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Traduzione a cura di The Books We Want To Read
Revisione di Veru, Juls, Claude, Giusi, Sherm, Alessia C.
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INDICE Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitoli non sottoposti a revisione attenta
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
CAPITOLO 1 Traduzione: Clary Winchester
Molte persone troverebbero spaventoso farsi portare in un bunker sotterraneo in una
notte tempestosa. Io no.
Le cose a cui potevo dare una spiegazione o classificare secondo dei dati non mi
spaventavano. Ecco perché continuavo a ripetere a mente l’elenco dei fatti, mentre
scendevo sempre più in profondità sotto il livello della strada. Il bunker era una reliquia
della Guerra Fredda, costruito per proteggersi in un periodo in cui la gente credeva che
i missili nucleari fossero dietro ogni angolo. In superficie, l’edificio ospitava un
negozio di ottica. Era solo una facciata, che non aveva nulla di spaventoso. E il
temporale? Era semplicemente un fenomeno naturale causato dalla collisione di fronti
atmosferici. E se si ha paura di farsi male durante un temporale, allora andare sottoterra
è la cosa più intelligente da fare.
Perciò, no. Questo viaggio apparentemente infausto non mi spaventava
minimamente. Tutto si basava su fatti ragionevoli e sulla logica. Potevo affrontarlo.
Era con il resto del mio lavoro che avevo problemi.
Forse era per questo che i viaggi sottoterra con il temporale non mi sconcertavano.
Dopo che passi la maggior parte dei tuoi giorni a vivere fra vampiri e mezzi vampiri,
portarli a procurarsi sangue e a mantenere la loro esistenza segreta al resto del mondo…
beh, hai una prospettiva un po’ particolare della vita. Ero stata testimone di sanguinose
battaglie fra vampiri e visto prodezze magiche che sfidavano ogni legge della fisica
che conoscevo. La mia vita era una lotta costante tra il tentativo di reprimere il mio
terrore per l’inesplicabile e cercare disperatamente un modo di spiegarlo.
«Attenta a dove metti i piedi» mi disse la mia guida mentre scendevamo un’altra
rampa di scale in cemento. Tutto ciò che avevo visto fino a quel momento era fatto di
cemento… i muri, il pavimento, il soffitto. Le superfici grigie e ruvide assorbivano la
luce fluorescente che tentava di illuminarci la strada. Era tetro e freddo, inquietante
nella sua pace. La guida sembrò indovinare i miei pensieri. «Abbiamo fatto modifiche
ed espansioni da quando è stato costruito. Lo vedrai quando raggiungeremo la sezione
principale.»
Per l’appunto. Le scale si aprirono in un corridoio con numerose porte chiuse
allineate sui lati. L’arredo era sempre in cemento, ma tutte le porte erano moderne, con
serrature elettroniche che mostravano luci rosse o verdi. Mi condusse alla seconda
porta a destra, una con la luce verde, e mi trovai a entrare in una sala d’aspetto
perfettamente normale, il tipo di sala del personale che si trova in un qualunque ufficio
moderno. Un tappeto verde copriva il pavimento, come un triste tentativo di imitare
l’erba, e i muri erano di un marrone chiaro che dava l’illusione del calore. Un divano
morbido e due sedie erano disposte al lato opposto della stanza, insieme a un tavolo
ricoperto di riviste. La parte migliore della stanza era un bancone con un lavandino…
e una macchinetta del caffè.
«Fai come se fossi a casa tua» mi disse la guida. Ipotizzai che avesse circa la mia
età, diciotto anni, ma i suoi lacunosi tentativi di farsi crescere la barba lo facevano
sembrare più giovane. «Verranno da te a breve.»
I miei occhi non avevano mai lasciato la macchinetta del caffè. «Posso farmi un
caffè?»
«Certo» disse. «Tutto quello che vuoi.»
Se ne andò, e praticamente corsi al bancone. Il caffè era già macinato e sembrava
che potesse benissimo essere lì dalla Guerra Fredda. Purché non fosse decaffeinato,
non mi importava. Avevo preso un volo notturno dalla California e, anche se avevo
avuto mezza giornata a disposizione per riprendermi, mi sentivo ancora insonnolita e
con intorpidita. Avviai la macchina del caffè e camminai per la stanza. Le riviste erano
ammucchiate a casaccio, così le raddrizzai in pile ordinate. Non sopportavo il
disordine.
Mi sedetti sul divano e attesi il caffè, chiedendomi di nuovo il motivo di
quell’incontro. Avevo trascorso buona parte del pomeriggio lì in Virginia a fare
rapporto a una coppia di ufficiali Alchimisti sullo stato del mio incarico. Vivevo a Palm
Spring, fingendo di essere una laureanda in una collegio privato in modo da tenere
d’occhio Jill Mastrano Dragomir, una principessa vampira costretta a nascondersi.
Tenerla in vita significava tenere il suo popolo fuori dalla guerra civile, una guerra che
avrebbe sicuramente avvertito gli esseri umani del mondo sovrannaturale che si celava
sotto la superficie della vita moderna. Era una missione vitale per gli Alchimisti, quindi
non ero del tutto sorpresa che volessero aggiornamenti. Quello che mi sorprendeva era
che avrebbero potuto riceverli per telefono. Non riuscivo a capire per quale altra
ragione mi avessero condotta in quella struttura.
La macchinetta del caffè finì. L’avevo programmata per fare solo tre tazze, che
probabilmente sarebbero bastate a farmi superare la serata. Avevo appena riempito la
mia tazza di polistirolo quando la porta si aprì. Ne entrò un uomo, e per poco non feci
cadere il caffè.
«Signor Darnell» dissi, rimettendo la macchinetta sul fornello. Mi tremavano le
mani. «È… è un piacere rivederla, signore.»
«Anche per me, Sydney» rispose con un sorriso forzato. «Sei davvero cresciuta.»
«Grazie, signore» dissi, indecisa se fosse un complimento o meno.
Tom Darnell aveva l’età di mio padre e i suoi capelli castani erano spruzzati di
argento. C’erano più rughe sul suo viso dall’ultima volta che l’avevo visto, e nei suoi
occhi azzurri c’era un’espressione inquieta che non associavo a lui, di solito. Tom
Darnell era un ufficiale di alto rango tra gli Alchimisti e si era guadagnato la sua
posizione grazie ad opere decisive e ad una fiera etica del lavoro. Mi era sempre
sembrato straordinario quando ero più piccola, vivamente sicuro di sé e imponente.
Ora sembrava aver paura di me, cosa che non aveva senso. Non era arrabbiato?
Dopotutto ero la responsabile dell’arresto di suo figlio, imprigionato poi dagli
Alchimisti.
«Apprezzo che tu sia venuta fin qui» aggiunse, passato qualche momento di silenzio
imbarazzante. «So che è un lungo viaggio andata e ritorno, soprattutto nel fine
settimana.»
«Non è affatto un problema, signore» dissi, sperando di sembrare convinta. «Sono
felice di aiutarla… in quello che ha bisogno.» Mi chiedevo ancora di cosa potesse
trattarsi, di preciso.
Mi osservò per un paio di secondi e fece un breve cenno del capo. «Sei molto
volenterosa» disse. «Proprio come tuo padre.»
Non risposi. Sapevo che quell’osservazione era intesa come un complimento, ma io
non la presi proprio così. Tom si schiarì la gola. «Bene, allora. Togliamoci il pensiero.
Non voglio scomodarti più del necessario.»
Percepii nuovamente quella nota di agitazione e rispetto. Perché si preoccupava
tanto dei miei sentimenti? Dopo ciò che avevo fatto a suo figlio, Keith, mi sarei
aspettata rabbia e accuse. Tom mi aprì la porta e mi fece cenno di uscire.
«Posso portare il caffè, signore?»
«Certo.»
Mi riportò al corridoio di cemento, guidandomi verso altre porte chiuse. Stringevo
il mio caffè come un bambino stringeva una coperta, di gran lunga più spaventata di
quando ero entrata in quel posto. Tom si fermò qualche porta più in là, di fronte a una
con la luce rossa, ma esitò prima di aprirla.
«Voglio che tu sappia… che ciò che hai fatto è stato estremamente coraggioso»
disse, senza incrociare i miei occhi. «So che tu e Keith eravate, anzi siete, amici e non
deve essere stato facile denunciarlo. Ciò dimostra come sei dedita al nostro lavoro…
cosa non facile quando ci sono di mezzo i sentimenti personali»
Keith ed io non eravamo mai stati, né eravamo, amici, ma pensai di capire perché si
era sbagliato Tom. Keith aveva vissuto con la mia famiglia per un’estate e poi avevamo
lavorato insieme a Palm Spring. Denunciarlo per i suoi crimini non era stato affatto
difficile per me. A dire la verità, mi era piaciuto. Tuttavia, vedendo il dolore sul volto
di Tom non avrei mai potuto dire una cosa del genere.
Deglutii. «Beh, il nostro lavoro è importante, signore.»
Mi rivolse un sorriso triste. «Sì, certo che lo è.»
La porta aveva una tastiera di sicurezza. Tom digitò una sequenza di circa dieci cifre,
e la serratura scattò, accettandola. Aprì la porta e lo seguii dentro. La stanza era austera
e poco illuminata e c’erano altre tre persone dentro, perciò inizialmente non notai
cos’altro contenesse la stanza. Capii immediatamente che gli altri erano Alchimisti.
Non avevano motivo di trovarsi in quel posto, altrimenti. E, naturalmente, mostravano
quei segnali rivelatori che mi avrebbero permesso di identificarli anche in una strada
affollata. Abbigliamento elegante fatto di colori indefiniti. Dei tatuaggi di gigli dorati
brillavano sulle loro guance sinistre. Era una parte dell’uniformità che tutti
condividevamo. Eravamo un esercito segreto, che si celava nell’ombra dei nostri
compagni umani.
Tutti e tre avevano in mano un blocco degli appunti e fissavano una delle pareti. Fu
in quel momento che capii lo scopo di quella stanza. Una finestra nel muro si affacciava
su un’altra stanza, illuminata molto più della nostra.
E in quella stanza c’era Keith Darnell.
Scattò verso il vetro che ci separava e iniziò a battere su di esso. Il mio cuore accelerò
e indietreggiai un po’ impaurita, sicura che volesse me. Impiegai un po’ per rendermi
conto che non poteva vedermi. Mi rilassai, ma di poco. La finestra era un falso
specchio. Premette le mani sul vetro, passando febbrilmente lo sguardo sui volti che
sapeva essere lì ma che non poteva vedere.
«Vi prego, vi prego» gridò. «Fatemi uscire. Vi prego, fatemi uscire di qui.»
Keith sembrava un po’ più trasandato dell’ultima volta in cui lo avevo visto. I suoi
capelli erano arruffati e sembrava non li avesse tagliati nel mese che avevamo passato
divisi. Indossava una tuta completamente grigia, del genere che si vedeva addosso a un
prigioniero o a un malato mentale, che mi ricordava il cemento del corridoio. La cosa
che si notava maggiormente era l’espressione disperata e terrorizzata nei suoi occhi…
o meglio, nel suo occhio. Keith aveva perso uno dei suoi occhi in un attacco di vampiri
che io avevo segretamente aiutato a orchestrare. Nessuno degli Alchimisti ne sapeva
niente, così come nessuno di loro sapeva che Keith aveva stuprato mia sorella maggiore
Carly. Dubitavo che Tom Darnell mi avrebbe ancora elogiata per la mia “dedizione”
se avesse saputo del mio atto di vendetta segreto. Vedendo lo stato di Keith adesso mi
dispiacque un po’ per lui, e soprattutto per Tom, il cui volto era pieno di sofferenza.
Tuttavia non mi sentivo in colpa per ciò che avevo fatto a Keith. Né per l’arresto né
per l’occhio. Per farla breve, Keith era una cattiva persona.
«Sono sicura che lei riconosca Keith» disse una degli Alchimisti con i blocchi degli
appunti. Aveva i capelli grigi legati in una crocchia stretta e ordinata.
«Sì, signora» dissi.
Fui salvata da altre domande quando Keith riprese a battere sul vetro con rinnovata
furia. «Vi prego! Dico sul serio! Quello che volete. Farò qualsiasi cosa. Dirò qualsiasi
cosa. Crederò a tutto. Ma, vi prego, non rimandatemi lì!»
Sia io che Tom trasalimmo, ma gli altri Alchimisti guardarono la scena con
distaccamento clinico e scarabocchiarono qualche appunto sui loro blocchetti. La
donna con la crocchia tornò a guardarmi come se non ci fosse stata alcuna interruzione.
«Il giovane signor Darnell ha trascorso un po’ di tempo in uno dei nostri Centri di
Rieducazione. Un provvedimento spiacevole, ma necessario. Il suo traffico di beni
illeciti era sicuramente un male, ma la sua collaborazione con i vampiri è
imperdonabile. Tuttavia, sostiene di non avere alcun legame con loro… ma non
possiamo esserne certi. Anche se ci stesse dicendo la verità, il suo atteggiamento
trasgressivo potrebbe evolvere in qualcosa di più… Non solo in una collaborazione con
i Moroi, ma anche con gli Strigoi. Facendo così lo teniamo lontano da quella situazione
precaria e pericolosa.»
«È davvero per il suo bene» disse il terzo Alchimista con il blocchetto degli appunti.
«Gli stiamo facendo un favore.»
Una sensazione di orrore mi travolse. Lo scopo degli Alchimisti era quello di tenere
l’esistenza dei vampiri segreta agli umani. Credevamo che i vampiri fossero creature
contro natura che non avrebbero dovuto avere nulla a che fare con gli umani come noi.
Ciò che ci preoccupava davvero erano gli Strigoi, vampiri assassini e malvagi che
potevano spingere gli umani a servirli promettendo loro l’immortalità. Anche i pacifici
Moroi e le loro controparti metà umane, i dhampir, venivano guardati con sospetto.
Collaboravamo spesso con questi ultimi due gruppi e, anche se ci era stato insegnato
di trattarli con sdegno, era inevitabile che alcuni Alchimisti non solo si avvicinassero
a Moroi e dhampir… ma cominciassero anche a apprezzarli.
La cosa assurda era che, nonostante il crimine commesso nel vendere sangue di
vampiro, Keith era una delle ultime persone a cui pensavo quando si parlava di gente
troppo amichevole con loro. Mi aveva dimostrato chiaramente la sua avversione nei
loro confronti numerose volte. Se c’era qualcuno che meritava di essere accusato di
legami con i vampiri…
…beh, quella ero io.
Uno degli altri Alchimisti, un uomo con degli occhiali da sole che pendevano ad arte
dal suo bavero, riprese il discorso. «Lei, signorina Sage, è un esempio eccezionale di
persona in grado di lavorare continuamente con loro, pur mantenendo la sua
oggettività. La sua dedizione non è stata ignorata da coloro che stanno sopra di noi.»
«Grazie, signore» dissi a disagio, chiedendomi quante volte avrei sentito la parola
“dedizione” quella sera. C’era una bella differenza rispetto a qualche mese prima,
quando mi ero cacciata nei guai per aver aiutato a fuggire una dhampir. In seguito era
stata dimostrata la sua innocenza e il mio coinvolgimento era stato etichettato come
“ambizione di lavoro”.
«Inoltre» continuò Occhiali da Sole, «considerata la sua esperienza con il signor
Darnell, pensiamo che possa essere la persona adatta a rilasciarci una dichiarazione.»
Rivolsi di nuovo la mia attenzione a Keith. Aveva continuato a colpire e a urlare
senza fermarsi un attimo. Gli altri erano riusciti a ignorarlo, quindi cercai di farlo anche
io.
«Una dichiarazione su cosa, signore?»
«Stiamo decidendo se farlo tornare o no al Centro Rieducativo» spiegò Crocchia
Grigia. «Ha fatto progressi eccellenti qui, ma alcuni pensano che sia meglio assicurarsi
che qualsiasi possibilità di legame con i vampiri venga cancellata.»
Se l’attuale comportamento di Keith era un “progresso eccellente”, non riuscivo ad
immaginare come fosse un piccolo progresso.
Occhiali da Sole poggiò la penna sul suo blocco. «Basandosi su ciò che ha visto a
Palm Spring, signorina Sage, qual è la sua opinione sullo stato mentale del signor
Darnell a proposito dei vampiri? Il legame a cui ha assistito era così grave da
legittimare ulteriori misure precauzionali?.» Presumibilmente “ulteriori misure
precauzionali” significava farlo tornare nel Centro di Rieducazione.
Mentre Keith continuava a picchiare, tutti gli occhi dei presenti nella stanza erano
puntati su di me. Gli Alchimisti sembravano pensierosi e curiosi. Tom Darnell stava
sudando visibilmente, mentre mi guardava con paura e aspettativa. Pensai che fosse
comprensibile: avevo il destino di suo figlio nelle mie mani.
Mentre guardavo Keith sentivo delle emozioni contrastanti. Non è che non mi
piaceva… lo odiavo proprio. E io non odiavo molte persone. Non potevo perdonare ciò
che aveva fatto a Carly. Allo stesso modo, i ricordi di ciò che aveva fatto a me e agli
altri a Palm Spring erano ancora freschi nella mia mente. Mi aveva denigrata e aveva
reso la mia vita un inferno nel tentativo di coprire la sua truffa con il sangue. Aveva
anche trattato in modo orribile i vampiri e i dhampir che avevamo l’incarico di
proteggere. Mi venne da chiedermi chi fosse il vero mostro.
Non sapevo esattamente cosa fosse accaduto al Centro di Rieducazione. A giudicare
dalla reazione di Keith, doveva essere un gran brutto posto. C’era una parte di me che
desiderava dire agli Alchimisti di rispedirlo lì per anni e di non lasciargli più vedere la
luce del sole. I suoi crimini meritavano una punizione severa, tuttavia non ero certa che
meritasse questa punizione nello specifico.
«Penso… penso che Keith Darnell sia corrotto» dissi infine. «È egoista ed immorale.
Non si preoccupa degli altri, né di ferirli per perseguire i suoi obiettivi. È disposto a
mentire, rubare e ingannare per ottenere ciò che vuole.» Esitai prima di continuare.
«Ma… non credo che non riesca più a vedere la vera la natura dei vampiri. Non penso
che sia troppo legato a loro o in pericolo di ricascarci in futuro. Ma c’è anche da dire
che non penso debba essergli permesso di lavorare come Alchimista nel prossimo
futuro. Che questo significhi imprigionarlo o metterlo in libertà vigilata, sta a voi
deciderlo. Le sue azioni passate hanno dimostrato che non prende seriamente la nostra
missione, ma questo a causa del suo egoismo. Non per un’innaturale attrazione nei loro
confronti. Lui… beh, ad essere sincera, è semplicemente una brutta persona.»
Calò il silenzio, fatta eccezione per il movimento frenetico delle penne mentre gli
Alchimisti prendevano nota. Osai rivolgere uno sguardo a Tom, spaventata da ciò che
avrei visto dopo aver completamente infangato suo figlio. Con mia grande sorpresa,
Tom sembrava… sollevato. E grato. A dirla tutta, sembrava sull’orlo delle lacrime.
Incrociando i miei occhi, con la bocca mimò un grazie. Incredibile. Avevo appena
affermato che Keith era un essere umano orribile in ogni modo possibile. Ma niente di
questo importava a suo padre, bastava che non avessi accusato Keith di essere in
combutta con i vampiri. Anche se avessi dato dell’assassino a Keith, probabilmente
Tom sarebbe stato comunque riconoscente, se ciò significava che Keith non era pappa
e ciccia con il nemico.
Ciò mi irritò e mi portò di nuovo a chiedermi chi fossero davvero i mostri in tutto
questo. Il gruppo che avevo lasciato a Palm Spring era cento volte più morale di Keith.
«Grazie, signorina Sage» disse Crocchia Grigia, finendo di scrivere i suoi appunti.
«È stata di estremo aiuto e prenderemo in considerazione ciò che ha detto per la nostra
decisione. Può andare adesso. Se va nel corridoio, troverai Zeke che aspetta di portarla
fuori.»
Fu un congedo repentino, ma era tipico degli Alchimisti. Efficienti, dritti al punto.
Annuii gentilmente e guardai un’ultima volta Keith prima di aprire la porta. Non
appena si chiuse dietro di me, trovai il corridoio silenzioso, per fortuna. Non riuscivo
più a sentire Keith.
Zeke, a quanto pare, era l’Alchimista che mi aveva accompagnata dentro. «Tutto a
posto?» chiese.
«Così sembra» dissi, ancora un po’ stordita per ciò che era appena accaduto. Capii
che il mio rapporto sulla situazione a Palm Spring era stata semplicemente una scusa
per gli Alchimisti. Ero in zona, quindi perché non incontrarmi di persona? Non era
essenziale. Questo, ovvero vedere Keith, era stato il vero scopo del mio viaggio da un
capo all’altro del Paese.
Mentre camminavamo lungo il corridoio, qualcosa che non avevo notato prima
catturò la mia attenzione. La sicurezza di una delle porte era molto alta, più della stanza
nella quale ero appena stata. Oltre alle luci e alla tastierina, c’era anche un lettore di
schede. In cima alla porta c’era una serratura a scatto che si chiudeva dall’esterno.
Niente di strano, ma era chiaramente fatta per tenere qualunque cosa ci fosse dietro la
porta all’interno.
Mi fermai davanti alla porta e la studiai per qualche momento. Poi ripresi a
camminare, sapendo che era meglio non chiedere nulla. I bravi Alchimisti non
facevano domande.
Zeke, vedendo il mio sguardo, si fermò. Guardò me, poi la porta, poi di nuovo me.
«Vuoi… vuoi vedere cosa c’è lì dentro?.» I suoi occhi guizzarono velocemente verso
la porta dalla quale eravamo usciti. Era un Alchimista di basso livello, lo sapevo, ed
aveva chiaramente paura di mettersi nei guai con gli altri. Allo stesso tempo, il suo
ardore suggeriva che era entusiasta segreti che doveva mantenere, segreti che non
poteva condividere con gli altri. Io ero una valvola di sfogo sicura.
«Penso che dipenda da cosa c’è dentro» dissi.
«É la ragione per cui facciamo ciò che facciamo» disse in tono misterioso. «Dai
un’occhiata, e capirai perché i nostri obiettivi sono tanto importanti.»
Deciso a rischiare, passò la sua scheda sul lettore e poi digitò un lungo codice. Una
luce sulla porta diventò verde, e la serratura a scatto si aprì. Mi aspettavo un’altra stanza
semibuia, invece la luce all’interno era così intensa da farmi male agli occhi. Mi portai
una mano alla fronte per farmi scudo.
«È un tipo di terapia della luce» spiegò Zeke in segno di scuse. «Hai presente le
lampade di sole che hanno le persone che vivono in regioni nuvolose? Hanno lo stesso
tipo di raggi. La speranza è che faccia tornare le persone come lui un po’ più umane…
O almeno scoraggiarle dal pensare di essere degli Strigoi.»
All’inizio ero troppo accecata per capire cosa intendesse. Poi, attraverso la stanza
vuota, vidi una prigione. Delle larghe sbarre in metallo coprivano l’entrata, che era
protetta da un altro lettore di schede e da un’altra tastiera. Mi sembrò un’esagerazione,
quando riuscii a vedere l’uomo all’interno. Era più grande di me, sui venticinque anni
ad occhio e croce, e aveva un aspetto così scarmigliato da far sembrare Keith pulito e
ordinato. L’uomo era magro ed era rannicchiato in un angolo, con le mani sopra gli
occhi per proteggersi dalla luce. Aveva delle manette ai polsi e alle caviglie e
chiaramente non avrebbe potuto andare da nessuna parte. Al nostro ingresso, osò darci
una sbirciata e poi scoprì un po’ di più il viso.
Fui attraversata da un brivido. Quell’uomo era umano, ma la sua espressione era
fredda e cattiva come quella di ogni Strigoi che avevo incontrato. I suoi occhi grigi
erano quelli di un predatore. Era senza emozioni, come quegli assassini che non
nutrivano nessun moto d’empatia nei confronti delle altre persone.
«Mi hai portato la cena?» chiese con una voce roca che doveva essere falsa. «Una
bella ragazza giovane, vedo. Più magra di quelle che piacciono a me, ma sono sicuro
che il suo sangue sia comunque succulento.»
«Liam» disse Zeke con poca pazienza. «Sai dov’è la tua cena.» Indicò un vassoio di
cibo intatto all’interno della gabbia, che sembrava essersi raffreddato da molto tempo.
Crocchette di pollo, fagiolini, e un biscotto con glassa zuccherata. «Non mangia quasi
mai niente» mi spiegò Zeke. «È per questo che è così magro. Continua a insistere nel
volere del sangue.»
«Lui… che cos’è?» chiesi, senza riuscire a staccare gli occhi da Liam. Era una
domanda stupida, ovviamente. Liam era chiaramente umano, tuttavia… c’era qualcosa
che non andava in lui.
«Un’anima corrotta che vuole essere uno Strigoi» disse Zeke. «Alcuni guardiani lo
hanno trovato al servizio di quei mostri e ce l’hanno consegnato. Abbiamo cercato di
rieducarlo, ma senza alcun successo. Continua a ripetere quanto sono fantastici gli
Strigoi e che un giorno tornerà da loro e ce la farà pagare. Nel frattempo, fa del suo
meglio per fingersi uno di loro.»
«Oh» disse Liam, con un sorriso furbo. «Io sarò uno di loro. Ricompenseranno la
mia lealtà e le mie sofferenze. Loro mi risveglieranno, e diventerò forte oltre ogni
vostra piccolissima immaginazione umana. Vivrò per sempre e vi darò la caccia, a tutti
voi. Farò un banchetto con il vostro sangue e ne assaporerò ogni goccia. Voi Alchimisti
reggete le fila e credete di avere il controllo su ogni cosa. Vi illudete. Non controllate
niente. Non siete niente.»
«Visto?» disse Zeke, scuotendo la testa. «Patetico. Ecco cosa potrebbe succedere se
non facessimo il lavoro che facciamo. Altri umani potrebbero diventare come lui e
vendere la loro anima per la frivola promessa dell’immortalità.» Fece il segno che
usavano gli Alchimisti contro il male, una piccola croce sulla spalla, e mi ritrovai ad
imitarlo. «Non mi piace stare qui, ma a volte… a volte è un ottimo promemoria del
motivo per cui dobbiamo tenere i Moroi e gli altri nell’ombra. Del perché non possiamo
farci ingannare da loro.»
In un angolo della mia mente sapevo che c’era un’enorme differenza nel modo in
cui i Moroi e gli Strigoi interagivano con gli umani. Tuttavia, non riuscii a formulare
alcuna argomentazione di fronte a Liam. Mi aveva lasciata esterrefatta… e impaurita.
Era facile credere a ogni parola che dicevano gli Alchimisti. Era questo ciò contro cui
combattevamo. Era questo l’incubo che non potevamo far avverare.
Non sapevo cosa dire, ma Zeke non sembrava aspettarsi molto.
«Vieni, andiamo.» Guardò Liam e aggiunse: «E tu farai meglio a mangiare il tuo
cibo, perché non ne riceverai altro fino a domani mattina. Non mi interessa se è freddo
e duro.»
Liam assottigliò lo sguardo. «Che mi importa del cibo umano se fra poco berrò il
nettare degli Dei? Il tuo sangue sarà caldo sulle mie labbra, il tuo e anche quello della
ragazza carina.» Poi iniziò a ridere, un suono molto più inquietante delle grida di Keith.
Le risate continuarono mentre Zeke mi guidava fuori dalla stanza. La porta si chiuse
alle nostre spalle e mi ritrovai in piedi nel corridoio, intontita. Zeke mi guardò con
apprensione.
«Mi dispiace… forse non avrei dovuto fartelo vedere.»
Scossi lentamente la testa. «No, avevi ragione. È bene che lo vediamo, per capire
cosa stiamo facendo. L’ho sempre saputo ma… non mi aspettavo qualcosa del genere.»
Provai a riportare i miei pensieri sulle cose di tutti i giorni e a cancellare il terrore
dalla mente. Guardai il mio caffè. Era intatto e tiepido. Feci una smorfia.
«Posso fare un altro caffè prima di andare?» Avevo bisogno di qualcosa di normale.
Qualcosa di umano.
«Certo.»
Zeke mi riportò nella sala d’aspetto. Il caffè che avevo fatto era ancora caldo. Buttai
il vecchio caffè e me ne versai dell’altro. Mentre lo facevo, la porta si aprì
all’improvviso e ne entrò un angosciato Tom Darnell. Sembrava sorpreso di vedere
qualcuno lì dentro e ci oltrepassò, sedendosi sul divano e nascondendosi il viso tra le
mani. Zeke e io ci scambiammo un’occhiata incerta.
«Signor Darnell» esordii. «Sta bene?»
Non mi rispose subito. Restò con il viso coperto, il corpo scosso da singhiozzi
silenziosi. Stavo per andarmene quando mi guardò, anche se avevo la sensazione che
non mi stesse davvero vedendo. «Hanno deciso» disse. «Hanno preso una decisione
per Keith.»
«Già?» domandai sorpresa. Zeke e io avevamo passato circa cinque minuti con
Liam.
Tom annuì tristemente. «Lo rimandano indietro. Lo rimandano in Rieducazione.»
Non potevo crederci. «Ma… gliel’ho detto! Ho detto loro che non è alleato con i
vampiri. Lui crede… in ciò che crediamo anche noi. Ha fatto solo delle scelte
sbagliate.»
«Lo so. Ma hanno detto che non possiamo correre il rischio. Anche se a Keith sembra
non importare dei vampiri, anche se crede che non gliene importi, rimane il fatto che
ha fatto un patto con uno di essi. Sono preoccupati che la sua volontà di intraprendere
quel tipo di collaborazione possa influenzarlo in futuro. È meglio occuparsi della cosa
adesso. Loro… probabilmente hanno ragione loro. È meglio così.»
L’immagine di Keith che picchiava sul vetro e supplicava di non tornare lì mi
attraversò la mente.
«Mi dispiace, signor Darnell.»
Lo sguardo angosciato di Tom si concentrò un po’ più su di me. «Non ti scusare,
Sydney. Hai fatto tanto… tanto per Keith. Grazie a ciò che hai detto, ridurranno il suo
periodo al Centro di Rieducazione. Significa molto per me. Grazie.»
Mi si attorcigliò lo stomaco. A causa mia, Keith aveva perso un occhio. A causa mia,
Keith era andato al Centro Rieducativo. Provai di nuovo quella sensazione: meritava
di soffrire in qualche modo, ma non meritava di soffrire in quel modo.
«Avevano ragione su di te» aggiunse Tom. Cercava a sorridere, ma non ci riusciva.
«Sei di gran esempio. Sei davvero volenterosa. Tuo padre deve essere molto fiero di
te. Non so come fai a vivere con quelle creature ogni giorno e tenere la testa a posto.
Gli altri Alchimisti potrebbero imparare davvero tanto da te. Tu sai cosa significano
responsabilità e dovere.»
Da quando ero volata via da Palm Spring il giorno prima, avevo pensato molto alle
persone che avevo lasciato lì… quando gli Alchimisti non mi distraevano con i
prigionieri, naturalmente. Jill, Adrian, Eddie e persino Angeline… era frustrante a
volte, ma alla fine erano persone che avevo iniziato a conoscere e a cui tenevo.
Nonostante mi facessero correre di qua e di là, quel gruppetto variegato mi mancava
dall’istante in cui avevo lasciato la California. C’era quello che sembrava un vuoto
dentro di me, quando non erano con me.
Ora, sentirmi in quel modo mi disorientava. Stavo confondendo il confine fra
amicizia e dovere? Se Keith si era messo nei guai per una piccola collaborazione con i
vampiri, io non ero peggiore? E quanto ci mancava per diventare come Liam?
Le parole di Zeke mi risuonarono nella testa: Non possiamo farci ingannare da loro.
E poi ciò che aveva appena detto Tom: Tu sai cosa significano responsabilità e
dovere.
Mi stava guardando in attesa, e mi sforzai di sorridere mentre allontanavo tutte le
mie paure. «Grazie, signore» dissi. «Faccio ciò che posso.»
CAPITOLO 2 Traduzione: Federica Fae Quaranta & Alecsandra
QUELLA NOTTE NON DORMII. In parte fu colpa del cambio dell’ora. Il mio volo
di ritorno per Palm Springs era previsto per lei sei di mattina, quindi le tre del mattino
nel fuso orario in cui il mio corpo credeva ancora che fossimo. Dormire sembrava
inutile.
E, ovviamente, c’era il piccolissimo fatto che era abbastanza difficile rilassarsi dopo
tutto ciò che avevo visto nel bunker degli Alchimisti. O immaginavo gli occhi assurdi
di Liam, oppure ripensavo ai continui avvertimenti che avevo sentito in merito a coloro
che si avvicinavano troppo ai vampiri.
Il fatto che avessi la posta in arrivo piena di messaggi scritti dal gruppo di Palm
Springs, poi, non aiutava. Di solito controllavo le e-mail direttamente sul telefono, una
volta fuori casa. Ora, nella mia camera d’albergo, mentre guardavo tutti i messaggi ero
piena di dubbi. Erano davvero professionali? Erano troppo amichevoli? Non
rispettavano il protocollo degli Alchimisti? Dopo aver visto quello che era successo a
Keith, era più evidente che mai che non ci voleva molto per mettersi nei guai con la
mia organizzazione.
Uno dei messaggi era di Jill e l’oggetto diceva: Angeline… sigh. Non era una
sorpresa e non mi preoccupai di leggerlo subito. Angeline Dawes, una dhampir
ingaggiata per fare da compagna di stanza a Jill e fornirle una maggiore sicurezza,
aveva avuto un po’ di problemi ad adattarsi alla Amberwood. Si metteva
continuamente nei guai e sapevo che, di qualsiasi cosa si trattasse stavolta, non c’era
niente che potessi fare ora come ora.
Un altro messaggio era proprio di Angeline. Ma non lo lessi. L’oggetto diceva
LEGGI! CHE RIDERE! Angeline aveva da poco scoperto le e-mail. Però sembrava
non avesse ancora scoperto come disattivare il capslock. Inoltrava indiscriminatamente
scherzi, truffe finanziarie e avvertimenti di virus. E a proposito di questo… avevamo
dovuto installare un software per la protezione dei bambini sul suo pc, per bloccarle
l’accesso ad alcuni siti web e pubblicità. Questo dopo che aveva scaricato
accidentalmente quattro virus.
Fu sull’ultima e-mail che mi soffermai. Era da parte di Adrian Ivashkov, l’unica
persona nel nostro gruppo che non si fingeva studente della Amberwood Preparatory
School. Adrian era un Moroi di ventuno anni, quindi sarebbe stato strano farlo passare
per uno delle superiori. Adrian stava con noi perché lui e Jill avevano un legame
psichico che si era inavvertitamente creato quando lui aveva usato la sua magia per
salvarle la vita. Tutti i Moroi esercitavano un tipo di magia elementare e la sua era lo
spirito, un elemento misterioso legato alla mente e alla cura. Il legame permetteva a Jill
di leggere i pensieri e le emozioni di Adrian, cosa che preoccupava entrambi. Il suo
stare vicino a lei li aveva aiutati a scoprire alcune caratteristiche del legame. In più,
Adrian non aveva nulla di meglio da fare.
L’oggetto del suo messaggio diceva: MANDAMI SUBITO AIUTO. A differenza di
Angeline, Adrian conosceva le regole dell’uso delle maiuscole e le aveva
semplicemente usate per dare un effetto drammatico. Sapevo anche che se avevo
qualche dubbio riguardo ai messaggi collegati al mio lavoro, questo era sicuramente il
meno professionale di tutti. Adrian non era sotto la mia responsabilità. Nonostante
questo, aprii comunque il messaggio.
Giorno 24. La situazione peggiora. I miei rapitori continuano a trovare nuovi e
orribili modi per torturarmi. Quando non lavora, l’Agente Scarlet passa le giornate
ad esaminare campioni di tessuti per i vestiti delle damigelle e continua a ripetere
quanto sia innamorata. Di solito questo porta l’Agente Noia Borscht a deliziarci con
storie sui matrimoni russi, che sono anche più noiose delle solite che racconta. I miei
tentativi di fuga sono stati tutti ostacolati finora. Inoltre, ho finito le sigarette.
Qualsiasi aiuto o tipo di tabacco tu riesca a inviare sarà di gran lunga apprezzato.
— Prigioniero 24601
Cominciai a sorridere, mio malgrado. Adrian mi mandava messaggi di questo tipo
quasi ogni giorno. Quell’estate avevamo scoperto che coloro che erano stati trasformati
in Strigoi con la forza potevano ritornare com’erano usando lo spirito. Era comunque
un processo complesso, difficile… reso tale dal fatto che c’erano pochissimi
conoscitori dello spirito. Alcuni avvenimenti più recenti avevano dimostrato che gli
Strigoi riconvertiti non potevano più essere trasformati. Ciò aveva elettrizzato gli
Alchimisti e i Moroi allo stesso modo. Se ci fosse stato un modo magico per prevenire
la conversione in Strigoi, i pazzi come Liam non sarebbero più stati un problema.
Per questo erano entrati in gioco Sonya Karp e Dimitri Belikov – o, come li chiamava
Adrian nelle sue lettere piene di angoscia, “Agente Scarlet” e “Agente Noia Borscht”.
Sonya era una Moroi, Dimitri era un dhampir. Entrambi erano stati Strigoi ed erano
stati salvati dalla magia dello spirito. I due erano arrivati a Palm Springs il mese prima
per lavorare con Adrian in una specie di gruppo di esperti per scoprire cosa potesse
proteggere dalla trasformazione in Strigoi. Era un compito estremamente importante,
che avrebbe avuto grandi ramificazioni se avesse avuto successo. Sonya e Dimitri
erano due dei più grandi lavoratori che conoscevo… cosa che non sempre era
compatibile con lo stile di Adrian.
La maggior parte del lavoro richiedeva dei lenti e scrupolosi esperimenti, molti dei
quali coinvolgevano Eddie Castile, un dhampir sotto copertura alla Amberwood. Lui
serviva da elemento di controllo, dato che, a differenza di Adrian, Eddie era un dhampir
che non era stato toccato né dallo spirito, né da un passato da Strigoi. Non c’era molto
che potessi fare per aiutare Adrian con la sua frustrazione nei confronti gruppo di
lavoro, e lui lo sapeva. Solo che gli piaceva enfatizzare tutto e sfogarsi con me.
Pensando a ciò che fosse essenziale e non nel mondo degli Alchimisti, stavo per
cancellare il messaggio, ma…
Una cosa mi fece esitare. Adrian aveva firmato la sua e-mail con un riferimento a I
miserabili di Victor Hugo. Era un libro sulla Rivoluzione Francese, così pesante che si
poteva usare come arma. L’avevo letto sia in francese che in inglese. Considerando che
una volta Adrian si era annoiato leggendo un menu particolarmente lungo, facevo fatica
ad immaginare che avesse letto il libro di Hugo in una qualsiasi lingua. Ma come faceva
a conoscere quel riferimento? Non importa, Sidney, disse una voce severa da
Alchimista dentro la mia testa. Cancellalo. È irrilevante. La conoscenza letteraria di
Adrian (o mancanza di questa) non è una tua preoccupazione.
Ma non ci riuscivo. Dovevo sapere. Questo era un dettaglio che mi avrebbe portato
alla pazzia. Scrissi un messaggio di risposta: Come fai a sapere del 24601? Mi rifiuto
di credere che tu abbia letto il libro. Hai guardato il musical, vero?
Premetti invia e ricevetti la sua risposta quasi immediatamente: SparkNotes1.
Tipico. Risi ad alta voce e mi sentii subito in colpa. Non avrei dovuto rispondere.
Era il mio account e-mail personale, ma se gli Alchimisti avessero avuto la necessità
di indagare su di me, non si sarebbero fatti scrupoli ad accedervi. Queste cose erano
incriminanti, perciò cancellai tutto lo scambio di e-mail… non che avesse importanza.
Nessun dato andava mai perso per sempre.
Quando atterrai a Palm Springs alle sette di mattina, era terribilmente evidente che
avevo superato ogni limite di sopravvivenza conferito dalla caffeina. Ero troppo
esausta. Nessuna quantità di caffè sarebbe più servita. Quasi mi addormentai davanti
all’aeroporto, mentre aspettavo che mi venissero a prendere. Quando arrivarono, non
me ne resi conto finché non chiamarono il mio nome.
Dimitri Belikov saltò giù da una macchina blu a noleggio e si avviò a grandi passi
verso di me, prendendo la mia valigia prima che potessi dire qualcosa. Alcune donne
vicino smisero di parlare per fissarlo ammirate. Mi alzai in piedi. «Non c’è bisogno»
dissi, anche se stava già caricando la valigia nel cofano.
«Certo che c’è bisogno» disse, con un leggero accento russo. Mi rivolse un piccolo
sorriso. «Sembrava che stessi dormendo.»
«Magari» dissi, mentre mi sedevo al posto del passeggero. Anche se fossi stata
completamente sveglia, sapevo che Dimitri mi avrebbe comunque preso la valigia. Era
fatto così, l’ultimo superstite della galanteria nel mondo moderno, sempre pronto ad
aiutare gli altri.
Questa era solo una delle cose più sorprendenti di Dimitri. Il suo sguardo bastava a
far fermare molte persone sul loro cammino. Aveva i capelli castano scuro raccolti in
un codino e degli occhi castani abbinati che avevano un’aria misteriosa e affascinante.
Era anche alto – quasi due metri – perciò riusciva a competere con alcuni Moroi. I
dhampir erano indistinguibili dagli umani per me, quindi potevo ammettere anche io
che raggiungeva un punteggio molto alto sulla scala della bellezza.
C’era anche un’energia attorno a lui, che non poteva non avere effetto su tutti. Era
sempre all’erta, sempre pronto agli imprevisti. Non l’avevo mai visto abbassare la
guardia. Era sempre pronto ad attaccare. Era senza dubbio pericoloso ed ero felice che
fosse dalla nostra parte. Mi sentivo sempre protetta con lui… e un po’ sospettosa.
«Grazie per il passaggio» aggiunsi, «avrei potuto chiamare un taxi.» Mentre parlavo,
mi resi conto che le mie parole erano inutili, come quando gli avevo detto che non mi
serviva una mano per la valigia.
«Nessun problema» mi assicurò lui, mentre guidava tra i sobborghi di Palm Springs.
Si asciugò il sudore dalle sopracciglia e questo in qualche modo lo rese attraente. Anche
se era presto, il caldo già cominciava a farsi sentire. «Sonya ha insistito. Inoltre, oggi
niente esperimenti.»
1 Un sito inglese dove si trovano riassunti e altro materiale utile agli studenti.
Aggrottai la fronte. Quegli esperimenti e il potenziale che rappresentavano per
prevenire la trasformazione in Strigoi erano troppo importanti. Dimitri e Sonya lo
sapevano e si dedicavano molto alla causa – soprattutto nei fine settimana, quando
Adrian e Eddie non avevano lezione – per questo la notizia mi lasciava tanto perplessa.
La mia etica del lavoro ci mise un po’ a capire perché non si sarebbero fatte ricerche
quella domenica.
«Adrian?» tirai ad indovinare. Magari non era “dell’umore giusto” per fare ricerche.
«In parte» rispose Dimitri. «Manca anche il nostro elemento di controllo. Eddie ha
detto che ha avuto altri impegni e non ce la faceva a venire.»
Il mio cipiglio si fece più profondo. «Che impegni potrebbe avere avuto Eddie?»
Anche Eddie era estremamente scrupoloso. A volte Adrian lo chiamava mini-
Dimitri. Anche se Eddie andava alle superiori e faceva i compiti proprio come me,
sapevo che avrebbe abbandonato qualsiasi compito per occuparsi del bene comune.
Riuscivo a pensare ad una sola cosa che avrebbe avuto la precedenza sull’aiutare a
trovare una “cura” alla trasformazione Strigoi. Il mio cuore cominciò a battere
velocemente.
«Jill sta bene?.» Doveva essere così. Altrimenti qualcuno me l’avrebbe detto, no?
L’obiettivo principale di Eddie a Palm Springs – ed anche il mio – era quello di tenerla
al sicuro. Se fosse stata in pericolo, la cosa avrebbe oscurato tutto il resto.
«Sta bene» disse Dimitri. «Le ho parlato stamattina. Non so cosa stia succedendo,
ma Eddie non si sarebbe assentato se non fosse stato importante.»
«Credo di no» mormorai, ancora preoccupata.
«Ti preoccupi quanto me» disse Dimitri. «Non pensavo fosse possibile.»
«È il mio lavoro preoccuparmi. Devo sempre fare in modo che tutti stiano bene.»
«Non è una brutta cosa se fai in modo di stare bene anche tu. Potresti scoprire che
anche così aiuti gli altri.»
Risi. «Rose ha sempre scherzato riguardo la tua ‘Saggezza da Maestro Zen’. Ne sto
avendo un assaggio? Se sì, capisco perché non ha resistito al tuo fascino.»
Ciò mi fece guadagnare una delle rare e sincere risate di Dimitri. «Penso di sì. Se
glielo chiedi, ti dirà che è stato per le uccisioni con i paletti e per le decapitazioni. Ma
sono sicuro che alla fine sia stata la saggezza Zen a conquistarla.»
Il mio sorriso di risposta si sciolse immediatamente in uno sbadiglio. Era fantastico
che riuscissi a scherzare con un dhampir. Di solito ero colta da attacchi di panico
quando mi trovavo nella stessa stanza con uno di loro o un Moroi. Lentamente, durante
gli ultimi sei mesi, la mia ansia aveva iniziato a placarsi. Avrei sempre colto quella
sensazione di ‘stranezza’ con loro, ma avevo fatto molti progressi. Una parte di me
sapeva che era un bene che continuassi a tracciare una linea tra loro e gli umani, ma
era anche un bene essere flessibili per rendere il mio lavoro meno pesante. Non troppo
flessibili, mi ammonì la voce interiore da Alchimista.
«Eccoci qua» disse Dimitri, fermandosi di fronte al mio dormitorio alla Amberwood
Prep. Se aveva notato il mio cambiamento d’umore, non me lo disse. «Dovresti
riposarti.»
«Ci proverò» dissi. «Ma prima devo scoprire cosa è successo a Eddie.»
La faccia di Dimitri si fece tutta seria. «Se riesci a trovarlo, portalo con te stasera e
vediamo se riusciamo a finire qualcosa. A Sonya piacerebbe molto. Ha delle nuove
idee.»
Annuii, ricordandomi che erano quelli i principi a cui dovevamo attenerci. Lavoro,
lavoro, lavoro. Dovevamo ricordare quali erano i nostri obiettivi principali. «Vedo cosa
posso fare.»
Lo ringraziai di nuovo ed entrai dentro, determinata a portare a termine la mia
missione. Perciò restai un po’ delusa quando i miei alti obiettivi furono subito distrutti.
«Signorina Melrose?»
Mi girai immediatamente sentendo il suono del cognome che avevo assunto qui alla
Amberwood. La signora Weathers, l’anziana e grassottella direttrice del dormitorio, si
stava precipitando verso di me. La sua faccia mostrava preoccupazione, il che non
preannunciava niente di buono.
«Sono felicissima del suo ritorno» disse. «Confido che lei abbia passato dei giorni
piacevoli con la sua famiglia?»
«Sì, signora.» Se per “piacevoli” intendeva “terrificanti e inquietanti”.
La signora Weathers mi fece cenno di raggiungere la sua scrivania. «Devo parlarle
di sua cugina.»
Trattenni una smorfia nel ricordare l’email di Jill. La cugina Angeline. Tutti noi
frequentavamo la Amberwood fingendoci parenti. Jill ed Eddie erano miei fratelli.
Angeline era nostra cugina. Questo serviva a spiegare perché fossimo sempre insieme
e ci immischiassimo nei nostri affari.
Mi sedetti con la signora Weathers e pensai con desiderio al mio letto. «Cos’è
successo?» chiesi.
La signorina Weathers sospirò. «Sua cugina sta avendo problemi con le nostre regole
di abbigliamento.»
Quella era una sorpresa. «Ma abbiamo la divisa, signora.»
«Certamente» disse. «Ma non fuori dalle lezioni.»
Quello era vero. Indossavo un paio di pantaloni eleganti color cachi e una camicetta
verde a maniche corte, insieme ad una piccola croce d’oro che portavo sempre. Feci un
resoconto mentale del guardaroba di Angeline, cercando di ricordare se avessi mai
visto qualcosa di preoccupante. Probabilmente la parte più terribile era la qualità dei
suoi vestiti. Angeline faceva parte dei Custodi, una comunità mista di umani, Moroi, e
dhampir che vivevano negli Appalachi. Assieme alla mancanza di elettricità e acqua
corrente, i Custodi sceglievano di cucirsi i vestiti o almeno di indossarli fino a
consumarli.
«Venerdì sera l’ho vista indossare un paio di pantaloncini di jeans terribilmente
corti» continuò la signorina Weathers con un sussulto. «L’ho sgridata immediatamente,
e lei mi ha detto che era l’unico modo per stare comoda con questo caldo. Le ho dato
un avvertimento e le ho consigliato di trovare qualcosa di più consono. Sabato si è
presentata con gli stessi pantaloncini e una canotta che era assolutamente indecente. A
quel punto l’ho sospesa e confinata nel dormitorio per il resto del weekend.»
«Mi dispiace, signora» dissi. Non avevo veramente idea di cos’altro dire. Avevo
passato il weekend impegnata nell’epica battaglia per salvare l’umanità, e ora…
pantaloncini di jeans?
La signora Weathers diventò esitante. «So… beh, so che questo non la dovrebbe
riguardare. È un problema dei genitori. Ma, visto quanto è responsabile e quanto si
prende cura della sua famiglia...»
Sospirai. «Sì, signora. Me ne occuperò io. Grazie per non preso provvedimenti più
severi.»
Andai di sopra, la mia piccola valigia diventava più pesante ad ogni gradino. Quando
raggiunsi il secondo piano, mi fermai, insicura sul da farsi. Un altro piano ancora mi
avrebbe portato alla mia stanza. Questo piano mi avrebbe portato da “mia cugina
Angeline”. Con riluttanza, imboccai il corridoio del secondo piano, sapendo che
sarebbe stato meglio occuparsi prima di questo problema.
«Sydney!» Jill Mastrano aprì la porta della sua camera, i suoi occhi verde chiaro
scintillavano di gioia. «Sei tornata.»
«Così sembra» dissi, seguendola dentro. Anche Angeline era lì che poltriva sul letto
con un libro in mano. Ero piuttosto sicura che quella fosse la prima volta che la vedevo
studiare, ma gli arresti domiciliari probabilmente limitavano le sue opzioni ricreative.
«Cosa volevano gli Alchimisti?» chiese Jill. Si sedette a gambe incrociate sul suo
letto e cominciò a giocare distrattamente con i ricci dei suoi capelli castano chiari.
Feci spallucce. «Lavoro d’ufficio. Roba noiosa. Sembra che le cose siano state un
po’ più interessanti qui.» L’ultima frase la pronunciai rivolgendo un’occhiata
penetrante ad Angeline.
La ragazza dhampir scese dal letto, la faccia furiosa e gli occhi azzurri lampeggianti
d’ira. «Non è stata colpa mia! Quella Weathers è stata decisamente fuori luogo!»
esclamò con un leggero accento del sud.
Dando una controllata ad Angeline non vidi niente di troppo preoccupante. I suoi
jeans erano logori ma dignitosi, così come la sua T-shirt. Anche la sua zazzera di capelli
biondo ramati erano ordinati, una volta tanto, e legati in una coda.
«Allora cosa diavolo ti sei messa per farla arrabbiare così tanto?» chiesi.
Con uno sguardo arrabbiato, Angeline andò al suo armadio e ne tirò fuori un paio di
pantaloncini di jeans con l’orlo più sfilacciato che avessi mai visto. Pensavo che si
sarebbero disfatti di fronte ai miei occhi. Erano anche così corti che non sarei rimasta
sorpresa nel vedere che mostravano la biancheria intima quando li aveva indosso.
«Dove li hai presi quelli?»
Angeline sembrava quasi orgogliosa. «Li ho fatti io.»
«Con cosa? Un seghetto?»
«Avevo due paia di jeans» disse in modo pratico. «Faceva così caldo fuori che ho
pensato di trasformarne un paio in pantaloncini.»
«Ha usato un coltello della mensa» disse Jill venendo in suo aiuto.
«Non riuscivo a trovare le forbici» si spiegò Angeline.
Il mio letto. Dov’era il mio letto?
«La signora Weathers ha menzionato anche una canotta indecente» dissi.
«Oh» disse Jill. «Quella era mia.»
Sentii le mia sopracciglia alzarsi. «Cosa? So che tu non ha niente di “indecente”.»
Prima che Angeline arrivasse un mese prima, io e Jill eravamo compagne di stanza.
«Non lo è» concordò Jill. «Solo che non è esattamente della taglia di Angeline.»
Guardai le due ragazze e capii. Jill era alta e magra, come molti Moroi, con un corpo
che gli stilisti di moda desideravano tantissimo, un corpo per cui avrei ucciso. Jill aveva
anche fatto la modella. Quel corpo comprendeva anche un petto modesto. Il petto di
Angeline… non era poi così modesto. Se avesse indossato una canotta della taglia di
Jill, immaginavo che l’integrità strutturale della maglia sarebbe stata tirata fino a dei
limiti indecenti.
«Jill indossa quella canotta sempre e non finisce mai nei guai» disse Angeline sulla
difensiva. «Pensavo che non sarebbe stato un problema se l’avessi presa in prestito.»
Cominciava a farmi male la testa. Tuttavia, pensavo che questo fosse meglio di
quella volta in cui Angeline era stata beccata a farsi un ragazzo nel bagno dei maschi.
«Beh. Questo è facilmente risolvibile. Possiamo andare – beh, io posso andare, dal
momento che tu sei bloccata qui – a comprarti dei vestiti della tua taglia stasera.»
«Oh» disse Angeline, diventando subito più allegra, «non ce n’è bisogno. Se ne sta
occupando Eddie.»
Se Jill non avesse annuito, avrei pensato che fosse uno scherzo. «Eddie? Eddie ti sta
comprando dei vestiti?»
Angeline sospirò felicemente. «Non è carino da parte sua?»
Carino? No, ma capivo perché Eddie l’avesse fatto. Comprare dei vestiti decenti ad
Angeline probabilmente era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare, ma lo avrebbe fatto.
Come me, capiva il senso del dovere. E adesso capivo perché Eddie aveva annullato
gli esperimenti e perché era stato vago sulle motivazioni.
Presi immediatamente il mio cellulare e lo chiamai. Mi rispose subito, come sempre.
Ero certa che non fosse mai più lontano di un metro dal suo telefono. «Ciao, Sydney.
Sono contento che tu sia tornata.» Fece una pausa. «Sei tornata, vero?»
«Sì, sono con Jill e Angeline. Ho saputo che stai facendo un po’ di shopping.»
Lui gemette. «Lasciamo stare. Sono appena entrato nella mia stanza.»
«Vuoi passare di qui con le tue compere? Devi comunque restituirmi la macchina.»
Ci fu un momento di esitazione. «Ti dispiacerebbe venire tu qui? Sempre se Jill sta
bene. Sta bene, vero? Non ha bisogno di me? Perché se è così…»
«Sta bene.» Il suo dormitorio non era lontano, ma speravo in un sonnellino veloce.
Nonostante questo, mi ritrovai ad accettare, come sempre. «Okay. Ci vediamo
nell’atrio tra quindici minuti?»
«Va bene. Grazie, Sydney.»
Non appena riattaccai, Angeline mi chiese con entusiasmo: «Eddie viene qui?»
«Vado io da lui» dissi.
Il suo entusiasmo sparì. «Ah. Immagino che non abbia importanza dato che sono
comunque rinchiusa qui. Non vedo l’ora di poter riprendere ad allenarmi. Vorrei fare
altri combattimenti a due con lui.» Non mi ero resa conto di quanto Angeline fosse
concentrata sul suo allenamento. Di fatto, sembrava molto entusiasta all’idea.
Uscii dalla loro stanza e rimasi sorpresa nel trovare Jill alle mie spalle non appena
si chiuse la porta. I suoi occhi erano grandi e tesi. «Sydney… mi dispiace.»
La guardai con curiosità, chiedendomi se avesse fatto anche lei qualcosa. «Per
cosa?»
Lei indicò la porta. «Per Angeline. Avrei dovuto impegnarmi di più a tenerla fuori
dai guai.»
Quasi sorrisi. «Quello non è il tuo lavoro.»
«Sì, lo so…» Abbassò lo sguardo e parte dei suoi lunghi capelli si spostarono in
avanti. «Ma comunque so che dovrei essere più simile a te. Invece mi sono solo… beh.
Divertita.»
«Ne hai il diritto» dissi, cercando di ignorare il sottile commento su di me.
«Dovrei comunque essere più responsabile» rispose.
«Tu sei responsabile» la rassicurai. «Specialmente messa a confronto con
Angeline.» La mia famiglia aveva un gatto nello Utah che era sicuramente più
responsabile di Angeline.
La faccia di Jill s’illuminò, e la salutai per andare a riportare la valigia nella mia
stanza. Grazie all’arrivo di Angeline e al mio impegno nell’incastrare Keith mi ero
guadagnata una stanza tutta per me nel dormitorio, cosa di cui facevo tesoro. Dentro
tutto era tranquillo e ordinato. Il mio mondo perfetto. L’unico posto che il caos della
mia vita non poteva toccare. Il letto rifatto alla perfezione mi chiedeva di mettermi a
dormire. Per dir la verità, mi implorava. Presto, gli promisi. Spero.
L’Amberwood Prep era divisa in tre campus: quello Est, dove stavano le ragazze;
quello Ovest, per i ragazzi, e quello Centrale, in cui si trovavano tutti gli edifici
accademici. C’era una navetta che viaggiava tra questi ad orari regolari, oppure i più
coraggiosi potevano farsela a piedi al caldo. Di solito le temperature non mi
disturbavano, ma camminare mi sembrava troppo faticoso quel giorno. Così presi la
navetta per il Campus Ovest e cercai di rimanere sveglia.
L’atrio del dormitorio era molto simile al nostro, c’era un continuo viavai di persone
che si apprestavano a dedicarsi ai loro impegni scolastici o semplicemente a godersi la
domenica libera. Mi guardai attorno, ma Eddie non era ancora arrivato.
«Ehi, Melbourne.»
Mi voltai e vidi Trey Juarez avvicinarsi, un ghigno sul suo volto abbronzato. Era
all’ultimo anno come me e mi aveva dato il soprannome “Melbourne” dopo che una
delle nostre insegnanti si era dimostrata incapace di ricordarsi il nome Melrose.
Onestamente, con tutti quei nomi, era un miracolo che io stessa mi ricordassi chi fossi.
«Ehi, Trey» dissi. Trey era una vera star del football, ma anche molto intelligente,
per quanto volesse nasconderlo. Per questo andavamo d’accordo, e il mio aiuto nel
ripristinare il suo prestigio di atleta aveva migliorato di molto la mia reputazione ai
suoi occhi. Aveva uno zaino su una spalla. «Finalmente vai a finire quella relazione
per il laboratorio di chimica?
«Sì» disse lui. «Io e metà della squadra delle cheerleader. Vuoi unirti a noi?»
Alzai gli occhi al cielo. «Chi sa perché ho il dubbio che non lavorerete granché. E
poi devo vedermi con Eddie.»
Trey scrollò le spalle e si tolse qualche ciocca ribelle dagli occhi. «Ci perdi tu. Ci
vediamo domani.» Fece un paio di passi e poi si voltò verso di me. «Ehi, ti vedi con
qualcuno?»
Feci subito per dire di no, ma poi mi venne in mente una cosa terrificante. Tendevo
a prendere le cose alla lettera. Delle mie amiche, Kristin e Julia, avevano cercato di
istruirmi sulle sottigliezze della vita sociale del liceo. Une delle prime cose che mi
avevano insegnato era stata che non sempre le persone pensavano quello che
dicevano… specialmente nelle questioni romantiche.
«Mi stai… mi stai chiedendo di uscire?» chiesi, sbalordita. Quella era l’ultima cosa
di cui avevo bisogno in quel momento. Cosa avrei dovuto rispondergli? Avrei dovuto
dirgli di sì? Avrei dovuto rifiutarlo? Non avevo pensato che aiutarlo a fare i compiti di
chimica mi avrebbe resa tanto seducente. Avrei dovuto lasciare che li facesse da solo.
Trey sembrava sorpreso dell’idea tanto quanto me. «Cosa? No. Certo che no.»
«Grazie al cielo» dissi. Mi piaceva Trey, ma non avevo nessun interesse nell’uscire
con lui… né capire quale fosse il modo più appropriato per dirgli di no.
Mi lanciò uno sguardo pungente. «Non c’è bisogno di sembrare così sollevata al
pensiero.»
«Scusa» dissi, cercando di nascondere il mio imbarazzo. «Perché me l’hai chiesto?»
«Perché conosco il ragazzo perfetto per te. Sono sicuro che lui sia la tua anima
gemella.»
Eravamo tornati in territorio familiare: logica contro mancanza di logica. «Non
credo nelle anime gemelle» dissi. «È statisticamente irragionevole che ci sia una sola
persona ideale per tutti nel mondo.»
Eppure, per mezzo secondo, sperai che fosse possibile. Sarebbe stato carino avere
qualcuno che capisse ciò che avevo nella testa.
Trey alzò gli occhi al cielo. «Okay. Non un’anima gemella. Cosa ne dici di qualcuno
con cui uscire una volta ogni tanto e con cui divertirti?»
Scossi la testa. «Non ho tempo per queste cose.» Ed era la verità. Tenere tutto in
ordine con il gruppo, e far finta di essere una studentessa, era già un lavoro a tempo
pieno.
«Ti dico che ti piacerebbe. Va ad una scuola pubblica e ha appena iniziato a lavorare
da Spencer.»
Spencer era una caffetteria nella quale lavorava Trey, per questo ricevevo degli
sconti. «L’altro giorno si è messo a parlare di respirazione aerobica e inaerobica e io
ho pensato: “Sai chi mi ricorda? Melbourne”.»
«Si dice respirazione anaerobica» lo corressi. «È comunque non vuol dire che io
abbia tempo. Mi dispiace.» Dovevo ammetterlo, ero immensamente curiosa di sapere
come fosse uscito quell’argomento tra due baristi, ma mi resi conto che era meglio non
incoraggiare Trey.
«Okay» disse lui. «Poi non dire che non ho cercato di aiutarti.»
«Non ci penserei mai» lo rassicurai. «Ehi, c’è Eddie.»
«È ora di andare allora. Ci vediamo ragazzi.» Trey fece un saluto militare a me e a
Eddie. «Non ti dimenticare della mia offerta se vuoi un appuntamento bollente,
Melbourne.»
Trey se ne andò, ed Eddie mi lanciò uno sguardo sbalordito. «Trey ti ha appena
chiesto di uscire?»
«No. Ha un collega di lavoro con cui vuole sistemarmi.»
«Forse non è una cattiva idea.»
«È una terribile idea. Andiamo fuori.»
Al caldo del deserto sembrava non importare che fosse ottobre, perciò lo guidai verso
una panchina vicino alla parete di stucco del dormitorio. L’ombra parziale di qualche
palme vicino dava una leggero sollievo. La gente giurava che le temperature sarebbero
calate presto, ma non avevo visto nessun cambiamento. Eddie mi consegnò le chiavi
della macchina e le buste di un negozio del posto.
«Ho dovuto andare a caso per la taglia» mi disse. «Per le cose su cui avevo dubbi,
ho preso una taglia più grande. Ho pensato fosse più sicuro così.»
«Probabilmente.» Mi sedetti sulla panchina e rovistai tra i suoi acquisti. Jeans,
pantaloni color cachi, qualche T-shirt dai colori neutri. Erano molto pratici, proprio
quello che un ragazzo pragmatico come Eddie avrebbe scelto. Approvavo. «Le taglie
sembrano giuste. Hai buon occhio. Dovremmo mandarti a fare shopping più spesso.»
«Se è quello che devo fare» disse con espressione seria. Non riuscii a non ridere per
la sorpresa.
«Stavo scherzando.» Misi le T-shirt nella busta. «So che non puoi esserti divertito.»
La faccia di Eddie non fece trapelare niente. «Oh, andiamo. Va tutto bene. Non devi
fare il finto stoico con me. So che non ti è piaciuto.»
«Sono qui per svolgere un lavoro. Non importa se mi piace o meno.»
Cominciai a protestare ma poi ci ripensai. Dopotutto, questa non era anche la mia
filosofia? Sacrificare i miei desideri per uno scopo superiore? Eddie si dedicava
profondamente a questa missione. Non si tirava mai indietro. Da lui non mi aspettavo
niente meno che determinazione.
«Allora, questo vuol dire che ti va di fare degli esperimenti stasera?» chiesi.
«Cert…» Si fermò e ci ripensò. «Vengono anche Jill e Angeline?»
«No. Angeline è ancora agli arresti domiciliari.»
«Grazie a Dio» disse con gran sollievo.
La sua reazione fu probabilmente la cosa più sorprendente di quel giorno. Non
riuscivo ad immaginare perché Eddie sembrasse così sollevato. A parte la sua lealtà da
guardiano nei confronti di Jill, era anche pazzo di lei. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per
lei, anche se non riguardava il suo lavoro, ma si rifiutava di confessarle i suoi
sentimenti. Pensava di non essere degno di una principessa. Mi venne in mente una
cosa preoccupante.
«Stai… stai evitando Jill per via di lei e Micah?»
Micah era il compagno di stanza di Eddie, un ragazzo che aveva causato a Eddie
ogni tipo di trauma degno di terapia, perché era molto simile al miglior amico morto di
Eddie, Mason. Micah aveva anche una strana pseudo-relazione con Jill. Nessuno di noi
ne era felice, dal momento che (a parte per i Custodi) le relazioni tra umani e Moroi o
dhampir erano strettamente vietate. Alla fine avevamo stabilito che era impossibile
impedire a Jill di avere una vita sociale, e lei aveva giurato che non c’era niente di serio
o fisico tra lei e Micah. Passavano solo molto tempo insieme. E flirtavano
incessantemente. Lui non sapeva la verità sul suo conto, ma mi chiedevo quando
avrebbe voluto di più dalla loro relazione. Eddie continuava ad insistere che era meglio
che Jill avesse una relazione con un umano piuttosto che con un dhampir “indegno”
come lui, ma sapevo che doveva essere una tortura.
«Certo che no» disse Eddie bruscamente. «Non è Jill che voglio evitare. È
Angeline.»
«Angeline? Cosa ha combinato adesso?»
Eddie si passò frustrato una mano tra i capelli. I suoi erano di un biondo sabbia, non
molto diversi dal mio colore, che erano di un dorato scuro. Questa somiglianza ci
aiutava a passare per gemelli. «Non mi vuole dar tregua! Lancia sempre commenti
allusivi quando sono con lei… e non la smette di fissarmi. Detta così non sembrerebbe
una cosa inquietante, ma lo è. Mi guarda sempre. E non posso evitarla perché sta
sempre con Jill, e io devo tenere Jill al sicuro.»
Ripensai ai loro incontri recenti. «Sei sicuro di interpretare la cosa nel modo giusto?
Non mi sono mai accorta di nulla.»
«Questo perché tu non noti questo genere di cose» disse lui. «Non hai idea di quante
scuse trovi per strusciarsi contro di me.»
Dopo aver visto i suoi pantaloncini fatti in casa, qualche idea ce l’avevo. «Hmm.
Beh, forse le potrei parlare io.»
All’improvviso, Eddie torno tutto serio. «No. È un mio problema, si tratta della mia
vita privata. Me ne occuperò io.»
«Ne sei sicuro? Perché posso…»
«Sydney» disse gentilmente. «Sei la persona più responsabile che conosca, ma non
sei qui per questo. Non devi occuparti di tutto e di tutti.»
«Non mi dà fastidio» dissi automaticamente. «È esattamente per questo che sono
qui.» Ma anche mentre lo dicevo, mi chiesi se fosse vero. Un po’ dell’ansia provata nel
bunker ritornò, facendomi domandare se quello che facevo fosse veramente una
responsabilità da Alchimista o semplicemente il desiderio di aiutare quelli che, contro
il protocollo, erano diventati i miei amici.
«Vedi? Adesso sembri me poco fa.» Si alzò e mi rivolse un gran sorriso. «Vuoi
venire con me da Adrian? A fare le persone responsabili insieme?»
Le sue parole volevano essere un complimento, ma assomigliavano troppo a quello
che mi avevano detto gli Alchimisti. E la signora Weathers. E Jill. Tutti pensavano che
io fossi meravigliosa, responsabile e contenuta.
Ma se ero tanto fantastica, allora perché ero sempre insicura quando si trattava di
fare la cosa giusta?
CAPITOLO 3 Traduzione: Claude
ANCHE SE EDDIE mi aveva detto di non preoccuparmi di Angeline, il mio lato più
curioso non riusciva a fare a meno di tempestarlo di domande sull’argomento. «Come
pensi di occupartene?» chiesi. «Con una chiacchierata a cuore aperto?»
Scosse la testa. «Più che altro pensavo di evitarla a meno che non sia strettamente
necessario. Sperando che perda interesse.»
«Beh, può essere un modo. Ma tu sei una persona piuttosto diretta.» Se si fosse
trovato davanti un’orda di Strigoi, non avrebbe avuto esitazioni a gettarsi nella mischia.
«Forse dovresti provare quel tipo di approccio. Parla con lei e dille onestamente che
non ti interessa.»
«È facile in teoria» rispose. «Ma non di persona.»
«A me sembra facile.»
Eddie sembrava scettico. «Questo perché tu non ti sei mai trovata in questo genere
di situazioni.»
Andare da Adrian era diventato molto più facile di quanto non lo fosse stato
all’inizio. Il suo appartamento una volta era di Keith ed era stato il luogo dove erano
morti un Moroi di nome Lee e due Strigoi. Erano ricordi difficili da cancellare. Gli
Alchimisti mi avevano offerto quell’appartamento, dal momento che ero la nuova
responsabile dell’area di Palm Springs, ma avevo preferito cederlo ad Adrian. Non ero
sicura di voler andare a vivere lì, e lui voleva tanto un appartamento tutto per sé. E
quando avevo visto quanto lo avesse reso felice la sistemazione, avevo capito di aver
fatto la scelta giusta.
Adrian aprì la porta prima che avessimo il tempo di bussare. «La cavalleria! Grazie
a Dio.»
Repressi un sorriso mentre Eddie e io entravamo nell’appartamento. La prima cosa
che mi colpiva ogni volta che andavo lì era il giallo brillante che Adrian aveva scelto
per le pareti. Era convinto che fosse un toccasana per l’umore e ci aveva avvertito di
non mettere in discussone la sua “sensibilità artistica”. Il fatto che quel giallo facesse
a pugni con i mobili di seconda mano a fantasia scozzese sembrava del tutto irrilevante.
O forse ero io a non essere abbastanza “artistica” da apprezzarlo. A ogni modo, quegli
abbinamenti assurdi rendevano l’ambiente accogliente. Non aveva niente a che vedere
con lo stile di Keith, perciò era un pochino più facile cancellare gli eventi di quella
notte. Alle volte, quando facevo vagare lo sguardo per il salotto, mi si spezzava il
respiro nel rivivere l’attacco di quei malvagi Strigoi e la morte di Lee. Ma i
cambiamenti apportati da Adrian erano una luce che spazzava via le tenebre del
passato.
Ogni tanto, quando ero triste, la personalità di Adrian aveva lo stesso effetto.
«Bella camicetta, Sage» commentò impassibile. «Fa risaltare il color cachi dei
pantaloni.»
Sarcasmo a parte, sembrava estremamente felice di vederci. Era alto, slanciato, con
la tipica struttura fisica dei Moroi, e il loro tipico pallore (sebbene diverso da quello
degli Strigoi) della pelle. Odiavo ammetterlo, ma era molto più attraente di quanto
avesse diritto d’essere. Aveva i capelli scuri scompigliati ad arte e degli occhi che alle
volte sembravano troppo verdi per essere veri. Indossava una di quelle camicie con
colletto che andavano di moda ultimamente, con una fantasia blu che mi piaceva molto.
E, dal suo odore, sembrava avesse fumato di recente, cosa che odiavo.
Dimitri e Sonya erano seduti al tavolo della cucina, impegnati a studiare un mucchio
di fogli con degli appunti scritti a mano. I fogli sembravano sparsi abbastanza a
casaccio, il che mi portò a chiedermi quanto lavoro potessero portare a termine. Io avrei
tenuto quelle pagine in perfetto ordine, sistemate per argomento.
«Mi fa piacere che tu sia tornata» disse Sonya. «Avevo bisogno di un po’ di supporto
femminile, qui.» La bellezza dei suoi capelli rossi e dei suoi zigomi alti era rovinata
dal fatto che mostrasse i denti quando sorrideva. A molti Moroi veniva insegnato presto
a evitarlo, per non farsi scoprire dagli umani. Sonya non aveva remore a farlo in
privato. Mi infastidiva molto.
Dimitri mi sorrise. Questo rese il suo viso ancora più attraente, e immaginai che la
ragione per cui Rose si era innamorata di lui non era “la saggezza da maestro zen”.
«Suppongo che tu non ti sia riposata.»
«Avevo troppo da fare» risposi.
Sonya lanciò a Eddie uno sguardo incuriosito. «Ci chiedevamo dove fossi finito.»
«Avevo degli impegni alla Amberwood» rispose in modo vago lui. Mi aveva detto
in macchina che sarebbe stato meglio non parlare della mancanza di discrezione di
Angeline e del suo shopping forzato. «Tenere d’occhio Jill e Angeline. Inoltre, ho
aspettato che tornasse Sydney, visto che voleva vedere cosa stavamo facendo.» Lasciai
correre la bugia.
«Come sta andando Angeline?» chiese Dimitri. «Sta migliorando?»
Eddie e io ci scambiamo un’occhiata. Alla faccia di evitare la sua mancanza di
discrezione. «Migliorando in cosa, esattamente?» chiesi. «A combattere, a seguire il
codice di abbigliamento o a tenere le mani a posto?»
«O a togliere il caps-lock?» aggiunse Eddie.
«L’hai notato anche tu?» chiesi.
«Difficile non accorgersene» rispose lui.
Dimitri sembrò sorpreso, il che non accadeva spesso con lui. Non lo si coglieva di
sorpresa molto spesso, ma d’altronde, nessuno poteva essere preparato alle azioni di
Angeline.
«Non pensavo di dover essere più specifico» disse Dimitri dopo una pausa.
«Intendevo a combattere.»
Eddie scrollò le spalle. «C’è stato qualche miglioramento, ma è difficile che assimili
qualcosa. Cioè, è fortemente determinata a proteggere Jill, ma è anche sicura di sapere
già come fare. Ha diversi anni di allenamenti approssimativi alle spalle. È difficile
farglieli superare. E poi lei… si distrae facilmente.»
Dovetti soffocare una risata.
Dimitri sembrava ancora preoccupato. «Non ha tempo per distrarsi. Forse dovrei
parlarle io.»
«No» replicò Eddie con fermezza; una di quelle rare volte in cui contraddiceva
Dimitri. «Hai un sacco di cose da fare qui. Allenarla è una mia responsabilità. Non ti
preoccupare.»
Adrian prese una sedia e la girò in modo da appoggiare il mento sullo schienale.
«Cosa ci dici di te, invece, Sage? So che non dobbiamo preoccuparci che tu possa
violare il codice di abbigliamento. Ti sei divertita alle terme degli Alchimisti questo
week-end?»
Appoggiai la borsa per terra e mi diressi verso il frigo. «Se per terme intendi un
bunker sotterraneo. E si trattava solo di lavoro.» Feci una smorfia guardandoci dentro.
«Mi avevi promesso che avresti comprato qualche bevanda dietetica.»
«Sì, è vero» rispose Adrian, non mostrando alcun rimorso. «Ma poi ho letto un
articolo in cui c’era scritto che quei dolcificanti artificiali non fanno bene. Quindi ho
pensato di badare alla tua salute.» Fece una pausa. «Non c’è di che.»
Dimitri diede voce a quello a cui tutti stavamo pensando. «Se vuoi cominciare a
parlare di sane abitudini, te ne potrei suggerire qualcuna.»
Se Eddie o io avessimo fatto un’osservazione del genere, ad Adrian sarebbe
scivolato addosso, soprattutto dal momento che era assolutamente corretta. Ma detto
da Dimitri? Era completamente diverso. C’era un sacco di tensione tra loro due, una
tensione che andava crescendo da molto tempo. La fidanzata di Dimitri, una nota
dhampir di nome Rose Hathaway, era uscita per qualche tempo con Adrian. Non era
stata sua intenzione ferirlo, ma era sempre stata innamorata di Dimitri in quel periodo.
Era inevitabile che andasse a finire male. Adrian aveva ancora molte cicatrici
lasciategli da quell’esperienza ed era particolarmente pungente nei confronti di Dimitri.
«Non vorrei mai darti disturbo» disse Adrian in tono un po’ troppo freddo. «E poi,
quando non lavoro duramente alle ricerche, conduco per conto mio un esperimento
sulla capacità che hanno sigarette e gin di accrescere il carisma. Come potrai
immaginare, i risultati sono davvero promettenti.»
Dimitri sollevò un sopracciglio. «Aspetta, torna indietro. Hai detto lavorare
duramente?»
Il tono di Dimitri era leggero e scherzoso e, di nuovo, rimasi sorpresa dal “due pesi
e due misure” di Adrian. Se io avessi fatto un commento del genere, lui avrebbe
risposto qualcosa del tipo: “Assolutamente, Sage. Probabilmente vincerò il Nobel per
questo”. Ma per Adrian le parole di Dimitri erano un invito allo scontro. Vidi un
luccichio negli occhi di Adrian, un guizzo di un dolore passato, e ne rimasi colpita.
Non era il suo modo di fare. Aveva sempre il sorriso e la battuta pronta, anche se
potevano rivelarsi irriverenti e inappropriate. Ero abituata a quello. Quasi mi piaceva.
Guardai Adrian con un sorriso e sperai che sembrasse sincero, piuttosto che un
tentativo disperato di creare un diversivo. «Ricerche, eh? Pensavo fossi un uomo dedito
al gioco d’azzardo.»
Ci vollero alcuni minuti perché lo sguardo di Adrian abbandonasse Dimitri e si
fissasse su di me. «Sì, gioco a dadi di tanto in tanto» disse cautamente. «Perché?»
Scrollai le spalle. «Niente. Mi chiedevo se ti andrebbe di mettere da parte le tue
ricerche sul carisma per fare una sfida. Se riuscirai a passare ventiquattro ore senza
sigarette, io berrò una lattina di una bevanda gassata. Una bevanda gassata con gli
zuccheri. Un’intera lattina.»
Vidi il baluginio di un sorriso rifarsi strada sul volto di Adrian. «Non lo faresti mai.»
«Assolutamente sì.»
«Metà lattina e finiresti in coma.»
Sonya si accigliò. «Hai il diabete?» mi chiese.
«No» rispose Adrian. «Ma Sage è convinta che un leggero eccesso di calorie la farà
passare da magrissima a regolarmente magra. Una tragedia.»
«Ehi» lo ripresi. «Tu pensi che sia una tragedia passare un’ora senza sigarette.»
«Non mettere in dubbio la mia volontà di ferro. Oggi sono stato due ore senza
sigarette.»
«Resisti ventiquattr’ore e avrai la mia stima.»
Mi lanciò un’occhiata di finta sorpresa. «Intendi dire che non ce l’ho già? E io che
pensavo fossi rimasta abbagliata fin dal primo momento.»
Sonya scosse la testa con aria indulgente, come se fossimo due bambini adorabili.
«Non sai che ti perdi, Sydney» commentò, indicando la lattina aperta davanti a sé. «Io
ho bisogno di tre di queste al giorno per restare concentrata su questo lavoro. Nessun
effetto nocivo finora.»
Nessun effetto nocivo finora? Ovviamente no. Per i Moroi non ce n’erano mai.
Sonya, Jill… loro potevano mangiare tutto quello che volevano senza prendere un solo
grammo. Invece io dovevo metabolizzare ogni singola caloria e non riuscivo comunque
a raggiungere quel livello di perfezione. Entrare in quei pantaloni kaki taglia quaranta
quella mattina era stato un trionfo. Ma in quel momento, guardando la corporatura
snella di Sonya, mi sentii enorme in confronto. Improvvisamente mi pentii della mia
proposta di bere una lattina di una bevanda gassata, anche se così facendo ero riuscita
a distrarre Adrian. Pensavo di poter dormire sogni tranquilli, visto che sarebbe stato
impossibile per lui passare una giornata senza sigarette. Non sarei mai stata chiamata
a pagare la mia scommessa zuccherata.
«Credo che dovremmo metterci a lavoro. Stiamo perdendo tempo» ci rimise in riga
Dimitri.
«Hai ragione» disse Adrian. «Abbiamo sprecato cinque minuti di valida ricerca.
Pronto per divertirti un po’, Castile? So quanto ti diverte oziare.» Dal momento che
stavano cercando di trovare qualcosa di strano in Dimitri, Sonya e Adrian facevano
spesso sedere i due dhampir vicino per studiare la loro aura nei minimi dettagli. La loro
speranza era che la trasformazione di Dimitri in Strigoi avesse lasciato qualche segno
che potesse spiegare come mai fosse immune a un’eventuale ritrasformazione. Era una
buona idea, anche se non si addiceva ad una persona attiva come Eddie.
Ma, naturalmente, lui non si lamentò. Eddie mantenne un’espressione concentrata
esattamente come Dimitri. «Ditemi cosa vi serve.»
«Vogliamo fare un altro studio dell’aura» spiegò Sonya. A quanto pare il povero
Eddie sarebbe rimasto ancora seduto. «L’ultima volta ci siamo concentrati sulla
presenza dello spirito. Questa volta vogliamo mostrare a entrambi delle immagini per
vedere se provocano qualche cambiamento di colore nella vostra aurea.» Annuii, in
cenno di assenso. Diversi esperimenti psicologici utilizzavano tecniche simili, anche
se di solito monitoravano le reazioni psicologiche invece che le loro aure mistiche.
«Io dico che è comunque uno spreco di energie» disse Adrian. «Sono entrambi
dhampir, ma questo non vuol dire che ci dobbiamo aspettare reazioni differenti solo
perché Belikov era uno Strigoi. Ognuno è unico. Ognuno risponde in maniera diversa
alla vista di un’immagine di un gattino o di ragni. Il mio vecchio odia i gatti.»
«Come si fa ad odiare i gatti?» chiese Eddie.
Adrian fece una smorfia. «È allergico.»
«Adrian» lo riprese Sonya. «Ne abbiamo già discusso. Rispetto la tua opinione ma
credo comunque che potremmo scoprire molto.» In realtà ero molto colpita che Adrian
avesse un’opinione. Fino a quel momento mi era sembrato che stesse facendo tutto
quello che Sonya e Dimitri gli dicevano di fare, senza dare troppo peso agli
esperimenti. E, sebbene non ne sapessi molto delle auree che circondavano ogni essere
vivente, comprendevo il suo punto di vista: le differenze individuali avrebbero potuto
rendere inutili le loro ricerche.
«Tutti i dati raccolti sono utili in questo caso» aggiunse Dimitri. «Specialmente dal
momento che non abbiamo trovato nulla, finora. Sappiamo che c’è qualcosa di diverso
in coloro che sono stati Strigoi. Non possiamo sprecare nessuna opportunità di
osservare quale sia.»
Le labbra di Adrian si ridussero a una linea, ma non protestò oltre. Forse perché si
sentiva schiacciato, ma ebbi la sensazione che semplicemente non voleva battibeccare
con Dimitri.
Quando distolsero l’attenzione da me, mi accomodai in salotto con un libro,
cercando di rimanere sveglia. Non avevano bisogno di me. Ero andata solo per tenere
compagnia a Eddie. Di tanto in tanto davo un’occhiata ai loro progressi. Dimitri ed
Eddie guardavano le immagini sul portatile di Sonya mentre lei le faceva scorrere. A
turno, Adrian e Sonya studiavano da vicino i dhampir e prendevano appunti. Speravo
quasi di poter vedere le fasce di colore e di luce e mi chiesi se c’erano davvero delle
differenze evidenti. Osservando Eddie e Dimitri, ogni tanto notavo dei cambiamenti
nelle loro espressioni quando sullo schermo vedevano delle immagini particolarmente
tenere o raccapriccianti, ma, per la maggior parte, il loro lavoro rimaneva un mistero
per me.
Curiosa, mi avvicinai a Sonya quando erano più o meno a metà del lavoro. «Cosa
vedi?» chiesi a bassa voce.
«Colori» rispose lei. «Brillano attorno a ogni essere vivente. Eddie e Dimitri hanno
colori diversi, ma mostrano le stesse reazioni.» Cambiò l’immagine sullo schermo e
apparve una fabbrica che immetteva fumo nero in un cielo altrimenti pulito. «A
nessuno dei due piace quest’immagine. Le loro aure si offuscano e diventano più
scure.» Passò all’immagine successiva, con un sorriso sulle labbra. Tre gattini
apparvero sullo schermo. «E adesso si animano. L’affetto è davvero facile da
individuare in un’aura. Finora hanno reagito in maniera normale. Non c’è alcun segno
nell’aura di Dimitri che lo renda diverso da Eddie.» Ritornai sul divano.
Dopo un paio di ore, Sonya si fermò. «Credo che abbiamo visto tutto. Grazie,
Eddie.»
«Felice di aiutarvi» replicò lui, alzandosi dalla sedia e stiracchiandosi. Sembrava
sollevato sia dal fatto che fosse finita, sia dal fatto che non si fosse limitato soltanto a
fissare il vuoto. Lui era una persona attiva ed energica, e non gli piaceva sentirsi
prigioniero.
«Comunque… abbiamo qualche altra idea» aggiunse lei. «Pensate di farcela a stare
un altro po’?» Naturalmente lo chiese proprio mentre stavo sbadigliando.
Eddie mi guardò comprensivo. «Io resto, ma non c’è bisogno che rimanga anche tu.
Vai a dormire. Troverò un passaggio per tornare.»
«No, no» dissi, soffocando un secondo sbadiglio. «Non mi pesa. Quali sono le altre
idee?»
«Speravo di fare qualcosa di simile con Eddie e Dimitri» spiegò lei. «Ma questa
volta useremo i suoni invece delle immagini. Dopodiché vorrei vedere come
reagiscono ad un diretto contatto con lo spirito.»
«Credo sia una buona idea» dissi, non del tutto sicura di cosa implicasse l’ultima
frase. «Fate quello che dovete fare. Io aspetterò.»
Sonya si guardò attorno e sembrò notare che non ero l’unica ad avere l’aria stanca.
«Forse dovremmo prima mangiare qualcosa.» Eddie si illuminò nell’udire quella frase.
«Vado io» mi offrii. Era la dimostrazione che, adesso, quando i vampiri parlavano
di “cibo” non andavo più in iperventilazione. Sapevo che non si riferiva al sangue, visto
che c’eravamo anche io e due dhampir. E poi non c’era nessun donatore nelle
vicinanze. I donatori erano degli umani che donavano di loro spontanea volontà il
proprio sangue ai Moroi per l’estasi provocata dal morso. Tutti sapevano che non era
un argomento su cui scherzare in mia presenza. «C’è un buon ristorante tailandese
d’asporto a qualche isolato da qui.»
«Ti aiuto io» disse Adrian impaziente.
«Ti aiuto io» disse Sonya. «L’ultima volta che sei uscito per una commissione sei
sparito per due ore.» Adrian aggrottò le sopracciglia, ma non respinse l’accusa. «In
ogni caso le nostre osservazioni sulle auree sono state identiche. Puoi cominciare con
le nuove senza di me.»
Sonya e io prendemmo gli ordini di tutti e uscimmo. Non mi sembrava di aver
bisogno di aiuto, ma immaginai che trasportare il cibo per cinque persone, anche se
solo per pochi isolati, fosse scomodo. Tuttavia, presto capii che aveva altri motivi per
venire con me.
«Che bello uscire a sgranchirsi le gambe» disse. Era tardo pomeriggio, il che
significava meno sole e meno caldo: una condizione che i Moroi adoravano.
Camminammo lungo una strada che portava in centro, con appartamenti eleganti e
piccoli negozi. Tutto intorno a noi si stagliavano delle palme enormi, che creavano un
interessante contrasto con l’eclettico panorama urbano. «Sono rimasta chiusa lì dentro
tutto il giorno.»
Le sorrisi. «E io che pensavo che Adrian fosse l’unico con la smania di uscire per
tutto il lavoro che fate.»
«Lui è solo quello che si lamenta di più» spiegò. «Il che è quasi divertente,
considerando che lui è quello che tra noi esce di più, tra le sue lezioni e i suoi intervalli
per andare a fumare.» Mi ero quasi dimenticata dei due corsi d’arte che Adrian stava
seguendo in un college del posto. Di solito teneva i suoi ultimi progetti in bella vista,
ma ultimamente non ce n’erano più nel salotto. Fino a quel momento non mi ero accorta
di quanto mi mancassero. Forse lo facevo penare, ma alle volte quegli scorci artistici
nel suo mondo erano affascinanti.
Sonya mi fece un breve resoconto dei piani per il suo matrimonio mentre
percorrevamo la breve distanza che ci separava dal ristorante tailandese. La sua
relazione con il dhampir Mikhail Tanner era epica sotto diversi aspetti. Per prima cosa,
dhampir e Moroi non s’impegnavano mai in relazioni serie. Di solito, si trattava per lo
più di rapporti casuali che portavano alla riproduzione di altri dhampir. In aggiunta allo
scandalo del suo impegno, Mikhail aveva dato la caccia a Sonya quando era diventata
una Strigoi, per liberarla dal suo stato abominevole. Rose aveva cercato di fare lo stesso
con Dimitri, credendo che la morte fosse migliore di una vita da Strigoi. Mikhail aveva
fallito, ma il loro amore era rimasto abbastanza solido nonostante quel calvario, che
quando erano riusciti a ritrasformare Sonya, erano immediatamente tornati insieme.
Non riuscivo neppure ad immaginare un amore del genere.
