258712084286861/ - The Books We Want To...

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Traduzione a cura di The Books We Want To Read Revisione di Veru, Juls, Claude, Giusi, Sherm, Alessia C. Link pagina: https://www.facebook.com/The-books-we-want-to-read- 258712084286861/ Link sito: http://thebookswewantoread.altervista.org/

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Traduzione a cura di The Books We Want To Read

Revisione di Veru, Juls, Claude, Giusi, Sherm, Alessia C.

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258712084286861/

Link sito: http://thebookswewantoread.altervista.org/

Al mio splendido figlio, che è nato il giorno in cui ho finito questo libro.

INDICE Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Capitoli non sottoposti a revisione attenta

Capitolo 8

Capitolo 9

Capitolo 10

Capitolo 11

Capitolo 12

Capitolo 13

Capitolo 14

Capitolo 15

Capitolo 16

Capitolo 17

Capitolo 18

Capitolo 19

Capitolo 20

Capitolo 21

Capitolo 22

Capitolo 23

Capitolo 24

CAPITOLO 1 Traduzione: Clary Winchester

Molte persone troverebbero spaventoso farsi portare in un bunker sotterraneo in una

notte tempestosa. Io no.

Le cose a cui potevo dare una spiegazione o classificare secondo dei dati non mi

spaventavano. Ecco perché continuavo a ripetere a mente l’elenco dei fatti, mentre

scendevo sempre più in profondità sotto il livello della strada. Il bunker era una reliquia

della Guerra Fredda, costruito per proteggersi in un periodo in cui la gente credeva che

i missili nucleari fossero dietro ogni angolo. In superficie, l’edificio ospitava un

negozio di ottica. Era solo una facciata, che non aveva nulla di spaventoso. E il

temporale? Era semplicemente un fenomeno naturale causato dalla collisione di fronti

atmosferici. E se si ha paura di farsi male durante un temporale, allora andare sottoterra

è la cosa più intelligente da fare.

Perciò, no. Questo viaggio apparentemente infausto non mi spaventava

minimamente. Tutto si basava su fatti ragionevoli e sulla logica. Potevo affrontarlo.

Era con il resto del mio lavoro che avevo problemi.

Forse era per questo che i viaggi sottoterra con il temporale non mi sconcertavano.

Dopo che passi la maggior parte dei tuoi giorni a vivere fra vampiri e mezzi vampiri,

portarli a procurarsi sangue e a mantenere la loro esistenza segreta al resto del mondo…

beh, hai una prospettiva un po’ particolare della vita. Ero stata testimone di sanguinose

battaglie fra vampiri e visto prodezze magiche che sfidavano ogni legge della fisica

che conoscevo. La mia vita era una lotta costante tra il tentativo di reprimere il mio

terrore per l’inesplicabile e cercare disperatamente un modo di spiegarlo.

«Attenta a dove metti i piedi» mi disse la mia guida mentre scendevamo un’altra

rampa di scale in cemento. Tutto ciò che avevo visto fino a quel momento era fatto di

cemento… i muri, il pavimento, il soffitto. Le superfici grigie e ruvide assorbivano la

luce fluorescente che tentava di illuminarci la strada. Era tetro e freddo, inquietante

nella sua pace. La guida sembrò indovinare i miei pensieri. «Abbiamo fatto modifiche

ed espansioni da quando è stato costruito. Lo vedrai quando raggiungeremo la sezione

principale.»

Per l’appunto. Le scale si aprirono in un corridoio con numerose porte chiuse

allineate sui lati. L’arredo era sempre in cemento, ma tutte le porte erano moderne, con

serrature elettroniche che mostravano luci rosse o verdi. Mi condusse alla seconda

porta a destra, una con la luce verde, e mi trovai a entrare in una sala d’aspetto

perfettamente normale, il tipo di sala del personale che si trova in un qualunque ufficio

moderno. Un tappeto verde copriva il pavimento, come un triste tentativo di imitare

l’erba, e i muri erano di un marrone chiaro che dava l’illusione del calore. Un divano

morbido e due sedie erano disposte al lato opposto della stanza, insieme a un tavolo

ricoperto di riviste. La parte migliore della stanza era un bancone con un lavandino…

e una macchinetta del caffè.

«Fai come se fossi a casa tua» mi disse la guida. Ipotizzai che avesse circa la mia

età, diciotto anni, ma i suoi lacunosi tentativi di farsi crescere la barba lo facevano

sembrare più giovane. «Verranno da te a breve.»

I miei occhi non avevano mai lasciato la macchinetta del caffè. «Posso farmi un

caffè?»

«Certo» disse. «Tutto quello che vuoi.»

Se ne andò, e praticamente corsi al bancone. Il caffè era già macinato e sembrava

che potesse benissimo essere lì dalla Guerra Fredda. Purché non fosse decaffeinato,

non mi importava. Avevo preso un volo notturno dalla California e, anche se avevo

avuto mezza giornata a disposizione per riprendermi, mi sentivo ancora insonnolita e

con intorpidita. Avviai la macchina del caffè e camminai per la stanza. Le riviste erano

ammucchiate a casaccio, così le raddrizzai in pile ordinate. Non sopportavo il

disordine.

Mi sedetti sul divano e attesi il caffè, chiedendomi di nuovo il motivo di

quell’incontro. Avevo trascorso buona parte del pomeriggio lì in Virginia a fare

rapporto a una coppia di ufficiali Alchimisti sullo stato del mio incarico. Vivevo a Palm

Spring, fingendo di essere una laureanda in una collegio privato in modo da tenere

d’occhio Jill Mastrano Dragomir, una principessa vampira costretta a nascondersi.

Tenerla in vita significava tenere il suo popolo fuori dalla guerra civile, una guerra che

avrebbe sicuramente avvertito gli esseri umani del mondo sovrannaturale che si celava

sotto la superficie della vita moderna. Era una missione vitale per gli Alchimisti, quindi

non ero del tutto sorpresa che volessero aggiornamenti. Quello che mi sorprendeva era

che avrebbero potuto riceverli per telefono. Non riuscivo a capire per quale altra

ragione mi avessero condotta in quella struttura.

La macchinetta del caffè finì. L’avevo programmata per fare solo tre tazze, che

probabilmente sarebbero bastate a farmi superare la serata. Avevo appena riempito la

mia tazza di polistirolo quando la porta si aprì. Ne entrò un uomo, e per poco non feci

cadere il caffè.

«Signor Darnell» dissi, rimettendo la macchinetta sul fornello. Mi tremavano le

mani. «È… è un piacere rivederla, signore.»

«Anche per me, Sydney» rispose con un sorriso forzato. «Sei davvero cresciuta.»

«Grazie, signore» dissi, indecisa se fosse un complimento o meno.

Tom Darnell aveva l’età di mio padre e i suoi capelli castani erano spruzzati di

argento. C’erano più rughe sul suo viso dall’ultima volta che l’avevo visto, e nei suoi

occhi azzurri c’era un’espressione inquieta che non associavo a lui, di solito. Tom

Darnell era un ufficiale di alto rango tra gli Alchimisti e si era guadagnato la sua

posizione grazie ad opere decisive e ad una fiera etica del lavoro. Mi era sempre

sembrato straordinario quando ero più piccola, vivamente sicuro di sé e imponente.

Ora sembrava aver paura di me, cosa che non aveva senso. Non era arrabbiato?

Dopotutto ero la responsabile dell’arresto di suo figlio, imprigionato poi dagli

Alchimisti.

«Apprezzo che tu sia venuta fin qui» aggiunse, passato qualche momento di silenzio

imbarazzante. «So che è un lungo viaggio andata e ritorno, soprattutto nel fine

settimana.»

«Non è affatto un problema, signore» dissi, sperando di sembrare convinta. «Sono

felice di aiutarla… in quello che ha bisogno.» Mi chiedevo ancora di cosa potesse

trattarsi, di preciso.

Mi osservò per un paio di secondi e fece un breve cenno del capo. «Sei molto

volenterosa» disse. «Proprio come tuo padre.»

Non risposi. Sapevo che quell’osservazione era intesa come un complimento, ma io

non la presi proprio così. Tom si schiarì la gola. «Bene, allora. Togliamoci il pensiero.

Non voglio scomodarti più del necessario.»

Percepii nuovamente quella nota di agitazione e rispetto. Perché si preoccupava

tanto dei miei sentimenti? Dopo ciò che avevo fatto a suo figlio, Keith, mi sarei

aspettata rabbia e accuse. Tom mi aprì la porta e mi fece cenno di uscire.

«Posso portare il caffè, signore?»

«Certo.»

Mi riportò al corridoio di cemento, guidandomi verso altre porte chiuse. Stringevo

il mio caffè come un bambino stringeva una coperta, di gran lunga più spaventata di

quando ero entrata in quel posto. Tom si fermò qualche porta più in là, di fronte a una

con la luce rossa, ma esitò prima di aprirla.

«Voglio che tu sappia… che ciò che hai fatto è stato estremamente coraggioso»

disse, senza incrociare i miei occhi. «So che tu e Keith eravate, anzi siete, amici e non

deve essere stato facile denunciarlo. Ciò dimostra come sei dedita al nostro lavoro…

cosa non facile quando ci sono di mezzo i sentimenti personali»

Keith ed io non eravamo mai stati, né eravamo, amici, ma pensai di capire perché si

era sbagliato Tom. Keith aveva vissuto con la mia famiglia per un’estate e poi avevamo

lavorato insieme a Palm Spring. Denunciarlo per i suoi crimini non era stato affatto

difficile per me. A dire la verità, mi era piaciuto. Tuttavia, vedendo il dolore sul volto

di Tom non avrei mai potuto dire una cosa del genere.

Deglutii. «Beh, il nostro lavoro è importante, signore.»

Mi rivolse un sorriso triste. «Sì, certo che lo è.»

La porta aveva una tastiera di sicurezza. Tom digitò una sequenza di circa dieci cifre,

e la serratura scattò, accettandola. Aprì la porta e lo seguii dentro. La stanza era austera

e poco illuminata e c’erano altre tre persone dentro, perciò inizialmente non notai

cos’altro contenesse la stanza. Capii immediatamente che gli altri erano Alchimisti.

Non avevano motivo di trovarsi in quel posto, altrimenti. E, naturalmente, mostravano

quei segnali rivelatori che mi avrebbero permesso di identificarli anche in una strada

affollata. Abbigliamento elegante fatto di colori indefiniti. Dei tatuaggi di gigli dorati

brillavano sulle loro guance sinistre. Era una parte dell’uniformità che tutti

condividevamo. Eravamo un esercito segreto, che si celava nell’ombra dei nostri

compagni umani.

Tutti e tre avevano in mano un blocco degli appunti e fissavano una delle pareti. Fu

in quel momento che capii lo scopo di quella stanza. Una finestra nel muro si affacciava

su un’altra stanza, illuminata molto più della nostra.

E in quella stanza c’era Keith Darnell.

Scattò verso il vetro che ci separava e iniziò a battere su di esso. Il mio cuore accelerò

e indietreggiai un po’ impaurita, sicura che volesse me. Impiegai un po’ per rendermi

conto che non poteva vedermi. Mi rilassai, ma di poco. La finestra era un falso

specchio. Premette le mani sul vetro, passando febbrilmente lo sguardo sui volti che

sapeva essere lì ma che non poteva vedere.

«Vi prego, vi prego» gridò. «Fatemi uscire. Vi prego, fatemi uscire di qui.»

Keith sembrava un po’ più trasandato dell’ultima volta in cui lo avevo visto. I suoi

capelli erano arruffati e sembrava non li avesse tagliati nel mese che avevamo passato

divisi. Indossava una tuta completamente grigia, del genere che si vedeva addosso a un

prigioniero o a un malato mentale, che mi ricordava il cemento del corridoio. La cosa

che si notava maggiormente era l’espressione disperata e terrorizzata nei suoi occhi…

o meglio, nel suo occhio. Keith aveva perso uno dei suoi occhi in un attacco di vampiri

che io avevo segretamente aiutato a orchestrare. Nessuno degli Alchimisti ne sapeva

niente, così come nessuno di loro sapeva che Keith aveva stuprato mia sorella maggiore

Carly. Dubitavo che Tom Darnell mi avrebbe ancora elogiata per la mia “dedizione”

se avesse saputo del mio atto di vendetta segreto. Vedendo lo stato di Keith adesso mi

dispiacque un po’ per lui, e soprattutto per Tom, il cui volto era pieno di sofferenza.

Tuttavia non mi sentivo in colpa per ciò che avevo fatto a Keith. Né per l’arresto né

per l’occhio. Per farla breve, Keith era una cattiva persona.

«Sono sicura che lei riconosca Keith» disse una degli Alchimisti con i blocchi degli

appunti. Aveva i capelli grigi legati in una crocchia stretta e ordinata.

«Sì, signora» dissi.

Fui salvata da altre domande quando Keith riprese a battere sul vetro con rinnovata

furia. «Vi prego! Dico sul serio! Quello che volete. Farò qualsiasi cosa. Dirò qualsiasi

cosa. Crederò a tutto. Ma, vi prego, non rimandatemi lì!»

Sia io che Tom trasalimmo, ma gli altri Alchimisti guardarono la scena con

distaccamento clinico e scarabocchiarono qualche appunto sui loro blocchetti. La

donna con la crocchia tornò a guardarmi come se non ci fosse stata alcuna interruzione.

«Il giovane signor Darnell ha trascorso un po’ di tempo in uno dei nostri Centri di

Rieducazione. Un provvedimento spiacevole, ma necessario. Il suo traffico di beni

illeciti era sicuramente un male, ma la sua collaborazione con i vampiri è

imperdonabile. Tuttavia, sostiene di non avere alcun legame con loro… ma non

possiamo esserne certi. Anche se ci stesse dicendo la verità, il suo atteggiamento

trasgressivo potrebbe evolvere in qualcosa di più… Non solo in una collaborazione con

i Moroi, ma anche con gli Strigoi. Facendo così lo teniamo lontano da quella situazione

precaria e pericolosa.»

«È davvero per il suo bene» disse il terzo Alchimista con il blocchetto degli appunti.

«Gli stiamo facendo un favore.»

Una sensazione di orrore mi travolse. Lo scopo degli Alchimisti era quello di tenere

l’esistenza dei vampiri segreta agli umani. Credevamo che i vampiri fossero creature

contro natura che non avrebbero dovuto avere nulla a che fare con gli umani come noi.

Ciò che ci preoccupava davvero erano gli Strigoi, vampiri assassini e malvagi che

potevano spingere gli umani a servirli promettendo loro l’immortalità. Anche i pacifici

Moroi e le loro controparti metà umane, i dhampir, venivano guardati con sospetto.

Collaboravamo spesso con questi ultimi due gruppi e, anche se ci era stato insegnato

di trattarli con sdegno, era inevitabile che alcuni Alchimisti non solo si avvicinassero

a Moroi e dhampir… ma cominciassero anche a apprezzarli.

La cosa assurda era che, nonostante il crimine commesso nel vendere sangue di

vampiro, Keith era una delle ultime persone a cui pensavo quando si parlava di gente

troppo amichevole con loro. Mi aveva dimostrato chiaramente la sua avversione nei

loro confronti numerose volte. Se c’era qualcuno che meritava di essere accusato di

legami con i vampiri…

…beh, quella ero io.

Uno degli altri Alchimisti, un uomo con degli occhiali da sole che pendevano ad arte

dal suo bavero, riprese il discorso. «Lei, signorina Sage, è un esempio eccezionale di

persona in grado di lavorare continuamente con loro, pur mantenendo la sua

oggettività. La sua dedizione non è stata ignorata da coloro che stanno sopra di noi.»

«Grazie, signore» dissi a disagio, chiedendomi quante volte avrei sentito la parola

“dedizione” quella sera. C’era una bella differenza rispetto a qualche mese prima,

quando mi ero cacciata nei guai per aver aiutato a fuggire una dhampir. In seguito era

stata dimostrata la sua innocenza e il mio coinvolgimento era stato etichettato come

“ambizione di lavoro”.

«Inoltre» continuò Occhiali da Sole, «considerata la sua esperienza con il signor

Darnell, pensiamo che possa essere la persona adatta a rilasciarci una dichiarazione.»

Rivolsi di nuovo la mia attenzione a Keith. Aveva continuato a colpire e a urlare

senza fermarsi un attimo. Gli altri erano riusciti a ignorarlo, quindi cercai di farlo anche

io.

«Una dichiarazione su cosa, signore?»

«Stiamo decidendo se farlo tornare o no al Centro Rieducativo» spiegò Crocchia

Grigia. «Ha fatto progressi eccellenti qui, ma alcuni pensano che sia meglio assicurarsi

che qualsiasi possibilità di legame con i vampiri venga cancellata.»

Se l’attuale comportamento di Keith era un “progresso eccellente”, non riuscivo ad

immaginare come fosse un piccolo progresso.

Occhiali da Sole poggiò la penna sul suo blocco. «Basandosi su ciò che ha visto a

Palm Spring, signorina Sage, qual è la sua opinione sullo stato mentale del signor

Darnell a proposito dei vampiri? Il legame a cui ha assistito era così grave da

legittimare ulteriori misure precauzionali?.» Presumibilmente “ulteriori misure

precauzionali” significava farlo tornare nel Centro di Rieducazione.

Mentre Keith continuava a picchiare, tutti gli occhi dei presenti nella stanza erano

puntati su di me. Gli Alchimisti sembravano pensierosi e curiosi. Tom Darnell stava

sudando visibilmente, mentre mi guardava con paura e aspettativa. Pensai che fosse

comprensibile: avevo il destino di suo figlio nelle mie mani.

Mentre guardavo Keith sentivo delle emozioni contrastanti. Non è che non mi

piaceva… lo odiavo proprio. E io non odiavo molte persone. Non potevo perdonare ciò

che aveva fatto a Carly. Allo stesso modo, i ricordi di ciò che aveva fatto a me e agli

altri a Palm Spring erano ancora freschi nella mia mente. Mi aveva denigrata e aveva

reso la mia vita un inferno nel tentativo di coprire la sua truffa con il sangue. Aveva

anche trattato in modo orribile i vampiri e i dhampir che avevamo l’incarico di

proteggere. Mi venne da chiedermi chi fosse il vero mostro.

Non sapevo esattamente cosa fosse accaduto al Centro di Rieducazione. A giudicare

dalla reazione di Keith, doveva essere un gran brutto posto. C’era una parte di me che

desiderava dire agli Alchimisti di rispedirlo lì per anni e di non lasciargli più vedere la

luce del sole. I suoi crimini meritavano una punizione severa, tuttavia non ero certa che

meritasse questa punizione nello specifico.

«Penso… penso che Keith Darnell sia corrotto» dissi infine. «È egoista ed immorale.

Non si preoccupa degli altri, né di ferirli per perseguire i suoi obiettivi. È disposto a

mentire, rubare e ingannare per ottenere ciò che vuole.» Esitai prima di continuare.

«Ma… non credo che non riesca più a vedere la vera la natura dei vampiri. Non penso

che sia troppo legato a loro o in pericolo di ricascarci in futuro. Ma c’è anche da dire

che non penso debba essergli permesso di lavorare come Alchimista nel prossimo

futuro. Che questo significhi imprigionarlo o metterlo in libertà vigilata, sta a voi

deciderlo. Le sue azioni passate hanno dimostrato che non prende seriamente la nostra

missione, ma questo a causa del suo egoismo. Non per un’innaturale attrazione nei loro

confronti. Lui… beh, ad essere sincera, è semplicemente una brutta persona.»

Calò il silenzio, fatta eccezione per il movimento frenetico delle penne mentre gli

Alchimisti prendevano nota. Osai rivolgere uno sguardo a Tom, spaventata da ciò che

avrei visto dopo aver completamente infangato suo figlio. Con mia grande sorpresa,

Tom sembrava… sollevato. E grato. A dirla tutta, sembrava sull’orlo delle lacrime.

Incrociando i miei occhi, con la bocca mimò un grazie. Incredibile. Avevo appena

affermato che Keith era un essere umano orribile in ogni modo possibile. Ma niente di

questo importava a suo padre, bastava che non avessi accusato Keith di essere in

combutta con i vampiri. Anche se avessi dato dell’assassino a Keith, probabilmente

Tom sarebbe stato comunque riconoscente, se ciò significava che Keith non era pappa

e ciccia con il nemico.

Ciò mi irritò e mi portò di nuovo a chiedermi chi fossero davvero i mostri in tutto

questo. Il gruppo che avevo lasciato a Palm Spring era cento volte più morale di Keith.

«Grazie, signorina Sage» disse Crocchia Grigia, finendo di scrivere i suoi appunti.

«È stata di estremo aiuto e prenderemo in considerazione ciò che ha detto per la nostra

decisione. Può andare adesso. Se va nel corridoio, troverai Zeke che aspetta di portarla

fuori.»

Fu un congedo repentino, ma era tipico degli Alchimisti. Efficienti, dritti al punto.

Annuii gentilmente e guardai un’ultima volta Keith prima di aprire la porta. Non

appena si chiuse dietro di me, trovai il corridoio silenzioso, per fortuna. Non riuscivo

più a sentire Keith.

Zeke, a quanto pare, era l’Alchimista che mi aveva accompagnata dentro. «Tutto a

posto?» chiese.

«Così sembra» dissi, ancora un po’ stordita per ciò che era appena accaduto. Capii

che il mio rapporto sulla situazione a Palm Spring era stata semplicemente una scusa

per gli Alchimisti. Ero in zona, quindi perché non incontrarmi di persona? Non era

essenziale. Questo, ovvero vedere Keith, era stato il vero scopo del mio viaggio da un

capo all’altro del Paese.

Mentre camminavamo lungo il corridoio, qualcosa che non avevo notato prima

catturò la mia attenzione. La sicurezza di una delle porte era molto alta, più della stanza

nella quale ero appena stata. Oltre alle luci e alla tastierina, c’era anche un lettore di

schede. In cima alla porta c’era una serratura a scatto che si chiudeva dall’esterno.

Niente di strano, ma era chiaramente fatta per tenere qualunque cosa ci fosse dietro la

porta all’interno.

Mi fermai davanti alla porta e la studiai per qualche momento. Poi ripresi a

camminare, sapendo che era meglio non chiedere nulla. I bravi Alchimisti non

facevano domande.

Zeke, vedendo il mio sguardo, si fermò. Guardò me, poi la porta, poi di nuovo me.

«Vuoi… vuoi vedere cosa c’è lì dentro?.» I suoi occhi guizzarono velocemente verso

la porta dalla quale eravamo usciti. Era un Alchimista di basso livello, lo sapevo, ed

aveva chiaramente paura di mettersi nei guai con gli altri. Allo stesso tempo, il suo

ardore suggeriva che era entusiasta segreti che doveva mantenere, segreti che non

poteva condividere con gli altri. Io ero una valvola di sfogo sicura.

«Penso che dipenda da cosa c’è dentro» dissi.

«É la ragione per cui facciamo ciò che facciamo» disse in tono misterioso. «Dai

un’occhiata, e capirai perché i nostri obiettivi sono tanto importanti.»

Deciso a rischiare, passò la sua scheda sul lettore e poi digitò un lungo codice. Una

luce sulla porta diventò verde, e la serratura a scatto si aprì. Mi aspettavo un’altra stanza

semibuia, invece la luce all’interno era così intensa da farmi male agli occhi. Mi portai

una mano alla fronte per farmi scudo.

«È un tipo di terapia della luce» spiegò Zeke in segno di scuse. «Hai presente le

lampade di sole che hanno le persone che vivono in regioni nuvolose? Hanno lo stesso

tipo di raggi. La speranza è che faccia tornare le persone come lui un po’ più umane…

O almeno scoraggiarle dal pensare di essere degli Strigoi.»

All’inizio ero troppo accecata per capire cosa intendesse. Poi, attraverso la stanza

vuota, vidi una prigione. Delle larghe sbarre in metallo coprivano l’entrata, che era

protetta da un altro lettore di schede e da un’altra tastiera. Mi sembrò un’esagerazione,

quando riuscii a vedere l’uomo all’interno. Era più grande di me, sui venticinque anni

ad occhio e croce, e aveva un aspetto così scarmigliato da far sembrare Keith pulito e

ordinato. L’uomo era magro ed era rannicchiato in un angolo, con le mani sopra gli

occhi per proteggersi dalla luce. Aveva delle manette ai polsi e alle caviglie e

chiaramente non avrebbe potuto andare da nessuna parte. Al nostro ingresso, osò darci

una sbirciata e poi scoprì un po’ di più il viso.

Fui attraversata da un brivido. Quell’uomo era umano, ma la sua espressione era

fredda e cattiva come quella di ogni Strigoi che avevo incontrato. I suoi occhi grigi

erano quelli di un predatore. Era senza emozioni, come quegli assassini che non

nutrivano nessun moto d’empatia nei confronti delle altre persone.

«Mi hai portato la cena?» chiese con una voce roca che doveva essere falsa. «Una

bella ragazza giovane, vedo. Più magra di quelle che piacciono a me, ma sono sicuro

che il suo sangue sia comunque succulento.»

«Liam» disse Zeke con poca pazienza. «Sai dov’è la tua cena.» Indicò un vassoio di

cibo intatto all’interno della gabbia, che sembrava essersi raffreddato da molto tempo.

Crocchette di pollo, fagiolini, e un biscotto con glassa zuccherata. «Non mangia quasi

mai niente» mi spiegò Zeke. «È per questo che è così magro. Continua a insistere nel

volere del sangue.»

«Lui… che cos’è?» chiesi, senza riuscire a staccare gli occhi da Liam. Era una

domanda stupida, ovviamente. Liam era chiaramente umano, tuttavia… c’era qualcosa

che non andava in lui.

«Un’anima corrotta che vuole essere uno Strigoi» disse Zeke. «Alcuni guardiani lo

hanno trovato al servizio di quei mostri e ce l’hanno consegnato. Abbiamo cercato di

rieducarlo, ma senza alcun successo. Continua a ripetere quanto sono fantastici gli

Strigoi e che un giorno tornerà da loro e ce la farà pagare. Nel frattempo, fa del suo

meglio per fingersi uno di loro.»

«Oh» disse Liam, con un sorriso furbo. «Io sarò uno di loro. Ricompenseranno la

mia lealtà e le mie sofferenze. Loro mi risveglieranno, e diventerò forte oltre ogni

vostra piccolissima immaginazione umana. Vivrò per sempre e vi darò la caccia, a tutti

voi. Farò un banchetto con il vostro sangue e ne assaporerò ogni goccia. Voi Alchimisti

reggete le fila e credete di avere il controllo su ogni cosa. Vi illudete. Non controllate

niente. Non siete niente.»

«Visto?» disse Zeke, scuotendo la testa. «Patetico. Ecco cosa potrebbe succedere se

non facessimo il lavoro che facciamo. Altri umani potrebbero diventare come lui e

vendere la loro anima per la frivola promessa dell’immortalità.» Fece il segno che

usavano gli Alchimisti contro il male, una piccola croce sulla spalla, e mi ritrovai ad

imitarlo. «Non mi piace stare qui, ma a volte… a volte è un ottimo promemoria del

motivo per cui dobbiamo tenere i Moroi e gli altri nell’ombra. Del perché non possiamo

farci ingannare da loro.»

In un angolo della mia mente sapevo che c’era un’enorme differenza nel modo in

cui i Moroi e gli Strigoi interagivano con gli umani. Tuttavia, non riuscii a formulare

alcuna argomentazione di fronte a Liam. Mi aveva lasciata esterrefatta… e impaurita.

Era facile credere a ogni parola che dicevano gli Alchimisti. Era questo ciò contro cui

combattevamo. Era questo l’incubo che non potevamo far avverare.

Non sapevo cosa dire, ma Zeke non sembrava aspettarsi molto.

«Vieni, andiamo.» Guardò Liam e aggiunse: «E tu farai meglio a mangiare il tuo

cibo, perché non ne riceverai altro fino a domani mattina. Non mi interessa se è freddo

e duro.»

Liam assottigliò lo sguardo. «Che mi importa del cibo umano se fra poco berrò il

nettare degli Dei? Il tuo sangue sarà caldo sulle mie labbra, il tuo e anche quello della

ragazza carina.» Poi iniziò a ridere, un suono molto più inquietante delle grida di Keith.

Le risate continuarono mentre Zeke mi guidava fuori dalla stanza. La porta si chiuse

alle nostre spalle e mi ritrovai in piedi nel corridoio, intontita. Zeke mi guardò con

apprensione.

«Mi dispiace… forse non avrei dovuto fartelo vedere.»

Scossi lentamente la testa. «No, avevi ragione. È bene che lo vediamo, per capire

cosa stiamo facendo. L’ho sempre saputo ma… non mi aspettavo qualcosa del genere.»

Provai a riportare i miei pensieri sulle cose di tutti i giorni e a cancellare il terrore

dalla mente. Guardai il mio caffè. Era intatto e tiepido. Feci una smorfia.

«Posso fare un altro caffè prima di andare?» Avevo bisogno di qualcosa di normale.

Qualcosa di umano.

«Certo.»

Zeke mi riportò nella sala d’aspetto. Il caffè che avevo fatto era ancora caldo. Buttai

il vecchio caffè e me ne versai dell’altro. Mentre lo facevo, la porta si aprì

all’improvviso e ne entrò un angosciato Tom Darnell. Sembrava sorpreso di vedere

qualcuno lì dentro e ci oltrepassò, sedendosi sul divano e nascondendosi il viso tra le

mani. Zeke e io ci scambiammo un’occhiata incerta.

«Signor Darnell» esordii. «Sta bene?»

Non mi rispose subito. Restò con il viso coperto, il corpo scosso da singhiozzi

silenziosi. Stavo per andarmene quando mi guardò, anche se avevo la sensazione che

non mi stesse davvero vedendo. «Hanno deciso» disse. «Hanno preso una decisione

per Keith.»

«Già?» domandai sorpresa. Zeke e io avevamo passato circa cinque minuti con

Liam.

Tom annuì tristemente. «Lo rimandano indietro. Lo rimandano in Rieducazione.»

Non potevo crederci. «Ma… gliel’ho detto! Ho detto loro che non è alleato con i

vampiri. Lui crede… in ciò che crediamo anche noi. Ha fatto solo delle scelte

sbagliate.»

«Lo so. Ma hanno detto che non possiamo correre il rischio. Anche se a Keith sembra

non importare dei vampiri, anche se crede che non gliene importi, rimane il fatto che

ha fatto un patto con uno di essi. Sono preoccupati che la sua volontà di intraprendere

quel tipo di collaborazione possa influenzarlo in futuro. È meglio occuparsi della cosa

adesso. Loro… probabilmente hanno ragione loro. È meglio così.»

L’immagine di Keith che picchiava sul vetro e supplicava di non tornare lì mi

attraversò la mente.

«Mi dispiace, signor Darnell.»

Lo sguardo angosciato di Tom si concentrò un po’ più su di me. «Non ti scusare,

Sydney. Hai fatto tanto… tanto per Keith. Grazie a ciò che hai detto, ridurranno il suo

periodo al Centro di Rieducazione. Significa molto per me. Grazie.»

Mi si attorcigliò lo stomaco. A causa mia, Keith aveva perso un occhio. A causa mia,

Keith era andato al Centro Rieducativo. Provai di nuovo quella sensazione: meritava

di soffrire in qualche modo, ma non meritava di soffrire in quel modo.

«Avevano ragione su di te» aggiunse Tom. Cercava a sorridere, ma non ci riusciva.

«Sei di gran esempio. Sei davvero volenterosa. Tuo padre deve essere molto fiero di

te. Non so come fai a vivere con quelle creature ogni giorno e tenere la testa a posto.

Gli altri Alchimisti potrebbero imparare davvero tanto da te. Tu sai cosa significano

responsabilità e dovere.»

Da quando ero volata via da Palm Spring il giorno prima, avevo pensato molto alle

persone che avevo lasciato lì… quando gli Alchimisti non mi distraevano con i

prigionieri, naturalmente. Jill, Adrian, Eddie e persino Angeline… era frustrante a

volte, ma alla fine erano persone che avevo iniziato a conoscere e a cui tenevo.

Nonostante mi facessero correre di qua e di là, quel gruppetto variegato mi mancava

dall’istante in cui avevo lasciato la California. C’era quello che sembrava un vuoto

dentro di me, quando non erano con me.

Ora, sentirmi in quel modo mi disorientava. Stavo confondendo il confine fra

amicizia e dovere? Se Keith si era messo nei guai per una piccola collaborazione con i

vampiri, io non ero peggiore? E quanto ci mancava per diventare come Liam?

Le parole di Zeke mi risuonarono nella testa: Non possiamo farci ingannare da loro.

E poi ciò che aveva appena detto Tom: Tu sai cosa significano responsabilità e

dovere.

Mi stava guardando in attesa, e mi sforzai di sorridere mentre allontanavo tutte le

mie paure. «Grazie, signore» dissi. «Faccio ciò che posso.»

CAPITOLO 2 Traduzione: Federica Fae Quaranta & Alecsandra

QUELLA NOTTE NON DORMII. In parte fu colpa del cambio dell’ora. Il mio volo

di ritorno per Palm Springs era previsto per lei sei di mattina, quindi le tre del mattino

nel fuso orario in cui il mio corpo credeva ancora che fossimo. Dormire sembrava

inutile.

E, ovviamente, c’era il piccolissimo fatto che era abbastanza difficile rilassarsi dopo

tutto ciò che avevo visto nel bunker degli Alchimisti. O immaginavo gli occhi assurdi

di Liam, oppure ripensavo ai continui avvertimenti che avevo sentito in merito a coloro

che si avvicinavano troppo ai vampiri.

Il fatto che avessi la posta in arrivo piena di messaggi scritti dal gruppo di Palm

Springs, poi, non aiutava. Di solito controllavo le e-mail direttamente sul telefono, una

volta fuori casa. Ora, nella mia camera d’albergo, mentre guardavo tutti i messaggi ero

piena di dubbi. Erano davvero professionali? Erano troppo amichevoli? Non

rispettavano il protocollo degli Alchimisti? Dopo aver visto quello che era successo a

Keith, era più evidente che mai che non ci voleva molto per mettersi nei guai con la

mia organizzazione.

Uno dei messaggi era di Jill e l’oggetto diceva: Angeline… sigh. Non era una

sorpresa e non mi preoccupai di leggerlo subito. Angeline Dawes, una dhampir

ingaggiata per fare da compagna di stanza a Jill e fornirle una maggiore sicurezza,

aveva avuto un po’ di problemi ad adattarsi alla Amberwood. Si metteva

continuamente nei guai e sapevo che, di qualsiasi cosa si trattasse stavolta, non c’era

niente che potessi fare ora come ora.

Un altro messaggio era proprio di Angeline. Ma non lo lessi. L’oggetto diceva

LEGGI! CHE RIDERE! Angeline aveva da poco scoperto le e-mail. Però sembrava

non avesse ancora scoperto come disattivare il capslock. Inoltrava indiscriminatamente

scherzi, truffe finanziarie e avvertimenti di virus. E a proposito di questo… avevamo

dovuto installare un software per la protezione dei bambini sul suo pc, per bloccarle

l’accesso ad alcuni siti web e pubblicità. Questo dopo che aveva scaricato

accidentalmente quattro virus.

Fu sull’ultima e-mail che mi soffermai. Era da parte di Adrian Ivashkov, l’unica

persona nel nostro gruppo che non si fingeva studente della Amberwood Preparatory

School. Adrian era un Moroi di ventuno anni, quindi sarebbe stato strano farlo passare

per uno delle superiori. Adrian stava con noi perché lui e Jill avevano un legame

psichico che si era inavvertitamente creato quando lui aveva usato la sua magia per

salvarle la vita. Tutti i Moroi esercitavano un tipo di magia elementare e la sua era lo

spirito, un elemento misterioso legato alla mente e alla cura. Il legame permetteva a Jill

di leggere i pensieri e le emozioni di Adrian, cosa che preoccupava entrambi. Il suo

stare vicino a lei li aveva aiutati a scoprire alcune caratteristiche del legame. In più,

Adrian non aveva nulla di meglio da fare.

L’oggetto del suo messaggio diceva: MANDAMI SUBITO AIUTO. A differenza di

Angeline, Adrian conosceva le regole dell’uso delle maiuscole e le aveva

semplicemente usate per dare un effetto drammatico. Sapevo anche che se avevo

qualche dubbio riguardo ai messaggi collegati al mio lavoro, questo era sicuramente il

meno professionale di tutti. Adrian non era sotto la mia responsabilità. Nonostante

questo, aprii comunque il messaggio.

Giorno 24. La situazione peggiora. I miei rapitori continuano a trovare nuovi e

orribili modi per torturarmi. Quando non lavora, l’Agente Scarlet passa le giornate

ad esaminare campioni di tessuti per i vestiti delle damigelle e continua a ripetere

quanto sia innamorata. Di solito questo porta l’Agente Noia Borscht a deliziarci con

storie sui matrimoni russi, che sono anche più noiose delle solite che racconta. I miei

tentativi di fuga sono stati tutti ostacolati finora. Inoltre, ho finito le sigarette.

Qualsiasi aiuto o tipo di tabacco tu riesca a inviare sarà di gran lunga apprezzato.

— Prigioniero 24601

Cominciai a sorridere, mio malgrado. Adrian mi mandava messaggi di questo tipo

quasi ogni giorno. Quell’estate avevamo scoperto che coloro che erano stati trasformati

in Strigoi con la forza potevano ritornare com’erano usando lo spirito. Era comunque

un processo complesso, difficile… reso tale dal fatto che c’erano pochissimi

conoscitori dello spirito. Alcuni avvenimenti più recenti avevano dimostrato che gli

Strigoi riconvertiti non potevano più essere trasformati. Ciò aveva elettrizzato gli

Alchimisti e i Moroi allo stesso modo. Se ci fosse stato un modo magico per prevenire

la conversione in Strigoi, i pazzi come Liam non sarebbero più stati un problema.

Per questo erano entrati in gioco Sonya Karp e Dimitri Belikov – o, come li chiamava

Adrian nelle sue lettere piene di angoscia, “Agente Scarlet” e “Agente Noia Borscht”.

Sonya era una Moroi, Dimitri era un dhampir. Entrambi erano stati Strigoi ed erano

stati salvati dalla magia dello spirito. I due erano arrivati a Palm Springs il mese prima

per lavorare con Adrian in una specie di gruppo di esperti per scoprire cosa potesse

proteggere dalla trasformazione in Strigoi. Era un compito estremamente importante,

che avrebbe avuto grandi ramificazioni se avesse avuto successo. Sonya e Dimitri

erano due dei più grandi lavoratori che conoscevo… cosa che non sempre era

compatibile con lo stile di Adrian.

La maggior parte del lavoro richiedeva dei lenti e scrupolosi esperimenti, molti dei

quali coinvolgevano Eddie Castile, un dhampir sotto copertura alla Amberwood. Lui

serviva da elemento di controllo, dato che, a differenza di Adrian, Eddie era un dhampir

che non era stato toccato né dallo spirito, né da un passato da Strigoi. Non c’era molto

che potessi fare per aiutare Adrian con la sua frustrazione nei confronti gruppo di

lavoro, e lui lo sapeva. Solo che gli piaceva enfatizzare tutto e sfogarsi con me.

Pensando a ciò che fosse essenziale e non nel mondo degli Alchimisti, stavo per

cancellare il messaggio, ma…

Una cosa mi fece esitare. Adrian aveva firmato la sua e-mail con un riferimento a I

miserabili di Victor Hugo. Era un libro sulla Rivoluzione Francese, così pesante che si

poteva usare come arma. L’avevo letto sia in francese che in inglese. Considerando che

una volta Adrian si era annoiato leggendo un menu particolarmente lungo, facevo fatica

ad immaginare che avesse letto il libro di Hugo in una qualsiasi lingua. Ma come faceva

a conoscere quel riferimento? Non importa, Sidney, disse una voce severa da

Alchimista dentro la mia testa. Cancellalo. È irrilevante. La conoscenza letteraria di

Adrian (o mancanza di questa) non è una tua preoccupazione.

Ma non ci riuscivo. Dovevo sapere. Questo era un dettaglio che mi avrebbe portato

alla pazzia. Scrissi un messaggio di risposta: Come fai a sapere del 24601? Mi rifiuto

di credere che tu abbia letto il libro. Hai guardato il musical, vero?

Premetti invia e ricevetti la sua risposta quasi immediatamente: SparkNotes1.

Tipico. Risi ad alta voce e mi sentii subito in colpa. Non avrei dovuto rispondere.

Era il mio account e-mail personale, ma se gli Alchimisti avessero avuto la necessità

di indagare su di me, non si sarebbero fatti scrupoli ad accedervi. Queste cose erano

incriminanti, perciò cancellai tutto lo scambio di e-mail… non che avesse importanza.

Nessun dato andava mai perso per sempre.

Quando atterrai a Palm Springs alle sette di mattina, era terribilmente evidente che

avevo superato ogni limite di sopravvivenza conferito dalla caffeina. Ero troppo

esausta. Nessuna quantità di caffè sarebbe più servita. Quasi mi addormentai davanti

all’aeroporto, mentre aspettavo che mi venissero a prendere. Quando arrivarono, non

me ne resi conto finché non chiamarono il mio nome.

Dimitri Belikov saltò giù da una macchina blu a noleggio e si avviò a grandi passi

verso di me, prendendo la mia valigia prima che potessi dire qualcosa. Alcune donne

vicino smisero di parlare per fissarlo ammirate. Mi alzai in piedi. «Non c’è bisogno»

dissi, anche se stava già caricando la valigia nel cofano.

«Certo che c’è bisogno» disse, con un leggero accento russo. Mi rivolse un piccolo

sorriso. «Sembrava che stessi dormendo.»

«Magari» dissi, mentre mi sedevo al posto del passeggero. Anche se fossi stata

completamente sveglia, sapevo che Dimitri mi avrebbe comunque preso la valigia. Era

fatto così, l’ultimo superstite della galanteria nel mondo moderno, sempre pronto ad

aiutare gli altri.

Questa era solo una delle cose più sorprendenti di Dimitri. Il suo sguardo bastava a

far fermare molte persone sul loro cammino. Aveva i capelli castano scuro raccolti in

un codino e degli occhi castani abbinati che avevano un’aria misteriosa e affascinante.

Era anche alto – quasi due metri – perciò riusciva a competere con alcuni Moroi. I

dhampir erano indistinguibili dagli umani per me, quindi potevo ammettere anche io

che raggiungeva un punteggio molto alto sulla scala della bellezza.

C’era anche un’energia attorno a lui, che non poteva non avere effetto su tutti. Era

sempre all’erta, sempre pronto agli imprevisti. Non l’avevo mai visto abbassare la

guardia. Era sempre pronto ad attaccare. Era senza dubbio pericoloso ed ero felice che

fosse dalla nostra parte. Mi sentivo sempre protetta con lui… e un po’ sospettosa.

«Grazie per il passaggio» aggiunsi, «avrei potuto chiamare un taxi.» Mentre parlavo,

mi resi conto che le mie parole erano inutili, come quando gli avevo detto che non mi

serviva una mano per la valigia.

«Nessun problema» mi assicurò lui, mentre guidava tra i sobborghi di Palm Springs.

Si asciugò il sudore dalle sopracciglia e questo in qualche modo lo rese attraente. Anche

se era presto, il caldo già cominciava a farsi sentire. «Sonya ha insistito. Inoltre, oggi

niente esperimenti.»

1 Un sito inglese dove si trovano riassunti e altro materiale utile agli studenti.

Aggrottai la fronte. Quegli esperimenti e il potenziale che rappresentavano per

prevenire la trasformazione in Strigoi erano troppo importanti. Dimitri e Sonya lo

sapevano e si dedicavano molto alla causa – soprattutto nei fine settimana, quando

Adrian e Eddie non avevano lezione – per questo la notizia mi lasciava tanto perplessa.

La mia etica del lavoro ci mise un po’ a capire perché non si sarebbero fatte ricerche

quella domenica.

«Adrian?» tirai ad indovinare. Magari non era “dell’umore giusto” per fare ricerche.

«In parte» rispose Dimitri. «Manca anche il nostro elemento di controllo. Eddie ha

detto che ha avuto altri impegni e non ce la faceva a venire.»

Il mio cipiglio si fece più profondo. «Che impegni potrebbe avere avuto Eddie?»

Anche Eddie era estremamente scrupoloso. A volte Adrian lo chiamava mini-

Dimitri. Anche se Eddie andava alle superiori e faceva i compiti proprio come me,

sapevo che avrebbe abbandonato qualsiasi compito per occuparsi del bene comune.

Riuscivo a pensare ad una sola cosa che avrebbe avuto la precedenza sull’aiutare a

trovare una “cura” alla trasformazione Strigoi. Il mio cuore cominciò a battere

velocemente.

«Jill sta bene?.» Doveva essere così. Altrimenti qualcuno me l’avrebbe detto, no?

L’obiettivo principale di Eddie a Palm Springs – ed anche il mio – era quello di tenerla

al sicuro. Se fosse stata in pericolo, la cosa avrebbe oscurato tutto il resto.

«Sta bene» disse Dimitri. «Le ho parlato stamattina. Non so cosa stia succedendo,

ma Eddie non si sarebbe assentato se non fosse stato importante.»

«Credo di no» mormorai, ancora preoccupata.

«Ti preoccupi quanto me» disse Dimitri. «Non pensavo fosse possibile.»

«È il mio lavoro preoccuparmi. Devo sempre fare in modo che tutti stiano bene.»

«Non è una brutta cosa se fai in modo di stare bene anche tu. Potresti scoprire che

anche così aiuti gli altri.»

Risi. «Rose ha sempre scherzato riguardo la tua ‘Saggezza da Maestro Zen’. Ne sto

avendo un assaggio? Se sì, capisco perché non ha resistito al tuo fascino.»

Ciò mi fece guadagnare una delle rare e sincere risate di Dimitri. «Penso di sì. Se

glielo chiedi, ti dirà che è stato per le uccisioni con i paletti e per le decapitazioni. Ma

sono sicuro che alla fine sia stata la saggezza Zen a conquistarla.»

Il mio sorriso di risposta si sciolse immediatamente in uno sbadiglio. Era fantastico

che riuscissi a scherzare con un dhampir. Di solito ero colta da attacchi di panico

quando mi trovavo nella stessa stanza con uno di loro o un Moroi. Lentamente, durante

gli ultimi sei mesi, la mia ansia aveva iniziato a placarsi. Avrei sempre colto quella

sensazione di ‘stranezza’ con loro, ma avevo fatto molti progressi. Una parte di me

sapeva che era un bene che continuassi a tracciare una linea tra loro e gli umani, ma

era anche un bene essere flessibili per rendere il mio lavoro meno pesante. Non troppo

flessibili, mi ammonì la voce interiore da Alchimista.

«Eccoci qua» disse Dimitri, fermandosi di fronte al mio dormitorio alla Amberwood

Prep. Se aveva notato il mio cambiamento d’umore, non me lo disse. «Dovresti

riposarti.»

«Ci proverò» dissi. «Ma prima devo scoprire cosa è successo a Eddie.»

La faccia di Dimitri si fece tutta seria. «Se riesci a trovarlo, portalo con te stasera e

vediamo se riusciamo a finire qualcosa. A Sonya piacerebbe molto. Ha delle nuove

idee.»

Annuii, ricordandomi che erano quelli i principi a cui dovevamo attenerci. Lavoro,

lavoro, lavoro. Dovevamo ricordare quali erano i nostri obiettivi principali. «Vedo cosa

posso fare.»

Lo ringraziai di nuovo ed entrai dentro, determinata a portare a termine la mia

missione. Perciò restai un po’ delusa quando i miei alti obiettivi furono subito distrutti.

«Signorina Melrose?»

Mi girai immediatamente sentendo il suono del cognome che avevo assunto qui alla

Amberwood. La signora Weathers, l’anziana e grassottella direttrice del dormitorio, si

stava precipitando verso di me. La sua faccia mostrava preoccupazione, il che non

preannunciava niente di buono.

«Sono felicissima del suo ritorno» disse. «Confido che lei abbia passato dei giorni

piacevoli con la sua famiglia?»

«Sì, signora.» Se per “piacevoli” intendeva “terrificanti e inquietanti”.

La signora Weathers mi fece cenno di raggiungere la sua scrivania. «Devo parlarle

di sua cugina.»

Trattenni una smorfia nel ricordare l’email di Jill. La cugina Angeline. Tutti noi

frequentavamo la Amberwood fingendoci parenti. Jill ed Eddie erano miei fratelli.

Angeline era nostra cugina. Questo serviva a spiegare perché fossimo sempre insieme

e ci immischiassimo nei nostri affari.

Mi sedetti con la signora Weathers e pensai con desiderio al mio letto. «Cos’è

successo?» chiesi.

La signorina Weathers sospirò. «Sua cugina sta avendo problemi con le nostre regole

di abbigliamento.»

Quella era una sorpresa. «Ma abbiamo la divisa, signora.»

«Certamente» disse. «Ma non fuori dalle lezioni.»

Quello era vero. Indossavo un paio di pantaloni eleganti color cachi e una camicetta

verde a maniche corte, insieme ad una piccola croce d’oro che portavo sempre. Feci un

resoconto mentale del guardaroba di Angeline, cercando di ricordare se avessi mai

visto qualcosa di preoccupante. Probabilmente la parte più terribile era la qualità dei

suoi vestiti. Angeline faceva parte dei Custodi, una comunità mista di umani, Moroi, e

dhampir che vivevano negli Appalachi. Assieme alla mancanza di elettricità e acqua

corrente, i Custodi sceglievano di cucirsi i vestiti o almeno di indossarli fino a

consumarli.

«Venerdì sera l’ho vista indossare un paio di pantaloncini di jeans terribilmente

corti» continuò la signorina Weathers con un sussulto. «L’ho sgridata immediatamente,

e lei mi ha detto che era l’unico modo per stare comoda con questo caldo. Le ho dato

un avvertimento e le ho consigliato di trovare qualcosa di più consono. Sabato si è

presentata con gli stessi pantaloncini e una canotta che era assolutamente indecente. A

quel punto l’ho sospesa e confinata nel dormitorio per il resto del weekend.»

«Mi dispiace, signora» dissi. Non avevo veramente idea di cos’altro dire. Avevo

passato il weekend impegnata nell’epica battaglia per salvare l’umanità, e ora…

pantaloncini di jeans?

La signora Weathers diventò esitante. «So… beh, so che questo non la dovrebbe

riguardare. È un problema dei genitori. Ma, visto quanto è responsabile e quanto si

prende cura della sua famiglia...»

Sospirai. «Sì, signora. Me ne occuperò io. Grazie per non preso provvedimenti più

severi.»

Andai di sopra, la mia piccola valigia diventava più pesante ad ogni gradino. Quando

raggiunsi il secondo piano, mi fermai, insicura sul da farsi. Un altro piano ancora mi

avrebbe portato alla mia stanza. Questo piano mi avrebbe portato da “mia cugina

Angeline”. Con riluttanza, imboccai il corridoio del secondo piano, sapendo che

sarebbe stato meglio occuparsi prima di questo problema.

«Sydney!» Jill Mastrano aprì la porta della sua camera, i suoi occhi verde chiaro

scintillavano di gioia. «Sei tornata.»

«Così sembra» dissi, seguendola dentro. Anche Angeline era lì che poltriva sul letto

con un libro in mano. Ero piuttosto sicura che quella fosse la prima volta che la vedevo

studiare, ma gli arresti domiciliari probabilmente limitavano le sue opzioni ricreative.

«Cosa volevano gli Alchimisti?» chiese Jill. Si sedette a gambe incrociate sul suo

letto e cominciò a giocare distrattamente con i ricci dei suoi capelli castano chiari.

Feci spallucce. «Lavoro d’ufficio. Roba noiosa. Sembra che le cose siano state un

po’ più interessanti qui.» L’ultima frase la pronunciai rivolgendo un’occhiata

penetrante ad Angeline.

La ragazza dhampir scese dal letto, la faccia furiosa e gli occhi azzurri lampeggianti

d’ira. «Non è stata colpa mia! Quella Weathers è stata decisamente fuori luogo!»

esclamò con un leggero accento del sud.

Dando una controllata ad Angeline non vidi niente di troppo preoccupante. I suoi

jeans erano logori ma dignitosi, così come la sua T-shirt. Anche la sua zazzera di capelli

biondo ramati erano ordinati, una volta tanto, e legati in una coda.

«Allora cosa diavolo ti sei messa per farla arrabbiare così tanto?» chiesi.

Con uno sguardo arrabbiato, Angeline andò al suo armadio e ne tirò fuori un paio di

pantaloncini di jeans con l’orlo più sfilacciato che avessi mai visto. Pensavo che si

sarebbero disfatti di fronte ai miei occhi. Erano anche così corti che non sarei rimasta

sorpresa nel vedere che mostravano la biancheria intima quando li aveva indosso.

«Dove li hai presi quelli?»

Angeline sembrava quasi orgogliosa. «Li ho fatti io.»

«Con cosa? Un seghetto?»

«Avevo due paia di jeans» disse in modo pratico. «Faceva così caldo fuori che ho

pensato di trasformarne un paio in pantaloncini.»

«Ha usato un coltello della mensa» disse Jill venendo in suo aiuto.

«Non riuscivo a trovare le forbici» si spiegò Angeline.

Il mio letto. Dov’era il mio letto?

«La signora Weathers ha menzionato anche una canotta indecente» dissi.

«Oh» disse Jill. «Quella era mia.»

Sentii le mia sopracciglia alzarsi. «Cosa? So che tu non ha niente di “indecente”.»

Prima che Angeline arrivasse un mese prima, io e Jill eravamo compagne di stanza.

«Non lo è» concordò Jill. «Solo che non è esattamente della taglia di Angeline.»

Guardai le due ragazze e capii. Jill era alta e magra, come molti Moroi, con un corpo

che gli stilisti di moda desideravano tantissimo, un corpo per cui avrei ucciso. Jill aveva

anche fatto la modella. Quel corpo comprendeva anche un petto modesto. Il petto di

Angeline… non era poi così modesto. Se avesse indossato una canotta della taglia di

Jill, immaginavo che l’integrità strutturale della maglia sarebbe stata tirata fino a dei

limiti indecenti.

«Jill indossa quella canotta sempre e non finisce mai nei guai» disse Angeline sulla

difensiva. «Pensavo che non sarebbe stato un problema se l’avessi presa in prestito.»

Cominciava a farmi male la testa. Tuttavia, pensavo che questo fosse meglio di

quella volta in cui Angeline era stata beccata a farsi un ragazzo nel bagno dei maschi.

«Beh. Questo è facilmente risolvibile. Possiamo andare – beh, io posso andare, dal

momento che tu sei bloccata qui – a comprarti dei vestiti della tua taglia stasera.»

«Oh» disse Angeline, diventando subito più allegra, «non ce n’è bisogno. Se ne sta

occupando Eddie.»

Se Jill non avesse annuito, avrei pensato che fosse uno scherzo. «Eddie? Eddie ti sta

comprando dei vestiti?»

Angeline sospirò felicemente. «Non è carino da parte sua?»

Carino? No, ma capivo perché Eddie l’avesse fatto. Comprare dei vestiti decenti ad

Angeline probabilmente era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare, ma lo avrebbe fatto.

Come me, capiva il senso del dovere. E adesso capivo perché Eddie aveva annullato

gli esperimenti e perché era stato vago sulle motivazioni.

Presi immediatamente il mio cellulare e lo chiamai. Mi rispose subito, come sempre.

Ero certa che non fosse mai più lontano di un metro dal suo telefono. «Ciao, Sydney.

Sono contento che tu sia tornata.» Fece una pausa. «Sei tornata, vero?»

«Sì, sono con Jill e Angeline. Ho saputo che stai facendo un po’ di shopping.»

Lui gemette. «Lasciamo stare. Sono appena entrato nella mia stanza.»

«Vuoi passare di qui con le tue compere? Devi comunque restituirmi la macchina.»

Ci fu un momento di esitazione. «Ti dispiacerebbe venire tu qui? Sempre se Jill sta

bene. Sta bene, vero? Non ha bisogno di me? Perché se è così…»

«Sta bene.» Il suo dormitorio non era lontano, ma speravo in un sonnellino veloce.

Nonostante questo, mi ritrovai ad accettare, come sempre. «Okay. Ci vediamo

nell’atrio tra quindici minuti?»

«Va bene. Grazie, Sydney.»

Non appena riattaccai, Angeline mi chiese con entusiasmo: «Eddie viene qui?»

«Vado io da lui» dissi.

Il suo entusiasmo sparì. «Ah. Immagino che non abbia importanza dato che sono

comunque rinchiusa qui. Non vedo l’ora di poter riprendere ad allenarmi. Vorrei fare

altri combattimenti a due con lui.» Non mi ero resa conto di quanto Angeline fosse

concentrata sul suo allenamento. Di fatto, sembrava molto entusiasta all’idea.

Uscii dalla loro stanza e rimasi sorpresa nel trovare Jill alle mie spalle non appena

si chiuse la porta. I suoi occhi erano grandi e tesi. «Sydney… mi dispiace.»

La guardai con curiosità, chiedendomi se avesse fatto anche lei qualcosa. «Per

cosa?»

Lei indicò la porta. «Per Angeline. Avrei dovuto impegnarmi di più a tenerla fuori

dai guai.»

Quasi sorrisi. «Quello non è il tuo lavoro.»

«Sì, lo so…» Abbassò lo sguardo e parte dei suoi lunghi capelli si spostarono in

avanti. «Ma comunque so che dovrei essere più simile a te. Invece mi sono solo… beh.

Divertita.»

«Ne hai il diritto» dissi, cercando di ignorare il sottile commento su di me.

«Dovrei comunque essere più responsabile» rispose.

«Tu sei responsabile» la rassicurai. «Specialmente messa a confronto con

Angeline.» La mia famiglia aveva un gatto nello Utah che era sicuramente più

responsabile di Angeline.

La faccia di Jill s’illuminò, e la salutai per andare a riportare la valigia nella mia

stanza. Grazie all’arrivo di Angeline e al mio impegno nell’incastrare Keith mi ero

guadagnata una stanza tutta per me nel dormitorio, cosa di cui facevo tesoro. Dentro

tutto era tranquillo e ordinato. Il mio mondo perfetto. L’unico posto che il caos della

mia vita non poteva toccare. Il letto rifatto alla perfezione mi chiedeva di mettermi a

dormire. Per dir la verità, mi implorava. Presto, gli promisi. Spero.

L’Amberwood Prep era divisa in tre campus: quello Est, dove stavano le ragazze;

quello Ovest, per i ragazzi, e quello Centrale, in cui si trovavano tutti gli edifici

accademici. C’era una navetta che viaggiava tra questi ad orari regolari, oppure i più

coraggiosi potevano farsela a piedi al caldo. Di solito le temperature non mi

disturbavano, ma camminare mi sembrava troppo faticoso quel giorno. Così presi la

navetta per il Campus Ovest e cercai di rimanere sveglia.

L’atrio del dormitorio era molto simile al nostro, c’era un continuo viavai di persone

che si apprestavano a dedicarsi ai loro impegni scolastici o semplicemente a godersi la

domenica libera. Mi guardai attorno, ma Eddie non era ancora arrivato.

«Ehi, Melbourne.»

Mi voltai e vidi Trey Juarez avvicinarsi, un ghigno sul suo volto abbronzato. Era

all’ultimo anno come me e mi aveva dato il soprannome “Melbourne” dopo che una

delle nostre insegnanti si era dimostrata incapace di ricordarsi il nome Melrose.

Onestamente, con tutti quei nomi, era un miracolo che io stessa mi ricordassi chi fossi.

«Ehi, Trey» dissi. Trey era una vera star del football, ma anche molto intelligente,

per quanto volesse nasconderlo. Per questo andavamo d’accordo, e il mio aiuto nel

ripristinare il suo prestigio di atleta aveva migliorato di molto la mia reputazione ai

suoi occhi. Aveva uno zaino su una spalla. «Finalmente vai a finire quella relazione

per il laboratorio di chimica?

«Sì» disse lui. «Io e metà della squadra delle cheerleader. Vuoi unirti a noi?»

Alzai gli occhi al cielo. «Chi sa perché ho il dubbio che non lavorerete granché. E

poi devo vedermi con Eddie.»

Trey scrollò le spalle e si tolse qualche ciocca ribelle dagli occhi. «Ci perdi tu. Ci

vediamo domani.» Fece un paio di passi e poi si voltò verso di me. «Ehi, ti vedi con

qualcuno?»

Feci subito per dire di no, ma poi mi venne in mente una cosa terrificante. Tendevo

a prendere le cose alla lettera. Delle mie amiche, Kristin e Julia, avevano cercato di

istruirmi sulle sottigliezze della vita sociale del liceo. Une delle prime cose che mi

avevano insegnato era stata che non sempre le persone pensavano quello che

dicevano… specialmente nelle questioni romantiche.

«Mi stai… mi stai chiedendo di uscire?» chiesi, sbalordita. Quella era l’ultima cosa

di cui avevo bisogno in quel momento. Cosa avrei dovuto rispondergli? Avrei dovuto

dirgli di sì? Avrei dovuto rifiutarlo? Non avevo pensato che aiutarlo a fare i compiti di

chimica mi avrebbe resa tanto seducente. Avrei dovuto lasciare che li facesse da solo.

Trey sembrava sorpreso dell’idea tanto quanto me. «Cosa? No. Certo che no.»

«Grazie al cielo» dissi. Mi piaceva Trey, ma non avevo nessun interesse nell’uscire

con lui… né capire quale fosse il modo più appropriato per dirgli di no.

Mi lanciò uno sguardo pungente. «Non c’è bisogno di sembrare così sollevata al

pensiero.»

«Scusa» dissi, cercando di nascondere il mio imbarazzo. «Perché me l’hai chiesto?»

«Perché conosco il ragazzo perfetto per te. Sono sicuro che lui sia la tua anima

gemella.»

Eravamo tornati in territorio familiare: logica contro mancanza di logica. «Non

credo nelle anime gemelle» dissi. «È statisticamente irragionevole che ci sia una sola

persona ideale per tutti nel mondo.»

Eppure, per mezzo secondo, sperai che fosse possibile. Sarebbe stato carino avere

qualcuno che capisse ciò che avevo nella testa.

Trey alzò gli occhi al cielo. «Okay. Non un’anima gemella. Cosa ne dici di qualcuno

con cui uscire una volta ogni tanto e con cui divertirti?»

Scossi la testa. «Non ho tempo per queste cose.» Ed era la verità. Tenere tutto in

ordine con il gruppo, e far finta di essere una studentessa, era già un lavoro a tempo

pieno.

«Ti dico che ti piacerebbe. Va ad una scuola pubblica e ha appena iniziato a lavorare

da Spencer.»

Spencer era una caffetteria nella quale lavorava Trey, per questo ricevevo degli

sconti. «L’altro giorno si è messo a parlare di respirazione aerobica e inaerobica e io

ho pensato: “Sai chi mi ricorda? Melbourne”.»

«Si dice respirazione anaerobica» lo corressi. «È comunque non vuol dire che io

abbia tempo. Mi dispiace.» Dovevo ammetterlo, ero immensamente curiosa di sapere

come fosse uscito quell’argomento tra due baristi, ma mi resi conto che era meglio non

incoraggiare Trey.

«Okay» disse lui. «Poi non dire che non ho cercato di aiutarti.»

«Non ci penserei mai» lo rassicurai. «Ehi, c’è Eddie.»

«È ora di andare allora. Ci vediamo ragazzi.» Trey fece un saluto militare a me e a

Eddie. «Non ti dimenticare della mia offerta se vuoi un appuntamento bollente,

Melbourne.»

Trey se ne andò, ed Eddie mi lanciò uno sguardo sbalordito. «Trey ti ha appena

chiesto di uscire?»

«No. Ha un collega di lavoro con cui vuole sistemarmi.»

«Forse non è una cattiva idea.»

«È una terribile idea. Andiamo fuori.»

Al caldo del deserto sembrava non importare che fosse ottobre, perciò lo guidai verso

una panchina vicino alla parete di stucco del dormitorio. L’ombra parziale di qualche

palme vicino dava una leggero sollievo. La gente giurava che le temperature sarebbero

calate presto, ma non avevo visto nessun cambiamento. Eddie mi consegnò le chiavi

della macchina e le buste di un negozio del posto.

«Ho dovuto andare a caso per la taglia» mi disse. «Per le cose su cui avevo dubbi,

ho preso una taglia più grande. Ho pensato fosse più sicuro così.»

«Probabilmente.» Mi sedetti sulla panchina e rovistai tra i suoi acquisti. Jeans,

pantaloni color cachi, qualche T-shirt dai colori neutri. Erano molto pratici, proprio

quello che un ragazzo pragmatico come Eddie avrebbe scelto. Approvavo. «Le taglie

sembrano giuste. Hai buon occhio. Dovremmo mandarti a fare shopping più spesso.»

«Se è quello che devo fare» disse con espressione seria. Non riuscii a non ridere per

la sorpresa.

«Stavo scherzando.» Misi le T-shirt nella busta. «So che non puoi esserti divertito.»

La faccia di Eddie non fece trapelare niente. «Oh, andiamo. Va tutto bene. Non devi

fare il finto stoico con me. So che non ti è piaciuto.»

«Sono qui per svolgere un lavoro. Non importa se mi piace o meno.»

Cominciai a protestare ma poi ci ripensai. Dopotutto, questa non era anche la mia

filosofia? Sacrificare i miei desideri per uno scopo superiore? Eddie si dedicava

profondamente a questa missione. Non si tirava mai indietro. Da lui non mi aspettavo

niente meno che determinazione.

«Allora, questo vuol dire che ti va di fare degli esperimenti stasera?» chiesi.

«Cert…» Si fermò e ci ripensò. «Vengono anche Jill e Angeline?»

«No. Angeline è ancora agli arresti domiciliari.»

«Grazie a Dio» disse con gran sollievo.

La sua reazione fu probabilmente la cosa più sorprendente di quel giorno. Non

riuscivo ad immaginare perché Eddie sembrasse così sollevato. A parte la sua lealtà da

guardiano nei confronti di Jill, era anche pazzo di lei. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per

lei, anche se non riguardava il suo lavoro, ma si rifiutava di confessarle i suoi

sentimenti. Pensava di non essere degno di una principessa. Mi venne in mente una

cosa preoccupante.

«Stai… stai evitando Jill per via di lei e Micah?»

Micah era il compagno di stanza di Eddie, un ragazzo che aveva causato a Eddie

ogni tipo di trauma degno di terapia, perché era molto simile al miglior amico morto di

Eddie, Mason. Micah aveva anche una strana pseudo-relazione con Jill. Nessuno di noi

ne era felice, dal momento che (a parte per i Custodi) le relazioni tra umani e Moroi o

dhampir erano strettamente vietate. Alla fine avevamo stabilito che era impossibile

impedire a Jill di avere una vita sociale, e lei aveva giurato che non c’era niente di serio

o fisico tra lei e Micah. Passavano solo molto tempo insieme. E flirtavano

incessantemente. Lui non sapeva la verità sul suo conto, ma mi chiedevo quando

avrebbe voluto di più dalla loro relazione. Eddie continuava ad insistere che era meglio

che Jill avesse una relazione con un umano piuttosto che con un dhampir “indegno”

come lui, ma sapevo che doveva essere una tortura.

«Certo che no» disse Eddie bruscamente. «Non è Jill che voglio evitare. È

Angeline.»

«Angeline? Cosa ha combinato adesso?»

Eddie si passò frustrato una mano tra i capelli. I suoi erano di un biondo sabbia, non

molto diversi dal mio colore, che erano di un dorato scuro. Questa somiglianza ci

aiutava a passare per gemelli. «Non mi vuole dar tregua! Lancia sempre commenti

allusivi quando sono con lei… e non la smette di fissarmi. Detta così non sembrerebbe

una cosa inquietante, ma lo è. Mi guarda sempre. E non posso evitarla perché sta

sempre con Jill, e io devo tenere Jill al sicuro.»

Ripensai ai loro incontri recenti. «Sei sicuro di interpretare la cosa nel modo giusto?

Non mi sono mai accorta di nulla.»

«Questo perché tu non noti questo genere di cose» disse lui. «Non hai idea di quante

scuse trovi per strusciarsi contro di me.»

Dopo aver visto i suoi pantaloncini fatti in casa, qualche idea ce l’avevo. «Hmm.

Beh, forse le potrei parlare io.»

All’improvviso, Eddie torno tutto serio. «No. È un mio problema, si tratta della mia

vita privata. Me ne occuperò io.»

«Ne sei sicuro? Perché posso…»

«Sydney» disse gentilmente. «Sei la persona più responsabile che conosca, ma non

sei qui per questo. Non devi occuparti di tutto e di tutti.»

«Non mi dà fastidio» dissi automaticamente. «È esattamente per questo che sono

qui.» Ma anche mentre lo dicevo, mi chiesi se fosse vero. Un po’ dell’ansia provata nel

bunker ritornò, facendomi domandare se quello che facevo fosse veramente una

responsabilità da Alchimista o semplicemente il desiderio di aiutare quelli che, contro

il protocollo, erano diventati i miei amici.

«Vedi? Adesso sembri me poco fa.» Si alzò e mi rivolse un gran sorriso. «Vuoi

venire con me da Adrian? A fare le persone responsabili insieme?»

Le sue parole volevano essere un complimento, ma assomigliavano troppo a quello

che mi avevano detto gli Alchimisti. E la signora Weathers. E Jill. Tutti pensavano che

io fossi meravigliosa, responsabile e contenuta.

Ma se ero tanto fantastica, allora perché ero sempre insicura quando si trattava di

fare la cosa giusta?

CAPITOLO 3 Traduzione: Claude

ANCHE SE EDDIE mi aveva detto di non preoccuparmi di Angeline, il mio lato più

curioso non riusciva a fare a meno di tempestarlo di domande sull’argomento. «Come

pensi di occupartene?» chiesi. «Con una chiacchierata a cuore aperto?»

Scosse la testa. «Più che altro pensavo di evitarla a meno che non sia strettamente

necessario. Sperando che perda interesse.»

«Beh, può essere un modo. Ma tu sei una persona piuttosto diretta.» Se si fosse

trovato davanti un’orda di Strigoi, non avrebbe avuto esitazioni a gettarsi nella mischia.

«Forse dovresti provare quel tipo di approccio. Parla con lei e dille onestamente che

non ti interessa.»

«È facile in teoria» rispose. «Ma non di persona.»

«A me sembra facile.»

Eddie sembrava scettico. «Questo perché tu non ti sei mai trovata in questo genere

di situazioni.»

Andare da Adrian era diventato molto più facile di quanto non lo fosse stato

all’inizio. Il suo appartamento una volta era di Keith ed era stato il luogo dove erano

morti un Moroi di nome Lee e due Strigoi. Erano ricordi difficili da cancellare. Gli

Alchimisti mi avevano offerto quell’appartamento, dal momento che ero la nuova

responsabile dell’area di Palm Springs, ma avevo preferito cederlo ad Adrian. Non ero

sicura di voler andare a vivere lì, e lui voleva tanto un appartamento tutto per sé. E

quando avevo visto quanto lo avesse reso felice la sistemazione, avevo capito di aver

fatto la scelta giusta.

Adrian aprì la porta prima che avessimo il tempo di bussare. «La cavalleria! Grazie

a Dio.»

Repressi un sorriso mentre Eddie e io entravamo nell’appartamento. La prima cosa

che mi colpiva ogni volta che andavo lì era il giallo brillante che Adrian aveva scelto

per le pareti. Era convinto che fosse un toccasana per l’umore e ci aveva avvertito di

non mettere in discussone la sua “sensibilità artistica”. Il fatto che quel giallo facesse

a pugni con i mobili di seconda mano a fantasia scozzese sembrava del tutto irrilevante.

O forse ero io a non essere abbastanza “artistica” da apprezzarlo. A ogni modo, quegli

abbinamenti assurdi rendevano l’ambiente accogliente. Non aveva niente a che vedere

con lo stile di Keith, perciò era un pochino più facile cancellare gli eventi di quella

notte. Alle volte, quando facevo vagare lo sguardo per il salotto, mi si spezzava il

respiro nel rivivere l’attacco di quei malvagi Strigoi e la morte di Lee. Ma i

cambiamenti apportati da Adrian erano una luce che spazzava via le tenebre del

passato.

Ogni tanto, quando ero triste, la personalità di Adrian aveva lo stesso effetto.

«Bella camicetta, Sage» commentò impassibile. «Fa risaltare il color cachi dei

pantaloni.»

Sarcasmo a parte, sembrava estremamente felice di vederci. Era alto, slanciato, con

la tipica struttura fisica dei Moroi, e il loro tipico pallore (sebbene diverso da quello

degli Strigoi) della pelle. Odiavo ammetterlo, ma era molto più attraente di quanto

avesse diritto d’essere. Aveva i capelli scuri scompigliati ad arte e degli occhi che alle

volte sembravano troppo verdi per essere veri. Indossava una di quelle camicie con

colletto che andavano di moda ultimamente, con una fantasia blu che mi piaceva molto.

E, dal suo odore, sembrava avesse fumato di recente, cosa che odiavo.

Dimitri e Sonya erano seduti al tavolo della cucina, impegnati a studiare un mucchio

di fogli con degli appunti scritti a mano. I fogli sembravano sparsi abbastanza a

casaccio, il che mi portò a chiedermi quanto lavoro potessero portare a termine. Io avrei

tenuto quelle pagine in perfetto ordine, sistemate per argomento.

«Mi fa piacere che tu sia tornata» disse Sonya. «Avevo bisogno di un po’ di supporto

femminile, qui.» La bellezza dei suoi capelli rossi e dei suoi zigomi alti era rovinata

dal fatto che mostrasse i denti quando sorrideva. A molti Moroi veniva insegnato presto

a evitarlo, per non farsi scoprire dagli umani. Sonya non aveva remore a farlo in

privato. Mi infastidiva molto.

Dimitri mi sorrise. Questo rese il suo viso ancora più attraente, e immaginai che la

ragione per cui Rose si era innamorata di lui non era “la saggezza da maestro zen”.

«Suppongo che tu non ti sia riposata.»

«Avevo troppo da fare» risposi.

Sonya lanciò a Eddie uno sguardo incuriosito. «Ci chiedevamo dove fossi finito.»

«Avevo degli impegni alla Amberwood» rispose in modo vago lui. Mi aveva detto

in macchina che sarebbe stato meglio non parlare della mancanza di discrezione di

Angeline e del suo shopping forzato. «Tenere d’occhio Jill e Angeline. Inoltre, ho

aspettato che tornasse Sydney, visto che voleva vedere cosa stavamo facendo.» Lasciai

correre la bugia.

«Come sta andando Angeline?» chiese Dimitri. «Sta migliorando?»

Eddie e io ci scambiamo un’occhiata. Alla faccia di evitare la sua mancanza di

discrezione. «Migliorando in cosa, esattamente?» chiesi. «A combattere, a seguire il

codice di abbigliamento o a tenere le mani a posto?»

«O a togliere il caps-lock?» aggiunse Eddie.

«L’hai notato anche tu?» chiesi.

«Difficile non accorgersene» rispose lui.

Dimitri sembrò sorpreso, il che non accadeva spesso con lui. Non lo si coglieva di

sorpresa molto spesso, ma d’altronde, nessuno poteva essere preparato alle azioni di

Angeline.

«Non pensavo di dover essere più specifico» disse Dimitri dopo una pausa.

«Intendevo a combattere.»

Eddie scrollò le spalle. «C’è stato qualche miglioramento, ma è difficile che assimili

qualcosa. Cioè, è fortemente determinata a proteggere Jill, ma è anche sicura di sapere

già come fare. Ha diversi anni di allenamenti approssimativi alle spalle. È difficile

farglieli superare. E poi lei… si distrae facilmente.»

Dovetti soffocare una risata.

Dimitri sembrava ancora preoccupato. «Non ha tempo per distrarsi. Forse dovrei

parlarle io.»

«No» replicò Eddie con fermezza; una di quelle rare volte in cui contraddiceva

Dimitri. «Hai un sacco di cose da fare qui. Allenarla è una mia responsabilità. Non ti

preoccupare.»

Adrian prese una sedia e la girò in modo da appoggiare il mento sullo schienale.

«Cosa ci dici di te, invece, Sage? So che non dobbiamo preoccuparci che tu possa

violare il codice di abbigliamento. Ti sei divertita alle terme degli Alchimisti questo

week-end?»

Appoggiai la borsa per terra e mi diressi verso il frigo. «Se per terme intendi un

bunker sotterraneo. E si trattava solo di lavoro.» Feci una smorfia guardandoci dentro.

«Mi avevi promesso che avresti comprato qualche bevanda dietetica.»

«Sì, è vero» rispose Adrian, non mostrando alcun rimorso. «Ma poi ho letto un

articolo in cui c’era scritto che quei dolcificanti artificiali non fanno bene. Quindi ho

pensato di badare alla tua salute.» Fece una pausa. «Non c’è di che.»

Dimitri diede voce a quello a cui tutti stavamo pensando. «Se vuoi cominciare a

parlare di sane abitudini, te ne potrei suggerire qualcuna.»

Se Eddie o io avessimo fatto un’osservazione del genere, ad Adrian sarebbe

scivolato addosso, soprattutto dal momento che era assolutamente corretta. Ma detto

da Dimitri? Era completamente diverso. C’era un sacco di tensione tra loro due, una

tensione che andava crescendo da molto tempo. La fidanzata di Dimitri, una nota

dhampir di nome Rose Hathaway, era uscita per qualche tempo con Adrian. Non era

stata sua intenzione ferirlo, ma era sempre stata innamorata di Dimitri in quel periodo.

Era inevitabile che andasse a finire male. Adrian aveva ancora molte cicatrici

lasciategli da quell’esperienza ed era particolarmente pungente nei confronti di Dimitri.

«Non vorrei mai darti disturbo» disse Adrian in tono un po’ troppo freddo. «E poi,

quando non lavoro duramente alle ricerche, conduco per conto mio un esperimento

sulla capacità che hanno sigarette e gin di accrescere il carisma. Come potrai

immaginare, i risultati sono davvero promettenti.»

Dimitri sollevò un sopracciglio. «Aspetta, torna indietro. Hai detto lavorare

duramente?»

Il tono di Dimitri era leggero e scherzoso e, di nuovo, rimasi sorpresa dal “due pesi

e due misure” di Adrian. Se io avessi fatto un commento del genere, lui avrebbe

risposto qualcosa del tipo: “Assolutamente, Sage. Probabilmente vincerò il Nobel per

questo”. Ma per Adrian le parole di Dimitri erano un invito allo scontro. Vidi un

luccichio negli occhi di Adrian, un guizzo di un dolore passato, e ne rimasi colpita.

Non era il suo modo di fare. Aveva sempre il sorriso e la battuta pronta, anche se

potevano rivelarsi irriverenti e inappropriate. Ero abituata a quello. Quasi mi piaceva.

Guardai Adrian con un sorriso e sperai che sembrasse sincero, piuttosto che un

tentativo disperato di creare un diversivo. «Ricerche, eh? Pensavo fossi un uomo dedito

al gioco d’azzardo.»

Ci vollero alcuni minuti perché lo sguardo di Adrian abbandonasse Dimitri e si

fissasse su di me. «Sì, gioco a dadi di tanto in tanto» disse cautamente. «Perché?»

Scrollai le spalle. «Niente. Mi chiedevo se ti andrebbe di mettere da parte le tue

ricerche sul carisma per fare una sfida. Se riuscirai a passare ventiquattro ore senza

sigarette, io berrò una lattina di una bevanda gassata. Una bevanda gassata con gli

zuccheri. Un’intera lattina.»

Vidi il baluginio di un sorriso rifarsi strada sul volto di Adrian. «Non lo faresti mai.»

«Assolutamente sì.»

«Metà lattina e finiresti in coma.»

Sonya si accigliò. «Hai il diabete?» mi chiese.

«No» rispose Adrian. «Ma Sage è convinta che un leggero eccesso di calorie la farà

passare da magrissima a regolarmente magra. Una tragedia.»

«Ehi» lo ripresi. «Tu pensi che sia una tragedia passare un’ora senza sigarette.»

«Non mettere in dubbio la mia volontà di ferro. Oggi sono stato due ore senza

sigarette.»

«Resisti ventiquattr’ore e avrai la mia stima.»

Mi lanciò un’occhiata di finta sorpresa. «Intendi dire che non ce l’ho già? E io che

pensavo fossi rimasta abbagliata fin dal primo momento.»

Sonya scosse la testa con aria indulgente, come se fossimo due bambini adorabili.

«Non sai che ti perdi, Sydney» commentò, indicando la lattina aperta davanti a sé. «Io

ho bisogno di tre di queste al giorno per restare concentrata su questo lavoro. Nessun

effetto nocivo finora.»

Nessun effetto nocivo finora? Ovviamente no. Per i Moroi non ce n’erano mai.

Sonya, Jill… loro potevano mangiare tutto quello che volevano senza prendere un solo

grammo. Invece io dovevo metabolizzare ogni singola caloria e non riuscivo comunque

a raggiungere quel livello di perfezione. Entrare in quei pantaloni kaki taglia quaranta

quella mattina era stato un trionfo. Ma in quel momento, guardando la corporatura

snella di Sonya, mi sentii enorme in confronto. Improvvisamente mi pentii della mia

proposta di bere una lattina di una bevanda gassata, anche se così facendo ero riuscita

a distrarre Adrian. Pensavo di poter dormire sogni tranquilli, visto che sarebbe stato

impossibile per lui passare una giornata senza sigarette. Non sarei mai stata chiamata

a pagare la mia scommessa zuccherata.

«Credo che dovremmo metterci a lavoro. Stiamo perdendo tempo» ci rimise in riga

Dimitri.

«Hai ragione» disse Adrian. «Abbiamo sprecato cinque minuti di valida ricerca.

Pronto per divertirti un po’, Castile? So quanto ti diverte oziare.» Dal momento che

stavano cercando di trovare qualcosa di strano in Dimitri, Sonya e Adrian facevano

spesso sedere i due dhampir vicino per studiare la loro aura nei minimi dettagli. La loro

speranza era che la trasformazione di Dimitri in Strigoi avesse lasciato qualche segno

che potesse spiegare come mai fosse immune a un’eventuale ritrasformazione. Era una

buona idea, anche se non si addiceva ad una persona attiva come Eddie.

Ma, naturalmente, lui non si lamentò. Eddie mantenne un’espressione concentrata

esattamente come Dimitri. «Ditemi cosa vi serve.»

«Vogliamo fare un altro studio dell’aura» spiegò Sonya. A quanto pare il povero

Eddie sarebbe rimasto ancora seduto. «L’ultima volta ci siamo concentrati sulla

presenza dello spirito. Questa volta vogliamo mostrare a entrambi delle immagini per

vedere se provocano qualche cambiamento di colore nella vostra aurea.» Annuii, in

cenno di assenso. Diversi esperimenti psicologici utilizzavano tecniche simili, anche

se di solito monitoravano le reazioni psicologiche invece che le loro aure mistiche.

«Io dico che è comunque uno spreco di energie» disse Adrian. «Sono entrambi

dhampir, ma questo non vuol dire che ci dobbiamo aspettare reazioni differenti solo

perché Belikov era uno Strigoi. Ognuno è unico. Ognuno risponde in maniera diversa

alla vista di un’immagine di un gattino o di ragni. Il mio vecchio odia i gatti.»

«Come si fa ad odiare i gatti?» chiese Eddie.

Adrian fece una smorfia. «È allergico.»

«Adrian» lo riprese Sonya. «Ne abbiamo già discusso. Rispetto la tua opinione ma

credo comunque che potremmo scoprire molto.» In realtà ero molto colpita che Adrian

avesse un’opinione. Fino a quel momento mi era sembrato che stesse facendo tutto

quello che Sonya e Dimitri gli dicevano di fare, senza dare troppo peso agli

esperimenti. E, sebbene non ne sapessi molto delle auree che circondavano ogni essere

vivente, comprendevo il suo punto di vista: le differenze individuali avrebbero potuto

rendere inutili le loro ricerche.

«Tutti i dati raccolti sono utili in questo caso» aggiunse Dimitri. «Specialmente dal

momento che non abbiamo trovato nulla, finora. Sappiamo che c’è qualcosa di diverso

in coloro che sono stati Strigoi. Non possiamo sprecare nessuna opportunità di

osservare quale sia.»

Le labbra di Adrian si ridussero a una linea, ma non protestò oltre. Forse perché si

sentiva schiacciato, ma ebbi la sensazione che semplicemente non voleva battibeccare

con Dimitri.

Quando distolsero l’attenzione da me, mi accomodai in salotto con un libro,

cercando di rimanere sveglia. Non avevano bisogno di me. Ero andata solo per tenere

compagnia a Eddie. Di tanto in tanto davo un’occhiata ai loro progressi. Dimitri ed

Eddie guardavano le immagini sul portatile di Sonya mentre lei le faceva scorrere. A

turno, Adrian e Sonya studiavano da vicino i dhampir e prendevano appunti. Speravo

quasi di poter vedere le fasce di colore e di luce e mi chiesi se c’erano davvero delle

differenze evidenti. Osservando Eddie e Dimitri, ogni tanto notavo dei cambiamenti

nelle loro espressioni quando sullo schermo vedevano delle immagini particolarmente

tenere o raccapriccianti, ma, per la maggior parte, il loro lavoro rimaneva un mistero

per me.

Curiosa, mi avvicinai a Sonya quando erano più o meno a metà del lavoro. «Cosa

vedi?» chiesi a bassa voce.

«Colori» rispose lei. «Brillano attorno a ogni essere vivente. Eddie e Dimitri hanno

colori diversi, ma mostrano le stesse reazioni.» Cambiò l’immagine sullo schermo e

apparve una fabbrica che immetteva fumo nero in un cielo altrimenti pulito. «A

nessuno dei due piace quest’immagine. Le loro aure si offuscano e diventano più

scure.» Passò all’immagine successiva, con un sorriso sulle labbra. Tre gattini

apparvero sullo schermo. «E adesso si animano. L’affetto è davvero facile da

individuare in un’aura. Finora hanno reagito in maniera normale. Non c’è alcun segno

nell’aura di Dimitri che lo renda diverso da Eddie.» Ritornai sul divano.

Dopo un paio di ore, Sonya si fermò. «Credo che abbiamo visto tutto. Grazie,

Eddie.»

«Felice di aiutarvi» replicò lui, alzandosi dalla sedia e stiracchiandosi. Sembrava

sollevato sia dal fatto che fosse finita, sia dal fatto che non si fosse limitato soltanto a

fissare il vuoto. Lui era una persona attiva ed energica, e non gli piaceva sentirsi

prigioniero.

«Comunque… abbiamo qualche altra idea» aggiunse lei. «Pensate di farcela a stare

un altro po’?» Naturalmente lo chiese proprio mentre stavo sbadigliando.

Eddie mi guardò comprensivo. «Io resto, ma non c’è bisogno che rimanga anche tu.

Vai a dormire. Troverò un passaggio per tornare.»

«No, no» dissi, soffocando un secondo sbadiglio. «Non mi pesa. Quali sono le altre

idee?»

«Speravo di fare qualcosa di simile con Eddie e Dimitri» spiegò lei. «Ma questa

volta useremo i suoni invece delle immagini. Dopodiché vorrei vedere come

reagiscono ad un diretto contatto con lo spirito.»

«Credo sia una buona idea» dissi, non del tutto sicura di cosa implicasse l’ultima

frase. «Fate quello che dovete fare. Io aspetterò.»

Sonya si guardò attorno e sembrò notare che non ero l’unica ad avere l’aria stanca.

«Forse dovremmo prima mangiare qualcosa.» Eddie si illuminò nell’udire quella frase.

«Vado io» mi offrii. Era la dimostrazione che, adesso, quando i vampiri parlavano

di “cibo” non andavo più in iperventilazione. Sapevo che non si riferiva al sangue, visto

che c’eravamo anche io e due dhampir. E poi non c’era nessun donatore nelle

vicinanze. I donatori erano degli umani che donavano di loro spontanea volontà il

proprio sangue ai Moroi per l’estasi provocata dal morso. Tutti sapevano che non era

un argomento su cui scherzare in mia presenza. «C’è un buon ristorante tailandese

d’asporto a qualche isolato da qui.»

«Ti aiuto io» disse Adrian impaziente.

«Ti aiuto io» disse Sonya. «L’ultima volta che sei uscito per una commissione sei

sparito per due ore.» Adrian aggrottò le sopracciglia, ma non respinse l’accusa. «In

ogni caso le nostre osservazioni sulle auree sono state identiche. Puoi cominciare con

le nuove senza di me.»

Sonya e io prendemmo gli ordini di tutti e uscimmo. Non mi sembrava di aver

bisogno di aiuto, ma immaginai che trasportare il cibo per cinque persone, anche se

solo per pochi isolati, fosse scomodo. Tuttavia, presto capii che aveva altri motivi per

venire con me.

«Che bello uscire a sgranchirsi le gambe» disse. Era tardo pomeriggio, il che

significava meno sole e meno caldo: una condizione che i Moroi adoravano.

Camminammo lungo una strada che portava in centro, con appartamenti eleganti e

piccoli negozi. Tutto intorno a noi si stagliavano delle palme enormi, che creavano un

interessante contrasto con l’eclettico panorama urbano. «Sono rimasta chiusa lì dentro

tutto il giorno.»

Le sorrisi. «E io che pensavo che Adrian fosse l’unico con la smania di uscire per

tutto il lavoro che fate.»

«Lui è solo quello che si lamenta di più» spiegò. «Il che è quasi divertente,

considerando che lui è quello che tra noi esce di più, tra le sue lezioni e i suoi intervalli

per andare a fumare.» Mi ero quasi dimenticata dei due corsi d’arte che Adrian stava

seguendo in un college del posto. Di solito teneva i suoi ultimi progetti in bella vista,

ma ultimamente non ce n’erano più nel salotto. Fino a quel momento non mi ero accorta

di quanto mi mancassero. Forse lo facevo penare, ma alle volte quegli scorci artistici

nel suo mondo erano affascinanti.

Sonya mi fece un breve resoconto dei piani per il suo matrimonio mentre

percorrevamo la breve distanza che ci separava dal ristorante tailandese. La sua

relazione con il dhampir Mikhail Tanner era epica sotto diversi aspetti. Per prima cosa,

dhampir e Moroi non s’impegnavano mai in relazioni serie. Di solito, si trattava per lo

più di rapporti casuali che portavano alla riproduzione di altri dhampir. In aggiunta allo

scandalo del suo impegno, Mikhail aveva dato la caccia a Sonya quando era diventata

una Strigoi, per liberarla dal suo stato abominevole. Rose aveva cercato di fare lo stesso

con Dimitri, credendo che la morte fosse migliore di una vita da Strigoi. Mikhail aveva

fallito, ma il loro amore era rimasto abbastanza solido nonostante quel calvario, che

quando erano riusciti a ritrasformare Sonya, erano immediatamente tornati insieme.

Non riuscivo neppure ad immaginare un amore del genere.

«Ancora non abbiamo scelto i fiori» continuò. «Ortensie o gigli. Ma credo di sapere

a favore di quale dei due vada il tuo voto.»

«In realtà, direi le ortensie. Ho già troppi gigli intorno a me.»

Lei rise e, improvvisamente, si inginocchiò davanti a un’aiuola piena di gladioli.

«Più di quanti pensi. Ci sono gigli che dormono in questo prato.»

«Sono fuori stagione» puntualizzai.

«Niente è mai fuori stagione.» Sonya si guardò attorno con discrezione e poi

appoggio le mani sulla terra. Alcuni secondi dopo, apparvero dei germogli verde scuro,

che crebbero fino a quando un giglio rosso non spuntò sulla cima. «Ah, rossi. Quelli

degli Alchimisti sono bianchi… oh, stai bene?»

Ero indietreggiata così tanto sul marciapiede che ero quasi finita in strada. «Non…

dovresti farlo. Potrebbe vederti qualcuno.»

«Non mi ha vista nessuno» disse lei, rialzandosi. La sua espressione si ammorbidì.

«Scusami, a volte dimentico cosa ti suscita la magia. È stato scorretto da parte mia.»

«Va tutto bene» le dissi, malgrado non ne fossi sicura. La magia dei vampiri mi

faceva sempre accapponare la pelle. I vampiri, creature che si nutrivano di sangue,

erano già abbastanza tremendi così. Ma riuscire a manipolare il mondo con la magia

era ancora peggio. Quel giglio, benché bellissimo, aveva un aspetto sinistro. Non

avrebbe dovuto esistere in quel periodo dell’anno.

Non parlammo oltre di magia, e presto raggiungemmo la strada principale del centro,

dove si trovava il ristorante tailandese. Facemmo il nostro gigantesco ordine d’asporto

e ci dissero di aspettare quindici minuti. Sonya e io restammo fuori, ad ammirare le

palme del centro città nel tramonto. In giro c’era gente impegnata negli acquisti

dell’ultimo minuto, e nei ristoranti c’era un andirivieni di clienti. Molti locali avevano

dei tavoli all’aperto sul marciapiede, ed eravamo circondate da conversazioni

amichevoli. Una grossa fontana, piastrellata di colori brillanti, affascinava i bambini e

spingeva i turisti a fermarsi per una foto. Sonya si faceva facilmente distrarre dalle

varie piante e dagli alberi che in città venivano utilizzati per abbellire le strade. Anche

se non avesse avuto l’abilità di utilizzare lo spirito per influenzare gli esseri viventi,

sarebbe stata lo stesso un’appassionata di giardinaggio.

«Ehi, tu! Melrose maggiore!»

Mi girai e trasalii nel vedere Lia DiStefano venire verso di me. Lia era una stilista di

moda con un negozio qui, nel centro di Palm Springs. Non mi ero accorta che fossimo

di fronte al suo negozio. Perché, in tal caso, sarei rimasta ad aspettare dentro. Lia era

bassa, ma aveva una personalità travolgente, accentuata dallo stile da gitana molto

appariscente che spesso sceglieva per le sue tenute.

«Sono settimane che ti chiamo» disse, una volta raggiunto il nostro lato della strada.

«Perché non hai risposto?»

«Sono stata davvero molto impegnata» risposi con espressione seria.

«Ah.» Lia si mise le mani sui fianchi e cercò di guardarmi dall’alto in basso, cosa

abbastanza divertente, dal momento che io ero più alta di lei. «Quando permetterai a

tua sorella di farmi ancora da modella?»

«Signorina DiStefano» le spiegai paziente, «gliel’ho già detto. Non può più farlo. Ai

nostri genitori non piace. La nostra religione non permette di farci fotografare in viso.»

Il mese scorso, il perfetto fisico da passerella di Jill e i suoi bellissimi tratti eterei

avevano attirato l’attenzione di Lia. Visto che farsi fare una caterva di foto era

decisamente un pessimo modo per rimanere nascosti, avevamo concesso che Jill

sfilasse per Lia solo perché tutte le modelle avrebbero indossato una maschera

veneziana. Da allora Lia aveva continuato a chiedermi di far sfilare di nuovo Jill. Era

davvero difficile, perché sapevo che Jill lo voleva, ma, come me, capiva che la

sicurezza veniva prima. Dicendo che facevamo parte di una setta religiosa spesso

eravamo riusciti a spiegare i nostri strani comportamenti, quindi avevo immaginato che

mi sarei tolta anche Lia di torno. Non era andata così.

«Non ho mai sentito questi vostri genitori» disse Lia. «Ho guardato la tua famiglia,

ho visto come stanno le cose. Sei tu l’autorità. È a te che devo chiedere. Ho la

possibilità di pubblicizzare le mie sciarpe e i miei cappelli su una rivista, e Jill sarebbe

perfetta per il servizio. Cosa posso fare per averla? Vuoi una parte della paga?»

Sospirai. «Non è per i soldi. Non possiamo mostrare il suo viso. Se vuole metterle

di nuovo una maschera veneziana, allora faccia pure.»

Lia aggrottò le sopracciglia. «Non posso.»

«Allora siamo a un punto morto.»

«Dev’esserci qualcosa. Tutto ha un prezzo.»

«Mi dispiace.» Non c’era nessun prezzo che avrebbe potuto offrirmi per farmi venire

meno ai miei doveri nei confronti di Jill e degli Alchimisti.

