

«È andato bene il volo?»Lui annuì. «Bene. Ma ho un jet lag da paura. Hai presente?»Maisie ridacchiò e, lanciando un’occhiata a sua madre, si sporse

in avanti e si rivolse direttamente a Joe.«Ti va di tornare a cena da noi, Joe? Mamma potrebbe fare il

riso al curry.» Assunse un tono rassicurante. «Non preoccuparti, andrà tutto bene. Di solito lo compra già pronto...»

«Maisie!»Dopo neanche cinque minuti, Bernie rallentò. L’ auto si avvicinò

a una grande villa in stile Tudor, con una cancellata in ferro battuto nero. Maisie aprì svelta la portiera e saltò giù.

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«Sette e mezza precise, Maisie. Non ammetto ritardi.»Scuotendo la testa a bocca spalancata e borbottando «Sì, sì»,

la ragazzina corse verso la cancellata e suonò al citofono. Quando parlò, uno dei due grandi battenti si aprì silenziosamente. Bernie tolse il freno a mano e fece per proseguire.

«Aspetta» ordinò Kate.Lui frenò di colpo. «Ci sei nata, così prepotente, o hai dovuto

imparare?»Kate rimase a osservare Maisie che percorreva l’intero vialetto

e raggiungeva la porta d’ingresso, che si aprì a rivelare la sagoma alta e aggraziata di una donna bionda. La madre di Chelsey agitò una mano per salutarli.

Una volta ottenuto un cenno di assenso da parte di Kate, Bernie fece manovra e si allontanò dalla casa. Nel giro di pochi minuti si trovarono in viaggio sull’affollatissima carreggiata a due corsie di Hagley Road, una delle maggiori arterie che conducevano fuori città.

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Ora che stavano per raggiungere la scena del crimine, la crescente impazienza di Kate si tinse all’improvviso di ansia. Da quando lavorava alla Udi non le era mai capitato di dover esaminare resti umani. Chissà se la ragazza era quella della foto che le aveva portato Bernie. Come se le avesse letto nel pensiero, lui la guardò dallo specchietto retrovisore.

«Abbiamo la collana, ma magari non è lei, Doc. I dettagli che la riguardano sono nel database delle persone scomparse, ma sai quanta gente scompare in dieci anni, no?»

Kate annuì e guardò l’aperta campagna sfrecciare davanti ai loro occhi, fuori dal finestrino. Kate era nata nel Sud-Est dell’Inghil-terra e, anche se viveva ormai da parecchi anni nella seconda città britannica per densità di abitanti, si sorprendeva ancora di quanto fosse rapido il passaggio dal tessuto urbano alle campagne che lo circondavano. Anche partendo dal centro, bastavano solo pochi minuti. In teoria. Il traffico ci aggiungeva una buona mezz’ora.

Dopo molti altri minuti passati a seguire il flusso delle auto, i pensieri di Kate furono interrotti dalla voce di Joe. «Ci siamo quasi.»

Lei sollevò lo sguardo e si accorse che gli occhi azzurri dell’uo-mo la stavano fissando, ma poi tornarono a seguire la strada. Con il cuore che iniziava a battere più velocemente, Kate si chinò in avanti, tra i due colleghi, guardando nella direzione indicata da

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Joe. Un po’ più avanti era parcheggiato un gruppo di veicoli della polizia che faceva rallentare gli automobilisti di passaggio.

Decelerando, Bernie mise la freccia a sinistra e svoltò passando accanto a un giovane agente dal viso paonazzo. Aveva addosso la camicia bianca a maniche corte dell’uniforme ed era intento a gesticolare verso i guidatori che fissavano il blocco di polizia con aria allibita. Kate riconobbe l’agente. Era Whittaker, che di solito presidiava il banco della reception di Rose Road. Il ragazzo fece cenno a Bernie di parcheggiare in una radura accanto alla fitta macchia di alberi oltre la strada. Si fermarono di fianco a una sta-tion wagon nera dai finestrini oscurati, sei volanti a quadrati gialli e azzurri, oltre a due furgoni con gli stessi colori.