«Ancora non abbiamo scelto i fiori» continuò. «Ortensie o gigli. Ma credo di sapere
a favore di quale dei due vada il tuo voto.»
«In realtà, direi le ortensie. Ho già troppi gigli intorno a me.»
Lei rise e, improvvisamente, si inginocchiò davanti a un’aiuola piena di gladioli.
«Più di quanti pensi. Ci sono gigli che dormono in questo prato.»
«Sono fuori stagione» puntualizzai.
«Niente è mai fuori stagione.» Sonya si guardò attorno con discrezione e poi
appoggio le mani sulla terra. Alcuni secondi dopo, apparvero dei germogli verde scuro,
che crebbero fino a quando un giglio rosso non spuntò sulla cima. «Ah, rossi. Quelli
degli Alchimisti sono bianchi… oh, stai bene?»
Ero indietreggiata così tanto sul marciapiede che ero quasi finita in strada. «Non…
dovresti farlo. Potrebbe vederti qualcuno.»
«Non mi ha vista nessuno» disse lei, rialzandosi. La sua espressione si ammorbidì.
«Scusami, a volte dimentico cosa ti suscita la magia. È stato scorretto da parte mia.»
«Va tutto bene» le dissi, malgrado non ne fossi sicura. La magia dei vampiri mi
faceva sempre accapponare la pelle. I vampiri, creature che si nutrivano di sangue,
erano già abbastanza tremendi così. Ma riuscire a manipolare il mondo con la magia
era ancora peggio. Quel giglio, benché bellissimo, aveva un aspetto sinistro. Non
avrebbe dovuto esistere in quel periodo dell’anno.
Non parlammo oltre di magia, e presto raggiungemmo la strada principale del centro,
dove si trovava il ristorante tailandese. Facemmo il nostro gigantesco ordine d’asporto
e ci dissero di aspettare quindici minuti. Sonya e io restammo fuori, ad ammirare le
palme del centro città nel tramonto. In giro c’era gente impegnata negli acquisti
dell’ultimo minuto, e nei ristoranti c’era un andirivieni di clienti. Molti locali avevano
dei tavoli all’aperto sul marciapiede, ed eravamo circondate da conversazioni
amichevoli. Una grossa fontana, piastrellata di colori brillanti, affascinava i bambini e
spingeva i turisti a fermarsi per una foto. Sonya si faceva facilmente distrarre dalle
varie piante e dagli alberi che in città venivano utilizzati per abbellire le strade. Anche
se non avesse avuto l’abilità di utilizzare lo spirito per influenzare gli esseri viventi,
sarebbe stata lo stesso un’appassionata di giardinaggio.
«Ehi, tu! Melrose maggiore!»
Mi girai e trasalii nel vedere Lia DiStefano venire verso di me. Lia era una stilista di
moda con un negozio qui, nel centro di Palm Springs. Non mi ero accorta che fossimo
di fronte al suo negozio. Perché, in tal caso, sarei rimasta ad aspettare dentro. Lia era
bassa, ma aveva una personalità travolgente, accentuata dallo stile da gitana molto
appariscente che spesso sceglieva per le sue tenute.
«Sono settimane che ti chiamo» disse, una volta raggiunto il nostro lato della strada.
«Perché non hai risposto?»
«Sono stata davvero molto impegnata» risposi con espressione seria.
«Ah.» Lia si mise le mani sui fianchi e cercò di guardarmi dall’alto in basso, cosa
abbastanza divertente, dal momento che io ero più alta di lei. «Quando permetterai a
tua sorella di farmi ancora da modella?»
«Signorina DiStefano» le spiegai paziente, «gliel’ho già detto. Non può più farlo. Ai
nostri genitori non piace. La nostra religione non permette di farci fotografare in viso.»
Il mese scorso, il perfetto fisico da passerella di Jill e i suoi bellissimi tratti eterei
avevano attirato l’attenzione di Lia. Visto che farsi fare una caterva di foto era
decisamente un pessimo modo per rimanere nascosti, avevamo concesso che Jill
sfilasse per Lia solo perché tutte le modelle avrebbero indossato una maschera
veneziana. Da allora Lia aveva continuato a chiedermi di far sfilare di nuovo Jill. Era
davvero difficile, perché sapevo che Jill lo voleva, ma, come me, capiva che la
sicurezza veniva prima. Dicendo che facevamo parte di una setta religiosa spesso
eravamo riusciti a spiegare i nostri strani comportamenti, quindi avevo immaginato che
mi sarei tolta anche Lia di torno. Non era andata così.
«Non ho mai sentito questi vostri genitori» disse Lia. «Ho guardato la tua famiglia,
ho visto come stanno le cose. Sei tu l’autorità. È a te che devo chiedere. Ho la
possibilità di pubblicizzare le mie sciarpe e i miei cappelli su una rivista, e Jill sarebbe
perfetta per il servizio. Cosa posso fare per averla? Vuoi una parte della paga?»
Sospirai. «Non è per i soldi. Non possiamo mostrare il suo viso. Se vuole metterle
di nuovo una maschera veneziana, allora faccia pure.»
Lia aggrottò le sopracciglia. «Non posso.»
«Allora siamo a un punto morto.»
«Dev’esserci qualcosa. Tutto ha un prezzo.»
«Mi dispiace.» Non c’era nessun prezzo che avrebbe potuto offrirmi per farmi venire
meno ai miei doveri nei confronti di Jill e degli Alchimisti.
Un cameriere del ristorante si affacciò per informarci che il nostro ordine era pronto,
liberandoci fortunatamente di Lia. Sonya ridacchiava mentre prendevamo le buste e
tornavamo all’appartamento di Adrian. Il cielo era ancora violetto, rischiarato dagli
ultimi raggi di luce della giornata, e la luce dei lamponi, che passava tra le foglie delle
palme, disegnava strane fantasie sul marciapiede.
«Avresti mai pensato che sbarazzarti di una stilista avrebbe fatto parte del tuo
lavoro?» chiese Sonya.
«No» ammisi. «Sinceramente non mi aspettavo neppure la metà delle cose che
questo lavoro…»
«Sonya?»
Un uomo giovane apparve praticamente dal nulla, bloccandoci la strada. Non lo
conoscevo e sembrava un po’ più grande di me. Aveva i capelli neri a spazzola e
guardava Sonya con curiosità.
Lei si fermò e aggrottò la fronte. «Ti conosco?»
Lui si illuminò. «Certo. Jeff Eubanks. Ti ricordi?»
«No» rispose lei in tono educato, dopo averlo osservato per qualche momento. «Devi
avermi scambiata per qualcun altro. Mi dispiace.»
«No, no» insistette lui. «So che sei tu. Sonya Karp, giusto? Ci siamo conosciuti nel
Kentucky l’anno scorso.»
Sonya si irrigidì. Aveva fatto del Kentucky la sua casa quando era una Strigoi.
Immaginavo che non fossero ricordi piacevoli.
«Mi dispiace» ripeté, la voce tesa. «Non so di cosa tu stia parlando.»
Il tizio rimase imperturbabile, continuando a sorridere come se fossero migliori
amici. «È un lungo viaggio dal Kentucky. Cosa ti ha portata qui? Io mi sono trasferito
per lavoro.»
«Ci dev’essere un errore» dissi io rigidamente, spingendo Sonya in avanti. Non
sapevo di che tipo di errore si trattasse, ma mi bastava la reazione di Sonya. «Dobbiamo
andare.»
Il tizio non ci seguì, ma Sonya rimase in silenzio per gran parte del tragitto verso
casa.
«Dev’essere difficile» dichiarai, sentendo di dover dire qualcosa. «Incontrare
qualcuno del tuo passato.»
Lei scosse la testa. «Non fa parte del mio passato. Ne sono certa. Non l’ho mai visto
prima.»
Pensavo volesse semplicemente evitare qualsiasi richiamo al suo periodo da Strigoi.
«Sei sicura? Non era un semplice conoscente?»
Mi lanciò un’occhiata sarcastica. «Gli Strigoi non hanno semplici conoscenti tra gli
umani. Loro se li mangiano per cena. Quel tizio non avrebbe dovuto sapere chi ero.»
«Era davvero un umano? Non un dhampir?» Io non vedevo alcuna differenza tra le
due specie, ma i Moroi sì.
«Assolutamente.»
Sonya si fermò di nuovo, lanciando un’occhiata al tizio che si allontanava. Seguii il
suo sguardo. «Dev’esserci una ragione se ti ha riconosciuto. Sembrava innocuo.»
Con questo mi guadagnai un altro sorriso. «Andiamo, Sydney. Pensavo che ormai ci
frequentassi da abbastanza tempo per capirlo.»
«Capire cosa?»
«Che nulla è innocuo come sembra.»
CAPITOLO 4 Traduzione: alicusi
SONYA NON DISSE NIENTE sul misterioso incontro al resto del gruppo che si
trovava a casa di Adrian, quindi rispettai il suo silenzio. Tutti gli altri erano troppo
occupati con la cena e gli esperimenti per accorgersi d’altro. E, una volta condotta la
seconda parte esperimenti, persino io mi distrassi al punto di smettere di pensare molto
al tizio incontrato per strada.
Sonya aveva detto che voleva vedere come reagivano Eddie e Dimitri ad un contatto
diretto con lo spirito. Per far ciò, lei e Adrian concentrarono la loro magia su un
dhampir alla volta.
«È un po’ quello che faremmo se volessimo cercare di guarirli o far crescere
qualcosa» mi spiegò Sonya. «Non preoccuparti, non li renderemo giganti o cose del
genere. Sarà come rivestirli con la magia dello spirito. Se Dimitri ha un marchio che
gli è rimasto da quando è stato guarito, suppongo che dovrebbe reagire alla nostra
magia.»
Lei ed Adrian coordinarono la loro tempistica e partirono con Eddie. Inizialmente
non ci fu niente da vedere: solo due conoscitori dello spirito che fissavano Eddie. Lui
sembrava a disagio sotto quell’esame. Poi vidi un luccichio argentato passare sul suo
corpo. Feci un passo indietro stupefatta, e turbata, nel vedere una manifestazione fisica
dello spirito. Ripeterono il processo su Dimitri, con lo stesso risultato.
Apparentemente, anche sul piano invisibile, le cose stavano allo stesso modo. Non ci
fu niente di particolare nella reazione di Dimitri. Tutti loro gestirono la cosa senza
problemi, in quanto parte del processo scientifico, ma vedere la magia avvolgere quei
due uomini mi aveva terrorizzato.
Mentre Eddie ed io tornavamo in macchina alla Amberwood, mi ritrovai a sedere il
più lontano possibile da lui, come se la magia residua potesse fuoriuscire dal suo corpo
e toccarmi. Lui fece conversazione con me nella solita maniera amichevole, e io dovetti
sforzarmi parecchio per nascondere i miei sentimenti. Questo mi fece sentire in colpa.
Era sempre Eddie, dopo tutto. Un mio amico. La magia, anche se avrebbe potuto farmi
male, era sparita da un bel po’.
Una lunga notte di sonno servì a scrollarmi di dosso sia l’ansia che il senso di colpa,
rendendo la magia un lontano ricordo quando mi svegliai e mi preparai per le lezioni il
giorno dopo. Anche se essere alla Amberwood era un incarico, quella scuola esclusiva
aveva cominciato a piacermi molto. Ero stata istruita a casa prima di venire qui e, anche
se mio padre aveva svolto un programma impegnativo, non era mai andato oltre quello
che riteneva necessario. Qui, anche se la mia conoscenza superava quello che
insegnavano i miei corsi, c’erano molti professori pronti a incoraggiarmi a fare di più.
Non mi avevano permesso di andare all’università, ma questa era una bell’alternativa.
Prima che mi ci potessi dedicare, dovetti supervisionare una sessione di allenamento
tra Eddie ed Angeline. Anche se lui avrebbe voluto evitarla, non lo faceva… non
quando c’era la sicurezza di Jill in ballo. Angeline era parte della difesa di Jill. Mi
sedetti sull’erba con una tazza di caffè, chiedendomi ancora se per caso non si stesse
solo immaginando l’interesse di Angeline. Avevo acquistato di recente una caffettiera
da una tazza per la mia stanza nel dormitorio e, sebbene non fosse paragonabile a quello
di un bar, quel caffè mi aveva fatto superare una marea di mattinate difficili. Uno
sbadiglio coprì il saluto che rivolsi a Jill quando si sedette accanto a me.
«Eddie non mi allena più» disse malinconicamente, mentre guardavamo lo
spettacolo. Eddie stava cercando di spiegare pazientemente ad Angeline che dare
testate, sebbene fosse utile in una rissa al bar, non era la tattica migliore contro gli
Strigoi.
«Sono sicura che lo farà se avrà più tempo» dissi, anche se non ero per niente sicura.
Adesso che poteva ammettere a se stesso ciò che provava per Jill, lo agitava toccarla
troppo. E poi la sua parte cavalleresca non voleva che Jill rischiasse. Il che era ironico,
perché la volontà di Jill nel voler imparare l’autodifesa (cosa rara per un Moroi) era il
motivo per cui era attratto da Jill. «Angeline è stata chiamata a proteggerti. Deve
assicurarsi che sia in grado di farlo.»
«Lo so. È solo che mi sembra che tutti vogliano coccolarmi.» Si accigliò. «Durante
educazione fisica Micah non mi lascia fare niente. Dopo che ho avuto quel problema
all’inizio, adesso è convinto che mi farò male. Continuo a dirgli che sto bene, che era
solo il sole… ma continua a intromettersi. È dolce… ma a volte mi fa diventare matta.»
«L’ho notato» ammisi. Ero nella stessa classe di educazione fisica. «Ma non penso
che Eddie non voglia allenarti per questo. Sa che puoi farcela. È orgoglioso di questa
cosa… pensa soltanto che se lui sa fare il suo lavoro, tu non hai bisogno di imparare.
È una logica piuttosto strana.»
«No, lo capisco.» Il suo precedente disappunto si trasformò in approvazione quando
si mise a guardare l’allenamento. «È molto scrupoloso e… beh, bravo in quello che
fa.»
«Il ginocchio è un modo semplice per neutralizzare qualcuno» Eddie disse ad
Angeline. «Specialmente se ti trovi disarmata e devi…»
«Quando hai intenzione di insegnarmi come usare i paletti e a decapitare?» lo
interruppe, le mani sui fianchi. «Dici sempre: colpisci qui, schiva questo, bla bla bla.
Devo allenarmi a uccidere gli Strigoi.»
«No.» Eddie era l’immagine della pazienza ed era tornato nella sua modalità
determinata e pronta che conoscevo bene. «Non sei qui per uccidere Strigoi. Forse
possiamo allenarci in quello in un secondo momento, ma adesso, la tua priorità è tenere
lontano da Jill assassini mortali. Quello ha la precedenza su tutto il resto, anche sulla
nostra vita.» Lanciò uno sguardo a Jill per enfasi, e ci fu un bagliore di ammirazione
nei suoi occhi mentre la guardava.
«Direi che anche con la decapitazione si possono uccidere i Moroi» borbottò
Angeline. «E, tra parentesi, avete avuto un problema con gli Strigoi il mese scorso.»
Jill si mosse a disagio accanto a me e persino Eddie si fermò. Era vero, aveva dovuto
uccidere due Strigoi di recente, quando l’appartamento di Adrian apparteneva ancora
a Keith. Lee Donahue aveva condotto degli Strigoi da noi. Lui era un Moroi che in
passato era stato Strigoi. Dopo essere stato riportato al suo stato naturale, Lee voleva
disperatamente tornare Strigoi. Era stato grazie a lui se avevamo scoperto che coloro
che venivano risanati dallo spirito sembravano avere una specie di resistenza alla
ritrasformazione in Strigoi. I due Strigoi che aveva chiamato per aiutarlo avevano
provato a trasformarlo, ma avevano finito per ucciderlo… un fato migliore dell’essere
un non-morto, secondo me.
Quegli Strigoi poi si erano dedicati a noi e, inavvertitamente, avevano rivelato
qualcosa di inaspettato e preoccupante (se non per loro, almeno per me). Il mio sangue
era immangiabile. Avevano provato a nutrirsi di me ma non ci erano riusciti. Con tutte
le conseguenze di quella notte, nessuno, né tra gli Alchimisti né tra i Moroi, aveva
prestato grande attenzione a quel piccolo dettaglio… e io ne ero felice. Ero terrorizzata
che da un momento all’altro a qualcuno potesse venire in mente di mettermi sotto
esame.
«Quello è stato un caso» disse Eddie alla fine. «Un caso che probabilmente non si
ripeterà più. Adesso guarda come muovo la gamba, e ricorda che un eventuale Moroi
probabilmente sarà più alto di te.»
Fece una dimostrazione e io lanciai un’occhiata veloce a Jill. La sua espressione era
indecifrabile. Non parlava mai di Lee, che aveva frequentato brevemente. Micah si era
impegnato tantissimo per distrarla sul fronte sentimentale, ma che il tuo ex-ragazzo
avesse voluto diventare un mostro assetato di sangue non doveva essere una cosa facile
da superare. Avevo la sensazione che ci stesse ancora male, anche se era bravissima a
nasconderlo.
«Sei troppo rigida» disse Eddie ad Angeline, dopo parecchi tentativi.
Lei rilassò completamente il suo corpo, quasi come una marionetta. «Quindi come?
Così?»
Lui sospirò. «No. Serve comunque un po’ di tensione.»
Eddie si mosse dietro di lei e tentò di aiutarla a mettersi in posizione, mostrandole
come piegare le ginocchia e mettere le braccia. Angeline colse l’occasione per
appoggiarsi contro di lui e strusciarsi suggestivamente contro il suo corpo. Strabuzzai
gli occhi. Ok. Forse non era la sua immaginazione.
«Ehi!» Eddie fece un salto indietro, un’espressione orripilata in viso. «Fai
attenzione! Devi imparare.»
La sua espressione era di pura innocenza angelica. «Lo sto facendo. Sto solo
cercando di usare il tuo corpo per imparare cosa fare con il mio.» E, che Dio mi aiuti,
batté le ciglia. Eddie indietreggiò ancora di più.
Mi resi conto che probabilmente avrei dovuto intervenire, nonostante Eddie avesse
detto che doveva occuparsi da solo dei suoi problemi. Una salvezza migliore arrivò
quando suonò la campanella della mezz’ora. Saltai in piedi.
«Ehi, ci conviene andare se vogliamo arrivare in tempo a colazione. Subito.»
Angeline mi scoccò un’occhiata sospettosa. «Di solito tu non salti la colazione?»
«Sì, ma non sono io a lavorare sodo di prima mattina. Tra l’altro ti devi ancora
cambiare e… Aspetta, hai la divisa?» Non me n’ero neanche accorta. Ogni volta che
Eddie e Jill si allenavano, lo facevano in tuta da ginnastica, esattamente come era
vestito lui adesso. Angeline oggi si era presentata con l’uniforme della Amberwood,
gonna e camicia che mostravano l’usura e lo stropiccìo della battaglia mattutina.
«Sì, e quindi?» Si sistemò la camicia nella gonna. Sul fianco era macchiata di terra.
«Ti dovresti cambiare» dissi.
«No. Questa va bene.»
Non ne ero così sicura, ma almeno era meglio dei pantaloncini jeans. Eddie andò a
mettersi la divisa e non tornò per la colazione. Sapevo che gli piaceva farla, e dal
momento che era un ragazzo, si cambiava piuttosto in fretta. La mia ipotesi era che
stesse sacrificando il cibo pur di star lontano da Angeline.
Sentii chiamare il mio nome mentre entravamo in mensa e vidi Kristin Sawyer e
Julia Cavendish salutarmi con la mano. A parte Trey, loro erano le due amiche più
importanti che mi ero fatta alla Amberwood. Dovevo ancora fare molta strada per
diventare un’esperta di socializzazione, ma loro due mi avevano aiutato molto. E con
tutti gli intrighi sovrannaturali che richiedeva il mio lavoro, c’era qualcosa di
confortante nell’essere circondati da persone normali e… beh, umane. Anche se non
potevo essere completamente sincera con loro.
«Sydney, abbiamo una domanda sulla moda per te» disse Julia. Si spostò i capelli
biondi dietro una spalla, il tipico gesto che indicava che quello che stava per dire era
della massima importanza.
«Una domanda sulla moda per me?» Ero quasi sul punto di guardarmi alle spalle per
vedere se c’era un’altra Sydney dietro di me. «Penso che nessuno me ne abbia mai
fatte.»
«Hai dei vestiti davvero eleganti» insisté Kristin. Aveva capelli e pelle scura, e
un’aria atletica che contrastava con la natura più femminile di Julia. «Troppo eleganti,
a dire il vero. Se mia mamma avesse dieci anni in meno, fosse figa e avesse molti più
soldi, si vestirebbe proprio come te.» Non sapevo se fosse un complimento o no, ma
Julia non mi diede il tempo di rifletterci.
«Diglielo, Kris.»
«Ti ricordi di quel tirocinio di consulenza che volevo fare il prossimo semestre? Mi
sono aggiudicata un colloquio» spiegò Kristin. «Sto cercando di decidere se mettermi
giacca e pantaloni oppure un vestito.»
Ah, questo spiegava perché si erano rivolte a me. Un colloquio. Per qualsiasi altra
cosa avrebbero potuto leggere una rivista di moda. E sebbene potessi ammettere che
probabilmente io ero l’autorità per questioni così pratiche… beh, rimasi un po’ delusa
di essere stata interpellata per quel motivo. «Di che colore sono?»
«La giacca è rossa e il vestito è blu scuro.»
Studiai Kristin, elaborando i suoi lineamenti. Sul polso aveva una cicatrice, residuo
di un tatuaggio insidioso che l’avevo aiutata a rimuovere quando ancora
l’organizzazione losca per tatuaggi di Keith andava avanti incontrollata. «Opta per il
vestito. Aspetta… è un vestito che metteresti in chiesa o in discoteca?»
«In chiesa» disse, non felice della cosa.
«Allora senz’altro il vestito» dissi.
Kristin scoccò un’occhiata trionfante a Julia. «Visto? Te l’avevo detto.»
Julia sembrava indecisa. «La giacca è più vivace. È di un rosso acceso.»
«Sì, ma di solito ad un colloquio non si vuole apparire “vivaci”» feci notare. Era
difficile mantenere un’espressione seria visto il loro battibecco. «Almeno non per
questo tipo di lavoro.»
Julia ancora non sembrava convinta, eppure non cercò di dissuadere Kristin dal mio
affidabile consiglio sulla moda. Qualche minuto dopo, Julia si illuminò. «Ehi! È vero
che Trey ti ha organizzato un appuntamento con un ragazzo?»
«Mi ha… cosa? No. Dove l’hai sentito?» Come se avessi bisogno di chiederlo.
L’aveva senza dubbio saputo da Trey stesso.
«Trey ha detto che te ne ha parlato» disse Kristin. «Che questo ragazzo è perfetto
per te.»
«È un’ottima idea, Syd» disse Julia con espressione seria, come se stessimo
discutendo di una questione di vita o di morte. «Ti farebbe bene. Cioè, da quando è
iniziata la scuola, io sono uscita con….» Fece una pausa e contò silenziosamente i nomi
sulle dita. «Quattro ragazzi. Sai con quanti sei uscita tu?» Mostrò un pugno. «Ecco
quanti.»
«Non ho bisogno di uscire con nessuno» ribattei. «Ho già abbastanza problemi. Sono
sicura che se ne aggiungerebbero altri.»
«Quali problemi?» rise Kristin. «I tuoi voti fantastici, il tuo corpo stupendo e i tuoi
capelli perfetti? Cioè, okay che la tua famiglia è un po’ sopra le righe, ma andiamo,
tutti hanno il tempo per un appuntamento ogni tanto… o molti, nel caso di Julia.»
«Ehi» disse Julia, anche se non negò l’accusa.
Kristin continuò a insistere e pensai che fosse più adatta ad un tirocinio legale che
ad uno di consulenza. «Salta i compiti per una volta. Dai una possibilità a questo
ragazzo. E potremmo uscire tutti insieme qualche volta. Sarà divertente.»
Feci un sorriso forzato e mormorai qualcosa di vago. Tutti hanno tempo per un
appuntamento ogni tanto. Tutti tranne me, ovviamente. Provai una sorprendente fitta
di desiderio, non per gli appuntamenti, ma soltanto per la possibilità di avere qualche
interazione sociale. Kristin e Julia uscivano spesso con un gruppo più ampio di amici
e interessi amorosi, e spesso invitavano anche me alle loro uscite. Pensavano che la
mia reticenza derivasse dai compiti, oppure, forse, dal fatto che non avevo un ragazzo
adatto che mi accompagnasse. Magari fosse stato così semplice… Improvvisamente,
sentii come se ci fosse un enorme baratro a separarmi da Kristin e Julia. Ero loro amica,
e loro mi avevano accolto in ogni parte della loro vita. Mentre io ero piena di segreti e
mezze verità. Una parte di me desiderava che potessi aprirmi con loro e confidare loro
tutte le sofferenze della mia vita da Alchimista. Al diavolo, una parte di me desiderava
poter andare ad una di quelle uscite e lasciar perdere i miei doveri per una notte. Non
avrebbe mai funzionato, ovviamente. Saremmo andati al cinema, e probabilmente mi
avrebbero scritto di andare a insabbiare l’uccisione di uno Strigoi.
Quello stato d’animo non era insolito per me, e cominciò ad alleggerirsi con
l’iniziare della mia giornata scolastica. Mi lasciai andare al ritmo della mia tabella di
marcia, confortevole nella sua familiarità. Gli insegnanti assegnavano sempre più
compiti per il fine settimana, ed ero contenta di poter consegnare tutto quello che avevo
fatto durante il mio viaggio in aereo. Purtroppo, l’ultima lezione della giornata annullò
tutti i progressi del mio umore. In realtà, lezione non era la parola giusta. Era uno studio
individuale che facevo con la mia insegnante di storia, la professoressa Terwilliger.
Di recente la professoressa Terwilliger mi aveva rivelato che praticava la magia, che
era una specie di strega o com’è che si chiamavano quelle persone tra di loro. Gli
Alchimisti avevano sentito delle voci in proposito, ma niente sui cui avessimo avuto
molta esperienza o prove concrete. Per quanto ne sapevamo noi, solo i Moroi
praticavano la magia. Noi la utilizzavamo nei nostri tatuaggi col giglio, che
contenevano una piccola quantità di sangue di vampiro, ma pensare che degli umani la
generassero nello stesso modo era folle e contorto.
Per questo era stata una grande sorpresa quando, il mese scorso, la professoressa
Terwilliger non solo mi aveva rivelato la sua identità, ma mi aveva praticamente fatto
lanciare un incantesimo con l’inganno. Questa cosa mi aveva lasciato scioccata e
persino la sensazione di essere sporca. La magia non doveva essere usata dagli umani.
Non avevamo alcun diritto di manipolare il mondo in quel modo; era cento volte peggio
di quello che aveva fatto Sonya a quel giglio rosso per strada. La professoressa
Terwilliger insisteva nel dire che avevo un’affinità naturale per la magia e si era offerta
di addestrarmi. Perché volesse farlo, non lo sapevo. Si era dilungata sul potenziale che
possedevo, ma io non riuscivo a credere che volesse allenarmi senza un suo tornaconto
personale. Non avevo scoperto che cosa potesse essere, ma non importava. Avevo
rifiutato la sua offerta. Quindi lei aveva escogitato un metodo per aggirare la cosa.
«Signorina Melbourne, per quanto tempo ancora crede di occuparsi del libro
Kimball?» chiese dalla sua scrivania. Trey aveva preso il soprannome “Melbourne”
dall’insegnante che, a differenza sua, sembrava dimenticare continuamente che quello
non fosse il mio vero nome. Aveva sui quarant’anni, i capelli castano chiari e una
perenne scintilla di astuzia nello guardo.
Alzai lo sguardo, sforzandomi di essere gentile. «Altri due giorni. Tre al massimo.»
«Faccia attenzione a tradurre tutti e tre gli incantesimi del sonno» disse. «Ognuno
ha le sue sfumature.»
«Ci sono quattro incantesimi del sonno in questo libro» la corressi.
«Davvero?» chiese innocentemente. «Mi fa piacere sapere che l’hanno colpita.»
Repressi uno sguardo di rimprovero. Farmi copiare e tradurre libri di incantesimi per
la ricerca era il metodo che usava per insegnarmi. Non potevo fare a meno di imparare
i testi mentre li leggevo. Odiavo essere intrappolata, ma era troppo tardi per cambiare.
E poi non potevo mica lamentarmi con la segreteria di essere costretta a imparare la
magia.
Quindi copiavo diligentemente i suoi libri di incantesimi e parlavo il meno possibile
durante il tempo passato insieme. Nel frattempo, ribollivo di rancore. Lei era ben
consapevole del mio disagio, ma non faceva alcuno sforzo per alleviare la tensione, e
perciò restavamo in una situazione di stallo. Soltanto una cosa migliorava quelle
sedute.
«Ma guarda un po’. Sono passate quasi due ore dal mio ultimo cappuccino. È un
miracolo che riesca a stare in piedi. Sarebbe così gentile da fare un salto da Spencer?
Dovrebbe bastare per oggi.» L’ultima campanella era suonata quindici minuti prima,
ma ero rimasta un po’ di più.
Prima che finisse di parlare, avevo già cominciato a chiudere il libro di incantesimi.
Quando avevo iniziato a farle da assistente, le continue commissioni mi davano
fastidio. Adesso non vedevo l’ora di fuggire. Per non parlare della mia dose di caffeina.
Quando raggiunsi il bar, Trey aveva appena cominciato il suo turno, il che era
fantastico, non solo perché era un volto familiare, ma perché significava ricevere uno
sconto. Cominciò a preparare il mio ordine prima che lo facessi, visto che ormai
conosceva la routine. Un altro barista si offrì di aiutarlo, e Trey gli diede istruzioni
meticolose su cosa fare.
«Caffellatte scremato alla vaniglia» disse Trey, prendendo il caramello per il
cappuccino della professoressa Terwilliger. «Cioè con sciroppo senza zucchero e latte
scremato. Non fare casini. Riesce a fiutare lo zucchero e il latte parzialmente scremato
da un chilometro di distanza.» Nascosi un sorriso. Forse non potevo rivelare ai miei
amici i segreti degli Alchimisti, ma era bello sapere che almeno sapevano
accuratamente le mie preferenze in fatto di caffè.
L’altro barista, che sembrava della nostra età, rivolse a Trey uno sguardo divertito.
«So benissimo cosa significa scremato.»
«Presti molta attenzione ai dettagli» presi in giro Trey. «Non sapevo che te ne
importasse.»
«Ehi, io vivo per servire» disse. «Tra l’altro, stasera mi serve il tuo aiuto con quella
relazione per il laboratorio di chimica. Trovi sempre cose che io non riesco a trovare.»
«È per domani» lo rimproverai. «Hai avuto due settimane. Immagino tu non sia
riuscito a fare molto nelle tue sessioni di studio con le cheerleader.»
«Sì, sì. Mi dai una mano? Sono disposto a venire nel tuo Campus.»
«Starò sveglia fino a tardi con un gruppo di studio, uno vero.» Il sesso opposto era
bandito dai nostri dormitori dopo una certa ora. «Potremmo vederci al Campus
Centrale dopo, se vuoi.»
«Quanti campus ha la vostra scuola?» chiese l’altro barista, appoggiando il mio
caffellatte.
«Tre.» Presi impazientemente il caffè. «Come la Gallia.»
«Come cosa?» chiese Trey.
«Scusa» dissi. «Battuta di latino.»
«Omnia Gallia in tres partes divisa est» disse l’altro barista.
Alzai di scatto la testa. Non molto avrebbe potuto distrarmi dal caffè, ma sentire una
citazione di Giulio Cesare da Spencer di sicuro sì.
«Sai il latino?» chiesi.
«Certo» disse. «Chi non lo sa?.»
Trey alzò gli occhi al cielo. «Solo il resto del mondo» mormorò.
«Soprattutto il latino classico» continuò il barista. «Cioè, è molto rivisitato rispetto
al latino medievale.»
«Ovviamente» dissi. «Lo sanno tutti. Tutte le regole divennero caotiche durante la
decentralizzazione post-imperiale.»
Lui annuì in segno di assenso. «Anche se, in confronto alle lingue romantiche, le
regole hanno senso se le vedi come parte del quadro più grande dell’evoluzione della
lingua.»
«Questa» c’interruppe Trey, «è la cosa più assurda che abbia mai visto. E la più
bella. Sydney, questo è Brayden. Brayden, Sydney.» Trey usava raramente il mio
nome, quindi era strano, ma non tanto quanto l’occhiolino esagerato che mi rivolse.
Strinsi la mano a Brayden. «Piacere di conoscerti.»
«Piacere mio» disse. «Sei una fan dei classici, eh?» Fece una pausa, lanciandomi
una lunga occhiata pensosa. «Hai visto la produzione del Park Theatre Group di
Antonio e Cleopatra, quest’estate?»
«No. Non sapevo neanche che la facessero.» Improvvisamente mi sentii un po’
stupida a non averlo saputo, come se dovessi essere aggiornata su tutti gli eventi
culturali e artistici nella grande area di Palm Springs. «Mi sono trasferita qui un mese
fa» aggiunsi come spiegazione
«Credo che facciano un altro paio di spettacoli in questa stagione.» Brayden esitò
ancora una volta. «Sono disposto a rivederlo, se vuoi andare. Anche se ti avviso che è
una di quelle produzioni di Shakespeare reinterpretate. Vestiti moderni.»
«Non mi dà fastidio. Sono queste reinterpretazioni a rendere Shakespeare
intramontabile.» Le parole mi uscirono automaticamente di bocca. Mentre le
pronunciavo, ebbi improvvisamente uno di quei momenti di illuminazione e mi accorsi
che c’era sotto qualcos’altro, rispetto a quello che avevo pensato inizialmente. Ripetei
le parole di Brayden nella mente. Tra quelle e il gigantesco sorriso di Trey, nel giro di
poco giunsi ad una conclusione allarmante. Era questo il ragazzo di cui Trey mi aveva
parlato. La mia “anima gemella”. E mi stava chiedendo di uscire.
«È un’ottima idea» disse Trey. «Dovreste proprio andare a vedere quello spettacolo.
Stare fuori una giornata intera. Andare a cena e fare un salto in biblioteca, o quello che
fate in genere per divertirvi.»
Brayden incontrò il mio sguardo. Aveva gli occhi color nocciola, quasi come quelli
di Eddie, ma con una punta di verde. Non verdi come quelli di Adrian, ovviamente.
Nessuno aveva gli occhi di quel verde sorprendente. I capelli castani di Brayden ogni
tanto avevano dei riflessi dorati, a seconda della luce, ed erano tagliati in un modo
pratico che metteva in mostra gli angoli dei suoi zigomi. Dovevo ammettere che era
proprio carino. «Si esibiscono dal giovedì alla domenica» disse. «Ho un torneo di
dibattito nel weekend… tu potresti farcela giovedì sera?»
«Io…» Potevo? Non c’era niente in programma, per quanto ne sapevo. Circa due
volte alla settimana, portavo Jill a casa di Clarence Donahue, un vecchio Moroi che
aveva un donatore. Ma il giovedì non era un giorno stabilito per le nutrizioni, e
tecnicamente non ero obbligata ad andare alle serate degli esperimenti.
«Certo che è libera» si intromise Trey prima ancora che potessi rispondere. «Vero,
Sydney?»
«Sì» dissi, scoccandogli un’occhiataccia. «Sono libera.»
Brayden sorrise. Io ricambiai il sorriso. Piombò un silenzio teso. Lui sembrava
insicuro quanto me su come procedere. Avrei pensato che fosse adorabile, se non fossi
stata così preoccupata di sembrare ridicola.
Trey gli diede una forte gomitata. «Ora dovresti chiederle il numero.»
Brayden annuì, anche se non sembrava aver apprezzato la gomitata. «Giusto,
giusto.» Tirò fuori il suo cellulare dalla tasca. «Sydney con la ipsilon o con la i?» Trey
alzò gli occhi al cielo. «Che c’è? Immagino sia la prima opzione, ma siccome le
convenzioni sui nomi stanno diventando sempre meno anticonformiste, non si sa mai.
Voglio solo scriverlo giusto sul cellulare.»
«Avrei fatto la stessa cosa» concordai. Poi gli diedi il mio numero di cellulare.
Lui alzò lo sguardo e mi sorrise. «Fantastico. Non vedo l’ora.»
«Anche io» dissi, e lo pensavo davvero.
Uscii da Spencer confusa. Avevo un appuntamento. Come diavolo era possibile che
avessi un appuntamento?
Trey si affrettò a raggiungermi qualche minuto dopo, arrivando mentre stavo
aprendo la macchina. Indossava ancora il grembiule da barista. «Allora?» chiese.
«Avevo ragione, o avevo ragione?»
«Su cosa?» chiesi, anche se avevo la sensazione di sapere cosa stesse per dire.
«Sul fatto che Brayden è la tua anima gemella.»
«Te l’ho detto…»
«Lo so, lo so. Non credi nelle anime gemelle. Comunque» sorrise, «se quel ragazzo
non è perfetto per te, allora non so chi lo sia.»
«Beh, vedremo.» Poggiai la tazza della professoressa Terwilliger sul tettuccio della
macchina, in modo da poter bere il mio. «Certo, non gli piacciono le interpretazioni
moderne di Shakespeare, perciò potrebbe essere un motivo per lasciarsi.»
Trey mi guardò incredulo. «Sul serio?»
«No» dissi, lanciandogli un’occhiata. «Sto scherzando. Beh, forse.» Il caffellatte che
mi aveva fatto Brayden era molto buono, quindi ero pronta a dargli il beneficio del
dubbio per la storia di Shakespeare. «Comunque, perché ti interessa tanto la mia vita
amorosa?»
Trey scrollò le spalle e si mise le mani in tasca. Sulla sua pelle abbronzata si stavano
già formando delle perle di sudore, a causa del sole pomeridiano. «Non lo so. Credo di
sentirmi come debitore per tutto quello che è successo con i tatuaggi. Per quello e per
tutto il tuo aiuto con i compiti.»
«Non ti serve il mio aiuto in quello. E i tatuaggi…» Aggrottai, mentre un’immagine
di Keith che bussava sul finestrino mi passava per la testa. L’organizzazione di Keith
che usava sangue di vampiro aveva dato come risultato dei tatuaggi dopanti che
avevano creato scompiglio alla Amberwood. Trey, ovviamente, non sapeva che avevo
un interesse personale per la faccenda. Sapeva soltanto che mi ero liberata di coloro
che usavano i tatuaggi per trarre dei vantaggi ingiusti nello sport. «L’ho fatto perché
era la cosa giusta da fare.»
Questo lo fece sorridere. «Ovviamente. Tuttavia, mi hai risparmiato un sacco di
problemi con mio padre.»
«Lo spero bene. Non hai competizione in squadra ora. Che cosa potrebbe volere tuo
padre di più?»
«Oh, c’è sempre qualcosa in cui pensa che possa essere il migliore. Non solo il
football.» Trey me lo aveva già accennato.
«So cosa intendi» dissi, pensando a mio padre. Ci fu un momento di silenzio tra di
noi.
«Non aiuta che il mio cugino perfetto arriverà in città, tra poco» disse finalmente.
«Fa sembrare tutto quello che faccio io completamente insignificante. Hai un cugino
del genere?»
«Ehm, non esattamente.» La maggior parte dei miei cugini erano dalla parte di mia
madre, e mio padre tendeva a stare alla larga dalla sua famiglia.
«Probabilmente sei tu la cugina perfetta» borbottò Trey. «Comunque, già, ci sono
sempre queste aspettative in famiglia… queste prove. Il football mi ha conferito un po’
di rispettabilità per adesso.» Mi fece l’occhiolino. «Quello e il mio fantastico voto in
chimica.»
Colsi l’allusione nel suo commento. «Va bene. Ti mando un messaggio quando
finisco stasera e ci organizziamo.»
«Grazie. E io farò a Brayden un discorsetto in modo che non provi a fare niente
giovedì.»
La mia testa era ancora piena di latino e di Shakespeare. «Provare a fare cosa?»
Trey scosse la testa. «Davvero, Melbourne, non so come tu sia riuscita a
sopravvivere così a lungo al mondo senza di me.»
«Oh» dissi, arrossendo. «Quello.» Fantastico. Adesso avevo qualcos’altro di cui
preoccuparmi.
Trey mi schernì. «Detto tra me e te, Brayden probabilmente è l’ultimo ragazzo al
mondo di cui ti dovresti preoccupare. Penso che sia ingenuo quanto te. Se non mi
importasse così tanto della tua virtù, probabilmente gli darei una lezione su come
provare a fare qualcosa.»
«Beh, grazie per avere a cuore i miei interessi» dissi sardonica. «Ho sempre voluto
un fratello che mi tenesse d’occhio.»
Mi studiò con curiosità. «Non hai tipo tre fratelli?»
Oh no.
«Ehm, intendevo metaforicamente.» Cercai di non andare nel panico. Raramente
avevo dei lapsus sulla nostra storia di copertura. Eddie, Adrian e Keith si erano
spacciati per miei fratelli. «Nessuno di loro si interessa molto alla mia vita
sentimentale. Quello che interessa a me, però, è accendere l’aria condizionata.» Aprii
la portiera della mia auto e uscì un’ondata di calore. «Ci sentiamo stasera e ti aiuto in
laboratorio.»
Trey annuì. Anche lui sembrava impaziente di tornare dentro. «E io aiuterò te se
avrai qualche altra domanda sugli appuntamenti.»
Sperai che il mio sguardo salace gli comunicasse la mia opinione a riguardo, ma una
volta che se ne fu andato e io ebbi acceso al massimo l’aria condizionata della
macchina, la mia arroganza svanì. L’ansia prese il suo posto. La domanda che mi ero
chiesta prima si ripeté nella mia testa.
Come diavolo avrei fatto ad uscire viva da quell’appuntamento?
CAPITOLO 5 Traduzione: Claude
LA NOTIZIA DEL MIO IMMINENTE APPUNTAMENTO si diffuse rapidamente.
Presumevo che Trey l’avesse detto a Kristin e a Julia, che a loro volta l’avevano
detto a Jill, Eddie e a Dio solo sapeva chi altro… quindi non avrebbe dovuto
sorprendermi ricevere una chiamata da parte di Adrian subito dopo cena. Cominciò a
parlare prima che potessi dire pronto.
«Davvero, Sage? Un appuntamento?»
Sospirai. «Sì, Adrian. Un appuntamento.»
«Un vero appuntamento. Non un incontro per fare i compiti insieme» insistette lui.
«Uno in cui andate a vedere un film o qualcosa del genere. E un film che non faccia
parte di un compito per la scuola. O che sia noioso.»
«Un vero appuntamento.» Pensai di non scendere nei dettagli sullo spettacolo di
Shakespeare.
«Qual è il nome del fortunato?»
«Brayden.»
Ci fu una pausa. «Brayden? È il suo vero nome?»
«Perché continui a chiedermi se è tutto vero? Pensi che me lo stia inventando?»
«No, no» mi rassicurò Adrian. «Per questo è incredibile. È carino?»
Guardai l’orologio. Era ora di raggiungere il mio gruppo di studio. «Sì, magari
vorresti una sua foto da commentare?»
«Sì, grazie. E un fare controllo completo sui precedenti penali e la storia della sua
vita.»
«Devo andare. Perché ti interessa tanto, comunque?» gli chiesi alla fine, esasperata.
La sua risposta ci mise un po’ ad arrivare, e non era da lui. Adrian aveva sempre
pronte almeno una dozzina di battute pungenti. Magari non sapeva con quale uscirsene.
Quando rispose, lo fece nella sua solita maniera sarcastica, anche se la leggerezza nel
suo tono sembrava un po’ forzata. «Perché è una di quelle cose a cui non avrei mai
pensato di assistere in vita mia» rispose. «Come una cometa. O la pace nel mondo.
Sono abituato a vederti single.»
Per qualche ragione quel commento mi infastidì. «Perché? Non riesci a immaginare
che possa interessare a un ragazzo?»
«In realtà» disse Adrian, con tono incredibilmente serio, «credo che ci siano molti
ragazzi a cui interessi.»
Ero sicura che mi stesse prendendo in giro e non avevo tempo per le sue battute. Lo
salutai e andai dal gruppo di studio, il quale, per fortuna, sembrava molto concentrato
e riuscimmo a sbrigare gran parte del lavoro. Ma quando, più tardi, andai da Trey in
biblioteca, lui era molto meno concentrato. Continuava a ripetere quanto fosse stato
geniale a farmi mettere con Brayden.
«Non sono ancora andata a questo appuntamento e già sono stufa» dissi. Posizionai
i fogli di laboratorio di Trey sul tavolo davanti a noi. I numeri e le formule avevano un
che di confortante, erano molto più concreti e regolari rispetto ai misteri delle relazioni
sociali. Indicai il compito assegnato per il laboratorio con la penna. «Presta attenzione.
Non abbiamo molto tempo.»
Lui ignorò le mie preoccupazioni. «Non puoi finirlo tu?»
«No! Hai abbastanza tempo per farlo da solo. Ti aiuterò, ma nulla di più.»
Trey era abbastanza intelligente da capire la maggior parte dei concetti da solo.
Usarmi era solo un altro modo per evitare di sembrare intelligente. Lasciò perdere
l’appuntamento e si concentrò sul compito. Pensavo di aver finito con gli interrogatori
su Brayden fino a quando, proprio mentre stavamo risistemando, Jill e Micah si
avvicinarono passeggiando mano nella mano.
Erano con un gruppo di altre persone, il che non mi sorprese. Micah era socievole e
popolare, e Jill aveva ereditato una grande cerchia di amici uscendo con lui. I suoi occhi
erano allegri, come se qualcuno avesse raccontato un aneddoto divertente che aveva
fatto ridere tutti. Non potei fare a meno di sorridere anche io. Ne era passata di acqua
sotto i ponti da quando Jill era arrivata alla Amberwood e la trattavano come
un’emarginata per il suo aspetto insolito e per i suoi comportamenti strani. Ma adesso
era rifiorita grazie alla sua nuova posizione sociale. Magari questo l’avrebbe aiutata ad
accettare le sue origini da reale. Il mio sorriso si spense quando Jill allontanò Micah
dal gruppo e corse al nostro tavolo. La sua espressione entusiasta mi preoccupò.
«È vero?» mi chiese. «Hai un appuntamento?»
«Per l’amor di… sai già che è vero! E l’hai raccontato ad Adrian, non è così?» le
lanciai un’occhiataccia. Il loro legame psichico non funzionava ventiquattrore su
ventiquattro, ma qualcosa mi diceva che sapeva benissimo della chiamata che avevo
ricevuto prima da Adrian. Quando il legame era attivo, riusciva a leggere nella sua
mente, osservando così i suoi sentimenti e le sue azioni. Tuttavia, la cosa funzionava a
senso unico. Adrian non aveva questa capacità. Jill s’imbarazzò.
«Già… non ho resistito quando Micah me lo ha raccontato…»
«L’ho saputo da Eddie» aggiunse Micah in fretta, come se questo potesse tirarlo
fuori dall’impiccio. Aveva i capelli rossi e un paio di occhi azzurri sempre allegri e
gentili. Era una di quelle persone che non poteva far altro che piacerti, il che rendeva
più difficile disfare l’intricata ragnatela che Jill aveva creato uscendo con lui.
«Ehi, io non l’ho detto a Eddie» disse Trey sulla difensiva.
Spostai lo sguardo su di lui. «Ma l’hai raccontato ad altre persone. E loro l’hanno
riferito a Eddie.»
Trey scrollò lievemente le spalle. «Potrei averlo accennato a qualcuno.»
«Incredibile» commentai.
«Com’è questo ragazzo?» chiese Jill. «È carino?»
Ci pensai su. «Abbastanza.»
Lei si animò subito. «Beh, promette bene. Dove ti porta? In un bel posto? Serata in
città? Cena costosa? Io e Micah siamo stati benissimo al Salton Sea. È davvero bello.
Potreste andare là a fare un picnic romantico.» Le guance le si imporporarono e si
fermò per riprendere fiato, come se avesse realizzato di aver parlato troppo.
Sproloquiare era una delle abitudini più tenere di Jill.
«Andiamo a vedere Shakespeare al parco» dissi.
La frase fu accolta dal silenzio più totale.
«Antonio e Cleopatra. È bello.» All’improvviso sentii il bisogno di giustificare la
scelta. «È un classico. Sia Brayden che io apprezziamo Shakespeare.»
«Il suo nome è Brayden?» chiese Micah incredulo. «Che diavolo di nome è?»
Jill aggrottò la fronte. «Antonio e Cleopatra… è romantico?»
«Più o meno» dissi. «Per un po’. Ma alla fine muoiono tutti.»
L’espressione orripilata di Jill mi fece capire che non stavo migliorando la
situazione.
«Beh» disse. «Spero che, ehm, vi divertiate.» Seguirono alcuni momenti di
imbarazzo, poi i suoi occhi si illuminarono di nuovo. «Oh! Mi ha chiamato Lia oggi
pomeriggio. Ha detto che avete parlato della possibilità di farle ancora da modella?»
«Lei cosa?» esclamai. «Non la metterei così. Mi ha chiesto se potevi fare una
campagna pubblicitaria. Le ho detto di no.»
«Ah.» Il sorriso di Jill si incrinò. «Capisco. Da quello che mi ha detto lei… avevo
pensato... Beh. Avevo pensato che ci fosse una soluzione…»
Le lanciai un’occhiata eloquente. «Mi dispiace, Jill. Vorrei che ci fosse una
soluzione. Ma sai perché non puoi.»
Lei annuì tristemente. «Capisco. Tranquilla.»
«Non hai bisogno di una campagna pubblicitaria per apparire stupenda ai miei
occhi» disse Micah con galanteria.
L’affermazione riportò il sorriso sul suo volto, che sparì quando vide un orologio
nelle vicinanze. I suoi repentini cambi di umore mi ricordavano quelli di Adrian, e mi
chiesi se per caso non fossero un effetto del legame. «Uff, è quasi ora del coprifuoco.
Dovremmo avviarci. Vieni anche tu, Sydney?»
Lanciai un’occhiata al compito di Trey. Era finito e – sicuramente – perfetto. «Arrivo
tra un paio di minuti.»
Lei e Micah se ne andarono. Guardando Trey, fui sorpresa di trovarlo a fissare
assorto la sagoma di Jill che si allontanava. Gli diedi una gomitata.
«Ehi, ricordati di scriverci il nome, o sarà fatica sprecata.»
Gli ci volle qualche istante per spostare lo sguardo. «È tua sorella, vero?» Il suo tono
tetro la fece sembrare più un’affermazione che una domanda, come se mi stesse dando
una triste notizia.
«Ehm, sì. L’hai vista almeno un centinaio di volte. Viene a scuola con noi da mesi.»
Lui aggrottò la fronte. «Non ci avevo mai fatto caso… non l’avevo mai vista bene.
Non ho nessuna lezione con lei.»
«È stata la star della passerella in quella sfilata.»
«Indossava una maschera.» I suoi occhi scuri mi studiarono. «Non vi assomigliate
affatto.»
«Ce lo dicono in molti.»
Trey sembrava ancora turbato, e non ne capivo il motivo. «Fai bene a tenerla lontano
dalle passerelle» disse alla fine. «È troppo giovane.»
«È una questione religiosa» dissi, ben sapendo che Trey non mi avrebbe fatto
domande sulla nostra “fede”.
«Di qualunque cosa si tratti, tienila lontano dai riflettori.» Scribacchiò il suo nome
sul compito e chiuse il libro. «È meglio che non finisca sulle copertine di tutte le riviste
o simili. C’è gente pericolosa in giro.»
Adesso ero io a fissarlo. Ero d’accordo con lui. Un’eccessiva esposizione avrebbe
potuto portare i Moroi dissidenti a trovare Jill. Ma perché anche Trey era di
quell’avviso? Aveva senso che pensasse fosse troppo giovane, ma c’era qualcosa di
vagamente preoccupante in quello scambio di battute. Il modo in cui l’aveva osservata
andare via era troppo strano. Ma da quale altra ragione poteva essere spinto, se non
dalla preoccupazione?
Colsi di buon grado la normalità dei giorni seguenti (anche se la normalità era
relativa in quelle circostanze, naturalmente). Adrian continuava a mandarmi e-mail
chiedendomi di salvarlo (e dandomi consigli non richiesti per il mio appuntamento).
La professoressa Terwilliger continuava a cercare di insegnarmi la magia in maniera
passivo-aggressiva. Eddie continuava a dedicare anima e corpo a Jill. E Angeline
continuava a fare avances non proprio sottili a Eddie.
Un giorno, dopo averla vista versarsi “accidentalmente” l’acqua sulla maglietta
bianca durante l’allenamento, avevo capito che bisognava fare qualcosa,
indipendentemente da quello che diceva Eddie sulla sua vita privata. E, come per altri
compiti poco piacevoli, avevo la sensazione che avrei dovuto occuparmene io. Le avrei
fatto una ramanzina piuttosto severa e senza peli sulla lingua su come attirare
l’attenzione degli altri in modo consono, ma quando arrivò la sera del mio
appuntamento con Brayden, mi fu presto chiaro che ero l’ultima persona al mondo a
poter dare consigli sugli appuntamenti.
«Ti vesti così?» chiese Kristin, puntando un dito con fare accusatorio in direzione
dei vestiti che avevo ordinatamente sistemato sul mio letto. Lei e Julia si erano fatte
carico di esaminarmi prima di uscire. Jill e Angeline si erano aggiunte senza essere
state invitate, e non potei fare a meno di notare che tutte sembravano molto più
entusiaste di me. Io ero più un fascio di nervi e paura. Ci si doveva sentire in quel modo
a fare un compito in classe senza aver studiato. Era una nuova esperienza per me.
«Non è un’uniforme scolastica» replicai. Avevo abbastanza buon senso da capire
che indossarne una non sarebbe stato accettabile. «E è colorata. Più o meno.»
Julia sollevò il top che avevo scelto, una camicia di cotone arricciata con le maniche
corte e il colletto. Era di un giallo limone chiaro e pensavo mi avrebbe fatto guadagnare
qualche punto, dal momento che tutti mi accusavano di non indossare vestiti colorati.
L’avevo persino abbinata a un paio di jeans. Lei scosse la testa. «È il tipo di maglietta
che dice: “Non metterai mai mano qui dentro”.»
«Beh, perché dovrebbe?» chiesi.
Kristin, seduta a gambe incrociate sulla sedia vicino alla mia scrivania, piegò la testa
pensierosa mentre osservava la maglia. «Credo dica più: “Vediamo di finire presto
questo appuntamento, così posso andare a casa a fare la presentazione su Power
Point”.»
Quella frase mi fece scoppiare a ridere. Stavo per protestare quando vidi Jill e
Angeline avvicinarsi al mio armadio. «Ehi, magari dovreste prima chiedere il
permesso, no?»
«Tutti i tuoi vestiti sono troppo pesanti» disse Jill. Ne tirò fuori uno di cashmere
grigio. «Cioè, questo almeno è senza maniche, ma è comunque troppo per uscire con
questo caldo.»
«La cosa vale per metà del mio guardaroba» replicai. «Ci sono vestiti per tutte e
quattro le stagioni. Non ho avuto molto tempo di passare solo a cose estive prima di
venire qui.»
«Visto?» esclamò Angeline trionfante. «Adesso capisci il mio problema. Posso
tagliarne via qualche centimetro, se vuoi.»
«No!» Con mio immenso sollievo, Jill rimise a posto l’abito. Alcuni istanti dopo ne
tirò fuori un altro.
«Che mi dici di questo?» aveva in mano una gruccia a cui era appeso un top bianco
a girocollo di un materiale leggero e stropicciato.
Kristin lanciò un’occhiata ad Angeline. «Pensi di poterlo fare più scollato?»
«È già abbastanza scollato. E non è una maglietta che si può mettere senza niente»
protestai. «Va indossata sotto una giacca.»
Julia si alzò dalla sedia. Si buttò i capelli all’indietro; era una questione seria. «No,
no… questo potrebbe andare.» Prese il top dalle mani di Jill e lo accostò ai jeans che
avevo scelto. Li studiò per alcuni istanti e poi ritornò al mio armadio che, a quanto
pareva, era il nuovo gioco preferito di tutte. Dopo una rapida ricerca, tirò fuori una
cintura sottile di pelle scura di serpente. «Mi sembrava di ricordare di averti visto
indossarla.» Appoggiò la cintura sul top bianco e fece un passo indietro. Dopo un
attento scrutinio, fece un cenno di approvazione. Le altre si avvicinarono per dare
un’occhiata.
«Hai davvero buon occhio» commentò Kristin.
«Ehi, l’ho trovata io la maglia» le ricordò Jill.
«Non posso indossare la maglia da sola» affermai. Sperai che le mie proteste
nascondessero la mia ansia. Mi ero sbagliata così tanto nella scelta della camicia gialla?
Ero certa che fosse appropriata per un appuntamento. Come sarei riuscita a superare
quella serata se non riuscivo neppure a vestirmi bene?
«Se vuoi metterti una giacca con questo caldo, fai pure» disse Julia. «Ma non credo
tu debba preoccuparti che si veda troppo. Neanche la signora Weathers ci farà caso.»
«Ma neppure alla camicia gialla» puntualizzai io.
Decisero che con i vestiti ero a posto e passarono a darmi consigli sui capelli e il
trucco. Lì fui irremovibile. Mi truccavo tutti i giorni… usavo dei trucchi costosi per
risaltare al massimo il mio viso, facendo comunque in modo che non sembrassi
truccata. Non avevo intenzione di cambiare quel look naturale, indipendentemente da
quanto Julia si ostinasse ad affermare che l’ombretto rosa era “figo”.
Nessuna di loro intervenne molto sui miei capelli. Erano scalati, lunghi appena oltre
le spalle. Potevo acconciarli solo in un modo: sciolti, usando il phon per sistemare i
punti in cui erano scalati. Qualsiasi altra acconciatura sarebbe sembrata disordinata e,
naturalmente, li avevo già sistemati quel giorno. Non c’era motivo di mettere mano su
qualcosa di buono. Inoltre, penso che fossero tutte entusiaste perché avevo accettato di
indossare il top bianco, dopo averlo provato per verificare che non fosse trasparente.
L’unico gioiello che accettai di indossare fu la mia piccola croce d’oro. Mentre
l’allacciavo intorno al collo pregai silenziosamente che mi aiutasse a superare quella
serata. Anche se gli Alchimisti usavano spesso le croci, non facevamo parte di nessun
credo o dottrina cristiana. Avevamo le nostre funzioni religiose e credevamo in Dio,
come forza di bontà e luce che pervadeva ogni atomo dell’universo. Con quell’enorme
responsabilità, probabilmente non gli importava molto di una ragazza che aveva un
appuntamento, ma magari avrebbe trovato un secondo per assicurarsi che l’esperienza
non fosse troppo dolorosa.
Scesero tutte le scale con me quando venne l’ora in cui Brayden doveva passare a
prendermi (in realtà era un po’ presto, ma odiavo essere in ritardo). Le ragazze mi
avevano accompagnata per motivi diversi: Jill perché “era una questione di famiglia”,
Kristin perché “Riusciva a capire se un ragazzo era stronzo in meno di cinque secondi”.
Non ne ero molto sicura, dal momento che aveva pensato che Keith fosse un buon
partito.
E continuavano tutte a darmi consigli non richiesti.
«Potete dividervi il costo dello spettacolo oppure della cena» disse Julia. «Non
entrambi. Deve farsi carico dell’intero costo di almeno una delle due cose.»
«Ma è meglio se paga tutto lui» affermò Kristin.
«Ordina qualcosa anche se non ti va di mangiare» aggiunse Jill. «Se è lui a pagare
la cena, il conto non deve essere leggero. Deve faticare per conquistarti.»
«Dove avete pescato tutti questi consigli?» chiesi. «Che importa se… oh, ma dai.»
Eravamo arrivate all’ingresso, dove trovammo Eddie e Micah seduti su una
panchina. Almeno loro ebbero la decenza di sembrare imbarazzati.
«Anche voi due no» dissi.
«Sono venuto a trovare Jill» disse Micah in un tono non molto convincente.
«E io sono venuto per…» farfugliò Eddie e io alzai una mano per fargli cenno di
tacere.
«Non ti disturbare. Sinceramente mi sorprende che Trey non sia qui con una
telecamera o qualcosa del genere. Pensavo che avrebbe voluto immortalare ogni
momento di questo sfacelo di… oh. Ehi, sono qui.» Abbozzai un sorriso mentre
Brayden entrava nell’ingresso. A quanto pareva non ero l’unica a cui piaceva essere in
anticipo.
Brayden sembrò un po’ sorpreso dal fatto che avessi tutta quella gente al seguito.
Non potevo biasimarlo, visto che anche io ero sorpresa.
«È un piacere conoscervi» disse Brayden in modo amichevole, anche se sembrava
un po’ confuso.
Eddie, a disagio quando Angeline si prodigava nelle sue avance, era molto più
spigliato in situazioni meno bizzarre. Assunse il ruolo di fratello e strinse la mano a
Brayden. «So che andate a vedere una rappresentazione teatrale stasera.»
«Sì» rispose Brayden. «Anche se preferisco il termine dramma. In realtà ho già visto
questa produzione, ma mi piacerebbe riguardarla nella prospettiva delle nuove forme
di analisi critica. Il metodo Freytag standard diventa superato dopo un po’.»
Il suo discorso lasciò tutti senza parole. O magari stavano cercando di capire cosa
avesse appena detto. Eddie guardò me, poi di nuovo Brayden. «Bene. Qualcosa mi dice
che vi divertirete molto insieme.»
Una volta riusciti a districarci da tutti i miei benefattori, Brayden disse: «Hai una
famiglia e degli amici… molto devoti.»
«Oh» risposi. «Quello. Loro, ehm, dovevano uscire alla nostra stessa ora. Per
studiare.»
Brayden diede un’occhiata al suo orologio. «Non è troppo tardi, suppongo. Io, se
riesco, cerco sempre di fare i compiti subito dopo scuola perché…»
«Se li rimandi, potrebbe capitare qualche imprevisto?»
«Esatto» disse lui.
Mi sorrise, e io feci altrettanto.
Lo seguii nel parcheggio dei visitatori, verso una Ford Mustang argentata e
scintillante. Andai in estasi. Subito mi avvicinai e feci scorrere la mano sulla superficie
liscia della macchina. «Bella» dissi. «Nuovissima, il modello dell’anno nuovo. Queste
più nuove non avranno mai la pasta di quelle classiche, ma ci guadagnano in risparmio
di carburante e sicurezza.»
Brayden sembrò piacevolmente sorpreso. «Te ne intendi di macchine.»
«È un passatempo» ammisi. «Mia madre le adora.» Appena avevo conosciuto Rose
Hathaway, avevo provato l’incredibile esperienza di guidare una Citroën del 1972.
Adesso possedevo una Subaru chiamata Caffelatte. La adoravo, ma non era proprio
glamour. «Sono capolavori dal punto di vista artistico e ingegneristico.»
Mi accorsi che Brayden mi aveva seguito dalla parte del passeggero. Per una frazione
di secondo pensai che si aspettasse che fossi io a guidare. Forse perché mi piacevano
tanto le macchine? Ma poi lui aprì la portiera e capii che stava solo aspettando che
salissi. Lo feci, cercando di ricordare l’ultima volta che un ragazzo mi aveva aperto la
portiera di una macchina. La mia conclusione: mai.
Non cenammo a un fast-food, ma neppure a un ristorante pretenzioso. Mi chiesi
quale sarebbe stata l’opinione di Julia e Kristin in proposito. Mangiammo in un locale
tipico californiano, che faceva panini biologici e insalate di ogni tipo. Tutti i piatti del
menù sembravano contenere l’avocado.
«Ti avrei voluto portare in un posto più carino» mi disse. «Ma non volevo rischiare
di arrivare in ritardo. Il parco è a pochi isolati da qui, quindi dovremmo riuscire a
trovare dei posti vicino. Spero… spero non sia un problema.» Improvvisamente sembrò
teso. Il contrasto con la sicurezza che aveva mostrato prima mentre parlava di
Shakespeare era evidente. Dovevo ammettere che era piuttosto rassicurante. Mi rilassai
un po’. «Altrimenti possiamo trovare un posto migliore…»
«No, questo va benissimo» gli dissi, guardandomi intorno nella sala da pranzo
fortemente illuminata. Era uno di quei posti in cui bisognava ordinare al bancone e poi
si portava il numero dell’ordine al tavolo. «In ogni caso preferirei essere in anticipo.»
Aveva pagato lui il conto. Cercai di dare un senso a tutte le regole con cui mi avevano
tempestato i miei amici. «Quanto ti devo per il mio biglietto?» chiesi esitante.
Brayden sembrò sorpreso. «Niente. Pago io.» Mi sorrise esitante.
«Grazie» dissi. Quindi pagava tutto lui. Saperlo avrebbe reso felice Kristin, anche
se la cosa mi metteva un po’ a disagio… ma non per colpa sua. Con gli Alchimisti, ero
sempre io a pagare i conti e a occuparmi delle scartoffie. Non ero abituata a vedere
qualcun altro farlo. Probabilmente facevo fatica a togliermi di dosso la sensazione di
dover fare tutto io perché gli altri non erano in grado di farlo come si deve. Le lezioni
erano sempre state un gioco da ragazzi per me. Ma, alla Amberwood, imparare a uscire
con persone della mia stessa età era stato un compito davvero difficile. Ero migliorata,
ma facevo ancora fatica a capire cosa dire agli altri. Con Brayden non avevo di questi
problemi. Avevamo una scorta infinita di argomenti: eravamo entrambi entusiasti di
parlare di tutto quello che sapevamo. Gran parte della cena la passammo a discutere
della complessità del processo di certificazione di organicità. Era davvero interessante.
I problemi si presentarono quando, una volta finito, Brayden mi chiese se volessi il
dolce prima di andare. Mi immobilizzai, colta da un dilemma improvviso. Jill mi aveva
detto di ordinare abbastanza da fare in modo di non sembrare una che si accontenta di
poco. Senza neppure pensarci, avevo ordinato un’insalata poco costosa, solo perché
sembrava buona. Adesso avrei dovuto ordinare qualcos’altro per dare l’impressione a
Brayden che dovesse impegnarsi per conquistarmi? Valeva la pena infrangere tutte le
mie regole sugli zuccheri e i dolci per una cosa del genere? E sinceramente, cosa ne
sapeva Jill di regole sugli appuntamenti? Il suo ultimo ragazzo era stato un assassino,
e quello attuale era all’oscuro del fatto che fosse una vampira.
«Ehm, no, grazie» dissi alla fine. «Preferirei essere sicura di arrivare al parco in
tempo.»
Lui annuì e si alzò dalla sedia, sorridendomi. «Stavo pensando la stessa cosa. La
maggior parte della gente non ritiene importante la puntualità.»
«Importante? È essenziale» risposi. «Io sono sempre almeno dieci minuti in
anticipo.»
Il sorriso di Brayden si allargò. «Io di solito vado per i quindici. A dirti la verità…
il dolce neppure mi andava.» Mi tenne aperta la porta mentre uscivamo. «Cerco di
evitare di assumere troppi zuccheri.»
Per poco non mi fermai di botto, sbalordita. «Sono completamente d’accordo, ma i
miei amici me lo fanno pesare sempre.»
Brayden annuì. «Ci sono moltissime ragioni. Ma la gente sembra non capirle.»
Camminai verso il parco, scioccata. Nessuno mi aveva mai capito così in fretta e
facilmente. Era come se riuscisse a leggermi nella mente.
Palm Springs era una città situata nel deserto, piena di distese sabbiose e di versanti
di montagne rocciose e spoglie. Ma era anche una località che l’umanità aveva
plasmato per molto tempo, e a diversi posti, come la Amberwood, avevano dato un
tocco di verde lussureggiante in netto contrasto con il clima naturale. Quel parco non
faceva eccezione. Era un enorme prato verde, con intorno alberi a fioritura stagionale
invece delle solite palme. Su un lato era stato allestito un palco e alcune persone
stavano già cercando di accaparrarsi i posti migliori. Noi ne scegliemmo uno all’ombra,
da cui si vedeva benissimo il palco. Brayden tirò fuori dallo zaino una coperta su cui
sederci e una copia piuttosto vissuta di Antonio e Cleopatra. Era piena di annotazioni
e alette adesive.
«Hai portato la tua copia?» mi chiese.
«No» risposi. Non potei far altro che essere colpita. «Non ho portato molti libri
quando mi sono trasferita qui.»
Lui esitò, come incerto se dovesse dare voce ai suoi pensieri o meno. «Vuoi leggere
con me?»
Sinceramente avevo immaginato di guardare la rappresentazione, ma la studiosa che
c’era in me comprendeva i vantaggi dell’avere il testo originale davanti. Ero anche
curiosa di sapere quali annotazioni avesse scritto. Solo dopo avergli risposto di sì mi
resi conto del motivo per cui era teso. Per leggere dovevamo sederci molto vicino.
«Non mordo» disse sorridendo, quando si accorse che non mi ero mossa.
La sua battuta allentò la tensione, e riuscimmo a posizionarci in modo da evitare
quasi ogni contatto. Non c’era modo di evitare che le nostre ginocchia si sfiorassero,
ma avevamo entrambi i jeans, e non mi sembrava che la mia virtù fosse in pericolo.
Inoltre, non riuscii a non notare che profumava di caffè: il mio vizio preferito. Non era
una brutta cosa. Proprio per niente.
In ogni caso, ero ben consapevole della nostra vicinanza. Non mi sembrava di
ricevere vibrazioni romantiche. Il mio battito non era accelerato; il mio cuore non
palpitava. Più che altro, ero consapevole di non essermi mai trovata così vicino a
qualcuno in tutta la mia vita. Non ero abituata a condividere in questo modo il mio
spazio personale.
Quando cominciò la rappresentazione mi dimenticai del problema. A Brayden
poteva non piacere Shakespeare recitato con costumi moderni, ma secondo me avevano
fatto davvero un ottimo lavoro. Seguendo con il testo davanti, ci accorgemmo della
presenza di errori in alcune battute recitate dagli attori. Ci scambiavamo occhiate
trionfanti, entusiasti di sapere qualcosa di cui il resto del pubblico era ignaro. Seguii
anche le annotazioni di Brayden, trovandomi d’accordo con alcune e in disaccordo con
altre. Non vedevo l’ora di parlarne con lui durante il viaggio di ritorno.
Eravamo tutti protesi in avanti durante la scena della drammatica morte di Cleopatra,
completamente assorbiti dalle sue ultime battute. Da un lato, sentii il rumore di una
carta che si stropicciava. Lo ignorai e mi protesi ulteriormente in avanti. La carta fece
ancora rumore, molto più forte questa volta. Guardando in quella direzione, vidi dei
ragazzi in età da college seduti vicino a noi. La maggior parte di loro stava guardando
lo spettacolo, ma uno aveva tra le mani un oggetto avvolto in una busta di carta
marrone. L’incarto era decisamente troppo grande ed era stato avvolto diverse volte
intorno all’oggetto. Si guardò attorno ansiosamente, cercando di risultare discreto e
srotolare la carta un po’ alla volta. In realtà avrebbe fatto meno rumore se l’avesse tolta
tutta insieme.
La cosa andò avanti almeno per un altro minuto e, per allora, anche altre persone lì
vicino si erano messe a guardarlo. Finalmente riuscì ad aprire la carta e, sempre al
rallentatore, ci infilò con attenzione una mano dentro. Sentii il rumore di un tappo e sul
viso del ragazzo spuntò un’espressione trionfante. Continuando a tenere l’oggetto
nascosto, si portò l’incarto alla bocca e bevve un lungo sorso di quella che doveva
essere una birra o qualche altra bevanda alcolica. Risultava piuttosto ovvio dalla forma
della busta.
Mi coprii la bocca con una mano, cercando di attutire la risata. Mi ricordava Adrian
in maniera impressionante. Potevo figurarmi senza problemi Adrian che si portava di
nascosto degli alcolici a un evento del genere e fare di tutto per non farsi scoprire,
pensando che se avesse fatto ogni cosa abbastanza lentamente, nessuno lo avrebbe
beccato. Anche ad Adrian probabilmente sarebbe capitata la sfortuna di aprire la
bottiglia durante la scena di massima tensione di tutto lo spettacolo. Riuscivo anche a
immaginarmi una simile espressione deliziata sul suo volto, una che diceva “Nessuno
sa cosa sto facendo!”. Mentre invece, ce n’eravamo accorti tutti. Non sapevo perché
mi facesse ridere, ma risi.
Brayden era troppo concentrato sullo spettacolo per accorgersene. «Ooh» mi
sussurrò. «Questa parte è bella: ora le ancelle si suicidano.»
Avevamo molto da discutere e analizzare mentre tornavamo alla Amberwood. Restai
quasi delusa quando la sua macchina si fermò davanti al mio dormitorio. Mentre ce ne
stavamo seduti lì, realizzai che eravamo giunti a un’altra pietra miliare
dell’appuntamento. Qual era la procedura corretta in questi casi? Avrebbe dovuto
baciarmi? Avrei dovuto lasciarglielo fare? Era quello il prezzo della mia insalata?
Anche Brayden sembrava teso, e io cominciai a prepararmi al peggio. Quando
abbassai lo sguardo sulle mie mani posate in grembo, mi accorsi che stavano tremando.
Ce la puoi fare, mi dissi. È un rito di passaggio. Cominciai a chiudere gli occhi, ma
quando Brayden riprese a parlare li riaprii subito.
Venne fuori che Brayden non aveva cercato il coraggio di baciarmi, ma di pormi una
domanda.
«Vorresti… ti piacerebbe uscire di nuovo con me?» chiese con un timido sorriso.
Rimasi sorpresa dal mix di emozioni che mi suscitarono quelle parole. Per lo più
sollievo, naturalmente. Avrei avuto anche il tempo per cercare dei libri che spiegavano
come baciare. Allo stesso tempo, ero quasi delusa dal fatto che la spavalderia e la
sicurezza che aveva dimostrato durante l’analisi critica non erano trasparite in questo
caso. Una parte di me pensava che avrebbe dovuto dire una cosa tipo: “Beh, dopo
questa serata perfetta, credo che non ci resti altro che uscire di nuovo”. Mi sentii
immediatamente stupida per questa convinzione. Non mi potevo certo aspettare che
fosse più a suo agio, quando io me ne stavo lì seduta con le mani tremanti.
«Certamente» dissi d’impulso.
Lui fece un sospiro di sollievo. «Magnifico» disse. «Ti mando una e-mail.»
«Sarebbe fantastico.» Sorrisi. Cadde un silenzio imbarazzato e, improvvisamente,
mi chiesi se dopotutto non sarebbe arrivato anche il momento del bacio.
«Vuoi… vuoi che ti accompagni alla porta?» chiese.
«Cosa? Oh, no. Grazie. È vicina. Ce la faccio. Grazie.» Pensai che fossi sul punto di
sembrare Jill.
«Va bene, allora» disse Brayden. «È stata una serata davvero piacevole. Non vedo
l’ora della prossima.»
«Anche io.»
Mi tese la mano. Gliela strinsi. Poi scesi dalla macchina ed entrai.
Gli ho stretto la mano? Ripensai a quel momento, sentendomi sempre più stupida.
Che problema avevo?
Mentre attraversavo l’ingresso, ancora confusa, tirai fuori il cellulare per controllare
se ci fossero messaggi. L’avevo spento quella sera, pensando che se c’era una volta in
cui meritavo un po’ di pace, era proprio quell’occasione. Con mia grande sorpresa,
nessuno aveva avuto bisogno in mia assenza, anche se c’era un messaggio di Jill,
mandato quindici minuti prima: Com’è andato l’appuntamento con Brandon? Lui
com’è?
Aprii la porta della mia stanza. Si chiama Brayden, risposi. Pensai al resto della
domanda e impiegai un bel po’ a decidere come rispondere.
È uguale a me.
ATTENZIONE: DA QUESTO PUNTO IN POI I CAPITOLI
NON SONO STATI SOTTOPOSTI ALLA REVISIONE
PUNTIGLIOSA SVOLTA FINORA
Potete leggerli subito o aspettare la revisione attenta, a vostra
discrezione. Vi avviserò man mano che revisiono un capitolo,
postando tutti i link del caso in pagina. Buon proseguimento…
o attesa ;)
CAPITOLO 6 Traduzione: ohmahgawdtawny
Pre-Revisione: Juls
«GLI HAI STRETTO LA MANO?» chiese Adrian incredulo.
Lanciai uno sguardo accusatorio a Eddie e Angeline. «Da queste parti le cose non
restano confidenziali?»
«No» disse Angeline, con la sua solita schiettezza. Eddie invece rise
sommessamente. Era uno di quei rari momenti di complicità che i due condividevano.
«Doveva essere un segreto?» chiese. Eravamo da Clarence Donahue per la
nutrizione bisettimanale di Jill e Adrian. Jill era con Dorothy, la governante umana di
Clarence, che ricopriva il ruolo di donatrice. Riuscivo a sopportare molte cose della
vita Moroi, ma il fatto che bevessero sangue, sangue umano, mi faceva venire i brividi
ogni volta. Il mio unico meccanismo di difesa era cercare di dimenticare perché
fossimo lì.
«No» ammisi. Un paio di giorni prima, Julia e Kristin avevano insistito così tanto
per sapere i dettagli dell’appuntamento, che avevo dovuto raccontare tutto. Dovevo
accettare che ogni volta che raccontavo loro qualcosa, inevitabilmente quel qualcosa
sarebbe diventato di dominio pubblico. Dovevo aspettarmelo che la mia famiglia alla
Amberwood poi l’avrebbe riferito ad Adrian.
«Sul serio?» Adrian era ancora concentrato sulla fine del mio appuntamento. «La
mano?»
Sospirai e mi lasciai cadere su un divano di pelle lucida. L’esterno della casa di
Clarence mi dava sempre l’impressione della tipica tenuta infestata dai fantasmi, ma
all’interno era molto moderna e ben ammobiliata. «Senti, è successo e basta… Okay,
sai che ti dico? Non importa. Non sono affari tuoi. Lascia perdere e basta.» Ma qualcosa
nell’espressione di Adrian mi fece intuire che non avrebbe lasciato perdere tanto presto.
«Vista questa grande passione non so proprio come riusciate a stare lontani» disse
Adrian imperturbabile. «Uscirete ancora?»
Eddie e Angeline mi guardarono in attesa di una risposta. Io esitai. Questo non
l’avevo ancora detto a Julia e Kristin, principalmente perché ci eravamo appena messi
d’accordo. «Sì» dissi, alla fine. «Parteciperemo ad una, ehm, visita guidata sui mulini
a vento.»
Se volevo zittire tutti, ci ero riuscita. Sembravano tutti sconvolti.
Adrian fu il primo a parlare. «Presumo che ti porterà ad Amsterdam sul suo jet
privato. Se è così, mi piacerebbe venire con voi. Ma non per i mulini a vento.»
«Un po’ più a nord di Palm Springs c’è un’enorme fattoria con un mulino a vento»
spiegai. «È una delle poche al mondo che organizza visite turistiche aperte al
pubblico.»
Altri sguardi vacui.
«L’energia eolica è rinnovabile e potrebbe avere un impatto fondamentale sul futuro
del nostro Paese!» dissi esasperata. «È una cosa elettrizzante.»
«“Elettrizzante”» disse Adrian. «“Energia”. Ah, ho capito, Sage. Bella battuta.»
«Non doveva essere una…»
La porta a vetri colorati della sala si aprì e Dimitri e Sonya entrarono con il nostro
ospite, Clarence, al seguito. Non l’avevo ancora visto da quanto ero arrivata, perciò lo
salutai con un piccolo sorriso, grata che la loro presenza avesse distratto tutti dalla mia
cosiddetta vita amorosa.
«Salve, signor Donahue» dissi. «È un piacere rivederla.»
«Eh?» L’anziano Moroi strinse gli occhi guardandomi e, dopo alcuni secondi, mi
riconobbe. Aveva i capelli bianchi e si vestiva sempre come se fosse ospite di una cena
formale di cinquant’anni fa. «Eccoti. Sono felice che tu sia passata, mia cara. Cosa ti
porta qui?»
«La nutrizione di Jill, signore.» Ce n’erano due a settimana, ma la testa di Clarence
non era più quella di una volta. Già dalla prima volta che ci eravamo visti, mi era
sembrato un po’ perso, ma la morte di suo figlio, Lee, sembrava aver spinto il vecchio
ancora più nel baratro… soprattutto perché non sembrava crederci. Gli avevamo detto
con delicatezza, uno svariato numero di volte, che Lee era morto, tralasciando la parte
degli Strigoi. Ogni volta, Clarence insisteva che Lee fosse solo “momentaneamente
assente” e che sarebbe tornato. Sbandato o no, Clarence era sempre stato gentile e
inoffensivo… per essere un vampiro, ovviamente.
«Ah, sì, certamente.» Si sedette sulla sua enorme poltrona e tornò a guardare Dimitri
e Sonya. «Quindi potete riparare le serrature delle finestre?» A quanto pareva, prima
che si unissero a noi, stavano parlando di qualcosa.
Dimitri sembrò cercare un modo gentile per rispondergli. Aveva un aspetto
meraviglioso come al solto: indossava jeans e maglietta, con sopra un lungo
impermeabile di pelle. Non avevo idea di come si potesse sopravvivere a Palm Springs
con un impermeabile del genere, ma se mai qualcuno poteva riuscirci, quello era di
sicuro lui. Di solito lo portava solo in casa, ma qualche volta gliel’avevo visto indossare
anche fuori. Avevo parlato di questa sua particolare scelta d’abbigliamento ad Adrian
un paio di settimane prima: «Ma Dimitri non ha caldo, così vestito?» La risposta di
Adrian non era stata completamente inaspettata: «Beh, sicuramente un sacco di donne
vorrebbero che se ne togliesse un po’, di vestiti.»
Il volto di Dimitri era lo specchio della gentilezza mentre affrontava le
preoccupazioni di Clarence. «Credo che vadano bene quelle che hai già» disse Dimitri.
«È tutto chiuso alla perfezione.»
«Così sembra» disse Clarence in modo sinistro. «Ma non sai quanto sono ingegnosi.
Non sono rimasto indietro coi tempi. So che esistono tecnologie di tutti i tipi da poter
utilizzare. Come quei laser che ti dicono se qualcuno sta cercando di entrarti in casa.»
Dimitri inarcò un sopracciglio. «Intendi dire un sistema di sicurezza?»
«Sì, esattamente» disse Clarence. «Che tenga fuori i cacciatori.»
Non ero sorpresa dalla piega che aveva preso la conversazione. Anche la paranoia
di Clarence era cresciuta di recente, il che era tutto dire. Viveva costantemente nel
terrore di questi cosiddetti cacciatori di vampiri: umani che… beh, cacciavano vampiri.
Per molto tempo aveva continuato a dire che erano stati loro i colpevoli dell’omicidio
di sua nipote e che i rapporti che dichiaravano fosse stata uccisa dagli Strigoi erano
errati. Alla fine avevamo scoperto che, almeno in parte, aveva ragione. Non era stato
uno Strigoi ad attaccarla, era stato Lee, nel disperato tentativo di tornare ad essere uno
Strigoi. Tuttavia, Clarence si rifiutava di accettarlo e continuava a credere alla sua
teoria dei cacciatori. Le mie rassicurazioni sul fatto che era dal Medioevo che agli
Alchimisti non risultava la presenza di gruppi del genere non erano servite a niente. Di
conseguenza, Clarence faceva sempre controllare che casa sua fosse sicura. Dato che
Sonya e Dimitri stavano da lui per condurre gli esperimenti, quel tedioso compito
spesso spettava a loro.
«Non credo di essere qualificato per installare un sistema di sicurezza» disse Dimitri.
«Davvero? C’è qualcosa che non sai fare?» Adrian aveva parlato così piano che
quasi non lo sentii, nonostante fosse seduto di fianco a me. Dubitavo che gli altri, anche
se dotati di una capacità uditiva superiore alla media, lo avessero sentito. Perché ciò
che dice Dimitri lo tocca ancora? Mi chiesi.
«Dovresti chiamare dei professionisti» continuò Dimitri, sempre rivolto a Clarence.
«Però scommetto che non vuoi che un gruppo di estranei entri ed esca da casa tua.»
Clarence aggrottò la fronte. «No, hai ragione. Un cacciatore potrebbe infiltrarsi
facilmente tra di loro.»
Dimitri era il ritratto della pazienza. «Controllerò tutti i giorni porte e finestre…
giusto per essere sicuri.»
«Sarebbe magnifico» disse Clarence, allentando un po’ la sua tensione. «A dire il
vero, non sono il tipo di vampiro che cercano i cacciatori. Non sono abbastanza forte.
Non più.» Ridacchiò tra sé e sé. «Ma comunque non si sa mai cosa può succedere.
Meglio essere prudenti.»
Sonya gli sorrise gentilmente. «Sono sicura che andrà tutto bene. Non avrai niente
di cui preoccuparti.»
Clarence incrociò il suo sguardo e, dopo alcuni secondi, sul suo viso si allargò
lentamente un sorriso. La sua postura rigida si rilassò un po’. «Sì, sì. Hai ragione.
Niente di cui preoccuparsi.»
Rabbrividii. Frequentavo da abbastanza tempo i Moroi per capire cosa fosse appena
successo. Sonya aveva usato la compulsione, giusto un filo, per calmare Clarence. La
compulsione, l’abilità di imporre il proprio volere sugli altri, era un potere che
possedevano tutti i Moroi in quantità diverse. I conoscitori dello spirito, così come gli
Strigoi, erano i più forti sotto questo punto di vista. Usare la compulsione sugli altri era
un tabù per i Moroi, e chi non lo rispettava andava incontro a serie conseguenze.
Immaginavo che in questo caso le autorità dei Moroi avrebbero chiuso un occhio,
visto che l’aveva usata solo per tranquillizzare Clarence, però la cosa mi turbava lo
stesso. La compulsione, in particolare, mi era sempre sembrata uno dei poteri più infidi
dei Moroi. Sonya doveva per forza usarla? Era già calma e rassicurante di suo. Non
sarebbe bastato a Clarence? Qualche volta mi chiedevo se usassero la magia solo per
il gusto di usarla. Qualche volta mi chiedevo se l’usassero con me… senza che me ne
rendessi conto.
I discorsi di Clarence sui cacciatori di vampiri suscitavano sempre un mix di
divertimento e disagio tra i presenti. Ora che si era calmato (anche se non mi era
piaciuto come l’avevano calmato), potevamo rilassarci tutti. Sonya si appoggiò allo
schienale del divanetto, bevendo una bibita fruttata che sembrava perfetta per una
giornata tanto calda. Dai vestiti sporchi e dai suoi capelli scarmigliati, ero pronta a
scommettere che fosse uscita… non che apparisse meno bella. La maggior parte dei
Moroi evitava il sole così forte, ma il suo amore per le piante era così smisurato che lo
affrontava pur di curare qualche fiore sciupato nel giardino di Clarence. Una crema
solare ad alta protezione poteva fare miracoli.
«Tra un po’ me ne dovrò andare» ci disse. «Tra qualche altra settimana, tutt’al più.
Devo tornare a organizzare il matrimonio con Mikhail.»
«Quando hai detto che sarà il grande giorno?» chiese Adrian.
Lei sorrise. «A dicembre.» Il che mi sorprese, ma poi aggiunse: «C’è una serra
tropicale enorme vicino alla Corte che useremo. È stupenda… non che cambi qualcosa.
Mikhail ed io potremmo sposarci ovunque. L’importante è che siamo insieme. Ma
ovviamente, se possiamo scegliere, perché non scegliere il meglio?»
Sorrisi persino io alle sue parole. Solo Sonya poteva trovare del verde nel pieno
dell’inverno in Pennsylvania.
«Dimitri potrebbe restare» proseguì. «Ma sarebbe fantastico se riuscissimo a fare
qualche progresso prima che me ne vada. Finora i test sull’aura sono stati…»
«Inutili?» suggerì Adrian.
«Volevo dire inconcludenti» replicò lei.
Adrian scosse la testa. «Quindi è stato tutto tempo sprecato?»
Sonya non rispose e bevve un altro sorso della sua bibita. Ero pronta a scommettere
che fosse analcolica – lei non si curava da sola come faceva Adrian – e che Dorothy
me ne avrebbe preparata una se l’avessi voluta. Eppure, ero anche pronta a scommettere
che avrebbe avuto effetti terribili su di me. Forse avrei fatto meglio ad andare in cucina
a vedere se ci fosse una Coca-Cola Light.
Sonya si sporse in avanti con una punta di entusiasmo negli occhi. «Dimitri ed io
abbiamo parlato e ci siamo accorti che ci è sfuggita una cosa fondamentale. O meglio,
dovrei dire che l’abbiamo evitata, ma non provarci sarebbe uno spreco.»
«Cioè?» chiese Adrian.
«Il sangue» disse Dimitri.
Trasalii. Non mi piaceva quando si tirava in ballo l’argomento. Mi ricordava da che
tipo di persone ero circondata.
«È evidente che c’è qualcosa negli Strigoi tornati Moroi* che li… ci protegge» disse
lui. «Abbiamo cercato segni di magia, ma la risposta potrebbe essere più fisica. E, dal
rapporto che ho letto, gli Strigoi hanno avuto difficoltà a bere il sangue di L… Il suo
sangue.» Dimitri stava per dire Lee, ma aveva cambiato idea, per rispetto Clarence.
Dallo sguardo acceso e felice dell’anziano era difficile dire se stesse capendo di cosa
stavamo parlando.
«Si sono lamentate» confermai. «Però questo non gli ha impedito di continuare a
berlo.» Gli Strigoi potevano essere creati con la forza, se uno di loro prosciugava una
vittima e poi gli faceva bere sangue Strigoi. Lee aveva chiesto agli Strigoi di farlo, ma
dal prosciugamento del suo sangue era risultata solo la morte.
«Vorremmo prendere un campione di sangue di Dimitri e poi confrontarlo con il tuo,
Eddie» disse Sonya. «Il sangue può presentare proprietà magiche di ogni tipo e questo
potrebbe aiutarci a capire come sconfiggere gli Strigoi.»
Mantenni la mia espressione il più vacua possibile, sperando che nessuno mi notasse.