Un cameriere del ristorante si affacciò per informarci che il nostro ordine era pronto,

liberandoci fortunatamente di Lia. Sonya ridacchiava mentre prendevamo le buste e

tornavamo all’appartamento di Adrian. Il cielo era ancora violetto, rischiarato dagli

ultimi raggi di luce della giornata, e la luce dei lamponi, che passava tra le foglie delle

palme, disegnava strane fantasie sul marciapiede.

«Avresti mai pensato che sbarazzarti di una stilista avrebbe fatto parte del tuo

lavoro?» chiese Sonya.

«No» ammisi. «Sinceramente non mi aspettavo neppure la metà delle cose che

questo lavoro…»

«Sonya?»

Un uomo giovane apparve praticamente dal nulla, bloccandoci la strada. Non lo

conoscevo e sembrava un po’ più grande di me. Aveva i capelli neri a spazzola e

guardava Sonya con curiosità.

Lei si fermò e aggrottò la fronte. «Ti conosco?»

Lui si illuminò. «Certo. Jeff Eubanks. Ti ricordi?»

«No» rispose lei in tono educato, dopo averlo osservato per qualche momento. «Devi

avermi scambiata per qualcun altro. Mi dispiace.»

«No, no» insistette lui. «So che sei tu. Sonya Karp, giusto? Ci siamo conosciuti nel

Kentucky l’anno scorso.»

Sonya si irrigidì. Aveva fatto del Kentucky la sua casa quando era una Strigoi.

Immaginavo che non fossero ricordi piacevoli.

«Mi dispiace» ripeté, la voce tesa. «Non so di cosa tu stia parlando.»

Il tizio rimase imperturbabile, continuando a sorridere come se fossero migliori

amici. «È un lungo viaggio dal Kentucky. Cosa ti ha portata qui? Io mi sono trasferito

per lavoro.»

«Ci dev’essere un errore» dissi io rigidamente, spingendo Sonya in avanti. Non

sapevo di che tipo di errore si trattasse, ma mi bastava la reazione di Sonya. «Dobbiamo

andare.»

Il tizio non ci seguì, ma Sonya rimase in silenzio per gran parte del tragitto verso

casa.

«Dev’essere difficile» dichiarai, sentendo di dover dire qualcosa. «Incontrare

qualcuno del tuo passato.»

Lei scosse la testa. «Non fa parte del mio passato. Ne sono certa. Non l’ho mai visto

prima.»

Pensavo volesse semplicemente evitare qualsiasi richiamo al suo periodo da Strigoi.

«Sei sicura? Non era un semplice conoscente?»

Mi lanciò un’occhiata sarcastica. «Gli Strigoi non hanno semplici conoscenti tra gli

umani. Loro se li mangiano per cena. Quel tizio non avrebbe dovuto sapere chi ero.»

«Era davvero un umano? Non un dhampir?» Io non vedevo alcuna differenza tra le

due specie, ma i Moroi sì.

«Assolutamente.»

Sonya si fermò di nuovo, lanciando un’occhiata al tizio che si allontanava. Seguii il

suo sguardo. «Dev’esserci una ragione se ti ha riconosciuto. Sembrava innocuo.»

Con questo mi guadagnai un altro sorriso. «Andiamo, Sydney. Pensavo che ormai ci

frequentassi da abbastanza tempo per capirlo.»

«Capire cosa?»

«Che nulla è innocuo come sembra.»

CAPITOLO 4 Traduzione: alicusi

SONYA NON DISSE NIENTE sul misterioso incontro al resto del gruppo che si

trovava a casa di Adrian, quindi rispettai il suo silenzio. Tutti gli altri erano troppo

occupati con la cena e gli esperimenti per accorgersi d’altro. E, una volta condotta la

seconda parte esperimenti, persino io mi distrassi al punto di smettere di pensare molto

al tizio incontrato per strada.

Sonya aveva detto che voleva vedere come reagivano Eddie e Dimitri ad un contatto

diretto con lo spirito. Per far ciò, lei e Adrian concentrarono la loro magia su un

dhampir alla volta.

«È un po’ quello che faremmo se volessimo cercare di guarirli o far crescere

qualcosa» mi spiegò Sonya. «Non preoccuparti, non li renderemo giganti o cose del

genere. Sarà come rivestirli con la magia dello spirito. Se Dimitri ha un marchio che

gli è rimasto da quando è stato guarito, suppongo che dovrebbe reagire alla nostra

magia.»

Lei ed Adrian coordinarono la loro tempistica e partirono con Eddie. Inizialmente

non ci fu niente da vedere: solo due conoscitori dello spirito che fissavano Eddie. Lui

sembrava a disagio sotto quell’esame. Poi vidi un luccichio argentato passare sul suo

corpo. Feci un passo indietro stupefatta, e turbata, nel vedere una manifestazione fisica

dello spirito. Ripeterono il processo su Dimitri, con lo stesso risultato.

Apparentemente, anche sul piano invisibile, le cose stavano allo stesso modo. Non ci

fu niente di particolare nella reazione di Dimitri. Tutti loro gestirono la cosa senza

problemi, in quanto parte del processo scientifico, ma vedere la magia avvolgere quei

due uomini mi aveva terrorizzato.

Mentre Eddie ed io tornavamo in macchina alla Amberwood, mi ritrovai a sedere il

più lontano possibile da lui, come se la magia residua potesse fuoriuscire dal suo corpo

e toccarmi. Lui fece conversazione con me nella solita maniera amichevole, e io dovetti

sforzarmi parecchio per nascondere i miei sentimenti. Questo mi fece sentire in colpa.

Era sempre Eddie, dopo tutto. Un mio amico. La magia, anche se avrebbe potuto farmi

male, era sparita da un bel po’.

Una lunga notte di sonno servì a scrollarmi di dosso sia l’ansia che il senso di colpa,

rendendo la magia un lontano ricordo quando mi svegliai e mi preparai per le lezioni il

giorno dopo. Anche se essere alla Amberwood era un incarico, quella scuola esclusiva

aveva cominciato a piacermi molto. Ero stata istruita a casa prima di venire qui e, anche

se mio padre aveva svolto un programma impegnativo, non era mai andato oltre quello

che riteneva necessario. Qui, anche se la mia conoscenza superava quello che

insegnavano i miei corsi, c’erano molti professori pronti a incoraggiarmi a fare di più.

Non mi avevano permesso di andare all’università, ma questa era una bell’alternativa.

Prima che mi ci potessi dedicare, dovetti supervisionare una sessione di allenamento

tra Eddie ed Angeline. Anche se lui avrebbe voluto evitarla, non lo faceva… non

quando c’era la sicurezza di Jill in ballo. Angeline era parte della difesa di Jill. Mi

sedetti sull’erba con una tazza di caffè, chiedendomi ancora se per caso non si stesse

solo immaginando l’interesse di Angeline. Avevo acquistato di recente una caffettiera

da una tazza per la mia stanza nel dormitorio e, sebbene non fosse paragonabile a quello

di un bar, quel caffè mi aveva fatto superare una marea di mattinate difficili. Uno

sbadiglio coprì il saluto che rivolsi a Jill quando si sedette accanto a me.

«Eddie non mi allena più» disse malinconicamente, mentre guardavamo lo

spettacolo. Eddie stava cercando di spiegare pazientemente ad Angeline che dare

testate, sebbene fosse utile in una rissa al bar, non era la tattica migliore contro gli

Strigoi.

«Sono sicura che lo farà se avrà più tempo» dissi, anche se non ero per niente sicura.

Adesso che poteva ammettere a se stesso ciò che provava per Jill, lo agitava toccarla

troppo. E poi la sua parte cavalleresca non voleva che Jill rischiasse. Il che era ironico,

perché la volontà di Jill nel voler imparare l’autodifesa (cosa rara per un Moroi) era il

motivo per cui era attratto da Jill. «Angeline è stata chiamata a proteggerti. Deve

assicurarsi che sia in grado di farlo.»

«Lo so. È solo che mi sembra che tutti vogliano coccolarmi.» Si accigliò. «Durante

educazione fisica Micah non mi lascia fare niente. Dopo che ho avuto quel problema

all’inizio, adesso è convinto che mi farò male. Continuo a dirgli che sto bene, che era

solo il sole… ma continua a intromettersi. È dolce… ma a volte mi fa diventare matta.»

«L’ho notato» ammisi. Ero nella stessa classe di educazione fisica. «Ma non penso

che Eddie non voglia allenarti per questo. Sa che puoi farcela. È orgoglioso di questa

cosa… pensa soltanto che se lui sa fare il suo lavoro, tu non hai bisogno di imparare.

È una logica piuttosto strana.»

«No, lo capisco.» Il suo precedente disappunto si trasformò in approvazione quando

si mise a guardare l’allenamento. «È molto scrupoloso e… beh, bravo in quello che

fa.»

«Il ginocchio è un modo semplice per neutralizzare qualcuno» Eddie disse ad

Angeline. «Specialmente se ti trovi disarmata e devi…»

«Quando hai intenzione di insegnarmi come usare i paletti e a decapitare?» lo

interruppe, le mani sui fianchi. «Dici sempre: colpisci qui, schiva questo, bla bla bla.

Devo allenarmi a uccidere gli Strigoi.»

«No.» Eddie era l’immagine della pazienza ed era tornato nella sua modalità

determinata e pronta che conoscevo bene. «Non sei qui per uccidere Strigoi. Forse

possiamo allenarci in quello in un secondo momento, ma adesso, la tua priorità è tenere

lontano da Jill assassini mortali. Quello ha la precedenza su tutto il resto, anche sulla

nostra vita.» Lanciò uno sguardo a Jill per enfasi, e ci fu un bagliore di ammirazione

nei suoi occhi mentre la guardava.

«Direi che anche con la decapitazione si possono uccidere i Moroi» borbottò

Angeline. «E, tra parentesi, avete avuto un problema con gli Strigoi il mese scorso.»

Jill si mosse a disagio accanto a me e persino Eddie si fermò. Era vero, aveva dovuto

uccidere due Strigoi di recente, quando l’appartamento di Adrian apparteneva ancora

a Keith. Lee Donahue aveva condotto degli Strigoi da noi. Lui era un Moroi che in

passato era stato Strigoi. Dopo essere stato riportato al suo stato naturale, Lee voleva

disperatamente tornare Strigoi. Era stato grazie a lui se avevamo scoperto che coloro

che venivano risanati dallo spirito sembravano avere una specie di resistenza alla

ritrasformazione in Strigoi. I due Strigoi che aveva chiamato per aiutarlo avevano

provato a trasformarlo, ma avevano finito per ucciderlo… un fato migliore dell’essere

un non-morto, secondo me.

Quegli Strigoi poi si erano dedicati a noi e, inavvertitamente, avevano rivelato

qualcosa di inaspettato e preoccupante (se non per loro, almeno per me). Il mio sangue

era immangiabile. Avevano provato a nutrirsi di me ma non ci erano riusciti. Con tutte

le conseguenze di quella notte, nessuno, né tra gli Alchimisti né tra i Moroi, aveva

prestato grande attenzione a quel piccolo dettaglio… e io ne ero felice. Ero terrorizzata

che da un momento all’altro a qualcuno potesse venire in mente di mettermi sotto

esame.

«Quello è stato un caso» disse Eddie alla fine. «Un caso che probabilmente non si

ripeterà più. Adesso guarda come muovo la gamba, e ricorda che un eventuale Moroi

probabilmente sarà più alto di te.»

Fece una dimostrazione e io lanciai un’occhiata veloce a Jill. La sua espressione era

indecifrabile. Non parlava mai di Lee, che aveva frequentato brevemente. Micah si era

impegnato tantissimo per distrarla sul fronte sentimentale, ma che il tuo ex-ragazzo

avesse voluto diventare un mostro assetato di sangue non doveva essere una cosa facile

da superare. Avevo la sensazione che ci stesse ancora male, anche se era bravissima a

nasconderlo.

«Sei troppo rigida» disse Eddie ad Angeline, dopo parecchi tentativi.

Lei rilassò completamente il suo corpo, quasi come una marionetta. «Quindi come?

Così?»

Lui sospirò. «No. Serve comunque un po’ di tensione.»

Eddie si mosse dietro di lei e tentò di aiutarla a mettersi in posizione, mostrandole

come piegare le ginocchia e mettere le braccia. Angeline colse l’occasione per

appoggiarsi contro di lui e strusciarsi suggestivamente contro il suo corpo. Strabuzzai

gli occhi. Ok. Forse non era la sua immaginazione.

«Ehi!» Eddie fece un salto indietro, un’espressione orripilata in viso. «Fai

attenzione! Devi imparare.»

La sua espressione era di pura innocenza angelica. «Lo sto facendo. Sto solo

cercando di usare il tuo corpo per imparare cosa fare con il mio.» E, che Dio mi aiuti,

batté le ciglia. Eddie indietreggiò ancora di più.

Mi resi conto che probabilmente avrei dovuto intervenire, nonostante Eddie avesse

detto che doveva occuparsi da solo dei suoi problemi. Una salvezza migliore arrivò

quando suonò la campanella della mezz’ora. Saltai in piedi.

«Ehi, ci conviene andare se vogliamo arrivare in tempo a colazione. Subito.»

Angeline mi scoccò un’occhiata sospettosa. «Di solito tu non salti la colazione?»

«Sì, ma non sono io a lavorare sodo di prima mattina. Tra l’altro ti devi ancora

cambiare e… Aspetta, hai la divisa?» Non me n’ero neanche accorta. Ogni volta che

Eddie e Jill si allenavano, lo facevano in tuta da ginnastica, esattamente come era

vestito lui adesso. Angeline oggi si era presentata con l’uniforme della Amberwood,

gonna e camicia che mostravano l’usura e lo stropiccìo della battaglia mattutina.

«Sì, e quindi?» Si sistemò la camicia nella gonna. Sul fianco era macchiata di terra.

«Ti dovresti cambiare» dissi.

«No. Questa va bene.»

Non ne ero così sicura, ma almeno era meglio dei pantaloncini jeans. Eddie andò a

mettersi la divisa e non tornò per la colazione. Sapevo che gli piaceva farla, e dal

momento che era un ragazzo, si cambiava piuttosto in fretta. La mia ipotesi era che

stesse sacrificando il cibo pur di star lontano da Angeline.

Sentii chiamare il mio nome mentre entravamo in mensa e vidi Kristin Sawyer e

Julia Cavendish salutarmi con la mano. A parte Trey, loro erano le due amiche più

importanti che mi ero fatta alla Amberwood. Dovevo ancora fare molta strada per

diventare un’esperta di socializzazione, ma loro due mi avevano aiutato molto. E con

tutti gli intrighi sovrannaturali che richiedeva il mio lavoro, c’era qualcosa di

confortante nell’essere circondati da persone normali e… beh, umane. Anche se non

potevo essere completamente sincera con loro.

«Sydney, abbiamo una domanda sulla moda per te» disse Julia. Si spostò i capelli

biondi dietro una spalla, il tipico gesto che indicava che quello che stava per dire era

della massima importanza.

«Una domanda sulla moda per me?» Ero quasi sul punto di guardarmi alle spalle per

vedere se c’era un’altra Sydney dietro di me. «Penso che nessuno me ne abbia mai

fatte.»

«Hai dei vestiti davvero eleganti» insisté Kristin. Aveva capelli e pelle scura, e

un’aria atletica che contrastava con la natura più femminile di Julia. «Troppo eleganti,

a dire il vero. Se mia mamma avesse dieci anni in meno, fosse figa e avesse molti più

soldi, si vestirebbe proprio come te.» Non sapevo se fosse un complimento o no, ma

Julia non mi diede il tempo di rifletterci.

«Diglielo, Kris.»

«Ti ricordi di quel tirocinio di consulenza che volevo fare il prossimo semestre? Mi

sono aggiudicata un colloquio» spiegò Kristin. «Sto cercando di decidere se mettermi

giacca e pantaloni oppure un vestito.»

Ah, questo spiegava perché si erano rivolte a me. Un colloquio. Per qualsiasi altra

cosa avrebbero potuto leggere una rivista di moda. E sebbene potessi ammettere che

probabilmente io ero l’autorità per questioni così pratiche… beh, rimasi un po’ delusa

di essere stata interpellata per quel motivo. «Di che colore sono?»

«La giacca è rossa e il vestito è blu scuro.»

Studiai Kristin, elaborando i suoi lineamenti. Sul polso aveva una cicatrice, residuo

di un tatuaggio insidioso che l’avevo aiutata a rimuovere quando ancora

l’organizzazione losca per tatuaggi di Keith andava avanti incontrollata. «Opta per il

vestito. Aspetta… è un vestito che metteresti in chiesa o in discoteca?»

«In chiesa» disse, non felice della cosa.

«Allora senz’altro il vestito» dissi.

Kristin scoccò un’occhiata trionfante a Julia. «Visto? Te l’avevo detto.»

Julia sembrava indecisa. «La giacca è più vivace. È di un rosso acceso.»

«Sì, ma di solito ad un colloquio non si vuole apparire “vivaci”» feci notare. Era

difficile mantenere un’espressione seria visto il loro battibecco. «Almeno non per

questo tipo di lavoro.»

Julia ancora non sembrava convinta, eppure non cercò di dissuadere Kristin dal mio

affidabile consiglio sulla moda. Qualche minuto dopo, Julia si illuminò. «Ehi! È vero

che Trey ti ha organizzato un appuntamento con un ragazzo?»

«Mi ha… cosa? No. Dove l’hai sentito?» Come se avessi bisogno di chiederlo.

L’aveva senza dubbio saputo da Trey stesso.

«Trey ha detto che te ne ha parlato» disse Kristin. «Che questo ragazzo è perfetto

per te.»

«È un’ottima idea, Syd» disse Julia con espressione seria, come se stessimo

discutendo di una questione di vita o di morte. «Ti farebbe bene. Cioè, da quando è

iniziata la scuola, io sono uscita con….» Fece una pausa e contò silenziosamente i nomi

sulle dita. «Quattro ragazzi. Sai con quanti sei uscita tu?» Mostrò un pugno. «Ecco

quanti.»

«Non ho bisogno di uscire con nessuno» ribattei. «Ho già abbastanza problemi. Sono

sicura che se ne aggiungerebbero altri.»

«Quali problemi?» rise Kristin. «I tuoi voti fantastici, il tuo corpo stupendo e i tuoi

capelli perfetti? Cioè, okay che la tua famiglia è un po’ sopra le righe, ma andiamo,

tutti hanno il tempo per un appuntamento ogni tanto… o molti, nel caso di Julia.»

«Ehi» disse Julia, anche se non negò l’accusa.

Kristin continuò a insistere e pensai che fosse più adatta ad un tirocinio legale che

ad uno di consulenza. «Salta i compiti per una volta. Dai una possibilità a questo

ragazzo. E potremmo uscire tutti insieme qualche volta. Sarà divertente.»

Feci un sorriso forzato e mormorai qualcosa di vago. Tutti hanno tempo per un

appuntamento ogni tanto. Tutti tranne me, ovviamente. Provai una sorprendente fitta

di desiderio, non per gli appuntamenti, ma soltanto per la possibilità di avere qualche

interazione sociale. Kristin e Julia uscivano spesso con un gruppo più ampio di amici

e interessi amorosi, e spesso invitavano anche me alle loro uscite. Pensavano che la

mia reticenza derivasse dai compiti, oppure, forse, dal fatto che non avevo un ragazzo

adatto che mi accompagnasse. Magari fosse stato così semplice… Improvvisamente,

sentii come se ci fosse un enorme baratro a separarmi da Kristin e Julia. Ero loro amica,

e loro mi avevano accolto in ogni parte della loro vita. Mentre io ero piena di segreti e

mezze verità. Una parte di me desiderava che potessi aprirmi con loro e confidare loro

tutte le sofferenze della mia vita da Alchimista. Al diavolo, una parte di me desiderava

poter andare ad una di quelle uscite e lasciar perdere i miei doveri per una notte. Non

avrebbe mai funzionato, ovviamente. Saremmo andati al cinema, e probabilmente mi

avrebbero scritto di andare a insabbiare l’uccisione di uno Strigoi.

Quello stato d’animo non era insolito per me, e cominciò ad alleggerirsi con

l’iniziare della mia giornata scolastica. Mi lasciai andare al ritmo della mia tabella di

marcia, confortevole nella sua familiarità. Gli insegnanti assegnavano sempre più

compiti per il fine settimana, ed ero contenta di poter consegnare tutto quello che avevo

fatto durante il mio viaggio in aereo. Purtroppo, l’ultima lezione della giornata annullò

tutti i progressi del mio umore. In realtà, lezione non era la parola giusta. Era uno studio

individuale che facevo con la mia insegnante di storia, la professoressa Terwilliger.

Di recente la professoressa Terwilliger mi aveva rivelato che praticava la magia, che

era una specie di strega o com’è che si chiamavano quelle persone tra di loro. Gli

Alchimisti avevano sentito delle voci in proposito, ma niente sui cui avessimo avuto

molta esperienza o prove concrete. Per quanto ne sapevamo noi, solo i Moroi

praticavano la magia. Noi la utilizzavamo nei nostri tatuaggi col giglio, che

contenevano una piccola quantità di sangue di vampiro, ma pensare che degli umani la

generassero nello stesso modo era folle e contorto.

Per questo era stata una grande sorpresa quando, il mese scorso, la professoressa

Terwilliger non solo mi aveva rivelato la sua identità, ma mi aveva praticamente fatto

lanciare un incantesimo con l’inganno. Questa cosa mi aveva lasciato scioccata e

persino la sensazione di essere sporca. La magia non doveva essere usata dagli umani.

Non avevamo alcun diritto di manipolare il mondo in quel modo; era cento volte peggio

di quello che aveva fatto Sonya a quel giglio rosso per strada. La professoressa

Terwilliger insisteva nel dire che avevo un’affinità naturale per la magia e si era offerta

di addestrarmi. Perché volesse farlo, non lo sapevo. Si era dilungata sul potenziale che

possedevo, ma io non riuscivo a credere che volesse allenarmi senza un suo tornaconto

personale. Non avevo scoperto che cosa potesse essere, ma non importava. Avevo

rifiutato la sua offerta. Quindi lei aveva escogitato un metodo per aggirare la cosa.

«Signorina Melbourne, per quanto tempo ancora crede di occuparsi del libro

Kimball?» chiese dalla sua scrivania. Trey aveva preso il soprannome “Melbourne”

dall’insegnante che, a differenza sua, sembrava dimenticare continuamente che quello

non fosse il mio vero nome. Aveva sui quarant’anni, i capelli castano chiari e una

perenne scintilla di astuzia nello guardo.

Alzai lo sguardo, sforzandomi di essere gentile. «Altri due giorni. Tre al massimo.»

«Faccia attenzione a tradurre tutti e tre gli incantesimi del sonno» disse. «Ognuno

ha le sue sfumature.»

«Ci sono quattro incantesimi del sonno in questo libro» la corressi.

«Davvero?» chiese innocentemente. «Mi fa piacere sapere che l’hanno colpita.»

Repressi uno sguardo di rimprovero. Farmi copiare e tradurre libri di incantesimi per

la ricerca era il metodo che usava per insegnarmi. Non potevo fare a meno di imparare

i testi mentre li leggevo. Odiavo essere intrappolata, ma era troppo tardi per cambiare.

E poi non potevo mica lamentarmi con la segreteria di essere costretta a imparare la

magia.

Quindi copiavo diligentemente i suoi libri di incantesimi e parlavo il meno possibile

durante il tempo passato insieme. Nel frattempo, ribollivo di rancore. Lei era ben

consapevole del mio disagio, ma non faceva alcuno sforzo per alleviare la tensione, e

perciò restavamo in una situazione di stallo. Soltanto una cosa migliorava quelle

sedute.

«Ma guarda un po’. Sono passate quasi due ore dal mio ultimo cappuccino. È un

miracolo che riesca a stare in piedi. Sarebbe così gentile da fare un salto da Spencer?

Dovrebbe bastare per oggi.» L’ultima campanella era suonata quindici minuti prima,

ma ero rimasta un po’ di più.

Prima che finisse di parlare, avevo già cominciato a chiudere il libro di incantesimi.

Quando avevo iniziato a farle da assistente, le continue commissioni mi davano

fastidio. Adesso non vedevo l’ora di fuggire. Per non parlare della mia dose di caffeina.

Quando raggiunsi il bar, Trey aveva appena cominciato il suo turno, il che era

fantastico, non solo perché era un volto familiare, ma perché significava ricevere uno

sconto. Cominciò a preparare il mio ordine prima che lo facessi, visto che ormai

conosceva la routine. Un altro barista si offrì di aiutarlo, e Trey gli diede istruzioni

meticolose su cosa fare.

«Caffellatte scremato alla vaniglia» disse Trey, prendendo il caramello per il

cappuccino della professoressa Terwilliger. «Cioè con sciroppo senza zucchero e latte

scremato. Non fare casini. Riesce a fiutare lo zucchero e il latte parzialmente scremato

da un chilometro di distanza.» Nascosi un sorriso. Forse non potevo rivelare ai miei

amici i segreti degli Alchimisti, ma era bello sapere che almeno sapevano

accuratamente le mie preferenze in fatto di caffè.

L’altro barista, che sembrava della nostra età, rivolse a Trey uno sguardo divertito.

«So benissimo cosa significa scremato.»

«Presti molta attenzione ai dettagli» presi in giro Trey. «Non sapevo che te ne

importasse.»

«Ehi, io vivo per servire» disse. «Tra l’altro, stasera mi serve il tuo aiuto con quella

relazione per il laboratorio di chimica. Trovi sempre cose che io non riesco a trovare.»

«È per domani» lo rimproverai. «Hai avuto due settimane. Immagino tu non sia

riuscito a fare molto nelle tue sessioni di studio con le cheerleader.»

«Sì, sì. Mi dai una mano? Sono disposto a venire nel tuo Campus.»

«Starò sveglia fino a tardi con un gruppo di studio, uno vero.» Il sesso opposto era

bandito dai nostri dormitori dopo una certa ora. «Potremmo vederci al Campus

Centrale dopo, se vuoi.»

«Quanti campus ha la vostra scuola?» chiese l’altro barista, appoggiando il mio

caffellatte.

«Tre.» Presi impazientemente il caffè. «Come la Gallia.»

«Come cosa?» chiese Trey.

«Scusa» dissi. «Battuta di latino.»

«Omnia Gallia in tres partes divisa est» disse l’altro barista.

Alzai di scatto la testa. Non molto avrebbe potuto distrarmi dal caffè, ma sentire una

citazione di Giulio Cesare da Spencer di sicuro sì.

«Sai il latino?» chiesi.

«Certo» disse. «Chi non lo sa?.»

Trey alzò gli occhi al cielo. «Solo il resto del mondo» mormorò.

«Soprattutto il latino classico» continuò il barista. «Cioè, è molto rivisitato rispetto

al latino medievale.»

«Ovviamente» dissi. «Lo sanno tutti. Tutte le regole divennero caotiche durante la

decentralizzazione post-imperiale.»

Lui annuì in segno di assenso. «Anche se, in confronto alle lingue romantiche, le

regole hanno senso se le vedi come parte del quadro più grande dell’evoluzione della

lingua.»

«Questa» c’interruppe Trey, «è la cosa più assurda che abbia mai visto. E la più

bella. Sydney, questo è Brayden. Brayden, Sydney.» Trey usava raramente il mio

nome, quindi era strano, ma non tanto quanto l’occhiolino esagerato che mi rivolse.

Strinsi la mano a Brayden. «Piacere di conoscerti.»

«Piacere mio» disse. «Sei una fan dei classici, eh?» Fece una pausa, lanciandomi

una lunga occhiata pensosa. «Hai visto la produzione del Park Theatre Group di

Antonio e Cleopatra, quest’estate?»

«No. Non sapevo neanche che la facessero.» Improvvisamente mi sentii un po’

stupida a non averlo saputo, come se dovessi essere aggiornata su tutti gli eventi

culturali e artistici nella grande area di Palm Springs. «Mi sono trasferita qui un mese

fa» aggiunsi come spiegazione

«Credo che facciano un altro paio di spettacoli in questa stagione.» Brayden esitò

ancora una volta. «Sono disposto a rivederlo, se vuoi andare. Anche se ti avviso che è

una di quelle produzioni di Shakespeare reinterpretate. Vestiti moderni.»

«Non mi dà fastidio. Sono queste reinterpretazioni a rendere Shakespeare

intramontabile.» Le parole mi uscirono automaticamente di bocca. Mentre le

pronunciavo, ebbi improvvisamente uno di quei momenti di illuminazione e mi accorsi

che c’era sotto qualcos’altro, rispetto a quello che avevo pensato inizialmente. Ripetei

le parole di Brayden nella mente. Tra quelle e il gigantesco sorriso di Trey, nel giro di

poco giunsi ad una conclusione allarmante. Era questo il ragazzo di cui Trey mi aveva

parlato. La mia “anima gemella”. E mi stava chiedendo di uscire.

«È un’ottima idea» disse Trey. «Dovreste proprio andare a vedere quello spettacolo.

Stare fuori una giornata intera. Andare a cena e fare un salto in biblioteca, o quello che

fate in genere per divertirvi.»

Brayden incontrò il mio sguardo. Aveva gli occhi color nocciola, quasi come quelli

di Eddie, ma con una punta di verde. Non verdi come quelli di Adrian, ovviamente.

Nessuno aveva gli occhi di quel verde sorprendente. I capelli castani di Brayden ogni

tanto avevano dei riflessi dorati, a seconda della luce, ed erano tagliati in un modo

pratico che metteva in mostra gli angoli dei suoi zigomi. Dovevo ammettere che era

proprio carino. «Si esibiscono dal giovedì alla domenica» disse. «Ho un torneo di

dibattito nel weekend… tu potresti farcela giovedì sera?»

«Io…» Potevo? Non c’era niente in programma, per quanto ne sapevo. Circa due

volte alla settimana, portavo Jill a casa di Clarence Donahue, un vecchio Moroi che

aveva un donatore. Ma il giovedì non era un giorno stabilito per le nutrizioni, e

tecnicamente non ero obbligata ad andare alle serate degli esperimenti.

«Certo che è libera» si intromise Trey prima ancora che potessi rispondere. «Vero,

Sydney?»

«Sì» dissi, scoccandogli un’occhiataccia. «Sono libera.»

Brayden sorrise. Io ricambiai il sorriso. Piombò un silenzio teso. Lui sembrava

insicuro quanto me su come procedere. Avrei pensato che fosse adorabile, se non fossi

stata così preoccupata di sembrare ridicola.

Trey gli diede una forte gomitata. «Ora dovresti chiederle il numero.»

Brayden annuì, anche se non sembrava aver apprezzato la gomitata. «Giusto,

giusto.» Tirò fuori il suo cellulare dalla tasca. «Sydney con la ipsilon o con la i?» Trey

alzò gli occhi al cielo. «Che c’è? Immagino sia la prima opzione, ma siccome le

convenzioni sui nomi stanno diventando sempre meno anticonformiste, non si sa mai.

Voglio solo scriverlo giusto sul cellulare.»

«Avrei fatto la stessa cosa» concordai. Poi gli diedi il mio numero di cellulare.

Lui alzò lo sguardo e mi sorrise. «Fantastico. Non vedo l’ora.»

«Anche io» dissi, e lo pensavo davvero.

Uscii da Spencer confusa. Avevo un appuntamento. Come diavolo era possibile che

avessi un appuntamento?

Trey si affrettò a raggiungermi qualche minuto dopo, arrivando mentre stavo

aprendo la macchina. Indossava ancora il grembiule da barista. «Allora?» chiese.

«Avevo ragione, o avevo ragione?»

«Su cosa?» chiesi, anche se avevo la sensazione di sapere cosa stesse per dire.

«Sul fatto che Brayden è la tua anima gemella.»

«Te l’ho detto…»

«Lo so, lo so. Non credi nelle anime gemelle. Comunque» sorrise, «se quel ragazzo

non è perfetto per te, allora non so chi lo sia.»

«Beh, vedremo.» Poggiai la tazza della professoressa Terwilliger sul tettuccio della

macchina, in modo da poter bere il mio. «Certo, non gli piacciono le interpretazioni

moderne di Shakespeare, perciò potrebbe essere un motivo per lasciarsi.»

Trey mi guardò incredulo. «Sul serio?»

«No» dissi, lanciandogli un’occhiata. «Sto scherzando. Beh, forse.» Il caffellatte che

mi aveva fatto Brayden era molto buono, quindi ero pronta a dargli il beneficio del

dubbio per la storia di Shakespeare. «Comunque, perché ti interessa tanto la mia vita

amorosa?»

Trey scrollò le spalle e si mise le mani in tasca. Sulla sua pelle abbronzata si stavano

già formando delle perle di sudore, a causa del sole pomeridiano. «Non lo so. Credo di

sentirmi come debitore per tutto quello che è successo con i tatuaggi. Per quello e per

tutto il tuo aiuto con i compiti.»

«Non ti serve il mio aiuto in quello. E i tatuaggi…» Aggrottai, mentre un’immagine

di Keith che bussava sul finestrino mi passava per la testa. L’organizzazione di Keith

che usava sangue di vampiro aveva dato come risultato dei tatuaggi dopanti che

avevano creato scompiglio alla Amberwood. Trey, ovviamente, non sapeva che avevo

un interesse personale per la faccenda. Sapeva soltanto che mi ero liberata di coloro

che usavano i tatuaggi per trarre dei vantaggi ingiusti nello sport. «L’ho fatto perché

era la cosa giusta da fare.»

Questo lo fece sorridere. «Ovviamente. Tuttavia, mi hai risparmiato un sacco di

problemi con mio padre.»

«Lo spero bene. Non hai competizione in squadra ora. Che cosa potrebbe volere tuo

padre di più?»

«Oh, c’è sempre qualcosa in cui pensa che possa essere il migliore. Non solo il

football.» Trey me lo aveva già accennato.

«So cosa intendi» dissi, pensando a mio padre. Ci fu un momento di silenzio tra di

noi.

«Non aiuta che il mio cugino perfetto arriverà in città, tra poco» disse finalmente.

«Fa sembrare tutto quello che faccio io completamente insignificante. Hai un cugino

del genere?»

«Ehm, non esattamente.» La maggior parte dei miei cugini erano dalla parte di mia

madre, e mio padre tendeva a stare alla larga dalla sua famiglia.

«Probabilmente sei tu la cugina perfetta» borbottò Trey. «Comunque, già, ci sono

sempre queste aspettative in famiglia… queste prove. Il football mi ha conferito un po’

di rispettabilità per adesso.» Mi fece l’occhiolino. «Quello e il mio fantastico voto in

chimica.»

Colsi l’allusione nel suo commento. «Va bene. Ti mando un messaggio quando

finisco stasera e ci organizziamo.»

«Grazie. E io farò a Brayden un discorsetto in modo che non provi a fare niente

giovedì.»

La mia testa era ancora piena di latino e di Shakespeare. «Provare a fare cosa?»

Trey scosse la testa. «Davvero, Melbourne, non so come tu sia riuscita a

sopravvivere così a lungo al mondo senza di me.»

«Oh» dissi, arrossendo. «Quello.» Fantastico. Adesso avevo qualcos’altro di cui

preoccuparmi.

Trey mi schernì. «Detto tra me e te, Brayden probabilmente è l’ultimo ragazzo al

mondo di cui ti dovresti preoccupare. Penso che sia ingenuo quanto te. Se non mi

importasse così tanto della tua virtù, probabilmente gli darei una lezione su come

provare a fare qualcosa.»

«Beh, grazie per avere a cuore i miei interessi» dissi sardonica. «Ho sempre voluto

un fratello che mi tenesse d’occhio.»

Mi studiò con curiosità. «Non hai tipo tre fratelli?»

Oh no.

«Ehm, intendevo metaforicamente.» Cercai di non andare nel panico. Raramente

avevo dei lapsus sulla nostra storia di copertura. Eddie, Adrian e Keith si erano

spacciati per miei fratelli. «Nessuno di loro si interessa molto alla mia vita

sentimentale. Quello che interessa a me, però, è accendere l’aria condizionata.» Aprii

la portiera della mia auto e uscì un’ondata di calore. «Ci sentiamo stasera e ti aiuto in

laboratorio.»

Trey annuì. Anche lui sembrava impaziente di tornare dentro. «E io aiuterò te se

avrai qualche altra domanda sugli appuntamenti.»

Sperai che il mio sguardo salace gli comunicasse la mia opinione a riguardo, ma una

volta che se ne fu andato e io ebbi acceso al massimo l’aria condizionata della

macchina, la mia arroganza svanì. L’ansia prese il suo posto. La domanda che mi ero

chiesta prima si ripeté nella mia testa.

Come diavolo avrei fatto ad uscire viva da quell’appuntamento?

CAPITOLO 5 Traduzione: Claude

LA NOTIZIA DEL MIO IMMINENTE APPUNTAMENTO si diffuse rapidamente.

Presumevo che Trey l’avesse detto a Kristin e a Julia, che a loro volta l’avevano

detto a Jill, Eddie e a Dio solo sapeva chi altro… quindi non avrebbe dovuto

sorprendermi ricevere una chiamata da parte di Adrian subito dopo cena. Cominciò a

parlare prima che potessi dire pronto.

«Davvero, Sage? Un appuntamento?»

Sospirai. «Sì, Adrian. Un appuntamento.»

«Un vero appuntamento. Non un incontro per fare i compiti insieme» insistette lui.

«Uno in cui andate a vedere un film o qualcosa del genere. E un film che non faccia

parte di un compito per la scuola. O che sia noioso.»

«Un vero appuntamento.» Pensai di non scendere nei dettagli sullo spettacolo di

Shakespeare.

«Qual è il nome del fortunato?»

«Brayden.»

Ci fu una pausa. «Brayden? È il suo vero nome?»

«Perché continui a chiedermi se è tutto vero? Pensi che me lo stia inventando?»

«No, no» mi rassicurò Adrian. «Per questo è incredibile. È carino?»

Guardai l’orologio. Era ora di raggiungere il mio gruppo di studio. «Sì, magari

vorresti una sua foto da commentare?»

«Sì, grazie. E un fare controllo completo sui precedenti penali e la storia della sua

vita.»

«Devo andare. Perché ti interessa tanto, comunque?» gli chiesi alla fine, esasperata.

La sua risposta ci mise un po’ ad arrivare, e non era da lui. Adrian aveva sempre

pronte almeno una dozzina di battute pungenti. Magari non sapeva con quale uscirsene.

Quando rispose, lo fece nella sua solita maniera sarcastica, anche se la leggerezza nel

suo tono sembrava un po’ forzata. «Perché è una di quelle cose a cui non avrei mai

pensato di assistere in vita mia» rispose. «Come una cometa. O la pace nel mondo.

Sono abituato a vederti single.»

Per qualche ragione quel commento mi infastidì. «Perché? Non riesci a immaginare

che possa interessare a un ragazzo?»

«In realtà» disse Adrian, con tono incredibilmente serio, «credo che ci siano molti

ragazzi a cui interessi.»

Ero sicura che mi stesse prendendo in giro e non avevo tempo per le sue battute. Lo

salutai e andai dal gruppo di studio, il quale, per fortuna, sembrava molto concentrato

e riuscimmo a sbrigare gran parte del lavoro. Ma quando, più tardi, andai da Trey in

biblioteca, lui era molto meno concentrato. Continuava a ripetere quanto fosse stato

geniale a farmi mettere con Brayden.

«Non sono ancora andata a questo appuntamento e già sono stufa» dissi. Posizionai

i fogli di laboratorio di Trey sul tavolo davanti a noi. I numeri e le formule avevano un

che di confortante, erano molto più concreti e regolari rispetto ai misteri delle relazioni

sociali. Indicai il compito assegnato per il laboratorio con la penna. «Presta attenzione.

Non abbiamo molto tempo.»

Lui ignorò le mie preoccupazioni. «Non puoi finirlo tu?»

«No! Hai abbastanza tempo per farlo da solo. Ti aiuterò, ma nulla di più.»

Trey era abbastanza intelligente da capire la maggior parte dei concetti da solo.

Usarmi era solo un altro modo per evitare di sembrare intelligente. Lasciò perdere

l’appuntamento e si concentrò sul compito. Pensavo di aver finito con gli interrogatori

su Brayden fino a quando, proprio mentre stavamo risistemando, Jill e Micah si

avvicinarono passeggiando mano nella mano.

Erano con un gruppo di altre persone, il che non mi sorprese. Micah era socievole e

popolare, e Jill aveva ereditato una grande cerchia di amici uscendo con lui. I suoi occhi

erano allegri, come se qualcuno avesse raccontato un aneddoto divertente che aveva

fatto ridere tutti. Non potei fare a meno di sorridere anche io. Ne era passata di acqua

sotto i ponti da quando Jill era arrivata alla Amberwood e la trattavano come

un’emarginata per il suo aspetto insolito e per i suoi comportamenti strani. Ma adesso

era rifiorita grazie alla sua nuova posizione sociale. Magari questo l’avrebbe aiutata ad

accettare le sue origini da reale. Il mio sorriso si spense quando Jill allontanò Micah

dal gruppo e corse al nostro tavolo. La sua espressione entusiasta mi preoccupò.

«È vero?» mi chiese. «Hai un appuntamento?»

«Per l’amor di… sai già che è vero! E l’hai raccontato ad Adrian, non è così?» le

lanciai un’occhiataccia. Il loro legame psichico non funzionava ventiquattrore su

ventiquattro, ma qualcosa mi diceva che sapeva benissimo della chiamata che avevo

ricevuto prima da Adrian. Quando il legame era attivo, riusciva a leggere nella sua

mente, osservando così i suoi sentimenti e le sue azioni. Tuttavia, la cosa funzionava a

senso unico. Adrian non aveva questa capacità. Jill s’imbarazzò.

«Già… non ho resistito quando Micah me lo ha raccontato…»

«L’ho saputo da Eddie» aggiunse Micah in fretta, come se questo potesse tirarlo

fuori dall’impiccio. Aveva i capelli rossi e un paio di occhi azzurri sempre allegri e

gentili. Era una di quelle persone che non poteva far altro che piacerti, il che rendeva

più difficile disfare l’intricata ragnatela che Jill aveva creato uscendo con lui.

«Ehi, io non l’ho detto a Eddie» disse Trey sulla difensiva.

Spostai lo sguardo su di lui. «Ma l’hai raccontato ad altre persone. E loro l’hanno

riferito a Eddie.»

Trey scrollò lievemente le spalle. «Potrei averlo accennato a qualcuno.»

«Incredibile» commentai.

«Com’è questo ragazzo?» chiese Jill. «È carino?»

Ci pensai su. «Abbastanza.»

Lei si animò subito. «Beh, promette bene. Dove ti porta? In un bel posto? Serata in

città? Cena costosa? Io e Micah siamo stati benissimo al Salton Sea. È davvero bello.

Potreste andare là a fare un picnic romantico.» Le guance le si imporporarono e si

fermò per riprendere fiato, come se avesse realizzato di aver parlato troppo.

Sproloquiare era una delle abitudini più tenere di Jill.

«Andiamo a vedere Shakespeare al parco» dissi.

La frase fu accolta dal silenzio più totale.

«Antonio e Cleopatra. È bello.» All’improvviso sentii il bisogno di giustificare la

scelta. «È un classico. Sia Brayden che io apprezziamo Shakespeare.»

«Il suo nome è Brayden?» chiese Micah incredulo. «Che diavolo di nome è?»

Jill aggrottò la fronte. «Antonio e Cleopatra… è romantico?»

«Più o meno» dissi. «Per un po’. Ma alla fine muoiono tutti.»

L’espressione orripilata di Jill mi fece capire che non stavo migliorando la

situazione.

«Beh» disse. «Spero che, ehm, vi divertiate.» Seguirono alcuni momenti di

imbarazzo, poi i suoi occhi si illuminarono di nuovo. «Oh! Mi ha chiamato Lia oggi

pomeriggio. Ha detto che avete parlato della possibilità di farle ancora da modella?»

«Lei cosa?» esclamai. «Non la metterei così. Mi ha chiesto se potevi fare una

campagna pubblicitaria. Le ho detto di no.»

«Ah.» Il sorriso di Jill si incrinò. «Capisco. Da quello che mi ha detto lei… avevo

pensato... Beh. Avevo pensato che ci fosse una soluzione…»

Le lanciai un’occhiata eloquente. «Mi dispiace, Jill. Vorrei che ci fosse una

soluzione. Ma sai perché non puoi.»

Lei annuì tristemente. «Capisco. Tranquilla.»

«Non hai bisogno di una campagna pubblicitaria per apparire stupenda ai miei

occhi» disse Micah con galanteria.

L’affermazione riportò il sorriso sul suo volto, che sparì quando vide un orologio

nelle vicinanze. I suoi repentini cambi di umore mi ricordavano quelli di Adrian, e mi

chiesi se per caso non fossero un effetto del legame. «Uff, è quasi ora del coprifuoco.

Dovremmo avviarci. Vieni anche tu, Sydney?»

Lanciai un’occhiata al compito di Trey. Era finito e – sicuramente – perfetto. «Arrivo

tra un paio di minuti.»

Lei e Micah se ne andarono. Guardando Trey, fui sorpresa di trovarlo a fissare

assorto la sagoma di Jill che si allontanava. Gli diedi una gomitata.

«Ehi, ricordati di scriverci il nome, o sarà fatica sprecata.»

Gli ci volle qualche istante per spostare lo sguardo. «È tua sorella, vero?» Il suo tono

tetro la fece sembrare più un’affermazione che una domanda, come se mi stesse dando

una triste notizia.

«Ehm, sì. L’hai vista almeno un centinaio di volte. Viene a scuola con noi da mesi.»

Lui aggrottò la fronte. «Non ci avevo mai fatto caso… non l’avevo mai vista bene.

Non ho nessuna lezione con lei.»

«È stata la star della passerella in quella sfilata.»

«Indossava una maschera.» I suoi occhi scuri mi studiarono. «Non vi assomigliate

affatto.»

«Ce lo dicono in molti.»

Trey sembrava ancora turbato, e non ne capivo il motivo. «Fai bene a tenerla lontano

dalle passerelle» disse alla fine. «È troppo giovane.»

«È una questione religiosa» dissi, ben sapendo che Trey non mi avrebbe fatto

domande sulla nostra “fede”.

«Di qualunque cosa si tratti, tienila lontano dai riflettori.» Scribacchiò il suo nome

sul compito e chiuse il libro. «È meglio che non finisca sulle copertine di tutte le riviste

o simili. C’è gente pericolosa in giro.»

Adesso ero io a fissarlo. Ero d’accordo con lui. Un’eccessiva esposizione avrebbe

potuto portare i Moroi dissidenti a trovare Jill. Ma perché anche Trey era di

quell’avviso? Aveva senso che pensasse fosse troppo giovane, ma c’era qualcosa di

vagamente preoccupante in quello scambio di battute. Il modo in cui l’aveva osservata

andare via era troppo strano. Ma da quale altra ragione poteva essere spinto, se non

dalla preoccupazione?

Colsi di buon grado la normalità dei giorni seguenti (anche se la normalità era

relativa in quelle circostanze, naturalmente). Adrian continuava a mandarmi e-mail

chiedendomi di salvarlo (e dandomi consigli non richiesti per il mio appuntamento).

La professoressa Terwilliger continuava a cercare di insegnarmi la magia in maniera

passivo-aggressiva. Eddie continuava a dedicare anima e corpo a Jill. E Angeline

continuava a fare avances non proprio sottili a Eddie.

Un giorno, dopo averla vista versarsi “accidentalmente” l’acqua sulla maglietta

bianca durante l’allenamento, avevo capito che bisognava fare qualcosa,

indipendentemente da quello che diceva Eddie sulla sua vita privata. E, come per altri

compiti poco piacevoli, avevo la sensazione che avrei dovuto occuparmene io. Le avrei

fatto una ramanzina piuttosto severa e senza peli sulla lingua su come attirare

l’attenzione degli altri in modo consono, ma quando arrivò la sera del mio

appuntamento con Brayden, mi fu presto chiaro che ero l’ultima persona al mondo a

poter dare consigli sugli appuntamenti.

«Ti vesti così?» chiese Kristin, puntando un dito con fare accusatorio in direzione

dei vestiti che avevo ordinatamente sistemato sul mio letto. Lei e Julia si erano fatte

carico di esaminarmi prima di uscire. Jill e Angeline si erano aggiunte senza essere

state invitate, e non potei fare a meno di notare che tutte sembravano molto più

entusiaste di me. Io ero più un fascio di nervi e paura. Ci si doveva sentire in quel modo

a fare un compito in classe senza aver studiato. Era una nuova esperienza per me.

«Non è un’uniforme scolastica» replicai. Avevo abbastanza buon senso da capire

che indossarne una non sarebbe stato accettabile. «E è colorata. Più o meno.»

Julia sollevò il top che avevo scelto, una camicia di cotone arricciata con le maniche

corte e il colletto. Era di un giallo limone chiaro e pensavo mi avrebbe fatto guadagnare

qualche punto, dal momento che tutti mi accusavano di non indossare vestiti colorati.

L’avevo persino abbinata a un paio di jeans. Lei scosse la testa. «È il tipo di maglietta

che dice: “Non metterai mai mano qui dentro”.»

«Beh, perché dovrebbe?» chiesi.

Kristin, seduta a gambe incrociate sulla sedia vicino alla mia scrivania, piegò la testa

pensierosa mentre osservava la maglia. «Credo dica più: “Vediamo di finire presto

questo appuntamento, così posso andare a casa a fare la presentazione su Power

Point”.»

Quella frase mi fece scoppiare a ridere. Stavo per protestare quando vidi Jill e

Angeline avvicinarsi al mio armadio. «Ehi, magari dovreste prima chiedere il

permesso, no?»

«Tutti i tuoi vestiti sono troppo pesanti» disse Jill. Ne tirò fuori uno di cashmere

grigio. «Cioè, questo almeno è senza maniche, ma è comunque troppo per uscire con

questo caldo.»

«La cosa vale per metà del mio guardaroba» replicai. «Ci sono vestiti per tutte e

quattro le stagioni. Non ho avuto molto tempo di passare solo a cose estive prima di

venire qui.»

«Visto?» esclamò Angeline trionfante. «Adesso capisci il mio problema. Posso

tagliarne via qualche centimetro, se vuoi.»

«No!» Con mio immenso sollievo, Jill rimise a posto l’abito. Alcuni istanti dopo ne

tirò fuori un altro.

«Che mi dici di questo?» aveva in mano una gruccia a cui era appeso un top bianco

a girocollo di un materiale leggero e stropicciato.

Kristin lanciò un’occhiata ad Angeline. «Pensi di poterlo fare più scollato?»

«È già abbastanza scollato. E non è una maglietta che si può mettere senza niente»

protestai. «Va indossata sotto una giacca.»

Julia si alzò dalla sedia. Si buttò i capelli all’indietro; era una questione seria. «No,

no… questo potrebbe andare.» Prese il top dalle mani di Jill e lo accostò ai jeans che

avevo scelto. Li studiò per alcuni istanti e poi ritornò al mio armadio che, a quanto

pareva, era il nuovo gioco preferito di tutte. Dopo una rapida ricerca, tirò fuori una

cintura sottile di pelle scura di serpente. «Mi sembrava di ricordare di averti visto

indossarla.» Appoggiò la cintura sul top bianco e fece un passo indietro. Dopo un

attento scrutinio, fece un cenno di approvazione. Le altre si avvicinarono per dare

un’occhiata.

«Hai davvero buon occhio» commentò Kristin.

«Ehi, l’ho trovata io la maglia» le ricordò Jill.

«Non posso indossare la maglia da sola» affermai. Sperai che le mie proteste

nascondessero la mia ansia. Mi ero sbagliata così tanto nella scelta della camicia gialla?

Ero certa che fosse appropriata per un appuntamento. Come sarei riuscita a superare

quella serata se non riuscivo neppure a vestirmi bene?

«Se vuoi metterti una giacca con questo caldo, fai pure» disse Julia. «Ma non credo

tu debba preoccuparti che si veda troppo. Neanche la signora Weathers ci farà caso.»

«Ma neppure alla camicia gialla» puntualizzai io.

Decisero che con i vestiti ero a posto e passarono a darmi consigli sui capelli e il

trucco. Lì fui irremovibile. Mi truccavo tutti i giorni… usavo dei trucchi costosi per

risaltare al massimo il mio viso, facendo comunque in modo che non sembrassi

truccata. Non avevo intenzione di cambiare quel look naturale, indipendentemente da

quanto Julia si ostinasse ad affermare che l’ombretto rosa era “figo”.

Nessuna di loro intervenne molto sui miei capelli. Erano scalati, lunghi appena oltre

le spalle. Potevo acconciarli solo in un modo: sciolti, usando il phon per sistemare i

punti in cui erano scalati. Qualsiasi altra acconciatura sarebbe sembrata disordinata e,

naturalmente, li avevo già sistemati quel giorno. Non c’era motivo di mettere mano su

qualcosa di buono. Inoltre, penso che fossero tutte entusiaste perché avevo accettato di

indossare il top bianco, dopo averlo provato per verificare che non fosse trasparente.

L’unico gioiello che accettai di indossare fu la mia piccola croce d’oro. Mentre

l’allacciavo intorno al collo pregai silenziosamente che mi aiutasse a superare quella

serata. Anche se gli Alchimisti usavano spesso le croci, non facevamo parte di nessun

credo o dottrina cristiana. Avevamo le nostre funzioni religiose e credevamo in Dio,

come forza di bontà e luce che pervadeva ogni atomo dell’universo. Con quell’enorme

responsabilità, probabilmente non gli importava molto di una ragazza che aveva un

appuntamento, ma magari avrebbe trovato un secondo per assicurarsi che l’esperienza

non fosse troppo dolorosa.

Scesero tutte le scale con me quando venne l’ora in cui Brayden doveva passare a

prendermi (in realtà era un po’ presto, ma odiavo essere in ritardo). Le ragazze mi

avevano accompagnata per motivi diversi: Jill perché “era una questione di famiglia”,

Kristin perché “Riusciva a capire se un ragazzo era stronzo in meno di cinque secondi”.

Non ne ero molto sicura, dal momento che aveva pensato che Keith fosse un buon

partito.

E continuavano tutte a darmi consigli non richiesti.

«Potete dividervi il costo dello spettacolo oppure della cena» disse Julia. «Non

entrambi. Deve farsi carico dell’intero costo di almeno una delle due cose.»

«Ma è meglio se paga tutto lui» affermò Kristin.

«Ordina qualcosa anche se non ti va di mangiare» aggiunse Jill. «Se è lui a pagare

la cena, il conto non deve essere leggero. Deve faticare per conquistarti.»

«Dove avete pescato tutti questi consigli?» chiesi. «Che importa se… oh, ma dai.»

Eravamo arrivate all’ingresso, dove trovammo Eddie e Micah seduti su una

panchina. Almeno loro ebbero la decenza di sembrare imbarazzati.

«Anche voi due no» dissi.

«Sono venuto a trovare Jill» disse Micah in un tono non molto convincente.

«E io sono venuto per…» farfugliò Eddie e io alzai una mano per fargli cenno di

tacere.

«Non ti disturbare. Sinceramente mi sorprende che Trey non sia qui con una

telecamera o qualcosa del genere. Pensavo che avrebbe voluto immortalare ogni

momento di questo sfacelo di… oh. Ehi, sono qui.» Abbozzai un sorriso mentre

Brayden entrava nell’ingresso. A quanto pareva non ero l’unica a cui piaceva essere in

anticipo.

Brayden sembrò un po’ sorpreso dal fatto che avessi tutta quella gente al seguito.

Non potevo biasimarlo, visto che anche io ero sorpresa.

«È un piacere conoscervi» disse Brayden in modo amichevole, anche se sembrava

un po’ confuso.

Eddie, a disagio quando Angeline si prodigava nelle sue avance, era molto più

spigliato in situazioni meno bizzarre. Assunse il ruolo di fratello e strinse la mano a

Brayden. «So che andate a vedere una rappresentazione teatrale stasera.»

«Sì» rispose Brayden. «Anche se preferisco il termine dramma. In realtà ho già visto

questa produzione, ma mi piacerebbe riguardarla nella prospettiva delle nuove forme

di analisi critica. Il metodo Freytag standard diventa superato dopo un po’.»

Il suo discorso lasciò tutti senza parole. O magari stavano cercando di capire cosa

avesse appena detto. Eddie guardò me, poi di nuovo Brayden. «Bene. Qualcosa mi dice

che vi divertirete molto insieme.»

Una volta riusciti a districarci da tutti i miei benefattori, Brayden disse: «Hai una

famiglia e degli amici… molto devoti.»

«Oh» risposi. «Quello. Loro, ehm, dovevano uscire alla nostra stessa ora. Per

studiare.»

Brayden diede un’occhiata al suo orologio. «Non è troppo tardi, suppongo. Io, se

riesco, cerco sempre di fare i compiti subito dopo scuola perché…»

«Se li rimandi, potrebbe capitare qualche imprevisto?»

«Esatto» disse lui.

Mi sorrise, e io feci altrettanto.

Lo seguii nel parcheggio dei visitatori, verso una Ford Mustang argentata e

scintillante. Andai in estasi. Subito mi avvicinai e feci scorrere la mano sulla superficie

liscia della macchina. «Bella» dissi. «Nuovissima, il modello dell’anno nuovo. Queste

più nuove non avranno mai la pasta di quelle classiche, ma ci guadagnano in risparmio

di carburante e sicurezza.»

Brayden sembrò piacevolmente sorpreso. «Te ne intendi di macchine.»

«È un passatempo» ammisi. «Mia madre le adora.» Appena avevo conosciuto Rose

Hathaway, avevo provato l’incredibile esperienza di guidare una Citroën del 1972.

Adesso possedevo una Subaru chiamata Caffelatte. La adoravo, ma non era proprio

glamour. «Sono capolavori dal punto di vista artistico e ingegneristico.»

Mi accorsi che Brayden mi aveva seguito dalla parte del passeggero. Per una frazione

di secondo pensai che si aspettasse che fossi io a guidare. Forse perché mi piacevano

tanto le macchine? Ma poi lui aprì la portiera e capii che stava solo aspettando che

salissi. Lo feci, cercando di ricordare l’ultima volta che un ragazzo mi aveva aperto la

portiera di una macchina. La mia conclusione: mai.

Non cenammo a un fast-food, ma neppure a un ristorante pretenzioso. Mi chiesi

quale sarebbe stata l’opinione di Julia e Kristin in proposito. Mangiammo in un locale

tipico californiano, che faceva panini biologici e insalate di ogni tipo. Tutti i piatti del

menù sembravano contenere l’avocado.

«Ti avrei voluto portare in un posto più carino» mi disse. «Ma non volevo rischiare

di arrivare in ritardo. Il parco è a pochi isolati da qui, quindi dovremmo riuscire a

trovare dei posti vicino. Spero… spero non sia un problema.» Improvvisamente sembrò

teso. Il contrasto con la sicurezza che aveva mostrato prima mentre parlava di

Shakespeare era evidente. Dovevo ammettere che era piuttosto rassicurante. Mi rilassai

un po’. «Altrimenti possiamo trovare un posto migliore…»

«No, questo va benissimo» gli dissi, guardandomi intorno nella sala da pranzo

fortemente illuminata. Era uno di quei posti in cui bisognava ordinare al bancone e poi

si portava il numero dell’ordine al tavolo. «In ogni caso preferirei essere in anticipo.»

Aveva pagato lui il conto. Cercai di dare un senso a tutte le regole con cui mi avevano

tempestato i miei amici. «Quanto ti devo per il mio biglietto?» chiesi esitante.

Brayden sembrò sorpreso. «Niente. Pago io.» Mi sorrise esitante.

«Grazie» dissi. Quindi pagava tutto lui. Saperlo avrebbe reso felice Kristin, anche

se la cosa mi metteva un po’ a disagio… ma non per colpa sua. Con gli Alchimisti, ero

sempre io a pagare i conti e a occuparmi delle scartoffie. Non ero abituata a vedere

qualcun altro farlo. Probabilmente facevo fatica a togliermi di dosso la sensazione di

dover fare tutto io perché gli altri non erano in grado di farlo come si deve. Le lezioni

erano sempre state un gioco da ragazzi per me. Ma, alla Amberwood, imparare a uscire

con persone della mia stessa età era stato un compito davvero difficile. Ero migliorata,

ma facevo ancora fatica a capire cosa dire agli altri. Con Brayden non avevo di questi

problemi. Avevamo una scorta infinita di argomenti: eravamo entrambi entusiasti di

parlare di tutto quello che sapevamo. Gran parte della cena la passammo a discutere

della complessità del processo di certificazione di organicità. Era davvero interessante.

I problemi si presentarono quando, una volta finito, Brayden mi chiese se volessi il

dolce prima di andare. Mi immobilizzai, colta da un dilemma improvviso. Jill mi aveva

detto di ordinare abbastanza da fare in modo di non sembrare una che si accontenta di

poco. Senza neppure pensarci, avevo ordinato un’insalata poco costosa, solo perché

sembrava buona. Adesso avrei dovuto ordinare qualcos’altro per dare l’impressione a

Brayden che dovesse impegnarsi per conquistarmi? Valeva la pena infrangere tutte le

mie regole sugli zuccheri e i dolci per una cosa del genere? E sinceramente, cosa ne

sapeva Jill di regole sugli appuntamenti? Il suo ultimo ragazzo era stato un assassino,

e quello attuale era all’oscuro del fatto che fosse una vampira.

«Ehm, no, grazie» dissi alla fine. «Preferirei essere sicura di arrivare al parco in

tempo.»

Lui annuì e si alzò dalla sedia, sorridendomi. «Stavo pensando la stessa cosa. La

maggior parte della gente non ritiene importante la puntualità.»

«Importante? È essenziale» risposi. «Io sono sempre almeno dieci minuti in

anticipo.»

Il sorriso di Brayden si allargò. «Io di solito vado per i quindici. A dirti la verità…

il dolce neppure mi andava.» Mi tenne aperta la porta mentre uscivamo. «Cerco di

evitare di assumere troppi zuccheri.»

Per poco non mi fermai di botto, sbalordita. «Sono completamente d’accordo, ma i

miei amici me lo fanno pesare sempre.»

Brayden annuì. «Ci sono moltissime ragioni. Ma la gente sembra non capirle.»

Camminai verso il parco, scioccata. Nessuno mi aveva mai capito così in fretta e

facilmente. Era come se riuscisse a leggermi nella mente.

Palm Springs era una città situata nel deserto, piena di distese sabbiose e di versanti

di montagne rocciose e spoglie. Ma era anche una località che l’umanità aveva

plasmato per molto tempo, e a diversi posti, come la Amberwood, avevano dato un

tocco di verde lussureggiante in netto contrasto con il clima naturale. Quel parco non

faceva eccezione. Era un enorme prato verde, con intorno alberi a fioritura stagionale

invece delle solite palme. Su un lato era stato allestito un palco e alcune persone

stavano già cercando di accaparrarsi i posti migliori. Noi ne scegliemmo uno all’ombra,

da cui si vedeva benissimo il palco. Brayden tirò fuori dallo zaino una coperta su cui

sederci e una copia piuttosto vissuta di Antonio e Cleopatra. Era piena di annotazioni

e alette adesive.

«Hai portato la tua copia?» mi chiese.

«No» risposi. Non potei far altro che essere colpita. «Non ho portato molti libri

quando mi sono trasferita qui.»

Lui esitò, come incerto se dovesse dare voce ai suoi pensieri o meno. «Vuoi leggere

con me?»

Sinceramente avevo immaginato di guardare la rappresentazione, ma la studiosa che

c’era in me comprendeva i vantaggi dell’avere il testo originale davanti. Ero anche

curiosa di sapere quali annotazioni avesse scritto. Solo dopo avergli risposto di sì mi

resi conto del motivo per cui era teso. Per leggere dovevamo sederci molto vicino.

«Non mordo» disse sorridendo, quando si accorse che non mi ero mossa.

La sua battuta allentò la tensione, e riuscimmo a posizionarci in modo da evitare

quasi ogni contatto. Non c’era modo di evitare che le nostre ginocchia si sfiorassero,

ma avevamo entrambi i jeans, e non mi sembrava che la mia virtù fosse in pericolo.

Inoltre, non riuscii a non notare che profumava di caffè: il mio vizio preferito. Non era

una brutta cosa. Proprio per niente.

In ogni caso, ero ben consapevole della nostra vicinanza. Non mi sembrava di

ricevere vibrazioni romantiche. Il mio battito non era accelerato; il mio cuore non

palpitava. Più che altro, ero consapevole di non essermi mai trovata così vicino a

qualcuno in tutta la mia vita. Non ero abituata a condividere in questo modo il mio

spazio personale.

Quando cominciò la rappresentazione mi dimenticai del problema. A Brayden

poteva non piacere Shakespeare recitato con costumi moderni, ma secondo me avevano

fatto davvero un ottimo lavoro. Seguendo con il testo davanti, ci accorgemmo della

presenza di errori in alcune battute recitate dagli attori. Ci scambiavamo occhiate

trionfanti, entusiasti di sapere qualcosa di cui il resto del pubblico era ignaro. Seguii

anche le annotazioni di Brayden, trovandomi d’accordo con alcune e in disaccordo con

altre. Non vedevo l’ora di parlarne con lui durante il viaggio di ritorno.

Eravamo tutti protesi in avanti durante la scena della drammatica morte di Cleopatra,

completamente assorbiti dalle sue ultime battute. Da un lato, sentii il rumore di una

carta che si stropicciava. Lo ignorai e mi protesi ulteriormente in avanti. La carta fece

ancora rumore, molto più forte questa volta. Guardando in quella direzione, vidi dei

ragazzi in età da college seduti vicino a noi. La maggior parte di loro stava guardando

lo spettacolo, ma uno aveva tra le mani un oggetto avvolto in una busta di carta

marrone. L’incarto era decisamente troppo grande ed era stato avvolto diverse volte

intorno all’oggetto. Si guardò attorno ansiosamente, cercando di risultare discreto e

srotolare la carta un po’ alla volta. In realtà avrebbe fatto meno rumore se l’avesse tolta

tutta insieme.

La cosa andò avanti almeno per un altro minuto e, per allora, anche altre persone lì

vicino si erano messe a guardarlo. Finalmente riuscì ad aprire la carta e, sempre al

rallentatore, ci infilò con attenzione una mano dentro. Sentii il rumore di un tappo e sul

viso del ragazzo spuntò un’espressione trionfante. Continuando a tenere l’oggetto

nascosto, si portò l’incarto alla bocca e bevve un lungo sorso di quella che doveva

essere una birra o qualche altra bevanda alcolica. Risultava piuttosto ovvio dalla forma

della busta.

Mi coprii la bocca con una mano, cercando di attutire la risata. Mi ricordava Adrian

in maniera impressionante. Potevo figurarmi senza problemi Adrian che si portava di

nascosto degli alcolici a un evento del genere e fare di tutto per non farsi scoprire,

pensando che se avesse fatto ogni cosa abbastanza lentamente, nessuno lo avrebbe

beccato. Anche ad Adrian probabilmente sarebbe capitata la sfortuna di aprire la

bottiglia durante la scena di massima tensione di tutto lo spettacolo. Riuscivo anche a

immaginarmi una simile espressione deliziata sul suo volto, una che diceva “Nessuno

sa cosa sto facendo!”. Mentre invece, ce n’eravamo accorti tutti. Non sapevo perché

mi facesse ridere, ma risi.

Brayden era troppo concentrato sullo spettacolo per accorgersene. «Ooh» mi

sussurrò. «Questa parte è bella: ora le ancelle si suicidano.»

Avevamo molto da discutere e analizzare mentre tornavamo alla Amberwood. Restai

quasi delusa quando la sua macchina si fermò davanti al mio dormitorio. Mentre ce ne

stavamo seduti lì, realizzai che eravamo giunti a un’altra pietra miliare

dell’appuntamento. Qual era la procedura corretta in questi casi? Avrebbe dovuto

baciarmi? Avrei dovuto lasciarglielo fare? Era quello il prezzo della mia insalata?

Anche Brayden sembrava teso, e io cominciai a prepararmi al peggio. Quando

abbassai lo sguardo sulle mie mani posate in grembo, mi accorsi che stavano tremando.

Ce la puoi fare, mi dissi. È un rito di passaggio. Cominciai a chiudere gli occhi, ma

quando Brayden riprese a parlare li riaprii subito.

Venne fuori che Brayden non aveva cercato il coraggio di baciarmi, ma di pormi una

domanda.

«Vorresti… ti piacerebbe uscire di nuovo con me?» chiese con un timido sorriso.

Rimasi sorpresa dal mix di emozioni che mi suscitarono quelle parole. Per lo più

sollievo, naturalmente. Avrei avuto anche il tempo per cercare dei libri che spiegavano

come baciare. Allo stesso tempo, ero quasi delusa dal fatto che la spavalderia e la

sicurezza che aveva dimostrato durante l’analisi critica non erano trasparite in questo

caso. Una parte di me pensava che avrebbe dovuto dire una cosa tipo: “Beh, dopo

questa serata perfetta, credo che non ci resti altro che uscire di nuovo”. Mi sentii

immediatamente stupida per questa convinzione. Non mi potevo certo aspettare che

fosse più a suo agio, quando io me ne stavo lì seduta con le mani tremanti.

«Certamente» dissi d’impulso.

Lui fece un sospiro di sollievo. «Magnifico» disse. «Ti mando una e-mail.»

«Sarebbe fantastico.» Sorrisi. Cadde un silenzio imbarazzato e, improvvisamente,

mi chiesi se dopotutto non sarebbe arrivato anche il momento del bacio.

«Vuoi… vuoi che ti accompagni alla porta?» chiese.

«Cosa? Oh, no. Grazie. È vicina. Ce la faccio. Grazie.» Pensai che fossi sul punto di

sembrare Jill.

«Va bene, allora» disse Brayden. «È stata una serata davvero piacevole. Non vedo

l’ora della prossima.»

«Anche io.»

Mi tese la mano. Gliela strinsi. Poi scesi dalla macchina ed entrai.

Gli ho stretto la mano? Ripensai a quel momento, sentendomi sempre più stupida.

Che problema avevo?

Mentre attraversavo l’ingresso, ancora confusa, tirai fuori il cellulare per controllare

se ci fossero messaggi. L’avevo spento quella sera, pensando che se c’era una volta in

cui meritavo un po’ di pace, era proprio quell’occasione. Con mia grande sorpresa,

nessuno aveva avuto bisogno in mia assenza, anche se c’era un messaggio di Jill,

mandato quindici minuti prima: Com’è andato l’appuntamento con Brandon? Lui

com’è?

Aprii la porta della mia stanza. Si chiama Brayden, risposi. Pensai al resto della

domanda e impiegai un bel po’ a decidere come rispondere.

È uguale a me.

ATTENZIONE: DA QUESTO PUNTO IN POI I CAPITOLI

NON SONO STATI SOTTOPOSTI ALLA REVISIONE

PUNTIGLIOSA SVOLTA FINORA

Potete leggerli subito o aspettare la revisione attenta, a vostra

discrezione. Vi avviserò man mano che revisiono un capitolo,

postando tutti i link del caso in pagina. Buon proseguimento…

o attesa ;)

CAPITOLO 6 Traduzione: ohmahgawdtawny

Pre-Revisione: Juls

«GLI HAI STRETTO LA MANO?» chiese Adrian incredulo.

Lanciai uno sguardo accusatorio a Eddie e Angeline. «Da queste parti le cose non

restano confidenziali?»

«No» disse Angeline, con la sua solita schiettezza. Eddie invece rise

sommessamente. Era uno di quei rari momenti di complicità che i due condividevano.

«Doveva essere un segreto?» chiese. Eravamo da Clarence Donahue per la

nutrizione bisettimanale di Jill e Adrian. Jill era con Dorothy, la governante umana di

Clarence, che ricopriva il ruolo di donatrice. Riuscivo a sopportare molte cose della

vita Moroi, ma il fatto che bevessero sangue, sangue umano, mi faceva venire i brividi

ogni volta. Il mio unico meccanismo di difesa era cercare di dimenticare perché

fossimo lì.

«No» ammisi. Un paio di giorni prima, Julia e Kristin avevano insistito così tanto

per sapere i dettagli dell’appuntamento, che avevo dovuto raccontare tutto. Dovevo

accettare che ogni volta che raccontavo loro qualcosa, inevitabilmente quel qualcosa

sarebbe diventato di dominio pubblico. Dovevo aspettarmelo che la mia famiglia alla

Amberwood poi l’avrebbe riferito ad Adrian.

«Sul serio?» Adrian era ancora concentrato sulla fine del mio appuntamento. «La

mano?»

Sospirai e mi lasciai cadere su un divano di pelle lucida. L’esterno della casa di

Clarence mi dava sempre l’impressione della tipica tenuta infestata dai fantasmi, ma

all’interno era molto moderna e ben ammobiliata. «Senti, è successo e basta… Okay,

sai che ti dico? Non importa. Non sono affari tuoi. Lascia perdere e basta.» Ma qualcosa

nell’espressione di Adrian mi fece intuire che non avrebbe lasciato perdere tanto presto.

«Vista questa grande passione non so proprio come riusciate a stare lontani» disse

Adrian imperturbabile. «Uscirete ancora?»

Eddie e Angeline mi guardarono in attesa di una risposta. Io esitai. Questo non

l’avevo ancora detto a Julia e Kristin, principalmente perché ci eravamo appena messi

d’accordo. «Sì» dissi, alla fine. «Parteciperemo ad una, ehm, visita guidata sui mulini

a vento.»

Se volevo zittire tutti, ci ero riuscita. Sembravano tutti sconvolti.

Adrian fu il primo a parlare. «Presumo che ti porterà ad Amsterdam sul suo jet

privato. Se è così, mi piacerebbe venire con voi. Ma non per i mulini a vento.»

«Un po’ più a nord di Palm Springs c’è un’enorme fattoria con un mulino a vento»

spiegai. «È una delle poche al mondo che organizza visite turistiche aperte al

pubblico.»

Altri sguardi vacui.

«L’energia eolica è rinnovabile e potrebbe avere un impatto fondamentale sul futuro

del nostro Paese!» dissi esasperata. «È una cosa elettrizzante.»

«“Elettrizzante”» disse Adrian. «“Energia”. Ah, ho capito, Sage. Bella battuta.»

«Non doveva essere una…»

La porta a vetri colorati della sala si aprì e Dimitri e Sonya entrarono con il nostro

ospite, Clarence, al seguito. Non l’avevo ancora visto da quanto ero arrivata, perciò lo

salutai con un piccolo sorriso, grata che la loro presenza avesse distratto tutti dalla mia

cosiddetta vita amorosa.

«Salve, signor Donahue» dissi. «È un piacere rivederla.»

«Eh?» L’anziano Moroi strinse gli occhi guardandomi e, dopo alcuni secondi, mi

riconobbe. Aveva i capelli bianchi e si vestiva sempre come se fosse ospite di una cena

formale di cinquant’anni fa. «Eccoti. Sono felice che tu sia passata, mia cara. Cosa ti

porta qui?»

«La nutrizione di Jill, signore.» Ce n’erano due a settimana, ma la testa di Clarence

non era più quella di una volta. Già dalla prima volta che ci eravamo visti, mi era

sembrato un po’ perso, ma la morte di suo figlio, Lee, sembrava aver spinto il vecchio

ancora più nel baratro… soprattutto perché non sembrava crederci. Gli avevamo detto

con delicatezza, uno svariato numero di volte, che Lee era morto, tralasciando la parte

degli Strigoi. Ogni volta, Clarence insisteva che Lee fosse solo “momentaneamente

assente” e che sarebbe tornato. Sbandato o no, Clarence era sempre stato gentile e

inoffensivo… per essere un vampiro, ovviamente.

«Ah, sì, certamente.» Si sedette sulla sua enorme poltrona e tornò a guardare Dimitri

e Sonya. «Quindi potete riparare le serrature delle finestre?» A quanto pareva, prima

che si unissero a noi, stavano parlando di qualcosa.

Dimitri sembrò cercare un modo gentile per rispondergli. Aveva un aspetto

meraviglioso come al solto: indossava jeans e maglietta, con sopra un lungo

impermeabile di pelle. Non avevo idea di come si potesse sopravvivere a Palm Springs

con un impermeabile del genere, ma se mai qualcuno poteva riuscirci, quello era di

sicuro lui. Di solito lo portava solo in casa, ma qualche volta gliel’avevo visto indossare

anche fuori. Avevo parlato di questa sua particolare scelta d’abbigliamento ad Adrian

un paio di settimane prima: «Ma Dimitri non ha caldo, così vestito?» La risposta di

Adrian non era stata completamente inaspettata: «Beh, sicuramente un sacco di donne

vorrebbero che se ne togliesse un po’, di vestiti.»

Il volto di Dimitri era lo specchio della gentilezza mentre affrontava le

preoccupazioni di Clarence. «Credo che vadano bene quelle che hai già» disse Dimitri.

«È tutto chiuso alla perfezione.»

«Così sembra» disse Clarence in modo sinistro. «Ma non sai quanto sono ingegnosi.

Non sono rimasto indietro coi tempi. So che esistono tecnologie di tutti i tipi da poter

utilizzare. Come quei laser che ti dicono se qualcuno sta cercando di entrarti in casa.»

Dimitri inarcò un sopracciglio. «Intendi dire un sistema di sicurezza?»

«Sì, esattamente» disse Clarence. «Che tenga fuori i cacciatori.»

Non ero sorpresa dalla piega che aveva preso la conversazione. Anche la paranoia

di Clarence era cresciuta di recente, il che era tutto dire. Viveva costantemente nel

terrore di questi cosiddetti cacciatori di vampiri: umani che… beh, cacciavano vampiri.

Per molto tempo aveva continuato a dire che erano stati loro i colpevoli dell’omicidio

di sua nipote e che i rapporti che dichiaravano fosse stata uccisa dagli Strigoi erano

errati. Alla fine avevamo scoperto che, almeno in parte, aveva ragione. Non era stato

uno Strigoi ad attaccarla, era stato Lee, nel disperato tentativo di tornare ad essere uno

Strigoi. Tuttavia, Clarence si rifiutava di accettarlo e continuava a credere alla sua

teoria dei cacciatori. Le mie rassicurazioni sul fatto che era dal Medioevo che agli

Alchimisti non risultava la presenza di gruppi del genere non erano servite a niente. Di

conseguenza, Clarence faceva sempre controllare che casa sua fosse sicura. Dato che

Sonya e Dimitri stavano da lui per condurre gli esperimenti, quel tedioso compito

spesso spettava a loro.

«Non credo di essere qualificato per installare un sistema di sicurezza» disse Dimitri.

«Davvero? C’è qualcosa che non sai fare?» Adrian aveva parlato così piano che

quasi non lo sentii, nonostante fosse seduto di fianco a me. Dubitavo che gli altri, anche

se dotati di una capacità uditiva superiore alla media, lo avessero sentito. Perché ciò

che dice Dimitri lo tocca ancora? Mi chiesi.

«Dovresti chiamare dei professionisti» continuò Dimitri, sempre rivolto a Clarence.

«Però scommetto che non vuoi che un gruppo di estranei entri ed esca da casa tua.»

Clarence aggrottò la fronte. «No, hai ragione. Un cacciatore potrebbe infiltrarsi

facilmente tra di loro.»

Dimitri era il ritratto della pazienza. «Controllerò tutti i giorni porte e finestre…

giusto per essere sicuri.»

«Sarebbe magnifico» disse Clarence, allentando un po’ la sua tensione. «A dire il

vero, non sono il tipo di vampiro che cercano i cacciatori. Non sono abbastanza forte.

Non più.» Ridacchiò tra sé e sé. «Ma comunque non si sa mai cosa può succedere.

Meglio essere prudenti.»

Sonya gli sorrise gentilmente. «Sono sicura che andrà tutto bene. Non avrai niente

di cui preoccuparti.»

Clarence incrociò il suo sguardo e, dopo alcuni secondi, sul suo viso si allargò

lentamente un sorriso. La sua postura rigida si rilassò un po’. «Sì, sì. Hai ragione.

Niente di cui preoccuparsi.»

Rabbrividii. Frequentavo da abbastanza tempo i Moroi per capire cosa fosse appena

successo. Sonya aveva usato la compulsione, giusto un filo, per calmare Clarence. La

compulsione, l’abilità di imporre il proprio volere sugli altri, era un potere che

possedevano tutti i Moroi in quantità diverse. I conoscitori dello spirito, così come gli

Strigoi, erano i più forti sotto questo punto di vista. Usare la compulsione sugli altri era

un tabù per i Moroi, e chi non lo rispettava andava incontro a serie conseguenze.

Immaginavo che in questo caso le autorità dei Moroi avrebbero chiuso un occhio,

visto che l’aveva usata solo per tranquillizzare Clarence, però la cosa mi turbava lo

stesso. La compulsione, in particolare, mi era sempre sembrata uno dei poteri più infidi

dei Moroi. Sonya doveva per forza usarla? Era già calma e rassicurante di suo. Non

sarebbe bastato a Clarence? Qualche volta mi chiedevo se usassero la magia solo per

il gusto di usarla. Qualche volta mi chiedevo se l’usassero con me… senza che me ne

rendessi conto.

I discorsi di Clarence sui cacciatori di vampiri suscitavano sempre un mix di

divertimento e disagio tra i presenti. Ora che si era calmato (anche se non mi era

piaciuto come l’avevano calmato), potevamo rilassarci tutti. Sonya si appoggiò allo

schienale del divanetto, bevendo una bibita fruttata che sembrava perfetta per una

giornata tanto calda. Dai vestiti sporchi e dai suoi capelli scarmigliati, ero pronta a

scommettere che fosse uscita… non che apparisse meno bella. La maggior parte dei

Moroi evitava il sole così forte, ma il suo amore per le piante era così smisurato che lo

affrontava pur di curare qualche fiore sciupato nel giardino di Clarence. Una crema

solare ad alta protezione poteva fare miracoli.

«Tra un po’ me ne dovrò andare» ci disse. «Tra qualche altra settimana, tutt’al più.

Devo tornare a organizzare il matrimonio con Mikhail.»

«Quando hai detto che sarà il grande giorno?» chiese Adrian.

Lei sorrise. «A dicembre.» Il che mi sorprese, ma poi aggiunse: «C’è una serra

tropicale enorme vicino alla Corte che useremo. È stupenda… non che cambi qualcosa.

Mikhail ed io potremmo sposarci ovunque. L’importante è che siamo insieme. Ma

ovviamente, se possiamo scegliere, perché non scegliere il meglio?»

Sorrisi persino io alle sue parole. Solo Sonya poteva trovare del verde nel pieno

dell’inverno in Pennsylvania.

«Dimitri potrebbe restare» proseguì. «Ma sarebbe fantastico se riuscissimo a fare

qualche progresso prima che me ne vada. Finora i test sull’aura sono stati…»

«Inutili?» suggerì Adrian.

«Volevo dire inconcludenti» replicò lei.

Adrian scosse la testa. «Quindi è stato tutto tempo sprecato?»

Sonya non rispose e bevve un altro sorso della sua bibita. Ero pronta a scommettere

che fosse analcolica – lei non si curava da sola come faceva Adrian – e che Dorothy

me ne avrebbe preparata una se l’avessi voluta. Eppure, ero anche pronta a scommettere

che avrebbe avuto effetti terribili su di me. Forse avrei fatto meglio ad andare in cucina

a vedere se ci fosse una Coca-Cola Light.

Sonya si sporse in avanti con una punta di entusiasmo negli occhi. «Dimitri ed io

abbiamo parlato e ci siamo accorti che ci è sfuggita una cosa fondamentale. O meglio,

dovrei dire che l’abbiamo evitata, ma non provarci sarebbe uno spreco.»

«Cioè?» chiese Adrian.

«Il sangue» disse Dimitri.

Trasalii. Non mi piaceva quando si tirava in ballo l’argomento. Mi ricordava da che

tipo di persone ero circondata.

«È evidente che c’è qualcosa negli Strigoi tornati Moroi* che li… ci protegge» disse

lui. «Abbiamo cercato segni di magia, ma la risposta potrebbe essere più fisica. E, dal

rapporto che ho letto, gli Strigoi hanno avuto difficoltà a bere il sangue di L… Il suo

sangue.» Dimitri stava per dire Lee, ma aveva cambiato idea, per rispetto Clarence.

Dallo sguardo acceso e felice dell’anziano era difficile dire se stesse capendo di cosa

stavamo parlando.

«Si sono lamentate» confermai. «Però questo non gli ha impedito di continuare a

berlo.» Gli Strigoi potevano essere creati con la forza, se uno di loro prosciugava una

vittima e poi gli faceva bere sangue Strigoi. Lee aveva chiesto agli Strigoi di farlo, ma

dal prosciugamento del suo sangue era risultata solo la morte.

«Vorremmo prendere un campione di sangue di Dimitri e poi confrontarlo con il tuo,

Eddie» disse Sonya. «Il sangue può presentare proprietà magiche di ogni tipo e questo

potrebbe aiutarci a capire come sconfiggere gli Strigoi.»

Mantenni la mia espressione il più vacua possibile, sperando che nessuno mi notasse.

Il sangue può presentare proprietà magiche di ogni tipo. Speravo che, durante il

discorso, nessuno si sarebbe ricordato del misterioso motivo per cui il mio sangue era

risultato rivoltante agli Strigoi. E poi, perché avrebbero dovuto? Io non ero mai stata

ritrasformata. Non ero una dhampir. Non avevano motivo di coinvolgermi negli

esperimenti. Eppure, se fosse stato vero, perché avevo improvvisamente cominciato a

sudare?

«Possiamo mandarlo al laboratorio per far analizzare la parte chimica e cercare di

individuare eventuali proprietà magiche» continuò Sonya. La sua voce sembrava

dispiaciuta, ma Eddie non sembrava preoccupato.

«Nessun problema» disse. «Qualsiasi cosa.» Sapevo che parlava sinceramente.

Perdere sangue era mille volte meglio che rimanere con le mani in mano, per lui.

Inoltre, probabilmente perdeva più sangue durante i suoi allenamenti giornalieri di

quello che avrebbe dovuto mettere a disposizione per l’esperimento.

«Se avete bisogno di un altro dhampir» disse Angeline. «Potete usare me. Possiamo

aiutarvi entrambi. Saremo una squadra. Così Sydney non dovrà più venire con noi,

specialmente adesso che ha un ragazzo.»

Avevo talmente tante obiezioni da fare, che non sapevo neanche da che parte

cominciare. La sicurezza che Eddie aveva mostrato nell’offrire il suo sangue era sparita

al “saremo una squadra.”

«Ci penseremo» disse Sonya. C’era una scintilla nei suoi occhi e ricordai quando mi

aveva detto che riusciva a vedere i sentimenti nelle auree. Vedeva che Angeline aveva

una cotta per Eddie? «Per adesso, preferirei non allontanarti dai tuoi studi. Per Eddie

non è così importante, dato che si è già diplomato, ma tu dovresti stare al passo.»

Angeline sembrò intristirsi. Aveva parecchie difficoltà a lezione, senza contare alcuni

episodi imbarazzanti, come quando avrebbe dovuto creare una cartina dell’America

Centrale e lei ne aveva portata una del Nebraska e del Kansas. Lei si fingeva spavalda,

ma sapevo che a volte la Amberwood la buttava giù.

Jill ci raggiunse; sembrava carica e vivace. L’ideale per un Moroi sarebbe stato bere

sangue ogni giorno. Potevano sopravvivere secondo questo programma bisettimanale,

ma avevo notato che Jill diventava sempre più stanca man mano che passavano i giorni

dalla nutrizione.

«Tocca a te, Adrian» disse.

Lui stava sbadigliando e sembrò sorpreso che lo avessimo visto. Non credo avesse

prestato interesse agli esperimenti col sangue di Sonya. Quando si alzò, mi lanciò

un’occhiata. «Posso parlarti un momento, Sage?» Prima che potessi protestare, disse:

«Tranquilla, non ti porto alla nutrizione. Voglio solo farti una domanda veloce.»

Annuii e lo seguii fuori dalla stanza. Quando fummo lontano dagli altri dissi: «Non

voglio più sentire commenti spiritosi su Brayden.»

«I miei commenti non sono spiritosi, sono esilaranti. Ma non volevo parlare di

questo.» Si fermò in corridoio, fuori da quella che sospettavo fosse la stanza di

Dorothy. «Pare che il mio vecchio verrà a San Diego per affari la prossima settimana.»

Mi appoggiai al muro e incrociai le braccia. Avevo già un brutto presentimento.

«Non sa perché sono qui, naturalmente, e neanche che sono con Jill. Non sa

nemmeno in che città mi trovo. Pensa che stia facendo baldoria in California, che ne

stia combinando una delle mie, come al solito.» Non mi sorprendeva che il signor

Ivashkov non sapesse la ragione per cui Adrian si trovava qui. La “resurrezione” di Jill

era top secret, così come la sua posizione attuale. Non potevamo permetterci che altre

persone, anche se non volevano farle del male, scoprissero dov’era.

Ciò che mi sorprendeva era tutto l’impegno che Adrian metteva nel fingere che non

gli importasse quello che pensava suo padre; cosa che, ovviamente, non era vera. La

sua espressione era convincente, ma c’era una nota di amarezza nella sua voce che lo

tradiva. «Comunque» continuò Adrian, «mi ha detto che se volevo potevamo vederci

a pranzo. Normalmente avrei rifiutato, però voglio sapere cosa sta succedendo a mia

mamma… Non me lo dicono mai quando li chiamo o li sento per e-mail.» Colsi di

nuovo emozioni contrastanti in lui. La madre di Adrian era rinchiusa in una prigione

Moroi per aver complottato contro la regina. Nessuno l’avrebbe mai detto, vista la sua

impertinenza e il suo senso dell’umorismo, ma doveva essere difficile per lui.

«Lasciami indovinare» dissi io. «Vuoi che ti presti la macchina.» Ero solidale con

chi aveva padri difficili, anche con Adrian. Ma la mia comprensione aveva un limite e

non comprendeva Caffellatte. Non potevo rischiare che me l’ammaccasse. Inoltre,

l’idea di non avere una via di fuga e rimanere bloccata lì, mi spaventava, specialmente

se c’erano vampiri di mezzo.

«Assolutamente no» disse. «Non sono così ingenuo.»

Davvero? «Allora cosa vuoi?» chiesi sorpresa.

«Speravo potessi accompagnarmi.»

Gemetti. «Adrian, sono due ore di macchina da qui.»

«È quasi tutta autostrada» mi fece notare. «E poi ho pensato che avresti preferito

fare quattro ore avanti e indietro piuttosto che prestarmela.»

Gli lanciai un’occhiata. «Vero.»

Si avvicinò di un passo, con un’espressione sorprendentemente seria in volto. «Per

favore, Sage. So che non è una cosa da poco, perciò non fingerò che tu ci guadagni

qualcosa. Cioè, puoi stare una giornata a San Diego a fare quello che vuoi. Certo, non

è lo stesso che andare a vedere pannelli solari con Brady, però sarei in debito con te...

Letteralmente e figuratamente parlando. La pago io la benzina.»

«Si chiama Brayden, e dove diavolo hai intenzione di trovare i soldi per pagarmi la

benzina?» Adrian tirava avanti con i pochi soldi che gli dava suo padre. Quella era

parte del motivo per cui seguiva dei corsi al college, nella speranza di ricevere qualche

aiuto finanziario il prossimo semestre e aumentare le sue entrate. Ammiravo i suoi

sforzi, ma, se a gennaio ci fossimo trovati ancora a Palm Springs, allora significava che

i Moroi avevano dei seri problemi politici.

«Ridurrei… ridurrei le spese per trovare soldi in più» disse lui dopo qualche attimo

di esitazione.

Non mi preoccupai di nascondere la mia sorpresa. Molto probabilmente le spese a

cui si riferiva erano quelle per alcol e sigarette, Era lì che finiva la sua paghetta.

«Davvero?» chiesi. «Smetteresti di bere per vedere tuo padre?»

«Beh, non per sempre» disse. «Sarebbe ridicolo. Ma magari potrei passare a

qualcosa di più economico. Per esempio… granite. Sai quanto mi piacciono?

Specialmente quelle alla ciliegia.»

«Ehm, no» dissi. Adrian si lasciava distrarre facilmente da argomenti bizzarri e

oggetti luccicanti. «Sono zucchero allo stato puro.»

«Piacere allo stato puro, vorrai dire. È un sacco che non ne mangio una buona.»

«Stai divagando» gli feci notare.

«Oh. Giusto. Beh, anche a costo di andare avanti a granite, ti restituirò i soldi. E

questo è l’altro motivo per cui voglio andare: spero che il mio vecchio mi aumenti un

po’ le entrate. Puoi anche non crederci, ma odio doverti sempre chiedere cose in

prestito. È facile evitare le mie chiamate, ma faccia a faccia? Non può scappare. In più,

crede sia più “virile” e “rispettabile” chiedere qualcosa direttamente. Il solito onore di

Nathan Ivashkov.»

Riecco il rancore. Forse con un pizzico di rabbia. Studiai Adrian a lungo mentre

elaboravo la mia risposta. Nel corridoio c’era poca luce, cosa che andava a suo

vantaggio. Probabilmente lui mi vedeva benissimo, mentre io facevo fatica a notare

alcuni dettagli. Quegli occhi verdissimi che avevo spesso ammirato adesso sembravano

scuri. Il dolore sul suo viso, comunque, era fin troppo evidente. Non aveva ancora

imparato a nascondere i suoi sentimenti a Jill e al loro legame, ma sapevo che assumeva

un atteggiamento pigro e sprezzante con tutti gli altri… beh, tranne con me,

ultimamente. Non era la prima volta che lo vedevo vulnerabile e mi sembrava strano

che, fra tutti, mostrasse le sue emozioni proprio a me. Ma era davvero strano? Forse la

mia incapacità nelle relazioni sociali era tornata a confondermi. In ogni caso, mi aveva

mosso qualcosa dentro.

«Ci vai davvero solo per questo? Per i soldi?» chiesi, accantonando tutte le altre

domande. «Lui non ti piace. Dev’esserci per forza qualcos’altro.»

«Principalmente. Ma dicevo davvero prima… la storia di mia mamma. Devo sapere

come sta e lui non me lo vuole dire. Sinceramente, credo voglia far finta che non sia

mai successo niente, per la sua reputazione oppure… forse perché soffre. Non lo so,

ma ripeto, non mi può evitare se sono lì con lui. In più…» Adrian distolse lo sguardo

un momento, prima di trovare il coraggio per guardarmi di nuovo. «Non so. È da

stupidi. Però pensavo… beh, che magari resterà colpito dal fatto che sto andando al

college. Ma è probabile di no.»

Mi sentii dispiaciuta per lui e sospettavo che quell’ultima parte, ricevere

l’approvazione di suo padre, fosse più importante per Adrian di quanto lasciasse

intendere. Sapevo bene cosa volesse dire avere un padre che giudicava continuamente,

per il quale niente era mai abbastanza. Capivo anche le emozioni contrastanti, il fatto

che un giorno sembrava che non gliene fregasse niente, e il giorno dopo desiderasse la

sua approvazione. E di certo capivo il suo attaccamento alla madre. Una delle parti

peggiori di stare Palm Springs era appunto la distanza da mia madre e dalle mie sorelle.

«Perché io?» chiesi d’un fiato. Non era stata mia intenzione fargli quelle domande

prima, ma all’improvviso non riuscii più a trattenermi. C’era troppa tensione, troppa

emozione. «Potevi chiedere a Sonya o a Dimitri di accompagnarti. Probabilmente ti

avrebbero prestato la loro macchina a noleggio.»

Il fantasma di un sorriso attraversò il viso di Adrian. «Non ne sarei così sicuro. E

credo tu sappia perché non voglia rischiare di restare bloccato in una macchina con il

nostro amico russo. Ma per il resto, non lo so, Sage. C’è qualcosa in te… Tu non

giudichi gli altri. Non è vero, li giudichi. Giudichi molto più di altri sotto certi aspetti.

Ma lo fai con sincerità. Mi sento…» Il sorriso svanì mentre farfugliava. «A mio agio

con te, suppongo.»

Non sapevo cosa ribattere, anche se trovavo ironico che fosse più a suo agio con me,

quando metà delle volte che vedevo un Moroi mi veniva un attacco di panico. Non lo

devi aiutare per forza, mi avvisò una vocina dentro di me. Non gli devi niente. Non

devi niente che non sia strettamente necessario ai Moroi. Ti sei dimenticata di Keith?