Nonostante l’ora, quando uscirono dall’auto di Bernie passaro-no dall’aria condizionata al caldo improvviso. Kate scorse qualcosa di bianco nel folto degli alberi che la circondavano e sentì il polso accelerare nuovamente.

Bernie mostrò il tesserino a un altro agente, che segnò i loro nomi su un foglio fissato a un portablocco a molla, scrivendo quello di Kate sotto la colonna «Civili». Consegnò a ciascuno un’ampia tuta bianca simile a quelle da paracadutista, che indossarono con qualche difficoltà, poi li indirizzò verso un sentiero stretto che si insinuava nel sottobosco.

Camminarono in fila indiana: Joe in testa e dietro di lui Ber-nie, che agitava le mani per scacciare gli insetti e si era messo un berretto rosso con la visiera.

«Non prendertela, Bernie, ma non ti sta tanto bene.»«Me l’ha dato Julian. È una questione di salute. Ho il cuoio

capelluto delicato.»Mentre seguivano il sentiero sul terreno inaridito, Kate osser-

vò la mescolanza di vari tipi di erba e piccoli fiori blu di cui non conosceva i nomi. Vide che da un lato c’erano tracce di un falò e

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alcune lattine abbandonate. Camminarono in silenzio, accanto ad arbusti grigio argento e sotto a vecchi alberi curvi, con i rami più bassi che si allargavano come le dita di una mano, le foglie illumi-nate dal sole. Kate pensò che in altre circostanze sarebbe stato un bel posto per una passeggiata.

Come era stato possibile che qualcuno arrivasse fin lì dalla stra-da, con un peso morto addosso?

Oppure lei era stata costretta a camminare?Lei.Molly Elizabeth James.Forse, tanti anni prima, quella zona non era così ricca di

vegetazione.Il calore diretto del sole fu momentaneamente attenuato dal

fogliame spesso e Kate rabbrividì. Oltre al canto degli uccelli e al brusio lontano del traffico, si sentivano le voci gracchianti e disin-carnate della radio della polizia, emesse dalle ricetrasmittenti degli agenti lì intorno. Da una parte, gli specialisti della Scientifica, in tuta azzurra, stavano costruendo un reticolato usando pioli e un sottile nastro giallo. Altri invece stavano conficcando le mani guan-tate nelle impronte lasciate dagli animali sul suolo, oppure lavora-vano a coppie setacciando il terreno, il cui strato più superficiale, aridissimo, si frantumava al contatto coi piedi coperti dalle tute.

Kate vide di striscio Harry Creed, che dava ordini e indicazioni spostandosi su tutta la scena del crimine. Insieme a lui c’era Matt Prentiss, un membro della sua squadra, che lo seguiva ubbidiente con un’espressione arcigna stampata sul viso allungato.

Un tecnico era intento a fotografare ogni dettaglio. Nonostante la maschera e la tuta, Kate riconobbe i capelli scuri e la montatura di metallo degli occhiali di Jake Brown, fotografo specializzato in scene del crimine. Lo salutò. Nessuna reazione. Quando Kate era entrata nella Udi, Jake l’aveva invitata a cena fuori. Lei aveva gen-

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tilmente declinato. Da allora, a sua memoria, lui non l’aveva più in-vitata né salutata. Un uomo cosiddetto maturo che non riusciva ad accettare un banale rifiuto? Meno male che l’aveva scaricato subito.

All’improvviso, Kate si accorse di una snella sagoma in tuta bianca, oltre il nastro tremolante con su scritto accesso vietato. Fece un cenno, che fu subito ricambiato. Quando raggiunsero il nastro si fermarono. Bernie, che aveva tolto il berretto, si lisciò i capelli.

Connie Chong, medico legale del ministero dell’Interno, si av-vicinò tenendo in mano la maschera protettiva di plastica. Era rossa in viso. «Stavo proprio aspettando voi della Udi! Passate sotto al nastro e seguitemi.»