Il sangue può presentare proprietà magiche di ogni tipo. Speravo che, durante il
discorso, nessuno si sarebbe ricordato del misterioso motivo per cui il mio sangue era
risultato rivoltante agli Strigoi. E poi, perché avrebbero dovuto? Io non ero mai stata
ritrasformata. Non ero una dhampir. Non avevano motivo di coinvolgermi negli
esperimenti. Eppure, se fosse stato vero, perché avevo improvvisamente cominciato a
sudare?
«Possiamo mandarlo al laboratorio per far analizzare la parte chimica e cercare di
individuare eventuali proprietà magiche» continuò Sonya. La sua voce sembrava
dispiaciuta, ma Eddie non sembrava preoccupato.
«Nessun problema» disse. «Qualsiasi cosa.» Sapevo che parlava sinceramente.
Perdere sangue era mille volte meglio che rimanere con le mani in mano, per lui.
Inoltre, probabilmente perdeva più sangue durante i suoi allenamenti giornalieri di
quello che avrebbe dovuto mettere a disposizione per l’esperimento.
«Se avete bisogno di un altro dhampir» disse Angeline. «Potete usare me. Possiamo
aiutarvi entrambi. Saremo una squadra. Così Sydney non dovrà più venire con noi,
specialmente adesso che ha un ragazzo.»
Avevo talmente tante obiezioni da fare, che non sapevo neanche da che parte
cominciare. La sicurezza che Eddie aveva mostrato nell’offrire il suo sangue era sparita
al “saremo una squadra.”
«Ci penseremo» disse Sonya. C’era una scintilla nei suoi occhi e ricordai quando mi
aveva detto che riusciva a vedere i sentimenti nelle auree. Vedeva che Angeline aveva
una cotta per Eddie? «Per adesso, preferirei non allontanarti dai tuoi studi. Per Eddie
non è così importante, dato che si è già diplomato, ma tu dovresti stare al passo.»
Angeline sembrò intristirsi. Aveva parecchie difficoltà a lezione, senza contare alcuni
episodi imbarazzanti, come quando avrebbe dovuto creare una cartina dell’America
Centrale e lei ne aveva portata una del Nebraska e del Kansas. Lei si fingeva spavalda,
ma sapevo che a volte la Amberwood la buttava giù.
Jill ci raggiunse; sembrava carica e vivace. L’ideale per un Moroi sarebbe stato bere
sangue ogni giorno. Potevano sopravvivere secondo questo programma bisettimanale,
ma avevo notato che Jill diventava sempre più stanca man mano che passavano i giorni
dalla nutrizione.
«Tocca a te, Adrian» disse.
Lui stava sbadigliando e sembrò sorpreso che lo avessimo visto. Non credo avesse
prestato interesse agli esperimenti col sangue di Sonya. Quando si alzò, mi lanciò
un’occhiata. «Posso parlarti un momento, Sage?» Prima che potessi protestare, disse:
«Tranquilla, non ti porto alla nutrizione. Voglio solo farti una domanda veloce.»
Annuii e lo seguii fuori dalla stanza. Quando fummo lontano dagli altri dissi: «Non
voglio più sentire commenti spiritosi su Brayden.»
«I miei commenti non sono spiritosi, sono esilaranti. Ma non volevo parlare di
questo.» Si fermò in corridoio, fuori da quella che sospettavo fosse la stanza di
Dorothy. «Pare che il mio vecchio verrà a San Diego per affari la prossima settimana.»
Mi appoggiai al muro e incrociai le braccia. Avevo già un brutto presentimento.
«Non sa perché sono qui, naturalmente, e neanche che sono con Jill. Non sa
nemmeno in che città mi trovo. Pensa che stia facendo baldoria in California, che ne
stia combinando una delle mie, come al solito.» Non mi sorprendeva che il signor
Ivashkov non sapesse la ragione per cui Adrian si trovava qui. La “resurrezione” di Jill
era top secret, così come la sua posizione attuale. Non potevamo permetterci che altre
persone, anche se non volevano farle del male, scoprissero dov’era.
Ciò che mi sorprendeva era tutto l’impegno che Adrian metteva nel fingere che non
gli importasse quello che pensava suo padre; cosa che, ovviamente, non era vera. La
sua espressione era convincente, ma c’era una nota di amarezza nella sua voce che lo
tradiva. «Comunque» continuò Adrian, «mi ha detto che se volevo potevamo vederci
a pranzo. Normalmente avrei rifiutato, però voglio sapere cosa sta succedendo a mia
mamma… Non me lo dicono mai quando li chiamo o li sento per e-mail.» Colsi di
nuovo emozioni contrastanti in lui. La madre di Adrian era rinchiusa in una prigione
Moroi per aver complottato contro la regina. Nessuno l’avrebbe mai detto, vista la sua
impertinenza e il suo senso dell’umorismo, ma doveva essere difficile per lui.
«Lasciami indovinare» dissi io. «Vuoi che ti presti la macchina.» Ero solidale con
chi aveva padri difficili, anche con Adrian. Ma la mia comprensione aveva un limite e
non comprendeva Caffellatte. Non potevo rischiare che me l’ammaccasse. Inoltre,
l’idea di non avere una via di fuga e rimanere bloccata lì, mi spaventava, specialmente
se c’erano vampiri di mezzo.
«Assolutamente no» disse. «Non sono così ingenuo.»
Davvero? «Allora cosa vuoi?» chiesi sorpresa.
«Speravo potessi accompagnarmi.»
Gemetti. «Adrian, sono due ore di macchina da qui.»
«È quasi tutta autostrada» mi fece notare. «E poi ho pensato che avresti preferito
fare quattro ore avanti e indietro piuttosto che prestarmela.»
Gli lanciai un’occhiata. «Vero.»
Si avvicinò di un passo, con un’espressione sorprendentemente seria in volto. «Per
favore, Sage. So che non è una cosa da poco, perciò non fingerò che tu ci guadagni
qualcosa. Cioè, puoi stare una giornata a San Diego a fare quello che vuoi. Certo, non
è lo stesso che andare a vedere pannelli solari con Brady, però sarei in debito con te...
Letteralmente e figuratamente parlando. La pago io la benzina.»
«Si chiama Brayden, e dove diavolo hai intenzione di trovare i soldi per pagarmi la
benzina?» Adrian tirava avanti con i pochi soldi che gli dava suo padre. Quella era
parte del motivo per cui seguiva dei corsi al college, nella speranza di ricevere qualche
aiuto finanziario il prossimo semestre e aumentare le sue entrate. Ammiravo i suoi
sforzi, ma, se a gennaio ci fossimo trovati ancora a Palm Springs, allora significava che
i Moroi avevano dei seri problemi politici.
«Ridurrei… ridurrei le spese per trovare soldi in più» disse lui dopo qualche attimo
di esitazione.
Non mi preoccupai di nascondere la mia sorpresa. Molto probabilmente le spese a
cui si riferiva erano quelle per alcol e sigarette, Era lì che finiva la sua paghetta.
«Davvero?» chiesi. «Smetteresti di bere per vedere tuo padre?»
«Beh, non per sempre» disse. «Sarebbe ridicolo. Ma magari potrei passare a
qualcosa di più economico. Per esempio… granite. Sai quanto mi piacciono?
Specialmente quelle alla ciliegia.»
«Ehm, no» dissi. Adrian si lasciava distrarre facilmente da argomenti bizzarri e
oggetti luccicanti. «Sono zucchero allo stato puro.»
«Piacere allo stato puro, vorrai dire. È un sacco che non ne mangio una buona.»
«Stai divagando» gli feci notare.
«Oh. Giusto. Beh, anche a costo di andare avanti a granite, ti restituirò i soldi. E
questo è l’altro motivo per cui voglio andare: spero che il mio vecchio mi aumenti un
po’ le entrate. Puoi anche non crederci, ma odio doverti sempre chiedere cose in
prestito. È facile evitare le mie chiamate, ma faccia a faccia? Non può scappare. In più,
crede sia più “virile” e “rispettabile” chiedere qualcosa direttamente. Il solito onore di
Nathan Ivashkov.»
Riecco il rancore. Forse con un pizzico di rabbia. Studiai Adrian a lungo mentre
elaboravo la mia risposta. Nel corridoio c’era poca luce, cosa che andava a suo
vantaggio. Probabilmente lui mi vedeva benissimo, mentre io facevo fatica a notare
alcuni dettagli. Quegli occhi verdissimi che avevo spesso ammirato adesso sembravano
scuri. Il dolore sul suo viso, comunque, era fin troppo evidente. Non aveva ancora
imparato a nascondere i suoi sentimenti a Jill e al loro legame, ma sapevo che assumeva
un atteggiamento pigro e sprezzante con tutti gli altri… beh, tranne con me,
ultimamente. Non era la prima volta che lo vedevo vulnerabile e mi sembrava strano
che, fra tutti, mostrasse le sue emozioni proprio a me. Ma era davvero strano? Forse la
mia incapacità nelle relazioni sociali era tornata a confondermi. In ogni caso, mi aveva
mosso qualcosa dentro.
«Ci vai davvero solo per questo? Per i soldi?» chiesi, accantonando tutte le altre
domande. «Lui non ti piace. Dev’esserci per forza qualcos’altro.»
«Principalmente. Ma dicevo davvero prima… la storia di mia mamma. Devo sapere
come sta e lui non me lo vuole dire. Sinceramente, credo voglia far finta che non sia
mai successo niente, per la sua reputazione oppure… forse perché soffre. Non lo so,
ma ripeto, non mi può evitare se sono lì con lui. In più…» Adrian distolse lo sguardo
un momento, prima di trovare il coraggio per guardarmi di nuovo. «Non so. È da
stupidi. Però pensavo… beh, che magari resterà colpito dal fatto che sto andando al
college. Ma è probabile di no.»
Mi sentii dispiaciuta per lui e sospettavo che quell’ultima parte, ricevere
l’approvazione di suo padre, fosse più importante per Adrian di quanto lasciasse
intendere. Sapevo bene cosa volesse dire avere un padre che giudicava continuamente,
per il quale niente era mai abbastanza. Capivo anche le emozioni contrastanti, il fatto
che un giorno sembrava che non gliene fregasse niente, e il giorno dopo desiderasse la
sua approvazione. E di certo capivo il suo attaccamento alla madre. Una delle parti
peggiori di stare Palm Springs era appunto la distanza da mia madre e dalle mie sorelle.
«Perché io?» chiesi d’un fiato. Non era stata mia intenzione fargli quelle domande
prima, ma all’improvviso non riuscii più a trattenermi. C’era troppa tensione, troppa
emozione. «Potevi chiedere a Sonya o a Dimitri di accompagnarti. Probabilmente ti
avrebbero prestato la loro macchina a noleggio.»
Il fantasma di un sorriso attraversò il viso di Adrian. «Non ne sarei così sicuro. E
credo tu sappia perché non voglia rischiare di restare bloccato in una macchina con il
nostro amico russo. Ma per il resto, non lo so, Sage. C’è qualcosa in te… Tu non
giudichi gli altri. Non è vero, li giudichi. Giudichi molto più di altri sotto certi aspetti.
Ma lo fai con sincerità. Mi sento…» Il sorriso svanì mentre farfugliava. «A mio agio
con te, suppongo.»
Non sapevo cosa ribattere, anche se trovavo ironico che fosse più a suo agio con me,
quando metà delle volte che vedevo un Moroi mi veniva un attacco di panico. Non lo
devi aiutare per forza, mi avvisò una vocina dentro di me. Non gli devi niente. Non
devi niente che non sia strettamente necessario ai Moroi. Ti sei dimenticata di Keith?
Non fa parte del tuo lavoro. Ricordai il bunker e che era bastato un affare con i vampiri
per far finire Keith in riabilitazione. Quanto stavo facendo peggio, io? Le interazioni
sociali erano alla base di questa operazione, ma stavo confondendo tutti i limiti, di
nuovo.
«Okay» dissi. «Va bene. Mandami una e-mail per dirmi a che ora partire.»
Quello fu il momento più divertente. Sembrava completamente attonito. «Davvero?»
Non riuscii a non ridere. «Mi hai veramente fatto tutto quel discorso senza aspettarti
che avrei accettato?»
«Sì» ammise, ancora meravigliato. «Non si può mai sapere, con te. Io faccio finta
con le persone. Nel senso, sono bravo a leggere le espressioni, ma per la maggior parte
mi aiuto con le auree e poi mi vanto di avere un dono. Non ho ancora imparato bene a
leggere gli umani. Hai i loro stessi colori, ma dai una percezione diversa.»
Le auree non mi disturbavano come il resto della magia dei vampiri, ma comunque
non mi facevano sentire del tutto tranquilla. «Di che colore è la mia?»
«Gialla, naturalmente.»
«Naturalmente?»
«I tipi intelligenti e analitici di solito ce l’hanno gialla. Ma c’è anche qualche
spruzzata di viola nella tua.» Anche nella penombra, vedevo una scintilla maliziosa nei
suoi occhi. «È questo che ti rende interessante.»
«Cosa vuol dire il viola?»
Adrian mise una mano sulla porta. «Devo andare, Sage. Non vorrei far aspettare
troppo Dorothy.»
«Dai. Dimmi cosa significa.» Ero così curiosa che per poco non lo presi per il
braccio.
Girò il pomello. «Te lo dico se entri con me.»
«Adrian…»
Ridendo, scomparve dentro la stanza e chiuse la porta. Scuotendo la testa, feci per
tornare dagli altri, ma poi decisi di cercare la Coca-Cola Light. Rimasi in cucina per un
po’, appoggiata ai piani di granito, mentre contemplavo con sguardo assente le pentole
di rame che pendevano dal soffitto. Perché avevo accettato di accompagnare Adrian?
Cosa c’era di così speciale in lui da farlo riuscire ad incrinare la logica su cui fondavo
la mia vita? Capivo perché spesso avevo un debole per Jill. Mi ricordava la mia
sorellina Zoe. Ma Adrian? Non somigliava a nessuno di mia conoscenza. Anzi, ero
abbastanza sicura che non ci fosse nessuno al mondo come Adrian Ivashkov.
Procrastinai così a lungo che, quando tornai in salotto, anche Adrian aveva finito.
Mi sedetti sul divano, finendo le ultime gocce della mia Coca-Cola Light. Sonya si
illuminò nel vedermi.
«Sydney, abbiamo appena avuto un’idea fantastica.»
Magari non ero proprio la più veloce a cogliere i segnali, però mi accorsi che questa
idea fantastica riguardava me, e non Adrian e me.
«Stavamo appunto parlando dei verbali dell’… incidente.» Lanciò un’occhiata
eloquente a Clarence, io capii e annuii. «Sia i Moroi che gli Alchimisti hanno detto che
gli Strigoi hanno avuto qualche problema anche con il tuo sangue, giusto?»
Mi irrigidii. Non mi piaceva per niente. Era la conversazione che temevo. Gli Strigoi
che avevano ucciso Lee non avevano avuto semplicemente “qualche problema” a bere
il mio sangue. Quello di Lee aveva solo un sapore strano. Il mio era disgustoso. Quella
che aveva provato a bere il mio, l’aveva trovato intollerabile. L’aveva persino sputato.
«Sì…» dissi cautamente.
«Naturalmente tu non sei mai stata una Strigoi» disse Sonya. «Ma vorremmo dare
un’occhiata anche al tuo sangue. Magari possiamo trovarci qualcosa di utile. Un
piccolo campione dovrebbe bastare.»
Tutti gli occhi erano su di me, anche quelli di Clarence. La stanza iniziò a
restringersi, mentre il panico mi assaliva. Avevo pensato spesso al motivo per cui agli
Strigoi non fosse piaciuto il mio sangue… veramente avevo cercato di non pensarci.
Non volevo pensare che ci fosse qualcosa di speciale in me. Non volevo attirare
l’attenzione di nessuno. Una cosa era aiutare con gli esperimenti e un’altra era
diventare oggetto di studio. Se mi volevano fare un test, magari poi me ne avrebbero
voluto fare altri. Ed altri ancora. Sarei finita rinchiusa da qualche parte, a farmi rivoltare
come un calzino.
E poi non volevo dar loro il mio sangue. Non m’importava se Sonya e Dimitri erano
persone a posto. Non m’importava neanche che mi avrebbero prelevato il sangue con
un ago e non con i denti. Il concetto base era sempre lo stesso, un tabù che derivava
dalla convinzione più elementare di ogni Alchimista: dare sangue ai vampiri era
sbagliato. Era il mio sangue. Mio. Nessuno, specialmente i vampiri, doveva averci
niente a che fare.
Deglutii, sperando di non dare l’impressione di voler scappare. «Era l’opinione di
uno Strigoi. E sapete che a loro non piacciono gli umani tanto quanto… voi.» Quello
era uno dei motivi per il quale i Moroi vivevano sempre nella paura e contavano così
tante perdite. Erano la crème de la crème della cucina Strigoi. «Probabilmente è stato
solo per questo.»
«Forse» disse Sonya. «Ma tentar non nuoce.» Il suo viso era illuminato per questa
nuova idea. Mi dispiaceva tanto deluderla… ma i miei principi al riguardo era troppo
forti. Era quello che mi avevano insegnato a credere.
«Penso sia una perdita di tempo» dissi. «Sappiamo che c’entra lo spirito e non c’è
nessun collegamento con me.»
«Io penso che potrebbe essere utile» disse. «Per favore.»
Utile? Certo, dal suo punto di vista. Voleva vagliare ogni possibilità. Ma il mio
sangue non c’entrava niente con la trasformazione in Strigoi. Per forza.
«Io… preferirei di no.» Una risposta controllata, considerate le emozioni che mi si
agitavano dentro. Il cuore cominciava a martellarmi e le pareti continuavano a
restringersi. L’ansia aumentò quando mi assalì una vecchia sensazione, la terribile
consapevolezza che fossi numericamente inferiore, lì da Clarence. Che c’eravamo io e
una stanza piena di Moroi e dhampir. Creature anomale. Creature anomale che
volevano il mio sangue…
Dimitri mi osservò con curiosità. «Non fa male, se è questo che ti preoccupa. Ci
basta la quantità che preleverebbe un normale dottore.»
Scossi la testa, irremovibile. «No.»
«Io e Sonya sappiamo cosa fare» aggiunse, cercando di tranquillizzarmi. «Non ti
devi preoccupare…»
«Ha detto di no, okay?»
Tutti gli sguardi si spostarono velocemente su Adrian. Si protese in avanti, fissando
Sonya e Dimitri, e vidi qualcosa in quei suoi begli occhi che non avevo mai visto:
rabbia. Sembravano fatti di fuoco smeraldo.
«Quante volte ancora deve rifiutare?» chiese Adrian. «Se non vuole farlo, basta,
discorso chiuso. Lei non c’entra niente. È il nostro progetto di scienze. Lei deve
proteggere Jill e ha molto da fare. Quindi smettetela di assillarla!»
«“Assillarla” mi sembra un po’ esagerato» disse Dimitri, calmo nonostante la
sfuriata di Adrian.
«No, se si continua ad insistere con qualcuno che vuole essere lasciato in pace»
ribatté Adrian. Mi lanciò uno sguardo preoccupato prima di riportare la sua rabbia su
Sonya e Dimitri. «Smettetela di fare comunella contro di lei.»
Sonya spostò lo sguardo da me ad Adrian con fare incerto. Sembrava sinceramente
ferita. Nonostante la sua perspicacia, non credevo avesse capito quanto mi disturbasse
la faccenda. «Adrian… Sydney… non vogliamo infastidire nessuno. Vogliamo solo
andare in fondo alla questione. Pensavo che lo voleste anche voi. Sydney ci ha sempre
sostenuto.»
«Non importa» ringhiò Adrian. «Usa il sangue di Eddie. Usa quello di Belikov. Puoi
usare anche il tuo, non m’interessa. Ma se lei non vuole darvi il suo, allora basta. Ha
detto di no. La conversazione finisce qui.» Una remota parte di me si accorse che era
la prima volta che Adrian si metteva contro Dimitri. Di solito si limitava a ignorarlo,
sperando di essere ignorato a sua volta.
«Ma…» iniziò Sonya.
«Lascia stare» disse Dimitri. La sua espressione era sempre difficile da decifrare, ma
c’era gentilezza nella sua voce. «Adrian ha ragione.»
Com’era prevedibile, dopo quella discussione si era creata un po’ di tensione nella
stanza.
Qualcuno tentò di fare conversazione, ma io quasi non ci feci caso. Il cuore mi
batteva ancora troppo forte, avevo il respiro ancora affannato. Mi sforzai con tutta me
stessa di calmarmi, convincendomi che il discorso fosse chiuso, che Sonya e Dimitri
non mi avrebbero interrogato né preso il sangue con la forza. Diedi una sbirciatina ad
Adrian. Non sembrava più arrabbiato, ma c’era ancora una certa grinta nella sua
espressione. Sembrava quasi… protettivo. Una strana sensazione mi scaldò e, per un
breve momento, quando lo guardai, mi sentii… al sicuro. Di solito non era la prima
cosa che sentivo quando stavo con lui. Gli lanciai quello che speravo fosse uno sguardo
di gratitudine. Lui rispose con un piccolo cenno della testa.
Lo sa, realizzai. Sa cosa penso dei vampiri. Ovviamente lo sapevano tutti. Gli
Alchimisti non facevano mistero della loro convinzione che quasi tutti i vampiri e i
dhampir fossero creature oscure, che non avevano niente in comune con gli umani.
Tuttavia, visto che stavo spesso con loro, pensavo che la mia compagnia di Palm
Springs non capisse quanto fosse radicato a fondo quel pensiero. Lo capivano, in teoria,
ma non lo percepivano. E non avevano motivo di farlo, visto che difficilmente lo davo
a vedere.
Ma Adrian capiva. Non sapevo come, ma era così. Pensai alle poche volte che avevo
dato di matto da quando ero a Palm Springs. Una volta al campo da mini-golf, quando
Jill aveva usato la magia dell’acqua. Poi con gli Strigoi e Lee, quando Adrian si era
offerto di curarmi con la magia. Piccole perdite di compostezza che nessuno degli altri
aveva notato. Adrian sì.
Come mai Adrian Ivashkov, che sembrava non prendesse mai niente sul serio, era
stato l’unico tra queste persone “responsabili” a prestare attenzione a questi piccoli
dettagli? Com’era possibile che fosse stato l’unico a capire l’importanza di quello che
provavo?
Quando fu il momento di andarcene, accompagnai a casa Adrian, insieme a tutti gli
altri studenti della Amberwood. In macchina ci fu ancora silenzio. Quando Adrian
scese, Eddie si rilassò e scosse la testa.
«Accidenti. Credo di non aver mai visto Adrian così arrabbiato. Anzi, non l’avevo
mai visto arrabbiato.»
«Non era poi tanto arrabbiato» dissi evasivamente, gli occhi fissi sulla strada.
«A me sembrava piuttosto arrabbiato» disse Angeline. «Pensavo avrebbe aggredito
Dimitri.»
Eddie rise. «Non credo che sarebbe arrivato a tanto.»
«Non saprei» meditò lei. «Penso fosse pronto ad affrontare chiunque ti avesse dato
fastidio, Sydney.»
Continuai a fissare la strada, rifiutandomi di guardarli. Tutta la discussione mi aveva
lasciata confusa. Perché Adrian mi aveva difesa? «Gli devo fare un favore il prossimo
weekend» dissi. «Penso si senta in debito con me.»
Jill, seduta di fianco a me, al posto del passeggero, era rimasta in silenzio fino a quel
momento. Visto il legame che li univa, probabilmente sapeva la risposta. «No» disse,
con una nota di confusione nella voce. «L’avrebbe fatto in ogni caso.»
CAPITOLO 7 Traduzione: Dani Rox
Pre-Revisione: Juls
TRASCORSI GRAN PARTE DEL GIORNO SEGUENTE a lottare con il mio rifiuto
di aiutare Sonya, meditando su quella decisione mentre andavo da una lezione all’altra.
C’era una parte di me che si sentiva in colpa al pensiero di non dare il mio sangue per
fare gli esperimenti. Dopotutto, sapevo che quello che stavano facendo era per una
giusta causa. Se c’era un modo per proteggere i Moroi dal diventare Strigoi, allora, in
teoria, poteva valere anche per gli umani. Questo avrebbe potuto rivoluzionare il modo
di operare degli Alchimisti. Quelli come Liam, il tipo inquietante rinchiuso nel bunker,
non sarebbero stati più una minaccia. Poteva essere “sterilizzato” e liberato, senza
temere che potesse cedere alla tentazione della corruzione degli Strigoi. Sapevo anche
che Sonya e gli altri erano ad un punto morto con le loro ricerche. Non riuscivano a
spiegarsi perché Lee fosse immune alla trasformazione in Strigoi.
Allo stesso tempo, nonostante l’importanza della causa, mi sentivo ancora
fermamente contraria a dare il mio sangue. Avevo seriamente paura che così facendo
sarei divenuta soggetta a sempre più esperimenti. E non potevo affrontare una cosa del
genere. Non c’era nulla di speciale in me. Non ero stata sottoposta ad una miracolosa
trasformazione indotta dallo spirito. Lee ed io non avevamo proprio niente in comune.
Ero esattamente come ogni altro essere umano, come ogni altro Alchimista. Solo che
il mio sangue aveva un cattivo sapore. E questo mi stava bene.
«Parlami dell’incantesimo ammaliatore» mi disse un pomeriggio la professoressa
Terwilliger. Era passato qualche giorno da quando eravamo stati da Clarence, e
continuavo a rimuginare su quello che era successo mentre in apparenza mi dedicavo
allo studio indipendente con lei.
Alzai lo sguardo dal libro davanti a me. «Quale variante? Quello della personalità o
quello della metamorfosi? »
Era seduta alla sua scrivania e mi sorrideva. «Per essere tanto contraria a queste cose,
impari decisamente in fretta. Quello della metamorfosi».
Si trattava di un incantesimo recente che avevo dovuto imparare. Ce l’avevo chiaro
in mente, ma feci un sospiro profondo per farle intuire in modo passivo aggressivo
quanto questo mi infastidisse. «Permette a chi lo pratica di avere un controllo a breve
termine su qualcuno. Chi pratica l’incantesimo deve creare un amuleto fisico da
indossare…» Aggrottai nel pensare a quella parte dell’incantesimo. «E poi recitare una
breve formula rivolta alla persona da controllare».
La professoressa Terwilliger si sollevò gli occhiali sul naso. «Perché esiti?»
Notava ogni piccola esitazione. Non volevo farmi coinvolgere in tutto ciò, ma lei era
una mia insegnante, e questo faceva parte del mio compito fin quando fossi rimasta
intrappolata in questa miserabile sessione di studio. «Non ha senso. Beh, nessuna di
queste cosa ha senso, certo. Ma logicamente, penso che bisognerebbe usare qualcosa
di tangibile sulla vitt… sul soggetto. Magari dovrebbe indossare amuleto. O bere
qualcosa. Mi è difficile credere che chi lancia l’incantesimo è l’unico ad aver bisogno
di un oggetto magico. Sento che dovrebbe stabilire un collegamento con il soggetto».
«Hai colto la parola chiave» aveva detto. «Oggetto magico. L’amuleto rinforza la
volontà dell’incantatore, così come l’incantesimo in sé. Se viene lanciato
correttamente, e l’incantatore è abbastanza esperto e forte, questo spingerà il potere di
dominio sul soggetto. Magari non sembra una cosa tangibile, ma la mente è uno
strumento potente.»
«Il potere di dominio» mormorai. Senza pensarci, mi ero fatta il segno degli
Alchimisti contro il male. «Non lo trovo giusto.»
«È diverso dalla forma di ammaliamento che usano i tuoi amici vampiri?»
Mi gelai. Era da molto tempo che la professoressa Terwilliger aveva ammesso di
essere a conoscenza del mondo dei Moroi e degli Strigoi, ma io continuavo ad evitare
l’argomento con lei. La magia del mio tatuaggio non mi impediva di parlare del mondo
dei vampiri con chi ne era a conoscenza, ma non volevo rivelare accidentalmente
qualche dettaglio sulla mia missione per proteggere Jill. Ciò nonostante, le sue parole
mi sconvolsero. Questo incantesimo era molto simile alla compulsione, molto simile a
quello che avevo visto fare a Sonya per calmare Clarence. I vampiri potevano farlo
senza alcun aiuto. Questo incantesimo richiedeva una componente fisica, ma la
professoressa Terwilliger mi aveva detto che era una cosa del tutto normale per gli
umani. Aveva detto che la magia era una cosa innata per i Moroi, mentre noi dovevamo
estirparla dal mondo. A me sembrava un motivo in più per cui gli umani non avrebbero
dovuto dilettarsi in cose del genere.
«Nemmeno quello che fanno loro è giusto» dissi, in una rara ammissione
dell’esistenza dei Moroi con lei. Non mi piaceva pensare che capacità che trovavo così
deviate e sbagliate fossero anche alla portata degli umani, stando a quanto diceva lei.
«Nessuno dovrebbe avere un potere del genere sugli altri.»
Lei sollevò le labbra. «Sei molto intransigente su una cosa in cui non hai alcuna
esperienza.»
«Non sempre si ha bisogno di esperienza. Non ho mai ucciso nessuno, ma comunque
so che uccidere è sbagliato.»
«Non ignorare questi incantesimi. Possono essere una difesa utile» disse
stringendosi nelle spalle. «Forse dipende da chi ne fa uso… proprio come una pistola
o un’altra arma qualsiasi.»
Feci una smorfia. «Non mi piacciono neppure le pistole.»
«Allora potresti trovare la magia un’alternativa migliore». Fece un piccolo
movimento aggraziato con le mani e un vaso d’argilla posto sul davanzale della finestra
esplose improvvisamente. I frammenti affilati caddero sul pavimento. Mi alzai di scatto
dal mio banco e arretrai di qualche passo. Era sempre stata in grado di fare questo tipo
di cose? Sembrava non aver fatto alcuno sforzo. Che danni poteva provocare se avesse
fatto sul serio? Sorrise. «Vedi? Molto efficace.»
Semplice ed efficace, facile quanto poteva essere per un vampiro utilizzare la sua
magia degli elementi con la sola forza del pensiero. Dopo tutti gli incantesimi accurati
che avevo visto in quei libri, ero sconvolta nel vedere una magia così “facile”. Tutto
questo portava i discorsi della professoressa Terwilliger ad un livello completamente
nuovo e pericoloso. Tutto il mio corpo si irrigidì mentre aspettavo di vedere un altro
orribile incantesimo, ma a giudicare dallo sguardo sereno sul suo viso, quella sarebbe
stata l’unica dimostrazione di potere, per ora. Sentendomi un po’ ridicola per la mia
reazione, tornai a sedermi.
Presi un respiro profondo e scelsi cautamente cosa dire, tenendo la rabbia e la paura
a freno. Non sarebbe stato conveniente fare una sfuriata davanti ad un’insegnante.
«Signora, perché continua a farlo? »
La professoressa Terwilliger piegò la testa da un lato come un uccellino. «A fare
cosa, cara? ».
«Questo.» Colpii il libro davanti a me. «Perché continua a farmi lavorare su queste
cose contro la mia volontà? Le odio, e lei lo sa. Non voglio averci niente a che fare!
Perché vuole che impari? Che cosa ne ricava lei? C’è qualche club di streghe dove si
riceve un premio speciale se si porta una nuova recluta?»
Tornò il suo sorriso strano. «Preferiamo il termine congrega, non club di streghe.
Anche se suona bene. Ma, per rispondere alla tua domanda, io non ci ricavo niente…
almeno, non quello che pensi tu. Alla mia congrega possono sempre tornare utili
membri potenti, e tu hai il potenziale per fare cose eccezionali. Comunque, non si tratta
solo di questo. La tua posizione è che sia sbagliato per gli umani avere un potere del
genere, giusto? »
«Giusto» dissi a denti stretti. Avevo esposto la mia posizione un milione di volte.
«È assolutamente vero… per alcuni umani. Ti preoccupi che possano abusare di
questo potere? Hai ragione. Succede sempre, ecco perché abbiamo bisogno di persone
buone e dotate di una morale che sappiano opporsi a coloro che usano la magia per
ragioni egoistiche e malvagie.»
La campanella suonò, liberandomi. Mi alzai in piedi e raccolsi le mie cose. «Mi
dispiace, professoressa Terwilliger. Sono lusingata che lei mi reputi una persona
onesta, ma mi trovo già in mezzo ad una battaglia tra il bene e il male. Non me ne serve
un’altra.»
Lasciai la nostra sessione di studio sentendomi sia confusa che arrabbiata e speravo
che i prossimi due mesi del semestre sarebbero passati in fretta. Se questa missione per
gli Alchimisti fosse continuata fino all’anno prossimo, sarebbe stato fattibile passare a
scrittura creativa o qualche altro corso facoltativo. Era un peccato però, perché
all’inizio mi piaceva davvero la professoressa Terwilliger. Era geniale, conosceva la
sua materia (storia, non magia) e mi aveva incoraggiata. Se avesse mostrato lo stesso
entusiasmo con cui mi insegnava la magia nell’insegnarmi storia, non saremmo finite
in questo casino.
Di solito cenavo con Julia e Kristin o con la mia “famiglia”. Quella era una serata
con la famiglia. Trovai Eddie e Angeline già al tavolo quando entrai nella mensa del
Campus Est e, come al solito, lui sembrò grato della mia presenza.
«Beh, perché no?» stava dicendo Angeline, quando presi posto con il mio vassoio.
C’era cibo cinese quella sera e lei aveva in mano le bacchette, il che mi sembrava una
cattiva idea. Avevo provato a insegnarle ad usarle una volta, senza riuscirci. Si era
arrabbiata e aveva infilzato un involtino di uova così forte che i bastoncini si erano
spezzati.
«Io… beh, non è una cosa che mi si addice» disse Eddie, tentando di trovare una
risposta a qualunque fosse la sua domanda. «Non ci vado proprio. Con nessuno».
«Jill ci andrà con Micah» gli fece notare Angeline astutamente. «Non dovrai andare
per tenerla d’occhio, visto non si terrà a scuola? »
La risposta di Eddie fu uno sguardo afflitto.
«Di che state parlando?» chiesi alla fine.
«Del ballo di Halloween» disse Angeline.
Questa mi era nuova. «Ci sarà un ballo di Halloween?»
Eddie si riprese dalla sua tristezza e mi rivolse uno sguardo sorpreso. «Come fai a
non saperlo? Ci sono cartelli dappertutto.»
Mescolai le mie verdure al vapore. «Non ci saranno, dove sono stata io.»
Eddie indicò con la forchetta qualcosa alle mie spalle. Voltandomi, guardai la fila in
cui ero appena stata. Lì, appeso al muro, c’era un enorme cartello pubblicitario con
scritto BALLO DI HALLOWEEN. Portava la data e l’ora ed era decorato con zucche
disegnate male.
«Ah» dissi.
«Come fai a memorizzare libri interi e perderti una cosa come questa?» chiese
Angeline.
«Perché il cervello di Sydney registra solo informazioni utili» disse Eddie con un
sorriso. Non lo negai.
«Non pensi che Eddie dovrebbe andarci?» insisté Angeline. «Deve proteggere Jill.
E, se ci va, tanto vale che ci andiamo insieme.»
Eddie mi lanciò uno sguardo disperato, e io cercai di trovare un modo per tirarlo
fuori da questo guaio. «Beh, sì, certo che ci andrà… specialmente se si tiene fuori dal
campus.» Il cartello indicava un posto di cui non avevo mai sentito parlare. Non c’erano
state avvisaglie dei Moroi che davano la caccia a Jill, ma un posto sconosciuto
comportava nuovi pericoli. Mi venne un’idea. «Ma è proprio questo il problema. Lui
sarà in servizio. Passerà tutto il tempo a controllare quel posto, che non ci siano persone
sospette. Sarebbe inutile, ehm, andarci con te. Probabilmente non ti divertiresti
granché. Meglio andarci con qualcun altro.»
«Ma anche io dovrei proteggere Jill» ribatté lei. «Non è per questo che sono qui?
Devo imparare come comportarmi.»
«Beh, sì» rispose lui, incastrato da quella logica. «Dovrai venire con me per poter
badare a lei.»
Angeline si illuminò. «Davvero? Allora possiamo andarci insieme! »
Lo sguardo afflitto di Eddie ritornò. «No. Ci andremo insieme. Non insieme
insieme.»
Angeline non sembrò cogliere la sfumatura. «Non sono mai stata ad un ballo»
ammise. «Beh, a casa li organizziamo sempre. Ma non penso sia la stessa cosa.»
Su questo ero d’accordo. Avevo visto le tipologie di eventi sociali che organizzavano
i Custodi. Erano contrassegnati da musica cupa e balli intorno ai falò, oltre a qualche
alcool tossico fatto in casa che perfino Adrian non avrebbe toccato. Inoltre, secondo i
Custodi, un evento sociale era un successo solo se ne fosse scaturito almeno uno
scontro. Era sorprendente che Angeline non ne avesse ancora avuti alla Amberwood.
Avrei dovuto ritenermi fortunata che le sue uniche trasgressioni riguardavano il codice
d’abbigliamento e le sue risposte a tono agli insegnanti.
«Probabilmente no» dissi neutrale. «Ma non saprei. Nemmeno io sono mai stata ad
un ballo.»
«A questo ci andrai, vero?» chiese Eddie. «Con Brody?»
«Brayden. E non lo so. Non siamo ancora andati al secondo appuntamento. Non
voglio affrettare le cose.»
«Giusto» disse Eddie. «Perché non c’è nessun segnale di impegno più forte di un
ballo di Halloween.»
Stavo per rispondergli che forse lui e Angeline sarebbero dovuti andare davvero
insieme, quando Jill e Micah si unirono a noi. Entrambi stavano ridendo e non
riuscivano a smetterla per spiegarci cosa ci fosse di così divertente.
«Janna Hall ha finito un abito da uomo al club di cucito stasera» disse Jill
sghignazzando. Ancora una volta, provai un moto di gioia nel vederla così felice. «La
professoressa Yamani ha detto che era l’unico completo maschile che avesse mai visto
fare in cinque anni. Ovviamente a Janna serviva un modello, e c’era solo un ragazzo…»
Micah tentò di assumere un’espressione afflitta, ma tornò subito a sorridere. «Sì, sì.
Mi sono comportato da uomo e mi sono offerto. Quell’abito era orribile.»
«Ma dai!» disse Jill. «Non era poi così brutto… okay, sì. Janna non aveva seguito
nessun criterio per la taglia, quindi i pantaloni erano enormi. Tipo delle tende. E, dato
che non aveva fatto nessun buco per far passare la cintura, se li è dovuti tenere su con
una fascia.»
«Che ha resistito a stento, quando mi hanno fatto sfilare» disse Micah, scuotendo la
testa.
Jill gli diede una gomitata scherzosa. «Probabilmente sarebbero stati tutti contenti,
se non avesse retto.»
«Ricordami di non iscrivermi mai più ad un club per sole ragazze» disse Micah. «Il
prossimo semestre frequenterò qualcosa tipo commercio o karate.»
«Non lo rifarai? Neanche per me?» Jill lo guardò con fare sia tenero che ammiccante.
Mi resi conto che quello era molto più efficace di qualsiasi incantesimo ammaliatore o
della compulsione.
Micah gemette. «Non ho scelta.»
Non mi ritenevo particolarmente romantica, e continuavo a non approvare la loro
pacata storia d’amore, ma sorrisi davanti ai loro punzecchiamenti. Almeno finché non
notai l’espressione di Eddie. Non che facesse trasparire granché. Forse l’influenza di
Dimitri aveva contribuito a fargli perfezionare il tipico sguardo impassibile da
guardiano. Ma Eddie non era ancora Dimitri, ed io riuscivo a scorgere piccole tracce
di tristezza e desiderio nei suoi occhi.
Perché si stava facendo questo? Si rifiutava di dire a Jill quali erano i suoi sentimenti.
La sua posizione era che lui era il suo protettore e niente più. Questo lo capivo, in parte.
Quello che non riuscivo proprio a capire era perché continuasse a torturarsi
incoraggiandola ad uscire con il suo compagno di stanza, tra tutti. Anche con la
faccenda della somiglianza tra Micah e Mason, Eddie si costringeva a vedere
costantemente la ragazza che desiderava con qualcun altro. Non avevo avuto
esperienze simili, ma doveva essere straziante.
Eddie si accorse che lo stavo osservando e scosse lievemente la testa. Lascia
perdere, sembrava dire. Non preoccuparti per me. Sto bene.
Ben presto Angeline riprese a parlare del ballo, chiedendo a Jill e Micah se avessero
intenzione di andarci. Espose anche i suoi piani di andarci “con” Eddie. Questo lo
scosse dal suo stato malinconico e, nonostante sapessi che lei lo infastidiva, mi
chiedevo se non fosse meglio così piuttosto che essere continuamente tormentato dalla
relazione di Jill e Micah.
La conversazione si interruppe, così come il dilemma di Eddie, quando Micah
aggrottò la fronte e puntualizzò quello che a noi altri era sfuggito. «Perché andate al
ballo insieme? Non siete cugini? »
Eddie, Jill e io raggelammo. Un altro casino con la nostra copertura. Non potevo
credere che fosse successo due volte. Avrei dovuto fare presente la cosa non appena
Angeline si era messa a parlare del ballo. Agli occhi della scuola, noi eravamo tutti
parenti.
«E allora?» chiese Angeline, senza capire.
Eddie si schiarì la voce. «Ehm, cugini di terzo grado. Ma comunque non ci andiamo
insieme davvero. È così per dire.»
Con questo l’argomento fu chiuso efficacemente, e Eddie non riuscì a non sorridere
con fare trionfante.
Il giorno seguente, Brayden venne a prendermi immediatamente dopo la scuola, in
modo da arrivare alla visita ai mulini a vento in tempo. La professoressa Terwilliger
mi aveva perfino lasciata andare via qualche minuto prima, dopo averle promesso che
le avrei preso un cappuccino sulla via di ritorno per la Amberwood. Ero entusiasta di
vedere Brayden e di fare il tour, eppure, quando salii in macchina, avvertii una leggera
punta di dubbio. Avevo il diritto di concedermi questi svaghi? Specialmente dopo i due
lapsus sulla nostra storia di copertura. Forse stavo dedicando un po’ troppo tempo a me
stessa e non abbastanza alla missione.
Brayden ebbe molto da raccontarmi sulla gara di dibattito a cui aveva partecipato
nel weekend. Analizzammo alcuni degli argomenti più difficili che aveva dovuto
affrontare e ridemmo di quelli più facili che avevano messo in difficoltà la squadra
avversaria. Per anni avevo avuto paura di uscire con i ragazzi, ma mi trovai di nuovo
piacevolmente sorpresa nel vedere quanto mi venisse facile parlare con lui. Era come
durante l’uscita Shakespeariana: un’infinita sorgente di argomenti di cui entrambi
sapevamo molto. Era il resto che ancora mi metteva a disagio, la questione della
frequentazione. I libri sugli appuntamenti che avevo letto dalla nostra ultima uscita
davano perlopiù suggerimenti su quando fare sesso, cosa completamente inutile dal
momento che dovevo ancora capire come ci si tenesse per mano.
Gli enormi mulini a vento erano impressionanti. Non avevano la bellezza raffinata
delle auto che amavo, ma ero altrettanto ammirata dall’ingegneria che li costituiva.
Alcuni erano alti più di trenta metri, con pale che misuravano la metà di un campo di
football. Cose del genere mi lasciavano incantata dall’ingegno umano. Chi aveva
bisogno della magia quando potevamo creare meraviglie del genere?
La nostra guida era un’allegra ragazza sui vent’anni a cui chiaramente piaceva il suo
lavoro e quello che rappresentava l’energia eolica. Conosceva moltissime nozioni a
riguardo… ma non abbastanza da soddisfare Brayden.
«Come giustifica l’inefficienza dell’energia derivante dalla necessità delle turbine
di una velocità del vento che rientri in una gamma tanto limitata? »
E poi: «Qual è la sua risposta agli studi che dimostrano che migliorando
semplicemente i filtri nella trasformazione del carbon fossile si avrebbero minori
emissioni di anidride carbonica rispetto a questo tipo di produzione energetica? ».
E ancora: «L’energia eolica può essere davvero ritenuta un’alternativa sostenibile
quando, considerati il costo della costruzione e altre spese di manutenzione, i
consumatori finiscono per pagare più di quanto farebbero con le forme tradizionali di
elettricità?»
Non potevo esserne certa, ma penso che la nostra guida concluse il tour prima del
tempo. Invitò alcuni degli altri turisti a tornare, ma non disse niente quando Brayden e
io le passammo accanto.
«Purtroppo quella donna era disinformata» mi disse, una volta tornati in autostrada.
«Sapeva molte cose sui mulini a vento e le loro capacità» puntualizzai. «Suppongo
che non si parli molto delle recenti controversie durante queste visite. O…» Feci una
pausa, sorridendo. «Di come gestire, ehm, turisti insistenti.»
«Sono stato insistente?» chiese con aria sinceramente sorpresa. Era così preso dalle
sue idee che non se ne era neppure accorto. Era adorabile.
Cercai di non ridere. «Ci sei andato pesante, tutto qui. Non penso che fossero
preparati a qualcuno come te.»
«Dovrebbero esserlo. L’energia eolica è promettente, vero, ma per adesso, ci sono
troppi costi e problemi di efficienza che devono essere risolti. Altrimenti è inutile.»
Rimasi in silenzio per diverso tempo, provando a decidere quale fosse la risposta
migliore. Nessuno dei consigli che avevo ricavato dai libri e dai miei amici poteva
servirmi a gestire discussioni riguardanti fonti alternative di energia. Uno dei libri (uno
che avevo scelto di non finire) aveva un punto di vista decisamente maschilista che
diceva che le donne avrebbero dovuto sempre far sentire gli uomini importanti durante
gli appuntamenti. Sospettavo che il suggerimento di Kristin e Julia in questo momento
sarebbe stato mettersi a ridere e agitare i capelli… e non lasciare che la discussione
proseguisse oltre.
Ma non ci riuscii.
«Ti sbagli» dissi.
Brayden, che era un grande sostenitore della sicurezza alla guida, distolse lo sguardo
dalla strada per un paio di secondi per fissarmi. «Cosa hai detto?»
Oltre ad aver scoperto che aveva un vasto bagaglio culturale come me, avevo anche
colto qualcos’altro di essenziale sulla personalità di Brayden. Non gli piaceva essere
contraddetto. Non era una sorpresa. Neanche a me piaceva, e avevamo molto in
comune sotto quel punto di vista. E, dal modo in cui parlava della scuola e perfino della
sua gara di dibattito, avevo anche dedotto che le persone non gli dicevano mai che si
sbagliava, anche quando capitava.
Forse non era troppo tardi per agitare i capelli. Invece, continuai.
«Ti sbagli. Magari il vento non è così efficiente come potrebbe essere, ma il fatto
che lo stiano sviluppando è un enorme miglioramento rispetto alle fonti di energia
antiquate e arcaiche da cui è sempre dipesa la nostra società. Aspettarsi che i costi siano
vantaggiosi quanto quelli di risorse presenti da molto più tempo è ingenuo.»
«Ma…»
«Non possiamo negare che il costo sia all’altezza dei benefici. Il cambiamento
climatico sta diventando un problema sempre più grande, e la riduzione delle emissioni
di anidride carbonica grazie al vento potrebbe avere un impatto significativo. Inoltre, e
cosa più importante, il vento è un’energia rinnovabile. Non importa che le altre fonti
siano più economiche, se in futuro si esauriranno. »
«Ma…»
«Dobbiamo essere progressisti e pensare a cosa ci salverà in futuro. Focalizzarsi
totalmente su ciò che è economicamente vantaggioso adesso, ignorando le
conseguenze, è poco lungimirante e porterà al crollo della razza umana. Quelli che la
pensano diversamente stanno solo rimandando il problema, a meno che non abbiano in
mente altre soluzioni. La maggior parte no. Si lamenta e basta. Ecco perché ti sbagli.»
Feci una pausa per prendere fiato e poi lanciai un’occhiata a Brayden. Stava
guardando la strada, ma i suoi occhi erano spalancati. Non penso sarebbe stato più
scioccato di così neanche se l’avessi preso a schiaffi. Mi rimproverai immediatamente
per quello che avevo detto. Sydney, perché non ti sei limitata a sbattere le ciglia?
«Brayden?» chiesi esitante, una volta passato quasi un minuto senza ricevere
risposta. Ancora silenzio tombale.
Senza alcun preavviso, uscì bruscamente dall’autostrada e accostò lungo il bordo.
Intorno a noi si alzarono polvere e ghiaia. In quel momento ero assolutamente certa
che mi avrebbe chiesto di scendere dalla macchina e tornarmene a piedi a Palm Springs.
E mancavano ancora diversi chilometri alla città.
Invece mi prese le mani e si allungò verso di me. «Tu» disse senza fiato. «Sei
fantastica. Assolutamente, decisamente, squisitamente fantastica.» E poi mi baciò.
Fui così sorpresa che non riuscii nemmeno a muovermi. Il mio cuore accelerò, ma
più per l’ansia che per altro. Stavo andando bene? Provai a sciogliermi nel bacio,
schiudendo leggermente le labbra, ma il mio corpo restò rigido. Brayden non si
allontanò disgustato, quindi era un buon segno. Non avevo mai baciato nessuno prima
e mi ero preoccupata tantissimo di come sarebbe stato. Il meccanismo non si rivelò poi
così difficile. Quando alla fine si staccò, stava sorridendo. Doveva essere un buon
segno. Ricambiai il sorriso con esitazione, perché sapevo che se lo aspettava.
Onestamente, una parte segreta di me era un po’ delusa. Tutto qui? Questo era tutto?
Non era stato terribile, ma non ero nemmeno volata tre metri sopra al cielo. Era stato
proprio come sembrava: labbra su labbra.
Con un gran sospiro di felicità, si voltò e riprese a guidare. Riuscivo solo a guardarlo
con stupore e confusione, incapace di formulare una risposta qualsiasi. Cos’era appena
successo? Quello era stato il mio primo bacio?
«Da Spencer, giusto?» chiese Brayden, quando prendemmo l’uscita per il centro
poco dopo.
Ero ancora così scombussolata dal bacio che mi ci volle un momento per ricordare
che avevo promesso alla professoressa Terwilliger un cappuccino. «Giusto.»
Poco prima che svoltassimo l’angolo che portava alla strada in cui si trovava
Spencer, Brayden si fermò a sorpresa davanti ad un negozio di fiori. «Torno subito»
disse.
Annuii in silenzio e, cinque minuti dopo, tornò con un grande bouquet di delicate
rose rosa pallido. «Grazie?» dissi, facendola sembrare più una domanda. Ora, oltre al
bacio e alla “fantastica” dichiarazione, mi ero guadagnata anche dei fiori.
«Non sono adeguati» ammise. «Nella tradizionale simbologia floreale, l’arancione
o il rosso sarebbero stati più appropriati. Ma c’erano solo così o color lavanda, e tu non
mi sembri tipo da viola.»
«Grazie» dissi, più convinta questa volta. Inspirando il dolce profumo delle rose
lungo la strada per Spencer, mi resi conto che nessuno mi aveva mai regalato dei fiori
prima.
Poco dopo arrivammo al bar. Scesi dalla macchina e, in un lampo, Brayden fu al mio
fianco per chiudere lo sportello al posto mio. Entrammo e fui quasi sollevata di vedere
Trey al lavoro. Con le sue battute sarei tornata alla normalità, visto che la mia vita era
appena entrata a Crazyland.
Inizialmente, Trey non si accorse nemmeno di noi. Era preso a parlare con qualcuno
dall’altro lato del bancone, un ragazzo di qualche anno più grande di noi. Dalla sua
pelle abbronzata, i suoi capelli neri, e i lineamenti del viso conclusi che lui e Trey
dovessero essere parenti. Io e Brayden aspettammo con discrezione dietro al ragazzo e
finalmente Trey alzò lo sguardo, con un’espressione incredibilmente seria che non era
da lui. Sembrava sorpreso di vederci, ma poi sembrò rilassarsi un po’.
«Melbourne, Cartwright. Siete venuti per una dose di caffeina post-mulini a vento?»
«Sai che non bevo mai caffeina dopo le quattro» disse Brayden. «Ma Sydney deve
prendere qualcosa alla sua insegnante.»
«Ah» disse Trey. «Il solito per te e la prof T.? »
«Sì, ma il mio con il ghiaccio, questa volta.»
Trey mi lanciò uno sguardo sagace. «Hai bisogno di una rinfrescata, eh? »
Alzai gli occhi al cielo.
Il ragazzo davanti a noi era ancora lì, e Trey fece un cenno verso di lui mentre
prendeva due tazze. «Questo è mio cugino Chris. Chris, loro sono Sydney e Brayden.»
Questo doveva essere il cugino “perfetto” di Trey. A prima vista, vidi ben poco che
lo rendesse migliore di Trey, a parte forse la sua altezza. Chris era molto alto. Non
quanto Dimitri, ma comunque alto. A parte questo, avevano entrambi un bell’aspetto e
un fisico atletico. Chris presentava dei graffi e delle cicatrici uguali a quelli che spesso
aveva anche Trey, perciò mi chiesi se le loro famiglie avessero in comune anche la
passione per lo sport. In ogni caso, non pensavo che Trey dovesse sentirsi intimidito
da Chris, ma del resto, io ero di parte visto che eravamo amici.
«Da dove vieni?» chiesi
«San Francisco» risposi Chris.
«Da quanto tempo sei in città?» chiese Brayden.
Chris rivolse a Brayden uno sguardo diffidente «Perché vuoi saperlo?»
Brayden sembrò sorpreso, e non lo biasimavo. Prima che qualcuno tra noi potesse
pensare alla prossima mossa nel manuale sui convenevoli, Trey tornò da noi.
«Rilassati, C. Cercano solo di essere gentili. Non lavorano mica per qualche agenzia di
spionaggio.»
Beh, Brayden no.
«Mi dispiace» disse Chris, anche se non sembrava poi così dispiaciuto. Ecco una
differenza tra i due cugini. Trey avrebbe riso del suo errore. Anzi, non avrebbe mai
fatto un errore simile. Era evidente che nella loro famiglia ci fossero diversi livelli di
cordialità. «Da un paio di settimane.»
Né Brayden né io ci azzardammo a dire altro e, per fortuna, Chris colse l’occasione
per andarsene, promettendo a Trey di chiamarlo più tardi. Quando se ne fu andato, Trey
scosse la testa come per scusarsi e poggiò i caffè pronti sul bancone. Feci per prendere
il portafoglio, ma Brayden mi allontanò e pagò al posto mio.
Trey diede il resto a Brayden. «Hanno messo gli orari della prossima settimana.»
«Ah, sì?» Brayden mi lanciò un’occhiata. «Ti dispiace se vado nella stanza sul retro
per un secondo? Figurativamente parlando, si intende.»
«Va’ pure» risposi. Appena se ne fu andato, mi girai disperatamente verso di Trey.
«Ho bisogno del tuo aiuto.»
Trey alzò le sopracciglia. «Parole che non avrei mai pensato di sentirti pronunciare.»
Valeva anche per me, ma non sapevo che altro fare, e Trey era la mia unica fonte di
aiuto adesso. «Brayden mi ha preso dei fiori» dissi. Non avevo intenzione di dirgli del
bacio.
«E?»
«E, perché l’avrebbe fatto?»
«Perché tu gli piaci, Melbourne. È così che fanno i ragazzi. Ti offrono la cena e ti
comprano regali, sperando che in cambio tu, ehm, possa ricambiarli.»
«Ma ho discusso con lui» dissi con un sibilo, guardando ansiosamente la porta da
cui Brayden era passato. «Poco prima che mi regalasse i fiori, gli ho fatto una
ramanzina, dicendogli che si sbagliava sulle fonti alternative di energia.»
«Aspetta, aspetta» disse Trey. «Tu hai detto… hai detto a Brayden Cartwright che
aveva torto?»
Annuii. «Quindi perché ha reagito in quel modo? »
Trey scoppiò in una risata. Una grossa, grassa risata che ero certa avrebbe fatto
tornare Brayden. «La gente non gli dice mai che ha torto.»
«Sì, l’avevo immaginato.»
«E specialmente le ragazze non gli dicono che ha torto. Probabilmente sei l’unica
ragazza ad averlo fatto. Probabilmente sei l’unica ragazza che è stata abbastanza
intelligente da farlo.»
Stavo diventando impaziente. «Ho capito. Allora perché i fiori? Perché i
complimenti? »
Trey scosse la testa e sembrava sul punto di ridere di nuovo. «Melbourne, se non lo
sai, non sarò certo io a dirtelo.»
Ero troppo preoccupata che Brayden tornasse per continuare a parlare del
“consiglio” inutile di Trey. Perciò dissi: «È Chris il cugino perfetto di cui parlavi?»
Il sorrisetto di Trey scomparve. «È lui. Qualsiasi cosa io sappia fare, lui sa farla
meglio.»
Mi pentii subito di averglielo chiesto. Trey, come Adrian, era una di quelle persone
che non mi piaceva vedere in difficoltà. «Beh, a me non è sembrato così perfetto.
Probabilmente sono di parte, visto che ci vediamo sempre. Per me sei la perfezione
fatta a persona.»
Con questo Trey tornò a sorridere. «Scusa per il suo comportamento. È sempre stato
così. Non è il ramo più carismatico dell’albero genealogico dei Juarez. Quello sono io,
ovviamente.»
«Ovviamente» concordai.
Stava ancora sorridendo quando Brayden tornò, ma quando lanciai un’occhiata alle
mie spalle, mentre uscivo dal bar, l’espressione di Trey si era rabbuiata di nuovo. I suoi
pensieri erano tornati introspettivi e avrei davvero voluto sapere come aiutarlo.
Sulla via di ritorno per la Amberwood, Brayden disse timidamente: «Bene. Ora so il
mio orario per le prossime due settimane.»
«Va… bene» dissi.
Lui esitò. «Quindi… so quando posso uscire di nuovo. Cioè, se tu vuoi uscire di
nuovo.»
Mi avrebbe colta di sorpresa, se non fossi stata già abbastanza sconvolta da tutte le
altre cose che erano successe quel giorno. Brayden voleva uscire di nuovo con me?
Perché? Specialmente le ragazze non gli dicono che ha torto. Probabilmente sei l’unica
ragazza ad averlo fatto. Probabilmente sei l’unica ragazza che è stata abbastanza
intelligente da farlo. Cosa più importante: io volevo uscire di nuovo con lui? Lo
guardai e poi guardai le rose. Pensai ai suoi occhi quando mi aveva fissata nella
macchina ferma. A quel punto mi resi conto che le possibilità che io potessi trovare un
ragazzo che reputasse Shakespeare e i mulini a vento interessanti erano minuscole.
«Okay» dissi.
Lui strinse gli occhi, pensieroso. «La tua scuola non organizza un ballo? Vuoi
andarci? La gente partecipa a questi eventi, giusto?»
«Così mi dicono. Come fai a saperlo?»
«Il cartello» disse. In quel preciso istante accostò sul viale davanti al mio dormitorio.
Appeso sulla porta principale c’era un cartello decorato con ragnatele e pipistrelli.
PREPARATI AD AVER PAURA AL BALLO DI HALLOWEEN.
«Oh» dissi. «Quel cartello». Eddie aveva ragione. Avevo veramente un archivio di
informazioni selettivo. «Possiamo andarci. Se vuoi.»
«Certo. Voglio dire, se vuoi.»
Silenzio. Entrambi scoppiammo a ridere.
«Bene, allora» dissi. «Direi che ci andiamo.»
Brayden si piegò verso di me e io andai nel panico, finché non vidi che stava
provando a vedere meglio il cartello. «Tra una settimana e mezzo.»
«C’è abbastanza tempo per trovare i costumi, direi.»
«Direi di sì. Anche…»
E fu allora che accadde un’altra cosa assurda. Mi prese per mano.
Lo ammetto, non mi aspettavo granché, soprattutto dopo la mia reazione confusa al
bacio scambiato sul ciglio della strada. Eppure, mentre teneva la sua mano sulla mia,
fui sorpresa di sentirmi di nuovo solo come se… beh, stessi toccando la mano di
qualcuno. Pensavo che avrei avuto almeno la pelle d’oca o che il mio cuore perdesse
un battito. La mia reazione più emotiva fu preoccuparmi di cosa fare con la mano.
Dovevo intrecciare le dita alle sue? Stringergli la mano?
«Mi piacerebbe uscire prima» disse. Tornò l’esitazione. «Se vuoi.»
Guardai le nostre mani e cercai di capire come mi sentivo. Aveva delle belle mani.
Morbide, calde. Avrei potuto abituarmi a stringere quelle mani. E, ovviamente, odorava
di caffè. Non era abbastanza per costruire un amore? Fui colta di nuovo da quella
incertezza. Che diritto avevo a vivere una cosa simile? Non ero a Palm Springs per
divertirmi. Non c’era nessun “io” fra gli Alchimisti. Sapevo che i miei superiori non
avrebbero approvato nulla di tutto questo.
Eppure, quando avrei riavuto questa opportunità? Quando avrei ricevuto di nuovo
dei fiori? Quando mi avrebbero guardata di nuovo con tanto calore? Decisi di buttarmi.
«Certo» dissi. «Usciamo di nuovo.»
AVVISO: DA QUESTO PUNTO IN POI, CON
L’ECCEZIONE DEI CAPITOLI 22 E 24, LA
TRADUZIONE È STATA SOTTOPOSTA A UNA
REVISIONE VELOCE, CHE POTREBBE
RISULTARE PIÙ IMPRECISA E A TRATTI NON
OMOGENEA.
LA REVISIONE ACCURATA È COMUNQUE IN
PROGRAMMA, SE VOLETE ASPETTARE.
GRAZIE,
la Boss
CAPITOLO 8 Traduzione di: Luisa K. Earnshaw
Pre-Revisione: Juls
Non riuscimmo ad uscire di nuovo fino al fine settimana. Brayden e io avevamo
entrambi avuto risultati abbastanza eccellenti per organizzare le uscite delle notti feriali
e finire tuttavia i compiti, anche se entrambi li avremmo evitati volentieri. Inoltre, le
mie notti feriali di solito comprendevano qualche altro conflitto con gli altri, che fosse
sulla nutrizione o sugli esperimenti. Eddie aveva dato il suo sangue questa settimana,
e io avevo fatto attenzione a non essere nei paraggi quando era successo, per paura che
Sonya provasse a chiedermene un po’...di nuovo.
Brayden avrebbe voluto uscire sabato, ma era il giorno in cui avevo promesso di
accompagnare Adrian a San Diego. Trovò un compromesso a colazione, beccandomi
prima che mi mettessi in viaggio, e andammo a un ristorante adiacente a uno dei tanti
lussuosi circoli di golf di Palm Springs. Sebbene avessi insistito a lungo per pagare la
mia parte, Brayden pagò e guidò per tutto il tragitto. Quando si fermò davanti al mio
dormitorio per farmi scendere, una vista sorprendente e non del tutto benvoluta mi
attendeva: Adrian era seduto fuori, su una panchina, apparentemente annoiato.
«Oh, accidenti» dissi.
«Cosa?» chiese Brayden.
«Quello è mio fratello.» Sapevo che non c’era modo di sfuggirgli. L’inevitabile era
accaduto. Adrian si sarebbe probabilmente aggrappato al paraurti di Brayden fino a
quando non avrebbe avuto una presentazione. «Vieni a conoscerlo».
Brayden uscì svogliato dall’auto, lanciando una nervosa occhiata al cartello con scritto
NON PARCHEGGIARE. Adrian si alzò, con un’aria estremamente soddisfatta.
«Non sarei dovuta venire a prenderti io?» chiesi.
«Sonya aveva alcune commissioni da fare e si è offerta di lasciarmi qui mentre era
fuori» spiegò. «Abbiamo pensato che ti avremmo salvato da qualche guaio.» Adrian
sapeva cosa stavo facendo quella mattina, quindi non ero del tutto sicura che le sue
ragioni fossero così altruiste.
«Questo è Brayden» gli dissi. «Brayden, Adrian».
Adrian gli strinse la mano. «Ho sentito tanto parlare di te.» Non ne dubitavo, ma mi
chiesi da chi esattamente ne avesse sentito parlare.
Brayden gli rispose con un sorriso amichevole. «A dir la verità io non ho mai sentito
parlare di te. Non sapevo neanche che Sydney avesse un altro fratello».
«Non mi hai mai nominato?» Adrian mi lanciò una finta occhiata ferita.
«Non ce ne è mai stata l’occasione» dissi.
«Vai ancora al liceo, vero?» chiese Adrian. Fece un cenno verso la Mustang. «Devi
avere un lavoro part-time per permetterti i costi di quella macchina, immagino. A meno
che tu non sia uno di quegli scansafatiche che semplicemente cercano di spillare soldi
ai propri genitori».
Brayden sembrò indignato. «Ovviamente no. Lavoro quasi ogni giorno al bar».
«Al bar» ripeté Adrian, riuscendo a trasmettere un milione di sfumature di
disapprovazione nella sua voce. «Capisco». Mi lanciò un’occhiata. «Immagino che
sarebbe potuta andare peggio».
«Adrian...»
«Beh, non ho intenzione di lavorare lì per sempre» protestò Brayden. «Sono già stato
ammesso all’USC, a Stanford e Dartmouth».
Adian annuì pensosamente. «Suppongo sia rispettabile. Ho sempre pensato a
Dartmouth come il tipo di scuola alla quale le persone vanno quando non riescono ad
entrare a Yale o Harv...»
«Dobbiamo davvero andare» interruppi, aggrappandomi al braccio di Adrian. Ero
tentata di strattonarlo verso il parcheggio degli studenti. «Non vogliamo rimanere
imbottigliati nel traffico».
Brayden lanciò un’occhiata al proprio cellulare. «Le strade dovrebbero essere
relativamente libere andando verso ovest a quest’ora, ma siccome siamo nel fine
settimana, non puoi mai sapere come i turisti alterino le cose, specialmente con le varie
attrazioni a San Diego. Se guardi ai modelli di traffico applicando la Teoria del Caos...»
«Esatto» dissi. «Meglio prevenire che curare. Ti mando un messaggio quando torno,
okay? Decideremo cosa fare per il resto della settimana».
Per una volta, non dovevo stressarmi sullo stringersi la mano o baciarsi o cose del
genere. Ero troppo impegnata a trascinare via Adrian prima che potesse aprire la bocca
e dire qualcosa di provocatorio. Brayden, quando parlava di argomenti accademici e io
non ero d’accordo con lui, tendeva ad essere piuttosto gentile, come avevo potuto
constatare. Non era arrabbiato, ma non l’avevo mai visto così agitato come in quel
momento. Adrian riusciva a irritare anche le persone più tranquille.
«Sul serio?» chiesi, una volta al sicuro dentro Caffellatte. «Non potevi semplicemente
dire “piacere di conoscerti”, e lasciar perdere?»
Adrian spinse indietro il sedile del passeggero, cercando la posizione più comoda
possibile pur indossando la cintura di sicurezza. «Faccio solo attenzione per te, sorella.
Non voglio che tu finisca con qualche fannullone. Credimi, sono un esperto in questo
genere di cose».
«Beh, apprezzo la tua grande conoscenza, ma penserò a questa cosa da sola, grazie lo
stesso».
«Avanti, un barista? Perché non qualche tirocinante nel business?»
«Mi piace che sia un barista. Profuma sempre di caffè».
Adrian abbassò un finestrino, lasciando che la brezza gli scompigliasse i capelli. «Sono
sorpreso che ti lasci portare in giro in auto da lui, specialmente considerando il modo
in cui vai fuori di testa se qualcuno tocca i comandi nella tua macchina».
«Come il finestrino?» chiesi con voce acuta. «Quando c’è l’aria condizionata accesa?»
Adrian afferrò il suggerimento e rialzò il finestrino.
«Vuole guidare. Quindi lo lascio fare. Oltretutto, mi piace quella macchina».
«Quella è una bella macchina» ammise Adrian. «Non ho mai pensato che fossi la tipa
che si fa condizionare dagli status symbol».
«Non lo faccio. Mi piace perché è una macchina interessante con una lunga storia».
«Traduzione: status symbol.»
«Adrian» sospirai. «Sarà un lungo viaggio».
In realtà, non andò così male. A dispetto delle speculazioni di Brayden, il traffico era
proprio poco, abbastanza da farmi credere che meritassi una pausa-caffè a metà strada.
Adrian prese un caffè moka, «Puoi offrire solo per questa volta, Sage?» e sostenne il
suo abituale stile di conversazione disinvolta per la gran parte del viaggio. Non avevo
potuto essere d’aiuto ma notai, quando eravamo in viaggio da circa trenta minuti, che
era diventato più riservato e riflessivo. La chiacchierata si spense, e lui passò un sacco
di tempo a guardare fuori dal finestrino.
Potevo solo immaginare cosa significasse per lui rivedere suo padre. Però avrei potuto
capirlo. Sarei stata proprio così ansiosa se si fosse trattato di vedere il mio. Non pensavo
davvero che Adrian avrebbe apprezzato una seduta di psicoterapia condivisa, però,
quindi tentai con un argomento più sicuro per allontanarlo dal suo umore depresso.
«Avete scoperto qualcosa dal sangue di Eddie e Dimitri?» chiesi.
Adrian mi guardò sorpreso. «Non mi aspettavo che ne avresti parlato».
«Ehi, sono curiosa di sapere come funzioni. Semplicemente non volevo partecipare».
Annuì. «È ancora presto. Hanno inviato i campioni a un laboratorio, uno dei vostri,
immagino, per vedere se ci sono differenze tra i due. Io e Sonya abbiamo individuato
un... oh, non so come descriverlo. Una specie di “ronzio” nel sangue di Belikov. Non
che il fatto che avesse sangue magico dovesse sorprendere qualcuno. La maggior parte
delle persone sembra pensare che ogni cosa che faccia sia magica».
«Oh, avanti» dissi. «Non è vero».
«No? Hai visto come lo venera Castile. Vuole essere esattamente come Belikov quando
sarà grande. E anche se Sonya è di norma la portavoce delle nostre ricerche, non respira
senza prima chiedere a lui. “Cosa ne pensi, Dimitri?” “È una buona idea, Dimitri?” “Ti
prego dacci la tua benedizione così possiamo fallire e adorarti, Dimitri”».
Scossi la testa esasperata. «Di nuovo, non è vero. Sono colleghi. È ovvio che lei chieda
il suo parere».
«Lo chiede a lui più che a me».
Probabilmente era perché Adrian sembrava sempre annoiato durante le loro ricerche,
ma pensai che non avrebbe aiutato farglielo notare. «Sono entrambi stati Strigoi.
Dev’esserci qualche legame speciale fra di loro».
Non rispose per qualche momento. «Okay. Un punto a te. Ma non puoi sostenere che
ci fosse una qualche competizione tra me e lui quando si trattò di Rose. Li hai visti
insieme. Non ho mai avuto una possibilità. Non posso competere».
«Beh, perché dovresti farlo?» Una parte di me voleva chiedere anche cosa Rose
c’entrasse con tutto quello, ma Jill mi aveva detto moltissime volte che per Adrian,
tutto si ricollegava a Rose.
«Perché io volevo lei» disse Adrian.
«Ed è ancora così?»
Nessuna risposta. Rose era un argomento pericoloso, che avrei voluto evitare.
«Ascolta» dissi. «Tu e Dimitri siete due persone diverse. Non dovresti compararti a lui.
Non dovresti cercare di essere come lui. Voglio dire, non ho intenzione di stare seduta
qui e parlarne male. Mi piace Dimitri. È intelligente e scrupoloso, coraggioso fino alla
follia e feroce. Bravo in battaglia. Ed è semplicemente un ragazzo simpatico».
Adrian rise di scherno. «Hai dimenticato meravigliosamente bello».
«Ehi, non sei niente male anche tu» lo provocai, ripetendo qualcosa che mi aveva detto
lui poco tempo fa. Non sorrise. «E non sottovalutarti. Anche tu sei intelligente, e sei
capace di persuadere chiunque. Neanche hai bisogno di un carisma magico».
«Fino ad ora non vedo tanta differenza tra me e un fenomeno da baraccone».
«Oh, smettila» dissi. Riusciva a farmi ridere perfino con il più serio degli argomenti.
«Sai cosa intendo. E sei anche uno delle persone più appassionatamente leali e
premurose che conosco, non importa quanto fingi che sia diverso. Vedo il modo in cui
tieni d’occhio Jill. Non così tante persone avrebbero viaggiato per tutta la regione per
aiutarla. E quasi nessuno avrebbe fatto quello che hai fatto tu per salvarle sua vita».
Di nuovo, Adrian ci mise un po’ a rispondere. «Ma cosa significa davvero essere leali
e premurosi?»
«Per me? Tutto».
Non c’era nessuna esitazione nella mia risposta. Avevo visto troppi traditori e
calcolatori nella mia vita.
Mio padre giudicava le persone non per quello che erano, ma per quello che avrebbero
fatto per lui. Adrian si prendeva cura con passione degli altri sotto tutte le sue bravate
e leggerezze. L’avevo visto rischiare la vita per provarlo. Considerato che mi ero
trovata fra le mani un occhio umano mentre cercavo di vendicare mia sorella... beh,
diciamo che Adrian aveva delle buone qualità.
Adrian non disse nient’altro per il resto del viaggio, ma almeno non avevo più
l’impressione che stesse rimuginando su qualcosa. Più che altro sembrava assorto, e
questo non era preoccupante. Quello che mi rendeva un po’ inquieta era che l’avevo
spesso visto girarmi attorno per studiarmi. Mi risposi quello che ripetevo sempre nella
mia mente, cercando di capire se ci fosse qualcosa per giustificare quell’attenzione.
Il padre di Adrian alloggiava a un hotel di San Diego che si allargava a macchia d’olio.
con un’atmosfera simile a quella di un resort.
Io e Brayden avevamo fatto colazione lì. Imprenditori in completi si mescolavano con
festaioli in stampe tropicali e infradito. Avevo quasi indossato jeans a colazione e
adesso ero contenta della mia scelta di una gonna grigia e una camicetta a maniche
corte con una stampa blu chiaro e grigia. Aveva un leggero taglio pieghettato, e la
gonna aveva un molto, molto tenue motivo a spina di pesce. Normalmente, non avrei
indossato tessuti così contrastanti insieme, ma mi piaceva l’audacia dello stile. L’avevo
fatto presente a Jill prima di lasciare il dormitorio per la colazione. Ci aveva messo un
po’ perfino per trovare i tessuti contrastanti, e quando lo fece, sollevò gli occhi al cielo.
«Certo, Sydney. Sei davvero una ribelle».
Intanto, Adrian era in uno dei suoi tipici look estivi, jeans e una camicia abbottonata,
anche se ovviamente la camicia era fuori dai pantaloni, con le maniche arrotolate e
alcuni bottoni lasciati aperti. Era vestito così tutto il tempo, e nonostante il suo aspetto
informale, spesso sembrava elegante e alla moda. Non quel giorno, comunque. Quelli
erano i jeans più consumati che gli avessi mai visto indossare, le ginocchia erano sul
punto di bucarsi. La camicia verde scuro, nonostante fosse di buona qualità e in perfetta
tonalità con i suoi occhi, era stropicciata all’inverosimile. Dormirci o gettarla sul
pavimento avrebbe solo migliorato la situazione. Ero abbastanza sicura che qualcuno
avesse dovuto effettivamente appallottolarla e sedersi su di essa per farla sembrare così
malandata. Se l’avessi notata prima ad Amberwood (e non fossi stata così distratta
cercando di portarlo via da Brayden), avrei insistito o ironizzato sulla camicia prima di
andarcene.
Stava ancora bene, ovviamente. Stava sempre bene, non importavano le condizioni dei
suoi vestiti e dei suoi capelli. Era una delle cose più irritanti su di lui. Questo look
arruffato lo faceva sembrare un qualche pensieroso modello europeo. Mentre lo
studiavo prendendo l’ascensore fino all’atrio del secondo piano, decisi che non poteva
essere una coincidenza che Adrian fosse vestito nel modo più scompigliato proprio il
giorno in cui aveva la visita di suo padre. La domanda era: perché? Si lamentava che
suo padre trovasse sempre delle colpe in lui. Vestirsi in quel modo faceva sembrare
che Adrian stesse solo fornendo un’altra ragione per farlo.
L’ascensore si aprì, e sussultai quando uscimmo. La parete posteriore dell’atrio era
quasi completamente coperta con finestre che offrivano una teatrale vista del Pacifico.
Adrian rise sotto i baffi alla mia reazione e prese il suo cellulare. «Dai uno sguardo più
da vicino mentre chiamo il vecchio».
Non dovette dirmelo due volte. Andai verso uno dei muri di vetro, ammirando
l’immensa, distesa blu e grigia. Immaginai che nei giorni nuvolosi sarebbe stato
difficile dire dove finiva il cielo e iniziava l’oceano. Il tempo era splendido quel giorno,
pieno di sole e con un cielo azzurro perfettamente pulito. Nel lato destro dell’atrio una
serie di porte si aprivano su un balcone in stile mediterraneo dove i clienti si stavano
godendo il pranzo sotto il sole. Guardando giù al pianterreno intravidi una piscina
scintillante blu come il cielo, circondata da palme e persone distese al sole. Non avevo
lo stesso desiderio dell’acqua di qualcuno che vi era specializzato, come Jill, ma avevo
vissuto nel deserto per quasi due mesi. Questo era meraviglioso.
Ero così folgorata dalla bellezza del paesaggio che non notai il ritorno di Adrian. In
effetti, non avevo notato neanche che era in piedi proprio dietro di me fino a quando
una madre chiamando la propria figlia, anche lei di nome Sydney, non mi fece dare
un’occhiata alle spalle. Quindi, vidi Adrian a pochi passi, che mi guardava divertito.
Trasalii e arretrai di qualche passo. «Che ne diresti di avvisare la prossima volta?»
Sorrise. «Non volevo interrompere. Sembravi felice per una volta».
«Per una volta? Sono felice un sacco di volte».
Conoscevo Adrian abbastanza per riconoscere il segno di un commento irriverente in
arrivo. All’ultimo secondo però, cambiò idea e la sua espressione tornò seria. «Quel
ragazzo, quel Brendan...»
«Brayden».
«Brayden ti rende felice?»
Guardai Adrian sorpresa. Quel tipo di domande erano spesso una trappola da parte sua,
ma la sua espressione neutrale mi rese difficile indovinare un secondo fine questa volta.
«Credo di sì» dissi alla fine. « Voglio dire, non mi rende infelice».
Quello riportò il sorriso di Adrian. «Menomale che non è qua per sentirlo. Cosa ti piace
di lui? A parte la macchina? E il fatto che profumi di caffè?»
«Mi piace che sia intelligente» dissi. «Mi piace che io non debba diventare banale con
lui vicino».
Adrian si accigliò. «Lo fai spesso per le persone?»
Mi sorpresi del sapore amaro nella mia stessa risata. «“Spesso?” Tutto il tempo.
Probabilmente la cosa più importante che ho imparato ad Amberwood è che alle
persone non piace sapere quanto sai. Con Brayden, non c’è nessuna censura per
nessuno di noi. Voglio dire, vedi questa mattina. Un minuto stavamo parlando di
costumi di Halloween, quello dopo stavamo discutendo delle antiche origini ateniesi
della democrazia».
«Non dirò di essere un genio, ma come diavolo avete fatto quel salto?»
«Oh» dissi. «I nostri costumi di Halloween. Eravamo vestiti da greci. Dall’era
ateniese.»
«Ovviamente» disse. E questa volta, avrei potuto dire che il commento sprezzante stava
tornando. «Nessun costume da gatto sexy per te. Solo il più dignitoso abito femminista
andava bene».
Scossi la testa. «Femminista? Oh, no. Non le donne ateniesi. Erano le meno femministe
del... beh, lascia stare. Non è davvero importante»
Adrian fece un’occhiata stupita. «È questo, non è vero?» Si piegò verso di me, e fui
tentata da arretrare... ma qualcosa mi trattenne lì dov’ero, qualcosa nell’intensità del
suo sguardo.
«Cosa?» chiesi.
Mi indicò. «Ti sei appena bloccata. Ti sei banalizzata per me».
Esitai solo un momento. «Sì, più o meno».
«Perché?»
«Perché non vuoi davvero sentir parlare degli antichi ateniesi, non più di quanto volessi
sentire Brayden parlare della Teoria del Caos».
«È diverso» disse Adrian. Non si era mosso ed era ancora fermo molto, molto vicino a
me. Sembrava qualcosa che avrebbe dovuto turbarmi, ma non lo fece. «Lui è noioso.
Tu fai sembrare le cose da imparare divertenti. Come un libro per bambini o un corso
dopo la scuola. Parlami delle tue... ehm, donne ateniesi».
Cercai di non sorridere. Ammiravo le sue intenzioni ma sapevo che non era davvero
interessato a una lezione di storia. Di nuovo, mi chiesi che gioco stesse giocando.
Perché faceva finta di essere così interessato? Cercai di comporre una risposta che
richiedesse meno di sei secondi.
«La maggior parte delle donne ateniesi non erano istruite. Non uscivano quasi mai e
tutto ciò che ci si aspettava da loro era che avessero figli e si preoccupassero della casa.
Le donne più progressiste erano le eteree. Erano delle specie di intrattenitrici e
prostitute di alta classe. Erano istruite e un po’ più volgari. Gli uomini potenti tenevano
le loro mogli a casa a crescere i bambini mentre uscivano con le eteree per
divertimento» feci una pausa, incerta se lui mi avesse seguita. «Come ho detto, non è
così importante».
«Non saprei» disse Adrian pensieroso. «Trovo le prostitute molto importanti».
«Bene. Com’è bello vedere che le cose non sono cambiate» una nuova voce si
intromise. Trasalimmo entrambi e alzammo lo sguardo sull’uomo accigliato che si era
appena unito a noi. Il padre di Adrian era arrivato.
CAPITOLO 9
Traduzione: Sherm
Pre-Revisione: Claude
QUELLI DI NOI CHE SAPEVANO cosa cercare, avrebbero potuto identificare
immediatamente un Moroi dalla loro carnagione particolarmente pallida e dalle loro
figure alte e snelle. Per la maggior parte degli occhi umani, quel tipo di caratteristiche
risaltavano ma non avrebbero certo fatto venire dei sospetti sull’esistenza dei vampiri.
Gli umani pensavano solo che fossero straordinarie e insolite, un po’ come Lia
considerava Jill la perfetta rappresentazione della modella dalla bellezza eterea. Non
volevo approfittare di tali stereotipi, ma dopo un veloce giudizio sul pallore tipico dei
Moroi e sul muso lungo, lo sguardo severo e i capelli argentei del signor Ivashkov, mi
chiedevo come non potesse essere scambiato per un vampiro più spesso. No, vampiro
non era il termine corretto. Sembrava più un becchino.
«Papà» disse Adrian rigidamente. «È sempre un piacere.»
«Per alcuni di noi.» Suo padre mi osservò a lungo, e vidi i suoi occhi spostarsi sulla
mia guancia. Mi porse la mano. La strinsi, fiera che il poter stringere le mani dei Moroi
ormai era diventato un nonnulla per me. «Nathan Ivashkov.»
«Sydney Sage» risposi. «È davvero un piacere conoscerla, signore.»
«Ho incontrato Sage mentre cincischiavo qui intorno» spiegò Adrian. «È stata così
gentile da darmi un passaggio da Los Angeles oggi, visto che non ho una macchina.»
Nathan mi guardò con stupore. «È un lungo viaggio da affrontare.» Neanche
lontanamente come il viaggio da Palm Springs, ma credavamo fosse più sicuro, e più
credibile, fargli pensare che Adrian fosse a Los Angeles.
«Non importa, signore» dissi. Lanciai un’occhiata ad Adrian. «Andrò a lavorare un
po’. Mi mandi un messaggio quando sei pronto ad andare?»
«Lavorare?» chiese lui con disgusto. «Dai, Sage. Vai a comprarti un bikini e goditi
la piscina mentre sei qui.»
Nathan guardò entrambi, incredulo. «L’hai fatta guidare fino a qui per
accompagnarti, e ora la fai aspettare come se fosse ai comodi tuoi?»
«Davvero» dissi. «Non...»
«È un’Alchimista» continuò Nathan. «Non un’autista. C’è una grossa differenza.»
In realtà, c’erano giorni alla Amberwood che ne dubitavo seriamente. «Venga,
signorina Sage. Se ha sprecato la sua giornata accompagnando mio figlio qui, il minimo
che possa fare è offrirle il pranzo.»
Lanciai uno sguardo terrorizzato ad Adrian. Non ero terrorizzata perchè avevo paura
di stare in compagnia dei Moroi. Mi ci ero ormai abituata a quel tipo di situazioni.
Quello di cui non ero sicura era che Adrian mi volesse davvero intorno durante la sua
riunione familiare. Non faceva parte del piano. Per di più, non ero neanche sicura di
voler davvero restare per la suddetta riunione.
«Papà...» tentò Adrian.
«Insisto» disse Nathan seccamente. «Fa attenzione e impara le buone maniere.» Si
voltò e cominciò ad allontanarsi, assumendo che lo avremmo seguito. Lo facemmo.
«Dovrei trovare una scusa per andare via?» Sussurai ad Adrian.
«Non quando usa il suo tono da “Insisto”» arrivò la risposta con un borbottio.
Per un secondo, intravedendo il magnifico ristorante a terrazza e la vista sull’oceano
esposta al sole, pensai di potermela cavare con gli Ivashkov. I loro drammi erano il
piccolo prezzo da pagare per sedersi là fuori in quel calore e quella bellezza. Poi,
Nathan sorpassò le porte-finestre della balconata e ci condusse all’ascensore. Noi lo
seguimmo docilmente. Ci portò giù fino al piano terra dell’albergo, in un pub chiamato
“Il Cavatappi”. Il posto era fiocamente illuminato e non aveva finestre, con delle travi
in legno piuttosto basse e dei separè neri in pelle. Dei barili di quercia erano allineati
al muro e l’unica luce presente appariva filtrata da delle lampade in vetro rosso. A parte
un barista solitario, il pub era vuoto, il che non mi sorprendeva troppo, visto l’orario.
Ciò che mi sorprendeva era che Nathan ci avesse portato qui invece di andare
nell’elegante ristorante all’aperto. Indossava un completo costoso che sembrava venire
direttamente da una sala riunioni di Manhattan. Perchè avrebbe dovuto ignorare un
ristorante dell’elite alla moda per pranzo e al suo posto sceglierne uno soffocante, un
buio...
Buio.
Per poco non lascai andare un gemito. Ovviamente la terrazza non era un’opzione,
non con i Moroi. L’incantevole pomeriggio soleggiato che avrebbe fornito delle
condizioni ideali per me, avrebbe tuttavia reso orribile il pranzo per gli Ivashkov... non
che sembrasse che i due avessero programmato qualcosa di divertente, in ogni caso.
«Signor Ivashkov» disse il barista. «È un piacere rivederla.»
«Posso farmi portare di nuovo il cibo qui?» chiese Nathan.
«Ma certo.»
Di nuovo. Probabilmente questo nascondiglio sotterraneo è stato il principale
sostegno per i pasti di Nathan dal suo arrivo a San Diego. Mi concessi un ultimo
malinconico pensiero alla terrazza e poi seguii Nathan e Adrian all’interno del pub.
Nathan scelse un tavolo all’angolo sufficiente per otto persone. Forse gli piaceva avere
i suoi spazi. O forse gli piaceva fingere che stava presidiendo un meeting aziendale. Il
barista ci diede i menù e prese le ordinazioni delle bevande. Io presi del caffè. Adrian
ordinò un martini, guadagnandosi sguardi di disapprovazione sia da me che da suo
padre.
«È a malapena mezzogiorno» disse Nathan.
«Lo so» disse Adrian. «Sono sorpreso di aver resistito così a lungo.»
Nathan ignorò il commento e si voltò verso di me. «Sei molto giovane. Devi aver
iniziato da poco con gli Alchimisti.»
«Ci fanno cominciare tutti molto giovani» Concordai. «Ho lavorato per conto mio
per più di un anno.»
«Ammirevole. Dimostra un forte senso di responsabilità e iniziativa da parte sua.»
Annuì per ringraziare il barista mentre appoggiava una bottiglia di acqua frizzante sul
tavolo. «Non è un segreto che cosa pensano gli Alchimisti di noi, ma allo stesso tempo,
il vostro gruppo ci aiuta parecchio. La vostra efficienza è davvero notevole. Peccato
che la mia stessa gente non presta attenzione al vostro esempio.»
«Come vanno le cose con i Moroi?» Chiesi. «Con la regina?»
Nathan quasi sorrise. «Mi sta dicendo che non lo sa?»
Qualcosa sapevo... almeno, ciò che sapevano gli Alchimisti. «Sentire il punto di vista
di un membro della Corte è sempre diverso, signore.»
Sogghignò. Era un suono rigido, come se ridere non fosse una cosa con cui Nathan
Ivashkov avesse molta confidenza. «La situazione è migliorata. Non è perfetta,
comunque. Quella ragazza è sveglia, glielo concedo.» Immaginavo che per “quella
ragazza” intendesse Vasilisa Dragomir, la regina diciottenne dei Moroi e la migliore
amica di Rose. «Sono sicuro che preferirebbe far passare le leggi sui dhampir e sulla
successione... ma sa che facendolo farebbe solo infuriare i suoi oppositori. Perciò, sta
cercando di giungere a dei compromessi su altre problematiche e ha già fatto convinto
qualcuno dei suoi nemici a passare dalla sua parte.»
Le leggi di successione. Quelle mi interessavano. Esistevano dodici famiglie reali
tra i Moroi, e Vasilisa e Jill erano le uniche due rimaste della loro. E l’attuale legge dei
Moroi sosteneva che un sovrano dovesse avere almeno un altro familiare per
governare, ed è così che Jill era diventata una pedina politica così importante. Persino
gli assassini più esperti avrebbero avuto delle difficoltà a far fuori una regina così ben
protetta. Eliminare la sorellastra avrebbe comunque fatto ottenere gli stessi risultati, e
avrebbe annullato il governo di Vasilisa. Ecco perchè Jill si era ritrovata a doversi
nascondere.