Non fa parte del tuo lavoro. Ricordai il bunker e che era bastato un affare con i vampiri

per far finire Keith in riabilitazione. Quanto stavo facendo peggio, io? Le interazioni

sociali erano alla base di questa operazione, ma stavo confondendo tutti i limiti, di

nuovo.

«Okay» dissi. «Va bene. Mandami una e-mail per dirmi a che ora partire.»

Quello fu il momento più divertente. Sembrava completamente attonito. «Davvero?»

Non riuscii a non ridere. «Mi hai veramente fatto tutto quel discorso senza aspettarti

che avrei accettato?»

«Sì» ammise, ancora meravigliato. «Non si può mai sapere, con te. Io faccio finta

con le persone. Nel senso, sono bravo a leggere le espressioni, ma per la maggior parte

mi aiuto con le auree e poi mi vanto di avere un dono. Non ho ancora imparato bene a

leggere gli umani. Hai i loro stessi colori, ma dai una percezione diversa.»

Le auree non mi disturbavano come il resto della magia dei vampiri, ma comunque

non mi facevano sentire del tutto tranquilla. «Di che colore è la mia?»

«Gialla, naturalmente.»

«Naturalmente?»

«I tipi intelligenti e analitici di solito ce l’hanno gialla. Ma c’è anche qualche

spruzzata di viola nella tua.» Anche nella penombra, vedevo una scintilla maliziosa nei

suoi occhi. «È questo che ti rende interessante.»

«Cosa vuol dire il viola?»

Adrian mise una mano sulla porta. «Devo andare, Sage. Non vorrei far aspettare

troppo Dorothy.»

«Dai. Dimmi cosa significa.» Ero così curiosa che per poco non lo presi per il

braccio.

Girò il pomello. «Te lo dico se entri con me.»

«Adrian…»

Ridendo, scomparve dentro la stanza e chiuse la porta. Scuotendo la testa, feci per

tornare dagli altri, ma poi decisi di cercare la Coca-Cola Light. Rimasi in cucina per un

po’, appoggiata ai piani di granito, mentre contemplavo con sguardo assente le pentole

di rame che pendevano dal soffitto. Perché avevo accettato di accompagnare Adrian?

Cosa c’era di così speciale in lui da farlo riuscire ad incrinare la logica su cui fondavo

la mia vita? Capivo perché spesso avevo un debole per Jill. Mi ricordava la mia

sorellina Zoe. Ma Adrian? Non somigliava a nessuno di mia conoscenza. Anzi, ero

abbastanza sicura che non ci fosse nessuno al mondo come Adrian Ivashkov.

Procrastinai così a lungo che, quando tornai in salotto, anche Adrian aveva finito.

Mi sedetti sul divano, finendo le ultime gocce della mia Coca-Cola Light. Sonya si

illuminò nel vedermi.

«Sydney, abbiamo appena avuto un’idea fantastica.»

Magari non ero proprio la più veloce a cogliere i segnali, però mi accorsi che questa

idea fantastica riguardava me, e non Adrian e me.

«Stavamo appunto parlando dei verbali dell’… incidente.» Lanciò un’occhiata

eloquente a Clarence, io capii e annuii. «Sia i Moroi che gli Alchimisti hanno detto che

gli Strigoi hanno avuto qualche problema anche con il tuo sangue, giusto?»

Mi irrigidii. Non mi piaceva per niente. Era la conversazione che temevo. Gli Strigoi

che avevano ucciso Lee non avevano avuto semplicemente “qualche problema” a bere

il mio sangue. Quello di Lee aveva solo un sapore strano. Il mio era disgustoso. Quella

che aveva provato a bere il mio, l’aveva trovato intollerabile. L’aveva persino sputato.

«Sì…» dissi cautamente.

«Naturalmente tu non sei mai stata una Strigoi» disse Sonya. «Ma vorremmo dare

un’occhiata anche al tuo sangue. Magari possiamo trovarci qualcosa di utile. Un

piccolo campione dovrebbe bastare.»

Tutti gli occhi erano su di me, anche quelli di Clarence. La stanza iniziò a

restringersi, mentre il panico mi assaliva. Avevo pensato spesso al motivo per cui agli

Strigoi non fosse piaciuto il mio sangue… veramente avevo cercato di non pensarci.

Non volevo pensare che ci fosse qualcosa di speciale in me. Non volevo attirare

l’attenzione di nessuno. Una cosa era aiutare con gli esperimenti e un’altra era

diventare oggetto di studio. Se mi volevano fare un test, magari poi me ne avrebbero

voluto fare altri. Ed altri ancora. Sarei finita rinchiusa da qualche parte, a farmi rivoltare

come un calzino.

E poi non volevo dar loro il mio sangue. Non m’importava se Sonya e Dimitri erano

persone a posto. Non m’importava neanche che mi avrebbero prelevato il sangue con

un ago e non con i denti. Il concetto base era sempre lo stesso, un tabù che derivava

dalla convinzione più elementare di ogni Alchimista: dare sangue ai vampiri era

sbagliato. Era il mio sangue. Mio. Nessuno, specialmente i vampiri, doveva averci

niente a che fare.

Deglutii, sperando di non dare l’impressione di voler scappare. «Era l’opinione di

uno Strigoi. E sapete che a loro non piacciono gli umani tanto quanto… voi.» Quello

era uno dei motivi per il quale i Moroi vivevano sempre nella paura e contavano così

tante perdite. Erano la crème de la crème della cucina Strigoi. «Probabilmente è stato

solo per questo.»

«Forse» disse Sonya. «Ma tentar non nuoce.» Il suo viso era illuminato per questa

nuova idea. Mi dispiaceva tanto deluderla… ma i miei principi al riguardo era troppo

forti. Era quello che mi avevano insegnato a credere.

«Penso sia una perdita di tempo» dissi. «Sappiamo che c’entra lo spirito e non c’è

nessun collegamento con me.»

«Io penso che potrebbe essere utile» disse. «Per favore.»

Utile? Certo, dal suo punto di vista. Voleva vagliare ogni possibilità. Ma il mio

sangue non c’entrava niente con la trasformazione in Strigoi. Per forza.

«Io… preferirei di no.» Una risposta controllata, considerate le emozioni che mi si

agitavano dentro. Il cuore cominciava a martellarmi e le pareti continuavano a

restringersi. L’ansia aumentò quando mi assalì una vecchia sensazione, la terribile

consapevolezza che fossi numericamente inferiore, lì da Clarence. Che c’eravamo io e

una stanza piena di Moroi e dhampir. Creature anomale. Creature anomale che

volevano il mio sangue…

Dimitri mi osservò con curiosità. «Non fa male, se è questo che ti preoccupa. Ci

basta la quantità che preleverebbe un normale dottore.»

Scossi la testa, irremovibile. «No.»

«Io e Sonya sappiamo cosa fare» aggiunse, cercando di tranquillizzarmi. «Non ti

devi preoccupare…»

«Ha detto di no, okay?»

Tutti gli sguardi si spostarono velocemente su Adrian. Si protese in avanti, fissando

Sonya e Dimitri, e vidi qualcosa in quei suoi begli occhi che non avevo mai visto:

rabbia. Sembravano fatti di fuoco smeraldo.

«Quante volte ancora deve rifiutare?» chiese Adrian. «Se non vuole farlo, basta,

discorso chiuso. Lei non c’entra niente. È il nostro progetto di scienze. Lei deve

proteggere Jill e ha molto da fare. Quindi smettetela di assillarla!»

«“Assillarla” mi sembra un po’ esagerato» disse Dimitri, calmo nonostante la

sfuriata di Adrian.

«No, se si continua ad insistere con qualcuno che vuole essere lasciato in pace»

ribatté Adrian. Mi lanciò uno sguardo preoccupato prima di riportare la sua rabbia su

Sonya e Dimitri. «Smettetela di fare comunella contro di lei.»

Sonya spostò lo sguardo da me ad Adrian con fare incerto. Sembrava sinceramente

ferita. Nonostante la sua perspicacia, non credevo avesse capito quanto mi disturbasse

la faccenda. «Adrian… Sydney… non vogliamo infastidire nessuno. Vogliamo solo

andare in fondo alla questione. Pensavo che lo voleste anche voi. Sydney ci ha sempre

sostenuto.»

«Non importa» ringhiò Adrian. «Usa il sangue di Eddie. Usa quello di Belikov. Puoi

usare anche il tuo, non m’interessa. Ma se lei non vuole darvi il suo, allora basta. Ha

detto di no. La conversazione finisce qui.» Una remota parte di me si accorse che era

la prima volta che Adrian si metteva contro Dimitri. Di solito si limitava a ignorarlo,

sperando di essere ignorato a sua volta.

«Ma…» iniziò Sonya.

«Lascia stare» disse Dimitri. La sua espressione era sempre difficile da decifrare, ma

c’era gentilezza nella sua voce. «Adrian ha ragione.»

Com’era prevedibile, dopo quella discussione si era creata un po’ di tensione nella

stanza.

Qualcuno tentò di fare conversazione, ma io quasi non ci feci caso. Il cuore mi

batteva ancora troppo forte, avevo il respiro ancora affannato. Mi sforzai con tutta me

stessa di calmarmi, convincendomi che il discorso fosse chiuso, che Sonya e Dimitri

non mi avrebbero interrogato né preso il sangue con la forza. Diedi una sbirciatina ad

Adrian. Non sembrava più arrabbiato, ma c’era ancora una certa grinta nella sua

espressione. Sembrava quasi… protettivo. Una strana sensazione mi scaldò e, per un

breve momento, quando lo guardai, mi sentii… al sicuro. Di solito non era la prima

cosa che sentivo quando stavo con lui. Gli lanciai quello che speravo fosse uno sguardo

di gratitudine. Lui rispose con un piccolo cenno della testa.

Lo sa, realizzai. Sa cosa penso dei vampiri. Ovviamente lo sapevano tutti. Gli

Alchimisti non facevano mistero della loro convinzione che quasi tutti i vampiri e i

dhampir fossero creature oscure, che non avevano niente in comune con gli umani.

Tuttavia, visto che stavo spesso con loro, pensavo che la mia compagnia di Palm

Springs non capisse quanto fosse radicato a fondo quel pensiero. Lo capivano, in teoria,

ma non lo percepivano. E non avevano motivo di farlo, visto che difficilmente lo davo

a vedere.

Ma Adrian capiva. Non sapevo come, ma era così. Pensai alle poche volte che avevo

dato di matto da quando ero a Palm Springs. Una volta al campo da mini-golf, quando

Jill aveva usato la magia dell’acqua. Poi con gli Strigoi e Lee, quando Adrian si era

offerto di curarmi con la magia. Piccole perdite di compostezza che nessuno degli altri

aveva notato. Adrian sì.

Come mai Adrian Ivashkov, che sembrava non prendesse mai niente sul serio, era

stato l’unico tra queste persone “responsabili” a prestare attenzione a questi piccoli

dettagli? Com’era possibile che fosse stato l’unico a capire l’importanza di quello che

provavo?

Quando fu il momento di andarcene, accompagnai a casa Adrian, insieme a tutti gli

altri studenti della Amberwood. In macchina ci fu ancora silenzio. Quando Adrian

scese, Eddie si rilassò e scosse la testa.

«Accidenti. Credo di non aver mai visto Adrian così arrabbiato. Anzi, non l’avevo

mai visto arrabbiato.»

«Non era poi tanto arrabbiato» dissi evasivamente, gli occhi fissi sulla strada.

«A me sembrava piuttosto arrabbiato» disse Angeline. «Pensavo avrebbe aggredito

Dimitri.»

Eddie rise. «Non credo che sarebbe arrivato a tanto.»

«Non saprei» meditò lei. «Penso fosse pronto ad affrontare chiunque ti avesse dato

fastidio, Sydney.»

Continuai a fissare la strada, rifiutandomi di guardarli. Tutta la discussione mi aveva

lasciata confusa. Perché Adrian mi aveva difesa? «Gli devo fare un favore il prossimo

weekend» dissi. «Penso si senta in debito con me.»

Jill, seduta di fianco a me, al posto del passeggero, era rimasta in silenzio fino a quel

momento. Visto il legame che li univa, probabilmente sapeva la risposta. «No» disse,

con una nota di confusione nella voce. «L’avrebbe fatto in ogni caso.»

CAPITOLO 7 Traduzione: Dani Rox

Pre-Revisione: Juls

TRASCORSI GRAN PARTE DEL GIORNO SEGUENTE a lottare con il mio rifiuto

di aiutare Sonya, meditando su quella decisione mentre andavo da una lezione all’altra.

C’era una parte di me che si sentiva in colpa al pensiero di non dare il mio sangue per

fare gli esperimenti. Dopotutto, sapevo che quello che stavano facendo era per una

giusta causa. Se c’era un modo per proteggere i Moroi dal diventare Strigoi, allora, in

teoria, poteva valere anche per gli umani. Questo avrebbe potuto rivoluzionare il modo

di operare degli Alchimisti. Quelli come Liam, il tipo inquietante rinchiuso nel bunker,

non sarebbero stati più una minaccia. Poteva essere “sterilizzato” e liberato, senza

temere che potesse cedere alla tentazione della corruzione degli Strigoi. Sapevo anche

che Sonya e gli altri erano ad un punto morto con le loro ricerche. Non riuscivano a

spiegarsi perché Lee fosse immune alla trasformazione in Strigoi.

Allo stesso tempo, nonostante l’importanza della causa, mi sentivo ancora

fermamente contraria a dare il mio sangue. Avevo seriamente paura che così facendo

sarei divenuta soggetta a sempre più esperimenti. E non potevo affrontare una cosa del

genere. Non c’era nulla di speciale in me. Non ero stata sottoposta ad una miracolosa

trasformazione indotta dallo spirito. Lee ed io non avevamo proprio niente in comune.

Ero esattamente come ogni altro essere umano, come ogni altro Alchimista. Solo che

il mio sangue aveva un cattivo sapore. E questo mi stava bene.

«Parlami dell’incantesimo ammaliatore» mi disse un pomeriggio la professoressa

Terwilliger. Era passato qualche giorno da quando eravamo stati da Clarence, e

continuavo a rimuginare su quello che era successo mentre in apparenza mi dedicavo

allo studio indipendente con lei.

Alzai lo sguardo dal libro davanti a me. «Quale variante? Quello della personalità o

quello della metamorfosi? »

Era seduta alla sua scrivania e mi sorrideva. «Per essere tanto contraria a queste cose,

impari decisamente in fretta. Quello della metamorfosi».

Si trattava di un incantesimo recente che avevo dovuto imparare. Ce l’avevo chiaro

in mente, ma feci un sospiro profondo per farle intuire in modo passivo aggressivo

quanto questo mi infastidisse. «Permette a chi lo pratica di avere un controllo a breve

termine su qualcuno. Chi pratica l’incantesimo deve creare un amuleto fisico da

indossare…» Aggrottai nel pensare a quella parte dell’incantesimo. «E poi recitare una

breve formula rivolta alla persona da controllare».

La professoressa Terwilliger si sollevò gli occhiali sul naso. «Perché esiti?»

Notava ogni piccola esitazione. Non volevo farmi coinvolgere in tutto ciò, ma lei era

una mia insegnante, e questo faceva parte del mio compito fin quando fossi rimasta

intrappolata in questa miserabile sessione di studio. «Non ha senso. Beh, nessuna di

queste cosa ha senso, certo. Ma logicamente, penso che bisognerebbe usare qualcosa

di tangibile sulla vitt… sul soggetto. Magari dovrebbe indossare amuleto. O bere

qualcosa. Mi è difficile credere che chi lancia l’incantesimo è l’unico ad aver bisogno

di un oggetto magico. Sento che dovrebbe stabilire un collegamento con il soggetto».

«Hai colto la parola chiave» aveva detto. «Oggetto magico. L’amuleto rinforza la

volontà dell’incantatore, così come l’incantesimo in sé. Se viene lanciato

correttamente, e l’incantatore è abbastanza esperto e forte, questo spingerà il potere di

dominio sul soggetto. Magari non sembra una cosa tangibile, ma la mente è uno

strumento potente.»

«Il potere di dominio» mormorai. Senza pensarci, mi ero fatta il segno degli

Alchimisti contro il male. «Non lo trovo giusto.»

«È diverso dalla forma di ammaliamento che usano i tuoi amici vampiri?»

Mi gelai. Era da molto tempo che la professoressa Terwilliger aveva ammesso di

essere a conoscenza del mondo dei Moroi e degli Strigoi, ma io continuavo ad evitare

l’argomento con lei. La magia del mio tatuaggio non mi impediva di parlare del mondo

dei vampiri con chi ne era a conoscenza, ma non volevo rivelare accidentalmente

qualche dettaglio sulla mia missione per proteggere Jill. Ciò nonostante, le sue parole

mi sconvolsero. Questo incantesimo era molto simile alla compulsione, molto simile a

quello che avevo visto fare a Sonya per calmare Clarence. I vampiri potevano farlo

senza alcun aiuto. Questo incantesimo richiedeva una componente fisica, ma la

professoressa Terwilliger mi aveva detto che era una cosa del tutto normale per gli

umani. Aveva detto che la magia era una cosa innata per i Moroi, mentre noi dovevamo

estirparla dal mondo. A me sembrava un motivo in più per cui gli umani non avrebbero

dovuto dilettarsi in cose del genere.

«Nemmeno quello che fanno loro è giusto» dissi, in una rara ammissione

dell’esistenza dei Moroi con lei. Non mi piaceva pensare che capacità che trovavo così

deviate e sbagliate fossero anche alla portata degli umani, stando a quanto diceva lei.

«Nessuno dovrebbe avere un potere del genere sugli altri.»

Lei sollevò le labbra. «Sei molto intransigente su una cosa in cui non hai alcuna

esperienza.»

«Non sempre si ha bisogno di esperienza. Non ho mai ucciso nessuno, ma comunque

so che uccidere è sbagliato.»

«Non ignorare questi incantesimi. Possono essere una difesa utile» disse

stringendosi nelle spalle. «Forse dipende da chi ne fa uso… proprio come una pistola

o un’altra arma qualsiasi.»

Feci una smorfia. «Non mi piacciono neppure le pistole.»

«Allora potresti trovare la magia un’alternativa migliore». Fece un piccolo

movimento aggraziato con le mani e un vaso d’argilla posto sul davanzale della finestra

esplose improvvisamente. I frammenti affilati caddero sul pavimento. Mi alzai di scatto

dal mio banco e arretrai di qualche passo. Era sempre stata in grado di fare questo tipo

di cose? Sembrava non aver fatto alcuno sforzo. Che danni poteva provocare se avesse

fatto sul serio? Sorrise. «Vedi? Molto efficace.»

Semplice ed efficace, facile quanto poteva essere per un vampiro utilizzare la sua

magia degli elementi con la sola forza del pensiero. Dopo tutti gli incantesimi accurati

che avevo visto in quei libri, ero sconvolta nel vedere una magia così “facile”. Tutto

questo portava i discorsi della professoressa Terwilliger ad un livello completamente

nuovo e pericoloso. Tutto il mio corpo si irrigidì mentre aspettavo di vedere un altro

orribile incantesimo, ma a giudicare dallo sguardo sereno sul suo viso, quella sarebbe

stata l’unica dimostrazione di potere, per ora. Sentendomi un po’ ridicola per la mia

reazione, tornai a sedermi.

Presi un respiro profondo e scelsi cautamente cosa dire, tenendo la rabbia e la paura

a freno. Non sarebbe stato conveniente fare una sfuriata davanti ad un’insegnante.

«Signora, perché continua a farlo? »

La professoressa Terwilliger piegò la testa da un lato come un uccellino. «A fare

cosa, cara? ».

«Questo.» Colpii il libro davanti a me. «Perché continua a farmi lavorare su queste

cose contro la mia volontà? Le odio, e lei lo sa. Non voglio averci niente a che fare!

Perché vuole che impari? Che cosa ne ricava lei? C’è qualche club di streghe dove si

riceve un premio speciale se si porta una nuova recluta?»

Tornò il suo sorriso strano. «Preferiamo il termine congrega, non club di streghe.

Anche se suona bene. Ma, per rispondere alla tua domanda, io non ci ricavo niente…

almeno, non quello che pensi tu. Alla mia congrega possono sempre tornare utili

membri potenti, e tu hai il potenziale per fare cose eccezionali. Comunque, non si tratta

solo di questo. La tua posizione è che sia sbagliato per gli umani avere un potere del

genere, giusto? »

«Giusto» dissi a denti stretti. Avevo esposto la mia posizione un milione di volte.

«È assolutamente vero… per alcuni umani. Ti preoccupi che possano abusare di

questo potere? Hai ragione. Succede sempre, ecco perché abbiamo bisogno di persone

buone e dotate di una morale che sappiano opporsi a coloro che usano la magia per

ragioni egoistiche e malvagie.»

La campanella suonò, liberandomi. Mi alzai in piedi e raccolsi le mie cose. «Mi

dispiace, professoressa Terwilliger. Sono lusingata che lei mi reputi una persona

onesta, ma mi trovo già in mezzo ad una battaglia tra il bene e il male. Non me ne serve

un’altra.»

Lasciai la nostra sessione di studio sentendomi sia confusa che arrabbiata e speravo

che i prossimi due mesi del semestre sarebbero passati in fretta. Se questa missione per

gli Alchimisti fosse continuata fino all’anno prossimo, sarebbe stato fattibile passare a

scrittura creativa o qualche altro corso facoltativo. Era un peccato però, perché

all’inizio mi piaceva davvero la professoressa Terwilliger. Era geniale, conosceva la

sua materia (storia, non magia) e mi aveva incoraggiata. Se avesse mostrato lo stesso

entusiasmo con cui mi insegnava la magia nell’insegnarmi storia, non saremmo finite

in questo casino.

Di solito cenavo con Julia e Kristin o con la mia “famiglia”. Quella era una serata

con la famiglia. Trovai Eddie e Angeline già al tavolo quando entrai nella mensa del

Campus Est e, come al solito, lui sembrò grato della mia presenza.

«Beh, perché no?» stava dicendo Angeline, quando presi posto con il mio vassoio.

C’era cibo cinese quella sera e lei aveva in mano le bacchette, il che mi sembrava una

cattiva idea. Avevo provato a insegnarle ad usarle una volta, senza riuscirci. Si era

arrabbiata e aveva infilzato un involtino di uova così forte che i bastoncini si erano

spezzati.

«Io… beh, non è una cosa che mi si addice» disse Eddie, tentando di trovare una

risposta a qualunque fosse la sua domanda. «Non ci vado proprio. Con nessuno».

«Jill ci andrà con Micah» gli fece notare Angeline astutamente. «Non dovrai andare

per tenerla d’occhio, visto non si terrà a scuola? »

La risposta di Eddie fu uno sguardo afflitto.

«Di che state parlando?» chiesi alla fine.

«Del ballo di Halloween» disse Angeline.

Questa mi era nuova. «Ci sarà un ballo di Halloween?»

Eddie si riprese dalla sua tristezza e mi rivolse uno sguardo sorpreso. «Come fai a

non saperlo? Ci sono cartelli dappertutto.»

Mescolai le mie verdure al vapore. «Non ci saranno, dove sono stata io.»

Eddie indicò con la forchetta qualcosa alle mie spalle. Voltandomi, guardai la fila in

cui ero appena stata. Lì, appeso al muro, c’era un enorme cartello pubblicitario con

scritto BALLO DI HALLOWEEN. Portava la data e l’ora ed era decorato con zucche

disegnate male.

«Ah» dissi.

«Come fai a memorizzare libri interi e perderti una cosa come questa?» chiese

Angeline.

«Perché il cervello di Sydney registra solo informazioni utili» disse Eddie con un

sorriso. Non lo negai.

«Non pensi che Eddie dovrebbe andarci?» insisté Angeline. «Deve proteggere Jill.

E, se ci va, tanto vale che ci andiamo insieme.»

Eddie mi lanciò uno sguardo disperato, e io cercai di trovare un modo per tirarlo

fuori da questo guaio. «Beh, sì, certo che ci andrà… specialmente se si tiene fuori dal

campus.» Il cartello indicava un posto di cui non avevo mai sentito parlare. Non c’erano

state avvisaglie dei Moroi che davano la caccia a Jill, ma un posto sconosciuto

comportava nuovi pericoli. Mi venne un’idea. «Ma è proprio questo il problema. Lui

sarà in servizio. Passerà tutto il tempo a controllare quel posto, che non ci siano persone

sospette. Sarebbe inutile, ehm, andarci con te. Probabilmente non ti divertiresti

granché. Meglio andarci con qualcun altro.»

«Ma anche io dovrei proteggere Jill» ribatté lei. «Non è per questo che sono qui?

Devo imparare come comportarmi.»

«Beh, sì» rispose lui, incastrato da quella logica. «Dovrai venire con me per poter

badare a lei.»

Angeline si illuminò. «Davvero? Allora possiamo andarci insieme! »

Lo sguardo afflitto di Eddie ritornò. «No. Ci andremo insieme. Non insieme

insieme.»

Angeline non sembrò cogliere la sfumatura. «Non sono mai stata ad un ballo»

ammise. «Beh, a casa li organizziamo sempre. Ma non penso sia la stessa cosa.»

Su questo ero d’accordo. Avevo visto le tipologie di eventi sociali che organizzavano

i Custodi. Erano contrassegnati da musica cupa e balli intorno ai falò, oltre a qualche

alcool tossico fatto in casa che perfino Adrian non avrebbe toccato. Inoltre, secondo i

Custodi, un evento sociale era un successo solo se ne fosse scaturito almeno uno

scontro. Era sorprendente che Angeline non ne avesse ancora avuti alla Amberwood.

Avrei dovuto ritenermi fortunata che le sue uniche trasgressioni riguardavano il codice

d’abbigliamento e le sue risposte a tono agli insegnanti.

«Probabilmente no» dissi neutrale. «Ma non saprei. Nemmeno io sono mai stata ad

un ballo.»

«A questo ci andrai, vero?» chiese Eddie. «Con Brody?»

«Brayden. E non lo so. Non siamo ancora andati al secondo appuntamento. Non

voglio affrettare le cose.»

«Giusto» disse Eddie. «Perché non c’è nessun segnale di impegno più forte di un

ballo di Halloween.»

Stavo per rispondergli che forse lui e Angeline sarebbero dovuti andare davvero

insieme, quando Jill e Micah si unirono a noi. Entrambi stavano ridendo e non

riuscivano a smetterla per spiegarci cosa ci fosse di così divertente.

«Janna Hall ha finito un abito da uomo al club di cucito stasera» disse Jill

sghignazzando. Ancora una volta, provai un moto di gioia nel vederla così felice. «La

professoressa Yamani ha detto che era l’unico completo maschile che avesse mai visto

fare in cinque anni. Ovviamente a Janna serviva un modello, e c’era solo un ragazzo…»

Micah tentò di assumere un’espressione afflitta, ma tornò subito a sorridere. «Sì, sì.

Mi sono comportato da uomo e mi sono offerto. Quell’abito era orribile.»

«Ma dai!» disse Jill. «Non era poi così brutto… okay, sì. Janna non aveva seguito

nessun criterio per la taglia, quindi i pantaloni erano enormi. Tipo delle tende. E, dato

che non aveva fatto nessun buco per far passare la cintura, se li è dovuti tenere su con

una fascia.»

«Che ha resistito a stento, quando mi hanno fatto sfilare» disse Micah, scuotendo la

testa.

Jill gli diede una gomitata scherzosa. «Probabilmente sarebbero stati tutti contenti,

se non avesse retto.»

«Ricordami di non iscrivermi mai più ad un club per sole ragazze» disse Micah. «Il

prossimo semestre frequenterò qualcosa tipo commercio o karate.»

«Non lo rifarai? Neanche per me?» Jill lo guardò con fare sia tenero che ammiccante.

Mi resi conto che quello era molto più efficace di qualsiasi incantesimo ammaliatore o

della compulsione.

Micah gemette. «Non ho scelta.»

Non mi ritenevo particolarmente romantica, e continuavo a non approvare la loro

pacata storia d’amore, ma sorrisi davanti ai loro punzecchiamenti. Almeno finché non

notai l’espressione di Eddie. Non che facesse trasparire granché. Forse l’influenza di

Dimitri aveva contribuito a fargli perfezionare il tipico sguardo impassibile da

guardiano. Ma Eddie non era ancora Dimitri, ed io riuscivo a scorgere piccole tracce

di tristezza e desiderio nei suoi occhi.

Perché si stava facendo questo? Si rifiutava di dire a Jill quali erano i suoi sentimenti.

La sua posizione era che lui era il suo protettore e niente più. Questo lo capivo, in parte.

Quello che non riuscivo proprio a capire era perché continuasse a torturarsi

incoraggiandola ad uscire con il suo compagno di stanza, tra tutti. Anche con la

faccenda della somiglianza tra Micah e Mason, Eddie si costringeva a vedere

costantemente la ragazza che desiderava con qualcun altro. Non avevo avuto

esperienze simili, ma doveva essere straziante.

Eddie si accorse che lo stavo osservando e scosse lievemente la testa. Lascia

perdere, sembrava dire. Non preoccuparti per me. Sto bene.

Ben presto Angeline riprese a parlare del ballo, chiedendo a Jill e Micah se avessero

intenzione di andarci. Espose anche i suoi piani di andarci “con” Eddie. Questo lo

scosse dal suo stato malinconico e, nonostante sapessi che lei lo infastidiva, mi

chiedevo se non fosse meglio così piuttosto che essere continuamente tormentato dalla

relazione di Jill e Micah.

La conversazione si interruppe, così come il dilemma di Eddie, quando Micah

aggrottò la fronte e puntualizzò quello che a noi altri era sfuggito. «Perché andate al

ballo insieme? Non siete cugini? »

Eddie, Jill e io raggelammo. Un altro casino con la nostra copertura. Non potevo

credere che fosse successo due volte. Avrei dovuto fare presente la cosa non appena

Angeline si era messa a parlare del ballo. Agli occhi della scuola, noi eravamo tutti

parenti.

«E allora?» chiese Angeline, senza capire.

Eddie si schiarì la voce. «Ehm, cugini di terzo grado. Ma comunque non ci andiamo

insieme davvero. È così per dire.»

Con questo l’argomento fu chiuso efficacemente, e Eddie non riuscì a non sorridere

con fare trionfante.

Il giorno seguente, Brayden venne a prendermi immediatamente dopo la scuola, in

modo da arrivare alla visita ai mulini a vento in tempo. La professoressa Terwilliger

mi aveva perfino lasciata andare via qualche minuto prima, dopo averle promesso che

le avrei preso un cappuccino sulla via di ritorno per la Amberwood. Ero entusiasta di

vedere Brayden e di fare il tour, eppure, quando salii in macchina, avvertii una leggera

punta di dubbio. Avevo il diritto di concedermi questi svaghi? Specialmente dopo i due

lapsus sulla nostra storia di copertura. Forse stavo dedicando un po’ troppo tempo a me

stessa e non abbastanza alla missione.

Brayden ebbe molto da raccontarmi sulla gara di dibattito a cui aveva partecipato

nel weekend. Analizzammo alcuni degli argomenti più difficili che aveva dovuto

affrontare e ridemmo di quelli più facili che avevano messo in difficoltà la squadra

avversaria. Per anni avevo avuto paura di uscire con i ragazzi, ma mi trovai di nuovo

piacevolmente sorpresa nel vedere quanto mi venisse facile parlare con lui. Era come

durante l’uscita Shakespeariana: un’infinita sorgente di argomenti di cui entrambi

sapevamo molto. Era il resto che ancora mi metteva a disagio, la questione della

frequentazione. I libri sugli appuntamenti che avevo letto dalla nostra ultima uscita

davano perlopiù suggerimenti su quando fare sesso, cosa completamente inutile dal

momento che dovevo ancora capire come ci si tenesse per mano.

Gli enormi mulini a vento erano impressionanti. Non avevano la bellezza raffinata

delle auto che amavo, ma ero altrettanto ammirata dall’ingegneria che li costituiva.

Alcuni erano alti più di trenta metri, con pale che misuravano la metà di un campo di

football. Cose del genere mi lasciavano incantata dall’ingegno umano. Chi aveva

bisogno della magia quando potevamo creare meraviglie del genere?

La nostra guida era un’allegra ragazza sui vent’anni a cui chiaramente piaceva il suo

lavoro e quello che rappresentava l’energia eolica. Conosceva moltissime nozioni a

riguardo… ma non abbastanza da soddisfare Brayden.

«Come giustifica l’inefficienza dell’energia derivante dalla necessità delle turbine

di una velocità del vento che rientri in una gamma tanto limitata? »

E poi: «Qual è la sua risposta agli studi che dimostrano che migliorando

semplicemente i filtri nella trasformazione del carbon fossile si avrebbero minori

emissioni di anidride carbonica rispetto a questo tipo di produzione energetica? ».

E ancora: «L’energia eolica può essere davvero ritenuta un’alternativa sostenibile

quando, considerati il costo della costruzione e altre spese di manutenzione, i

consumatori finiscono per pagare più di quanto farebbero con le forme tradizionali di

elettricità?»

Non potevo esserne certa, ma penso che la nostra guida concluse il tour prima del

tempo. Invitò alcuni degli altri turisti a tornare, ma non disse niente quando Brayden e

io le passammo accanto.

«Purtroppo quella donna era disinformata» mi disse, una volta tornati in autostrada.

«Sapeva molte cose sui mulini a vento e le loro capacità» puntualizzai. «Suppongo

che non si parli molto delle recenti controversie durante queste visite. O…» Feci una

pausa, sorridendo. «Di come gestire, ehm, turisti insistenti.»

«Sono stato insistente?» chiese con aria sinceramente sorpresa. Era così preso dalle

sue idee che non se ne era neppure accorto. Era adorabile.

Cercai di non ridere. «Ci sei andato pesante, tutto qui. Non penso che fossero

preparati a qualcuno come te.»

«Dovrebbero esserlo. L’energia eolica è promettente, vero, ma per adesso, ci sono

troppi costi e problemi di efficienza che devono essere risolti. Altrimenti è inutile.»

Rimasi in silenzio per diverso tempo, provando a decidere quale fosse la risposta

migliore. Nessuno dei consigli che avevo ricavato dai libri e dai miei amici poteva

servirmi a gestire discussioni riguardanti fonti alternative di energia. Uno dei libri (uno

che avevo scelto di non finire) aveva un punto di vista decisamente maschilista che

diceva che le donne avrebbero dovuto sempre far sentire gli uomini importanti durante

gli appuntamenti. Sospettavo che il suggerimento di Kristin e Julia in questo momento

sarebbe stato mettersi a ridere e agitare i capelli… e non lasciare che la discussione

proseguisse oltre.

Ma non ci riuscii.

«Ti sbagli» dissi.

Brayden, che era un grande sostenitore della sicurezza alla guida, distolse lo sguardo

dalla strada per un paio di secondi per fissarmi. «Cosa hai detto?»

Oltre ad aver scoperto che aveva un vasto bagaglio culturale come me, avevo anche

colto qualcos’altro di essenziale sulla personalità di Brayden. Non gli piaceva essere

contraddetto. Non era una sorpresa. Neanche a me piaceva, e avevamo molto in

comune sotto quel punto di vista. E, dal modo in cui parlava della scuola e perfino della

sua gara di dibattito, avevo anche dedotto che le persone non gli dicevano mai che si

sbagliava, anche quando capitava.

Forse non era troppo tardi per agitare i capelli. Invece, continuai.

«Ti sbagli. Magari il vento non è così efficiente come potrebbe essere, ma il fatto

che lo stiano sviluppando è un enorme miglioramento rispetto alle fonti di energia

antiquate e arcaiche da cui è sempre dipesa la nostra società. Aspettarsi che i costi siano

vantaggiosi quanto quelli di risorse presenti da molto più tempo è ingenuo.»

«Ma…»

«Non possiamo negare che il costo sia all’altezza dei benefici. Il cambiamento

climatico sta diventando un problema sempre più grande, e la riduzione delle emissioni

di anidride carbonica grazie al vento potrebbe avere un impatto significativo. Inoltre, e

cosa più importante, il vento è un’energia rinnovabile. Non importa che le altre fonti

siano più economiche, se in futuro si esauriranno. »

«Ma…»

«Dobbiamo essere progressisti e pensare a cosa ci salverà in futuro. Focalizzarsi

totalmente su ciò che è economicamente vantaggioso adesso, ignorando le

conseguenze, è poco lungimirante e porterà al crollo della razza umana. Quelli che la

pensano diversamente stanno solo rimandando il problema, a meno che non abbiano in

mente altre soluzioni. La maggior parte no. Si lamenta e basta. Ecco perché ti sbagli.»

Feci una pausa per prendere fiato e poi lanciai un’occhiata a Brayden. Stava

guardando la strada, ma i suoi occhi erano spalancati. Non penso sarebbe stato più

scioccato di così neanche se l’avessi preso a schiaffi. Mi rimproverai immediatamente

per quello che avevo detto. Sydney, perché non ti sei limitata a sbattere le ciglia?

«Brayden?» chiesi esitante, una volta passato quasi un minuto senza ricevere

risposta. Ancora silenzio tombale.

Senza alcun preavviso, uscì bruscamente dall’autostrada e accostò lungo il bordo.

Intorno a noi si alzarono polvere e ghiaia. In quel momento ero assolutamente certa

che mi avrebbe chiesto di scendere dalla macchina e tornarmene a piedi a Palm Springs.

E mancavano ancora diversi chilometri alla città.

Invece mi prese le mani e si allungò verso di me. «Tu» disse senza fiato. «Sei

fantastica. Assolutamente, decisamente, squisitamente fantastica.» E poi mi baciò.

Fui così sorpresa che non riuscii nemmeno a muovermi. Il mio cuore accelerò, ma

più per l’ansia che per altro. Stavo andando bene? Provai a sciogliermi nel bacio,

schiudendo leggermente le labbra, ma il mio corpo restò rigido. Brayden non si

allontanò disgustato, quindi era un buon segno. Non avevo mai baciato nessuno prima

e mi ero preoccupata tantissimo di come sarebbe stato. Il meccanismo non si rivelò poi

così difficile. Quando alla fine si staccò, stava sorridendo. Doveva essere un buon

segno. Ricambiai il sorriso con esitazione, perché sapevo che se lo aspettava.

Onestamente, una parte segreta di me era un po’ delusa. Tutto qui? Questo era tutto?

Non era stato terribile, ma non ero nemmeno volata tre metri sopra al cielo. Era stato

proprio come sembrava: labbra su labbra.

Con un gran sospiro di felicità, si voltò e riprese a guidare. Riuscivo solo a guardarlo

con stupore e confusione, incapace di formulare una risposta qualsiasi. Cos’era appena

successo? Quello era stato il mio primo bacio?

«Da Spencer, giusto?» chiese Brayden, quando prendemmo l’uscita per il centro

poco dopo.

Ero ancora così scombussolata dal bacio che mi ci volle un momento per ricordare

che avevo promesso alla professoressa Terwilliger un cappuccino. «Giusto.»

Poco prima che svoltassimo l’angolo che portava alla strada in cui si trovava

Spencer, Brayden si fermò a sorpresa davanti ad un negozio di fiori. «Torno subito»

disse.

Annuii in silenzio e, cinque minuti dopo, tornò con un grande bouquet di delicate

rose rosa pallido. «Grazie?» dissi, facendola sembrare più una domanda. Ora, oltre al

bacio e alla “fantastica” dichiarazione, mi ero guadagnata anche dei fiori.

«Non sono adeguati» ammise. «Nella tradizionale simbologia floreale, l’arancione

o il rosso sarebbero stati più appropriati. Ma c’erano solo così o color lavanda, e tu non

mi sembri tipo da viola.»

«Grazie» dissi, più convinta questa volta. Inspirando il dolce profumo delle rose

lungo la strada per Spencer, mi resi conto che nessuno mi aveva mai regalato dei fiori

prima.

Poco dopo arrivammo al bar. Scesi dalla macchina e, in un lampo, Brayden fu al mio

fianco per chiudere lo sportello al posto mio. Entrammo e fui quasi sollevata di vedere

Trey al lavoro. Con le sue battute sarei tornata alla normalità, visto che la mia vita era

appena entrata a Crazyland.

Inizialmente, Trey non si accorse nemmeno di noi. Era preso a parlare con qualcuno

dall’altro lato del bancone, un ragazzo di qualche anno più grande di noi. Dalla sua

pelle abbronzata, i suoi capelli neri, e i lineamenti del viso conclusi che lui e Trey

dovessero essere parenti. Io e Brayden aspettammo con discrezione dietro al ragazzo e

finalmente Trey alzò lo sguardo, con un’espressione incredibilmente seria che non era

da lui. Sembrava sorpreso di vederci, ma poi sembrò rilassarsi un po’.

«Melbourne, Cartwright. Siete venuti per una dose di caffeina post-mulini a vento?»

«Sai che non bevo mai caffeina dopo le quattro» disse Brayden. «Ma Sydney deve

prendere qualcosa alla sua insegnante.»

«Ah» disse Trey. «Il solito per te e la prof T.? »

«Sì, ma il mio con il ghiaccio, questa volta.»

Trey mi lanciò uno sguardo sagace. «Hai bisogno di una rinfrescata, eh? »

Alzai gli occhi al cielo.

Il ragazzo davanti a noi era ancora lì, e Trey fece un cenno verso di lui mentre

prendeva due tazze. «Questo è mio cugino Chris. Chris, loro sono Sydney e Brayden.»

Questo doveva essere il cugino “perfetto” di Trey. A prima vista, vidi ben poco che

lo rendesse migliore di Trey, a parte forse la sua altezza. Chris era molto alto. Non

quanto Dimitri, ma comunque alto. A parte questo, avevano entrambi un bell’aspetto e

un fisico atletico. Chris presentava dei graffi e delle cicatrici uguali a quelli che spesso

aveva anche Trey, perciò mi chiesi se le loro famiglie avessero in comune anche la

passione per lo sport. In ogni caso, non pensavo che Trey dovesse sentirsi intimidito

da Chris, ma del resto, io ero di parte visto che eravamo amici.

«Da dove vieni?» chiesi

«San Francisco» risposi Chris.

«Da quanto tempo sei in città?» chiese Brayden.

Chris rivolse a Brayden uno sguardo diffidente «Perché vuoi saperlo?»

Brayden sembrò sorpreso, e non lo biasimavo. Prima che qualcuno tra noi potesse

pensare alla prossima mossa nel manuale sui convenevoli, Trey tornò da noi.

«Rilassati, C. Cercano solo di essere gentili. Non lavorano mica per qualche agenzia di

spionaggio.»

Beh, Brayden no.

«Mi dispiace» disse Chris, anche se non sembrava poi così dispiaciuto. Ecco una

differenza tra i due cugini. Trey avrebbe riso del suo errore. Anzi, non avrebbe mai

fatto un errore simile. Era evidente che nella loro famiglia ci fossero diversi livelli di

cordialità. «Da un paio di settimane.»

Né Brayden né io ci azzardammo a dire altro e, per fortuna, Chris colse l’occasione

per andarsene, promettendo a Trey di chiamarlo più tardi. Quando se ne fu andato, Trey

scosse la testa come per scusarsi e poggiò i caffè pronti sul bancone. Feci per prendere

il portafoglio, ma Brayden mi allontanò e pagò al posto mio.

Trey diede il resto a Brayden. «Hanno messo gli orari della prossima settimana.»

«Ah, sì?» Brayden mi lanciò un’occhiata. «Ti dispiace se vado nella stanza sul retro

per un secondo? Figurativamente parlando, si intende.»

«Va’ pure» risposi. Appena se ne fu andato, mi girai disperatamente verso di Trey.

«Ho bisogno del tuo aiuto.»

Trey alzò le sopracciglia. «Parole che non avrei mai pensato di sentirti pronunciare.»

Valeva anche per me, ma non sapevo che altro fare, e Trey era la mia unica fonte di

aiuto adesso. «Brayden mi ha preso dei fiori» dissi. Non avevo intenzione di dirgli del

bacio.

«E?»

«E, perché l’avrebbe fatto?»

«Perché tu gli piaci, Melbourne. È così che fanno i ragazzi. Ti offrono la cena e ti

comprano regali, sperando che in cambio tu, ehm, possa ricambiarli.»

«Ma ho discusso con lui» dissi con un sibilo, guardando ansiosamente la porta da

cui Brayden era passato. «Poco prima che mi regalasse i fiori, gli ho fatto una

ramanzina, dicendogli che si sbagliava sulle fonti alternative di energia.»

«Aspetta, aspetta» disse Trey. «Tu hai detto… hai detto a Brayden Cartwright che

aveva torto?»

Annuii. «Quindi perché ha reagito in quel modo? »

Trey scoppiò in una risata. Una grossa, grassa risata che ero certa avrebbe fatto

tornare Brayden. «La gente non gli dice mai che ha torto.»

«Sì, l’avevo immaginato.»

«E specialmente le ragazze non gli dicono che ha torto. Probabilmente sei l’unica

ragazza ad averlo fatto. Probabilmente sei l’unica ragazza che è stata abbastanza

intelligente da farlo.»

Stavo diventando impaziente. «Ho capito. Allora perché i fiori? Perché i

complimenti? »

Trey scosse la testa e sembrava sul punto di ridere di nuovo. «Melbourne, se non lo

sai, non sarò certo io a dirtelo.»

Ero troppo preoccupata che Brayden tornasse per continuare a parlare del

“consiglio” inutile di Trey. Perciò dissi: «È Chris il cugino perfetto di cui parlavi?»

Il sorrisetto di Trey scomparve. «È lui. Qualsiasi cosa io sappia fare, lui sa farla

meglio.»

Mi pentii subito di averglielo chiesto. Trey, come Adrian, era una di quelle persone

che non mi piaceva vedere in difficoltà. «Beh, a me non è sembrato così perfetto.

Probabilmente sono di parte, visto che ci vediamo sempre. Per me sei la perfezione

fatta a persona.»

Con questo Trey tornò a sorridere. «Scusa per il suo comportamento. È sempre stato

così. Non è il ramo più carismatico dell’albero genealogico dei Juarez. Quello sono io,

ovviamente.»

«Ovviamente» concordai.

Stava ancora sorridendo quando Brayden tornò, ma quando lanciai un’occhiata alle

mie spalle, mentre uscivo dal bar, l’espressione di Trey si era rabbuiata di nuovo. I suoi

pensieri erano tornati introspettivi e avrei davvero voluto sapere come aiutarlo.

Sulla via di ritorno per la Amberwood, Brayden disse timidamente: «Bene. Ora so il

mio orario per le prossime due settimane.»

«Va… bene» dissi.

Lui esitò. «Quindi… so quando posso uscire di nuovo. Cioè, se tu vuoi uscire di

nuovo.»

Mi avrebbe colta di sorpresa, se non fossi stata già abbastanza sconvolta da tutte le

altre cose che erano successe quel giorno. Brayden voleva uscire di nuovo con me?

Perché? Specialmente le ragazze non gli dicono che ha torto. Probabilmente sei l’unica

ragazza ad averlo fatto. Probabilmente sei l’unica ragazza che è stata abbastanza

intelligente da farlo. Cosa più importante: io volevo uscire di nuovo con lui? Lo

guardai e poi guardai le rose. Pensai ai suoi occhi quando mi aveva fissata nella

macchina ferma. A quel punto mi resi conto che le possibilità che io potessi trovare un

ragazzo che reputasse Shakespeare e i mulini a vento interessanti erano minuscole.

«Okay» dissi.

Lui strinse gli occhi, pensieroso. «La tua scuola non organizza un ballo? Vuoi

andarci? La gente partecipa a questi eventi, giusto?»

«Così mi dicono. Come fai a saperlo?»

«Il cartello» disse. In quel preciso istante accostò sul viale davanti al mio dormitorio.

Appeso sulla porta principale c’era un cartello decorato con ragnatele e pipistrelli.

PREPARATI AD AVER PAURA AL BALLO DI HALLOWEEN.

«Oh» dissi. «Quel cartello». Eddie aveva ragione. Avevo veramente un archivio di

informazioni selettivo. «Possiamo andarci. Se vuoi.»

«Certo. Voglio dire, se vuoi.»

Silenzio. Entrambi scoppiammo a ridere.

«Bene, allora» dissi. «Direi che ci andiamo.»

Brayden si piegò verso di me e io andai nel panico, finché non vidi che stava

provando a vedere meglio il cartello. «Tra una settimana e mezzo.»

«C’è abbastanza tempo per trovare i costumi, direi.»

«Direi di sì. Anche…»

E fu allora che accadde un’altra cosa assurda. Mi prese per mano.

Lo ammetto, non mi aspettavo granché, soprattutto dopo la mia reazione confusa al

bacio scambiato sul ciglio della strada. Eppure, mentre teneva la sua mano sulla mia,

fui sorpresa di sentirmi di nuovo solo come se… beh, stessi toccando la mano di

qualcuno. Pensavo che avrei avuto almeno la pelle d’oca o che il mio cuore perdesse

un battito. La mia reazione più emotiva fu preoccuparmi di cosa fare con la mano.

Dovevo intrecciare le dita alle sue? Stringergli la mano?

«Mi piacerebbe uscire prima» disse. Tornò l’esitazione. «Se vuoi.»

Guardai le nostre mani e cercai di capire come mi sentivo. Aveva delle belle mani.

Morbide, calde. Avrei potuto abituarmi a stringere quelle mani. E, ovviamente, odorava

di caffè. Non era abbastanza per costruire un amore? Fui colta di nuovo da quella

incertezza. Che diritto avevo a vivere una cosa simile? Non ero a Palm Springs per

divertirmi. Non c’era nessun “io” fra gli Alchimisti. Sapevo che i miei superiori non

avrebbero approvato nulla di tutto questo.

Eppure, quando avrei riavuto questa opportunità? Quando avrei ricevuto di nuovo

dei fiori? Quando mi avrebbero guardata di nuovo con tanto calore? Decisi di buttarmi.

«Certo» dissi. «Usciamo di nuovo.»

AVVISO: DA QUESTO PUNTO IN POI, CON

L’ECCEZIONE DEI CAPITOLI 22 E 24, LA

TRADUZIONE È STATA SOTTOPOSTA A UNA

REVISIONE VELOCE, CHE POTREBBE

RISULTARE PIÙ IMPRECISA E A TRATTI NON

OMOGENEA.

LA REVISIONE ACCURATA È COMUNQUE IN

PROGRAMMA, SE VOLETE ASPETTARE.

GRAZIE,

la Boss

CAPITOLO 8 Traduzione di: Luisa K. Earnshaw

Pre-Revisione: Juls

Non riuscimmo ad uscire di nuovo fino al fine settimana. Brayden e io avevamo

entrambi avuto risultati abbastanza eccellenti per organizzare le uscite delle notti feriali

e finire tuttavia i compiti, anche se entrambi li avremmo evitati volentieri. Inoltre, le

mie notti feriali di solito comprendevano qualche altro conflitto con gli altri, che fosse

sulla nutrizione o sugli esperimenti. Eddie aveva dato il suo sangue questa settimana,

e io avevo fatto attenzione a non essere nei paraggi quando era successo, per paura che

Sonya provasse a chiedermene un po’...di nuovo.

Brayden avrebbe voluto uscire sabato, ma era il giorno in cui avevo promesso di

accompagnare Adrian a San Diego. Trovò un compromesso a colazione, beccandomi

prima che mi mettessi in viaggio, e andammo a un ristorante adiacente a uno dei tanti

lussuosi circoli di golf di Palm Springs. Sebbene avessi insistito a lungo per pagare la

mia parte, Brayden pagò e guidò per tutto il tragitto. Quando si fermò davanti al mio

dormitorio per farmi scendere, una vista sorprendente e non del tutto benvoluta mi

attendeva: Adrian era seduto fuori, su una panchina, apparentemente annoiato.

«Oh, accidenti» dissi.

«Cosa?» chiese Brayden.

«Quello è mio fratello.» Sapevo che non c’era modo di sfuggirgli. L’inevitabile era

accaduto. Adrian si sarebbe probabilmente aggrappato al paraurti di Brayden fino a

quando non avrebbe avuto una presentazione. «Vieni a conoscerlo».

Brayden uscì svogliato dall’auto, lanciando una nervosa occhiata al cartello con scritto

NON PARCHEGGIARE. Adrian si alzò, con un’aria estremamente soddisfatta.

«Non sarei dovuta venire a prenderti io?» chiesi.

«Sonya aveva alcune commissioni da fare e si è offerta di lasciarmi qui mentre era

fuori» spiegò. «Abbiamo pensato che ti avremmo salvato da qualche guaio.» Adrian

sapeva cosa stavo facendo quella mattina, quindi non ero del tutto sicura che le sue

ragioni fossero così altruiste.

«Questo è Brayden» gli dissi. «Brayden, Adrian».

Adrian gli strinse la mano. «Ho sentito tanto parlare di te.» Non ne dubitavo, ma mi

chiesi da chi esattamente ne avesse sentito parlare.

Brayden gli rispose con un sorriso amichevole. «A dir la verità io non ho mai sentito

parlare di te. Non sapevo neanche che Sydney avesse un altro fratello».

«Non mi hai mai nominato?» Adrian mi lanciò una finta occhiata ferita.

«Non ce ne è mai stata l’occasione» dissi.

«Vai ancora al liceo, vero?» chiese Adrian. Fece un cenno verso la Mustang. «Devi

avere un lavoro part-time per permetterti i costi di quella macchina, immagino. A meno

che tu non sia uno di quegli scansafatiche che semplicemente cercano di spillare soldi

ai propri genitori».

Brayden sembrò indignato. «Ovviamente no. Lavoro quasi ogni giorno al bar».

«Al bar» ripeté Adrian, riuscendo a trasmettere un milione di sfumature di

disapprovazione nella sua voce. «Capisco». Mi lanciò un’occhiata. «Immagino che

sarebbe potuta andare peggio».

«Adrian...»

«Beh, non ho intenzione di lavorare lì per sempre» protestò Brayden. «Sono già stato

ammesso all’USC, a Stanford e Dartmouth».

Adian annuì pensosamente. «Suppongo sia rispettabile. Ho sempre pensato a

Dartmouth come il tipo di scuola alla quale le persone vanno quando non riescono ad

entrare a Yale o Harv...»

«Dobbiamo davvero andare» interruppi, aggrappandomi al braccio di Adrian. Ero

tentata di strattonarlo verso il parcheggio degli studenti. «Non vogliamo rimanere

imbottigliati nel traffico».

Brayden lanciò un’occhiata al proprio cellulare. «Le strade dovrebbero essere

relativamente libere andando verso ovest a quest’ora, ma siccome siamo nel fine

settimana, non puoi mai sapere come i turisti alterino le cose, specialmente con le varie

attrazioni a San Diego. Se guardi ai modelli di traffico applicando la Teoria del Caos...»

«Esatto» dissi. «Meglio prevenire che curare. Ti mando un messaggio quando torno,

okay? Decideremo cosa fare per il resto della settimana».

Per una volta, non dovevo stressarmi sullo stringersi la mano o baciarsi o cose del

genere. Ero troppo impegnata a trascinare via Adrian prima che potesse aprire la bocca

e dire qualcosa di provocatorio. Brayden, quando parlava di argomenti accademici e io

non ero d’accordo con lui, tendeva ad essere piuttosto gentile, come avevo potuto

constatare. Non era arrabbiato, ma non l’avevo mai visto così agitato come in quel

momento. Adrian riusciva a irritare anche le persone più tranquille.

«Sul serio?» chiesi, una volta al sicuro dentro Caffellatte. «Non potevi semplicemente

dire “piacere di conoscerti”, e lasciar perdere?»

Adrian spinse indietro il sedile del passeggero, cercando la posizione più comoda

possibile pur indossando la cintura di sicurezza. «Faccio solo attenzione per te, sorella.

Non voglio che tu finisca con qualche fannullone. Credimi, sono un esperto in questo

genere di cose».

«Beh, apprezzo la tua grande conoscenza, ma penserò a questa cosa da sola, grazie lo

stesso».

«Avanti, un barista? Perché non qualche tirocinante nel business?»

«Mi piace che sia un barista. Profuma sempre di caffè».

Adrian abbassò un finestrino, lasciando che la brezza gli scompigliasse i capelli. «Sono

sorpreso che ti lasci portare in giro in auto da lui, specialmente considerando il modo

in cui vai fuori di testa se qualcuno tocca i comandi nella tua macchina».

«Come il finestrino?» chiesi con voce acuta. «Quando c’è l’aria condizionata accesa?»

Adrian afferrò il suggerimento e rialzò il finestrino.

«Vuole guidare. Quindi lo lascio fare. Oltretutto, mi piace quella macchina».

«Quella è una bella macchina» ammise Adrian. «Non ho mai pensato che fossi la tipa

che si fa condizionare dagli status symbol».

«Non lo faccio. Mi piace perché è una macchina interessante con una lunga storia».

«Traduzione: status symbol.»

«Adrian» sospirai. «Sarà un lungo viaggio».

In realtà, non andò così male. A dispetto delle speculazioni di Brayden, il traffico era

proprio poco, abbastanza da farmi credere che meritassi una pausa-caffè a metà strada.

Adrian prese un caffè moka, «Puoi offrire solo per questa volta, Sage?» e sostenne il

suo abituale stile di conversazione disinvolta per la gran parte del viaggio. Non avevo

potuto essere d’aiuto ma notai, quando eravamo in viaggio da circa trenta minuti, che

era diventato più riservato e riflessivo. La chiacchierata si spense, e lui passò un sacco

di tempo a guardare fuori dal finestrino.

Potevo solo immaginare cosa significasse per lui rivedere suo padre. Però avrei potuto

capirlo. Sarei stata proprio così ansiosa se si fosse trattato di vedere il mio. Non pensavo

davvero che Adrian avrebbe apprezzato una seduta di psicoterapia condivisa, però,

quindi tentai con un argomento più sicuro per allontanarlo dal suo umore depresso.

«Avete scoperto qualcosa dal sangue di Eddie e Dimitri?» chiesi.

Adrian mi guardò sorpreso. «Non mi aspettavo che ne avresti parlato».

«Ehi, sono curiosa di sapere come funzioni. Semplicemente non volevo partecipare».

Annuì. «È ancora presto. Hanno inviato i campioni a un laboratorio, uno dei vostri,

immagino, per vedere se ci sono differenze tra i due. Io e Sonya abbiamo individuato

un... oh, non so come descriverlo. Una specie di “ronzio” nel sangue di Belikov. Non

che il fatto che avesse sangue magico dovesse sorprendere qualcuno. La maggior parte

delle persone sembra pensare che ogni cosa che faccia sia magica».

«Oh, avanti» dissi. «Non è vero».

«No? Hai visto come lo venera Castile. Vuole essere esattamente come Belikov quando

sarà grande. E anche se Sonya è di norma la portavoce delle nostre ricerche, non respira

senza prima chiedere a lui. “Cosa ne pensi, Dimitri?” “È una buona idea, Dimitri?” “Ti

prego dacci la tua benedizione così possiamo fallire e adorarti, Dimitri”».

Scossi la testa esasperata. «Di nuovo, non è vero. Sono colleghi. È ovvio che lei chieda

il suo parere».

«Lo chiede a lui più che a me».

Probabilmente era perché Adrian sembrava sempre annoiato durante le loro ricerche,

ma pensai che non avrebbe aiutato farglielo notare. «Sono entrambi stati Strigoi.

Dev’esserci qualche legame speciale fra di loro».

Non rispose per qualche momento. «Okay. Un punto a te. Ma non puoi sostenere che

ci fosse una qualche competizione tra me e lui quando si trattò di Rose. Li hai visti

insieme. Non ho mai avuto una possibilità. Non posso competere».

«Beh, perché dovresti farlo?» Una parte di me voleva chiedere anche cosa Rose

c’entrasse con tutto quello, ma Jill mi aveva detto moltissime volte che per Adrian,

tutto si ricollegava a Rose.

«Perché io volevo lei» disse Adrian.

«Ed è ancora così?»

Nessuna risposta. Rose era un argomento pericoloso, che avrei voluto evitare.

«Ascolta» dissi. «Tu e Dimitri siete due persone diverse. Non dovresti compararti a lui.

Non dovresti cercare di essere come lui. Voglio dire, non ho intenzione di stare seduta

qui e parlarne male. Mi piace Dimitri. È intelligente e scrupoloso, coraggioso fino alla

follia e feroce. Bravo in battaglia. Ed è semplicemente un ragazzo simpatico».

Adrian rise di scherno. «Hai dimenticato meravigliosamente bello».

«Ehi, non sei niente male anche tu» lo provocai, ripetendo qualcosa che mi aveva detto

lui poco tempo fa. Non sorrise. «E non sottovalutarti. Anche tu sei intelligente, e sei

capace di persuadere chiunque. Neanche hai bisogno di un carisma magico».

«Fino ad ora non vedo tanta differenza tra me e un fenomeno da baraccone».

«Oh, smettila» dissi. Riusciva a farmi ridere perfino con il più serio degli argomenti.

«Sai cosa intendo. E sei anche uno delle persone più appassionatamente leali e

premurose che conosco, non importa quanto fingi che sia diverso. Vedo il modo in cui

tieni d’occhio Jill. Non così tante persone avrebbero viaggiato per tutta la regione per

aiutarla. E quasi nessuno avrebbe fatto quello che hai fatto tu per salvarle sua vita».

Di nuovo, Adrian ci mise un po’ a rispondere. «Ma cosa significa davvero essere leali

e premurosi?»

«Per me? Tutto».

Non c’era nessuna esitazione nella mia risposta. Avevo visto troppi traditori e

calcolatori nella mia vita.

Mio padre giudicava le persone non per quello che erano, ma per quello che avrebbero

fatto per lui. Adrian si prendeva cura con passione degli altri sotto tutte le sue bravate

e leggerezze. L’avevo visto rischiare la vita per provarlo. Considerato che mi ero

trovata fra le mani un occhio umano mentre cercavo di vendicare mia sorella... beh,

diciamo che Adrian aveva delle buone qualità.

Adrian non disse nient’altro per il resto del viaggio, ma almeno non avevo più

l’impressione che stesse rimuginando su qualcosa. Più che altro sembrava assorto, e

questo non era preoccupante. Quello che mi rendeva un po’ inquieta era che l’avevo

spesso visto girarmi attorno per studiarmi. Mi risposi quello che ripetevo sempre nella

mia mente, cercando di capire se ci fosse qualcosa per giustificare quell’attenzione.

Il padre di Adrian alloggiava a un hotel di San Diego che si allargava a macchia d’olio.

con un’atmosfera simile a quella di un resort.

Io e Brayden avevamo fatto colazione lì. Imprenditori in completi si mescolavano con

festaioli in stampe tropicali e infradito. Avevo quasi indossato jeans a colazione e

adesso ero contenta della mia scelta di una gonna grigia e una camicetta a maniche

corte con una stampa blu chiaro e grigia. Aveva un leggero taglio pieghettato, e la

gonna aveva un molto, molto tenue motivo a spina di pesce. Normalmente, non avrei

indossato tessuti così contrastanti insieme, ma mi piaceva l’audacia dello stile. L’avevo

fatto presente a Jill prima di lasciare il dormitorio per la colazione. Ci aveva messo un

po’ perfino per trovare i tessuti contrastanti, e quando lo fece, sollevò gli occhi al cielo.

«Certo, Sydney. Sei davvero una ribelle».

Intanto, Adrian era in uno dei suoi tipici look estivi, jeans e una camicia abbottonata,

anche se ovviamente la camicia era fuori dai pantaloni, con le maniche arrotolate e

alcuni bottoni lasciati aperti. Era vestito così tutto il tempo, e nonostante il suo aspetto

informale, spesso sembrava elegante e alla moda. Non quel giorno, comunque. Quelli

erano i jeans più consumati che gli avessi mai visto indossare, le ginocchia erano sul

punto di bucarsi. La camicia verde scuro, nonostante fosse di buona qualità e in perfetta

tonalità con i suoi occhi, era stropicciata all’inverosimile. Dormirci o gettarla sul

pavimento avrebbe solo migliorato la situazione. Ero abbastanza sicura che qualcuno

avesse dovuto effettivamente appallottolarla e sedersi su di essa per farla sembrare così

malandata. Se l’avessi notata prima ad Amberwood (e non fossi stata così distratta

cercando di portarlo via da Brayden), avrei insistito o ironizzato sulla camicia prima di

andarcene.

Stava ancora bene, ovviamente. Stava sempre bene, non importavano le condizioni dei

suoi vestiti e dei suoi capelli. Era una delle cose più irritanti su di lui. Questo look

arruffato lo faceva sembrare un qualche pensieroso modello europeo. Mentre lo

studiavo prendendo l’ascensore fino all’atrio del secondo piano, decisi che non poteva

essere una coincidenza che Adrian fosse vestito nel modo più scompigliato proprio il

giorno in cui aveva la visita di suo padre. La domanda era: perché? Si lamentava che

suo padre trovasse sempre delle colpe in lui. Vestirsi in quel modo faceva sembrare

che Adrian stesse solo fornendo un’altra ragione per farlo.

L’ascensore si aprì, e sussultai quando uscimmo. La parete posteriore dell’atrio era

quasi completamente coperta con finestre che offrivano una teatrale vista del Pacifico.

Adrian rise sotto i baffi alla mia reazione e prese il suo cellulare. «Dai uno sguardo più

da vicino mentre chiamo il vecchio».

Non dovette dirmelo due volte. Andai verso uno dei muri di vetro, ammirando

l’immensa, distesa blu e grigia. Immaginai che nei giorni nuvolosi sarebbe stato

difficile dire dove finiva il cielo e iniziava l’oceano. Il tempo era splendido quel giorno,

pieno di sole e con un cielo azzurro perfettamente pulito. Nel lato destro dell’atrio una

serie di porte si aprivano su un balcone in stile mediterraneo dove i clienti si stavano

godendo il pranzo sotto il sole. Guardando giù al pianterreno intravidi una piscina

scintillante blu come il cielo, circondata da palme e persone distese al sole. Non avevo

lo stesso desiderio dell’acqua di qualcuno che vi era specializzato, come Jill, ma avevo

vissuto nel deserto per quasi due mesi. Questo era meraviglioso.

Ero così folgorata dalla bellezza del paesaggio che non notai il ritorno di Adrian. In

effetti, non avevo notato neanche che era in piedi proprio dietro di me fino a quando

una madre chiamando la propria figlia, anche lei di nome Sydney, non mi fece dare

un’occhiata alle spalle. Quindi, vidi Adrian a pochi passi, che mi guardava divertito.

Trasalii e arretrai di qualche passo. «Che ne diresti di avvisare la prossima volta?»

Sorrise. «Non volevo interrompere. Sembravi felice per una volta».

«Per una volta? Sono felice un sacco di volte».

Conoscevo Adrian abbastanza per riconoscere il segno di un commento irriverente in

arrivo. All’ultimo secondo però, cambiò idea e la sua espressione tornò seria. «Quel

ragazzo, quel Brendan...»

«Brayden».

«Brayden ti rende felice?»

Guardai Adrian sorpresa. Quel tipo di domande erano spesso una trappola da parte sua,

ma la sua espressione neutrale mi rese difficile indovinare un secondo fine questa volta.

«Credo di sì» dissi alla fine. « Voglio dire, non mi rende infelice».

Quello riportò il sorriso di Adrian. «Menomale che non è qua per sentirlo. Cosa ti piace

di lui? A parte la macchina? E il fatto che profumi di caffè?»

«Mi piace che sia intelligente» dissi. «Mi piace che io non debba diventare banale con

lui vicino».

Adrian si accigliò. «Lo fai spesso per le persone?»

Mi sorpresi del sapore amaro nella mia stessa risata. «“Spesso?” Tutto il tempo.

Probabilmente la cosa più importante che ho imparato ad Amberwood è che alle

persone non piace sapere quanto sai. Con Brayden, non c’è nessuna censura per

nessuno di noi. Voglio dire, vedi questa mattina. Un minuto stavamo parlando di

costumi di Halloween, quello dopo stavamo discutendo delle antiche origini ateniesi

della democrazia».

«Non dirò di essere un genio, ma come diavolo avete fatto quel salto?»

«Oh» dissi. «I nostri costumi di Halloween. Eravamo vestiti da greci. Dall’era

ateniese.»

«Ovviamente» disse. E questa volta, avrei potuto dire che il commento sprezzante stava

tornando. «Nessun costume da gatto sexy per te. Solo il più dignitoso abito femminista

andava bene».

Scossi la testa. «Femminista? Oh, no. Non le donne ateniesi. Erano le meno femministe

del... beh, lascia stare. Non è davvero importante»

Adrian fece un’occhiata stupita. «È questo, non è vero?» Si piegò verso di me, e fui

tentata da arretrare... ma qualcosa mi trattenne lì dov’ero, qualcosa nell’intensità del

suo sguardo.

«Cosa?» chiesi.

Mi indicò. «Ti sei appena bloccata. Ti sei banalizzata per me».

Esitai solo un momento. «Sì, più o meno».

«Perché?»

«Perché non vuoi davvero sentir parlare degli antichi ateniesi, non più di quanto volessi

sentire Brayden parlare della Teoria del Caos».

«È diverso» disse Adrian. Non si era mosso ed era ancora fermo molto, molto vicino a

me. Sembrava qualcosa che avrebbe dovuto turbarmi, ma non lo fece. «Lui è noioso.

Tu fai sembrare le cose da imparare divertenti. Come un libro per bambini o un corso

dopo la scuola. Parlami delle tue... ehm, donne ateniesi».

Cercai di non sorridere. Ammiravo le sue intenzioni ma sapevo che non era davvero

interessato a una lezione di storia. Di nuovo, mi chiesi che gioco stesse giocando.

Perché faceva finta di essere così interessato? Cercai di comporre una risposta che

richiedesse meno di sei secondi.

«La maggior parte delle donne ateniesi non erano istruite. Non uscivano quasi mai e

tutto ciò che ci si aspettava da loro era che avessero figli e si preoccupassero della casa.

Le donne più progressiste erano le eteree. Erano delle specie di intrattenitrici e

prostitute di alta classe. Erano istruite e un po’ più volgari. Gli uomini potenti tenevano

le loro mogli a casa a crescere i bambini mentre uscivano con le eteree per

divertimento» feci una pausa, incerta se lui mi avesse seguita. «Come ho detto, non è

così importante».

«Non saprei» disse Adrian pensieroso. «Trovo le prostitute molto importanti».

«Bene. Com’è bello vedere che le cose non sono cambiate» una nuova voce si

intromise. Trasalimmo entrambi e alzammo lo sguardo sull’uomo accigliato che si era

appena unito a noi. Il padre di Adrian era arrivato.

CAPITOLO 9

Traduzione: Sherm

Pre-Revisione: Claude

QUELLI DI NOI CHE SAPEVANO cosa cercare, avrebbero potuto identificare

immediatamente un Moroi dalla loro carnagione particolarmente pallida e dalle loro

figure alte e snelle. Per la maggior parte degli occhi umani, quel tipo di caratteristiche

risaltavano ma non avrebbero certo fatto venire dei sospetti sull’esistenza dei vampiri.

Gli umani pensavano solo che fossero straordinarie e insolite, un po’ come Lia

considerava Jill la perfetta rappresentazione della modella dalla bellezza eterea. Non

volevo approfittare di tali stereotipi, ma dopo un veloce giudizio sul pallore tipico dei

Moroi e sul muso lungo, lo sguardo severo e i capelli argentei del signor Ivashkov, mi

chiedevo come non potesse essere scambiato per un vampiro più spesso. No, vampiro

non era il termine corretto. Sembrava più un becchino.

«Papà» disse Adrian rigidamente. «È sempre un piacere.»

«Per alcuni di noi.» Suo padre mi osservò a lungo, e vidi i suoi occhi spostarsi sulla

mia guancia. Mi porse la mano. La strinsi, fiera che il poter stringere le mani dei Moroi

ormai era diventato un nonnulla per me. «Nathan Ivashkov.»

«Sydney Sage» risposi. «È davvero un piacere conoscerla, signore.»

«Ho incontrato Sage mentre cincischiavo qui intorno» spiegò Adrian. «È stata così

gentile da darmi un passaggio da Los Angeles oggi, visto che non ho una macchina.»

Nathan mi guardò con stupore. «È un lungo viaggio da affrontare.» Neanche

lontanamente come il viaggio da Palm Springs, ma credavamo fosse più sicuro, e più

credibile, fargli pensare che Adrian fosse a Los Angeles.

«Non importa, signore» dissi. Lanciai un’occhiata ad Adrian. «Andrò a lavorare un

po’. Mi mandi un messaggio quando sei pronto ad andare?»

«Lavorare?» chiese lui con disgusto. «Dai, Sage. Vai a comprarti un bikini e goditi

la piscina mentre sei qui.»

Nathan guardò entrambi, incredulo. «L’hai fatta guidare fino a qui per

accompagnarti, e ora la fai aspettare come se fosse ai comodi tuoi?»

«Davvero» dissi. «Non...»

«È un’Alchimista» continuò Nathan. «Non un’autista. C’è una grossa differenza.»

In realtà, c’erano giorni alla Amberwood che ne dubitavo seriamente. «Venga,

signorina Sage. Se ha sprecato la sua giornata accompagnando mio figlio qui, il minimo

che possa fare è offrirle il pranzo.»

Lanciai uno sguardo terrorizzato ad Adrian. Non ero terrorizzata perchè avevo paura

di stare in compagnia dei Moroi. Mi ci ero ormai abituata a quel tipo di situazioni.

Quello di cui non ero sicura era che Adrian mi volesse davvero intorno durante la sua

riunione familiare. Non faceva parte del piano. Per di più, non ero neanche sicura di

voler davvero restare per la suddetta riunione.

«Papà...» tentò Adrian.

«Insisto» disse Nathan seccamente. «Fa attenzione e impara le buone maniere.» Si

voltò e cominciò ad allontanarsi, assumendo che lo avremmo seguito. Lo facemmo.

«Dovrei trovare una scusa per andare via?» Sussurai ad Adrian.

«Non quando usa il suo tono da “Insisto”» arrivò la risposta con un borbottio.

Per un secondo, intravedendo il magnifico ristorante a terrazza e la vista sull’oceano

esposta al sole, pensai di potermela cavare con gli Ivashkov. I loro drammi erano il

piccolo prezzo da pagare per sedersi là fuori in quel calore e quella bellezza. Poi,

Nathan sorpassò le porte-finestre della balconata e ci condusse all’ascensore. Noi lo

seguimmo docilmente. Ci portò giù fino al piano terra dell’albergo, in un pub chiamato

“Il Cavatappi”. Il posto era fiocamente illuminato e non aveva finestre, con delle travi

in legno piuttosto basse e dei separè neri in pelle. Dei barili di quercia erano allineati

al muro e l’unica luce presente appariva filtrata da delle lampade in vetro rosso. A parte

un barista solitario, il pub era vuoto, il che non mi sorprendeva troppo, visto l’orario.

Ciò che mi sorprendeva era che Nathan ci avesse portato qui invece di andare

nell’elegante ristorante all’aperto. Indossava un completo costoso che sembrava venire

direttamente da una sala riunioni di Manhattan. Perchè avrebbe dovuto ignorare un

ristorante dell’elite alla moda per pranzo e al suo posto sceglierne uno soffocante, un

buio...

Buio.

Per poco non lascai andare un gemito. Ovviamente la terrazza non era un’opzione,

non con i Moroi. L’incantevole pomeriggio soleggiato che avrebbe fornito delle

condizioni ideali per me, avrebbe tuttavia reso orribile il pranzo per gli Ivashkov... non

che sembrasse che i due avessero programmato qualcosa di divertente, in ogni caso.

«Signor Ivashkov» disse il barista. «È un piacere rivederla.»

«Posso farmi portare di nuovo il cibo qui?» chiese Nathan.

«Ma certo.»

Di nuovo. Probabilmente questo nascondiglio sotterraneo è stato il principale

sostegno per i pasti di Nathan dal suo arrivo a San Diego. Mi concessi un ultimo

malinconico pensiero alla terrazza e poi seguii Nathan e Adrian all’interno del pub.

Nathan scelse un tavolo all’angolo sufficiente per otto persone. Forse gli piaceva avere

i suoi spazi. O forse gli piaceva fingere che stava presidiendo un meeting aziendale. Il

barista ci diede i menù e prese le ordinazioni delle bevande. Io presi del caffè. Adrian

ordinò un martini, guadagnandosi sguardi di disapprovazione sia da me che da suo

padre.

«È a malapena mezzogiorno» disse Nathan.

«Lo so» disse Adrian. «Sono sorpreso di aver resistito così a lungo.»

Nathan ignorò il commento e si voltò verso di me. «Sei molto giovane. Devi aver

iniziato da poco con gli Alchimisti.»

«Ci fanno cominciare tutti molto giovani» Concordai. «Ho lavorato per conto mio

per più di un anno.»

«Ammirevole. Dimostra un forte senso di responsabilità e iniziativa da parte sua.»

Annuì per ringraziare il barista mentre appoggiava una bottiglia di acqua frizzante sul

tavolo. «Non è un segreto che cosa pensano gli Alchimisti di noi, ma allo stesso tempo,

il vostro gruppo ci aiuta parecchio. La vostra efficienza è davvero notevole. Peccato

che la mia stessa gente non presta attenzione al vostro esempio.»

«Come vanno le cose con i Moroi?» Chiesi. «Con la regina?»

Nathan quasi sorrise. «Mi sta dicendo che non lo sa?»

Qualcosa sapevo... almeno, ciò che sapevano gli Alchimisti. «Sentire il punto di vista

di un membro della Corte è sempre diverso, signore.»

Sogghignò. Era un suono rigido, come se ridere non fosse una cosa con cui Nathan

Ivashkov avesse molta confidenza. «La situazione è migliorata. Non è perfetta,

comunque. Quella ragazza è sveglia, glielo concedo.» Immaginavo che per “quella

ragazza” intendesse Vasilisa Dragomir, la regina diciottenne dei Moroi e la migliore

amica di Rose. «Sono sicuro che preferirebbe far passare le leggi sui dhampir e sulla

successione... ma sa che facendolo farebbe solo infuriare i suoi oppositori. Perciò, sta

cercando di giungere a dei compromessi su altre problematiche e ha già fatto convinto

qualcuno dei suoi nemici a passare dalla sua parte.»

Le leggi di successione. Quelle mi interessavano. Esistevano dodici famiglie reali

tra i Moroi, e Vasilisa e Jill erano le uniche due rimaste della loro. E l’attuale legge dei

Moroi sosteneva che un sovrano dovesse avere almeno un altro familiare per

governare, ed è così che Jill era diventata una pedina politica così importante. Persino

gli assassini più esperti avrebbero avuto delle difficoltà a far fuori una regina così ben

protetta. Eliminare la sorellastra avrebbe comunque fatto ottenere gli stessi risultati, e

avrebbe annullato il governo di Vasilisa. Ecco perchè Jill si era ritrovata a doversi

nascondere.

I pensieri di Nathan seguivano le mie stesse riflessioni. «Oltretutto è molto sveglia

a nascondere quella bastarda di sua sorella.» Sapevo che intendeva “bastarda” nel senso

di figlia illegittima, non come un insulto, ma trasalii lo stesso. «In giro si dice che la

tua gente conosce qualcosa a proposito. Non è che mi darebbe il suo punto di vista, da

membro degli Alchimisti?»

Scossi la testa e cercai di mantenere amichevole il mio tono di voce. «Spiacente,

signore. Solo i membri più importanti hanno accesso a questo tipo di informazioni.»

Dopo alcuni minuti di silenzio, Nathan si schiarì la voce. «Bene, Adrian. Cos’è che

volevi?»

Adrian bevve un sorso del suo martini. «Oh, hai finalmente notato che sono qui?

Pensavo fossi venuto per stare con Sydney.»

Sprofondai un po’ nella mia sedia. Questa era esattamente il tipo di situazione che

volevo evitare.

«Perchè ogni domanda con te deve sempre portare a un’impresa?» chiese Nathan

esausto.

«Forse è per il tipo di domande che fai tu, papà.»

Questo pub non era grande abbastanza da contenere la tensione che si stava

velocemente sviluppando. Il mio istinto mi diceva di rimanere invisibile, ma mi scoprii

lo stesso a parlare.

«Adrian è al college» dissi. «Frequenta delle lezioni di arte. Ha molto talento.»

Adrian mi lanciò uno sguardo interrogativo, ma divertito, in risposta. Alcuni suoi lavori

erano piuttosto buoni. Altri, specialmente quando beveva, sembravano come se avesse

lanciato della pittura su tela. Gliel’avevo detto gentilmente in un svariato numero di

occasioni.

Nathan non sembrava impressionato. «Sì. L’ha già fatto in passato. Non è durata

molto.»

«Erano tempi e posti diversi» dissi. «Le cose cambiano. Le persone cambiano.»

«Ma spesso, non lo fanno» affermò Nathan. Il barista ritornò per prendere gli ordini,

nonostante nessuno di noi avesse ancora aperto i menù. «Ordinerò io per tutti, posso?»

Nathan aprì il menù e lo esaminò velocemente. «Ci porti una porzione di funghi al

burro e aglio, la fonduta di formaggio di capra, le capesante avvolte nel bacon e la

Caesar salad alle ostriche fritte. Tre porzioni di insalata, ovviamente».

Il barista si scrisse un paio di appunti e se ne andò prima che io avessi avuto il tempo

di aprire bocca.

«Non stai un po’ esagerando, papà?» chiese Adrian. «Non ci hai nemmeno chiesto

se ci andasse bene che ordinassi tu».

Nathan non sembrò preoccupato. «Ho già mangiato qui prima. So cos’è buono.

Fidati di me, vi piacerà.»

«Sage non mangerà niente di ciò che hai ordinato.»

Sarebbe stato molto più facile, decisi, se avessero finto che non esistessi.

«E perché mai?» chiese Nathan, guardandomi curiosamente. «Sei allergica ai

crostacei?»

«Lei mangia solo cose salutari» disse Adrian. «E tutto ciò che hai ordinato è inondato

di grasso.»

«Un po’ di burro non le farà male. Presto capirete che ho ragione. È tutto eccellente.

Per di più» aggiunse Nathan, fermandosi brevemente per bere. «Ho ordinato

dell’insalata. La lattuga è salutare.»

Non cercai nemmeno di fargli notare che nessuna quantità di lattuga romana avrebbe

compensato per le ostriche fritte o il condimento della Caesar salad. Non avrei

comunque avuto la possibilità di dire la mia perchè Adrian si era infervorato e, notai

con sorpresa, era a metà suo martini.

«Capisci?» disse disgustato. «È esattamente così che ti comporti. Pensi di sapere

cos’è meglio per chiunque. Parti in quarta e prendi queste decisioni, senza preoccuparti

di consultare nessuno, perchè sei convinto di avere ragione.»

«Secondo la mia vasta esperienza» disse Nathan con freddezza, «di solito ho ragione.

Quando anche tu possiederai quel tipo d’esperienza, quando potrai davvero affermare

di avere l’autorità su, beh, qualunque cosa, allora risulterai abbastanza degno di fiducia

da poter prendere decisioni importanti.»

«Siamo a pranzo» replicò Adrian. «Non è una questione di vita o di morte. Sto solo

dicendo che almeno avresti potuto fare qualche sforzo per coinvolgerci. Ovviamente,

la tua “vasta esperienza” non si estende alla normale cortesia di tutti i giorni.»

Nathan mi lanciò un’occhiata. «Non sono stato cortese con lei, signorina Sage?»

La mia sedia, con mio gran dispiacere, non mi inghiottì né mi offrì un rifugio.

Adrian finì il suo martini in un sorso e alzò il bicchiere per catturare l’attenzione del

barista. «Lasciala fuori da questa discussione» disse Adrian a suo padre. «Non cercare

di manipolarla per provare il tuo ragionamento.»

«Difficilmente ho bisogno di manipolare la gente per provare i miei ragionamenti»

disse Nathan. «Penso che trovino sostegno in se stessi.»

«Il pranzo andrà bene» dissi impulsamente, ben consapevole che questa lite tra padre

e figlio non aveva niente a che fare con le mie abitudini alimentari. «In ogni caso dovrei

provare cose nuove.»

«Non dargli corda, Sydney» la avvisò Adrian. «È così che riesce a scavalcare tutti...

specialmente le donne. Con mia madre l’ha fatto per anni.» Il barista apparì

silenziosamente e sostituì il bicchiere vuoto del martini con uno nuovo.

«Per favore» disse Nathan, con un profondo sospiro. «Lasciamo tua madre fuori da

questa discussione.»

«Dovrebbe essere abbastanza facile» disse Adrian. Potevo notare alcune rughe

causate dalla tensione sul suo volto. Sua madre era un argomento delicato. «Visto che

lo fai sempre. Sono settimane che sto cercando di farmi dire come sta! Maledizione,

sto persino cercando di capire dov’è. É così difficile per te darmi una risposta? Non

può essere in una prigione di massima sicurezza. Di certo le permetteranno di ricevere

delle lettere.»

«È meglio che tu non abbia contatti con lei finchè si trova in carcere» disse Nathan.

Persino io ero stupita da quanto era freddo nel parlare di sua moglie.

Adrian fece una smorfia e bevve un sorso del suo nuovo martini. «E rieccoci: tu che

sai ciò che è meglio per tutti. Sai, mi piacerebbe tanto, ma tanto, pensare che tieni

questo atteggiamento schivo quando si tratta di lei perché fa troppo male. Se la donna

che io amassi fosse rinchiusa, farei tutto ciò in mio potere per contattarla. Ma per te?

Forse è troppo difficile. Forse l’unico modo per superare la sua assenza è negarla... e

tenere lontano anche me. Potrei quasi capirti.»

«Adrian...» iniziò Nathan.

«Ma non è così, giusto? Non vuoi che io la contatti, e neanche tu sarai in contatto

con lei probabilmente, perchè sei imbarazzato.» Adrian si stava davvero arrabbiando.

«Vuoi prendere le distanze da noi e far finta che ciò che ha fatto non sia nemmeno

accaduto. Vuoi far finta che lei non esista. Perchè lei ha rovinato la reputazione della

famiglia.»

Nathan fissò suo figlio con un’espressione di ghiaccio. «Considerando la tua

reputazione, penso che tu possa vedere da te la saggezza nel non associarsi a qualcuno

che ha fatto ciò che ha fatto lei.»

«Cosa, fare un casino?» chiese Adrian. «Tutti facciamo casini. Tutti sbagliano. È

quello che ha fatto lei. È stato un errore di valutazione, tutto qui. Non tagli fuori le

persone che ami per errori del genere.»

«L’ha fatto a causa tua» disse Nathan. Il suo tono non lasciava dubbi su cosa pensava

di quella questione. «Perchè non la smettevi con quella dhampir. Dovevi sbandierare

la tua relazione con lei e finire quasi nei suoi stessi guai per l’omicidio di tua zia. Ecco

perchè tua madre ha fatto ciò che ha fatto... per proteggerti. Ora è in prigione a causa

della tua irresponsabilità. È tutta colpa tua.»

Adrian sbiancò, più del solito, e sembrò troppò scioccato per cercare di rispondere.

Riprese in mano il suo martini ed ero quasi sicura di vederlo tremare. A quel punto due

camerieri arrivarono dal ristorante al piano di sopra con le nostre portate. Fissammo il

vuoto in silenzio mentre preparavano il tavolo e posavano con delicatezza i piatti pieni

di cibo. Guardare tutto quel cibo mi fece venire la nausea e non aveva niente a che fare

con tutto l’olio e il sale che contenevano.

«Signor Ivashkov» cominciai, nonostante la voce della ragione nella mia testa mi

dicesse di stare zitta. «È ingiusto incolpare Adrian per le scelte di sua moglie,

specialmente quando lui non sapeva nemmeno cosa stesse facendo. Sono sicura che

farebbe di tutto per lei. Se avesse avuto la possibilità di fermare tutto ciò, o prendere il

suo posto, l’avrebbe fatto».

«Ne è sicura, eh?» Nathan stava riempiendo il suo piatto di cibo e sembrava

abbastanza emozionato da ciò. Né io, né Adrian avevamo appetito. «Beh, Signorina

Sage, mi dispiace distruggere le sue illusioni, ma sembra che lei, come molte altre

giovani donne, sia stata ingannata dalle dolci parole di mio figlio. Le posso assicurare

che non ha mai fatto niente che non sia andato prima di tutto a suo vantaggio. Non ha

spirito d’iniziativa, nessuna ambizione e non riesce a portare a termine niente. Sin da

quando era piccolo, infrangeva costantemente le regole, senza mai stare a sentire

l’opinione degli altri se non rispecchiava la sua. Non sono per niente sorpreso che i

suoi tentativi al college siano stati un fallimento, e le assicuro che anche questo lo sarà,

perché è uscito a malapena dalla scuola superiore. Non era tanto il bere, le ragazze e le

bravate che si inventava... semplicemente non gli importava. Ignorava i suoi doveri. È

solo grazie alla nostra influenza e al nostro libretto degli assegni che è riuscito a

diplomarsi. E da allora, è andata sempre peggio.»

Sembrava come se Adrian fosse stato schiaffeggiato. Volevo avvicinarmi per

confortarlo, ma persino io ero ancora sotto shock a causa delle parole di Nathan. E

chiaramente lo era anche Adrian. Una cosa era continuare a ripetersi ancora e ancora

di come fossi una delusione per tuo padre. Un’altra cosa, completamente differente, era

sentire tuo padre spiegarlo nei minimi, dolorosi dettagli. Lo sapevo perché avevo

sperimentato in prima persona entrambe le situazioni.

«Sinceramente, non mi infastidisce nemmeno che beva così tanto, finchè lo mette

fuori gioco e lo rende calmo» continuò Nathan, con la bocca piena di formaggio di

capra. «Pensa che sua madre stia soffrendo? Le assicuro che ora sta molto meglio. Il

numero infinito di notti che ha passato sveglia, a piangere per il guaio di turno in cui si

era cacciato. Tenerlo lontano da lei ora non è per fare un favore a me o a lui. È per lei.

Almeno adesso non deve venire a sapere delle sue ultime buffonate o preoccuparsi per

lui. Beata ignoranza. È in un posto migliore, non avendo contatti con lui, e intendo

lasciare così le cose.» Mi offrì le capesante, come se non avesse appena pronunciato

un’atroce punizione senza fermarsi neppure per respirare. «Dovrebbe davvero

provarle. Le proteine le farebbero bene, sa?»

Scossi la testa, incapace di trovare le parole.

Adrian prese un profondo respiro. «Davvero, papà? Vengo fino a qui per vederti, per

chiederti un modo per contattarla... e questo è tutto ciò che ottengo? Che sta molto

meglio perché non parla con me?» Guardandolo, avevo il presentimento che si stesse

impegnando per rimanere calmo e ragionevole. Rispondere in maniera insolente non

lo avrebbe portato da nessuna parte e lo sapeva.

Nathan sembrava sorpreso. «È l’unica ragione per cui sei venuto qui?» Era chiaro

dal tono della sua voce che pensava che fosse una ragione assurda.

Adrian si morse il labbro, probabilmente cercando di reprimere ancora i suoi veri

sentimenti. Ero colpita dal suo autocontrollo. «Pensavo anche… beh, che magari

avresti voluto vedere come stavo. Pensavo che saresti stato felice di sapere che stavo

facendo qualcosa di utile.» Trattenni il respiro.

Per un momento, suo padre si limitò a fissarlo. Poi, la sua confusione si trasformò

in una di quelle risate imbarazzanti. «Ah. Stai scherzando. Per un momento mi hai

lasciato interdetto.»

«Ne ho abbastanza» disse Adrian.

In un secondo, bevve il suo martini e si alzò, dirigendosi verso la porta. Nathan

continuò a mangiare impassibile, ma anch’io mi alzai in piedi. Solo quando ero ormai

dall’altra parte del pub, cercando di raggiungere Adrian, Nathan si prese il disturbo di

dire qualcosa.

«Signorina Sage?» Ogni cellula del mio corpo voleva inseguire Adrian, ma mi

fermai per guardare suo padre. Nathan aveva tirato fuori il suo portafoglio e stava

scorrendo un mucchietto di banconote. «Ecco. Mi permetta di pagarla per la benzina e

per il suo tempo.»

Mi porse il denaro, e quasi gli risi in faccia. Adrian si era sforzato di venire qui per

molte ragioni, e i soldi era una di queste. Non aveva avuto la possibilità di chiederglieli,

eppure ecco suo padre che li offriva ad una sconosciuta. Non mi mossi.

«Non voglio niente da lei» dissi. «A meno che non siano delle scuse per Adrian.»

Nathan mi rivolse un altro sguardo vuoto. Sembrava sinceramente confuso. «E per

cosa dovrei scusarmi?»

Me ne andai.

O Adrian aveva preso le scale o aveva preso l’ascensore in un tempo record perché

non c’era traccia lui fuori dal pub. Tornai nell’atrio e cominciai a guardarmi attorno

nervosamente. Un fattorino passò e lo fermai.

«Mi scusi. Dov’è il posto più vicino per fumare?»

Indicò con la testa la porta d’ingresso. «Dall’altra parte della rotonda.»

Lo ringraziai e quasi corsi fuori. Come avevo previsto, nell’area designata ai

fumatori, Adrian era appoggiato ad una recinzione ornamentale all’ombra di un

arancio, impegnato ad accendersi una sigaretta. Mi affrettai a raggiungerlo.

«Adrian» esclamai. «Stai bene?»

Fece un lungo tiro alla sigaretta. «È davvero una domanda che vuoi farmi, Sage?»

«È stato davvero inappropriato» dissi fermamente. «Non aveva nessun diritto di dire

tutte quelle cose su di te.»

Adrian inspirò di nuovo e poi buttò la sigaretta sul marciapiede. Spense la sigaretta

con la punta della scarpa. «Torniamo semplicemente a Palm Springs.»

Lanciai un’occhiata all’hotel. «Dovremmo prenderti dell’acqua o qualcosa del

genere. Hai buttato giù quella vodka abbastanza in fretta».

Stava quasi sorridendo. Quasi. «Ci vuole molto di più per farmi stare male. Non

vomiterò nella tua macchina. Te lo prometto. È solo che non voglio rimanere in giro e

rischiare di vederlo di nuovo.»

Lo assecondai e, poco tempo dopo, eravamo di nuovo in viaggio. Avevamo passato

più tempo in macchina per arrivare a San Diego, di quanto non eravamo davvero

rimasti là. Adrian rimase in silenzio e, questa volta, non cercai di convincerlo o di

distrarlo con una conversazione spicciola. Le mie parole non lo avrebbero aiutato.

Dubitavo che le parole di qualcuno lo avrebbero aiutato. Non biasimavo Adrian per il

suo umore. Mi sentirei nello stesso modo se mio padre mi avesse criticato in quel modo

in pubblico. Tuttavia, avrei voluto ci fosse qualcosa che potevo fare per risollevare

Adrian. Una piccola consolazione che gli potesse dare un momento di pace.

La mia opportunità arrivò quando vidi un benzinaio appena fuori da Escondido con

un cartello che diceva: "LE MIGLIORI GRANITE DEL SUD DELLA CALIFORNIA

QUI AL JUMBO JIM!" Mi ricordai la sua battuta sul passare ad una dieta a base di

granite. Presi l’uscita dall’autostrada, anche se sapevo che era una cosa stupida.

Cos’era una granita a confronto del disastro che ci eravamo appena lasciati dietro?

Tuttavia, dovevo fare qualcosa, qualsiasi cosa, per risollevare l’umore di Adrian. Non

sembrava neanche aver notato che ci eravamo fermati finché non uscii dalla macchina.

«Cosa succede?» chiese, cercando di trascinarsi fuori dai suoi pensieri cupi. Lo

sguardo sul suo volto mi spezzava il cuore. «Hai il serbatoio mezzo pieno.»

«Arrivo subito» dissi.

Ritornai cinque minuti dopo, un bicchiere per mano, e riuscii persino a bussare al

suo finestrino. Uscì dalla macchina, adesso completamente perplesso. «Che storia è

questa?»

«Granite» dissi. «Alla ciliegia per te. La devi bere qui fuori, però. Non metterò a

rischio la macchina».

Adrian sbattè le palpebre un paio di volte, come se fossi un miraggio provocato dalla

troppa luce solare. «Cos’è? Una festa di autocommiserazione per me? Perché sono così

patetico?»

«Il mondo non gira semore attorno a te» lo criticai. «Ho visto il cartello e volevo una

granita. Pensavo ne volessi una anche tu. Se non la vuoi, buttala, io berrò la mia.»

Feci un solo passo prima che mi fermasse e prendesse la granita rosso fuoco dalle

mie mani. Ci appoggiammo alla macchina insieme e bevemmo senza parlare per un

po’.