Kate e i colleghi ubbidirono e la seguirono mentre si incammi-nava verso una tenda bianca. Kate si sentiva addosso gli occhi di Matt Prentiss. Nessuno gli disse nulla, visto che tutti sapevano per esperienza che Prentiss non rispondeva quasi mai quando veniva interpellato.

Mentre oltrepassava l’ingresso della tenda, Connie tirò su il cappuccio della tuta e si rimise la maschera protettiva sul viso.

«Bene, Udi. Su i cappucci, fate pure un passo avanti... avanti ancora... ecco, fermi.» Sollevò una mano. I tre colleghi rimasero fianco a fianco all’entrata della tenda, mentre lei avanzò un po’.

Furono accolti da un’ondata di calore e odore di terra. Kate, a disagio, guardò lo spoglio rettangolo di terra smossa, circondato da un’erba verde-giallognola. Ai bordi del rettangolo fremevano dei fiorellini blu.

Ora Connie aveva raggiunto il lato opposto. Si accovacciò e con la piccola mano guantata mostrò quelle che a Kate parvero poco più che leggere ondulazioni sul terriccio. Poi sollevò lo sguardo verso i colleghi.

«Due uomini della Forestale sono passati di qui, ieri mattina

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presto. Si sono accorti che in questo punto particolare la vegeta-zione era più rigogliosa.» Indicò l’area immediatamente di fronte a sé. «Hanno rimosso un po’ di terreno con una paletta e hanno trovato un pezzo della catenina d’oro che avete visto. Hanno fatto due più due e hanno chiamato Rose Road.» Connie si alzò e si sgranchì le gambe.

«Durante il corso di studi di Patologia nessuno ti avverte che ti rovinerai le ginocchia. In ogni caso, gli scavi hanno evidenziato che si tratta di resti umani. Quasi sicuramente di una donna.» Si accovacciò di nuovo, indicando qualcosa. «Vedete? Testa da que-sta parte, piedi lì. Non posso essere categorica riguardo all’età o a quanto tempo sia rimasta qui, ma appena riesco a mettere le ossa sotto una lampada uv e a misurare il contenuto di nitrogeno vi faccio sapere.» Osservò i resti appena visibili, poi sollevò gli occhi e guardò gli altri, uno alla volta. «Tirando a indovinare, direi che sono passati almeno cinque anni.»

Interessata, Kate fissò la terra smossa da poco. Ora riconosceva le ondulazioni del terriccio come resti umani. Riusciva a distin-guere le ossa lunghe, la cupola del teschio, le linee zigrinate di una mano. Rifletté sulla tempistica appena indicata da Connie.

Poteva corrispondere al caso di Molly James, scomparsa nel 2002.

Poteva corrispondere a un gran numero di altri casi...Connie fece un gesto verso l’area esterna alla tenda. «I tecni-

ci stanno cercando di capire se ci sono in giro altri resti che po-trebbero essere stati dissotterrati e portati via da qualche piccolo animale.»

Kate e i colleghi si accovacciarono, esaminando lo scavo e lo scheletro dai contorni indistinti.

Joe lanciò un’occhiata a Connie.«Hai già un’idea sull’età?»

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Connie sorrise. «Calma, calma! Okay, direi giovane. Probabil-mente tarda adolescenza.»

Un’altra corrispondenza con il caso James.«Vi potrò dare un’opinione più attendibile da Rose Road, una

volta esaminate le ossa e la bocca. In questo momento non posso neanche confermare che le mascelle siano del tutto integre. E se lo sono, comunque potrò fare solo una stima. I campioni di Dna che ho prelevato finora potrebbero essere compromessi, ma spero di riuscire a identificarla facendo affidamento sul Dna dei famigliari.»

Attesero, mentre Connie rimuoveva con delicatezza il terriccio bruno rossastro dall’area intorno al teschio usando uno strumento che sembrava una piccolissima paletta da giardiniere. «Prima di venire qui, stamattina, ho controllato i dati su Molly James presenti nel nostro database.» Si abbassò sui talloni. «Nella squadra della Scientifica di Bradford Street, che si era occupata delle prime in-dagini, c’era qualcuno di molto lungimirante che aveva chiesto di prelevare dei campioni di Dna dalla madre poco dopo la denuncia di scomparsa della figlia. Stamattina presto abbiamo inviato al la-boratorio i campioni della nostra ragazza. Li stanno esaminando proprio adesso, mentre parliamo.»