I pensieri di Nathan seguivano le mie stesse riflessioni. «Oltretutto è molto sveglia
a nascondere quella bastarda di sua sorella.» Sapevo che intendeva “bastarda” nel senso
di figlia illegittima, non come un insulto, ma trasalii lo stesso. «In giro si dice che la
tua gente conosce qualcosa a proposito. Non è che mi darebbe il suo punto di vista, da
membro degli Alchimisti?»
Scossi la testa e cercai di mantenere amichevole il mio tono di voce. «Spiacente,
signore. Solo i membri più importanti hanno accesso a questo tipo di informazioni.»
Dopo alcuni minuti di silenzio, Nathan si schiarì la voce. «Bene, Adrian. Cos’è che
volevi?»
Adrian bevve un sorso del suo martini. «Oh, hai finalmente notato che sono qui?
Pensavo fossi venuto per stare con Sydney.»
Sprofondai un po’ nella mia sedia. Questa era esattamente il tipo di situazione che
volevo evitare.
«Perchè ogni domanda con te deve sempre portare a un’impresa?» chiese Nathan
esausto.
«Forse è per il tipo di domande che fai tu, papà.»
Questo pub non era grande abbastanza da contenere la tensione che si stava
velocemente sviluppando. Il mio istinto mi diceva di rimanere invisibile, ma mi scoprii
lo stesso a parlare.
«Adrian è al college» dissi. «Frequenta delle lezioni di arte. Ha molto talento.»
Adrian mi lanciò uno sguardo interrogativo, ma divertito, in risposta. Alcuni suoi lavori
erano piuttosto buoni. Altri, specialmente quando beveva, sembravano come se avesse
lanciato della pittura su tela. Gliel’avevo detto gentilmente in un svariato numero di
occasioni.
Nathan non sembrava impressionato. «Sì. L’ha già fatto in passato. Non è durata
molto.»
«Erano tempi e posti diversi» dissi. «Le cose cambiano. Le persone cambiano.»
«Ma spesso, non lo fanno» affermò Nathan. Il barista ritornò per prendere gli ordini,
nonostante nessuno di noi avesse ancora aperto i menù. «Ordinerò io per tutti, posso?»
Nathan aprì il menù e lo esaminò velocemente. «Ci porti una porzione di funghi al
burro e aglio, la fonduta di formaggio di capra, le capesante avvolte nel bacon e la
Caesar salad alle ostriche fritte. Tre porzioni di insalata, ovviamente».
Il barista si scrisse un paio di appunti e se ne andò prima che io avessi avuto il tempo
di aprire bocca.
«Non stai un po’ esagerando, papà?» chiese Adrian. «Non ci hai nemmeno chiesto
se ci andasse bene che ordinassi tu».
Nathan non sembrò preoccupato. «Ho già mangiato qui prima. So cos’è buono.
Fidati di me, vi piacerà.»
«Sage non mangerà niente di ciò che hai ordinato.»
Sarebbe stato molto più facile, decisi, se avessero finto che non esistessi.
«E perché mai?» chiese Nathan, guardandomi curiosamente. «Sei allergica ai
crostacei?»
«Lei mangia solo cose salutari» disse Adrian. «E tutto ciò che hai ordinato è inondato
di grasso.»
«Un po’ di burro non le farà male. Presto capirete che ho ragione. È tutto eccellente.
Per di più» aggiunse Nathan, fermandosi brevemente per bere. «Ho ordinato
dell’insalata. La lattuga è salutare.»
Non cercai nemmeno di fargli notare che nessuna quantità di lattuga romana avrebbe
compensato per le ostriche fritte o il condimento della Caesar salad. Non avrei
comunque avuto la possibilità di dire la mia perchè Adrian si era infervorato e, notai
con sorpresa, era a metà suo martini.
«Capisci?» disse disgustato. «È esattamente così che ti comporti. Pensi di sapere
cos’è meglio per chiunque. Parti in quarta e prendi queste decisioni, senza preoccuparti
di consultare nessuno, perchè sei convinto di avere ragione.»
«Secondo la mia vasta esperienza» disse Nathan con freddezza, «di solito ho ragione.
Quando anche tu possiederai quel tipo d’esperienza, quando potrai davvero affermare
di avere l’autorità su, beh, qualunque cosa, allora risulterai abbastanza degno di fiducia
da poter prendere decisioni importanti.»
«Siamo a pranzo» replicò Adrian. «Non è una questione di vita o di morte. Sto solo
dicendo che almeno avresti potuto fare qualche sforzo per coinvolgerci. Ovviamente,
la tua “vasta esperienza” non si estende alla normale cortesia di tutti i giorni.»
Nathan mi lanciò un’occhiata. «Non sono stato cortese con lei, signorina Sage?»
La mia sedia, con mio gran dispiacere, non mi inghiottì né mi offrì un rifugio.
Adrian finì il suo martini in un sorso e alzò il bicchiere per catturare l’attenzione del
barista. «Lasciala fuori da questa discussione» disse Adrian a suo padre. «Non cercare
di manipolarla per provare il tuo ragionamento.»
«Difficilmente ho bisogno di manipolare la gente per provare i miei ragionamenti»
disse Nathan. «Penso che trovino sostegno in se stessi.»
«Il pranzo andrà bene» dissi impulsamente, ben consapevole che questa lite tra padre
e figlio non aveva niente a che fare con le mie abitudini alimentari. «In ogni caso dovrei
provare cose nuove.»
«Non dargli corda, Sydney» la avvisò Adrian. «È così che riesce a scavalcare tutti...
specialmente le donne. Con mia madre l’ha fatto per anni.» Il barista apparì
silenziosamente e sostituì il bicchiere vuoto del martini con uno nuovo.
«Per favore» disse Nathan, con un profondo sospiro. «Lasciamo tua madre fuori da
questa discussione.»
«Dovrebbe essere abbastanza facile» disse Adrian. Potevo notare alcune rughe
causate dalla tensione sul suo volto. Sua madre era un argomento delicato. «Visto che
lo fai sempre. Sono settimane che sto cercando di farmi dire come sta! Maledizione,
sto persino cercando di capire dov’è. É così difficile per te darmi una risposta? Non
può essere in una prigione di massima sicurezza. Di certo le permetteranno di ricevere
delle lettere.»
«È meglio che tu non abbia contatti con lei finchè si trova in carcere» disse Nathan.
Persino io ero stupita da quanto era freddo nel parlare di sua moglie.
Adrian fece una smorfia e bevve un sorso del suo nuovo martini. «E rieccoci: tu che
sai ciò che è meglio per tutti. Sai, mi piacerebbe tanto, ma tanto, pensare che tieni
questo atteggiamento schivo quando si tratta di lei perché fa troppo male. Se la donna
che io amassi fosse rinchiusa, farei tutto ciò in mio potere per contattarla. Ma per te?
Forse è troppo difficile. Forse l’unico modo per superare la sua assenza è negarla... e
tenere lontano anche me. Potrei quasi capirti.»
«Adrian...» iniziò Nathan.
«Ma non è così, giusto? Non vuoi che io la contatti, e neanche tu sarai in contatto
con lei probabilmente, perchè sei imbarazzato.» Adrian si stava davvero arrabbiando.
«Vuoi prendere le distanze da noi e far finta che ciò che ha fatto non sia nemmeno
accaduto. Vuoi far finta che lei non esista. Perchè lei ha rovinato la reputazione della
famiglia.»
Nathan fissò suo figlio con un’espressione di ghiaccio. «Considerando la tua
reputazione, penso che tu possa vedere da te la saggezza nel non associarsi a qualcuno
che ha fatto ciò che ha fatto lei.»
«Cosa, fare un casino?» chiese Adrian. «Tutti facciamo casini. Tutti sbagliano. È
quello che ha fatto lei. È stato un errore di valutazione, tutto qui. Non tagli fuori le
persone che ami per errori del genere.»
«L’ha fatto a causa tua» disse Nathan. Il suo tono non lasciava dubbi su cosa pensava
di quella questione. «Perchè non la smettevi con quella dhampir. Dovevi sbandierare
la tua relazione con lei e finire quasi nei suoi stessi guai per l’omicidio di tua zia. Ecco
perchè tua madre ha fatto ciò che ha fatto... per proteggerti. Ora è in prigione a causa
della tua irresponsabilità. È tutta colpa tua.»
Adrian sbiancò, più del solito, e sembrò troppò scioccato per cercare di rispondere.
Riprese in mano il suo martini ed ero quasi sicura di vederlo tremare. A quel punto due
camerieri arrivarono dal ristorante al piano di sopra con le nostre portate. Fissammo il
vuoto in silenzio mentre preparavano il tavolo e posavano con delicatezza i piatti pieni
di cibo. Guardare tutto quel cibo mi fece venire la nausea e non aveva niente a che fare
con tutto l’olio e il sale che contenevano.
«Signor Ivashkov» cominciai, nonostante la voce della ragione nella mia testa mi
dicesse di stare zitta. «È ingiusto incolpare Adrian per le scelte di sua moglie,
specialmente quando lui non sapeva nemmeno cosa stesse facendo. Sono sicura che
farebbe di tutto per lei. Se avesse avuto la possibilità di fermare tutto ciò, o prendere il
suo posto, l’avrebbe fatto».
«Ne è sicura, eh?» Nathan stava riempiendo il suo piatto di cibo e sembrava
abbastanza emozionato da ciò. Né io, né Adrian avevamo appetito. «Beh, Signorina
Sage, mi dispiace distruggere le sue illusioni, ma sembra che lei, come molte altre
giovani donne, sia stata ingannata dalle dolci parole di mio figlio. Le posso assicurare
che non ha mai fatto niente che non sia andato prima di tutto a suo vantaggio. Non ha
spirito d’iniziativa, nessuna ambizione e non riesce a portare a termine niente. Sin da
quando era piccolo, infrangeva costantemente le regole, senza mai stare a sentire
l’opinione degli altri se non rispecchiava la sua. Non sono per niente sorpreso che i
suoi tentativi al college siano stati un fallimento, e le assicuro che anche questo lo sarà,
perché è uscito a malapena dalla scuola superiore. Non era tanto il bere, le ragazze e le
bravate che si inventava... semplicemente non gli importava. Ignorava i suoi doveri. È
solo grazie alla nostra influenza e al nostro libretto degli assegni che è riuscito a
diplomarsi. E da allora, è andata sempre peggio.»
Sembrava come se Adrian fosse stato schiaffeggiato. Volevo avvicinarmi per
confortarlo, ma persino io ero ancora sotto shock a causa delle parole di Nathan. E
chiaramente lo era anche Adrian. Una cosa era continuare a ripetersi ancora e ancora
di come fossi una delusione per tuo padre. Un’altra cosa, completamente differente, era
sentire tuo padre spiegarlo nei minimi, dolorosi dettagli. Lo sapevo perché avevo
sperimentato in prima persona entrambe le situazioni.
«Sinceramente, non mi infastidisce nemmeno che beva così tanto, finchè lo mette
fuori gioco e lo rende calmo» continuò Nathan, con la bocca piena di formaggio di
capra. «Pensa che sua madre stia soffrendo? Le assicuro che ora sta molto meglio. Il
numero infinito di notti che ha passato sveglia, a piangere per il guaio di turno in cui si
era cacciato. Tenerlo lontano da lei ora non è per fare un favore a me o a lui. È per lei.
Almeno adesso non deve venire a sapere delle sue ultime buffonate o preoccuparsi per
lui. Beata ignoranza. È in un posto migliore, non avendo contatti con lui, e intendo
lasciare così le cose.» Mi offrì le capesante, come se non avesse appena pronunciato
un’atroce punizione senza fermarsi neppure per respirare. «Dovrebbe davvero
provarle. Le proteine le farebbero bene, sa?»
Scossi la testa, incapace di trovare le parole.
Adrian prese un profondo respiro. «Davvero, papà? Vengo fino a qui per vederti, per
chiederti un modo per contattarla... e questo è tutto ciò che ottengo? Che sta molto
meglio perché non parla con me?» Guardandolo, avevo il presentimento che si stesse
impegnando per rimanere calmo e ragionevole. Rispondere in maniera insolente non
lo avrebbe portato da nessuna parte e lo sapeva.
Nathan sembrava sorpreso. «È l’unica ragione per cui sei venuto qui?» Era chiaro
dal tono della sua voce che pensava che fosse una ragione assurda.
Adrian si morse il labbro, probabilmente cercando di reprimere ancora i suoi veri
sentimenti. Ero colpita dal suo autocontrollo. «Pensavo anche… beh, che magari
avresti voluto vedere come stavo. Pensavo che saresti stato felice di sapere che stavo
facendo qualcosa di utile.» Trattenni il respiro.
Per un momento, suo padre si limitò a fissarlo. Poi, la sua confusione si trasformò
in una di quelle risate imbarazzanti. «Ah. Stai scherzando. Per un momento mi hai
lasciato interdetto.»
«Ne ho abbastanza» disse Adrian.
In un secondo, bevve il suo martini e si alzò, dirigendosi verso la porta. Nathan
continuò a mangiare impassibile, ma anch’io mi alzai in piedi. Solo quando ero ormai
dall’altra parte del pub, cercando di raggiungere Adrian, Nathan si prese il disturbo di
dire qualcosa.
«Signorina Sage?» Ogni cellula del mio corpo voleva inseguire Adrian, ma mi
fermai per guardare suo padre. Nathan aveva tirato fuori il suo portafoglio e stava
scorrendo un mucchietto di banconote. «Ecco. Mi permetta di pagarla per la benzina e
per il suo tempo.»
Mi porse il denaro, e quasi gli risi in faccia. Adrian si era sforzato di venire qui per
molte ragioni, e i soldi era una di queste. Non aveva avuto la possibilità di chiederglieli,
eppure ecco suo padre che li offriva ad una sconosciuta. Non mi mossi.
«Non voglio niente da lei» dissi. «A meno che non siano delle scuse per Adrian.»
Nathan mi rivolse un altro sguardo vuoto. Sembrava sinceramente confuso. «E per
cosa dovrei scusarmi?»
Me ne andai.
O Adrian aveva preso le scale o aveva preso l’ascensore in un tempo record perché
non c’era traccia lui fuori dal pub. Tornai nell’atrio e cominciai a guardarmi attorno
nervosamente. Un fattorino passò e lo fermai.
«Mi scusi. Dov’è il posto più vicino per fumare?»
Indicò con la testa la porta d’ingresso. «Dall’altra parte della rotonda.»
Lo ringraziai e quasi corsi fuori. Come avevo previsto, nell’area designata ai
fumatori, Adrian era appoggiato ad una recinzione ornamentale all’ombra di un
arancio, impegnato ad accendersi una sigaretta. Mi affrettai a raggiungerlo.
«Adrian» esclamai. «Stai bene?»
Fece un lungo tiro alla sigaretta. «È davvero una domanda che vuoi farmi, Sage?»
«È stato davvero inappropriato» dissi fermamente. «Non aveva nessun diritto di dire
tutte quelle cose su di te.»
Adrian inspirò di nuovo e poi buttò la sigaretta sul marciapiede. Spense la sigaretta
con la punta della scarpa. «Torniamo semplicemente a Palm Springs.»
Lanciai un’occhiata all’hotel. «Dovremmo prenderti dell’acqua o qualcosa del
genere. Hai buttato giù quella vodka abbastanza in fretta».
Stava quasi sorridendo. Quasi. «Ci vuole molto di più per farmi stare male. Non
vomiterò nella tua macchina. Te lo prometto. È solo che non voglio rimanere in giro e
rischiare di vederlo di nuovo.»
Lo assecondai e, poco tempo dopo, eravamo di nuovo in viaggio. Avevamo passato
più tempo in macchina per arrivare a San Diego, di quanto non eravamo davvero
rimasti là. Adrian rimase in silenzio e, questa volta, non cercai di convincerlo o di
distrarlo con una conversazione spicciola. Le mie parole non lo avrebbero aiutato.
Dubitavo che le parole di qualcuno lo avrebbero aiutato. Non biasimavo Adrian per il
suo umore. Mi sentirei nello stesso modo se mio padre mi avesse criticato in quel modo
in pubblico. Tuttavia, avrei voluto ci fosse qualcosa che potevo fare per risollevare
Adrian. Una piccola consolazione che gli potesse dare un momento di pace.
La mia opportunità arrivò quando vidi un benzinaio appena fuori da Escondido con
un cartello che diceva: "LE MIGLIORI GRANITE DEL SUD DELLA CALIFORNIA
QUI AL JUMBO JIM!" Mi ricordai la sua battuta sul passare ad una dieta a base di
granite. Presi l’uscita dall’autostrada, anche se sapevo che era una cosa stupida.
Cos’era una granita a confronto del disastro che ci eravamo appena lasciati dietro?
Tuttavia, dovevo fare qualcosa, qualsiasi cosa, per risollevare l’umore di Adrian. Non
sembrava neanche aver notato che ci eravamo fermati finché non uscii dalla macchina.
«Cosa succede?» chiese, cercando di trascinarsi fuori dai suoi pensieri cupi. Lo
sguardo sul suo volto mi spezzava il cuore. «Hai il serbatoio mezzo pieno.»
«Arrivo subito» dissi.
Ritornai cinque minuti dopo, un bicchiere per mano, e riuscii persino a bussare al
suo finestrino. Uscì dalla macchina, adesso completamente perplesso. «Che storia è
questa?»
«Granite» dissi. «Alla ciliegia per te. La devi bere qui fuori, però. Non metterò a
rischio la macchina».
Adrian sbattè le palpebre un paio di volte, come se fossi un miraggio provocato dalla
troppa luce solare. «Cos’è? Una festa di autocommiserazione per me? Perché sono così
patetico?»
«Il mondo non gira semore attorno a te» lo criticai. «Ho visto il cartello e volevo una
granita. Pensavo ne volessi una anche tu. Se non la vuoi, buttala, io berrò la mia.»
Feci un solo passo prima che mi fermasse e prendesse la granita rosso fuoco dalle
mie mani. Ci appoggiammo alla macchina insieme e bevemmo senza parlare per un
po’.
«Ragazzi» disse alla fine, quando eravamo più o meno a metà bevanda. C’era un
guizzo di stupore nei suoi occhi. «Mi ero dimenticato di quanto fossero buone. Che
gusto hai scelto?»
«Lampone blu.»
Annuì e bevve rumorosamente dalla sua. Il cattivo umore lo avvolgeva ancora, e
sapevo che una bevanda infantile non avrebbe cancellato tanto presto ciò che il padre
gli aveva detto. Il meglio che potessi sperare di ottenere era qualche momento di pace
per lui.
Finimmo di lì a poco e buttammo i bicchieri. Quando rientrammo dentro Caffelatte,
Adrian sospirò stancamente e si sfregò gli occhi. «Dio, quelle cose erano fantastiche.
Penso proprio che ne avessi bisogno. Quella vodka deve avermi fatto più effetto di
quanto pensassi. Sono felice che tu abbia deciso di espandere i tuoi orizzonti su
qualcosa che non sia caffè, tanto per cambiare.»
«Ehi, se avessero avuto una granita al caffè, sai che l’avrei presa.»
«Ma è disgustoso» disse. «Non c’è abbastanza zucchero nel mondo per renderlo
minimamente...» Si fermò e mi guardò stupefatto. In effetti, sembrava così scioccato
che smisi di fare retromarcia e mi riparcheggiai.
«Che c’è che non va?» chiesi.
«La granita. È praticamente fatta al 99 percento di zucchero. Ne hai appena bevuta
una, Sage.» Sembrava avesse interpretato il mio silenzio come se non avessi capito.
«Hai appena bevuto zucchero liquido.»
«Forse l’hai bevuto tu lo zucchero liquido» dissi. «La mia era senza zucchero.»
Speravo di sembrare convincente.
«Ah.» Non riuscivo a capire se fosse sollevato o deluso. «Per un secondo mi hai
quasi spaventato.»
«Avresti dovuto aspettartelo».
«Già. Credo di sì.» Ritornò presto alla sua tristezza, le granite erano solo una
distrazione temporanea. «Sai qual’è stata la parte peggiore?»
Sapevo che stavamo parlando di suo padre e non di granite. «Cosa?»
«Magari pensi che sia che non abbia ricevuto i soldi, o che lui abbia appena fatto a
brandelli la mia vita o che non ha fede nella mia carriera accademica. Ma quello va
bene. Ci sono abituato, con lui. Ciò che mi da davvero fastidio è che ho davvero
rovinato la vita di mia madre.»
«Non riesco a immaginare che tu l’abbia fatto» dissi, scioccata dalle sue parole.
«Come gli hai fatto notare, noi amiamo le persone anche se fanno degli errori. Sono
sicura che anche lei ti voglia bene. In ogni caso, è una cosa che devi discutere con lei...
non con lui.»
Lui annuì. «L’altra cosa che mi ha dato fastidio… beh, ha detto tutte quelle cose
davanti a te.»
Ero scioccata anche da quelle parole. Scacciai il pensiero, sentendomi un po’
sconvolta al pensiero che gli importasse così tanto della mia opinione. Perchè gli
importava? «Non ti preoccupare per me. Sono stata con persone molto più irritanti di
lui.»
«No, no… intendo…» Adrian mi guardò e poi distolse velocemente lo sguardo.
«Dopo quello che ha detto su di me, non riesco a sopportare il pensiero che tu possa
esserti fatta una brutta opinione di me.»
Ero così sorpresa che sul momento non riuscii a raccogliere le parole per rispondere.
Quando ci riuscii, sputai fuori la prima cosa che mi venne in mente. «Certo che no.»
Ancora non mi voleva guardare, a quanto pare non credeva alle mie parole. «Adrian.»
Posai la mia mano sopra la sua e sentii una calorosa scintilla di connessione. Si voltò
di scatto verso di me, sorpreso. «Niente di ciò che ha detto potrebbe cambiare ciò che
penso di te. Ho deciso cosa pensare di te tanto tempo fa… e sono tutte cose buone.»
Adrian distolse lo sguardo da me e lo posò dove la mia mano aveva coperto la sua.
Arrossii e ritirai la mano. «Scusa.» Probabilmente l’avevo spaventato.
Adrian mi rivolse un altro sguardo. «È la cosa migliore che mi sia successa in tutta
la giornata. Rimettiamoci in viaggio.»
Ritornammo in autostrada, e mi scoprii distratta da due cose. La prima era la mia
mano. Stava ancora formicolando e sentivo ancora quello strano calore nel punto dove
avevo toccato la sua mano, il che era piuttosto divertente. La gente ha sempre pensato
che i vampiri fossero freddi, ma non lo erano. Di certo non Adrian. Più guidavo, più la
sensazione spariva, ma avrei quasi desiderato che restasse.
L’altra cosa che continuava a distrarmi era tutto lo zucchero che avevo appena
consumato. Continuavo a passare la lingua sui denti. Tutta la mia bocca era ricoperta
da una dolcezza nauseante. Volevo lavarmi i denti e bere una bottiglia intera di
collutorio. Zucchero liquido. Sì, era esattamente ciò che avevo bevuto. Non ne volevo
bere una, ma sapevo che se avessi portato una granita solo per Adrian, l’avrebbe
davvero recepito come un atto di pietà e avrebbe rifiutato. Dovevo fingere di volerne
una anch’io, e che avessi pensato a lui solo in seguito. Sembrava aver creduto alla mia
bugia sulla quantità di zucchero contenuta nella granita, anche se una visitina veloce
dal benzinaio l’avrebbe subito avvertito del fatto che Jumbo Jim non aveva granite di
certo prive di zucchero. Avevo chiesto. Sono scoppiati a ridere.
Saltare il pranzo non avrebbe compensato le calorie che avevo assunto, pensai
tristemente. E quel sapore di zucchero non sarebbe andato via dalla mia bocca tanto
presto. Con la stessa velocità con cui Adrian era risprofondato nella sua depressione,
improvvisamente mi sentii stupida per aver provato questo stratagemma. Una granita
non poteva cambiare ciò che aveva detto suo padre, e il giorno dopo avrei avuto mezzo
chilo in più. Forse non ne valeva la pena.
Poi, ripensai a quel breve momento appoggiati alla macchina, e lo sguardo fugace di
Adrian pieno di contentezza, seguito poi da: Dio, quelle cose erano fantastiche. Penso
proprio che ne avessi bisogno.
Un breve momento di pace in mezzo alla sua oscura disperazione. Era quello che
volevo, e l’avevo ottenuto. Ne era valsa la pena? Mi sfregai le dita, sentendo ancora
quel calore.
Sì, decisi. Sì, ne era valsa la pena.
CAPITOLO 10 Traduzione: Nunzia
Pre-Revisione: Claude
IL VIAGGIO A SAN DIEGO continuò a tormentarmi, anche se sapevo che avrei
dovuto smettere di pensarci. Come spesso dovevo ricordare a me stessa, Adrian non
era una mia preoccupazione, come Jill e gli altri. Eppure, non riuscivo a smettere di
pensare al terribile scontro tra lui e Nathan, o alla faccia di Adrian dopo. Mi sentii
anche peggio quando un Eddie preoccupato venne a parlarmi di Jill durante la
colazione il Lunedì seguente.
«Qualcosa non va in lei» mi disse.
Immediatamente, guardai verso la fila nella caffetteria, dove Jill stava aspettando
con il vassoio in mano. Un’espressione vacua era stampata sul suo viso, come se fosse
a malapena consapevole di ciò che la circondava. Anche senza talento magico per la
lettura delle auree, potevo percepire la tristezza che emanava.
«Anche Micah l’ha notato» aggiunse Eddie. «Ma non siamo a conoscenza di alcun
motivo che la possa sconvolgere a tal punto. È per colpa di Lia? La sta tormentando di
nuovo?»
In quel momento, non ero sicura per chi mi sentissi peggio: Adrian, Jill o
Eddie. C’era in effetti tanto dolore in Eddie, quanto in Jill. Oh, Eddie, pensai. Perché
continui a farti questo? Era chiaramente preoccupato per lei, ma non avrebbe
osato avvicinarsi o offrirle conforto.
«Non c’è niente che non vada con Jill. È Adrian, e lei lo sente attraverso il legame.
Sta passando un brutto periodo.» Non offrii altri dettagli sulla situazione di
Adrian. Non era compito mio raccontarglielo.
Il volto di Eddie si oscurò. «Non è giusto che lei debba sopportare i suoi stati
d’animo.»
«Non lo so» dissi. «Credo che sia uno scambio equo per continuare a vivere.» Il fatto
che Adrian avesse utilizzato il potere dello spirito per riportare in vita Jill era ancora
una questione inquietante per me. In ogni istante dell’addestramento da Alchimista mi
era stato insegnato che quel tipo di magia era sbagliato, ben peggio di qualsiasi altra
forma di magia a cui avevo assistito. Qualcuno avrebbe potuto aggiungere che quello
che Adrian era riuscito a compiere non era poi così lontano dall’immobile immortalità
degli Strigoi. Allo stesso tempo, ogni volta che vedevo Jill viva e sorridente, ero
convinta che Adrian avesse fatto una buona cosa. Ero seria quando gli avevo parlato a
San Diego.
«Suppongo di sì» disse Eddie. «Vorrei solo che ci fosse un modo per lei di poterlo
bloccare. O qualcosa che lo faccia essere un po’ meno lunatico.»
Scossi la testa. «Da quello che ho sentito, Adrian era così da molto tempo prima che
Jill fosse baciata dalle tenebre.»
Eppure, continuai ad avere in mente quella conversazione, e passai la giornata
chiedendomi cosa potevo fare per rendere Adrian più felice. Un nuovo padre,
ovviamente, ma non era possibile. Ci avrei provato io stessa anni fa, se avessi
potuto. Anche le granite erano fuori questione, in parte perché offrivano solo dieci
minuti di conforto, in parte perché dovevo ancora riprendermi dall’ultima. Più tardi mi
venne un’idea, ma non era semplice da attuare. In realtà, sapevo che i miei superiori
avrebbero detto che non avrei dovuto neanche pensarci, per questo decisi di lavorarci
in modo da non lasciare email o tracce cartacee. Non riuscii a metterlo in atto nello
stesso giorno, però mi appuntai una nota mentale per un secondo momento. Inoltre, chi
poteva dirlo? Forse Adrian sarebbe riuscito a scrollarsi di dosso gli effetti di
quell’incontro con suo padre da solo.
Quelle speranze vennero poi a rafforzarsi quando vidi Jill il giorno dopo a
un’assemblea scolastica. Assemblee come quelle erano ancora un concetto nuovo per
me, e ce n’erano state solo due da quando era iniziata la scuola. La prima era stato un
incontro d’accoglienza durante la nostra prima settimana. L’altra era stato un raduno
per fare il tifo per la squadra di football prima del ballo. L’assemblea di quel giorno
era stata chiamata “Stili di vita sani.” Non riuscivo a capire di cosa si trattasse e come
potesse essere abbastanza importante da interrompere la lezione di chimica.
Eravamo seduti per classi nella palestra della scuola, così che Jill e io ci trovavamo
in gradinate diverse. Allungando il collo per provare a darle un’occhiata, la vidi seduta
nelle prime file con Angeline e alcuni amici che aveva conosciuto attraverso
Micah. L’avevano accolta senza problemi una volta avuto modo di conoscerla, e non
era certo una sorpresa considerato quanto fosse carina. Anche Laurel, una ragazza che
una volta aveva tormentato Jill, ora le rivolgeva sguardi amichevoli. Angeline disse
qualcosa che fece ridere Jill, e, in generale, si poteva notare un miglioramento nel suo
atteggiamento. Un grande miglioramento, a giudicare dalle sue risate. Il mio umore
migliorò. Forse Adrian si era davvero risollevato.
«Qualcuno può dirmi di cosa si tratta?» chiesi. Vicino a me da un lato si trovavano
Eddie e Micah, dall’altro Trey.
«C’è questo gruppo che viene a scuola e dà spiegazioni e consigli su cose come la
droga e il sesso sicuro» spiegò Micah. Era abbastanza attivo nella rappresentanza
studentesca, quindi non mi sorprese che fosse a conoscenza dell’ordine del giorno.
«Sono dei temi importanti» dissi. «Non dovrebbe durare solo un’ora? Non credo che
possano riuscire a fornire delle spiegazioni approfondite di questi problemi.»
«Penso che sia solo una rapida panoramica» disse Trey. «Non stanno cercando di
fare un seminario o altro.»
«Beh» dichiarai. «Dovrebbero.»
«Ci siamo perse qualcosa?» Julia e Kristin si fecero avanti a spintoni per sedersi tra
Trey e me. A Trey non sembrò importare.
«Stiamo cercando di spiegare il senso di tutto questo a Sydney» disse loro Trey.
«Pensavo che il punto fosse uscire dalla classe» disse Julia.
Kristin roteò gli occhi. «Questo spettacolo ti mostrerà esattamente cosa ti sei persa
con la tua istruzione scolastica a casa, Sydney.»
Niente avrebbe potuto prepararmi per l’esibizione che ne seguì, soprattutto perché
mai nei miei sogni più folli avrei immaginato questioni sociali tanto importanti
affrontate attraverso dei numeri musicali. Il gruppo che si esibì per noi si chiamava
Kazzeggiatori, e l’uso inadeguato della K era quasi sufficiente da solo a farmi lasciare
la palestra. Prima di ogni canzone, mettevano su una rapida quanto vaga introduzione
di informazioni sul tema o, ancora peggio, una scenetta. Queste brevi lezioni
cominciavano sempre con “Ehi, ragazzi!”
La prima canzone si chiamava “Le malattie sessualmente trasmissibili non fanno per
me”. Fu allora che mi misi a fare i compiti di matematica.
«Andiamo» mi disse Eddie, ridendo. «Non è così male. E la gente dovrebbe
documentarsi su quest’argomento.»
«Esatto» dissi, senza alzare lo sguardo dal mio lavoro. «Nel tentativo di fare canzoni
“alla moda” e “orecchiabili”, stanno banalizzando questioni che, invece, dovrebbero
essere prese più sul serio.»
Tornai ad ascoltare la musica solo quando i Kazzeggiatori passarono a parlare dei
mali causati dall’alcool. Una delle frasi della loro canzone particolarmente atroce era:
“Non ascoltare i tuoi amici e le loro storie / il Bourbon ti porterà disgrazie serie”.
«Bleah. Basta» mormorai. Tornai a cercare Jill. Guardava la scena, stordita e confusa
e, proprio come prima, nei suoi occhi non si leggeva disperazione o malinconia.
D’istinto capii perché aveva avuto quel cambiamento di umore. Adrian non si era
ripreso dalla sua tristezza. Molto probabilmente stava bevendo per superarla. Jill subiva
solo gli effetti collaterali più leggeri della sua ubriachezza - ne era prova la risatina di
poco prima - perché poi l’alcol arrivava ad indebolire il legame dello spirito. Il lato
positivo di questo suo vizio era proprio il fatto di far risparmiare a Jill parte della sua
depressione. Il lato negativo era che poi anche lei avrebbe subito i postumi della
sbornia.
Per fortuna, i Kazzeggiatori suonarono il loro ultimo pezzo, che celebrava le gioie
del benessere e di uno stile di vita sano e felice. Poi invitarono alcuni studenti a ballare
con loro, il che suscitò varie reazioni. Alcuni studenti si impietrirono imbarazzati, con
un’espressione tipica di chi contava i secondi che mancavano alla fine della tortura.
Altri studenti, specialmente quelli che a lezione volevano essere sempre al centro
dell’attenzione, si esibirono in spettacoli stravaganti.
«Sydney.»
La voce lievemente allarmata di Eddie mi fece capire che non potevo continuare a
fare i compiti. Poteva preoccuparsi in quel modo solo per Jill e perciò tornai a
guardarla. Solo che non era lei il problema. Ma Angeline. Uno dei membri dei
Kazzeggiatori cercava di attrarla a sé e le aveva persino afferrato la mano. Angeline
scuoteva la testa con forza, ma al ragazzo non sembrava importare. Sarebbe stata a suo
agio anche tra le danze selvagge dei boschi del West Virginia, ma quella sicuramente
non era una situazione piacevole per Angeline.
Ad essere onesti, ciò che accadde dopo non fu del tutto colpa sua. Il ragazzo avrebbe
dovuto lasciarla in pace già quando lei gli aveva detto di no, ma credo che fosse troppo
preso dall’euforia. Riuscì addirittura a trascinarla via e fu allora che Angeline gli fece
capire chiaramente la sua disapprovazione.
Con un pugno.
Fu una scena abbastanza impressionante, dato che il ragazzo era più alto di lei di
quasi trenta centimetri. Supposi che avesse messo in atto l’addestramento di Eddie su
come sconfiggere un Moroi più alto. Il ragazzo barcollò all’indietro e cadde a terra con
un tonfo sordo. Molti degli studenti seduti lì vicino restarono senza fiato, ma solo uno
dei membri della band, una chitarrista, si accorse di lui. Gli altri continuavano a cantare
e ballare. La chitarrista si affrettò a raggiungere il suo collega e nel farlo doveva aver
invaso lo spazio personale di Angeline, visto che ricevette un pugno anche lei.
«Eddie, fa’ qualcosa!» dissi.
Lui mi guardò stupito. «E cosa? Non farei in tempo.»
Era vero. Eravamo a due terzi di distanza dalla scala delle tribune, in mezzo ad altra
gente. Potevo solo assistere impotente al resto dello spettacolo. La band cominciò a
rendersi conto che c’era qualcosa che non andava e pian piano smise di suonare. Nel
frattempo, un gruppo d’insegnanti si era precipitato sul posto, cercando di allontanare
Angeline dal bassista dei Kazzeggiatori. C’era uno sguardo isterico nei suoi occhi,
come quello di un animale in trappola che aveva perso la ragione e voleva solo fuggire.
Gli insegnanti finalmente riuscirono a trattenerla, ma solo dopo che aveva lanciato una
cassa contro il cantante solista (lo mancò) e preso a pugni l’insegnante che lavorava al
negozio della scuola.
Trey si sporse a guardare a bocca aperta. «Quella è tua cugina? Wow.»
Non mi presi nemmeno la briga di rispondere. Non facevo che pensare a come avrei
potuto ridimensionare i danni stavolta. Fare a botte era un gesto grave in sé e per sé.
Non riuscivo nemmeno a immaginare, allora, che reazioni avrebbe suscitato l’attacco
ad una band così acclamata.
«Le ha suonate a tre persone grosse il doppio di lei!» esclamò Kristin. «E intendo
proprio suonate, le ha mandate al tappeto.»
«Sì, lo so» dissi sconsolata. «Sono qui. Ho visto tutto.»
«Ma come ci è riuscita?» chiese Julia.
«Le ho insegnato alcune mosse» commentò Eddie incredulo.
Prevedibilmente, nessuno si prese la briga di andare a chiamare la signora Weathers.
Angeline fu portata direttamente dalla preside e dal vicepreside. Dopo questa
dimostrazione, forse si sentivano più sicuri avendo il numero dalla loro. Poteva essere
dovuto alle raccomandazioni della signora Weathers o, semplicemente, al fatto che i
nostri presunti genitori (come quelli della “cugina” Angeline) erano notoriamente
difficili da contattare, ma mi fu chiesto di andare con lei a incontrare la direzione.
Il discorsetto che rivolsi ad Angeline fu breve e coinciso.
«Ti mostrerai pentita e contrita» le dissi quando ci sedemmo fuori dall’ufficio della
preside.
«Che vuol dire contrita?»
«Pentita.»
«Allora perché non hai detto solo…»
«E» continuai. «Se insistessero per avere delle spiegazioni, dirai che ti sei sentita
sopraffatta e in preda al panico. Dirai di non sapere cosa ti è preso.»
«Ma io non…»
«E non accennerai a quanto fossero stupidi né dirai nulla di negativo.»
«Ma loro sono…»
«In effetti, non parlare affatto a meno che non ti venga posta una domanda specifica.
Lascia fare a me e finiremo in fretta.»
Angeline sembrò prendermi alla lettera, perché incrociò le braccia e mi lanciò
un’occhiataccia, rifiutandosi di aggiungere altro.
Quando ci fecero accomodare in ufficio, la preside e il vice preside, la signora Welch
e il signor Redding, erano entrambi seduti dallo stesso lato di una scrivania. Erano
fianco a fianco, presentando un fronte unito che ancora una volta mi fece pensare che
temessero per la propria incolumità.
«Signorina McCormick» cominciò la signora Welch. «Spero sia cosciente che le sue
azioni hanno assolutamente passato il segno.» McCormick era il cognome fittizio che
Angeline usava qui.
«La violenza e la lotta di qualsiasi genere non sono tollerati ad Amberwood»
dichiarò Redding. «Abbiamo standard elevati, vale a dire che garantiamo per la
sicurezza di chiunque si trovi in questa scuola , e ci aspettiamo che i nostri studenti li
rispettino. Nessun’altra violazione delle norme scolastiche da lei perpetrata si avvicina
a quanto accaduto oggi.»
«Se anche non vi fossero tutte le altre trasgressioni di cui tener conto, non c’è altro
da fare» disse la signora Welch. «Non c’è posto per lei ad Amberwood.»
Sentii un vuoto nello stomaco. Espulsione. Sebbene i Guardiani non fossero del tutto
ignoranti, la sua istruzione era appena paragonabile alla media degli studenti liceali del
mondo moderno. Era in molti corsi di recupero e anche farla ammettere alla
Amberwood era stata una vera impresa. L’espulsione non era una prospettiva così
terribile, se paragonata alle domande che avrebbero potuto sollevarsi su come una
ragazza minuta come lei avesse potuto causare tanti danni; eppure, non volevo che
andasse a finire così. Potevo già immaginare uno dei miei superiori chiedermi, come
hai fatto a non accorgerti di quanto la scuola la stesse destabilizzando? Cui avrei dovuto
rispondere: perché ero troppo impegnata ad andare ai miei appuntamenti e ad aiutare
vampiri di cui non avrei dovuto occuparmi.
«Ha qualcosa da dire a sua discolpa prima che informiamo i suoi genitori?» chiese
la signora Welch. Guardarono Angeline pieni di aspettativa.
Mi preparai ad una filippica irrazionale. Invece, Angeline riuscì a versare qualche
lacrima che, dovevo ammettere, sembrava proprio di contrizione. «Io... io ero in preda
al panico» disse. «Non so cosa mi sia preso. È successo tutto insieme, e quel ragazzo
era così spaventoso, e ho dato di matto. Mi sono sentita minacciata. Volevo che tutti si
allontanassero da me... »
Mi aveva quasi convinta, probabilmente perché non stava mentendo del tutto.
Angeline aveva attraversato alcuni momenti burrascosi ad Amberwood, nonostante la
sua spavalderia. A scuola c’erano più persone che nella sua comunità di montagna e lei
si era sentita così sopraffatta durante la prima settimana, che avevamo dovuto fare a
turno per accompagnarla in classe. A dire il vero, avrei dovuto prestarle più attenzione.
Il signor Redding le rivolse uno sguardo vagamente comprensivo, ma non
abbastanza da fargli cambiare idea. «Sono sicuro che deve essere stata dura, ma non è
un buon motivo per agire in questo modo. Fare del male a tre persone e danneggiare
costose apparecchiature audiovisive non è stata affatto una reazione appropriata.» Per
usare un eufemismo.
Ero stanca delle formalità ed era essenziale sistemare la faccenda prima che
peggiorasse ulteriormente. Mi chinai in avanti sulla sedia. «Sa cos’altro non è
appropriato? Un trentenne, perché è quella l’età e non importa quanto giovane volesse
sembrare, che afferra una ragazza di quindici anni. È stato già abbastanza
inammissibile che abbia agito in questo modo quando lei chiaramente non voleva
andare con lui. Il punto è che nessuno avrebbe dovuto toccarla fin dall’inizio. Lei è
minorenne. Se un insegnante lo avesse fatto, sarebbe stato licenziato. Ho letto il codice
dei docenti determinato dal vostro reparto delle risorse umane.» Lo avevo letto nel
tentativo di capire se la signora Terwilliger abusasse della sua autorità. «Le uniche
occasioni in cui gli insegnanti possono posare le mani su uno studente sono le
emergenze mediche e per porre fine a una rissa. Ora, si potrebbe obiettare che quel
ragazzo non fosse un insegnante o un impiegato dalla scuola, ma il suo gruppo è stato
invitato qui dalla scuola, la quale è obbligata a tenere al sicuro i suoi studenti. Siamo
in una scuola privata, ma sono certa che il Dipartimento dell’istruzione della California
avrebbe un paio di cose da dire su quello che è successo qui oggi… come lo farà il
padre di Angeline, che è un avvocato.» In realtà era il capo di un gruppo di vampiri di
montagna e aveva molte mogli, ma non era quello il punto. Spostai lo sguardo avanti e
indietro tra la signora Welch e le faccia del signor Redding. «Allora. Vogliamo
rinegoziare la vostra posizione?»
Angeline era in estasi dopo che avemmo lasciato l’ufficio del preside e tornammo al
nostro dormitorio. «Sospensione» esclamò, con un po’ troppa gioia nella voce, per i
miei gusti. «Sono d’avvero autorizzata a saltare le lezioni? Suona più come una
ricompensa.»
«Dovrai comunque stare al passo con i compiti» l’avvertii. «E non puoi lasciare il
dormitorio. Non pensarci nemmeno di uscire furtivamente perché ti porterà
all’espulsione, e non sarò in grado di salvarti di nuovo.»
«Comunque» disse lei, praticamente saltando, «è stato tutto abbastanza facile.»
Mi fermai repentinamente di fronte a lei, costringendola a guardarmi. «Non è stato
facile! L’hai scampata grazie a un cavillo! Hai sempre opposto resistenza a seguire le
regole qui, e oggi… sei andata oltre ogni limite. Non sei a casa. L’unico caso in cui
dovresti pensare a combattere è nell’eventualità che Jill venga attaccata. È per questo
che sei qui. Non per fare quello che vuoi. Hai detto che eri pronta ad accettare la sfida
di proteggerla. Se vieni espulsa, ed è un miracolo che non sia successo, lei sarà a
rischio. Cerca di stare in riga o prepara le valigie per tornare a casa. E per l’amor di
Dio, lascia in pace Eddie.»
Il suo viso era colmo di rabbia mentre parlavo, ma l’ultimo pezzo la colse alla
sprovvista. «Che vuoi dire? »
«Voglio dire, ti lanci costantemente addosso a lui.»
Lei tirò su col naso. «È così che si dimostra a un ragazzo che ti piace.»
«Forse tra i selvaggi! Qui è necessario fare un passo indietro e cominciare ad agire
come un essere umano responsabile.. ehm, dhampir. Come vuoi. Lo avvilisci! E a parte
questo, dovreste essere cugini. Stai facendo saltare la nostra copertura.»
Angeline rimase a bocca aperta. «Io .. io lo avvilisco?»
Mi sentii quasi in colpa per lei. L’espressione di sconcerto che aveva dipinta sul viso
era così profonda che era ovvio non sapesse che il comportamento che stava tenendo
con Eddie era sbagliato. Ero talmente logorata da provare un’incredibile compassione
in quel momento. Anche Jill aveva fatto i suoi errori quando eravamo arrivati lì, ed era
stato altrettanto frustrante. Ero arrivata a godere della pace che si era creata, e ora
Angeline minacciava tutto questo. A differenza di Jill, lei non sembrava rendersene
conto, e non sapevo se questo migliorasse o peggiorasse le cose.
Lasciai Angeline sconvolta e frustrata alla sua stanza del dormitorio e verificai da
Jill che Adrian era effettivamente ubriaco. Questo, e la mia agitazione erano più che
sufficienti per farmi venire la voglia di lasciare il campus, anche se solo per una breve
fuga. Brayden mi aveva chiesto se volessi uscire, ma non ne avevo voglia. Gli mandai
un breve messaggio: Non posso uscire ‘stasera. Questioni di famiglia. Poi mi diressi
fuori, da Clarence.
Avevo chiamato in anticipo per assicurarmi che Dimitri e Sonya fossero lì, dal
momento che non avevo alcun interesse ad avere un tête-à-tête con un anziano
Moroi. Non era in giro quando arrivai. Trovai Dimitri e Sonya impegnati con alcune
carte con le macchie di sangue secco, ragionando su come procedere.
«Sarebbe interessante poter disporre di sangue Strigoi e vedere cosa succede se uso
lo spirito» stava dicendo. «Pensi si possa fare?»
«Con piacere» disse Dimitri.
Fu a quel punto che notarono la mia presenza. Non appena alzò lo sguardo, Sonya
chiese: «Cosa c’è che non va?»
Non le ho nemmeno chiesto come facesse a saperlo. La mia espressione
probabilmente diceva più della mia aura. «Angeline si è andata a cacciare in una rissa
con un gruppo motivazionale a scuola.»
Dimitri e Sonya si scambiarono un’occhiata. «Forse dovremmo andare a prendere
qualcosa per cena» disse lui. Afferrò un mazzo di chiavi dalla tavola. «Andiamo in
centro.»
Non avrei mai immaginato in vita mia che avrei potuto essere felice di uscire con
una Moroi e un dhampir. Fu l’ennesimo segnale di quanti passi avessi fatto in avanti,
o indietro, per gli standard degli Alchimisti. Rispetto alla maggior parte delle altre
persone nella mia vita, Dimitri e Sonya erano un punto fermo e stabile. Era
rassicurante.
Raccontai loro del comportamento di Angeline, così come la mia velata minaccia di
ripercussioni legali. Quella parte sembrò divertire Sonya.
«Furba» osservò lei, arrotolando una forchettata di spaghetti. «Forse dovresti
frequentare una scuola la legge piuttosto che lavorare con gli Alchimisti.»
Dimitri invece lo trovò meno divertente. «Angeline è venuta qui per lavorare. Voleva
allontanarsi dai Custodi e ha giurato che avrebbe dedicato ogni minuto possibile alla
protezione di Jill.»
«Ha subito un po’ lo shock culturale» ammisi, incerta sul motivo per cui difendevo
Angeline. «E quei ragazzi oggi... voglio dire, se avessero cercato di farmi cantare con
loro, probabilmente gli avrei allungato un pugno anche io.»
«Inaccettabile» disse Dimitri. Una volta era stato un istruttore di combattimento, e
ne comprendevo il motivo. «È qui in missione. Quello che ha fatto è stato imprudente
e irresponsabile.»
Sonya gli rivolse un sorriso sornione. «E io che pensavo che avessi un debole per le
giovani ragazze temerarie.»
«Rose non avrebbe mai fatto nulla di simile» replicò. Fece una pausa per
riconsiderare la faccenda, e potei giurarci: sul suo viso c’era l’accenno di un
sorriso. «Beh, almeno non in un contesto pubblico.»
Una volta che l’argomento Angeline fu messo da parte, raccontai la ragione per cui
ero venuta. «Allora... nessun esperimento oggi?»
Perino il buon umore di Sonya vacillò. «Ah. No, non esattamente. Abbiamo studiato
alcuni appunti per conto nostro, ma Adrian non è stato... non è stato al passo con le
ricerche di questa settimana. Non ha neppure frequentato le lezioni.»
Dimitri annuì. «Sono stato da lui, prima. Riusciva a malapena a rispondere alla porta.
Non ho idea di cosa stiesse bevendo, ma qualunque cosa fosse, ne ha bevuto un
sacco.» Considerando il loro rapporto difficile, io avrei provato disprezzo nel discutere
i vizi di Adrian. Invece, Dimitri sembrava deluso, come se si aspettasse di meglio.
«Volevo parlarvi proprio di questo» dissi. Avevo mangiato poco della mia cena e
adesso la stavo nervosamente spezzettando gli spaghetti. «L’attuale stato d’animo di
Adrian non è del tutto colpa sua. Voglio dire, lo è, ma posso capirlo. Voi sapete che
abbiamo visto suo padre in questo fine settimana, giusto? Beh... non è andata bene.»
C’era un luccichio che conoscevo negli occhi scuri di Dimitri. «Non ne sono
sorpreso. Nathan Ivashkov non è l’uomo più facile con cui andare d’accordo.»
«Ha disprezzato tutto ciò che Adrian sta cercando di fare. Ho provato a prendere le
sue difese, ma il signor Ivashkov non mi ha ascolta. Ecco perché mi chiedevo se voi
ragazzi potreste aiutarlo.»
Sonya non riuscì a nascondere la sua sorpresa. «Mi piacerebbe molto aiutare Adrian,
ma qualcosa mi dice che Nathan non abbia intenzione di ascoltare quello che abbiamo
da dire.»
«Non è quello a cui stavo pensando.» Rinunciai completamente al pane e ne lasciai
cadere i pezzi nel mio piatto. «Voi siete entrambi vicini alla regina. Ma gari potreste
convincerla a raccontare al padre di Adrain come… non lo so. Che si è rivelato una
risorsa preziosa. Che ha aiutato molto. Ovviamente, non potrà spiegargli esattamente
cosa sta facendo, ma potrebbe aiutare. Mr. Ivashkov non ascolterà Adrian o chiunque
altro, ma potrebbe prendere un elogio da parte della regina come una cosa seria. Se
fosse disposta a farlo.»
Dimitri mi guardò pensieroso. «Oh, lo farebbe. Ha sempre avuto un debole per lui.
A quanto pare è così per tutti.»
«No» dissi ostinatamente. «Non tutti. Ci sono due fronti opposti. Una metà lo
condanna e lo reputa inutile, come suo padre. L’altra metà scrolla le spalle e dice: “Beh,
è Adrian”.»
Sonya mi studiò attentamente, e una traccia di quel divertimento ritornò. «E tu?»
«Io non credo che debba essere viziato o disprezzato. Se vi aspettate che lui possa
fare grandi cose, le farà.»
Sonya non disse nulla, e spostai lo sguardo, a disagio per il suo sguardo
indagatore. Non mi piaceva quando mi guardava così. Si trattava di più di leggere le
auree. Era come se potesse vedermi nel cuore e nell’anima.
«Parlerò con Lissa» disse alla fine. «E sono sicura che anche Dimitri lo farà. Nel
frattempo, speriamo che seguendo il tuo consiglio e aspettando che Adrian smaltisca
la sbornia, alla fine ci riuscirà.»
Avevamo appena pagato il controllo quando il cellulare di Dimitri
squillò. «Pronto?» rispose. E immediatamente il suo viso si trasformò. La ferocia che
pensavo essere un suo tratto distintivo si ammorbidì, tanto che sembrava
raggiante. «No, no. È sempre un buon momento di chiamarmi, Roza». Qualunque sia
stata la risposta dall’altra parte, lo fece sorridere.
«Rose» disse Sonya. Si alzò. «Diamogli un po’ di privacy. Ti va di fare una
passeggiata?»
«Certo» dissi, alzandomi anch’io. Fuori stava calando il crepuscolo. «C’è un negozio
di costumi a pochi isolati di distanza che volevo vedere, se è ancora aperto.»
Sonya guardò Dimitri. «Ci vediamo là?» sussurrò e lui fece un rapido cenno del
capo. Una volta fuori nell’aria calda della serata, lei rise. «Ah, quei due. In un
combattimento, sono letali. Quando sono insieme, si sciolgono.»
«Sono come te e Mikhail?» chiesi, pensando al fatto che non mi sentissi mai in quel
modo con Brayden, indipendentemente da quanto mi piacesse passare del tempo con
lui.
Lei rise di nuovo e guardò il cielo, dipinto con sfumature dell’arancio e del blu. «Non
esattamente. Ogni rapporto è diverso. Ognuno ama a modo suo.» Fece una lunga pausa,
per scegliere con attenzione le parole successive. «È una bella cosa che hai scelto di
fare per Adrian.»
«Non c’era nessuna scelta da fare» ribattei. Attraversammo su una strada più
movimentata, piena di negozi illuminati con nebulizzatori d’acqua con lo scopo di
rinfrescare le persone accaldate. Trasalii al pensiero di ciò che l’umidità stesse facendo
ai miei capelli. «Dovevo aiutarlo. Non meritava quel tipo di trattamento. Non riesco a
immaginare come Adrian sopporti quella vita. E ci crederesti se ti dicesti che Adrian è
più interessato a ciò che penso io di lui?»
«In realtà» disse dolcemente, «ci credo.»
Il negozio di costumi era ancora aperto, grazie all’estensione dell’orario per
Halloween, ma solo per altri dieci minuti. Sonya cominciò a vagare per i corridoi senza
un vero obiettivo, ma io mi diressi subito nella sezione storica. Avevano un solo vestito
in stile greco, un abito bianco semplice con una cintura in plastica oro. Mi inginocchiai
a dare un’occhiata più attenta. Aprendo la confezione, sentii il tessuto. Era economico,
probabilmente infiammabile. L’abito era anche una XL, e mi chiedevo se Jill avesse
imparato abbastanza al club di cucito per prenderlo e adattarlo per me. Con meno di
una settimana alla festa, le mie opzioni erano limitate.
«Davvero?» disse una voce accanto a me. «Non mi hai già insultato abbastanza,
senza ricorrere a questa spazzatura?»
In piedi sopra di me c’era Lia Di Stefano. I capelli ricci erano legati con una sciarpa
rosso brillante, e indossava una voluminosa camicetta da contadina. Guardò verso di
me con disapprovazione armeggiando con il fodero degli occhiali
«Mi stai seguendo?» Chiesi, rialzandomi in piedi. «Ogni volta che vengo in centro,
ci sei anche tu.»
«Se ti stessi seguendo, non ti avrei mai fatto mettere piede qui dentro fin da
subito» poi indicò il costume. «Che cos’è quello?»
«Il mio vestito per Halloween» dissi. «ho intenzione di vestirmi da donna greca.»
«Non è nemmeno la taglia giusta.»
«Farò in modo che lo sia.»
Fece un verso di scherno. «Sono così sconvolta, che non so nemmeno da dove
cominciare. Vuoi un abito greco? Te ne farò uno. Uno buono. Non questa mostruosità.
Mio Dio… la gente sa che mi conosci. Se si dovesse venire a sapere, sarebbe la rovina
per la mia carriera.»
«Sì, perché quello che indosso a un ballo della scuola potrà davvero influenzare la
tua carriera.»
«Quand’è il ballo?» chiese.
«Sabato.»
«Facile» dichiarò. Mi guardò da capo a piedi e annuì soddisfatta. «Facile anche
prenderti le misure. E tua sorella si vestirà altrettanto male?»
«Non lo so» ammisi. «Ha parlato di cucirsi un abito da fata nel club di cucito. In blu,
penso.»
Lia sbiancò. «Anche peggio. Farò un vestito anche per lei. Ho già le sue misure.»
Sospirai. «Lia, so cosa stai cercando di fare, e non funzionerà. Jill assolutamente non
poserà di nuovo per te. Non importa quanto proverai a corromperla.»
Lia provò a convincermi con uno sguardo innocente, che non era affatto
convincente. «Chi ha parlato di corruzione? Lo faccio per altruismo. Sarebbe una
vergogna lasciarvi andare in giro con qualcosa che sia niente di meno che il meglio.»
«Lia…»
«Non comprare quello» mi avvertì, indicando il costume. «È uno spreco. Tanto
varrebbe dare fuoco ai soldi… anche se probabilmente non prenderebbero fuoco con
altrettanta velocità di questo vestito. Ti farò sapere quando i vostri costumi saranno
pronti.» Detto questo, si girò sui suoi tacchi alti in legno e se ne andò, lasciandomi lì a
fissarla.
«Hai trovato un costume?» mi chiese Sonya più tardi, quando fui costretta a lasciare
il negozio, ormai in chiusura.
«Stranamente, sì» dissi. «Ma non lì.»
Dimitri apparentemente era ancora preso con la sua chiamata, dal momento che non
ci aveva ancora raggiunto. Passeggiammo tranquillamente di nuovo verso il ristorante,
volendo dargli più tempo con Rose. Altri negozi stavano chiudendo, ed i turisti
cominciavano a diradarsi. Le raccontai dell’incontro con Lia. Sonya trovò l’accaduto
molto più divertente di me.
«Beh, non criticare» mi disse. «Se una stilista vuole realizzare qualcosa per te, non
sei obbligata a darle qualcosa in cambio. Forse mi potrebbe aiutare con gli abiti delle
damigelle d’onore.»
Attraversammo una strada meno trafficata e tagliammo per un vicolo stretto con un
edificio di mattoni su un lato e una chiesa con un prato alberato dall’altro. Avevo
ammirato la chiesa nel nostro breve viaggio all’andata, ma ora, in poco tempo, la sera
le aveva donato delle ombre e un’aria inquietante. Ero contenta di non stare
camminando per quella strada da sola. Era strano per me essere rassicurata dalla
presenza di un vampiro.
«Lia sa fare cose incredibili» ammisi. «Ma non so se dovremmo incoraggiarla.»
«Va bene» disse Sonya. «Forse uno di questi giorni, mi aiuterai tu a comprare gli
abiti. Hai davvero un buon gusto per…»
Improvvisamente si voltò verso il sagrato buio, uno sguardo impaurito sul suo volto,
ma non vidi nulla di allarmante… all’inizio. Pochi secondi dopo, quattro figure in nero
saltarono fuori da dietro gli alberi. Uno di loro mi spinse contro il muro di mattoni
mentre gli altri tre buttavano Sonya a terra. Spinsi il mio rapitore, ma un braccio
muscoloso mi stringeva forte. Nella fioca luce, vidi un barlume di qualcosa che mai mi
sarei aspettata di vedere per le strade di Palm Springs: una spada.
La figura scura in bilico sopra il collo di Sonya disse «È ora di tornare all’inferno.»
CAPITOLO 11 Traduzione: Meavers
Pre-Revisione: Claude
NON SONO UNA PERSONA MOLTO AGILE. Me la cavo a pallavolo, e Eddie una
volta mi ha insegnato a sferrare pugni. Ma non mi vanto di avere lo stesso tipo di
allenamento dei guardiani. Perciò, in questi casi, incapace di liberarmi dal vincolo, ho
praticamente fatto l’unica cosa che potevo fare.
Urlai.
«Aiuto! Qualcuno ci aiuti!»
La mia speranza era quella di ritardare i rapitori di Sonya dal decapitarla, o
qualunque altra cosa avessero in programma di fare. Sperai anche che, beh, qualcuno
ci avrebbe aiutato. Ci eravamo allontanate un po’ dalle strade principali del centro, ma
eravamo ancora abbastanza vicini da farci sentire da qualcuno… soprattutto perché
c’era ancora un discreto numero di persone.
Uno degli aggressori che teneva Sonya trasalì, così pensai di esserci quasi riuscita.
Il mio rapitore mi premette una mano sulla bocca e mi spinse forte contro il muro. Poi,
accadde una cosa strana. Lui, poiché dalla corporatura doveva trattarsi di un uomo,
anche se non riuscivo a distinguere il suo volto, si bloccò. Mi stava ancora trattenendo,
ma il suo corpo si irrigidì. Sembrava come se fosse scioccato o sorpreso. Non capivo
il perché. Sicuramente il fatto di gridare aiuto quando si viene aggrediti non era strano.
Non pensavo di poterlo sopraffare, ma speravo ancora di poter approfittare del suo
stordimento. Diedi un’altra spinta in avanti, cercando di sfuggire alla sua presa. Riuscii
solo ad avanzare di pochi passi prima che lui mi bloccasse di nuovo.
«Dobbiamo andare!» gridò uno dei rapitori di Sonya. Un altro uomo. Da quello che
posso dire, erano tutti uomini. «Arriverà qualcuno.»
«Ci vorrà solo un minuto» ringhiò quello che teneva la spada. «Dobbiamo liberare
il mondo dal male.»
Lo guardai terrorizzata, il mio cuore si impadronì del mio petto. Avevo paura per
me, ma soprattutto per Sonya. Non avevo mai visto una decapitazione. Non avevo
intenzione di iniziare ora.
Mezzo secondo dopo, mi ritrovai improvvisamente libera. Qualcuno di nuovo era
entrato nella mischia, qualcuno che aveva attaccato il mio rapitore e l’aveva facilmente
gettato a terra. Sembrò doloroso, e l’uomo atterrò con un grugnito. Anche con questa
poca illuminazione, l’altezza e il cappotto rivelarono l’identità del mio salvatore. Era
Dimitri.
L’avevo già visto combattere, ma non me ne stancavo mai. Era affascinante. Non si
fermava mai. Ogni azione era elegante e letale. Era un danzatore della morte. Ignorando
l’uomo che aveva appena scagliato, Dimitri balzò verso gli altri. Andò subito verso
l’uomo con la spada. Un rapido calcio da parte di Dimitri fece volare all’indietro
l’aggressore. Fece cadere la spada e a malapena riuscì ad aggrapparsi ad uno degli
alberi sagrati.
Nel frattempo, uno degli uomini che teneva Sonya, semplicemente si girò e corse
indietro verso il centro. Dimitri non lo seguì. La sua attenzione adesso era rivolta verso
l’ultimo uomo, che stava stupidamente tentando di combattere. Questo comunque
liberò Sonya, e lei non perse tempo ad alzarsi in piedi e correre verso di me. Raramente
mi sono fatta toccare con facilità, certamente non dai Moroi, ma l’ho abbracciata subito
senza pensarci due volte. Lei fece lo stesso, e potei sentirla tremare. Una volta, da
Strigoi, era stata una forza da non sottovalutare. Come una Moroi, una che aveva
appena avuto puntata una spada alla gola, le cose erano comprensibilmente diverse.
L’uomo che fronteggiava Dimitri riuscì a schivare un paio di colpi. Il suo errore fu
nel momento in cui cercò di colpire Dimitri. Indebolì la sua guardia, e così, Dimitri lo
colpì forte in faccia. L’uomo alto che prima aveva sbattuto sull’albero cercò di
attaccare, ma doveva essere un idiota nel pensare che Dimitri fosse distratto. Lui lo
rispedì facilmente a terra, e atterrò vicino all’uomo che Dimitri aveva appena preso a
pugni. Quello alto si alzò come se volesse attaccare di nuovo. Il suo amico lo afferrò e
lo trascinò via. Dopo un momento di lotta tra i due, finalmente scapparono via. Dimitri
non li inseguì. La sua attenzione era interamente su me e Sonya.
«State bene?» chiese, venendo a grandi passi verso di noi.
Riuscii a fare un debole cenno, anche se tremavo in maniera incontrollabile.
«Andiamocene da qui» disse Dimitri. Ci mise una mano sulla spalla di ognuna e
iniziammo ad allontanarci.
«Aspettate» dissi, tornando verso il camposanto. «Dovremmo prendere la spada.»
Diedi un’occhiata intorno a me, ma era anche più buio di prima. Dimitri trovò la
spada subito grazie alla sua vista superiore. La mise sotto il suo spolverino, e tutti e tre
ce ne andammo subito fuori. Camminammo fino casa di Adrian, dato che era più vicina
della proprietà di Clarence fuori città. Nonostante ciò, il viaggio sembrò durare una
vita. Continuai ad avere la sensazione che ci avrebbero potuto attaccare in qualsiasi
momento, ma Dimitri continuò ad assicurarci, mentre ci portava in un posto sicuro.
Adrian si stupì nel vederci sulla porta. Sembrava anche un po’ ubriaco, ma non mi
importava. Tutto quello che volevo era solo essere al sicuro tra quelle quattro mura.
«Che… che succede?» chiese, appena Dimitri spinse me e Sonya dentro. Adrian
guardò tutti noi, soprattutto me. «Stai bene? Cosa è successo?»
Dimitri eseguì una rapida ispezione a me e a Sonya e ricontrollò per eventuali ferite
malgrado le nostre proteste. Allungò una mano e mi prese gentilmente il mento,
girando la mia guancia non tatuata verso di lui. «Un po’ graffiata» disse. «Non è grave,
ma dovresti pulirla.» Toccai il punto che aveva indicato e rimasi sorpresa nel vedere
sangue sulle mie dita. Non mi ricordavo neanche di essermi fatta male, ma forse era
stato il muro di mattoni.
Sonya non aveva segni fisici, ma disse di avere un bel mal di testa per la caduta.
«Cosa è successo?» chiese di nuovo Adrian.
Dimitri sollevò la spada che aveva recuperato da quel luogo. «Qualcosa di più serio
di un’aggressione a scopo di rapina, penso.»
«Direi di sì» disse Sonya, seduta sul divano. Era straordinariamente tranquilla
considerando quello che ci era successo. Si toccò il retro della testa e fece una smorfia.
«Soprattutto visto che mi hanno chiamata creatura del male prima che arrivassi tu.»
Dimitri alzò il sopracciglio. «Davvero?»
Non mi ero ancora mossa da quando ero entrata nel salotto. Stavo semplicemente lì
con le braccia intorno al corpo, e mi sentivo intorpidita. Muovermi sembrava essere
così difficile. Non appena Dimitri cominciò ad esaminare la spada, comunque,
qualcosa catturò la mia attenzione e fece lentamente riprendere a funzionare il mio
cervello.
Vedendo il mio interesse, mi porse la spada. La presi, stando attenta alla lama, ed
esaminai l’impugnatura. Era coperta di incisioni.
«Secondo te significano qualcosa?» mi chiese.
La mia mente era ancora annebbiata dalla paura e adrenalina, ma le ignorai e cercai
di rimettere insieme i pezzi. «Sono vecchi simboli di alchimia,» dissi. «Dal Medioevo,
quando il nostro gruppo era solo un mucchio di scienziati medioevali che cercavano di
trasformare il piombo in oro.»
Era tutto quello che dicevano i libri di storia sulla mia società. Quello, e che alla fine
avevamo lasciato perdere l’oro.
L’organizzazione trovò più tardi dei composti più sofisticati, tra cui il sangue di
vampiro. Il fatto di interagire con i vampiri alla fine si era trasformato nella nostra
attuale causa, quando gli antichi Alchimisti capirono le terribili e oscure tentazioni che
questi rappresentavano. La nostra causa diventò sacra. La chimica e le formule che
aveva la mia società, che una volta funzionavano come guadagno personale,
diventarono strumenti che servivano per nascondere l’esistenza dei vampiri, strumenti
che avevamo ormai integrato con la tecnologia.
Picchiettai sul simbolo più grande, un cerchio con un punto nel mezzo. «Questo è il
simbolo dell’oro. Quest’altro è dell’argento. Queste quattro cose a forma di triangolo
sono gli elementi base: terra, aria, acqua e fuoco. E questi… Marte e Giove, collegati
al ferro e allo stagno. Forse è la composizione della spada?» Inarcai il sopracciglio e
studiai il resto del metallo. «In realtà non ci sono oro o argento, però. I loro simboli si
possono anche riferire al sole e alla luna. Forse non sono tangibili. Non saprei».
Porsi la spada a Dimitri. Sonya la prese da lui, studiando quello che avevo fatto
notare. «Quindi, stai dicendo che è un’arma alchimista?»
Scossi la testa. «Gli alchimisti non userebbero mai qualcosa del genere. Le pistole
sono più semplici. E i simboli sono arcaici. Ora usiamo la tavola periodica. E’ più facile
scrivere “Au” per indicare l’oro invece di disegnare quel simbolo del sole.»
«C’è qualche motivo per cui questo simbolo dovrebbe trovarsi su un’arma? Qualche
significato più grande?» chiese Dimitri.
«Beh, ripeto, se torni indietro nel tempo, il sole e l’oro erano le cose più importanti
per gli antichi Alchimisti. Ruotavano attorno all’idea della luce e della limpidezza».
Mi toccai la guancia. «Queste cose sono ancora importanti in qualche modo: è per
questo che usiamo questo inchiostro dorato. A parte i benefici, l’oro ci segna come…
puri. Santificati. Parte di una causa benedetta. Ma su una spada… non lo so. Se
chiunque abbia fatto questo stesse usando lo stesso simbolismo, allora forse la spada è
santificata.» Pensai di nuovo alle parole degli aggressori, al fatto di ritornare
all’Inferno. Feci una smorfia. «O forse i suoi possessori pensano di star compiendo
qualche sacro dovere.»
«Chi erano comunque questi?» chiese Adrian. «Pensi che Jill sia in pericolo?»
«Sapevano dei vampiri. Ma erano umani» disse Dimitri.
«È quello che ho pensato anche io» confermai. «Uno era abbastanza alto, ma non
era Moroi». Ammettere che i nostri aggressori erano umani era difficile e sconcertante
per me. Avevo sempre creduto che fossero malvagi gli Strigoi. Così era facile. Anche
dei Moroi non ci si poteva sempre fidare, ecco perché non era tanto inverosimile
pensare che gli assassini Moroi stessero cercando Jill. Ma gli umani… le persone che
pensavo di star proteggendo? Questo era difficile. Ero stata attaccata dalla mia stessa
specie, i cosiddetti buoni, non dai demoni che mi avevano insegnato a temere. Era stato
un duro colpo per la mia visione del mondo.
La faccia di Dimitri divenne ancora più lugubre. «Non ho mai sentito niente del
genere, forse perché la maggior parte degli umani non sanno dei Moroi. A parte che gli
Alchimisti».
Gli rivolsi uno sguardo pungente. «Non ha niente a che fare con noi. Ve l’ho detto,
le spade non fanno parte del nostro stile. E neanche gli attacchi.»
Sonya appoggiò la spada sul tavolo da caffè. «Nessuno sta accusando nessuno.
Suppongo che sia un problema di cui tutti e due vorrete parlare con i vostri gruppi».
Dimitri ed io annuimmo. «Anche se, penso che ci stiamo lasciando sfuggire qualcosa
di fondamentale. Mi stavano trattando come una Strigoi. Una spada non è il modo più
facile per uccidere qualcuno. Dovevano avere un motivo per farlo.»
«È l’unico modo con cui un umano può uccidere uno Strigoi» mormorai. «Gli umani
non possono brandire un paletto di argento. Penso che avrebbero potuto darti fuoco,
ma non è molto pratico in un vicolo.»
Scese il silenzio mentre ci rimuginavamo sopra. Alla fine, Sonya sospirò. «Non
penso che arriveremo da qualche parte stasera, non senza parlarne con gli altri. Vuoi
che la guarisca?»
Mi ci volle un momento per capire che stava parlando con me. Mi toccai la guancia.
«No, guarirà in fretta da sola.» Era uno degli effetti del sangue di vampiro nei nostri
tatuaggi a forma di giglio. «La pulirò prima di andarmene.»
Entrai nel bagno, fiduciosa. Quando arrivai e vidi il mio riflesso nello specchio, mi
lasciai andare allo sconforto. Non era un brutto taglio, affatto. Più che altro, quello che
mi sconvolse era ciò che rappresentava. Sonya si era ritrovata una lama alla gola, ma
anche la mia vita era stata messa in pericolo. Ero stata attaccata, ed mi ero ritrovata
completamente indifesa. Bagnai una salvietta e cercai di portarla sul viso, ma le mie
mani tremavano troppo.
«Sage?»
Adrian apparve sulla porta, e cercai subito di cacciare via le lacrime che avevano
cominciato a riempirmi gli occhi. «Sì?»
«Stai bene?»
«Non riesci a capirlo dalla mia aura?»
Non rispose ma al contrario prese la salvietta prima che la facessi cadere. «Girati»
mi ordinò. Lo feci, e lui tamponò la ferita. Ad averlo in piedi così vicino a me, potevo
vedere che i suoi occhi erano iniettati di sangue. Riuscivo anche a sentire la puzza di
alcool su di lui. Tuttavia, le sue mani erano più ferme delle mie. Mi chiese di nuovo,
«Stai bene?»
«Non ero io ad avere una spada puntata alla gola.»
«Non è quello che ti ho chiesto. Sei ferita da qualche altra parte?»
«No,» dissi, guardando giù. «Forse… forse nell’orgoglio.»
«Nell’orgoglio?» si fermò per risciacquare la salvietta. «Che cosa c’entra?»
Guardai su ma non incontrai i suoi occhi. «Posso fare un sacco di cose, Adrian. E, a
rischio di sembrare egoista, insomma, posso fare un sacco di cose abbastanza
incredibili che la maggior parte delle persone non può fare.»
La sua voce era un po’ divertita. «Come se non lo sapessi. Puoi cambiare uno
pneumatico in dieci minuti mentre parli in greco.»
«Cinque minuti» dissi. «Ma quando la mia vita è in pericolo, quando le altre vite
sono in pericolo, a cosa servo? Non posso combattere. Ero completamente inerme là
fuori. Proprio come gli Strigoi attaccarono noi e Lee. Posso solo stare ferma e guardare
e aspettare che persone come Rose e Dimitri mi salvino. Sono… sono una donzella in
pericolo, come nelle favole.»
Finì di pulire la mia guancia e posò la salvietta. Prese il mio viso tra le mani.
«L’unica cosa vera che hai detto era la parte della donzella, ma solo perché sei molto
carina. Non per il pericolo. Tutto il resto di ciò che hai detto era ridicolo. Non sei
debole.»
Alla fine guardai in su. Quando parlavamo, di solito Adrian non mi accusava di
essere ridicola. «Ah sì? Allora sono come Rose e Dimitri?»
«No. Non più di quanto lo sia io. E, se ricordo bene, qualcuno di recente mi ha detto
che era inutile cercare di essere come gli altri. E che si dovrebbe cercare di essere se
stessi.»
Mi accigliai nel sentire le mie stesse parole. «Non è la stessa cosa. Parlo di prendermi
cura di me stessa, non di impressionare qualcuno.»
«Beh, è questo il tuo problema, Sage. “Prenderti cura di te stessa.” Questi incontri
che hai avuto: gli Strigoi, i pazzi con le spade. Non erano proprio normali. Non penso
che puoi abbatterti per non essere in grado di combattere contro questo tipo di attacchi.
La maggior parte delle persone non ne sono capaci.»
«Io dovrei invece» borbottai.
I suoi occhi erano comprensivi. «Allora impara. Quella stessa persona a cui piace
darmi dei consigli, una volta mi ha detto di non essere una vittima. Perciò non esserlo.
Hai imparato a fare un sacco di altre cose. Impara questo. Prendi lezioni di autodifesa.
Prenditi una pistola. Non puoi essere un guardiano, ma non è l’unico modo di
proteggerti.»
Un ammasso di emozioni ribollì dentro me. Rabbia. Disagio. Rassicurazione. «Hai
un sacco di cose da dire per un ubriaco.»
«Oh, Sage. Dico un sacco di cose, sia da sobrio sia da ubriaco.» Mi liberò e fece
qualche passo indietro. Mi sentii stranamente vulnerabile senza lui vicino. «Quello che
la maggior parte delle persone non capisce è che sono più coerente così. Meno
possibilità per lo spirito di farmi impazzire.» Si picchiettò un lato della fronte e roteò
gli occhi.
«A proposito… Non ti darò altre lezioni al riguardo» dissi, felice di cambiare
argomento. «Il pranzo con tuo padre faceva schifo. Ho capito. Se vuoi annegare il
ricordo nell’alcool, va bene. Ma per favore, ricordati di Jill. Sai cosa le farebbe… non
ora, ma forse più in là.»
Il fantasma di un sorriso apparve sulle sue labbra. «Sei sempre la voce della ragione.
Cerca di ascoltare te stessa una volta ogni tanto.»
Quelle parole erano familiari. Dimitri aveva detto qualcosa di simile, che non potevo
prendermi cura degli altri se non mi prendevo prima cura di me stessa. Se due persone
così diverse come Adrian e Dimitri avevano lo stesso parere, allora forse c’era qualcosa
di giusto. Ci pensai molto quando tornai ad Amberwood più tardi.
Una delle cose buone dell’ubriachezza di Adrian era che Jill non fu testimone del
nostro discorso. Perciò il giorno successivo a pranzo, quando riepilogai a Jill, Eddie e
Angeline quello che era successo, potevo cambiare la storia e lasciare da parte il mio
esaurimento. Le reazioni di Jill e Angeline furono proprio come me le aspettavo. Jill
era preoccupata e continuava a chiedere se Sonya ed io stavamo bene. Angeline ci
intrattenne con racconti di tutto quello che avrebbe fatto agli aggressori e come, a
differenza di Dimitri, li avrebbe inseguiti nelle strade. Eddie era tranquillo e non disse
molto finche le altre due se ne andarono, Angeline nella sua stanza e Jill a prepararsi
per la lezione.
«Avevo pensato che non stessi bene oggi» disse. «Soprattutto a colazione, quando
Angeline ha chiamato un pomodoro verdura e non l’hai corretta.»
Feci un mezzo sorriso alla sua battuta. «Sì, beh, è il tipo di cose che fai. Insomma,
forse non per voi ragazzi. Spade a caso che vi attaccano in vicoli bui è normale per voi,
giusto?»
Scosse la testa, con la faccia seria. «Non riuscirai mai a gestire ogni attacco senza
che si presenti mai qualche problema. Le persone che lo fanno sono disattente. Non hai
nulla per cui stare male.»
Rimestai un po’ di purè di patate ancora poco omogeneo e alla fine lasciai perdere.
«Non mi piace essere impreparata. Per nulla. Non fraintendermi: c’ero quando tu e
Rose avete combattuto contro gli Strigoi. Non potevo aiutarvi neanche lì… ma è
diverso. Sono incredibili… oltre la portata degli umani. Non mi aspetto di essere in
grado di battermi con loro. Ma quello che è successo ieri sera, anche se con la spada,
era ad un passo dall’essere una rapina. Banale. Ed erano umani, come me. Non avrei
dovuto essere così inutile.»
«Vuoi che ti insegni qualche trucco?» chiese gentilmente.
Mi rifece tornare il sorriso. «Anche quello che fai tu è incredibile. Forse sarebbe
meglio fare qualcosa più al mio livello. Adrian ha detto che dovrei procurarmi una
pistola o prendere lezioni di autodifesa.»
«È un buon consiglio.»
«Lo so. Fa paura, vero? Gli Alchimisti si allenano con le armi, ma non ne vado
pazza. Ero abbastanza brava alle lezioni di teoria, però.»
Fece una risatina. «Vero. Beh, se cambi idea, fammi sapere. Dopo aver lavorato con
Angeline, sono pronto a tutto. Anche se… a dire il vero, si è calmata un po’.»
Pensai alla mia ultima conversazione vera e propria con lei. Era stato solo il giorno
prima che era finita in una rissa ed era stata sospesa, ma sembrava essere successo anni
fa. «Oh, ho fatto una sorta di chiacchierata con lei.»
«Che tipo di chiacchierata?» chiese, sorpreso. «Ti ho detto di non preoccuparti della
mia vita privata. È un mio problema.»
«Lo so, lo so. Ma l’ho fatto. Le ho detto che il suo comportamento era esagerato e
che doveva smetterla. Si è arrabbiata con me, però, quindi non ero sicuro che mi
avrebbe ascoltato.»
«Ah. Penso di sì.» Le parole successive ovviamente erano un’enorme concessione.
«Forse non è così male come pensavo.»
«Forse» acconsentii. «E guardala da questo punto di vista. Il fatto che sia stata
sospesa vuol dire che almeno non ti dovrai preoccupare di lei al ballo.»
Dal modo in cui il suo viso si illuminò, era chiaro che non ci aveva ancora pensato.
Qualche attimo dopo, si ricompose. «Se ci dovessero essere attacchi come questo,
dovrò essere ancora più cauto con Jill, soprattutto al ballo.» Non avevo pensato che
Eddie non avrebbe potuto essere più cauto, ma forse mi avrebbe sorpresa. «Preferirei
quasi che Angeline partecipasse.»
La maggior parte delle mie lezioni erano abbastanza interessanti da non farmi
pensare molto alla sera prima, ma lo studio indipendente con la professoressa
Terwilliger era diverso. Era troppo tranquillo, troppo calmo. Mi diede un sacco di
tempo per costruire i miei castelli mentali, facendomi ritornare tutta la paura e i dubbi
su me stessa che cercavo di ignorare. Per una volta, copiai e scrissi le formule senza
memorizzarle. Di solito, non avrei potuto farne a meno. Oggi, la mia mente non era lì.
Eravamo quasi a metà dell’ora quando alla fine mi concentrai abbastanza da capire
cosa stessi facendo. Era una formula della Tarda Antichità che, a quanto si dice, faceva
pensare alla vittima che gli scorpioni stessero cadendo su lui o lei. Come molti dei libri
di incantesimi della professoressa Terwilliger, la formula era complicata e portava via
molto tempo.
«Professoressa Terwilliger?» odiavo chiederle qualcosa, ma gli eventi recenti
pesavano troppo su di me. Alzò lo sguardo sorpresa dalle sue scartoffie. Dopo la guerra
fredda in cui stavamo, si era abituata a non parlarmi, a meno che non le parlassi io.
«Sì?»
Picchiettai sul libro. «Quanto sono efficaci queste formule? Come si farebbe ad
usarle in un combattimento se richiedono miscugli che si preparano in più giorni? Se
si viene aggrediti, non c’è tempo per niente del genere. A malapena c’è tempo per
pensare.»
«Quale stai leggendo?» chiese.
«Quella degli scorpioni.»
Fece un accenno col capo. «Ah, sì. Beh, quella è premeditata. Se c’è qualcuno che
non ti piace, te la prepari e lanci l’incantesimo. Molto efficiente per ex fidanzati,
aggiungerei.» La sua espressione diventò deconcentrata, poi tornò su di me. «Ci sono
di sicuro alcune che potrebbero essere più utili nella situazione che stai dicendo. Il tuo
amuleto di fuoco, se ricordi, aveva un sacco di lavoro di preparazione, ma potrebbe
essere usato molto velocemente. Ci sono altri che possono essere preparati in
pochissimo tempo con pochi componenti, ma come abbiamo già detto, quel tipo di cose
richiedono abilità elevate. Più sei abile, meno ingredienti ti servono. Bisogna avere un
sacco di esperienza prima di imparare qualcosa del genere.»
«Non ho mai detto di voler imparare qualcosa del genere» scattai. «Sto solo…
facendo una domanda.»
«Sì? Errore mio. Era quasi come se fossi, oserei dire, interessata.»
«No!» Ero grata che il mio tatuaggio magico avesse guarito la maggior parte delle
ferite sul mio viso della scorsa notte. Non volevo che sospettasse che avrei voluto
motivi seri per una protezione. «Vede, ecco perché non dico mai niente. Legge troppo
fra le righe e poi usa quello che dico per portare avanti i suoi programmi per
tormentarmi.»
«Tormentarti? Leggi i libri e bevi il caffè qui: proprio quello che faresti se non ci
fossi.»
«Tranne per il fatto che sono infelice» le dissi. «Odio tutto questo. Sono quasi pronta
a non venire più qui e rischiare la carriera scolastica. Tutto questo è malato e perverso
e…»
L’ultima campanella del giorno mi fermò dal dire qualcosa di cui mi sarei potuta
pentire. Quasi subito, Trey apparve sulla porta d’ingresso. La professoressa Terwilliger
cominciò a mettere a posto e lo guardò con un sorriso, come se non fosse successo
niente.
«Perché mai, signor Juarez. È carino da parte sua arrivare adesso, visto che non si è
fatto vedere alla mia lezione questa mattina.»
A pensarci bene, capii che aveva ragione. Trey non era stato presente né alla sua
classe di storia o alla nostra di chimica.
«Scusi» disse. «Avevo dei problemi familiari di cui occuparmi.»
“Problemi familiari” era una scusa che usavo tutto il tempo, anche se dubitavo che
Trey fosse invischiato in faccende quali il nutrimento di vampiri.
«Potrebbe, ehm, dirmi cosa mi sono perso?» chiese.
La professoressa Terwilliger si mise la borsa sulla spalla. «Ho un appuntamento.
Chiedi alla signorina Melbourne, probabilmente le spiegherà più cose di me. La porta
si chiuderà da sola quando voi due ve ne andrete.»
Trey si sedette in un banco vicino e lo spinse in modo da ritrovarci uno di fronte
all’altra mentre tiravo fuori i compiti di storia e chimica, dal momento che pensai che
gli servissero anche i secondi. Accennai al borsone che era sul pavimento accanto a lui.
«Hai avuto gli allenamenti?»
Si piegò per copiare i compiti, con i capelli neri che gli cadevano sul lati del volto.
«Non me li perderei mai» disse, non alzando lo sguardo mentre scriveva.
«Giusto. Salti solo le lezioni.»
«Non giudicarmi» disse lui. «Sarei venuto se avessi potuto.»
Lasciai stare. Avevo senza dubbio già la mia grossa fetta di complicazioni personali
che veniva prima. Mentre scriveva, accesi il mio cellulare e vidi un messaggio da
Brayden. Era una sola parola, un record per lui: Cena?
Esitai. Ero ancora agitata dalla notte prima, e anche se Brayden era divertente, non
era quello di cui avevo bisogno. Risposi: Non ne sono sicura. Ho delle cose da fare
questa sera. Volevo cercare delle alternative per il corso di autodifesa. Era quella la
rassicurazione che mi serviva. Fatti. Alternative. Seguì la risposta veloce di Brayden:
Cena tardi? Allo Stone Grill alle otto? Ci pensai e gli risposi che ci sarei stata.
Avevo appena posato il cellulare quando arrivò un altro messaggio.
Inaspettatamente, era da parte di Adrian. Come ti senti riguardo la notte scorsa? Sono
preoccupato per te. Adrian aveva un prosa articolata quando scriveva le e-mail, ma
spesso usava le abbreviazioni nei messaggi, cosa che io non farei mai. Anche leggerlo
era come sentire delle unghie sulla lavagna per me, però mi fece piacere il suo interesse,
che fosse preoccupato per il mio stato. Era rassicurante.
Gli risposi: Meglio. Vado a cercare dei corsi di autodifesa. La sua risposta fu veloce
quasi quanto quella di Brayden: Fammi sapere cosa trovi. Forse prenderò lezioni
anche io. Mi sorpresi. Di sicuro non me lo aspettavo. C’era solo una cosa che potevo
rispondere: Perché?
«Gesù» disse Trey, mentre chiudeva il suo quaderno. «Quanto sei popolare.»
«Faccende familiari» risposi.
Rise e infilò il quaderno nel suo zaino. «Grazie per questi. E a proposito di faccende
familiari… tua cugina. È vero che è stata espulsa?»
«Sospesa per due settimane.»
«Davvero?» rispose. «Tutto qui? Pensavo peggio.»
«Già. C’è mancato poco. Li ho convinti ad andarci piano con lei.»
Trey scoppiò a ridere. «Posso solo immaginare. Bene, penso che posso aspettare due
settimane allora.»
«Per cosa?» Risposi con un’espressione accigliata.
«Per chiederle di uscire.»
Rimasi senza parole per pochi secondi. «Angeline?» chiesi, per essere sicura che
non pensasse ad un’altra cugina. «Vuoi chiedere di uscire… ad Angeline?»
«Certo» disse. «È carina. E far fuori tre ragazzi e una cassa? Beh… ti dirò la verità.
Era molto sexy.»
«Posso pensare ad un sacco di parole per descrivere quello che ha fatto. Ma ‘sexy’
non è tra quelle.»
Scrollò le spalle e andò verso la porta. «Ehi, tu hai i tuoi interessi, io ho i miei. I
mulini a vento per te, le risse per me.»
«Incredibile» dissi. Eppure, mi chiesi se lo era veramente. Pensai che tutti noi
avessimo i nostri interessi. Lo stile di vita di Trey era di sicuro diverso dal mio. Era
devoto allo sport e aveva sempre ferite causati dagli allenamenti, anche adesso. Erano
più serie del solito. Non riuscivo a capire le sue passioni più di quanto lui potesse capire
il mio amore per la conoscenza. Il telefono vibrò di nuovo.
«Meglio tornare al tuo fan club» disse Trey. Se ne andò, e uno strano pensiero mi
venne in mente. Tutte le ferite di Trey erano causate dallo sport? Continuava a parlare
della famiglia, e mi chiesi improvvisamente se qualcosa di più insidioso di quanto
sospettavo lo stesse tenendo lontano. Era un’idea preoccupante, e non avevo molta
esperienza. Un’altra vibrazione del telefono mi allontanò dalle mie preoccupazioni.
Controllai il telefono e trovai un altro messaggio da Adrian: uno lungo che occupava
due messaggi. Era una risposta alla mia domanda sul prendere lezioni di autodifesa.
Mi darà un motivo per evitare S&D. E poi, non sei l’unica ad aver bisogno di
protezione. Quei tizi erano umani e sapevano che S è un vampiro. Forse i cacciatori
di vampiri esistono veramente. Hai mai pensato che Clarence stesse dicendo la verità?
Fissai il telefono incredula, elaborando le parole di Adrian e le implicazioni
dell’attacco dell’ultima notte.
Hai mai pensato che Clarence stesse dicendo la verità?
No. Fino a quel momento, mai.