«Ragazzi» disse alla fine, quando eravamo più o meno a metà bevanda. C’era un

guizzo di stupore nei suoi occhi. «Mi ero dimenticato di quanto fossero buone. Che

gusto hai scelto?»

«Lampone blu.»

Annuì e bevve rumorosamente dalla sua. Il cattivo umore lo avvolgeva ancora, e

sapevo che una bevanda infantile non avrebbe cancellato tanto presto ciò che il padre

gli aveva detto. Il meglio che potessi sperare di ottenere era qualche momento di pace

per lui.

Finimmo di lì a poco e buttammo i bicchieri. Quando rientrammo dentro Caffelatte,

Adrian sospirò stancamente e si sfregò gli occhi. «Dio, quelle cose erano fantastiche.

Penso proprio che ne avessi bisogno. Quella vodka deve avermi fatto più effetto di

quanto pensassi. Sono felice che tu abbia deciso di espandere i tuoi orizzonti su

qualcosa che non sia caffè, tanto per cambiare.»

«Ehi, se avessero avuto una granita al caffè, sai che l’avrei presa.»

«Ma è disgustoso» disse. «Non c’è abbastanza zucchero nel mondo per renderlo

minimamente...» Si fermò e mi guardò stupefatto. In effetti, sembrava così scioccato

che smisi di fare retromarcia e mi riparcheggiai.

«Che c’è che non va?» chiesi.

«La granita. È praticamente fatta al 99 percento di zucchero. Ne hai appena bevuta

una, Sage.» Sembrava avesse interpretato il mio silenzio come se non avessi capito.

«Hai appena bevuto zucchero liquido.»

«Forse l’hai bevuto tu lo zucchero liquido» dissi. «La mia era senza zucchero.»

Speravo di sembrare convincente.

«Ah.» Non riuscivo a capire se fosse sollevato o deluso. «Per un secondo mi hai

quasi spaventato.»

«Avresti dovuto aspettartelo».

«Già. Credo di sì.» Ritornò presto alla sua tristezza, le granite erano solo una

distrazione temporanea. «Sai qual’è stata la parte peggiore?»

Sapevo che stavamo parlando di suo padre e non di granite. «Cosa?»

«Magari pensi che sia che non abbia ricevuto i soldi, o che lui abbia appena fatto a

brandelli la mia vita o che non ha fede nella mia carriera accademica. Ma quello va

bene. Ci sono abituato, con lui. Ciò che mi da davvero fastidio è che ho davvero

rovinato la vita di mia madre.»

«Non riesco a immaginare che tu l’abbia fatto» dissi, scioccata dalle sue parole.

«Come gli hai fatto notare, noi amiamo le persone anche se fanno degli errori. Sono

sicura che anche lei ti voglia bene. In ogni caso, è una cosa che devi discutere con lei...

non con lui.»

Lui annuì. «L’altra cosa che mi ha dato fastidio… beh, ha detto tutte quelle cose

davanti a te.»

Ero scioccata anche da quelle parole. Scacciai il pensiero, sentendomi un po’

sconvolta al pensiero che gli importasse così tanto della mia opinione. Perchè gli

importava? «Non ti preoccupare per me. Sono stata con persone molto più irritanti di

lui.»

«No, no… intendo…» Adrian mi guardò e poi distolse velocemente lo sguardo.

«Dopo quello che ha detto su di me, non riesco a sopportare il pensiero che tu possa

esserti fatta una brutta opinione di me.»

Ero così sorpresa che sul momento non riuscii a raccogliere le parole per rispondere.

Quando ci riuscii, sputai fuori la prima cosa che mi venne in mente. «Certo che no.»

Ancora non mi voleva guardare, a quanto pare non credeva alle mie parole. «Adrian.»

Posai la mia mano sopra la sua e sentii una calorosa scintilla di connessione. Si voltò

di scatto verso di me, sorpreso. «Niente di ciò che ha detto potrebbe cambiare ciò che

penso di te. Ho deciso cosa pensare di te tanto tempo fa… e sono tutte cose buone.»

Adrian distolse lo sguardo da me e lo posò dove la mia mano aveva coperto la sua.

Arrossii e ritirai la mano. «Scusa.» Probabilmente l’avevo spaventato.

Adrian mi rivolse un altro sguardo. «È la cosa migliore che mi sia successa in tutta

la giornata. Rimettiamoci in viaggio.»

Ritornammo in autostrada, e mi scoprii distratta da due cose. La prima era la mia

mano. Stava ancora formicolando e sentivo ancora quello strano calore nel punto dove

avevo toccato la sua mano, il che era piuttosto divertente. La gente ha sempre pensato

che i vampiri fossero freddi, ma non lo erano. Di certo non Adrian. Più guidavo, più la

sensazione spariva, ma avrei quasi desiderato che restasse.

L’altra cosa che continuava a distrarmi era tutto lo zucchero che avevo appena

consumato. Continuavo a passare la lingua sui denti. Tutta la mia bocca era ricoperta

da una dolcezza nauseante. Volevo lavarmi i denti e bere una bottiglia intera di

collutorio. Zucchero liquido. Sì, era esattamente ciò che avevo bevuto. Non ne volevo

bere una, ma sapevo che se avessi portato una granita solo per Adrian, l’avrebbe

davvero recepito come un atto di pietà e avrebbe rifiutato. Dovevo fingere di volerne

una anch’io, e che avessi pensato a lui solo in seguito. Sembrava aver creduto alla mia

bugia sulla quantità di zucchero contenuta nella granita, anche se una visitina veloce

dal benzinaio l’avrebbe subito avvertito del fatto che Jumbo Jim non aveva granite di

certo prive di zucchero. Avevo chiesto. Sono scoppiati a ridere.

Saltare il pranzo non avrebbe compensato le calorie che avevo assunto, pensai

tristemente. E quel sapore di zucchero non sarebbe andato via dalla mia bocca tanto

presto. Con la stessa velocità con cui Adrian era risprofondato nella sua depressione,

improvvisamente mi sentii stupida per aver provato questo stratagemma. Una granita

non poteva cambiare ciò che aveva detto suo padre, e il giorno dopo avrei avuto mezzo

chilo in più. Forse non ne valeva la pena.

Poi, ripensai a quel breve momento appoggiati alla macchina, e lo sguardo fugace di

Adrian pieno di contentezza, seguito poi da: Dio, quelle cose erano fantastiche. Penso

proprio che ne avessi bisogno.

Un breve momento di pace in mezzo alla sua oscura disperazione. Era quello che

volevo, e l’avevo ottenuto. Ne era valsa la pena? Mi sfregai le dita, sentendo ancora

quel calore.

Sì, decisi. Sì, ne era valsa la pena.

CAPITOLO 10 Traduzione: Nunzia

Pre-Revisione: Claude

IL VIAGGIO A SAN DIEGO continuò a tormentarmi, anche se sapevo che avrei

dovuto smettere di pensarci. Come spesso dovevo ricordare a me stessa, Adrian non

era una mia preoccupazione, come Jill e gli altri. Eppure, non riuscivo a smettere di

pensare al terribile scontro tra lui e Nathan, o alla faccia di Adrian dopo. Mi sentii

anche peggio quando un Eddie preoccupato venne a parlarmi di Jill durante la

colazione il Lunedì seguente.

«Qualcosa non va in lei» mi disse.

Immediatamente, guardai verso la fila nella caffetteria, dove Jill stava aspettando

con il vassoio in mano. Un’espressione vacua era stampata sul suo viso, come se fosse

a malapena consapevole di ciò che la circondava. Anche senza talento magico per la

lettura delle auree, potevo percepire la tristezza che emanava.

«Anche Micah l’ha notato» aggiunse Eddie. «Ma non siamo a conoscenza di alcun

motivo che la possa sconvolgere a tal punto. È per colpa di Lia? La sta tormentando di

nuovo?»

In quel momento, non ero sicura per chi mi sentissi peggio: Adrian, Jill o

Eddie. C’era in effetti tanto dolore in Eddie, quanto in Jill. Oh, Eddie, pensai. Perché

continui a farti questo? Era chiaramente preoccupato per lei, ma non avrebbe

osato avvicinarsi o offrirle conforto.

«Non c’è niente che non vada con Jill. È Adrian, e lei lo sente attraverso il legame.

Sta passando un brutto periodo.» Non offrii altri dettagli sulla situazione di

Adrian. Non era compito mio raccontarglielo.

Il volto di Eddie si oscurò. «Non è giusto che lei debba sopportare i suoi stati

d’animo.»

«Non lo so» dissi. «Credo che sia uno scambio equo per continuare a vivere.» Il fatto

che Adrian avesse utilizzato il potere dello spirito per riportare in vita Jill era ancora

una questione inquietante per me. In ogni istante dell’addestramento da Alchimista mi

era stato insegnato che quel tipo di magia era sbagliato, ben peggio di qualsiasi altra

forma di magia a cui avevo assistito. Qualcuno avrebbe potuto aggiungere che quello

che Adrian era riuscito a compiere non era poi così lontano dall’immobile immortalità

degli Strigoi. Allo stesso tempo, ogni volta che vedevo Jill viva e sorridente, ero

convinta che Adrian avesse fatto una buona cosa. Ero seria quando gli avevo parlato a

San Diego.

«Suppongo di sì» disse Eddie. «Vorrei solo che ci fosse un modo per lei di poterlo

bloccare. O qualcosa che lo faccia essere un po’ meno lunatico.»

Scossi la testa. «Da quello che ho sentito, Adrian era così da molto tempo prima che

Jill fosse baciata dalle tenebre.»

Eppure, continuai ad avere in mente quella conversazione, e passai la giornata

chiedendomi cosa potevo fare per rendere Adrian più felice. Un nuovo padre,

ovviamente, ma non era possibile. Ci avrei provato io stessa anni fa, se avessi

potuto. Anche le granite erano fuori questione, in parte perché offrivano solo dieci

minuti di conforto, in parte perché dovevo ancora riprendermi dall’ultima. Più tardi mi

venne un’idea, ma non era semplice da attuare. In realtà, sapevo che i miei superiori

avrebbero detto che non avrei dovuto neanche pensarci, per questo decisi di lavorarci

in modo da non lasciare email o tracce cartacee. Non riuscii a metterlo in atto nello

stesso giorno, però mi appuntai una nota mentale per un secondo momento. Inoltre, chi

poteva dirlo? Forse Adrian sarebbe riuscito a scrollarsi di dosso gli effetti di

quell’incontro con suo padre da solo.

Quelle speranze vennero poi a rafforzarsi quando vidi Jill il giorno dopo a

un’assemblea scolastica. Assemblee come quelle erano ancora un concetto nuovo per

me, e ce n’erano state solo due da quando era iniziata la scuola. La prima era stato un

incontro d’accoglienza durante la nostra prima settimana. L’altra era stato un raduno

per fare il tifo per la squadra di football prima del ballo. L’assemblea di quel giorno

era stata chiamata “Stili di vita sani.” Non riuscivo a capire di cosa si trattasse e come

potesse essere abbastanza importante da interrompere la lezione di chimica.

Eravamo seduti per classi nella palestra della scuola, così che Jill e io ci trovavamo

in gradinate diverse. Allungando il collo per provare a darle un’occhiata, la vidi seduta

nelle prime file con Angeline e alcuni amici che aveva conosciuto attraverso

Micah. L’avevano accolta senza problemi una volta avuto modo di conoscerla, e non

era certo una sorpresa considerato quanto fosse carina. Anche Laurel, una ragazza che

una volta aveva tormentato Jill, ora le rivolgeva sguardi amichevoli. Angeline disse

qualcosa che fece ridere Jill, e, in generale, si poteva notare un miglioramento nel suo

atteggiamento. Un grande miglioramento, a giudicare dalle sue risate. Il mio umore

migliorò. Forse Adrian si era davvero risollevato.

«Qualcuno può dirmi di cosa si tratta?» chiesi. Vicino a me da un lato si trovavano

Eddie e Micah, dall’altro Trey.

«C’è questo gruppo che viene a scuola e dà spiegazioni e consigli su cose come la

droga e il sesso sicuro» spiegò Micah. Era abbastanza attivo nella rappresentanza

studentesca, quindi non mi sorprese che fosse a conoscenza dell’ordine del giorno.

«Sono dei temi importanti» dissi. «Non dovrebbe durare solo un’ora? Non credo che

possano riuscire a fornire delle spiegazioni approfondite di questi problemi.»

«Penso che sia solo una rapida panoramica» disse Trey. «Non stanno cercando di

fare un seminario o altro.»

«Beh» dichiarai. «Dovrebbero.»

«Ci siamo perse qualcosa?» Julia e Kristin si fecero avanti a spintoni per sedersi tra

Trey e me. A Trey non sembrò importare.

«Stiamo cercando di spiegare il senso di tutto questo a Sydney» disse loro Trey.

«Pensavo che il punto fosse uscire dalla classe» disse Julia.

Kristin roteò gli occhi. «Questo spettacolo ti mostrerà esattamente cosa ti sei persa

con la tua istruzione scolastica a casa, Sydney.»

Niente avrebbe potuto prepararmi per l’esibizione che ne seguì, soprattutto perché

mai nei miei sogni più folli avrei immaginato questioni sociali tanto importanti

affrontate attraverso dei numeri musicali. Il gruppo che si esibì per noi si chiamava

Kazzeggiatori, e l’uso inadeguato della K era quasi sufficiente da solo a farmi lasciare

la palestra. Prima di ogni canzone, mettevano su una rapida quanto vaga introduzione

di informazioni sul tema o, ancora peggio, una scenetta. Queste brevi lezioni

cominciavano sempre con “Ehi, ragazzi!”

La prima canzone si chiamava “Le malattie sessualmente trasmissibili non fanno per

me”. Fu allora che mi misi a fare i compiti di matematica.

«Andiamo» mi disse Eddie, ridendo. «Non è così male. E la gente dovrebbe

documentarsi su quest’argomento.»

«Esatto» dissi, senza alzare lo sguardo dal mio lavoro. «Nel tentativo di fare canzoni

“alla moda” e “orecchiabili”, stanno banalizzando questioni che, invece, dovrebbero

essere prese più sul serio.»

Tornai ad ascoltare la musica solo quando i Kazzeggiatori passarono a parlare dei

mali causati dall’alcool. Una delle frasi della loro canzone particolarmente atroce era:

“Non ascoltare i tuoi amici e le loro storie / il Bourbon ti porterà disgrazie serie”.

«Bleah. Basta» mormorai. Tornai a cercare Jill. Guardava la scena, stordita e confusa

e, proprio come prima, nei suoi occhi non si leggeva disperazione o malinconia.

D’istinto capii perché aveva avuto quel cambiamento di umore. Adrian non si era

ripreso dalla sua tristezza. Molto probabilmente stava bevendo per superarla. Jill subiva

solo gli effetti collaterali più leggeri della sua ubriachezza - ne era prova la risatina di

poco prima - perché poi l’alcol arrivava ad indebolire il legame dello spirito. Il lato

positivo di questo suo vizio era proprio il fatto di far risparmiare a Jill parte della sua

depressione. Il lato negativo era che poi anche lei avrebbe subito i postumi della

sbornia.

Per fortuna, i Kazzeggiatori suonarono il loro ultimo pezzo, che celebrava le gioie

del benessere e di uno stile di vita sano e felice. Poi invitarono alcuni studenti a ballare

con loro, il che suscitò varie reazioni. Alcuni studenti si impietrirono imbarazzati, con

un’espressione tipica di chi contava i secondi che mancavano alla fine della tortura.

Altri studenti, specialmente quelli che a lezione volevano essere sempre al centro

dell’attenzione, si esibirono in spettacoli stravaganti.

«Sydney.»

La voce lievemente allarmata di Eddie mi fece capire che non potevo continuare a

fare i compiti. Poteva preoccuparsi in quel modo solo per Jill e perciò tornai a

guardarla. Solo che non era lei il problema. Ma Angeline. Uno dei membri dei

Kazzeggiatori cercava di attrarla a sé e le aveva persino afferrato la mano. Angeline

scuoteva la testa con forza, ma al ragazzo non sembrava importare. Sarebbe stata a suo

agio anche tra le danze selvagge dei boschi del West Virginia, ma quella sicuramente

non era una situazione piacevole per Angeline.

Ad essere onesti, ciò che accadde dopo non fu del tutto colpa sua. Il ragazzo avrebbe

dovuto lasciarla in pace già quando lei gli aveva detto di no, ma credo che fosse troppo

preso dall’euforia. Riuscì addirittura a trascinarla via e fu allora che Angeline gli fece

capire chiaramente la sua disapprovazione.

Con un pugno.

Fu una scena abbastanza impressionante, dato che il ragazzo era più alto di lei di

quasi trenta centimetri. Supposi che avesse messo in atto l’addestramento di Eddie su

come sconfiggere un Moroi più alto. Il ragazzo barcollò all’indietro e cadde a terra con

un tonfo sordo. Molti degli studenti seduti lì vicino restarono senza fiato, ma solo uno

dei membri della band, una chitarrista, si accorse di lui. Gli altri continuavano a cantare

e ballare. La chitarrista si affrettò a raggiungere il suo collega e nel farlo doveva aver

invaso lo spazio personale di Angeline, visto che ricevette un pugno anche lei.

«Eddie, fa’ qualcosa!» dissi.

Lui mi guardò stupito. «E cosa? Non farei in tempo.»

Era vero. Eravamo a due terzi di distanza dalla scala delle tribune, in mezzo ad altra

gente. Potevo solo assistere impotente al resto dello spettacolo. La band cominciò a

rendersi conto che c’era qualcosa che non andava e pian piano smise di suonare. Nel

frattempo, un gruppo d’insegnanti si era precipitato sul posto, cercando di allontanare

Angeline dal bassista dei Kazzeggiatori. C’era uno sguardo isterico nei suoi occhi,

come quello di un animale in trappola che aveva perso la ragione e voleva solo fuggire.

Gli insegnanti finalmente riuscirono a trattenerla, ma solo dopo che aveva lanciato una

cassa contro il cantante solista (lo mancò) e preso a pugni l’insegnante che lavorava al

negozio della scuola.

Trey si sporse a guardare a bocca aperta. «Quella è tua cugina? Wow.»

Non mi presi nemmeno la briga di rispondere. Non facevo che pensare a come avrei

potuto ridimensionare i danni stavolta. Fare a botte era un gesto grave in sé e per sé.

Non riuscivo nemmeno a immaginare, allora, che reazioni avrebbe suscitato l’attacco

ad una band così acclamata.

«Le ha suonate a tre persone grosse il doppio di lei!» esclamò Kristin. «E intendo

proprio suonate, le ha mandate al tappeto.»

«Sì, lo so» dissi sconsolata. «Sono qui. Ho visto tutto.»

«Ma come ci è riuscita?» chiese Julia.

«Le ho insegnato alcune mosse» commentò Eddie incredulo.

Prevedibilmente, nessuno si prese la briga di andare a chiamare la signora Weathers.

Angeline fu portata direttamente dalla preside e dal vicepreside. Dopo questa

dimostrazione, forse si sentivano più sicuri avendo il numero dalla loro. Poteva essere

dovuto alle raccomandazioni della signora Weathers o, semplicemente, al fatto che i

nostri presunti genitori (come quelli della “cugina” Angeline) erano notoriamente

difficili da contattare, ma mi fu chiesto di andare con lei a incontrare la direzione.

Il discorsetto che rivolsi ad Angeline fu breve e coinciso.

«Ti mostrerai pentita e contrita» le dissi quando ci sedemmo fuori dall’ufficio della

preside.

«Che vuol dire contrita?»

«Pentita.»

«Allora perché non hai detto solo…»

«E» continuai. «Se insistessero per avere delle spiegazioni, dirai che ti sei sentita

sopraffatta e in preda al panico. Dirai di non sapere cosa ti è preso.»

«Ma io non…»

«E non accennerai a quanto fossero stupidi né dirai nulla di negativo.»

«Ma loro sono…»

«In effetti, non parlare affatto a meno che non ti venga posta una domanda specifica.

Lascia fare a me e finiremo in fretta.»

Angeline sembrò prendermi alla lettera, perché incrociò le braccia e mi lanciò

un’occhiataccia, rifiutandosi di aggiungere altro.

Quando ci fecero accomodare in ufficio, la preside e il vice preside, la signora Welch

e il signor Redding, erano entrambi seduti dallo stesso lato di una scrivania. Erano

fianco a fianco, presentando un fronte unito che ancora una volta mi fece pensare che

temessero per la propria incolumità.

«Signorina McCormick» cominciò la signora Welch. «Spero sia cosciente che le sue

azioni hanno assolutamente passato il segno.» McCormick era il cognome fittizio che

Angeline usava qui.

«La violenza e la lotta di qualsiasi genere non sono tollerati ad Amberwood»

dichiarò Redding. «Abbiamo standard elevati, vale a dire che garantiamo per la

sicurezza di chiunque si trovi in questa scuola , e ci aspettiamo che i nostri studenti li

rispettino. Nessun’altra violazione delle norme scolastiche da lei perpetrata si avvicina

a quanto accaduto oggi.»

«Se anche non vi fossero tutte le altre trasgressioni di cui tener conto, non c’è altro

da fare» disse la signora Welch. «Non c’è posto per lei ad Amberwood.»

Sentii un vuoto nello stomaco. Espulsione. Sebbene i Guardiani non fossero del tutto

ignoranti, la sua istruzione era appena paragonabile alla media degli studenti liceali del

mondo moderno. Era in molti corsi di recupero e anche farla ammettere alla

Amberwood era stata una vera impresa. L’espulsione non era una prospettiva così

terribile, se paragonata alle domande che avrebbero potuto sollevarsi su come una

ragazza minuta come lei avesse potuto causare tanti danni; eppure, non volevo che

andasse a finire così. Potevo già immaginare uno dei miei superiori chiedermi, come

hai fatto a non accorgerti di quanto la scuola la stesse destabilizzando? Cui avrei dovuto

rispondere: perché ero troppo impegnata ad andare ai miei appuntamenti e ad aiutare

vampiri di cui non avrei dovuto occuparmi.

«Ha qualcosa da dire a sua discolpa prima che informiamo i suoi genitori?» chiese

la signora Welch. Guardarono Angeline pieni di aspettativa.

Mi preparai ad una filippica irrazionale. Invece, Angeline riuscì a versare qualche

lacrima che, dovevo ammettere, sembrava proprio di contrizione. «Io... io ero in preda

al panico» disse. «Non so cosa mi sia preso. È successo tutto insieme, e quel ragazzo

era così spaventoso, e ho dato di matto. Mi sono sentita minacciata. Volevo che tutti si

allontanassero da me... »

Mi aveva quasi convinta, probabilmente perché non stava mentendo del tutto.

Angeline aveva attraversato alcuni momenti burrascosi ad Amberwood, nonostante la

sua spavalderia. A scuola c’erano più persone che nella sua comunità di montagna e lei

si era sentita così sopraffatta durante la prima settimana, che avevamo dovuto fare a

turno per accompagnarla in classe. A dire il vero, avrei dovuto prestarle più attenzione.

Il signor Redding le rivolse uno sguardo vagamente comprensivo, ma non

abbastanza da fargli cambiare idea. «Sono sicuro che deve essere stata dura, ma non è

un buon motivo per agire in questo modo. Fare del male a tre persone e danneggiare

costose apparecchiature audiovisive non è stata affatto una reazione appropriata.» Per

usare un eufemismo.

Ero stanca delle formalità ed era essenziale sistemare la faccenda prima che

peggiorasse ulteriormente. Mi chinai in avanti sulla sedia. «Sa cos’altro non è

appropriato? Un trentenne, perché è quella l’età e non importa quanto giovane volesse

sembrare, che afferra una ragazza di quindici anni. È stato già abbastanza

inammissibile che abbia agito in questo modo quando lei chiaramente non voleva

andare con lui. Il punto è che nessuno avrebbe dovuto toccarla fin dall’inizio. Lei è

minorenne. Se un insegnante lo avesse fatto, sarebbe stato licenziato. Ho letto il codice

dei docenti determinato dal vostro reparto delle risorse umane.» Lo avevo letto nel

tentativo di capire se la signora Terwilliger abusasse della sua autorità. «Le uniche

occasioni in cui gli insegnanti possono posare le mani su uno studente sono le

emergenze mediche e per porre fine a una rissa. Ora, si potrebbe obiettare che quel

ragazzo non fosse un insegnante o un impiegato dalla scuola, ma il suo gruppo è stato

invitato qui dalla scuola, la quale è obbligata a tenere al sicuro i suoi studenti. Siamo

in una scuola privata, ma sono certa che il Dipartimento dell’istruzione della California

avrebbe un paio di cose da dire su quello che è successo qui oggi… come lo farà il

padre di Angeline, che è un avvocato.» In realtà era il capo di un gruppo di vampiri di

montagna e aveva molte mogli, ma non era quello il punto. Spostai lo sguardo avanti e

indietro tra la signora Welch e le faccia del signor Redding. «Allora. Vogliamo

rinegoziare la vostra posizione?»

Angeline era in estasi dopo che avemmo lasciato l’ufficio del preside e tornammo al

nostro dormitorio. «Sospensione» esclamò, con un po’ troppa gioia nella voce, per i

miei gusti. «Sono d’avvero autorizzata a saltare le lezioni? Suona più come una

ricompensa.»

«Dovrai comunque stare al passo con i compiti» l’avvertii. «E non puoi lasciare il

dormitorio. Non pensarci nemmeno di uscire furtivamente perché ti porterà

all’espulsione, e non sarò in grado di salvarti di nuovo.»

«Comunque» disse lei, praticamente saltando, «è stato tutto abbastanza facile.»

Mi fermai repentinamente di fronte a lei, costringendola a guardarmi. «Non è stato

facile! L’hai scampata grazie a un cavillo! Hai sempre opposto resistenza a seguire le

regole qui, e oggi… sei andata oltre ogni limite. Non sei a casa. L’unico caso in cui

dovresti pensare a combattere è nell’eventualità che Jill venga attaccata. È per questo

che sei qui. Non per fare quello che vuoi. Hai detto che eri pronta ad accettare la sfida

di proteggerla. Se vieni espulsa, ed è un miracolo che non sia successo, lei sarà a

rischio. Cerca di stare in riga o prepara le valigie per tornare a casa. E per l’amor di

Dio, lascia in pace Eddie.»

Il suo viso era colmo di rabbia mentre parlavo, ma l’ultimo pezzo la colse alla

sprovvista. «Che vuoi dire? »

«Voglio dire, ti lanci costantemente addosso a lui.»

Lei tirò su col naso. «È così che si dimostra a un ragazzo che ti piace.»

«Forse tra i selvaggi! Qui è necessario fare un passo indietro e cominciare ad agire

come un essere umano responsabile.. ehm, dhampir. Come vuoi. Lo avvilisci! E a parte

questo, dovreste essere cugini. Stai facendo saltare la nostra copertura.»

Angeline rimase a bocca aperta. «Io .. io lo avvilisco?»

Mi sentii quasi in colpa per lei. L’espressione di sconcerto che aveva dipinta sul viso

era così profonda che era ovvio non sapesse che il comportamento che stava tenendo

con Eddie era sbagliato. Ero talmente logorata da provare un’incredibile compassione

in quel momento. Anche Jill aveva fatto i suoi errori quando eravamo arrivati lì, ed era

stato altrettanto frustrante. Ero arrivata a godere della pace che si era creata, e ora

Angeline minacciava tutto questo. A differenza di Jill, lei non sembrava rendersene

conto, e non sapevo se questo migliorasse o peggiorasse le cose.

Lasciai Angeline sconvolta e frustrata alla sua stanza del dormitorio e verificai da

Jill che Adrian era effettivamente ubriaco. Questo, e la mia agitazione erano più che

sufficienti per farmi venire la voglia di lasciare il campus, anche se solo per una breve

fuga. Brayden mi aveva chiesto se volessi uscire, ma non ne avevo voglia. Gli mandai

un breve messaggio: Non posso uscire ‘stasera. Questioni di famiglia. Poi mi diressi

fuori, da Clarence.

Avevo chiamato in anticipo per assicurarmi che Dimitri e Sonya fossero lì, dal

momento che non avevo alcun interesse ad avere un tête-à-tête con un anziano

Moroi. Non era in giro quando arrivai. Trovai Dimitri e Sonya impegnati con alcune

carte con le macchie di sangue secco, ragionando su come procedere.

«Sarebbe interessante poter disporre di sangue Strigoi e vedere cosa succede se uso

lo spirito» stava dicendo. «Pensi si possa fare?»

«Con piacere» disse Dimitri.

Fu a quel punto che notarono la mia presenza. Non appena alzò lo sguardo, Sonya

chiese: «Cosa c’è che non va?»

Non le ho nemmeno chiesto come facesse a saperlo. La mia espressione

probabilmente diceva più della mia aura. «Angeline si è andata a cacciare in una rissa

con un gruppo motivazionale a scuola.»

Dimitri e Sonya si scambiarono un’occhiata. «Forse dovremmo andare a prendere

qualcosa per cena» disse lui. Afferrò un mazzo di chiavi dalla tavola. «Andiamo in

centro.»

Non avrei mai immaginato in vita mia che avrei potuto essere felice di uscire con

una Moroi e un dhampir. Fu l’ennesimo segnale di quanti passi avessi fatto in avanti,

o indietro, per gli standard degli Alchimisti. Rispetto alla maggior parte delle altre

persone nella mia vita, Dimitri e Sonya erano un punto fermo e stabile. Era

rassicurante.

Raccontai loro del comportamento di Angeline, così come la mia velata minaccia di

ripercussioni legali. Quella parte sembrò divertire Sonya.

«Furba» osservò lei, arrotolando una forchettata di spaghetti. «Forse dovresti

frequentare una scuola la legge piuttosto che lavorare con gli Alchimisti.»

Dimitri invece lo trovò meno divertente. «Angeline è venuta qui per lavorare. Voleva

allontanarsi dai Custodi e ha giurato che avrebbe dedicato ogni minuto possibile alla

protezione di Jill.»

«Ha subito un po’ lo shock culturale» ammisi, incerta sul motivo per cui difendevo

Angeline. «E quei ragazzi oggi... voglio dire, se avessero cercato di farmi cantare con

loro, probabilmente gli avrei allungato un pugno anche io.»

«Inaccettabile» disse Dimitri. Una volta era stato un istruttore di combattimento, e

ne comprendevo il motivo. «È qui in missione. Quello che ha fatto è stato imprudente

e irresponsabile.»

Sonya gli rivolse un sorriso sornione. «E io che pensavo che avessi un debole per le

giovani ragazze temerarie.»

«Rose non avrebbe mai fatto nulla di simile» replicò. Fece una pausa per

riconsiderare la faccenda, e potei giurarci: sul suo viso c’era l’accenno di un

sorriso. «Beh, almeno non in un contesto pubblico.»

Una volta che l’argomento Angeline fu messo da parte, raccontai la ragione per cui

ero venuta. «Allora... nessun esperimento oggi?»

Perino il buon umore di Sonya vacillò. «Ah. No, non esattamente. Abbiamo studiato

alcuni appunti per conto nostro, ma Adrian non è stato... non è stato al passo con le

ricerche di questa settimana. Non ha neppure frequentato le lezioni.»

Dimitri annuì. «Sono stato da lui, prima. Riusciva a malapena a rispondere alla porta.

Non ho idea di cosa stiesse bevendo, ma qualunque cosa fosse, ne ha bevuto un

sacco.» Considerando il loro rapporto difficile, io avrei provato disprezzo nel discutere

i vizi di Adrian. Invece, Dimitri sembrava deluso, come se si aspettasse di meglio.

«Volevo parlarvi proprio di questo» dissi. Avevo mangiato poco della mia cena e

adesso la stavo nervosamente spezzettando gli spaghetti. «L’attuale stato d’animo di

Adrian non è del tutto colpa sua. Voglio dire, lo è, ma posso capirlo. Voi sapete che

abbiamo visto suo padre in questo fine settimana, giusto? Beh... non è andata bene.»

C’era un luccichio che conoscevo negli occhi scuri di Dimitri. «Non ne sono

sorpreso. Nathan Ivashkov non è l’uomo più facile con cui andare d’accordo.»

«Ha disprezzato tutto ciò che Adrian sta cercando di fare. Ho provato a prendere le

sue difese, ma il signor Ivashkov non mi ha ascolta. Ecco perché mi chiedevo se voi

ragazzi potreste aiutarlo.»

Sonya non riuscì a nascondere la sua sorpresa. «Mi piacerebbe molto aiutare Adrian,

ma qualcosa mi dice che Nathan non abbia intenzione di ascoltare quello che abbiamo

da dire.»

«Non è quello a cui stavo pensando.» Rinunciai completamente al pane e ne lasciai

cadere i pezzi nel mio piatto. «Voi siete entrambi vicini alla regina. Ma gari potreste

convincerla a raccontare al padre di Adrain come… non lo so. Che si è rivelato una

risorsa preziosa. Che ha aiutato molto. Ovviamente, non potrà spiegargli esattamente

cosa sta facendo, ma potrebbe aiutare. Mr. Ivashkov non ascolterà Adrian o chiunque

altro, ma potrebbe prendere un elogio da parte della regina come una cosa seria. Se

fosse disposta a farlo.»

Dimitri mi guardò pensieroso. «Oh, lo farebbe. Ha sempre avuto un debole per lui.

A quanto pare è così per tutti.»

«No» dissi ostinatamente. «Non tutti. Ci sono due fronti opposti. Una metà lo

condanna e lo reputa inutile, come suo padre. L’altra metà scrolla le spalle e dice: “Beh,

è Adrian”.»

Sonya mi studiò attentamente, e una traccia di quel divertimento ritornò. «E tu?»

«Io non credo che debba essere viziato o disprezzato. Se vi aspettate che lui possa

fare grandi cose, le farà.»

Sonya non disse nulla, e spostai lo sguardo, a disagio per il suo sguardo

indagatore. Non mi piaceva quando mi guardava così. Si trattava di più di leggere le

auree. Era come se potesse vedermi nel cuore e nell’anima.

«Parlerò con Lissa» disse alla fine. «E sono sicura che anche Dimitri lo farà. Nel

frattempo, speriamo che seguendo il tuo consiglio e aspettando che Adrian smaltisca

la sbornia, alla fine ci riuscirà.»

Avevamo appena pagato il controllo quando il cellulare di Dimitri

squillò. «Pronto?» rispose. E immediatamente il suo viso si trasformò. La ferocia che

pensavo essere un suo tratto distintivo si ammorbidì, tanto che sembrava

raggiante. «No, no. È sempre un buon momento di chiamarmi, Roza». Qualunque sia

stata la risposta dall’altra parte, lo fece sorridere.

«Rose» disse Sonya. Si alzò. «Diamogli un po’ di privacy. Ti va di fare una

passeggiata?»

«Certo» dissi, alzandomi anch’io. Fuori stava calando il crepuscolo. «C’è un negozio

di costumi a pochi isolati di distanza che volevo vedere, se è ancora aperto.»

Sonya guardò Dimitri. «Ci vediamo là?» sussurrò e lui fece un rapido cenno del

capo. Una volta fuori nell’aria calda della serata, lei rise. «Ah, quei due. In un

combattimento, sono letali. Quando sono insieme, si sciolgono.»

«Sono come te e Mikhail?» chiesi, pensando al fatto che non mi sentissi mai in quel

modo con Brayden, indipendentemente da quanto mi piacesse passare del tempo con

lui.

Lei rise di nuovo e guardò il cielo, dipinto con sfumature dell’arancio e del blu. «Non

esattamente. Ogni rapporto è diverso. Ognuno ama a modo suo.» Fece una lunga pausa,

per scegliere con attenzione le parole successive. «È una bella cosa che hai scelto di

fare per Adrian.»

«Non c’era nessuna scelta da fare» ribattei. Attraversammo su una strada più

movimentata, piena di negozi illuminati con nebulizzatori d’acqua con lo scopo di

rinfrescare le persone accaldate. Trasalii al pensiero di ciò che l’umidità stesse facendo

ai miei capelli. «Dovevo aiutarlo. Non meritava quel tipo di trattamento. Non riesco a

immaginare come Adrian sopporti quella vita. E ci crederesti se ti dicesti che Adrian è

più interessato a ciò che penso io di lui?»

«In realtà» disse dolcemente, «ci credo.»

Il negozio di costumi era ancora aperto, grazie all’estensione dell’orario per

Halloween, ma solo per altri dieci minuti. Sonya cominciò a vagare per i corridoi senza

un vero obiettivo, ma io mi diressi subito nella sezione storica. Avevano un solo vestito

in stile greco, un abito bianco semplice con una cintura in plastica oro. Mi inginocchiai

a dare un’occhiata più attenta. Aprendo la confezione, sentii il tessuto. Era economico,

probabilmente infiammabile. L’abito era anche una XL, e mi chiedevo se Jill avesse

imparato abbastanza al club di cucito per prenderlo e adattarlo per me. Con meno di

una settimana alla festa, le mie opzioni erano limitate.

«Davvero?» disse una voce accanto a me. «Non mi hai già insultato abbastanza,

senza ricorrere a questa spazzatura?»

In piedi sopra di me c’era Lia Di Stefano. I capelli ricci erano legati con una sciarpa

rosso brillante, e indossava una voluminosa camicetta da contadina. Guardò verso di

me con disapprovazione armeggiando con il fodero degli occhiali

«Mi stai seguendo?» Chiesi, rialzandomi in piedi. «Ogni volta che vengo in centro,

ci sei anche tu.»

«Se ti stessi seguendo, non ti avrei mai fatto mettere piede qui dentro fin da

subito» poi indicò il costume. «Che cos’è quello?»

«Il mio vestito per Halloween» dissi. «ho intenzione di vestirmi da donna greca.»

«Non è nemmeno la taglia giusta.»

«Farò in modo che lo sia.»

Fece un verso di scherno. «Sono così sconvolta, che non so nemmeno da dove

cominciare. Vuoi un abito greco? Te ne farò uno. Uno buono. Non questa mostruosità.

Mio Dio… la gente sa che mi conosci. Se si dovesse venire a sapere, sarebbe la rovina

per la mia carriera.»

«Sì, perché quello che indosso a un ballo della scuola potrà davvero influenzare la

tua carriera.»

«Quand’è il ballo?» chiese.

«Sabato.»

«Facile» dichiarò. Mi guardò da capo a piedi e annuì soddisfatta. «Facile anche

prenderti le misure. E tua sorella si vestirà altrettanto male?»

«Non lo so» ammisi. «Ha parlato di cucirsi un abito da fata nel club di cucito. In blu,

penso.»

Lia sbiancò. «Anche peggio. Farò un vestito anche per lei. Ho già le sue misure.»

Sospirai. «Lia, so cosa stai cercando di fare, e non funzionerà. Jill assolutamente non

poserà di nuovo per te. Non importa quanto proverai a corromperla.»

Lia provò a convincermi con uno sguardo innocente, che non era affatto

convincente. «Chi ha parlato di corruzione? Lo faccio per altruismo. Sarebbe una

vergogna lasciarvi andare in giro con qualcosa che sia niente di meno che il meglio.»

«Lia…»

«Non comprare quello» mi avvertì, indicando il costume. «È uno spreco. Tanto

varrebbe dare fuoco ai soldi… anche se probabilmente non prenderebbero fuoco con

altrettanta velocità di questo vestito. Ti farò sapere quando i vostri costumi saranno

pronti.» Detto questo, si girò sui suoi tacchi alti in legno e se ne andò, lasciandomi lì a

fissarla.

«Hai trovato un costume?» mi chiese Sonya più tardi, quando fui costretta a lasciare

il negozio, ormai in chiusura.

«Stranamente, sì» dissi. «Ma non lì.»

Dimitri apparentemente era ancora preso con la sua chiamata, dal momento che non

ci aveva ancora raggiunto. Passeggiammo tranquillamente di nuovo verso il ristorante,

volendo dargli più tempo con Rose. Altri negozi stavano chiudendo, ed i turisti

cominciavano a diradarsi. Le raccontai dell’incontro con Lia. Sonya trovò l’accaduto

molto più divertente di me.

«Beh, non criticare» mi disse. «Se una stilista vuole realizzare qualcosa per te, non

sei obbligata a darle qualcosa in cambio. Forse mi potrebbe aiutare con gli abiti delle

damigelle d’onore.»

Attraversammo una strada meno trafficata e tagliammo per un vicolo stretto con un

edificio di mattoni su un lato e una chiesa con un prato alberato dall’altro. Avevo

ammirato la chiesa nel nostro breve viaggio all’andata, ma ora, in poco tempo, la sera

le aveva donato delle ombre e un’aria inquietante. Ero contenta di non stare

camminando per quella strada da sola. Era strano per me essere rassicurata dalla

presenza di un vampiro.

«Lia sa fare cose incredibili» ammisi. «Ma non so se dovremmo incoraggiarla.»

«Va bene» disse Sonya. «Forse uno di questi giorni, mi aiuterai tu a comprare gli

abiti. Hai davvero un buon gusto per…»

Improvvisamente si voltò verso il sagrato buio, uno sguardo impaurito sul suo volto,

ma non vidi nulla di allarmante… all’inizio. Pochi secondi dopo, quattro figure in nero

saltarono fuori da dietro gli alberi. Uno di loro mi spinse contro il muro di mattoni

mentre gli altri tre buttavano Sonya a terra. Spinsi il mio rapitore, ma un braccio

muscoloso mi stringeva forte. Nella fioca luce, vidi un barlume di qualcosa che mai mi

sarei aspettata di vedere per le strade di Palm Springs: una spada.

La figura scura in bilico sopra il collo di Sonya disse «È ora di tornare all’inferno.»

CAPITOLO 11 Traduzione: Meavers

Pre-Revisione: Claude

NON SONO UNA PERSONA MOLTO AGILE. Me la cavo a pallavolo, e Eddie una

volta mi ha insegnato a sferrare pugni. Ma non mi vanto di avere lo stesso tipo di

allenamento dei guardiani. Perciò, in questi casi, incapace di liberarmi dal vincolo, ho

praticamente fatto l’unica cosa che potevo fare.

Urlai.

«Aiuto! Qualcuno ci aiuti!»

La mia speranza era quella di ritardare i rapitori di Sonya dal decapitarla, o

qualunque altra cosa avessero in programma di fare. Sperai anche che, beh, qualcuno

ci avrebbe aiutato. Ci eravamo allontanate un po’ dalle strade principali del centro, ma

eravamo ancora abbastanza vicini da farci sentire da qualcuno… soprattutto perché

c’era ancora un discreto numero di persone.

Uno degli aggressori che teneva Sonya trasalì, così pensai di esserci quasi riuscita.

Il mio rapitore mi premette una mano sulla bocca e mi spinse forte contro il muro. Poi,

accadde una cosa strana. Lui, poiché dalla corporatura doveva trattarsi di un uomo,

anche se non riuscivo a distinguere il suo volto, si bloccò. Mi stava ancora trattenendo,

ma il suo corpo si irrigidì. Sembrava come se fosse scioccato o sorpreso. Non capivo

il perché. Sicuramente il fatto di gridare aiuto quando si viene aggrediti non era strano.

Non pensavo di poterlo sopraffare, ma speravo ancora di poter approfittare del suo

stordimento. Diedi un’altra spinta in avanti, cercando di sfuggire alla sua presa. Riuscii

solo ad avanzare di pochi passi prima che lui mi bloccasse di nuovo.

«Dobbiamo andare!» gridò uno dei rapitori di Sonya. Un altro uomo. Da quello che

posso dire, erano tutti uomini. «Arriverà qualcuno.»

«Ci vorrà solo un minuto» ringhiò quello che teneva la spada. «Dobbiamo liberare

il mondo dal male.»

Lo guardai terrorizzata, il mio cuore si impadronì del mio petto. Avevo paura per

me, ma soprattutto per Sonya. Non avevo mai visto una decapitazione. Non avevo

intenzione di iniziare ora.

Mezzo secondo dopo, mi ritrovai improvvisamente libera. Qualcuno di nuovo era

entrato nella mischia, qualcuno che aveva attaccato il mio rapitore e l’aveva facilmente

gettato a terra. Sembrò doloroso, e l’uomo atterrò con un grugnito. Anche con questa

poca illuminazione, l’altezza e il cappotto rivelarono l’identità del mio salvatore. Era

Dimitri.

L’avevo già visto combattere, ma non me ne stancavo mai. Era affascinante. Non si

fermava mai. Ogni azione era elegante e letale. Era un danzatore della morte. Ignorando

l’uomo che aveva appena scagliato, Dimitri balzò verso gli altri. Andò subito verso

l’uomo con la spada. Un rapido calcio da parte di Dimitri fece volare all’indietro

l’aggressore. Fece cadere la spada e a malapena riuscì ad aggrapparsi ad uno degli

alberi sagrati.

Nel frattempo, uno degli uomini che teneva Sonya, semplicemente si girò e corse

indietro verso il centro. Dimitri non lo seguì. La sua attenzione adesso era rivolta verso

l’ultimo uomo, che stava stupidamente tentando di combattere. Questo comunque

liberò Sonya, e lei non perse tempo ad alzarsi in piedi e correre verso di me. Raramente

mi sono fatta toccare con facilità, certamente non dai Moroi, ma l’ho abbracciata subito

senza pensarci due volte. Lei fece lo stesso, e potei sentirla tremare. Una volta, da

Strigoi, era stata una forza da non sottovalutare. Come una Moroi, una che aveva

appena avuto puntata una spada alla gola, le cose erano comprensibilmente diverse.

L’uomo che fronteggiava Dimitri riuscì a schivare un paio di colpi. Il suo errore fu

nel momento in cui cercò di colpire Dimitri. Indebolì la sua guardia, e così, Dimitri lo

colpì forte in faccia. L’uomo alto che prima aveva sbattuto sull’albero cercò di

attaccare, ma doveva essere un idiota nel pensare che Dimitri fosse distratto. Lui lo

rispedì facilmente a terra, e atterrò vicino all’uomo che Dimitri aveva appena preso a

pugni. Quello alto si alzò come se volesse attaccare di nuovo. Il suo amico lo afferrò e

lo trascinò via. Dopo un momento di lotta tra i due, finalmente scapparono via. Dimitri

non li inseguì. La sua attenzione era interamente su me e Sonya.

«State bene?» chiese, venendo a grandi passi verso di noi.

Riuscii a fare un debole cenno, anche se tremavo in maniera incontrollabile.

«Andiamocene da qui» disse Dimitri. Ci mise una mano sulla spalla di ognuna e

iniziammo ad allontanarci.

«Aspettate» dissi, tornando verso il camposanto. «Dovremmo prendere la spada.»

Diedi un’occhiata intorno a me, ma era anche più buio di prima. Dimitri trovò la

spada subito grazie alla sua vista superiore. La mise sotto il suo spolverino, e tutti e tre

ce ne andammo subito fuori. Camminammo fino casa di Adrian, dato che era più vicina

della proprietà di Clarence fuori città. Nonostante ciò, il viaggio sembrò durare una

vita. Continuai ad avere la sensazione che ci avrebbero potuto attaccare in qualsiasi

momento, ma Dimitri continuò ad assicurarci, mentre ci portava in un posto sicuro.

Adrian si stupì nel vederci sulla porta. Sembrava anche un po’ ubriaco, ma non mi

importava. Tutto quello che volevo era solo essere al sicuro tra quelle quattro mura.

«Che… che succede?» chiese, appena Dimitri spinse me e Sonya dentro. Adrian

guardò tutti noi, soprattutto me. «Stai bene? Cosa è successo?»

Dimitri eseguì una rapida ispezione a me e a Sonya e ricontrollò per eventuali ferite

malgrado le nostre proteste. Allungò una mano e mi prese gentilmente il mento,

girando la mia guancia non tatuata verso di lui. «Un po’ graffiata» disse. «Non è grave,

ma dovresti pulirla.» Toccai il punto che aveva indicato e rimasi sorpresa nel vedere

sangue sulle mie dita. Non mi ricordavo neanche di essermi fatta male, ma forse era

stato il muro di mattoni.

Sonya non aveva segni fisici, ma disse di avere un bel mal di testa per la caduta.

«Cosa è successo?» chiese di nuovo Adrian.

Dimitri sollevò la spada che aveva recuperato da quel luogo. «Qualcosa di più serio

di un’aggressione a scopo di rapina, penso.»

«Direi di sì» disse Sonya, seduta sul divano. Era straordinariamente tranquilla

considerando quello che ci era successo. Si toccò il retro della testa e fece una smorfia.

«Soprattutto visto che mi hanno chiamata creatura del male prima che arrivassi tu.»

Dimitri alzò il sopracciglio. «Davvero?»

Non mi ero ancora mossa da quando ero entrata nel salotto. Stavo semplicemente lì

con le braccia intorno al corpo, e mi sentivo intorpidita. Muovermi sembrava essere

così difficile. Non appena Dimitri cominciò ad esaminare la spada, comunque,

qualcosa catturò la mia attenzione e fece lentamente riprendere a funzionare il mio

cervello.

Vedendo il mio interesse, mi porse la spada. La presi, stando attenta alla lama, ed

esaminai l’impugnatura. Era coperta di incisioni.

«Secondo te significano qualcosa?» mi chiese.

La mia mente era ancora annebbiata dalla paura e adrenalina, ma le ignorai e cercai

di rimettere insieme i pezzi. «Sono vecchi simboli di alchimia,» dissi. «Dal Medioevo,

quando il nostro gruppo era solo un mucchio di scienziati medioevali che cercavano di

trasformare il piombo in oro.»

Era tutto quello che dicevano i libri di storia sulla mia società. Quello, e che alla fine

avevamo lasciato perdere l’oro.

L’organizzazione trovò più tardi dei composti più sofisticati, tra cui il sangue di

vampiro. Il fatto di interagire con i vampiri alla fine si era trasformato nella nostra

attuale causa, quando gli antichi Alchimisti capirono le terribili e oscure tentazioni che

questi rappresentavano. La nostra causa diventò sacra. La chimica e le formule che

aveva la mia società, che una volta funzionavano come guadagno personale,

diventarono strumenti che servivano per nascondere l’esistenza dei vampiri, strumenti

che avevamo ormai integrato con la tecnologia.

Picchiettai sul simbolo più grande, un cerchio con un punto nel mezzo. «Questo è il

simbolo dell’oro. Quest’altro è dell’argento. Queste quattro cose a forma di triangolo

sono gli elementi base: terra, aria, acqua e fuoco. E questi… Marte e Giove, collegati

al ferro e allo stagno. Forse è la composizione della spada?» Inarcai il sopracciglio e

studiai il resto del metallo. «In realtà non ci sono oro o argento, però. I loro simboli si

possono anche riferire al sole e alla luna. Forse non sono tangibili. Non saprei».

Porsi la spada a Dimitri. Sonya la prese da lui, studiando quello che avevo fatto

notare. «Quindi, stai dicendo che è un’arma alchimista?»

Scossi la testa. «Gli alchimisti non userebbero mai qualcosa del genere. Le pistole

sono più semplici. E i simboli sono arcaici. Ora usiamo la tavola periodica. E’ più facile

scrivere “Au” per indicare l’oro invece di disegnare quel simbolo del sole.»

«C’è qualche motivo per cui questo simbolo dovrebbe trovarsi su un’arma? Qualche

significato più grande?» chiese Dimitri.

«Beh, ripeto, se torni indietro nel tempo, il sole e l’oro erano le cose più importanti

per gli antichi Alchimisti. Ruotavano attorno all’idea della luce e della limpidezza».

Mi toccai la guancia. «Queste cose sono ancora importanti in qualche modo: è per

questo che usiamo questo inchiostro dorato. A parte i benefici, l’oro ci segna come…

puri. Santificati. Parte di una causa benedetta. Ma su una spada… non lo so. Se

chiunque abbia fatto questo stesse usando lo stesso simbolismo, allora forse la spada è

santificata.» Pensai di nuovo alle parole degli aggressori, al fatto di ritornare

all’Inferno. Feci una smorfia. «O forse i suoi possessori pensano di star compiendo

qualche sacro dovere.»

«Chi erano comunque questi?» chiese Adrian. «Pensi che Jill sia in pericolo?»

«Sapevano dei vampiri. Ma erano umani» disse Dimitri.

«È quello che ho pensato anche io» confermai. «Uno era abbastanza alto, ma non

era Moroi». Ammettere che i nostri aggressori erano umani era difficile e sconcertante

per me. Avevo sempre creduto che fossero malvagi gli Strigoi. Così era facile. Anche

dei Moroi non ci si poteva sempre fidare, ecco perché non era tanto inverosimile

pensare che gli assassini Moroi stessero cercando Jill. Ma gli umani… le persone che

pensavo di star proteggendo? Questo era difficile. Ero stata attaccata dalla mia stessa

specie, i cosiddetti buoni, non dai demoni che mi avevano insegnato a temere. Era stato

un duro colpo per la mia visione del mondo.

La faccia di Dimitri divenne ancora più lugubre. «Non ho mai sentito niente del

genere, forse perché la maggior parte degli umani non sanno dei Moroi. A parte che gli

Alchimisti».

Gli rivolsi uno sguardo pungente. «Non ha niente a che fare con noi. Ve l’ho detto,

le spade non fanno parte del nostro stile. E neanche gli attacchi.»

Sonya appoggiò la spada sul tavolo da caffè. «Nessuno sta accusando nessuno.

Suppongo che sia un problema di cui tutti e due vorrete parlare con i vostri gruppi».

Dimitri ed io annuimmo. «Anche se, penso che ci stiamo lasciando sfuggire qualcosa

di fondamentale. Mi stavano trattando come una Strigoi. Una spada non è il modo più

facile per uccidere qualcuno. Dovevano avere un motivo per farlo.»

«È l’unico modo con cui un umano può uccidere uno Strigoi» mormorai. «Gli umani

non possono brandire un paletto di argento. Penso che avrebbero potuto darti fuoco,

ma non è molto pratico in un vicolo.»

Scese il silenzio mentre ci rimuginavamo sopra. Alla fine, Sonya sospirò. «Non

penso che arriveremo da qualche parte stasera, non senza parlarne con gli altri. Vuoi

che la guarisca?»

Mi ci volle un momento per capire che stava parlando con me. Mi toccai la guancia.

«No, guarirà in fretta da sola.» Era uno degli effetti del sangue di vampiro nei nostri

tatuaggi a forma di giglio. «La pulirò prima di andarmene.»

Entrai nel bagno, fiduciosa. Quando arrivai e vidi il mio riflesso nello specchio, mi

lasciai andare allo sconforto. Non era un brutto taglio, affatto. Più che altro, quello che

mi sconvolse era ciò che rappresentava. Sonya si era ritrovata una lama alla gola, ma

anche la mia vita era stata messa in pericolo. Ero stata attaccata, ed mi ero ritrovata

completamente indifesa. Bagnai una salvietta e cercai di portarla sul viso, ma le mie

mani tremavano troppo.

«Sage?»

Adrian apparve sulla porta, e cercai subito di cacciare via le lacrime che avevano

cominciato a riempirmi gli occhi. «Sì?»

«Stai bene?»

«Non riesci a capirlo dalla mia aura?»

Non rispose ma al contrario prese la salvietta prima che la facessi cadere. «Girati»

mi ordinò. Lo feci, e lui tamponò la ferita. Ad averlo in piedi così vicino a me, potevo

vedere che i suoi occhi erano iniettati di sangue. Riuscivo anche a sentire la puzza di

alcool su di lui. Tuttavia, le sue mani erano più ferme delle mie. Mi chiese di nuovo,

«Stai bene?»

«Non ero io ad avere una spada puntata alla gola.»

«Non è quello che ti ho chiesto. Sei ferita da qualche altra parte?»

«No,» dissi, guardando giù. «Forse… forse nell’orgoglio.»

«Nell’orgoglio?» si fermò per risciacquare la salvietta. «Che cosa c’entra?»

Guardai su ma non incontrai i suoi occhi. «Posso fare un sacco di cose, Adrian. E, a

rischio di sembrare egoista, insomma, posso fare un sacco di cose abbastanza

incredibili che la maggior parte delle persone non può fare.»

La sua voce era un po’ divertita. «Come se non lo sapessi. Puoi cambiare uno

pneumatico in dieci minuti mentre parli in greco.»

«Cinque minuti» dissi. «Ma quando la mia vita è in pericolo, quando le altre vite

sono in pericolo, a cosa servo? Non posso combattere. Ero completamente inerme là

fuori. Proprio come gli Strigoi attaccarono noi e Lee. Posso solo stare ferma e guardare

e aspettare che persone come Rose e Dimitri mi salvino. Sono… sono una donzella in

pericolo, come nelle favole.»

Finì di pulire la mia guancia e posò la salvietta. Prese il mio viso tra le mani.

«L’unica cosa vera che hai detto era la parte della donzella, ma solo perché sei molto

carina. Non per il pericolo. Tutto il resto di ciò che hai detto era ridicolo. Non sei

debole.»

Alla fine guardai in su. Quando parlavamo, di solito Adrian non mi accusava di

essere ridicola. «Ah sì? Allora sono come Rose e Dimitri?»

«No. Non più di quanto lo sia io. E, se ricordo bene, qualcuno di recente mi ha detto

che era inutile cercare di essere come gli altri. E che si dovrebbe cercare di essere se

stessi.»

Mi accigliai nel sentire le mie stesse parole. «Non è la stessa cosa. Parlo di prendermi

cura di me stessa, non di impressionare qualcuno.»

«Beh, è questo il tuo problema, Sage. “Prenderti cura di te stessa.” Questi incontri

che hai avuto: gli Strigoi, i pazzi con le spade. Non erano proprio normali. Non penso

che puoi abbatterti per non essere in grado di combattere contro questo tipo di attacchi.

La maggior parte delle persone non ne sono capaci.»

«Io dovrei invece» borbottai.

I suoi occhi erano comprensivi. «Allora impara. Quella stessa persona a cui piace

darmi dei consigli, una volta mi ha detto di non essere una vittima. Perciò non esserlo.

Hai imparato a fare un sacco di altre cose. Impara questo. Prendi lezioni di autodifesa.

Prenditi una pistola. Non puoi essere un guardiano, ma non è l’unico modo di

proteggerti.»

Un ammasso di emozioni ribollì dentro me. Rabbia. Disagio. Rassicurazione. «Hai

un sacco di cose da dire per un ubriaco.»

«Oh, Sage. Dico un sacco di cose, sia da sobrio sia da ubriaco.» Mi liberò e fece

qualche passo indietro. Mi sentii stranamente vulnerabile senza lui vicino. «Quello che

la maggior parte delle persone non capisce è che sono più coerente così. Meno

possibilità per lo spirito di farmi impazzire.» Si picchiettò un lato della fronte e roteò

gli occhi.

«A proposito… Non ti darò altre lezioni al riguardo» dissi, felice di cambiare

argomento. «Il pranzo con tuo padre faceva schifo. Ho capito. Se vuoi annegare il

ricordo nell’alcool, va bene. Ma per favore, ricordati di Jill. Sai cosa le farebbe… non

ora, ma forse più in là.»

Il fantasma di un sorriso apparve sulle sue labbra. «Sei sempre la voce della ragione.

Cerca di ascoltare te stessa una volta ogni tanto.»

Quelle parole erano familiari. Dimitri aveva detto qualcosa di simile, che non potevo

prendermi cura degli altri se non mi prendevo prima cura di me stessa. Se due persone

così diverse come Adrian e Dimitri avevano lo stesso parere, allora forse c’era qualcosa

di giusto. Ci pensai molto quando tornai ad Amberwood più tardi.

Una delle cose buone dell’ubriachezza di Adrian era che Jill non fu testimone del

nostro discorso. Perciò il giorno successivo a pranzo, quando riepilogai a Jill, Eddie e

Angeline quello che era successo, potevo cambiare la storia e lasciare da parte il mio

esaurimento. Le reazioni di Jill e Angeline furono proprio come me le aspettavo. Jill

era preoccupata e continuava a chiedere se Sonya ed io stavamo bene. Angeline ci

intrattenne con racconti di tutto quello che avrebbe fatto agli aggressori e come, a

differenza di Dimitri, li avrebbe inseguiti nelle strade. Eddie era tranquillo e non disse

molto finche le altre due se ne andarono, Angeline nella sua stanza e Jill a prepararsi

per la lezione.

«Avevo pensato che non stessi bene oggi» disse. «Soprattutto a colazione, quando

Angeline ha chiamato un pomodoro verdura e non l’hai corretta.»

Feci un mezzo sorriso alla sua battuta. «Sì, beh, è il tipo di cose che fai. Insomma,

forse non per voi ragazzi. Spade a caso che vi attaccano in vicoli bui è normale per voi,

giusto?»

Scosse la testa, con la faccia seria. «Non riuscirai mai a gestire ogni attacco senza

che si presenti mai qualche problema. Le persone che lo fanno sono disattente. Non hai

nulla per cui stare male.»

Rimestai un po’ di purè di patate ancora poco omogeneo e alla fine lasciai perdere.

«Non mi piace essere impreparata. Per nulla. Non fraintendermi: c’ero quando tu e

Rose avete combattuto contro gli Strigoi. Non potevo aiutarvi neanche lì… ma è

diverso. Sono incredibili… oltre la portata degli umani. Non mi aspetto di essere in

grado di battermi con loro. Ma quello che è successo ieri sera, anche se con la spada,

era ad un passo dall’essere una rapina. Banale. Ed erano umani, come me. Non avrei

dovuto essere così inutile.»

«Vuoi che ti insegni qualche trucco?» chiese gentilmente.

Mi rifece tornare il sorriso. «Anche quello che fai tu è incredibile. Forse sarebbe

meglio fare qualcosa più al mio livello. Adrian ha detto che dovrei procurarmi una

pistola o prendere lezioni di autodifesa.»

«È un buon consiglio.»

«Lo so. Fa paura, vero? Gli Alchimisti si allenano con le armi, ma non ne vado

pazza. Ero abbastanza brava alle lezioni di teoria, però.»

Fece una risatina. «Vero. Beh, se cambi idea, fammi sapere. Dopo aver lavorato con

Angeline, sono pronto a tutto. Anche se… a dire il vero, si è calmata un po’.»

Pensai alla mia ultima conversazione vera e propria con lei. Era stato solo il giorno

prima che era finita in una rissa ed era stata sospesa, ma sembrava essere successo anni

fa. «Oh, ho fatto una sorta di chiacchierata con lei.»

«Che tipo di chiacchierata?» chiese, sorpreso. «Ti ho detto di non preoccuparti della

mia vita privata. È un mio problema.»

«Lo so, lo so. Ma l’ho fatto. Le ho detto che il suo comportamento era esagerato e

che doveva smetterla. Si è arrabbiata con me, però, quindi non ero sicuro che mi

avrebbe ascoltato.»

«Ah. Penso di sì.» Le parole successive ovviamente erano un’enorme concessione.

«Forse non è così male come pensavo.»

«Forse» acconsentii. «E guardala da questo punto di vista. Il fatto che sia stata

sospesa vuol dire che almeno non ti dovrai preoccupare di lei al ballo.»

Dal modo in cui il suo viso si illuminò, era chiaro che non ci aveva ancora pensato.

Qualche attimo dopo, si ricompose. «Se ci dovessero essere attacchi come questo,

dovrò essere ancora più cauto con Jill, soprattutto al ballo.» Non avevo pensato che

Eddie non avrebbe potuto essere più cauto, ma forse mi avrebbe sorpresa. «Preferirei

quasi che Angeline partecipasse.»

La maggior parte delle mie lezioni erano abbastanza interessanti da non farmi

pensare molto alla sera prima, ma lo studio indipendente con la professoressa

Terwilliger era diverso. Era troppo tranquillo, troppo calmo. Mi diede un sacco di

tempo per costruire i miei castelli mentali, facendomi ritornare tutta la paura e i dubbi

su me stessa che cercavo di ignorare. Per una volta, copiai e scrissi le formule senza

memorizzarle. Di solito, non avrei potuto farne a meno. Oggi, la mia mente non era lì.

Eravamo quasi a metà dell’ora quando alla fine mi concentrai abbastanza da capire

cosa stessi facendo. Era una formula della Tarda Antichità che, a quanto si dice, faceva

pensare alla vittima che gli scorpioni stessero cadendo su lui o lei. Come molti dei libri

di incantesimi della professoressa Terwilliger, la formula era complicata e portava via

molto tempo.

«Professoressa Terwilliger?» odiavo chiederle qualcosa, ma gli eventi recenti

pesavano troppo su di me. Alzò lo sguardo sorpresa dalle sue scartoffie. Dopo la guerra

fredda in cui stavamo, si era abituata a non parlarmi, a meno che non le parlassi io.

«Sì?»

Picchiettai sul libro. «Quanto sono efficaci queste formule? Come si farebbe ad

usarle in un combattimento se richiedono miscugli che si preparano in più giorni? Se

si viene aggrediti, non c’è tempo per niente del genere. A malapena c’è tempo per

pensare.»

«Quale stai leggendo?» chiese.

«Quella degli scorpioni.»

Fece un accenno col capo. «Ah, sì. Beh, quella è premeditata. Se c’è qualcuno che

non ti piace, te la prepari e lanci l’incantesimo. Molto efficiente per ex fidanzati,

aggiungerei.» La sua espressione diventò deconcentrata, poi tornò su di me. «Ci sono

di sicuro alcune che potrebbero essere più utili nella situazione che stai dicendo. Il tuo

amuleto di fuoco, se ricordi, aveva un sacco di lavoro di preparazione, ma potrebbe

essere usato molto velocemente. Ci sono altri che possono essere preparati in

pochissimo tempo con pochi componenti, ma come abbiamo già detto, quel tipo di cose

richiedono abilità elevate. Più sei abile, meno ingredienti ti servono. Bisogna avere un

sacco di esperienza prima di imparare qualcosa del genere.»

«Non ho mai detto di voler imparare qualcosa del genere» scattai. «Sto solo…

facendo una domanda.»

«Sì? Errore mio. Era quasi come se fossi, oserei dire, interessata.»

«No!» Ero grata che il mio tatuaggio magico avesse guarito la maggior parte delle

ferite sul mio viso della scorsa notte. Non volevo che sospettasse che avrei voluto

motivi seri per una protezione. «Vede, ecco perché non dico mai niente. Legge troppo

fra le righe e poi usa quello che dico per portare avanti i suoi programmi per

tormentarmi.»

«Tormentarti? Leggi i libri e bevi il caffè qui: proprio quello che faresti se non ci

fossi.»

«Tranne per il fatto che sono infelice» le dissi. «Odio tutto questo. Sono quasi pronta

a non venire più qui e rischiare la carriera scolastica. Tutto questo è malato e perverso

e…»

L’ultima campanella del giorno mi fermò dal dire qualcosa di cui mi sarei potuta

pentire. Quasi subito, Trey apparve sulla porta d’ingresso. La professoressa Terwilliger

cominciò a mettere a posto e lo guardò con un sorriso, come se non fosse successo

niente.

«Perché mai, signor Juarez. È carino da parte sua arrivare adesso, visto che non si è

fatto vedere alla mia lezione questa mattina.»

A pensarci bene, capii che aveva ragione. Trey non era stato presente né alla sua

classe di storia o alla nostra di chimica.

«Scusi» disse. «Avevo dei problemi familiari di cui occuparmi.»

“Problemi familiari” era una scusa che usavo tutto il tempo, anche se dubitavo che

Trey fosse invischiato in faccende quali il nutrimento di vampiri.

«Potrebbe, ehm, dirmi cosa mi sono perso?» chiese.

La professoressa Terwilliger si mise la borsa sulla spalla. «Ho un appuntamento.

Chiedi alla signorina Melbourne, probabilmente le spiegherà più cose di me. La porta

si chiuderà da sola quando voi due ve ne andrete.»

Trey si sedette in un banco vicino e lo spinse in modo da ritrovarci uno di fronte

all’altra mentre tiravo fuori i compiti di storia e chimica, dal momento che pensai che

gli servissero anche i secondi. Accennai al borsone che era sul pavimento accanto a lui.

«Hai avuto gli allenamenti?»

Si piegò per copiare i compiti, con i capelli neri che gli cadevano sul lati del volto.

«Non me li perderei mai» disse, non alzando lo sguardo mentre scriveva.

«Giusto. Salti solo le lezioni.»

«Non giudicarmi» disse lui. «Sarei venuto se avessi potuto.»

Lasciai stare. Avevo senza dubbio già la mia grossa fetta di complicazioni personali

che veniva prima. Mentre scriveva, accesi il mio cellulare e vidi un messaggio da

Brayden. Era una sola parola, un record per lui: Cena?

Esitai. Ero ancora agitata dalla notte prima, e anche se Brayden era divertente, non

era quello di cui avevo bisogno. Risposi: Non ne sono sicura. Ho delle cose da fare

questa sera. Volevo cercare delle alternative per il corso di autodifesa. Era quella la

rassicurazione che mi serviva. Fatti. Alternative. Seguì la risposta veloce di Brayden:

Cena tardi? Allo Stone Grill alle otto? Ci pensai e gli risposi che ci sarei stata.

Avevo appena posato il cellulare quando arrivò un altro messaggio.

Inaspettatamente, era da parte di Adrian. Come ti senti riguardo la notte scorsa? Sono

preoccupato per te. Adrian aveva un prosa articolata quando scriveva le e-mail, ma

spesso usava le abbreviazioni nei messaggi, cosa che io non farei mai. Anche leggerlo

era come sentire delle unghie sulla lavagna per me, però mi fece piacere il suo interesse,

che fosse preoccupato per il mio stato. Era rassicurante.

Gli risposi: Meglio. Vado a cercare dei corsi di autodifesa. La sua risposta fu veloce

quasi quanto quella di Brayden: Fammi sapere cosa trovi. Forse prenderò lezioni

anche io. Mi sorpresi. Di sicuro non me lo aspettavo. C’era solo una cosa che potevo

rispondere: Perché?

«Gesù» disse Trey, mentre chiudeva il suo quaderno. «Quanto sei popolare.»

«Faccende familiari» risposi.

Rise e infilò il quaderno nel suo zaino. «Grazie per questi. E a proposito di faccende

familiari… tua cugina. È vero che è stata espulsa?»

«Sospesa per due settimane.»

«Davvero?» rispose. «Tutto qui? Pensavo peggio.»

«Già. C’è mancato poco. Li ho convinti ad andarci piano con lei.»

Trey scoppiò a ridere. «Posso solo immaginare. Bene, penso che posso aspettare due

settimane allora.»

«Per cosa?» Risposi con un’espressione accigliata.

«Per chiederle di uscire.»

Rimasi senza parole per pochi secondi. «Angeline?» chiesi, per essere sicura che

non pensasse ad un’altra cugina. «Vuoi chiedere di uscire… ad Angeline?»

«Certo» disse. «È carina. E far fuori tre ragazzi e una cassa? Beh… ti dirò la verità.

Era molto sexy.»

«Posso pensare ad un sacco di parole per descrivere quello che ha fatto. Ma ‘sexy’

non è tra quelle.»

Scrollò le spalle e andò verso la porta. «Ehi, tu hai i tuoi interessi, io ho i miei. I

mulini a vento per te, le risse per me.»

«Incredibile» dissi. Eppure, mi chiesi se lo era veramente. Pensai che tutti noi

avessimo i nostri interessi. Lo stile di vita di Trey era di sicuro diverso dal mio. Era

devoto allo sport e aveva sempre ferite causati dagli allenamenti, anche adesso. Erano

più serie del solito. Non riuscivo a capire le sue passioni più di quanto lui potesse capire

il mio amore per la conoscenza. Il telefono vibrò di nuovo.

«Meglio tornare al tuo fan club» disse Trey. Se ne andò, e uno strano pensiero mi

venne in mente. Tutte le ferite di Trey erano causate dallo sport? Continuava a parlare

della famiglia, e mi chiesi improvvisamente se qualcosa di più insidioso di quanto

sospettavo lo stesse tenendo lontano. Era un’idea preoccupante, e non avevo molta

esperienza. Un’altra vibrazione del telefono mi allontanò dalle mie preoccupazioni.

Controllai il telefono e trovai un altro messaggio da Adrian: uno lungo che occupava

due messaggi. Era una risposta alla mia domanda sul prendere lezioni di autodifesa.

Mi darà un motivo per evitare S&D. E poi, non sei l’unica ad aver bisogno di

protezione. Quei tizi erano umani e sapevano che S è un vampiro. Forse i cacciatori

di vampiri esistono veramente. Hai mai pensato che Clarence stesse dicendo la verità?

Fissai il telefono incredula, elaborando le parole di Adrian e le implicazioni

dell’attacco dell’ultima notte.

Hai mai pensato che Clarence stesse dicendo la verità?

No. Fino a quel momento, mai.

CAPITOLO 12 Traduzione: Meavers, Luisa K. Earnshaw

Pre-Revisione: Medea Knight

Quando mi presentai per la cena, Brayden era seduto ad un tavolo con il portatile.

«Sono arrivato presto» disse. «Pensavo di fare un po’ di compiti. Tu li hai fatti?»

«Sì. Stavo facendo una ricerca sulle lezioni di autodifesa. Non crederai a quello che

ho trovato».

Mi sedetti accanto a lui per usare il suo portatile. Come sempre, profumava di caffè.

Decisi che quel profumo non mi avrebbe mai stufata. Gli feci visitare un sito che avevo

trovato poco prima di arrivare. Il sito sembrava fatto dieci anni prima, pieno di

straordinarie immagini animate. Scuola di Difesa Wolfe – Malachi Wolfe, istruttore.

«Sul serio?» chiese Brayden. «Malachi Wolfe?»

«Non può cambiare mica nome» dissi. «E guarda… ha avuto pure un sacco di premi

e riconoscimenti». Alcuni premi erano anche recenti. La maggior parte li aveva ottenuti

qualche anno prima. «Ma qui viene il bello».

Cliccai su un link intitolato “Prossimi corsi.” Malachi Wolfe aveva un’agenda

abbastanza piena, ma c’era una parte promettente. Teneva un corso di quattro

settimane, che sarebbe cominciato l’indomani e si sarebbe tenuto una volta a settimana.

«Non era proprio il tipo di insegnante che avevo in mente» ammisi, «ma il corso

comincia subito».

«Non è un corso molto lungo» aggiunse Brayden. «Però ti darà delle buone basi.

Perché sei interessata?»

L’immagine del vicolo mi tornò in mente… le figure nel buio e quel senso di

impotenza mentre venivo spinta contro il muro. Mi mancò quasi il respiro e dovetti

ricordarmi che non ero più in quel vicolo. Ero in un ristorante luminoso, con un ragazzo

a cui piacevo. Ero al sicuro.

«É solo… una cosa che penso sia importante da imparare per una donna» dissi.

«Anche se… è aperto sia a uomini che a donne».

«Stai cercando di farmi iscrivere?» All’inizio pensavo fosse serio, ma quando lo

guardai stava sorridendo.

Feci un gran sorriso. «Se vuoi. Stavo pensando a… mio fratello. Anche lui lo vuole

fare».

«Forse per me è meglio di no. Anche se stavo quasi per mettere arti marziali come

materia a scelta». Brayden spense il portatile e io mi spostai dall’altro lato del tavolo.

«Ad ogni modo, hai una famiglia affiatata. Non credo sia giusto intromettermi».

«Forse è una buona idea» accordai, pensando che non sapesse neanche la metà di

quel che era la mia famiglia.

La cena andò bene, così come la nostra successiva conversazione sulla

termodinamica. Nonostante l’argomento coinvolgente, comunque, la mia mente era

sconnessa. Dovetti risintonizzarmi su quello che stava dicendo Brayden. L’attacco e il

commento disinvolto di Adrian sui cacciatori di vampiri avevano occupato la gran parte

dei miei pensieri.

Eppure, rimanemmo al ristorante per tanto tempo. Così tanto che quando me ne

andai vidi che era completamente buio. Non avevo parcheggiato molto lontano e

neanche in un posto isolato, ma improvvisamente il pensiero di camminare sola al buio

mi fece raggelare. Brayden stava dicendo qualcosa su fatto di vederci al ballo e notò la

mia reazione.

«Cosa c’è?» chiese.

«Io…» guardai la strada. Due incroci. Ecco quant’era lontana la mia macchina. Fuori

c’era gente. Ma mi sentivo soffocare. «Mi accompagneresti alla macchina?»

«Certo» rispose. Non ci pensò su due volte, ma mi sentii mortificata per tutto il

tragitto. Come avevo detto ad Eddie ed Adrian, di solito non avevo bisogno dell’aiuto

degli altri. Chiedere aiuto per una cosa simile era particolarmente umiliante. Rose non

avrebbe bisogno di farsi accompagnare, pensai. Neanche Angeline. Avrebbe picchiato

qualche pedone per strada, per tenersi allenata.

«Eccoci qui» disse Brayden, una volta raggiunta Caffellatte. Mi domandai se la sua

considerazione di me fosse diminuita, per avergli chiesto di farmi da scorta.

«Grazie. Ci vediamo sabato?»

Annuì. «Sei sicura di volerci vedere lì? Posso passare a prenderti».

«Lo so. E non mi dispiacerebbe venire in macchina con te. Senza offesa,

Caffellatte». Diedi una pacca affettuosa alla macchina. «Ma devo dare uno strappo a

mio fratello e mia sorella. É meglio così».

«D’accordo» disse. Mi fece un sorriso quasi timido, se paragonato alla sua

spigliatezza nei discorsi di scuola. «Non vedo l’ora di vedere il tuo vestito. Il mio l’ho

preso da una compagnia teatrale. Non è proprio la riproduzione fedele di un abito

ateniese, ma è il migliore che ho trovato».

Mi ero quasi dimenticata di aver lasciato il mio vestito nelle mani di Lia. Brayden

non era l’unico interessato a vedere cosa avrei indossato.

«Non vedo l’ora» dissi.

Dopo un po’, mi chiesi come mai non se ne stesse andando. Era ancora un po’ timido

e insicuro, come se stesse cercando di calmarsi per dire qualcosa. E venne fuori che

non voleva parlare affatto. Con una gran dose di coraggio, si fece avanti e mi baciò. Fu

carino, ma anche quella volta un po’ deludente.

Guardando in viso Brayden, però, sembrava stesse a tre metri da terra. Perché non

avevo avuto la sua stessa reazione? Forse avevo fatto qualcosa di sbagliato. O forse

non ero abbastanza capace?

«Ci vediamo sabato» disse.

Mi creai una nota mentale per aggiungere i baci agli argomenti da approfondire.

Tornai ad Amberwood e scrissi un messaggio ad Adrian mentre entravo in camera.

C’è un corso di autodifesa che comincia domani. 75$. Nonostante la sera prima fosse

sembrato interessato, ero un po’ scettica sul fatto che si fosse ripreso dalla sua

depressione abbastanza da poter fare una cosa del genere. Non ero nemmeno sicura che

fosse andato alle lezioni di arte. Un minuto dopo, arrivò la sua risposta: Ci sarò. Seguì

un altro messaggio: Puoi anticiparmi i soldi?

Anche Jill, come me, stava entrando in camera, entrambe appena prima del

coprifuoco. Non mi aveva nemmeno vista e sembrava preoccupata e pensierosa. «Ehi»

la chiamai. «Jill?»

Si fermò a metà strada dall’ingresso e si sorprese di vedermi. «Oh, ehi. Non eri in

giro col tuo fidanzato?»

Feci una smorfia. «Non credo si possa già chiamare così».

«Quante volte siete usciti insieme?»

«Quattro».

«Vai con lui al ballo?»

«Ci vediamo lì».

Fece spallucce. «A me sembra un fidanzato».

«A me sembra che tu stia citando la guida sugli appuntamenti di Kristin e Julia».

La battuta la fece sorridere un po’, ma non durò molto. «Penso che sia

un’impressione comune».

La studiai, cercando di capire di che umore fosse. «Stai bene? Sembrava che

qualcosa ti stesse tormentando. È… Adrian? È ancora agitato?» Per un attimo, mi

preoccupai più per Adrian che per lei.

«No» rispose. «Cioè, beh, sì. Ma sta un po’ meglio. È entusiasta per il corso di

autodifesa con te». Il loro legame non avrebbe mai cessato di meravigliarmi. Avevo

scritto ad Adrian solo un minuto prima.

«“Entusiasta?”» chiesi. Mi sembrava una reazione troppo esagerata.

«È una distrazione. E distrarsi è la cosa migliore quando sta così» mi spiegò. «È

ancora turbato, comunque. È ancora depresso per suo padre».

«Non avrei dovuto portarlo a San Diego» mormorai, più a me stessa che a lei. «Se

mi fossi rifiutata di accompagnarlo, non avrebbe potuto andarci».

Jill mi guardò scettica. «Non saprei. Penso che avrebbe trovato un modo, con o senza

di te. Quello che è successo tra di loro sarebbe successo comunque». Aveva detto una

cosa molto saggia.

«È solo che mi sento malissimo a vedere Adrian così» dissi.

«I suoi stati d’animo vanno e vengono. È sempre stato così». Jill aveva uno sguardo

perso. «Ha smesso di bere per un po’... per me. Ma lo ha solo portato a... beh, è difficile

da spiegare. Sai che lo spirito fa impazzire le persone? Quando è così giù di morale ed

è sobrio, è più vulnerabile».

«Stai dicendo che Adrian sta impazzendo?» Non era un problema che avevo

previsto.

«No, non proprio». Serrò le labbra mentre pensava. «A volte è sperduto… strano.

Capirai quando lo vedrai. A volte dice cose sensate e a volte no. Gli viene quest’aria

sognante e parla senza sosta. Ma non come faccio io. È come, non lo so, un sentimento

mistico. Ma non magico. È come se per un attimo… perdesse la testa. Non dura molto

ma, ripeto, capirai quando lo vedrai».

«Penso di aver...» un ricordo inaspettato mi passò per la mente, di prima che Sonya

e Dimitri arrivassero. Ero stata da Adrian e mi aveva guardata in modo strano, come se

mi stesse guardando per la prima volta. Mi saliva un brivido solo a ripensarci.

Mio Dio, Sage. I tuoi occhi. Perché non li ho mai notati? Il colore… come oro fuso.

Potrei dipingerli…

«Ragazze?» la signora Weathers era seduta alla scrivania e stava chiudendo tutto.

«Dovete andare nelle vostre camere».

Obbedimmo e ci spostammo verso le scale. Quando raggiungemmo il piano di Jill,

la fermai prima che se ne andasse. «Ehi... se il problema non è Adrian, a cosa pensavi

quando sei entrata? Tutto ok?»

«Cosa? Ah, quello». Arrossì in un modo che mi fece tenerezza. «Sì. Credo. Non lo

so. Micah… beh, mi ha baciata stasera. Per la prima volta. E credo di essere rimasta

sorpresa da ciò che ho provato».

Mi meravigliavo di come non si fossero baciati prima e supposi di doverne essere

grata. Le sue parole mi riecheggiarono nella testa. «Cosa vuoi dire? Non è stato bello

come credevi? Come se stessi semplicemente toccando le labbra di qualcuno? Come

se stessi baciando un parente?»

Mi guardò in modo perplesso. «No. È da pazzi. Perché lo pensi?»

«Curiosità.» Mi sentii sciocca. Perché invece per me era stato così?

«È stato bello, in realtà». Tornò su di lei quello sguardo perso. «Beh, quasi. Non ho

potuto metterci troppo entusiasmo, perché ero preoccupata di fargli male con le zanne.

È facile nasconderle mentre parli e sorridi. Ma non mentre baci. Riuscivo solo a pensare

“Cosa gli dico, se se ne accorge?” E poi ho pensato a quello che avete detto tu e gli

altri. Che questa faccenda con Micah non è una buona idea e che non posso resistergli

in eterno. Mi piace. Mi piace un sacco. Ma non tanto da esporre i Moroi… o mettere

in pericolo Lissa».

«É un comportamento nobile».

«Credo di sì. Non voglio ancora rompere con lui, comunque. Micah è così dolce…

e adoro gli amici che ho conosciuto grazie a lui. Vedremo che succede… ma è difficile.

Questo episodio è stato un campanello d’allarme». Sembrò molto triste quando entrò

in camera sua.

Mentre andavo in camera mia, mi sentivo triste per Jill… ma allo stesso tempo

sollevata. L’avevo stressata per il suo appuntamento casuale con Micah, preoccupata

che avremmo vissuto delle situazioni melodrammatiche in cui lei si sarebbe rifiutata di

lasciare lui, perché il loro amore era troppo grande e andava al di là delle loro razze.

Invece, avrei dovuto avere più fiducia in lei. Non era così immatura come pensavo. Jill

stava scoprendo la verità e l’avrebbe risolta da sola.

Le sue parole su Adrian mi rimasero impresse, in particolar modo quando passai a

prenderlo la sera dopo per la nostra prima lezione di autodifesa. Entrò nella mia

macchina molto allegro, non sembrava depresso o pazzo. Notai che si era vestito molto

bene, in abiti che sarebbero stati eccellenti per fare visita a suo padre. Anche lui notò

il mio abbigliamento.

«Wow. Non penso di averti mai vista così… casual». Avevo dei pantaloni da yoga

verde oliva e una maglietta Amberwood.

«Nella descrizione del corso c’era scritto di indossare un abbigliamento comodo…

e prima te l’ho anche scritto». Diedi uno sguardo eloquente alla sua camicia di seta.

«Questo è molto comodo» mi assicurò. «E poi, non ho altri abiti comodi».

Dopo aver ripreso a guidare, notai la mano sinistra di Adrian. All’inizio, pensavo

stesse sanguinando. Poi, mi accorsi che era pittura rossa.

«Stai di nuovo dipingendo» dissi. «Pensavo avessi smesso».

«Sì, beh, non si possono prendere lezioni di pittura e poi non dipingere, Sage».

«Pensavo avessi smesso anche con le lezioni».

Mi guardò di traverso. «Quasi. Ma poi mi sono ricordato di aver convinto una

ragazza del fatto che se mi avesse dato la possibilità di iscrivermi alle lezioni, poi le

avrei seguite. Mi è servito da lezione».

Sorrisi inoltrandomi nel traffico.

Ero partita un po’ prima, per cui io e Adrian avemmo il tempo di occuparci della

nostra iscrizione. Quando chiamai la Scuola di Difesa Wolfe quel giorno, un uomo

agitato mi disse di presentarmi con i soldi visto che ci eravamo decisi tardi. L’indirizzo

era fuori città, un residence molto grande, intorno al quale nessuno si era minimamente

preoccupato di far crescere alberi e fare un po’ di ombra in quel clima torrido. Il deserto

prevaleva ancora e dava un aspetto tetro e desolato a quella casa. Se non fosse stato per

la scritta WOLFE sulla cassetta delle lettere, avrei pensato di aver sbagliato posto. Ci

parcheggiammo sulla ghiaia, dove non c’era nessun’altra macchina, e ci guardammo

intorno.

«È il tipo di posti che si vedono nei film» disse Adrian. «Dove le persone sbadate si

imbattono in serial killer».

«Almeno fuori c’è ancora luce» dissi. Sin dall’episodio del vicolo, l’oscurità era

diventata una minaccia completamente diversa per me. «Non può essere poi così

male».

Adrian aprì la portiera della macchina. «Scopriamolo».

Suonammo al campanello e sentimmo subito latrati e rumore di zampettio. Mi feci

indietro. «Odio i cani male addestrati» borbottai ad Adrian. «Devono sapersi

comportare bene e stare in riga».

«Come le persone che hanno a che fare con te, vero?» chiese Adrian.

La porta si aprì e incontrammo un uomo brizzolato, sulla cinquantina. Aveva dei

bermuda e una maglietta dei Lynyrd Skynyrd. In più, aveva una benda sull’occhio.

«È incredibile» sentii mormorare Adrian. «Questo va oltre ogni mia

immaginazione».

Ero sorpresa. La benda mi fece pensare all’occhio di vetro di Keith, che a sua volta

mi fece pensare al mio ruolo nel comprarlo. Non era un ricordo piacevole e mi chiesi

quante altre possibilità ci fossero di incontrare un altro uomo con un occhio solo.

L’uomo spinse il branco di cani da una parte – sembravano essere degli incroci con

Chihuahua – e riuscì a stento ad uscire e chiudere la porta senza farli uscire.

«Sì?» chiese.

«Siamo venuti per la lezione. La lezione di autodifesa». Sentii il bisogno di

specificare, nel caso insegnasse anche ad addestrare cani o cavalcare le onde. «Sono

Sydney, lui è Adrian. Ho chiamato questa mattina».

«Ah, giusto, giusto». Si grattò la barba. «Avete i soldi? Solo contanti».

Contai centocinquanta dollari e glieli porsi. Per abitudine stavo quasi per chiedergli

lo scontrino, ma poi cambiai idea. Mise i soldi in una tasca dei pantaloni.

«Bene» disse. «Siete ammessi. Andate avanti e aspettate in garage finché gli altri

non arrivano. La porta laterale è aperta». Fece un gesto verso un grande edificio

industriale, grande due volte la casa, in fondo al lotto. Senza nemmeno aspettare per

vedere se gli avessimo obbedito, tornò dentro dai cani che abbaiavano.

Fui sollevata nel vedere che l’interno del garage era la prima cosa che sembrasse

avere un minimo di credibilità. C’erano tappetini puliti sul pavimento e specchi su

alcune delle pareti. Su un carrello c’erano una televisione e un videoregistratore,

insieme a delle cassette sulla difesa coperte di polvere. Un po’ più sconcertanti erano

alcune decorazioni: sembravano un paio di nunchuck che pendevano dal soffitto.

«Non toccarli!» avvertii Adrian, vedendolo avvicinarsi. «Non è il tipo di persona

con cui vorresti avere dei guai in caso di danni».

Adrian ritirò le mani. «Pensi che impareremo ad usarli?»

«Le armi non erano nella descrizione del corso. Sarà autodifesa basilare e corpo a

corpo».

«Perché ci siamo presi tutto questo disturbo allora?» Adrian si avvicinò ad una

vetrina con vari tipi di tirapugni d’ottone. «Questo è il tipo di cose che Castile fa tutto

il giorno. Avrebbe potuto insegnarcele lui».

«Volevo una persona un po’ più alla mano» spiegai.

«Uno come quel tizio, Capitan Pantaloncini-Tropicali? E dove diavolo l’hai trovato,

comunque?»

«Ho fatto solo una ricerca su internet». Sentendo il bisogno di difendere la mia

ricerca, aggiunsi «È fortemente consigliato».

«Da chi? Long John Silver?» Mio malgrado, risi.

Il resto della classe arrivò nella mezz’ora successiva. C’era una donna che sembrava

avere settant’anni. Un’altra era una madre che aveva appena avuto il suo quarto figlio

e aveva deciso di voler “imparare a proteggerli”. Le ultime due donne avevano tra i

venti e i trent’anni e indossavano magliette con ferventi slogan sul potere delle donne.

Io e Adrian eravamo i più giovani del gruppo. Lui era l’unico uomo, ad eccezione

dell’istruttore, che ci chiese di chiamarlo semplicemente Wolfe.

Iniziavo ad avere un brutto presentimento sul corso, in particolare quando iniziò.

Noi sei ci sedemmo sul pavimento, mentre Wolfe si appoggiò ad uno degli specchi

guardandoci dall’alto. «Se siete qui» iniziò, «probabilmente volete imparare subito ad

usare questi». Indicò i nunchuck.

Osservai la faccia di Adrian nello specchio. La sua espressione diceva Sì, è

esattamente ciò che voglio imparare.

«Beh, è un peccato» disse Wolfe. «Non li userete mai. Non in questo corso almeno.

Oh, hanno la loro utilità, credetemi. Mi hanno salvato il culo più di una volta quando

andavo a caccia con l’arco in Alaska qualche anno fa. Ma se farete attenzione a quello

che vi dirò, non avrete mai bisogno di usarli, visto che qui a Palm Springs non abbiamo

problemi di alci incazzate».

La neomamma alzò la mano. «Ha usato i nunchuck per cacciare alci?»

Wolfe aveva uno sguardo spettrale negli occhi. «Ho usato qualsiasi cosa per cacciare

quelle bastarde. Ma questo non è il luogo o il momento di parlarne. Perché il punto è

questo. Con un po’ di buonsenso, non avrete bisogno di armi. O pugni. Tu».

Con mia sorpresa, Wolfe mi lanciò un’occhiata e mi fissò con il suo occhio di

ghiaccio. «Cosa ti ho detto di fare quando sei arrivata?»

Deglutii. «Di darle i soldi, signore».

«E dopo di quello?»

«Ci ha detto di venire ad aspettare qui».

Annuì soddisfatto, quindi apparentemente le mie risposte ovvie gli erano piaciute.

«Siamo a due miglia di distanza da qualsiasi altra casa e circa a un miglio dalla strada

principale. Non mi conosci e, ammettiamolo, questo posto sembra uscito da un film su

un serial killer». Con la coda dell’occhio mi accorsi che Adrian mi rivolse uno sguardo

trionfante. «Ti ho fatta venire in un edificio remoto praticamente senza finestre. Sei

entrata. Ti sei guardata intorno mentre entravi? Hai controllato i dintorni prima di

entrare? Hai cercato le uscite?»

«Io...»

«No, ovviamente non l’hai fatto» mi interruppe. «Nessuno lo fa mai. E questa è la

prima regola dell’autodifesa. Non dare niente per scontato. Non bisogna vivere nella

paura, ma sapere cosa c’è intorno a noi. Essere intelligenti. Non andare alla cieca in

vicoli bui o parcheggi». E da lì in poi fui rapita dalle sue parole.

Wolfe, sorprendentemente, era ben preparato. Sapeva un sacco di storie, fece

qualche esempio di attacchi e improvvisamente ricordai quella frase: sono gli uomini

ad essere tra le più feroci creature là fuori, non i vampiri. Ci mostrò foto e planimetrie

di vari posti pericolosi, soffermandosi sui vari punti deboli e dandoci consigli piuttosto

pratici che avrebbero dovuto essere ovvi alla maggior parte delle persone, ma non lo

erano affatto. Più parlava, più mi sentivo stupida per quello che era successo con Sonya.

Se quei ragazzi volevano davvero attaccare Sonya, un modo l’avrebbero trovato

comunque. Ma c’erano un milione di cose che avrei potuto fare per essere più cauta e

forse evitare lo scontro che c’era stato quella notte. Quell’idea si scoprì essere una parte

fondamentale della filosofia di Wolfe: prima di tutto, evitare i pericoli.

Anche quando finalmente iniziò a parlare di alcune delle mosse di base, enfatizzò

quelle da usare per scappare… non quelle per stare lì ad attaccare l’assalitore e

mandarlo al tappeto. Ci fece mettere in pratica alcune mosse nell’ultima mezz’ora della

lezione, facendoci lavorare a coppie con un manichino, per evitare che nessuno si

facesse male.

«Grazie a Dio» disse Adrian, quando iniziammo a far pratica. Io ero in coppia con

lui. «Pensavo di ritrovarmi in un corso di combattimento in cui avrei imparato a non

combattere».

«Ma ha ragione» dissi. «Se puoi evitare lo scontro è molto meglio».

«Ma se non puoi?» chiese Adrian. «Come con i tuoi amici spadaccini? Cosa fai

quando ti ritrovi nei guai?»

Colpii il manichino imbottito senza faccia. «Siamo qui per imparare proprio questo».

La mossa principale di Wolfe quel giorno era come liberarsi dalla presa di qualcuno

da dietro. Aveva un paio di tecniche non molto più complesse di una testata o di un

colpo di piedi. Adrian e io facemmo a turno l’assalitore mentre la vittima si esercitava

nella mossa… a rallentatore e senza quasi alcun contatto con il partner. A quello

servivano i manichini. Ero circa una dozzina di centimetri più bassa di Adrian e

sembravo molto poco plausibile che potessi essere io l’assalitore, perciò ridemmo

entrambi ogni volta che facevo una mossa. Wolfe ci rimproverò per mancanza di

serietà, ma comunque ci diede voti alti per aver imparato le tecniche.

Questo mi fece sentire un po’ altezzosa, tanto che quando Adrian si voltò per

prendere una bottiglia d’acqua, mi avvicinai di soppiatto alle sue spalle e lo strinsi con

le braccia, bloccandogli le sue. Wolfe ci aveva mostrato come liberarsi da quel tipo di

presa e, onestamente, pensavo che Adrian mi avesse vista arrivare abbastanza in tempo

da scivolare via prima che io lo toccassi. Apparentemente no. Si immobilizzò e, per un

momento, il tempo parve fermarsi. Sentivo la seta della sua camicia contro la mia pelle

e il calore del suo corpo. Il persistente profumo della sua costosa acqua di colonia che

mi avvolgeva. Niente odore di fumo quella volta. Gli avevo sempre detto che non

valeva la pena spendere così tanto per quel profumo, ma improvvisamente, ci ripensai.