Kate agitò le dita in direzione di Connie. «E poi cosa succederà?»«Continueremo a ripulire i resti dal terriccio, quanto basta per

spostarli senza danneggiarli.» Connie si alzò e si avvicinò a Kate, togliendosi la mascherina e rivelando un viso umido di sudore. Si scompigliò i capelli con l’altra mano. «Secondo i miei calcoli, po-tremmo metterci fino alle prime ore della sera. Abbiamo delle luci apposite, ma se tardiamo troppo il mio compito diventa difficile. Preferisco lavorare alla luce del giorno. Una volta liberi dalla terra, i reperti verranno con me a Rose Road per un’indagine approfon-dita. Il resto della squadra rimarrà qui, ad accertarsi che abbiamo raccolto tutto il materiale necessario.»

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Kate e i colleghi si tirarono in piedi. Bernie lo fece con un grugnito.

«E i detriti qui intorno?» chiese Kate, indicando con un dito. «Laggiù ci sono i resti di un falò e alcune lattine.»

Connie la guardò, piegando la testa da un lato. «A cosa stai pensando, Kate? La ragazza è qui da almeno cinque anni. La spaz-zatura di cui parli tu, di sicuro, è stata lasciata lì in tempo recenti.»

Kate fece spallucce. «Ho pensato che valesse la pena di recu-perarla. Dipende da chi è stato a uccidere questa ragazza, ma può essere che sia tornato qui. Per scopi... ricreativi.» Si stava riferendo al fatto che alcuni assassini amavano masturbarsi nei pressi delle loro vittime.

Bernie emise uno sbuffo schifato. Nel breve periodo trascorso dall’inizio della sua collaborazione con Kate aveva imparato molto da lei. Ma la maggior parte delle cose avrebbe preferito non saperle.

Connie fissò la psicologa per alcuni secondi, poi fece una smor-fia e scosse la testa. «È un mestiere sinistro, il tuo, Kate. Va bene. Da-rò ordine affinché i tecnici raccolgano e insacchettino quella roba.»

Kate fece un cenno di assenso, in segno di ringraziamento.Bernie non aveva ancora aperto bocca. Aveva distolto lo sguar-

do e stava osservando fuori, socchiudendo le palpebre. «Schifoso del cazzo. Chiunque sia stato, se volete la mia opinione, dovrebbe essere impiccato...»

«Una volta incarcerati, questi delinquenti possono risultare utili alla ricerca» intervenne Kate, fin troppo consapevole che secondo Bernie gente simile meritasse solo la frusta o il patibolo.

«Sì, sì. L’ hai già detto. A sentire te, dovremmo dargli un bel televisore al plasma, qualche farmaco e dopo saremmo tutti felici e contenti.»

Kate lasciò perdere. «Hai delle idee sulla causa della morte?» domandò a Connie.

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Lei scosse la testa. «Nessuna. Ed esiste la possibilità che non sia in grado di stabilirla nemmeno a Rose Road, considerando le condizioni del corpo e il tempo che è trascorso.»

Joe ringraziò Connie a bassa voce e si voltò per ripercorrere con cautela il sentiero che portava alla strada, calpestando gli arbusti secchi con gli stivali.

Bernie salutò e si incamminò nella stessa direzione. La patolo-ga gli piaceva. Gli piacevano la sua eleganza e le sue proporzioni minute. Era come Kate, ma senza il piglio aggressivo e la battuta sempre pronta. Se Connie gli rispondeva a monosillabi, non lo trovava fastidioso.

Il suo telefono squillò. Era Furman che voleva sapere come stava andando.

Kate si fermò ancora un momento a guardare Connie che ri-puliva abile i resti con il piccolo strumento simile a una paletta, il viso lucido di sudore. All’interno della tuta della Scientifica, la sottile peluria sugli avambracci di Kate si drizzò all’improvviso. Si strinse nelle braccia, chiedendosi come e perché la persona che aveva distrutto la vita di questa ragazza – chiunque lei fosse – le avesse fatto una cosa simile.