CAPITOLO 12 Traduzione: Meavers, Luisa K. Earnshaw
Pre-Revisione: Medea Knight
Quando mi presentai per la cena, Brayden era seduto ad un tavolo con il portatile.
«Sono arrivato presto» disse. «Pensavo di fare un po’ di compiti. Tu li hai fatti?»
«Sì. Stavo facendo una ricerca sulle lezioni di autodifesa. Non crederai a quello che
ho trovato».
Mi sedetti accanto a lui per usare il suo portatile. Come sempre, profumava di caffè.
Decisi che quel profumo non mi avrebbe mai stufata. Gli feci visitare un sito che avevo
trovato poco prima di arrivare. Il sito sembrava fatto dieci anni prima, pieno di
straordinarie immagini animate. Scuola di Difesa Wolfe – Malachi Wolfe, istruttore.
«Sul serio?» chiese Brayden. «Malachi Wolfe?»
«Non può cambiare mica nome» dissi. «E guarda… ha avuto pure un sacco di premi
e riconoscimenti». Alcuni premi erano anche recenti. La maggior parte li aveva ottenuti
qualche anno prima. «Ma qui viene il bello».
Cliccai su un link intitolato “Prossimi corsi.” Malachi Wolfe aveva un’agenda
abbastanza piena, ma c’era una parte promettente. Teneva un corso di quattro
settimane, che sarebbe cominciato l’indomani e si sarebbe tenuto una volta a settimana.
«Non era proprio il tipo di insegnante che avevo in mente» ammisi, «ma il corso
comincia subito».
«Non è un corso molto lungo» aggiunse Brayden. «Però ti darà delle buone basi.
Perché sei interessata?»
L’immagine del vicolo mi tornò in mente… le figure nel buio e quel senso di
impotenza mentre venivo spinta contro il muro. Mi mancò quasi il respiro e dovetti
ricordarmi che non ero più in quel vicolo. Ero in un ristorante luminoso, con un ragazzo
a cui piacevo. Ero al sicuro.
«É solo… una cosa che penso sia importante da imparare per una donna» dissi.
«Anche se… è aperto sia a uomini che a donne».
«Stai cercando di farmi iscrivere?» All’inizio pensavo fosse serio, ma quando lo
guardai stava sorridendo.
Feci un gran sorriso. «Se vuoi. Stavo pensando a… mio fratello. Anche lui lo vuole
fare».
«Forse per me è meglio di no. Anche se stavo quasi per mettere arti marziali come
materia a scelta». Brayden spense il portatile e io mi spostai dall’altro lato del tavolo.
«Ad ogni modo, hai una famiglia affiatata. Non credo sia giusto intromettermi».
«Forse è una buona idea» accordai, pensando che non sapesse neanche la metà di
quel che era la mia famiglia.
La cena andò bene, così come la nostra successiva conversazione sulla
termodinamica. Nonostante l’argomento coinvolgente, comunque, la mia mente era
sconnessa. Dovetti risintonizzarmi su quello che stava dicendo Brayden. L’attacco e il
commento disinvolto di Adrian sui cacciatori di vampiri avevano occupato la gran parte
dei miei pensieri.
Eppure, rimanemmo al ristorante per tanto tempo. Così tanto che quando me ne
andai vidi che era completamente buio. Non avevo parcheggiato molto lontano e
neanche in un posto isolato, ma improvvisamente il pensiero di camminare sola al buio
mi fece raggelare. Brayden stava dicendo qualcosa su fatto di vederci al ballo e notò la
mia reazione.
«Cosa c’è?» chiese.
«Io…» guardai la strada. Due incroci. Ecco quant’era lontana la mia macchina. Fuori
c’era gente. Ma mi sentivo soffocare. «Mi accompagneresti alla macchina?»
«Certo» rispose. Non ci pensò su due volte, ma mi sentii mortificata per tutto il
tragitto. Come avevo detto ad Eddie ed Adrian, di solito non avevo bisogno dell’aiuto
degli altri. Chiedere aiuto per una cosa simile era particolarmente umiliante. Rose non
avrebbe bisogno di farsi accompagnare, pensai. Neanche Angeline. Avrebbe picchiato
qualche pedone per strada, per tenersi allenata.
«Eccoci qui» disse Brayden, una volta raggiunta Caffellatte. Mi domandai se la sua
considerazione di me fosse diminuita, per avergli chiesto di farmi da scorta.
«Grazie. Ci vediamo sabato?»
Annuì. «Sei sicura di volerci vedere lì? Posso passare a prenderti».
«Lo so. E non mi dispiacerebbe venire in macchina con te. Senza offesa,
Caffellatte». Diedi una pacca affettuosa alla macchina. «Ma devo dare uno strappo a
mio fratello e mia sorella. É meglio così».
«D’accordo» disse. Mi fece un sorriso quasi timido, se paragonato alla sua
spigliatezza nei discorsi di scuola. «Non vedo l’ora di vedere il tuo vestito. Il mio l’ho
preso da una compagnia teatrale. Non è proprio la riproduzione fedele di un abito
ateniese, ma è il migliore che ho trovato».
Mi ero quasi dimenticata di aver lasciato il mio vestito nelle mani di Lia. Brayden
non era l’unico interessato a vedere cosa avrei indossato.
«Non vedo l’ora» dissi.
Dopo un po’, mi chiesi come mai non se ne stesse andando. Era ancora un po’ timido
e insicuro, come se stesse cercando di calmarsi per dire qualcosa. E venne fuori che
non voleva parlare affatto. Con una gran dose di coraggio, si fece avanti e mi baciò. Fu
carino, ma anche quella volta un po’ deludente.
Guardando in viso Brayden, però, sembrava stesse a tre metri da terra. Perché non
avevo avuto la sua stessa reazione? Forse avevo fatto qualcosa di sbagliato. O forse
non ero abbastanza capace?
«Ci vediamo sabato» disse.
Mi creai una nota mentale per aggiungere i baci agli argomenti da approfondire.
Tornai ad Amberwood e scrissi un messaggio ad Adrian mentre entravo in camera.
C’è un corso di autodifesa che comincia domani. 75$. Nonostante la sera prima fosse
sembrato interessato, ero un po’ scettica sul fatto che si fosse ripreso dalla sua
depressione abbastanza da poter fare una cosa del genere. Non ero nemmeno sicura che
fosse andato alle lezioni di arte. Un minuto dopo, arrivò la sua risposta: Ci sarò. Seguì
un altro messaggio: Puoi anticiparmi i soldi?
Anche Jill, come me, stava entrando in camera, entrambe appena prima del
coprifuoco. Non mi aveva nemmeno vista e sembrava preoccupata e pensierosa. «Ehi»
la chiamai. «Jill?»
Si fermò a metà strada dall’ingresso e si sorprese di vedermi. «Oh, ehi. Non eri in
giro col tuo fidanzato?»
Feci una smorfia. «Non credo si possa già chiamare così».
«Quante volte siete usciti insieme?»
«Quattro».
«Vai con lui al ballo?»
«Ci vediamo lì».
Fece spallucce. «A me sembra un fidanzato».
«A me sembra che tu stia citando la guida sugli appuntamenti di Kristin e Julia».
La battuta la fece sorridere un po’, ma non durò molto. «Penso che sia
un’impressione comune».
La studiai, cercando di capire di che umore fosse. «Stai bene? Sembrava che
qualcosa ti stesse tormentando. È… Adrian? È ancora agitato?» Per un attimo, mi
preoccupai più per Adrian che per lei.
«No» rispose. «Cioè, beh, sì. Ma sta un po’ meglio. È entusiasta per il corso di
autodifesa con te». Il loro legame non avrebbe mai cessato di meravigliarmi. Avevo
scritto ad Adrian solo un minuto prima.
«“Entusiasta?”» chiesi. Mi sembrava una reazione troppo esagerata.
«È una distrazione. E distrarsi è la cosa migliore quando sta così» mi spiegò. «È
ancora turbato, comunque. È ancora depresso per suo padre».
«Non avrei dovuto portarlo a San Diego» mormorai, più a me stessa che a lei. «Se
mi fossi rifiutata di accompagnarlo, non avrebbe potuto andarci».
Jill mi guardò scettica. «Non saprei. Penso che avrebbe trovato un modo, con o senza
di te. Quello che è successo tra di loro sarebbe successo comunque». Aveva detto una
cosa molto saggia.
«È solo che mi sento malissimo a vedere Adrian così» dissi.
«I suoi stati d’animo vanno e vengono. È sempre stato così». Jill aveva uno sguardo
perso. «Ha smesso di bere per un po’... per me. Ma lo ha solo portato a... beh, è difficile
da spiegare. Sai che lo spirito fa impazzire le persone? Quando è così giù di morale ed
è sobrio, è più vulnerabile».
«Stai dicendo che Adrian sta impazzendo?» Non era un problema che avevo
previsto.
«No, non proprio». Serrò le labbra mentre pensava. «A volte è sperduto… strano.
Capirai quando lo vedrai. A volte dice cose sensate e a volte no. Gli viene quest’aria
sognante e parla senza sosta. Ma non come faccio io. È come, non lo so, un sentimento
mistico. Ma non magico. È come se per un attimo… perdesse la testa. Non dura molto
ma, ripeto, capirai quando lo vedrai».
«Penso di aver...» un ricordo inaspettato mi passò per la mente, di prima che Sonya
e Dimitri arrivassero. Ero stata da Adrian e mi aveva guardata in modo strano, come se
mi stesse guardando per la prima volta. Mi saliva un brivido solo a ripensarci.
Mio Dio, Sage. I tuoi occhi. Perché non li ho mai notati? Il colore… come oro fuso.
Potrei dipingerli…
«Ragazze?» la signora Weathers era seduta alla scrivania e stava chiudendo tutto.
«Dovete andare nelle vostre camere».
Obbedimmo e ci spostammo verso le scale. Quando raggiungemmo il piano di Jill,
la fermai prima che se ne andasse. «Ehi... se il problema non è Adrian, a cosa pensavi
quando sei entrata? Tutto ok?»
«Cosa? Ah, quello». Arrossì in un modo che mi fece tenerezza. «Sì. Credo. Non lo
so. Micah… beh, mi ha baciata stasera. Per la prima volta. E credo di essere rimasta
sorpresa da ciò che ho provato».
Mi meravigliavo di come non si fossero baciati prima e supposi di doverne essere
grata. Le sue parole mi riecheggiarono nella testa. «Cosa vuoi dire? Non è stato bello
come credevi? Come se stessi semplicemente toccando le labbra di qualcuno? Come
se stessi baciando un parente?»
Mi guardò in modo perplesso. «No. È da pazzi. Perché lo pensi?»
«Curiosità.» Mi sentii sciocca. Perché invece per me era stato così?
«È stato bello, in realtà». Tornò su di lei quello sguardo perso. «Beh, quasi. Non ho
potuto metterci troppo entusiasmo, perché ero preoccupata di fargli male con le zanne.
È facile nasconderle mentre parli e sorridi. Ma non mentre baci. Riuscivo solo a pensare
“Cosa gli dico, se se ne accorge?” E poi ho pensato a quello che avete detto tu e gli
altri. Che questa faccenda con Micah non è una buona idea e che non posso resistergli
in eterno. Mi piace. Mi piace un sacco. Ma non tanto da esporre i Moroi… o mettere
in pericolo Lissa».
«É un comportamento nobile».
«Credo di sì. Non voglio ancora rompere con lui, comunque. Micah è così dolce…
e adoro gli amici che ho conosciuto grazie a lui. Vedremo che succede… ma è difficile.
Questo episodio è stato un campanello d’allarme». Sembrò molto triste quando entrò
in camera sua.
Mentre andavo in camera mia, mi sentivo triste per Jill… ma allo stesso tempo
sollevata. L’avevo stressata per il suo appuntamento casuale con Micah, preoccupata
che avremmo vissuto delle situazioni melodrammatiche in cui lei si sarebbe rifiutata di
lasciare lui, perché il loro amore era troppo grande e andava al di là delle loro razze.
Invece, avrei dovuto avere più fiducia in lei. Non era così immatura come pensavo. Jill
stava scoprendo la verità e l’avrebbe risolta da sola.
Le sue parole su Adrian mi rimasero impresse, in particolar modo quando passai a
prenderlo la sera dopo per la nostra prima lezione di autodifesa. Entrò nella mia
macchina molto allegro, non sembrava depresso o pazzo. Notai che si era vestito molto
bene, in abiti che sarebbero stati eccellenti per fare visita a suo padre. Anche lui notò
il mio abbigliamento.
«Wow. Non penso di averti mai vista così… casual». Avevo dei pantaloni da yoga
verde oliva e una maglietta Amberwood.
«Nella descrizione del corso c’era scritto di indossare un abbigliamento comodo…
e prima te l’ho anche scritto». Diedi uno sguardo eloquente alla sua camicia di seta.
«Questo è molto comodo» mi assicurò. «E poi, non ho altri abiti comodi».
Dopo aver ripreso a guidare, notai la mano sinistra di Adrian. All’inizio, pensavo
stesse sanguinando. Poi, mi accorsi che era pittura rossa.
«Stai di nuovo dipingendo» dissi. «Pensavo avessi smesso».
«Sì, beh, non si possono prendere lezioni di pittura e poi non dipingere, Sage».
«Pensavo avessi smesso anche con le lezioni».
Mi guardò di traverso. «Quasi. Ma poi mi sono ricordato di aver convinto una
ragazza del fatto che se mi avesse dato la possibilità di iscrivermi alle lezioni, poi le
avrei seguite. Mi è servito da lezione».
Sorrisi inoltrandomi nel traffico.
Ero partita un po’ prima, per cui io e Adrian avemmo il tempo di occuparci della
nostra iscrizione. Quando chiamai la Scuola di Difesa Wolfe quel giorno, un uomo
agitato mi disse di presentarmi con i soldi visto che ci eravamo decisi tardi. L’indirizzo
era fuori città, un residence molto grande, intorno al quale nessuno si era minimamente
preoccupato di far crescere alberi e fare un po’ di ombra in quel clima torrido. Il deserto
prevaleva ancora e dava un aspetto tetro e desolato a quella casa. Se non fosse stato per
la scritta WOLFE sulla cassetta delle lettere, avrei pensato di aver sbagliato posto. Ci
parcheggiammo sulla ghiaia, dove non c’era nessun’altra macchina, e ci guardammo
intorno.
«È il tipo di posti che si vedono nei film» disse Adrian. «Dove le persone sbadate si
imbattono in serial killer».
«Almeno fuori c’è ancora luce» dissi. Sin dall’episodio del vicolo, l’oscurità era
diventata una minaccia completamente diversa per me. «Non può essere poi così
male».
Adrian aprì la portiera della macchina. «Scopriamolo».
Suonammo al campanello e sentimmo subito latrati e rumore di zampettio. Mi feci
indietro. «Odio i cani male addestrati» borbottai ad Adrian. «Devono sapersi
comportare bene e stare in riga».
«Come le persone che hanno a che fare con te, vero?» chiese Adrian.
La porta si aprì e incontrammo un uomo brizzolato, sulla cinquantina. Aveva dei
bermuda e una maglietta dei Lynyrd Skynyrd. In più, aveva una benda sull’occhio.
«È incredibile» sentii mormorare Adrian. «Questo va oltre ogni mia
immaginazione».
Ero sorpresa. La benda mi fece pensare all’occhio di vetro di Keith, che a sua volta
mi fece pensare al mio ruolo nel comprarlo. Non era un ricordo piacevole e mi chiesi
quante altre possibilità ci fossero di incontrare un altro uomo con un occhio solo.
L’uomo spinse il branco di cani da una parte – sembravano essere degli incroci con
Chihuahua – e riuscì a stento ad uscire e chiudere la porta senza farli uscire.
«Sì?» chiese.
«Siamo venuti per la lezione. La lezione di autodifesa». Sentii il bisogno di
specificare, nel caso insegnasse anche ad addestrare cani o cavalcare le onde. «Sono
Sydney, lui è Adrian. Ho chiamato questa mattina».
«Ah, giusto, giusto». Si grattò la barba. «Avete i soldi? Solo contanti».
Contai centocinquanta dollari e glieli porsi. Per abitudine stavo quasi per chiedergli
lo scontrino, ma poi cambiai idea. Mise i soldi in una tasca dei pantaloni.
«Bene» disse. «Siete ammessi. Andate avanti e aspettate in garage finché gli altri
non arrivano. La porta laterale è aperta». Fece un gesto verso un grande edificio
industriale, grande due volte la casa, in fondo al lotto. Senza nemmeno aspettare per
vedere se gli avessimo obbedito, tornò dentro dai cani che abbaiavano.
Fui sollevata nel vedere che l’interno del garage era la prima cosa che sembrasse
avere un minimo di credibilità. C’erano tappetini puliti sul pavimento e specchi su
alcune delle pareti. Su un carrello c’erano una televisione e un videoregistratore,
insieme a delle cassette sulla difesa coperte di polvere. Un po’ più sconcertanti erano
alcune decorazioni: sembravano un paio di nunchuck che pendevano dal soffitto.
«Non toccarli!» avvertii Adrian, vedendolo avvicinarsi. «Non è il tipo di persona
con cui vorresti avere dei guai in caso di danni».
Adrian ritirò le mani. «Pensi che impareremo ad usarli?»
«Le armi non erano nella descrizione del corso. Sarà autodifesa basilare e corpo a
corpo».
«Perché ci siamo presi tutto questo disturbo allora?» Adrian si avvicinò ad una
vetrina con vari tipi di tirapugni d’ottone. «Questo è il tipo di cose che Castile fa tutto
il giorno. Avrebbe potuto insegnarcele lui».
«Volevo una persona un po’ più alla mano» spiegai.
«Uno come quel tizio, Capitan Pantaloncini-Tropicali? E dove diavolo l’hai trovato,
comunque?»
«Ho fatto solo una ricerca su internet». Sentendo il bisogno di difendere la mia
ricerca, aggiunsi «È fortemente consigliato».
«Da chi? Long John Silver?» Mio malgrado, risi.
Il resto della classe arrivò nella mezz’ora successiva. C’era una donna che sembrava
avere settant’anni. Un’altra era una madre che aveva appena avuto il suo quarto figlio
e aveva deciso di voler “imparare a proteggerli”. Le ultime due donne avevano tra i
venti e i trent’anni e indossavano magliette con ferventi slogan sul potere delle donne.
Io e Adrian eravamo i più giovani del gruppo. Lui era l’unico uomo, ad eccezione
dell’istruttore, che ci chiese di chiamarlo semplicemente Wolfe.
Iniziavo ad avere un brutto presentimento sul corso, in particolare quando iniziò.
Noi sei ci sedemmo sul pavimento, mentre Wolfe si appoggiò ad uno degli specchi
guardandoci dall’alto. «Se siete qui» iniziò, «probabilmente volete imparare subito ad
usare questi». Indicò i nunchuck.
Osservai la faccia di Adrian nello specchio. La sua espressione diceva Sì, è
esattamente ciò che voglio imparare.
«Beh, è un peccato» disse Wolfe. «Non li userete mai. Non in questo corso almeno.
Oh, hanno la loro utilità, credetemi. Mi hanno salvato il culo più di una volta quando
andavo a caccia con l’arco in Alaska qualche anno fa. Ma se farete attenzione a quello
che vi dirò, non avrete mai bisogno di usarli, visto che qui a Palm Springs non abbiamo
problemi di alci incazzate».
La neomamma alzò la mano. «Ha usato i nunchuck per cacciare alci?»
Wolfe aveva uno sguardo spettrale negli occhi. «Ho usato qualsiasi cosa per cacciare
quelle bastarde. Ma questo non è il luogo o il momento di parlarne. Perché il punto è
questo. Con un po’ di buonsenso, non avrete bisogno di armi. O pugni. Tu».
Con mia sorpresa, Wolfe mi lanciò un’occhiata e mi fissò con il suo occhio di
ghiaccio. «Cosa ti ho detto di fare quando sei arrivata?»
Deglutii. «Di darle i soldi, signore».
«E dopo di quello?»
«Ci ha detto di venire ad aspettare qui».
Annuì soddisfatto, quindi apparentemente le mie risposte ovvie gli erano piaciute.
«Siamo a due miglia di distanza da qualsiasi altra casa e circa a un miglio dalla strada
principale. Non mi conosci e, ammettiamolo, questo posto sembra uscito da un film su
un serial killer». Con la coda dell’occhio mi accorsi che Adrian mi rivolse uno sguardo
trionfante. «Ti ho fatta venire in un edificio remoto praticamente senza finestre. Sei
entrata. Ti sei guardata intorno mentre entravi? Hai controllato i dintorni prima di
entrare? Hai cercato le uscite?»
«Io...»
«No, ovviamente non l’hai fatto» mi interruppe. «Nessuno lo fa mai. E questa è la
prima regola dell’autodifesa. Non dare niente per scontato. Non bisogna vivere nella
paura, ma sapere cosa c’è intorno a noi. Essere intelligenti. Non andare alla cieca in
vicoli bui o parcheggi». E da lì in poi fui rapita dalle sue parole.
Wolfe, sorprendentemente, era ben preparato. Sapeva un sacco di storie, fece
qualche esempio di attacchi e improvvisamente ricordai quella frase: sono gli uomini
ad essere tra le più feroci creature là fuori, non i vampiri. Ci mostrò foto e planimetrie
di vari posti pericolosi, soffermandosi sui vari punti deboli e dandoci consigli piuttosto
pratici che avrebbero dovuto essere ovvi alla maggior parte delle persone, ma non lo
erano affatto. Più parlava, più mi sentivo stupida per quello che era successo con Sonya.
Se quei ragazzi volevano davvero attaccare Sonya, un modo l’avrebbero trovato
comunque. Ma c’erano un milione di cose che avrei potuto fare per essere più cauta e
forse evitare lo scontro che c’era stato quella notte. Quell’idea si scoprì essere una parte
fondamentale della filosofia di Wolfe: prima di tutto, evitare i pericoli.
Anche quando finalmente iniziò a parlare di alcune delle mosse di base, enfatizzò
quelle da usare per scappare… non quelle per stare lì ad attaccare l’assalitore e
mandarlo al tappeto. Ci fece mettere in pratica alcune mosse nell’ultima mezz’ora della
lezione, facendoci lavorare a coppie con un manichino, per evitare che nessuno si
facesse male.
«Grazie a Dio» disse Adrian, quando iniziammo a far pratica. Io ero in coppia con
lui. «Pensavo di ritrovarmi in un corso di combattimento in cui avrei imparato a non
combattere».
«Ma ha ragione» dissi. «Se puoi evitare lo scontro è molto meglio».
«Ma se non puoi?» chiese Adrian. «Come con i tuoi amici spadaccini? Cosa fai
quando ti ritrovi nei guai?»
Colpii il manichino imbottito senza faccia. «Siamo qui per imparare proprio questo».
La mossa principale di Wolfe quel giorno era come liberarsi dalla presa di qualcuno
da dietro. Aveva un paio di tecniche non molto più complesse di una testata o di un
colpo di piedi. Adrian e io facemmo a turno l’assalitore mentre la vittima si esercitava
nella mossa… a rallentatore e senza quasi alcun contatto con il partner. A quello
servivano i manichini. Ero circa una dozzina di centimetri più bassa di Adrian e
sembravo molto poco plausibile che potessi essere io l’assalitore, perciò ridemmo
entrambi ogni volta che facevo una mossa. Wolfe ci rimproverò per mancanza di
serietà, ma comunque ci diede voti alti per aver imparato le tecniche.
Questo mi fece sentire un po’ altezzosa, tanto che quando Adrian si voltò per
prendere una bottiglia d’acqua, mi avvicinai di soppiatto alle sue spalle e lo strinsi con
le braccia, bloccandogli le sue. Wolfe ci aveva mostrato come liberarsi da quel tipo di
presa e, onestamente, pensavo che Adrian mi avesse vista arrivare abbastanza in tempo
da scivolare via prima che io lo toccassi. Apparentemente no. Si immobilizzò e, per un
momento, il tempo parve fermarsi. Sentivo la seta della sua camicia contro la mia pelle
e il calore del suo corpo. Il persistente profumo della sua costosa acqua di colonia che
mi avvolgeva. Niente odore di fumo quella volta. Gli avevo sempre detto che non
valeva la pena spendere così tanto per quel profumo, ma improvvisamente, ci ripensai.
Era incredibile.
Ero così pervasa da quel sovraccarico sensoriale che mi colse completamente alla
sprovvista quando davvero mi spinse via.
«Cosa stai facendo?» esclamò. Pensavo che sarebbe rimasto impressionato dal mio
attacco furtivo, ma non leggevo né approvazione né umorismo sul suo viso. Smisi di
sorridere anch’io.
«Controllo se sai reagire ad un attacco a sorpresa». Il mio tono di voce era esitante.
Non sapevo in cosa avessi sbagliato. Sembrava a disagio. Quasi arrabbiato. «Cosa c’è
che non va?»
«Niente» disse burbero. Per un momento i suoi occhi si fermarono su di me e mi
guardarono con un’intensità tale da lasciarmi senza fiato. Poi, distolse lo sguardo, quasi
come se non sopportasse di guardarmi. Mi sentii più confusa che mai. «Non avrei mai
pensato di vederti gettare le braccia intorno a un vam... a qualcuno come me».
Quasi non avevo notato che stava per dire quella parola in pubblico. Solo poco dopo
capii cos’aveva detto. Aveva ragione. L’avevo toccato senza nemmeno pensarci… e
non era solo una formale stretta di mano ad un Moroi, come quelle di sempre. Certo,
era nel contesto del nostro corso, ma sapevo che non avrei mai fatto una cosa del genere
fino a qualche mese prima. Toccarlo adesso mi era sembrato perfettamente naturale.
Era per questo che era arrabbiato? Era preoccupato per me e gli Alchimisti?
Wolfe ci passò vicino. «Bel lavoro, ragazza». Diede ad Adrian una bella pacca sulla
spalla digrignando i denti. «Non eri per niente preparato al suo arrivo».
Questo sembrò affliggere ancora di più Adrian e avrei potuto giurare di sentirgli
mormorare «È una cosa dannatamente certa».
Un po’ della spavalderia di Adrian tornò durante il viaggio verso casa, ma era ancora
calmo e pensieroso. Provai di nuovo a capire il perché del suo cambiamento di umore.
«Hai bisogno di fermarti da Clarence per il sangue?» Magari la lezione l’aveva
stancato.
«Naaa» disse. «Non voglio farti fare tardi. Ma magari... magari puoi passare questo
fine settimana, così possiamo andarci in gruppo?»
«Ho il ballo sabato» dissi in tono di scuse. «E penso che Sonya porti Jill da Clarence
domani dopo la scuola. Magari può venire a prendere anche te».
«Immagino di sì» disse. Sembrava deluso, ma un giorno non era un’attesa così lunga
per il sangue. Forse aveva paura che Sonya l’avrebbe reclutato di nuovo per gli
esperimenti… il che non sarebbe stata una brutta cosa, pensai. Improvvisamente, si
raddrizzò dalla sua posa scomposta. «A proposito di Sonya... stavo pensando a una
cosa prima. Una cosa che ha detto Wolfe».
«Perché, Adrian, tu quindi stavi prestando attenzione?»
«Non iniziare, Sage» mi avvisò. «Wolfe è pazzo e lo sai. Ma quando ci stava dicendo
tutte quelle perle di saggezza, ha detto anche qualcosa sul non dare informazioni
personali agli sconosciuti e su come le vittime spesso vengano tenute d’occhio prima
degli attacchi. Te lo ricordi?»
«Sì, ero lì» dissi. «Circa un’ora fa».
«Giusto, ecco. Quei ragazzi che hanno attaccato te e Sonya sembravano sapere che
lei fosse un vampiro… del tipo sbagliato, ma comunque sapevano che era un vampiro.
Il fatto che si siano presentati armati di spada implica che avessero fatto qualche
ricerca. Voglio dire, è possibile che l’avessero semplicemente notata per strada un
giorno e fossero tipo “Ooh, un vampiro”. Ma forse l’hanno tenuta d’occhio per un po’».
Notata per strada... Sussultai mentre un milione di pezzi andavano a congiungersi
nella mia mente. «Adrian, sei un genio».
Sobbalzò sorpreso. «Aspetta. Cosa?»
«La settimana prima dell’attacco. Io e Sonya eravamo andate a cena e siamo state
fermate da un ragazzo sconosciuto che diceva di averla conosciuta in Kentucky. Lei si
è allarmata parecchio, perché era stata uno Strigoi tutto il tempo quando si era trovata
lì e, ovviamente, non usciva molto con gli umani in quel periodo».
Adrian rimuginò sulla cosa per qualche secondo. «Quindi... stai dicendo che l’hanno
davvero tenuta d’occhio per un po’ di tempo».
«In realtà, sei tu che lo stai dicendo».
«Giusto. Perché sono un genio». Restammo ancor di più in silenzio mentre
consideravamo tutta la situazione di Sonya. Quando Adrian parlò di nuovo, il suo tono
non era più tanto leggero.
«Sage... ieri sera. Non hai voluto ammettere la verità di ciò che ho detto sui cacciatori
di vampiri».
«Gli Alchimisti non hanno nessuna prova dell’esistenza di cacciatori di vampiri
moderni» dissi automaticamente. «Mio padre una volta disse che, occasionalmente, ci
sono umani che scoprono la verità. Ho pensato che l’attacco a Sonya fosse una cosa
del genere… non qualche grande gruppo o cospirazione organizzata».
«Ma per caso è possibile che, in qualche modo, da qualche parte, gli Alchimisti si
siano persi qualcosa? E cosa intendi per “moderni”, esattamente?»
La storia degli Alchimisti mi era stata inculcata quasi come la filosofia che
governava le nostre azioni. «Molto tempo fa... tipo, nel Medioevo... quando gli
Alchimisti si stavano formando, c’erano un sacco di fazioni con idee diverse su come
occuparsi dei vampiri. Nessuno riteneva che gli umani dovessero associarsi a loro.
Quelli che successivamente formarono il mio gruppo decisero che il modo migliore
fosse lavorare con i Moroi quel tanto che bastava a tenerli separati dagli umani. Ma
altri decisero di agire in modo diverso. Pensavano che il miglior modo per mantenere
liberi gli umani fosse sterminare i vampiri con ogni mezzo possibile». Mi stavo
affidando nuovamente ai fatti, la mia vecchia armatura. Se avessi evitato di ragionare
sull’argomento, non avrei dovuto ammettere cosa avrebbe significato l’effettiva
presenza di persone che cacciavano attivamente Moroi.
«A me sembrano proprio cacciatori di vampiri» puntualizzò Adrian.
«Sì, ma non ebbero successo. C’erano semplicemente troppi vampiri, Moroi e
Strigoi e un gruppo come quello non avrebbe mai potuto eliminarli tutti. Le ultime
testimonianze che abbiamo di loro risalgono, beh, direi al Rinascimento. Quei
cacciatori si sono estinti». Perfino io percepivo l’incertezza nella mia voce.
«Hai detto che la spada aveva simboli alchemici».
«Quelli antichi».
«Antichi abbastanza da risalire all’epoca in cui si era creata quella fazione?»
Sospirai. «Sì. Abbastanza».
Volevo chiudere gli occhi e sprofondare nel sedile. Sulla mia armatura
cominciavano a formarsi delle crepe. Non ero ancora del tutto sicura di poter accettare
l’idea dei cacciatori di vampiri, ma non potevo più escludere la loro esistenza.
Vidi con la coda dell’occhio che Adrian continuava a studiarmi. «Perché sospiri?»
«Perché sono tutte cose che avrei dovuto capire prima».
Sembrò davvero compiaciuto della mia ammissione. «Beh, non credi nei cacciatori
di vampiri. È difficile considerarli davvero una reale minaccia quando lavori in un
mondo di fatti e dati, eh? Ma allora... come sono riusciti a stare alla larga dai vostri
radar per così tanto tempo?»
Dopo che Adrian mi aveva suggerito tutte quelle cose, la mia mente stava già
macchinando l’idea.
«Perché uccidono solo Strigoi… sempre che questi cacciatori esistano. Se un
qualche gruppo stesse cercando di eliminare Moroi, la tua gente se ne sarebbe accorta.
Gli Strigoi non sono organizzati allo stesso modo e, anche se l’avessero notato, di
sicuro non ci avrebbero segnalato le uccisioni. In più, gli Strigoi vengono uccisi in
continuazione da Moroi e dhampir. La morte di qualche Strigoi verrebbe imputata
direttamente a voi… sempre che se ne trovino i resti. Lascia uno Strigoi fuori al sole e
non saprai mai neppure che c’è stato». Provai un po’ di sollievo dopo aver tratto quelle
conclusioni. Se davvero esisteva un gruppo del genere, non poteva uccidere Moroi. Ma
dare la caccia agli Strigoi era pericoloso. Solo gli Alchimisti erano in grado di occuparsi
dei cadaveri di quei demoni, nascondendoli agli occhi dei comuni mortali.
«Puoi chiedere ad altri Alchimisti qualcosa sui cacciatori?» chiese Adrian.
«No, non ancora. Potrei cercare alcune testimonianze, ma non potrei mai portare alla
luce questa cosa ufficialmente. Si rifarebbero alla teoria di mio padre… ovvero che
questo fosse solo qualche strano gruppo casuale di umani. Mi riderebbero in faccia».
«Sai chi non ti riderebbe in faccia?»
«Clarence» dicemmo entrambi all’unisono.
«Non è una conversazione che vedo l’ora di avere» dissi stancamente. «Ma
dopotutto potrebbe davvero saperne qualcosa. E tutta la sua paranoia potrebbe
ripagarci. Tutta quella sicurezza a casa? Se questo gruppo davvero ha intenzione di
dare la caccia a Sonya, allora potrebbe essere più in pericolo di quanto pensassimo».
«Dobbiamo dirlo a Belikov. È eccellente quando si parla di protezione. Non dormirà
nemmeno, se lo convinciamo che è nei guai… cosa molto probabile dopo l’attacco
degli spadaccini». Notai che era la prima volta che Adrian avesse mai parlato di Dimitri
senza rancore. Anzi, le parole e gli elogi di Adrian sembravano legittimi. Credeva
davvero nell’abilità di Dimitri. Ma non gli comunicai quel pensiero. Se Adrian stava
iniziando a superare il suo disprezzo per Dimitri, la cosa doveva avvenire gradualmente
e senza “aiuti” dall’esterno.
Feci scendere Adrian e concordammo di sentirci più tardi. Quando tornai ad
Amberwood, venni immediatamente fermata dalla signora Weathers. Che era
successo? Già mi preparavo alla notizia che Angeline avesse appiccato fuoco a
qualcosa. Invece, la faccia della signora Weathers sembrava calma, perfino cordiale, e
osai sperare in qualcosa di meglio.
«Sono arrivate delle cose per te, cara» disse. Da un armadietto dietro la sua scrivania
tirò fuori due grucce con indumenti protetti da guaine con la zip. «Una donna piccola
ed energica ti ha lasciato questi».
«Lia». Presi le grucce, chiedendomi cosa ci avrei trovato dentro. «Grazie».
Feci per allontanarmi, ma la signora Weathers parlò di nuovo. «Un’altra cosa. Anche
la signorina Terwilliger ha lasciato qualcosa per te».
Tentai di mantenere un’espressione neutrale. Ero già sommersa dagli ultimi compiti
assegnati dalla signorina Terwilliger. Che voleva ancora? La signora Weathers mi
allungò una grande busta in cui sembrava ci fosse un libro. Sul lato anteriore c’era
scritto in modo quasi illeggibile: Non è un compito per casa. Forse ti piacerà.
Ringraziai di nuovo la signora Weathers e portai il bottino su nella mia stanza. Dopo
aver lasciato i vestiti sul letto senza nemmeno aprirli, strappai subito la busta. C’era
qualcosa nel suo appunto che non mi faceva stare tranquilla.
Non fui propriamente sorpresa di vedere che si trattava di un altro libro di
incantesimi. Ciò che mi sorprese fu che, a differenza degli altri che mi aveva dato prima
e che avevo letto attentamente, questo era nuovo. Moderno. Non c’era il nome
dell’editore, quindi probabilmente era un lavoro indipendente, ma era stato
chiaramente stampato e rilegato negli ultimi anni. Questa cosa mi sorprese. Non avevo
mai chiesto alla signorina Terwilliger dei suoi compagni di magia e dei loro stili di vita,
ma avevo sempre pensato che leggessero quei vecchi volumi polverosi che lei mi aveva
fatto tradurre e copiare. Il fatto che studiassero anche sui loro stessi libri, nuovi e
aggiornati non mi era mai passato per la mente… anche se avrebbe dovuto.
Ma non era quello il momento di biasimare me stessa, non dopo aver letto il titolo
del libro. Il Pugnale Invisibile: Incantesimi Pratici per Attacco e Difesa. Sfogliando le
pagine, vidi che gli incantesimi erano esattamente quelli che aveva suggerito il titolo,
ma scritti in un modo più moderno di quello a cui ero abituata di solito. Ne venivano
citati origini, tempi e luoghi. Erano incantesimi che variavano continuamente, ma ciò
che non variava era la loro efficienza. Erano tutti incantesimi da lanciare in poco tempo
o da fare in anticipo per ottenere effetti distruttivi immediati, come l’incantesimo del
fuoco.
Erano esattamente il tipo di incantesimi che avevo chiesto alla signorina Terwilliger.
Arrabbiata, infilai di nuovo il libro nella busta. Come si permetteva di provare a
convincermi in quel modo? Pensava che questo sarebbe bastato a sistemare tutto quello
che mi aveva fatto passare? La signora Weathers doveva essere ancora di sotto e mi
venne una mezza idea di riportarle il libro dicendole che mi era stato inviato per errore.
Oppure avrei potuto semplicemente lasciarlo sulla scrivania della signorina Terwilliger
la mattina dopo. Desiderai di non averlo aperto. Un “rinvio al mittente” senza
nemmeno aprire la busta sarebbe stato una dichiarazione decisamente forte del fatto
che non mi avrebbe trascinata nella sua cerchia di maghi semplicemente grazie ad un
argomento interessante.
La signora Weathers, però, sapeva del mio rapporto con la signorina Terwilliger e
avrebbe potuto semplicemente dirmi di riportarglielo l’indomani, se avessi cercato di
restituirlo quella stessa sera. Perciò avrei dovuto aspettare l’indomani. Mi consolai
richiudendolo con un po’ di nastro adesivo. Non avrei potuto non farle notare che avevo
aperto la busta, ma avrei provato una sensazione psicologicamente rassicurante
richiudendola.
Tuttavia, quando iniziai a srotolare il nastro, la mia mente tornò al pomeriggio con
Adrian e Wolfe. Wolfe mi aveva un po’ rassicurata ricordando di continuo che la
maggior parte degli attacchi erano casuali ed erano causati dalla disattenzione della
vittima. Forte di quella consapevolezza e del fatto che sapessi cosa cercare, mi sentii
più potente. Wolfe aveva parlato solo il breve dei tipi di attacchi di natura più
premeditata o personale, perché chiaramente non erano quelli sui quali voleva porre
l’attenzione.
Ciononostante, mi riportarono alla mente la discussione avuta con Adrian. E se ci
fosse stato del vero nelle storie di Clarence? E se i cacciatori di vampiri fossero esistiti
sul serio? Sapevamo tutti che l’attacco a Sonya non era stato casuale, ma se davvero
avesse avuto a che fare con una fazione esistente sin dal Medioevo... beh, era tutta
un’altra storia. Le mie paure e anche quelle di Adrian si sarebbero rivelate fondate.
Probabilmente sarebbero tornati per darle la caccia. Nemmeno se avessimo evitato
parcheggi isolati o passeggiate in pubblico, si sarebbero fermati.
Tornai a guardare la busta e decisi di non chiuderla ancora.
CAPITOLO 13 Traduzione: Ella
Pre-Revisione: Claude
IL GIORNO DEL BALLO, considerai seriamente di tornare al negozio di costumi e
comprare il vestito bianco infiammabile.
Il vestito di Lia era… un po’ più di quanto mi aspettassi.
Aveva fatto un buon lavoro nel copiare lo stile chitone indossato nella antica Grecia,
dovevo ammetterlo. L’abito era senza maniche, fissato sulle spalle a formare una
scollatura troppo profonda per farmi sentire a mio agio. L’abito arrivava a terra, ed in
qualche modo aveva azzeccato la mia altezza senza misurami. Qui finiva la
somiglianza storica. Il materiale era una qualche sorta di seta, di tessuto svolazzante
che mi avvolgeva e mostrava la mia figura meglio di quanto ci si sarebbe aspettato da
un vestito del genere. Qualsiasi fosse il materiale, non era nulla che i Greci avrebbero
potuto produtte, ed era… rosso.
Non riuscivo a ricordare l’ultima volta in cui mi fossi vestita di rosso. Forse quando
ero una bambina. Certo, le varianti dell’uniforme della Amberwood a volte
contenevano qualche accenno di borgogna, ma era una sfumatura tenue. Questo era un
brillante rosso fuoco. Non avevo mai indossato colori così accesi. Non mi piacevano
le attenzioni che attiravano. A caricarlo maggiormente c’era la quantità di oro che
aveva inserito nel vestito. Un filo d’oro danzava lungo il bordo del tessuto rosso,
brillando alla luce. Anche la cintura era dorata, e non di quella plastica economica dei
costumi. Le spille che tenevano il vestito erano d’oro (o almeno di qualche metallo di
alta qualità che sembrava oro), così come gli accessori che mi aveva procurato: una
collana e degli orecchini fatti di piccole monete. Mi aveva persino dato un pettine d’oro
con sopra dei piccoli cristalli rossi.
Lo provai nella mia stanza del dormitorio e fissai l’ostentazione di rosso e
brillantezza che ne risultava.
«No» Dissi ad alta voce.
Qualcuno bussò alla mia porta ed io feci una smorfia. Ci avrei messo un’eternità ad
uscire da quel vestito elaborato, così non ebbi scelta e dovetti aprire in costume.
Fortunatamente era Jill. Aprì la bocca per parlare ma poi si immobilizzò in silenzio
quando mi vide.
«Lo so» dissi. «È ridicolo.»
Si riprese dopo pochi secondi. «No… no! È fantastico. Oh mio Dio.»
La spinsi in fretta in camera prima che i nostri compagni potessero vedermi. Anche
lei era vestita per il ballo, in un elegante composizione di un vaporoso materiale celeste
chiaro che era perfetto sulla sua figura pallida di Moroi. «È rosso» le dissi. Nel caso
non fosse ovvio, aggiunsi «Non mi vesto mai di rosso.»
«Lo so» disse, con gli occhi spalancati. «Ma dovresti. Ti sta benissimo. Dovresti
bruciare tutti i tuoi vestiti grigi e marroni.»
Scossi la testa. «Non posso indossare questo abito. Se andiamo adesso, c’è ancora
tempo per andare al negozio di costumi e comprare qualcos’altro.»
Jill mise da parte il suo sbalordimento e assunse un irremovibile e feroce sguardo
che sembrava leggermente esagerato per la situazione. «No. Assolutamente no. Tu
metterai questo. Lascerai il tuo ragazzo a bocca aperta. E dovresti truccarti un po’ di
più, lo so, lo so. Non ti piace nulla di esagerato ma dovresti soltanto scurire l’eyeliner
e mettere un po’ di rossetto. Solo un po’. Devi abbinarlo all’intensità del vestito.»
«Vedi? Questo colore già sta creando problemi.»
Non si arrese. «Ci vorrà un minuto. Ed è tutto quello che abbiamo. Se non partiamo
presto, faremo tardi. Il tuo fidanzato è sempre in anticipo, giusto?»
Non risposi subito. Mi aveva fregata. Brayden era sempre in anticipo, e tanto quanto
mi amareggiasse quel vestito, non potevo sopportare l’idea di farlo aspettare,
specialmente dal momento che non sarebbe potuto entrare al ballo senza uno studente
della Amberwood.
«Va bene» dissi con un sospiro. «Andiamo.»
Jill sorrise trionfante. «Ma prima, il make up.»
Acconsentii al trucco e poi, all’ultimo minuto, aggiunsi la mia collana a crocifisso.
Non c’entrava nulla con il tema e venne istantaneamente ingoiata dai gioielli d’oro più
appariscenti, ma mi fece sentire meglio. Era un pezzo di normalità.
Quando alla fine ce ne andammo, trovammo Eddie che ci aspettava nell’atrio.
Indossava abiti normali, il suo solo accenno ad Halloween era una semplice mezza
maschera bianca che mi ricordava il Fantasma dell’Opera. Fui quasi tentata di
chiedergli se ne avesse un’altra così avrei potuto fare un rapido cambio d’abito e andare
semplicemente mascherata.
Si alzò con un balzo dalla sedia, il suo viso si fece sognante quando vide Jill nella
sua eterea gloria blu. Onestamente, come poteva una persona non notare quanto fosse
pazzo di lei? Era così dolorosamente ovvio. Se la bevve con gli occhi, sembrando sul
punto di svenire. Poi, fece scattare il suo sguardo verso di me ed ebbe una reazione a
scoppio ritardato. La sua espressione non era tanto innamorata quanto esterrefatta.
«Lo so, lo so.» Riuscivo già a vedere lo schema della serata. «È rosso. Non indosso
mai il rosso.»
«Dovresti» disse, facendo eco a Jill. Fece passare lo sguardo tra me e lei poi scosse
la testa. «È un peccato che siamo ‘imparentati’. Vi avrei chiesto di ballare, ragazze.
Visto che mia cugina vuole già uscire con me, suppongo, che non dobbiamo iniziare
altre dicerie.»
«Povera Angeline» disse Jill, mentre ci dirigevamo alla mia macchina. «Voleva
davvero venire.»
«Visto che ci saranno delle casse, probabilmente è meglio che non venga» Dissi.
Eddie si fermò quando ragiungemmo Latte. «Posso guidare? Sento che dovrei essere
un chauffeur stasera. Voi ragazze sembrate delle reali.» Sorrise a Jill. «Beh, tu sei
sempre una reale.» Aprì la portiera posteriore e le fece realmente un inchino. «Dopo di
lei, Milady. Sono qui per servirla.»
Il pratico e stoico Eddie dava raramente così drammaticamente spettacoli, e avrei
potuto dire che prese in contropiede Jill. «Gra…grazie» disse salendo sul sedile
posteriore. La aiutò a infilare la sua lunga gonna nella macchina, e lei lo guardò
meravigliata, come se non lo avesse mai visto prima. Dopo ciò, non riuscii a dire di no
alla sua richiesta e gli diedi le chiavi.
Il ballo di Halloween era stato organizzato in una bellissima sala accanto ad alcuni
giardini botanici. Eddie e io l’avevamo controllato questa settimana così che ne potesse
decidere la sicurezza. Micah avrebbe incontrato Jill lì, anche se per motivi diversi da
quelli per cui Brayden incontrava me lì. Autobus supervisionati avevano portato molti
studenti al ballo. I ragazzi dell’ultimo anno come Eddie e me avevano il permesso di
usare i propri mezzi di trasporto, insieme agli altri membri della famiglia come Jill.
Tecnicamente nessuno avrebbe potuto sapere se Micah l’avrebbe portata via più tardi,
ma, per ora, poteva lasciare il campus solo con la macchina di famiglia.
«Spero di essere pronta per questo» mormorai, non appena entrammo nel
parcheggio. Il vestito mi aveva distratto così tanto da non aver avuto tempo per digerire
l’altra mia preoccupazione: andare ad un ballo. Tutte le mie vecchie ansie sociali
tornarono. Cosa dovevo fare? Cos’era normale in questo posto? Non avevo avuto il
coraggio di chiederlo a nessuno dei miei amici.
«Andrà bene» disse Eddie. «Sia Micah che il tuo ragazzo rimarranno senza parole.»
Mi slacciai la cintura di sicurezza. «È la terza volta che sento “il tuo ragazzo”. Che
problemi avete? Perché nessuno pronuncia il nome di Brayden?»
Nessuno dei due mi rispose subito. Alla fine Jill disse mortificata, «Perché nessuno
di noi riesce a ricordarlo.»
«Oh, per favore! Questo me lo sarei aspettato da Adrian ma non da voi ragazzi. Non
è così strano come nome.»
«No.» Ammise Eddie, «Ma c’è qualcosa di… non so. Di insignificante in lui. Sono
felice se ti rende felice, ma inizio a sintonizzarmi su un’altra frequenza quando parla.»
«Non posso crederci» dissi.
Brayden ci aspettava di fronte all’uscita, senza dubbio era lì da almeno dieci minuti.
Il mio stomaco si agitò mentre mi guardava dalla testa ai piedi. Non commentò,
anche se i suoi occhi si spalancarono un po’. Era un bene o un male? Passai il mio ID
studente per farlo entrare dalla porta, e Jill raggiunse quasi immediatamente Micah. Il
breve bagliore romantico di Eddie scomparve mentre si trasformava in modalità affari.
Un breve sguardo di dolore gli attraversò il viso, sparendo velocemente come era
apparso. Gli toccai il braccio.
«Starai bene?» gli chiesi a bassa voce.
Mi sorrise. «Starò bene. Divertiti.» Si allontanò, mescolandosi presto alla folla di
studenti. Il che mi lasciò sola con Brayden. Il silenzio cadde tra di noi, cosa che non
era rara. A volte ci servivano un po’ di minuti per riscaldarci e riuscire ad avere una
conversazione.
«Quindi» disse, mentre ci addentravamo ulteriormente. «Avete un DJ. Mi chiedevo
se sarebbe stato così o se ci sarebbe stata una band dal vivo.»
«La nostra scuola ha avuto un brutta esperienza con le band dal vivo» dissi, pensando
ad Angeline.
Brayden non fece pressione per i dettagli e invece diede qualche occhiata intorno
alle decorazioni. Ragnatele finte e luci scintillanti erano sparse vicino al soffitto.
Scheletri e streghe di cartone erano appesi alle pareti. Su un tavolo lontano, degli
studenti si accaparravano del punch da un enorme calderone di plastica.
«Fantastico, no?» disse Brayden. «Come una festa pagana dei Celti sia diventata un
evento così commercale.»
Annuii. «Ed una veramente secolare. Beh, a parte il tentativo di unirla a Ognisanti.»
Mi sorrise. Io gli sorrisi di rimando. Eravamo al sicuro in un familiare ambito
accademico.
«Vuoi assaggiare il punch?» chiesi. Risuonava una canzone veloce e con forti bassi,
spingendo molte persone sulla pista da ballo. Ballare velocemente non era il mio stile
in realtà. Non sapevo come l’avrebbe presa Brayden ed ero spaventata all’idea che si
volesse unire a loro.
«Certo» disse, sembrando sollevato di avere un obiettivo. Qualcosa mi diceva che
Brayden aveva partecipato a tanti balli quanti me: nessuno.
Il punch ci fornì un motivo per discurere dello zucchero contro i dolcificanti
artificiali, ma il mio cuore non era preso da quel discorso. Ero troppo preoccupata per
qualcos’altro. Brayden non aveva detto una parola riguardo il mio vestito, e questo mi
riempiva di ansia. Ne era rimasto sopreso quanto me? Stava trattenendo educatamente
i suoi veri pensieri? Difficilmente potevo pretendere dei complimenti se non ne facevo,
così decisi di buttarmi.
«Il tuo costume è fantastico» dissi. «Viene dalla compagnia teatrale, vero?»
«Sì.» Abbassò lo sguardo e lisciò le pieghe della sua tunica. «Non totalmente
accurato, certo, ma può andare.» La tunica arrivava all’altezza ginocchio, pinzata su
una spalla e fatta di una lana, bianca molto brillante. Sopra aveva una mantellina di
lana tinta di marrone che si addiceva al periodo. Anche con la mantella, buona parte
delle sue braccia e del petto erano scoperte, mostrando un corpo da corridore con una
struttura muscolare molto delicata. Avevo sempre pensato che fosse carino, ma fino a
questo momento non avevo realizzato che potesse essere sexy. Mi aspettavo che
scatenasse una sensazione forte in me, ma non successe.
Aspettava che dicessi qualcosa. «Nemmeno il mio è totalmente, um, accurato.»
Brayden studiò l’abito rosso con occhio molto clinico. «No» Acconsentì. «Per
niente. Beh, il taglio non è poi così lontano, suppongo.» Pensò per qualche altro
secondo. «Ma continuo a pensare che sia molto carino su di te.»
Mi rilassai leggermente. Detto da lui, “molto carino” era un gran complimento.
Nonostante avesse molto da dire riguardo tutti gli argomenti, era parsimonioso con le
parole quando si trattava di emozioni. Non mi sarei dovuta aspettare niente di più di
una semplice affermazione dei fatti, perciò questo era un grande affare.
«Whoa, Melbourne. Dove ti eri nascosta?» Trey si avvicinò a noi e iniziò a riempire
generosamente una tazza con del punch verde fluorescente. «Sembri cazzuta. E sexy.»
Scoccò a Brayden uno sguardo di scuse. «Non prenderla male. Dico solo la verità.»
«Capito» disse Brayden. Non potei trattenere un sorriso. Trey si era comportato in
modo strano intorno a me negli ultimi giorni, era carino vederlo tornare ai vecchi modi.
Trey mi diede un altro sguardo d’ammirazione e poi si voltò di nuovo verso Brayden.
«Ehi, guarda. Entrambi abbiamo optato per le toghe. I Romani regnano!» Alzò una
mano per battere il cinque a Brayden ma lui non lo capì.
«Questo è un chitone greco» spiegò pazientemente. Studiò la toga fatta in casa di
Trey, che sembrava sospettosamente fatta con un lenzuolo. «Quella, um, no.»
«Greci, Romani» Trey fece spallucce. «Che differenza fa?»
Brayden aprì la bocca, e sapevo che stava per spiegare esattamente quale fosse la
differenza. Mi intromisi velocemente. «La tua ti sta bene» Dissi a Trey. «Sembra che
tutte quelle ore di pesi abbiano dato i loro frutti, e finalmente riesco a vedere il
tatuaggio.»
Come quella di Brayden, la tunica di Trey era drappeggiata su una spalla, dando uno
scorcio della parte bassa della sua schiena.
Trey, come la metà della scuola, aveva un tatuaggio. Ma a differenza degli altri, il
suo non faceva parte di quelli che erano stati molto popolari tra gli studenti, fatti con
dubbio sangue di vampiro, e che producevano stati di sballamento. Quello di Trey era
un sole con ampi raggi stilizzati. Era stato fatto nel normale inchiostro per tatuaggi blu
scuro. Eddie me ne aveva parlato, ma non lo avevo mai visto prima, dato che Trey non
andava in giro a torso nudo di fronte a me. Un po’ dell’entusiasmo di Trey si oscurò, e
lui si voltò leggermente, tenendo lontano da noi la sua schiena. «È un po’ banale
rispetto al tuo. A proposito, sono felice di vederlo di nuovo fuori.»
Mi toccai distrattamente la guancia. Di solito coprivo il giglio dorato con il trucco a
scuola. Ma immaginavo che lì al ballo avrei potuto affermare che faceva parte del
costume se qualche professore mi avesse ripreso per il codice di abbigliamento.
Un’altra canzone veloce passò, e Trey tornò a brillare. «È il momento di mostrare le
mie mosse. Voi ragazzi venite? O supervisionerete il punch tutta la sera?»
«Non mi piacciono molto i balli veloci» disse Brayden. Quasi mi afflosciai per il
sollievo.
«Nemmeno a me» dissi. Trey ci lanciò un sorriso mesto prima di andarsene. «Non
ne sono sorpreso.»
Brayden e io passammo buona parte della serata accanto al punch, effettivamente,
continuando la nostra conversazione sulle origini di Halloween e l’enorme
soggiogamento delle feste pagane. I miei amici capitarono lì occasionalmente, e Kristin
e Julia in particolare non riuscivano a smettere di ammirare il mio vestito. Abbastanza
spesso, riuscii anche scoccare un’occhiata a Eddie che pattugliava la folla,
silenziosamente e segretamente. Sarebbe addirittura potuto essere un fantasma. Era
quasi sempre abbastanza vicino da tenere d’occhio Jill e Micah ma concentrandosi sulla
modalità da guardiano sembrava essersi salvato dal desiderarla troppo.
Brayden ed io smettemmo di parlare quando alla fine passò un lento. Ci
irriggidimmo e poi ci scambiammo uno sguardo, sapendo cosa stava per succedere.
«Okay» disse. «Non potevamo evitarlo ancora a lungo.»
Scoppiai subito a ridere e lui mi rispose con un leggero sorriso. Anche lui era
perfettamente consapevole della nostra inettitudine sociale. In qualche modo, ciò era
confortante. «Adesso o mai più» concordai.
Ci incamminammo verso la pista da ballo, unendoci alle altre coppie strette negli
abbracci. Chiamare ciò che molti di loro stavano facendo “ballare” era una sorta di
forzatura. La maggior parte si limitava a dondolarsi rigidamente e girare in tondo.
Pochi semplicemente approfittavano dell’occasione per strusciarsi ovunque tra di loro
e pomiciare. Che venivano rapidamente separati dagli chaperones.
Afferrai stretta una mano di Brayden mentre lui poggiava l’altra sul mio fianco. A
parte il bacio, questo era probabilmente il contatto più intimo che avevamo avuto fin
ora. C’erano ancora pochi millimetri tra di noi, ma non potei fare a meno di essere
sopraffatta dal cambiamento dei confini del miei spazio personale. Ricordai a me stessa
che mi piaceva e che mi fidavo di Brayden e che non c’era niente di strano. Come
sempre, non mi sentivo circondara da cuori e arcobaleni, ma non mi sentivo nemmeno
intimidita. Sforzandomi di spostare i miei pensieri dalla nostra vicinanza, ascoltai la
canzone e subito riuscii a prenderne il ritmo.
Dopo un minuto di canzone, Brayden si accorse di ciò che stavo facendo.
«Tu… Tu sai ballare» disse con stupore.
Lo guardai sorpresa. «Certo.» Stavo a malapena spazzando tutto il pavimento di
qualche grande sala da ballo di valzer, ma tutti i miei movimenti erano scanditi dal
ritmo della canzone. Non potevo neanche immaginare in che altro modo si potesse
ballare. Brayden, nel frattempo, si discostava di un solo passo dai rigidi movimenti
della maggior parte delle altre coppie. «Non è difficile» aggiunsi. «È quasi qualcosa di
matematico.»
Una volta che la misi in questi termini, Brayden salì a bordo. Imparò velocemente e
teneva il ritmo con me. Presto, sembrava che avessimo preso lezioni di danza da
sempre. Ancor più sorprendente, gli lanciai un’occhiata una volta, aspettandomi di
vederlo concentrato a contare. Invece, mi stava guardando con uno sguardo delicato…
Persino affettuoso. Arrossendo mi voltai.
Sorprendentemente, l’odore di caffè gli rimaneva attaccato, anche se non aveva
lavorato oggi. Forse nessuna quantità di doccie avrebbe potuto mandar via quel
profumo. Eppure, per quanto amassi l’Eau de Caffè, mi sorpresi a pensare a come
profumasse la colonia di Adrian durante la lezione da Wolfe.
Quando la prossima canzone veloce iniziò, Brayden ed io ci prendemmo una pausa,
e lui si scusò per andare a parlare con il DJ. Quando tornò, si rifiutò di spiegare la sua
commissione misteriosa, ma sembrava decisamente compiaciuto di se stesso. Presto
seguì un altro lento, e tornammo dritti alla pista da ballo.
E per una volta, la conversazione tra di noi si fermò. Bastava semplicemente ballare
per un po’. Questo è ciò che significa condurre una vita semplice, pensai. Questo è ciò
che le persone della mia età fanno. Niente grandi macchinazioni, o lotte tra il bene e…
«Sidney?»
Jill era in piedi dietro di noi, un’espressione preoccupata sul volto. I miei allarmi
interni subito cominciarono a suonare, chiedendosi cosa avesse causato un così
repentino cambiamento dal suo comportamento felice e senza pensieri di prima.
«Cosa c’è che non va?» chiesi. La mia prima paura fu per Adrian, che avesse sentito
qualcosa attraverso il legame. Spinsi via il pensiero. Avevo bisogno di preoccuparmi
degli assassini Moroi, non del suo benessere.
Jill non disse nulla ma semplicemente fece un cenno verso il tavolo del punch, quasi
esattamente dove poco prima eravamo io e Brayden. Trey era tornato e parlava
animatamente con una ragazza con una maschera Veneziana. La maschera era
bellissima, di un blu ghiaccio, decorata con foglie e fiori d’argento. La maschera era
anche familiare. Jill l’aveva indossata alla sfilata di Lia e le avevano permesso di
tenerla. Familiare allo stesso modo era l’outfit della ragazza, una camicia logora e dei
pantaloncini di jeans strappati.
«No» dissi, riconoscendo i lunghi capelli biondo fragola. «Angeline. Come è
entrata? Non importa.» C’erano molte persone con cui sarebbe potuta sgattaiolare qui.
Probabilmente gli chaperones non l’avevano notata sulla navetta. «Dobbiamo farla
uscire di qui. Se la scoprono, sarà sicuramente espulsa.»
«La maschera copre i suoi lineamenti» sottolineò Jill, «Magari nessuno la noterà.»
«Mrs Weathers lo farà» dissi sospirando. «Quella donna ha un sesto senso per… oh.
Troppo tardi.»
Mrs Weathers stava facendo la chaperone dall’altra parte della stanza, ma i suoi
occhi da aquila non si perdevano nulla. Sbirciando attraverso l’affollata pista da ballo,
la vidi iniziare a dirigersi verso il punch. Non pensavo che fosse sicura si trattasse di
Angeline, ma di sicuro i suoi sospetti erano sorti.
«Cosa c’è che non va?» Chiese Brayden, facendo rimbalzare lo sguardo tra me e Jill.
Senza dubbio avevamo entrambe espressioni di sgomento riflesse.
«Nostra cugina sta per cacciarsi in un grosso guaio» dissi.
«Dobbiamo fare qualcosa.» Gli occhi di Jill erano spalancati e in ansia. «Dobbiamo
portarla fuori di qui.»
«Come?» Esclamai.
Mrs Weathers aveva raggiunto il tavolo del rinfresco, proprio mentre Trey e
Angeline si stavano dirigendo verso la pista da ballo. La vidi andare verso di loro, ma
Mrs Weathers non arrivò molto lontano perché la ciotola del punch esplose
improvvisamente.
Beh, non proprio la ciotola. Ma il punch dentro esplose, schizzando fuori in una
spettacolare doccia di liquido verde. Ci furono urla dalle varie persone che vennero
spruzzate, ma fu Mrs Weathers ad essere maggiormente colpita.
Sentii Brayden inspirare con forza. «Come diavolo è potuto accadere? Deve…
Sidney?»
Urlai e indietreggiai di qualche passo, sapendo esattamente cosa aveva causato
l’esplosione della ciotola.
Brayden attribuì la mia reazione alla paura di essere ferita. «Va tutto bene» disse.
«Siamo troppo lontani perché i vetri ci raggiungano.»
Immediatamente, lanciai uno sguardo a Jill. Lei mi diede una piccola e impotente
scrollata di spalle come a dire beh, cos’altro avrei dovuto fare? La mia solita reazione
alla magia Moroi era paura e disgusto. Stasera, c’erano anche shock e stupore. Non
avevamo bisogno di attirare l’attenzione su di noi. Certamente, nessuno sapeva o
avrebbe potuto immaginare che Jill aveva usato la magia dell’acqua per creare la
distrazione del punch, ma non importava. Non volevo che nessuna diceria di strani e
inspiegabili fenomeni trapelasse dalla Amberwood. Avevamo bisogno di tenere un
basso profilo.
«State bene?» Eddie era improvvisamente comparso al nostro fianco, o piuttosto al
fianco di Jill. «Cosa è successo?» Non aveva nemmeno guardato il punch. La sua
attenzione era tutta su Jill, e proprio come poco prima, incredibilmente lei sembrò
accorgersene. Brayden fu l’unico a rispondere, i suoi occhi accesi da curiosità
intellettuale mentre gli insegnanti si precipitavano e provavano a ripulire il casino.
«Una sorta di reazione chimica, se dovessi indovinare. Qualcosa di semplice come
usare della soda bollente. O forse qualche tipo di congegno meccanico?»
Scoccai a Eddie uno sguardo tagliente. «Era uno scherzo» dissi. «Chiunque avrebbe
potuto farlo.»
Eddie mi guardò e poi si voltò verso Jill. Annuì lentamente. «Capisco. Dovemmo
portarti fuori di qui» le disse. «Non possiamo mai sapere cosa…»
«No, no» dissi. «Dobbiamo portare Angeline fuori di qui.»
«Angeline?» Sul viso di Eddie si dipinse incredulità. «Ma come…?»
Lo direzionai verso dove lei stava con Trey sulla pista da ballo. Loro, come molti
altri, stavano fissando le conseguenze dell’esplosione del punch con meraviglia. «Non
so come sia arrivata fin qui» dissi. «È irrilevante. Deve andarsene. Mrs Weather l’ha
quasi beccata.»
Un luccichio consapevole balenò negli occhi di Eddie. «Ma il punch l’ha distratta?»
«Sì.»
La sua attenzione tornò su Jill, e sorrise. «Tempismo perfetto.»
Lei sorrise di rimando. «Credo che abbiamo avuto fortuna questa volta.» I loro
sguardi si incrociarono, ed era quasi un peccato interromperli. «Andiamo» dissi a
Eddie. «Prendiamo Angeline.»
Gettò un ultimo sguardo a Jill e subito entrò in azione. Non riuscivo a sentire la
conversazione mentre parlava con Angeline e Trey, ma lo sguardo sulla sua faccia non
accettava discussioni. Potei vedere Trey piegarsi all’autorità famigliare, e dopo qualche
altro scambio, alla fine Angeline si arrese. Eddie la scortò fuori velocemente e, con
mio sollievo, né Mrs Weathers né nessun’altro sembrò accorgersene.
«Jill» dissi. «Sarebbe meglio se tu e Micah ve ne andaste presto. Non proprio in
questo secondo… ma presto.»
Jill annuì con uno sguardo triste. «Ho capito.»
Anche se nessuno avrebbe collegato lei a quanto accaduto, era meglio se non fosse
stata nei paraggi. Già potevo vedere delle persone radunarsi al tavolo e, come Brayden,
cercare di capire cosa avesse potuto causare un tale fenomeno. Svanì tra la folla. Alla
fine Brayden distolse lo sguardo dallo spettacolo. Cominciò a dirmi qualcosa e poi
improvvisamente fece scattare la sua testa verso il DJ.
«Oh no» disse con espressione desolata.
«Cosa?» chiesi, quasi aspettandomi che il tavolo del DJ collassasse o che una cassa
prendesse fuoco.
«Questa canzone. L’ho chiesta per te… ma è quasi finita.»
Inclinai la testa per ascoltare. Non conoscevo la canzone, ma era lenta e romantica e
mi faceva sentire… beh, quasi in colpa. Ecco, un gesto sentimentale da Brayden
rovinato dai miei stravaganti affari “di famiglia.” Gli persi la mano.
«Beh, ancora non è finita. Andiamo.»
Riuscimmo a ballare per l’ultimo minuto della canzone, ma era chiaro che Brayden
fosse deluso. Volevo tirargli su il morale in qualche modo e, nonostante tutto ciò che
era successo, continuare ad avere la normale esperienza di ballo delle scuole superiori
che volevo.
«La notte è giovane» lo punzecchiai. «Andrò a chiederne una per te e poi puoi
provare ad indovinarla quando verrà suonata.» Considerando che non ascoltavo la
radio, non sarebbe dovuto essere così difficile indovinare. Feci la richiesta e poi
raggiunsi Brayden per un’altra canzone lenta. Ero ancora un po’ in ansia per ciò che
era successo prima ma mi dissi che tutto andava bene adesso. Jill se ne era andata.
Eddie si stava prendendo cura di Angeline. Tutto ciò che dovevo fare era rilassarmi
e…
Una vibrazione mi sorprese mentre ballavo. Indossavo un vestito rosso e stretto
pinzato sulle mie spalle. Era perso nelle pieghe del mio abito, ma il ronzio del mio
cellulare era inconfondibile. Scusandomi con Brayden, smisi di ballare per controllare
il messaggio. Era di Adrian: Dobbiamo parlare.
Perfetto, pensai mentre il mio cuore affondava. Questa serata potrebbe essere più
disastrosa?
Gli risposi: Sono occupata.
La sua risposta: Sarò breve. Sono lì vicino.
Una sensazione di terrore strisciò su di me: Quanto vicino?
La sua risposta fu tanto terribile quanto mi aspettavo: Nel parcheggio.
CAPITOLO 14 Traduzione: Juicy_Cloud
Pre-Revisione: Medea Knight
«Oh, Dio», dissi.
«Cosa c’è?» chiese Brayden. «Va tutto bene?»
«Difficile da dire». Rimisi il cellulare in borsa. «Odio doverlo fare, ma devo andare
a occuparmi di una cosa fuori. Ritornerò il prima possibile».
«Vuoi che venga con te?»
Esitai. «No, è tutto ok». Non avevo idea di cosa mi aspettasse. Era meglio che
Brayden ne restasse fuori. «Farò in fretta».
«Sydney, aspetta». Brayden mi aveva afferrato il braccio. «Questa… questa è la
canzone che avevi richiesto, non è così?» Quella sulla quale stavamo ballando era
appena finita e ne era iniziata una nuova… o, meglio, una vecchia. Di circa trent’anni.
Sospirai. «Sì. Lo è. Farò in fretta, lo prometto».
La temperatura fuori era piacevole, calda ma non afosa. Era prevista un po’ di rara
pioggia. Mentre camminavo verso il parcheggio alcune lezioni di Wolfe mi tornarono
in mente. Controlla i paraggi. Fa’ attenzione a eventuali persone che si aggirano vicino
alle macchine. Rimani alla luce. Assicurati di…
«Adrian!»
Tutti i pensieri razionali scomparirono dalla mia mente. Adrian era sdraiato sulla
mia macchina.
Corsi verso Caffellatte più veloce che potei con quel vestito. «Cosa stai facendo?»
gli chiesi. «Scendi di lì!» Controllai automaticamente se ci fossero ammaccature e
graffi.
Aggiungendo al danno la beffa, Adrian stava fumando sdraiato sul cofano mentre
guardava il cielo. Le nuvole si muovevano, ma ogni tanto si vedeva la luna a metà.
«Rilassati, Sage, non lascerò neanche un graffio. Davvero, è davvero comoda per
essere un’auto familiare. Mi sarei aspettato…»
Si voltò verso di me e si bloccò. Non lo avevo mai visto così immobile… o
silenzioso. La sua sorpresa fu così intensa e totale che lasciò cadere la sigaretta.
«Ahh», mi lamentai, scattando in avanti per paura che la sigaretta accesa potesse
danneggiare la macchina. Atterrò senza far danni sull’asfalto e la pestai subito. «Per
l’ultima volta, vuoi scendere da lì?»
Adrian si mise a sedere lentamente, con gli occhi spalancati. Scivolò dal cofano,
apparentemente senza lasciare segni. Ovviamente avrei dovuto controllare dopo.
«Sage» disse. «Cosa stai indossando?»
Io sospirai e guardai il mio vestito. «Lo so. È rosso. Non iniziare. Sono stanca di
sentirmelo dire».
«Buffo» disse. «Io credo che non potrei mai stancarmi di guardarlo».
Quelle parole mi sorpresero e mi attraversò un’ondata di calore. Cosa voleva dire?
Sembravo così strana che non riusciva a smettere di fissarmi, come fossi uno spettacolo
da baraccone? Sicuramente… sicuramente non intendeva dire che ero carina…
Mi ripresi prontamente, ricordando a me stessa che dovevo pensare al ragazzo
dentro, non a quello lì fuori. «Adrian, sono ad un appuntamento. Perché sei qui? Sulla
mia macchina?»
«Mi dispiace interrompere, Sage. Non mi sarei messo sulla tua macchina se mi
avessero permesso di entrare al ballo» disse. Un po’ del suo stupore precedente era
svanito e si era rilassato in una delle sue pose più tipiche, appoggiandosi a Caffellatte.
Almeno era in piedi e aveva meno probabilità di fare danni.
«Già. Di solito non lasciano entrare ragazzi di più di vent’anni agli eventi scolastici.
Cosa volevi?»
«Parlarti».
Aspettai che elaborasse qualcosa, ma l’unica risposta che ricevetti fu un breve lampo
dal cielo. Era sabato ed ero stata tutto il giorno in giro per il campus, avrebbe potuto
semplicemente chiamarmi. Sapeva che il ballo era quella sera. Eppure, inalando l’odore
di alcool che lo circondava, sapevo che niente di quello che aveva fatto avrebbe dovuto
sorprendermi quella sera.
«Domani non ti stava bene?» gli chiesi. «Dovevi per forza venire qui stasera e…»
aggrottai le sopracciglia e mi guardai intorno. «Ma come hai fatto ad arrivare qui?»
«Ho preso l’autobus», disse, quasi orgogliosamente. «Molto più facile arrivare qui
che a Carlton». Lui seguiva delle lezioni di arte al Carlton College e, senza un mezzo
di trasporto proprio, aveva dovuto fare affidamento ai mezzi di trasporto pubblici…
una cosa che non aveva mai fatto in vita sua.
Speravo che Sonya o Dimitri lo avessero accompagnato… voleva dire che lo
avrebbero anche riportato a casa. Ma ovviamente non sarebbe successo. Nessuno dei
due avrebbe portato qui Adrian, ubriaco. «Allora immagino che ti dovrò riportare a
casa io» dissi.
«Ehi, sono arrivato qui da solo. Posso anche ritornare da solo». Stava per prendere
una sigaretta ma io scossi severamente la testa.
«Non lo fare» dissi, secca. Lui mise via il pacchetto scrollando le spalle. «E devo
riportarti io a casa. Presto ci sarà un temporale. Non ti farò camminare sotto la pioggia».
Un altro fulmine enfatizzò le mie parole ed una leggera brezza fece muovere il mio
vestito.
«Ehi» lui disse, «non voglio crearti prob…»
«Sydney?» Brayden si era avvicinato al parcheggio a grandi passi. «Va tutto bene?»
No, non proprio. «Dovrò assentarmi per un po’» dissi. «Devo dare un passaggio a
casa a mio fratello. Potresti aspettare? Non dovrei metterci molto». Mi sentii in colpa
a quel pensiero. Brayden non conosceva nessuno della mia scuola. «Forse potresti
cercare Trey?»
«Sicuro» disse Brayden, incerto. «Oppure potrei venire con te».
«No» risposi velocemente, pensando che farlo stare in macchina con Adrian ubriaco
non fosse saggio. «Torna dentro e divertiti».
«Bella toga» disse Adrian a Brayden.
«È un chitone» disse Brayden. «È greco».
«Giusto. Avevo dimenticato che era il tema di questa sera». Adrian gettò uno
sguardo indagatore a Brayden, guardò me e poi ritornò su Brayden. «Allora. Cosa ne
pensi del completo di stasera della nostra ragazza? Meraviglioso, eh? Come
Cenerentola. O forse una Cenerentola greca».
«In verità, non è molto greco» disse Brayden. Io sussultai. Sapevo che non voleva
fare la parte dell’insensibile, ma le sue parole avevano fatto un po’ male. «Il vestito è
storicamente impreciso. Voglio dire, è un vestito bellissimo, ma i gioielli sono
anacronistici e il tessuto non è di certo quello utilizzato dalle donne greche. E neanche
quel colore».
«E le altre donne greche?» chiese Adrian. «Quelle appariscenti e intelligenti». La
sua fronte si corrucciò, come se stesse utilizzando ogni minima parte del suo cervello
per ricordare la parola che voleva. E, con mia grande sorpresa, lo fece. «Le etere».
Onestamente, credevo che non avesse memorizzato nulla della nostra conversazione a
San Diego. Cercai di non sorridere.
«Le etere?» Brayden era anche più meravigliato di me. Mi guardò incuriosito. «Sì…
sì. Suppongo… se un tessuto del genere fosse stato ipoteticamente possibile in
quell’era… sarebbe stato più probabilmente addosso ad un’etera, piuttosto che a una
comune matrona greca».
«E loro erano prostitute, giusto?» chiese Adrian. «Queste etere, intendo».
«Alcune lo erano» concordò Brayden. «Non tutte. Credo che il termine consueto
fosse cortigiana».
Adrian era completamente impassibile. «Quindi. Stai dicendo che mia sorella è
vestita come una prostituta».
Brayden guardò il mio vestito. «Beh, sì, se stiamo ancora parlando
ipoteticamente…»
«Sapete cosa?» li interruppi. «Dobbiamo andare. Inizierà a piovere da un momento
all’altro. Porto Adrian a casa e ritorno qui, ok?» Rifiutai di lasciare che Adrian
continuasse a giocare quel suo gioco per tormentare Brayden… e, di conseguenza, me.
«Ti mando un messaggio quando sto per ritornare».
«Va bene» disse Brayden, in modo incerto.
Lui se ne andò e, mentre iniziavo ad entrare in macchina, notai Adrian che cercava
di aprire lo sportello del passeggero senza alcun successo. Sospirando lo raggiunsi e
l’aprii per lui. «Sei più ubriaco di quanto pensassi» dissi. «E credevo che fossi molto
ubriaco».
Lui riuscì a sedersi ed io tornai dal mio lato proprio mentre la pioggia iniziava a
cadere sul parabrezza. «Troppo ubriaco perché Bocconcino se ne accorga» disse. «Il
legame è intorpidito. Può avere una serata libera da Adrian».
«È stato molto premuroso da parte tua» dissi. «Ma immagino che non sia questo il
vero motivo per cui ti sia attaccato alla bottiglia. O per il quale tu sia venuto qui. Per
quello che ne so, tutto ciò che sei riuscito a fare è stato infastidire Brayden».
«Ti ha dato della prostituta!»
«Non è vero! Lo hai provocato tu».
Adrian si passò una mano fra i capelli e si appoggiò al finestrino, guardando la
tempesta che peggiorava rapidamente. «Non importa. Ho deciso che non mi piace».
«Perché è troppo intelligente?» chiesi. Avevo ricordato i commenti precedenti di Jill
ed Eddie. «E trascurabile?»
«Nah. Credo solo che tu possa fare di meglio».
«Come?»
Adrian non aveva una risposta e io dovetti ignorarlo per un po’ per fare attenzione
alla strada. I temporali a Palm Spring, anche se rari, potevano diventare forti e
impetuosi. Gli allagamenti non erano insoliti e in quel momento stava diluviando,
ostacolando la visuale. Per fortuna Adrian non viveva molto lontano. Era un doppio
miracolo, perché quando ci trovammo ad un paio di isolati di distanza dal suo
appartamento lui disse: «Non mi sento molto bene».
«No», mi lamentai. «Per favore, ti prego, non vomitare nella mia auto. Siamo quasi
arrivati». Circa un minuto dopo mi fermai di fronte casa sua. «Fuori. Adesso».
Lui obbedì ed io lo seguii con un ombrello per me. Dandomi un’occhiata mentre ci
dirigevamo verso il palazzo lui mi chiese: «Viviamo in un deserto e tu tieni un ombrello
in macchina?»
«Certo. Perché non dovrei?»
Lasciò cadere le chiavi e io le raccolsi, ritenendo che avrei fatto prima ad aprire la
porta io stessa. Cercai di accendere l’interruttore più vicino… e non successe niente.
Rimanemmo lì per un attimo, insieme nell’oscurità e nessuno dei due si muoveva.
«Ho delle candele in cucina» disse Adrian, muovendo qualche passo incerto verso
quella direzione. «Ne accendo qualcuna».
«No», ordinai, immaginando l’intero palazzo prendere fuoco. «Sdraiati sul divano.
O vomita in bagno. Mi occupo io delle candele».
Optò per il divano, apparentemente non tanto nauseato quanto temeva. Nel frattempo
io avevo trovato le candele… terribilmente rinfrescanti e che odoravano di pino. In
ogni caso facevano luce e ne portai una da lui, insieme ad un bicchiere d’acqua.
«Ecco. Bevi questa».
Lui prese il bicchiere e riuscì a restare seduto giusto il tempo di mandare giù un paio
di sorsi. Dopo mi restituì il bicchiere e si lasciò cadere di nuovo sul divano,
appoggiandosi un braccio sugli occhi. Io presi una sedia lì vicino e mi sedetti. Le
candele al pino gettavano una luce fragile e tremolante tra di noi. «Grazie, Sage».
«Starai bene se me ne vado?» chiesi. «Sono certa che la corrente tornerà di nuovo
domani mattina».
Lui non rispose alla mia domanda. Invece disse «Lo sai, non bevo solo per
ubriacarmi. Voglio dire, in parte sì. Gran parte. Ma a volte l’alcool è l’unica cosa che
mi tiene lucido».
«Non ha senso. Tieni» lo sollecitai porgendogli di nuovo l’acqua. Mentre lo facevo,
gettai un’occhiata all’orologio sul mio cellulare, in ansia per Brayden. «Bevi ancora un
po’».
Adrian lo fece e continuò a parlare, con il braccio di nuovo sugli occhi. «Sai cosa si
prova a sentirsi come se qualcosa ti stesse mangiando il cervello?»
Stavo per dirgli che dovevo andarmene, ma le sue parole mi lasciarono di stucco.
Ricordai che Jill aveva detto qualcosa di simile quando mi stava parlando di lui e dello
spirito. «No» dissi onestamente. «Non so cosa si prova… ma per me, beh, è quasi
sicuramente una delle cose più terrificanti che possa immaginare. La mia mente è… è
quello che sono. Credo che preferirei soffrire per qualsiasi altra ferita al mondo
piuttosto che perdere la testa».
Non potevo lasciare Adrian in quel momento. Proprio non potevo. Mandai un
messaggio a Brayden: Ci vorrà un po’ più di quanto pensassi.
«È terrificante» disse Adrian. «E strano, per mancanza di una parola migliore. E
parte di te sa… beh, parte di te sa che c’è qualcosa che non va. Che quello che pensi
non va bene. Ma cosa puoi farci? Tutto ciò su cui possiamo fare affidamento è quello
che pensiamo, come vediamo il mondo. Se non puoi fidarti della tua mente, di cosa
puoi fidarti? Di quello che ti dice la gente?»
«Non lo so», dissi, in mancanza di una risposta migliore. Le sue parole mi colpirono
e mi fecero pensare a quanto la mia vita fosse stata dettata dalle decisioni degli altri.
«Una volta Rose mi ha parlato di una poesia che ha letto. C’era questo verso, “Se i
tuoi occhi non fossero aperti, non sapresti la differenza tra sogno e realtà”. Sai di cosa
ho paura? Che un giorno, anche con gli occhi aperti, io non lo saprò».
«Oh, Adrian, no». Sentii il mio cuore spezzarsi e mi sedetti sul pavimento, vicino al
divano. «Non succederà».
Lui sospirò. «Almeno con l’alcool… lo spirito si calma e so che se le cose mi
sembrano strane è probabilmente perché sono ubriaco. Non è una ragione così valida,
ma è pur sempre una ragione, no? Almeno hai davvero un motivo invece di non fidarti
di te stesso».
Brayden rispose al messaggio: Quanto tempo? Irritata, risposi: Quindici minuti.
Tornai a guardare Adrian. Il suo viso era ancora coperto, anche se la candela
illuminava perfettamente i lineamenti del suo viso. «È… è per questo che hai bevuto
stasera? Lo spirito ti sta dando problemi? Voglio dire… Sembravi stare così bene
l’altro giorno…»
Sospirò profondamente. «No. Lo spirito è a posto… per quanto possa mai esserlo.
In realtà stasera ho bevuto perché… beh, era l’unico modo per convincermi a parlarti».
«Noi parliamo sempre».
«Ho bisogno di sapere una cosa, Sage». Scoprì il viso per guardarmi ed io realizzai
solo allora quanto fossi vicina. Per un attimo quasi non prestai attenzione alle sue
parole. La danza tremolante tra luce e ombra dava al suo già bell’aspetto una bellezza
ammaliante. «Hai fatto in modo che Lissa parlasse con mio padre?»
«Cosa? Oh. Quello. Aspetta un attimo». Presi il cellulare e mandai un altro
messaggio a Brayden: Facciamo trenta minuti.
«So che qualcuno gliel’ha chiesto» continuò Adrian. «Voglio dire, io piaccio a Lissa,
ma lei ha un sacco di cose da fare. Non avrebbe pensato di punto in bianco “Oh, ehi.
Dovrei chiamare Nathan Ivashkov e dirgli quanto sia fantastico suo figlio”. L’hai
convinta tu a farlo».
«In realtà io non le ho mai parlato», dissi. Non mi ero assolutamente pentita delle
mie azioni, ma era strano vederle mettere in discussione. «Ma io, ehm, potrei aver
chiesto a Sonya e Dimitri di parlarle per conto tuo».
«E lei ha parlato con mio padre».
«Qualcosa del genere».
«Lo sapevo» disse. Non riuscivo a valutare se il suo tono di voce fosse sconvolto o
sollevato. «Sapevo che qualcuno l’avesse indotta e in qualche modo sapevo che eri
stata tu. Nessun altro l’avrebbe fatto per me. Non sono sicuro di cosa gli abbia detto
Lissa, ma, ehi, deve averlo davvero persuaso. Era molto impressionato. Mi manderà
dei soldi per una macchina. E mi aumenterà di nuovo la paga a dei livelli ragionevoli».
«È una buona cosa» dissi. «No?»
Il mio cellulare si illuminò all’arrivo di un altro messaggio di Brayden. Per quell’ora
il ballo sarà finito.
«Ma perché?» chiese Adrian. Si sedette sul pavimento a fianco a me. Aveva un
aspetto quasi sconvolto. Si avvicinò a me e subito dopo sembrò stupirsi realizzando
quel che stava facendo. Si allontanò un po’… ma solo un po’. «Perché l’hai fatto?
Perché l’hai fatto per me?»
Prima che potessi rispondere mi arrivò un altro messaggio. Riuscirai a tornare in
tempo? Non potevo fare a meno di essere infastidita dalla poca comprensione. Senza
pensare risposi: Forse dovresti andartene. Ti chiamo domani. Scusa. Capovolsi il
cellulare così da non vedere altri eventuali messaggi. Mi voltai di nuovo verso Adrian,
che mi stava guardando intensamente.
«L’ho fatto perché lui non era giusto con te. Perché ti meriti rispetto per quello che
hai fatto. Perché lui deve rendersi conto che non sei la persona che ha sempre pensato
tu fossi. Deve vederti per quello che sei, non per tutte le idee e pregiudizi che si è fatto
su di te». La forza dello sguardo di Adrian era così potente che continuai a parlare.
Avevo paura di affrontare quello sguardo in silenzio. Inoltre, una parte di me aveva
paura che se avessi ponderato troppo le mie parole, mi sarei ritrovata a parlare allo
stesso modo di mio padre e me come di Adrian e suo padre. «Sarebbe stato sufficiente
per te dirgli chi sei, mostrargli chi sei, ma non ha voluto ascoltare. Non mi piace l’idea
di usare gli altri per fare ciò che possiamo fare da soli, ma questo sembrava l’unico
modo».
«Beh» disse infine Adrian. «Immagino abbia funzionato. Grazie».
«Ti ha detto come metterti in contatto con tua madre?»
«No. A quanto pare il suo orgoglio verso di me non arrivava a tanto».
«Probabilmente potrei riuscire a scoprire dov’è» dissi. «Oppure… oppure potrebbe
farlo Dimitri, ne sono certa. Come hai già detto, di sicuro le faranno arrivare le lettere».
Lui quasi sorrise. «Eccoti di nuovo. Perché? Perché continui ad aiutarmi?»
Avevo un milione di risposte sulle labbra, tutto da È la cosa giusta da fare a Non lo
so. Invece dissi «Perché lo voglio fare».
Questa volta ottenni un vero sorriso, ma c’era qualcosa di oscuro ed introspettivo.
Si avvicinò di nuovo a me. «Perché ti dispiace per questo ragazzo pazzo?»
«Non diventerai pazzo» dissi fermamente. «Sei più forte di quanto pensi. La
prossima volta che ti senti così trova qualcosa su cui concentrarti, per ricordarti chi
sei».
«Tipo? Hai in mente qualche oggetto magico?»
«Non deve essere magico» dissi. Spremetti le meningi. «Ecco». Slacciai la collana
con la croce d’oro. «Questa è sempre andata bene per me. Forse ti aiuterà». Gliela misi
in mano, ma lui afferrò la mia prima che potessi ritrarla.
«Che cos’è?» chiese. La guardò più da vicino. «Aspetta… L’ho già vista questa. La
indossi sempre».
«L’ho comprata molto tempo fa in Germania».
Continuava a tenermi la mano mentre osservava la croce. «Niente fronzoli, nessuna
decorazione, nessun simbolo segreto inciso».
«Per questo mi piace» gli dissi. «Non ha bisogno di decorazioni. Molte vecchie
credenze degli Alchimisti si concentravano sulla purezza e sulla semplicità. E questa è
proprio così. Forse ti aiuterà a rischiarare la mente».
Stava fissando la croce ma poi sollevò lo sguardo per incontrare il mio.
Un’emozione che non riuscivo a distinguere apparve sul suo viso. Era come se
avesse appena scoperto qualcosa, qualcosa che lo disturbava. Fece un respiro profondo
e, continuando a stringermi la mano, mi tirò verso di lui. I suoi occhi verdi erano scuri
alla luce della candela, ma in qualche modo sempre affascinanti. Le sue dita si
intrecciarono alle mie e mi sentii avvolgere dal calore.
«Sage…»
L’elettricità tornò improvvisamente, inondando di luce la stanza. A quanto pareva,
quando era uscito aveva lasciato tutte le luci accese senza preoccuparsi della bolletta.
L’incantesimo era spezzato ed entrambi trasalimmo per l’improvvisa luminosità.
Adrian scattò via da me lasciando la croce nella mia mano.
«Non hai un ballo, un coprifuoco o qualcosa del genere?» chiese bruscamente, senza
guardarmi. «Non voglio trattenerti. Diavolo, non avrei dovuto disturbarti proprio.
Scusami. Presumo che quello che ti mandava messaggi fosse Aiden?»
«Brayden» dissi, alzandomi. «E non fa nulla. Lui se n’è andato e ora me ne torno ad
Amberwood».
«Scusa» ripeté, dirigendosi verso la porta con me. «Mi dispiace averti rovinato la
serata».