Era incredibile.

Ero così pervasa da quel sovraccarico sensoriale che mi colse completamente alla

sprovvista quando davvero mi spinse via.

«Cosa stai facendo?» esclamò. Pensavo che sarebbe rimasto impressionato dal mio

attacco furtivo, ma non leggevo né approvazione né umorismo sul suo viso. Smisi di

sorridere anch’io.

«Controllo se sai reagire ad un attacco a sorpresa». Il mio tono di voce era esitante.

Non sapevo in cosa avessi sbagliato. Sembrava a disagio. Quasi arrabbiato. «Cosa c’è

che non va?»

«Niente» disse burbero. Per un momento i suoi occhi si fermarono su di me e mi

guardarono con un’intensità tale da lasciarmi senza fiato. Poi, distolse lo sguardo, quasi

come se non sopportasse di guardarmi. Mi sentii più confusa che mai. «Non avrei mai

pensato di vederti gettare le braccia intorno a un vam... a qualcuno come me».

Quasi non avevo notato che stava per dire quella parola in pubblico. Solo poco dopo

capii cos’aveva detto. Aveva ragione. L’avevo toccato senza nemmeno pensarci… e

non era solo una formale stretta di mano ad un Moroi, come quelle di sempre. Certo,

era nel contesto del nostro corso, ma sapevo che non avrei mai fatto una cosa del genere

fino a qualche mese prima. Toccarlo adesso mi era sembrato perfettamente naturale.

Era per questo che era arrabbiato? Era preoccupato per me e gli Alchimisti?

Wolfe ci passò vicino. «Bel lavoro, ragazza». Diede ad Adrian una bella pacca sulla

spalla digrignando i denti. «Non eri per niente preparato al suo arrivo».

Questo sembrò affliggere ancora di più Adrian e avrei potuto giurare di sentirgli

mormorare «È una cosa dannatamente certa».

Un po’ della spavalderia di Adrian tornò durante il viaggio verso casa, ma era ancora

calmo e pensieroso. Provai di nuovo a capire il perché del suo cambiamento di umore.

«Hai bisogno di fermarti da Clarence per il sangue?» Magari la lezione l’aveva

stancato.

«Naaa» disse. «Non voglio farti fare tardi. Ma magari... magari puoi passare questo

fine settimana, così possiamo andarci in gruppo?»

«Ho il ballo sabato» dissi in tono di scuse. «E penso che Sonya porti Jill da Clarence

domani dopo la scuola. Magari può venire a prendere anche te».

«Immagino di sì» disse. Sembrava deluso, ma un giorno non era un’attesa così lunga

per il sangue. Forse aveva paura che Sonya l’avrebbe reclutato di nuovo per gli

esperimenti… il che non sarebbe stata una brutta cosa, pensai. Improvvisamente, si

raddrizzò dalla sua posa scomposta. «A proposito di Sonya... stavo pensando a una

cosa prima. Una cosa che ha detto Wolfe».

«Perché, Adrian, tu quindi stavi prestando attenzione?»

«Non iniziare, Sage» mi avvisò. «Wolfe è pazzo e lo sai. Ma quando ci stava dicendo

tutte quelle perle di saggezza, ha detto anche qualcosa sul non dare informazioni

personali agli sconosciuti e su come le vittime spesso vengano tenute d’occhio prima

degli attacchi. Te lo ricordi?»

«Sì, ero lì» dissi. «Circa un’ora fa».

«Giusto, ecco. Quei ragazzi che hanno attaccato te e Sonya sembravano sapere che

lei fosse un vampiro… del tipo sbagliato, ma comunque sapevano che era un vampiro.

Il fatto che si siano presentati armati di spada implica che avessero fatto qualche

ricerca. Voglio dire, è possibile che l’avessero semplicemente notata per strada un

giorno e fossero tipo “Ooh, un vampiro”. Ma forse l’hanno tenuta d’occhio per un po’».

Notata per strada... Sussultai mentre un milione di pezzi andavano a congiungersi

nella mia mente. «Adrian, sei un genio».

Sobbalzò sorpreso. «Aspetta. Cosa?»

«La settimana prima dell’attacco. Io e Sonya eravamo andate a cena e siamo state

fermate da un ragazzo sconosciuto che diceva di averla conosciuta in Kentucky. Lei si

è allarmata parecchio, perché era stata uno Strigoi tutto il tempo quando si era trovata

lì e, ovviamente, non usciva molto con gli umani in quel periodo».

Adrian rimuginò sulla cosa per qualche secondo. «Quindi... stai dicendo che l’hanno

davvero tenuta d’occhio per un po’ di tempo».

«In realtà, sei tu che lo stai dicendo».

«Giusto. Perché sono un genio». Restammo ancor di più in silenzio mentre

consideravamo tutta la situazione di Sonya. Quando Adrian parlò di nuovo, il suo tono

non era più tanto leggero.

«Sage... ieri sera. Non hai voluto ammettere la verità di ciò che ho detto sui cacciatori

di vampiri».

«Gli Alchimisti non hanno nessuna prova dell’esistenza di cacciatori di vampiri

moderni» dissi automaticamente. «Mio padre una volta disse che, occasionalmente, ci

sono umani che scoprono la verità. Ho pensato che l’attacco a Sonya fosse una cosa

del genere… non qualche grande gruppo o cospirazione organizzata».

«Ma per caso è possibile che, in qualche modo, da qualche parte, gli Alchimisti si

siano persi qualcosa? E cosa intendi per “moderni”, esattamente?»

La storia degli Alchimisti mi era stata inculcata quasi come la filosofia che

governava le nostre azioni. «Molto tempo fa... tipo, nel Medioevo... quando gli

Alchimisti si stavano formando, c’erano un sacco di fazioni con idee diverse su come

occuparsi dei vampiri. Nessuno riteneva che gli umani dovessero associarsi a loro.

Quelli che successivamente formarono il mio gruppo decisero che il modo migliore

fosse lavorare con i Moroi quel tanto che bastava a tenerli separati dagli umani. Ma

altri decisero di agire in modo diverso. Pensavano che il miglior modo per mantenere

liberi gli umani fosse sterminare i vampiri con ogni mezzo possibile». Mi stavo

affidando nuovamente ai fatti, la mia vecchia armatura. Se avessi evitato di ragionare

sull’argomento, non avrei dovuto ammettere cosa avrebbe significato l’effettiva

presenza di persone che cacciavano attivamente Moroi.

«A me sembrano proprio cacciatori di vampiri» puntualizzò Adrian.

«Sì, ma non ebbero successo. C’erano semplicemente troppi vampiri, Moroi e

Strigoi e un gruppo come quello non avrebbe mai potuto eliminarli tutti. Le ultime

testimonianze che abbiamo di loro risalgono, beh, direi al Rinascimento. Quei

cacciatori si sono estinti». Perfino io percepivo l’incertezza nella mia voce.

«Hai detto che la spada aveva simboli alchemici».

«Quelli antichi».

«Antichi abbastanza da risalire all’epoca in cui si era creata quella fazione?»

Sospirai. «Sì. Abbastanza».

Volevo chiudere gli occhi e sprofondare nel sedile. Sulla mia armatura

cominciavano a formarsi delle crepe. Non ero ancora del tutto sicura di poter accettare

l’idea dei cacciatori di vampiri, ma non potevo più escludere la loro esistenza.

Vidi con la coda dell’occhio che Adrian continuava a studiarmi. «Perché sospiri?»

«Perché sono tutte cose che avrei dovuto capire prima».

Sembrò davvero compiaciuto della mia ammissione. «Beh, non credi nei cacciatori

di vampiri. È difficile considerarli davvero una reale minaccia quando lavori in un

mondo di fatti e dati, eh? Ma allora... come sono riusciti a stare alla larga dai vostri

radar per così tanto tempo?»

Dopo che Adrian mi aveva suggerito tutte quelle cose, la mia mente stava già

macchinando l’idea.

«Perché uccidono solo Strigoi… sempre che questi cacciatori esistano. Se un

qualche gruppo stesse cercando di eliminare Moroi, la tua gente se ne sarebbe accorta.

Gli Strigoi non sono organizzati allo stesso modo e, anche se l’avessero notato, di

sicuro non ci avrebbero segnalato le uccisioni. In più, gli Strigoi vengono uccisi in

continuazione da Moroi e dhampir. La morte di qualche Strigoi verrebbe imputata

direttamente a voi… sempre che se ne trovino i resti. Lascia uno Strigoi fuori al sole e

non saprai mai neppure che c’è stato». Provai un po’ di sollievo dopo aver tratto quelle

conclusioni. Se davvero esisteva un gruppo del genere, non poteva uccidere Moroi. Ma

dare la caccia agli Strigoi era pericoloso. Solo gli Alchimisti erano in grado di occuparsi

dei cadaveri di quei demoni, nascondendoli agli occhi dei comuni mortali.

«Puoi chiedere ad altri Alchimisti qualcosa sui cacciatori?» chiese Adrian.

«No, non ancora. Potrei cercare alcune testimonianze, ma non potrei mai portare alla

luce questa cosa ufficialmente. Si rifarebbero alla teoria di mio padre… ovvero che

questo fosse solo qualche strano gruppo casuale di umani. Mi riderebbero in faccia».

«Sai chi non ti riderebbe in faccia?»

«Clarence» dicemmo entrambi all’unisono.

«Non è una conversazione che vedo l’ora di avere» dissi stancamente. «Ma

dopotutto potrebbe davvero saperne qualcosa. E tutta la sua paranoia potrebbe

ripagarci. Tutta quella sicurezza a casa? Se questo gruppo davvero ha intenzione di

dare la caccia a Sonya, allora potrebbe essere più in pericolo di quanto pensassimo».

«Dobbiamo dirlo a Belikov. È eccellente quando si parla di protezione. Non dormirà

nemmeno, se lo convinciamo che è nei guai… cosa molto probabile dopo l’attacco

degli spadaccini». Notai che era la prima volta che Adrian avesse mai parlato di Dimitri

senza rancore. Anzi, le parole e gli elogi di Adrian sembravano legittimi. Credeva

davvero nell’abilità di Dimitri. Ma non gli comunicai quel pensiero. Se Adrian stava

iniziando a superare il suo disprezzo per Dimitri, la cosa doveva avvenire gradualmente

e senza “aiuti” dall’esterno.

Feci scendere Adrian e concordammo di sentirci più tardi. Quando tornai ad

Amberwood, venni immediatamente fermata dalla signora Weathers. Che era

successo? Già mi preparavo alla notizia che Angeline avesse appiccato fuoco a

qualcosa. Invece, la faccia della signora Weathers sembrava calma, perfino cordiale, e

osai sperare in qualcosa di meglio.

«Sono arrivate delle cose per te, cara» disse. Da un armadietto dietro la sua scrivania

tirò fuori due grucce con indumenti protetti da guaine con la zip. «Una donna piccola

ed energica ti ha lasciato questi».

«Lia». Presi le grucce, chiedendomi cosa ci avrei trovato dentro. «Grazie».

Feci per allontanarmi, ma la signora Weathers parlò di nuovo. «Un’altra cosa. Anche

la signorina Terwilliger ha lasciato qualcosa per te».

Tentai di mantenere un’espressione neutrale. Ero già sommersa dagli ultimi compiti

assegnati dalla signorina Terwilliger. Che voleva ancora? La signora Weathers mi

allungò una grande busta in cui sembrava ci fosse un libro. Sul lato anteriore c’era

scritto in modo quasi illeggibile: Non è un compito per casa. Forse ti piacerà.

Ringraziai di nuovo la signora Weathers e portai il bottino su nella mia stanza. Dopo

aver lasciato i vestiti sul letto senza nemmeno aprirli, strappai subito la busta. C’era

qualcosa nel suo appunto che non mi faceva stare tranquilla.

Non fui propriamente sorpresa di vedere che si trattava di un altro libro di

incantesimi. Ciò che mi sorprese fu che, a differenza degli altri che mi aveva dato prima

e che avevo letto attentamente, questo era nuovo. Moderno. Non c’era il nome

dell’editore, quindi probabilmente era un lavoro indipendente, ma era stato

chiaramente stampato e rilegato negli ultimi anni. Questa cosa mi sorprese. Non avevo

mai chiesto alla signorina Terwilliger dei suoi compagni di magia e dei loro stili di vita,

ma avevo sempre pensato che leggessero quei vecchi volumi polverosi che lei mi aveva

fatto tradurre e copiare. Il fatto che studiassero anche sui loro stessi libri, nuovi e

aggiornati non mi era mai passato per la mente… anche se avrebbe dovuto.

Ma non era quello il momento di biasimare me stessa, non dopo aver letto il titolo

del libro. Il Pugnale Invisibile: Incantesimi Pratici per Attacco e Difesa. Sfogliando le

pagine, vidi che gli incantesimi erano esattamente quelli che aveva suggerito il titolo,

ma scritti in un modo più moderno di quello a cui ero abituata di solito. Ne venivano

citati origini, tempi e luoghi. Erano incantesimi che variavano continuamente, ma ciò

che non variava era la loro efficienza. Erano tutti incantesimi da lanciare in poco tempo

o da fare in anticipo per ottenere effetti distruttivi immediati, come l’incantesimo del

fuoco.

Erano esattamente il tipo di incantesimi che avevo chiesto alla signorina Terwilliger.

Arrabbiata, infilai di nuovo il libro nella busta. Come si permetteva di provare a

convincermi in quel modo? Pensava che questo sarebbe bastato a sistemare tutto quello

che mi aveva fatto passare? La signora Weathers doveva essere ancora di sotto e mi

venne una mezza idea di riportarle il libro dicendole che mi era stato inviato per errore.

Oppure avrei potuto semplicemente lasciarlo sulla scrivania della signorina Terwilliger

la mattina dopo. Desiderai di non averlo aperto. Un “rinvio al mittente” senza

nemmeno aprire la busta sarebbe stato una dichiarazione decisamente forte del fatto

che non mi avrebbe trascinata nella sua cerchia di maghi semplicemente grazie ad un

argomento interessante.

La signora Weathers, però, sapeva del mio rapporto con la signorina Terwilliger e

avrebbe potuto semplicemente dirmi di riportarglielo l’indomani, se avessi cercato di

restituirlo quella stessa sera. Perciò avrei dovuto aspettare l’indomani. Mi consolai

richiudendolo con un po’ di nastro adesivo. Non avrei potuto non farle notare che avevo

aperto la busta, ma avrei provato una sensazione psicologicamente rassicurante

richiudendola.

Tuttavia, quando iniziai a srotolare il nastro, la mia mente tornò al pomeriggio con

Adrian e Wolfe. Wolfe mi aveva un po’ rassicurata ricordando di continuo che la

maggior parte degli attacchi erano casuali ed erano causati dalla disattenzione della

vittima. Forte di quella consapevolezza e del fatto che sapessi cosa cercare, mi sentii

più potente. Wolfe aveva parlato solo il breve dei tipi di attacchi di natura più

premeditata o personale, perché chiaramente non erano quelli sui quali voleva porre

l’attenzione.

Ciononostante, mi riportarono alla mente la discussione avuta con Adrian. E se ci

fosse stato del vero nelle storie di Clarence? E se i cacciatori di vampiri fossero esistiti

sul serio? Sapevamo tutti che l’attacco a Sonya non era stato casuale, ma se davvero

avesse avuto a che fare con una fazione esistente sin dal Medioevo... beh, era tutta

un’altra storia. Le mie paure e anche quelle di Adrian si sarebbero rivelate fondate.

Probabilmente sarebbero tornati per darle la caccia. Nemmeno se avessimo evitato

parcheggi isolati o passeggiate in pubblico, si sarebbero fermati.

Tornai a guardare la busta e decisi di non chiuderla ancora.

CAPITOLO 13 Traduzione: Ella

Pre-Revisione: Claude

IL GIORNO DEL BALLO, considerai seriamente di tornare al negozio di costumi e

comprare il vestito bianco infiammabile.

Il vestito di Lia era… un po’ più di quanto mi aspettassi.

Aveva fatto un buon lavoro nel copiare lo stile chitone indossato nella antica Grecia,

dovevo ammetterlo. L’abito era senza maniche, fissato sulle spalle a formare una

scollatura troppo profonda per farmi sentire a mio agio. L’abito arrivava a terra, ed in

qualche modo aveva azzeccato la mia altezza senza misurami. Qui finiva la

somiglianza storica. Il materiale era una qualche sorta di seta, di tessuto svolazzante

che mi avvolgeva e mostrava la mia figura meglio di quanto ci si sarebbe aspettato da

un vestito del genere. Qualsiasi fosse il materiale, non era nulla che i Greci avrebbero

potuto produtte, ed era… rosso.

Non riuscivo a ricordare l’ultima volta in cui mi fossi vestita di rosso. Forse quando

ero una bambina. Certo, le varianti dell’uniforme della Amberwood a volte

contenevano qualche accenno di borgogna, ma era una sfumatura tenue. Questo era un

brillante rosso fuoco. Non avevo mai indossato colori così accesi. Non mi piacevano

le attenzioni che attiravano. A caricarlo maggiormente c’era la quantità di oro che

aveva inserito nel vestito. Un filo d’oro danzava lungo il bordo del tessuto rosso,

brillando alla luce. Anche la cintura era dorata, e non di quella plastica economica dei

costumi. Le spille che tenevano il vestito erano d’oro (o almeno di qualche metallo di

alta qualità che sembrava oro), così come gli accessori che mi aveva procurato: una

collana e degli orecchini fatti di piccole monete. Mi aveva persino dato un pettine d’oro

con sopra dei piccoli cristalli rossi.

Lo provai nella mia stanza del dormitorio e fissai l’ostentazione di rosso e

brillantezza che ne risultava.

«No» Dissi ad alta voce.

Qualcuno bussò alla mia porta ed io feci una smorfia. Ci avrei messo un’eternità ad

uscire da quel vestito elaborato, così non ebbi scelta e dovetti aprire in costume.

Fortunatamente era Jill. Aprì la bocca per parlare ma poi si immobilizzò in silenzio

quando mi vide.

«Lo so» dissi. «È ridicolo.»

Si riprese dopo pochi secondi. «No… no! È fantastico. Oh mio Dio.»

La spinsi in fretta in camera prima che i nostri compagni potessero vedermi. Anche

lei era vestita per il ballo, in un elegante composizione di un vaporoso materiale celeste

chiaro che era perfetto sulla sua figura pallida di Moroi. «È rosso» le dissi. Nel caso

non fosse ovvio, aggiunsi «Non mi vesto mai di rosso.»

«Lo so» disse, con gli occhi spalancati. «Ma dovresti. Ti sta benissimo. Dovresti

bruciare tutti i tuoi vestiti grigi e marroni.»

Scossi la testa. «Non posso indossare questo abito. Se andiamo adesso, c’è ancora

tempo per andare al negozio di costumi e comprare qualcos’altro.»

Jill mise da parte il suo sbalordimento e assunse un irremovibile e feroce sguardo

che sembrava leggermente esagerato per la situazione. «No. Assolutamente no. Tu

metterai questo. Lascerai il tuo ragazzo a bocca aperta. E dovresti truccarti un po’ di

più, lo so, lo so. Non ti piace nulla di esagerato ma dovresti soltanto scurire l’eyeliner

e mettere un po’ di rossetto. Solo un po’. Devi abbinarlo all’intensità del vestito.»

«Vedi? Questo colore già sta creando problemi.»

Non si arrese. «Ci vorrà un minuto. Ed è tutto quello che abbiamo. Se non partiamo

presto, faremo tardi. Il tuo fidanzato è sempre in anticipo, giusto?»

Non risposi subito. Mi aveva fregata. Brayden era sempre in anticipo, e tanto quanto

mi amareggiasse quel vestito, non potevo sopportare l’idea di farlo aspettare,

specialmente dal momento che non sarebbe potuto entrare al ballo senza uno studente

della Amberwood.

«Va bene» dissi con un sospiro. «Andiamo.»

Jill sorrise trionfante. «Ma prima, il make up.»

Acconsentii al trucco e poi, all’ultimo minuto, aggiunsi la mia collana a crocifisso.

Non c’entrava nulla con il tema e venne istantaneamente ingoiata dai gioielli d’oro più

appariscenti, ma mi fece sentire meglio. Era un pezzo di normalità.

Quando alla fine ce ne andammo, trovammo Eddie che ci aspettava nell’atrio.

Indossava abiti normali, il suo solo accenno ad Halloween era una semplice mezza

maschera bianca che mi ricordava il Fantasma dell’Opera. Fui quasi tentata di

chiedergli se ne avesse un’altra così avrei potuto fare un rapido cambio d’abito e andare

semplicemente mascherata.

Si alzò con un balzo dalla sedia, il suo viso si fece sognante quando vide Jill nella

sua eterea gloria blu. Onestamente, come poteva una persona non notare quanto fosse

pazzo di lei? Era così dolorosamente ovvio. Se la bevve con gli occhi, sembrando sul

punto di svenire. Poi, fece scattare il suo sguardo verso di me ed ebbe una reazione a

scoppio ritardato. La sua espressione non era tanto innamorata quanto esterrefatta.

«Lo so, lo so.» Riuscivo già a vedere lo schema della serata. «È rosso. Non indosso

mai il rosso.»

«Dovresti» disse, facendo eco a Jill. Fece passare lo sguardo tra me e lei poi scosse

la testa. «È un peccato che siamo ‘imparentati’. Vi avrei chiesto di ballare, ragazze.

Visto che mia cugina vuole già uscire con me, suppongo, che non dobbiamo iniziare

altre dicerie.»

«Povera Angeline» disse Jill, mentre ci dirigevamo alla mia macchina. «Voleva

davvero venire.»

«Visto che ci saranno delle casse, probabilmente è meglio che non venga» Dissi.

Eddie si fermò quando ragiungemmo Latte. «Posso guidare? Sento che dovrei essere

un chauffeur stasera. Voi ragazze sembrate delle reali.» Sorrise a Jill. «Beh, tu sei

sempre una reale.» Aprì la portiera posteriore e le fece realmente un inchino. «Dopo di

lei, Milady. Sono qui per servirla.»

Il pratico e stoico Eddie dava raramente così drammaticamente spettacoli, e avrei

potuto dire che prese in contropiede Jill. «Gra…grazie» disse salendo sul sedile

posteriore. La aiutò a infilare la sua lunga gonna nella macchina, e lei lo guardò

meravigliata, come se non lo avesse mai visto prima. Dopo ciò, non riuscii a dire di no

alla sua richiesta e gli diedi le chiavi.

Il ballo di Halloween era stato organizzato in una bellissima sala accanto ad alcuni

giardini botanici. Eddie e io l’avevamo controllato questa settimana così che ne potesse

decidere la sicurezza. Micah avrebbe incontrato Jill lì, anche se per motivi diversi da

quelli per cui Brayden incontrava me lì. Autobus supervisionati avevano portato molti

studenti al ballo. I ragazzi dell’ultimo anno come Eddie e me avevano il permesso di

usare i propri mezzi di trasporto, insieme agli altri membri della famiglia come Jill.

Tecnicamente nessuno avrebbe potuto sapere se Micah l’avrebbe portata via più tardi,

ma, per ora, poteva lasciare il campus solo con la macchina di famiglia.

«Spero di essere pronta per questo» mormorai, non appena entrammo nel

parcheggio. Il vestito mi aveva distratto così tanto da non aver avuto tempo per digerire

l’altra mia preoccupazione: andare ad un ballo. Tutte le mie vecchie ansie sociali

tornarono. Cosa dovevo fare? Cos’era normale in questo posto? Non avevo avuto il

coraggio di chiederlo a nessuno dei miei amici.

«Andrà bene» disse Eddie. «Sia Micah che il tuo ragazzo rimarranno senza parole.»

Mi slacciai la cintura di sicurezza. «È la terza volta che sento “il tuo ragazzo”. Che

problemi avete? Perché nessuno pronuncia il nome di Brayden?»

Nessuno dei due mi rispose subito. Alla fine Jill disse mortificata, «Perché nessuno

di noi riesce a ricordarlo.»

«Oh, per favore! Questo me lo sarei aspettato da Adrian ma non da voi ragazzi. Non

è così strano come nome.»

«No.» Ammise Eddie, «Ma c’è qualcosa di… non so. Di insignificante in lui. Sono

felice se ti rende felice, ma inizio a sintonizzarmi su un’altra frequenza quando parla.»

«Non posso crederci» dissi.

Brayden ci aspettava di fronte all’uscita, senza dubbio era lì da almeno dieci minuti.

Il mio stomaco si agitò mentre mi guardava dalla testa ai piedi. Non commentò,

anche se i suoi occhi si spalancarono un po’. Era un bene o un male? Passai il mio ID

studente per farlo entrare dalla porta, e Jill raggiunse quasi immediatamente Micah. Il

breve bagliore romantico di Eddie scomparve mentre si trasformava in modalità affari.

Un breve sguardo di dolore gli attraversò il viso, sparendo velocemente come era

apparso. Gli toccai il braccio.

«Starai bene?» gli chiesi a bassa voce.

Mi sorrise. «Starò bene. Divertiti.» Si allontanò, mescolandosi presto alla folla di

studenti. Il che mi lasciò sola con Brayden. Il silenzio cadde tra di noi, cosa che non

era rara. A volte ci servivano un po’ di minuti per riscaldarci e riuscire ad avere una

conversazione.

«Quindi» disse, mentre ci addentravamo ulteriormente. «Avete un DJ. Mi chiedevo

se sarebbe stato così o se ci sarebbe stata una band dal vivo.»

«La nostra scuola ha avuto un brutta esperienza con le band dal vivo» dissi, pensando

ad Angeline.

Brayden non fece pressione per i dettagli e invece diede qualche occhiata intorno

alle decorazioni. Ragnatele finte e luci scintillanti erano sparse vicino al soffitto.

Scheletri e streghe di cartone erano appesi alle pareti. Su un tavolo lontano, degli

studenti si accaparravano del punch da un enorme calderone di plastica.

«Fantastico, no?» disse Brayden. «Come una festa pagana dei Celti sia diventata un

evento così commercale.»

Annuii. «Ed una veramente secolare. Beh, a parte il tentativo di unirla a Ognisanti.»

Mi sorrise. Io gli sorrisi di rimando. Eravamo al sicuro in un familiare ambito

accademico.

«Vuoi assaggiare il punch?» chiesi. Risuonava una canzone veloce e con forti bassi,

spingendo molte persone sulla pista da ballo. Ballare velocemente non era il mio stile

in realtà. Non sapevo come l’avrebbe presa Brayden ed ero spaventata all’idea che si

volesse unire a loro.

«Certo» disse, sembrando sollevato di avere un obiettivo. Qualcosa mi diceva che

Brayden aveva partecipato a tanti balli quanti me: nessuno.

Il punch ci fornì un motivo per discurere dello zucchero contro i dolcificanti

artificiali, ma il mio cuore non era preso da quel discorso. Ero troppo preoccupata per

qualcos’altro. Brayden non aveva detto una parola riguardo il mio vestito, e questo mi

riempiva di ansia. Ne era rimasto sopreso quanto me? Stava trattenendo educatamente

i suoi veri pensieri? Difficilmente potevo pretendere dei complimenti se non ne facevo,

così decisi di buttarmi.

«Il tuo costume è fantastico» dissi. «Viene dalla compagnia teatrale, vero?»

«Sì.» Abbassò lo sguardo e lisciò le pieghe della sua tunica. «Non totalmente

accurato, certo, ma può andare.» La tunica arrivava all’altezza ginocchio, pinzata su

una spalla e fatta di una lana, bianca molto brillante. Sopra aveva una mantellina di

lana tinta di marrone che si addiceva al periodo. Anche con la mantella, buona parte

delle sue braccia e del petto erano scoperte, mostrando un corpo da corridore con una

struttura muscolare molto delicata. Avevo sempre pensato che fosse carino, ma fino a

questo momento non avevo realizzato che potesse essere sexy. Mi aspettavo che

scatenasse una sensazione forte in me, ma non successe.

Aspettava che dicessi qualcosa. «Nemmeno il mio è totalmente, um, accurato.»

Brayden studiò l’abito rosso con occhio molto clinico. «No» Acconsentì. «Per

niente. Beh, il taglio non è poi così lontano, suppongo.» Pensò per qualche altro

secondo. «Ma continuo a pensare che sia molto carino su di te.»

Mi rilassai leggermente. Detto da lui, “molto carino” era un gran complimento.

Nonostante avesse molto da dire riguardo tutti gli argomenti, era parsimonioso con le

parole quando si trattava di emozioni. Non mi sarei dovuta aspettare niente di più di

una semplice affermazione dei fatti, perciò questo era un grande affare.

«Whoa, Melbourne. Dove ti eri nascosta?» Trey si avvicinò a noi e iniziò a riempire

generosamente una tazza con del punch verde fluorescente. «Sembri cazzuta. E sexy.»

Scoccò a Brayden uno sguardo di scuse. «Non prenderla male. Dico solo la verità.»

«Capito» disse Brayden. Non potei trattenere un sorriso. Trey si era comportato in

modo strano intorno a me negli ultimi giorni, era carino vederlo tornare ai vecchi modi.

Trey mi diede un altro sguardo d’ammirazione e poi si voltò di nuovo verso Brayden.

«Ehi, guarda. Entrambi abbiamo optato per le toghe. I Romani regnano!» Alzò una

mano per battere il cinque a Brayden ma lui non lo capì.

«Questo è un chitone greco» spiegò pazientemente. Studiò la toga fatta in casa di

Trey, che sembrava sospettosamente fatta con un lenzuolo. «Quella, um, no.»

«Greci, Romani» Trey fece spallucce. «Che differenza fa?»

Brayden aprì la bocca, e sapevo che stava per spiegare esattamente quale fosse la

differenza. Mi intromisi velocemente. «La tua ti sta bene» Dissi a Trey. «Sembra che

tutte quelle ore di pesi abbiano dato i loro frutti, e finalmente riesco a vedere il

tatuaggio.»

Come quella di Brayden, la tunica di Trey era drappeggiata su una spalla, dando uno

scorcio della parte bassa della sua schiena.

Trey, come la metà della scuola, aveva un tatuaggio. Ma a differenza degli altri, il

suo non faceva parte di quelli che erano stati molto popolari tra gli studenti, fatti con

dubbio sangue di vampiro, e che producevano stati di sballamento. Quello di Trey era

un sole con ampi raggi stilizzati. Era stato fatto nel normale inchiostro per tatuaggi blu

scuro. Eddie me ne aveva parlato, ma non lo avevo mai visto prima, dato che Trey non

andava in giro a torso nudo di fronte a me. Un po’ dell’entusiasmo di Trey si oscurò, e

lui si voltò leggermente, tenendo lontano da noi la sua schiena. «È un po’ banale

rispetto al tuo. A proposito, sono felice di vederlo di nuovo fuori.»

Mi toccai distrattamente la guancia. Di solito coprivo il giglio dorato con il trucco a

scuola. Ma immaginavo che lì al ballo avrei potuto affermare che faceva parte del

costume se qualche professore mi avesse ripreso per il codice di abbigliamento.

Un’altra canzone veloce passò, e Trey tornò a brillare. «È il momento di mostrare le

mie mosse. Voi ragazzi venite? O supervisionerete il punch tutta la sera?»

«Non mi piacciono molto i balli veloci» disse Brayden. Quasi mi afflosciai per il

sollievo.

«Nemmeno a me» dissi. Trey ci lanciò un sorriso mesto prima di andarsene. «Non

ne sono sorpreso.»

Brayden e io passammo buona parte della serata accanto al punch, effettivamente,

continuando la nostra conversazione sulle origini di Halloween e l’enorme

soggiogamento delle feste pagane. I miei amici capitarono lì occasionalmente, e Kristin

e Julia in particolare non riuscivano a smettere di ammirare il mio vestito. Abbastanza

spesso, riuscii anche scoccare un’occhiata a Eddie che pattugliava la folla,

silenziosamente e segretamente. Sarebbe addirittura potuto essere un fantasma. Era

quasi sempre abbastanza vicino da tenere d’occhio Jill e Micah ma concentrandosi sulla

modalità da guardiano sembrava essersi salvato dal desiderarla troppo.

Brayden ed io smettemmo di parlare quando alla fine passò un lento. Ci

irriggidimmo e poi ci scambiammo uno sguardo, sapendo cosa stava per succedere.

«Okay» disse. «Non potevamo evitarlo ancora a lungo.»

Scoppiai subito a ridere e lui mi rispose con un leggero sorriso. Anche lui era

perfettamente consapevole della nostra inettitudine sociale. In qualche modo, ciò era

confortante. «Adesso o mai più» concordai.

Ci incamminammo verso la pista da ballo, unendoci alle altre coppie strette negli

abbracci. Chiamare ciò che molti di loro stavano facendo “ballare” era una sorta di

forzatura. La maggior parte si limitava a dondolarsi rigidamente e girare in tondo.

Pochi semplicemente approfittavano dell’occasione per strusciarsi ovunque tra di loro

e pomiciare. Che venivano rapidamente separati dagli chaperones.

Afferrai stretta una mano di Brayden mentre lui poggiava l’altra sul mio fianco. A

parte il bacio, questo era probabilmente il contatto più intimo che avevamo avuto fin

ora. C’erano ancora pochi millimetri tra di noi, ma non potei fare a meno di essere

sopraffatta dal cambiamento dei confini del miei spazio personale. Ricordai a me stessa

che mi piaceva e che mi fidavo di Brayden e che non c’era niente di strano. Come

sempre, non mi sentivo circondara da cuori e arcobaleni, ma non mi sentivo nemmeno

intimidita. Sforzandomi di spostare i miei pensieri dalla nostra vicinanza, ascoltai la

canzone e subito riuscii a prenderne il ritmo.

Dopo un minuto di canzone, Brayden si accorse di ciò che stavo facendo.

«Tu… Tu sai ballare» disse con stupore.

Lo guardai sorpresa. «Certo.» Stavo a malapena spazzando tutto il pavimento di

qualche grande sala da ballo di valzer, ma tutti i miei movimenti erano scanditi dal

ritmo della canzone. Non potevo neanche immaginare in che altro modo si potesse

ballare. Brayden, nel frattempo, si discostava di un solo passo dai rigidi movimenti

della maggior parte delle altre coppie. «Non è difficile» aggiunsi. «È quasi qualcosa di

matematico.»

Una volta che la misi in questi termini, Brayden salì a bordo. Imparò velocemente e

teneva il ritmo con me. Presto, sembrava che avessimo preso lezioni di danza da

sempre. Ancor più sorprendente, gli lanciai un’occhiata una volta, aspettandomi di

vederlo concentrato a contare. Invece, mi stava guardando con uno sguardo delicato…

Persino affettuoso. Arrossendo mi voltai.

Sorprendentemente, l’odore di caffè gli rimaneva attaccato, anche se non aveva

lavorato oggi. Forse nessuna quantità di doccie avrebbe potuto mandar via quel

profumo. Eppure, per quanto amassi l’Eau de Caffè, mi sorpresi a pensare a come

profumasse la colonia di Adrian durante la lezione da Wolfe.

Quando la prossima canzone veloce iniziò, Brayden ed io ci prendemmo una pausa,

e lui si scusò per andare a parlare con il DJ. Quando tornò, si rifiutò di spiegare la sua

commissione misteriosa, ma sembrava decisamente compiaciuto di se stesso. Presto

seguì un altro lento, e tornammo dritti alla pista da ballo.

E per una volta, la conversazione tra di noi si fermò. Bastava semplicemente ballare

per un po’. Questo è ciò che significa condurre una vita semplice, pensai. Questo è ciò

che le persone della mia età fanno. Niente grandi macchinazioni, o lotte tra il bene e…

«Sidney?»

Jill era in piedi dietro di noi, un’espressione preoccupata sul volto. I miei allarmi

interni subito cominciarono a suonare, chiedendosi cosa avesse causato un così

repentino cambiamento dal suo comportamento felice e senza pensieri di prima.

«Cosa c’è che non va?» chiesi. La mia prima paura fu per Adrian, che avesse sentito

qualcosa attraverso il legame. Spinsi via il pensiero. Avevo bisogno di preoccuparmi

degli assassini Moroi, non del suo benessere.

Jill non disse nulla ma semplicemente fece un cenno verso il tavolo del punch, quasi

esattamente dove poco prima eravamo io e Brayden. Trey era tornato e parlava

animatamente con una ragazza con una maschera Veneziana. La maschera era

bellissima, di un blu ghiaccio, decorata con foglie e fiori d’argento. La maschera era

anche familiare. Jill l’aveva indossata alla sfilata di Lia e le avevano permesso di

tenerla. Familiare allo stesso modo era l’outfit della ragazza, una camicia logora e dei

pantaloncini di jeans strappati.

«No» dissi, riconoscendo i lunghi capelli biondo fragola. «Angeline. Come è

entrata? Non importa.» C’erano molte persone con cui sarebbe potuta sgattaiolare qui.

Probabilmente gli chaperones non l’avevano notata sulla navetta. «Dobbiamo farla

uscire di qui. Se la scoprono, sarà sicuramente espulsa.»

«La maschera copre i suoi lineamenti» sottolineò Jill, «Magari nessuno la noterà.»

«Mrs Weathers lo farà» dissi sospirando. «Quella donna ha un sesto senso per… oh.

Troppo tardi.»

Mrs Weathers stava facendo la chaperone dall’altra parte della stanza, ma i suoi

occhi da aquila non si perdevano nulla. Sbirciando attraverso l’affollata pista da ballo,

la vidi iniziare a dirigersi verso il punch. Non pensavo che fosse sicura si trattasse di

Angeline, ma di sicuro i suoi sospetti erano sorti.

«Cosa c’è che non va?» Chiese Brayden, facendo rimbalzare lo sguardo tra me e Jill.

Senza dubbio avevamo entrambe espressioni di sgomento riflesse.

«Nostra cugina sta per cacciarsi in un grosso guaio» dissi.

«Dobbiamo fare qualcosa.» Gli occhi di Jill erano spalancati e in ansia. «Dobbiamo

portarla fuori di qui.»

«Come?» Esclamai.

Mrs Weathers aveva raggiunto il tavolo del rinfresco, proprio mentre Trey e

Angeline si stavano dirigendo verso la pista da ballo. La vidi andare verso di loro, ma

Mrs Weathers non arrivò molto lontano perché la ciotola del punch esplose

improvvisamente.

Beh, non proprio la ciotola. Ma il punch dentro esplose, schizzando fuori in una

spettacolare doccia di liquido verde. Ci furono urla dalle varie persone che vennero

spruzzate, ma fu Mrs Weathers ad essere maggiormente colpita.

Sentii Brayden inspirare con forza. «Come diavolo è potuto accadere? Deve…

Sidney?»

Urlai e indietreggiai di qualche passo, sapendo esattamente cosa aveva causato

l’esplosione della ciotola.

Brayden attribuì la mia reazione alla paura di essere ferita. «Va tutto bene» disse.

«Siamo troppo lontani perché i vetri ci raggiungano.»

Immediatamente, lanciai uno sguardo a Jill. Lei mi diede una piccola e impotente

scrollata di spalle come a dire beh, cos’altro avrei dovuto fare? La mia solita reazione

alla magia Moroi era paura e disgusto. Stasera, c’erano anche shock e stupore. Non

avevamo bisogno di attirare l’attenzione su di noi. Certamente, nessuno sapeva o

avrebbe potuto immaginare che Jill aveva usato la magia dell’acqua per creare la

distrazione del punch, ma non importava. Non volevo che nessuna diceria di strani e

inspiegabili fenomeni trapelasse dalla Amberwood. Avevamo bisogno di tenere un

basso profilo.

«State bene?» Eddie era improvvisamente comparso al nostro fianco, o piuttosto al

fianco di Jill. «Cosa è successo?» Non aveva nemmeno guardato il punch. La sua

attenzione era tutta su Jill, e proprio come poco prima, incredibilmente lei sembrò

accorgersene. Brayden fu l’unico a rispondere, i suoi occhi accesi da curiosità

intellettuale mentre gli insegnanti si precipitavano e provavano a ripulire il casino.

«Una sorta di reazione chimica, se dovessi indovinare. Qualcosa di semplice come

usare della soda bollente. O forse qualche tipo di congegno meccanico?»

Scoccai a Eddie uno sguardo tagliente. «Era uno scherzo» dissi. «Chiunque avrebbe

potuto farlo.»

Eddie mi guardò e poi si voltò verso Jill. Annuì lentamente. «Capisco. Dovemmo

portarti fuori di qui» le disse. «Non possiamo mai sapere cosa…»

«No, no» dissi. «Dobbiamo portare Angeline fuori di qui.»

«Angeline?» Sul viso di Eddie si dipinse incredulità. «Ma come…?»

Lo direzionai verso dove lei stava con Trey sulla pista da ballo. Loro, come molti

altri, stavano fissando le conseguenze dell’esplosione del punch con meraviglia. «Non

so come sia arrivata fin qui» dissi. «È irrilevante. Deve andarsene. Mrs Weather l’ha

quasi beccata.»

Un luccichio consapevole balenò negli occhi di Eddie. «Ma il punch l’ha distratta?»

«Sì.»

La sua attenzione tornò su Jill, e sorrise. «Tempismo perfetto.»

Lei sorrise di rimando. «Credo che abbiamo avuto fortuna questa volta.» I loro

sguardi si incrociarono, ed era quasi un peccato interromperli. «Andiamo» dissi a

Eddie. «Prendiamo Angeline.»

Gettò un ultimo sguardo a Jill e subito entrò in azione. Non riuscivo a sentire la

conversazione mentre parlava con Angeline e Trey, ma lo sguardo sulla sua faccia non

accettava discussioni. Potei vedere Trey piegarsi all’autorità famigliare, e dopo qualche

altro scambio, alla fine Angeline si arrese. Eddie la scortò fuori velocemente e, con

mio sollievo, né Mrs Weathers né nessun’altro sembrò accorgersene.

«Jill» dissi. «Sarebbe meglio se tu e Micah ve ne andaste presto. Non proprio in

questo secondo… ma presto.»

Jill annuì con uno sguardo triste. «Ho capito.»

Anche se nessuno avrebbe collegato lei a quanto accaduto, era meglio se non fosse

stata nei paraggi. Già potevo vedere delle persone radunarsi al tavolo e, come Brayden,

cercare di capire cosa avesse potuto causare un tale fenomeno. Svanì tra la folla. Alla

fine Brayden distolse lo sguardo dallo spettacolo. Cominciò a dirmi qualcosa e poi

improvvisamente fece scattare la sua testa verso il DJ.

«Oh no» disse con espressione desolata.

«Cosa?» chiesi, quasi aspettandomi che il tavolo del DJ collassasse o che una cassa

prendesse fuoco.

«Questa canzone. L’ho chiesta per te… ma è quasi finita.»

Inclinai la testa per ascoltare. Non conoscevo la canzone, ma era lenta e romantica e

mi faceva sentire… beh, quasi in colpa. Ecco, un gesto sentimentale da Brayden

rovinato dai miei stravaganti affari “di famiglia.” Gli persi la mano.

«Beh, ancora non è finita. Andiamo.»

Riuscimmo a ballare per l’ultimo minuto della canzone, ma era chiaro che Brayden

fosse deluso. Volevo tirargli su il morale in qualche modo e, nonostante tutto ciò che

era successo, continuare ad avere la normale esperienza di ballo delle scuole superiori

che volevo.

«La notte è giovane» lo punzecchiai. «Andrò a chiederne una per te e poi puoi

provare ad indovinarla quando verrà suonata.» Considerando che non ascoltavo la

radio, non sarebbe dovuto essere così difficile indovinare. Feci la richiesta e poi

raggiunsi Brayden per un’altra canzone lenta. Ero ancora un po’ in ansia per ciò che

era successo prima ma mi dissi che tutto andava bene adesso. Jill se ne era andata.

Eddie si stava prendendo cura di Angeline. Tutto ciò che dovevo fare era rilassarmi

e…

Una vibrazione mi sorprese mentre ballavo. Indossavo un vestito rosso e stretto

pinzato sulle mie spalle. Era perso nelle pieghe del mio abito, ma il ronzio del mio

cellulare era inconfondibile. Scusandomi con Brayden, smisi di ballare per controllare

il messaggio. Era di Adrian: Dobbiamo parlare.

Perfetto, pensai mentre il mio cuore affondava. Questa serata potrebbe essere più

disastrosa?

Gli risposi: Sono occupata.

La sua risposta: Sarò breve. Sono lì vicino.

Una sensazione di terrore strisciò su di me: Quanto vicino?

La sua risposta fu tanto terribile quanto mi aspettavo: Nel parcheggio.

CAPITOLO 14 Traduzione: Juicy_Cloud

Pre-Revisione: Medea Knight

«Oh, Dio», dissi.

«Cosa c’è?» chiese Brayden. «Va tutto bene?»

«Difficile da dire». Rimisi il cellulare in borsa. «Odio doverlo fare, ma devo andare

a occuparmi di una cosa fuori. Ritornerò il prima possibile».

«Vuoi che venga con te?»

Esitai. «No, è tutto ok». Non avevo idea di cosa mi aspettasse. Era meglio che

Brayden ne restasse fuori. «Farò in fretta».

«Sydney, aspetta». Brayden mi aveva afferrato il braccio. «Questa… questa è la

canzone che avevi richiesto, non è così?» Quella sulla quale stavamo ballando era

appena finita e ne era iniziata una nuova… o, meglio, una vecchia. Di circa trent’anni.

Sospirai. «Sì. Lo è. Farò in fretta, lo prometto».

La temperatura fuori era piacevole, calda ma non afosa. Era prevista un po’ di rara

pioggia. Mentre camminavo verso il parcheggio alcune lezioni di Wolfe mi tornarono

in mente. Controlla i paraggi. Fa’ attenzione a eventuali persone che si aggirano vicino

alle macchine. Rimani alla luce. Assicurati di…

«Adrian!»

Tutti i pensieri razionali scomparirono dalla mia mente. Adrian era sdraiato sulla

mia macchina.

Corsi verso Caffellatte più veloce che potei con quel vestito. «Cosa stai facendo?»

gli chiesi. «Scendi di lì!» Controllai automaticamente se ci fossero ammaccature e

graffi.

Aggiungendo al danno la beffa, Adrian stava fumando sdraiato sul cofano mentre

guardava il cielo. Le nuvole si muovevano, ma ogni tanto si vedeva la luna a metà.

«Rilassati, Sage, non lascerò neanche un graffio. Davvero, è davvero comoda per

essere un’auto familiare. Mi sarei aspettato…»

Si voltò verso di me e si bloccò. Non lo avevo mai visto così immobile… o

silenzioso. La sua sorpresa fu così intensa e totale che lasciò cadere la sigaretta.

«Ahh», mi lamentai, scattando in avanti per paura che la sigaretta accesa potesse

danneggiare la macchina. Atterrò senza far danni sull’asfalto e la pestai subito. «Per

l’ultima volta, vuoi scendere da lì?»

Adrian si mise a sedere lentamente, con gli occhi spalancati. Scivolò dal cofano,

apparentemente senza lasciare segni. Ovviamente avrei dovuto controllare dopo.

«Sage» disse. «Cosa stai indossando?»

Io sospirai e guardai il mio vestito. «Lo so. È rosso. Non iniziare. Sono stanca di

sentirmelo dire».

«Buffo» disse. «Io credo che non potrei mai stancarmi di guardarlo».

Quelle parole mi sorpresero e mi attraversò un’ondata di calore. Cosa voleva dire?

Sembravo così strana che non riusciva a smettere di fissarmi, come fossi uno spettacolo

da baraccone? Sicuramente… sicuramente non intendeva dire che ero carina…

Mi ripresi prontamente, ricordando a me stessa che dovevo pensare al ragazzo

dentro, non a quello lì fuori. «Adrian, sono ad un appuntamento. Perché sei qui? Sulla

mia macchina?»

«Mi dispiace interrompere, Sage. Non mi sarei messo sulla tua macchina se mi

avessero permesso di entrare al ballo» disse. Un po’ del suo stupore precedente era

svanito e si era rilassato in una delle sue pose più tipiche, appoggiandosi a Caffellatte.

Almeno era in piedi e aveva meno probabilità di fare danni.

«Già. Di solito non lasciano entrare ragazzi di più di vent’anni agli eventi scolastici.

Cosa volevi?»

«Parlarti».

Aspettai che elaborasse qualcosa, ma l’unica risposta che ricevetti fu un breve lampo

dal cielo. Era sabato ed ero stata tutto il giorno in giro per il campus, avrebbe potuto

semplicemente chiamarmi. Sapeva che il ballo era quella sera. Eppure, inalando l’odore

di alcool che lo circondava, sapevo che niente di quello che aveva fatto avrebbe dovuto

sorprendermi quella sera.

«Domani non ti stava bene?» gli chiesi. «Dovevi per forza venire qui stasera e…»

aggrottai le sopracciglia e mi guardai intorno. «Ma come hai fatto ad arrivare qui?»

«Ho preso l’autobus», disse, quasi orgogliosamente. «Molto più facile arrivare qui

che a Carlton». Lui seguiva delle lezioni di arte al Carlton College e, senza un mezzo

di trasporto proprio, aveva dovuto fare affidamento ai mezzi di trasporto pubblici…

una cosa che non aveva mai fatto in vita sua.

Speravo che Sonya o Dimitri lo avessero accompagnato… voleva dire che lo

avrebbero anche riportato a casa. Ma ovviamente non sarebbe successo. Nessuno dei

due avrebbe portato qui Adrian, ubriaco. «Allora immagino che ti dovrò riportare a

casa io» dissi.

«Ehi, sono arrivato qui da solo. Posso anche ritornare da solo». Stava per prendere

una sigaretta ma io scossi severamente la testa.

«Non lo fare» dissi, secca. Lui mise via il pacchetto scrollando le spalle. «E devo

riportarti io a casa. Presto ci sarà un temporale. Non ti farò camminare sotto la pioggia».

Un altro fulmine enfatizzò le mie parole ed una leggera brezza fece muovere il mio

vestito.

«Ehi» lui disse, «non voglio crearti prob…»

«Sydney?» Brayden si era avvicinato al parcheggio a grandi passi. «Va tutto bene?»

No, non proprio. «Dovrò assentarmi per un po’» dissi. «Devo dare un passaggio a

casa a mio fratello. Potresti aspettare? Non dovrei metterci molto». Mi sentii in colpa

a quel pensiero. Brayden non conosceva nessuno della mia scuola. «Forse potresti

cercare Trey?»

«Sicuro» disse Brayden, incerto. «Oppure potrei venire con te».

«No» risposi velocemente, pensando che farlo stare in macchina con Adrian ubriaco

non fosse saggio. «Torna dentro e divertiti».

«Bella toga» disse Adrian a Brayden.

«È un chitone» disse Brayden. «È greco».

«Giusto. Avevo dimenticato che era il tema di questa sera». Adrian gettò uno

sguardo indagatore a Brayden, guardò me e poi ritornò su Brayden. «Allora. Cosa ne

pensi del completo di stasera della nostra ragazza? Meraviglioso, eh? Come

Cenerentola. O forse una Cenerentola greca».

«In verità, non è molto greco» disse Brayden. Io sussultai. Sapevo che non voleva

fare la parte dell’insensibile, ma le sue parole avevano fatto un po’ male. «Il vestito è

storicamente impreciso. Voglio dire, è un vestito bellissimo, ma i gioielli sono

anacronistici e il tessuto non è di certo quello utilizzato dalle donne greche. E neanche

quel colore».

«E le altre donne greche?» chiese Adrian. «Quelle appariscenti e intelligenti». La

sua fronte si corrucciò, come se stesse utilizzando ogni minima parte del suo cervello

per ricordare la parola che voleva. E, con mia grande sorpresa, lo fece. «Le etere».

Onestamente, credevo che non avesse memorizzato nulla della nostra conversazione a

San Diego. Cercai di non sorridere.

«Le etere?» Brayden era anche più meravigliato di me. Mi guardò incuriosito. «Sì…

sì. Suppongo… se un tessuto del genere fosse stato ipoteticamente possibile in

quell’era… sarebbe stato più probabilmente addosso ad un’etera, piuttosto che a una

comune matrona greca».

«E loro erano prostitute, giusto?» chiese Adrian. «Queste etere, intendo».

«Alcune lo erano» concordò Brayden. «Non tutte. Credo che il termine consueto

fosse cortigiana».

Adrian era completamente impassibile. «Quindi. Stai dicendo che mia sorella è

vestita come una prostituta».

Brayden guardò il mio vestito. «Beh, sì, se stiamo ancora parlando

ipoteticamente…»

«Sapete cosa?» li interruppi. «Dobbiamo andare. Inizierà a piovere da un momento

all’altro. Porto Adrian a casa e ritorno qui, ok?» Rifiutai di lasciare che Adrian

continuasse a giocare quel suo gioco per tormentare Brayden… e, di conseguenza, me.

«Ti mando un messaggio quando sto per ritornare».

«Va bene» disse Brayden, in modo incerto.

Lui se ne andò e, mentre iniziavo ad entrare in macchina, notai Adrian che cercava

di aprire lo sportello del passeggero senza alcun successo. Sospirando lo raggiunsi e

l’aprii per lui. «Sei più ubriaco di quanto pensassi» dissi. «E credevo che fossi molto

ubriaco».

Lui riuscì a sedersi ed io tornai dal mio lato proprio mentre la pioggia iniziava a

cadere sul parabrezza. «Troppo ubriaco perché Bocconcino se ne accorga» disse. «Il

legame è intorpidito. Può avere una serata libera da Adrian».

«È stato molto premuroso da parte tua» dissi. «Ma immagino che non sia questo il

vero motivo per cui ti sia attaccato alla bottiglia. O per il quale tu sia venuto qui. Per

quello che ne so, tutto ciò che sei riuscito a fare è stato infastidire Brayden».

«Ti ha dato della prostituta!»

«Non è vero! Lo hai provocato tu».

Adrian si passò una mano fra i capelli e si appoggiò al finestrino, guardando la

tempesta che peggiorava rapidamente. «Non importa. Ho deciso che non mi piace».

«Perché è troppo intelligente?» chiesi. Avevo ricordato i commenti precedenti di Jill

ed Eddie. «E trascurabile?»

«Nah. Credo solo che tu possa fare di meglio».

«Come?»

Adrian non aveva una risposta e io dovetti ignorarlo per un po’ per fare attenzione

alla strada. I temporali a Palm Spring, anche se rari, potevano diventare forti e

impetuosi. Gli allagamenti non erano insoliti e in quel momento stava diluviando,

ostacolando la visuale. Per fortuna Adrian non viveva molto lontano. Era un doppio

miracolo, perché quando ci trovammo ad un paio di isolati di distanza dal suo

appartamento lui disse: «Non mi sento molto bene».

«No», mi lamentai. «Per favore, ti prego, non vomitare nella mia auto. Siamo quasi

arrivati». Circa un minuto dopo mi fermai di fronte casa sua. «Fuori. Adesso».

Lui obbedì ed io lo seguii con un ombrello per me. Dandomi un’occhiata mentre ci

dirigevamo verso il palazzo lui mi chiese: «Viviamo in un deserto e tu tieni un ombrello

in macchina?»

«Certo. Perché non dovrei?»

Lasciò cadere le chiavi e io le raccolsi, ritenendo che avrei fatto prima ad aprire la

porta io stessa. Cercai di accendere l’interruttore più vicino… e non successe niente.

Rimanemmo lì per un attimo, insieme nell’oscurità e nessuno dei due si muoveva.

«Ho delle candele in cucina» disse Adrian, muovendo qualche passo incerto verso

quella direzione. «Ne accendo qualcuna».

«No», ordinai, immaginando l’intero palazzo prendere fuoco. «Sdraiati sul divano.

O vomita in bagno. Mi occupo io delle candele».

Optò per il divano, apparentemente non tanto nauseato quanto temeva. Nel frattempo

io avevo trovato le candele… terribilmente rinfrescanti e che odoravano di pino. In

ogni caso facevano luce e ne portai una da lui, insieme ad un bicchiere d’acqua.

«Ecco. Bevi questa».

Lui prese il bicchiere e riuscì a restare seduto giusto il tempo di mandare giù un paio

di sorsi. Dopo mi restituì il bicchiere e si lasciò cadere di nuovo sul divano,

appoggiandosi un braccio sugli occhi. Io presi una sedia lì vicino e mi sedetti. Le

candele al pino gettavano una luce fragile e tremolante tra di noi. «Grazie, Sage».

«Starai bene se me ne vado?» chiesi. «Sono certa che la corrente tornerà di nuovo

domani mattina».

Lui non rispose alla mia domanda. Invece disse «Lo sai, non bevo solo per

ubriacarmi. Voglio dire, in parte sì. Gran parte. Ma a volte l’alcool è l’unica cosa che

mi tiene lucido».

«Non ha senso. Tieni» lo sollecitai porgendogli di nuovo l’acqua. Mentre lo facevo,

gettai un’occhiata all’orologio sul mio cellulare, in ansia per Brayden. «Bevi ancora un

po’».

Adrian lo fece e continuò a parlare, con il braccio di nuovo sugli occhi. «Sai cosa si

prova a sentirsi come se qualcosa ti stesse mangiando il cervello?»

Stavo per dirgli che dovevo andarmene, ma le sue parole mi lasciarono di stucco.

Ricordai che Jill aveva detto qualcosa di simile quando mi stava parlando di lui e dello

spirito. «No» dissi onestamente. «Non so cosa si prova… ma per me, beh, è quasi

sicuramente una delle cose più terrificanti che possa immaginare. La mia mente è… è

quello che sono. Credo che preferirei soffrire per qualsiasi altra ferita al mondo

piuttosto che perdere la testa».

Non potevo lasciare Adrian in quel momento. Proprio non potevo. Mandai un

messaggio a Brayden: Ci vorrà un po’ più di quanto pensassi.

«È terrificante» disse Adrian. «E strano, per mancanza di una parola migliore. E

parte di te sa… beh, parte di te sa che c’è qualcosa che non va. Che quello che pensi

non va bene. Ma cosa puoi farci? Tutto ciò su cui possiamo fare affidamento è quello

che pensiamo, come vediamo il mondo. Se non puoi fidarti della tua mente, di cosa

puoi fidarti? Di quello che ti dice la gente?»

«Non lo so», dissi, in mancanza di una risposta migliore. Le sue parole mi colpirono

e mi fecero pensare a quanto la mia vita fosse stata dettata dalle decisioni degli altri.

«Una volta Rose mi ha parlato di una poesia che ha letto. C’era questo verso, “Se i

tuoi occhi non fossero aperti, non sapresti la differenza tra sogno e realtà”. Sai di cosa

ho paura? Che un giorno, anche con gli occhi aperti, io non lo saprò».

«Oh, Adrian, no». Sentii il mio cuore spezzarsi e mi sedetti sul pavimento, vicino al

divano. «Non succederà».

Lui sospirò. «Almeno con l’alcool… lo spirito si calma e so che se le cose mi

sembrano strane è probabilmente perché sono ubriaco. Non è una ragione così valida,

ma è pur sempre una ragione, no? Almeno hai davvero un motivo invece di non fidarti

di te stesso».

Brayden rispose al messaggio: Quanto tempo? Irritata, risposi: Quindici minuti.

Tornai a guardare Adrian. Il suo viso era ancora coperto, anche se la candela

illuminava perfettamente i lineamenti del suo viso. «È… è per questo che hai bevuto

stasera? Lo spirito ti sta dando problemi? Voglio dire… Sembravi stare così bene

l’altro giorno…»

Sospirò profondamente. «No. Lo spirito è a posto… per quanto possa mai esserlo.

In realtà stasera ho bevuto perché… beh, era l’unico modo per convincermi a parlarti».

«Noi parliamo sempre».

«Ho bisogno di sapere una cosa, Sage». Scoprì il viso per guardarmi ed io realizzai

solo allora quanto fossi vicina. Per un attimo quasi non prestai attenzione alle sue

parole. La danza tremolante tra luce e ombra dava al suo già bell’aspetto una bellezza

ammaliante. «Hai fatto in modo che Lissa parlasse con mio padre?»

«Cosa? Oh. Quello. Aspetta un attimo». Presi il cellulare e mandai un altro

messaggio a Brayden: Facciamo trenta minuti.

«So che qualcuno gliel’ha chiesto» continuò Adrian. «Voglio dire, io piaccio a Lissa,

ma lei ha un sacco di cose da fare. Non avrebbe pensato di punto in bianco “Oh, ehi.

Dovrei chiamare Nathan Ivashkov e dirgli quanto sia fantastico suo figlio”. L’hai

convinta tu a farlo».

«In realtà io non le ho mai parlato», dissi. Non mi ero assolutamente pentita delle

mie azioni, ma era strano vederle mettere in discussione. «Ma io, ehm, potrei aver

chiesto a Sonya e Dimitri di parlarle per conto tuo».

«E lei ha parlato con mio padre».

«Qualcosa del genere».

«Lo sapevo» disse. Non riuscivo a valutare se il suo tono di voce fosse sconvolto o

sollevato. «Sapevo che qualcuno l’avesse indotta e in qualche modo sapevo che eri

stata tu. Nessun altro l’avrebbe fatto per me. Non sono sicuro di cosa gli abbia detto

Lissa, ma, ehi, deve averlo davvero persuaso. Era molto impressionato. Mi manderà

dei soldi per una macchina. E mi aumenterà di nuovo la paga a dei livelli ragionevoli».

«È una buona cosa» dissi. «No?»

Il mio cellulare si illuminò all’arrivo di un altro messaggio di Brayden. Per quell’ora

il ballo sarà finito.

«Ma perché?» chiese Adrian. Si sedette sul pavimento a fianco a me. Aveva un

aspetto quasi sconvolto. Si avvicinò a me e subito dopo sembrò stupirsi realizzando

quel che stava facendo. Si allontanò un po’… ma solo un po’. «Perché l’hai fatto?

Perché l’hai fatto per me?»

Prima che potessi rispondere mi arrivò un altro messaggio. Riuscirai a tornare in

tempo? Non potevo fare a meno di essere infastidita dalla poca comprensione. Senza

pensare risposi: Forse dovresti andartene. Ti chiamo domani. Scusa. Capovolsi il

cellulare così da non vedere altri eventuali messaggi. Mi voltai di nuovo verso Adrian,

che mi stava guardando intensamente.

«L’ho fatto perché lui non era giusto con te. Perché ti meriti rispetto per quello che

hai fatto. Perché lui deve rendersi conto che non sei la persona che ha sempre pensato

tu fossi. Deve vederti per quello che sei, non per tutte le idee e pregiudizi che si è fatto

su di te». La forza dello sguardo di Adrian era così potente che continuai a parlare.

Avevo paura di affrontare quello sguardo in silenzio. Inoltre, una parte di me aveva

paura che se avessi ponderato troppo le mie parole, mi sarei ritrovata a parlare allo

stesso modo di mio padre e me come di Adrian e suo padre. «Sarebbe stato sufficiente

per te dirgli chi sei, mostrargli chi sei, ma non ha voluto ascoltare. Non mi piace l’idea

di usare gli altri per fare ciò che possiamo fare da soli, ma questo sembrava l’unico

modo».

«Beh» disse infine Adrian. «Immagino abbia funzionato. Grazie».

«Ti ha detto come metterti in contatto con tua madre?»

«No. A quanto pare il suo orgoglio verso di me non arrivava a tanto».

«Probabilmente potrei riuscire a scoprire dov’è» dissi. «Oppure… oppure potrebbe

farlo Dimitri, ne sono certa. Come hai già detto, di sicuro le faranno arrivare le lettere».

Lui quasi sorrise. «Eccoti di nuovo. Perché? Perché continui ad aiutarmi?»

Avevo un milione di risposte sulle labbra, tutto da È la cosa giusta da fare a Non lo

so. Invece dissi «Perché lo voglio fare».

Questa volta ottenni un vero sorriso, ma c’era qualcosa di oscuro ed introspettivo.

Si avvicinò di nuovo a me. «Perché ti dispiace per questo ragazzo pazzo?»

«Non diventerai pazzo» dissi fermamente. «Sei più forte di quanto pensi. La

prossima volta che ti senti così trova qualcosa su cui concentrarti, per ricordarti chi

sei».

«Tipo? Hai in mente qualche oggetto magico?»

«Non deve essere magico» dissi. Spremetti le meningi. «Ecco». Slacciai la collana

con la croce d’oro. «Questa è sempre andata bene per me. Forse ti aiuterà». Gliela misi

in mano, ma lui afferrò la mia prima che potessi ritrarla.

«Che cos’è?» chiese. La guardò più da vicino. «Aspetta… L’ho già vista questa. La

indossi sempre».

«L’ho comprata molto tempo fa in Germania».

Continuava a tenermi la mano mentre osservava la croce. «Niente fronzoli, nessuna

decorazione, nessun simbolo segreto inciso».

«Per questo mi piace» gli dissi. «Non ha bisogno di decorazioni. Molte vecchie

credenze degli Alchimisti si concentravano sulla purezza e sulla semplicità. E questa è

proprio così. Forse ti aiuterà a rischiarare la mente».

Stava fissando la croce ma poi sollevò lo sguardo per incontrare il mio.

Un’emozione che non riuscivo a distinguere apparve sul suo viso. Era come se

avesse appena scoperto qualcosa, qualcosa che lo disturbava. Fece un respiro profondo

e, continuando a stringermi la mano, mi tirò verso di lui. I suoi occhi verdi erano scuri

alla luce della candela, ma in qualche modo sempre affascinanti. Le sue dita si

intrecciarono alle mie e mi sentii avvolgere dal calore.

«Sage…»

L’elettricità tornò improvvisamente, inondando di luce la stanza. A quanto pareva,

quando era uscito aveva lasciato tutte le luci accese senza preoccuparsi della bolletta.

L’incantesimo era spezzato ed entrambi trasalimmo per l’improvvisa luminosità.

Adrian scattò via da me lasciando la croce nella mia mano.

«Non hai un ballo, un coprifuoco o qualcosa del genere?» chiese bruscamente, senza

guardarmi. «Non voglio trattenerti. Diavolo, non avrei dovuto disturbarti proprio.

Scusami. Presumo che quello che ti mandava messaggi fosse Aiden?»

«Brayden» dissi, alzandomi. «E non fa nulla. Lui se n’è andato e ora me ne torno ad

Amberwood».

«Scusa» ripeté, dirigendosi verso la porta con me. «Mi dispiace averti rovinato la

serata».

«Per questo?» Mi misi quasi a ridere pensando a tutte le cose contro le quali

combattevo nella mia vita. «No. Ci vorrebbe molto di più per rovinarmi la serata». Feci

qualche passo e poi mi fermai. «Adrian?»

Finalmente mi guardò in faccia, ancora una volta quasi colpendomi con il suo

sguardo. «Sì?»

«La prossima volta… la prossima volta che vuoi parlarmi di qualcosa… qualsiasi

cosa… non devi bere per prendere coraggio. Dimmelo e basta».

«Più facile a dirsi che a farsi».

«Non proprio». Cercai di andarmene di nuovo e, questa volta, mi fermò lui

posandomi una mano sulla spalla.

«Sage?»

Mi voltai. «Sì?»

«Sai perché lui non mi piace? Brayden?» Ero così stupita dal fatto che avesse

indovinato il nome che non riuscii a dare voce a nessuna risposta, anche se me ne erano

venute molte in mente. «Per quello che ha detto».

«Quale parte?» Dato che Brayden aveva detto molte cose, e molto dettagliate, non

era molto chiaro a cosa si stesse riferendo Adrian.

«Storicamente impreciso». Adrian mi indicò con l’altra mano, quella che non era

sulla mia spalla. «Chi diavolo potrebbe guardarti e dire “storicamente impreciso”?»

«Beh», dissi. «Tecnicamente lo è».

«Non avrebbe dovuto dirlo».

Mi spostai, sapendo che avrei dovuto andarmene… ma non lo feci. «Senti, è fatto

così».

«Non avrebbe dovuto dirlo» ripeté Adrian, inspiegabilmente serio. Avvicinò il suo

viso al mio. «Non mi interessa se non è un tipo emotivo, lusinghiero o altro. Nessuno

può guardarti con indosso questo vestito, tra tutte quelle fiamme e oro, e iniziare a

parlare di anacronismi. Se fossi stato in lui avrei detto “Sei la creatura più bella che

abbia mai visto camminare su questa terra”».

Mi si bloccò il respiro, sia per le parole che per il modo in cui le aveva dette. Mi

sentivo strana. Non sapevo cosa pensare, tranne che dovevo andarmene da lì, via da

Adrian, via da quello che non capivo. Mi liberai dalla sua presa e mi sorpresi a tremare.

«Sei ancora ubriaco» dissi, afferrando il pomello della porta.

Lui piegò la testa di lato, guardandomi ancora nello stesso modo sconcertante. «Ci

sono cose sia da ubriachi che da sobri. Tu dovresti saperlo. Tu lavori sempre con i

fatti».

«Sì, ma questo non è…» Non potevo discutere con lui mentre mi guardava a quel

modo. «Devo andare. Aspetta… non hai preso la croce». Gliela porsi.

Lui scosse la testa. «Tienila tu. Credo che ci sia un’altra cosa che mi aiuta a dare un

centro alla mia vita».

CAPITOLO 15 Traduzione: Alecs

Pre-Revisione: Juls

Ero così dispiaciuta per Brayden che il giorno dopo l’avevo addirittura chiamato,

diversamente dai nostri soliti scambi di messaggi e mail.

«Mi dispiace tanto», dissi. «Di solito non scappo in quel modo. Per niente. Non me

ne sarei andata se non si fosse trattato di un’emergenza familiare». Forse stavo

esagerando. Forse no.

«Nessun problema», disse lui. Senza vedere la sua faccia, non potevo capire se fosse

veramente tutto okay. «Suppongo che le cose stessero comunque finendo».

Mi domandavo a quali “cose” si riferisse. Parlava del ballo? Oppure di noi due?

«Lascia che ti porti fuori per rimediare al danno», dissi. «Fai sempre tutto tu. Me ne

occuperò io, tanto per cambiare. Ti offrirò la cena, e ti passerò anche a prendere».

«Con la Subaru?»

Ignorai il suo tono diffidente. «Ci stai o no?»

Ci stava. Ci mettemmo d’accordo sugli aspetti necessari e io riattaccai sentendomi

meglio. Brayden non era arrabbiato. La visita di Adrian non aveva rovinato la mia

nuova relazione. Le cose tornarono normali – almeno per me.

Rimasi sola il giorno dopo il ballo, volevo mettermi in pari con del lavoro,

concentrandomi solo su quello. Lunedì mattina cominciò nuovamente la settimana

scolastica, e tornai alla solita routine. Eddie entrò nella caffetteria Est assieme a me eci

mettemmo in fila per il pranzo. Voleva informazioni sulla visita di Adrian al ballo e gli

diedi una versione abbreviata della serata, dicendo semplicemente che Adrian si era

ubriacato e aveva avuto bisogno di un passaggio a casa. Non parlai del mio ruolo

nell’indurre la regina ad agire per conto di Adrian o di come io fossi “la creatura più

bella che abbia messo piede sulla terra”. Di sicuro non gli ho parlato di come mi sono

sentita quando Adrian mi aveva toccata.

Eddie e io ci avvicinammo ad un tavolo e trovammo Angeline che cercava di

sollevare il morale di Jill.

Normalmente, avrei ripreso duramente Angeline per quello che aveva fatto al ballo,

ma non aveva causato danni... almeno questa volta. Per di più, ero troppo distratta da

Jill. Era impossibile per me vederla giù di morale senza pensare immediatamente che

qualcosa non andasse con Adrian. Eddie parlò prima di me, notando ciò che a me era

sfuggito.

«Non c’è Micah?» chiese lui. «Era fuori dalla porta prima di me. Pensavo mi battesse

sul tempo nell’arrivare qui».

«Dovevi chiederlo per forza, vero?» Angeline fece una smorfia. «Hanno litigato».

Giuro che Eddie sembrava più sconvolto di Jill. «Cosa? Non ha detto niente. Cos’è

successo? Voi due sembravate divertirvi davvero tanto sabato sera».

Jill annuì cupamente ma non alzò lo sguardo dal suo pranzo integro. Aveva gli occhi

lucidi. «Ci siamo divertiti. Così tanto che abbiamo parlato ieri e lui mi ha chiesto...

bhe, mi ha chiesto se volevo passare il Giorno del Ringraziamento con la sua famiglia.

Vivono a Pasadena. Pensava di prendere un permesso dalla scuola oppure parlare con

voi ragazzi».

«Non sembra una brutta idea», disse cautamente Eddie.

«Passare il Giorno del Ringraziamento con la sua famiglia è una cosa seria! Una

cosa è uscire insieme qui, ma se cominciamo ad allargarci così... diventando una coppia

fuori dalla scuola..» Lei sospirò. «Tutto si complicherebbe. Per quanto tempo ancora

potrò nascondergli chi sono veramente? E anche se quello non fosse un problema, non

è comunque sicuro. La vera ragione per cui sono qui è che questo è un posto sicuro, un

ambiente controllato. Non posso semplicemente andarmene per incontrare degli

estranei».

Era un altro passo nel suo processo di accettazione delle difficoltà di una “casuale”

relazione con Micah. Le offrii un commento neutrale. «Sembra che tu ci abbia pensato

molto».

Jill alzò la testa improvvisamente, quasi come se non si fosse accorta della mia

presenza. «Sì. Immagino di averlo fatto». Mi esaminò per qualche secondo e,

stranamente, si rilassò un poco. Sorrise. «Sei molto carina oggi, Sydney. Il modo in cui

la luce ti colpisce.. stai bene».

«Um, grazie», dissi, incerta sul motivo di quel commento. Ero piuttosto sicura che

non ci fosse niente di notevole in me oggi. I miei capelli e il trucco erano quelli di

sempre e avevo scelto l’uniforme con la maglia bianca e la gonna scozzese. Dovevo

rimediare allo sfoggio di colori di questo weekend.

«E il bordeaux della gonna fa veramente risaltare il color ambra dei tuoi occhi»,

continuò Jill. «Non è bello come il rosso vivo, ma è comunque magnifico. Ovviamente

tutti i colori stanno bene su di te, anche quelli spenti».

Eddie era ancora concentrato su Micah. «Com’è nata la discussione?»

Jill tolse lo sguardo da me, per fortuna. «Oh. Bhe. Gli ho detto che non sapevo se

avessi potuto festeggiare il Ringraziamento. Forse se gli avessi dato una sola ragione,

non ci sarebbero stati problemi. Ma ho cominciato a dare di matto, pensando a tutti i

nostri problemi, e ho iniziato a parlare a vanvera, dicendo che saremmo potuti tornare

in South Dakota o che forse la famiglia sarebbe venuta qui e voi non mi avreste

lasciata... o, bhe, un sacco di altra roba. Penso che fosse abbastanza ovvio che mi stessi

inventando tutto, e a quel punto mi ha chiesto apertamente se non volessi più stare con

lui. Allora gli ho detto che volevo stare con lui ma era complicato. Lui mi ha chiesto

cosa intendessi, ma ovviamente non potevo spiegargli tutto, e da lì...» Alzò le mani in

aria. «Da lì è esploso più o meno tutto».

Non ho mai pensato al Ringraziamento o all’incontrare la famiglia di qualcuno come

ad un rito di passaggio di una relazione. Anche la famiglia di Brayden viveva nella

California del Sud... dovrò visitarla un giorno?

«Micah non riuscirà a tenerti il muso per molto», disse Eddie. «È anche piuttosto

ragionevole. Digli semplicemente la verità».

«Cosa, che sono una delle ultime di una stirpe di vampiri reali e che il trono di mia

sorella dipende dal mio restare viva e nascosta?» chiese Jill incredula.

Gli occhi di Eddie mostrarono divertimento, anche se potevo capire che cercava di

rimanere serio per il bene di Jill. «Quello potrebbe andare, credo. Ma no... potresti

dargli la versione semplificata. Non vuoi che le cose diventino troppo serie. Lui ti piace

ma vuoi vedere come vanno le cose. Non è irragionevole, sai. Hai quindici anni e hai

cominciato a frequentare i ragazzi da un mesetto».

Lei meditò sulle sue parole. «Non pensi che si arrabbierebbe?»

«Non se ci tiene veramente a te», disse Eddie con veemenza. «Se ci tiene sul serio,

capirà e rispetterà la tua volontà, e sarà felice per ogni possibilità di passare del tempo

con te».

Mi domandavo se Eddie si riferisse a Micah o a se stesso, ma quello era un pensiero

che era meglio tenermi per me. Il volto di Jill s’illuminò.

«Grazie», disse ad Eddie. «Non l’avevo considerato. Hai proprio ragione. Se non

riesce ad accettare i miei sentimenti, allora niente ha senso». Guardò l’orologio appeso

alla parete e saltò in piedi. «Penso che proverò a trovarlo prima dell’inizio delle

lezioni». E così, se ne andò.

Ottimo lavoro, Eddie. Pensai. Potresti aver appena aiutato la ragazza dei tuoi sogni

a tornare con il suo ragazzo. Quando Eddie colse il mio sguardo, l’espressione che

aveva in faccia mi disse che lui stava pensando esattamente la stessa cosa.

Angeline guardò Jill mentre usciva dalla caffetteria, i suoi occhi blu si restrinsero

pensierosi. «Anche se dovessero tornare insieme, non penso che durerà. Con la loro

situazione.. non può funzionare».

«Pensavo che fossi a favore delle relazioni tra vampiri e umani», dissi.

«Oh, certo. A casa, nessun problema. Anche nel tuo mondo non ci sarebbe alcun

problema. Ma Jill è un caso speciale. Deve stare lontana da occhi indiscreti e restare al

sicuro se vuole aiutare la propria famiglia. Uscire con lui non l’aiuterà, e lei lo sa – per

quanto desideri che non sia vero. Alla fine farà la cosa giusta. Questo è il suo dovere.

È più importante dei desideri personali. Jill lo capirà».

A quel punto Angeline dichiarò di dover tornare in classe per mettersi al passo con

dei compiti a casa. Eddie ed io eravamo rimasti soli.

Lui scosse la testa stupito. «Non penso di aver mai visto Angeline così..»

«... calma?» Suggerii.

«Pensavo a... coerente».

Risi. «Andiamo, è coerente parecchie volte».

«Lo sai quello che voglio dire», commentò. «Quello che ha appena detto? Era del

tutto vero. Era... saggio. Lei capisce Jill e questa situazione».

«Penso che lei capisca più di quello che noi pensiamo», dissi, ripensando al suo

comportamento da dopo l’assemblea, togliendo l’imbucarsi al ballo. «Le è solo servito

del tempo per ambientarsi, il che ha senso, considerando quanto tutto questo sia diverso

per lei. Se avessi visto da dove viene, avresti capito».

«Forse l’ho giudicata male», ammise Eddie. Sembrava sorpreso delle proprie parole.

Una parte di me si aspettava di essere ripresa da Trey per aver abbandonato Brayden

al ballo. Invece, Trey era nuovamente assente dalle nostre lezioni mattutine. Mi stavo

quasi preoccupando quando mi ricordai che suo cugino era ancora in città,

immischiando Trey in “affari di famiglia”. Trey era giudizioso. Qualunque cosa stesse

succedendo, lui se la sarebbe cavata. Allora perché tutti quei lividi? Mi chiesi.

Quando raggiunsi lo studio della signorina Terwillinger, stava aspettando proprio

me ed era un brutto segno. Solitamente, era sempre indaffarata con il lavoro alla sua

scrivania e mi faceva solo un cenno con il capo quando tiravo fuori i libri. Oggi era in

piedi di fronte alla scrivania, a braccia incrociate, a guardare la porta.

«Signorina Melbourne. Confido che lei abbia passato un ottimo weekend. Eri

sicuramente la più bella del ballo ad Halloween».

«Mi ha vista?» Chiesi. Per un attimo, mi aspettai che lei dicesse che ha guardato

tutto il ballo attraverso una sfera di cristallo o qualcosa del genere.

«Bhe, certamente. Ero lì come accompagnatrice. Il mio posto era vicino al DJ, per

cui non sono sorpresa che tu non mi abbia visto. Quello, e difficilmente sono spiccata

come hai fatto tu. Devo ammetterlo. Quella che stavi indossando era una squisita

reinterpretazione neo greca.

«Grazie», Oggi stavo ricevendo complimenti a destra e a sinistra, ma i suoi erano un

po’ meno inquietanti di quelli di Jill.

«Tornando a noi», disse la signorina Terwilliger. «Pensavo fosse utile discutere di

alcuni degli incantesimi che hai cercato per il mio progetto. Un conto è annotarli. Un

altro è capirli».

Il mio stomaco sprofondò. Mi ero abituata ad evitarla e annotare e tradurre gli

incantesimi in modo ripetitivo e meccanico. Finché non abbiamo dovuto seriamente

praticarli, mi sentivo sollevata perché non stavo facendo nessuna vera magia. Ero

terrorizzata da qualunque cosa avesse in mente, ma non potevo lamentarmi finché

questo rientrava nei miei studi e non implicava ferire me o qualcun altro.

«Saresti così gentile da chiudere la porta?» chiese. Lo feci, e il mio senso di disagio

aumentò. «Ora. Volevo esaminare quel libro che ti avevo dato – quello sugli

incantesimi di protezione».

«Non ce l’ho con me, signora», dissi, sollevata. «Ma se vuole, lo vado a prendere

dalla mia stanza e glielo riporto». Se calcolavo bene, cioè male, l’orario dei pullman,

avrei potuto sprecare una gran parte dell’ora per il viaggio.

«Non importa. Ho ottenuto quella copia per il tuo uso personale». Sollevò un libro

dalla sua scrivania. «Ho il mio. Diamo un’occhiata, ti va?»

Non potevo nascondere il mio sgomento. Sedemmo vicine, e iniziammo a scorrere

l’indice insieme. Il libro era diviso in tre sezioni: Difesa, Attacchi Pianificati, Attacchi

Improvvisi. Ognuna di quelle sottosezioni era divisa in livelli di difficoltà.

«La Difesa include molti amuleti protettivi e incantesimi di evasione», mi disse.

«Secondo te perché sono stati messi per primi nel libro?»

«Perché il miglior modo per vincere uno scontro è di evitarlo», dissi

immediatamente. «Rende tutto il resto superfluo».

Sembrava sorpresa che le avessi dato quella risposta. «Sì... precisamente».

«Questo è quello che ha detto Wolfe», spiegai. «Lui è l’insegnante della classe di

autodifesa che sto seguendo».

«Bhe, ha ragione. Molti degli incantesimi di questa sezione fanno esattamente

quello. Questo qui...» Sfogliò alcune pagine del libro. «Questo qui è molto semplice

ma estremamente utile. È un incantesimo di occultamento. Hamolti componenti fisici

– che sono indispensabili per un incantesimo da principianti – ma ne vale la pena. Crei

un amuleto e ti tieni da parte un ingrediente, gesso sbriciolato, in mano. Quando sei

pronta per attivarlo, aggiungi il gesso, e l’amuleto prende vita. Rende quasi impossibile

agli altri vederti. Puoi andare via da una stanza e raggiungere un posto sicuro, prima

che la magia si esaurisca».

La parola non mi era sfuggita, e nonostante la mia resistenza interiore, non potevo

non chiedere: «“Quasi impossibile”?»

«Non funzionerà se sanno che sei lì», spiegò. «Non puoi gettarlo e diventare

invisibile, anche se ci sono incantesimi più avanzati per quello. Ma se qualcuno non si

aspetta di vederti, non ti vedrà».

Me ne fece vedere altri, molti dei quali erano semplici e basati sull’amuleto e

richiedevano una simile attivazione. Un incantesimo che lei aveva classificato come

intermedio aveva una specie di attivazione inversa. Colui che lanciava l’incantesimo

indossava un amuleto che la proteggeva, mentre l’incantesimo rendeva cieche tutte le

persone entro un certo raggio. Solo colui che lo lanciava manteneva la vista.

Ascoltando, mi agitai all’idea di usare la magia per colpire qualcuno. Occultare se

stessi era una cosa. Ma rendere cieco qualcuno? Stordirli? Costringerli a dormire?

Superava il limite dell’usare metodi sbagliati e innaturali per fare cose non umane.

Eppure.. in fondo, una parte di me poteva vederne l’utilità. L’attacco mi aveva fatto

riconsiderare parecchie cose. Per quanto mi addolorasse ammetterlo, potevo anche

capire come il dare del sangue a Sonya non fosse una cosa malvagia. Forse. Non ero

ancora pronta a farlo per nessun motivo.

Ascoltavo pazientemente mentre lei sfogliava le pagine, chiedendomi per tutto il

tempo quali fossero le sue intenzioni.

Finalmente, quando rimasero solo cinque minuti, mi disse. «Per lunedì prossimo,

vorrei che tu ricreassi uno di questi, proprio come hai fatto con l’amuleto di fuoco, e

scrivi un piccolo saggio».

«Signorina Terwilliger..» cominciai.

«Sì, sì», disse, chiudendo il libro e alzandosi in piedi. «Conosco bene i tuoi

argomenti e le tue obbiezioni, di come gli umani non siano fatti per brandire un tale

potere e tutto il resto. Rispetto il tuo diritto di sentirti così. Nessuno ti costringe ad

usare nessuno di questi incantesimi. Voglio solo che lei capisca come sono strutturati

ed utilizzati».

«Non posso». Dissi ostinatamente. «Non lo farò».

«Non c’è niente di diverso dal vivisezionare una rana in biologia», sostenne.

«Lavoro partecipativo per capire il materiale».

«Credo..» Cedetti, tristemente. «Quale vuole che faccia?»

«Quello che preferisci».

Qualcosa mi dava ancora più fastidio. «Preferirei che scegliesse lei».

«Non essere sciocca», disse. «Hai avuto la possibilità di scegliere mentre facevi la

tesina, e ce l’avrai anche adesso. Non m’importa cosa farai, finché il compito è fatto.

Fai quello che ti interessa».

E proprio quello era il problema. Nel farmi scegliere, mi stava coinvolgendo nella

magia. Era più facile per me dichiarare di non aver avuto parte nella magia e

sottolineare che tutto quello che avevo fatto per lei era un obbligo. Anche se questo

compito era stato dato da lei, la piccola scelta che mi aveva lasciato mi costringeva ad

agire in modo attivo.

Per cui, accantonai per un attimo il tutto, cosa molto insolita per me quando si

trattava di compiti. Una parte di me pensava che forse se ignoravo il compito, sarebbe

scomparso o lei avrebbe cambiato idea. Inoltre, avevo una settimana. Non c’era motivo

di stressarsi già adesso.

Anche se sapevo che non avevamo nessun obbligo nei confronti di Lia per averci

dato i costumi, sentii lo stesso il dovere di riportarglieli, così che non ci fossero dubbi

sulle mie intenzioni. Non appena la signorina Terwilliger mi lasciò andare, misi il mio

costume e quello di Jill nei loro copri abiti e mi diressi in centro. Jill era triste di ridare

il suo ma ammise che era la cosa giusta da fare.

Lia, comunque, la pensava diversamente.

«Cosa farò con questi adesso?» Chiese quando arrivai nel suo negozio. I suoi grandi

orecchini a cerchio tempestati di diamanti finti quasi mi accecarono. «Sono stati fatti

su misura per voi».

«Sono sicura che puoi modificarli. E sono sicura che non sono così lontani dalla

taglia dei tuoi modelli». Le offrii gli appendini, e lei ostinatamente incrociò le braccia.

«Guarda, erano stupendi. Abbiamo veramente apprezzato quello che hai fatto. Ma non

possiamo tenerceli».

«Voi li terrete», affermò.

«Se non li prendi, li lascerò semplicemente sul tuo bancone», la avvisai.

«E io te li farò trovare nel tuo dormitorio».

Brontolai. «Perché è così importante per te? Ci sono un sacco di ragazze carine a

Palm Spring. Non hai bisogno di Jill».

«É proprio questo il motivo», disse Lia. «Un sacco di ragazze carine che sono tutte

uguali. Jill è speciale. É una bellezza naturale e nemmeno lo sa. Potrebbe diventare

qualcuno un giorno».

«Un giorno», ripetei. «Ma non adesso».

Lia tentò un approccio diverso. «La campagna è per foulard e cappelli. Non posso

fare di nuovo le maschere, ma posso metterle gli occhiali da sole, specialmente se

facciamo le foto all’aperto. Dimmi se saresti d’accordo così..»

«Lia, ti prego. Non ti disturbare».

«Ascoltami», insistette. «Faremo le foto. Dopo potrai riguardare tutte le foto e

scartare quelle che non vanno d’accordo con i tuoi strani criteri religiosi».

«Nessuna eccezione», insistetti io. «E ti lascio i vestiti». Li poggiai sul bancone e

uscii dal negozio ignorando le proteste di Lia su quante cose magnifiche potrebbe fare

per Jill. Forse un giorno, pensai. Un giorno quando tutti i problemi di Jill saranno

scomparsi. Comunque qualcosa mi diceva che quel giorno era molto lontano.

Anche se la mia lealtà per Spencer’s era salda, una piccola caffetteria francese attirò

la mia attenzione mentre stavo tornando alla mia macchina. O piuttosto, il profumo del

loro caffè attirò la mia attenzione. Non avevo nessun impegno a scuola e mi fermai

nella caffetteria per una tazza. Avevo un libro di inglese con me e decisi di leggere un

po’ ad uno dei piccoli tavolini della caffetteria. Metà di quel tempo l’avevo speso nel

scambiare messaggi con Brayden. Aveva voluto sapere cosa stessi leggendo, e ci

stavamo scambiando le nostre citazioni preferite di Tennessee Williams.

Ero lì da a mala pena dieci minuti quando delle ombre oscurarono il sole del tardo

pomeriggio. Due ragazzi stavano in piedi davanti al mio tavolo. Non conoscevo

nessuno dei due. Erano poco più grandi di me, uno con capelli biondi e occhi azzurri

mentre l’altro aveva capelli e pelle scura. Le loro espressioni non erano ostili, ma non

erano neanche amichevoli. Entrambi avevano una corporatura robusta, come se si

allenassero regolarmente. E poi, dopo aver guardato una seconda volta, mi resi conto

di conoscere uno di loro. Il ragazzo dai capelli scuri era quello che si era avvicinato a

me e a Sonya qualche tempo fa, sostenendo di averla conosciuta in Kentucky.

Immediatamente, tutto il panico che avevo cercato di sopprimere per tutta la

settimana ritornò, assieme alla sensazione di essere intrappolata e indifesa. Solo dopo

essermi resa conto che ero in un luogo pubblico, circondata da persone, riuscii a

guardare i ragazzi con una calma che mi sorprese.

«Sì?» chiesi.

«Abbiamo bisogno di parlare con te, Alchimista», disse il ragazzo biondo.

Non mossi neanche un muscolo della faccia. «Penso che mi stiate confondendo con

qualcun altro».

«Nessuno qua attorno ha un tatuaggio con un giglio», disse l’altro ragazzo. Disse

che il suo nome era Jeff, ma mi domandai se fosse la verità. «Sarebbe fantastico se

potessi fare quattro passi con noi». Il mio tatuaggio era coperto oggi, ma qualcosa mi

disse che questi ragazzi mi stavano seguendo da un bel po’ e non avevano bisogno di

vedere il giglio per sapere che era lì.

«Assolutamente no», dissi. Non avevo neanche bisogno dei promemoria di Wolfe

per sapere che quella era una pessima idea. Stavo qui in mezzo alla sicurezza della

folla. «Se volete parlare, farete meglio a prendere una sedia. Altrimenti, andatevene».

Guardai nuovamente il mio libro, come se non fossi minimamente preoccupata. Nel

frattempo il mio cuore batteva all’impazzata, e ci volle ogni briciola del mio controllo

per impedire alle mie mani di tremare. Qualche momento più tardi, sentii il suono del

metallo che strisciava sul cemento, e i due ragazzi si sedettero di fronte a me. Guardai

le loro facce impassibili.

«Dovete andare dentro se volete il caffè», feci notare. «Non fanno il servizio ai

tavoli».

«Non siamo qui per parlare del caffè», disse Jeff. «Siamo qui per parlare di vampiri».

«Perché? State girando un film o qualcosa del genere?» chiesi.

«Sappiamo che giri con loro», disse il Biondino. «Incluso quella Strigoi, Sonya

Karp».

Parte della magia del mio tatuaggio era impedire agli Alchimisti di rivelare

informazioni sul mondo dei vampiri a coloro che stavano fuori. Non potevamo proprio

farlo. La magia sarebbe intervenuta e ce lo avrebbe impedito se ci avessimo provato.

Dal momento che questi ragazzi sembravano conoscere già i vampiri, il tatuaggio non

censurerà le mie parole. Invece, scelsi di censurarle io di mia volontà. Qualcuno mi

disse una volta che l’ignoranza era la miglior arma.

«I vampiri non esistono», dissi. «Sentite, se questo è una specie di scherzo..»

«Sappiamo quello che fai», continuò il Biondino. «Non ti piacciono più di quanto

non piacciano a noi. Quindi perché li stai aiutando? Come può il tuo gruppo essersi

immischiato così tanto e aver perso di vista la nostra originale visione? Secoli fa,

eravamo un gruppo unito, determinato a vedere tutti i vampiri spazzati via dalla faccia

della terra nel nome della luce. I tuoi fratelli hanno tradito quello scopo».

Avevo un’altra protesta pronta, e poi notai uno scintillio dorato all’orecchio di Jeff.

Indossava un piccolo orecchino, una piccola sfera dorata con un puntino nero in mezzo.

Non potevo evitarlo.

«Il tuo orecchino», dissi. «È il simbolo del sole, il simbolo dell’oro». E mi resi conto

che era lo stesso simbolo che c’era sull’impugnatura della spada che avevamo trovato

in quel vicolo.

Si toccò l’orecchino e annuì. «Non ci siamo dimenticati la missione, il nostro

obiettivo originale. Noi serviamo la luce. Non l’oscurità che nasconde i vampiri».

Continuavo a rifiutarmi di ammettere quello che stavano dicendo sui vampiri. «Tu

sei quello che ha attaccato me e la mia amica la scorsa settimana nel vicolo». Nessuno

dei due negò.

«La tua “amica” è una creatura della notte», disse il Biondino. «Non so come le sia

riuscito questo attuale incantesimo, rendendosi simile agli altri vampiri, ma tu non puoi

farti fregare. Lei è cattiva. Ucciderà te e innumerevoli altri».

«Voi due siete pazzi», dissi. «Niente di quello che state dicendo ha senso».

«Dicci solo dove si trova il suo covo principale», disse Jeff. «Sappiamo che non è

l’appartamento dall’altra parte del centro. Lo stavamo controllando e non è ritornata

dopo il nostro ultimo tentativo di eliminarla. Se non vuoi aiutarci attivamente, questa

informazione è tutto ciò che ci servirebbe per liberare il mondo dal suo male».

Lo stavamo controllando. L’appartamento di Adrian. Mi venne la pelle d’oca. Da

quanto tempo lo stavano sorvegliando? E fino a che punto? Sono semplicemente

rimasti seduti in macchina, appostati? Avevano equipaggiamento di sorveglianza

altamente tecnologico? Wolfe aveva parlato della possibilità di essere seguiti nei

parcheggi e in strada, più che nelle proprie case. L’unico conforto che avevo in tutto

ciò era che loro non sapevano niente della casa di Clarence. La loro sorveglianza non

doveva essere così accurata se nessuno l’aveva ancora seguita. Ma avevano seguito

me? Sapevano dove andavo a scuola?

E con le loro parole, stavano confermando la terribile realtà che osavo a mala pena

ipotizzare. Era una realtà che conteneva forze invisibili che si muovevano sotto la vista

apparentemente onnisciente degli Alchimisti, forze che operavano contro i nostri scopi.

I cacciatori di vampiri esistevano.

Con quella realizzazione arrivarono centinaia di domande ancora più terrificanti.

Questo cosa significava per i Moroi? Jill era in pericolo?

Lo era Adrian?

«L’unica cosa che farò è chiamare la polizia», dissi. «Non so chi siate o perché siate

ossessionati dalla mia amica, ma nessuna di noi vi ha fatto niente. Siete pure più pazzi

di quello che credevo se pensate che vi dirò dove vive così che possiate perseguitarla».