Forse erano fidanzati e avevano litigato?L’ aveva uccisa in un impeto di... gelosia?O forse era un estraneo?In quel caso, come era riuscito a raggiungere il suo scopo?Un’aggressione improvvisa o qualcosa di più subdolo?Aveva escogitato un espediente per attaccare discorso?Ciao! Mi sapresti dire la strada per...I pensieri di Kate si fecero più cupi.Ciao, cara. Ti interessa un lavoro?Guardò di nuovo i resti, che potevano essere tutto ciò che ri-

maneva di una giovane di nome Molly James. Rifletté su quanto si

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poteva ragionevolmente dedurre a proposito dell’autore del crimi-ne – l’assassino –, che fosse noto alla vittima o meno.

Doveva essere uno che sapeva muoversi bene.Che conosceva quella zona.... Per il momento era tutto.Se il caso fosse stato riaperto, nelle settimane seguenti la Udi

avrebbe avuto parecchio da fare.Nonostante il caldo, Kate rabbrividì, pensando ai rischi costanti

che ogni donna correva nella vita quotidiana, mentre ai margini dei suoi pensieri sentiva bisbigliare le sue preoccupazioni per Maisie. All’improvviso si sorprese a sperare che la vittima non fosse la ragazza che aveva visto in fotografia.

Evitando di guardare Kate, Connie disse piano: «Se vuoi sapere quando potremo parlare di questa faccenda, dando per scontato che io riesca a rientrare a Rose Road verso sera, direi che il mo-mento migliore sarebbe venerdì mattina, molto presto. Saremo tranquilli. Troverai solo me e Igor».

Dopo un’ultima occhiata ai resti, Kate lasciò la tenda, con la mente ancora assediata dalle domande. Si tolse la tuta bianca e la lasciò cadere nel grande sacco di carta sorretto da un agente con i guanti all’ingresso della scena del crimine, poi raggiunse i colleghi nell’auto di Bernie e iniziò a mettere ordine tra i suoi pensieri.

Le date corrispondevano.Il sesso corrispondeva.E soprattutto, corrispondeva la collanina con scritto «Molly»

trovata fra i reperti.Scosse la testa. Avrebbero dovuto aspettare Connie. Eppure...Adesso la domanda era: perché qualcuno aveva messo fine alla

vita di quella ragazza?E scoprirlo li avrebbe portati ad affrontare una domanda ancora

più importante: Chi?

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Kate aveva finalmente terminato il lavoro arretrato ed era pronta per il nuovo trimestre. Riordinò la scrivania nello studio al pian-terreno, pensando – e non per la prima volta – che la sua attività di docente universitaria era già di per sé abbastanza gravosa, senza considerare gli impegni extra legati ai casi che accettava di seguire.

Scuotendo la testa, si ricordò della telefonata che aveva ricevu-to da uno studio legale all’inizio delle vacanze estive. Le avevano chiesto di incontrare un loro cliente detenuto nella prigione di Bir-mingham in attesa di rinvio a giudizio. Doveva valutarlo e scrivere un rapporto, esprimendo la sua opinione in merito alla possibilità che l’uomo, in futuro, tornasse a compiere atti violenti. Lei aveva accettato, sentendosi lusingata sul piano professionale e attratta dal passato criminale del detenuto.

Lanciò un’occhiata alla spessa busta posata su un angolo della scrivania, già chiusa e indirizzata. Aveva terminato la stesura del rapporto e all’avvocato non sarebbe piaciuto. E nemmeno al suo cliente che, secondo Kate, era un connubio di impulsività e rab-bia pronte a scattare alla minima provocazione. A un certo punto, probabilmente, avrebbero convocato Kate in tribunale perché con-fermasse e spiegasse ciò che aveva scritto.

Aveva deciso di non accettare più incarichi simili. Il lavoro all’u-niversità e le ore trascorse con la Udi erano più che sufficienti. Uscì dallo studio e chiuse la porta con decisione.