«Per questo?» Mi misi quasi a ridere pensando a tutte le cose contro le quali
combattevo nella mia vita. «No. Ci vorrebbe molto di più per rovinarmi la serata». Feci
qualche passo e poi mi fermai. «Adrian?»
Finalmente mi guardò in faccia, ancora una volta quasi colpendomi con il suo
sguardo. «Sì?»
«La prossima volta… la prossima volta che vuoi parlarmi di qualcosa… qualsiasi
cosa… non devi bere per prendere coraggio. Dimmelo e basta».
«Più facile a dirsi che a farsi».
«Non proprio». Cercai di andarmene di nuovo e, questa volta, mi fermò lui
posandomi una mano sulla spalla.
«Sage?»
Mi voltai. «Sì?»
«Sai perché lui non mi piace? Brayden?» Ero così stupita dal fatto che avesse
indovinato il nome che non riuscii a dare voce a nessuna risposta, anche se me ne erano
venute molte in mente. «Per quello che ha detto».
«Quale parte?» Dato che Brayden aveva detto molte cose, e molto dettagliate, non
era molto chiaro a cosa si stesse riferendo Adrian.
«Storicamente impreciso». Adrian mi indicò con l’altra mano, quella che non era
sulla mia spalla. «Chi diavolo potrebbe guardarti e dire “storicamente impreciso”?»
«Beh», dissi. «Tecnicamente lo è».
«Non avrebbe dovuto dirlo».
Mi spostai, sapendo che avrei dovuto andarmene… ma non lo feci. «Senti, è fatto
così».
«Non avrebbe dovuto dirlo» ripeté Adrian, inspiegabilmente serio. Avvicinò il suo
viso al mio. «Non mi interessa se non è un tipo emotivo, lusinghiero o altro. Nessuno
può guardarti con indosso questo vestito, tra tutte quelle fiamme e oro, e iniziare a
parlare di anacronismi. Se fossi stato in lui avrei detto “Sei la creatura più bella che
abbia mai visto camminare su questa terra”».
Mi si bloccò il respiro, sia per le parole che per il modo in cui le aveva dette. Mi
sentivo strana. Non sapevo cosa pensare, tranne che dovevo andarmene da lì, via da
Adrian, via da quello che non capivo. Mi liberai dalla sua presa e mi sorpresi a tremare.
«Sei ancora ubriaco» dissi, afferrando il pomello della porta.
Lui piegò la testa di lato, guardandomi ancora nello stesso modo sconcertante. «Ci
sono cose sia da ubriachi che da sobri. Tu dovresti saperlo. Tu lavori sempre con i
fatti».
«Sì, ma questo non è…» Non potevo discutere con lui mentre mi guardava a quel
modo. «Devo andare. Aspetta… non hai preso la croce». Gliela porsi.
Lui scosse la testa. «Tienila tu. Credo che ci sia un’altra cosa che mi aiuta a dare un
centro alla mia vita».
CAPITOLO 15 Traduzione: Alecs
Pre-Revisione: Juls
Ero così dispiaciuta per Brayden che il giorno dopo l’avevo addirittura chiamato,
diversamente dai nostri soliti scambi di messaggi e mail.
«Mi dispiace tanto», dissi. «Di solito non scappo in quel modo. Per niente. Non me
ne sarei andata se non si fosse trattato di un’emergenza familiare». Forse stavo
esagerando. Forse no.
«Nessun problema», disse lui. Senza vedere la sua faccia, non potevo capire se fosse
veramente tutto okay. «Suppongo che le cose stessero comunque finendo».
Mi domandavo a quali “cose” si riferisse. Parlava del ballo? Oppure di noi due?
«Lascia che ti porti fuori per rimediare al danno», dissi. «Fai sempre tutto tu. Me ne
occuperò io, tanto per cambiare. Ti offrirò la cena, e ti passerò anche a prendere».
«Con la Subaru?»
Ignorai il suo tono diffidente. «Ci stai o no?»
Ci stava. Ci mettemmo d’accordo sugli aspetti necessari e io riattaccai sentendomi
meglio. Brayden non era arrabbiato. La visita di Adrian non aveva rovinato la mia
nuova relazione. Le cose tornarono normali – almeno per me.
Rimasi sola il giorno dopo il ballo, volevo mettermi in pari con del lavoro,
concentrandomi solo su quello. Lunedì mattina cominciò nuovamente la settimana
scolastica, e tornai alla solita routine. Eddie entrò nella caffetteria Est assieme a me eci
mettemmo in fila per il pranzo. Voleva informazioni sulla visita di Adrian al ballo e gli
diedi una versione abbreviata della serata, dicendo semplicemente che Adrian si era
ubriacato e aveva avuto bisogno di un passaggio a casa. Non parlai del mio ruolo
nell’indurre la regina ad agire per conto di Adrian o di come io fossi “la creatura più
bella che abbia messo piede sulla terra”. Di sicuro non gli ho parlato di come mi sono
sentita quando Adrian mi aveva toccata.
Eddie e io ci avvicinammo ad un tavolo e trovammo Angeline che cercava di
sollevare il morale di Jill.
Normalmente, avrei ripreso duramente Angeline per quello che aveva fatto al ballo,
ma non aveva causato danni... almeno questa volta. Per di più, ero troppo distratta da
Jill. Era impossibile per me vederla giù di morale senza pensare immediatamente che
qualcosa non andasse con Adrian. Eddie parlò prima di me, notando ciò che a me era
sfuggito.
«Non c’è Micah?» chiese lui. «Era fuori dalla porta prima di me. Pensavo mi battesse
sul tempo nell’arrivare qui».
«Dovevi chiederlo per forza, vero?» Angeline fece una smorfia. «Hanno litigato».
Giuro che Eddie sembrava più sconvolto di Jill. «Cosa? Non ha detto niente. Cos’è
successo? Voi due sembravate divertirvi davvero tanto sabato sera».
Jill annuì cupamente ma non alzò lo sguardo dal suo pranzo integro. Aveva gli occhi
lucidi. «Ci siamo divertiti. Così tanto che abbiamo parlato ieri e lui mi ha chiesto...
bhe, mi ha chiesto se volevo passare il Giorno del Ringraziamento con la sua famiglia.
Vivono a Pasadena. Pensava di prendere un permesso dalla scuola oppure parlare con
voi ragazzi».
«Non sembra una brutta idea», disse cautamente Eddie.
«Passare il Giorno del Ringraziamento con la sua famiglia è una cosa seria! Una
cosa è uscire insieme qui, ma se cominciamo ad allargarci così... diventando una coppia
fuori dalla scuola..» Lei sospirò. «Tutto si complicherebbe. Per quanto tempo ancora
potrò nascondergli chi sono veramente? E anche se quello non fosse un problema, non
è comunque sicuro. La vera ragione per cui sono qui è che questo è un posto sicuro, un
ambiente controllato. Non posso semplicemente andarmene per incontrare degli
estranei».
Era un altro passo nel suo processo di accettazione delle difficoltà di una “casuale”
relazione con Micah. Le offrii un commento neutrale. «Sembra che tu ci abbia pensato
molto».
Jill alzò la testa improvvisamente, quasi come se non si fosse accorta della mia
presenza. «Sì. Immagino di averlo fatto». Mi esaminò per qualche secondo e,
stranamente, si rilassò un poco. Sorrise. «Sei molto carina oggi, Sydney. Il modo in cui
la luce ti colpisce.. stai bene».
«Um, grazie», dissi, incerta sul motivo di quel commento. Ero piuttosto sicura che
non ci fosse niente di notevole in me oggi. I miei capelli e il trucco erano quelli di
sempre e avevo scelto l’uniforme con la maglia bianca e la gonna scozzese. Dovevo
rimediare allo sfoggio di colori di questo weekend.
«E il bordeaux della gonna fa veramente risaltare il color ambra dei tuoi occhi»,
continuò Jill. «Non è bello come il rosso vivo, ma è comunque magnifico. Ovviamente
tutti i colori stanno bene su di te, anche quelli spenti».
Eddie era ancora concentrato su Micah. «Com’è nata la discussione?»
Jill tolse lo sguardo da me, per fortuna. «Oh. Bhe. Gli ho detto che non sapevo se
avessi potuto festeggiare il Ringraziamento. Forse se gli avessi dato una sola ragione,
non ci sarebbero stati problemi. Ma ho cominciato a dare di matto, pensando a tutti i
nostri problemi, e ho iniziato a parlare a vanvera, dicendo che saremmo potuti tornare
in South Dakota o che forse la famiglia sarebbe venuta qui e voi non mi avreste
lasciata... o, bhe, un sacco di altra roba. Penso che fosse abbastanza ovvio che mi stessi
inventando tutto, e a quel punto mi ha chiesto apertamente se non volessi più stare con
lui. Allora gli ho detto che volevo stare con lui ma era complicato. Lui mi ha chiesto
cosa intendessi, ma ovviamente non potevo spiegargli tutto, e da lì...» Alzò le mani in
aria. «Da lì è esploso più o meno tutto».
Non ho mai pensato al Ringraziamento o all’incontrare la famiglia di qualcuno come
ad un rito di passaggio di una relazione. Anche la famiglia di Brayden viveva nella
California del Sud... dovrò visitarla un giorno?
«Micah non riuscirà a tenerti il muso per molto», disse Eddie. «È anche piuttosto
ragionevole. Digli semplicemente la verità».
«Cosa, che sono una delle ultime di una stirpe di vampiri reali e che il trono di mia
sorella dipende dal mio restare viva e nascosta?» chiese Jill incredula.
Gli occhi di Eddie mostrarono divertimento, anche se potevo capire che cercava di
rimanere serio per il bene di Jill. «Quello potrebbe andare, credo. Ma no... potresti
dargli la versione semplificata. Non vuoi che le cose diventino troppo serie. Lui ti piace
ma vuoi vedere come vanno le cose. Non è irragionevole, sai. Hai quindici anni e hai
cominciato a frequentare i ragazzi da un mesetto».
Lei meditò sulle sue parole. «Non pensi che si arrabbierebbe?»
«Non se ci tiene veramente a te», disse Eddie con veemenza. «Se ci tiene sul serio,
capirà e rispetterà la tua volontà, e sarà felice per ogni possibilità di passare del tempo
con te».
Mi domandavo se Eddie si riferisse a Micah o a se stesso, ma quello era un pensiero
che era meglio tenermi per me. Il volto di Jill s’illuminò.
«Grazie», disse ad Eddie. «Non l’avevo considerato. Hai proprio ragione. Se non
riesce ad accettare i miei sentimenti, allora niente ha senso». Guardò l’orologio appeso
alla parete e saltò in piedi. «Penso che proverò a trovarlo prima dell’inizio delle
lezioni». E così, se ne andò.
Ottimo lavoro, Eddie. Pensai. Potresti aver appena aiutato la ragazza dei tuoi sogni
a tornare con il suo ragazzo. Quando Eddie colse il mio sguardo, l’espressione che
aveva in faccia mi disse che lui stava pensando esattamente la stessa cosa.
Angeline guardò Jill mentre usciva dalla caffetteria, i suoi occhi blu si restrinsero
pensierosi. «Anche se dovessero tornare insieme, non penso che durerà. Con la loro
situazione.. non può funzionare».
«Pensavo che fossi a favore delle relazioni tra vampiri e umani», dissi.
«Oh, certo. A casa, nessun problema. Anche nel tuo mondo non ci sarebbe alcun
problema. Ma Jill è un caso speciale. Deve stare lontana da occhi indiscreti e restare al
sicuro se vuole aiutare la propria famiglia. Uscire con lui non l’aiuterà, e lei lo sa – per
quanto desideri che non sia vero. Alla fine farà la cosa giusta. Questo è il suo dovere.
È più importante dei desideri personali. Jill lo capirà».
A quel punto Angeline dichiarò di dover tornare in classe per mettersi al passo con
dei compiti a casa. Eddie ed io eravamo rimasti soli.
Lui scosse la testa stupito. «Non penso di aver mai visto Angeline così..»
«... calma?» Suggerii.
«Pensavo a... coerente».
Risi. «Andiamo, è coerente parecchie volte».
«Lo sai quello che voglio dire», commentò. «Quello che ha appena detto? Era del
tutto vero. Era... saggio. Lei capisce Jill e questa situazione».
«Penso che lei capisca più di quello che noi pensiamo», dissi, ripensando al suo
comportamento da dopo l’assemblea, togliendo l’imbucarsi al ballo. «Le è solo servito
del tempo per ambientarsi, il che ha senso, considerando quanto tutto questo sia diverso
per lei. Se avessi visto da dove viene, avresti capito».
«Forse l’ho giudicata male», ammise Eddie. Sembrava sorpreso delle proprie parole.
Una parte di me si aspettava di essere ripresa da Trey per aver abbandonato Brayden
al ballo. Invece, Trey era nuovamente assente dalle nostre lezioni mattutine. Mi stavo
quasi preoccupando quando mi ricordai che suo cugino era ancora in città,
immischiando Trey in “affari di famiglia”. Trey era giudizioso. Qualunque cosa stesse
succedendo, lui se la sarebbe cavata. Allora perché tutti quei lividi? Mi chiesi.
Quando raggiunsi lo studio della signorina Terwillinger, stava aspettando proprio
me ed era un brutto segno. Solitamente, era sempre indaffarata con il lavoro alla sua
scrivania e mi faceva solo un cenno con il capo quando tiravo fuori i libri. Oggi era in
piedi di fronte alla scrivania, a braccia incrociate, a guardare la porta.
«Signorina Melbourne. Confido che lei abbia passato un ottimo weekend. Eri
sicuramente la più bella del ballo ad Halloween».
«Mi ha vista?» Chiesi. Per un attimo, mi aspettai che lei dicesse che ha guardato
tutto il ballo attraverso una sfera di cristallo o qualcosa del genere.
«Bhe, certamente. Ero lì come accompagnatrice. Il mio posto era vicino al DJ, per
cui non sono sorpresa che tu non mi abbia visto. Quello, e difficilmente sono spiccata
come hai fatto tu. Devo ammetterlo. Quella che stavi indossando era una squisita
reinterpretazione neo greca.
«Grazie», Oggi stavo ricevendo complimenti a destra e a sinistra, ma i suoi erano un
po’ meno inquietanti di quelli di Jill.
«Tornando a noi», disse la signorina Terwilliger. «Pensavo fosse utile discutere di
alcuni degli incantesimi che hai cercato per il mio progetto. Un conto è annotarli. Un
altro è capirli».
Il mio stomaco sprofondò. Mi ero abituata ad evitarla e annotare e tradurre gli
incantesimi in modo ripetitivo e meccanico. Finché non abbiamo dovuto seriamente
praticarli, mi sentivo sollevata perché non stavo facendo nessuna vera magia. Ero
terrorizzata da qualunque cosa avesse in mente, ma non potevo lamentarmi finché
questo rientrava nei miei studi e non implicava ferire me o qualcun altro.
«Saresti così gentile da chiudere la porta?» chiese. Lo feci, e il mio senso di disagio
aumentò. «Ora. Volevo esaminare quel libro che ti avevo dato – quello sugli
incantesimi di protezione».
«Non ce l’ho con me, signora», dissi, sollevata. «Ma se vuole, lo vado a prendere
dalla mia stanza e glielo riporto». Se calcolavo bene, cioè male, l’orario dei pullman,
avrei potuto sprecare una gran parte dell’ora per il viaggio.
«Non importa. Ho ottenuto quella copia per il tuo uso personale». Sollevò un libro
dalla sua scrivania. «Ho il mio. Diamo un’occhiata, ti va?»
Non potevo nascondere il mio sgomento. Sedemmo vicine, e iniziammo a scorrere
l’indice insieme. Il libro era diviso in tre sezioni: Difesa, Attacchi Pianificati, Attacchi
Improvvisi. Ognuna di quelle sottosezioni era divisa in livelli di difficoltà.
«La Difesa include molti amuleti protettivi e incantesimi di evasione», mi disse.
«Secondo te perché sono stati messi per primi nel libro?»
«Perché il miglior modo per vincere uno scontro è di evitarlo», dissi
immediatamente. «Rende tutto il resto superfluo».
Sembrava sorpresa che le avessi dato quella risposta. «Sì... precisamente».
«Questo è quello che ha detto Wolfe», spiegai. «Lui è l’insegnante della classe di
autodifesa che sto seguendo».
«Bhe, ha ragione. Molti degli incantesimi di questa sezione fanno esattamente
quello. Questo qui...» Sfogliò alcune pagine del libro. «Questo qui è molto semplice
ma estremamente utile. È un incantesimo di occultamento. Hamolti componenti fisici
– che sono indispensabili per un incantesimo da principianti – ma ne vale la pena. Crei
un amuleto e ti tieni da parte un ingrediente, gesso sbriciolato, in mano. Quando sei
pronta per attivarlo, aggiungi il gesso, e l’amuleto prende vita. Rende quasi impossibile
agli altri vederti. Puoi andare via da una stanza e raggiungere un posto sicuro, prima
che la magia si esaurisca».
La parola non mi era sfuggita, e nonostante la mia resistenza interiore, non potevo
non chiedere: «“Quasi impossibile”?»
«Non funzionerà se sanno che sei lì», spiegò. «Non puoi gettarlo e diventare
invisibile, anche se ci sono incantesimi più avanzati per quello. Ma se qualcuno non si
aspetta di vederti, non ti vedrà».
Me ne fece vedere altri, molti dei quali erano semplici e basati sull’amuleto e
richiedevano una simile attivazione. Un incantesimo che lei aveva classificato come
intermedio aveva una specie di attivazione inversa. Colui che lanciava l’incantesimo
indossava un amuleto che la proteggeva, mentre l’incantesimo rendeva cieche tutte le
persone entro un certo raggio. Solo colui che lo lanciava manteneva la vista.
Ascoltando, mi agitai all’idea di usare la magia per colpire qualcuno. Occultare se
stessi era una cosa. Ma rendere cieco qualcuno? Stordirli? Costringerli a dormire?
Superava il limite dell’usare metodi sbagliati e innaturali per fare cose non umane.
Eppure.. in fondo, una parte di me poteva vederne l’utilità. L’attacco mi aveva fatto
riconsiderare parecchie cose. Per quanto mi addolorasse ammetterlo, potevo anche
capire come il dare del sangue a Sonya non fosse una cosa malvagia. Forse. Non ero
ancora pronta a farlo per nessun motivo.
Ascoltavo pazientemente mentre lei sfogliava le pagine, chiedendomi per tutto il
tempo quali fossero le sue intenzioni.
Finalmente, quando rimasero solo cinque minuti, mi disse. «Per lunedì prossimo,
vorrei che tu ricreassi uno di questi, proprio come hai fatto con l’amuleto di fuoco, e
scrivi un piccolo saggio».
«Signorina Terwilliger..» cominciai.
«Sì, sì», disse, chiudendo il libro e alzandosi in piedi. «Conosco bene i tuoi
argomenti e le tue obbiezioni, di come gli umani non siano fatti per brandire un tale
potere e tutto il resto. Rispetto il tuo diritto di sentirti così. Nessuno ti costringe ad
usare nessuno di questi incantesimi. Voglio solo che lei capisca come sono strutturati
ed utilizzati».
«Non posso». Dissi ostinatamente. «Non lo farò».
«Non c’è niente di diverso dal vivisezionare una rana in biologia», sostenne.
«Lavoro partecipativo per capire il materiale».
«Credo..» Cedetti, tristemente. «Quale vuole che faccia?»
«Quello che preferisci».
Qualcosa mi dava ancora più fastidio. «Preferirei che scegliesse lei».
«Non essere sciocca», disse. «Hai avuto la possibilità di scegliere mentre facevi la
tesina, e ce l’avrai anche adesso. Non m’importa cosa farai, finché il compito è fatto.
Fai quello che ti interessa».
E proprio quello era il problema. Nel farmi scegliere, mi stava coinvolgendo nella
magia. Era più facile per me dichiarare di non aver avuto parte nella magia e
sottolineare che tutto quello che avevo fatto per lei era un obbligo. Anche se questo
compito era stato dato da lei, la piccola scelta che mi aveva lasciato mi costringeva ad
agire in modo attivo.
Per cui, accantonai per un attimo il tutto, cosa molto insolita per me quando si
trattava di compiti. Una parte di me pensava che forse se ignoravo il compito, sarebbe
scomparso o lei avrebbe cambiato idea. Inoltre, avevo una settimana. Non c’era motivo
di stressarsi già adesso.
Anche se sapevo che non avevamo nessun obbligo nei confronti di Lia per averci
dato i costumi, sentii lo stesso il dovere di riportarglieli, così che non ci fossero dubbi
sulle mie intenzioni. Non appena la signorina Terwilliger mi lasciò andare, misi il mio
costume e quello di Jill nei loro copri abiti e mi diressi in centro. Jill era triste di ridare
il suo ma ammise che era la cosa giusta da fare.
Lia, comunque, la pensava diversamente.
«Cosa farò con questi adesso?» Chiese quando arrivai nel suo negozio. I suoi grandi
orecchini a cerchio tempestati di diamanti finti quasi mi accecarono. «Sono stati fatti
su misura per voi».
«Sono sicura che puoi modificarli. E sono sicura che non sono così lontani dalla
taglia dei tuoi modelli». Le offrii gli appendini, e lei ostinatamente incrociò le braccia.
«Guarda, erano stupendi. Abbiamo veramente apprezzato quello che hai fatto. Ma non
possiamo tenerceli».
«Voi li terrete», affermò.
«Se non li prendi, li lascerò semplicemente sul tuo bancone», la avvisai.
«E io te li farò trovare nel tuo dormitorio».
Brontolai. «Perché è così importante per te? Ci sono un sacco di ragazze carine a
Palm Spring. Non hai bisogno di Jill».
«É proprio questo il motivo», disse Lia. «Un sacco di ragazze carine che sono tutte
uguali. Jill è speciale. É una bellezza naturale e nemmeno lo sa. Potrebbe diventare
qualcuno un giorno».
«Un giorno», ripetei. «Ma non adesso».
Lia tentò un approccio diverso. «La campagna è per foulard e cappelli. Non posso
fare di nuovo le maschere, ma posso metterle gli occhiali da sole, specialmente se
facciamo le foto all’aperto. Dimmi se saresti d’accordo così..»
«Lia, ti prego. Non ti disturbare».
«Ascoltami», insistette. «Faremo le foto. Dopo potrai riguardare tutte le foto e
scartare quelle che non vanno d’accordo con i tuoi strani criteri religiosi».
«Nessuna eccezione», insistetti io. «E ti lascio i vestiti». Li poggiai sul bancone e
uscii dal negozio ignorando le proteste di Lia su quante cose magnifiche potrebbe fare
per Jill. Forse un giorno, pensai. Un giorno quando tutti i problemi di Jill saranno
scomparsi. Comunque qualcosa mi diceva che quel giorno era molto lontano.
Anche se la mia lealtà per Spencer’s era salda, una piccola caffetteria francese attirò
la mia attenzione mentre stavo tornando alla mia macchina. O piuttosto, il profumo del
loro caffè attirò la mia attenzione. Non avevo nessun impegno a scuola e mi fermai
nella caffetteria per una tazza. Avevo un libro di inglese con me e decisi di leggere un
po’ ad uno dei piccoli tavolini della caffetteria. Metà di quel tempo l’avevo speso nel
scambiare messaggi con Brayden. Aveva voluto sapere cosa stessi leggendo, e ci
stavamo scambiando le nostre citazioni preferite di Tennessee Williams.
Ero lì da a mala pena dieci minuti quando delle ombre oscurarono il sole del tardo
pomeriggio. Due ragazzi stavano in piedi davanti al mio tavolo. Non conoscevo
nessuno dei due. Erano poco più grandi di me, uno con capelli biondi e occhi azzurri
mentre l’altro aveva capelli e pelle scura. Le loro espressioni non erano ostili, ma non
erano neanche amichevoli. Entrambi avevano una corporatura robusta, come se si
allenassero regolarmente. E poi, dopo aver guardato una seconda volta, mi resi conto
di conoscere uno di loro. Il ragazzo dai capelli scuri era quello che si era avvicinato a
me e a Sonya qualche tempo fa, sostenendo di averla conosciuta in Kentucky.
Immediatamente, tutto il panico che avevo cercato di sopprimere per tutta la
settimana ritornò, assieme alla sensazione di essere intrappolata e indifesa. Solo dopo
essermi resa conto che ero in un luogo pubblico, circondata da persone, riuscii a
guardare i ragazzi con una calma che mi sorprese.
«Sì?» chiesi.
«Abbiamo bisogno di parlare con te, Alchimista», disse il ragazzo biondo.
Non mossi neanche un muscolo della faccia. «Penso che mi stiate confondendo con
qualcun altro».
«Nessuno qua attorno ha un tatuaggio con un giglio», disse l’altro ragazzo. Disse
che il suo nome era Jeff, ma mi domandai se fosse la verità. «Sarebbe fantastico se
potessi fare quattro passi con noi». Il mio tatuaggio era coperto oggi, ma qualcosa mi
disse che questi ragazzi mi stavano seguendo da un bel po’ e non avevano bisogno di
vedere il giglio per sapere che era lì.
«Assolutamente no», dissi. Non avevo neanche bisogno dei promemoria di Wolfe
per sapere che quella era una pessima idea. Stavo qui in mezzo alla sicurezza della
folla. «Se volete parlare, farete meglio a prendere una sedia. Altrimenti, andatevene».
Guardai nuovamente il mio libro, come se non fossi minimamente preoccupata. Nel
frattempo il mio cuore batteva all’impazzata, e ci volle ogni briciola del mio controllo
per impedire alle mie mani di tremare. Qualche momento più tardi, sentii il suono del
metallo che strisciava sul cemento, e i due ragazzi si sedettero di fronte a me. Guardai
le loro facce impassibili.
«Dovete andare dentro se volete il caffè», feci notare. «Non fanno il servizio ai
tavoli».
«Non siamo qui per parlare del caffè», disse Jeff. «Siamo qui per parlare di vampiri».
«Perché? State girando un film o qualcosa del genere?» chiesi.
«Sappiamo che giri con loro», disse il Biondino. «Incluso quella Strigoi, Sonya
Karp».
Parte della magia del mio tatuaggio era impedire agli Alchimisti di rivelare
informazioni sul mondo dei vampiri a coloro che stavano fuori. Non potevamo proprio
farlo. La magia sarebbe intervenuta e ce lo avrebbe impedito se ci avessimo provato.
Dal momento che questi ragazzi sembravano conoscere già i vampiri, il tatuaggio non
censurerà le mie parole. Invece, scelsi di censurarle io di mia volontà. Qualcuno mi
disse una volta che l’ignoranza era la miglior arma.
«I vampiri non esistono», dissi. «Sentite, se questo è una specie di scherzo..»
«Sappiamo quello che fai», continuò il Biondino. «Non ti piacciono più di quanto
non piacciano a noi. Quindi perché li stai aiutando? Come può il tuo gruppo essersi
immischiato così tanto e aver perso di vista la nostra originale visione? Secoli fa,
eravamo un gruppo unito, determinato a vedere tutti i vampiri spazzati via dalla faccia
della terra nel nome della luce. I tuoi fratelli hanno tradito quello scopo».
Avevo un’altra protesta pronta, e poi notai uno scintillio dorato all’orecchio di Jeff.
Indossava un piccolo orecchino, una piccola sfera dorata con un puntino nero in mezzo.
Non potevo evitarlo.
«Il tuo orecchino», dissi. «È il simbolo del sole, il simbolo dell’oro». E mi resi conto
che era lo stesso simbolo che c’era sull’impugnatura della spada che avevamo trovato
in quel vicolo.
Si toccò l’orecchino e annuì. «Non ci siamo dimenticati la missione, il nostro
obiettivo originale. Noi serviamo la luce. Non l’oscurità che nasconde i vampiri».
Continuavo a rifiutarmi di ammettere quello che stavano dicendo sui vampiri. «Tu
sei quello che ha attaccato me e la mia amica la scorsa settimana nel vicolo». Nessuno
dei due negò.
«La tua “amica” è una creatura della notte», disse il Biondino. «Non so come le sia
riuscito questo attuale incantesimo, rendendosi simile agli altri vampiri, ma tu non puoi
farti fregare. Lei è cattiva. Ucciderà te e innumerevoli altri».
«Voi due siete pazzi», dissi. «Niente di quello che state dicendo ha senso».
«Dicci solo dove si trova il suo covo principale», disse Jeff. «Sappiamo che non è
l’appartamento dall’altra parte del centro. Lo stavamo controllando e non è ritornata
dopo il nostro ultimo tentativo di eliminarla. Se non vuoi aiutarci attivamente, questa
informazione è tutto ciò che ci servirebbe per liberare il mondo dal suo male».
Lo stavamo controllando. L’appartamento di Adrian. Mi venne la pelle d’oca. Da
quanto tempo lo stavano sorvegliando? E fino a che punto? Sono semplicemente
rimasti seduti in macchina, appostati? Avevano equipaggiamento di sorveglianza
altamente tecnologico? Wolfe aveva parlato della possibilità di essere seguiti nei
parcheggi e in strada, più che nelle proprie case. L’unico conforto che avevo in tutto
ciò era che loro non sapevano niente della casa di Clarence. La loro sorveglianza non
doveva essere così accurata se nessuno l’aveva ancora seguita. Ma avevano seguito
me? Sapevano dove andavo a scuola?
E con le loro parole, stavano confermando la terribile realtà che osavo a mala pena
ipotizzare. Era una realtà che conteneva forze invisibili che si muovevano sotto la vista
apparentemente onnisciente degli Alchimisti, forze che operavano contro i nostri scopi.
I cacciatori di vampiri esistevano.
Con quella realizzazione arrivarono centinaia di domande ancora più terrificanti.
Questo cosa significava per i Moroi? Jill era in pericolo?
Lo era Adrian?
«L’unica cosa che farò è chiamare la polizia», dissi. «Non so chi siate o perché siate
ossessionati dalla mia amica, ma nessuna di noi vi ha fatto niente. Siete pure più pazzi
di quello che credevo se pensate che vi dirò dove vive così che possiate perseguitarla».
Poi, per pura fortuna, vidi un pattuglia di polizia che camminava per strada. I due
ragazzi al tavolo seguirono il mio sguardo e indubbiamente poterono indovinare le mie
intenzioni. Sarebbe stato molto facile chiamare la pattuglia qui. Non abbiamo
archiviato nessun rapporto riguardo all’attacco nel vicolo, ma accusarli di un recente
assalto li tratterrà sicuramente. Si alzarono insieme.
«Stai commettendo un terribile errore», disse Jeff. «Potevamo eliminare questo
problema anni fa se solo il nostro gruppo avesse lavorato assieme. Prima gli Strigoi poi
i Moroi. La tua sbagliata scelta di unirti a loro ha quasi rovinato tutto. Fortunatamente,
noi camminiamo ancora sulla retta via». Il fatto che lui avesse appena nominato i due
gruppi era particolarmente allarmante. Questi tipi erano spaventosi, certo, ma lo erano
di meno quando parlavano di vampiri con vaghi e oscuri termini. Usando i termini
“Moroi” e “Strigoi” dimostrarono una conoscenza estesa.
Il Biondino mise sul tavolo un piccolo volantino fatto a mano. «Leggi questo, e forse
vedrai la luce. Resteremo in contatto».
«Non lo farei se fossi in voi», dissi. «Infastiditemi ancora, e farò molto più di una
tranquilla chiacchierata». Le mie parole uscirono più violente di quanto mi aspettassi.
Forse Dimitri e Wolfe stavano diventando contagiosi.
Jeff rise mentre se ne stavano andando. «Peccato che ti stia nascondendo dietro ai
libri», disse. «Hai lo spirito di una cacciatrice».
CAPITOLO 16 Traduzione: Medea Knight
Pre-Revisione: Claude
MI MISI SUBITO a radunare il gruppo. Era una notizia troppo importante. Non sapevo
ancora che tipo di pericolo ci attendesse, ma non volevo lasciare le cose al caso. Scelsi
la casa di Clarence come punto di incontro, visto che i cacciatori ancora non
conoscevano il posto. Ma ero comunque nervosa. Sarei stata nervosa anche se ci
fossimo incontrati nel bunker degli Alchimisti.
E a quanto pareva, “cacciatori” non era nemmeno il termine esatto. Secondo il loro
opuscolo da due soldi, si chiamavano “Guerrieri della Luce”. Non ero certa che
meritassero quel nome così carino, specialmente perché nella loro dichiarazione di
intenti avevano scritto “abbisso” invece che “abisso”. L’opuscolo era davvero molto
dispersivo e parlava semplicemente della presenza di un grande male per l’umanità,
che i Guerrieri avrebbero distrutto. Incitavano la razza umana a tenersi pronta e a
restare pura. Non veniva fatti il nome dei vampiri, cosa per la quale ero grata.
L’opuscolo non menzionava nemmeno i fantomatici episodi in cui i Guerrieri
avrebbero avuto a che fare con gli Alchimisti.
Prima di andare da Clarence, Eddie si accertò che non avessero piazzato dispositivi
di tracciamento su Caffellatte. Il solo pensiero mi terrorizzava, proprio come mi aveva
terrorizzato essere stata osservata a casa di Adrian. Sentivo questo terribile senso di
violazione. Fu solo la mia mancata fiducia nelle loro capacità tecnologiche a
tranquillizzarmi un po’.
«Mi sembra improbabile che siano così all’avanguardia» dissi ad Eddie, mentre
armeggiava sotto la macchina. «Cioè, quell’opuscolo sembra fatto con una macchina
fotocopiatrice degli anni ‘80. Non so se è perché li hanno stampati tanto tempo fa o se
è la macchina che usano tutt’ora… in ogni caso, di certo non mi fanno pensare all’alta
tecnologia.»
«Forse hai ragione» concordò con voce un po’ ovattata. «Ma dobbiamo considerare
tutte le possibilità. Non sappiamo di cosa sono capaci. Per quanto ne sappiamo
potrebbero allearsi con gli Alchimisti e sfruttare le loro risorse tecnologiche.»
Mi attraversò un brivido. Era un pensiero vergognoso: gli Alchimisti alleati a questo
gruppo di violenti estremisti? Era stato da pazzi da parte mia e di Adrian anche solo
pensarlo, ma era ancora più difficile accettarlo alla luce delle prove sempre più
evidenti. Almeno adesso avevo informazioni sufficienti a non suonare ridicola ai miei
superiori. Anche se non avevo mai sentito di cacciatori del genere, mi sembrava
comunque possibile che da qualche parte, in un certo momento, potessero aver tentato
di contattare la mia organizzazione. Speravo che qualcuno tra gli Alchimisti avrebbe
potuto aiutarmi.
Eddie sbucò da sotto Caffellatte. «Tutto a posto. Possiamo andare.»
Jill ed Angeline stavano aspettando là vicino, tese e ansiose. Jill fece un sorriso di
ammirazione ad Eddie. «Non sapevo che fossi capace di fare anche questo. Non l’avrei
mai nemmeno pensato.»
Si asciugò il sudore dalla fronte. «Pensavi che l’addestramento da guardiano fosse
tutto calci e pugni?»
Arrossì. «Più o meno sì.»
«Potresti insegnare questa roba anche a me qualche volta?» chiese Angeline. «Penso
che dovrei saperlo fare anch’io.»
«Certo» disse Eddie, sembrando sinceramente disposto. Lei fece un sorriso a
trentadue denti.
Per lui era diventato più semplice starle attorno da quando aveva cominciato a
comportarsi più seriamente e in modo più controllato. Penso che anche e soprattutto
per la sua buona condotta ero stata capace di ottenere il permesso per farla unire a noi
quella sera. Tecnicamente era ancora sospesa, ma ero riuscita ad ottenere un’eccezione
speciale con una scusa legata alla religione della nostra famiglia. Avevo usato una
scusa simile con Jill il mese prima, quando era stata sospesa e dovevo portarla alle
nutrizioni. Nonostante tutto, avevamo comunque degli ordini molto rigorosi riguardo
Angeline quella sera. Non poteva stare via per più di due ore e, se l’avesse fatto, le
sarebbe stato aggiunto un giorno in più di sospensione.
Andammo per una strada irregolare verso casa di Clarence ed Eddie si guardava alle
spalle con attenzione, per controllare che non ci stessero seguendo. Tentò di spiegarmi
alcuni accorgimenti da tenere a mente quando sarei stata da sola. Ero così nervosa che
a malapena riuscivo ad ascoltarlo. Arrivammo sani e salvi a casa di Clarence dopo un
viaggio agitato. Lì trovammo Adrian ad aspettarci. A quanto pare, Dimitri era andato
a prenderlo in centro poco prima e, senza dubbio, aveva preso le stesse precauzioni di
Eddie durante il viaggio.
Raccontai dei cacciatori ad Eddie e Dimitri, ma per gli altri ci volle una spiegazione
più approfondita. Ci riunimmo nel nostro solito posto, quel salotto formale, e Dimitri
camminava per la stanza sempre pronto a sventare attacchi improvvisi. Clarence era
seduto con quel suo tipico sguardo distratto. Quando vide l’opuscolo, tuttavia, parve
animarsi.
«Sono questi!» urlò. Pensavo che sarebbe saltato su dalla sedia e mi avrebbe
strappato l’opuscolo dalle mani. «Questi sono i loro simboli!» Gran parte dei simboli
alchemici che erano sulla spada erano disseminati anche sulla prima di copertina
dell’opuscolo. «Quel cerchio. Mi ricordo di quel cerchio.»
«Il simbolo dorato» gli confermai. «O nel loro caso, presumo il simbolo del sole,
visto che sono ossessionati dalla luce e dall’oscurità.»
Clarence si guardò intorno freneticamente. «Sono tornati! Dobbiamo andarcene da
qui. Sono venuto in questa città per scappare da loro, ma ora mi hanno trovato. Non
c’è tempo. Dov’è Dorothy? Dov’è Lee? Devo fare i bagagli!»
«Signor Donahue» dissi, rivolgendomi a lui nel modo più gentile possibile, «non
sanno che lei è qui. È al sicuro.» Non sapevo nemmeno io se crederci e speravo di
sembrargli abbastanza convincente.
«Ha ragione» disse Dimitri. «E anche se lo sapessero, sa che non permetterei loro di
farle del male.» Le parole di Dimitri ispiravano così tanta sicurezza e forza che
probabilmente gli avremmo creduto anche se fossimo stati in preda ad un attacco da
parte degli Strigoi. Infine disse «Va tutto bene, è al sicuro.»
«Se ciò che dici è vero» disse Sonya, «sono io ad essere in pericolo.» Mi sembrava
molto più calma di quanto lo sarei stata io nella stessa situazione.
«Non faranno del male nemmeno a te» disse Dimitri bruscamente. «Specialmente se
non te ne vai da questa casa.»
«Ma la ricerca…» cominciò a dire.
«Non è nulla in confronto alla tua sicurezza» concluse. Il suo sguardo lasciava
intendere che non avrebbe ammesso obiezioni. «Devi tornare a Corte. Stavi pensando
di farlo comunque. Devi solo anticipare il viaggio.»
Sonya non sembrò felice della cosa. «E dovrei lasciare tutti voi in pericolo?»
«Forse non siamo in pericolo» disse Eddie, nonostante il linguaggio del suo corpo
esprimesse tensione. «Da ciò che dice Sydney e dal loro manifesto in miniatura, pare
che il loro obiettivo siano gli Strigoi, non i Moroi.» Lanciò uno sguardo a Jill. «Questo
non vuol dire che dobbiamo abbassare la guardia. Se hanno scambiato Sonya per uno
Strigoi, chi può sapere quali altre pazzie faranno? Ma non preoccupatevi. Non
permetterò loro di avvicinarsi.» Jill sembrava sul punto di svenire.
«È una buona idea» dissi. «Pensano comunque che i Moroi siano una minaccia,
comunque inferiore a quella rappresentata dagli Strigoi.»
«Più o meno come gli Alchimisti» disse Adrian. Era seduto su una poltrona in un
angolo della stanza ed era stato zitto sino a quel momento. Non lo avevo visto dalla
sera del ballo, né avuto contatti con lui, il che era strano. Anche quando non mi
mandava patetiche e-mail sui suoi strambi esperimenti, aveva sempre qualche battuta
arguta da inviarmi.
«Vero» ammisi con un sorriso. «Ma noi non proviamo ad uccidere i Moroi, né
tantomeno gli Strigoi.»
«Ed è questo il problema» disse Dimitri. «Questi Guerrieri sono convinti che Sonya
stia usando qualche stratagemma per mascherare la sua natura Strigoi.»
«Forse hanno qualche metodo per rintracciarli o sistemi di inventario» rifletté Sonya.
«Potrebbero tenere nota dei vari Strigoi dello Stato per tentare di ucciderli.»
«Eppure non sapevano di te» indicai Dimitri. Il suo volto rimase neutrale, ma sapevo
che era difficile per lui ricordare i suoi giorni da Strigoi. «E da quello che so io… tu
eri un personaggio molto più, ehm, noto di Sonya.» Era stato praticamente un gangster
tra gli Strigoi. «Perciò, se non sanno di te, probabilmente non hanno diramazioni a
livello internazionale… o almeno non in Russia.»
Angeline si protese in avanti, incrociò le mani e rivolse a Clarence un sorriso
talmente dolce da ricordare il suo nome. «Come sa di loro? Come vi siete incontrati la
prima volta?»
All’inizio sembrò troppo terrorizzato per rispondere, ma pensai che l’atteggiamento
gentile lo rassicurò. «Beh, hanno ucciso mia nipote, ovviamente.»
Sapevamo tutti che Lee aveva ucciso la nipote di Clarence, ma l’uomo non ci
credeva, come non credeva che Lee fosse morto. «Li ha visti mentre la uccidevano?»
chiese Angeline. «Li ha mai visti tutti insieme?»
«Non quando morì Tamara, no» ammise. I suoi occhi avevano uno sguardo perso in
lontananza, come se stesse osservando nuovamente il passato. «Ma sapevo quali indizi
cercare. Vedete, mi ero imbattuto in loro anche prima di allora. Quando vivevo a Santa
Cruz. A loro piace la California. E la zona sud occidentale. Sarà perché sono fissati col
sole.»
«Cos’è successo a Santa Cruz?» chiese Dimitri.
«Un gruppo dei loro membri giovani cominciò a pedinarmi. Per tentare di
uccidermi.»
Nella stanza ci scambiammo tutti occhiate preoccupate. «Allora danno davvero la
caccia ai Moroi» disse Eddie. Si avvicinò di più a Jill.
Clarence scosse la testa. «Di solito no. Da ciò che mi diceva Marcus, preferiscono
gli Strigoi. Ma questi erano membri giovani e indisciplinati che andavano per conto
loro, all’insaputa dei superiori. Penso che siano stati membri come loro ad uccidere
Tamara.»
«Chi è Marcus?» chiesi.
«Marcus Finch. Mi ha salvato qualche anno fa da un loro attacco. Li ha sconfitti e
poi ha contattato quelli del loro ordine per tenere alla larga da me quei mascalzoni.»
Clarence rabbrividì al ricordo. «Ad ogni modo, dopo l’attacco non rimasi in quel posto.
Me ne andai insieme a Lee. Fu allora che ci trasferimmo a Los Angeles per un po’.»
«Questo Marcus» dissi, «per caso era un guardiano?»
«Era un umano. All’epoca aveva più o meno la tua età. Sapeva tutto sui cacciatori.»
«Suppongo sia vero, se era riuscito ad entrare in contatto con loro» dedusse Dimitri.
«Ma di sicuro dev’essere amichevole con i Moroi, se ti ha aiutato.»
«Oh, sì» disse Clarence. «Lo è davvero molto.»
Dimitri mi guardò. «Pensi che…»
«Sì» dissi, intuendo la sua domanda. «Vedrò di trovare questo Marcus. Sarebbe utile
avere una fonte di informazioni diversa da questi guerrieri pazzi. Farò anche rapporto
su tutto l’accaduto.»
«Anch’io» disse Dimitri.
Nonostante non fosse esperto sui cacciatori come lo era questo misterioso Marcus,
il vecchio Clarence aveva comunque una sorprendente quantità di informazioni da
condividere… informazioni alle quali nessuno di noi aveva mai voluto credere prima
di allora. Ci confermò ciò che avevamo già dedotto, cioè che questi cacciatori
“veneravano la Luce”. L’obiettivo del gruppo erano gli Strigoi (almeno in quel
momento) e pianificavano e organizzavano accuratamente ogni missione di caccia.
Seguivano un insieme ritualizzato di comportamenti, in particolar modo ciò valeva per
i membri più giovani… ed era per questo che il gruppo di furfanti che molestavano
Clarence erano stati fermati. Da ciò che ne sapeva Clarence, il gruppo era molto severo
con le nuove reclute, inculcando in loro il senso di disciplina ed eccellenza.
Poiché il tempo di libertà di Angeline stava volgendo al termine, dovevamo
concludere le cose di lì a breve. Dovevo anche riaccompagnare a casa Adrian, avendo
deciso che fosse meglio evitare che qualcuno pedinasse Dimitri sulla via del ritorno da
Clarence. E poi era evidente che Dimitri fremesse dalla voglia di mettere in moto le
cose. Voleva definire la partenza di Sonya e fare rapporto ai guardiani… in caso fosse
necessario far spostare Jill. Il volto di lei rispecchiava ciò che anch’io temevo potesse
succedere. Ci eravamo affezionate entrambe ad Amberwood.
Mentre Dimitri dava ad Eddie alcune istruzioni dell’ultimo minuto, presi da parte
Sonya per scambiare qualche parola. «Io… ho pensato ad una cosa» le dissi.
Mi studiò attentamente, probabilmente per leggere la mia aura e analizzare il
linguaggio del mio corpo. «A cosa?» rispose.
«Se vuoi… se davvero lo vuoi, puoi avere un po’ del mio sangue.»
Era una confessione davvero grande. Era una cosa che volevo fare? No.
Assolutamente no. Avevo ancora lo stesso istinto di terrore al pensiero di dare il mio
sangue ad un Moroi, seppure per scopi scientifici. Eppure, gli eventi del giorno prima…
e l’attacco nel vicolo… mi avevano portata a rimettere in discussione la mia visione
del mondo. I vampiri non erano gli unici mostri là fuori. Loro erano tutt’altro che
mostri, specie se paragonati ai cacciatori di vampiri. Come potevo giudicare il nemico
in base alla sua razza? Ogni giorno mi rendevo conto che gli umani erano capaci di fare
del male tanto quanto lo erano i vampiri… e che i vampiri erano capaci di fare del bene.
Erano le azioni a contare e quelle di Sonya e Dimitri erano di certo nobili.
Combattevano per distruggere il male più grande di tutti e, per quanto dare il mio
sangue mi facesse schifo, sapevo che aiutarli era la cosa giusta da fare.
Sonya sapeva che per me era un grande sacrificio. Il suo volto rimase calmo…
nessun segno di gioia… annuì con espressione seria. «Ho il mio kit di raccolta qui con
me. Posso prenderne un campione prima che te ne vai, se sei sicura di volerlo fare».
Così presto? Beh, perché no. Era meglio farlo subito… specialmente se Sonya
doveva andarsene di lì a poco in ogni caso. Lo facemmo in cucina, un posto
leggermente più igienico del salotto. Sonya non era un medico, ma quale che fosse
l’addestramento che aveva ricevuto, mi sembrava abbastanza in linea con gli esami
medici che mi era capitato di osservare. Antisettico, guanti e siringa nuova. Seguì tutte
le procedure giuste e, dopo una breve puntura con l’ago, ecco pronto il mio campione
di sangue.
«Grazie, Sydney» disse, dandomi una benda. «So quanto dev’essere stato difficile
per te. Questo campione può aiutarci davvero, credimi.»
«Voglio essere utile» le dissi. «Lo voglio davvero.»
Sorrise. «Lo so. E abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile. Dopo essere stata una
di loro…» il suo sorriso si spense. «Beh, sono ancora più convinta che debbano essere
fermati. Tu potresti essere la soluzione.»
Per un attimo, le sue parole mi indussero a pensare che… io potessi giocare un ruolo
più grande nella lotta contro il male e forse persino fermarlo. Ma subito dopo quel
pensiero fu sostituito dal mio solito panico. No. No. Non ero affatto speciale. Non
volevo esserlo. Mi sarei senz’altro impegnata ad aiutare, ma di sicuro non avrebbe fatto
alcuna differenza.
Tornai a prendere gli altri. Adrian e Jill discutevano seriamente in un angolo della
stanza. Anche Eddie ed Angeline stavano parlando e la sentii dire «Per sicurezza starò
più tempo con Jill a scuola. Non possiamo permettere che le capiti qualcosa o che
qualcuno la riconosca.»
Eddie annuì e sembrò sorpreso da ciò che aveva detto lei. «Concordo». Perfetto,
pensai.
Ci avviamo in macchina con tutto il gruppo e andammo in centro ad accompagnare
Adrian. Mentre mi avvicinavamo a casa sua, vidi una cosa che mi fece restare a bocca
aperta. Fui colta da ammirazione e incredulità allo stesso tempo. Dopo il parcheggio
peggiore della mia vita, spensi di botto Caffellatte ed uscii dalla macchina strappando
le chiavi dal quadro. Gli altri mi seguirono poco dopo.
«Cosa» annaspai «è quella?»
«Oh» disse Adrian con noncuranza. «È la mia nuova macchina.»
Mi avvicinai un po’ e poi mi fermai, perché avevo paura di proseguire, proprio come
fossi al cospetto di un re. «È una Ford Mustang Convertible del ‘67» dissi, conscia del
fatto che i miei occhi sarebbero saltati fuori dalle orbite di lì a breve. Cominciai a girare
intorno alla macchina. «È stato l’anno in cui hanno fatto una grande revisione del
modello, aumentandone le dimensioni per stare al passo con macchine dalle prestazioni
altrettanto elevate. Vedete? È il primo modello con le luci posteriori concave, ma
l’ultimo a riportare il logo Ford sulla parte anteriore fino al 1974.»
«Ma che colore sarebbe quello?» chiese Eddie, non suonando affatto sorpreso.
«Giallo primavera» esclamammo io ed Adrian in coro.
«Avrei azzardato uno “chiffon limonato”» disse Eddie. «Potreste farla riverniciare.»
«No!» esclamai. Gettai la borsa sull’erba e toccai con cura la parte laterale della
macchina. La nuova Mustang di Brayden all’improvviso sembrava così normale. «È
stata ritoccata un po’, ovviamente, ma questo è il colore classico. Che codice di motore
ha? C, giusto?»
«Ehm… non ne sono sicuro», disse Adrian. «So che ha un motore V8.»
«Ma certo che lo ha» dissi. Mi trattenni dall’alzare gli occhi al cielo. «Un motore
289. Voglio sapere quanti cavalli ha.»
«Probabilmente sulla documentazione c’è scritto» disse Adrian incerto.
Solo in quel momento mi resi realmente conto delle parole che Adrian aveva detto
poco prima. Lo guardai, sapendo di apparire totalmente incredula. «Questa è davvero
la tua macchina?»
«Sì» disse. «Te l’ho detto. Il mio vecchio mi ha prestato i soldi per comprarne una.»
«E hai comprato proprio questa?» spiai dal finestrino. «Bella. Interni neri, cambio
manuale.»
«Già» disse Adrian, con una leggera agitazione nella voce. «È questo il problema.»
Lo guardai. «Che problema ci sarebbe? Il nero è favoloso. E la pelle dei sedili è in
condizioni fantastiche. Come tutto il resto della macchina.»
«No, non mi riferisco agli interni. Ma al cambio. Non so guidare le auto con cambio
manuale».
Mi bloccai. «Non sai guidare col cambio manuale?»
«Nemmeno io» disse Jill.
«Ma tu non hai nemmeno la patente» le ricordai. Anche se mia madre mi aveva
insegnato a guidare prima di prendere la patente… sia con il cambio automatico che
manuale. Sapevo di non dover essere sorpresa del fatto che i cambi manuali fossero
ormai sopravvalutati, per quanto mi sembrasse barbara una tale mancanza. Ma tutto
ciò, ovviamente, passava in secondo piano a confronto con l’altro ovvio problema. «Ma
perché mai hai comprato un’auto del genere, se non sai guidare con il cambio manuale?
Ci sono un sacco di altre macchine… anche nuove… col cambio automatico. Sarebbe
stato mille volte più semplice.»
Adrian fece spallucce. «Mi piace il colore. Si abbina al mio salotto.»
Eddie soffocò una risata.
«Ma non sai guidarla» gli feci notare.
«Ho pensato che non potrà essere così difficile.» Adrian sembrava palesemente poco
preoccupato della blasfemia che aveva appena detto. «Farò pratica girando nell’isolato
un paio di volte e capirò come fare.»
Non riuscivo a credere a ciò che stavo sentendo. «Cosa? Ma sei fuori di testa? La
rovinerai, se non sai cosa fare!»
«Che altro dovrei fare?» chiese. «Mi insegni tu?»
Mi voltai nuovamente verso la bellissima Mustang. «Sì» dissi risoluta. «Se questo è
ciò che devo fare per salvarla dalle tue grinfie.»
«Ti posso insegnare anch’io» disse Eddie.
Adrian lo ignorò totalmente e si rivolse a me. «Quando possiamo iniziare?»
Diedi uno sguardo al mio diario scolastico, sapendo che la mia priorità assoluta era
la futura conversazione con gli Alchimisti riguardo i Guerrieri della Luce. In quel
momento, trovai un’ovvia soluzione. «Oh. Quando andiamo da Wolfe questa
settimana. Ci andiamo con questa macchina.»
«Lo fai davvero per aiutarmi?» mi chiese Adrian. «O vuoi solo guidare la
macchina?»
«Entrambe le cose» dissi, per niente imbarazzata ad ammetterlo.
Il tempo di Angeline stava per scadere, perciò dovemmo andarcene. Avevo
oltrepassato tre isolati, quando mi resi conto di aver lasciato la borsa sull’erba. Con un
lamento, feci inversione e tornai da Adrian. La mia borsa era là, ma la Mustang non
c’era più.
«Dov’è la macchina?», chiesi, in preda al panico. «Nessuno avrebbe potuto rubarla
in così poco tempo».
«Oh» disse Jill dal sedile posteriore, leggermente agitata. «L’ho visto tramite il
legame. Lui, ehm, l’ha spostata.»
Era utile avere il legame come fonte di informazioni, ma le sue parole mi
spaventarono più dell’ipotesi del furto. «Lui cosa?»
«Non è lontana» aggiunse in fretta. «È dietro il palazzo. Questa strada ha delle strane
regole riguardo i parcheggi notturni.»
Feci una smorfia. «Beh, sono contenta che non verrà rimossa, ma avrebbe dovuto
farla spostare a me! Anche se non ci è andato molto lontano, potrebbe aver rovinato il
cambio.»
«Sono certa che sia a posto», disse Jill. C’era qualcosa di strano nella sua voce.
Non risposi. Jill non era un’esperta di auto. Nessuno di loro lo era. «È come lasciare
libero un neonato in una stanza piena di porcellana» borbottai. «A cosa pensava? A
niente di tutto questo?»
Nessuno aveva una risposta adatta alla domanda. Rientrammo ad Amberwood in
tempo per il coprifuoco di Angeline e mi ritirai nella sanità e nella calma della mia
camera. Accertatami che i miei amici fossero ben sistemati per la notte, scrissi un’e-
mail a Donna Stanton (un’Alchimista di alto livello con la quale avevo
inspiegabilmente sviluppato un buon rapporto) per parlarle dei cacciatori e di ciò che
avevo scoperto. Feci anche delle foto dell’opuscolo e le allegai all’e-mail. Una volta
finito, mi fermai a pensare se non ci fossero altre informazioni utili da darle.
Fu solo quando ebbi esaurito tutte le opzioni (e aggiornato la mia casella di Posta in
arrivo un paio di volte per vedere se aveva già risposto) che decisi di concentrarmi sui
miei compiti. Come al solito, ero abbastanza avanti con tutti… tranne uno.
Quello della signora Terwilliger.
Quello stupido libro stava sulla scrivania a guardarmi, come se mi stesse sfidando
ad aprirlo. Avevo ancora qualche giorno prima della consegna dell’incantesimo, per
cui avrei potuto rimandare. Tuttavia, cominciavo ad accettare il fatto che questo
compito non si sarebbe svolto da solo. Considerando quanto tempo occorreva per
prepararsi a fare alcuni incantesimi, pensai fosse meglio stringere i denti e levarmelo
di torno.
Decisa, portai il libro sul letto e lo aprii all’indice, cercando alcuni degli incantesimi
dei quali mi aveva parlato la Terwilliger. Mi si contorse lo stomaco a vederne certi,
perché ogni mio istinto mi diceva quanto fosse sbagliato persino provare a farli. La
magia è dei vampiri, non degli umani.
Continuavo a pensarla così, ma la parte analitica della mia mente non poté fare a
meno di applicare alcuni degli incantesimi di difesa a varie ipotetiche situazioni.
Proprio come per la mia decisione di dare il mio sangue, i recenti avvenimenti avevano
cambiato la mia visione del mondo. La magia era sbagliata? Sì. Ma quell’incantesimo
di cecità sarebbe stato molto utile in quel vicolo. Avrei potuto usare anche un altro
incantesimo per immobilizzare temporaneamente i cacciatori e scappare dal bar. Certo,
durava solo trenta secondi, ma sarebbe stato più che sufficiente a permettermi di
scappare.
Ed andai avanti così col resto dell’elenco. Erano tutti incantesimi così sbagliati,
eppure… così utili. Se non avessi visto l’incantesimo di fuoco che avevo usato per
mandare a fuoco uno Strigoi, non avrei mai creduto che cose del genere fossero
possibili. Ma lo erano eccome.
Così tanto potere… potermi difendere da sola…
All’improvviso, mi rimproverai da sola per averlo pensato. Non avevo bisogno di
potere. Era quello il tipo di pensiero che aveva portato quel maniaco di Liam a
desiderare di diventare uno Strigoi. Ma… era davvero la stessa cosa? Io non volevo
l’immortalità. Non volevo fare del male ad altri. Volevo solo proteggere me stessa e le
persone a me care. Wolfe aveva tanto da insegnarmi, ma le sue tecniche di prevenzione
non sarebbero state d’aiuto, se quei cacciatori di vampiri avessero di nuovo attaccato
me e Sonya in un vicolo. Col passare del tempo, diventava sempre più chiaro che i
cacciatori erano molto determinati.
Tornai all’indice, trovando degli incantesimi molto utili, ma molto al di fuori delle
mie capacità. Secondo la signora Terwilliger, avevo un eccellente potenziale magico
innato (cosa alla quale non credevo molto), anche grazie al mio rigoroso addestramento
di Alchimista sul senso della misura e di attenzione ai dettagli. Non era difficile
immaginare quanto tempo mi ci sarebbe voluto per padroneggiare uno di quegli
incantesimi.
La domanda era: quale? Quale incantesimo dovevo fare?
La risposta era stranamente semplice.
Avevo il tempo di farli tutti.
CAPITOLO 17 Traduzione: ohmahgawdtawny
Pre-Revisione: Medea Knight
LA MACCHINA DI ADRIAN ANDAVA CHE ERA UN SOGNO.
Quando mi misi dietro al volante, quasi mi dimenticai di tutto il resto. Anzi, avevo
quasi dimenticato che dovevamo andare da Wolfe e mostrare ad Adrian come usare il
cambio manuale. Ero rapita dal modo in cui il motore rombava intorno a noi e
dall’odore della pelle dei sedili. Lasciando il suo quartiere, dovetti trattenermi dal
premere l’acceleratore a tavoletta e scorrazzare per le strade affollate del centro di Palm
Springs. Questa era una di quelle macchine che urlavano di essere lasciate libere su una
strada aperta. Avevo ammirato la Mustang di Brayden, ma questa la veneravo.
«Mi sento come se stessi rovinando l’appuntamento di qualcuno» Adrian commentò,
una volta imboccata l’autostrada. Nessuno ci aveva seguito fuori dal centro e questo
mi faceva sentire molto più al sicuro. «Come se fossi il terzo incomodo tra voi due. Se
mi vuoi abbandonare da qualche parte, capirei.»
«Eh?»
Stavo prestando particolare attenzione al fatto che la macchina fosse stata costruita
per velocità più elevate, sia grazie al suono che alle sensazioni. La Mustang era in
splendida forma. Le persone pensano spesso che le macchine d’epoca siano costose.
Lo sono… se in buone condizioni. La maggior parte non lo sono. Quando una cosa non
viene curata per anni, è inevitabile che si rovini ed è per questo che molte macchine
vecchie sono spesso dei rottami. Ma non quella di Adrian. La sua era stata mantenuta
e restaurata nel corso gli anni e, probabilmente, non aveva mai lasciato lo stato della
California… il che voleva dire che non aveva mai affrontato duri inverni. Tutto questo,
aggiunto al prezzo elevato, risultava ancor più ridicolo, dato che Adrian aveva
comprato una cosa che non sapeva nemmeno guidare.
Gemetti. «Scusa... Non so che mi era preso.» Beh, più o meno lo sapevo. Mi stavo
domandando quante sarebbero state le probabilità di una multa, se avessi infranto i
limiti di velocità per vedere quanto veloci potevamo andare. «Avrei dovuto darti
lezioni appena ho acceso la macchina. Prometto che lo farò appena torneremo da
Wolfe, tutti i passaggi. Per adesso, immagino di poter ricapitolare le basi. Questa è la
frizione...»
Adrian non sembrava infastidito dalla mia distrazione. Anzi, sembrava divertito e
ascoltò le mie spiegazioni con un lieve sorriso tranquillo stampato in faccia.
Wolfe sembrava un tipo poco raccomandabile proprio come l’ultima volta, completo
di benda all’occhio e di quelli che sospettavo fossero i bermuda dell’altra volta. Sperai
che avesse fatto il bucato da allora. Nonostante le apparenze, era pronto a cominciare
quando la nostra classe si raggruppò e sembrava competente nella sua materia. Sebbene
ci ricordò ancora dell’importanza di evitare i conflitti e dell’essere consapevoli di cosa
ci circondasse, passò velocemente oltre e si concentrò sull’effettiva pratica di metodi
di autodifesa.
Considerando quanto si fosse lamentato Adrian l’ultima volta del "noioso" discorso
sulla sicurezza, immaginai si sentisse eccitato del fatto che saremmo passati
direttamente all’azione. Invece, quello sguardo divertito di poco prima era scomparso
e diventava sempre più teso mentre Wolfe spiegava cosa voleva che facessimo nella
nostra sessione pratica a coppie.
Quando arrivò l’effettivo momento della pratica, Adrian sembrava palesemente
infelice.
«Qual è il problema?» domandai. Ricordai improvvisamente l’ultima volta, quando
Adrian era andato fuori di testa dopo il mio "attacco". Forse non si aspettava di dover
lavorare qui. «Forza, è facile. Non ti sporcherai.»
Anche mentre insegnava azioni di combattimento, Wolfe era sempre convinto di
dover fare le cose in modo semplice e veloce. Non dovevamo imparare a picchiare
qualcuno. Quelle manovre avevano lo scopo di distrarre l’assalitore, per poi poter
scappare. La maggior parte delle mosse venivano fatte con l’ausilio di manichini, dal
momento che difficilmente potevamo provare a infilarci le dita negli occhi a vicenda.
Adrian affrontò le manovre con diligenza, anche se in silenzio. Fu quando lavorò
direttamente con me che sembrò avere problemi.
Se n’era accorto anche Wolfe, andando in giro a controllare le coppie. «Forza,
ragazzo! Non può provare a scappare se tu non provi a bloccarla. Non ti farà del male
e tu non ne farai a lei.»
La manovra in questione sarebbe tornata davvero utile la sera in cui ero stata braccata
nel vicolo. Quindi, ero ansiosa di metterla in pratica e frustrata dal fatto che Adrian
continuasse a collaborare svogliatamente. Avrebbe dovuto mettermi un braccio attorno
al torso e provare a coprirmi la bocca. Sfortunatamente, i suoi sforzi erano così penosi
e la sua presa così debole, che non ebbi bisogno di nessuna tecnica speciale per
liberarmi. Avrei potuto semplicemente uscire dalle sue braccia.
In presenza di Wolfe, Adrian faceva leggermente meglio la parte dell’assalitore, ma
una volta soli tornava subito alle mosse di prima. «Facciamo a cambio» dissi infine,
volendomi quasi strappare i capelli. «Prova a sfuggirmi. Rimedia all’ultima volta che
ti ho attaccato.»
Stentavo a credere che il problema in quel posto sarebbe stato la fiacchezza di
Adrian. Mi sarei aspettata che il problema sarei stata io, che non volevo toccare un
vampiro, ma non mi infastidiva per niente. Non pensavo a lui come a un vampiro. Lui
era Adrian, il mio compagno in quel corso. Avevo bisogno che imparasse quella mossa.
Era stato tutto molto pratico. Se non l’avessi conosciuto bene, avrei quasi pensato che
Adrian avesse quasi paura di toccarmi, cosa che non aveva alcun senso. I Moroi non
hanno di questi problemi. C’era qualcosa di sbagliato in me? Perché Adrian non voleva
toccarmi?
«Cosa c’è?» gli chiesi, una volta in macchina, diretti di nuovo in città. «Ho capito
che non sei un atleta, ma cosa è successo poco fa?»
Adrian rifiutò di incrociare il mio sguardo, e lo lasciò, invece, fisso fuori dal
finestrino. «Non penso che questa cosa faccia per me. Mi piaceva fare la parte dell’eroe
prima, ma ora... Non lo so. È una pessima idea. C’è più lavoro di quanto mi aspettassi.»
C’era quel tono scherzoso, ma altezzoso nella sua voce che non avevo sentito da un
po’.
«Cosa è successo alla versione di te che finisce le cose che ha iniziato?» gli chiesi.
«Mi hai detto che eri cambiato.»
«Quello valeva per l’arte» disse Adrian velocemente. «Li sto ancora frequentando
quei corsi, no? Non li ho abbandonati. È solo che questo non lo voglio fare più. Non ti
preoccupare. Ora che ho più soldi, ti ridarò i soldi per la lezione. Non ci rimetterai
nulla.»
«Ma non importa» dissi io. «È comunque uno spreco! Specialmente perché quello
che Wolfe ci sta facendo vedere non è davvero poi così difficile. Non ci stiamo facendo
a pezzi come farebbero Eddie e Angeline. Perché è così difficile per te continuare a
imparare?» Il mio dubbio precedente ritornò. «È perché non vuoi lavorare con me?
C’è... c’è qualcosa di sbagliato in me?»
«No! Ovviamente no. Assolutamente no,» disse Adrian. Con la coda dell’occhio,
finalmente lo vidi guardarmi. «Forse è solo perché ho tante cose da imparare in una
sola volta. Cioè, dovrei anche imparare a guidare con il cambio manuale. Non che mi
aspetti di farcela.»
Volevo tirarmi una sberla in fronte. Nella mia frustrazione dopo la lezione, mi ero
completamente dimenticata, di nuovo, che dovevo insegnare ad Adrian a guidare. Mi
sentii un’idiota, anche se ero ancora arrabbiata con lui per essersi arreso con Wolfe.
Controllai l’ora. Quella sera avevo delle cose da fare a Amberwood, ma mi sentii in
dovere di rimediare ai miei insegnamenti scadenti.
«Faremo pratica una volta arrivati nel tuo quartiere,» promisi. «Inizieremo
lentamente e ti mostrerò tutto quello che devi fare. Potrei anche lasciarti provare a
guidare intorno all’edificio stasera, se presterai abbastanza attenzione alla lezione.»
La trasformazione di Adrian fu notevole. Passò da accigliato e contrariato ad allegro
ed energico. Non riuscivo a capire. Certo, trovavo affascinanti le macchine e la guida,
ma tecnicamente parlando, c’erano molti più dettagli da imparare sul cambio manuale
rispetto a quelli delle tecniche evasive di Wolfe. Perché erano così difficili per lui,
mentre la frizione era così semplice?
Mi fermai per circa un’ora una volta arrivati. In sua difesa, Adrian prestò attenzione
a ogni singola parola che dissi, nonostante i suoi risultati furono incoerenti ogni volta
che gli chiedevo o gli lasciavo fare qualcosa. A volte sembrava un professionista. Altre
volte, sembrava totalmente perso su cose che avrei potuto giurare avesse capito. Per la
fine dell’ora, mi sentivo abbastanza sicura a lasciarlo guidare a bassa velocità, su strade
vuote. Ci sarebbe voluto di gran lunga più tempo per l’autostrada o il viavai di una
grande città.
«Mi sembra che serviranno altre lezioni in futuro» gli dissi quando finimmo.
Parcheggiai l’auto sul retro dell’edificio e ci dirigemmo verso l’entrata principale dove
c’era Latte. «Non spostare la macchina oltre un mezzo miglio. Ho controllato il
contachilometri. Me ne accorgerò.»
«Recepito» disse, ancora con quel sorriso sbarazzino. «A quando la prossima
lezione? Vuoi tornare domani sera?»
«Non posso» dissi. «Devo uscire con Brayden.» ero sorpresa da quanto non vedessi
l’ora di farlo. Non volevo solo scusarmi con lui per il ballo, ma volevo anche un pizzico
di normalità… beh, almeno quel tipo di normalità che avevamo io e Brayden insieme.
In più, le cose con Adrian erano molto strane...
«Oh». Il sorriso di Adrian scomparve. «Beh. Capisco. Cioè, amore e romanticismo
e roba del genere.»
«Andremo al museo tessile» dissi. «È figo, anche se non so quanto amore e
romanticismo ci saranno.»
Adrian quasi si bloccò. «C’è un museo tessile qui? Cosa fanno le persone là dentro?»
«Beh, guardano... ehm, i tessuti. C’è davvero una grande mostra su…»
Mi fermai appena raggiunta la facciata del palazzo. Lì, dietro Caffellatte, c’era una
macchina familiare, quella noleggiata che usavano Sonya e Dimitri. Guardai Adrian
con aria interrogativa.
«Li aspettavi per stasera?»
«No» disse, dirigendosi verso la porta. «Hanno la chiave, comunque, quindi
suppongo che possano entrare quando vogliono. Lo fanno spesso, in verità. Lui mangia
il mio cibo e lei usa i miei prodotti per capelli.»
Lo seguii. «Speriamo che ci sia solo Dimitri.»
Dopo le nostre recenti rivelazioni sui Cacciatori, Sonya era sotto arresti domiciliari.
O almeno era quello che pensavo. Quando entrammo nell’appartamento, lei era seduta
sul divano. Nessun Dimitri in vista. Alzò lo sguardo dal suo computer, verso di noi.
«Grazie al cielo sei qui» disse, rivolgendosi a me. «Jill ha detto che eravate fuori e
speravo di beccarti qui.»
Qualcosa mi diceva che non sarebbe uscito niente di buono dal fatto che volesse
"beccarmi", ma avevo preoccupazioni peggiori. «Cosa ci fai qui?» le chiesi, quasi
aspettandomi che i cacciatori entrassero dalla porta. «Dovresti stare da Clarence fino a
quando non lascerai la città.»
«Dopodomani» confermò. Si alzò, con gli occhi accesi da quel qualcosa che l’aveva
guidata fino a lì. «Ma avevo bisogno di parlare con te… faccia a faccia.»
«Sarei venuta io da te» protestai. «Non è sicuro per te stare in giro.»
«Sto bene» disse. «Mi sono accertata che nessuno mi seguisse. Era troppo
importante.»
Era senza fiato ed eccitata.
Più importante dell’essere catturati da degli aspiranti cacciatori di vampiri? Non
credo.
Adrian incrociò le braccia e apparve sorprendentemente critico «Beh, comunque è
troppo tardi. Che succede?»
«Abbiamo i risultati del sangue di Sydney» spiegò Sonya.
Il mio cuore si fermò. No, pensai. No, no, no.
«Proprio come con il sangue di Dimitri, non c’è niente di fisiologico,» disse. «Niente
di anomalo con le proteine, gli anticorpi o cose del genere.»
Provai sollievo. Avevo ragione. Non c’era niente di speciale in me, niente proprietà
inspiegabili. Eppure... allo stesso tempo, mi sentii un po’ dispiaciuta. Non ero io quella
che poteva aggiustare tutto.
«Lo abbiamo mandato a un laboratorio Moroi stavolta, non ad uno degli Alchimisti»
continuò Sonya. «Uno dei ricercatori – specializzato nella terra – ha avvertito magia
della terra. Proprio come io e Adrian abbiamo sentito lo spirito nel sangue di Dimitri.
Il tecnico l’ha fatto esaminare ad altri specializzati in altri elementi e tutti e quattro gli
elementi base sono stati rilevati.»
Il panico ritornò. Mi aveva portato su una montagna russa di emozioni, una che mi
faceva venire la nausea.
«Magia... nel mio sangue?» Un momento dopo, capii. «Ovvio che ce n’è.» Dissi
lentamente. Mi toccai la guancia. «Il tatuaggio ha dentro sangue di vampiro e magia.
Ecco cos’è. Ci sono diversi tipi di incantesimi dentro, fatti da parte di diversi
specializzati. È ovvio che lo si sarebbe visto dal mio sangue.»
Rabbrividii. Anche con una spiegazione logica, era una cosa spaventosa accettare
che ci fosse della magia nel mio sangue. Gli incantesimi della signorina Terwilliger
erano ancora una cosa detestabile per me, ma almeno era confortante sapere che la
magia provenisse da fuori. Ma sapere che avevo qualcosa dentro me? Era terrificante.
E nonostante tutto, non potevo sorprendermi della scoperta, non con il tatuaggio. Sonya
annuì. «Sì, certo. Ma deve esserci qualcosa riguardo a quella combinazione che
respinge gli Strigoi. Potrebbe essere la chiave di tutto il nostro lavoro!»
Con mia sorpresa, Adrian mosse alcuni passi verso di me con una postura tesa, quasi
ferocemente protettiva.
«Quindi sai che il sangue di un Alchimista è magico» disse. «Questa non è una
sorpresa. Caso chiuso. Cosa vuoi da lei adesso?»
«Un altro campione per cominciare» disse Sonya ardentemente. «Non ce n’è più
nella fiala originale che ho preso, dopo aver fatto tutti i test. So che suona strano, ma
sarebbe utile anche se un Moroi... ecco, assaggiasse il tuo sangue per vedere se ha gli
stessi poteri repulsivi che ha contro gli Strigoi. Il sangue fresco sarebbe l’ideale, ma
non mi sono illusa abbastanza da chiederti di sottoporti a un nutrimento. Dovremmo
semplicemente poter usare il tuo campione e…»
«No» dissi. Incespicai all’indietro, disgustata. «Assolutamente no. Che sia attraverso
il mio collo o una fiala, non esiste che farò assaggiare a qualcuno il mio sangue. Lo
sai quanto è sbagliato? Lo so che lo fate continuamente con i donatori, ma non sono
una di loro. Non avrei mai dovuto darti il primo campione. Non hai bisogno di me per
questo. La chiave è lo Spirito. Lee è la prova che quelli che devi analizzare sono gli ex
Strigoi.»
Sonya non fu intimidita dal mio sfogo. Proseguì, seppur con un tono più gentile.
«Capisco la tua paura, ma pensa a tutti i possibili utilizzi! Se qualcosa nel tuo sangue
ti rendesse resistente agli Strigoi, allora tu potresti salvare un numero infinito di vite.»
«Gli Alchimisti non sono resistenti» dissi. «Quel tatuaggio non è protettivo per noi,
se è a questo che stai puntando. Pensi che durante tutta la nostra storia, non ci sia
neanche un Alchimista che si è trasformato in Strigoi?»
«Beh, ovviamente» disse. Le sue parole erano esitanti e mi incoraggiarono a
proseguire.
«Quindi, la magia che hai trovato in me è irrilevante. È solo un tatuaggio. Tutti gli
Alchimisti lo hanno. Magari non ha un buon sapore, ma il sangue Alchimista non ha
niente a che fare con la trasformazione in Strigoi. Succede ancora anche a noi.» Stavo
straparlando, ma non mi importava.
Sonya parve perplessa, la sua mente stava esaminando le possibili implicazioni delle
nuove notizie. «Ma il sangue di tutti gli Alchimisti ha un brutto sapore? Se è così, come
potrebbe uno Strigoi prosciugarli?»
«Magari varia da persona a persona» dissi. «O forse alcuni Strigoi sono più resistenti
di altri. Non lo so. Ma in ogni caso, non siamo noi quelli su cui bisogna concentrarsi.»
«A meno che non ci sia semplicemente qualcosa di speciale in te» riflettè Sonya.
No. Non lo volevo. Non volevo essere analizzata, bloccata dietro a un vetro come
Keith. Non avrei potuto. Pregai che non vedesse quanto ero spaventata.
«C’è molto di speciale in lei» disse Adrian, asciutto. «Ma il suo sangue non è in
vendita. Perché continui ad insistere dopo l’ultima volta?»
Sonya fulminò Adrian. «Non lo sto facendo per ragioni egoiste, lo sai! Voglio
salvare la nostra gente. Voglio salvare tutta la nostra gente. Non voglio vedere nessun
nuovo Strigoi in questo mondo. Nessuno dovrebbe vivere in quel modo.» Uno sguardo
tormentato scintillò nei suoi occhi, come se un ricordo si fosse impadronito di lei.
«Quel tipo di sete di sangue e la completa mancanza di empatia per ogni altra creatura
vivente... nessuno può immaginare com’è. Ti senti vuoto. Un incubo vagante, eppure...
non ti interessa e basta...»
«Curioso» disse Adrian, «dato che hai voluto diventare uno Strigoi di tua spontanea
volontà.» Sonya impallidì e io mi sentii a pezzi. Apprezzavo le difese di Adrian, però
provavo anche pietà per Sonya. Mi aveva spiegato in passato che l’instabilità dello
Spirito - la stessa instabilità che Adrian temeva – l’aveva indotta a trasformarsi in uno
Strigoi. Rivalutando la sua decisione, se ne pentì più di qualsiasi altra cosa nella vita.
Si sarebbe sottoposta a una punizione, ma nessun tribunale sapeva come gestire la sua
situazione.
«Farlo è stato un errore» disse fredda. «L’ho imparato a mie spese… è proprio per
questo che sono così ansiosa di salvare gli altri da quel destino.»
«Beh, allora trova un modo per farlo senza mettere in mezzo Sydney! Lo sai come
si sente riguardo a noi...» Adrian vacillò mentre mi guardava e fui sorpresa di notare
un po’ di amarezza nella sua voce. «Lo sai come si sentono gli Alchimisti. Continua a
coinvolgerla e la metterai nei guai con loro. E se sei così convinta che loro abbiano le
risposte, chiedi dei volontari e fai degli esperimenti in questo modo.»
«Potrei aiutare» Mi offrii. «Potrei procurarti dei soggetti autorizzati. Potrei parlare
con i miei superiori. A loro piacerebbe sterminare gli Strigoi quanto te.»
Quando Sonya non le rispose, Adrian indovinò il perché. «Sa che direbbero di no,
Sage. Ecco perché si sta rivolgendo direttamente a te e perché non hanno mandato il
tuo sangue a un laboratorio Alchimista.»
«Perché non riuscite a capire quanto questo sia importante?» Chiese Sonya, con un
disperato desiderio di fare del bene negli occhi. Mi fece sentire colpevole e combattuta.
«Lo capisco» disse Adrian. «Credi che non voglia vedere ogni singolo bastardo
Strigoi sparire dalla faccia della terra? Certo che lo voglio! Ma non al costo di forzare
le persone a fare cose che non vogliono fare.»
Sonya gli lanciò uno sguardo lungo e misurato. «Penso che tu stia lasciando che i
tuoi sentimenti interferiscano con tutto questo. Le tue emozioni rovineranno la nostra
ricerca.»
Lui sorrise. «Bene, allora. Sii grata che ti libererai di me tra due giorni.»
Sonya ci guardò entrambi, sembrò sul punto di protestare, ma poi ci ripensò. Senza
altre parole se ne andò, con lo sguardo sconfitto. Mi sentii lacerata di nuovo. In teoria,
sapevo che aveva ragione... solo che il mio stomaco non era d’accordo.
«Non volevo turbarla» dissi alla fine.
La faccia di Adrian non mostrò alcuna comprensione. «Lei non avrebbe dovuto
turbarti. Lo sa come ti senti.»
Mi sentivo ancora un po’ in colpa, eppure non potevo scrollarmi di dosso la
sensazione che se avessi ceduto, mi avrebbero chiesto sempre di più. Ripensai al giorno
in cui Eddie e Dimitri erano stati ricoperti dalla magia dello spirito. Non avrei mai
potuto essere coinvolta fino a quel punto. Mi stavo già spingendo ben oltre i miei limiti.
«Lo so... ma è dura» dissi. «Mi piace Sonya. Le ho dato la prima fiala, capisco perché
pensasse che la seconda sarebbe stata facile da ottenere.»
«Non importa» disse lui. «No è no.»
«Lo chiederò davvero agli Alchimisti» dissi. «Magari ci aiutano.» Non pensai che
avrei dovuto affrontare così tanti guai per quella prima fiala. Gli Alchimisti
approvavano gli esperimenti iniziali dopotutto, anzi probabilmente avrei guadagnato
punti per aver resistito alle pressioni di una vampira per l’ottenimento di un secondo
campione.
Lui scrollò le spalle. «Se aiutano, perfetto. Se non lo fanno, non è una tua
responsabilità.»
«Beh, grazie per essere galantemente corso in mia difesa di nuovo» Lo stuzzicai.
«Forse riusciresti meglio negli allenamenti di Wolfe, se dovessi proteggere qualcun
altro e non te stesso?»
Il sorriso di poco prima riapparve. «È che non mi piacciono i bulli, tutto qui.»
«Ma dovresti tornare da Wolfe con me» lo esortai. «Hai bisogno di una chance per
provare ad attaccarmi.»
Dopo quella frase, divenne di nuovo serio. Distolse lo sguardo. «Non lo so, Sage.
Vedremo. Per adesso, concentriamoci sulla guida… quando ti liberi del tuo ragazzo,
ovviamente.»
Me ne andai poco dopo, ancora confusa dal suo strano comportamento. Era uno dei
strani effetti dello spirito sulla mente? In un momento era coraggioso e protettivo.
Quello dopo, era giù di morale e ostinato. Forse c’era uno schema o qualche tipo di
ragionamento dietro tutto il suo comportamento, ma andava oltre le mie abilità
analitiche.
Tornata alla Amberwood, mi diressi immediatamente in biblioteca per prendere un
libro per la mia lezione di inglese. La signorina Terwilliger aveva alleggerito il mio
solito carico di studio in modo che potessi "dedicare più tempo" a fare pratica con i
suoi incantesimi. Da quando il suo studio indipendente - che avrebbe dovuto essere il
mio corso a scelta facile - mi prendeva molto più tempo delle mie altre lezioni, era
piacevole fare una cosa diversa tanto per cambiare. Mentre me ne andavo dalla sezione
di Letteratura Inglese, scorsi Jill e Eddie che studiavano insieme a un tavolo. Non era
quella la cosa strana. La cosa strana era che Mycah non era con loro.
«Ehi, ragazzi» dissi, scivolando su una sedia. «Vi siete messi sotto col lavoro?»
«Sai quanto sarebbe strano dover ripetere il mio ultimo anno?» Chiese Eddie. «Non
posso neanche fregarmene. Devo prendere voti decenti così posso rimanere qui.»
Sogghignai. «Ehi, vale sempre la pena acculturarsi.»
Tamburellò sui fogli di fronte a lui. «Sì? Sai qualcosa della prima donna che vinse
il premio Pulitzer per la narrativa?»
«Edith Wharton,» dissi automaticamente. Scarabocchiò qualcosa sui suoi fogli,
mentre mi rivolsi a Jill. «Come va? Dov’è Micah?»
Jill si teneva il mento con la mano e mi stava fissando con il più strano degli sguardi.
Era quasi... sognante. Le servirono un paio di minuti per emergere dal suo stordimento
e rispondere. Lo sguardo sognante divenne poi imbarazzato e costernato. Abbassò lo
sguardo sul suo libro.
«Scusa. Stavo solo pensando a quanto stai bene vestita di grigio. Cosa mi hai
chiesto?»
«Micah?» Ripetei.
«Oh. Giusto. Aveva... delle cose da fare.»
Ero abbastanza sicura che fosse la spiegazione più breve che mi avesse mai dato.
Provai a ricordare l’ultima cosa che sapevo della loro relazione. «Avete chiarito, vero?»
«Sì. Suppongo. Ha capito il fatto del Ringraziamento.» Si illuminò. «Ehi, Eddie e io
ne stavamo giusto parlando. Pensi che potremmo festeggiare un Ringraziamento in
stile grande famiglia da Clarence? Pensi che ci sarebbero problemi? Potremmo aiutare
tutti, sarebbe molto divertente. Cioè, a parte per la copertura, siamo davvero come una
famiglia. Eddie dice che potrebbe fare lui il tacchino.»
«Penso che a Clarence piacerebbe come idea,» dissi, felice di vederla allegra di
nuovo. Poi, ripensai alle sue ultime parole. Mi rivolsi a Eddie incredula. «Sai cucinare
il tacchino? E come lo avresti imparato?» Da quello che sapevo, la maggior parte dei
dhampir stavano all’incirca un anno a scuola sin da piccoli. Non c’era molto tempo per
la cucina.
«Ehi» disse, serio. «Vale sempre la pena acculturarsi.»
Jill rise. «Non vuole dirlo neanche a me.»
«Sai, Angeline dice di saper cucinare,» disse Eddie. «Ne parlavamo a colazione.
Dice di saper cucinare anche il tacchino, così se facciamo gioco di squadra, possiamo
farcela. Probabilmente vorrà cacciarlo e ucciderlo lei stessa.»
«Probabilmente,» dissi. Era meraviglioso come lui potesse pensare di lavorare con
lei a qualcosa. Era ancora più meraviglioso che parlasse di lei con affetto, senza prese
in giro. Cominciavo a pensare sempre di più che il suo spettacolo all’assemblea fosse
stata una buona cosa. Non avevamo bisogno di animosità nel gruppo. «Beh, ho trovato
ciò che mi serviva, per cui me ne vado. Ci vediamo domattina.»
«Ci vediamo» disse Eddie.
Jill non disse niente, e quando la guardai, vidi che mi stava ancora fissando con
quello strano sguardo rapito. Sospirò felicemente. «Adrian si è divertito a lezione con
te questa sera, sai.»
Alzai quasi gli occhi al cielo. «Il legame non lascia segreti. Non sembrava divertirsi
sempre.»
«No, si è davvero divertito,» mi assicurò lei. Un sorriso assonnato le attraversò i
lineamenti. «Ama il fatto che tu ami la sua macchina più di quanto la ami lui e pensa
che sia fantastico che tu sia così brava nelle lezioni di difesa. Non che sia una sorpresa.
Sei sempre brava a far tutto e non te rendi neanche conto. Non ti accorgi neanche della
metà delle cose che sai fare… tipo come ti preoccupi sempre per gli altri e non pensi
mai a te stessa.»
Anche Eddie rimase un po’ stupito. Ci scambiammo degli sguardi disorientati.
«Beh,» dissi imbarazzata, davvero confusa su come affrontare quella festa dell’amiamo
Sydney. Decisi che scappare fosse la mia miglior opzione. «Grazie. Ci vediamo dopo…
ehi. Dove l’hai presa?»
«Eh?» chiese lei, riemergendo dalla sua nebbia d’estasi.
Jill indossava una sciarpa di seta colorata piena di ricchi gioielli, che mi ricordava
quasi la coda di un pavone. Mi ricordava anche qualcos’altro, ma non riuscivo a
inquadrarlo. «La sciarpa. L’ho già vista.»
«Oh.» Passò le dita sul soffice tessuto. «Me l’ha data Lia.»
«Cosa? Quando l’hai vista?»
«Si è fermata nel dormitorio ieri per riportare i vestiti. Non te l’ho detto perché
sapevo che avresti voluto restituirli.»
«Esatto» dissi categoricamente.
Jill sospirò. «E dai, teniamoli e basta. Sono così belli. E lo sai che lei ce li
riporterebbe.»
«Ne parleremo più tardi. Dimmi della sciarpa.»
«Non è questa gran cosa. Cercava di farmi pubblicizzare questa collezione di
sciarpe…»
«Sì, sì, lo ha detto anche a me. Che avrebbe potuto fare in modo che nessuno ti
riconoscesse» scossi la testa, sentendo una sorprendente quantità di rabbia. Non avevo
più niente sotto controllo? «Non posso credere che abbia agito alle mie spalle! Ti prego,
dimmi che non te la sei svignata con lei a fare un servizio fotografico.»
«No, no,» disse Jill velocemente. «Certo che no. Ma non pensi... cioè, non pensi che
ci sia un modo per farcela? A nascondermi?»
Provai a mantenere un tono gentile. Dopotutto, ero arrabbiata con Lia, non con Jill.
«Forse. Forse no. Sai che non possiamo correre il rischio.»
Jill annuì triste. «Sì.»
Ero ancora infastidita e così distratta che per poco non finii addosso a Trey. Quando
non rispose al mio saluto, realizzai che era anche più distratto di me. C’era uno sguardo
tormentato nei suoi occhi e sembrava esausto.
«Stai bene?» Chiesi.
Mi rivolse un debole sorriso. «Sì, sì. Solo sotto pressione per tante cose. Niente che
non possa gestire. E tu come stai? Di solito non ti devono buttare fuori di qui? O ti sei
finalmente stancata di stare qui otto ore di seguito?»
«Mi serviva solo un libro,» dissi. «E in realtà sono stata qui solo dieci minuti. Sono
stata fuori quasi tutta la sera.»
Il suo sorriso scomparve e aggrottò le sopracciglia. «Con Brayden?»
«Quello domani. Ho avuto, ehm, questioni familiari questa sera.»
Il cipiglio si approfondì. «Esci spesso, Melbourne. Hai molti amici fuori da scuola.»
«Non così tanti,» dissi. «Non sto vivendo una vita tutta feste, se è questo quello a
cui vuoi arrivare.»
«Sì, beh. Stai attenta. Ho sentito di alcune cose inquietanti che succedono là fuori.»
Lo ricordai preoccupato anche per Jill. Mi tenevo spesso aggiornata sulle news locali
e non avevo sentito niente di allarmante di recente. «Cosa, c’è un giro criminale a Palm
Springs del quale dovrei essere a conoscenza?»