Poi, per pura fortuna, vidi un pattuglia di polizia che camminava per strada. I due

ragazzi al tavolo seguirono il mio sguardo e indubbiamente poterono indovinare le mie

intenzioni. Sarebbe stato molto facile chiamare la pattuglia qui. Non abbiamo

archiviato nessun rapporto riguardo all’attacco nel vicolo, ma accusarli di un recente

assalto li tratterrà sicuramente. Si alzarono insieme.

«Stai commettendo un terribile errore», disse Jeff. «Potevamo eliminare questo

problema anni fa se solo il nostro gruppo avesse lavorato assieme. Prima gli Strigoi poi

i Moroi. La tua sbagliata scelta di unirti a loro ha quasi rovinato tutto. Fortunatamente,

noi camminiamo ancora sulla retta via». Il fatto che lui avesse appena nominato i due

gruppi era particolarmente allarmante. Questi tipi erano spaventosi, certo, ma lo erano

di meno quando parlavano di vampiri con vaghi e oscuri termini. Usando i termini

“Moroi” e “Strigoi” dimostrarono una conoscenza estesa.

Il Biondino mise sul tavolo un piccolo volantino fatto a mano. «Leggi questo, e forse

vedrai la luce. Resteremo in contatto».

«Non lo farei se fossi in voi», dissi. «Infastiditemi ancora, e farò molto più di una

tranquilla chiacchierata». Le mie parole uscirono più violente di quanto mi aspettassi.

Forse Dimitri e Wolfe stavano diventando contagiosi.

Jeff rise mentre se ne stavano andando. «Peccato che ti stia nascondendo dietro ai

libri», disse. «Hai lo spirito di una cacciatrice».

CAPITOLO 16 Traduzione: Medea Knight

Pre-Revisione: Claude

MI MISI SUBITO a radunare il gruppo. Era una notizia troppo importante. Non sapevo

ancora che tipo di pericolo ci attendesse, ma non volevo lasciare le cose al caso. Scelsi

la casa di Clarence come punto di incontro, visto che i cacciatori ancora non

conoscevano il posto. Ma ero comunque nervosa. Sarei stata nervosa anche se ci

fossimo incontrati nel bunker degli Alchimisti.

E a quanto pareva, “cacciatori” non era nemmeno il termine esatto. Secondo il loro

opuscolo da due soldi, si chiamavano “Guerrieri della Luce”. Non ero certa che

meritassero quel nome così carino, specialmente perché nella loro dichiarazione di

intenti avevano scritto “abbisso” invece che “abisso”. L’opuscolo era davvero molto

dispersivo e parlava semplicemente della presenza di un grande male per l’umanità,

che i Guerrieri avrebbero distrutto. Incitavano la razza umana a tenersi pronta e a

restare pura. Non veniva fatti il nome dei vampiri, cosa per la quale ero grata.

L’opuscolo non menzionava nemmeno i fantomatici episodi in cui i Guerrieri

avrebbero avuto a che fare con gli Alchimisti.

Prima di andare da Clarence, Eddie si accertò che non avessero piazzato dispositivi

di tracciamento su Caffellatte. Il solo pensiero mi terrorizzava, proprio come mi aveva

terrorizzato essere stata osservata a casa di Adrian. Sentivo questo terribile senso di

violazione. Fu solo la mia mancata fiducia nelle loro capacità tecnologiche a

tranquillizzarmi un po’.

«Mi sembra improbabile che siano così all’avanguardia» dissi ad Eddie, mentre

armeggiava sotto la macchina. «Cioè, quell’opuscolo sembra fatto con una macchina

fotocopiatrice degli anni ‘80. Non so se è perché li hanno stampati tanto tempo fa o se

è la macchina che usano tutt’ora… in ogni caso, di certo non mi fanno pensare all’alta

tecnologia.»

«Forse hai ragione» concordò con voce un po’ ovattata. «Ma dobbiamo considerare

tutte le possibilità. Non sappiamo di cosa sono capaci. Per quanto ne sappiamo

potrebbero allearsi con gli Alchimisti e sfruttare le loro risorse tecnologiche.»

Mi attraversò un brivido. Era un pensiero vergognoso: gli Alchimisti alleati a questo

gruppo di violenti estremisti? Era stato da pazzi da parte mia e di Adrian anche solo

pensarlo, ma era ancora più difficile accettarlo alla luce delle prove sempre più

evidenti. Almeno adesso avevo informazioni sufficienti a non suonare ridicola ai miei

superiori. Anche se non avevo mai sentito di cacciatori del genere, mi sembrava

comunque possibile che da qualche parte, in un certo momento, potessero aver tentato

di contattare la mia organizzazione. Speravo che qualcuno tra gli Alchimisti avrebbe

potuto aiutarmi.

Eddie sbucò da sotto Caffellatte. «Tutto a posto. Possiamo andare.»

Jill ed Angeline stavano aspettando là vicino, tese e ansiose. Jill fece un sorriso di

ammirazione ad Eddie. «Non sapevo che fossi capace di fare anche questo. Non l’avrei

mai nemmeno pensato.»

Si asciugò il sudore dalla fronte. «Pensavi che l’addestramento da guardiano fosse

tutto calci e pugni?»

Arrossì. «Più o meno sì.»

«Potresti insegnare questa roba anche a me qualche volta?» chiese Angeline. «Penso

che dovrei saperlo fare anch’io.»

«Certo» disse Eddie, sembrando sinceramente disposto. Lei fece un sorriso a

trentadue denti.

Per lui era diventato più semplice starle attorno da quando aveva cominciato a

comportarsi più seriamente e in modo più controllato. Penso che anche e soprattutto

per la sua buona condotta ero stata capace di ottenere il permesso per farla unire a noi

quella sera. Tecnicamente era ancora sospesa, ma ero riuscita ad ottenere un’eccezione

speciale con una scusa legata alla religione della nostra famiglia. Avevo usato una

scusa simile con Jill il mese prima, quando era stata sospesa e dovevo portarla alle

nutrizioni. Nonostante tutto, avevamo comunque degli ordini molto rigorosi riguardo

Angeline quella sera. Non poteva stare via per più di due ore e, se l’avesse fatto, le

sarebbe stato aggiunto un giorno in più di sospensione.

Andammo per una strada irregolare verso casa di Clarence ed Eddie si guardava alle

spalle con attenzione, per controllare che non ci stessero seguendo. Tentò di spiegarmi

alcuni accorgimenti da tenere a mente quando sarei stata da sola. Ero così nervosa che

a malapena riuscivo ad ascoltarlo. Arrivammo sani e salvi a casa di Clarence dopo un

viaggio agitato. Lì trovammo Adrian ad aspettarci. A quanto pare, Dimitri era andato

a prenderlo in centro poco prima e, senza dubbio, aveva preso le stesse precauzioni di

Eddie durante il viaggio.

Raccontai dei cacciatori ad Eddie e Dimitri, ma per gli altri ci volle una spiegazione

più approfondita. Ci riunimmo nel nostro solito posto, quel salotto formale, e Dimitri

camminava per la stanza sempre pronto a sventare attacchi improvvisi. Clarence era

seduto con quel suo tipico sguardo distratto. Quando vide l’opuscolo, tuttavia, parve

animarsi.

«Sono questi!» urlò. Pensavo che sarebbe saltato su dalla sedia e mi avrebbe

strappato l’opuscolo dalle mani. «Questi sono i loro simboli!» Gran parte dei simboli

alchemici che erano sulla spada erano disseminati anche sulla prima di copertina

dell’opuscolo. «Quel cerchio. Mi ricordo di quel cerchio.»

«Il simbolo dorato» gli confermai. «O nel loro caso, presumo il simbolo del sole,

visto che sono ossessionati dalla luce e dall’oscurità.»

Clarence si guardò intorno freneticamente. «Sono tornati! Dobbiamo andarcene da

qui. Sono venuto in questa città per scappare da loro, ma ora mi hanno trovato. Non

c’è tempo. Dov’è Dorothy? Dov’è Lee? Devo fare i bagagli!»

«Signor Donahue» dissi, rivolgendomi a lui nel modo più gentile possibile, «non

sanno che lei è qui. È al sicuro.» Non sapevo nemmeno io se crederci e speravo di

sembrargli abbastanza convincente.

«Ha ragione» disse Dimitri. «E anche se lo sapessero, sa che non permetterei loro di

farle del male.» Le parole di Dimitri ispiravano così tanta sicurezza e forza che

probabilmente gli avremmo creduto anche se fossimo stati in preda ad un attacco da

parte degli Strigoi. Infine disse «Va tutto bene, è al sicuro.»

«Se ciò che dici è vero» disse Sonya, «sono io ad essere in pericolo.» Mi sembrava

molto più calma di quanto lo sarei stata io nella stessa situazione.

«Non faranno del male nemmeno a te» disse Dimitri bruscamente. «Specialmente se

non te ne vai da questa casa.»

«Ma la ricerca…» cominciò a dire.

«Non è nulla in confronto alla tua sicurezza» concluse. Il suo sguardo lasciava

intendere che non avrebbe ammesso obiezioni. «Devi tornare a Corte. Stavi pensando

di farlo comunque. Devi solo anticipare il viaggio.»

Sonya non sembrò felice della cosa. «E dovrei lasciare tutti voi in pericolo?»

«Forse non siamo in pericolo» disse Eddie, nonostante il linguaggio del suo corpo

esprimesse tensione. «Da ciò che dice Sydney e dal loro manifesto in miniatura, pare

che il loro obiettivo siano gli Strigoi, non i Moroi.» Lanciò uno sguardo a Jill. «Questo

non vuol dire che dobbiamo abbassare la guardia. Se hanno scambiato Sonya per uno

Strigoi, chi può sapere quali altre pazzie faranno? Ma non preoccupatevi. Non

permetterò loro di avvicinarsi.» Jill sembrava sul punto di svenire.

«È una buona idea» dissi. «Pensano comunque che i Moroi siano una minaccia,

comunque inferiore a quella rappresentata dagli Strigoi.»

«Più o meno come gli Alchimisti» disse Adrian. Era seduto su una poltrona in un

angolo della stanza ed era stato zitto sino a quel momento. Non lo avevo visto dalla

sera del ballo, né avuto contatti con lui, il che era strano. Anche quando non mi

mandava patetiche e-mail sui suoi strambi esperimenti, aveva sempre qualche battuta

arguta da inviarmi.

«Vero» ammisi con un sorriso. «Ma noi non proviamo ad uccidere i Moroi, né

tantomeno gli Strigoi.»

«Ed è questo il problema» disse Dimitri. «Questi Guerrieri sono convinti che Sonya

stia usando qualche stratagemma per mascherare la sua natura Strigoi.»

«Forse hanno qualche metodo per rintracciarli o sistemi di inventario» rifletté Sonya.

«Potrebbero tenere nota dei vari Strigoi dello Stato per tentare di ucciderli.»

«Eppure non sapevano di te» indicai Dimitri. Il suo volto rimase neutrale, ma sapevo

che era difficile per lui ricordare i suoi giorni da Strigoi. «E da quello che so io… tu

eri un personaggio molto più, ehm, noto di Sonya.» Era stato praticamente un gangster

tra gli Strigoi. «Perciò, se non sanno di te, probabilmente non hanno diramazioni a

livello internazionale… o almeno non in Russia.»

Angeline si protese in avanti, incrociò le mani e rivolse a Clarence un sorriso

talmente dolce da ricordare il suo nome. «Come sa di loro? Come vi siete incontrati la

prima volta?»

All’inizio sembrò troppo terrorizzato per rispondere, ma pensai che l’atteggiamento

gentile lo rassicurò. «Beh, hanno ucciso mia nipote, ovviamente.»

Sapevamo tutti che Lee aveva ucciso la nipote di Clarence, ma l’uomo non ci

credeva, come non credeva che Lee fosse morto. «Li ha visti mentre la uccidevano?»

chiese Angeline. «Li ha mai visti tutti insieme?»

«Non quando morì Tamara, no» ammise. I suoi occhi avevano uno sguardo perso in

lontananza, come se stesse osservando nuovamente il passato. «Ma sapevo quali indizi

cercare. Vedete, mi ero imbattuto in loro anche prima di allora. Quando vivevo a Santa

Cruz. A loro piace la California. E la zona sud occidentale. Sarà perché sono fissati col

sole.»

«Cos’è successo a Santa Cruz?» chiese Dimitri.

«Un gruppo dei loro membri giovani cominciò a pedinarmi. Per tentare di

uccidermi.»

Nella stanza ci scambiammo tutti occhiate preoccupate. «Allora danno davvero la

caccia ai Moroi» disse Eddie. Si avvicinò di più a Jill.

Clarence scosse la testa. «Di solito no. Da ciò che mi diceva Marcus, preferiscono

gli Strigoi. Ma questi erano membri giovani e indisciplinati che andavano per conto

loro, all’insaputa dei superiori. Penso che siano stati membri come loro ad uccidere

Tamara.»

«Chi è Marcus?» chiesi.

«Marcus Finch. Mi ha salvato qualche anno fa da un loro attacco. Li ha sconfitti e

poi ha contattato quelli del loro ordine per tenere alla larga da me quei mascalzoni.»

Clarence rabbrividì al ricordo. «Ad ogni modo, dopo l’attacco non rimasi in quel posto.

Me ne andai insieme a Lee. Fu allora che ci trasferimmo a Los Angeles per un po’.»

«Questo Marcus» dissi, «per caso era un guardiano?»

«Era un umano. All’epoca aveva più o meno la tua età. Sapeva tutto sui cacciatori.»

«Suppongo sia vero, se era riuscito ad entrare in contatto con loro» dedusse Dimitri.

«Ma di sicuro dev’essere amichevole con i Moroi, se ti ha aiutato.»

«Oh, sì» disse Clarence. «Lo è davvero molto.»

Dimitri mi guardò. «Pensi che…»

«Sì» dissi, intuendo la sua domanda. «Vedrò di trovare questo Marcus. Sarebbe utile

avere una fonte di informazioni diversa da questi guerrieri pazzi. Farò anche rapporto

su tutto l’accaduto.»

«Anch’io» disse Dimitri.

Nonostante non fosse esperto sui cacciatori come lo era questo misterioso Marcus,

il vecchio Clarence aveva comunque una sorprendente quantità di informazioni da

condividere… informazioni alle quali nessuno di noi aveva mai voluto credere prima

di allora. Ci confermò ciò che avevamo già dedotto, cioè che questi cacciatori

“veneravano la Luce”. L’obiettivo del gruppo erano gli Strigoi (almeno in quel

momento) e pianificavano e organizzavano accuratamente ogni missione di caccia.

Seguivano un insieme ritualizzato di comportamenti, in particolar modo ciò valeva per

i membri più giovani… ed era per questo che il gruppo di furfanti che molestavano

Clarence erano stati fermati. Da ciò che ne sapeva Clarence, il gruppo era molto severo

con le nuove reclute, inculcando in loro il senso di disciplina ed eccellenza.

Poiché il tempo di libertà di Angeline stava volgendo al termine, dovevamo

concludere le cose di lì a breve. Dovevo anche riaccompagnare a casa Adrian, avendo

deciso che fosse meglio evitare che qualcuno pedinasse Dimitri sulla via del ritorno da

Clarence. E poi era evidente che Dimitri fremesse dalla voglia di mettere in moto le

cose. Voleva definire la partenza di Sonya e fare rapporto ai guardiani… in caso fosse

necessario far spostare Jill. Il volto di lei rispecchiava ciò che anch’io temevo potesse

succedere. Ci eravamo affezionate entrambe ad Amberwood.

Mentre Dimitri dava ad Eddie alcune istruzioni dell’ultimo minuto, presi da parte

Sonya per scambiare qualche parola. «Io… ho pensato ad una cosa» le dissi.

Mi studiò attentamente, probabilmente per leggere la mia aura e analizzare il

linguaggio del mio corpo. «A cosa?» rispose.

«Se vuoi… se davvero lo vuoi, puoi avere un po’ del mio sangue.»

Era una confessione davvero grande. Era una cosa che volevo fare? No.

Assolutamente no. Avevo ancora lo stesso istinto di terrore al pensiero di dare il mio

sangue ad un Moroi, seppure per scopi scientifici. Eppure, gli eventi del giorno prima…

e l’attacco nel vicolo… mi avevano portata a rimettere in discussione la mia visione

del mondo. I vampiri non erano gli unici mostri là fuori. Loro erano tutt’altro che

mostri, specie se paragonati ai cacciatori di vampiri. Come potevo giudicare il nemico

in base alla sua razza? Ogni giorno mi rendevo conto che gli umani erano capaci di fare

del male tanto quanto lo erano i vampiri… e che i vampiri erano capaci di fare del bene.

Erano le azioni a contare e quelle di Sonya e Dimitri erano di certo nobili.

Combattevano per distruggere il male più grande di tutti e, per quanto dare il mio

sangue mi facesse schifo, sapevo che aiutarli era la cosa giusta da fare.

Sonya sapeva che per me era un grande sacrificio. Il suo volto rimase calmo…

nessun segno di gioia… annuì con espressione seria. «Ho il mio kit di raccolta qui con

me. Posso prenderne un campione prima che te ne vai, se sei sicura di volerlo fare».

Così presto? Beh, perché no. Era meglio farlo subito… specialmente se Sonya

doveva andarsene di lì a poco in ogni caso. Lo facemmo in cucina, un posto

leggermente più igienico del salotto. Sonya non era un medico, ma quale che fosse

l’addestramento che aveva ricevuto, mi sembrava abbastanza in linea con gli esami

medici che mi era capitato di osservare. Antisettico, guanti e siringa nuova. Seguì tutte

le procedure giuste e, dopo una breve puntura con l’ago, ecco pronto il mio campione

di sangue.

«Grazie, Sydney» disse, dandomi una benda. «So quanto dev’essere stato difficile

per te. Questo campione può aiutarci davvero, credimi.»

«Voglio essere utile» le dissi. «Lo voglio davvero.»

Sorrise. «Lo so. E abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile. Dopo essere stata una

di loro…» il suo sorriso si spense. «Beh, sono ancora più convinta che debbano essere

fermati. Tu potresti essere la soluzione.»

Per un attimo, le sue parole mi indussero a pensare che… io potessi giocare un ruolo

più grande nella lotta contro il male e forse persino fermarlo. Ma subito dopo quel

pensiero fu sostituito dal mio solito panico. No. No. Non ero affatto speciale. Non

volevo esserlo. Mi sarei senz’altro impegnata ad aiutare, ma di sicuro non avrebbe fatto

alcuna differenza.

Tornai a prendere gli altri. Adrian e Jill discutevano seriamente in un angolo della

stanza. Anche Eddie ed Angeline stavano parlando e la sentii dire «Per sicurezza starò

più tempo con Jill a scuola. Non possiamo permettere che le capiti qualcosa o che

qualcuno la riconosca.»

Eddie annuì e sembrò sorpreso da ciò che aveva detto lei. «Concordo». Perfetto,

pensai.

Ci avviamo in macchina con tutto il gruppo e andammo in centro ad accompagnare

Adrian. Mentre mi avvicinavamo a casa sua, vidi una cosa che mi fece restare a bocca

aperta. Fui colta da ammirazione e incredulità allo stesso tempo. Dopo il parcheggio

peggiore della mia vita, spensi di botto Caffellatte ed uscii dalla macchina strappando

le chiavi dal quadro. Gli altri mi seguirono poco dopo.

«Cosa» annaspai «è quella?»

«Oh» disse Adrian con noncuranza. «È la mia nuova macchina.»

Mi avvicinai un po’ e poi mi fermai, perché avevo paura di proseguire, proprio come

fossi al cospetto di un re. «È una Ford Mustang Convertible del ‘67» dissi, conscia del

fatto che i miei occhi sarebbero saltati fuori dalle orbite di lì a breve. Cominciai a girare

intorno alla macchina. «È stato l’anno in cui hanno fatto una grande revisione del

modello, aumentandone le dimensioni per stare al passo con macchine dalle prestazioni

altrettanto elevate. Vedete? È il primo modello con le luci posteriori concave, ma

l’ultimo a riportare il logo Ford sulla parte anteriore fino al 1974.»

«Ma che colore sarebbe quello?» chiese Eddie, non suonando affatto sorpreso.

«Giallo primavera» esclamammo io ed Adrian in coro.

«Avrei azzardato uno “chiffon limonato”» disse Eddie. «Potreste farla riverniciare.»

«No!» esclamai. Gettai la borsa sull’erba e toccai con cura la parte laterale della

macchina. La nuova Mustang di Brayden all’improvviso sembrava così normale. «È

stata ritoccata un po’, ovviamente, ma questo è il colore classico. Che codice di motore

ha? C, giusto?»

«Ehm… non ne sono sicuro», disse Adrian. «So che ha un motore V8.»

«Ma certo che lo ha» dissi. Mi trattenni dall’alzare gli occhi al cielo. «Un motore

289. Voglio sapere quanti cavalli ha.»

«Probabilmente sulla documentazione c’è scritto» disse Adrian incerto.

Solo in quel momento mi resi realmente conto delle parole che Adrian aveva detto

poco prima. Lo guardai, sapendo di apparire totalmente incredula. «Questa è davvero

la tua macchina?»

«Sì» disse. «Te l’ho detto. Il mio vecchio mi ha prestato i soldi per comprarne una.»

«E hai comprato proprio questa?» spiai dal finestrino. «Bella. Interni neri, cambio

manuale.»

«Già» disse Adrian, con una leggera agitazione nella voce. «È questo il problema.»

Lo guardai. «Che problema ci sarebbe? Il nero è favoloso. E la pelle dei sedili è in

condizioni fantastiche. Come tutto il resto della macchina.»

«No, non mi riferisco agli interni. Ma al cambio. Non so guidare le auto con cambio

manuale».

Mi bloccai. «Non sai guidare col cambio manuale?»

«Nemmeno io» disse Jill.

«Ma tu non hai nemmeno la patente» le ricordai. Anche se mia madre mi aveva

insegnato a guidare prima di prendere la patente… sia con il cambio automatico che

manuale. Sapevo di non dover essere sorpresa del fatto che i cambi manuali fossero

ormai sopravvalutati, per quanto mi sembrasse barbara una tale mancanza. Ma tutto

ciò, ovviamente, passava in secondo piano a confronto con l’altro ovvio problema. «Ma

perché mai hai comprato un’auto del genere, se non sai guidare con il cambio manuale?

Ci sono un sacco di altre macchine… anche nuove… col cambio automatico. Sarebbe

stato mille volte più semplice.»

Adrian fece spallucce. «Mi piace il colore. Si abbina al mio salotto.»

Eddie soffocò una risata.

«Ma non sai guidarla» gli feci notare.

«Ho pensato che non potrà essere così difficile.» Adrian sembrava palesemente poco

preoccupato della blasfemia che aveva appena detto. «Farò pratica girando nell’isolato

un paio di volte e capirò come fare.»

Non riuscivo a credere a ciò che stavo sentendo. «Cosa? Ma sei fuori di testa? La

rovinerai, se non sai cosa fare!»

«Che altro dovrei fare?» chiese. «Mi insegni tu?»

Mi voltai nuovamente verso la bellissima Mustang. «Sì» dissi risoluta. «Se questo è

ciò che devo fare per salvarla dalle tue grinfie.»

«Ti posso insegnare anch’io» disse Eddie.

Adrian lo ignorò totalmente e si rivolse a me. «Quando possiamo iniziare?»

Diedi uno sguardo al mio diario scolastico, sapendo che la mia priorità assoluta era

la futura conversazione con gli Alchimisti riguardo i Guerrieri della Luce. In quel

momento, trovai un’ovvia soluzione. «Oh. Quando andiamo da Wolfe questa

settimana. Ci andiamo con questa macchina.»

«Lo fai davvero per aiutarmi?» mi chiese Adrian. «O vuoi solo guidare la

macchina?»

«Entrambe le cose» dissi, per niente imbarazzata ad ammetterlo.

Il tempo di Angeline stava per scadere, perciò dovemmo andarcene. Avevo

oltrepassato tre isolati, quando mi resi conto di aver lasciato la borsa sull’erba. Con un

lamento, feci inversione e tornai da Adrian. La mia borsa era là, ma la Mustang non

c’era più.

«Dov’è la macchina?», chiesi, in preda al panico. «Nessuno avrebbe potuto rubarla

in così poco tempo».

«Oh» disse Jill dal sedile posteriore, leggermente agitata. «L’ho visto tramite il

legame. Lui, ehm, l’ha spostata.»

Era utile avere il legame come fonte di informazioni, ma le sue parole mi

spaventarono più dell’ipotesi del furto. «Lui cosa?»

«Non è lontana» aggiunse in fretta. «È dietro il palazzo. Questa strada ha delle strane

regole riguardo i parcheggi notturni.»

Feci una smorfia. «Beh, sono contenta che non verrà rimossa, ma avrebbe dovuto

farla spostare a me! Anche se non ci è andato molto lontano, potrebbe aver rovinato il

cambio.»

«Sono certa che sia a posto», disse Jill. C’era qualcosa di strano nella sua voce.

Non risposi. Jill non era un’esperta di auto. Nessuno di loro lo era. «È come lasciare

libero un neonato in una stanza piena di porcellana» borbottai. «A cosa pensava? A

niente di tutto questo?»

Nessuno aveva una risposta adatta alla domanda. Rientrammo ad Amberwood in

tempo per il coprifuoco di Angeline e mi ritirai nella sanità e nella calma della mia

camera. Accertatami che i miei amici fossero ben sistemati per la notte, scrissi un’e-

mail a Donna Stanton (un’Alchimista di alto livello con la quale avevo

inspiegabilmente sviluppato un buon rapporto) per parlarle dei cacciatori e di ciò che

avevo scoperto. Feci anche delle foto dell’opuscolo e le allegai all’e-mail. Una volta

finito, mi fermai a pensare se non ci fossero altre informazioni utili da darle.

Fu solo quando ebbi esaurito tutte le opzioni (e aggiornato la mia casella di Posta in

arrivo un paio di volte per vedere se aveva già risposto) che decisi di concentrarmi sui

miei compiti. Come al solito, ero abbastanza avanti con tutti… tranne uno.

Quello della signora Terwilliger.

Quello stupido libro stava sulla scrivania a guardarmi, come se mi stesse sfidando

ad aprirlo. Avevo ancora qualche giorno prima della consegna dell’incantesimo, per

cui avrei potuto rimandare. Tuttavia, cominciavo ad accettare il fatto che questo

compito non si sarebbe svolto da solo. Considerando quanto tempo occorreva per

prepararsi a fare alcuni incantesimi, pensai fosse meglio stringere i denti e levarmelo

di torno.

Decisa, portai il libro sul letto e lo aprii all’indice, cercando alcuni degli incantesimi

dei quali mi aveva parlato la Terwilliger. Mi si contorse lo stomaco a vederne certi,

perché ogni mio istinto mi diceva quanto fosse sbagliato persino provare a farli. La

magia è dei vampiri, non degli umani.

Continuavo a pensarla così, ma la parte analitica della mia mente non poté fare a

meno di applicare alcuni degli incantesimi di difesa a varie ipotetiche situazioni.

Proprio come per la mia decisione di dare il mio sangue, i recenti avvenimenti avevano

cambiato la mia visione del mondo. La magia era sbagliata? Sì. Ma quell’incantesimo

di cecità sarebbe stato molto utile in quel vicolo. Avrei potuto usare anche un altro

incantesimo per immobilizzare temporaneamente i cacciatori e scappare dal bar. Certo,

durava solo trenta secondi, ma sarebbe stato più che sufficiente a permettermi di

scappare.

Ed andai avanti così col resto dell’elenco. Erano tutti incantesimi così sbagliati,

eppure… così utili. Se non avessi visto l’incantesimo di fuoco che avevo usato per

mandare a fuoco uno Strigoi, non avrei mai creduto che cose del genere fossero

possibili. Ma lo erano eccome.

Così tanto potere… potermi difendere da sola…

All’improvviso, mi rimproverai da sola per averlo pensato. Non avevo bisogno di

potere. Era quello il tipo di pensiero che aveva portato quel maniaco di Liam a

desiderare di diventare uno Strigoi. Ma… era davvero la stessa cosa? Io non volevo

l’immortalità. Non volevo fare del male ad altri. Volevo solo proteggere me stessa e le

persone a me care. Wolfe aveva tanto da insegnarmi, ma le sue tecniche di prevenzione

non sarebbero state d’aiuto, se quei cacciatori di vampiri avessero di nuovo attaccato

me e Sonya in un vicolo. Col passare del tempo, diventava sempre più chiaro che i

cacciatori erano molto determinati.

Tornai all’indice, trovando degli incantesimi molto utili, ma molto al di fuori delle

mie capacità. Secondo la signora Terwilliger, avevo un eccellente potenziale magico

innato (cosa alla quale non credevo molto), anche grazie al mio rigoroso addestramento

di Alchimista sul senso della misura e di attenzione ai dettagli. Non era difficile

immaginare quanto tempo mi ci sarebbe voluto per padroneggiare uno di quegli

incantesimi.

La domanda era: quale? Quale incantesimo dovevo fare?

La risposta era stranamente semplice.

Avevo il tempo di farli tutti.

CAPITOLO 17 Traduzione: ohmahgawdtawny

Pre-Revisione: Medea Knight

LA MACCHINA DI ADRIAN ANDAVA CHE ERA UN SOGNO.

Quando mi misi dietro al volante, quasi mi dimenticai di tutto il resto. Anzi, avevo

quasi dimenticato che dovevamo andare da Wolfe e mostrare ad Adrian come usare il

cambio manuale. Ero rapita dal modo in cui il motore rombava intorno a noi e

dall’odore della pelle dei sedili. Lasciando il suo quartiere, dovetti trattenermi dal

premere l’acceleratore a tavoletta e scorrazzare per le strade affollate del centro di Palm

Springs. Questa era una di quelle macchine che urlavano di essere lasciate libere su una

strada aperta. Avevo ammirato la Mustang di Brayden, ma questa la veneravo.

«Mi sento come se stessi rovinando l’appuntamento di qualcuno» Adrian commentò,

una volta imboccata l’autostrada. Nessuno ci aveva seguito fuori dal centro e questo

mi faceva sentire molto più al sicuro. «Come se fossi il terzo incomodo tra voi due. Se

mi vuoi abbandonare da qualche parte, capirei.»

«Eh?»

Stavo prestando particolare attenzione al fatto che la macchina fosse stata costruita

per velocità più elevate, sia grazie al suono che alle sensazioni. La Mustang era in

splendida forma. Le persone pensano spesso che le macchine d’epoca siano costose.

Lo sono… se in buone condizioni. La maggior parte non lo sono. Quando una cosa non

viene curata per anni, è inevitabile che si rovini ed è per questo che molte macchine

vecchie sono spesso dei rottami. Ma non quella di Adrian. La sua era stata mantenuta

e restaurata nel corso gli anni e, probabilmente, non aveva mai lasciato lo stato della

California… il che voleva dire che non aveva mai affrontato duri inverni. Tutto questo,

aggiunto al prezzo elevato, risultava ancor più ridicolo, dato che Adrian aveva

comprato una cosa che non sapeva nemmeno guidare.

Gemetti. «Scusa... Non so che mi era preso.» Beh, più o meno lo sapevo. Mi stavo

domandando quante sarebbero state le probabilità di una multa, se avessi infranto i

limiti di velocità per vedere quanto veloci potevamo andare. «Avrei dovuto darti

lezioni appena ho acceso la macchina. Prometto che lo farò appena torneremo da

Wolfe, tutti i passaggi. Per adesso, immagino di poter ricapitolare le basi. Questa è la

frizione...»

Adrian non sembrava infastidito dalla mia distrazione. Anzi, sembrava divertito e

ascoltò le mie spiegazioni con un lieve sorriso tranquillo stampato in faccia.

Wolfe sembrava un tipo poco raccomandabile proprio come l’ultima volta, completo

di benda all’occhio e di quelli che sospettavo fossero i bermuda dell’altra volta. Sperai

che avesse fatto il bucato da allora. Nonostante le apparenze, era pronto a cominciare

quando la nostra classe si raggruppò e sembrava competente nella sua materia. Sebbene

ci ricordò ancora dell’importanza di evitare i conflitti e dell’essere consapevoli di cosa

ci circondasse, passò velocemente oltre e si concentrò sull’effettiva pratica di metodi

di autodifesa.

Considerando quanto si fosse lamentato Adrian l’ultima volta del "noioso" discorso

sulla sicurezza, immaginai si sentisse eccitato del fatto che saremmo passati

direttamente all’azione. Invece, quello sguardo divertito di poco prima era scomparso

e diventava sempre più teso mentre Wolfe spiegava cosa voleva che facessimo nella

nostra sessione pratica a coppie.

Quando arrivò l’effettivo momento della pratica, Adrian sembrava palesemente

infelice.

«Qual è il problema?» domandai. Ricordai improvvisamente l’ultima volta, quando

Adrian era andato fuori di testa dopo il mio "attacco". Forse non si aspettava di dover

lavorare qui. «Forza, è facile. Non ti sporcherai.»

Anche mentre insegnava azioni di combattimento, Wolfe era sempre convinto di

dover fare le cose in modo semplice e veloce. Non dovevamo imparare a picchiare

qualcuno. Quelle manovre avevano lo scopo di distrarre l’assalitore, per poi poter

scappare. La maggior parte delle mosse venivano fatte con l’ausilio di manichini, dal

momento che difficilmente potevamo provare a infilarci le dita negli occhi a vicenda.

Adrian affrontò le manovre con diligenza, anche se in silenzio. Fu quando lavorò

direttamente con me che sembrò avere problemi.

Se n’era accorto anche Wolfe, andando in giro a controllare le coppie. «Forza,

ragazzo! Non può provare a scappare se tu non provi a bloccarla. Non ti farà del male

e tu non ne farai a lei.»

La manovra in questione sarebbe tornata davvero utile la sera in cui ero stata braccata

nel vicolo. Quindi, ero ansiosa di metterla in pratica e frustrata dal fatto che Adrian

continuasse a collaborare svogliatamente. Avrebbe dovuto mettermi un braccio attorno

al torso e provare a coprirmi la bocca. Sfortunatamente, i suoi sforzi erano così penosi

e la sua presa così debole, che non ebbi bisogno di nessuna tecnica speciale per

liberarmi. Avrei potuto semplicemente uscire dalle sue braccia.

In presenza di Wolfe, Adrian faceva leggermente meglio la parte dell’assalitore, ma

una volta soli tornava subito alle mosse di prima. «Facciamo a cambio» dissi infine,

volendomi quasi strappare i capelli. «Prova a sfuggirmi. Rimedia all’ultima volta che

ti ho attaccato.»

Stentavo a credere che il problema in quel posto sarebbe stato la fiacchezza di

Adrian. Mi sarei aspettata che il problema sarei stata io, che non volevo toccare un

vampiro, ma non mi infastidiva per niente. Non pensavo a lui come a un vampiro. Lui

era Adrian, il mio compagno in quel corso. Avevo bisogno che imparasse quella mossa.

Era stato tutto molto pratico. Se non l’avessi conosciuto bene, avrei quasi pensato che

Adrian avesse quasi paura di toccarmi, cosa che non aveva alcun senso. I Moroi non

hanno di questi problemi. C’era qualcosa di sbagliato in me? Perché Adrian non voleva

toccarmi?

«Cosa c’è?» gli chiesi, una volta in macchina, diretti di nuovo in città. «Ho capito

che non sei un atleta, ma cosa è successo poco fa?»

Adrian rifiutò di incrociare il mio sguardo, e lo lasciò, invece, fisso fuori dal

finestrino. «Non penso che questa cosa faccia per me. Mi piaceva fare la parte dell’eroe

prima, ma ora... Non lo so. È una pessima idea. C’è più lavoro di quanto mi aspettassi.»

C’era quel tono scherzoso, ma altezzoso nella sua voce che non avevo sentito da un

po’.

«Cosa è successo alla versione di te che finisce le cose che ha iniziato?» gli chiesi.

«Mi hai detto che eri cambiato.»

«Quello valeva per l’arte» disse Adrian velocemente. «Li sto ancora frequentando

quei corsi, no? Non li ho abbandonati. È solo che questo non lo voglio fare più. Non ti

preoccupare. Ora che ho più soldi, ti ridarò i soldi per la lezione. Non ci rimetterai

nulla.»

«Ma non importa» dissi io. «È comunque uno spreco! Specialmente perché quello

che Wolfe ci sta facendo vedere non è davvero poi così difficile. Non ci stiamo facendo

a pezzi come farebbero Eddie e Angeline. Perché è così difficile per te continuare a

imparare?» Il mio dubbio precedente ritornò. «È perché non vuoi lavorare con me?

C’è... c’è qualcosa di sbagliato in me?»

«No! Ovviamente no. Assolutamente no,» disse Adrian. Con la coda dell’occhio,

finalmente lo vidi guardarmi. «Forse è solo perché ho tante cose da imparare in una

sola volta. Cioè, dovrei anche imparare a guidare con il cambio manuale. Non che mi

aspetti di farcela.»

Volevo tirarmi una sberla in fronte. Nella mia frustrazione dopo la lezione, mi ero

completamente dimenticata, di nuovo, che dovevo insegnare ad Adrian a guidare. Mi

sentii un’idiota, anche se ero ancora arrabbiata con lui per essersi arreso con Wolfe.

Controllai l’ora. Quella sera avevo delle cose da fare a Amberwood, ma mi sentii in

dovere di rimediare ai miei insegnamenti scadenti.

«Faremo pratica una volta arrivati nel tuo quartiere,» promisi. «Inizieremo

lentamente e ti mostrerò tutto quello che devi fare. Potrei anche lasciarti provare a

guidare intorno all’edificio stasera, se presterai abbastanza attenzione alla lezione.»

La trasformazione di Adrian fu notevole. Passò da accigliato e contrariato ad allegro

ed energico. Non riuscivo a capire. Certo, trovavo affascinanti le macchine e la guida,

ma tecnicamente parlando, c’erano molti più dettagli da imparare sul cambio manuale

rispetto a quelli delle tecniche evasive di Wolfe. Perché erano così difficili per lui,

mentre la frizione era così semplice?

Mi fermai per circa un’ora una volta arrivati. In sua difesa, Adrian prestò attenzione

a ogni singola parola che dissi, nonostante i suoi risultati furono incoerenti ogni volta

che gli chiedevo o gli lasciavo fare qualcosa. A volte sembrava un professionista. Altre

volte, sembrava totalmente perso su cose che avrei potuto giurare avesse capito. Per la

fine dell’ora, mi sentivo abbastanza sicura a lasciarlo guidare a bassa velocità, su strade

vuote. Ci sarebbe voluto di gran lunga più tempo per l’autostrada o il viavai di una

grande città.

«Mi sembra che serviranno altre lezioni in futuro» gli dissi quando finimmo.

Parcheggiai l’auto sul retro dell’edificio e ci dirigemmo verso l’entrata principale dove

c’era Latte. «Non spostare la macchina oltre un mezzo miglio. Ho controllato il

contachilometri. Me ne accorgerò.»

«Recepito» disse, ancora con quel sorriso sbarazzino. «A quando la prossima

lezione? Vuoi tornare domani sera?»

«Non posso» dissi. «Devo uscire con Brayden.» ero sorpresa da quanto non vedessi

l’ora di farlo. Non volevo solo scusarmi con lui per il ballo, ma volevo anche un pizzico

di normalità… beh, almeno quel tipo di normalità che avevamo io e Brayden insieme.

In più, le cose con Adrian erano molto strane...

«Oh». Il sorriso di Adrian scomparve. «Beh. Capisco. Cioè, amore e romanticismo

e roba del genere.»

«Andremo al museo tessile» dissi. «È figo, anche se non so quanto amore e

romanticismo ci saranno.»

Adrian quasi si bloccò. «C’è un museo tessile qui? Cosa fanno le persone là dentro?»

«Beh, guardano... ehm, i tessuti. C’è davvero una grande mostra su…»

Mi fermai appena raggiunta la facciata del palazzo. Lì, dietro Caffellatte, c’era una

macchina familiare, quella noleggiata che usavano Sonya e Dimitri. Guardai Adrian

con aria interrogativa.

«Li aspettavi per stasera?»

«No» disse, dirigendosi verso la porta. «Hanno la chiave, comunque, quindi

suppongo che possano entrare quando vogliono. Lo fanno spesso, in verità. Lui mangia

il mio cibo e lei usa i miei prodotti per capelli.»

Lo seguii. «Speriamo che ci sia solo Dimitri.»

Dopo le nostre recenti rivelazioni sui Cacciatori, Sonya era sotto arresti domiciliari.

O almeno era quello che pensavo. Quando entrammo nell’appartamento, lei era seduta

sul divano. Nessun Dimitri in vista. Alzò lo sguardo dal suo computer, verso di noi.

«Grazie al cielo sei qui» disse, rivolgendosi a me. «Jill ha detto che eravate fuori e

speravo di beccarti qui.»

Qualcosa mi diceva che non sarebbe uscito niente di buono dal fatto che volesse

"beccarmi", ma avevo preoccupazioni peggiori. «Cosa ci fai qui?» le chiesi, quasi

aspettandomi che i cacciatori entrassero dalla porta. «Dovresti stare da Clarence fino a

quando non lascerai la città.»

«Dopodomani» confermò. Si alzò, con gli occhi accesi da quel qualcosa che l’aveva

guidata fino a lì. «Ma avevo bisogno di parlare con te… faccia a faccia.»

«Sarei venuta io da te» protestai. «Non è sicuro per te stare in giro.»

«Sto bene» disse. «Mi sono accertata che nessuno mi seguisse. Era troppo

importante.»

Era senza fiato ed eccitata.

Più importante dell’essere catturati da degli aspiranti cacciatori di vampiri? Non

credo.

Adrian incrociò le braccia e apparve sorprendentemente critico «Beh, comunque è

troppo tardi. Che succede?»

«Abbiamo i risultati del sangue di Sydney» spiegò Sonya.

Il mio cuore si fermò. No, pensai. No, no, no.

«Proprio come con il sangue di Dimitri, non c’è niente di fisiologico,» disse. «Niente

di anomalo con le proteine, gli anticorpi o cose del genere.»

Provai sollievo. Avevo ragione. Non c’era niente di speciale in me, niente proprietà

inspiegabili. Eppure... allo stesso tempo, mi sentii un po’ dispiaciuta. Non ero io quella

che poteva aggiustare tutto.

«Lo abbiamo mandato a un laboratorio Moroi stavolta, non ad uno degli Alchimisti»

continuò Sonya. «Uno dei ricercatori – specializzato nella terra – ha avvertito magia

della terra. Proprio come io e Adrian abbiamo sentito lo spirito nel sangue di Dimitri.

Il tecnico l’ha fatto esaminare ad altri specializzati in altri elementi e tutti e quattro gli

elementi base sono stati rilevati.»

Il panico ritornò. Mi aveva portato su una montagna russa di emozioni, una che mi

faceva venire la nausea.

«Magia... nel mio sangue?» Un momento dopo, capii. «Ovvio che ce n’è.» Dissi

lentamente. Mi toccai la guancia. «Il tatuaggio ha dentro sangue di vampiro e magia.

Ecco cos’è. Ci sono diversi tipi di incantesimi dentro, fatti da parte di diversi

specializzati. È ovvio che lo si sarebbe visto dal mio sangue.»

Rabbrividii. Anche con una spiegazione logica, era una cosa spaventosa accettare

che ci fosse della magia nel mio sangue. Gli incantesimi della signorina Terwilliger

erano ancora una cosa detestabile per me, ma almeno era confortante sapere che la

magia provenisse da fuori. Ma sapere che avevo qualcosa dentro me? Era terrificante.

E nonostante tutto, non potevo sorprendermi della scoperta, non con il tatuaggio. Sonya

annuì. «Sì, certo. Ma deve esserci qualcosa riguardo a quella combinazione che

respinge gli Strigoi. Potrebbe essere la chiave di tutto il nostro lavoro!»

Con mia sorpresa, Adrian mosse alcuni passi verso di me con una postura tesa, quasi

ferocemente protettiva.

«Quindi sai che il sangue di un Alchimista è magico» disse. «Questa non è una

sorpresa. Caso chiuso. Cosa vuoi da lei adesso?»

«Un altro campione per cominciare» disse Sonya ardentemente. «Non ce n’è più

nella fiala originale che ho preso, dopo aver fatto tutti i test. So che suona strano, ma

sarebbe utile anche se un Moroi... ecco, assaggiasse il tuo sangue per vedere se ha gli

stessi poteri repulsivi che ha contro gli Strigoi. Il sangue fresco sarebbe l’ideale, ma

non mi sono illusa abbastanza da chiederti di sottoporti a un nutrimento. Dovremmo

semplicemente poter usare il tuo campione e…»

«No» dissi. Incespicai all’indietro, disgustata. «Assolutamente no. Che sia attraverso

il mio collo o una fiala, non esiste che farò assaggiare a qualcuno il mio sangue. Lo

sai quanto è sbagliato? Lo so che lo fate continuamente con i donatori, ma non sono

una di loro. Non avrei mai dovuto darti il primo campione. Non hai bisogno di me per

questo. La chiave è lo Spirito. Lee è la prova che quelli che devi analizzare sono gli ex

Strigoi.»

Sonya non fu intimidita dal mio sfogo. Proseguì, seppur con un tono più gentile.

«Capisco la tua paura, ma pensa a tutti i possibili utilizzi! Se qualcosa nel tuo sangue

ti rendesse resistente agli Strigoi, allora tu potresti salvare un numero infinito di vite.»

«Gli Alchimisti non sono resistenti» dissi. «Quel tatuaggio non è protettivo per noi,

se è a questo che stai puntando. Pensi che durante tutta la nostra storia, non ci sia

neanche un Alchimista che si è trasformato in Strigoi?»

«Beh, ovviamente» disse. Le sue parole erano esitanti e mi incoraggiarono a

proseguire.

«Quindi, la magia che hai trovato in me è irrilevante. È solo un tatuaggio. Tutti gli

Alchimisti lo hanno. Magari non ha un buon sapore, ma il sangue Alchimista non ha

niente a che fare con la trasformazione in Strigoi. Succede ancora anche a noi.» Stavo

straparlando, ma non mi importava.

Sonya parve perplessa, la sua mente stava esaminando le possibili implicazioni delle

nuove notizie. «Ma il sangue di tutti gli Alchimisti ha un brutto sapore? Se è così, come

potrebbe uno Strigoi prosciugarli?»

«Magari varia da persona a persona» dissi. «O forse alcuni Strigoi sono più resistenti

di altri. Non lo so. Ma in ogni caso, non siamo noi quelli su cui bisogna concentrarsi.»

«A meno che non ci sia semplicemente qualcosa di speciale in te» riflettè Sonya.

No. Non lo volevo. Non volevo essere analizzata, bloccata dietro a un vetro come

Keith. Non avrei potuto. Pregai che non vedesse quanto ero spaventata.

«C’è molto di speciale in lei» disse Adrian, asciutto. «Ma il suo sangue non è in

vendita. Perché continui ad insistere dopo l’ultima volta?»

Sonya fulminò Adrian. «Non lo sto facendo per ragioni egoiste, lo sai! Voglio

salvare la nostra gente. Voglio salvare tutta la nostra gente. Non voglio vedere nessun

nuovo Strigoi in questo mondo. Nessuno dovrebbe vivere in quel modo.» Uno sguardo

tormentato scintillò nei suoi occhi, come se un ricordo si fosse impadronito di lei.

«Quel tipo di sete di sangue e la completa mancanza di empatia per ogni altra creatura

vivente... nessuno può immaginare com’è. Ti senti vuoto. Un incubo vagante, eppure...

non ti interessa e basta...»

«Curioso» disse Adrian, «dato che hai voluto diventare uno Strigoi di tua spontanea

volontà.» Sonya impallidì e io mi sentii a pezzi. Apprezzavo le difese di Adrian, però

provavo anche pietà per Sonya. Mi aveva spiegato in passato che l’instabilità dello

Spirito - la stessa instabilità che Adrian temeva – l’aveva indotta a trasformarsi in uno

Strigoi. Rivalutando la sua decisione, se ne pentì più di qualsiasi altra cosa nella vita.

Si sarebbe sottoposta a una punizione, ma nessun tribunale sapeva come gestire la sua

situazione.

«Farlo è stato un errore» disse fredda. «L’ho imparato a mie spese… è proprio per

questo che sono così ansiosa di salvare gli altri da quel destino.»

«Beh, allora trova un modo per farlo senza mettere in mezzo Sydney! Lo sai come

si sente riguardo a noi...» Adrian vacillò mentre mi guardava e fui sorpresa di notare

un po’ di amarezza nella sua voce. «Lo sai come si sentono gli Alchimisti. Continua a

coinvolgerla e la metterai nei guai con loro. E se sei così convinta che loro abbiano le

risposte, chiedi dei volontari e fai degli esperimenti in questo modo.»

«Potrei aiutare» Mi offrii. «Potrei procurarti dei soggetti autorizzati. Potrei parlare

con i miei superiori. A loro piacerebbe sterminare gli Strigoi quanto te.»

Quando Sonya non le rispose, Adrian indovinò il perché. «Sa che direbbero di no,

Sage. Ecco perché si sta rivolgendo direttamente a te e perché non hanno mandato il

tuo sangue a un laboratorio Alchimista.»

«Perché non riuscite a capire quanto questo sia importante?» Chiese Sonya, con un

disperato desiderio di fare del bene negli occhi. Mi fece sentire colpevole e combattuta.

«Lo capisco» disse Adrian. «Credi che non voglia vedere ogni singolo bastardo

Strigoi sparire dalla faccia della terra? Certo che lo voglio! Ma non al costo di forzare

le persone a fare cose che non vogliono fare.»

Sonya gli lanciò uno sguardo lungo e misurato. «Penso che tu stia lasciando che i

tuoi sentimenti interferiscano con tutto questo. Le tue emozioni rovineranno la nostra

ricerca.»

Lui sorrise. «Bene, allora. Sii grata che ti libererai di me tra due giorni.»

Sonya ci guardò entrambi, sembrò sul punto di protestare, ma poi ci ripensò. Senza

altre parole se ne andò, con lo sguardo sconfitto. Mi sentii lacerata di nuovo. In teoria,

sapevo che aveva ragione... solo che il mio stomaco non era d’accordo.

«Non volevo turbarla» dissi alla fine.

La faccia di Adrian non mostrò alcuna comprensione. «Lei non avrebbe dovuto

turbarti. Lo sa come ti senti.»

Mi sentivo ancora un po’ in colpa, eppure non potevo scrollarmi di dosso la

sensazione che se avessi ceduto, mi avrebbero chiesto sempre di più. Ripensai al giorno

in cui Eddie e Dimitri erano stati ricoperti dalla magia dello spirito. Non avrei mai

potuto essere coinvolta fino a quel punto. Mi stavo già spingendo ben oltre i miei limiti.

«Lo so... ma è dura» dissi. «Mi piace Sonya. Le ho dato la prima fiala, capisco perché

pensasse che la seconda sarebbe stata facile da ottenere.»

«Non importa» disse lui. «No è no.»

«Lo chiederò davvero agli Alchimisti» dissi. «Magari ci aiutano.» Non pensai che

avrei dovuto affrontare così tanti guai per quella prima fiala. Gli Alchimisti

approvavano gli esperimenti iniziali dopotutto, anzi probabilmente avrei guadagnato

punti per aver resistito alle pressioni di una vampira per l’ottenimento di un secondo

campione.

Lui scrollò le spalle. «Se aiutano, perfetto. Se non lo fanno, non è una tua

responsabilità.»

«Beh, grazie per essere galantemente corso in mia difesa di nuovo» Lo stuzzicai.

«Forse riusciresti meglio negli allenamenti di Wolfe, se dovessi proteggere qualcun

altro e non te stesso?»

Il sorriso di poco prima riapparve. «È che non mi piacciono i bulli, tutto qui.»

«Ma dovresti tornare da Wolfe con me» lo esortai. «Hai bisogno di una chance per

provare ad attaccarmi.»

Dopo quella frase, divenne di nuovo serio. Distolse lo sguardo. «Non lo so, Sage.

Vedremo. Per adesso, concentriamoci sulla guida… quando ti liberi del tuo ragazzo,

ovviamente.»

Me ne andai poco dopo, ancora confusa dal suo strano comportamento. Era uno dei

strani effetti dello spirito sulla mente? In un momento era coraggioso e protettivo.

Quello dopo, era giù di morale e ostinato. Forse c’era uno schema o qualche tipo di

ragionamento dietro tutto il suo comportamento, ma andava oltre le mie abilità

analitiche.

Tornata alla Amberwood, mi diressi immediatamente in biblioteca per prendere un

libro per la mia lezione di inglese. La signorina Terwilliger aveva alleggerito il mio

solito carico di studio in modo che potessi "dedicare più tempo" a fare pratica con i

suoi incantesimi. Da quando il suo studio indipendente - che avrebbe dovuto essere il

mio corso a scelta facile - mi prendeva molto più tempo delle mie altre lezioni, era

piacevole fare una cosa diversa tanto per cambiare. Mentre me ne andavo dalla sezione

di Letteratura Inglese, scorsi Jill e Eddie che studiavano insieme a un tavolo. Non era

quella la cosa strana. La cosa strana era che Mycah non era con loro.

«Ehi, ragazzi» dissi, scivolando su una sedia. «Vi siete messi sotto col lavoro?»

«Sai quanto sarebbe strano dover ripetere il mio ultimo anno?» Chiese Eddie. «Non

posso neanche fregarmene. Devo prendere voti decenti così posso rimanere qui.»

Sogghignai. «Ehi, vale sempre la pena acculturarsi.»

Tamburellò sui fogli di fronte a lui. «Sì? Sai qualcosa della prima donna che vinse

il premio Pulitzer per la narrativa?»

«Edith Wharton,» dissi automaticamente. Scarabocchiò qualcosa sui suoi fogli,

mentre mi rivolsi a Jill. «Come va? Dov’è Micah?»

Jill si teneva il mento con la mano e mi stava fissando con il più strano degli sguardi.

Era quasi... sognante. Le servirono un paio di minuti per emergere dal suo stordimento

e rispondere. Lo sguardo sognante divenne poi imbarazzato e costernato. Abbassò lo

sguardo sul suo libro.

«Scusa. Stavo solo pensando a quanto stai bene vestita di grigio. Cosa mi hai

chiesto?»

«Micah?» Ripetei.

«Oh. Giusto. Aveva... delle cose da fare.»

Ero abbastanza sicura che fosse la spiegazione più breve che mi avesse mai dato.

Provai a ricordare l’ultima cosa che sapevo della loro relazione. «Avete chiarito, vero?»

«Sì. Suppongo. Ha capito il fatto del Ringraziamento.» Si illuminò. «Ehi, Eddie e io

ne stavamo giusto parlando. Pensi che potremmo festeggiare un Ringraziamento in

stile grande famiglia da Clarence? Pensi che ci sarebbero problemi? Potremmo aiutare

tutti, sarebbe molto divertente. Cioè, a parte per la copertura, siamo davvero come una

famiglia. Eddie dice che potrebbe fare lui il tacchino.»

«Penso che a Clarence piacerebbe come idea,» dissi, felice di vederla allegra di

nuovo. Poi, ripensai alle sue ultime parole. Mi rivolsi a Eddie incredula. «Sai cucinare

il tacchino? E come lo avresti imparato?» Da quello che sapevo, la maggior parte dei

dhampir stavano all’incirca un anno a scuola sin da piccoli. Non c’era molto tempo per

la cucina.

«Ehi» disse, serio. «Vale sempre la pena acculturarsi.»

Jill rise. «Non vuole dirlo neanche a me.»

«Sai, Angeline dice di saper cucinare,» disse Eddie. «Ne parlavamo a colazione.

Dice di saper cucinare anche il tacchino, così se facciamo gioco di squadra, possiamo

farcela. Probabilmente vorrà cacciarlo e ucciderlo lei stessa.»

«Probabilmente,» dissi. Era meraviglioso come lui potesse pensare di lavorare con

lei a qualcosa. Era ancora più meraviglioso che parlasse di lei con affetto, senza prese

in giro. Cominciavo a pensare sempre di più che il suo spettacolo all’assemblea fosse

stata una buona cosa. Non avevamo bisogno di animosità nel gruppo. «Beh, ho trovato

ciò che mi serviva, per cui me ne vado. Ci vediamo domattina.»

«Ci vediamo» disse Eddie.

Jill non disse niente, e quando la guardai, vidi che mi stava ancora fissando con

quello strano sguardo rapito. Sospirò felicemente. «Adrian si è divertito a lezione con

te questa sera, sai.»

Alzai quasi gli occhi al cielo. «Il legame non lascia segreti. Non sembrava divertirsi

sempre.»

«No, si è davvero divertito,» mi assicurò lei. Un sorriso assonnato le attraversò i

lineamenti. «Ama il fatto che tu ami la sua macchina più di quanto la ami lui e pensa

che sia fantastico che tu sia così brava nelle lezioni di difesa. Non che sia una sorpresa.

Sei sempre brava a far tutto e non te rendi neanche conto. Non ti accorgi neanche della

metà delle cose che sai fare… tipo come ti preoccupi sempre per gli altri e non pensi

mai a te stessa.»

Anche Eddie rimase un po’ stupito. Ci scambiammo degli sguardi disorientati.

«Beh,» dissi imbarazzata, davvero confusa su come affrontare quella festa dell’amiamo

Sydney. Decisi che scappare fosse la mia miglior opzione. «Grazie. Ci vediamo dopo…

ehi. Dove l’hai presa?»

«Eh?» chiese lei, riemergendo dalla sua nebbia d’estasi.

Jill indossava una sciarpa di seta colorata piena di ricchi gioielli, che mi ricordava

quasi la coda di un pavone. Mi ricordava anche qualcos’altro, ma non riuscivo a

inquadrarlo. «La sciarpa. L’ho già vista.»

«Oh.» Passò le dita sul soffice tessuto. «Me l’ha data Lia.»

«Cosa? Quando l’hai vista?»

«Si è fermata nel dormitorio ieri per riportare i vestiti. Non te l’ho detto perché

sapevo che avresti voluto restituirli.»

«Esatto» dissi categoricamente.

Jill sospirò. «E dai, teniamoli e basta. Sono così belli. E lo sai che lei ce li

riporterebbe.»

«Ne parleremo più tardi. Dimmi della sciarpa.»

«Non è questa gran cosa. Cercava di farmi pubblicizzare questa collezione di

sciarpe…»

«Sì, sì, lo ha detto anche a me. Che avrebbe potuto fare in modo che nessuno ti

riconoscesse» scossi la testa, sentendo una sorprendente quantità di rabbia. Non avevo

più niente sotto controllo? «Non posso credere che abbia agito alle mie spalle! Ti prego,

dimmi che non te la sei svignata con lei a fare un servizio fotografico.»

«No, no,» disse Jill velocemente. «Certo che no. Ma non pensi... cioè, non pensi che

ci sia un modo per farcela? A nascondermi?»

Provai a mantenere un tono gentile. Dopotutto, ero arrabbiata con Lia, non con Jill.

«Forse. Forse no. Sai che non possiamo correre il rischio.»

Jill annuì triste. «Sì.»

Ero ancora infastidita e così distratta che per poco non finii addosso a Trey. Quando

non rispose al mio saluto, realizzai che era anche più distratto di me. C’era uno sguardo

tormentato nei suoi occhi e sembrava esausto.

«Stai bene?» Chiesi.

Mi rivolse un debole sorriso. «Sì, sì. Solo sotto pressione per tante cose. Niente che

non possa gestire. E tu come stai? Di solito non ti devono buttare fuori di qui? O ti sei

finalmente stancata di stare qui otto ore di seguito?»

«Mi serviva solo un libro,» dissi. «E in realtà sono stata qui solo dieci minuti. Sono

stata fuori quasi tutta la sera.»

Il suo sorriso scomparve e aggrottò le sopracciglia. «Con Brayden?»

«Quello domani. Ho avuto, ehm, questioni familiari questa sera.»

Il cipiglio si approfondì. «Esci spesso, Melbourne. Hai molti amici fuori da scuola.»

«Non così tanti,» dissi. «Non sto vivendo una vita tutta feste, se è questo quello a

cui vuoi arrivare.»

«Sì, beh. Stai attenta. Ho sentito di alcune cose inquietanti che succedono là fuori.»

Lo ricordai preoccupato anche per Jill. Mi tenevo spesso aggiornata sulle news locali

e non avevo sentito niente di allarmante di recente. «Cosa, c’è un giro criminale a Palm

Springs del quale dovrei essere a conoscenza?»

«Sta’ solo attenta,» disse.

Iniziammo a salutarci, ma poi lo richiamai «Trey? Lo so che sono affari tuoi, ma

qualunque cosa stia succedendo... se hai voglia di parlare, sono qui.» Era un enorme

sforzo da parte mia, visto che non ero amante della vita sociale in generale.

Trey mi rivolse un sorriso pieno di rammarico. «Recepito.»

Stavo quasi annaspando quando rientrai nel mio dormitorio. Adrian, Jill, Trey.

Considerando anche Eddie e Angeline che andavano d’accordo, tutti nella mia vita si

stavano comportando in modo strano. Il lavoro è anche questo, pensai.

Appena tornata nella mia stanza, chiamai Donna Stanton degli Alchimisti. Non

potevo mai sapere in che fuso orario si trovasse, quindi non ero molto preoccupata per

l’ora tarda. Rispose subito, non sembrava stanca e lo presi come un buon segno. Non

mi aveva risposto all’e-mail sui Guerrieri ed ero ansiosa di notizie. Rappresentavano

una minaccia troppo grande da poter essere ignorata.

«Signorina Sage» disse. «Ti avrei chiamata fra poco. Spero che sia tutto a posto con

la ragazza Dragomir?»

«Jill? Sì, sta bene. Volevo parlarle di altre cose. Ha ricevuto le mie informazioni sui

Guerrieri della Luce?»

La Stanton sospirò. «Era per questo che volevo chiamarti. Avete avuto altri scontri?»

«No. E non sembra neanche che ci stiano seguendo. Forse si sono arresi.»

«Improbabile.» Ci volle un po’ perché proseguisse a parlare. «Non da quello che

abbiamo osservato in passato.»

Mi raggelai, momentaneamente senza parole. «In passato? Vuol dire che... vi siete

già imbattuti in loro? Speravo fossero solamente... non lo so. Un gruppo pazzo di questa

zona.»

«Sfortunatamente, no. Li abbiamo già incontrati. Sporadicamente, sappilo, ma sono

ovunque.»

Ancora non potevo crederci. «Ma ho sempre pensato che i cacciatori fossero

scomparsi secoli fa. Perché nessuno ne ha mai parlato? »

«Onestamente?» Chiese la Stanton. «La maggior parte degli Alchimisti non lo sa.

Vogliamo mandare avanti un’organizzazione efficiente, che si occupi dei problemi dei

vampiri in modo sistematico e pacifico. Ci sono persone nel nostro gruppo che

vorrebbero azioni più estreme. È meglio quindi che l’esistenza del nostro ramo radicale

rimanga un segreto. Non avrei dovuto dirtelo, ma con tutti i contatti che stai avendo

con loro, è bene che tu sia pronta ad affrontarli.»

«Ramo... quindi sono collegati agli Alchimisti!» Ero disgustata.

«Non lo sono stati per molto tempo.» Sembrò ugualmente disgustata. «Non c’è più

alcuna somiglianza ormai. Sono spericolati e selvaggi. Li lasciamo vivere perché di

solito danno la caccia agli Strigoi. La situazione con Sonya Karp é più difficile. Non

ha ricevuto più minacce?»

«No. L’ho vista ieri sera... e questo ci porta all’altra ragione per cui ho chiamato...»

Feci alla Stanton un riassunto sui vari esperimenti sul sangue, inclusa la mia stessa

donazione. La descrissi in termini molto scientifici, di come sarebbero stati utili dati

extra. Poi mi assicurai di sembrare abbastanza scioccata dalla seconda richiesta di

Sonya… cosa che non fu poi così difficile.

«Assolutamente no,» disse la Stanton. Nessuna esitazione. Spesso, le decisioni degli

Alchimisti dovevano attraversare varie catene di comando, anche con qualcuno di

importante come lei. Il fatto che non avesse nemmeno dovuto consultarsi con altri era

un segno di come tutto questo andasse contro i pensieri degli Alchimisti. «Gli esami

del sangue umani sono una cosa. Tutto il resto è fuori questione. Non permetterò che

gli umani vengano usati in questi esperimenti, specialmente quando le prove

dimostrano che sono gli ex Strigoi quelli su cui occorre concentrarsi… non noi. Inoltre,

per quanto ne sappiamo, potrebbe essere un qualche stratagemma da parte dei Moroi

per ottenere più sangue nostro, per motivi personali.»

Non credevo assolutamente fosse vera l’ultima parte del suo discorso e cercai un

modo delicato per dirlo. «Sonya sembra davvero credere che tutto questo possa

proteggerci dagli Strigoi. L’unica cosa è che non sembra capire come ci sentiamo noi

al riguardo.»

«Certo che non ci riesce,» disse la Stanton sprezzante. «Nessuno di loro lo può

capire.» Tornammo a parlare dei cacciatori di vampiri. Gli Alchimisti stavano

indagando su alcuni avvistamenti nella zona. Non voleva che io facessi ulteriori

ricerche personalmente, ma avrei dovuto riferirle tutto, nel caso ci fossero state novità.

Riteneva che i Guerrieri della Luce stessero operando nelle vicinanze e, una volta

scoperto dove, gli Alchimisti si sarebbero "occupati di loro." Non ero del tutto sicura

di ciò che intendesse dire, ma il suo tono mi fece rabbrividire. Come aveva detto in

precedenza, non eravamo un gruppo particolarmente aggressivo... anche se eravamo

particolarmente bravi a sbarazzarci dei problemi.

«Oh,» dissi, proprio appena stavamo per riattaccare. «Hai poi scoperto qualcosa su

Marcus Finch?» Avevo provato a cercare il misterioso umano di Clarence, che lo aveva

aiutato contro i cacciatori, ma non l’avevo trovato. Speravo che la Stanton avesse più

contatti.

«No. Ma stiamo ancora cercando.» una breve pausa. «Signorina Sage... non riesco

nemmeno ad esprimere quanto siamo felici del lavoro che stai svolgendo. Hai

incontrato molte più complicazioni di quante ce ne aspettassimo e nonostante questo

le hai affrontate in modo abile ed efficiente. Anche il tuo comportamento con la Moroi

è stato esemplare. Una persona più debole avrebbe potuto cedere alla richiesta della

Karp. Tu ti sei rifiutata e mi hai contattato. Sono così orgogliosa di averti dato una

possibilità.»

Sentii una stretta al petto. Così orgogliosa. Non riuscivo a ricordarmi l’ultima volta

che qualcuno aveva detto di essere orgoglioso di me. Beh, mia madre lo diceva spesso,

ma nessuno degli Alchimisti, a lavoro, l’aveva mai fatto. Per la maggior parte della mia

vita, avevo sperato che mio padre mi dicesse di essere orgoglioso di me. Alla fine ci

avevo rinunciato. La Stanton non era affatto una figura materna, ma le sue parole

scatenarono in me una felicità che nemmeno sapevo esistesse.

«Grazie, signora,» dissi, quando finalmente riuscii a parlare.

«Continua così,» disse. «Quando potrò, ti tirerò fuori di lì e ti metterò in un posto in

cui non sarai così a stretto contatto con loro.»

E dopo quella frase, il mio mondo crollò. Mi sentii improvvisamente colpevole. Mi

aveva davvero dato un’occasione ed ora io la stavo ingannando. Non ero come Liam,

pronta a vendere la mia anima agli Strigoi, ma comunque non riuscivo a restare

obiettiva riguardo i miei incarichi. Lezioni di guida. Il Ringraziamento. Cosa avrebbe

detto la Stanton se fosse venuta a saperlo? Ero un’ipocrita, che mieteva glorie

immeritate. Se fossi stata davvero una devota Alchimista, avrei cambiato le mie

abitudini in quel posto. Avrei interrotto qualsiasi attività extra con Jill e con gli altri.

Non avrei neanche frequentato la Amberwood… avrei accettato l’offerta fattami,

quella di abitare in un alloggio esterno. Sarei andata a vedere come stava il gruppo solo

quando fosse stato strettamente necessario.

Se fossi stata davvero capace di farlo, solo allora sarei stata una buon Alchimista.

Eppure, realizzai, mi sarei anche ritrovata terribilmente e paurosamente sola.

«Grazie, signora,» dissi.

E fu l’unica risposta che riuscii a darle.

CAPITOLO 18 Traduzione: ohmahgawdtawny

Pre-Revisione: Sherm, Alessia C., Hikari

JILL NON MI GUARDÒ con occhi sognanti la mattina dopo, a colazione, ed era un

sollievo. Micah era spuntato di nuovo e, anche se non flirtavano più come una volta, i

due parlavano animatamente del progetto di scienze di lei. Anche Eddie e Angeline

erano impegnati in una conversazione, e stavano facendo progetti per quando la

sospensione di lei fosse finita. Mentre parlavano i suoi occhi azzurri brillavano di

felicità, e mi resi conto che provava dei veri sentimenti per lui. Non si era buttata su di

lui per conquistarlo e basta. Mi chiesi se lui lo sapesse.

Sarebbe stato facile sentirmi la quinta incomoda, invece ero felice e contenta di

vedere il mio piccolo gruppo andare così d’accordo. La conversazione con la Stanton

mi lasciava ancora combattuta, ma non c’era niente di sbagliato nell’apprezzare la pace

che aleggiava qui intorno. Avrei potuto essere ancora più felice se il comportamento di

Trey fosse tornato normale, ma quando raggiunsi l’aula di storia più tardi, lui era ancora

assente. Ero sicura che avrebbe detto di avere problemi in famiglia, ma i miei

precedenti sospetti, riguardo al fatto che la sua famiglia potesse essere responsabile

delle sue ferite, stavano tornando. Avrei dovuto parlarne con qualcuno? Chi? Non

volevo saltare a conclusioni affrettate, perciò avevo le mani legate.

Eddie e io ci sedevamo sempre vicini in quella lezione e, prima del suono della

campanella, mi chinai verso di lui tenendo la voce bassa per affrontare un altro

problema. «Ehi, ti sei accorto che Jill si comporta in modo strano quando ci sono io?»

«Ha un bel po’ di cose a cui pensare» disse, sempre rapido nel difenderla.

«Sì, lo so, ma devi aver notato quello che è successo ieri sera. In biblioteca? Cioè –

tieni a mente che sono terribile a capire queste cose - è come se avesse una cotta per

me o cose del genere.»

Lui rise. «Ha un po’ esagerato, ma non penso che tu debba preoccuparti di qualche

implicazione amorosa. È solo che ti stima molto, tutto qui. Una parte di lei vuole

ritornare ad essere una coraggiosa combattente che si lancia all’attacco senza paura...»

fece una pausa per assaporare l’idea, sul suo volto un misto di orgoglio ed estasi, prima

di rifocalizzarsi su di me. «Ma allo stesso tempo, stai iniziando a mostrarle tutti i modi

possibili per essere più forte».

«Grazie» dissi. «Credo. A proposito del suo essere una brava combattente...» lo

studiai, curiosa. «Perchè non la alleni più? Non vuoi che perfezioni le sue abilità?»

«Oh, sì. Già. Beh... ci sono diverse ragioni. Una di queste è che ho bisogno di

concentrarmi su Angeline. Un’altra è che non voglio che Jill si preoccupi. La

proteggerò io.» Quelle erano esattamente le ragioni a cui avevo pensato. Ma non quella

che disse subito dopo. «E immagino... che l’altra ragione sia che non mi sembra giusto

stare in contatto con lei in quel modo. Cioè, so che non significa niente per lei... ma

significa qualcosa per me.»

Ancora una volta, le mie abilità sociali ci misero un momento per iniziare a

manifestarsi. «Intendi che non ti piace doverla toccare?»

Eddie arrossì. «Non mi dà fastidio, è questo il problema. È meglio se passiamo un

po’ di tempo distaccati.»

Non me lo sarei aspettata, ma riuscivo a capirlo. Lasciando Eddie ai suoi demoni

interiori, presto mi ritrovai a passare l’intera giornata pensando a cosa fosse successo

a Trey. Speravo che sarebbe venuto a lezione più tardi, ma non venne. Infatti, non si

fece vivo per il resto della giornata, neanche quando finii il mio progetto extra. Pensai

che magari sarebbe passato per fare i compiti.

«Sembri agitata» disse la professoressa Terwilliger, guardandomi raccogliere le mie

cose al suono della campanella. «Preoccupata di dover consegnare il tuo progetto in

tempo?»

«No.» In realtà avevo finito due degli incantesimi, ma non avevo la minima

intenzione di dirglielo.

«Ero preoccupata per Trey. Continua a mancare da scuola. Sa perché non c’è? Cioè,

se può dirmelo?»

«L’ufficio ci avvisa se uno studente non viene per un giorno, ma non ci dice perché.

Se ti può far sentire meglio, l’assenza del signor Juarez è stata dichiarata questa

mattina. Non è scomparso.» Stavo quasi per menzionare i miei sospetti su casa sua, ma

ci ripensai. Avevo ancora bisogno di prove.

Tra il preoccuparmi per Trey, il lavoro della professoressa Terwilliger, i Guerrieri,

Brayden, e tutta la miriade di problemi che avevo, sapevo di non poter sprecare neanche

un po’ del mio tempo libero. Ciò nonostante, andai da Adrian, dopo scuola, per una

missione che non potevo rifiutare. Mentre andavamo alla lezione di Wolfe, ad inizio

settimana, Adrian mi aveva detto con disinvoltura che non aveva mai portato la sua

Mustang a farle dare un’occhiata dal meccanico, prima di comprarla. Anche se la mia

valutazione da novellina non aveva trovato niente che non andasse nella macchina,

avevo spinto Adrian a farla esaminare, il che, ovviamente, voleva dire che io dovevo

contattare uno specialista e prendere un appuntamento. Era quasi ora del mio

appuntamento al museo tessile, ma ero certa di potercela fare in tempo.

«Il tizio dal quale l’ho comprata sembrava piuttosto affidabile» mi disse Adrian dopo

aver lasciato la macchina dal meccanico. Ci disse che le avrebbe subito dato

un’occhiata e che potevamo fare un giro, nell’attesa. Il suo negozio era nella periferia

dell’area suburbana, così Adrian propose di andare a fare una passeggiata per i vari

quartieri. «E quando ho fatto il giro di prova non ci sono stati problemi, quindi ho

pensato che fosse tutto a posto.»

«Questo non vuol dire che non ci siano problemi che non puoi vedere. È meglio

essere sicuri» dissi, sapendo che suonava come una predica. «È gia abbastanza brutto

il fatto che hai una macchina che non sai guidare.» Lanciandogli un’occhiata, vidi un

piccolo, mezzo sorriso sul suo volto.

«Con il tuo aiuto, diventerò un professionista in pochissimo tempo. Naturalmente,

se non mi vuoi più aiutare, proverò cercare una soluzione per conto mio.»

Mi lamentai. «Sai già cosa direi riguardo a... wow.»

Il quartiere in cui stavamo passeggiando era piuttosto ricco. Anzi, oserei dire che le

case fossero quasi vere e proprie ville. Ci fermammo davanti a una casa che sembrava

l’incrocio tra un’azienda agricola e una piantagione del sud, grande, irregolare, con un

portico a colonne decorato con dello stucco rosa. Il giardino davanti era un mix di

ecosistemi, erba verde e palme erano allineate sul vialetto d’entrata. Gli alberi erano

come sentinelle tropicali.

«Magnifico» dissi. «Amo l’architettura. In un’altra vita avrei studiato questo... altro

che chimica e vampiri.» Man mano che continuavamo, ne vedevamo altre uguali, ogni

casa che provava a superare le altre. Tutte quante avevano alte recinzioni o siepi che

bloccavano la visuale sul giardino sul retro. «Mi domando cosa ci sia là dietro. Piscine,

probabilmente.»

Adrian si fermò di fronte a un’altra villa. Era gialla come la sua macchina e mostrava

un altro mix di stili, come una versione sud-occidentale di un castello medievale, con

tanto di torrette. «Bella giustapposizione» osservò.

Mi girai, sapendo di avere gli occhi sbarrati, fissandolo. «Hai appena usato

giustapposizione in una frase?»

«Sì, Sage» disse pazientemente. «La usiamo sempre nel corso d’arte, quando

mischiamo diversi componenti. E poi, so come si usa un dizionario.» Distolse lo

sguardo da me e analizzò la casa, i suoi occhi indugiarono sul giardiniere che stava

spuntando la siepe. Un sorriso malizioso attraversò le labbra di Adrian. «Vuoi vedere

il retro? Vieni.»

«Cosa stai...» Prima che potessi dire un’altra parola, Adrian percorse il vialetto di

granito e tagliò attraverso il prato, dirigendosi nel punto in cui il tizio stava lavorando.

Non volevo averci niente a che fare, ma la mia parte responsabile non poteva lasciare

che Adrian si cacciasse nei guai. Mi affrettai dietro di lui.

«I proprietari sono a casa?» chiese Adrian.

Il giardiniere si fermò, fissandolo. «No.»

«Quando saranno di ritorno?»

«Dopo le sei.»

Ero sorpresa che quel tipo stesse rispondendo alle domande. Se le avessero fatte a

me, avrei pensato che qualcuno stesse organizzando un’effrazione. Poi, vidi lo sguardo

fisso negli occhi del giardiniere e mi accorsi di cosa stava succedendo.

«Adrian...»

Gli occhi di Adrian non lasciarono mai quelli dell’uomo. «Portaci nel giardino sul

retro.»

«Ma certo.»

Il giardiniere lasciò cadere le cesoie e si diresse al cancello sul lato della casa.

Cercai di attirare l’attenzione di Adrian per fermarlo, ma lui mi sorpassò. La nostra

guida si fermò al cancello, digitò il codice di sicurezza e ci condusse nel retro. Le

proteste mi morirono sulle labbra non appena mi guardai intorno.

Il retro della proprietà era grande tre volte tanto la parte frontale. C’erano altre palme

disposte per il cortile, insieme a un giardino a terrazza pieno di piante, sia locali che

non.

Un’enorme piscina ovale dominava lo spazio, la tonalità turchese in notevole risalto

rispetto al grigio del granito che la circondava. Da un lato della piscina, alcuni gradini

portavano a una piscina più piccola e quadrata. Ci stavano solo poche persone, e una

cascata vi fuoriusciva e scorreva giù fino a quell’altra più grande. Torce tiki e tavoli

intorno alla piscina completavano la disposizione a dir poco lussureggiante.

«Grazie» disse Adrian al giardiniere. «Torna pure al tuo lavoro. Va bene se

rimaniamo qui. Troveremo l’uscita da soli.»

«Ma certo» replicò l’uomo. Si incamminò verso il cancello.

Ritornai alla realtà. «Adrian! Hai usato la compulsione su quel tizio. Quello... Cioè,

è stato...»

«Fantastico?» Adrian si avvicinò ai gradini per raggiungere la piscina rialzata. «Sì,

lo so.»

«È sbagliato! Tutto questo. Irrompere e entrare, e la compulsione...» Rabbrividii,

nonostante il caldo afoso. «È immorale. Controllare la mente di qualcun altro. Lo sai!

La tua gente e la mia sono entrambe d’accordo.»

«Non ho fatto male a nessuno, giusto?» Si arrampicò in cima alla piscina e rimase

sul bordo, osservando il suo regno. Il sole mise in risalto un riflesso castano tra i suoi

capelli scuri. «Credimi, quel tipo era facile da controllare. Arrendevole. Forse avrei

potuto non usarla, la compulsione.»

«Adrian...»

«Dai, Sage. Come se stessimo facendo del male a qualcuno. Vieni a vedere che

vista.» Avevo quasi paura di andare lassù. Qui era così raro che un Moroi usasse la

magia che per me era diventato facile fingere che nemmeno esistesse. Vedere Adrian

usarla – il tipo di magia più ingannevole - mi aveva fatto accapponare la pelle. Come

avevo detto alla professoressa Terwilliger nella nostra discussione sugli incantesimi,

nessuno dovrebbe controllare qualcun altro in quel modo.

«Dai» ripetè Adrian. «Non sarai mica proccupata che userò la compulsione per farti

salire quassù, vero?»

«Certo che no» dissi. E lo dicevo davvero. Non sapevo perchè, ma una parte di me

sapeva che Adrian non mi avrebbe mai, mai fatto del male. Riluttante, mi unii a lui,

sperando di convincerlo ad andarcene. Quando raggiunsi la cima, rimasi a bocca aperta.

Quella piscina così intima non mi era sembrata tanto alta, ma ci dava una splendida

vista sulle montagne in lontananza, vigorose e imponenti contro il blu del cielo. La

piscina più grande brillò sotto di noi, e, grazie alla cascata, sembrava fossimo entrati

in una specie di mistica oasi.

«Forte, eh?» chiese. Adrian si sedette sul bordo della piscinetta, si arrotolò i jeans, e

si tolse calze e scarpe.

«Cosa stai facendo ora?» chiesi.

«Approfitto della situazione.» mise i piedi in acqua. «Forza. Fai qualcosa di scorretto

per una volta. Non che sia poi così brutto. Non la stiamo mica inquinando.» esitai, ma

l’acqua era inebriante, come se usasse anche lei la compulsione. Mi sedetti, copiai

Adrian e affondai i piedi in acqua. La sua freschezza era sorprendente - e magnifica -

in mezzo a quel caldo intenso.

«Potrei abituarmici» ammisi. «E se i proprietari tornassero a casa prima?» Lui fece

spallucce. «Posso parlarci e tirarci fuori dai guai, non preoccuparti.»

Non fu esattamente rassicurante. Mi rigirai a guardare la meravigliosa vista sulla

proprietà lussureggiante. Non sono mai stata una persona molto fantasiosa, ma ripensai

a quello che avevo detto su una possibile altra vita. Come sarebbe stato avere una casa

come questa? Restare in un solo posto? Passare i miei giorni in piscina, a crogiolarmi

nel sole, senza preoccuparmi del destino dell’umanità? Sognai ad occhi aperti, ed ero

così presa che persi la cognizione del tempo.

«Dobbiamo tornare al negozio» esclamai. Guardandolo, fui sorpresa di vedere che

Adrian mi stava osservando, soddisfatto. Sembrava che i suoi occhi studiassero ogni

mio lineamento. Vedendo che me ne ero accorta, distolse immediatamente lo sguardo.

La sua solita espressione divertita rimpiazzò quella sognante.

«Il meccanico aspetterà» disse lui.

«Sì, ma tra poco dovrei incontrarmi con Brayden. Sarò...» Fu in quel momento che

mi accorsi di Adrian. «Cosa hai fatto? Guardati! Non dovresti stare qui fuori.»

«Non fa così male.»

Stava mentendo e lo sapevamo entrambi. Era tardo pomeriggio e il sole era spietato.

Lo avevo percepito anch’io, nonostante la freschezza dell’acqua mi avesse aiutato a

distrarmi. Questo, e il fatto di essere umana. Certo, insolazioni e scottature erano

pericolose, ma amavo il sole e ne avevo un’alta tolleranza. I vampiri no.

Adrian era coperto di sudore, infradiciando la sua camicia e i capelli. Macchie rosa

gli ricoprivano la faccia. Erano familiari. Le avevo già viste su Jill quando ci avevano

obbligato a fare sport all’aria aperta in educazione fisica.

Se si trascuravano, potevano trasformarsi in bruciature. Saltai in piedi.

«Forza, dobbiamo andarcene prima che peggiori. A cosa stavi pensando?» La sua

espressione era sorprendentemente noncurante per qualcuno che sembrava stesse per

svenire. «Ne è valsa la pena. Sembravi... felice.»

«È pazzesco» dissi.

«Non è la cosa più pazza che abbia mai fatto.» Sorrise e mi guardò. I suoi occhi

erano leggermente sfocati, come se vedessero qualcosa d’altro oltre a me. «Cos’è un

po’ di pazzia ogni tanto? Dovrei fare degli esperimenti... perchè non vedere cos’è più

luminoso: la tua aura o il sole?» Il modo in cui mi guardò e mi parlò, mi innervosì, e

mi ricordai cosa aveva detto Jill, di come lentamente lo spirito ti faceva impazzire.

Adrian non sembrava pazzo, ma c’era qualcosa di tormentato in lui, un vero

cambiamento dal suo solito spirito tagliente. Era come se qualcos’altro si fosse

impadronito di lui. Mi ricordai il verso di quella poesia sul sognare e lo svegliarsi.

«Forza» ripetei. Gli porsi la mia mano. «Non avresti dovuto usare lo spirito.

Dobbiamo portarti via da qui.»

Prese la mia mano e si alzò in piedi. Un impeto di calore e elettricità mi attraversò,

come successe l’ultima volta che ci eravamo toccati e i nostri occhi si incontrarono.

Per un momento non riuscii a pensare che alle sue parole di poco prima: Sembravi

felice...

Accantonai quei sentimenti e lo portai velocemente via da lì, solo per scoprire che il

meccanico non aveva ancora finito. Almeno nel suo negozio Adrian si sarebbe potuto

rinfrescare con un po’ d’acqua e aria condizionata. Mentre aspettavamo scrissi un

messaggio a Brayden. Sono in ritardo di un’ora per un impegno di famiglia. Scusa.

Arriverò appena posso. Il mio telefono squillò trenta secondi dopo: Questo ci lascia

solo un’ora per il museo tessile.

«É troppo poco tempo» disse Adrian impassibile. Non mi ero accorta che stava

leggendo da sopra la mia spalla. Spostai il telefono e suggerii a Brayden che potevamo

semplicemente incontrarci prima per cenare. Concordò.

«Sono un disastro» borbottai, controllandomi allo specchio. Il calore aveva

decisamente un costo, sembravo sudata e sciupata.

«Non ti preoccupare» mi disse Adrian. «Se non si è accorto quanto fossi

meravigliosa con quel vestito rosso, probabilmente non si accorgerà di niente neanche

adesso.» Esitò. «Non che ci sia qualcosa da notare. Sei bella, come sempre.»

Stavo per rispondergli male per avermi presa in giro, ma quando lo guardai, il suo

volto era terribilmente serio. Qualunque replica avessi preparato mi morì sulle labbra,

così mi alzai velocemente per controllare a che punto fosse la macchina, cercando di

nascondere quanto mi sentissi agitata.

Il meccanico finalmente finì - non aveva trovato nessun problema - e io ed Adrian

ritornammo in centro. Continuavo a guardarlo con ansia, temendo che svenisse.

«Smettila di preoccuparti, Sage. Sto bene» disse. «Anche se... Starei meglio con del

gelato. Anche tu devi ammettere che sarebbe perfetto al momento.» Sarebbe stato

perfetto, certo, ma non gli avrei dato quella soddisfazione. «Cosa ci trovi nei dolci

gelati? Perchè li desideri costantemente?»

«Perchè viviamo in un deserto.»

Il ragionamento non faceva una piega. Raggiungemmo casa sua e scambiai la

macchina. Prima che entrasse lo inondai di consigli sul bere acqua e riposare. Poi, dissi

le parole che mi stavano bruciando dentro.

«Grazie per la gita a bordo piscina» dissi. «A parte la tua quasi insolazione, è stato

piuttosto fantastico.»

Mi regalò un sorriso spavaldo. «Magari ti abituerai alla magia dei vampiri,

dopotutto.»

«No» dissi automaticamente «Non mi ci abituerò mai.» Il suo sorriso scomparve

immediatamente. «Certo che no» mormorò. «Ci vediamo in giro.»

Finalmente potevo andare a cena. Scelsi un ristorante italiano, pieno di odore di aglio

e formaggio. Brayden si sedette a un tavolo ad angolo, sorseggiando acqua e attirando

gli sguardi delle cameriere, che erano probabilmente impazienti di farlo ordinare. Mi

sedetti di fronte lui, lasciando cadere la borsa a tracolla al mio fianco.

«Mi dispiace tanto» gli dissi. «Avevo delle cose da fare con mio, ehm, fratello.»

Quando Brayden si arrabbiava, non lo dava a vedere. Era il suo modo di fare. Mi diede

comunque uno sguardo indagatore. «Qualcosa di sportivo? Sembra che tu abbia corso

una maratona.» Non era una insulto, assolutamente, ma mi irritò... soprattutto perchè

pensavo al commento di Adrian. Brayden non aveva quasi spiccicato parola riguardo

al mio costume di Halloween, ma aveva notato questo?

«Eravamo fuori città, a Santa Sofia, l’ho portato a far revisionare la macchina.»

«Bella zona. Se prosegui sull’autostrada, arrivi al parco nazionale Joshua Tree. Ci

sei mai stata?»

«No, però devo aver letto qualcosa al riguardo.»

«Posto emblematico. La geologia è affascinante.»

Arrivò una cameriera, e ordinai con molto piacere un caffelatte ghiacciato. Brayden

era più che felice di parlarmi della geologia del parco, e presto cademmo nel

confortante ritmo delle nostre solite discussioni intellettuali. Non sapevo nulla riguardo

alla conformazione del parco, ma, in compenso, me ne intendevo più che abbastanza

di geologia in generale per seguire il discorso. Infatti, fui in grado di parlarne come se

mi venisse automatico mentre la mia mente ritornò ad Adrian. Ripensai ancora a quello

che aveva detto riguardo al vestito rosso. Non riuscivo a togliermi dalla testa neanche

il commento riguardo alla mia felicità, e di come sia valsa la pena soffrirne.

«A cosa pensi?»

«Mmh?» mi accorsi che alla fine avevo perso lo stesso il filo della conversazione.

«Ti ho chiesto che tipo di deserto trovi più impressionante» spiegò Brayden. «La

regione del Mojave è la più gettonata, ma personalmente preferisco il deserto del

Colorado.»

«Ah» scivolai di nuovo nel discorso. «Ehm, il Mojave. Mi piace di più la

conformazione delle rocce.» Questo ci portò a una discussione sulle regioni mentre

mangiavamo, e Brayden sembrava sempre più felice. Gli piaceva davvero avere

qualcuno che poteva capirlo, realizzai. Nessuno dei miei libri diceva come si

conquistasse il cuore di un uomo attraverso i dibattiti accademici.

Ma, comunque, non mi importava. Mi piaceva fare conversazione, ma non mi

emozionava più di tanto. Dovetti ricordare a me stessa che eravamo ancora all’inizio

della nostra relazione... se così si poteva chiamare. Sicuramente, la parte

dell’innamoramento sarebbe arrivata presto.

Parlammo per molto tempo dopo la fine del pasto. Una volta finito, la cameriera ci

portò un inaspettato menù dei dolci, e mi sorpresi a dire: «Wow... Non riesco a credere

a quanto abbia voglia di un gelato. Non è mai successo.» Forse il sudore e il caldo

avevano prosciugato le mie sostanze nutritive... Oppure avevo ancora Adrian nel

cervello.

«Non ti avevo mai sentito ordinare un dolce» disse Brayden, allontanando il suo

menù. «Non c’è troppo zucchero?»

Ecco un’altra delle sue frasi che avrei potuto interpretare in un’innumerevole

quantità di modi. Mi stava giudicando? Pensava che non dovessi assumere neanche un

po’ di zucchero? Non lo sapevo, ma fu abbastanza da farmi chiudere il menù e metterlo

sopra il suo.

Senza altre forme di intrattenimento in programma per il resto della serata,

decidemmo di fare una semplice passeggiata dopo cena. La temperatura era scesa,

diventando mite, e c’era ancora luce così non mi preoccupai che i Guerrieri della Luce

spuntassero fuori da dietro gli angoli. Tuttavia, questo non voleva dire che avessi

ignorato gli insegnamenti di Wolfe. Tenevo lo stesso d’occhio ai dintorni, cercando

qualsiasi cosa di sospetto.

Raggiungemmo un parchetto a un solo isolato di distanza e trovammo una panchina

in un angolo.

Ci sedemmo, guardando i bambini giocare sul lato opposto del prato, mentre

continuavamo una discussione sull’osservare gli uccelli nel Mojave. Brayden mi

circondò con un braccio mentre parlavamo e, quando alla fine esaurimmo gli

argomenti, rimanemmo seduti in un semplice e confortevole silenzio.

«Sydney...»

Spostai lo sguardo dai bambini, sorpresa dal tono incerto di Brayden, che era molto

diverso da quello che aveva appena usato per difendere la superiorità della Sialia sialis

rispetto alla Sialia Messicana. C’era dolcezza nei suoi occhi, quando mi guardò. La

luce della sera illuminava i suoi occhi nocciola di un colore dorato ma nascondeva

completamente il verde. Peccato.

Prima che potessi dire qualcosa, si chinò verso di me e mi baciò. Fu più intenso

dell’ultimo, anche se lontano dagli epici, travolgenti baci che vedevo nei film.

Aveva lasciato la mano sulla mia spalla questa volta, attirandomi gentilmente più

vicino. Il bacio durò anche di più degli altri, e provai a lasciarmi andare e perdermi

nella sensazione delle labbra di qualcun altro.

Fu lui a concluderlo, un po’ più brutalmente di quanto mi aspettassi. «Mi... mi

dispiace,» disse, distogliendo lo sguardo. «Non avrei dovuto farlo.»

«Perchè no?» chiesi. Non che bramassi così tanto quel bacio, è che quello sembrava

esattamente il tipo di posto dove vuoi baciare qualcuno: un romantico parco al

tramonto.

«Siamo in pubblico. Penso che sia un po’ volgare.» Volgare? Non ero neanche sicura

che fossimo davvero così in pubblico, dato che non c’era nessuno nei dintorni ed

eravamo all’ombra di alcuni alberi. Brayden sospirò, costernato. «Immagino di aver

perso il controllo. Non succederà più.»

«Non fa niente» dissi.

Non sembrava che avesse perso il controllo, ma cosa ne sapevo io? E mi chiesi se

perdere il controllo non sarebbe stata quasi una buona cosa. Non era tipo alla base della

passione?

Non sapevo neanche quello. L’unica cosa di cui ero certa era che quel bacio era stato

come l’ultimo. Carino, ma non mi aveva travolto. Il mio cuore affondò. C’era qualcosa

di sbagliato in me. Tutti dicevano che ero un’inetta, quando si trattava di socializzare.

Si estendeva anche al romanticismo? Ero così fredda che avrei passato la mia vita senza

mai sentire niente?

Penso che Brayden avesse frainteso il mio sgomento e credesse che mi fossi

arrabbiata con lui. Si alzò, offrendomi la mano. «Ehi, c’è una sala da thè a un isolato

da qui, andiamoci. Hanno queste opere di un pittore locale che penso ti piaceranno.

Inoltre, non ci sono calorie nel thè, giusto? Meglio del dolce.»

«Giusto» dissi. Pensare al gelato non mi rallegrava per niente. Il ristorante italiano

lo aveva al melograno, che sembrava essere la cosa migliore di sempre. Appena mi

alzai, il mio telefono iniziò a squillare e ci sorprese entrambi. «Pronto?»

«Sage? Sono io.»

Non avevo ragioni per essere arrabbiata con Adrian, non dopo quello che aveva fatto

per me, ma in qualche modo mi sentii irritata dall’interruzione. Stavo cercando di

godermi il meglio di questa serata con Brayden, e Adrian aveva sconvolto tutto.

«Cosa succede?» chiesi.

«Sei ancora in centro? Devi tornare, ora.»

«Lo sai che sono fuori con Brayden» dissi. Questo era troppo, persino per Adrian.

«Non posso lasciar perdere tutto per venire a intrattenerti.»

«Non riguarda me.» Fu allora che notai quanto dura e seria fosse la sua voce.

Qualcosa mi si strinse nel petto. «Riguarda Sonya. È scomparsa.»

CAPITOLO 19 Traduzione: ohmahgawdtawny

Pre-Revisione: Juls

«STAVA LASCIANDO LA CITTÀ,» gli ricordai.

«Non fino a domani.»

Mi accorsi che aveva ragione. Quando avevamo parlato con Sonya, la sera prima, lei

aveva detto due giorni. «Sei sicuro che sia effettivamente scomparsa?» chiesi. «Magari

è solo... uscita.»

«C’è qui Belikov, ed è andato fuori di testa. Ha detto che non è mai tornata a casa ieri

sera.» Il telefono quasi mi cadde di mano. Ieri sera? Sonya era scomparsa da così tanto?

Erano quasi passate ventiquattro ore. «Perché non se n’è accorto nessuno fino adesso?»

chiesi.