Ora che la sua vita professionale era sotto controllo, e Maisie era invitata da Chelsey per cena, Kate poté godersi la tranquillità del-la vecchia casa guardandosi una replica dell’Ispettore Morse. Con passo felpato e accompagnato da un lieve scampanellio, Mugger attraversò il soggiorno, balzò sul divano e girò in cerchio per diver-se volte prima di lasciarsi cadere sulle gambe di Kate. Il caso pareva impossibile da risolvere per l’ispettore Morse, che stava assumendo

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un’aria sempre più scocciata nonostante avesse posato un occhio su una birra e un altro sulle forme della protagonista femminile.

Kate aggiustò il cuscino del divano, gli occhi semichiusi fissi sullo schermo. Non aveva idea di chi fosse il colpevole e non glie-ne importava nulla. I suoi pensieri andarono a Maisie e al litigio avvenuto nel pomeriggio. Sopra al naso di Kate si formò una pic-cola ruga. Maisie sapeva di dover tornare da casa di Chelsey alle sette e mezzo. Ma lo avrebbe fatto? Mentre la tv trasmetteva la scena di una sbronza tra universitari, Kate si sentì combattuta fra la riluttanza a concedere alla figlia di uscire da sola e la necessità che Maisie diventasse indipendente. Kate sapeva che la natura del suo lavoro e la sua innata indole sospettosa, la rendevano quasi ossessionata dalla sicurezza personale. Voleva davvero lo stesso per Maisie?

Relegò con decisione le sue preoccupazioni di madre single in un angolo della mente e lasciò che i pensieri si soffermassero su Joe. Il loro rapporto lavorativo era caratterizzato per lo più da frec-ciatine scherzose, e c’erano moltissime cose che non sapeva di lui.

Quanti anni aveva, per esempio? Tirando a indovinare, forse poco più di quaranta...

Abbastanza perché avesse una relazione significativa a Boston?I pensieri poi si spostarono sul nuovo caso della Udi. Che cosa

le aveva detto l’anziano, adorato professore che aveva seguito il suo dottorato, parecchi anni prima?

Collabora con la polizia se ti senti in dovere di farlo, Kate. Ma sei avvisata: se lavorerai bene, loro si prenderanno tutto il merito. Se farai un disastro, sarà solo colpa tua.

L’ alto volume di uno spot di una compagnia di assicurazioni la fece tornare in sé. Fece scendere il gatto dalle gambe e passò dal salotto all’ampio ingresso e poi in cucina, in cerca della bu-sta lasciata da Bernie nel pomeriggio. Tornò sul divano, la aprì e,

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scuotendola, lasciò cadere la foto a colori sul tavolino davanti a lei. Cadde a faccia in su.

Kate esaminò il soggetto ritratto.Giovane donna, sorriso dolce, lunghi capelli biondi, sguardo

vivace. Sfiorò la fotografia. Era leggermente calda, come l’aria della cucina. Sbirciò di nuovo all’interno della busta e si accorse che c’era anche un foglio. Lo estrasse e lesse il nome «Molly Elizabeth James», oltre a un appunto che indicava un ex fidanzato di Molly, il quale al tempo della scomparsa aveva ventotto anni.

Mmm... Scommetto che questa faccenda non era piaciuta alla madre di Molly.

Rimise il foglio e la fotografia nella busta. Intanto l’ispettore Morse era ricomparso dentro un pub. Il gatto smise di stiracchiarsi e girare in cerchio e si accomodò di nuovo sulle gambe di Kate.

Lei riprese a fissare lo schermo, ma vedere quella foto una se-conda volta l’aveva ormai turbata. Pensò alla riunione a Rose Road, il giorno seguente. Quel genere di formalità non le piaceva. Proprio quando le parve di essere riuscita a rilassarsi un po’, la porta d’in-gresso si aprì e si richiuse sbattendo.

«Ciao, mamma! Sono tornata. Spaccando il minuto!»Kate si alzò di malavoglia, lasciando sul divano Mugger col

muso imbronciato.