«Sta’ solo attenta,» disse.
Iniziammo a salutarci, ma poi lo richiamai «Trey? Lo so che sono affari tuoi, ma
qualunque cosa stia succedendo... se hai voglia di parlare, sono qui.» Era un enorme
sforzo da parte mia, visto che non ero amante della vita sociale in generale.
Trey mi rivolse un sorriso pieno di rammarico. «Recepito.»
Stavo quasi annaspando quando rientrai nel mio dormitorio. Adrian, Jill, Trey.
Considerando anche Eddie e Angeline che andavano d’accordo, tutti nella mia vita si
stavano comportando in modo strano. Il lavoro è anche questo, pensai.
Appena tornata nella mia stanza, chiamai Donna Stanton degli Alchimisti. Non
potevo mai sapere in che fuso orario si trovasse, quindi non ero molto preoccupata per
l’ora tarda. Rispose subito, non sembrava stanca e lo presi come un buon segno. Non
mi aveva risposto all’e-mail sui Guerrieri ed ero ansiosa di notizie. Rappresentavano
una minaccia troppo grande da poter essere ignorata.
«Signorina Sage» disse. «Ti avrei chiamata fra poco. Spero che sia tutto a posto con
la ragazza Dragomir?»
«Jill? Sì, sta bene. Volevo parlarle di altre cose. Ha ricevuto le mie informazioni sui
Guerrieri della Luce?»
La Stanton sospirò. «Era per questo che volevo chiamarti. Avete avuto altri scontri?»
«No. E non sembra neanche che ci stiano seguendo. Forse si sono arresi.»
«Improbabile.» Ci volle un po’ perché proseguisse a parlare. «Non da quello che
abbiamo osservato in passato.»
Mi raggelai, momentaneamente senza parole. «In passato? Vuol dire che... vi siete
già imbattuti in loro? Speravo fossero solamente... non lo so. Un gruppo pazzo di questa
zona.»
«Sfortunatamente, no. Li abbiamo già incontrati. Sporadicamente, sappilo, ma sono
ovunque.»
Ancora non potevo crederci. «Ma ho sempre pensato che i cacciatori fossero
scomparsi secoli fa. Perché nessuno ne ha mai parlato? »
«Onestamente?» Chiese la Stanton. «La maggior parte degli Alchimisti non lo sa.
Vogliamo mandare avanti un’organizzazione efficiente, che si occupi dei problemi dei
vampiri in modo sistematico e pacifico. Ci sono persone nel nostro gruppo che
vorrebbero azioni più estreme. È meglio quindi che l’esistenza del nostro ramo radicale
rimanga un segreto. Non avrei dovuto dirtelo, ma con tutti i contatti che stai avendo
con loro, è bene che tu sia pronta ad affrontarli.»
«Ramo... quindi sono collegati agli Alchimisti!» Ero disgustata.
«Non lo sono stati per molto tempo.» Sembrò ugualmente disgustata. «Non c’è più
alcuna somiglianza ormai. Sono spericolati e selvaggi. Li lasciamo vivere perché di
solito danno la caccia agli Strigoi. La situazione con Sonya Karp é più difficile. Non
ha ricevuto più minacce?»
«No. L’ho vista ieri sera... e questo ci porta all’altra ragione per cui ho chiamato...»
Feci alla Stanton un riassunto sui vari esperimenti sul sangue, inclusa la mia stessa
donazione. La descrissi in termini molto scientifici, di come sarebbero stati utili dati
extra. Poi mi assicurai di sembrare abbastanza scioccata dalla seconda richiesta di
Sonya… cosa che non fu poi così difficile.
«Assolutamente no,» disse la Stanton. Nessuna esitazione. Spesso, le decisioni degli
Alchimisti dovevano attraversare varie catene di comando, anche con qualcuno di
importante come lei. Il fatto che non avesse nemmeno dovuto consultarsi con altri era
un segno di come tutto questo andasse contro i pensieri degli Alchimisti. «Gli esami
del sangue umani sono una cosa. Tutto il resto è fuori questione. Non permetterò che
gli umani vengano usati in questi esperimenti, specialmente quando le prove
dimostrano che sono gli ex Strigoi quelli su cui occorre concentrarsi… non noi. Inoltre,
per quanto ne sappiamo, potrebbe essere un qualche stratagemma da parte dei Moroi
per ottenere più sangue nostro, per motivi personali.»
Non credevo assolutamente fosse vera l’ultima parte del suo discorso e cercai un
modo delicato per dirlo. «Sonya sembra davvero credere che tutto questo possa
proteggerci dagli Strigoi. L’unica cosa è che non sembra capire come ci sentiamo noi
al riguardo.»
«Certo che non ci riesce,» disse la Stanton sprezzante. «Nessuno di loro lo può
capire.» Tornammo a parlare dei cacciatori di vampiri. Gli Alchimisti stavano
indagando su alcuni avvistamenti nella zona. Non voleva che io facessi ulteriori
ricerche personalmente, ma avrei dovuto riferirle tutto, nel caso ci fossero state novità.
Riteneva che i Guerrieri della Luce stessero operando nelle vicinanze e, una volta
scoperto dove, gli Alchimisti si sarebbero "occupati di loro." Non ero del tutto sicura
di ciò che intendesse dire, ma il suo tono mi fece rabbrividire. Come aveva detto in
precedenza, non eravamo un gruppo particolarmente aggressivo... anche se eravamo
particolarmente bravi a sbarazzarci dei problemi.
«Oh,» dissi, proprio appena stavamo per riattaccare. «Hai poi scoperto qualcosa su
Marcus Finch?» Avevo provato a cercare il misterioso umano di Clarence, che lo aveva
aiutato contro i cacciatori, ma non l’avevo trovato. Speravo che la Stanton avesse più
contatti.
«No. Ma stiamo ancora cercando.» una breve pausa. «Signorina Sage... non riesco
nemmeno ad esprimere quanto siamo felici del lavoro che stai svolgendo. Hai
incontrato molte più complicazioni di quante ce ne aspettassimo e nonostante questo
le hai affrontate in modo abile ed efficiente. Anche il tuo comportamento con la Moroi
è stato esemplare. Una persona più debole avrebbe potuto cedere alla richiesta della
Karp. Tu ti sei rifiutata e mi hai contattato. Sono così orgogliosa di averti dato una
possibilità.»
Sentii una stretta al petto. Così orgogliosa. Non riuscivo a ricordarmi l’ultima volta
che qualcuno aveva detto di essere orgoglioso di me. Beh, mia madre lo diceva spesso,
ma nessuno degli Alchimisti, a lavoro, l’aveva mai fatto. Per la maggior parte della mia
vita, avevo sperato che mio padre mi dicesse di essere orgoglioso di me. Alla fine ci
avevo rinunciato. La Stanton non era affatto una figura materna, ma le sue parole
scatenarono in me una felicità che nemmeno sapevo esistesse.
«Grazie, signora,» dissi, quando finalmente riuscii a parlare.
«Continua così,» disse. «Quando potrò, ti tirerò fuori di lì e ti metterò in un posto in
cui non sarai così a stretto contatto con loro.»
E dopo quella frase, il mio mondo crollò. Mi sentii improvvisamente colpevole. Mi
aveva davvero dato un’occasione ed ora io la stavo ingannando. Non ero come Liam,
pronta a vendere la mia anima agli Strigoi, ma comunque non riuscivo a restare
obiettiva riguardo i miei incarichi. Lezioni di guida. Il Ringraziamento. Cosa avrebbe
detto la Stanton se fosse venuta a saperlo? Ero un’ipocrita, che mieteva glorie
immeritate. Se fossi stata davvero una devota Alchimista, avrei cambiato le mie
abitudini in quel posto. Avrei interrotto qualsiasi attività extra con Jill e con gli altri.
Non avrei neanche frequentato la Amberwood… avrei accettato l’offerta fattami,
quella di abitare in un alloggio esterno. Sarei andata a vedere come stava il gruppo solo
quando fosse stato strettamente necessario.
Se fossi stata davvero capace di farlo, solo allora sarei stata una buon Alchimista.
Eppure, realizzai, mi sarei anche ritrovata terribilmente e paurosamente sola.
«Grazie, signora,» dissi.
E fu l’unica risposta che riuscii a darle.
CAPITOLO 18 Traduzione: ohmahgawdtawny
Pre-Revisione: Sherm, Alessia C., Hikari
JILL NON MI GUARDÒ con occhi sognanti la mattina dopo, a colazione, ed era un
sollievo. Micah era spuntato di nuovo e, anche se non flirtavano più come una volta, i
due parlavano animatamente del progetto di scienze di lei. Anche Eddie e Angeline
erano impegnati in una conversazione, e stavano facendo progetti per quando la
sospensione di lei fosse finita. Mentre parlavano i suoi occhi azzurri brillavano di
felicità, e mi resi conto che provava dei veri sentimenti per lui. Non si era buttata su di
lui per conquistarlo e basta. Mi chiesi se lui lo sapesse.
Sarebbe stato facile sentirmi la quinta incomoda, invece ero felice e contenta di
vedere il mio piccolo gruppo andare così d’accordo. La conversazione con la Stanton
mi lasciava ancora combattuta, ma non c’era niente di sbagliato nell’apprezzare la pace
che aleggiava qui intorno. Avrei potuto essere ancora più felice se il comportamento di
Trey fosse tornato normale, ma quando raggiunsi l’aula di storia più tardi, lui era ancora
assente. Ero sicura che avrebbe detto di avere problemi in famiglia, ma i miei
precedenti sospetti, riguardo al fatto che la sua famiglia potesse essere responsabile
delle sue ferite, stavano tornando. Avrei dovuto parlarne con qualcuno? Chi? Non
volevo saltare a conclusioni affrettate, perciò avevo le mani legate.
Eddie e io ci sedevamo sempre vicini in quella lezione e, prima del suono della
campanella, mi chinai verso di lui tenendo la voce bassa per affrontare un altro
problema. «Ehi, ti sei accorto che Jill si comporta in modo strano quando ci sono io?»
«Ha un bel po’ di cose a cui pensare» disse, sempre rapido nel difenderla.
«Sì, lo so, ma devi aver notato quello che è successo ieri sera. In biblioteca? Cioè –
tieni a mente che sono terribile a capire queste cose - è come se avesse una cotta per
me o cose del genere.»
Lui rise. «Ha un po’ esagerato, ma non penso che tu debba preoccuparti di qualche
implicazione amorosa. È solo che ti stima molto, tutto qui. Una parte di lei vuole
ritornare ad essere una coraggiosa combattente che si lancia all’attacco senza paura...»
fece una pausa per assaporare l’idea, sul suo volto un misto di orgoglio ed estasi, prima
di rifocalizzarsi su di me. «Ma allo stesso tempo, stai iniziando a mostrarle tutti i modi
possibili per essere più forte».
«Grazie» dissi. «Credo. A proposito del suo essere una brava combattente...» lo
studiai, curiosa. «Perchè non la alleni più? Non vuoi che perfezioni le sue abilità?»
«Oh, sì. Già. Beh... ci sono diverse ragioni. Una di queste è che ho bisogno di
concentrarmi su Angeline. Un’altra è che non voglio che Jill si preoccupi. La
proteggerò io.» Quelle erano esattamente le ragioni a cui avevo pensato. Ma non quella
che disse subito dopo. «E immagino... che l’altra ragione sia che non mi sembra giusto
stare in contatto con lei in quel modo. Cioè, so che non significa niente per lei... ma
significa qualcosa per me.»
Ancora una volta, le mie abilità sociali ci misero un momento per iniziare a
manifestarsi. «Intendi che non ti piace doverla toccare?»
Eddie arrossì. «Non mi dà fastidio, è questo il problema. È meglio se passiamo un
po’ di tempo distaccati.»
Non me lo sarei aspettata, ma riuscivo a capirlo. Lasciando Eddie ai suoi demoni
interiori, presto mi ritrovai a passare l’intera giornata pensando a cosa fosse successo
a Trey. Speravo che sarebbe venuto a lezione più tardi, ma non venne. Infatti, non si
fece vivo per il resto della giornata, neanche quando finii il mio progetto extra. Pensai
che magari sarebbe passato per fare i compiti.
«Sembri agitata» disse la professoressa Terwilliger, guardandomi raccogliere le mie
cose al suono della campanella. «Preoccupata di dover consegnare il tuo progetto in
tempo?»
«No.» In realtà avevo finito due degli incantesimi, ma non avevo la minima
intenzione di dirglielo.
«Ero preoccupata per Trey. Continua a mancare da scuola. Sa perché non c’è? Cioè,
se può dirmelo?»
«L’ufficio ci avvisa se uno studente non viene per un giorno, ma non ci dice perché.
Se ti può far sentire meglio, l’assenza del signor Juarez è stata dichiarata questa
mattina. Non è scomparso.» Stavo quasi per menzionare i miei sospetti su casa sua, ma
ci ripensai. Avevo ancora bisogno di prove.
Tra il preoccuparmi per Trey, il lavoro della professoressa Terwilliger, i Guerrieri,
Brayden, e tutta la miriade di problemi che avevo, sapevo di non poter sprecare neanche
un po’ del mio tempo libero. Ciò nonostante, andai da Adrian, dopo scuola, per una
missione che non potevo rifiutare. Mentre andavamo alla lezione di Wolfe, ad inizio
settimana, Adrian mi aveva detto con disinvoltura che non aveva mai portato la sua
Mustang a farle dare un’occhiata dal meccanico, prima di comprarla. Anche se la mia
valutazione da novellina non aveva trovato niente che non andasse nella macchina,
avevo spinto Adrian a farla esaminare, il che, ovviamente, voleva dire che io dovevo
contattare uno specialista e prendere un appuntamento. Era quasi ora del mio
appuntamento al museo tessile, ma ero certa di potercela fare in tempo.
«Il tizio dal quale l’ho comprata sembrava piuttosto affidabile» mi disse Adrian dopo
aver lasciato la macchina dal meccanico. Ci disse che le avrebbe subito dato
un’occhiata e che potevamo fare un giro, nell’attesa. Il suo negozio era nella periferia
dell’area suburbana, così Adrian propose di andare a fare una passeggiata per i vari
quartieri. «E quando ho fatto il giro di prova non ci sono stati problemi, quindi ho
pensato che fosse tutto a posto.»
«Questo non vuol dire che non ci siano problemi che non puoi vedere. È meglio
essere sicuri» dissi, sapendo che suonava come una predica. «È gia abbastanza brutto
il fatto che hai una macchina che non sai guidare.» Lanciandogli un’occhiata, vidi un
piccolo, mezzo sorriso sul suo volto.
«Con il tuo aiuto, diventerò un professionista in pochissimo tempo. Naturalmente,
se non mi vuoi più aiutare, proverò cercare una soluzione per conto mio.»
Mi lamentai. «Sai già cosa direi riguardo a... wow.»
Il quartiere in cui stavamo passeggiando era piuttosto ricco. Anzi, oserei dire che le
case fossero quasi vere e proprie ville. Ci fermammo davanti a una casa che sembrava
l’incrocio tra un’azienda agricola e una piantagione del sud, grande, irregolare, con un
portico a colonne decorato con dello stucco rosa. Il giardino davanti era un mix di
ecosistemi, erba verde e palme erano allineate sul vialetto d’entrata. Gli alberi erano
come sentinelle tropicali.
«Magnifico» dissi. «Amo l’architettura. In un’altra vita avrei studiato questo... altro
che chimica e vampiri.» Man mano che continuavamo, ne vedevamo altre uguali, ogni
casa che provava a superare le altre. Tutte quante avevano alte recinzioni o siepi che
bloccavano la visuale sul giardino sul retro. «Mi domando cosa ci sia là dietro. Piscine,
probabilmente.»
Adrian si fermò di fronte a un’altra villa. Era gialla come la sua macchina e mostrava
un altro mix di stili, come una versione sud-occidentale di un castello medievale, con
tanto di torrette. «Bella giustapposizione» osservò.
Mi girai, sapendo di avere gli occhi sbarrati, fissandolo. «Hai appena usato
giustapposizione in una frase?»
«Sì, Sage» disse pazientemente. «La usiamo sempre nel corso d’arte, quando
mischiamo diversi componenti. E poi, so come si usa un dizionario.» Distolse lo
sguardo da me e analizzò la casa, i suoi occhi indugiarono sul giardiniere che stava
spuntando la siepe. Un sorriso malizioso attraversò le labbra di Adrian. «Vuoi vedere
il retro? Vieni.»
«Cosa stai...» Prima che potessi dire un’altra parola, Adrian percorse il vialetto di
granito e tagliò attraverso il prato, dirigendosi nel punto in cui il tizio stava lavorando.
Non volevo averci niente a che fare, ma la mia parte responsabile non poteva lasciare
che Adrian si cacciasse nei guai. Mi affrettai dietro di lui.
«I proprietari sono a casa?» chiese Adrian.
Il giardiniere si fermò, fissandolo. «No.»
«Quando saranno di ritorno?»
«Dopo le sei.»
Ero sorpresa che quel tipo stesse rispondendo alle domande. Se le avessero fatte a
me, avrei pensato che qualcuno stesse organizzando un’effrazione. Poi, vidi lo sguardo
fisso negli occhi del giardiniere e mi accorsi di cosa stava succedendo.
«Adrian...»
Gli occhi di Adrian non lasciarono mai quelli dell’uomo. «Portaci nel giardino sul
retro.»
«Ma certo.»
Il giardiniere lasciò cadere le cesoie e si diresse al cancello sul lato della casa.
Cercai di attirare l’attenzione di Adrian per fermarlo, ma lui mi sorpassò. La nostra
guida si fermò al cancello, digitò il codice di sicurezza e ci condusse nel retro. Le
proteste mi morirono sulle labbra non appena mi guardai intorno.
Il retro della proprietà era grande tre volte tanto la parte frontale. C’erano altre palme
disposte per il cortile, insieme a un giardino a terrazza pieno di piante, sia locali che
non.
Un’enorme piscina ovale dominava lo spazio, la tonalità turchese in notevole risalto
rispetto al grigio del granito che la circondava. Da un lato della piscina, alcuni gradini
portavano a una piscina più piccola e quadrata. Ci stavano solo poche persone, e una
cascata vi fuoriusciva e scorreva giù fino a quell’altra più grande. Torce tiki e tavoli
intorno alla piscina completavano la disposizione a dir poco lussureggiante.
«Grazie» disse Adrian al giardiniere. «Torna pure al tuo lavoro. Va bene se
rimaniamo qui. Troveremo l’uscita da soli.»
«Ma certo» replicò l’uomo. Si incamminò verso il cancello.
Ritornai alla realtà. «Adrian! Hai usato la compulsione su quel tizio. Quello... Cioè,
è stato...»
«Fantastico?» Adrian si avvicinò ai gradini per raggiungere la piscina rialzata. «Sì,
lo so.»
«È sbagliato! Tutto questo. Irrompere e entrare, e la compulsione...» Rabbrividii,
nonostante il caldo afoso. «È immorale. Controllare la mente di qualcun altro. Lo sai!
La tua gente e la mia sono entrambe d’accordo.»
«Non ho fatto male a nessuno, giusto?» Si arrampicò in cima alla piscina e rimase
sul bordo, osservando il suo regno. Il sole mise in risalto un riflesso castano tra i suoi
capelli scuri. «Credimi, quel tipo era facile da controllare. Arrendevole. Forse avrei
potuto non usarla, la compulsione.»
«Adrian...»
«Dai, Sage. Come se stessimo facendo del male a qualcuno. Vieni a vedere che
vista.» Avevo quasi paura di andare lassù. Qui era così raro che un Moroi usasse la
magia che per me era diventato facile fingere che nemmeno esistesse. Vedere Adrian
usarla – il tipo di magia più ingannevole - mi aveva fatto accapponare la pelle. Come
avevo detto alla professoressa Terwilliger nella nostra discussione sugli incantesimi,
nessuno dovrebbe controllare qualcun altro in quel modo.
«Dai» ripetè Adrian. «Non sarai mica proccupata che userò la compulsione per farti
salire quassù, vero?»
«Certo che no» dissi. E lo dicevo davvero. Non sapevo perchè, ma una parte di me
sapeva che Adrian non mi avrebbe mai, mai fatto del male. Riluttante, mi unii a lui,
sperando di convincerlo ad andarcene. Quando raggiunsi la cima, rimasi a bocca aperta.
Quella piscina così intima non mi era sembrata tanto alta, ma ci dava una splendida
vista sulle montagne in lontananza, vigorose e imponenti contro il blu del cielo. La
piscina più grande brillò sotto di noi, e, grazie alla cascata, sembrava fossimo entrati
in una specie di mistica oasi.
«Forte, eh?» chiese. Adrian si sedette sul bordo della piscinetta, si arrotolò i jeans, e
si tolse calze e scarpe.
«Cosa stai facendo ora?» chiesi.
«Approfitto della situazione.» mise i piedi in acqua. «Forza. Fai qualcosa di scorretto
per una volta. Non che sia poi così brutto. Non la stiamo mica inquinando.» esitai, ma
l’acqua era inebriante, come se usasse anche lei la compulsione. Mi sedetti, copiai
Adrian e affondai i piedi in acqua. La sua freschezza era sorprendente - e magnifica -
in mezzo a quel caldo intenso.
«Potrei abituarmici» ammisi. «E se i proprietari tornassero a casa prima?» Lui fece
spallucce. «Posso parlarci e tirarci fuori dai guai, non preoccuparti.»
Non fu esattamente rassicurante. Mi rigirai a guardare la meravigliosa vista sulla
proprietà lussureggiante. Non sono mai stata una persona molto fantasiosa, ma ripensai
a quello che avevo detto su una possibile altra vita. Come sarebbe stato avere una casa
come questa? Restare in un solo posto? Passare i miei giorni in piscina, a crogiolarmi
nel sole, senza preoccuparmi del destino dell’umanità? Sognai ad occhi aperti, ed ero
così presa che persi la cognizione del tempo.
«Dobbiamo tornare al negozio» esclamai. Guardandolo, fui sorpresa di vedere che
Adrian mi stava osservando, soddisfatto. Sembrava che i suoi occhi studiassero ogni
mio lineamento. Vedendo che me ne ero accorta, distolse immediatamente lo sguardo.
La sua solita espressione divertita rimpiazzò quella sognante.
«Il meccanico aspetterà» disse lui.
«Sì, ma tra poco dovrei incontrarmi con Brayden. Sarò...» Fu in quel momento che
mi accorsi di Adrian. «Cosa hai fatto? Guardati! Non dovresti stare qui fuori.»
«Non fa così male.»
Stava mentendo e lo sapevamo entrambi. Era tardo pomeriggio e il sole era spietato.
Lo avevo percepito anch’io, nonostante la freschezza dell’acqua mi avesse aiutato a
distrarmi. Questo, e il fatto di essere umana. Certo, insolazioni e scottature erano
pericolose, ma amavo il sole e ne avevo un’alta tolleranza. I vampiri no.
Adrian era coperto di sudore, infradiciando la sua camicia e i capelli. Macchie rosa
gli ricoprivano la faccia. Erano familiari. Le avevo già viste su Jill quando ci avevano
obbligato a fare sport all’aria aperta in educazione fisica.
Se si trascuravano, potevano trasformarsi in bruciature. Saltai in piedi.
«Forza, dobbiamo andarcene prima che peggiori. A cosa stavi pensando?» La sua
espressione era sorprendentemente noncurante per qualcuno che sembrava stesse per
svenire. «Ne è valsa la pena. Sembravi... felice.»
«È pazzesco» dissi.
«Non è la cosa più pazza che abbia mai fatto.» Sorrise e mi guardò. I suoi occhi
erano leggermente sfocati, come se vedessero qualcosa d’altro oltre a me. «Cos’è un
po’ di pazzia ogni tanto? Dovrei fare degli esperimenti... perchè non vedere cos’è più
luminoso: la tua aura o il sole?» Il modo in cui mi guardò e mi parlò, mi innervosì, e
mi ricordai cosa aveva detto Jill, di come lentamente lo spirito ti faceva impazzire.
Adrian non sembrava pazzo, ma c’era qualcosa di tormentato in lui, un vero
cambiamento dal suo solito spirito tagliente. Era come se qualcos’altro si fosse
impadronito di lui. Mi ricordai il verso di quella poesia sul sognare e lo svegliarsi.
«Forza» ripetei. Gli porsi la mia mano. «Non avresti dovuto usare lo spirito.
Dobbiamo portarti via da qui.»
Prese la mia mano e si alzò in piedi. Un impeto di calore e elettricità mi attraversò,
come successe l’ultima volta che ci eravamo toccati e i nostri occhi si incontrarono.
Per un momento non riuscii a pensare che alle sue parole di poco prima: Sembravi
felice...
Accantonai quei sentimenti e lo portai velocemente via da lì, solo per scoprire che il
meccanico non aveva ancora finito. Almeno nel suo negozio Adrian si sarebbe potuto
rinfrescare con un po’ d’acqua e aria condizionata. Mentre aspettavamo scrissi un
messaggio a Brayden. Sono in ritardo di un’ora per un impegno di famiglia. Scusa.
Arriverò appena posso. Il mio telefono squillò trenta secondi dopo: Questo ci lascia
solo un’ora per il museo tessile.
«É troppo poco tempo» disse Adrian impassibile. Non mi ero accorta che stava
leggendo da sopra la mia spalla. Spostai il telefono e suggerii a Brayden che potevamo
semplicemente incontrarci prima per cenare. Concordò.
«Sono un disastro» borbottai, controllandomi allo specchio. Il calore aveva
decisamente un costo, sembravo sudata e sciupata.
«Non ti preoccupare» mi disse Adrian. «Se non si è accorto quanto fossi
meravigliosa con quel vestito rosso, probabilmente non si accorgerà di niente neanche
adesso.» Esitò. «Non che ci sia qualcosa da notare. Sei bella, come sempre.»
Stavo per rispondergli male per avermi presa in giro, ma quando lo guardai, il suo
volto era terribilmente serio. Qualunque replica avessi preparato mi morì sulle labbra,
così mi alzai velocemente per controllare a che punto fosse la macchina, cercando di
nascondere quanto mi sentissi agitata.
Il meccanico finalmente finì - non aveva trovato nessun problema - e io ed Adrian
ritornammo in centro. Continuavo a guardarlo con ansia, temendo che svenisse.
«Smettila di preoccuparti, Sage. Sto bene» disse. «Anche se... Starei meglio con del
gelato. Anche tu devi ammettere che sarebbe perfetto al momento.» Sarebbe stato
perfetto, certo, ma non gli avrei dato quella soddisfazione. «Cosa ci trovi nei dolci
gelati? Perchè li desideri costantemente?»
«Perchè viviamo in un deserto.»
Il ragionamento non faceva una piega. Raggiungemmo casa sua e scambiai la
macchina. Prima che entrasse lo inondai di consigli sul bere acqua e riposare. Poi, dissi
le parole che mi stavano bruciando dentro.
«Grazie per la gita a bordo piscina» dissi. «A parte la tua quasi insolazione, è stato
piuttosto fantastico.»
Mi regalò un sorriso spavaldo. «Magari ti abituerai alla magia dei vampiri,
dopotutto.»
«No» dissi automaticamente «Non mi ci abituerò mai.» Il suo sorriso scomparve
immediatamente. «Certo che no» mormorò. «Ci vediamo in giro.»
Finalmente potevo andare a cena. Scelsi un ristorante italiano, pieno di odore di aglio
e formaggio. Brayden si sedette a un tavolo ad angolo, sorseggiando acqua e attirando
gli sguardi delle cameriere, che erano probabilmente impazienti di farlo ordinare. Mi
sedetti di fronte lui, lasciando cadere la borsa a tracolla al mio fianco.
«Mi dispiace tanto» gli dissi. «Avevo delle cose da fare con mio, ehm, fratello.»
Quando Brayden si arrabbiava, non lo dava a vedere. Era il suo modo di fare. Mi diede
comunque uno sguardo indagatore. «Qualcosa di sportivo? Sembra che tu abbia corso
una maratona.» Non era una insulto, assolutamente, ma mi irritò... soprattutto perchè
pensavo al commento di Adrian. Brayden non aveva quasi spiccicato parola riguardo
al mio costume di Halloween, ma aveva notato questo?
«Eravamo fuori città, a Santa Sofia, l’ho portato a far revisionare la macchina.»
«Bella zona. Se prosegui sull’autostrada, arrivi al parco nazionale Joshua Tree. Ci
sei mai stata?»
«No, però devo aver letto qualcosa al riguardo.»
«Posto emblematico. La geologia è affascinante.»
Arrivò una cameriera, e ordinai con molto piacere un caffelatte ghiacciato. Brayden
era più che felice di parlarmi della geologia del parco, e presto cademmo nel
confortante ritmo delle nostre solite discussioni intellettuali. Non sapevo nulla riguardo
alla conformazione del parco, ma, in compenso, me ne intendevo più che abbastanza
di geologia in generale per seguire il discorso. Infatti, fui in grado di parlarne come se
mi venisse automatico mentre la mia mente ritornò ad Adrian. Ripensai ancora a quello
che aveva detto riguardo al vestito rosso. Non riuscivo a togliermi dalla testa neanche
il commento riguardo alla mia felicità, e di come sia valsa la pena soffrirne.
«A cosa pensi?»
«Mmh?» mi accorsi che alla fine avevo perso lo stesso il filo della conversazione.
«Ti ho chiesto che tipo di deserto trovi più impressionante» spiegò Brayden. «La
regione del Mojave è la più gettonata, ma personalmente preferisco il deserto del
Colorado.»
«Ah» scivolai di nuovo nel discorso. «Ehm, il Mojave. Mi piace di più la
conformazione delle rocce.» Questo ci portò a una discussione sulle regioni mentre
mangiavamo, e Brayden sembrava sempre più felice. Gli piaceva davvero avere
qualcuno che poteva capirlo, realizzai. Nessuno dei miei libri diceva come si
conquistasse il cuore di un uomo attraverso i dibattiti accademici.
Ma, comunque, non mi importava. Mi piaceva fare conversazione, ma non mi
emozionava più di tanto. Dovetti ricordare a me stessa che eravamo ancora all’inizio
della nostra relazione... se così si poteva chiamare. Sicuramente, la parte
dell’innamoramento sarebbe arrivata presto.
Parlammo per molto tempo dopo la fine del pasto. Una volta finito, la cameriera ci
portò un inaspettato menù dei dolci, e mi sorpresi a dire: «Wow... Non riesco a credere
a quanto abbia voglia di un gelato. Non è mai successo.» Forse il sudore e il caldo
avevano prosciugato le mie sostanze nutritive... Oppure avevo ancora Adrian nel
cervello.
«Non ti avevo mai sentito ordinare un dolce» disse Brayden, allontanando il suo
menù. «Non c’è troppo zucchero?»
Ecco un’altra delle sue frasi che avrei potuto interpretare in un’innumerevole
quantità di modi. Mi stava giudicando? Pensava che non dovessi assumere neanche un
po’ di zucchero? Non lo sapevo, ma fu abbastanza da farmi chiudere il menù e metterlo
sopra il suo.
Senza altre forme di intrattenimento in programma per il resto della serata,
decidemmo di fare una semplice passeggiata dopo cena. La temperatura era scesa,
diventando mite, e c’era ancora luce così non mi preoccupai che i Guerrieri della Luce
spuntassero fuori da dietro gli angoli. Tuttavia, questo non voleva dire che avessi
ignorato gli insegnamenti di Wolfe. Tenevo lo stesso d’occhio ai dintorni, cercando
qualsiasi cosa di sospetto.
Raggiungemmo un parchetto a un solo isolato di distanza e trovammo una panchina
in un angolo.
Ci sedemmo, guardando i bambini giocare sul lato opposto del prato, mentre
continuavamo una discussione sull’osservare gli uccelli nel Mojave. Brayden mi
circondò con un braccio mentre parlavamo e, quando alla fine esaurimmo gli
argomenti, rimanemmo seduti in un semplice e confortevole silenzio.
«Sydney...»
Spostai lo sguardo dai bambini, sorpresa dal tono incerto di Brayden, che era molto
diverso da quello che aveva appena usato per difendere la superiorità della Sialia sialis
rispetto alla Sialia Messicana. C’era dolcezza nei suoi occhi, quando mi guardò. La
luce della sera illuminava i suoi occhi nocciola di un colore dorato ma nascondeva
completamente il verde. Peccato.
Prima che potessi dire qualcosa, si chinò verso di me e mi baciò. Fu più intenso
dell’ultimo, anche se lontano dagli epici, travolgenti baci che vedevo nei film.
Aveva lasciato la mano sulla mia spalla questa volta, attirandomi gentilmente più
vicino. Il bacio durò anche di più degli altri, e provai a lasciarmi andare e perdermi
nella sensazione delle labbra di qualcun altro.
Fu lui a concluderlo, un po’ più brutalmente di quanto mi aspettassi. «Mi... mi
dispiace,» disse, distogliendo lo sguardo. «Non avrei dovuto farlo.»
«Perchè no?» chiesi. Non che bramassi così tanto quel bacio, è che quello sembrava
esattamente il tipo di posto dove vuoi baciare qualcuno: un romantico parco al
tramonto.
«Siamo in pubblico. Penso che sia un po’ volgare.» Volgare? Non ero neanche sicura
che fossimo davvero così in pubblico, dato che non c’era nessuno nei dintorni ed
eravamo all’ombra di alcuni alberi. Brayden sospirò, costernato. «Immagino di aver
perso il controllo. Non succederà più.»
«Non fa niente» dissi.
Non sembrava che avesse perso il controllo, ma cosa ne sapevo io? E mi chiesi se
perdere il controllo non sarebbe stata quasi una buona cosa. Non era tipo alla base della
passione?
Non sapevo neanche quello. L’unica cosa di cui ero certa era che quel bacio era stato
come l’ultimo. Carino, ma non mi aveva travolto. Il mio cuore affondò. C’era qualcosa
di sbagliato in me. Tutti dicevano che ero un’inetta, quando si trattava di socializzare.
Si estendeva anche al romanticismo? Ero così fredda che avrei passato la mia vita senza
mai sentire niente?
Penso che Brayden avesse frainteso il mio sgomento e credesse che mi fossi
arrabbiata con lui. Si alzò, offrendomi la mano. «Ehi, c’è una sala da thè a un isolato
da qui, andiamoci. Hanno queste opere di un pittore locale che penso ti piaceranno.
Inoltre, non ci sono calorie nel thè, giusto? Meglio del dolce.»
«Giusto» dissi. Pensare al gelato non mi rallegrava per niente. Il ristorante italiano
lo aveva al melograno, che sembrava essere la cosa migliore di sempre. Appena mi
alzai, il mio telefono iniziò a squillare e ci sorprese entrambi. «Pronto?»
«Sage? Sono io.»
Non avevo ragioni per essere arrabbiata con Adrian, non dopo quello che aveva fatto
per me, ma in qualche modo mi sentii irritata dall’interruzione. Stavo cercando di
godermi il meglio di questa serata con Brayden, e Adrian aveva sconvolto tutto.
«Cosa succede?» chiesi.
«Sei ancora in centro? Devi tornare, ora.»
«Lo sai che sono fuori con Brayden» dissi. Questo era troppo, persino per Adrian.
«Non posso lasciar perdere tutto per venire a intrattenerti.»
«Non riguarda me.» Fu allora che notai quanto dura e seria fosse la sua voce.
Qualcosa mi si strinse nel petto. «Riguarda Sonya. È scomparsa.»
CAPITOLO 19 Traduzione: ohmahgawdtawny
Pre-Revisione: Juls
«STAVA LASCIANDO LA CITTÀ,» gli ricordai.
«Non fino a domani.»
Mi accorsi che aveva ragione. Quando avevamo parlato con Sonya, la sera prima, lei
aveva detto due giorni. «Sei sicuro che sia effettivamente scomparsa?» chiesi. «Magari
è solo... uscita.»
«C’è qui Belikov, ed è andato fuori di testa. Ha detto che non è mai tornata a casa ieri
sera.» Il telefono quasi mi cadde di mano. Ieri sera? Sonya era scomparsa da così tanto?
Erano quasi passate ventiquattro ore. «Perché non se n’è accorto nessuno fino adesso?»
chiesi.
«Non lo so,» disse Adrian. «Puoi venire e basta? Per favore, Sydney?» Rimasi senza
forze quando Adrian disse il mio nome. Faceva sembrare tutto più serio, più reale - non
che questa situazione ne avesse particolarmente bisogno. Sonya. Scomparsa da
ventiquattro ore. Per tutto quello che ne sapevamo, poteva anche essere morta, catturata
da cacciatori.
La faccia di Brayden fu un misto di incredulità e delusione quando gli dissi che dovevo
andarmene.
«Ma tu sei appena... Cioè...» Fu uno di quei rari momenti in cui rimase senza parole.
«Mi dispiace,» dissi sinceramente. «Specialmente per essere arrivata in ritardo e per
aver rovinato questa cosa del museo. Ma è un emergenza di famiglia.»
«La tua famiglia ha tantissime emergenze».
Non ne hai idea, pensai. Invece di dirlo, mi scusai di nuovo. «Mi dispiace davvero.
Io...» Stavo quasi per dire che avrei rimediato, ma era quello che avevo detto quando
ero andata via presto dal ballo di Halloween. Quello di questa sera doveva essere un
appuntamento per rimediare. «Scusami e basta.»
LA CASA DI ADRIAN ERA ABBASTANZA VICINO, e avrei potuto arrivarci a
piedi, ma Brayden insisté nell’accompagnarmi in macchina, dato che il sole stava
tramontando. Non ebbi problemi ad accettare.
«Wow,» disse Brayden, quando accostò all’edificio. «Bella Mustang.»
«Già. È una C-code del 1967», dissi automaticamente. «Ottimo motore. Di mio
fratello. L’ha spostata di nuovo! Spero che non sia andato a guidare da qualche parte
dove non doveva - wow. E quella cos’è?» Brayden guardò dove guardavo io. «Una
Jaguar?»
«Ovviamente.» L’elegante macchina nera era parcheggiata giusto di fronte alla
Mustang di Adrian. «Da dove arriva?»
Brayden non sapeva rispondere, naturalmente. Dopo altre scuse e la promessa di
rimanere in contatto, lo lasciai. Non c’era la pretesa di un bacio, dato che lui era rimasto
così deluso dall’andamento della serata e io ero troppo preoccupata per Sonya. Infatti,
mi dimenticai di Brayden appena mi diressi verso l’edificio. Avevo problemi più
grandi.
«È di Clarence,» disse Adrian, non appena aprì la porta.
«Eh?» chiesi.
«La Jaguar. Pensavo avresti voluto saperlo. L’ha lasciata guidare a Belikov da
quando Sonya è scomparsa con quella noleggiata.» Si fece da parte e come entrai,
scosse la testa sconcertato. «Riesci a credere che è rimasta chiusa nel garage tutto il
tempo che ho vissuto con lui? Ha detto che aveva dimenticato persino di averla! Ed poi
c’ero io, bloccato con il pullman.»
Avrei riso in altre circostanze. Ma quando vidi la faccia di Dimitri, tutto l’umorismo
mi abbandonò. Si aggirava per il salotto come un animale in trappola, pieno di
frustrazione e preoccupazione.
«Sono un idiota,» borbottò. Non era chiaro se stesse parlando da solo o con noi.
«Non mi sono accorto che era scomparsa da ieri sera, e poi ho passato il resto della
giornata pensando che fosse fuori a fare giardinaggio!»
«Hai provato a chiamarla?» Sapevo che era una domanda stupida, ma dovevo
iniziare a pensare logicamente.
«Sì,» disse Dimitri. «Nessuna risposta. Poi ho controllato due volte per essere sicuro
che il suo volo non fosse cambiato, poi ho parlato con Mikhail per vedere se sapeva
qualcosa. Niente. Sono solo riuscito a farlo preoccupare di più.»
«Fa bene a preoccuparsi,» mormorai, seduta sul bordo del divano. Non sarebbe
andata a finire bene. Sapevamo che i Guerrieri erano ossessionati da Sonya, e ora lei
era scomparsa dopo essere uscita da sola.
«L’unica cosa che ho scoperto è che era uscita per venire da voi,» aggiunse Dimitri.
Smise di agitarsi e passò lo sguardo tra di noi. «Ha detto niente su dove stava
andando?»
«No,» dissi. «Le cose non sono... finite esattamente bene, tra di noi.» Dimitri annuì.
«Adrian aveva fatto intendere la stessa cosa.»
Guardai Adrian e riuscii a capire che non voleva entrare in questa situazione più di
quando lo volessi io. «Abbiamo avuto un diverbio,» ammise lui. «Ha provato a
spingere Sydney a fare altri esperimenti, e Sydney ha rifiutato. Mi sono intromesso
quando Sonya ha continuato a insistere, e finalmente si è arresa. Non ha mai detto dove
stava andando».
Un’ombra cadde sul volto di Dimitri. «Quindi, potrebbe essere successa qualsiasi
cosa. Potrebbe essere stata presa proprio nella strada qui fuori. O potrebbe essere
andata da qualche parte e essere stata rapita là.» O potrebbe essere morta. Dimitri
parlava come se fosse ancora viva, ma non ne ero così sicura. I cacciatori che ci
avevano aggredito nel vialetto erano sembrati piuttosto intenzionati ad ucciderla su due
piedi. Se non era tornata a casa la notte scorsa, c’erano buone probabilità che l’avessero
trovata in seguito.
Ventiquattro ore erano una terribile quantità di tempo per tenere viva una "creatura
delle tenebre". Studiando ancora il viso di Dimitri, sapevo che era ben consapevole di
questa probabilità. Stava semplicemente ragionando con la speranza di poter ancora
fare qualcosa, di non essere impotenti.
Risoluto, Dimitri si diresse verso la porta. «Devo andare a parlare con la polizia.»
«Denunciarne la scomparsa?» chiese Adrian.
«Questo, e soprattutto, per cercare la macchina. Se l’hanno presa...» esitò, portando
a galla la paura che ci affliggeva tutti. «Beh. Se si sta nascondendo da qualche parte,
sarà molto difficile da localizzare. Ma è molto più difficile nascondere una macchina,
che una donna. Se la polizia riesce a trovarla dalla descrizione, potremmo avere un
indizio su cosa è successo.» Iniziò ad aprire la porta, girandosi di nuovo a guardarci.
«Siete sicuri di non ricordare niente che ha detto che possa aiutare?»
Adrian e io ripetemmo di no. Dimitri se ne andò, dandoci inutili istruzioni
sull’avvisarlo se ci veniva in mente o scoprivamo qualcosa o - se per miracolo - Sonya
si sarebbe fatta viva. Appena se ne andò, gemetti.
«È colpa mia,» dissi.
Adrian mi guardò sorpreso. «Perché diavolo dovresti dire una cosa del genere?»
«Sonya è venuta qui - e se n’è andata quando non doveva – a causa mia. A causa del
mio sangue. Chissà cosa sarebbe potuto succedere se non avessi rifiutato? Magari pochi
minuti di differenza e i cacciatori non sarebbero stati in zona. O forse se non fosse stata
così turbata, avrebbe potuto difendersi meglio.» Un milione di pensieri mi
attraversarono la testa.
Sonya che faceva crescere il giglio per me. Sonya che parlava alla regina in nome di
Adrian. Sonya che mi mostrava le foto dei vestiti delle damigelle. Sonya che lavorava
con diligenza per fermare gli Strigoi e redimere sé stessa. Tutto quello poteva essere
perduto, ora.
«Forse, forse, forse.» Adrian si sedette sul divano vicino a me. «Non puoi pensare
in questo modo, e sicuro come l’inferno non puoi incolpare te stessa per le azioni di un
qualche pazzo gruppo estremista e paranoico.»
Sapevo che aveva ragione, ma non mi fece comunque sentire meglio. «Dovrei
chiamare gli Alchimisti. Abbiamo dei contatti anche con le forze dell’ordine.»
«Probabilmente è una buona idea,» disse, anche se le sue parole erano un po’ incerte.
«Ho solo una brutta sensazione riguardo a quei tipi. Anche se... beh, anche se fosse
ancora viva, non ho la minima idea di come fare per trovarla. Siamo a corto di miracoli
e di soluzioni magiche». Mi raggelai.
«Oh, mio Dio».
«Cosa c’è?» chiese, guardandomi con preoccupazione. «Ricordi qualcosa?»
«Sì... ma non quello che pensi tu.» Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo. No,
no, no.
L’idea che avevo in testa era pazzesca. Non dovevo neanche prenderla in
considerazione. Dimitri aveva avuto l’idea giusta. Dovevamo concentrarmi su un
metodi normali e concreti per localizzare Sonya.
«Sage?» Adrian mi toccò lievemente il braccio, e io sobbalzai al tocco delle sue dita
sulla pelle. «Stai bene?»
«Non lo so,» dissi piano. «Stavo pensando a qualcosa di pazzesco.»
«Benvenuta nel mio mondo.»
Distolsi lo sguardo, indecisa sulla decisione da prendere. Quello che stavo
progettando... beh, qualcuno poteva affermare che non era poi tanto diverso da quello
che avevo fatto fino ad quel momento. E poi, tutto ritornava alla sottile linea che c’era
tra il fare qualcosa per scelta e farlo perché dovevo.
Non c’erano dubbi al riguardo. Questa sarebbe stata una scelta. Un impiego del
libero arbitrio.
«Adrian... e se avessi un modo per trovare Sonya, ma andasse contro a tutto ciò in
cui credo?» Ci mise alcuni momenti per rispondere. «Credi nel dover trovare Sonya?
Perché se è così, dovresti andare contro tutto ciò in cui credi.»
Era una strana logica, ma mi diede la spinta che mi serviva. Tirai fuori il mio
cellulare e digitai un numero che non avevo quasi mai chiamato - anche se ne avevo
ricevuto messaggi e chiamate.
Una risposta dopo due squilli. «Professoressa Terwilliger? Sono Sydney.»
«Signorina Melbourne. Cosa posso fare per te?»
«Devo vederla. È abbastanza urg… no, no, lasci perdere “l’abbastanza”. È urgente.
È a scuola?»
«No. Per quanto sia scioccante, in alcune occasioni, vado anche a casa.» Fece una
piccola pausa.
«In ogni modo... sei la benvenuta nella mia casa.» Non so perché questa cosa mi rese
inquieta. Dopotutto, passavo molto tempo da Clarence.
Sicuramente la residenza di un vampiro era molto peggio della casa di un’insegnate
delle scuole superiori. Naturalmente, la suddetta insegnante era anche una strega,
quindi non era certo se dovevo aspettarmi un comune appartamento suburbano o una
casa fatta di caramelle.
Deglutii. «Ha molti libri degli incantesimi simili a quelli che ha a scuola?» Adrian
inarcò un sopracciglio alla parola incantesimi.
La professoressa Terwilliger esitò molto più a lungo questa volta. «Sì,» disse.
«Anche di più». Mi diede l’indirizzo, e ancor prima che riattaccassi, Adrian disse
«Vengo con te».
«Non sai neanche dove sto andando.»
«Vero,» disse. «Ma la mancanza di informazioni non mi ha mai fermato. Inoltre, so
che ha qualcosa a che fare con Sonya, il che è abbastanza per me. Quello, e il fatto che
sembri spaventata a morte. Non esiste che ti lascio andare da sola.»
Incrociai le braccia. «Ho affrontato cose più spaventose, l’ultima volta che ho
controllato, non sta a te ‘lasciarmi’ fare qualsiasi cosa». Comunque, c’era così tanta
preoccupazione sul suo volto, che sapevo che non sarei stata capace di rifiutare...
specialmente perché ero spaventata. «Devi promettermi che non dirai a nessuno dove
stiamo andando. O parlare di quello che vedrai.»
«Dannazione. Cosa sta succedendo, Sage?» chiese. «Stiamo parlando di sacrifici di
animali o roba del genere?»
«Adrian,» dissi calma.
Tornò serio. «Lo prometto. Non una parola, a meno che tu dica il contrario.» Non
dovetti studiarlo per sapere che potevo fidarmi. «Okay, allora. Ma prima di andare, ho
bisogno della tua spazzola...»
La professoressa Terwilliger viveva a Vista Azul, la stessa zona in cui c’era la
Amberwood. Con mia sorpresa, la casa sembrava piuttosto ordinaria. Era piccola, ma
comunque mescolata bene con il vecchio quartiere. Il sole era tramontato da un bel po’
quando arrivammo, ed ero ben consapevole del coprifuoco della scuola. Quando ci
lasciò entrare in casa, trovai l’interno un po’ più conforme alle mie aspettative. Certo,
c’erano una TV e dei mobili moderni, ma l’arredamento contava molte candele e un
santuario di vari dei e dee. L’aroma di Nag Champa era sospeso nell’aria. Contai
almeno tre gatti nei primi cinque minuti e non avevo dubbi che ce ne fossero altri.
«Signorina Melbourne, benvenuta.» La professoressa Terwilliger accolse Adrian
con interesse. «E benvenuto anche al tuo amico.»
«Fratello,» dissi apertamente. «Adrian.»
La professoressa Terwilliger - pienamente consapevole del mondo dei Moroi -
sorrise. «Sì. Naturalmente. Frequenti la Carlton, giusto?»
«Già,» disse Adrian. «Lei è quella che mi ha aiutato a farmi entrare, giusto? Grazie
per quello.»
«Beh,» disse la professoressa Terwilliger, con una scrollata di spalle, «È sempre un
piacere aiutare degli studenti talentuosi - specialmente quelli che sono molto diligenti
nel continuare a portarmi caffè. Ora, qual è questa urgente questione che vi ha portato
fuori questa notte?»
I miei occhi erano già sulla grande libreria in salotto. Gli scaffali erano pieni di
vecchi libri rilegati in pelle - esattamente del tipo sul quale mi faceva lavorare. «Ha...
Ha un incantesimo che aiuterebbe nella localizzazione di qualcuno?» chiesi. Ogni
parola mi causò dolore. «Cioè, so che ce ne sono. Ne ho incrociati un paio di volte
durante il mio lavoro. Ma mi chiedevo se che ne fosse uno che mi potrebbe
raccomandare rispetto a tutti gli altri.» La professoressa Terwilliger rise piano, e
distolse lo sguardo. «Bene, bene. Questo vale decisamente la pena di una visita a tarda
notte.» Eravamo nella sua sala da pranzo, e lei tirò fuori una ornata sedia di legno per
sederci. Uno dei suoi gatti si strusciò contro la sua gamba. «Ci sono un po’ di
incantesimi di localizzazione, certo - anche se nessuno è alla tua portata. E per tua
portata, intendo il tuo rifiuto costante di fare pratica o migliorarti.»
Mi accigliai. «Ce n’è uno che può fare lei?»
Scosse la testa. «No. Questo è il tuo problema. Lo farai tu. Ne hai bisogno.»
«Beh, non se è al di sopra delle mie capacità!» protestai. «Per favore. È questione di
vita o di morte». Quello, e non volevo infettarmi con la sua magia. Era già abbastanza
un male che la stessi incoraggiando.
«Stai tranquilla. Non te lo farei fare se tu non potessi gestirlo,» disse. «Per farlo
funzionare, comunque, è fondamentale avere qualcosa che ci connetta alla persona che
stiamo cercando. Ci sono incantesimi dove non è necessario - ma quelli sono
decisamente fuori dalla nostra portata.» Tirai fuori la spazzola di Adrian dalla tasca.
«Qualcosa come una ciocca di capelli?»
«Esattamente qualcosa del genere,» disse, chiaramente impressionata.
Mi ero ricordata delle lamentele di Adrian riguardo al fatto che Sonya usasse i suoi
prodotti personali. Anche se apparentemente puliva la spazzola regolarmente (e
davvero, non mi sarei aspettata niente di meno da uno che passava così tanto tempo a
curare i propri capelli), c’erano ancora delle ciocche rosse superstiti.
Attentamente, estrassi il più lungo dalle setole e lo tenni stretto.
«Cosa devo fare?» chiesi. Cercavo di essere forte, ma mi tremavano le mani.
«Scopriamolo.» Si alzò e andò in salotto, studiando gli scaffali. Adrian si rivolse a
me.
«È davvero lei?» fece una pausa e riconsiderò le sue parole. «Sei davvero tu?
Incantesimi? Magia? Cioè, non fraintendermi. Io bevo sangue e controllo la mente delle
persone. Ma non ho mai sentito niente del genere.»
«Neanche io fino a un mese fa.» sospirai. «E sfortunatamente, è reale. Peggio, lei
pensa che abbia una predisposizione per tutto questo. Ti ricordi quando uno degli
Strigoi ha preso fuoco nel tuo appartamento?»
«Vagamente, ma sì. È successo tutto così velocemente, e non ci avevo mai pensato
molto.» Aggrottò le sopracciglia, travolto dai ricordi. «Ero un po’ a terra a causa del
morso.»
«Beh, non è stato uno strano incidente. È stata... magia.» Indicai la professoressa
Terwilliger.
«E sono stata io.»
I suoi occhi si spalancarono. «Sei una qualche specie di umana mutante? Come
qualcuno che ha l’elemento del fuoco? E io uso la parola mutante come se fosse un
complimento, sai. Non penserei niente di meno di te.»
«Non è come la magia dei vampiri,» dissi. Alcune parti di me supposero che dovessi
essere grata al fatto che Adrian fosse ancora amichevole con una "mutante." «Non è
una specie di collegamento interno con gli elementi. Secondo lei, alcuni umani possono
lavorare la magia, tirandola fuori dal mondo. Suona da pazzi, ma... beh. Ha dato
davvero fuoco a uno Strigoi.»
Adrian annuì e la professoressa Terwilliger tornò da noi. Appoggiò un grande libro
con la copertina rossa di pelle e sfogliò un po’ di pagine prima di trovare quello che
voleva.
Lo guardammo.
«Non è inglese,» notò utilmente Adrian.
«È solo greco» dissi, sfiorando la lista degli ingredienti. «Non sembra che ci vorrà
molto.»
«Questo perchè la maggior parte richiede concentrazione mentale,» spiegò la
professoressa Terwilliger. «È più difficile di quello che sembra. Richiederà come
minimo qualche ora.» Guardai l’ora sull’ ornato orologio a pendolo. «Non ho qualche
ora. Manca troppo poco al coprifuoco.»
«Facilmente rimediabile,» disse la professoressa Terwilliger. Prese il suo telefono e
digitò un numero a memoria. «Pronto, Desiree? Sono Jaclyn. Sì, bene. Grazie. Ho qui
Sydney Melrose in questo momento, mi sta aiutando con un progetto estremamente
cruciale.» Per poco non alzai gli occhi al cielo. Era perfettamente al corrente del mio
cognome quando le serviva, a quanto pare. «Temo che possa stare fuori fino ad oltre
l’orario del coprifuoco, e mi stavo chiedendo se saresti così gentile di farle
un’estensione del permesso. Sì... sì, lo so. Ma è davvero importante per il mio lavoro,
e penso che siamo d’accordo sul fatto che lei abbia una condotta esemplare, è
difficilmente il tipo di persona che abusa di certi privilegi, di lei non dobbiamo
preoccuparci. È certamente una delle studentesse più affidabili che conosca.» Quello
strappò un sorrisetto ad Adrian.
Ancora trenta secondi, ed ero libera dal coprifuoco. «Chi è Desiree?» chiesi, una
volta che la professoressa Terwilliger riattaccò.
«Il tuo capo dormitorio. La Weathers.»
«Davvero?» Pensai alla corpulenta, materna professoressa Weathers. Non avrei mai
immaginato che il suo nome fosse Desiree. Era il tipo di nome che avrei associato a
qualcuno di focoso e seducente.
Magari aveva una vita al di fuori della scuola di cui non eravamo a conoscenza.
«Quindi, ho un permesso per tutta la notte?»
«Non sono sicura che si prolunghi fino a tanto,» disse la professoressa Terwilliger.
«Ma di certo avremo abbastanza tempo per l’incantesimo. Non posso farlo per te, ma
posso aiutarti con gli ingredienti e le scorte.» Tamburellai sul libro, dimenticandomi
della paura non appena guardai la lunga lista. Dettagli come questi mi riportavano nel
mio elemento naturale. «Li ha tutti?»
«Certo.»
La professoressa Terwilliger ci condusse nel corridoio che si diramava dalla cucina,
dove mi aspettavo si trovassero le camere da letto. Una stanza, infatti, mentre
passavamo, conteneva un letto, ma la nostra destinazione finale era decisamente
diversa: un laboratorio. Era esattamente quello che ottieni se mischi il covo di uno
stregone e il laboratorio di uno scienzato pazzo. Una parte della stanza aveva
dell’equipaggiamento molto moderno: contenitori, un lavandino, becchi a gas, etc. Il
resto veniva da un’era diversa, provette di olii e spezie tritate, insieme a rotoli di
pergamena e semplici calderoni. Piante e spezie erano allineate sul davanzale di una
finestra. C’erano altri due gatti, ed ero abbastanza sicura che non fossero gli stessi che
c’erano in salotto.
«Sembra caotico,» disse la professoressa Terwilliger. «Ma oserei dire che è
abbastanza organizzato, persino per te.» Dopo un’ispezione più approfondita, capii che
aveva ragione. Tutte le piante e fiale erano etichettate in ordine alfabetico. Tutti gli
utensili erano ugualmente identificati, enumerati secondo la taglia e il materiale. Il
centro della stanza era un grande e liscio tavolo di pietra, e ci appoggiai i libri,
attentamente, per rimanere sulla pagina di cui avevamo bisogno.
«E ora?» chiesi.
«Ora, tu lo costruisci,» disse lei. «Più lo fai da sola, più forte sarà la tua connessione
con l’incantesimo. Ovviamente vieni da me se hai problemi con gli ingredienti o le
istruzioni. Altrimenti, più ti concentri, meglio è».
«Dove sarà lei?» chiesi, sorpresa. Per quanto non mi piacesse l’idea di lavorare con
lei in un laboratorio arcano e inquietante, l’idea che dovessi lavorarci da sola era anche
peggio.
Gesticolò verso il luogo dove sarebbero stati. «Oh, giusto qui fuori. Intratterrò tuo
‘fratello’ dato che hai davvero bisogno di farlo da sola.»
La mia ansia crebbe. Avevo protestato all’inizio per la richiesta di Adrian di venire
qui, ma ora lo volevo intorno. «Almeno posso avere del caffè?»
Lei ridacchiò. «Normalmente, direi di sì - particolarmente se stessi facendo lo sporco
lavoro di costruire un amuleto o fare una pozione. Ma dato che stai usando la mente,
la magia funzionerà meglio se i pensieri sono liberi e puliti da ogni sostanza che possa
modificare il tuo stato mentale.»
«Accidenti, suona familiare,» borbottò Adrian.
«Okay, allora,» dissi, risoluta ad essere forte. «Devo cominciare. Sonya sta
aspettando.» Purchè fosse ancora viva per aspettare.
La professoressa Terwilliger se ne andò, dicendomi di chiamarla quando ero
all’ultimo passaggio dell’incantesimo. Adrian ritardò un attimo per parlarmi. «Sei
sicura che tutto questo ti vada bene? Cioè, per quello che so di te e degli Alchimisti...
ecco, sei sempre stata contro l’utilizzo della magia.»
«No, non mi va bene,» concordai. «Come ho detto, questo va contro tutto ciò in cui
credo - contro tutto ciò che mi hanno insegnato. E questo è perché non lo puoi dire a
nessuno. L’hai sentita rimarcarmi in modo passivo aggressivo alla mia mancanza di
pratica? Mi è stata addosso per un po’ per sviluppare le mie cosiddette abilità magiche,
e io continuavo a rifiutare - perché è sbagliato. Quindi, mi ha fatto cercare libri di
incantesimi per il mio studio indipendente, nella speranza di farmi imparare per
osmosi».
«È un casino,» disse lui, scuotendo la testa. «Non lo devi fare per forza. Non devi
fare niente che tu non voglia fare».
Gli risposi con un piccolo sorriso. «Beh, voglio trovare Sonya. Quindi devo farlo».
Lui non mi rispose con un sorriso. «Okay. Ma sarò qui fuori - prenderò del the con i
suoi gatti o farò qualsiasi cosa abbia in mente. Hai bisogno di me? Gridi. Vuoi
andartene? Andiamo. Ti tirerò fuori da qui, a qualunque costo.» Qualcosa mi strinse il
petto, e per un momento, il mondo intero si ridusse al verde nei suoi occhi. «Grazie.»
Adrian se ne andò, e io rimasi sola. Beh, quasi. Uno dei gatti era rimasto in giro, uno
nero lucido con gli occhi gialli. Era sdraiato su uno scaffale, guardandomi curioso,
come se si stesse domandando se davvero potevo farcela. Ed eravamo in due.
Per un momento, non riuscii a muovermi. Stavo per fare della magia di mia
spontanea volontà. Tutte le proteste e le discussioni che avevo avuto con la
professoressa Terwilliger erano come cenere al vento, ora. Iniziai a tremare e mi sentii
il respiro corto. Poi, pensai a Sonya. Gentile, coraggiosa Sonya. Aveva dedicato così
tanto tempo ed energia a fare la cosa giusta. Come potevo fare di meno?
Come avevo annotato dalla professoressa Terwilliger, l’incantesimo era
ingannevolmente semplice. Non ci volevano neanche metà passaggi dell’incantesimo
del fuoco. Dovevo continuare a far sobbollire dell’acqua in un calderone di rame e
aggiungerci diversi ingredienti, molti dei quali erano chiari olii che dovevano essere
misurati con una precisa cura. L’aria divenne presto pregna degli aromi di bergamotto,
vaniglia, e eliotropio. Alcuni passaggi avevano la stessa ridondanza rituale che avevo
già fatto in precedenza. Per esempio, dovevo cogliere tredici foglie di menta da una
delle sue piante, lasciare cadere ogni foglia su un’altra e allo stesso tempo contarle in
greco. Poi, quando avevano sobbollito per tredici minuti, dovevo rimuovere ogni foglia
con un cucchiaio di legno di rosa.
Prima di andarsene, la professoressa Terwilliger mi aveva detto di rimanere
concentrata e pensare con cura a ogni passaggio dell’incantesimo e a quello che
speravo di ottenere. Quindi, raggruppai i miei pensieri intorno a Sonya e al trovarla,
pregando che stesse bene. Quando finalmente finii i passaggi iniziali, vidi che era già
passata quasi un’ora. Me ne ero accorta a stento. Mi passai una mano sulla fronte,
sorpresa da quanto si sudasse in quella stanza vaporosa. Uscii per trovare la
professoressa Terwilliger e Adrian, incerta su quale strana attività li avrei trovati a fare.
Invece, la situazione era abbastanza normale: stavano guardando la TV. Entrambi mi
fissarono quando mi avvicinai.
«Pronta?» chiese lei.
Annuii.
«C’è odore di the qua dentro,» disse Adrian, quando ci seguì nel laboratorio.
La professoressa Terwilliger esaminò il piccolo calderone e annuì con approvazione.
«Sembra perfetto.» Non sapevo come potesse constatarlo da un solo sguardo, ma
pensai che mi sarei fidata.
«Ora. L’effettiva divinazione comporta un piatto d’argento, giusto?» Guardò tra le
sue mensole dei piatti e indicò qualcosa. «Là. Usa quello.»
Tirai giù un piatto perfettamente rotondo, di trenta centimetri di raggio circa. Era
liscio, senza ornamenti, ed era stato lucidato con così tanto accanimento che rifletteva
come se fosse stato uno specchio. Nel mio riflesso vedevo i segni di deterioramento
fisico sui miei capelli e sul mio trucco a causa di quella giornata. In mezzo a chiunque
altro, ne sarei stata imbarazzata.
Misi il piatto sul tavolo e versai una tazza di acqua del calderone sulla superficie
argentata. Tutti gli ingredienti non liquidi furono rimossi, e l’acqua fu perfettamente
pulita. Una volta che non fu più increspata, l’effetto specchio di prima ritornò. La
professoressa Terwilliger mi porse una piccola scodella di incenso galbano, la quale il
libro diceva che doveva bruciare nell’ultimo passaggio. Accesi la resina con una
candela, e un odore amaro e acerbo si diffuse per la stanza, in contrasto con la dolcezza
del liquido.
«Hai ancora il capello?» Chiese la professoressa Terwilliger.
«Certo.» Lo lasciai cadere sulla superficie liscia. Una parte di me voleva che
succedesse qualcosa - scintille o fumo - ma lessi le indicazioni e fui più giudiziosa.
Spinsi uno sgabello verso il tavolo e mi sedetti. permettendomi di contemplarmi
nell’acqua. «Ora guardo?»
«Ora guardi,» confermò lei. «La tua mente deve rimanere concentrata, ma anche
espandersi. Devi pensare ai componenti dell’incantesimo e alla magia che portano,
nello stesso modo in cui desideri trovare il soggetto dell’incantesimo. Allo stesso
tempo, devi mantenere la mente perfettamente chiara e rimanere fissa sul tuo obbiettivo
con un’attenzione tagliente come un rasoio.»
Guardai il mio riflesso e provai a fare tutte quelle cose che aveva appena descritto.
Non successe niente. «Non vedo niente.»
«Certo che non vedi niente,» disse lei. «È passato solo un minuto. Ti ho detto che
questo è un incantesimo avanzato. Potrebbe volerci un po’ per te per chiamare a
raccolta tutta la forza e il potere di cui hai bisogno. Rimani sull’obbiettivo. Noi
aspetteremo.»
Se ne andarono entrambi. Fissai tetramente l’acqua, chiedendomi quanto sarebbe
stato "un po’". Ero felice quando all’inizio l’incantesimo era sembrato così semplice.
Ora, desideravo che ci fossero più ingredienti da mescolare, più formule da recitare.
Questa magia di alto livello, basata sulla volontà e l’energia mentale, era molto più
difficile - soprattutto perchè era intangibile. Mi piaceva il concreto. Mi piaceva sapere
cosa fare esattamente per far succedere le cose. Causa e effetto.
Ma questo? Questo era solo me che fissavo e fissavo, sperando di "rimanere fissata"
e avendo "un’attenzione tagliente come un rasoio". Come avrei saputo se ci stavo
riuscendo? Anche se avrei conquistato quello stato, poteva metterci altro tempo per
visualizzare quello che mi serviva. Provai a non pensarci, non ancora almeno. Sonya.
Sonya era l’unica cosa che importava al momento. Tutta la mia volontà e la mia energia
dovevano andare a lei, per salvarla.
Continuai a ripetermelo man mano che i minuti passavano. Ogni volta che ero certa
che mi sarei fermate e avrei chiesto alla professoressa Terwilliger cosa fare, avrei
forzato me stessa a continuare a guardare l’acqua. Sonya, Sonya. Pensa a Sonya. E
ancora, non successe niente. Finalmente, quando un dolore alla schiena rese la mia
seduta insopportabile, mi alzai per stiracchiarmi un po’. Anche il resto dei miei muscoli
iniziarono a contrarsi in crampi. Tornai in salotto; era passata un’ora e mezza
dall’ultima volta che c’ero stata.
«Niente?» chiese la professoressa Terwilliger.
«No,» dissi. «Devo aver fatto qualcosa di sbagliato.»
«Hai concentrato la mente? Pensato a lei? Pensato al trovarla?» Ero davvero stufa di
sentire la parola concentrarsi. La frustrazione aveva sostituito l’ansia iniziale. «Sì, sì, e
sì,» dissi. «Ma continua a non funzionare.» Lei scrollò le spalle. «E questo è perché
abbiamo un coprifuoco esteso. Prova ancora.» Adrian mi lanciò uno sguardo
comprensivo e iniziò a dire qualcosa - ma poi ci ripensò. Stavo per andarmene ma
indugiai appena un pensiero fastidioso mi tormentò.
«E se non fosse viva?» chiesi. «Potrebbe essere questo il motivo per il quale non
funziona?» La professoressa Terwilliger scosse la testa. «No. Dovresti comunque
vedere qualcosa se non lo fosse. E… beh, lo sapresti.»
Tornai in laboratorio e riprovai - con risultati simili. La volta successiva che andai a
parlare con la professoressa Terwilliger, vidi che non era passata neanche un’ora. «Sto
facendo qualcosa di sbagliato,» insistetti. «E anche se fosse, o ho sbagliato con
l’incantesimo iniziale. Oppure è decisamente al di sopra delle mie capacità».
«Se ti conosco, l’incantesimo è perfetto,» disse lei. «E no, non è al di sopra delle tue
capacità, ma solamente tu hai il potere di farlo accadere».
Ero troppo stanca per analizzare la sua assurda filosofia esoterica. Mi girai e, senza
una parola, arrancai verso il laboratorio. Quando lo raggiunsi, scoprii di essere stata
seguita. Guardai Adrian e sospirai.
«Nessuna distrazione, ricordi?» dissi.
«Non rimarrò,» disse lui. «Voglio solo assicurarmi che tu stia bene».
«Già... Cioè, non lo so. Sto come starebbero tutti in una situazione come questa.»
Feci un cenno con la testa verso il piatto d’argento. «Forse ho bisogno che tu mi tiri
fuori di qui». Lui considerò un attimo l’idea, poi scosse la testa. «Non penso sia una
buona idea». Lo fissai incredula. «Cosa è successo al tuo ‘non devi fare niente che tu
non voglia fare’? E le tue nobili difese?»
Un piccolo sorriso apparve sulle sue labbra. «Beh. Quello era prima, quando non
volevi farlo perchè andava contro al tuo credo. Ora che la linea è attraversata, il tuo
problema sembra essere un po’ di pessimismo e il fatto di non credere che tu possa
farcela. E onestamente, è una stronzata».
«Un po’ di pessimismo?» esclamai. «Adrian, ho fissato una ciotola d’acqua per oltre
due ore! È quasi la una e mezza. Sono esausta, voglio del caffè, e mi fa male ogni
muscolo del corpo. Oh, e sto quasi per vomitare per quell’incenso».
«Quelle cose fanno schifo,» concordò. «Ma, mi sembra di ricordare te che,
recentemente, ci dai una lezione sul tollerante disagio di fare la cosa giusta. Stai
dicendo che non puoi farlo per aiutare Sonya?»
«Farei di tutto per aiutarla! Tutto ciò che è in mio potere, credimi. E non penso che
questo vi rientri.»
«Non lo so,» meditò. «Ho avuto un sacco di tempo per parlare con Jackie - mi
permette di chiamarla così, sai - e ho imparato tutto riguardo alla cosa della magia
umana. Puoi farci un sacco di cose».
«È sbagliato,» brontolai.
«Eppure eccoti qui, con la possibilità di trovare Sonya». Adrian esitò, poi, prendendo
una decisione, mi si avvicinò e mi mise le mani sulle spalle. «Jackie mi ha detto che
sei una delle persone più naturalmente dotate per queste cose che abbia mai incontrato.
Ha detto che con un po’ di pratica, un incantesimo del genere sarà una passeggiata per
te, e lei è certa che puoi farcela. E io le credo. Non perché ho una prova del tuo talento
magico, ma perché ho visto come ti approcci a tutto il resto. Non fallirai. Non fallisci
mai a niente.» Ero così esausta che pensai che avrei potuto piangere. Volevo cadere in
avanti e farmi portare via da lui, come mi aveva promesso prima. «Questo è il
problema. Non fallisco, ma temo che fallirò ora. Non so com’è. E mi terrorizza.»
Specialmente perché Sonya dipende da me. Adrian si allungò e sfiorò il giglio sulla
mia guancia. «Non avrai bisogno di capire com’è, questa sera, perché non fallirai. Puoi
farcela. E io sarò qui con te fino alla fine, okay?»
Presi un respiro profondo e cercai di calmarmi. «Okay.» Tornai al mio sgabello dopo
che lui se ne fu andato, cercando di ignorare la fatica del corpo e della mente. Pensai a
quello che aveva detto, riguardo al fatto che non avrei fallito. Pensai alla fiducia che
aveva in me. E, soprattutto, pensai a Sonya. Pensai a quanto disperatamente volessi
trovarla.
Tutte queste cose si dimenavano dentro di me mentre fissavo l’acqua cristallina,
eccetto per il capello che vi galleggiava. Una linea rossa contro tutto quell’argento. Fu
come una scintilla di fuoco, una scintilla che divenne sempre più luminosa nei miei
occhi, fino a quando assunse una forma, un cerchio con linee stilizzate che ne
fuoriuscivano. Un sole, realizzai. Qualcuno aveva dipinto un sole sopra un pezzo di
compensato appeso ad una recinzione. Anche con una tela scadente, l’artista aveva
dedicato molta cura a dipingere il sole, stilizzando i raggi e assicurandosi che avessero
la stessa lunghezza. La recinzione stessa era brutta e industriale, e diedi un’occhiata a
ciò che sembrava un pannello elettrico, appeso su di essa. Il paesaggio era marrone e
arido, ma le montagne in lontananza mi dissero che era ancora la zona di Palm Springs.
Era come l’area in cui viveva Wolfe, fuori dalla città e lontano dalla bella vegetazione.
Oltre la recinzione, dietro il pannello, vidi un grande edificio che assomigliava ad un
tentacolo...
«Ahia!»
La visione scomparve e la mia testa colpì il pavimento. Ero caduta dallo sgabello.
Provai a sedermi, ma quello fu tutto ciò che riuscii a fare. Il mondo girava e il mio
stomaco aveva la nausea ed era vuoto. Dopo quelli che potevano essere stati tre secondi
o tre ore, sentii delle voci e dei passi. Forti braccia mi strinsero, e Adrian mi aiutò a
rimettermi in piedi. Mi aggrappai al tavolo, mentre lui raddrizzava lo sgabello e mi
aiutava a sedermi. La professoressa Terwilliger spinse il piatto d’argento da parte e lo
rimpiazzò con un ordinario piatto da cucina, pieno di formaggio e cracker. Un bicchiere
di succo d’arancia completò il tutto.
«Ecco,» disse. «Mangia questi. Ti sentirai meglio.»
Ero così disorientata e debole che non esitai neanche. Mangiai e bevvi come se non
mangiassi e bevessi da una settimana, mentre Adrian e la professoressa Terwilliger
aspettavano pazientemente. Fu solo quando praticamente leccai il piatto pulito che
realizzai cosa avevo consumato.
«Crackers e succo d’arancia?» gemetti. «Ci sono troppi grassi e zuccheri per questo
momento della notte.»
Adrian mi sbeffeggiò. «Lieto di vedere che non c’è nessun danno permanente».
«Dovrai abituarti se hai intenzione di usare molto la magia,» disse la professoressa
Terwilliger. «Gli incantesimi ti possono svuotare. Non è raro avere un calo di zuccheri,
dopo averne fatto uno. Il succo d’arancia diventerà il tuo migliore amico.»
«Non mi ci abituerò mai, dato che non ho intenzione di...» Ansimai, non appena le
immagini che avevo visto nel piatto d’argento mi ripiombarono addosso. «Sonya!
Penso di aver visto dov’è». Descrissi cosa avevo visto, anche se nessuno di noi aveva
idea di che posto stessi parlando.
«Sei sicura che fosse un normale sole? Con i raggi?» chiese Adrian. «Perché pensavo
che i cacciatori usassero il vecchio simbolo Alchimista - il cerchio e il punto».
«Lo usano, ma quello era decisamente... oh, Dio.» Guardai Adrian. «Dobbiamo
tornare alla Amberwood. Adesso.»
«Non dopo questo,» disse la professoressa Terwilliger. Stava usando la severa voce
da insegnante. «Ci è voluto più del previsto. Dormi qui e io chiarirò tutto con Desiree
e la scuola, domani.»
«No.» Mi alzai e sentii le gambe iniziare a cedere, ma alla fine, tennero. Adrian mi
circondò con un braccio, per supportarmi, chiaramente non credendo al recupero del
mio corpo. «Devo tornare là. Penso di sapere come scoprire dov’è quel posto.» Adrian
aveva ragione nel dire che il sole che avevo descritto non era sulla spada o sulla
brochure. Entrambe usavano il simbolo vecchio. Quello nella mia visione aveva un
adattamento più moderno - e non era la prima volta che lo vedevo.
Il sole che avevo visto nella mia visione era uguale identico al tatuaggio di Trey.
CAPITOLO 20 Traduzione: Sherm
Pre-Revisione: Alessia C.
ANDARE DA TREY era più facile a dirsi che a farsi. Che una ragazza entrasse nel
dormitorio dei maschi era già abbastanza difficile durante le ore diurne. Ma dopo il
coprifuoco? Nel bel mezzo della notte? Quasi impossibile.
Dovetti ricorrere a opzioni più creative, così chiamai Eddie mentre riportavo a casa
Adrian. Una cosa della quale non mi sentivo mai in colpa di fare era chiamare Eddie a
qualsiasi ora. Teneva accesa la suoneria (soprattutto per la gioia di Micah, nessun
dubbio), e sospettavo dormisse con il telefono di fianco al cuscino.
«Sì?» La voce di Eddie era all’erta e pronta, come se non si fosse neanche mai
addormentato. E lui era proprio così.
«Ho bisogno che tu vada a vedere se puoi svegliare Trey,» gli dissi. «Sonya è stata
rapita e la tengono in un posto strano, con un segno simile al tatuaggio di Trey.
Dobbiamo scoprire cosa sa.»
Era la prima volta che Eddie sentiva parlare del rapimento di Sonya, ma non chiese
ulteriori informazioni - o come conoscessi il posto dove la tenevano. Sapeva che era
stata in pericolo ultimamente, e questo veloce messaggio era stato abbastanza da
metterlo in azione. Non sapevo esattamente cosa avrei fatto quando Eddie avesse
trovato Trey, dato che non avrei potuto parlargli fino alla mattina successiva. In ogni
caso, dovevamo pur cominciare da qualche parte.
«Okay,» disse Eddie. «Ho afferrato. Ti richiamo.»
Chiudemmo la connessione, e io soffocai uno sbadiglio. «Beh, non è un granché.
Speriamo che Eddie riesca a scoprire qualcosa.»
«Preferibilmente senza picchiare Trey, intanto» disse Adrian. Si rannicchiò contro
il sedile, l’unica dimostrazione che anche lui fosse stanco, dopo la nostra uscita
notturna. Si era convertito da un po’ alla notturna routine dei vampiri. «Visto che quello
potrebbe limitare il numero di informazioni che potremmo scoprire.»
Feci una smorfia. «Se Trey è in qualche modo coinvolto in tutto questo, non sono
sicura di volergliela far passare liscia. E nonostante tutto... è solo che non posso credere
che sia coinvolto.»
«La gente si inganna a vicenda continuamente. Guardati. Credi che Trey sappia che
tu fai parte di una società segreta che aiuta a tenere nascosti i vampiri dal mondo?»
«In effetti... sì.» Mi fermai al semaforo rosso e ripensai ad alcuni strani
comportamenti di Trey.
«Sono quasi sicura che sappia che Jill è una Moroi. Non se n’è accorto subito, ma
quando se n’è accorto, ha continuato a dirmi di tenerla nascosta. Poi, dopo che Sonya
è stata aggredita, mi ha detto di rimanere al sicuro.» Realizzai una cosa terribile. «Lui
sapeva. Sapeva che ero amica di Sonya. Probabilmente sapeva dell’attacco e non ha
mai detto niente!»
«Non c’è da sorprendersi se il suo gruppo sta lavorando contro il tuo.» Il tono di
Adrian si ammorbidì. «Se ti fa stare meglio, sembrava frustrato quando ti ha avvisato.».
«Non lo so. Oh, Adrian.» Andai di fronte all’edificio e vidi la Mustang gialla
illuminata da un lampione. «Hai lasciato fuori la macchina. Sei fortunato che non te
l’abbiano portata via.»
«La sposterò» disse. «E non guardarmi così. È nel raggio di mezzo miglio. Non ho
infranto nessuna delle tue regole.»
«Stai solo attento» borbottai.
Aprì la portiera di Caffelatte e mi guardò. «Sei sicura di voler tornare a scuola? Sarai
bloccata lì fino a domattina.»
«Non che possa fare molto fino ad allora, comunque. Voglio essere lì nell’istante in
cui potrò andare da Trey. Mi fido di Eddie per ora».
Adrian non sembrava volere lasciarmi andare, ma alla fine annuì. «Chiama se hai
bisogno di qualcosa. Continuerò a provare a vedere se riesco a trovare Sonya nei suoi
sogni. Non ho avuto molta fortuna finora.» Uno dei poteri più sconcertanti dello spirito
era l’abilità di irrompere nei sogni degli altri. «Potrebbe semplicemente non essere
addormentata?»
«Quello, o drogata.»
Né l’una, né l’altra opzione mi fecero sentire meglio. Mi lanciò un ultimo, esitante
sguardo, prima di andarsene.
Tornai alla Amberwood, dove un assistente mezzo addormentato mi salutò con un
gesto della mano, senza dire una parola. La professoressa Weathers era andata a casa
da un bel po’ di tempo, e la sua copertura notturna non sembrava prestare particolare
attenzione al mio andirivieni. Mentre salivo le scale, il cellulare squillò.
Eddie.
«Beh, ci ho messo una vita, ma finalmente ho svegliato il suo coinquilino» mi disse.
«E?»
«Non c’è. Scommetto che non c’era neanche ieri sera. Una specie di emergenza di
famiglia.»
«Non ti ha detto niente su quando sarebbe tornato?» Stavo iniziando a pensare che
tutte le "emergenze familiari" di Trey potessero essere più insidiose di quanto avessi
immaginato. Ero anche pronta a scommettere che non fosse l’unico ad avere un sole
tatuato.
«No.»
DORMII A TRATTI quella notte. Il mio corpo era spossato dalla magia, ma ero troppo
preoccupata per Sonya per cedere completamente alla stanchezza. Continuai a
svegliarmi e a controllare il telefono, per paura di aver perso qualche chiamata -
nonostante la suoneria fosse impostata al massimo. Finalmente mi arresi e mi alzai dal
letto un paio d’ore prima che iniziassero a distribuire la colazione in mensa. Il tempo
di farmi una doccia e vestirmi - e mettere la macchinetta del caffè in funzione - ed ero
tornata nella fascia d’apertura del campus. Non che mi fece stare molto meglio.
Feci altre due chiamate, la prima a Spencer, per vedere se Trey stava lavorando. Non
che mi aspettassi che lo facesse, ma era una buona scusa per vedere se c’era stato negli
ultimi giorni.
Non c’era stato. La chiamata seguente fu alla Stanton, per riportare la scomparsa di
Sonya. Le dissi del legame che aveva un mio compagno di classe con i cacciatori di
vampiri e che Sonya sembrava essere tenuta prigioniera in un edificio appena fuori
città. Non elaborai una scusa su come facevo a saperlo, e la Stanton era troppo distratta
dal rapimento in generale per chiederne di più.
A colazione, trovai la mia "famiglia" seduta con Micah nella mensa della parte ovest.
Le facce preoccupate di Eddie, Angeline, e Jill mi dissero che sapevano di Sonya.
Micah stava chiacchierando allegramente di qualcosa, ed ebbi la sensazione che
evitasse di discutere su ciò di cui volevano veramente parlare. Quando Micah chiese
qualcosa a Eddie, mi avvicinai a Jill e le mormorai, «Portalo via di qui.»
«Devo dirgli di andarsene?» mi rispose sussurrando.
«Se ce n’è bisogno. Oppure vai con lui.»
«Ma io voglio...»
Si morse il labbro non appena l’attenzione di Micah tornò su di lei. Sembrò triste
riguardo a quello che doveva fare, ma presto indossò quell’espressione risoluta che le
avevo visto recentemente. Indicò il piatto di Micah. «Ehi, hai finito? Devo controllare
una cosa con la professoressa Yamani. Vieni con me?»
Micah si illuminò. «Certo.»
Una volta che se ne furono andati, mi rivolsi a Eddie e Angeline. «Nessuna traccia
di Trey?» chiesi.
«No» disse Eddie. «Ho controllato ancora questa mattina. Il suo coinquilino sta
iniziando a odiarmi. Non che lo biasimi.»
«Tutto questo mi sta facendo diventare matta!» dissi, sentendomi come se dovessi
sbattere la testa contro un muro. «Siamo così vicini eppure inutili. Ogni minuto che
passa è un minuto che Sonya non ha.» Lui fece una smorfia. «Sei sicura che sia viva?»
«Ieri sera lo era» dissi.
Sia Eddie che Angeline mi guardarono sorpresi. «Come lo sai?» chiese lei.
«Um, ecco, io, non è possibile!» spalancai la bocca non appena guardai dietro a
Eddie. «Quello è Trey!» E infatti, un Trey dagli occhi appannati era appena entrato
nella mensa. I capelli umidi indicavano una doccia recente, ma c’erano contusioni e
graffi su di lui che non potevano più essere attribuiti al football.
Eddie si mise in azione prima che potessi dire un’altra parola, e Angeline fu veloce
nel seguirlo.
Era come se mi aspettassi che Eddie affrontasse Trey su due piedi. E invece, Eddie
si mise di fronte a Trey e gli impedì di mettersi in fila per prendere da mangiare. Arrivai
in tempo per sentire Eddie dire: «Niente colazione oggi. Tu vieni con noi.»
Trey iniziò a protestare, poi vide Angeline e me. Anche Jill apparve
improvvisamente, avendo apparentemente perso Micah. Uno sguardo triste attraversò
i lineamenti di Trey, quasi sconfitto, e annuì in modo stanco. «Andiamo fuori.»
Appena chiudemmo la porta, Eddie tenne stretto Trey e lo sbatté contro il muro
dell’edificio. «Dov’è Sonya Karp?» chiese Eddie. Trey sembrava sorpreso, come
previsto.
Eddie era magro e muscoloso, ma la maggior parte della gente sottovalutava quanto
fosse forte.
«Eddie, calmati!» sibilai io, guardandomi intorno, a disagio. Avevo lo stesso
impulso, vero, ma il nostro interrogatorio non sarebbe durato a lungo se fosse arrivato
un insegnante pensando che stavamo maltrattando un altro studente.
Eddie lasciò andare Trey e si fece indietro, ma c’era ancora una scintilla pericolosa
nei suoi occhi.
«Dove la tenete?»
Quelle parole sembrarono scuotere Trey dal suo stato catatonico. «Come lo sapete?»
«Le facciamo noi le domande,» disse Eddie. Non aveva più toccato Trey, ma la sua
vicinanza e la sua postura non lasciavano domande sul fatto che avrebbe fatto quello
che doveva fare se ce ne fosse stato bisogno. «Sonya è ancora viva?» Trey esitò, e mi
aspettai un "non lo so". «S-sì. Per ora.» Eddie scattò di nuovo. Afferrò il bordo della
maglietta di Trey e se lo tirò vicino. «Giuro che se te e quegli spostati dei tuoi soci
avete alzato anche una sola mano su di lei… »
«Eddie» lo avvisai.
Per un momento, Eddie non si mosse. Poi, riluttante, lasciò andare la maglietta di
Trey, ma rimase dov’era. «Trey» cominciai, mantenendo lo stesso tono ragionevole
che avevo usato con Eddie. Dopotutto, Trey ed io eravamo amici, no? «Devi aiutarci.
Per favore, aiutaci a trovare Sonya.»
Scosse la testa. «Non posso, Sydney. È per il vostro stesso bene. Lei è malvagia.
Non so che trucco abbia usato con te o come abbia fatto quest’illusione per nascondere
la sua vera identità, ma non puoi fidarti di lei. Ti si rivolterà contro. Lasciaci, lasciaci
fare quello che dobbiamo fare». Le parole erano tutte giuste, perfettamente in linea con
la propaganda dei Guerrieri. Ma, c’era qualcosa nel modo in cui Trey aveva parlato,
qualcosa nella sua posizione... Non riuscii a capire cosa me lo fece pensare. La gente
mi rimproverava per la mia incapacità a cogliere gli indizi sociali, ma ero quasi certa
che non fosse completamente convinto di fare qualsiasi cosa il gruppo voleva che
facesse.
«Questo non sei tu, Trey» dissi. «Ti conosco abbastanza bene da saperlo. Non
uccideresti una donna innocente.»
«Non è innocente.» Eccolo ancora, quel misto di emozioni. Dubbio. «È un mostro.
Sai che cosa sono. Sai cosa possono fare. Non quelli come lei.» indicò Jill. «Ma gli
altri. Quelli non-morti.»
«Sonya ti sembra una non-morta?» chiese Eddie. «Hai visto degli occhi rossi, per
caso?»
«No» ammise Trey. «Ma abbiamo altri rapporti. Testimoni che l’hanno vista nel
Kentucky. Rapporti di vittime.»
Fu difficile rimanere impassibili di fronte a quello. Avevo visto Sonya quando era
una Strigoi. Era terrificante, e se ce ne fosse stata l’opportunità, avrebbe ucciso me e i
miei compagni. È difficile da accettarlo, ma quando qualcuno è trasformato in Strigoi,
perde il controllo dei sensi e dell’anima. Perde il contatto con la sua umanità, o quello
che hanno i Moroi, e non è più lo stesso di prima. Sonya aveva fatto cose davvero
terribili, ma non era più una di quelle creature.
«Sonya è cambiata» dissi. «Non è più una di loro.» Gli occhi di Trey si strinsero.
«Questo è impossibile. Sei stata ingannata. Hanno usato una specie di... Non so... magia
nera.»
«Questa cosa non ci sta portando da nessuna parte,» ringhiò Eddie. «Chiama Dimitri.
Noi ce la faremo a farci dire dove si trova questo posto. Ho irrotto in una prigione.
Entrare in quel posto non deve essere molto più difficile.»
«Oh, lo pensi davvero?» Un sorriso privo di umorismo attraversò i lineamenti di
Trey. «Quel posto è circondato da una recinzione elettrizzata e difesa da uomini armati.
In più, lei è strettamente sorvegliata. Non potete semplicemente andare lì.»
«Perché è ancora viva?» chiese Angeline. Sembrò accorgersi di quanto strana
suonasse quella domanda e si affrettò a rielaborare. «Non che... Cioè, sono felice che
lo sia. Ma se pensate che sia così cattiva, perché non l’avete uccisa subito?» Lei guardò
me e i miei amici. «Scusate.»
«È una buona domanda» le disse Eddie.
Trey si prese un po’ di tempo per rispondere. Avevo la sensazione che fosse
combattuto tra il mantenere i segreti del gruppo e giustificare a noi le sue azioni.
«Perché dobbiamo essere tutti testati» disse alla fine. «Per vedere chi è idoneo
all’uccisione.»