«Non lo so,» disse Adrian. «Puoi venire e basta? Per favore, Sydney?» Rimasi senza

forze quando Adrian disse il mio nome. Faceva sembrare tutto più serio, più reale - non

che questa situazione ne avesse particolarmente bisogno. Sonya. Scomparsa da

ventiquattro ore. Per tutto quello che ne sapevamo, poteva anche essere morta, catturata

da cacciatori.

La faccia di Brayden fu un misto di incredulità e delusione quando gli dissi che dovevo

andarmene.

«Ma tu sei appena... Cioè...» Fu uno di quei rari momenti in cui rimase senza parole.

«Mi dispiace,» dissi sinceramente. «Specialmente per essere arrivata in ritardo e per

aver rovinato questa cosa del museo. Ma è un emergenza di famiglia.»

«La tua famiglia ha tantissime emergenze».

Non ne hai idea, pensai. Invece di dirlo, mi scusai di nuovo. «Mi dispiace davvero.

Io...» Stavo quasi per dire che avrei rimediato, ma era quello che avevo detto quando

ero andata via presto dal ballo di Halloween. Quello di questa sera doveva essere un

appuntamento per rimediare. «Scusami e basta.»

LA CASA DI ADRIAN ERA ABBASTANZA VICINO, e avrei potuto arrivarci a

piedi, ma Brayden insisté nell’accompagnarmi in macchina, dato che il sole stava

tramontando. Non ebbi problemi ad accettare.

«Wow,» disse Brayden, quando accostò all’edificio. «Bella Mustang.»

«Già. È una C-code del 1967», dissi automaticamente. «Ottimo motore. Di mio

fratello. L’ha spostata di nuovo! Spero che non sia andato a guidare da qualche parte

dove non doveva - wow. E quella cos’è?» Brayden guardò dove guardavo io. «Una

Jaguar?»

«Ovviamente.» L’elegante macchina nera era parcheggiata giusto di fronte alla

Mustang di Adrian. «Da dove arriva?»

Brayden non sapeva rispondere, naturalmente. Dopo altre scuse e la promessa di

rimanere in contatto, lo lasciai. Non c’era la pretesa di un bacio, dato che lui era rimasto

così deluso dall’andamento della serata e io ero troppo preoccupata per Sonya. Infatti,

mi dimenticai di Brayden appena mi diressi verso l’edificio. Avevo problemi più

grandi.

«È di Clarence,» disse Adrian, non appena aprì la porta.

«Eh?» chiesi.

«La Jaguar. Pensavo avresti voluto saperlo. L’ha lasciata guidare a Belikov da

quando Sonya è scomparsa con quella noleggiata.» Si fece da parte e come entrai,

scosse la testa sconcertato. «Riesci a credere che è rimasta chiusa nel garage tutto il

tempo che ho vissuto con lui? Ha detto che aveva dimenticato persino di averla! Ed poi

c’ero io, bloccato con il pullman.»

Avrei riso in altre circostanze. Ma quando vidi la faccia di Dimitri, tutto l’umorismo

mi abbandonò. Si aggirava per il salotto come un animale in trappola, pieno di

frustrazione e preoccupazione.

«Sono un idiota,» borbottò. Non era chiaro se stesse parlando da solo o con noi.

«Non mi sono accorto che era scomparsa da ieri sera, e poi ho passato il resto della

giornata pensando che fosse fuori a fare giardinaggio!»

«Hai provato a chiamarla?» Sapevo che era una domanda stupida, ma dovevo

iniziare a pensare logicamente.

«Sì,» disse Dimitri. «Nessuna risposta. Poi ho controllato due volte per essere sicuro

che il suo volo non fosse cambiato, poi ho parlato con Mikhail per vedere se sapeva

qualcosa. Niente. Sono solo riuscito a farlo preoccupare di più.»

«Fa bene a preoccuparsi,» mormorai, seduta sul bordo del divano. Non sarebbe

andata a finire bene. Sapevamo che i Guerrieri erano ossessionati da Sonya, e ora lei

era scomparsa dopo essere uscita da sola.

«L’unica cosa che ho scoperto è che era uscita per venire da voi,» aggiunse Dimitri.

Smise di agitarsi e passò lo sguardo tra di noi. «Ha detto niente su dove stava

andando?»

«No,» dissi. «Le cose non sono... finite esattamente bene, tra di noi.» Dimitri annuì.

«Adrian aveva fatto intendere la stessa cosa.»

Guardai Adrian e riuscii a capire che non voleva entrare in questa situazione più di

quando lo volessi io. «Abbiamo avuto un diverbio,» ammise lui. «Ha provato a

spingere Sydney a fare altri esperimenti, e Sydney ha rifiutato. Mi sono intromesso

quando Sonya ha continuato a insistere, e finalmente si è arresa. Non ha mai detto dove

stava andando».

Un’ombra cadde sul volto di Dimitri. «Quindi, potrebbe essere successa qualsiasi

cosa. Potrebbe essere stata presa proprio nella strada qui fuori. O potrebbe essere

andata da qualche parte e essere stata rapita là.» O potrebbe essere morta. Dimitri

parlava come se fosse ancora viva, ma non ne ero così sicura. I cacciatori che ci

avevano aggredito nel vialetto erano sembrati piuttosto intenzionati ad ucciderla su due

piedi. Se non era tornata a casa la notte scorsa, c’erano buone probabilità che l’avessero

trovata in seguito.

Ventiquattro ore erano una terribile quantità di tempo per tenere viva una "creatura

delle tenebre". Studiando ancora il viso di Dimitri, sapevo che era ben consapevole di

questa probabilità. Stava semplicemente ragionando con la speranza di poter ancora

fare qualcosa, di non essere impotenti.

Risoluto, Dimitri si diresse verso la porta. «Devo andare a parlare con la polizia.»

«Denunciarne la scomparsa?» chiese Adrian.

«Questo, e soprattutto, per cercare la macchina. Se l’hanno presa...» esitò, portando

a galla la paura che ci affliggeva tutti. «Beh. Se si sta nascondendo da qualche parte,

sarà molto difficile da localizzare. Ma è molto più difficile nascondere una macchina,

che una donna. Se la polizia riesce a trovarla dalla descrizione, potremmo avere un

indizio su cosa è successo.» Iniziò ad aprire la porta, girandosi di nuovo a guardarci.

«Siete sicuri di non ricordare niente che ha detto che possa aiutare?»

Adrian e io ripetemmo di no. Dimitri se ne andò, dandoci inutili istruzioni

sull’avvisarlo se ci veniva in mente o scoprivamo qualcosa o - se per miracolo - Sonya

si sarebbe fatta viva. Appena se ne andò, gemetti.

«È colpa mia,» dissi.

Adrian mi guardò sorpreso. «Perché diavolo dovresti dire una cosa del genere?»

«Sonya è venuta qui - e se n’è andata quando non doveva – a causa mia. A causa del

mio sangue. Chissà cosa sarebbe potuto succedere se non avessi rifiutato? Magari pochi

minuti di differenza e i cacciatori non sarebbero stati in zona. O forse se non fosse stata

così turbata, avrebbe potuto difendersi meglio.» Un milione di pensieri mi

attraversarono la testa.

Sonya che faceva crescere il giglio per me. Sonya che parlava alla regina in nome di

Adrian. Sonya che mi mostrava le foto dei vestiti delle damigelle. Sonya che lavorava

con diligenza per fermare gli Strigoi e redimere sé stessa. Tutto quello poteva essere

perduto, ora.

«Forse, forse, forse.» Adrian si sedette sul divano vicino a me. «Non puoi pensare

in questo modo, e sicuro come l’inferno non puoi incolpare te stessa per le azioni di un

qualche pazzo gruppo estremista e paranoico.»

Sapevo che aveva ragione, ma non mi fece comunque sentire meglio. «Dovrei

chiamare gli Alchimisti. Abbiamo dei contatti anche con le forze dell’ordine.»

«Probabilmente è una buona idea,» disse, anche se le sue parole erano un po’ incerte.

«Ho solo una brutta sensazione riguardo a quei tipi. Anche se... beh, anche se fosse

ancora viva, non ho la minima idea di come fare per trovarla. Siamo a corto di miracoli

e di soluzioni magiche». Mi raggelai.

«Oh, mio Dio».

«Cosa c’è?» chiese, guardandomi con preoccupazione. «Ricordi qualcosa?»

«Sì... ma non quello che pensi tu.» Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo. No,

no, no.

L’idea che avevo in testa era pazzesca. Non dovevo neanche prenderla in

considerazione. Dimitri aveva avuto l’idea giusta. Dovevamo concentrarmi su un

metodi normali e concreti per localizzare Sonya.

«Sage?» Adrian mi toccò lievemente il braccio, e io sobbalzai al tocco delle sue dita

sulla pelle. «Stai bene?»

«Non lo so,» dissi piano. «Stavo pensando a qualcosa di pazzesco.»

«Benvenuta nel mio mondo.»

Distolsi lo sguardo, indecisa sulla decisione da prendere. Quello che stavo

progettando... beh, qualcuno poteva affermare che non era poi tanto diverso da quello

che avevo fatto fino ad quel momento. E poi, tutto ritornava alla sottile linea che c’era

tra il fare qualcosa per scelta e farlo perché dovevo.

Non c’erano dubbi al riguardo. Questa sarebbe stata una scelta. Un impiego del

libero arbitrio.

«Adrian... e se avessi un modo per trovare Sonya, ma andasse contro a tutto ciò in

cui credo?» Ci mise alcuni momenti per rispondere. «Credi nel dover trovare Sonya?

Perché se è così, dovresti andare contro tutto ciò in cui credi.»

Era una strana logica, ma mi diede la spinta che mi serviva. Tirai fuori il mio

cellulare e digitai un numero che non avevo quasi mai chiamato - anche se ne avevo

ricevuto messaggi e chiamate.

Una risposta dopo due squilli. «Professoressa Terwilliger? Sono Sydney.»

«Signorina Melbourne. Cosa posso fare per te?»

«Devo vederla. È abbastanza urg… no, no, lasci perdere “l’abbastanza”. È urgente.

È a scuola?»

«No. Per quanto sia scioccante, in alcune occasioni, vado anche a casa.» Fece una

piccola pausa.

«In ogni modo... sei la benvenuta nella mia casa.» Non so perché questa cosa mi rese

inquieta. Dopotutto, passavo molto tempo da Clarence.

Sicuramente la residenza di un vampiro era molto peggio della casa di un’insegnate

delle scuole superiori. Naturalmente, la suddetta insegnante era anche una strega,

quindi non era certo se dovevo aspettarmi un comune appartamento suburbano o una

casa fatta di caramelle.

Deglutii. «Ha molti libri degli incantesimi simili a quelli che ha a scuola?» Adrian

inarcò un sopracciglio alla parola incantesimi.

La professoressa Terwilliger esitò molto più a lungo questa volta. «Sì,» disse.

«Anche di più». Mi diede l’indirizzo, e ancor prima che riattaccassi, Adrian disse

«Vengo con te».

«Non sai neanche dove sto andando.»

«Vero,» disse. «Ma la mancanza di informazioni non mi ha mai fermato. Inoltre, so

che ha qualcosa a che fare con Sonya, il che è abbastanza per me. Quello, e il fatto che

sembri spaventata a morte. Non esiste che ti lascio andare da sola.»

Incrociai le braccia. «Ho affrontato cose più spaventose, l’ultima volta che ho

controllato, non sta a te ‘lasciarmi’ fare qualsiasi cosa». Comunque, c’era così tanta

preoccupazione sul suo volto, che sapevo che non sarei stata capace di rifiutare...

specialmente perché ero spaventata. «Devi promettermi che non dirai a nessuno dove

stiamo andando. O parlare di quello che vedrai.»

«Dannazione. Cosa sta succedendo, Sage?» chiese. «Stiamo parlando di sacrifici di

animali o roba del genere?»

«Adrian,» dissi calma.

Tornò serio. «Lo prometto. Non una parola, a meno che tu dica il contrario.» Non

dovetti studiarlo per sapere che potevo fidarmi. «Okay, allora. Ma prima di andare, ho

bisogno della tua spazzola...»

La professoressa Terwilliger viveva a Vista Azul, la stessa zona in cui c’era la

Amberwood. Con mia sorpresa, la casa sembrava piuttosto ordinaria. Era piccola, ma

comunque mescolata bene con il vecchio quartiere. Il sole era tramontato da un bel po’

quando arrivammo, ed ero ben consapevole del coprifuoco della scuola. Quando ci

lasciò entrare in casa, trovai l’interno un po’ più conforme alle mie aspettative. Certo,

c’erano una TV e dei mobili moderni, ma l’arredamento contava molte candele e un

santuario di vari dei e dee. L’aroma di Nag Champa era sospeso nell’aria. Contai

almeno tre gatti nei primi cinque minuti e non avevo dubbi che ce ne fossero altri.

«Signorina Melbourne, benvenuta.» La professoressa Terwilliger accolse Adrian

con interesse. «E benvenuto anche al tuo amico.»

«Fratello,» dissi apertamente. «Adrian.»

La professoressa Terwilliger - pienamente consapevole del mondo dei Moroi -

sorrise. «Sì. Naturalmente. Frequenti la Carlton, giusto?»

«Già,» disse Adrian. «Lei è quella che mi ha aiutato a farmi entrare, giusto? Grazie

per quello.»

«Beh,» disse la professoressa Terwilliger, con una scrollata di spalle, «È sempre un

piacere aiutare degli studenti talentuosi - specialmente quelli che sono molto diligenti

nel continuare a portarmi caffè. Ora, qual è questa urgente questione che vi ha portato

fuori questa notte?»

I miei occhi erano già sulla grande libreria in salotto. Gli scaffali erano pieni di

vecchi libri rilegati in pelle - esattamente del tipo sul quale mi faceva lavorare. «Ha...

Ha un incantesimo che aiuterebbe nella localizzazione di qualcuno?» chiesi. Ogni

parola mi causò dolore. «Cioè, so che ce ne sono. Ne ho incrociati un paio di volte

durante il mio lavoro. Ma mi chiedevo se che ne fosse uno che mi potrebbe

raccomandare rispetto a tutti gli altri.» La professoressa Terwilliger rise piano, e

distolse lo sguardo. «Bene, bene. Questo vale decisamente la pena di una visita a tarda

notte.» Eravamo nella sua sala da pranzo, e lei tirò fuori una ornata sedia di legno per

sederci. Uno dei suoi gatti si strusciò contro la sua gamba. «Ci sono un po’ di

incantesimi di localizzazione, certo - anche se nessuno è alla tua portata. E per tua

portata, intendo il tuo rifiuto costante di fare pratica o migliorarti.»

Mi accigliai. «Ce n’è uno che può fare lei?»

Scosse la testa. «No. Questo è il tuo problema. Lo farai tu. Ne hai bisogno.»

«Beh, non se è al di sopra delle mie capacità!» protestai. «Per favore. È questione di

vita o di morte». Quello, e non volevo infettarmi con la sua magia. Era già abbastanza

un male che la stessi incoraggiando.

«Stai tranquilla. Non te lo farei fare se tu non potessi gestirlo,» disse. «Per farlo

funzionare, comunque, è fondamentale avere qualcosa che ci connetta alla persona che

stiamo cercando. Ci sono incantesimi dove non è necessario - ma quelli sono

decisamente fuori dalla nostra portata.» Tirai fuori la spazzola di Adrian dalla tasca.

«Qualcosa come una ciocca di capelli?»

«Esattamente qualcosa del genere,» disse, chiaramente impressionata.

Mi ero ricordata delle lamentele di Adrian riguardo al fatto che Sonya usasse i suoi

prodotti personali. Anche se apparentemente puliva la spazzola regolarmente (e

davvero, non mi sarei aspettata niente di meno da uno che passava così tanto tempo a

curare i propri capelli), c’erano ancora delle ciocche rosse superstiti.

Attentamente, estrassi il più lungo dalle setole e lo tenni stretto.

«Cosa devo fare?» chiesi. Cercavo di essere forte, ma mi tremavano le mani.

«Scopriamolo.» Si alzò e andò in salotto, studiando gli scaffali. Adrian si rivolse a

me.

«È davvero lei?» fece una pausa e riconsiderò le sue parole. «Sei davvero tu?

Incantesimi? Magia? Cioè, non fraintendermi. Io bevo sangue e controllo la mente delle

persone. Ma non ho mai sentito niente del genere.»

«Neanche io fino a un mese fa.» sospirai. «E sfortunatamente, è reale. Peggio, lei

pensa che abbia una predisposizione per tutto questo. Ti ricordi quando uno degli

Strigoi ha preso fuoco nel tuo appartamento?»

«Vagamente, ma sì. È successo tutto così velocemente, e non ci avevo mai pensato

molto.» Aggrottò le sopracciglia, travolto dai ricordi. «Ero un po’ a terra a causa del

morso.»

«Beh, non è stato uno strano incidente. È stata... magia.» Indicai la professoressa

Terwilliger.

«E sono stata io.»

I suoi occhi si spalancarono. «Sei una qualche specie di umana mutante? Come

qualcuno che ha l’elemento del fuoco? E io uso la parola mutante come se fosse un

complimento, sai. Non penserei niente di meno di te.»

«Non è come la magia dei vampiri,» dissi. Alcune parti di me supposero che dovessi

essere grata al fatto che Adrian fosse ancora amichevole con una "mutante." «Non è

una specie di collegamento interno con gli elementi. Secondo lei, alcuni umani possono

lavorare la magia, tirandola fuori dal mondo. Suona da pazzi, ma... beh. Ha dato

davvero fuoco a uno Strigoi.»

Adrian annuì e la professoressa Terwilliger tornò da noi. Appoggiò un grande libro

con la copertina rossa di pelle e sfogliò un po’ di pagine prima di trovare quello che

voleva.

Lo guardammo.

«Non è inglese,» notò utilmente Adrian.

«È solo greco» dissi, sfiorando la lista degli ingredienti. «Non sembra che ci vorrà

molto.»

«Questo perchè la maggior parte richiede concentrazione mentale,» spiegò la

professoressa Terwilliger. «È più difficile di quello che sembra. Richiederà come

minimo qualche ora.» Guardai l’ora sull’ ornato orologio a pendolo. «Non ho qualche

ora. Manca troppo poco al coprifuoco.»

«Facilmente rimediabile,» disse la professoressa Terwilliger. Prese il suo telefono e

digitò un numero a memoria. «Pronto, Desiree? Sono Jaclyn. Sì, bene. Grazie. Ho qui

Sydney Melrose in questo momento, mi sta aiutando con un progetto estremamente

cruciale.» Per poco non alzai gli occhi al cielo. Era perfettamente al corrente del mio

cognome quando le serviva, a quanto pare. «Temo che possa stare fuori fino ad oltre

l’orario del coprifuoco, e mi stavo chiedendo se saresti così gentile di farle

un’estensione del permesso. Sì... sì, lo so. Ma è davvero importante per il mio lavoro,

e penso che siamo d’accordo sul fatto che lei abbia una condotta esemplare, è

difficilmente il tipo di persona che abusa di certi privilegi, di lei non dobbiamo

preoccuparci. È certamente una delle studentesse più affidabili che conosca.» Quello

strappò un sorrisetto ad Adrian.

Ancora trenta secondi, ed ero libera dal coprifuoco. «Chi è Desiree?» chiesi, una

volta che la professoressa Terwilliger riattaccò.

«Il tuo capo dormitorio. La Weathers.»

«Davvero?» Pensai alla corpulenta, materna professoressa Weathers. Non avrei mai

immaginato che il suo nome fosse Desiree. Era il tipo di nome che avrei associato a

qualcuno di focoso e seducente.

Magari aveva una vita al di fuori della scuola di cui non eravamo a conoscenza.

«Quindi, ho un permesso per tutta la notte?»

«Non sono sicura che si prolunghi fino a tanto,» disse la professoressa Terwilliger.

«Ma di certo avremo abbastanza tempo per l’incantesimo. Non posso farlo per te, ma

posso aiutarti con gli ingredienti e le scorte.» Tamburellai sul libro, dimenticandomi

della paura non appena guardai la lunga lista. Dettagli come questi mi riportavano nel

mio elemento naturale. «Li ha tutti?»

«Certo.»

La professoressa Terwilliger ci condusse nel corridoio che si diramava dalla cucina,

dove mi aspettavo si trovassero le camere da letto. Una stanza, infatti, mentre

passavamo, conteneva un letto, ma la nostra destinazione finale era decisamente

diversa: un laboratorio. Era esattamente quello che ottieni se mischi il covo di uno

stregone e il laboratorio di uno scienzato pazzo. Una parte della stanza aveva

dell’equipaggiamento molto moderno: contenitori, un lavandino, becchi a gas, etc. Il

resto veniva da un’era diversa, provette di olii e spezie tritate, insieme a rotoli di

pergamena e semplici calderoni. Piante e spezie erano allineate sul davanzale di una

finestra. C’erano altri due gatti, ed ero abbastanza sicura che non fossero gli stessi che

c’erano in salotto.

«Sembra caotico,» disse la professoressa Terwilliger. «Ma oserei dire che è

abbastanza organizzato, persino per te.» Dopo un’ispezione più approfondita, capii che

aveva ragione. Tutte le piante e fiale erano etichettate in ordine alfabetico. Tutti gli

utensili erano ugualmente identificati, enumerati secondo la taglia e il materiale. Il

centro della stanza era un grande e liscio tavolo di pietra, e ci appoggiai i libri,

attentamente, per rimanere sulla pagina di cui avevamo bisogno.

«E ora?» chiesi.

«Ora, tu lo costruisci,» disse lei. «Più lo fai da sola, più forte sarà la tua connessione

con l’incantesimo. Ovviamente vieni da me se hai problemi con gli ingredienti o le

istruzioni. Altrimenti, più ti concentri, meglio è».

«Dove sarà lei?» chiesi, sorpresa. Per quanto non mi piacesse l’idea di lavorare con

lei in un laboratorio arcano e inquietante, l’idea che dovessi lavorarci da sola era anche

peggio.

Gesticolò verso il luogo dove sarebbero stati. «Oh, giusto qui fuori. Intratterrò tuo

‘fratello’ dato che hai davvero bisogno di farlo da sola.»

La mia ansia crebbe. Avevo protestato all’inizio per la richiesta di Adrian di venire

qui, ma ora lo volevo intorno. «Almeno posso avere del caffè?»

Lei ridacchiò. «Normalmente, direi di sì - particolarmente se stessi facendo lo sporco

lavoro di costruire un amuleto o fare una pozione. Ma dato che stai usando la mente,

la magia funzionerà meglio se i pensieri sono liberi e puliti da ogni sostanza che possa

modificare il tuo stato mentale.»

«Accidenti, suona familiare,» borbottò Adrian.

«Okay, allora,» dissi, risoluta ad essere forte. «Devo cominciare. Sonya sta

aspettando.» Purchè fosse ancora viva per aspettare.

La professoressa Terwilliger se ne andò, dicendomi di chiamarla quando ero

all’ultimo passaggio dell’incantesimo. Adrian ritardò un attimo per parlarmi. «Sei

sicura che tutto questo ti vada bene? Cioè, per quello che so di te e degli Alchimisti...

ecco, sei sempre stata contro l’utilizzo della magia.»

«No, non mi va bene,» concordai. «Come ho detto, questo va contro tutto ciò in cui

credo - contro tutto ciò che mi hanno insegnato. E questo è perché non lo puoi dire a

nessuno. L’hai sentita rimarcarmi in modo passivo aggressivo alla mia mancanza di

pratica? Mi è stata addosso per un po’ per sviluppare le mie cosiddette abilità magiche,

e io continuavo a rifiutare - perché è sbagliato. Quindi, mi ha fatto cercare libri di

incantesimi per il mio studio indipendente, nella speranza di farmi imparare per

osmosi».

«È un casino,» disse lui, scuotendo la testa. «Non lo devi fare per forza. Non devi

fare niente che tu non voglia fare».

Gli risposi con un piccolo sorriso. «Beh, voglio trovare Sonya. Quindi devo farlo».

Lui non mi rispose con un sorriso. «Okay. Ma sarò qui fuori - prenderò del the con i

suoi gatti o farò qualsiasi cosa abbia in mente. Hai bisogno di me? Gridi. Vuoi

andartene? Andiamo. Ti tirerò fuori da qui, a qualunque costo.» Qualcosa mi strinse il

petto, e per un momento, il mondo intero si ridusse al verde nei suoi occhi. «Grazie.»

Adrian se ne andò, e io rimasi sola. Beh, quasi. Uno dei gatti era rimasto in giro, uno

nero lucido con gli occhi gialli. Era sdraiato su uno scaffale, guardandomi curioso,

come se si stesse domandando se davvero potevo farcela. Ed eravamo in due.

Per un momento, non riuscii a muovermi. Stavo per fare della magia di mia

spontanea volontà. Tutte le proteste e le discussioni che avevo avuto con la

professoressa Terwilliger erano come cenere al vento, ora. Iniziai a tremare e mi sentii

il respiro corto. Poi, pensai a Sonya. Gentile, coraggiosa Sonya. Aveva dedicato così

tanto tempo ed energia a fare la cosa giusta. Come potevo fare di meno?

Come avevo annotato dalla professoressa Terwilliger, l’incantesimo era

ingannevolmente semplice. Non ci volevano neanche metà passaggi dell’incantesimo

del fuoco. Dovevo continuare a far sobbollire dell’acqua in un calderone di rame e

aggiungerci diversi ingredienti, molti dei quali erano chiari olii che dovevano essere

misurati con una precisa cura. L’aria divenne presto pregna degli aromi di bergamotto,

vaniglia, e eliotropio. Alcuni passaggi avevano la stessa ridondanza rituale che avevo

già fatto in precedenza. Per esempio, dovevo cogliere tredici foglie di menta da una

delle sue piante, lasciare cadere ogni foglia su un’altra e allo stesso tempo contarle in

greco. Poi, quando avevano sobbollito per tredici minuti, dovevo rimuovere ogni foglia

con un cucchiaio di legno di rosa.

Prima di andarsene, la professoressa Terwilliger mi aveva detto di rimanere

concentrata e pensare con cura a ogni passaggio dell’incantesimo e a quello che

speravo di ottenere. Quindi, raggruppai i miei pensieri intorno a Sonya e al trovarla,

pregando che stesse bene. Quando finalmente finii i passaggi iniziali, vidi che era già

passata quasi un’ora. Me ne ero accorta a stento. Mi passai una mano sulla fronte,

sorpresa da quanto si sudasse in quella stanza vaporosa. Uscii per trovare la

professoressa Terwilliger e Adrian, incerta su quale strana attività li avrei trovati a fare.

Invece, la situazione era abbastanza normale: stavano guardando la TV. Entrambi mi

fissarono quando mi avvicinai.

«Pronta?» chiese lei.

Annuii.

«C’è odore di the qua dentro,» disse Adrian, quando ci seguì nel laboratorio.

La professoressa Terwilliger esaminò il piccolo calderone e annuì con approvazione.

«Sembra perfetto.» Non sapevo come potesse constatarlo da un solo sguardo, ma

pensai che mi sarei fidata.

«Ora. L’effettiva divinazione comporta un piatto d’argento, giusto?» Guardò tra le

sue mensole dei piatti e indicò qualcosa. «Là. Usa quello.»

Tirai giù un piatto perfettamente rotondo, di trenta centimetri di raggio circa. Era

liscio, senza ornamenti, ed era stato lucidato con così tanto accanimento che rifletteva

come se fosse stato uno specchio. Nel mio riflesso vedevo i segni di deterioramento

fisico sui miei capelli e sul mio trucco a causa di quella giornata. In mezzo a chiunque

altro, ne sarei stata imbarazzata.

Misi il piatto sul tavolo e versai una tazza di acqua del calderone sulla superficie

argentata. Tutti gli ingredienti non liquidi furono rimossi, e l’acqua fu perfettamente

pulita. Una volta che non fu più increspata, l’effetto specchio di prima ritornò. La

professoressa Terwilliger mi porse una piccola scodella di incenso galbano, la quale il

libro diceva che doveva bruciare nell’ultimo passaggio. Accesi la resina con una

candela, e un odore amaro e acerbo si diffuse per la stanza, in contrasto con la dolcezza

del liquido.

«Hai ancora il capello?» Chiese la professoressa Terwilliger.

«Certo.» Lo lasciai cadere sulla superficie liscia. Una parte di me voleva che

succedesse qualcosa - scintille o fumo - ma lessi le indicazioni e fui più giudiziosa.

Spinsi uno sgabello verso il tavolo e mi sedetti. permettendomi di contemplarmi

nell’acqua. «Ora guardo?»

«Ora guardi,» confermò lei. «La tua mente deve rimanere concentrata, ma anche

espandersi. Devi pensare ai componenti dell’incantesimo e alla magia che portano,

nello stesso modo in cui desideri trovare il soggetto dell’incantesimo. Allo stesso

tempo, devi mantenere la mente perfettamente chiara e rimanere fissa sul tuo obbiettivo

con un’attenzione tagliente come un rasoio.»

Guardai il mio riflesso e provai a fare tutte quelle cose che aveva appena descritto.

Non successe niente. «Non vedo niente.»

«Certo che non vedi niente,» disse lei. «È passato solo un minuto. Ti ho detto che

questo è un incantesimo avanzato. Potrebbe volerci un po’ per te per chiamare a

raccolta tutta la forza e il potere di cui hai bisogno. Rimani sull’obbiettivo. Noi

aspetteremo.»

Se ne andarono entrambi. Fissai tetramente l’acqua, chiedendomi quanto sarebbe

stato "un po’". Ero felice quando all’inizio l’incantesimo era sembrato così semplice.

Ora, desideravo che ci fossero più ingredienti da mescolare, più formule da recitare.

Questa magia di alto livello, basata sulla volontà e l’energia mentale, era molto più

difficile - soprattutto perchè era intangibile. Mi piaceva il concreto. Mi piaceva sapere

cosa fare esattamente per far succedere le cose. Causa e effetto.

Ma questo? Questo era solo me che fissavo e fissavo, sperando di "rimanere fissata"

e avendo "un’attenzione tagliente come un rasoio". Come avrei saputo se ci stavo

riuscendo? Anche se avrei conquistato quello stato, poteva metterci altro tempo per

visualizzare quello che mi serviva. Provai a non pensarci, non ancora almeno. Sonya.

Sonya era l’unica cosa che importava al momento. Tutta la mia volontà e la mia energia

dovevano andare a lei, per salvarla.

Continuai a ripetermelo man mano che i minuti passavano. Ogni volta che ero certa

che mi sarei fermate e avrei chiesto alla professoressa Terwilliger cosa fare, avrei

forzato me stessa a continuare a guardare l’acqua. Sonya, Sonya. Pensa a Sonya. E

ancora, non successe niente. Finalmente, quando un dolore alla schiena rese la mia

seduta insopportabile, mi alzai per stiracchiarmi un po’. Anche il resto dei miei muscoli

iniziarono a contrarsi in crampi. Tornai in salotto; era passata un’ora e mezza

dall’ultima volta che c’ero stata.

«Niente?» chiese la professoressa Terwilliger.

«No,» dissi. «Devo aver fatto qualcosa di sbagliato.»

«Hai concentrato la mente? Pensato a lei? Pensato al trovarla?» Ero davvero stufa di

sentire la parola concentrarsi. La frustrazione aveva sostituito l’ansia iniziale. «Sì, sì, e

sì,» dissi. «Ma continua a non funzionare.» Lei scrollò le spalle. «E questo è perché

abbiamo un coprifuoco esteso. Prova ancora.» Adrian mi lanciò uno sguardo

comprensivo e iniziò a dire qualcosa - ma poi ci ripensò. Stavo per andarmene ma

indugiai appena un pensiero fastidioso mi tormentò.

«E se non fosse viva?» chiesi. «Potrebbe essere questo il motivo per il quale non

funziona?» La professoressa Terwilliger scosse la testa. «No. Dovresti comunque

vedere qualcosa se non lo fosse. E… beh, lo sapresti.»

Tornai in laboratorio e riprovai - con risultati simili. La volta successiva che andai a

parlare con la professoressa Terwilliger, vidi che non era passata neanche un’ora. «Sto

facendo qualcosa di sbagliato,» insistetti. «E anche se fosse, o ho sbagliato con

l’incantesimo iniziale. Oppure è decisamente al di sopra delle mie capacità».

«Se ti conosco, l’incantesimo è perfetto,» disse lei. «E no, non è al di sopra delle tue

capacità, ma solamente tu hai il potere di farlo accadere».

Ero troppo stanca per analizzare la sua assurda filosofia esoterica. Mi girai e, senza

una parola, arrancai verso il laboratorio. Quando lo raggiunsi, scoprii di essere stata

seguita. Guardai Adrian e sospirai.

«Nessuna distrazione, ricordi?» dissi.

«Non rimarrò,» disse lui. «Voglio solo assicurarmi che tu stia bene».

«Già... Cioè, non lo so. Sto come starebbero tutti in una situazione come questa.»

Feci un cenno con la testa verso il piatto d’argento. «Forse ho bisogno che tu mi tiri

fuori di qui». Lui considerò un attimo l’idea, poi scosse la testa. «Non penso sia una

buona idea». Lo fissai incredula. «Cosa è successo al tuo ‘non devi fare niente che tu

non voglia fare’? E le tue nobili difese?»

Un piccolo sorriso apparve sulle sue labbra. «Beh. Quello era prima, quando non

volevi farlo perchè andava contro al tuo credo. Ora che la linea è attraversata, il tuo

problema sembra essere un po’ di pessimismo e il fatto di non credere che tu possa

farcela. E onestamente, è una stronzata».

«Un po’ di pessimismo?» esclamai. «Adrian, ho fissato una ciotola d’acqua per oltre

due ore! È quasi la una e mezza. Sono esausta, voglio del caffè, e mi fa male ogni

muscolo del corpo. Oh, e sto quasi per vomitare per quell’incenso».

«Quelle cose fanno schifo,» concordò. «Ma, mi sembra di ricordare te che,

recentemente, ci dai una lezione sul tollerante disagio di fare la cosa giusta. Stai

dicendo che non puoi farlo per aiutare Sonya?»

«Farei di tutto per aiutarla! Tutto ciò che è in mio potere, credimi. E non penso che

questo vi rientri.»

«Non lo so,» meditò. «Ho avuto un sacco di tempo per parlare con Jackie - mi

permette di chiamarla così, sai - e ho imparato tutto riguardo alla cosa della magia

umana. Puoi farci un sacco di cose».

«È sbagliato,» brontolai.

«Eppure eccoti qui, con la possibilità di trovare Sonya». Adrian esitò, poi, prendendo

una decisione, mi si avvicinò e mi mise le mani sulle spalle. «Jackie mi ha detto che

sei una delle persone più naturalmente dotate per queste cose che abbia mai incontrato.

Ha detto che con un po’ di pratica, un incantesimo del genere sarà una passeggiata per

te, e lei è certa che puoi farcela. E io le credo. Non perché ho una prova del tuo talento

magico, ma perché ho visto come ti approcci a tutto il resto. Non fallirai. Non fallisci

mai a niente.» Ero così esausta che pensai che avrei potuto piangere. Volevo cadere in

avanti e farmi portare via da lui, come mi aveva promesso prima. «Questo è il

problema. Non fallisco, ma temo che fallirò ora. Non so com’è. E mi terrorizza.»

Specialmente perché Sonya dipende da me. Adrian si allungò e sfiorò il giglio sulla

mia guancia. «Non avrai bisogno di capire com’è, questa sera, perché non fallirai. Puoi

farcela. E io sarò qui con te fino alla fine, okay?»

Presi un respiro profondo e cercai di calmarmi. «Okay.» Tornai al mio sgabello dopo

che lui se ne fu andato, cercando di ignorare la fatica del corpo e della mente. Pensai a

quello che aveva detto, riguardo al fatto che non avrei fallito. Pensai alla fiducia che

aveva in me. E, soprattutto, pensai a Sonya. Pensai a quanto disperatamente volessi

trovarla.

Tutte queste cose si dimenavano dentro di me mentre fissavo l’acqua cristallina,

eccetto per il capello che vi galleggiava. Una linea rossa contro tutto quell’argento. Fu

come una scintilla di fuoco, una scintilla che divenne sempre più luminosa nei miei

occhi, fino a quando assunse una forma, un cerchio con linee stilizzate che ne

fuoriuscivano. Un sole, realizzai. Qualcuno aveva dipinto un sole sopra un pezzo di

compensato appeso ad una recinzione. Anche con una tela scadente, l’artista aveva

dedicato molta cura a dipingere il sole, stilizzando i raggi e assicurandosi che avessero

la stessa lunghezza. La recinzione stessa era brutta e industriale, e diedi un’occhiata a

ciò che sembrava un pannello elettrico, appeso su di essa. Il paesaggio era marrone e

arido, ma le montagne in lontananza mi dissero che era ancora la zona di Palm Springs.

Era come l’area in cui viveva Wolfe, fuori dalla città e lontano dalla bella vegetazione.

Oltre la recinzione, dietro il pannello, vidi un grande edificio che assomigliava ad un

tentacolo...

«Ahia!»

La visione scomparve e la mia testa colpì il pavimento. Ero caduta dallo sgabello.

Provai a sedermi, ma quello fu tutto ciò che riuscii a fare. Il mondo girava e il mio

stomaco aveva la nausea ed era vuoto. Dopo quelli che potevano essere stati tre secondi

o tre ore, sentii delle voci e dei passi. Forti braccia mi strinsero, e Adrian mi aiutò a

rimettermi in piedi. Mi aggrappai al tavolo, mentre lui raddrizzava lo sgabello e mi

aiutava a sedermi. La professoressa Terwilliger spinse il piatto d’argento da parte e lo

rimpiazzò con un ordinario piatto da cucina, pieno di formaggio e cracker. Un bicchiere

di succo d’arancia completò il tutto.

«Ecco,» disse. «Mangia questi. Ti sentirai meglio.»

Ero così disorientata e debole che non esitai neanche. Mangiai e bevvi come se non

mangiassi e bevessi da una settimana, mentre Adrian e la professoressa Terwilliger

aspettavano pazientemente. Fu solo quando praticamente leccai il piatto pulito che

realizzai cosa avevo consumato.

«Crackers e succo d’arancia?» gemetti. «Ci sono troppi grassi e zuccheri per questo

momento della notte.»

Adrian mi sbeffeggiò. «Lieto di vedere che non c’è nessun danno permanente».

«Dovrai abituarti se hai intenzione di usare molto la magia,» disse la professoressa

Terwilliger. «Gli incantesimi ti possono svuotare. Non è raro avere un calo di zuccheri,

dopo averne fatto uno. Il succo d’arancia diventerà il tuo migliore amico.»

«Non mi ci abituerò mai, dato che non ho intenzione di...» Ansimai, non appena le

immagini che avevo visto nel piatto d’argento mi ripiombarono addosso. «Sonya!

Penso di aver visto dov’è». Descrissi cosa avevo visto, anche se nessuno di noi aveva

idea di che posto stessi parlando.

«Sei sicura che fosse un normale sole? Con i raggi?» chiese Adrian. «Perché pensavo

che i cacciatori usassero il vecchio simbolo Alchimista - il cerchio e il punto».

«Lo usano, ma quello era decisamente... oh, Dio.» Guardai Adrian. «Dobbiamo

tornare alla Amberwood. Adesso.»

«Non dopo questo,» disse la professoressa Terwilliger. Stava usando la severa voce

da insegnante. «Ci è voluto più del previsto. Dormi qui e io chiarirò tutto con Desiree

e la scuola, domani.»

«No.» Mi alzai e sentii le gambe iniziare a cedere, ma alla fine, tennero. Adrian mi

circondò con un braccio, per supportarmi, chiaramente non credendo al recupero del

mio corpo. «Devo tornare là. Penso di sapere come scoprire dov’è quel posto.» Adrian

aveva ragione nel dire che il sole che avevo descritto non era sulla spada o sulla

brochure. Entrambe usavano il simbolo vecchio. Quello nella mia visione aveva un

adattamento più moderno - e non era la prima volta che lo vedevo.

Il sole che avevo visto nella mia visione era uguale identico al tatuaggio di Trey.

CAPITOLO 20 Traduzione: Sherm

Pre-Revisione: Alessia C.

ANDARE DA TREY era più facile a dirsi che a farsi. Che una ragazza entrasse nel

dormitorio dei maschi era già abbastanza difficile durante le ore diurne. Ma dopo il

coprifuoco? Nel bel mezzo della notte? Quasi impossibile.

Dovetti ricorrere a opzioni più creative, così chiamai Eddie mentre riportavo a casa

Adrian. Una cosa della quale non mi sentivo mai in colpa di fare era chiamare Eddie a

qualsiasi ora. Teneva accesa la suoneria (soprattutto per la gioia di Micah, nessun

dubbio), e sospettavo dormisse con il telefono di fianco al cuscino.

«Sì?» La voce di Eddie era all’erta e pronta, come se non si fosse neanche mai

addormentato. E lui era proprio così.

«Ho bisogno che tu vada a vedere se puoi svegliare Trey,» gli dissi. «Sonya è stata

rapita e la tengono in un posto strano, con un segno simile al tatuaggio di Trey.

Dobbiamo scoprire cosa sa.»

Era la prima volta che Eddie sentiva parlare del rapimento di Sonya, ma non chiese

ulteriori informazioni - o come conoscessi il posto dove la tenevano. Sapeva che era

stata in pericolo ultimamente, e questo veloce messaggio era stato abbastanza da

metterlo in azione. Non sapevo esattamente cosa avrei fatto quando Eddie avesse

trovato Trey, dato che non avrei potuto parlargli fino alla mattina successiva. In ogni

caso, dovevamo pur cominciare da qualche parte.

«Okay,» disse Eddie. «Ho afferrato. Ti richiamo.»

Chiudemmo la connessione, e io soffocai uno sbadiglio. «Beh, non è un granché.

Speriamo che Eddie riesca a scoprire qualcosa.»

«Preferibilmente senza picchiare Trey, intanto» disse Adrian. Si rannicchiò contro

il sedile, l’unica dimostrazione che anche lui fosse stanco, dopo la nostra uscita

notturna. Si era convertito da un po’ alla notturna routine dei vampiri. «Visto che quello

potrebbe limitare il numero di informazioni che potremmo scoprire.»

Feci una smorfia. «Se Trey è in qualche modo coinvolto in tutto questo, non sono

sicura di volergliela far passare liscia. E nonostante tutto... è solo che non posso credere

che sia coinvolto.»

«La gente si inganna a vicenda continuamente. Guardati. Credi che Trey sappia che

tu fai parte di una società segreta che aiuta a tenere nascosti i vampiri dal mondo?»

«In effetti... sì.» Mi fermai al semaforo rosso e ripensai ad alcuni strani

comportamenti di Trey.

«Sono quasi sicura che sappia che Jill è una Moroi. Non se n’è accorto subito, ma

quando se n’è accorto, ha continuato a dirmi di tenerla nascosta. Poi, dopo che Sonya

è stata aggredita, mi ha detto di rimanere al sicuro.» Realizzai una cosa terribile. «Lui

sapeva. Sapeva che ero amica di Sonya. Probabilmente sapeva dell’attacco e non ha

mai detto niente!»

«Non c’è da sorprendersi se il suo gruppo sta lavorando contro il tuo.» Il tono di

Adrian si ammorbidì. «Se ti fa stare meglio, sembrava frustrato quando ti ha avvisato.».

«Non lo so. Oh, Adrian.» Andai di fronte all’edificio e vidi la Mustang gialla

illuminata da un lampione. «Hai lasciato fuori la macchina. Sei fortunato che non te

l’abbiano portata via.»

«La sposterò» disse. «E non guardarmi così. È nel raggio di mezzo miglio. Non ho

infranto nessuna delle tue regole.»

«Stai solo attento» borbottai.

Aprì la portiera di Caffelatte e mi guardò. «Sei sicura di voler tornare a scuola? Sarai

bloccata lì fino a domattina.»

«Non che possa fare molto fino ad allora, comunque. Voglio essere lì nell’istante in

cui potrò andare da Trey. Mi fido di Eddie per ora».

Adrian non sembrava volere lasciarmi andare, ma alla fine annuì. «Chiama se hai

bisogno di qualcosa. Continuerò a provare a vedere se riesco a trovare Sonya nei suoi

sogni. Non ho avuto molta fortuna finora.» Uno dei poteri più sconcertanti dello spirito

era l’abilità di irrompere nei sogni degli altri. «Potrebbe semplicemente non essere

addormentata?»

«Quello, o drogata.»

Né l’una, né l’altra opzione mi fecero sentire meglio. Mi lanciò un ultimo, esitante

sguardo, prima di andarsene.

Tornai alla Amberwood, dove un assistente mezzo addormentato mi salutò con un

gesto della mano, senza dire una parola. La professoressa Weathers era andata a casa

da un bel po’ di tempo, e la sua copertura notturna non sembrava prestare particolare

attenzione al mio andirivieni. Mentre salivo le scale, il cellulare squillò.

Eddie.

«Beh, ci ho messo una vita, ma finalmente ho svegliato il suo coinquilino» mi disse.

«E?»

«Non c’è. Scommetto che non c’era neanche ieri sera. Una specie di emergenza di

famiglia.»

«Non ti ha detto niente su quando sarebbe tornato?» Stavo iniziando a pensare che

tutte le "emergenze familiari" di Trey potessero essere più insidiose di quanto avessi

immaginato. Ero anche pronta a scommettere che non fosse l’unico ad avere un sole

tatuato.

«No.»

DORMII A TRATTI quella notte. Il mio corpo era spossato dalla magia, ma ero troppo

preoccupata per Sonya per cedere completamente alla stanchezza. Continuai a

svegliarmi e a controllare il telefono, per paura di aver perso qualche chiamata -

nonostante la suoneria fosse impostata al massimo. Finalmente mi arresi e mi alzai dal

letto un paio d’ore prima che iniziassero a distribuire la colazione in mensa. Il tempo

di farmi una doccia e vestirmi - e mettere la macchinetta del caffè in funzione - ed ero

tornata nella fascia d’apertura del campus. Non che mi fece stare molto meglio.

Feci altre due chiamate, la prima a Spencer, per vedere se Trey stava lavorando. Non

che mi aspettassi che lo facesse, ma era una buona scusa per vedere se c’era stato negli

ultimi giorni.

Non c’era stato. La chiamata seguente fu alla Stanton, per riportare la scomparsa di

Sonya. Le dissi del legame che aveva un mio compagno di classe con i cacciatori di

vampiri e che Sonya sembrava essere tenuta prigioniera in un edificio appena fuori

città. Non elaborai una scusa su come facevo a saperlo, e la Stanton era troppo distratta

dal rapimento in generale per chiederne di più.

A colazione, trovai la mia "famiglia" seduta con Micah nella mensa della parte ovest.

Le facce preoccupate di Eddie, Angeline, e Jill mi dissero che sapevano di Sonya.

Micah stava chiacchierando allegramente di qualcosa, ed ebbi la sensazione che

evitasse di discutere su ciò di cui volevano veramente parlare. Quando Micah chiese

qualcosa a Eddie, mi avvicinai a Jill e le mormorai, «Portalo via di qui.»

«Devo dirgli di andarsene?» mi rispose sussurrando.

«Se ce n’è bisogno. Oppure vai con lui.»

«Ma io voglio...»

Si morse il labbro non appena l’attenzione di Micah tornò su di lei. Sembrò triste

riguardo a quello che doveva fare, ma presto indossò quell’espressione risoluta che le

avevo visto recentemente. Indicò il piatto di Micah. «Ehi, hai finito? Devo controllare

una cosa con la professoressa Yamani. Vieni con me?»

Micah si illuminò. «Certo.»

Una volta che se ne furono andati, mi rivolsi a Eddie e Angeline. «Nessuna traccia

di Trey?» chiesi.

«No» disse Eddie. «Ho controllato ancora questa mattina. Il suo coinquilino sta

iniziando a odiarmi. Non che lo biasimi.»

«Tutto questo mi sta facendo diventare matta!» dissi, sentendomi come se dovessi

sbattere la testa contro un muro. «Siamo così vicini eppure inutili. Ogni minuto che

passa è un minuto che Sonya non ha.» Lui fece una smorfia. «Sei sicura che sia viva?»

«Ieri sera lo era» dissi.

Sia Eddie che Angeline mi guardarono sorpresi. «Come lo sai?» chiese lei.

«Um, ecco, io, non è possibile!» spalancai la bocca non appena guardai dietro a

Eddie. «Quello è Trey!» E infatti, un Trey dagli occhi appannati era appena entrato

nella mensa. I capelli umidi indicavano una doccia recente, ma c’erano contusioni e

graffi su di lui che non potevano più essere attribuiti al football.

Eddie si mise in azione prima che potessi dire un’altra parola, e Angeline fu veloce

nel seguirlo.

Era come se mi aspettassi che Eddie affrontasse Trey su due piedi. E invece, Eddie

si mise di fronte a Trey e gli impedì di mettersi in fila per prendere da mangiare. Arrivai

in tempo per sentire Eddie dire: «Niente colazione oggi. Tu vieni con noi.»

Trey iniziò a protestare, poi vide Angeline e me. Anche Jill apparve

improvvisamente, avendo apparentemente perso Micah. Uno sguardo triste attraversò

i lineamenti di Trey, quasi sconfitto, e annuì in modo stanco. «Andiamo fuori.»

Appena chiudemmo la porta, Eddie tenne stretto Trey e lo sbatté contro il muro

dell’edificio. «Dov’è Sonya Karp?» chiese Eddie. Trey sembrava sorpreso, come

previsto.

Eddie era magro e muscoloso, ma la maggior parte della gente sottovalutava quanto

fosse forte.

«Eddie, calmati!» sibilai io, guardandomi intorno, a disagio. Avevo lo stesso

impulso, vero, ma il nostro interrogatorio non sarebbe durato a lungo se fosse arrivato

un insegnante pensando che stavamo maltrattando un altro studente.

Eddie lasciò andare Trey e si fece indietro, ma c’era ancora una scintilla pericolosa

nei suoi occhi.

«Dove la tenete?»

Quelle parole sembrarono scuotere Trey dal suo stato catatonico. «Come lo sapete?»

«Le facciamo noi le domande,» disse Eddie. Non aveva più toccato Trey, ma la sua

vicinanza e la sua postura non lasciavano domande sul fatto che avrebbe fatto quello

che doveva fare se ce ne fosse stato bisogno. «Sonya è ancora viva?» Trey esitò, e mi

aspettai un "non lo so". «S-sì. Per ora.» Eddie scattò di nuovo. Afferrò il bordo della

maglietta di Trey e se lo tirò vicino. «Giuro che se te e quegli spostati dei tuoi soci

avete alzato anche una sola mano su di lei… »

«Eddie» lo avvisai.

Per un momento, Eddie non si mosse. Poi, riluttante, lasciò andare la maglietta di

Trey, ma rimase dov’era. «Trey» cominciai, mantenendo lo stesso tono ragionevole

che avevo usato con Eddie. Dopotutto, Trey ed io eravamo amici, no? «Devi aiutarci.

Per favore, aiutaci a trovare Sonya.»

Scosse la testa. «Non posso, Sydney. È per il vostro stesso bene. Lei è malvagia.

Non so che trucco abbia usato con te o come abbia fatto quest’illusione per nascondere

la sua vera identità, ma non puoi fidarti di lei. Ti si rivolterà contro. Lasciaci, lasciaci

fare quello che dobbiamo fare». Le parole erano tutte giuste, perfettamente in linea con

la propaganda dei Guerrieri. Ma, c’era qualcosa nel modo in cui Trey aveva parlato,

qualcosa nella sua posizione... Non riuscii a capire cosa me lo fece pensare. La gente

mi rimproverava per la mia incapacità a cogliere gli indizi sociali, ma ero quasi certa

che non fosse completamente convinto di fare qualsiasi cosa il gruppo voleva che

facesse.

«Questo non sei tu, Trey» dissi. «Ti conosco abbastanza bene da saperlo. Non

uccideresti una donna innocente.»

«Non è innocente.» Eccolo ancora, quel misto di emozioni. Dubbio. «È un mostro.

Sai che cosa sono. Sai cosa possono fare. Non quelli come lei.» indicò Jill. «Ma gli

altri. Quelli non-morti.»

«Sonya ti sembra una non-morta?» chiese Eddie. «Hai visto degli occhi rossi, per

caso?»

«No» ammise Trey. «Ma abbiamo altri rapporti. Testimoni che l’hanno vista nel

Kentucky. Rapporti di vittime.»

Fu difficile rimanere impassibili di fronte a quello. Avevo visto Sonya quando era

una Strigoi. Era terrificante, e se ce ne fosse stata l’opportunità, avrebbe ucciso me e i

miei compagni. È difficile da accettarlo, ma quando qualcuno è trasformato in Strigoi,

perde il controllo dei sensi e dell’anima. Perde il contatto con la sua umanità, o quello

che hanno i Moroi, e non è più lo stesso di prima. Sonya aveva fatto cose davvero

terribili, ma non era più una di quelle creature.

«Sonya è cambiata» dissi. «Non è più una di loro.» Gli occhi di Trey si strinsero.

«Questo è impossibile. Sei stata ingannata. Hanno usato una specie di... Non so... magia

nera.»

«Questa cosa non ci sta portando da nessuna parte,» ringhiò Eddie. «Chiama Dimitri.

Noi ce la faremo a farci dire dove si trova questo posto. Ho irrotto in una prigione.

Entrare in quel posto non deve essere molto più difficile.»

«Oh, lo pensi davvero?» Un sorriso privo di umorismo attraversò i lineamenti di

Trey. «Quel posto è circondato da una recinzione elettrizzata e difesa da uomini armati.

In più, lei è strettamente sorvegliata. Non potete semplicemente andare lì.»

«Perché è ancora viva?» chiese Angeline. Sembrò accorgersi di quanto strana

suonasse quella domanda e si affrettò a rielaborare. «Non che... Cioè, sono felice che

lo sia. Ma se pensate che sia così cattiva, perché non l’avete uccisa subito?» Lei guardò

me e i miei amici. «Scusate.»

«È una buona domanda» le disse Eddie.

Trey si prese un po’ di tempo per rispondere. Avevo la sensazione che fosse

combattuto tra il mantenere i segreti del gruppo e giustificare a noi le sue azioni.

«Perché dobbiamo essere tutti testati» disse alla fine. «Per vedere chi è idoneo

all’uccisione.»

«Oh, mio Dio» disse Jill.

«Ecco spiegati i tuoi graffi» dissi. I miei timori sulla violenza domestica non erano

poi tanto sbagliati, alla fine.

«Stai competendo per uccidere una donna che non ti ha fatto niente.»

«Smettila di dirlo!» urlò Trey, che sembrava sinceramente sconvolto. «Non è

innocente.»

«Ma non ne sei sicuro,» dissi, «o sbaglio? I tuoi occhi non ti stanno dicendo quello

che sono i tuoi amici cacciatori.»

Evase la mia accusa. «La mia famiglia se lo aspetta da me. Dobbiamo provare tutti,

specialmente dopo che abbiamo incasinato la storia dell’attacco nel vialetto. Inoltre,

abbiamo perso l’autorizzazione di ucciderla, e questo è perché il concilio ha emesso

queste prove per vedere se ne eravamo degni.» Avere l’"autorizzazione" per uccidere

qualcuno era nauseante, ma fu il resto di quello che disse che fece vedere doppio.

«Tu eri là» dissi incredula. «Nel vialetto, e... ed eri tu! Sei stato tu ad afferrarmi!»

Mi tornò in mente solo allora, la sorpresa e l’esitazione del mio assalitore.

L’espressione di Trey diceva quanto bastava. «Sapevo che eri loro amica. Lo so solo

a guardarvi, anche se non avevo capito subito di voi due.» Parlava di Eddie e Angeline.

Trey tornò a rivolgersi a me. «Ho riconosciuto il tatuaggio la prima volta che ci

siamo incontrati. L’ho solo ignorato perché ho pensato che non fossi coinvolta tanto

quanto me. Pensavo che uscissi semplicemente con dei vampiri innocui, per questo non

mi aspettavo di trovarti là, quella notte. Non volevo che ti facessi male. Non lo voglio

ancora, e questo è perché devi lasciar perdere questa storia.»

«Sono stanco di tutto questo,» disse Eddie. Era stato un miracolo il fatto che fosse

rimasto paziente fino ad quel momento. «Dobbiamo buttare giù le porte di quel posto

e...»

«Aspetta, aspetta.» Un’idea si stava formando nella mia testa... un’altra di quelle

folli. «Trey, hai detto che Eddie non può semplicemente entrare in quel posto. Ma io

posso?»

«Di cosa stai parlando?» chiese Trey, sul suo viso c’era un misto di sospetto e

confusione.

«Lo sai cosa sono. Lo sai cosa faccio.» Trey annuì. «Una volta i nostri due gruppi

erano uniti. I tizi che mi hanno fermato in strada hanno perfino detto che dovremmo

lavorare tutti insieme. I Guerrieri vogliono le risorse degli Alchimisti.»

«Quindi, cosa... vuoi uno scambio?» chiese Trey accigliato.

«No. Voglio solo parlare con questo tuo consiglio. Voglio spiegare loro perché

Sonya non è... cioè, perché non sembra più quello che era prima. C’è un Moroi che usa

una certa specie di magia che potrebbe perfino mostrarti...»

«No» disse immediatamente Trey. «Nessuno di loro potrebbe essere ammesso

all’interno. Sono tollerati, ma la cosa finisce qui. Neanche voi ibridi sareste ammessi.»

Ancora, parlò ad Eddie e Angeline. non avevo mai sentito l’uso del termine ibrido, ma

il significato era chiaro.

«Okay,» dissi. «Solo umani. Sono umana. Il tuo gruppo vuole lavorare con il mio

gruppo. Fammi venire con te. Disarmata. Parlerò con i tuoi capi e...»

«Sydney, no,» protestò Eddie. «Non puoi andarci da sola! Hanno provato a

decapitare Sonya, per l’amor di Dio. E ricordi quello che ha detto Clarence riguardo ai

radicali che lo stavano seguendo?»

«Non faremo del male agli umani,» disse categoricamente Trey. «Sarà al sicuro.»

«Ti credo,» gli dissi. «E so anche che non permetterai che mi succeda qualcosa.

Senti, non sei curioso di sapere perché Sonya è così com’è? Puoi accettare la possibilità

che la tua gente possa fare un simile errore? Hai detto che tollerate i Moroi. Lei è una

di loro. Fatemi spiegare. Non sto chiedendo nient’altro che la possibilità di parlare.»

«E la garanzia che sarà al sicuro,» aggiunse Angeline, che sembrava oltraggiata

quasi quanto Eddie.

Lui annuii alle sue parole. «Voi siete molto legati a questa cosa dell’onore, giusto?

Devi promettere che sarà al sicuro.»

«Noi facciamo quello che facciamo per l’onore» disse Trey. «Se promettiamo che

sarà al sicuro, lo sarà.»

«Allora chiediglielo.» Lo esortai. «Per favore? Lo faresti per me? Come amico?»

Quando lo dissi, uno sguardo addolorato attraversò i lineamenti di Trey. Prima aveva

accennato che era in debito con me per averlo aiutato con la faccenda del tatuaggio

illegale, il mese scorso. Quello avrebbe obbligato qualsiasi amico, anche senza un

radicato senso dell’onore. Allora capii che c’era molto di più dell’onore in gioco.

Trey e io eravamo amici... con molte più cose in comune di quanto avessi mai

immaginato. Facevamo entrambi parte di gruppi che volevano controllare le nostre

vite, spesso in modi che non ci piacevano. Avevamo entrambi padri dispotici. Se Trey

e io non avessimo avuto obbiettivi opposti, avremmo potuto farci una risata su tutto

questo.

«Chiederò» disse Trey. Qualcosa mi disse che anche lui stava pensando alle nostre

somiglianze. «Perché sei tu. Ma non posso prometterti niente.»

«Allora chiedi» ringhiò Eddie. «Non abbiamo tempo da perdere. E scommetto che

neanche Sonya ne ha.»

Trey non lo negò. Esitai, improvvisamente chiedendomi se fosse stata una scelta

intelligente. Cosa sarebbe successo se avessimo perso di vista Trey? Non sarebbe stato

meglio portarlo da Dimitri?

E Sonya... quanto tempo le rimaneva?

«Ora» Ribadii a Trey. «Devi contattarli ora. Non andare a lezione.» Probabilmente

era stata la prima e unica volta che avrei detto quelle parole.

«Lo giuro» disse Trey. «Li chiamo adesso.»

Suonò la campanella, che segnava la fine del nostro incontro. In ogni modo, se

avessimo avuto una possibilità di salvare Sonya in quel momento, sapevo che ogni mio

amico sarebbe andato via dal campus immediatamente. Lasciammo andare Trey, che

si indirizzò di nuovo verso il suo dormitorio, non verso le aule. Angeline, nuovamente

libera dalla sospensione ,se ne andò con Jill, mentre Eddie e io andammo a lezione di

storia.

«È stato uno sbaglio» disse con lo sguardo cupo, non appena si girò verso il luogo

dove Trey era sparito. «Per quello che sappiamo, può sparire dalla circolazione e noi

avremo perso l’unica possibilità di riavere Sonya indietro.»

«Non lo farà» dissi. «Conosco Trey. È una brava persona, e sono anche sicura che

se pensa che gli Strigoi vadano sterminati, non è sicuro al 100 percento di Sonya. Farà

quello che può. Penso che si senta combattuto al momento, intrappolato tra quello che

gli hanno raccontato per tutta la sua vita e quello che riesce a vedere con i suoi occhi.»

Suona familiare? chiese una voce interiore.

Avevo come sperato che Trey mi avrebbe dato una risposta velocemente... diciamo,

a chimica. Ma non si vide per la scuola o da nessun’altra parte per tutta la giornata.

Pensai che per queste cose ci volesse tempo, e la mia pazienza e fede furono

ricompensate alla fine della giornata: Ci sto ancora lavorando. Alcuni sono disponibili

a parlare. Altri ancora da convincere.

Eddie non considerò il messaggio di Trey come prova concreta quando glielo

mostrai, ma non pensai che Trey avrebbe detto qualcosa se se la fosse filata. Eddie

voleva riunirsi da Dimitri e discutere una strategia per questi nuovi sviluppi. Quindi,

decidemmo di fare una gita di gruppo e andare in centro. Mandai alla nostra famiglia

l’indicazione di trovarci fuori dal dormitorio Est entro mezz’ora. Jill fu la prima ad

arrivare, che si fermò non appena mi vide.

«Wow, Sydney... i tuoi capelli.»

Alzai lo sguardo dal messaggio che stavo scrivendo a Brayden, dicendogli che non

sarei potuta uscire quel fine settimana. «Cos’hanno?»

«Il modo in cui sono acconciate le ciocche. Circondano perfettamente il tuo viso.»

Mi stava ancora guardando in quel modo strano. «Beh, già» dissi, sperando di cambiare

argomento. «È un, ehm, bel taglio. Scusa se ti abbiamo addossato Micah prima.» Ci

mise qualche secondo, ma la mia distrazione la distolse dal suo stato di trance da

capelli.

«Oh, no. Non c’è problema. Cioè, le cose stanno diventando più strane tra di noi in

ogni caso.»

«Si?» Micah mi era sembrato più allegro che mai, l’ultima volta che l’avevo visto.

«Avete ancora dei problemi?»

«Beh... Suppongo di averli io. Mi piace davvero. Adoro uscire con lui e con i suoi

amici. Ma continuano a ricordarmi come non possa succedere niente tra di noi. Tipo,

questa mattina. C’è un intero mondo in cui siamo di cui lui non può far parte. Non ce

la faccio a pensare di mentirgli per tenerlo fuori dalla mia vita. Dovrei farlo... per

davvero. Chiudere il discorso. So di averlo già detto prima, ma ora ne sono sicura.»

«Siamo qui per te se lo fai» dissi. Lo intendevo davvero, ma se poi Jill fosse venuta

da me piangendo, non ero completamente sicura di quello che le avrei detto. Forse

potevo trovare un libro su una vera e propria rottura, che consigliava tecniche prima

che lei compisse quel gesto.

Un sorriso sbilenco le attraversò il viso. «Sai cosa c’è di strano? Cioè, non voglio

saltare da un ragazzo all’altro - e Micah mi interessa ancora - ma sto iniziando ad

accorgermi che bravo ragazzo sia Eddie.»

«Un ragazzo fantastico» confermai.

«Il fatto che Moroi e dhampir stiano insieme è molto sconsigliato quando si è più

grandi, ma ora... Cioè, so di qualcuno che si è messo insieme alla St. Vladimir.» Mi

rivolse una risata imbarazzata. «Lo so, lo so... Non dovrei neanche pensarci. Un

ragazzo alla volta. Ma comunque... più guardo Eddie... è così coraggioso e così

fiducioso. Sai che farebbe di tutto per noi. È come l’eroe di un libro. Ma è così dedicato,

probabilmente non sarebbe mai interessato a una come me. Non ha tempo per gli

appuntamenti.»

«In verità» dissi io, «Penso che potresti interessargli molto.» I suoi occhi si

spalancarono. «Davvero?»

Volevo dirle tutto. Invece, scelsi le mie parole con molta attenzione, non volendo

raccontare in giro i suoi segreti dopo che mi aveva parlato riguardo al fargli gestire da

solo i suoi affari personali.

«Non fa altro che parlare di quanto tu sia intelligente e competente. Penso che

inizierebbe sicuramente qualcosa.» Mi aveva anche parlato di quanto non fosse degno

dell’amore di lei ma quello avrebbe risolto la situazione se Jill fosse andata da lui di

sua iniziativa.

Lei si perse nei suoi pensieri, e non dicemmo più niente sull’argomento quando

Eddie e Angeline arrivarono. Andammo in città, e lasciai Jill e i due dhampir da Adrian

mentre sbrigavo alcune commissioni. Aspettare Trey era agonizzante e avevo bisogno

di una distrazione. In più, ero a corto di qualche rifornimento Alchimista e volevo

essere sicura di essere in perfetta forma prima di qualsiasi esperienza nel campo dei

Guerrieri.

Mi suonò il telefono non appena iniziammo a raggrupparci. Era Trey, e andai fuori

da un’erboristeria per rispondere.

«Okay,» disse lui. «Puoi venire. Ti incontreranno stasera... solo tu.» Ansia e

eccitazione mi attraversarono da capo a piedi. Quella sera. Sembrava

sorprendentemente presto, anche se era esattamente quello che volevo. Dovevamo

tirare Sonya fuori di lì.

«Ti passo a prendere alle sette» continuò Trey. «E... beh, mi dispiace... ma ti ci devo

portare bendata. E dovrò assicurarmi che nessuno ci segua. Se lo fanno, salta tutto.»

«Capisco,» dissi, anche se il fatto di essere bendata rendeva tutto più spaventoso.

«Sarò pronta. Grazie, Trey.»

«Inoltre» aggiunse, «vogliamo indietro la spada.»

Gli diedi le indicazioni per venire a prendermi da Adrian, dato che avevo la

sensazione che Dimitri e Eddie avrebbero avuto molto da dirmi prima. Infatti, li

chiamai non appena chiusi la telefonata con Trey, per metterli al corrente. Chiamai

anche la Stanton per aggiornarla. Mi accorsi che avrei dovuto chiamarla

precedentemente, ma volevo avere prima una risposta definitiva da Trey.

«Non mi piace l’idea che ci andrai da sola,» disse lei. «Ma sembra improbabile che

ti facciano del male. Sembra che stiano alla larga dagli umani... noi in particolare. E se

c’è un’opportunità di tirare fuori di lì la Karp... beh. Questo ci eviterebbe un sacco di

discussioni con i Moroi.» Il tono della Stanton mi disse che anche se pensava che sarei

stata al sicuro, non era ottimista per quanto riguardava Sonya. «Stai attenta, Signorina

Sage.»

L’appartamento di Adrian era pieno di tensione quando arrivai. Dimitri, Eddie e

Angeline erano chiaramente agitati, probabilmente perché erano stati esclusi

dall’azione. Anche Adrian, sorprendentemente, sembrava agitato, anche se non

riuscivo a capire perché. Jill lo guardava preoccupata, e continuavano a guardarsi,

indubbiamente passandole messaggi nascosti attraverso il loro legame. Alla fine, lui

distolse lo sguardo, come se avessero finito di conversare. Jill sospirò e andò dagli altri

in cucina.

Iniziai a parlare con Adrian, ma Eddie mi fece cenno di avvicinarmi. «Stiamo

decidendo se darti un’arma o no,» disse.

«Beh, la risposta è ‘no’» dissi immediatamente. «Dai, mi benderanno. Pensate

davvero che non mi perquisiranno prima?»

«Ci dev’essere un modo» disse Dimitri. Dato che c’era l’aria condizionata,

indossava lo spolverino.

«Non posso lasciarti andare indifesa.»

«Non sono in pericolo» dissi, sentendomi come se non avessi ripetuto altro per tutto

il giorno. «Possono anche essere dei pazzi, ma Trey dice che se danno la loro parola,

la mantengono.»

«Sonya non ha queste garanzi,» puntualizzò Dimitri.

«Nessun’arma mi aiuterà a salvarla» dissi. «Eccetto le mie argomentazioni. Sono

armata di quelle e farò del mio meglio.»

I dhampir non sembravano ancora contenti. Ricominciarono a discutere tra di loro,

e li lasciai per cercare un po’ d’acqua. Adrian mi chiamò dal soggiorno. «C’è una bibita

dietetica là dentro.»

Aprii il frigo. Ero abbastanza sicura che fosse pieno di ogni tipo di bibita. E, infatti,

c’era più cibo di quanto ne avessi mai visto. Un altro beneficio della generosità di

Nathan Ivashkov. Presi una lattina di Coca Light e mi unii ad Adrian sul divano.

«Grazie» dissi, aprendo la lattina. «La seconda cosa migliore che potresti avere dopo

il gelato.» Inarcò un sopracciglio. «Gelato? Mi sembra un dolce, Sage.»

«Lo è» ammisi. L’argomento mondano era confortante tra tutta quella tensione. «È

tutta colpa tua che lo hai tirato fuori ieri. Ora non riesco a smettere di pensarci. Ne

volevo un po’ dopo cena ieri sera, e Brayden me lo ha impedito... e per questo,

probabilmente, ne sono ancora più ossessionata. Succede sempre, no? Una volta che

non puoi avere una cosa, la vuoi sempre di più.»

«Sì» disse lui amaramente. «Succede sempre.»

«Perché sei così giù di morale? Anche tu pensi che debba avere un’arma?» Con

Adrian, era molto difficile indovinare dove sarebbe andato il suo umore.

«No, la guardo dal tuo punto di vista e penso che tu abbia ragione» disse. «Non che

ami l’idea che tu vada laggiù da sola.»

«Devo aiutare Sonya» dissi.

Mi studiò e sorrise. «Lo so. Vorrei poter venire con te.»

«Ah, sì? Mi proteggerai e mi tirerai fuori di lì come hai minacciato ieri sera?» lo

stuzzicai.

«Ehi, se ce ne sarà bisogno. Te e Sonya. Vi porterò fuori una su ogni spalla.

Abbastanza virile, eh?»

«Molto» dissi, felice di vederlo scherzare di nuovo.

Il suo divertimento sfumò e tornò di nuovo serio. «Lascia che ti chieda una cosa.

Cos’è più spaventoso: andare nella tana di qualche folle umano omicida o essere al

sicuro, sebbene con una stramba specie di vampiri e mezzi vampiri? So che problemi

avete voi Alchimisti con noi, ma la lealtà verso la tua specie è così forte che... Non lo

so... che le persone stesse non contano?»

Era una domanda sorprendentemente profonda per Adrian. Mi richiamò alla

memoria la gita nel bunker Alchimista per vedere Keith. Mi ricordò come, al padre di

Keith non era importato del carattere morale di suo figlio per così tanto che aveva fatto

sì che Keith non fosse in buoni rapporti con i vampiri. Ripensai al vialetto e a quanto

fossero ostinati i Guerrieri, riguardo al sentire una verità che non appartiene a loro. E,

infine, lanciai un’occhiata ai dhampir che stavano discutendo in cucina, continuando a

cercare tattiche intelligenti per tenere me e Sonya al sicuro, nonostante i rischi.

Tornai a rivolgermi ad Adrian. «Credo che sceglierò i vampiri. La lealtà a una specie

può andare molto lontano.» Qualcosa cambiò sul viso di Adrian, ma non ci prestai

attenzione. Ero troppo colpita dalla realizzazione che le parole che avevo appena

pronunciato erano simili all’alto tradimento per gli Alchimisti.

Eddie e Angeline ci lasciarono più tardi per andare a prendere la cena, e lasciai che

prendessero la mia macchina, sempre che fosse Eddie a guidare. Quando se ne furono

andati, Dimitri provò a insegnarmi altre tecniche di autodifesa, ma era complicato

imparare qualcosa in così poco tempo. Continuavo a pensare a Wolfe che ci avvisava

di evitare i luoghi pericolosi. Cosa avrebbe pensato di me se avesse saputo che stavo

per andare in una tana di pericolosi cacciatori di vampiri?

Eddie e Angeline erano stati via per un po’, poi tornarono, infastiditi dal fatto che il

ristorante ci avesse messo tanto. «Non pensavo che saremmo tornati in tempo,» disse

Eddie. «Pensavo che non avresti mangiato prima della tua missione.»

«Non so neanche se ci riesco, a mangiare,» Ammisi. Accantonate le mie precedenti

e coraggiose parole, stavo iniziando a diventare nervosa. «Oh, puoi tenerle, nel caso ti

serva la macchina.» Si avvicinò alla mia borsa e mise dentro le chiavi, comunque. «Sei

sicura?»

«Affermativo.»

Scrollò le spalle e ripescò le chiavi dalla borsa. Adrian, con mia sorpresa, lo guardò

con gli occhi socchiusi, come se fosse infastidito da qualcosa. Oggi non riuscivo a stare

al passo con il suo umore.

Lui si alzò ed andò da Eddie. Dopo alcuni momenti, si allontanarono un po’ e

sembrava che avessero iniziato un litigio sottovoce, uno che implicava occhiate verso

di me.

Tutti sembravano a disagio, così tirarono fuori il primo discorso che era venuto in

mente. Io riuscivo solo a guardarmi intorno, sentendomi come se mi fossi persa

qualcosa di importante.

Trey mi chiamò alle sette in punto, dicendo che era fuori ad aspettarmi. Mi alzai

dalla sedia e presi la spada, feci un respiro profondo. «Auguratemi buona fortuna.»

«Ti accompagno fuori,» disse Adrian.

«Adrian» lo avvertì Dimitri.

Adrian alzò gli occhi al cielo. «Lo so, lo so. Non preoccupatevi. Ho promesso.»

Promesso cosa? Nessuno indagò. Non era una lunga camminata, dato che viveva al

piano terra, ma quando uscimmo, mi strinse, le sue mani adagiate sulle mie braccia.

Una scossa mi attraversò, sia per il suo tocco che per il gesto inaspettato. I suoi unici

momenti di tenerezza erano, solitamente, solo con Jill.

«Sage» disse. «Davvero. Stai attenta. Non fare l’eroina, ne abbiamo già tanti là

dentro. E... non importa cosa succede, voglio che tu sappia che non ho mai dubitato di

quello che stai per fare. È intelligente e coraggioso.»

«Suona tanto come una cosa già successa e fallita» dissi.

«No, no. Io volevo solo... beh, volevo solo farti sapere che mi fido di te.»

«Okay» dissi, sentendomi un po’ perplessa. Avevo ancora quella sensazione, come

se non mi stessero dicendo qualcosa. «Speriamo che il mio piano funzioni.»

Dovevo andare via, liberarmi dalla presa di Adrian, ma era come se non potessi farlo.

Esitavo ad andare, per alcune ragioni. Lì c’era sicurezza e conforto. Una volta

allontanata, sarei davvero andata a finire nella tana del leone. Aspettai ancora un paio

di secondi al sicuro nel cerchio che avevamo formato, poi, riluttante, andai.

«Ti prego, stai attenta» ripeté. «Torna sana e salva.»

«Lo farò.» Mi slacciai la collana dal collo e la premetti sulla sua mano. «Questa

volta, tienila per davvero. Tienila fino a quando tornerò. Se ti preoccupi troppo,

guardala e sappi che tornerò a prenderla. Si abbina bene con il cachi e i colori neutri.»

Pensavo che me la ridesse indietro, ma annuì semplicemente e la strinse nel palmo.

Andai via, sentendomi leggermente più vulnerabile senza quella, ma speravo

rassicurasse lui. Il mio sconforto sembrò improvvisamente piccolo, al confronto.

Volevo che Adrian stesse bene.

Mi sedetti al posto del passeggero della macchina di Trey e gli diedi immediatamente

la spada. Lui sembrava infelice proprio come prima. «Sei sicura di volerlo fare?»

Perché tutti continuavano a chiedermelo? «Sì. Assolutamente.»

«Fammi vedere il cellulare.»

Glielo diedi, e lui lo spense. Me lo restituì, insieme a una benda. «Mi fido di te nel

mettertela da sola.»

«Grazie.»

Iniziai ad allacciarmela quando, senza pensarci, diedi un ultimo sguardo all’edificio

dietro di me.

Adrian era ancora là, le mani nelle tasche, la faccia preoccupata. Quando si accorse

del mio sguardo, fece un piccolo sorriso e alzò la mano per... cosa? Dirmi addio? Farmi

una benedizione? Non lo sapevo, ma mi fece sentire meglio. L’ultima cosa che vidi fu

la luce di un raggio di sole, appena prima di coprirmi gli occhi con la benda.

Affondai nell’oscurità.

CAPITOLO 21 Traduzione: Sherm

Pre-Revisione: Noir

AVEVO VISTO FILM in cui le persone bendate riuscivano a capire dove stavano

andando, basandosi su qualche innato talento nel percepire il movimento e la direzione

del veicolo. Non io. Dopo un paio di curve, non avrei saputo dire il punto di Palm

Springs in cui ci trovavamo... specialmente visto che sospettavo che Trey stesse

prendendo una strada leggermente indiretta per assicurarsi di non essere pedinato.

L'unica cosa di cui ero certa era che eravamo entrati nell'Interstatale 10, semplicemente

perchè si sentiva l'autostrada. Non sapevo in che direzione stessimo andando e non

avevo neanche modo di calcolare accuratamente da quanto tempo fossimo in viaggio.

Trey non era molto propenso alla conversazione, anche se mi dava delle brevi

risposte quando gli ponevo qualche domanda. «Quando ti sei unito ai cacciatori di

vampiri?»

«Guerrieri della Luce» mi corresse lui. «E sono uno di loro dalla nascita.»

«È per questo che parli sempre di pressioni da parte della tua famiglia e che si aspettano

così tanto da te, non è vero? È per questo che tuo padre è così preccupato per la tua

forma fisica.»

Presi il silenzio di Trey per un'affermazione e continuai a insistere, necessitavo di

più informazioni possibili. «Ogni quanto avete i vostri, ehm, incontri? Fate sempre quei

test brutali?» Fino a poco tempo fa, non c'era niente che mi facesse insinuare che la

vita di Trey non fosse come quella di un qualunque atleta del liceo che che cercava di

tenersi al passo con i voti, un lavoro e una vita sociale attiva. Infatti, a pensare a tutte

le cose che faceva Trey di solito, era difficile immaginare che avesse tempo anche per

i Guerrieri.

«Non abbiamo degli incontri abituali» disse lui. «Beh, non quelli al mio livello.

Aspettiamo finchè non ci chiamano, di solito perchè c'è una caccia in programma. A

volte svolgiamo delle competizioni, per testare la nostra forza. I nostri leader girano

per il mondo, e poi i Guerrieri si radunano da molti posti diversi in modo da essere

pronti.»

«Pronti per cosa?»

«Il giorno in cui potremo mettere fine a questa piaga dei vampiri.»

«E credi davvero che questa caccia sia il modo di farlo? Che sia la cosa giusta da fare?»

«Li hai mai visti?» Chiese lui. «I vampiri malvagi, non morti?»

«Ne ho visti un po'.»

«E non pensi che dovrebbero essere distrutti?»

«Non è ciò che sto cercando di dirti. Neanch'io amo gli Strigoi, credimi. Il punto è

che Sonya non è una di loro.»

Ancora silenzio.

Infine, sentii che stavamo uscendo dall'autostrada. Viaggiammo ancora per un po'

finchè la macchina non rallentò e si voltò, su una strada sterrata. Poco dopo ci

fermammo, e Trey abbassò il finestrino.

«È lei?» chiese un uomo sconosciuto.

«Sì.» disse Trey.

«Hai spento il suo cellulare?»

«Sì.»

«Allora portala dentro. Finiranno loro la perquisizione.»

Sentii un cancello cigolante aprirsi, e poi continuammo sulla strada sterrata finchè

non sentii la terra spianata. Trey fermò la macchina e la spense. Aprì la sua portiera

nello stesso momento in cui qualcuno aprì la mia. Una mano sulla mia spalla mi spinse

avanti.

«Forza. Esci.»

«Stai attento con lei» lo avvertì Trey.

Fui guidata dalla macchina fin dentro a un edificio. Soltanto quando sentii una porta

chiudersi a chiave mi tolsero la benda dagli occhi. Ero in una stanza spoglia con i muri

di cartongesso non ancora finiti e delle lampadine esposte sul soffitto. Intorno a me e

Trey c'erano altre quattro persone, tre uomini e una donna. Sembravano tutti sulla

ventina, e due di loro erano i ragazzi che mi avevano fermato alla tavola calda. In più,

erano tutti armati.

«Svuota la tua borsa.» Era Jeff, il ragazzo dai capelli scuri e a spazzola, indossava

un orecchino dorato con l'antico simbolo del sole.

Li osservai, buttando fuori il contenuto della mia borsa sopra un tavolo improvvisato

fatto di compensato in cima a dei mattoni. Mentre setacciavano le mie cose, la donna

mi ispezionò, in caso avessi addosso delle cimici. Aveva dei capelli decolorati

malamente e un ringhio perenne sul viso, ma perlomeno la sua perquisizione fu

professionale ed efficiente.

«Cos'è questo?» Capelli Biondi della tavola calda teneva in mano una piccola busta

di plastica piena di erbe e fiori secchi. «Non sembri il tipo da droghe.»

«È potpourri» risposi prontamente.

«Tieni del potpourri nella borsa?» Chiese lui incredulo.

Io feci spallucce. «Teniamo molti tipi di cose. In ogni caso, ho tolto tutti gli acidi e

gli agenti chimici prima di venire qui.»

Confermò il potpourri come innocuo e lo gettò in una pila con altri oggetti approvati,

come il mio portafoglio, l'antisettico per mani e un semplice braccialetto di legno. In

quel momento notai che la pila includeva anche un paio di orecchini. Erano dei cerchi

d'oro, coperti di intricati vortici e piccole gemme. Erano belli... ma non li avevo mai

visti prima.

Di certo non avrei richiamato l'attenzione su niente, in ogni caso, particolarmente

quando la donna afferrò il mio cellulare. «Dovremmo distruggerlo.»

«L'ho spento» replicò Trey.

«Potrebbe riaccenderlo. Può essere rintracciato.»

«Non lo farebbe» ribattè Trey. «Per di più, non è un po' paranoico? Nessuno ha quel

tipo di tecnologia nella vita reale.»

«Ne rimarresti sorpreso» commentò lei.

Lui porse la mano in avanti. «Dallo a me. Lo terrò al sicuro. È qui in buona fede.»

La donna esitò finche Jeff non annuì. Trey si fece scivolare il telefono in tasca, e io

gli fui grata. C'erano un sacco di numeri salvati che sarebbero stati una vera rottura da

sostituire. Non appena la mia borsa fu dichiarata sicura, mi accordarono di rimettere

tutto dentro e di portarla con me.

«Okay» disse Capelli Biondi. «Andiamo nell'arena.»

Arena? Era difficile immaginarsi cosa poteva implicare in un posto del genere. Ciò

che avevo visto nel piatto d'argento non mi aveva mostrato molto dell'edificio, a parte

che era sviluppato tutto su un piano e che aveva un che di decrepito e logoro. E di fatto

la stanza in cui eravamo sembrava andare d'accordo con quel tema. Se le brochure

antiquate erano un'ulteriore prova del senso dello stile dei Guerreri, mi aspettavo che

la suddetta 'arena' fosse nel garage di qualcuno.

Mi sbagliavo.

Tutto ciò che mancava ai Guerrieri della Luce negli altri settori della loro operazione,

l'avevano messo nell'arena... o, come mi avevano detto che era il nome ufficiale,

l'Arena della Radiosità Divina del Sacro Oro. L'arena era stata costruita sopra a una

radura circondata da molti edifici. Non lo definirei esattamente un cortile interno. Era

più grande, e il terreno non era come la terra spianata su cui ci eravamo trovati prima.

Questa sistemazione era ben lontana dall'essere raffinata o high tech, e per quanto

cercassi di trattenermi, non potevo evitare di pensare a Trey che mi aveva detto che i

Guerrieri erano arrivati in città quella settimana.

Ma il fatto di aver messo tutto questo insieme così velocemente.... beh, era

impressionante. E spaventoso. Due gruppi di spalti di legno traballanti erano stati eretti

nelle parti opposte dell'arena. Un gruppo era composto da cinquanta spettatori, la

maggior parte dei quali erano uomini, di età differenti. I loro occhi, sospettosi e ostili,

erano su di me mentre mi conducevano dentro. Potevo praticamente sentire i loro

sguardi perforare il mio tatuaggio. Conoscevano tutti gli Alchimisti e la nostra storia?

Erano tutti vestiti normalmente, ma qui e là vedevo dell'oro. Molti di essi indossavano

degli ornamenti - una spilla, un orecchino, ecc. - con il simbolo del sole, sia quello

moderno che quello antico.

Gli altri spalti erano quasi vuoti. Tre uomini – più grandi, vicino all'età di mio padre

– sedevano l'uno accanto all'altro. Erano vestiti con delle tuniche gialle coperte di

ricami color oro che scintillavano nella luce arancione del tramonto. Elmi dorati

coprivano le loro teste ed erano incisi dall'antico simbolo del sole, il cerchio con il

punto. Anche loro ricambiarono lo sguardo, e io tenni la testa alta, sperando di poter

nascondere il tremito delle mie mani. Non potevo presentare delle argomentazioni

convincenti per Sonya se avevo l'aria intimidita.

Intorno all'arena, drappeggiate su delle aste, c'erano bandiere di tutte le forme e

dimensioni. Erano fatte di un pesante e sontuoso tessuto che mi ricordava gli arazzi

medievali. Ovviamente, questi non erano così vecchi, ma davano comunque un senso

sfarzoso e cerimoniale al posto. I disegni sugli striscioni variavano considerevolmente.

Alcuni sembravano davvero usciti dal passato, mostrando dei cavalieri stilizzati che

combattevano contro dei vampiri. Rabbrividii solo a guardarli. Avevo davvero fatto un

salto nel passato, nella parte di un gruppo con una storia antica come quella degli

Alchimisti. Gli altri striscioni erano più astratti, rappresentando gli antichi simboli

dell'alchimia. E altri sembravano moderni, riproducendo il sole sulla schiena di Trey.

Mi chiesi se quella nuova interpretazione del sole servisse per attirare i giovani d'oggi.

Per tutto il tempo, continuavo a pensare, meno di una settimana. Hanno sistemato

tutto questo in meno di una settimana. Viaggiano con tutto questo, pronti ad allestire

al minimo preavviso con lo scopo di condurre queste competizioni o esecuzioni. Forse

sono primitivi, ma ciò non li rende meno pericolosi.

Anche se la vasta folla di spettatori sembrava appena uscita da una rissa, come una

sottospecie di milizia proveniente da un luogo remoto, era un sollievo che non

sembrassero armati. Solo i miei accompagnatori lo erano. Una dozzina di pistole erano

ancora fin troppe per i miei gusti, ma mi dovevo accontentare... e sperare che tenessero

le pistole solo per impressionarmi. Raggiungemmo i posti vuoti in fondo, e Trey si

mise in piedi di fianco a me.

«Questo è l'alto concilio dei Guerrieri della Luce» esordì Trey. Indicò verso ognuno

di loro, a turno. «Maestro Jameson, Maestro Angeletti e Maestro Ortega. Questa è

Sydney Sage.»

«Sei più che benvenuta qui, sorella minore» disse Maestro Angeletti con una voce

grave. Aveva una barba lunga e caotica. «Il tempo della nostra riconciliazione è

scaduto. Saremo molto più forti una volta che avremo messo da parte le nostre diversità

e ci saremo uniti come un unico gruppo.»

Io feci il sorriso più educato che potei mettere insieme e decisi di non precisare che

gli Alchimisti non sarebbero stati felici di accettare dei fanatici armati di pistola nei

nostri ranghi. «È un piacere conoscervi, signori. Vi ringrazio per avermi accordato di

venire. Mi piacerebbe parlarvi di...»

Maestro Jameson alzò una mano per fermarmi. I suoi occhi sembravano troppo

piccoli per il suo volto. «Ogni cosa a suo tempo. Prima, vorremmo mostrarti quanto

siamo diligenti nell'addestrare i nostri giovani per lottare nella grande battaglia. Proprio

come voi incoraggiate l'eccellenza e la disciplina della mente, noi facciamo lo stesso

con il corpo.»

Attraverso qualche tacito segnale, la porta da cui eravamo appena entrati si aprì. Un

volto familiare uscì e si mise al centro dell'arena: Chris, il cugino di Trey. Stava

indossando dei pantaloni della tuta ed era a petto nudo, fornendo una buona vista del

sole tatuato sulla schiena. Aveva uno sguardo feroce e si mise in piedi al centro della

radura.

«Credo che tu abbia conosciuto Chris Juarez» disse Maestro Jameson. «È uno dei

finalisti in quest'ultimo round di combattimento. L'altro, di certo, lo conosci già.

Piuttosto ironico che dei cugini si affrontino, ma anche giusto visto che entrambi hanno

fallito nell'attacco iniziale al demonio.» Mi voltai verso Trey, a bocca aperta. «Tu? Tu

sei uno dei... contendenti per uccidere Sonya?» Riuscivo a parlare a malapena. Mi

voltai di nuovo verso il concilio, allarmata. «Mi avevate detto che avrei avuto una

possibilità per parlare del caso di Sonya.»

«L'avrai» disse Maestro Ortega, in un tono che implicava che sarebbe stato fiato

sprecato. «Ma prima, dobbiamo stabilire il nostro campione. Contendenti, prendete

posto.»

Notai allora che anche Trey aveva i pantaloni della tuta, come se dovesse andare agli

allenamenti di football da un momento all'altro. Si tolse anche lui la maglietta e, non

sapendo cosa farsene, me la porse. La presi e continuai a fissarlo, ancora incapace di

capire cosa stesse succedendo. Incontrò il mio sguardo brevemente ma non lo sostenne.

Si allontanò per unirsi a suo cugino, e Maestro Jameson mi invitò a sedermi.

Trey e Chris si fronteggiarono. Mi sentii un po' in imbarazzo a studiare due ragazzi

senza maglietta, ma in fondo, non stava succedendo niente di troppo osceno. Da quando

l'avevo conosciuto la prima volta, la mia impressione su Chris non era cambiata. Lui e

Trey erano entrambi in ottima forma fisica, muscolosi e forti con il tipo di corpi

costantemente al lavoro e allenati. L'unico vantaggio che aveva Chris, se si poteva

considerare tale, era l'altezza... che avevo già notato in precedenza. La sua altezza. Con

una scossa, i ricordi dell'attacco nel vicolo mi ritornarono alla mente. C'era poco da

vedere dei nostri aggressori, ma quello che brandiva la spada era alto. Chris doveva

essere stato inizialmente assegnato per uccidere Sonya.

Un altro uomo con la toga comparve dalla porta. I suoi vestiti avevano un taglio

leggermente diverso rispetto a quelli del concilio e in qualche modo presentavano più

ricami dorati. Invece di indossare un elmo, portava un copricapo, più in linea

all'abbigliamento di un prete. Difatti, sembrava proprio esserlo, visto che Chris e Trey

si inginocchiarono davanti a lui. Il prete marchiò le loro fronti con dell'olio e pronunciò

qualche tipo di benedizione che non sentii. Poi, con mia sorpresa, fece il segno contro

il male sulla sua spalla... il segno contro il male degli Alchimisti.

Penso che, più dei discorsi contro i vampiri malvagi o l'utilizzo condiviso degli antichi

simboli, era quello che faceva capire quanto erano legati i nostri due gruppi un tempo.

Il segno contro il male era una piccola croce disegnata sulla spalla con la mano destra.

Era sopravvissuto tra gli Alchimisti sin dai tempi antichi. Un brivido mi attraversò.

Eravamo davvero rimasti sempre gli stessi.

Quando il prete finii, un altro uomo si avvicinò e porse a entrambi i cugini una mazza

di legno corta e smussata... come quella che usano i poliziotti per tenere a bada le grandi

folle. Trey e Chris si voltarono verso l'un l'altro, fermi in pose aggressive, tenendo le

mazze pronte per colpire. Un brusio eccitato attraversò la folla, avido di violenza. Le

brezze serali alzavano dei vortici di sabbia intorno ai cugini, ma nessuno di loro trasalì.

Mi voltai verso il concilio, incredula.

«Si attaccheranno con quelle mazze?» Chiesi. «Potrebbero uccidersi!»

«Oh no» disse Maestro Ortega, fin troppo calmo. «Non abbiamo avuto delle morti in

queste prove da anni. Si feriranno, certo, ma non fa altro che rafforzare i nostri

guerrieri. A tutti i nostri giovani uomini viene insegnato a sopportare il dolore e

continuare a lottare.»

«Giovani uomini» Ripetei. Il mio sguardo si spostò sulla bionda decolorata che mi

aveva portato qui. Era in piedi di fianco ai nostri spalti, tenendo la sua pistola al fianco.

«E le vostre donne?»

«Anche le nostre donne sono forti» disse Maestro Ortega. «E certamente apprezzate.

Ma non ci sogneremmo mai di lasciarle combattere nelle arene o di impegnarsi nel

cacciare i vampiri. In parte lo facciamo per tenerle al sicuro. Combattiamo questo male

per il loro bene e per i nostri futuri figli.» L'uomo che aveva fornito le mazze annunciò

anche le regole con una voce alta e squillante che riempì l'arena. Con mio grnade

sollievo, i cugini Juarez non si sarebbero sfidati irrazionalmente.

C'era un sistema per lottare nel combattimento che stavano per affrontare. Potevano

colpirsi solo in certi posti. Colpire altre parti avrebbe comportato delle penalità. Un

colpo ben assestato avrebbe fatto guadagnare un punto. La prima persona che riusciva

a fare cinque punti vinceva.

Non appena cominciarono, però, fu chiaro che non sarebbe stato civile come avevo

sperato. A dire il vero, Chris assestò subito il suo primo colpo, centrando Trey in modo

così accanito sulla spalla che sussultai. Boati animaleschi e dei 'oh' risuanorono dalla

folla assetata di sangue, a cui fecero eco i fischi sconcertati da parte dei sostenitori di

Trey. Trey non reagì neanche e continuò a cercare di colpire Chris, ma avrei potuto

prevedere un brutto livido su quella spalla. Entrambi erano molto veloci e attenti,

riuscendo a schivare la maggior parte dei colpi. Si giravano attorno, cercando di

cogliere l'altro con la guardia abbassata. Altra terra si alzò, attaccandosi alla pelle

sudata. Mi ritrovai piegata in avanti, i pugni stretti dal nervosismo. Avevo la bocca

secca e non riuscivo a proferire parola.

In qualche modo, mi ricordava un po' il modo in cui si allenavano Eddie e Angeline.

Certo, anche loro si ferivano. Nella loro situazione, pero', combattevano come se si

fosse trattato di guardiani contro Strigoi. C'era una bella differenza tra quello e due

ragazzi che cercavano di infliggere più danni possibili l'un l'altro. Guardando Chris e

Trey, sentii lo stomaco attorcigliarsi. Non mi piaceva la violenza, in particolar modo

quest'esibizione barbarica. Era come essere riportata ai tempi dei gladiatori.

Il fervore della folla continuava a crescere. Erano tutti in piedi, esultando e incitando i

cugini a continuare. Le loro voci risuonavano nella notte silenziosa. Nonostante fosse

stato colpito per primo, Trey poteva chiaramente tenere testa al cugino. Lo guardai

mentre assestava un colpo dopo l'altro su Chris e non ero sicura di ciò che mi disgustava

di più: vedere il mio amico venir ferito o vederlo ferire qualcun altro.

«Tutto questo è terribile» Dissi, quando riuscii finalmente a ritrovare la voce.

«Questa è eccellenza messa in atto» rispose Maestro Angeletti. «Non mi sorprende

visto che anche i loro padri sono dei guerrieri eccezionali. Anche loro bisticciavano

quando erano giovani. Sono loro, in basso nella fila davanti.»

Guardai il punto indicato e vidi due uomini di mezz'età, fianco a fianco, con sguardi

di gioia dipinti sui loro volti mentre incoraggiavano i cugini. Non ebbi neanche bisogno

delle indicazioni del Maestro Angeletti per capire che erano parenti. I tratti della

famiglia Juarez erano profondi sui quei uomini e i loro figli. I padri esultarono con

passione come la folla, non sussultando neanche quando Trey o Chris venivano feriti.

Erano proprio come mio padre e quello di Keith. Non importava niente a parte che

l'orgoglio di famiglia e vivere secondo le regole del nostro gruppo.

Persi il conto dei punti finchè Maestro Jameson non disse, «Ah, molto bene. Il

prossimo punto determina il vincitore. Mi rende sempre orgoglioso quando i

concorrenti vengono abbinati così equamente. Mi fa capire che abbiamo fatto la cosa

giusta.»

Non c'era niente di buono in tutto questo. Le lacrime mi pizzicarono gli occhi, ma non

avrei saputo dire se fosse stato per l'aria secca e polverosa o semplicemente per l'ansia.

Trey e Chris grondavano sudore, i petti si alzavano e si abbassavano per lo sforzo della

battaglia. Entrambi erano coperti di graffi e lividi, che andavano ad aggiungersi a quelli

già ricevuti in passato. La tensione nell'arena era palpabile mentre gli spettatori

aspettavano di vedere chi avrebbe messo a segno l'ultimo colpo. I cugini si fermarono

brevemente, studiandosi l'un l'altro, realizzando che questo era il momento della verità.

Questo era il colpo che avrebbe fatto la differenza. Chris, il volto illuminato ed

emozionato, agì per primo, scattando in avanti per mettere a segno un colpo sul fianco

di Trey. Ansimai, scattando in piedi, allarmata come la maggior parte della folla. Il

rumore era assordante. Dall'espressione di Chris era chiaro che riuscisse a gustarsi la

vittoria, e mi chiesi se stesse già immaginando il colpo che avrebbe ucciso Sonya. Il

tramonto inondò il suo volto con una luce color sangue.

Forse era perchè avevo visto abbastanza degli allenamenti di Eddie da imparare

qualche base, ma all'improvviso realizzai qualcosa. I movimenti di Chris erano troppo

avventati e superficiali. Di fatti, Trey avrebbe potuto schivare il colpo, e io tirai un

sospiro di sollievo. Riaffondai nel mio posto. Quelli che erano certi che sarebbe stato

fatto fuori ruggirono d'indignazione.

Ciò lasciò Trey con una bella breccia per avere la meglio su Chris. La tensione

ritornò. Avrebbe davvero migliorato le cose? Trey che 'vinceva' il diritto di togliere una

vita? Il punto fu irrilevante. Trey non ne approfittò. Mi accigliai mentre guardavo. Non

andò esattamente a tentoni, ma c'era qualcosa che non andava. C'è un ritmo nel lottare,

in cui l'istinto e i riflessi hanno la meglio. Era come se Trey avesse combattuto di

proposito contro la sua prossima mossa istintiva, quella che avrebbe detto colpisci ora!

E facendo così, Trey lasciò la guardia abbassata. Ricevette un colpo da Chris, che lo

atterrò. Mi misi una mano sul mio petto, come se avessi sentito anch'io il colpo.

La folla impazzì. Persino i decorosi maestri si alzarono, urlando approvazione e

sconcerto. Dovetti sfrozarmi di stare seduta. Ogni parte di me voleva correre laggiù e

assicurarsi che Trey stava bene, ma avevo la sensazione che uno dei membri armati dei

miei accompagnatori mi avrebbero sparato o messo KO prima di fare due passi. La mia

preoccupazione svanì un pochino quando vidi Trey barcollare. Chris diede un

amichevole colpetto sulla schiena a Trey, con un sorriso a trentadue denti mentre la

folla gridava il suo nome.

Poco dopo Trey indietreggiò verso gli spalti affollati, lasciando il posto al vincitore.

Suo padre lo guardò con disapprovazione ma non disse niente. L'uomo che gli aveva

dato la mazza si avvicinò a hris con la spada che avevo restituito. Chris la alzò al cielo,

guadagando molti più applausi. Di fianco a me, Maestro Jameson si alzò e urlò,

«Portate la creatura!»

Non avrei esattamente chiamato 'creatura' Sonya Karp mentre quattro Guerrieri

armati fino ai denti la trascinavano attraverso l'arena polverosa. Le sue gambe

sembravano funzionare a malapena, e anche da questa distanza, capii che era drogata.

Era per questo che Adrian non riusciva a raggiungerla nei suoi sogni. Spiegava anche

perchè non aveva usato la magia per tentare di scappare. I suoi capelli erano un caos

totale, ed era vestita esattamente come l'ultima volta che l'avevo vista da Adrian. Erano

pieni di fango, ma perlomeno, non sembrava avere nessun segno di violenza fisica.

Questa volta, non mi trattenni dall'alzarmi. La ragazza bionda mise immediatamente

una mano sulla mia spalla, costringendomi ad abbassarmi. Fissai Sonya, desiderando

disperatamente di aiutarla, ma sapevo di essere impotente. Repressi la paura e la

rabbia, mi risedetti lentamente sugli spalti, voltaindomi poi verso il concilio.

«Mi avevate detto che avrei avuto un'occasione per parlare.» Il loro senso d'onore. «Mi

avete dato la vostra parola. Non significa niente per voi?»

«La nostra parola significa tutto» disse Maestro Ortega, sembrando offeso. «Avrai

la tua occasione.»

Dietro il sorvegliante di Sonya arrivarono altri due uomini che trasportavano un

enorme blocco di legno con dei buchi per le braccia. Sembrava uscito direttamente

fuori dal set di un film medievale, e il mio stomaco si attorcigliò quando realizzai a

cosa serviva: decapitazione. Le ombre aumentarono, costringendo gli uomini a portare

delle torce che gettava sull'arena una luce minacciosa e tremolante. Era impossibile

credere di essere nella California del ventunesimo secolo. Mi sentii come se fossi stata

trasportata in qualche castello barbaro.

E infatti, questi cacciatori erano dei barbari. Uno dei sorveglianti di Sonya la spinse

facendola inginocchiare da dietro, costringendo la sua testa contro la superficie del

blocco mentre le legava le mani con le costrizioni di pelle. Nel suo stato di

disorientamento, il tizio non aveva neanche bisogno di usare tutta quella forza. Non

riuscivo a credere che si comportassero come se fossero superiori quando stavano per

mettere fine alla vita di una donna inerme, per non parlare del fatto che non sapeva

neanche di essere qui. Tutti reclamavano il suo sangue, e io stavo per sentirmi male.

Maestro Angeletti si alzò, e il silenzio cadde sull'arena. «Ci siamo riuniti qui dalle più

disparate parti del paese per uno splendido evento. È sempre una fortuna quando

riusciamo ad avere uno Strigoi prigioniero.» Perchè non è una Strigoi, pensai con

rabbia. Non sarebbero mai riusciti a catturare uno Strigoi vivo. «Affliggono gli umani

rispettabili come noi, ma oggi ne spediremo uno all'Inferno – uno che è particolarmente

ingannevole, capace di nascondere la sua vera natura e di fingere di essere uno dei

demoni più innocui, i Moroi – un giorno affronteremo anche loro.» Sussurri di

approvazione attraversarono la folla. «Prima di iniziare, però, uno dei nostri fratelli

Alchimisti vorrebbe parlare per conto di questa creatura.»

L'approvazione svanì, sostituita da mormorii e sguardi di rabbia. A disagio, mi chiesi

se le guardie che tenevano le pistole puntate verso di me si sarebbero girate verso i loro

colleghi se fossi stata attaccata. Maestro Angeletti alzò le mani e li zittì.

«Mostrerete rispetto a nostra sorella minore,» disse lui. «Gli Alchimisti sono nostri

parenti, e una volta, eravamo uniti. Sarebbe un evento di grande importanza riunire le

nostre forze.»

E con quello, si risedette e mi fece un cenno. Non ci furono altre interruzioni, e

pensai che volesse dire che potevo finalmente parlare. Non ero completamente sicura

di come poterla aiutare o da dove cominciare. Il concilio aveva potere decisionale, ma

questo sembrava il tipo di cosa che tutti dovrebbero ascoltare. Mi alzai e aspettai che

la ragazza con la pistola mi fermasse. Non lo fece. Lentamente, attentamente, mi feci

strada giù dagli spalti e mi fermai nell'arena, facendo attenzione a non andare vicino a

Sonya. Pensai che non l'avrebbero accolto bene.

Tenni il corpo voltato verso il concilio ma girai la testa sperando che fosse alla

portata di tutti. Avevo già presentato dei resoconti e dei verbali ma sempre in una sala

conferenze. Non avevo mai parlato davanti a una grande folla, figurarsi parlare ad un

grande gruppo come quello degli affari dei vampiri. La maggior parte dei volti erano

inghiottiti dalle ombre, ma potevo immaginarmi tutte quelle occhiate furiose e assetate

di sangue fisse su di me. La bocca mi si seccò, e, in quella che era una rara circostanza,

la mia mente ebbe un vuoto. Un momento dopo, potei reprimere la paura (anche se di

certo non andò via), e ricordai cosa volevo dire.

«State facendo un errore» cominciai. Avevo la voce bassa, e mi schiarii la gola,

sforzandomi di cercar di far capire e di sembrare più forte. «Sonya Karp non è una

Strigoi.»

«Abbiamo delle documentazioni di lei in Kentucky» mi interruppe Maestro Jameson.

«Testimoni oculari che l'hanno vista uccidere.»

«Questo perchè allora era una Strigoi. Ma non lo è più.» Continuai a pensare che il

tatuaggio mi avrebbe fermato dal parlare, ma questo gruppo conosceva già molto bene

il mondo dei vampiri. «Nell'ultimo anno, gli Alchimisti hanno imparato molte cose sui

vampiri. Dovete sapere che i Moroi – o come li chiamate voi 'demoni innocui' –

praticano la magia degli elementi. Abbiamo recentemente scoperto che c'è un nuovo e

raro tipo di magia là fuori, legato ai poteri psichici e alla guarigione. Quel potere ha

l'abilità di far ritornare gli Strigoi alla loro forma originaria, che sia umana, dhampir o

Moroi.»

Alcuni dinieghi irritati diventarono presto un delirio. La mentalità della folla in

azione. Ci fu bisogno di Maestro Jameson per zittirli di nuovo. «Ciò,» disse

semplicemente, «è impossibile.»

«Abbiamo dei casi documentati di tre – no, quattro – persone a cui è successo. Tre

Moroi e un dhampir che erano Strigoi e ora sono di nuovo in possesso di loro stessi e

delle loro anime.» Parlare di Lee al presente non era del tutto corretto, ma non c'era

bisogno di spiegazioni. Oltretutto, descrivere un ex-Strigoi che voleva trasformarsi di

nuovo non avrebbe perorato la mia causa. «La guardi. Sembra una Strigoi? È al sole.»

Non ne rimaneva molto, ma anche questi raggi fugaci del tramonto avrebbero ucciso

uno Strigoi. Dal modo in cui sudavo dalla paura, potevo benissimo essere sotto un

divampante sole pomeridiano. «Continua a dire che questo è il prodotto di qualche

contorta magia, ma l'avete mai vista, persino una volta, come Strigoi qua a Palm

Springs?»

Nessuno lo ammise subito. Infine, Maestro Angeletti disse, «Ha sconfitto il nostro

gruppo nella strada. Ovviamente, è ritornata nella sua vera forma.»

Io sbeffeggiai. «Non l'ha fatto lei. È stato Dimitri Belikov... uno dei più grandi

guerrieri dhampir là fuori. Non si offenda, ma nonostante tutto l'allenamento, i suoi

soldati sono stati surclassati alla grande.» Altri sguardi aggressivi incontrarono il mio.

Realizzai che probabilmente non era stata la cosa migliore da dire.

«Ti hanno ingannato» disse Maestro Angeletti. «Non mi sorprende visto che la tua

gente è coinvolta da molto tempo con i Moroi, nel privato. Non sei come noi, in trincea.

Non affronti gli Strigoi faccia a faccia. Sono delle creature malvagie e assetate di

sangue che devono essere distrutte.»

«Concordo. Ma Sonya non è una di loro. La guardi.» Stavo guadagnando coraggio,

la mia voce diventava più forte e più chiara nella notte silenziosa. «Continua a vantarsi

di aver catturato un terribile mostro, ma tutto ciò che riesco a vedere è una donna

inerme e drogata. Bel lavoro. Proprio un degno nemico.»

Nessuno nel concilio sembrava tollerarmi come prima. «L'abbiamo semplicemente

sottomessa» rispose Maestro Ortega. «Riuscire a farlo è un segno del nostro potere.»

«Avete sottomesso una donna innocente e indifesa.» Non sapevo se esprimere quel

punto avrebbe aiutato, ma immaginai che non avrebbe fatto male se vedevano le donne

in modo così contorto e cavalleresco. «E so che avete commesso degli errori in passato.

So di Santa Cruz.» Non avevo idea se questo fosse lo stesso gruppo che aveva assalito

Clarence, ma stavo correndo il rischio che almeno il concilio conoscesse questa storia.

«Alcuni dei vostri membri più zelanti assalirono un Moroi innocente. Avete capito i

vostri errori quando Marcus Finch vi ha detto la verità. Non è troppo tardi per

correggere anche questo errore.»

Per mia sorpresa, a dire il vero, Maestro Ortega sorrise. «Marcus Finch? Lo sostieni

come se fosse una specie di eroe?»

Non esattamente, no. Non lo conoscevo neanche. Ma se era un umano che aveva

convinto questi folli, allora doveva avere un po' di integrità.

«Perchè non dovrei?» Chiesi. «Lui fu capace di distinguere il giusto dal sbagliato.»

Persino Maestro Angeletti sogghignò ora. «Non mi sarei mai aspettato che

un'Alchimista avrebbe lodato la sua percezione di 'giusto e sbagliato.' Pensavo che le

vostre opinioni fossero inamovibili.»

«Di cosa sta parlando?» Non avevo intenzione di essere sviata, ma questi commenti

erano troppo misteriosi.

«Marcus Finch tradì gli Alchimisti» spiegò Maestro Angeletti. «Non lo sapevi?

Credevo che un Alchimista anarchico fosse l'ultima persona che avresti usato per

perorare la tua causa.»

Per un momento, fui senza parole. Stava dicendo... stava dicendo che Marcus Finch

era un Alchimista? No. Non poteva esserlo. Se lo fosse stato, la Stanton avrebbe saputo

chi era. A meno che non abbia mentito sul non avere nessuna documentazione su di lui,

mi avvertì una voce nella mia testa.

A quanto pare, Maestro Jameson aveva ascoltato abbastanza. «Apprezziamo che tu

sia venuta qui e rispettiamo il tuo tentativo di lottare per ciò che credi sia vero. Siamo

anche lieti che tu sia stata in grado di vedere quanto siamo diventati forti. Spero che

porterai questa notizia al tuo gruppo. In ogni caso, i tuoi tentativi hanno dimostrato ciò

che abbiamo sempre saputo: i nostri gruppi hanno bisogno l'uno dell'altro.

Chiaramente, gli Alchimisti hanno racimolato delle informazioni durante gli anni che

potrebbero esserci molto utili... proprio come la nostra forza potrebbe essere utile a voi.

Ciononostante» guardò Sonya e si accigliò, «il punto ora è che qualsiasi fossero le tue

intenzioni, sei stata davvero ingannata. Anche se c'è una qualche minima possibilità

che tu abbia ragione, che lei sia davvero una Moroi... non possiamo correre il rischio

che sia nuovamente corrotta. Anche se pensa di essere stata guarita, inconsciamente

potrebbe essere ancora influenzata.»

Di nuovo, fui senza parole... ma non perchè avevo perso la mia causa. Le parole di

Maestro Jameson erano quasi identiche a quelle del padre di Keith, quando mi aveva

detto che Keith sarebbe stato portato al centro di riabilitazione. Il signor Darnell aveva

fatto eco allo stesso sentimento, non poteva correre il rischio che anche un minimo di

influenza potesse avere effetto su Keith. Erano state necessarie delle misure estreme.

Siamo uguali, pensai. Gli Alchimisti e i Guerrieri. Negli anni ci siamo divisi, ma

provenivamo dallo stesso posto... come i nostri obiettivi e i nostri atteggiamenti

insensibili.

E poi Maestro Jameson disse la cosa più scioccante di tutte. «Anche se è solo una

Moroi, non è una grande perdita. In ogni caso avremmo cominciato a cacciarli, una

volta sconfitti gli Strigoi.»

Mi immobilizzai sentendo quelle parole. La ragazza bionda si avvicinò

costringendomi a sedermi in prima fila sugli spalti. Non feci resistenza, troppo

scioccata da ciò che avevo appena sentito. Cosa voleva dire che avrebbero cominciato

a cacciarli? Sonya poteva essere solo l'inizio, poi il resto dei miei amici e poi Adrian...

Maestro Angeletti mi riportò alla realtà. Fece un grande gesto verso Chris mentre

continuava a parlare. «Dal divino potere conferitoci di portar luce e purezza in questo

mondo, sei autorizzato a distruggere questa creatura. Inizia.»

Chris alzò la spada, un barlume di frenesia nello sguardo. Un barlume di felicità,

persino. Voleva farlo. Voleva uccidere. Dimitri e Rose avevano ucciso molte, molte

volte, ma entrambi mi avevano detto che non c'era gioia nel farlo. Erano felici di fare

ciò che era giusto per difendere gli altri, ma non ricavavano piacere dall'uccidere. Mi

avevno insegnato che l'esistenza dei vampiri era sbagliata e contorta, ma ciò a cui stavo

per assistere era pura brutalità. Loro erano i mostri.

Volevo urlare o piangere o gettarmi davanti Sonya. Eravamo a un battito di distanza

dalla morte di una persona brillante e premurosa. E poi, inaspettatamente, il silenzio

dell'arena fu trafitto da degli spari. Chris si fermò e alzò la testa, sorpreso. Trasalii e

guardai immediatamente verso la scorta armata, chiedendomi se fossero stati incaricati

di diventare un plotone d'esecuzione. Sembravano sorpresi quanto me... beh, la

maggior parte di loro. Due di loro non lasciarono trasparire alcuna emozione... perchè

crollarono a terra.

E fu allora che Dimitri e Eddie irruppero nell'arena.

CAPITOLO 22 Traduzione: Francesca F.

Revisione: Veru

INTORNO ALL’ARENA risuonarono degli spari che mandarono a terra molti

Guerrieri armati. Capii che Dimitri ed Eddie non erano soli, visto che nessuno dei due

aveva una pistola. I colpi venivano dai tetti degli edifici che circondavano l’arena. Il

caos si scatenò quando gli spettatori iniziarono ad alzarsi di scatto per unirsi alla folla.

Il mio cuore si fermò quando realizzai che anche molti di loro avevano delle armi.

Rimasi scioccata nel notare che il Guerriero caduto a terra accanto a me non stava

sanguinando. Un piccolo dardo spuntava dalle sue spalle. I “proiettili” dei cecchini

dovevano essere tranquillanti. Chi erano?

Mi girai a guardare l’entrata e vidi che altri, con l’aspetto di guardiani, erano entrati

nell’arena e stavano combattendo contro alcuni Guerrieri, tra cui Chris. Ciò servì da

copertura a Dimitri ed Eddie per liberare Sonya. Un lampo di capelli biondo fragola

vicino a loro catturò la mia attenzione, e riconobbi l’agile figura di Angeline. Dimitri

tagliò efficientemente le cinghie di Sonia e aiutò a sollevarla verso Eddie. Un Guerriero

infervorato si lanciò ad attaccarli e Angelina lo tramortì velocemente, come se fosse

un motivatore.

Accanto a me, uno dei maestri gridò: «Prendete la ragazza Alchimista! Tenetela

come ostaggio! Negozieranno per lei!»

La ragazza Alchimista. Giusto. Ero io.

Nel trambusto della battaglia era difficile sentirlo… ma qualcuno ci riuscì. La bionda

ossigenata era riuscita ad evitare i dardi tranquillanti. Mi raggiunse con un salto. La

mia adrenalina iniziò a farsi sentire e d’un tratto non ero più spaventata. Con riflessi

che non sapevo di avere, misi una mano nella borsa ed estrassi il cosiddetto “potpourri”.

Lo aprii e lo lanciai intorno a me, pronunciando un incantesimo in latino che tradotto

significava più o meno “A mai più rivederci”. Rispetto all’incantesimo di

cristalloscopia, questo era sorprendentemente facile. Richiedeva sicuramente volontà

da parte mia, ma la maggior parte della magia era legata alla componente fisica e non

servivano le ore di concentrazione richieste dall’altro. Il potere si riversò dentro me

quasi istantaneamente, riempiendomi di un’adrenalina che non mi aspettavo.

La ragazza gridò e lasciò cadere la pistola, stringendosi gli occhi. Le grida di

sgomento dei maestri seduti vicino a me mi fecero capire che anche loro erano stati

colpiti. Avevo lanciato un incantesimo accecante in grado di agire su tutti coloro che

erano vicini a me per circa trenta secondi. Una parte di me sapeva che usare la magia

era sbagliato, ma per il resto mi sentivo trionfante per aver fermato alcuni di quei

fanatici dal grilletto facile, anche se solo temporaneamente. Non persi tempo prezioso.

Mi alzai e corsi dall’altra parte dell’arena, allontanandomi dal combattimento vicino

all’entrata.

«Sydney!»

Non so come feci a sentire il mio nome con tutto quel rumore. Lanciando uno

sguardo dietro di me, vidi Eddie e Angeline portare Sonya fuori dalla porta. Si

fermarono ed un’espressione afflitta attraversò il volto di Eddie, mentre si guardava

intorno per valutare la situazione. Sapevo a cosa stava pensando. Voleva che andassi

con loro. Quasi tutti i guerrieri erano corsi al centro dell’arena per cercare di fermare

il salvataggio di Sonya. Ero in una situazione di estrema inferiorità e loro creavano un

muro tra me e i miei amici. Anche se non avessi dovuto combattere con nessuno,

sembrava impossibile che potessi passare inosservata, soprattutto perché molti stavano

ancora gridando qualcosa riguardo alla “ragazza Alchimista”.

Scuotendo la testa ostinatamente, feci cenno ad Eddie di andare avanti senza di me.

Sul suo volto c’era indecisione, e io sperai che non avrebbe tentato di irrompere nella

folla per raggiungermi. Indicai la porta, sollecitandolo di nuovo ad andare. Era Sonya

quella impotente. Io avrei trovato il modo di uscire. Non aspettai di vedere cos’avrebbe

fatto, mi girai e proseguii. C’era molto spazio aperto in cui potermi riparare, ma meno

Guerrieri a fermarmi.

Diversi edifici circondavano l’arena, alcuni dei quali con porte e finestre. Mi diressi

da quella parte, sebbene non avessi niente per rompere il vetro. Due delle porte avevano

i lucchetti. E due erano senza. La prima si rivelò avere una serratura nascosta e non si

aprì. Agitata, corsi alla seconda e sentii qualcuno gridare dietro di me. La bionda

ossigenata aveva recuperato la vista e stava venendo verso di me. Girai il pomello

disperata. Non successe niente. Misi la mano nella borsa e presi quello che i Guerrieri

avevano scambiato per disinfettante per le mani. Lo svuotai, spargendo acido sul

pomello di metallo. Si sciolse davanti ai miei occhi. Speravo che mettesse fuori gioco

la serratura. Spinsi la porta con una spalla e questa cedette. Dopodiché sbirciai alle mie

spalle. La mia inseguitrice era a terra, vittima dei tranquillanti.

Tirai un sospiro di sollievo ed entrai dalla porta. Mi aspettavo di trovarmi in un altro

garage come quello in cui mi avevano portata inizialmente, invece era una specie di

appartamento residenziale. I corridoi vuoti andavano da una parte all’altra e mi sentivo

disorientata. Tutti erano impegnati a combattere nell’arena. Superai camere da letto

improvvisate piene di lettini, valigie parzialmente disfatte e zaini. Quando notai quello

che sembrava un ufficio, esitai un attimo sull’uscio della porta. Dei fogli coprivano

grandi tavoli pieghevoli e mi chiesi se qualcuno contenesse informazioni utili sui

Guerrieri.

Morivo dalla voglia di entrare e indagare. Questi Guerrieri erano un mistero per gli

Alchimisti. Chissà che informazioni potevano contenere quei documenti! E se ci

fossero state informazioni in grado di proteggere i Moroi? Esitai per alcuni secondi,

ma poi proseguii con riluttanza. I guardiani usavano tranquillanti, ma i Guerrieri

avevano pistole vere, pistole che non avevano paura ad usare contro di me. Meglio

andar via con le informazioni che già avevo che non uscirne viva.

Raggiunsi la parte opposta dell’edificio e sbirciai fuori dalla finestra di una camera

da letto. Era così buio fuori che non vedevo quasi nulla. Non avevo più il vantaggio di

una torcia. L’unica cosa di cui ero sicura era che non ero vicina all’arena. Questo era

sufficiente, anche se sarebbe stato meglio se ci fosse stata una porta che conduceva

fuori. Dovevo crearmela da sola. Presi una sedia, la lanciai contro la finestra e restai

esterrefatta nel vedere il vetro rompersi così facilmente. Alcune schegge mi colpirono,

ma nessuna così grande da farmi male. Mi misi in piedi sulla sedia e cercai di uscire

dalla finestra senza ferirmi alle mani.

Mi trovai in una notte buia e calda. Non c’erano luci elettriche, solo uno spazio nero

aperto. Perciò pensai di trovarmi nella parte opposta del rifugio in cui mi aveva portata

Trey. Non c’erano strade, né si sentivano i rumori dell’autostrada che avevamo

percorso. Non c’era alcun segno di vita e lo presi come un buon segno. Speravo che

tutti i Guerrieri che normalmente pattugliavano la zona fossero impegnati a combattere

con i guardiani. Se ormai Sonya era al sicuro, la mia speranza era che i guardiani

cominciassero a ritirarsi e mi portassero con loro. Anche se non fosse andata così, non

dovevo fare altro che camminare verso la I-10 e fare l’autostop.

Il rifugio si allargava a macchia d’olio e mi disorientava. Girandoci intorno e

continuando a non vedere traccia dell’autostrada, cominciai a preoccuparmi. Quanto

avevo girato intorno? Avevo solo un tempo limitato per uscire dalla proprietà dei

Guerrieri. Potevano essere già in giro a darmi la caccia. C’era anche il problema

sconcertante che, una volta raggiunta la periferia, avrei dovuto superare la recinzione

elettrica. Forse sarebbe stato meglio rinunciare a cercare l’autostrada e raggiungere il

limitare dell’accampamento dei guerrieri per …

Una mano mi strinse la spalla e gridai.

«Tranquilla, Sage. Non sono un pistolero pazzo. Pazzo, sì. Ma non il resto.»

Guardai incredula davanti a me, senza riuscire a distinguere bene la figura alta e

scura che avevo di fronte.

«Adrian?» L’altezza era giusta, così come la corporatura. Continuando a guardarlo,

diventai sempre più sicura. Le sue mani fermarono le mie, che tremavano. Ero così

felice di vedere un volto amico, di vedere lui, che quasi caddi tra le sue braccia per il

sollievo. «Sei tu. Come hai fatto a trovarmi?»

«Sei l’unica umana qui con un’aura gialla e viola» disse. «Questo ti rende facilmente

individuabile.»

«No, volevo dire, come hai fatto a trovarmi qui? Nel rifugio?»

«Ho seguito gli altri. Mi hanno detto di non farlo, ma… beh.» Nella pallida luce

lunare lo vidi vagamente scrollare le spalle. «Non sono bravo a seguire gli ordini.

Quando Castile è uscito con Sonya e ha iniziato a dire che te ne eri andata da una porta,

ho pensato di fare un giro veloce qui intorno. Credo che non avrei dovuto farlo, ma i

guardiani erano tutti occupati.»

«Tu sei pazzo» sbottai, nonostante fossi felicissima di sapere che non mi avevano

abbandonata in quel posto orribile. «I Guerrieri sono così pazzi che potrebbero uccidere

un Moroi a vista se ti vedessero.»

Mi tirò per la mano. Nonostante le sue parole scherzose, il tono era rigido. Era

consapevole del pericolo che stavamo correndo. «Allora meglio se usciamo da qui.»

Adrian mi riportò nella direzione da cui ero venuta, quindi girò intorno al lato

opposto dell’edificio. Non vedevo ancora le luci dell’autostrada, ma presto si girò e

iniziò a correre verso il limitare della proprietà, lontano dal rifugio. Corsi a fianco a

lui, continuando a stringergli la mano.

«Dove stiamo andando?» chiesi.

«I guardiani si sono riuniti sul retro del rifugio per non farsi notare. Quella parte

della recinzione è stata disattivata, se riesci a scavalcare.»

«Certo che ci riesco. Sono praticamente un prodigio in educazione fisica» dissi. «La

domanda è tu, signor Fumatore, ce la fai?»

Cominciai a scorgere la recinzione man mano che ci avvicinavamo, soprattutto

perché copriva alcune stelle. «È quella parte. Dietro il cespuglio incolto» disse Adrian.

Non riuscivo a vedere nessun cespuglio, ma mi fidavo della sua vista. «Se vai un po’

più avanti c’è una strada di campagna che i guardiani hanno usato per organizzarsi. Ho

parcheggiato lì.»

Ci fermammo davanti alla recinzione un po’ affannati. Guardai in alto. «Sei sicuro

che è ancora spento?»

«Lo era quando siamo entrati» disse Adrian, ma percepivo un po’ di incertezza nella

sua voce. «Pensi che abbiano avuto il tempo di organizzarsi per sistemarlo?»

«No» ammisi. «Ma preferirei esserne sicura. La maggior parte delle recinzioni in

commercio non sono in grado di ferire pesantemente una persona, ma è meglio esserne

sicuri.»

Si guardò intorno. «Possiamo lanciare un legnetto?»

«Il legno non conduce.» Frugai nella mia borsa e trovai quello che volevo: una penna

di metallo con un’impugnatura in spugna. «Se tutto va bene, la spugna bloccherà il

peggio se il cancello è realmente attivo.» Cercando di non fare una smorfia, allungai la

mano e toccai il cancello con l’impugnatura della penna, aspettandomi un po’ che una

scarica elettrica mi facesse volare all’indietro. Non successe niente. Feci scorrere

lentamente la penna lungo la recinzione, visto che la maggior parte di quelle elettriche

avevano una pulsazione intermittente. Era necessario un contatto prolungato. «Sembra

a posto» dissi, sospirando di sollievo e voltandomi verso Adrian. «Direi che

possiamo… Ahh!»

Una luce sfavillante mi brillò negli occhi, accecandomi e mandando all’aria la

capacità di visione notturna che avevo raggiunto. Sentii Adrian gridare per la sorpresa.

«È la ragazza!» esclamò una voce maschile. «E… uno di loro!»

La luce lasciò il mio viso e, nonostante vedessi ancora delle macchie, riuscii a

mettere a fuoco due figure che si avvicinavano rapidamente. Erano armati? La mia

mente lavorò freneticamente. Che lo fossero o meno, costituivano comunque una

minaccia, visto che ai Guerrieri sembrava piacere picchiarsi nel tempo libero, mentre

a me ed Adrian no.

«Non muovetevi» disse uno di loro. Una lama brillò nel bagliore della torcia

abbassata. Non era grave quanto una pistola, ma comunque non andava bene. «Voi

tornate dentro con noi.»

«Lentamente» aggiunse l’altro. «Non provate a fare scherzi.»

Sfortunatamente per loro, avevo ancora qualche asso nella manica. Prontamente,

rimisi la penna nella mia borsa e presi un altro souvenir dei compiti per la professoressa

Terwilliger: un piccolo braccialetto rotondo di legno. Prima che i Guerrieri potessero

fare qualcosa, ruppi il braccialetto di legno in quattro pezzi e li gettai a terra, recitando

un altro incantesimo in latino. Di nuovo, sentii il flusso di potere e il suo trionfo. Gli

uomini gridarono. Avevo lanciato un incantesimo di disorientamento che intaccava

l’equilibrio e rendeva la visuale sfocata e surreale. Funzionava in modo molto simile

all’incantesimo di accecamento e colpiva tutti quelli intorno a me.

Scattai in avanti e spinsi a terra uno degli assalitori. Cadde facilmente, troppo

indebolito dall’incantesimo per resistere. L’altro era così sconvolto che aveva lasciato

la torcia ed era praticamente già a terra a causa dei suoi tentativi falliti di mantenersi in

equilibrio. Ciò nonostante, gli diedi un bel calcio al petto per essere sicura che sarebbe

rimasto a terra e raccolsi la sua torcia. Non ne avevo proprio bisogno con la visione

notturna di Adrian, ma così sarebbero stati indifesi al buio, quando l’incantesimo

avesse smesso di funzionare.

«Sage! Cosa diavolo mi hai fatto?»

Girandomi, vidi che Adrian era aggrappato alla recinzione e la usava per mantenersi

in piedi. Nel mio slancio di fermare i Guerrieri, mi ero dimenticata che l’incantesimo

avrebbe colpito tutti quelli vicino a me.

«Oh» dissi. «Scusa.»

«Scusa? Le mie gambe non funzionano!»

«È il tuo orecchio interno, in realtà. Forza. Aggrappati alla recinzione e arrampicati.

Una mano davanti all’altra.»

Mi attaccai anche io e lo incitai a salire. Non era difficilissimo scavalcare quella

recinzione (non era elettrificata né spinata) e, usandola come sostegno, diminuiva un

po’ il disorientamento di Adrian. Tuttavia eravamo lenti a salire. Questo incantesimo

durava un po’ di più di quello accecante, ma ero estremamente conscia che, non appena

Adrian fosse stato libero, lo sarebbero stati anche i Guerrieri.

Contro ogni pronostico, arrivammo in cima alla recinzione. Passare dall’atro lato fu

molto più difficile, e io dovetti fare i salti mortali per aiutare Adrian a girarsi tenendomi

allo stesso tempo in equilibro. Alla fine riuscii a fargli assumere la posizione corretta

per scendere.

«Bene» dissi. «Ora fai come prima ma al contrario, una mano davanti all’…»

Qualcosa gli scivolò, una mano o un piede, e Adrian precipitò a terra. Non era una

caduta molto lunga e la sua altezza lo aiutò un po’… non che fosse in grado di usare le

gambe e atterrare in piedi. Trasalii.

«Oppure puoi prendere la scorciatoia» dissi.

Scesi velocemente dopo di lui e lo aiutai a rimettersi in piedi. A parte la debilitazione

dovuta all’incantesimo, non sembrava avere subito altri danni. Circondandolo con un

braccio e lasciando che si appoggiasse a me, cercai di correre verso la strada di cui

aveva parlato, che ora era leggermente visibile. Correre era difficile, comunque. Era

complicato tenere Adrian in piedi e continuavo inciampare. Tuttavia riuscimmo ad

allontanarci lentamente dal rifugio. Non potevamo auspicare di meglio. Adrian era

goffo e pesante, e la sua altezza era un bell’inconveniente.

Poi, senza preavviso, l’incantesimo svanì e Adrian si riprese istantaneamente.

Recuperò forza alle gambe e la sua andatura goffa tornò normale. Era come se lui stesse

portando me e praticamente inciampavamo l’uno sull’altro cercando di sistemarci.

«Tutto bene?» domandai, lasciandolo andare.

«Ora sì. Cosa diavolo è stato?»

«Non è importante. Quello che conta è che anche quei due si sono ripresi. Forse li

ho colpiti abbastanza forte da rallentarli.» Cosa che mi sembrava improbabile. «Tu

corri comunque.»

Ci mettemmo a correre e, anche se indubbiamente lui aveva il sistema respiratorio

di un fumatore incallito, le sue gambe lunghe compensavano. Poteva superarmi

facilmente, ma rallentò per stare al mio passo. Ogni volta che si trovava avanti, mi

prendeva per mano. Sentimmo delle grida alle nostre spalle e io spensi la torcia per non

farci individuare facilmente.

«Lì» disse Adrian. «Vedi le auto?»

Lentamente, dall’oscurità, si materializzarono due SUV e una Mustang gialla che

spiccava molto di più.

«Molto discreta» mormorai.

«La maggior parte dei guardiani se ne sono andati» disse Adrian. «Ma non tutti.»

Prima che potessi rispondere, qualcuno mi prese da dietro. In una mossa che avrebbe

reso orgoglioso Wolfe, riuscii a sferrare il calcio all’indietro che si era impegnato tanto

ad insegnarci. Colsi il mio assalitore di sorpresa, che mi lasciò, solo che il suo

compagno mi gettò subito a terra.

Tre figure, provenienti dalle macchine, corsero verso di noi e si lanciarono

all’attacco dei nostri assalitori. Grazie al suo cappotto inconfondibile, vidi che era

Dimitri a guidare il gruppo.

«Andatevene da qui» disse ad Adrian e me. «Sapete dove ci dobbiamo incontrare.

Vi copriamo noi. Guidate veloci… probabilmente si metteranno presto in viaggio.»

Adrian mi aiutò ad alzarmi e corremmo ancora insieme. Mi ero fatta male alla

caviglia durante la caduta, perciò mi muovevo lentamente, ma Adrian mi aiutò e mi

lasciò poggiare su di lui. Nel mentre, il mio cuore minacciava di uscirmi dal petto,

persino una volta al sicuro vicino alla Mustang. Mi portò dal lato del passeggero. «Ce

la fai a salire?»

«Sto bene» dissi entrando, riluttante ad ammettere che il dolore stava crescendo.

Pregai di non averci rallentato troppo. Non avrei sopportato l’idea di essere la

responsabile della cattura di Adrian.

Soddisfatto, Adrian corse dal lato del guidatore e accese la macchina. Il motore

rombò e lui seguì gli ordini di Dimitri alla lettera, sfrecciando ad una velocità di cui

ero invidiosa. Tuttavia, mi sembrava improbabile che avremmo incontrato qualche

poliziotto su questa strada di campagna. Lanciai qualche occhiata dietro di noi, ma una

volta arrivati alla I-10 ero certa che nessuno ci avesse seguito. Sospirai grata e poggiai

la testa sul sedile, sebbene fossi ben lontana dall’essere tranquilla. Non potevo ancora

dedurre che fossimo al sicuro.

«Ok» dissi. «Come diavolo avete fatto a trovarmi?»

Adrian non rispose subito. Quando lo fece, mi resi conto che era molto riluttante.

«Eddie ha messo un dispositivo di localizzazione nella tua borsa quando eravamo a

casa mia.»

«Cosa? Non è possibile! Mi hanno perquisita.»

«Beh, di certo non lo sembrava. Non so cosa gli hanno dato alla fine. Gliel’hanno

fornito i tuoi colleghi. Quando Trey ha confermato l’incontro per stasera, Belikov ha

chiamato tutti i guardiani che si trovavano nel raggio di una-due ore da qui, in cerca di

rinforzi. Ha chiamato anche gli Alchimisti e li ha convinti a fornirgli qualche loro

tecnologia.»

C’erano così tante assurdità in quello che aveva detto, che non sapevo da dove

iniziare ad analizzarle. Tutto si era svolto a mia insaputa. E nemmeno quando avevano

piazzato il dispositivo me ne avevano parlato. E poi avevano contribuito anche gli

Alchimisti? Avevano aiutato i guardiani a seguire le mie tracce?

«Gli orecchini» dissi. «Ecco da dove venivano. Il dispositivo deve essere in uno dei

due. Non ci avrei mai pensato.»

«Non sono sorpreso, visto il vostro modo di operare.»

Cominciai ad assimilare quello che era successo quella notte. Le ultime tracce di

paura svanirono… per poi essere sostituite dalla rabbia. «Mi avete mentito! Tutti!

Avreste dovuto dirmi cos’avevate in mente: che mi avreste localizzata e che stavate

organizzando un blitz! Come hai potuto tenermi all’oscuro?»

Sospirò. «Non volevo, credimi. Gli ho detto tantissime volte che dovevano metterti

al corrente. Ma avevano tutti paura che avresti rifiutato di portare il dispositivo se lo

avessi saputo. O che avresti avuto un lapsus e avresti rivelato il piano a quei pazzi. Ma

io non lo pensavo.»

«Eppure non ti sei preoccupato di dirmelo tu» aggiunsi, ancora indignata.

«Non potevo! Mi avevano fatto promettere di non farlo.»

In qualche modo, il suo tradimento mi faceva più male di quello degli altri. Ero

arrivata a fidarmi incondizionatamente. Come poteva avermi fatto questo? «Nessuno

credeva che sarei riuscita a persuadere i Guerrieri, perciò avete fatto piani di emergenza

senza di me.» Non importava che non fossi riuscita davvero a persuaderli. «Qualcuno

avrebbe dovuto dirmelo. Tu avresti dovuto dirmelo.»

C’era legittimo dolore e rimorso nella sua voce. «Ti sto dicendo che volevo farlo.

Ma ero in trappola. Tu dovresti sapere più di tutti cosa si prova a trovarsi in mezzo a

due fuochi, Sage. E poi non ti ricordi cosa ho detto prima che salissi in macchina con

Trey?»

Me lo ricordavo. Parola per parola. Qualsiasi cosa succeda, voglio che tu sappia che

non ho mai dubitato di quello che vuoi fare. È brillante e coraggioso.

Scivolai più avanti sul sedile e mi sentii come se fossi sull’orlo delle lacrime. Adrian

aveva ragione. Sapevo come ci si sentiva a essere leali a gruppi diversi. Capivo la

posizione in cui si era trovato. Solo che una parte egoista di me sperava che fossi io

quella a cui era più leale. Ci ha provato, disse una voce dentro me. Ha provato a dirtelo.

Il punto di incontro di cui Dimitri aveva parlato ad Adrian risultò essere casa di

Clarence. Il posto era pieno di guardiani, alcuni dei quali si stavano curando a vicenda

le ferite. Non era stato ucciso nessuno da entrambe le parti, cosa a cui i guardiani erano

stati molto attenti. I Guerrieri della Luce già pensavano che i vampiri fossero contorti

e corrotti, non c’era bisogno di aggiungere benzina al fuoco.

Non che l’incursione di questa notte avesse aiutato a risolvere i problemi. Non avevo

idea di come avrebbero reagito i Guerrieri né se avessero in programma qualche

rappresaglia letale. Immaginavo che i guardiani e gli Alchimisti l’avessero preso in

considerazione. Mi chiesi con rabbia se qualcuno di loro avrebbe condiviso le sue

opinioni in proposito con me.

«Non sono così ingenuo da offrirmi di guarirti» mi disse Adrian mentre superavamo

un gruppo di guardiani. «Siediti in salotto che ti porto un po’ di ghiaccio.»

Feci per dire che ce la facevo da sola, ma la mia caviglia faceva sempre più male.

Annuendo, lo lasciai e andai verso il salotto. C’era una coppia di guardiani sconosciuti,

insieme ad un Clarence raggiante. Con mia sorpresa, c’erano anche Eddie ed Angeline

seduti vicino… e mano nella mano?

«Sydney!» esclamò lui. Lasciò immediatamente la mano di Angeline e corse da me,

sorprendendomi con un abbraccio. «Grazie a Dio stai bene. Non sopportavo l’idea di

averti lasciato lì. Non faceva parte del piano. Avrei dovuto portarti fuori con Sonya.»

«Sì, beh, magari la prossima volta qualcuno potrebbe rendermi partecipe del piano»

dissi tagliente.

Eddie fece una smorfia. «Mi dispiace. Davvero. Noi…»

«Lo so, lo so. Pensavate che non sarei stata d’accordo, avevate paura che qualcosa

andasse storto, ecc. ecc.»

«Mi dispiace.»

Non l’avevo perdonato del tutto, ma ero troppo stanca per insistere. «Dimmi una

cosa» dissi abbassando la voce. «Eri mano nella mano con Angeline?»

Lui arrossì, il che sembrò ridicolo dopo la ferocia con cui l’avevo visto lottare nel

rifugio. «Ehm, sì. Stavamo solo… parlando. Voglio dire, cioè… penso che usciremo

qualche volta. Non a scuola, ovviamente, visto che tutti pensano che siamo imparentati.

E probabilmente non ci sarà niente di serio. È sempre un po’ pazza, ma non è male

come pensavo. Ed è stata davvero fantastica in battaglia. Credo che debba togliermi

dalla testa le fantasie su Jill e provare ad uscire normalmente. Se tu mi presti la

macchina.»

Dovetti recuperare la mascella da terra. «Certo» dissi. «Lungi da me fermare una

storia d’amore nascente.» Dovevo dirgli che forse Jill non era una fantasia? Non volevo

immischiarmi. Eddie meritava di essere felice, ma non potevo evitare di sentirmi un

po’ in colpa per aver detto a Jill che forse gli interessava. Speravo di non aver

complicato di più le cose.

Adrian tornò con una borsa del ghiaccio. Mi sedetti su una poltrona e lui mi aiutò a

posizionare il ghiaccio sulla caviglia, dopo averla sistemata su un poggiapiedi. Mi

rilassai mentre il ghiaccio iniziava a intorpidire il dolore e sperai di non essermi rotta

niente.

«Non è emozionante?» mi chiese Clarence. «Finalmente avete visto i cacciatori di

vampiri con i vostri occhi!»

Non credevo che avrei parlato di quella notte con così tanto entusiasmo, ma dovevo

dargliene atto. «Aveva ragione» dissi. «Mi dispiace per non averle creduto prima.»

Mi rivolse un sorriso gentile. «Tranquilla, mia cara. Probabilmente nemmeno io

avrei creduto a un vecchio pazzo.»

Ricambiai il sorriso e mi venne in mente una cosa. «Signor Donahue… lei ha detto

che quando ha incontrato i cacciatori un umano di nome Marcus Finch è intervenuto in

suo aiuto.»

Clarence annuì con entusiasmo. «Sì, sì. Un bravo giovane, quel Marcus. Di sicuro

spero di incontrarlo di nuovo un giorno.»

«Era un Alchimista?» chiesi. Vedendo lo sguardo perplesso di Clarence, mi toccai

la guancia. «Aveva un tatuaggio come il mio?»

«Come il tuo? No, no. Era diverso. Difficile da spiegare.»

Mi piegai in avanti. «Ma aveva un tatuaggio sulla guancia?»

«Sì. Non l’hai visto sulla foto?»

«Che foto?»

Lo sguardo di Clarence si fece pensoso. «Avrei giurato di averti mostrato alcune mie

vecchie foto, di quando Lee e Tamara erano giovani… ah, che bei tempi.»

Mi sforzai di essere paziente. A volte era difficile avere momenti di coerenza con

Clarence. «E Marcus? Hai una foto anche di lui?»

«Certo. Ne ho una bellissima di noi due. Un giorno te la cerco e te la faccio vedere.»

Volevo chiedergli di farmela vedere subito, ma con la casa così affollata non mi

sembrava il momento giusto.

Poco dopo arrivò Dimitri con gli ultimi guardiani che erano stati nel rifugio. Dimitri

chiese immediatamente di Sonya, che sapevo stava riposando nella sua camera. Adrian

si era offerto di guarirla, ma Sonya era stata abbastanza lucida da rifiutare, dicendo che

voleva solo un po’ di sangue, riposo e la possibilità di smaltire i narcotici naturalmente.

Una volta riferito tutto e tranquillizzato Dimitri su Sonya, venne dritto verso di me,

guardandomi dall’alto, seduta con il ghiaccio. «Mi dispiace» disse. «Ormai devi aver

saputo cos’è successo.»

«Che sono stata mandata in una situazione pericolosa con solo la metà delle

informazioni necessarie?» chiesi. «Sì, ho saputo tutto.»

«Non mi piacciono le bugie e le mezze verità» disse. «Avrei voluto che ci fosse

un’altra alternativa. Avevamo pochissimo tempo e quella sembrava la soluzione

migliore. Nessuno dubitava della tua capacità di ragionare ed essere convincente. Era

della capacità dei Guerrieri di ascoltare e ragionare che non ci fidavamo.»

«Capisco perché non vi siate fidati di mettermi al corrente del piano.» Vicino a me,

vidi Adrian trasalire per il modo in cui mi ero riferita a loro. Non volevo implicare

nulla, ma mi rendevo conto che avevo usato un tono altezzoso e da Alchimista, molto

“Noi contro Loro”. «Ma ancora non ci credo che gli Alchimisti abbiano acconsentito,

che abbiano accettato di tenermene fuori.»

Non c’erano sedie vuote, così Dimitri si sedette sul pavimento a gambe incrociate.

«Non posso dirti molto in proposito. Ti ripeto che c’è stato poco preavviso e, quando

ho parlato con Donna Stanton, lei ha detto che sarebbe stato più sicuro se non fossi

stata al corrente dei piani. Se ti fa sentire meglio, ha insistito molto sul fatto che

avremmo dovuto proteggerti una volta lì.»

«Forse» dissi. «Sarebbe stato meglio se avesse pensato a come avrei potuto sentirmi

quando avessi scoperto che non mi vi siete fidati di darmi informazioni fondamentali.»

«Ci ha pensato» disse Dimitri un po’ a disagio. «Ha detto che non ci avresti dato

peso perché sai che è importante non mettere in discussione le decisioni dei tuoi

superiori e che sai che fanno sempre la cosa giusta. Ha detto che tu sei un’Alchimista

esemplare.»

Non dubitare. Loro sanno cosa è giusto. Non possiamo correre rischi.

«Ma certo» dissi. Io non metto mai in dubbio niente.

CAPITOLO 23 Traduzione: Noir

Pre-Revisione: Claude

SONYA IMPIEGÒ qualche giorno a riprendersi, ritardando di conseguenza il proprio

ritorno in Pennsylvania. Quando fu pronta per andare in aeroporto, mi offrii di

accompagnarla. La macchina a noleggio era stata ritrovata, ma Dimitri la stava

utilizzando per ripulire il campo dopo la missione. Nell’arco di ventiquattr’ore, i

Guerrieri avevano sgomberato il proprio insediamento, il quale si era rivelato essere un

edificio a noleggio, generalmente utilizzato per i ritiri. Non avevano lasciato indietro

quasi alcuna traccia di sé, ma ciò non aveva comunque impedito ai guardiani di

setacciare ogni centimetro dell’insediamento abbandonato.

«Grazie ancora» mi disse Sonya. «So quanto devi essere impegnata.»

«Non c’è problema. È il fine settimana, e comunque sono qui per questo, per

aiutarvi.»

Rise piano tra sé. Il suo processo di guarigione negli ultimi due giorni era stato

notevole, e adesso era gentile e spumeggiante come sempre. Quel giorno portava i

capelli castano ramato sciolti, lasciandoli ricadere in decise onde che gli incorniciavano

le linee delicate del viso. «Vero, ma è evidente che continui a fare gli straordinari

rispetto il lavoro che dovresti svolgere.»

«Sono semplicemente felice che tu stia bene» risposi onestamente. Mi ero

affezionata a Sonya, ed ero dispiaciuta di vederla andare via.

«Nell’arena... beh, è stato alquanto terrificante.»

Parte del suo divertimento si spense. «È vero. Sono stata priva di coscienza per la

maggior parte del tempo, e non ero in grado di processare ciò che stava accadendo

intorno a me. Però ricordo le tue parole. Sei stata assolutamente fantastica, per non dire

coraggiosa, ad affrontare quella folla e a difendermi. So quanto dev’essere stato

difficile trovarsi nel versante opposto rispetto quelli della tua stessa specie.»

«Quelle persone non sono la mia specie» risposi categorica. Una parte di me si

domandò chi fossero esattamente quelli della mia specie. «Che cosa ne sarà adesso

della tua ricerca?»

«Oh, continuerà di nuovo a Est. Dimitri ritornerà presto, e ci sono altri ricercatori in

grado di aiutarci a corte. Avere qualcuno che utilizzi lo spirito in modo obiettivo come

Adrian era estremamente utile, e abbiamo raccolto moltissimi dati per tenerci

impegnati grazie ai campioni di sangue e alle osservazioni sull'aurea. Permetteremo ad

Adrian di continuare con la sua arte e lo ricontatteremo più avanti se dovessimo avere

bisogno di lui.»

Non riuscivo ancora a liberarmi del senso di colpa di come l'aver rifiutato di

concedere altro mio sangue avesse indirettamente portato al rapimento di Sonya.

«Sonya, per quanto riguarda il mio sangue...»

«Non preoccuparti» m’interruppe. «Avevi ragione sul mio essere assillante e anche

sul fatto che avremmo dovuto concentrarci su Dimitri in primo luogo. Oltretutto

potremmo essere sulla strada giusta per ottenere l'aiuto degli Alchimisti.»

«Davvero?» Stanton mi era sembrato alquanto contrario alla cosa quando avevamo

parlato. «Hanno detto di sì?»

«No, ma hanno detto che ci ricontatteranno.»

Risi. «È una risposta alquanto positiva da parte loro.»

Tacqui per un momento, domandandomi se questo significava che tutti si sarebbero

dimenticati del mio sangue. Tra i Guerrieri e il potenziale sostegno da parte degli

Alchimisti, certamente non era più importante. Dopotutto gli studi preliminari non

avevano evidenziato nulla di speciale. Nessuno aveva più motivo di preoccuparsi del

mio sangue. A parte... me. Io ero alquanto preoccupata. Non importava quanta paura

avessi di essere sottoposta a esperimenti, la domanda scottante continuava a non darmi

tregua: perché lo Strigoi non era stato in grado di bere il mio sangue?

Il fatto che prima Sonya avesse menzionato le auree mi ricordò un'altra domanda

scottante. «Sonya, cosa indica il porpora nell'aurea di una persona? Adrian mi ha detto

di averlo visto nella mia, ma non vuole dirmi cosa significhi.»

«Tipico» rispose con una risata. «Porpora... beh, vediamo. Da quanto ho osservato,

è un colore complesso. Appassionato ma al contempo spirituale, che appartiene a

coloro che amano profondamente, ma che cercano anche una causa superiore. E'

interessante notarne la profondità. Bianco e oro puro tendono a essere i colori associati

ai poteri superiori e alla metafisica, così come rosso e arancione lo sono all'amore e

agli istinti primari. Il porpora in pratica ne racchiude gli aspetti migliori. Vorrei essere

in grado di spiegarmi più chiaramente.»

«No, ha senso» risposi, accostando nello spiazzo dell'aeroporto. «Più o meno. Non

coincide molto con la mia personalità, però.»

«Beh, non si può certo definire una scienza esatta. E ha ragione, ti circonda. Il punto

è...» Ci eravamo accostate al cordolo, e la vidi osservarmi con attenzione. «Non l'avevo

mai notata prima. Voglio dire, sono sicura che sia sempre stata lì, ma ogni volta che ti

guardavo, vedevo semplicemente il giallo tipico di molte menti. Adrian non è allenato

a leggere le auree come lo sono io, perciò sono sorpresa che abbia notato ciò che a me

è sfuggito.»

Non era l’unica. Spirituale, appassionata... ero davvero così? Adrian credeva che lo

fossi? Al solo pensiero sentii un’ondata di calore avvolgermi. Mi sentii esultante... e

confusa.

Sonya sembrò sul punto di dire qualcosa in più sull'argomento, ma poi cambiò idea.

Si schiarì la gola. «Beh, a ogni modo. Eccoci qui. Grazie ancora per il passaggio.»

«Non c'è problema» risposi, la mente ancora assorta da visioni color porpora. «Fa’

buon viaggio.»

Aprì la portiera e poi si bloccò. «Ah, ho qualcosa per te. Clarence mi ha chiesto di

dartelo.»

«Clarence?»

Sonya frugò all'interno della borsa e trovò una busta. «Ecco a te. È stato alquanto

categorico sul fatto di fartela avere... e sai come diventa quando si mette in testa

qualcosa.»

«Lo so. Grazie.»

Sonya si allontanò con il suo bagaglio e la curiosità mi spinse ad aprire la busta

prima ancora di andarmene. Al suo interno c’era una fotografia raffigurante Clarence e

un ragazzo giovane, di circa la mia età, che sembrava umano. I due si abbracciavano e

sorridevano alla fotocamera. Il ragazzo sconosciuto aveva capelli lisci e biondi che gli

arrivavano quasi al mento e splendidi occhi azzurri che risaltavano contro i lineamenti

abbronzati. Era davvero bellissimo, e nonostante gli occhi ne rispecchiassero il sorriso,

notai che era presente anche una nota di tristezza.

Ero così presa dal suo bell'aspetto, che non notai subito il suo tatuaggio. Si trovava

sulla guancia sinistra, un disegno astratto composto da mezzelune di varie dimensioni

e orientamenti raggruppate insieme, quasi alla stregua di un rampicante. Era esotico e

bellissimo; il ricco inchiostro color indaco si accoppiava quasi alla perfezione con i

suoi occhi. Studiandone le linee più da vicino, notai che c'era qualcosa di familiare

nella sua forma, e giurai di poter intravvedere una lieve nota di dorato risaltare tra le

linee blu. Per poco non lasciai cadere la foto per lo shock. Le mezzelune erano state

tatuate sopra il giglio degli Alchimisti. Voltai la fotografia. Vi era scarabocchiata una

parola: Marcus.

Marcus Finch, che i Guerrieri avevano dichiarato essere un ex Alchimista. Marcus

Finch, di cui gli Alchimisti negavano l'esistenza. La cosa assurda era che, eccetto per

casi come Keith che era stata imprigionato, non esistevano “ex Alchimisti”. Se ne

faceva parte a vita. Non era possibile andarsene. Eppure, quel giglio oscurato parlava

chiaro. A meno che Marcus non avesse cambiato nome in modo da eludere gli

Alchimisti, allora Stanton e tutti gli altri mi avevano mentito sul suo conto. Ma perché?

Si era verificato un qualche dissenso? Fino a una settimana prima, avrei ritenuto

impossibile che Stanton mi nascondesse la verità su di lui, ma adesso, essendo a

conoscenza di quanto cautamente fosse stata divulgata l’informazione, o non divulgata,

mi trovavo a dubitarne.

Fissai la foto per qualche altro momento, catturata da quei magnetici occhi blu. Poi,

la riposi e feci ritorno ad Amberwood, decisa a tenerla segreta. Se gli Alchimisti

volevano impedirmi di venire a conoscenza di Marcus Finch, li avrei lasciati fare fino

a quando non ne avrei scoperto la ragione. Ciò significava che la mia unica pista restava

Clarence e i Guerrieri assenti. Era comunque un inizio.

Un giorno, in qualche modo, sarei riuscita a trovare Marcus Finch, e ad avere le mie

risposte.

Quando feci il mio ingresso, rimasi sorpresa di trovare Jill seduta fuori dal dormitori.

Si trovava all'ombra naturalmente, ma era comunque in grado di godersi il clima

piacevole senza esporsi alla piena potenza del sole. Finalmente era iniziato una sorta

di autunno, non che fossi solita associare ventisei gradi centigradi a un brusca svolta

climatica autunnale. Il volto di Jill era pensieroso, ma si rallegrò un po' quando mi vide.

«Hey, Sydney. Speravo di incontrarti. Senza il tuo telefono non si riesce più a

trovarti.»

Feci una smorfia. «Sì, lo devo rimpiazzare. È stato un duro colpo.»

Annuì empaticamente. «Hai dato un passaggio a Sonya?»

«È sulla via di ritorno a corte e da Mikhail, e si spera anche verso una vita più

pacifica.»

«Bene» rispose Jill. Distolse lo sguardo e si morse il labbro inferiore.

La conoscevo abbastanza bene da riconoscere i segni di quando stava decidendo se

dirmi o meno qualcosa. Sapevo anche che era meglio non metterle pressione, perciò

attesi pazientemente.

«L’ho fatto» disse, infine. «Ho detto a Micah che è finita... finita per davvero.»

Mi sentii sollevata. Una cosa in meno di cui preoccuparsi. «Mi dispiace» replicai.

«So che dev’essere stata dura.»

Si scostò i ricci dal volto, riflettendo. «Sì. E no. Lui mi piace. E mi piacerebbe

continuare a uscire con lui, come amici, se lui è d’accordo. Non saprei, però. Non l’ha

presa molto bene... e i nostri amici comuni? Beh... non sono molto contenti di me al

momento.» Mi sforzai di non grugnire. Lo status di Jill aveva fatto grandi progressi lì,

e adesso avrebbe potuto andare tutto in frantumi. «Ma è per il bene comune. Micah e

io viviamo in mondi diversi, e in ogni caso non c’è futuro con un umano. Oltretutto ho

pensato un sacco all'amore... tipo, l'amore epico...» Incontrò il mio sguardo per un

momento, addolcendo il proprio. «E non era ciò che avevamo. A quanto pare se sto con

qualcuno è ciò che dovrei sentire.»

Pensai che l’amore epico fosse un po’ una forzatura alla sua età, ma mi astenni dal

dirlo. «Pensi che starai bene?»

Tornò bruscamente alla realtà. «Sì, credo di sì.» Le sue labbra si curvarono in un

breve sorriso. «E una volta che l’avrò superata, magari Eddie vorrà uscire qualche

volta, ovviamente fuori dal campus. Dal momento che siamo “imparentati”.»

Quelle parole furono quasi una ripetizione di quanto avevo sentito l'altra sera a casa

di Clarence, e la fissai sorpresa mentre un'improvvisa consapevolezza prese a

germogliare dentro di me. «Tu non sai... credevo che lo sapessi dato che Angeline è la

tua compagna di stanza...»

Jill si accigliò. «Di che stai parlando? Cos’è che non so?»

Oddio. Perché, perché dovevo proprio essere io a darle quella notizia? Perché non

potevo trovarmi rinchiusa nella mia stanza o in biblioteca a fare qualcosa di piacevole,

come i compiti ad esempio?

«Eddie ha... uhm, ha chiesto ad Angeline di uscire. Non so quando accadrà, ma ha

deciso di darle una chance.» Non aveva preso in prestito la mia macchina, perciò si

presumeva che l'appuntamento non fosse ancora avvenuto.

Jill assunse un’aria colpita. «C… come? Eddie e Angeline? Ma... lui non la

sopporta...»

«È cambiato qualcosa» risposi debolmente. «Non sono sicura di cosa. Non si tratta

di ehm, amore epico, ma si sono avvicinati nelle ultime settimane. Mi dispiace.» Jill

sembrava più distrutta da questa notizia che dalla sua rottura con Micah.

Distolse lo sguardo, ricacciando indietro le lacrime. «Va bene. Voglio dire, non l’ho

mai incoraggiato. Probabilmente penserà che sto ancora uscendo con Micah. Perché

avrebbe dovuto continuare a starmi attorno? È giusto che trovi qualcuno.»

«Jill...»

«Non c’è problema. Starò bene.» Aveva un’aria così triste e poi, incredibilmente il

suo volto divenne persino più tetro. «Oh, Sydney. Ti arrabbierai da morire con me.»

I miei pensieri erano ancora focalizzati su Micah perciò il cambiamento di

argomento mi prese totalmente in contropiede. «Perché?»

Prese il suo zaino e ne estrasse una rivista dalla copertina lucida. Era una di quelle

che promuovevano il turismo nel Sud della California, con articoli e pubblicità che

mettevano in risalto la zona. Una delle pagine era segnata, così la aprii. Era una

pubblicità di Lia DiStefano che occupava l'intera pagina con un collage di foto di vari

look.

E una delle foto era di Jill.

Impiegai un momento per coglierlo. La foto era uno scatto di profilo, con Jill che

indossava un paio di occhiali da sole e un cappello di feltro, così come una sciarpa blu

e verde che le aveva dato Lia. I suoi capelli ricci le ricadevano alle spalle fluenti, e i

contorni del suo viso erano bellissimi. Se non avessi conosciuto Jill così bene, non

l'avrei mai riconosciuta in quella modella così chic, anche se il suo essere una Moroi

sarebbe risultato ovvio a chiunque sapesse cosa cercare.

«Come?» Domandai. «Com’è accaduto?»

Jill fece un profondo respiro, pronta ad assumersi la sua colpa. «Quando lasciò

perdere i costumi e mi diede la sciarpa, mi chiese se le avrei permesso di scattarmi una

foto per vedere come sarebbero venuti i colori immortalati. Aveva anche altri accessori

in macchina, così li ho indossati. Voleva provarmi che con il giusto look, sarebbe stata

in grado di nascondere la mia identità. Ma non avrei mai pensato che... voglio dire, non

mi ha detto che l'avrebbe utilizzata. Dio, mi sento così stupida.»

Magari non stupida, ma ingenua sicuramente. Ci mancò poco che accartocciassi il

giornale. Ero furiosa con Lia. Una parte di me voleva denunciarla per l'utilizzo della

foto di una minore senza consenso, ma avevamo problemi ben più gravi. Quanto

popolare era quella rivista? Se la foto di Jill fosse stata esposta soltanto in California

magari nessuno l'avrebbe riconosciuta. Una modella Morii però attirava comunque

l'attenzione. Come sapere che tipo di guai si sarebbero verificati adesso per noi?

«Sydney, mi dispiace» disse Jill. «Cosa posso fare per aggiustare le cose?»

«Nulla» risposi. «A parte stare lontana da Lia.» Mi sentivo male. «Me ne occuperò

io.» Anche se non avevo davvero idea di come. Potevo semplicemente pregare che

nessuno avesse notato la foto.

«Sono disposta a fare qualsiasi cosa serva se ti viene in mente qualcosa. Io… oh.» I

suoi occhi si posarono su qualcosa alle mie spalle. «Magari dovremmo parlare più

tardi.»

Mi voltai anche io. Trey stava venendo verso di noi: un altro problema da risolvere.

«Direi che è una buona idea» risposi. Il cuore spezzato e la pubblicità di Jill

rimpicciolivano a confronto.

Si allontanò proprio mentre Trey si posizionava di fronte a me.

«Melbourne» disse, tentando di fare uno dei suoi vecchi sorrisi. Vacillò leggermente.

«Non sapevo fossi ancora qui in giro» risposi. «Credevo te ne fossi andato con gli

altri.» I Guerrieri si erano dati alla macchia. Trey aveva detto in precedenza che

viaggiavano per portare avanti le loro “cacce” e Maestro Angeletti aveva anche fatto

parola di un raduno da varie parti del paese. Presumibilmente, avevano fatto ritorno da

dove venivano. Avevo pensato che anche Trey sarebbe semplicemente scomparso.

«Negativo» rispose. «Questo è il posto dove vado a scuola, dove mio padre vuole

che stia. Oltretutto gli altri Guerrieri non hanno mai avuto una base permanente qui a

Palm Springs. Se ne andranno in qualsiasi luogo dove…»

Non completò la frase, così lo feci io al suo posto. «Qualsiasi luogo dove ricevete

soffiate sui mostri che potrete poi brutalmente giustiziare?»

«Non è andata così» rispose. «Credevamo fosse una degli Strigoi. Lo crediamo

ancora.»

Lo scrutai in volto, il volto di quel ragazzo che credevo essere mio amico. Ero

abbastanza sicura che lo fosse ancora. «Non tu. Ecco perché hai iniziato la rissa.»

«Non è così» protestò.

«Sì invece. Ti ho visto esitare quando avresti potuto sopraffare Chris. Non volevi

vincere. Non volevi uccidere Sonya perché non eri certo che fosse davvero una

Strigoi.»

Non lo negò. «Penso comunque che debbano venire tutti distrutti.»

«Lo stesso vale per me.» Risposi. «A meno che non ci sia un modo per salvarli tutti,

ma non è chiaro.» Nonostante la quantità di informazioni che avevo condiviso al

momento di difendere Sonya, mi rendeva comunque nervosa condividere con lui

segreti e esperimenti. «Se i Guerrieri si spostano di continuo, cosa accadrà la prossima

volta che saranno qui in zona? O persino a Los Angeles? Ti unirai nuovamente a loro?

Viaggerai verso la prossima caccia?»

«No.» La risposta fu decisa, brusca persino.

La speranza mi sbocciò dentro. «Hai deciso di tagliare i ponti con loro?»

Le emozioni sul volto di Trey erano difficili da interpretare, ma certamente non

potevano dirsi felici. «No. Hanno deciso di tagliarci fuori... me e mio padre. Siamo

stati espulsi.»

Lo fissai per alcuni istanti, a corto di parole. Non mi piaceva il fatto che i Guerrieri

o Trey fossero coinvolti, ma quello non era mai stato il mio obiettivo. «A causa mia?»

«No. Sì. Non lo so.» Si strinse nelle spalle. «Immagino di sì, indirettamente. Non

incolpano personalmente te e nemmeno gli Alchimisti. Al contrario, vogliono ancora

fare squadra con gli Alchimisti, cazzo. Hanno pensato che tu ti fossi comportata con la

tua solita imprudenza. Ma io? Io sono quello che ha fatto pressioni affinché entrassi

nell’operazione, che ha promesso che tutto sarebbe andato bene. Perciò mi incolpano

di mancanza di giudizio e della disfatta che ne è conseguita. Anche altri si stanno

assumendo la colpa, il consiglio per aver acconsentito, la sicurezza per non aver

bloccato il raid... ma non mi sento meglio. Mio padre e io siamo stati gli unici a essere

esiliati.»

«Mi... mi dispiace. Non avrei mai pensato che sarebbe accaduto qualcosa del

genere».

«Non era di tua competenza» rispose pragmaticamente, anche se il suo tono rimase

avvilito. «In certa misura hanno ragione: sono stato io a inserirti. È colpa mia, e stanno

punendo mio padre per quello che ho fatto. Questa è la parte peggiore.» Trey cercava

di apparire rilassato, ma sapevo come stavano le cose. Aveva lavorato sodo per

impressionare suo padre, tutto per essere poi il responsabile della massima umiliazione.

Le parole che pronunciò subito dopo ne furono la conferma. «I Guerrieri sono stati tutta

la sua vita. Essere buttati fuori in quel modo... beh, la sta prendendo molto male. Devo

trovare un modo per essere riammessi... devo farlo per lui. Non penso tu sappia dove

si trovi uno Strigoi facilmente uccidibile, vero?»

«No» risposi. «Specialmente perché nessuno di loro è una facile preda.» Esitai,

incerta su come proseguire. «Trey, cosa comporta questo per noi? Capirò se non

possiamo più essere amici...dato che, ho, ehm, rovinato la tua vita lavorativa.»

Un’ombra del suo vecchio sorriso tornò a farsi vedere. «Nulla è perso per sempre.

Te l’ho detto, mi farò riammettere. E se non uccidendo uno Strigoi, chi lo sa? Magari

imparando di più su di voi, potrei colmare le distanze tra i nostri gruppi e riuscire a

farli collaborare. Mi farebbe guadagnare punti.»

«Sei il benvenuto a fare un tentativo» risposi, diplomaticamente. Non pensavo

minimamente che fosse possibile, e lui lo sapeva.

«Beh, allora mi verrà in mente qualcosa, qualche super mossa per attirare

l’attenzione dei Guerrieri e far riammettere me e mio padre. Devo riuscirci.» La sua

espressione tornò a rabbuiarsi, ma l’ombra di un sorriso, seppur triste, tornò a mostrarsi

brevemente. «Sai cos’altro fa schifo? Adesso non posso chiedere ad Angeline di uscire.

Frequentare te è una cosa, ma anche se sono un esiliato non posso rischiare di

mostrarmi amichevole con i Morii o i dhampirs. E soprattutto non posso uscire con uno

di loro. Cioè, mi ero accorto di cosa fosse già un po’ di tempo fa, ma avrei potuto fare

il finto tonto. L’attacco nell’arena però ha rovinato tutto. Neanche i Guerrieri li

apprezzano minimamente, sai. Dhampirs o i Morii che siano. Desidererebbero vedere

distrutti anche loro, ma al momento pensano sia semplicemente troppo impegnativo e

non una vera priorità.»

Qualcosa nelle sue parole mi fece rabbrividire, specialmente perché ricordavo il

disinvolto commento di un Guerriero riguardo fare fuori anche i Moroi prima o poi.

Gli Alchimisti sicuramente non amavano i dhampirs o i Morii, ma da lì a volervi

abbattere c’era una bella differenza.

«Devo andare.» Trey toccò la sua tasca e mi porse qualcosa che fui grata di vedere.

Il mio telefono. «Ho pensato ne potessi sentire la mancanza.»

«Sì!» Lo presi impazientemente e lo accesi. Non avendo idea se l’avrei riavuto

indietro, ero stata sul punto di andarne a comprare uno nuovo. Questo qui era

comunque vecchio di tre mesi e in pratica datato. «Grazie per averlo salvato. Oh.

Wow.» Lessi il display. «Ci sono tipo un milione di messaggi da parte di Brayden.»

Non avevamo più parlato dalla notte della scomparsa di Sonya.

Lo sguardo malizioso che tanto amavo di Trey si fece rivedere. «Meglio rispondergli,

allora. Il vero amore non aspetta nessuno.»

«Il vero amore, eh?» Scossi la testa con esasperazione. «È bello riaverti qui.»

Il commento mi fece guadagnare un sorriso vero e proprio. «Ci vediamo in giro.»

Non appena rimasi da sola, risposi a Brayden: Scusa per il silenzio radio. Ho perso

il telefono per tre giorni. La sua risposta fu quasi immediata: Sono a lavoro, a breve

avrò una pausa. Passi? Ci pensai sopra. Dato che al momento non avevo questioni di

vita o di morte di cui occuparmi, era un momento buono come qualsiasi altro. Gli

risposi che me ne sarei andata subito da Amberwood.

Una volta arrivata da Spencer's scoprii che Brayden mi aveva fatto trovare pronto il

mio caffellatte preferito. «Ho calcolato basandomi su quando eri partita la tempistica

per fartelo trovare caldo al tuo arrivo.»

«Grazie» risposi, prendendolo. Mi sentii un po’ in colpa per il fatto che provavo

un’emozione maggiore vedendo il caffè piuttosto che lui.

Comunicò all’altro barista che si stava prendendo una pausa e mi condusse verso un

tavolo isolato. «Non ci vorrà molto» mi informò, Brayden. «So che probabilmente hai

un sacco di fare questo weekend.»

«In realtà le cose stanno iniziando a diventare più rilassate» risposi.

Prese un profondo respiro, mostrando la medesima ansia e risoluzione delle volte in

cui mi aveva chiesto di uscire. «Sydney» disse, formalmente «credo che non dovremmo

vederci più.»

Mi bloccai a metà sorso. «Aspetta...cosa?»

«So che probabilmente dev’essere devastante per te» aggiunse. «E devo ammettere,

è difficile anche per me. Ma alla luce degli ultimi eventi è diventato chiaro che non sei

ancora chiaramente pronta per una relazione.»

«Ultimi eventi?»

Annuì solennemente. «La tua famiglia. Hai annullato una serie di nostri impegni per

stare con loro. Anche se un tale senso di devozione è ammirevole, non voglio trovarmi

in questo tipo di relazione instabile.»

«Instabile?» Continuavo in pratica a ripetere le sue parole chiave, quindi mi obbligai

a tornare in me. «Quindi...fammi capire bene. Stai rompendo con me».

Ci pensò su. «Sì. Sì, è quello che sto facendo.»

Attesi una mia qualche reazione interiore. Un'ondata di dolore. La sensazione di

avere il cuore spezzato. Una qualsiasi emozione. Ma tutto quello che sentivo in pratica

era una sensazione di confusa sorpresa.

«Ah» dissi.

Apparentemente quella fu una manifestazione di dolore sufficiente per Brayden.

«Per favore non renderla più dura di quanto già non sia. Ti ammiro molto. Sei

indubbiamente la ragazza più intelligente che abbia mai conosciuto. Solo che non posso

essere coinvolto con una persona irresponsabile come te.»

Lo fissai. «Irresponsabile.»

Non sono certa di dove iniziò, da qualche parte nello stomaco o nel petto, forse. Ma

improvvisamente venni travolta da un’incontrollabile risata. Non riuscivo a fermarmi.

Dovetti mettere giù il caffè per non rovesciarlo. E anche dopo, fui costretta a seppellire

il volto nelle mani per asciugarmi le lacrime.

«Sydney?» Mi chiamò cautamente, Brayden. «È una specie di reazione isterica a

causa del dolore?»

Impiegai quasi un altro minuto per riuscire a calmarmi e a rispondergli. «Oh,

Brayden. Mi hai davvero cambiato la giornata. Mi hai dato qualcosa che mai avrei

creduto di ricevere. Grazie.» Presi il caffè e mi alzai. Aveva un'aria completamente

sperduta.

«Ehm, non c’è di che?»

Uscii dal caffè, continuando a ridere come una scema. Nell’arco dell'ultimo mese

all’incirca, tutte le persone della mia vita mi avevano detto all’infinito quanto fossi

responsabile, diligente, esemplare. Mi erano stati appioppati molti aggettivi. Ma mai e

poi mai ero stata chiamata irresponsabile.

E in un certo senso mi piacque.

CAPITOLO 24 Traduzione: Noir

Revisione: Veru

DATO CHE QUELLA GIORNATA non poteva diventare ancora più assurda, decisi di

fare un salto da Adrian. C’era una cosa che morivo dalla voglia di sapere, ma che non

avevo avuto ancora occasione di chiedergli.

Quando bussai aprì la porta con un pennello in mano. «Oh» disse. «Che sorpresa.»

«Interrompo qualcosa?»

«Solo i compiti.» Si fece da parte per lasciarmi entrare. «Non preoccuparti, non la

vivo come la tragedia che sarebbe per te.»

Entrai nel salotto e fui felice di vedere che era nuovamente pieno di tele e cavalletti.

«Hai rimesso su il tuo atelier.»

«Già.» Mise giù il pennello e si pulì le mani con uno straccio. «Ora che questo posto

non è più un centro di ricerche, posso riconferirgli il suo normale aspetto artistico.»

Si appoggiò contro lo schienale del divano a quadri e mi osservò spostarmi da una

tela all’altra. Una in particolare attirò la mia attenzione. «Che cos’è? Sembra un

giglio.»

«Sì» rispose. «Senza offesa, ma è molto più figo del tuo. Se gli Alchimisti vogliono

comprarne i diritti e iniziare a utilizzarlo sono disposto a negoziare.»

«Lo terrò presente» risposi. Ero ancora di buon umore per via della rottura con

Brayden, e quello non fece altro che migliorarlo. Anche se dovevo ammettere di non

aver esattamente compreso il quadro… cosa che mi accadeva spesso con l’arte astratta

di Adrian. Il giglio, pur essendo più stilizzato e ‘‘figo’’ di quello sobrio sulla mia

guancia, rimaneva comunque chiaramente distinguibile. Era dipinto d’oro. Era

circondato da disordinati schizzi di pittura scarlatti e, intorno al rosso, c’era un motivo

di cristalli color azzurro ghiaccio. Era straordinario, ma se dietro c’era un qualche

significato nascosto, non riuscivo a capirlo.

«Sei incredibilmente di buon umore» osservò Adrian. «C’erano i saldi da Khakis-R-

Us?»

Interruppi la mia interpretazione artistica e mi voltai verso di lui. «No. Brayden mi

ha lasciata.»

Il suo sorrisetto si spense. «Oh. Merda. Mi dispiace. Stai… voglio dire… vuoi

qualcosa da bere? Hai bisogno di, non so, piangere o qualcosa del genere?»

Risi. «No. Stranamente sto bene. La cosa non mi affligge. Ma dovrebbe, vero?

Magari ho qualcosa che non va.»

Gli occhi verdi di Adrian mi soppesarono. «Non credo. Non tutte le rotture sono

tragedie. Ad ogni modo… potrebbe comunque servirti qualcosa che ti dia un po’ di

conforto.»

Si raddrizzò e si diresse in cucina. Confusa, lo osservai prendere qualcosa dal freezer

e rovistare nel suo cassetto dell’argenteria. Fece poi ritorno in salotto con una coppa di

gelato alla melagrana e un cucchiaio.

«Per chi è questa?» domandai, accettando l’offerta unicamente a causa dello shock.

«Per te, ovviamente. Avevi voglia di melagrana, no?»

Ripensai a quella sera al ristorante italiano. «Beh, sì… ma non c’era bisogno che tu

facessi…»

«Beh, la volevi» rispose ragionevolmente. «E poi un patto è un patto.»

«Quale patto?»

«Ricordi quando hai detto che avresti bevuto un’intera lattina di soda se non avessi

fumato per una giornata intera? Bene, ho calcolato le calorie, e sono le stesse di questa

coppa.»

Lasciai quasi cadere il gelato. «Sei… sei stato un’intera giornata senza fumare?»

«Quasi una settimana a dire il vero» rispose. «Perciò puoi mangiarla tutta, se vuoi.»

«Perché mai avresti dovuto farlo?» domandai.

Si strinse nelle spalle. «Ehi, sei stata tu a lanciare la sfida. E oltretutto fumare è una

cattiva abitudine, no?»

«Sì…» Ero ancora scioccata.

«Mangialo o finirà per sciogliersi.»

Gli restituii il gelato. «Non posso. Non se mi guardi. È troppo strano. Posso

mangiarlo più tardi?»

«Certo» rispose riponendolo nel freezer. «Sempre se lo mangi. So come sei fatta.»

Incrociai le braccia al petto quando si posizionò davanti a me. «Come?»

Mi fissò con uno sguardo sorprendentemente severo. «Forse tutti gli altri penseranno

che la tua avversione nei confronti del cibo sia carina, ma io no. Ho visto come guardi

Jill. Ed ecco la verità nuda e cruda: non avrai mai, e dico mai, il suo corpo. Mai. È

impossibile. Lei è una Moroi, tu sei umana. Si tratta di biologia. Ne hai già uno che va

benissimo, uno per cui la maggior parte degli umani ucciderebbe… e staresti ancora

meglio se mettessi su un po’ di peso. Un paio di chili sarebbero un buon punto di

partenza. Nasconderebbero quelle costole. Avresti una misura di reggiseno più

grande.»

«Adrian!» Ero inorridita. «Sei… sei impazzito? Non hai il diritto di dirmi queste

cose! Nessuno!»

Fece un verso di derisione. «Ne ho tutto il diritto, Sage. Sono tuo amico, e nessun

altro verrà a dirtelo. Inoltre sono il re delle abitudini non salutari. Credi che non ne

riconosca una quando la vedo? Non so cos’abbia scatenato questa cosa – la tua

famiglia, troppi Moroi, oppure la tua natura ossessivo compulsiva – ma voglio che tu

sappia che non è necessario.»

«Quindi si tratta di una specie di intervento psicologico?»

«Si tratta della verità» rispose semplicemente. «Da parte di una persona che tiene a

te e che vuole che il tuo corpo sia sano e meraviglioso esattamente come la tua mente.»

«Non intendo starti a sentire» risposi voltandomi. Un misto di emozioni mi

ribollivano dentro. Rabbia. Indignazione. E stranamente un accenno di sollievo. «Vado.

Non sarei mai dovuta passare.»

Mi fermò mettendomi una mano sulla spalla. «Aspetta… stammi a sentire.» Mi girai

con riluttanza. La sua espressione era ancora severa, ma la voce si era addolcita. «Non

voglio essere cattivo. Sei l’ultima persona che voglio ferire… ma non voglio neanche

che tu ti faccia del male da sola. Puoi ignorare tutto ciò che ho detto, ma dovevo dirtelo,

okay? Non ne parlerò più. Sei tu che controlli la tua vita.»

Distolsi lo sguardo e ricacciai indietro le lacrime. «Grazie» risposi. Avrei dovuto

essere contenta che si sarebbe fatto da parte. Invece, percepivo un malessere dentro di

me, come se avesse portato allo scoperto qualcosa che stavo ignorando e tenendo

segregato. Un’orribile verità che non volevo ammettere, il che era ipocrita da parte di

una persona che sosteneva di occuparsi di fatti ed evidenza. E, che volessi concordare

con lui o meno, sapevo con certezza che aveva ragione su una cosa: nessun altro mi

avrebbe detto queste cose.

«Perché sei passata?» chiese. «Sei sicura di non voler utilizzare il mio fantastico

dipinto come nuovo logo degli Alchimisti?»

Non riuscii a trattenere una risatina. Tornai a posare lo sguardo su di lui, disposta a

supportarlo in quel brusco cambio di argomento. «No. Qualcosa di molto più serio.»

Sembrò sollevato di fronte al mio sorriso, e rispose con uno dei suoi. «Deve trattarsi

di qualcosa di molto serio.»

«Quella notte nel rifugio. Come hai fatto a guidare la Mustang?»

Il suo sorriso si spense.

«Perché l’hai guidata» continuai. «Senza esitazioni. Bene come avrei potuto guidarla

io. Ho iniziato a chiedermi se magari qualcuno ti avesse insegnato. Ma anche se avessi

preso lezioni sin dal giorno in cui hai comprato la macchina, non saresti stato in grado

di guidare in quel modo. Cambiavi le marce come se usassi il cambio manuale da

sempre.»

Adrian si voltò repentinamente dall’altra parte e raggiunse la parte opposta del

salotto. «Forse ho un talento naturale» rispose, senza guardarmi.

Era buffo come le carte in tavola fossero completamente cambiate. Un attimo prima

Adrian mi aveva messa all’angolo, costringendomi ad affrontare questioni che non

volevo affrontare. Adesso era il mio turno. Lo seguii sino alla finestra e lo costrinsi a

guardarmi.

«Ho ragione, non è vero?» insistei. «È una vita che guidi macchine del genere!»

«Neanche i Moroi distribuiscono patenti ai bambini, Sage» rispose seccamente.

«Non cercare di eludere la domanda. Sai cosa intendo. Sai guidare con il cambio

manuale da anni.»

Il suo silenzio era una risposta eloquente. Avevo ragione, anche se era difficile

leggere la sua espressione.

«Perché?» chiesi. Lo stavo quasi implorando. Tutti quanti dicevano sempre che ero

estremamente intelligente, in grado di collegare fatti e trarre conclusioni notevoli. Ma

questo andava al di là della mia comprensione, e non riuscivo a capire una cosa tanto

priva di senso. «Perché comportarti così? Perché fingere di non saper guidare?»

Un milione di pensieri sembrarono attraversargli la mente, nessuno dei quali era

disposto a dire ad alta voce. Infine, scosse la testa esasperato. «Non è ovvio, Sage? No,

certo che no. L’ho fatto in modo da avere un motivo per poter stare con te, uno che

sapevo non avresti potuto rifiutare.»

Ero più confusa che mai. «Ma… perché? Perché l’hai fatto?»

«Perché?» domandò. «Perché era l’unico modo per avvicinarmi a fare questo.»

Si protese in avanti e mi attirò a sé, una mano sulla mia vita e l’altra dietro il collo.

Mi sollevò il volto e abbassò le labbra sulle mie. Chiusi gli occhi e mi sciolsi mentre

tutto il mio corpo veniva consumato da quel bacio. Ero niente. Ero tutto. Brividi presero

a corrermi lungo la pelle, e un fuoco a bruciarmi dentro. Avvicinò il suo corpo al mio

e gli allacciai le braccia intorno al collo. Le sue labbra erano più morbide e calde di

qualsiasi cosa avessi mai potuto immaginare, eppure impetuose e decise allo stesso

tempo. Le mie risposero fameliche, e aumentai la presa su di lui. Le sue dita

scivolarono lungo la mia nuca, tracciandone la forma, e ogni punto da lui toccato

diventò elettrico.

Ma forse la parte migliore di tutto fu che io, Sydney Katherine Sage, colpevole di

analizzare costantemente il mondo che mi circondava, beh… smisi di pensare.

E fu meraviglioso.

Almeno fino a che non ricominciai a pensare.

La mia mente, tutte le mie preoccupazioni e considerazioni, improvvisamente

presero il sopravvento. Mi scostai da Adrian, nonostante le proteste del mio corpo.

«Cosa… cosa stai facendo?»

«Non saprei» rispose lui con un sorriso. Fece un passo verso di me. «Ma sono

abbastanza certo che lo stessi facendo anche tu.»

«No. No. Non ti avvicinare! Non lo puoi fare più. Capisci? Non possiamo... non

avremmo dovuto… oddio. No. Mai più. È stato uno sbaglio.» Mi toccai le labbra con

le dita, come se così facendo avrei potuto cancellare quello che era appena successo,

ma finii soprattutto per ripensare alla dolcezza e al calore della sua bocca contro la mia.

Abbassai subito la mano.

«Uno sbaglio? Non lo so, Sage. Onestamente, è stata la cosa più giusta che mi sia

capitata dopo tanto tempo.» Nonostante ciò, mantenne le distanze.

Scossi la testa freneticamente. «Come puoi dirlo? Sai come funziona! Non c’è…

beh, lo sai. Umani e vampiri non… no. Non può esserci nulla tra di loro. Tra di noi.»

«Beh, qualcosa dev’esserci stato» ribatté, tentando un approccio ragionevole.

«Altrimenti non ci sarebbero dhampir. E poi cosa mi dici dei Custodi?»

«I Custodi?» Quasi risi, ma non c’era niente da ridere. «I Custodi vivono in caverne

e si fanno guerre per lo stufato di opossum. Se desideri condurre quel tipo di vita, sei

liberissimo di farlo. Se vuoi vivere nel mondo civile con noi, allora non toccarmi di

nuovo. E cosa mi dici di Rose? Non sei follemente innamorato di lei?»

Adrian sembrava anche troppo calmo rispetto alla situazione. «Forse lo ero un

tempo. Ma sono passati… quanto, tre mesi? E sinceramente è da un po’ che non penso

a lei. Sì, sono ancora ferito e mi sento come se mi avesse usato, ma… credimi, non è

più a lei che penso sempre. Non è il suo volto che vedo quando vado a dormire. Non

mi chiedo se…»

«No!» Mi allontanai ancora di più. «Non voglio sentire niente. Non voglio più

ascoltarti.»

Con pochi, rapidi passi, Adrian mi fu nuovamente di fronte. La parete era a solo un

paio di centimetri da me, e non potevo andare da nessuna parte. Non fece niente di

minaccioso, ma mi strinse le mani e se le portò al petto, protendendosi verso di me.

«No, tu mi ascolterai, invece. Per una volta, starai a sentire qualcosa che non va a

collocarsi nel tuo mondo preciso e categorizzato, fatto di ordine, logica e ragione.

Perché questa non è una cosa razionale. Se tu sei terrorizzata, credimi… io sono

spaventato a morte. Mi hai chiesto di Rose? Ho provato a essere una persona migliore

per lei, ma volevo impressionarla, far sì che mi volesse. Ma quando sono con te voglio

essere migliore perché… beh, perché mi sembra la cosa giusta da fare. Perché sono io

a volerlo. Mi fai desiderare di diventare qualcosa di più grande di ciò che sono. Voglio

eccellere. Mi ispiri in ogni azione, ogni parola, ogni sguardo. Ti guardo e mi sembri…

mi sembri luce fatta persona. Te l’ho detto ad Halloween e pensavo ogni parola: sei la

creatura più bella che abbia mai visto camminare su questa terra. E non ne sei neanche

consapevole. Non hai idea di quanto tu sia bella né di quanto tu sia intensamente

splendida.»

Sapevo che avrei dovuto divincolarmi, staccare le mani dalle sue. Ma non potevo.

Non ancora. «Adrian…»

«E so, Sage» continuò, lo sguardo infuocato, «so cosa pensate di noi. Non sono

stupido e, credimi, ho provato a togliermi questa cosa dalla testa. Ma non c’è

abbastanza liquore, arte, o qualsiasi altra distrazione al mondo in grado di farlo. Ho

dovuto smettere di andare da Wolfe perché era troppo difficile starti tanto vicino, anche

se si trattava soltanto di fingere di combattere. Non riuscivo a sopportare il contatto.

Era un’agonia perché aveva un significato per me… e sapevo che invece per te non ne

aveva nessuno. Continuavo a ripetermi che dovevo starti lontano, e poi finivo per

trovare delle scuse… come la macchina… qualsiasi cosa pur di stare di nuovo con te.

Hayden era un coglione, ma almeno se stavi con lui avevo un buon motivo per

mantenere le distanze.»

Adrian continuava a tenermi le mani, il volto impaziente, spaventato e disperato

mentre metteva a nudo il suo cuore. Il mio stesso cuore batteva incontrollabilmente, e

la colpa era di un’infinità di emozioni. Aveva lo sguardo distratto e rapito… lo stesso

che assumeva quando lo spirito prendeva il controllo e lo faceva sproloquiare. Pregai

che si trattasse di quello, un attacco di follia indotto dallo spirito. Doveva essere così.

Giusto?

«Si chiama Brayden» risposi alla fine. Lentamente, fui in grado di placare la mia

ansia e riacquisire un po’ di controllo. «E, anche senza di lui, ci sono un milione di

motivi per mantenere le distanze. Dici di sapere come la pensiamo. Ma è così? Lo sai

davvero?» Staccai le mani dalle sue e indicai la mia guancia. «Sai cosa significa

davvero il giglio dorato? È una promessa, un voto nei confronti di uno stile di vita e un

sistema di convinzioni. Non si può cancellare una cosa del genere. Questo non me lo

permetterà, anche se volessi. E, sinceramente, non voglio! Credo in ciò che facciamo.»

Adrian mi guardò pacatamente. Non cercò di riprendermi le mani, ma non si tirò

indietro. Le mie mani sembravano dolorosamente vuote senza le sue. «Questo ‘‘stile di

vita’’ e ‘‘sistema di convinzioni’’ che stai difendendo, ti ha usata e continua a farlo. Ti

trattano come l’ingranaggio di una macchina, a cui non è concesso di pensare… e tu

sei meglio di così.»

«Alcune parti del sistema non sono perfette» ammisi. «Ma i principi sono giusti e io

ci credo. C’è una linea di confine tra umani e vampiri, tra me e te, che non può mai

essere oltrepassata. Siamo troppo diversi. Non siamo fatti per essere… così. Niente.»

«Nessuno di noi è fatto per essere o fare qualcosa» rispose. «Decidiamo che cosa

faremo. Una volta mi hai detto che qui non ci sono vittime, e che tutti abbiamo il potere

di scegliere ciò che vogliamo.»

«Non cercare di utilizzare le mie parole contro di me» lo ammonii.

«Perché?» domandò, un lieve sorriso sulle labbra. «Erano dannatamente vere. Tu

non sei una vittima. Non sei prigioniera del giglio. Puoi essere quello che vuoi. Puoi

scegliere ciò che vuoi.»

«Hai ragione.» Mi divincolai, riscontrando zero resistenza da parte sua. «E non

scelgo te. Ecco cosa ti sfugge.»

Adrian si immobilizzò. Il suo sorriso svanì. «Non ti credo.»

«Lasciami indovinare. Perché ho ricambiato il tuo bacio?» Lo schernii. Quel bacio

mi aveva fatto sentire più viva di quanto non mi fossi sentita da settimane, e avevo la

sensazione che se ne fosse accorto.

Scosse la testa. «No. Perché non c’è nessun altro che ti capisce come ti capisco io.»

Attesi un’ulteriore spiegazione. «Tutto qui? Non hai intenzione di spiegare meglio

cosa significhi?»

I suoi occhi verdi mi avevano in pugno. «Non credo ce ne sia bisogno.»

Dovetti distogliere lo sguardo, anche se non ero sicura del perché. «Se mi conosci

così bene, allora capirai perché me ne vado.»

«Sydney…»

Mi mossi rapidamente verso la porta. «Addio, Adrian.»

Mi affrettai a oltrepassare la soglia, temendo in parte che avrebbe cercato di

trattenermi di nuovo. Se l’avesse fatto, non ero certa che sarei riuscita ad andarmene.

Ma non mi toccò. Non cercò in alcun modo di fermarmi. Solo una volta arrivata a metà

del prato davanti alla sua casa osai guardarmi alle spalle. Adrian era appoggiato allo

stipite della porta e mi guardava con occhi che erano lo specchio del suo cuore. Sentivo

il mio cuore spezzarsi nel petto. Il giglio sulla mia guancia mi ricordò chi ero.

Gli diedi le spalle e me ne andai, rifiutandomi di guardare indietro.

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