«Oh, mio Dio» disse Jill.
«Ecco spiegati i tuoi graffi» dissi. I miei timori sulla violenza domestica non erano
poi tanto sbagliati, alla fine.
«Stai competendo per uccidere una donna che non ti ha fatto niente.»
«Smettila di dirlo!» urlò Trey, che sembrava sinceramente sconvolto. «Non è
innocente.»
«Ma non ne sei sicuro,» dissi, «o sbaglio? I tuoi occhi non ti stanno dicendo quello
che sono i tuoi amici cacciatori.»
Evase la mia accusa. «La mia famiglia se lo aspetta da me. Dobbiamo provare tutti,
specialmente dopo che abbiamo incasinato la storia dell’attacco nel vialetto. Inoltre,
abbiamo perso l’autorizzazione di ucciderla, e questo è perché il concilio ha emesso
queste prove per vedere se ne eravamo degni.» Avere l’"autorizzazione" per uccidere
qualcuno era nauseante, ma fu il resto di quello che disse che fece vedere doppio.
«Tu eri là» dissi incredula. «Nel vialetto, e... ed eri tu! Sei stato tu ad afferrarmi!»
Mi tornò in mente solo allora, la sorpresa e l’esitazione del mio assalitore.
L’espressione di Trey diceva quanto bastava. «Sapevo che eri loro amica. Lo so solo
a guardarvi, anche se non avevo capito subito di voi due.» Parlava di Eddie e Angeline.
Trey tornò a rivolgersi a me. «Ho riconosciuto il tatuaggio la prima volta che ci
siamo incontrati. L’ho solo ignorato perché ho pensato che non fossi coinvolta tanto
quanto me. Pensavo che uscissi semplicemente con dei vampiri innocui, per questo non
mi aspettavo di trovarti là, quella notte. Non volevo che ti facessi male. Non lo voglio
ancora, e questo è perché devi lasciar perdere questa storia.»
«Sono stanco di tutto questo,» disse Eddie. Era stato un miracolo il fatto che fosse
rimasto paziente fino ad quel momento. «Dobbiamo buttare giù le porte di quel posto
e...»
«Aspetta, aspetta.» Un’idea si stava formando nella mia testa... un’altra di quelle
folli. «Trey, hai detto che Eddie non può semplicemente entrare in quel posto. Ma io
posso?»
«Di cosa stai parlando?» chiese Trey, sul suo viso c’era un misto di sospetto e
confusione.
«Lo sai cosa sono. Lo sai cosa faccio.» Trey annuì. «Una volta i nostri due gruppi
erano uniti. I tizi che mi hanno fermato in strada hanno perfino detto che dovremmo
lavorare tutti insieme. I Guerrieri vogliono le risorse degli Alchimisti.»
«Quindi, cosa... vuoi uno scambio?» chiese Trey accigliato.
«No. Voglio solo parlare con questo tuo consiglio. Voglio spiegare loro perché
Sonya non è... cioè, perché non sembra più quello che era prima. C’è un Moroi che usa
una certa specie di magia che potrebbe perfino mostrarti...»
«No» disse immediatamente Trey. «Nessuno di loro potrebbe essere ammesso
all’interno. Sono tollerati, ma la cosa finisce qui. Neanche voi ibridi sareste ammessi.»
Ancora, parlò ad Eddie e Angeline. non avevo mai sentito l’uso del termine ibrido, ma
il significato era chiaro.
«Okay,» dissi. «Solo umani. Sono umana. Il tuo gruppo vuole lavorare con il mio
gruppo. Fammi venire con te. Disarmata. Parlerò con i tuoi capi e...»
«Sydney, no,» protestò Eddie. «Non puoi andarci da sola! Hanno provato a
decapitare Sonya, per l’amor di Dio. E ricordi quello che ha detto Clarence riguardo ai
radicali che lo stavano seguendo?»
«Non faremo del male agli umani,» disse categoricamente Trey. «Sarà al sicuro.»
«Ti credo,» gli dissi. «E so anche che non permetterai che mi succeda qualcosa.
Senti, non sei curioso di sapere perché Sonya è così com’è? Puoi accettare la possibilità
che la tua gente possa fare un simile errore? Hai detto che tollerate i Moroi. Lei è una
di loro. Fatemi spiegare. Non sto chiedendo nient’altro che la possibilità di parlare.»
«E la garanzia che sarà al sicuro,» aggiunse Angeline, che sembrava oltraggiata
quasi quanto Eddie.
Lui annuii alle sue parole. «Voi siete molto legati a questa cosa dell’onore, giusto?
Devi promettere che sarà al sicuro.»
«Noi facciamo quello che facciamo per l’onore» disse Trey. «Se promettiamo che
sarà al sicuro, lo sarà.»
«Allora chiediglielo.» Lo esortai. «Per favore? Lo faresti per me? Come amico?»
Quando lo dissi, uno sguardo addolorato attraversò i lineamenti di Trey. Prima aveva
accennato che era in debito con me per averlo aiutato con la faccenda del tatuaggio
illegale, il mese scorso. Quello avrebbe obbligato qualsiasi amico, anche senza un
radicato senso dell’onore. Allora capii che c’era molto di più dell’onore in gioco.
Trey e io eravamo amici... con molte più cose in comune di quanto avessi mai
immaginato. Facevamo entrambi parte di gruppi che volevano controllare le nostre
vite, spesso in modi che non ci piacevano. Avevamo entrambi padri dispotici. Se Trey
e io non avessimo avuto obbiettivi opposti, avremmo potuto farci una risata su tutto
questo.
«Chiederò» disse Trey. Qualcosa mi disse che anche lui stava pensando alle nostre
somiglianze. «Perché sei tu. Ma non posso prometterti niente.»
«Allora chiedi» ringhiò Eddie. «Non abbiamo tempo da perdere. E scommetto che
neanche Sonya ne ha.»
Trey non lo negò. Esitai, improvvisamente chiedendomi se fosse stata una scelta
intelligente. Cosa sarebbe successo se avessimo perso di vista Trey? Non sarebbe stato
meglio portarlo da Dimitri?
E Sonya... quanto tempo le rimaneva?
«Ora» Ribadii a Trey. «Devi contattarli ora. Non andare a lezione.» Probabilmente
era stata la prima e unica volta che avrei detto quelle parole.
«Lo giuro» disse Trey. «Li chiamo adesso.»
Suonò la campanella, che segnava la fine del nostro incontro. In ogni modo, se
avessimo avuto una possibilità di salvare Sonya in quel momento, sapevo che ogni mio
amico sarebbe andato via dal campus immediatamente. Lasciammo andare Trey, che
si indirizzò di nuovo verso il suo dormitorio, non verso le aule. Angeline, nuovamente
libera dalla sospensione ,se ne andò con Jill, mentre Eddie e io andammo a lezione di
storia.
«È stato uno sbaglio» disse con lo sguardo cupo, non appena si girò verso il luogo
dove Trey era sparito. «Per quello che sappiamo, può sparire dalla circolazione e noi
avremo perso l’unica possibilità di riavere Sonya indietro.»
«Non lo farà» dissi. «Conosco Trey. È una brava persona, e sono anche sicura che
se pensa che gli Strigoi vadano sterminati, non è sicuro al 100 percento di Sonya. Farà
quello che può. Penso che si senta combattuto al momento, intrappolato tra quello che
gli hanno raccontato per tutta la sua vita e quello che riesce a vedere con i suoi occhi.»
Suona familiare? chiese una voce interiore.
Avevo come sperato che Trey mi avrebbe dato una risposta velocemente... diciamo,
a chimica. Ma non si vide per la scuola o da nessun’altra parte per tutta la giornata.
Pensai che per queste cose ci volesse tempo, e la mia pazienza e fede furono
ricompensate alla fine della giornata: Ci sto ancora lavorando. Alcuni sono disponibili
a parlare. Altri ancora da convincere.
Eddie non considerò il messaggio di Trey come prova concreta quando glielo
mostrai, ma non pensai che Trey avrebbe detto qualcosa se se la fosse filata. Eddie
voleva riunirsi da Dimitri e discutere una strategia per questi nuovi sviluppi. Quindi,
decidemmo di fare una gita di gruppo e andare in centro. Mandai alla nostra famiglia
l’indicazione di trovarci fuori dal dormitorio Est entro mezz’ora. Jill fu la prima ad
arrivare, che si fermò non appena mi vide.
«Wow, Sydney... i tuoi capelli.»
Alzai lo sguardo dal messaggio che stavo scrivendo a Brayden, dicendogli che non
sarei potuta uscire quel fine settimana. «Cos’hanno?»
«Il modo in cui sono acconciate le ciocche. Circondano perfettamente il tuo viso.»
Mi stava ancora guardando in quel modo strano. «Beh, già» dissi, sperando di cambiare
argomento. «È un, ehm, bel taglio. Scusa se ti abbiamo addossato Micah prima.» Ci
mise qualche secondo, ma la mia distrazione la distolse dal suo stato di trance da
capelli.
«Oh, no. Non c’è problema. Cioè, le cose stanno diventando più strane tra di noi in
ogni caso.»
«Si?» Micah mi era sembrato più allegro che mai, l’ultima volta che l’avevo visto.
«Avete ancora dei problemi?»
«Beh... Suppongo di averli io. Mi piace davvero. Adoro uscire con lui e con i suoi
amici. Ma continuano a ricordarmi come non possa succedere niente tra di noi. Tipo,
questa mattina. C’è un intero mondo in cui siamo di cui lui non può far parte. Non ce
la faccio a pensare di mentirgli per tenerlo fuori dalla mia vita. Dovrei farlo... per
davvero. Chiudere il discorso. So di averlo già detto prima, ma ora ne sono sicura.»
«Siamo qui per te se lo fai» dissi. Lo intendevo davvero, ma se poi Jill fosse venuta
da me piangendo, non ero completamente sicura di quello che le avrei detto. Forse
potevo trovare un libro su una vera e propria rottura, che consigliava tecniche prima
che lei compisse quel gesto.
Un sorriso sbilenco le attraversò il viso. «Sai cosa c’è di strano? Cioè, non voglio
saltare da un ragazzo all’altro - e Micah mi interessa ancora - ma sto iniziando ad
accorgermi che bravo ragazzo sia Eddie.»
«Un ragazzo fantastico» confermai.
«Il fatto che Moroi e dhampir stiano insieme è molto sconsigliato quando si è più
grandi, ma ora... Cioè, so di qualcuno che si è messo insieme alla St. Vladimir.» Mi
rivolse una risata imbarazzata. «Lo so, lo so... Non dovrei neanche pensarci. Un
ragazzo alla volta. Ma comunque... più guardo Eddie... è così coraggioso e così
fiducioso. Sai che farebbe di tutto per noi. È come l’eroe di un libro. Ma è così dedicato,
probabilmente non sarebbe mai interessato a una come me. Non ha tempo per gli
appuntamenti.»
«In verità» dissi io, «Penso che potresti interessargli molto.» I suoi occhi si
spalancarono. «Davvero?»
Volevo dirle tutto. Invece, scelsi le mie parole con molta attenzione, non volendo
raccontare in giro i suoi segreti dopo che mi aveva parlato riguardo al fargli gestire da
solo i suoi affari personali.
«Non fa altro che parlare di quanto tu sia intelligente e competente. Penso che
inizierebbe sicuramente qualcosa.» Mi aveva anche parlato di quanto non fosse degno
dell’amore di lei ma quello avrebbe risolto la situazione se Jill fosse andata da lui di
sua iniziativa.
Lei si perse nei suoi pensieri, e non dicemmo più niente sull’argomento quando
Eddie e Angeline arrivarono. Andammo in città, e lasciai Jill e i due dhampir da Adrian
mentre sbrigavo alcune commissioni. Aspettare Trey era agonizzante e avevo bisogno
di una distrazione. In più, ero a corto di qualche rifornimento Alchimista e volevo
essere sicura di essere in perfetta forma prima di qualsiasi esperienza nel campo dei
Guerrieri.
Mi suonò il telefono non appena iniziammo a raggrupparci. Era Trey, e andai fuori
da un’erboristeria per rispondere.
«Okay,» disse lui. «Puoi venire. Ti incontreranno stasera... solo tu.» Ansia e
eccitazione mi attraversarono da capo a piedi. Quella sera. Sembrava
sorprendentemente presto, anche se era esattamente quello che volevo. Dovevamo
tirare Sonya fuori di lì.
«Ti passo a prendere alle sette» continuò Trey. «E... beh, mi dispiace... ma ti ci devo
portare bendata. E dovrò assicurarmi che nessuno ci segua. Se lo fanno, salta tutto.»
«Capisco,» dissi, anche se il fatto di essere bendata rendeva tutto più spaventoso.
«Sarò pronta. Grazie, Trey.»
«Inoltre» aggiunse, «vogliamo indietro la spada.»
Gli diedi le indicazioni per venire a prendermi da Adrian, dato che avevo la
sensazione che Dimitri e Eddie avrebbero avuto molto da dirmi prima. Infatti, li
chiamai non appena chiusi la telefonata con Trey, per metterli al corrente. Chiamai
anche la Stanton per aggiornarla. Mi accorsi che avrei dovuto chiamarla
precedentemente, ma volevo avere prima una risposta definitiva da Trey.
«Non mi piace l’idea che ci andrai da sola,» disse lei. «Ma sembra improbabile che
ti facciano del male. Sembra che stiano alla larga dagli umani... noi in particolare. E se
c’è un’opportunità di tirare fuori di lì la Karp... beh. Questo ci eviterebbe un sacco di
discussioni con i Moroi.» Il tono della Stanton mi disse che anche se pensava che sarei
stata al sicuro, non era ottimista per quanto riguardava Sonya. «Stai attenta, Signorina
Sage.»
L’appartamento di Adrian era pieno di tensione quando arrivai. Dimitri, Eddie e
Angeline erano chiaramente agitati, probabilmente perché erano stati esclusi
dall’azione. Anche Adrian, sorprendentemente, sembrava agitato, anche se non
riuscivo a capire perché. Jill lo guardava preoccupata, e continuavano a guardarsi,
indubbiamente passandole messaggi nascosti attraverso il loro legame. Alla fine, lui
distolse lo sguardo, come se avessero finito di conversare. Jill sospirò e andò dagli altri
in cucina.
Iniziai a parlare con Adrian, ma Eddie mi fece cenno di avvicinarmi. «Stiamo
decidendo se darti un’arma o no,» disse.
«Beh, la risposta è ‘no’» dissi immediatamente. «Dai, mi benderanno. Pensate
davvero che non mi perquisiranno prima?»
«Ci dev’essere un modo» disse Dimitri. Dato che c’era l’aria condizionata,
indossava lo spolverino.
«Non posso lasciarti andare indifesa.»
«Non sono in pericolo» dissi, sentendomi come se non avessi ripetuto altro per tutto
il giorno. «Possono anche essere dei pazzi, ma Trey dice che se danno la loro parola,
la mantengono.»
«Sonya non ha queste garanzi,» puntualizzò Dimitri.
«Nessun’arma mi aiuterà a salvarla» dissi. «Eccetto le mie argomentazioni. Sono
armata di quelle e farò del mio meglio.»
I dhampir non sembravano ancora contenti. Ricominciarono a discutere tra di loro,
e li lasciai per cercare un po’ d’acqua. Adrian mi chiamò dal soggiorno. «C’è una bibita
dietetica là dentro.»
Aprii il frigo. Ero abbastanza sicura che fosse pieno di ogni tipo di bibita. E, infatti,
c’era più cibo di quanto ne avessi mai visto. Un altro beneficio della generosità di
Nathan Ivashkov. Presi una lattina di Coca Light e mi unii ad Adrian sul divano.
«Grazie» dissi, aprendo la lattina. «La seconda cosa migliore che potresti avere dopo
il gelato.» Inarcò un sopracciglio. «Gelato? Mi sembra un dolce, Sage.»
«Lo è» ammisi. L’argomento mondano era confortante tra tutta quella tensione. «È
tutta colpa tua che lo hai tirato fuori ieri. Ora non riesco a smettere di pensarci. Ne
volevo un po’ dopo cena ieri sera, e Brayden me lo ha impedito... e per questo,
probabilmente, ne sono ancora più ossessionata. Succede sempre, no? Una volta che
non puoi avere una cosa, la vuoi sempre di più.»
«Sì» disse lui amaramente. «Succede sempre.»
«Perché sei così giù di morale? Anche tu pensi che debba avere un’arma?» Con
Adrian, era molto difficile indovinare dove sarebbe andato il suo umore.
«No, la guardo dal tuo punto di vista e penso che tu abbia ragione» disse. «Non che
ami l’idea che tu vada laggiù da sola.»
«Devo aiutare Sonya» dissi.
Mi studiò e sorrise. «Lo so. Vorrei poter venire con te.»
«Ah, sì? Mi proteggerai e mi tirerai fuori di lì come hai minacciato ieri sera?» lo
stuzzicai.
«Ehi, se ce ne sarà bisogno. Te e Sonya. Vi porterò fuori una su ogni spalla.
Abbastanza virile, eh?»
«Molto» dissi, felice di vederlo scherzare di nuovo.
Il suo divertimento sfumò e tornò di nuovo serio. «Lascia che ti chieda una cosa.
Cos’è più spaventoso: andare nella tana di qualche folle umano omicida o essere al
sicuro, sebbene con una stramba specie di vampiri e mezzi vampiri? So che problemi
avete voi Alchimisti con noi, ma la lealtà verso la tua specie è così forte che... Non lo
so... che le persone stesse non contano?»
Era una domanda sorprendentemente profonda per Adrian. Mi richiamò alla
memoria la gita nel bunker Alchimista per vedere Keith. Mi ricordò come, al padre di
Keith non era importato del carattere morale di suo figlio per così tanto che aveva fatto
sì che Keith non fosse in buoni rapporti con i vampiri. Ripensai al vialetto e a quanto
fossero ostinati i Guerrieri, riguardo al sentire una verità che non appartiene a loro. E,
infine, lanciai un’occhiata ai dhampir che stavano discutendo in cucina, continuando a
cercare tattiche intelligenti per tenere me e Sonya al sicuro, nonostante i rischi.
Tornai a rivolgermi ad Adrian. «Credo che sceglierò i vampiri. La lealtà a una specie
può andare molto lontano.» Qualcosa cambiò sul viso di Adrian, ma non ci prestai
attenzione. Ero troppo colpita dalla realizzazione che le parole che avevo appena
pronunciato erano simili all’alto tradimento per gli Alchimisti.
Eddie e Angeline ci lasciarono più tardi per andare a prendere la cena, e lasciai che
prendessero la mia macchina, sempre che fosse Eddie a guidare. Quando se ne furono
andati, Dimitri provò a insegnarmi altre tecniche di autodifesa, ma era complicato
imparare qualcosa in così poco tempo. Continuavo a pensare a Wolfe che ci avvisava
di evitare i luoghi pericolosi. Cosa avrebbe pensato di me se avesse saputo che stavo
per andare in una tana di pericolosi cacciatori di vampiri?
Eddie e Angeline erano stati via per un po’, poi tornarono, infastiditi dal fatto che il
ristorante ci avesse messo tanto. «Non pensavo che saremmo tornati in tempo,» disse
Eddie. «Pensavo che non avresti mangiato prima della tua missione.»
«Non so neanche se ci riesco, a mangiare,» Ammisi. Accantonate le mie precedenti
e coraggiose parole, stavo iniziando a diventare nervosa. «Oh, puoi tenerle, nel caso ti
serva la macchina.» Si avvicinò alla mia borsa e mise dentro le chiavi, comunque. «Sei
sicura?»
«Affermativo.»
Scrollò le spalle e ripescò le chiavi dalla borsa. Adrian, con mia sorpresa, lo guardò
con gli occhi socchiusi, come se fosse infastidito da qualcosa. Oggi non riuscivo a stare
al passo con il suo umore.
Lui si alzò ed andò da Eddie. Dopo alcuni momenti, si allontanarono un po’ e
sembrava che avessero iniziato un litigio sottovoce, uno che implicava occhiate verso
di me.
Tutti sembravano a disagio, così tirarono fuori il primo discorso che era venuto in
mente. Io riuscivo solo a guardarmi intorno, sentendomi come se mi fossi persa
qualcosa di importante.
Trey mi chiamò alle sette in punto, dicendo che era fuori ad aspettarmi. Mi alzai
dalla sedia e presi la spada, feci un respiro profondo. «Auguratemi buona fortuna.»
«Ti accompagno fuori,» disse Adrian.
«Adrian» lo avvertì Dimitri.
Adrian alzò gli occhi al cielo. «Lo so, lo so. Non preoccupatevi. Ho promesso.»
Promesso cosa? Nessuno indagò. Non era una lunga camminata, dato che viveva al
piano terra, ma quando uscimmo, mi strinse, le sue mani adagiate sulle mie braccia.
Una scossa mi attraversò, sia per il suo tocco che per il gesto inaspettato. I suoi unici
momenti di tenerezza erano, solitamente, solo con Jill.
«Sage» disse. «Davvero. Stai attenta. Non fare l’eroina, ne abbiamo già tanti là
dentro. E... non importa cosa succede, voglio che tu sappia che non ho mai dubitato di
quello che stai per fare. È intelligente e coraggioso.»
«Suona tanto come una cosa già successa e fallita» dissi.
«No, no. Io volevo solo... beh, volevo solo farti sapere che mi fido di te.»
«Okay» dissi, sentendomi un po’ perplessa. Avevo ancora quella sensazione, come
se non mi stessero dicendo qualcosa. «Speriamo che il mio piano funzioni.»
Dovevo andare via, liberarmi dalla presa di Adrian, ma era come se non potessi farlo.
Esitavo ad andare, per alcune ragioni. Lì c’era sicurezza e conforto. Una volta
allontanata, sarei davvero andata a finire nella tana del leone. Aspettai ancora un paio
di secondi al sicuro nel cerchio che avevamo formato, poi, riluttante, andai.
«Ti prego, stai attenta» ripeté. «Torna sana e salva.»
«Lo farò.» Mi slacciai la collana dal collo e la premetti sulla sua mano. «Questa
volta, tienila per davvero. Tienila fino a quando tornerò. Se ti preoccupi troppo,
guardala e sappi che tornerò a prenderla. Si abbina bene con il cachi e i colori neutri.»
Pensavo che me la ridesse indietro, ma annuì semplicemente e la strinse nel palmo.
Andai via, sentendomi leggermente più vulnerabile senza quella, ma speravo
rassicurasse lui. Il mio sconforto sembrò improvvisamente piccolo, al confronto.
Volevo che Adrian stesse bene.
Mi sedetti al posto del passeggero della macchina di Trey e gli diedi immediatamente
la spada. Lui sembrava infelice proprio come prima. «Sei sicura di volerlo fare?»
Perché tutti continuavano a chiedermelo? «Sì. Assolutamente.»
«Fammi vedere il cellulare.»
Glielo diedi, e lui lo spense. Me lo restituì, insieme a una benda. «Mi fido di te nel
mettertela da sola.»
«Grazie.»
Iniziai ad allacciarmela quando, senza pensarci, diedi un ultimo sguardo all’edificio
dietro di me.
Adrian era ancora là, le mani nelle tasche, la faccia preoccupata. Quando si accorse
del mio sguardo, fece un piccolo sorriso e alzò la mano per... cosa? Dirmi addio? Farmi
una benedizione? Non lo sapevo, ma mi fece sentire meglio. L’ultima cosa che vidi fu
la luce di un raggio di sole, appena prima di coprirmi gli occhi con la benda.
Affondai nell’oscurità.
CAPITOLO 21 Traduzione: Sherm
Pre-Revisione: Noir
AVEVO VISTO FILM in cui le persone bendate riuscivano a capire dove stavano
andando, basandosi su qualche innato talento nel percepire il movimento e la direzione
del veicolo. Non io. Dopo un paio di curve, non avrei saputo dire il punto di Palm
Springs in cui ci trovavamo... specialmente visto che sospettavo che Trey stesse
prendendo una strada leggermente indiretta per assicurarsi di non essere pedinato.
L'unica cosa di cui ero certa era che eravamo entrati nell'Interstatale 10, semplicemente
perchè si sentiva l'autostrada. Non sapevo in che direzione stessimo andando e non
avevo neanche modo di calcolare accuratamente da quanto tempo fossimo in viaggio.
Trey non era molto propenso alla conversazione, anche se mi dava delle brevi
risposte quando gli ponevo qualche domanda. «Quando ti sei unito ai cacciatori di
vampiri?»
«Guerrieri della Luce» mi corresse lui. «E sono uno di loro dalla nascita.»
«È per questo che parli sempre di pressioni da parte della tua famiglia e che si aspettano
così tanto da te, non è vero? È per questo che tuo padre è così preccupato per la tua
forma fisica.»
Presi il silenzio di Trey per un'affermazione e continuai a insistere, necessitavo di
più informazioni possibili. «Ogni quanto avete i vostri, ehm, incontri? Fate sempre quei
test brutali?» Fino a poco tempo fa, non c'era niente che mi facesse insinuare che la
vita di Trey non fosse come quella di un qualunque atleta del liceo che che cercava di
tenersi al passo con i voti, un lavoro e una vita sociale attiva. Infatti, a pensare a tutte
le cose che faceva Trey di solito, era difficile immaginare che avesse tempo anche per
i Guerrieri.
«Non abbiamo degli incontri abituali» disse lui. «Beh, non quelli al mio livello.
Aspettiamo finchè non ci chiamano, di solito perchè c'è una caccia in programma. A
volte svolgiamo delle competizioni, per testare la nostra forza. I nostri leader girano
per il mondo, e poi i Guerrieri si radunano da molti posti diversi in modo da essere
pronti.»
«Pronti per cosa?»
«Il giorno in cui potremo mettere fine a questa piaga dei vampiri.»
«E credi davvero che questa caccia sia il modo di farlo? Che sia la cosa giusta da fare?»
«Li hai mai visti?» Chiese lui. «I vampiri malvagi, non morti?»
«Ne ho visti un po'.»
«E non pensi che dovrebbero essere distrutti?»
«Non è ciò che sto cercando di dirti. Neanch'io amo gli Strigoi, credimi. Il punto è
che Sonya non è una di loro.»
Ancora silenzio.
Infine, sentii che stavamo uscendo dall'autostrada. Viaggiammo ancora per un po'
finchè la macchina non rallentò e si voltò, su una strada sterrata. Poco dopo ci
fermammo, e Trey abbassò il finestrino.
«È lei?» chiese un uomo sconosciuto.
«Sì.» disse Trey.
«Hai spento il suo cellulare?»
«Sì.»
«Allora portala dentro. Finiranno loro la perquisizione.»
Sentii un cancello cigolante aprirsi, e poi continuammo sulla strada sterrata finchè
non sentii la terra spianata. Trey fermò la macchina e la spense. Aprì la sua portiera
nello stesso momento in cui qualcuno aprì la mia. Una mano sulla mia spalla mi spinse
avanti.
«Forza. Esci.»
«Stai attento con lei» lo avvertì Trey.
Fui guidata dalla macchina fin dentro a un edificio. Soltanto quando sentii una porta
chiudersi a chiave mi tolsero la benda dagli occhi. Ero in una stanza spoglia con i muri
di cartongesso non ancora finiti e delle lampadine esposte sul soffitto. Intorno a me e
Trey c'erano altre quattro persone, tre uomini e una donna. Sembravano tutti sulla
ventina, e due di loro erano i ragazzi che mi avevano fermato alla tavola calda. In più,
erano tutti armati.
«Svuota la tua borsa.» Era Jeff, il ragazzo dai capelli scuri e a spazzola, indossava
un orecchino dorato con l'antico simbolo del sole.
Li osservai, buttando fuori il contenuto della mia borsa sopra un tavolo improvvisato
fatto di compensato in cima a dei mattoni. Mentre setacciavano le mie cose, la donna
mi ispezionò, in caso avessi addosso delle cimici. Aveva dei capelli decolorati
malamente e un ringhio perenne sul viso, ma perlomeno la sua perquisizione fu
professionale ed efficiente.
«Cos'è questo?» Capelli Biondi della tavola calda teneva in mano una piccola busta
di plastica piena di erbe e fiori secchi. «Non sembri il tipo da droghe.»
«È potpourri» risposi prontamente.
«Tieni del potpourri nella borsa?» Chiese lui incredulo.
Io feci spallucce. «Teniamo molti tipi di cose. In ogni caso, ho tolto tutti gli acidi e
gli agenti chimici prima di venire qui.»
Confermò il potpourri come innocuo e lo gettò in una pila con altri oggetti approvati,
come il mio portafoglio, l'antisettico per mani e un semplice braccialetto di legno. In
quel momento notai che la pila includeva anche un paio di orecchini. Erano dei cerchi
d'oro, coperti di intricati vortici e piccole gemme. Erano belli... ma non li avevo mai
visti prima.
Di certo non avrei richiamato l'attenzione su niente, in ogni caso, particolarmente
quando la donna afferrò il mio cellulare. «Dovremmo distruggerlo.»
«L'ho spento» replicò Trey.
«Potrebbe riaccenderlo. Può essere rintracciato.»
«Non lo farebbe» ribattè Trey. «Per di più, non è un po' paranoico? Nessuno ha quel
tipo di tecnologia nella vita reale.»
«Ne rimarresti sorpreso» commentò lei.
Lui porse la mano in avanti. «Dallo a me. Lo terrò al sicuro. È qui in buona fede.»
La donna esitò finche Jeff non annuì. Trey si fece scivolare il telefono in tasca, e io
gli fui grata. C'erano un sacco di numeri salvati che sarebbero stati una vera rottura da
sostituire. Non appena la mia borsa fu dichiarata sicura, mi accordarono di rimettere
tutto dentro e di portarla con me.
«Okay» disse Capelli Biondi. «Andiamo nell'arena.»
Arena? Era difficile immaginarsi cosa poteva implicare in un posto del genere. Ciò
che avevo visto nel piatto d'argento non mi aveva mostrato molto dell'edificio, a parte
che era sviluppato tutto su un piano e che aveva un che di decrepito e logoro. E di fatto
la stanza in cui eravamo sembrava andare d'accordo con quel tema. Se le brochure
antiquate erano un'ulteriore prova del senso dello stile dei Guerreri, mi aspettavo che
la suddetta 'arena' fosse nel garage di qualcuno.
Mi sbagliavo.
Tutto ciò che mancava ai Guerrieri della Luce negli altri settori della loro operazione,
l'avevano messo nell'arena... o, come mi avevano detto che era il nome ufficiale,
l'Arena della Radiosità Divina del Sacro Oro. L'arena era stata costruita sopra a una
radura circondata da molti edifici. Non lo definirei esattamente un cortile interno. Era
più grande, e il terreno non era come la terra spianata su cui ci eravamo trovati prima.
Questa sistemazione era ben lontana dall'essere raffinata o high tech, e per quanto
cercassi di trattenermi, non potevo evitare di pensare a Trey che mi aveva detto che i
Guerrieri erano arrivati in città quella settimana.
Ma il fatto di aver messo tutto questo insieme così velocemente.... beh, era
impressionante. E spaventoso. Due gruppi di spalti di legno traballanti erano stati eretti
nelle parti opposte dell'arena. Un gruppo era composto da cinquanta spettatori, la
maggior parte dei quali erano uomini, di età differenti. I loro occhi, sospettosi e ostili,
erano su di me mentre mi conducevano dentro. Potevo praticamente sentire i loro
sguardi perforare il mio tatuaggio. Conoscevano tutti gli Alchimisti e la nostra storia?
Erano tutti vestiti normalmente, ma qui e là vedevo dell'oro. Molti di essi indossavano
degli ornamenti - una spilla, un orecchino, ecc. - con il simbolo del sole, sia quello
moderno che quello antico.
Gli altri spalti erano quasi vuoti. Tre uomini – più grandi, vicino all'età di mio padre
– sedevano l'uno accanto all'altro. Erano vestiti con delle tuniche gialle coperte di
ricami color oro che scintillavano nella luce arancione del tramonto. Elmi dorati
coprivano le loro teste ed erano incisi dall'antico simbolo del sole, il cerchio con il
punto. Anche loro ricambiarono lo sguardo, e io tenni la testa alta, sperando di poter
nascondere il tremito delle mie mani. Non potevo presentare delle argomentazioni
convincenti per Sonya se avevo l'aria intimidita.
Intorno all'arena, drappeggiate su delle aste, c'erano bandiere di tutte le forme e
dimensioni. Erano fatte di un pesante e sontuoso tessuto che mi ricordava gli arazzi
medievali. Ovviamente, questi non erano così vecchi, ma davano comunque un senso
sfarzoso e cerimoniale al posto. I disegni sugli striscioni variavano considerevolmente.
Alcuni sembravano davvero usciti dal passato, mostrando dei cavalieri stilizzati che
combattevano contro dei vampiri. Rabbrividii solo a guardarli. Avevo davvero fatto un
salto nel passato, nella parte di un gruppo con una storia antica come quella degli
Alchimisti. Gli altri striscioni erano più astratti, rappresentando gli antichi simboli
dell'alchimia. E altri sembravano moderni, riproducendo il sole sulla schiena di Trey.
Mi chiesi se quella nuova interpretazione del sole servisse per attirare i giovani d'oggi.
Per tutto il tempo, continuavo a pensare, meno di una settimana. Hanno sistemato
tutto questo in meno di una settimana. Viaggiano con tutto questo, pronti ad allestire
al minimo preavviso con lo scopo di condurre queste competizioni o esecuzioni. Forse
sono primitivi, ma ciò non li rende meno pericolosi.
Anche se la vasta folla di spettatori sembrava appena uscita da una rissa, come una
sottospecie di milizia proveniente da un luogo remoto, era un sollievo che non
sembrassero armati. Solo i miei accompagnatori lo erano. Una dozzina di pistole erano
ancora fin troppe per i miei gusti, ma mi dovevo accontentare... e sperare che tenessero
le pistole solo per impressionarmi. Raggiungemmo i posti vuoti in fondo, e Trey si
mise in piedi di fianco a me.
«Questo è l'alto concilio dei Guerrieri della Luce» esordì Trey. Indicò verso ognuno
di loro, a turno. «Maestro Jameson, Maestro Angeletti e Maestro Ortega. Questa è
Sydney Sage.»
«Sei più che benvenuta qui, sorella minore» disse Maestro Angeletti con una voce
grave. Aveva una barba lunga e caotica. «Il tempo della nostra riconciliazione è
scaduto. Saremo molto più forti una volta che avremo messo da parte le nostre diversità
e ci saremo uniti come un unico gruppo.»
Io feci il sorriso più educato che potei mettere insieme e decisi di non precisare che
gli Alchimisti non sarebbero stati felici di accettare dei fanatici armati di pistola nei
nostri ranghi. «È un piacere conoscervi, signori. Vi ringrazio per avermi accordato di
venire. Mi piacerebbe parlarvi di...»
Maestro Jameson alzò una mano per fermarmi. I suoi occhi sembravano troppo
piccoli per il suo volto. «Ogni cosa a suo tempo. Prima, vorremmo mostrarti quanto
siamo diligenti nell'addestrare i nostri giovani per lottare nella grande battaglia. Proprio
come voi incoraggiate l'eccellenza e la disciplina della mente, noi facciamo lo stesso
con il corpo.»
Attraverso qualche tacito segnale, la porta da cui eravamo appena entrati si aprì. Un
volto familiare uscì e si mise al centro dell'arena: Chris, il cugino di Trey. Stava
indossando dei pantaloni della tuta ed era a petto nudo, fornendo una buona vista del
sole tatuato sulla schiena. Aveva uno sguardo feroce e si mise in piedi al centro della
radura.
«Credo che tu abbia conosciuto Chris Juarez» disse Maestro Jameson. «È uno dei
finalisti in quest'ultimo round di combattimento. L'altro, di certo, lo conosci già.
Piuttosto ironico che dei cugini si affrontino, ma anche giusto visto che entrambi hanno
fallito nell'attacco iniziale al demonio.» Mi voltai verso Trey, a bocca aperta. «Tu? Tu
sei uno dei... contendenti per uccidere Sonya?» Riuscivo a parlare a malapena. Mi
voltai di nuovo verso il concilio, allarmata. «Mi avevate detto che avrei avuto una
possibilità per parlare del caso di Sonya.»
«L'avrai» disse Maestro Ortega, in un tono che implicava che sarebbe stato fiato
sprecato. «Ma prima, dobbiamo stabilire il nostro campione. Contendenti, prendete
posto.»
Notai allora che anche Trey aveva i pantaloni della tuta, come se dovesse andare agli
allenamenti di football da un momento all'altro. Si tolse anche lui la maglietta e, non
sapendo cosa farsene, me la porse. La presi e continuai a fissarlo, ancora incapace di
capire cosa stesse succedendo. Incontrò il mio sguardo brevemente ma non lo sostenne.
Si allontanò per unirsi a suo cugino, e Maestro Jameson mi invitò a sedermi.
Trey e Chris si fronteggiarono. Mi sentii un po' in imbarazzo a studiare due ragazzi
senza maglietta, ma in fondo, non stava succedendo niente di troppo osceno. Da quando
l'avevo conosciuto la prima volta, la mia impressione su Chris non era cambiata. Lui e
Trey erano entrambi in ottima forma fisica, muscolosi e forti con il tipo di corpi
costantemente al lavoro e allenati. L'unico vantaggio che aveva Chris, se si poteva
considerare tale, era l'altezza... che avevo già notato in precedenza. La sua altezza. Con
una scossa, i ricordi dell'attacco nel vicolo mi ritornarono alla mente. C'era poco da
vedere dei nostri aggressori, ma quello che brandiva la spada era alto. Chris doveva
essere stato inizialmente assegnato per uccidere Sonya.
Un altro uomo con la toga comparve dalla porta. I suoi vestiti avevano un taglio
leggermente diverso rispetto a quelli del concilio e in qualche modo presentavano più
ricami dorati. Invece di indossare un elmo, portava un copricapo, più in linea
all'abbigliamento di un prete. Difatti, sembrava proprio esserlo, visto che Chris e Trey
si inginocchiarono davanti a lui. Il prete marchiò le loro fronti con dell'olio e pronunciò
qualche tipo di benedizione che non sentii. Poi, con mia sorpresa, fece il segno contro
il male sulla sua spalla... il segno contro il male degli Alchimisti.
Penso che, più dei discorsi contro i vampiri malvagi o l'utilizzo condiviso degli antichi
simboli, era quello che faceva capire quanto erano legati i nostri due gruppi un tempo.
Il segno contro il male era una piccola croce disegnata sulla spalla con la mano destra.
Era sopravvissuto tra gli Alchimisti sin dai tempi antichi. Un brivido mi attraversò.
Eravamo davvero rimasti sempre gli stessi.
Quando il prete finii, un altro uomo si avvicinò e porse a entrambi i cugini una mazza
di legno corta e smussata... come quella che usano i poliziotti per tenere a bada le grandi
folle. Trey e Chris si voltarono verso l'un l'altro, fermi in pose aggressive, tenendo le
mazze pronte per colpire. Un brusio eccitato attraversò la folla, avido di violenza. Le
brezze serali alzavano dei vortici di sabbia intorno ai cugini, ma nessuno di loro trasalì.
Mi voltai verso il concilio, incredula.
«Si attaccheranno con quelle mazze?» Chiesi. «Potrebbero uccidersi!»
«Oh no» disse Maestro Ortega, fin troppo calmo. «Non abbiamo avuto delle morti in
queste prove da anni. Si feriranno, certo, ma non fa altro che rafforzare i nostri
guerrieri. A tutti i nostri giovani uomini viene insegnato a sopportare il dolore e
continuare a lottare.»
«Giovani uomini» Ripetei. Il mio sguardo si spostò sulla bionda decolorata che mi
aveva portato qui. Era in piedi di fianco ai nostri spalti, tenendo la sua pistola al fianco.
«E le vostre donne?»
«Anche le nostre donne sono forti» disse Maestro Ortega. «E certamente apprezzate.
Ma non ci sogneremmo mai di lasciarle combattere nelle arene o di impegnarsi nel
cacciare i vampiri. In parte lo facciamo per tenerle al sicuro. Combattiamo questo male
per il loro bene e per i nostri futuri figli.» L'uomo che aveva fornito le mazze annunciò
anche le regole con una voce alta e squillante che riempì l'arena. Con mio grnade
sollievo, i cugini Juarez non si sarebbero sfidati irrazionalmente.
C'era un sistema per lottare nel combattimento che stavano per affrontare. Potevano
colpirsi solo in certi posti. Colpire altre parti avrebbe comportato delle penalità. Un
colpo ben assestato avrebbe fatto guadagnare un punto. La prima persona che riusciva
a fare cinque punti vinceva.
Non appena cominciarono, però, fu chiaro che non sarebbe stato civile come avevo
sperato. A dire il vero, Chris assestò subito il suo primo colpo, centrando Trey in modo
così accanito sulla spalla che sussultai. Boati animaleschi e dei 'oh' risuanorono dalla
folla assetata di sangue, a cui fecero eco i fischi sconcertati da parte dei sostenitori di
Trey. Trey non reagì neanche e continuò a cercare di colpire Chris, ma avrei potuto
prevedere un brutto livido su quella spalla. Entrambi erano molto veloci e attenti,
riuscendo a schivare la maggior parte dei colpi. Si giravano attorno, cercando di
cogliere l'altro con la guardia abbassata. Altra terra si alzò, attaccandosi alla pelle
sudata. Mi ritrovai piegata in avanti, i pugni stretti dal nervosismo. Avevo la bocca
secca e non riuscivo a proferire parola.
In qualche modo, mi ricordava un po' il modo in cui si allenavano Eddie e Angeline.
Certo, anche loro si ferivano. Nella loro situazione, pero', combattevano come se si
fosse trattato di guardiani contro Strigoi. C'era una bella differenza tra quello e due
ragazzi che cercavano di infliggere più danni possibili l'un l'altro. Guardando Chris e
Trey, sentii lo stomaco attorcigliarsi. Non mi piaceva la violenza, in particolar modo
quest'esibizione barbarica. Era come essere riportata ai tempi dei gladiatori.
Il fervore della folla continuava a crescere. Erano tutti in piedi, esultando e incitando i
cugini a continuare. Le loro voci risuonavano nella notte silenziosa. Nonostante fosse
stato colpito per primo, Trey poteva chiaramente tenere testa al cugino. Lo guardai
mentre assestava un colpo dopo l'altro su Chris e non ero sicura di ciò che mi disgustava
di più: vedere il mio amico venir ferito o vederlo ferire qualcun altro.
«Tutto questo è terribile» Dissi, quando riuscii finalmente a ritrovare la voce.
«Questa è eccellenza messa in atto» rispose Maestro Angeletti. «Non mi sorprende
visto che anche i loro padri sono dei guerrieri eccezionali. Anche loro bisticciavano
quando erano giovani. Sono loro, in basso nella fila davanti.»
Guardai il punto indicato e vidi due uomini di mezz'età, fianco a fianco, con sguardi
di gioia dipinti sui loro volti mentre incoraggiavano i cugini. Non ebbi neanche bisogno
delle indicazioni del Maestro Angeletti per capire che erano parenti. I tratti della
famiglia Juarez erano profondi sui quei uomini e i loro figli. I padri esultarono con
passione come la folla, non sussultando neanche quando Trey o Chris venivano feriti.
Erano proprio come mio padre e quello di Keith. Non importava niente a parte che
l'orgoglio di famiglia e vivere secondo le regole del nostro gruppo.
Persi il conto dei punti finchè Maestro Jameson non disse, «Ah, molto bene. Il
prossimo punto determina il vincitore. Mi rende sempre orgoglioso quando i
concorrenti vengono abbinati così equamente. Mi fa capire che abbiamo fatto la cosa
giusta.»
Non c'era niente di buono in tutto questo. Le lacrime mi pizzicarono gli occhi, ma non
avrei saputo dire se fosse stato per l'aria secca e polverosa o semplicemente per l'ansia.
Trey e Chris grondavano sudore, i petti si alzavano e si abbassavano per lo sforzo della
battaglia. Entrambi erano coperti di graffi e lividi, che andavano ad aggiungersi a quelli
già ricevuti in passato. La tensione nell'arena era palpabile mentre gli spettatori
aspettavano di vedere chi avrebbe messo a segno l'ultimo colpo. I cugini si fermarono
brevemente, studiandosi l'un l'altro, realizzando che questo era il momento della verità.
Questo era il colpo che avrebbe fatto la differenza. Chris, il volto illuminato ed
emozionato, agì per primo, scattando in avanti per mettere a segno un colpo sul fianco
di Trey. Ansimai, scattando in piedi, allarmata come la maggior parte della folla. Il
rumore era assordante. Dall'espressione di Chris era chiaro che riuscisse a gustarsi la
vittoria, e mi chiesi se stesse già immaginando il colpo che avrebbe ucciso Sonya. Il
tramonto inondò il suo volto con una luce color sangue.
Forse era perchè avevo visto abbastanza degli allenamenti di Eddie da imparare
qualche base, ma all'improvviso realizzai qualcosa. I movimenti di Chris erano troppo
avventati e superficiali. Di fatti, Trey avrebbe potuto schivare il colpo, e io tirai un
sospiro di sollievo. Riaffondai nel mio posto. Quelli che erano certi che sarebbe stato
fatto fuori ruggirono d'indignazione.
Ciò lasciò Trey con una bella breccia per avere la meglio su Chris. La tensione
ritornò. Avrebbe davvero migliorato le cose? Trey che 'vinceva' il diritto di togliere una
vita? Il punto fu irrilevante. Trey non ne approfittò. Mi accigliai mentre guardavo. Non
andò esattamente a tentoni, ma c'era qualcosa che non andava. C'è un ritmo nel lottare,
in cui l'istinto e i riflessi hanno la meglio. Era come se Trey avesse combattuto di
proposito contro la sua prossima mossa istintiva, quella che avrebbe detto colpisci ora!
E facendo così, Trey lasciò la guardia abbassata. Ricevette un colpo da Chris, che lo
atterrò. Mi misi una mano sul mio petto, come se avessi sentito anch'io il colpo.
La folla impazzì. Persino i decorosi maestri si alzarono, urlando approvazione e
sconcerto. Dovetti sfrozarmi di stare seduta. Ogni parte di me voleva correre laggiù e
assicurarsi che Trey stava bene, ma avevo la sensazione che uno dei membri armati dei
miei accompagnatori mi avrebbero sparato o messo KO prima di fare due passi. La mia
preoccupazione svanì un pochino quando vidi Trey barcollare. Chris diede un
amichevole colpetto sulla schiena a Trey, con un sorriso a trentadue denti mentre la
folla gridava il suo nome.
Poco dopo Trey indietreggiò verso gli spalti affollati, lasciando il posto al vincitore.
Suo padre lo guardò con disapprovazione ma non disse niente. L'uomo che gli aveva
dato la mazza si avvicinò a hris con la spada che avevo restituito. Chris la alzò al cielo,
guadagando molti più applausi. Di fianco a me, Maestro Jameson si alzò e urlò,
«Portate la creatura!»
Non avrei esattamente chiamato 'creatura' Sonya Karp mentre quattro Guerrieri
armati fino ai denti la trascinavano attraverso l'arena polverosa. Le sue gambe
sembravano funzionare a malapena, e anche da questa distanza, capii che era drogata.
Era per questo che Adrian non riusciva a raggiungerla nei suoi sogni. Spiegava anche
perchè non aveva usato la magia per tentare di scappare. I suoi capelli erano un caos
totale, ed era vestita esattamente come l'ultima volta che l'avevo vista da Adrian. Erano
pieni di fango, ma perlomeno, non sembrava avere nessun segno di violenza fisica.
Questa volta, non mi trattenni dall'alzarmi. La ragazza bionda mise immediatamente
una mano sulla mia spalla, costringendomi ad abbassarmi. Fissai Sonya, desiderando
disperatamente di aiutarla, ma sapevo di essere impotente. Repressi la paura e la
rabbia, mi risedetti lentamente sugli spalti, voltaindomi poi verso il concilio.
«Mi avevate detto che avrei avuto un'occasione per parlare.» Il loro senso d'onore. «Mi
avete dato la vostra parola. Non significa niente per voi?»
«La nostra parola significa tutto» disse Maestro Ortega, sembrando offeso. «Avrai
la tua occasione.»
Dietro il sorvegliante di Sonya arrivarono altri due uomini che trasportavano un
enorme blocco di legno con dei buchi per le braccia. Sembrava uscito direttamente
fuori dal set di un film medievale, e il mio stomaco si attorcigliò quando realizzai a
cosa serviva: decapitazione. Le ombre aumentarono, costringendo gli uomini a portare
delle torce che gettava sull'arena una luce minacciosa e tremolante. Era impossibile
credere di essere nella California del ventunesimo secolo. Mi sentii come se fossi stata
trasportata in qualche castello barbaro.
E infatti, questi cacciatori erano dei barbari. Uno dei sorveglianti di Sonya la spinse
facendola inginocchiare da dietro, costringendo la sua testa contro la superficie del
blocco mentre le legava le mani con le costrizioni di pelle. Nel suo stato di
disorientamento, il tizio non aveva neanche bisogno di usare tutta quella forza. Non
riuscivo a credere che si comportassero come se fossero superiori quando stavano per
mettere fine alla vita di una donna inerme, per non parlare del fatto che non sapeva
neanche di essere qui. Tutti reclamavano il suo sangue, e io stavo per sentirmi male.
Maestro Angeletti si alzò, e il silenzio cadde sull'arena. «Ci siamo riuniti qui dalle più
disparate parti del paese per uno splendido evento. È sempre una fortuna quando
riusciamo ad avere uno Strigoi prigioniero.» Perchè non è una Strigoi, pensai con
rabbia. Non sarebbero mai riusciti a catturare uno Strigoi vivo. «Affliggono gli umani
rispettabili come noi, ma oggi ne spediremo uno all'Inferno – uno che è particolarmente
ingannevole, capace di nascondere la sua vera natura e di fingere di essere uno dei
demoni più innocui, i Moroi – un giorno affronteremo anche loro.» Sussurri di
approvazione attraversarono la folla. «Prima di iniziare, però, uno dei nostri fratelli
Alchimisti vorrebbe parlare per conto di questa creatura.»
L'approvazione svanì, sostituita da mormorii e sguardi di rabbia. A disagio, mi chiesi
se le guardie che tenevano le pistole puntate verso di me si sarebbero girate verso i loro
colleghi se fossi stata attaccata. Maestro Angeletti alzò le mani e li zittì.
«Mostrerete rispetto a nostra sorella minore,» disse lui. «Gli Alchimisti sono nostri
parenti, e una volta, eravamo uniti. Sarebbe un evento di grande importanza riunire le
nostre forze.»
E con quello, si risedette e mi fece un cenno. Non ci furono altre interruzioni, e
pensai che volesse dire che potevo finalmente parlare. Non ero completamente sicura
di come poterla aiutare o da dove cominciare. Il concilio aveva potere decisionale, ma
questo sembrava il tipo di cosa che tutti dovrebbero ascoltare. Mi alzai e aspettai che
la ragazza con la pistola mi fermasse. Non lo fece. Lentamente, attentamente, mi feci
strada giù dagli spalti e mi fermai nell'arena, facendo attenzione a non andare vicino a
Sonya. Pensai che non l'avrebbero accolto bene.
Tenni il corpo voltato verso il concilio ma girai la testa sperando che fosse alla
portata di tutti. Avevo già presentato dei resoconti e dei verbali ma sempre in una sala
conferenze. Non avevo mai parlato davanti a una grande folla, figurarsi parlare ad un
grande gruppo come quello degli affari dei vampiri. La maggior parte dei volti erano
inghiottiti dalle ombre, ma potevo immaginarmi tutte quelle occhiate furiose e assetate
di sangue fisse su di me. La bocca mi si seccò, e, in quella che era una rara circostanza,
la mia mente ebbe un vuoto. Un momento dopo, potei reprimere la paura (anche se di
certo non andò via), e ricordai cosa volevo dire.
«State facendo un errore» cominciai. Avevo la voce bassa, e mi schiarii la gola,
sforzandomi di cercar di far capire e di sembrare più forte. «Sonya Karp non è una
Strigoi.»
«Abbiamo delle documentazioni di lei in Kentucky» mi interruppe Maestro Jameson.
«Testimoni oculari che l'hanno vista uccidere.»
«Questo perchè allora era una Strigoi. Ma non lo è più.» Continuai a pensare che il
tatuaggio mi avrebbe fermato dal parlare, ma questo gruppo conosceva già molto bene
il mondo dei vampiri. «Nell'ultimo anno, gli Alchimisti hanno imparato molte cose sui
vampiri. Dovete sapere che i Moroi – o come li chiamate voi 'demoni innocui' –
praticano la magia degli elementi. Abbiamo recentemente scoperto che c'è un nuovo e
raro tipo di magia là fuori, legato ai poteri psichici e alla guarigione. Quel potere ha
l'abilità di far ritornare gli Strigoi alla loro forma originaria, che sia umana, dhampir o
Moroi.»
Alcuni dinieghi irritati diventarono presto un delirio. La mentalità della folla in
azione. Ci fu bisogno di Maestro Jameson per zittirli di nuovo. «Ciò,» disse
semplicemente, «è impossibile.»
«Abbiamo dei casi documentati di tre – no, quattro – persone a cui è successo. Tre
Moroi e un dhampir che erano Strigoi e ora sono di nuovo in possesso di loro stessi e
delle loro anime.» Parlare di Lee al presente non era del tutto corretto, ma non c'era
bisogno di spiegazioni. Oltretutto, descrivere un ex-Strigoi che voleva trasformarsi di
nuovo non avrebbe perorato la mia causa. «La guardi. Sembra una Strigoi? È al sole.»
Non ne rimaneva molto, ma anche questi raggi fugaci del tramonto avrebbero ucciso
uno Strigoi. Dal modo in cui sudavo dalla paura, potevo benissimo essere sotto un
divampante sole pomeridiano. «Continua a dire che questo è il prodotto di qualche
contorta magia, ma l'avete mai vista, persino una volta, come Strigoi qua a Palm
Springs?»
Nessuno lo ammise subito. Infine, Maestro Angeletti disse, «Ha sconfitto il nostro
gruppo nella strada. Ovviamente, è ritornata nella sua vera forma.»
Io sbeffeggiai. «Non l'ha fatto lei. È stato Dimitri Belikov... uno dei più grandi
guerrieri dhampir là fuori. Non si offenda, ma nonostante tutto l'allenamento, i suoi
soldati sono stati surclassati alla grande.» Altri sguardi aggressivi incontrarono il mio.
Realizzai che probabilmente non era stata la cosa migliore da dire.
«Ti hanno ingannato» disse Maestro Angeletti. «Non mi sorprende visto che la tua
gente è coinvolta da molto tempo con i Moroi, nel privato. Non sei come noi, in trincea.
Non affronti gli Strigoi faccia a faccia. Sono delle creature malvagie e assetate di
sangue che devono essere distrutte.»
«Concordo. Ma Sonya non è una di loro. La guardi.» Stavo guadagnando coraggio,
la mia voce diventava più forte e più chiara nella notte silenziosa. «Continua a vantarsi
di aver catturato un terribile mostro, ma tutto ciò che riesco a vedere è una donna
inerme e drogata. Bel lavoro. Proprio un degno nemico.»
Nessuno nel concilio sembrava tollerarmi come prima. «L'abbiamo semplicemente
sottomessa» rispose Maestro Ortega. «Riuscire a farlo è un segno del nostro potere.»
«Avete sottomesso una donna innocente e indifesa.» Non sapevo se esprimere quel
punto avrebbe aiutato, ma immaginai che non avrebbe fatto male se vedevano le donne
in modo così contorto e cavalleresco. «E so che avete commesso degli errori in passato.
So di Santa Cruz.» Non avevo idea se questo fosse lo stesso gruppo che aveva assalito
Clarence, ma stavo correndo il rischio che almeno il concilio conoscesse questa storia.
«Alcuni dei vostri membri più zelanti assalirono un Moroi innocente. Avete capito i
vostri errori quando Marcus Finch vi ha detto la verità. Non è troppo tardi per
correggere anche questo errore.»
Per mia sorpresa, a dire il vero, Maestro Ortega sorrise. «Marcus Finch? Lo sostieni
come se fosse una specie di eroe?»
Non esattamente, no. Non lo conoscevo neanche. Ma se era un umano che aveva
convinto questi folli, allora doveva avere un po' di integrità.
«Perchè non dovrei?» Chiesi. «Lui fu capace di distinguere il giusto dal sbagliato.»
Persino Maestro Angeletti sogghignò ora. «Non mi sarei mai aspettato che
un'Alchimista avrebbe lodato la sua percezione di 'giusto e sbagliato.' Pensavo che le
vostre opinioni fossero inamovibili.»
«Di cosa sta parlando?» Non avevo intenzione di essere sviata, ma questi commenti
erano troppo misteriosi.
«Marcus Finch tradì gli Alchimisti» spiegò Maestro Angeletti. «Non lo sapevi?
Credevo che un Alchimista anarchico fosse l'ultima persona che avresti usato per
perorare la tua causa.»
Per un momento, fui senza parole. Stava dicendo... stava dicendo che Marcus Finch
era un Alchimista? No. Non poteva esserlo. Se lo fosse stato, la Stanton avrebbe saputo
chi era. A meno che non abbia mentito sul non avere nessuna documentazione su di lui,
mi avvertì una voce nella mia testa.
A quanto pare, Maestro Jameson aveva ascoltato abbastanza. «Apprezziamo che tu
sia venuta qui e rispettiamo il tuo tentativo di lottare per ciò che credi sia vero. Siamo
anche lieti che tu sia stata in grado di vedere quanto siamo diventati forti. Spero che
porterai questa notizia al tuo gruppo. In ogni caso, i tuoi tentativi hanno dimostrato ciò
che abbiamo sempre saputo: i nostri gruppi hanno bisogno l'uno dell'altro.
Chiaramente, gli Alchimisti hanno racimolato delle informazioni durante gli anni che
potrebbero esserci molto utili... proprio come la nostra forza potrebbe essere utile a voi.
Ciononostante» guardò Sonya e si accigliò, «il punto ora è che qualsiasi fossero le tue
intenzioni, sei stata davvero ingannata. Anche se c'è una qualche minima possibilità
che tu abbia ragione, che lei sia davvero una Moroi... non possiamo correre il rischio
che sia nuovamente corrotta. Anche se pensa di essere stata guarita, inconsciamente
potrebbe essere ancora influenzata.»
Di nuovo, fui senza parole... ma non perchè avevo perso la mia causa. Le parole di
Maestro Jameson erano quasi identiche a quelle del padre di Keith, quando mi aveva
detto che Keith sarebbe stato portato al centro di riabilitazione. Il signor Darnell aveva
fatto eco allo stesso sentimento, non poteva correre il rischio che anche un minimo di
influenza potesse avere effetto su Keith. Erano state necessarie delle misure estreme.
Siamo uguali, pensai. Gli Alchimisti e i Guerrieri. Negli anni ci siamo divisi, ma
provenivamo dallo stesso posto... come i nostri obiettivi e i nostri atteggiamenti
insensibili.
E poi Maestro Jameson disse la cosa più scioccante di tutte. «Anche se è solo una
Moroi, non è una grande perdita. In ogni caso avremmo cominciato a cacciarli, una
volta sconfitti gli Strigoi.»
Mi immobilizzai sentendo quelle parole. La ragazza bionda si avvicinò
costringendomi a sedermi in prima fila sugli spalti. Non feci resistenza, troppo
scioccata da ciò che avevo appena sentito. Cosa voleva dire che avrebbero cominciato
a cacciarli? Sonya poteva essere solo l'inizio, poi il resto dei miei amici e poi Adrian...
Maestro Angeletti mi riportò alla realtà. Fece un grande gesto verso Chris mentre
continuava a parlare. «Dal divino potere conferitoci di portar luce e purezza in questo
mondo, sei autorizzato a distruggere questa creatura. Inizia.»
Chris alzò la spada, un barlume di frenesia nello sguardo. Un barlume di felicità,
persino. Voleva farlo. Voleva uccidere. Dimitri e Rose avevano ucciso molte, molte
volte, ma entrambi mi avevano detto che non c'era gioia nel farlo. Erano felici di fare
ciò che era giusto per difendere gli altri, ma non ricavavano piacere dall'uccidere. Mi
avevno insegnato che l'esistenza dei vampiri era sbagliata e contorta, ma ciò a cui stavo
per assistere era pura brutalità. Loro erano i mostri.
Volevo urlare o piangere o gettarmi davanti Sonya. Eravamo a un battito di distanza
dalla morte di una persona brillante e premurosa. E poi, inaspettatamente, il silenzio
dell'arena fu trafitto da degli spari. Chris si fermò e alzò la testa, sorpreso. Trasalii e
guardai immediatamente verso la scorta armata, chiedendomi se fossero stati incaricati
di diventare un plotone d'esecuzione. Sembravano sorpresi quanto me... beh, la
maggior parte di loro. Due di loro non lasciarono trasparire alcuna emozione... perchè
crollarono a terra.
E fu allora che Dimitri e Eddie irruppero nell'arena.
CAPITOLO 22 Traduzione: Francesca F.
Revisione: Veru
INTORNO ALL’ARENA risuonarono degli spari che mandarono a terra molti
Guerrieri armati. Capii che Dimitri ed Eddie non erano soli, visto che nessuno dei due
aveva una pistola. I colpi venivano dai tetti degli edifici che circondavano l’arena. Il
caos si scatenò quando gli spettatori iniziarono ad alzarsi di scatto per unirsi alla folla.
Il mio cuore si fermò quando realizzai che anche molti di loro avevano delle armi.
Rimasi scioccata nel notare che il Guerriero caduto a terra accanto a me non stava
sanguinando. Un piccolo dardo spuntava dalle sue spalle. I “proiettili” dei cecchini
dovevano essere tranquillanti. Chi erano?
Mi girai a guardare l’entrata e vidi che altri, con l’aspetto di guardiani, erano entrati
nell’arena e stavano combattendo contro alcuni Guerrieri, tra cui Chris. Ciò servì da
copertura a Dimitri ed Eddie per liberare Sonya. Un lampo di capelli biondo fragola
vicino a loro catturò la mia attenzione, e riconobbi l’agile figura di Angeline. Dimitri
tagliò efficientemente le cinghie di Sonia e aiutò a sollevarla verso Eddie. Un Guerriero
infervorato si lanciò ad attaccarli e Angelina lo tramortì velocemente, come se fosse
un motivatore.
Accanto a me, uno dei maestri gridò: «Prendete la ragazza Alchimista! Tenetela
come ostaggio! Negozieranno per lei!»
La ragazza Alchimista. Giusto. Ero io.
Nel trambusto della battaglia era difficile sentirlo… ma qualcuno ci riuscì. La bionda
ossigenata era riuscita ad evitare i dardi tranquillanti. Mi raggiunse con un salto. La
mia adrenalina iniziò a farsi sentire e d’un tratto non ero più spaventata. Con riflessi
che non sapevo di avere, misi una mano nella borsa ed estrassi il cosiddetto “potpourri”.
Lo aprii e lo lanciai intorno a me, pronunciando un incantesimo in latino che tradotto
significava più o meno “A mai più rivederci”. Rispetto all’incantesimo di
cristalloscopia, questo era sorprendentemente facile. Richiedeva sicuramente volontà
da parte mia, ma la maggior parte della magia era legata alla componente fisica e non
servivano le ore di concentrazione richieste dall’altro. Il potere si riversò dentro me
quasi istantaneamente, riempiendomi di un’adrenalina che non mi aspettavo.
La ragazza gridò e lasciò cadere la pistola, stringendosi gli occhi. Le grida di
sgomento dei maestri seduti vicino a me mi fecero capire che anche loro erano stati
colpiti. Avevo lanciato un incantesimo accecante in grado di agire su tutti coloro che
erano vicini a me per circa trenta secondi. Una parte di me sapeva che usare la magia
era sbagliato, ma per il resto mi sentivo trionfante per aver fermato alcuni di quei
fanatici dal grilletto facile, anche se solo temporaneamente. Non persi tempo prezioso.
Mi alzai e corsi dall’altra parte dell’arena, allontanandomi dal combattimento vicino
all’entrata.
«Sydney!»
Non so come feci a sentire il mio nome con tutto quel rumore. Lanciando uno
sguardo dietro di me, vidi Eddie e Angeline portare Sonya fuori dalla porta. Si
fermarono ed un’espressione afflitta attraversò il volto di Eddie, mentre si guardava
intorno per valutare la situazione. Sapevo a cosa stava pensando. Voleva che andassi
con loro. Quasi tutti i guerrieri erano corsi al centro dell’arena per cercare di fermare
il salvataggio di Sonya. Ero in una situazione di estrema inferiorità e loro creavano un
muro tra me e i miei amici. Anche se non avessi dovuto combattere con nessuno,
sembrava impossibile che potessi passare inosservata, soprattutto perché molti stavano
ancora gridando qualcosa riguardo alla “ragazza Alchimista”.
Scuotendo la testa ostinatamente, feci cenno ad Eddie di andare avanti senza di me.
Sul suo volto c’era indecisione, e io sperai che non avrebbe tentato di irrompere nella
folla per raggiungermi. Indicai la porta, sollecitandolo di nuovo ad andare. Era Sonya
quella impotente. Io avrei trovato il modo di uscire. Non aspettai di vedere cos’avrebbe
fatto, mi girai e proseguii. C’era molto spazio aperto in cui potermi riparare, ma meno
Guerrieri a fermarmi.
Diversi edifici circondavano l’arena, alcuni dei quali con porte e finestre. Mi diressi
da quella parte, sebbene non avessi niente per rompere il vetro. Due delle porte avevano
i lucchetti. E due erano senza. La prima si rivelò avere una serratura nascosta e non si
aprì. Agitata, corsi alla seconda e sentii qualcuno gridare dietro di me. La bionda
ossigenata aveva recuperato la vista e stava venendo verso di me. Girai il pomello
disperata. Non successe niente. Misi la mano nella borsa e presi quello che i Guerrieri
avevano scambiato per disinfettante per le mani. Lo svuotai, spargendo acido sul
pomello di metallo. Si sciolse davanti ai miei occhi. Speravo che mettesse fuori gioco
la serratura. Spinsi la porta con una spalla e questa cedette. Dopodiché sbirciai alle mie
spalle. La mia inseguitrice era a terra, vittima dei tranquillanti.
Tirai un sospiro di sollievo ed entrai dalla porta. Mi aspettavo di trovarmi in un altro
garage come quello in cui mi avevano portata inizialmente, invece era una specie di
appartamento residenziale. I corridoi vuoti andavano da una parte all’altra e mi sentivo
disorientata. Tutti erano impegnati a combattere nell’arena. Superai camere da letto
improvvisate piene di lettini, valigie parzialmente disfatte e zaini. Quando notai quello
che sembrava un ufficio, esitai un attimo sull’uscio della porta. Dei fogli coprivano
grandi tavoli pieghevoli e mi chiesi se qualcuno contenesse informazioni utili sui
Guerrieri.
Morivo dalla voglia di entrare e indagare. Questi Guerrieri erano un mistero per gli
Alchimisti. Chissà che informazioni potevano contenere quei documenti! E se ci
fossero state informazioni in grado di proteggere i Moroi? Esitai per alcuni secondi,
ma poi proseguii con riluttanza. I guardiani usavano tranquillanti, ma i Guerrieri
avevano pistole vere, pistole che non avevano paura ad usare contro di me. Meglio
andar via con le informazioni che già avevo che non uscirne viva.
Raggiunsi la parte opposta dell’edificio e sbirciai fuori dalla finestra di una camera
da letto. Era così buio fuori che non vedevo quasi nulla. Non avevo più il vantaggio di
una torcia. L’unica cosa di cui ero sicura era che non ero vicina all’arena. Questo era
sufficiente, anche se sarebbe stato meglio se ci fosse stata una porta che conduceva
fuori. Dovevo crearmela da sola. Presi una sedia, la lanciai contro la finestra e restai
esterrefatta nel vedere il vetro rompersi così facilmente. Alcune schegge mi colpirono,
ma nessuna così grande da farmi male. Mi misi in piedi sulla sedia e cercai di uscire
dalla finestra senza ferirmi alle mani.
Mi trovai in una notte buia e calda. Non c’erano luci elettriche, solo uno spazio nero
aperto. Perciò pensai di trovarmi nella parte opposta del rifugio in cui mi aveva portata
Trey. Non c’erano strade, né si sentivano i rumori dell’autostrada che avevamo
percorso. Non c’era alcun segno di vita e lo presi come un buon segno. Speravo che
tutti i Guerrieri che normalmente pattugliavano la zona fossero impegnati a combattere
con i guardiani. Se ormai Sonya era al sicuro, la mia speranza era che i guardiani
cominciassero a ritirarsi e mi portassero con loro. Anche se non fosse andata così, non
dovevo fare altro che camminare verso la I-10 e fare l’autostop.
Il rifugio si allargava a macchia d’olio e mi disorientava. Girandoci intorno e
continuando a non vedere traccia dell’autostrada, cominciai a preoccuparmi. Quanto
avevo girato intorno? Avevo solo un tempo limitato per uscire dalla proprietà dei
Guerrieri. Potevano essere già in giro a darmi la caccia. C’era anche il problema
sconcertante che, una volta raggiunta la periferia, avrei dovuto superare la recinzione
elettrica. Forse sarebbe stato meglio rinunciare a cercare l’autostrada e raggiungere il
limitare dell’accampamento dei guerrieri per …
Una mano mi strinse la spalla e gridai.
«Tranquilla, Sage. Non sono un pistolero pazzo. Pazzo, sì. Ma non il resto.»
Guardai incredula davanti a me, senza riuscire a distinguere bene la figura alta e
scura che avevo di fronte.
«Adrian?» L’altezza era giusta, così come la corporatura. Continuando a guardarlo,
diventai sempre più sicura. Le sue mani fermarono le mie, che tremavano. Ero così
felice di vedere un volto amico, di vedere lui, che quasi caddi tra le sue braccia per il
sollievo. «Sei tu. Come hai fatto a trovarmi?»
«Sei l’unica umana qui con un’aura gialla e viola» disse. «Questo ti rende facilmente
individuabile.»
«No, volevo dire, come hai fatto a trovarmi qui? Nel rifugio?»
«Ho seguito gli altri. Mi hanno detto di non farlo, ma… beh.» Nella pallida luce
lunare lo vidi vagamente scrollare le spalle. «Non sono bravo a seguire gli ordini.
Quando Castile è uscito con Sonya e ha iniziato a dire che te ne eri andata da una porta,
ho pensato di fare un giro veloce qui intorno. Credo che non avrei dovuto farlo, ma i
guardiani erano tutti occupati.»
«Tu sei pazzo» sbottai, nonostante fossi felicissima di sapere che non mi avevano
abbandonata in quel posto orribile. «I Guerrieri sono così pazzi che potrebbero uccidere
un Moroi a vista se ti vedessero.»
Mi tirò per la mano. Nonostante le sue parole scherzose, il tono era rigido. Era
consapevole del pericolo che stavamo correndo. «Allora meglio se usciamo da qui.»
Adrian mi riportò nella direzione da cui ero venuta, quindi girò intorno al lato
opposto dell’edificio. Non vedevo ancora le luci dell’autostrada, ma presto si girò e
iniziò a correre verso il limitare della proprietà, lontano dal rifugio. Corsi a fianco a
lui, continuando a stringergli la mano.
«Dove stiamo andando?» chiesi.
«I guardiani si sono riuniti sul retro del rifugio per non farsi notare. Quella parte
della recinzione è stata disattivata, se riesci a scavalcare.»
«Certo che ci riesco. Sono praticamente un prodigio in educazione fisica» dissi. «La
domanda è tu, signor Fumatore, ce la fai?»
Cominciai a scorgere la recinzione man mano che ci avvicinavamo, soprattutto
perché copriva alcune stelle. «È quella parte. Dietro il cespuglio incolto» disse Adrian.
Non riuscivo a vedere nessun cespuglio, ma mi fidavo della sua vista. «Se vai un po’
più avanti c’è una strada di campagna che i guardiani hanno usato per organizzarsi. Ho
parcheggiato lì.»
Ci fermammo davanti alla recinzione un po’ affannati. Guardai in alto. «Sei sicuro
che è ancora spento?»
«Lo era quando siamo entrati» disse Adrian, ma percepivo un po’ di incertezza nella
sua voce. «Pensi che abbiano avuto il tempo di organizzarsi per sistemarlo?»
«No» ammisi. «Ma preferirei esserne sicura. La maggior parte delle recinzioni in
commercio non sono in grado di ferire pesantemente una persona, ma è meglio esserne
sicuri.»
Si guardò intorno. «Possiamo lanciare un legnetto?»
«Il legno non conduce.» Frugai nella mia borsa e trovai quello che volevo: una penna
di metallo con un’impugnatura in spugna. «Se tutto va bene, la spugna bloccherà il
peggio se il cancello è realmente attivo.» Cercando di non fare una smorfia, allungai la
mano e toccai il cancello con l’impugnatura della penna, aspettandomi un po’ che una
scarica elettrica mi facesse volare all’indietro. Non successe niente. Feci scorrere
lentamente la penna lungo la recinzione, visto che la maggior parte di quelle elettriche
avevano una pulsazione intermittente. Era necessario un contatto prolungato. «Sembra
a posto» dissi, sospirando di sollievo e voltandomi verso Adrian. «Direi che
possiamo… Ahh!»
Una luce sfavillante mi brillò negli occhi, accecandomi e mandando all’aria la
capacità di visione notturna che avevo raggiunto. Sentii Adrian gridare per la sorpresa.
«È la ragazza!» esclamò una voce maschile. «E… uno di loro!»
La luce lasciò il mio viso e, nonostante vedessi ancora delle macchie, riuscii a
mettere a fuoco due figure che si avvicinavano rapidamente. Erano armati? La mia
mente lavorò freneticamente. Che lo fossero o meno, costituivano comunque una
minaccia, visto che ai Guerrieri sembrava piacere picchiarsi nel tempo libero, mentre
a me ed Adrian no.
«Non muovetevi» disse uno di loro. Una lama brillò nel bagliore della torcia
abbassata. Non era grave quanto una pistola, ma comunque non andava bene. «Voi
tornate dentro con noi.»
«Lentamente» aggiunse l’altro. «Non provate a fare scherzi.»
Sfortunatamente per loro, avevo ancora qualche asso nella manica. Prontamente,
rimisi la penna nella mia borsa e presi un altro souvenir dei compiti per la professoressa
Terwilliger: un piccolo braccialetto rotondo di legno. Prima che i Guerrieri potessero
fare qualcosa, ruppi il braccialetto di legno in quattro pezzi e li gettai a terra, recitando
un altro incantesimo in latino. Di nuovo, sentii il flusso di potere e il suo trionfo. Gli
uomini gridarono. Avevo lanciato un incantesimo di disorientamento che intaccava
l’equilibrio e rendeva la visuale sfocata e surreale. Funzionava in modo molto simile
all’incantesimo di accecamento e colpiva tutti quelli intorno a me.
Scattai in avanti e spinsi a terra uno degli assalitori. Cadde facilmente, troppo
indebolito dall’incantesimo per resistere. L’altro era così sconvolto che aveva lasciato
la torcia ed era praticamente già a terra a causa dei suoi tentativi falliti di mantenersi in
equilibrio. Ciò nonostante, gli diedi un bel calcio al petto per essere sicura che sarebbe
rimasto a terra e raccolsi la sua torcia. Non ne avevo proprio bisogno con la visione
notturna di Adrian, ma così sarebbero stati indifesi al buio, quando l’incantesimo
avesse smesso di funzionare.
«Sage! Cosa diavolo mi hai fatto?»
Girandomi, vidi che Adrian era aggrappato alla recinzione e la usava per mantenersi
in piedi. Nel mio slancio di fermare i Guerrieri, mi ero dimenticata che l’incantesimo
avrebbe colpito tutti quelli vicino a me.
«Oh» dissi. «Scusa.»
«Scusa? Le mie gambe non funzionano!»
«È il tuo orecchio interno, in realtà. Forza. Aggrappati alla recinzione e arrampicati.
Una mano davanti all’altra.»
Mi attaccai anche io e lo incitai a salire. Non era difficilissimo scavalcare quella
recinzione (non era elettrificata né spinata) e, usandola come sostegno, diminuiva un
po’ il disorientamento di Adrian. Tuttavia eravamo lenti a salire. Questo incantesimo
durava un po’ di più di quello accecante, ma ero estremamente conscia che, non appena
Adrian fosse stato libero, lo sarebbero stati anche i Guerrieri.
Contro ogni pronostico, arrivammo in cima alla recinzione. Passare dall’atro lato fu
molto più difficile, e io dovetti fare i salti mortali per aiutare Adrian a girarsi tenendomi
allo stesso tempo in equilibro. Alla fine riuscii a fargli assumere la posizione corretta
per scendere.
«Bene» dissi. «Ora fai come prima ma al contrario, una mano davanti all’…»
Qualcosa gli scivolò, una mano o un piede, e Adrian precipitò a terra. Non era una
caduta molto lunga e la sua altezza lo aiutò un po’… non che fosse in grado di usare le
gambe e atterrare in piedi. Trasalii.
«Oppure puoi prendere la scorciatoia» dissi.
Scesi velocemente dopo di lui e lo aiutai a rimettersi in piedi. A parte la debilitazione
dovuta all’incantesimo, non sembrava avere subito altri danni. Circondandolo con un
braccio e lasciando che si appoggiasse a me, cercai di correre verso la strada di cui
aveva parlato, che ora era leggermente visibile. Correre era difficile, comunque. Era
complicato tenere Adrian in piedi e continuavo inciampare. Tuttavia riuscimmo ad
allontanarci lentamente dal rifugio. Non potevamo auspicare di meglio. Adrian era
goffo e pesante, e la sua altezza era un bell’inconveniente.
Poi, senza preavviso, l’incantesimo svanì e Adrian si riprese istantaneamente.
Recuperò forza alle gambe e la sua andatura goffa tornò normale. Era come se lui stesse
portando me e praticamente inciampavamo l’uno sull’altro cercando di sistemarci.
«Tutto bene?» domandai, lasciandolo andare.
«Ora sì. Cosa diavolo è stato?»
«Non è importante. Quello che conta è che anche quei due si sono ripresi. Forse li
ho colpiti abbastanza forte da rallentarli.» Cosa che mi sembrava improbabile. «Tu
corri comunque.»
Ci mettemmo a correre e, anche se indubbiamente lui aveva il sistema respiratorio
di un fumatore incallito, le sue gambe lunghe compensavano. Poteva superarmi
facilmente, ma rallentò per stare al mio passo. Ogni volta che si trovava avanti, mi
prendeva per mano. Sentimmo delle grida alle nostre spalle e io spensi la torcia per non
farci individuare facilmente.
«Lì» disse Adrian. «Vedi le auto?»
Lentamente, dall’oscurità, si materializzarono due SUV e una Mustang gialla che
spiccava molto di più.
«Molto discreta» mormorai.
«La maggior parte dei guardiani se ne sono andati» disse Adrian. «Ma non tutti.»
Prima che potessi rispondere, qualcuno mi prese da dietro. In una mossa che avrebbe
reso orgoglioso Wolfe, riuscii a sferrare il calcio all’indietro che si era impegnato tanto
ad insegnarci. Colsi il mio assalitore di sorpresa, che mi lasciò, solo che il suo
compagno mi gettò subito a terra.
Tre figure, provenienti dalle macchine, corsero verso di noi e si lanciarono
all’attacco dei nostri assalitori. Grazie al suo cappotto inconfondibile, vidi che era
Dimitri a guidare il gruppo.
«Andatevene da qui» disse ad Adrian e me. «Sapete dove ci dobbiamo incontrare.
Vi copriamo noi. Guidate veloci… probabilmente si metteranno presto in viaggio.»
Adrian mi aiutò ad alzarmi e corremmo ancora insieme. Mi ero fatta male alla
caviglia durante la caduta, perciò mi muovevo lentamente, ma Adrian mi aiutò e mi
lasciò poggiare su di lui. Nel mentre, il mio cuore minacciava di uscirmi dal petto,
persino una volta al sicuro vicino alla Mustang. Mi portò dal lato del passeggero. «Ce
la fai a salire?»
«Sto bene» dissi entrando, riluttante ad ammettere che il dolore stava crescendo.
Pregai di non averci rallentato troppo. Non avrei sopportato l’idea di essere la
responsabile della cattura di Adrian.
Soddisfatto, Adrian corse dal lato del guidatore e accese la macchina. Il motore
rombò e lui seguì gli ordini di Dimitri alla lettera, sfrecciando ad una velocità di cui
ero invidiosa. Tuttavia, mi sembrava improbabile che avremmo incontrato qualche
poliziotto su questa strada di campagna. Lanciai qualche occhiata dietro di noi, ma una
volta arrivati alla I-10 ero certa che nessuno ci avesse seguito. Sospirai grata e poggiai
la testa sul sedile, sebbene fossi ben lontana dall’essere tranquilla. Non potevo ancora
dedurre che fossimo al sicuro.
«Ok» dissi. «Come diavolo avete fatto a trovarmi?»
Adrian non rispose subito. Quando lo fece, mi resi conto che era molto riluttante.
«Eddie ha messo un dispositivo di localizzazione nella tua borsa quando eravamo a
casa mia.»
«Cosa? Non è possibile! Mi hanno perquisita.»
«Beh, di certo non lo sembrava. Non so cosa gli hanno dato alla fine. Gliel’hanno
fornito i tuoi colleghi. Quando Trey ha confermato l’incontro per stasera, Belikov ha
chiamato tutti i guardiani che si trovavano nel raggio di una-due ore da qui, in cerca di
rinforzi. Ha chiamato anche gli Alchimisti e li ha convinti a fornirgli qualche loro
tecnologia.»
C’erano così tante assurdità in quello che aveva detto, che non sapevo da dove
iniziare ad analizzarle. Tutto si era svolto a mia insaputa. E nemmeno quando avevano
piazzato il dispositivo me ne avevano parlato. E poi avevano contribuito anche gli
Alchimisti? Avevano aiutato i guardiani a seguire le mie tracce?
«Gli orecchini» dissi. «Ecco da dove venivano. Il dispositivo deve essere in uno dei
due. Non ci avrei mai pensato.»
«Non sono sorpreso, visto il vostro modo di operare.»
Cominciai ad assimilare quello che era successo quella notte. Le ultime tracce di
paura svanirono… per poi essere sostituite dalla rabbia. «Mi avete mentito! Tutti!
Avreste dovuto dirmi cos’avevate in mente: che mi avreste localizzata e che stavate
organizzando un blitz! Come hai potuto tenermi all’oscuro?»
Sospirò. «Non volevo, credimi. Gli ho detto tantissime volte che dovevano metterti
al corrente. Ma avevano tutti paura che avresti rifiutato di portare il dispositivo se lo
avessi saputo. O che avresti avuto un lapsus e avresti rivelato il piano a quei pazzi. Ma
io non lo pensavo.»
«Eppure non ti sei preoccupato di dirmelo tu» aggiunsi, ancora indignata.
«Non potevo! Mi avevano fatto promettere di non farlo.»
In qualche modo, il suo tradimento mi faceva più male di quello degli altri. Ero
arrivata a fidarmi incondizionatamente. Come poteva avermi fatto questo? «Nessuno
credeva che sarei riuscita a persuadere i Guerrieri, perciò avete fatto piani di emergenza
senza di me.» Non importava che non fossi riuscita davvero a persuaderli. «Qualcuno
avrebbe dovuto dirmelo. Tu avresti dovuto dirmelo.»
C’era legittimo dolore e rimorso nella sua voce. «Ti sto dicendo che volevo farlo.
Ma ero in trappola. Tu dovresti sapere più di tutti cosa si prova a trovarsi in mezzo a
due fuochi, Sage. E poi non ti ricordi cosa ho detto prima che salissi in macchina con
Trey?»
Me lo ricordavo. Parola per parola. Qualsiasi cosa succeda, voglio che tu sappia che
non ho mai dubitato di quello che vuoi fare. È brillante e coraggioso.
Scivolai più avanti sul sedile e mi sentii come se fossi sull’orlo delle lacrime. Adrian
aveva ragione. Sapevo come ci si sentiva a essere leali a gruppi diversi. Capivo la
posizione in cui si era trovato. Solo che una parte egoista di me sperava che fossi io
quella a cui era più leale. Ci ha provato, disse una voce dentro me. Ha provato a dirtelo.
Il punto di incontro di cui Dimitri aveva parlato ad Adrian risultò essere casa di
Clarence. Il posto era pieno di guardiani, alcuni dei quali si stavano curando a vicenda
le ferite. Non era stato ucciso nessuno da entrambe le parti, cosa a cui i guardiani erano
stati molto attenti. I Guerrieri della Luce già pensavano che i vampiri fossero contorti
e corrotti, non c’era bisogno di aggiungere benzina al fuoco.
Non che l’incursione di questa notte avesse aiutato a risolvere i problemi. Non avevo
idea di come avrebbero reagito i Guerrieri né se avessero in programma qualche
rappresaglia letale. Immaginavo che i guardiani e gli Alchimisti l’avessero preso in
considerazione. Mi chiesi con rabbia se qualcuno di loro avrebbe condiviso le sue
opinioni in proposito con me.
«Non sono così ingenuo da offrirmi di guarirti» mi disse Adrian mentre superavamo
un gruppo di guardiani. «Siediti in salotto che ti porto un po’ di ghiaccio.»
Feci per dire che ce la facevo da sola, ma la mia caviglia faceva sempre più male.
Annuendo, lo lasciai e andai verso il salotto. C’era una coppia di guardiani sconosciuti,
insieme ad un Clarence raggiante. Con mia sorpresa, c’erano anche Eddie ed Angeline
seduti vicino… e mano nella mano?
«Sydney!» esclamò lui. Lasciò immediatamente la mano di Angeline e corse da me,
sorprendendomi con un abbraccio. «Grazie a Dio stai bene. Non sopportavo l’idea di
averti lasciato lì. Non faceva parte del piano. Avrei dovuto portarti fuori con Sonya.»
«Sì, beh, magari la prossima volta qualcuno potrebbe rendermi partecipe del piano»
dissi tagliente.
Eddie fece una smorfia. «Mi dispiace. Davvero. Noi…»
«Lo so, lo so. Pensavate che non sarei stata d’accordo, avevate paura che qualcosa
andasse storto, ecc. ecc.»
«Mi dispiace.»
Non l’avevo perdonato del tutto, ma ero troppo stanca per insistere. «Dimmi una
cosa» dissi abbassando la voce. «Eri mano nella mano con Angeline?»
Lui arrossì, il che sembrò ridicolo dopo la ferocia con cui l’avevo visto lottare nel
rifugio. «Ehm, sì. Stavamo solo… parlando. Voglio dire, cioè… penso che usciremo
qualche volta. Non a scuola, ovviamente, visto che tutti pensano che siamo imparentati.
E probabilmente non ci sarà niente di serio. È sempre un po’ pazza, ma non è male
come pensavo. Ed è stata davvero fantastica in battaglia. Credo che debba togliermi
dalla testa le fantasie su Jill e provare ad uscire normalmente. Se tu mi presti la
macchina.»
Dovetti recuperare la mascella da terra. «Certo» dissi. «Lungi da me fermare una
storia d’amore nascente.» Dovevo dirgli che forse Jill non era una fantasia? Non volevo
immischiarmi. Eddie meritava di essere felice, ma non potevo evitare di sentirmi un
po’ in colpa per aver detto a Jill che forse gli interessava. Speravo di non aver
complicato di più le cose.
Adrian tornò con una borsa del ghiaccio. Mi sedetti su una poltrona e lui mi aiutò a
posizionare il ghiaccio sulla caviglia, dopo averla sistemata su un poggiapiedi. Mi
rilassai mentre il ghiaccio iniziava a intorpidire il dolore e sperai di non essermi rotta
niente.
«Non è emozionante?» mi chiese Clarence. «Finalmente avete visto i cacciatori di
vampiri con i vostri occhi!»
Non credevo che avrei parlato di quella notte con così tanto entusiasmo, ma dovevo
dargliene atto. «Aveva ragione» dissi. «Mi dispiace per non averle creduto prima.»
Mi rivolse un sorriso gentile. «Tranquilla, mia cara. Probabilmente nemmeno io
avrei creduto a un vecchio pazzo.»
Ricambiai il sorriso e mi venne in mente una cosa. «Signor Donahue… lei ha detto
che quando ha incontrato i cacciatori un umano di nome Marcus Finch è intervenuto in
suo aiuto.»
Clarence annuì con entusiasmo. «Sì, sì. Un bravo giovane, quel Marcus. Di sicuro
spero di incontrarlo di nuovo un giorno.»
«Era un Alchimista?» chiesi. Vedendo lo sguardo perplesso di Clarence, mi toccai
la guancia. «Aveva un tatuaggio come il mio?»
«Come il tuo? No, no. Era diverso. Difficile da spiegare.»
Mi piegai in avanti. «Ma aveva un tatuaggio sulla guancia?»
«Sì. Non l’hai visto sulla foto?»
«Che foto?»
Lo sguardo di Clarence si fece pensoso. «Avrei giurato di averti mostrato alcune mie
vecchie foto, di quando Lee e Tamara erano giovani… ah, che bei tempi.»
Mi sforzai di essere paziente. A volte era difficile avere momenti di coerenza con
Clarence. «E Marcus? Hai una foto anche di lui?»
«Certo. Ne ho una bellissima di noi due. Un giorno te la cerco e te la faccio vedere.»
Volevo chiedergli di farmela vedere subito, ma con la casa così affollata non mi
sembrava il momento giusto.
Poco dopo arrivò Dimitri con gli ultimi guardiani che erano stati nel rifugio. Dimitri
chiese immediatamente di Sonya, che sapevo stava riposando nella sua camera. Adrian
si era offerto di guarirla, ma Sonya era stata abbastanza lucida da rifiutare, dicendo che
voleva solo un po’ di sangue, riposo e la possibilità di smaltire i narcotici naturalmente.
Una volta riferito tutto e tranquillizzato Dimitri su Sonya, venne dritto verso di me,
guardandomi dall’alto, seduta con il ghiaccio. «Mi dispiace» disse. «Ormai devi aver
saputo cos’è successo.»
«Che sono stata mandata in una situazione pericolosa con solo la metà delle
informazioni necessarie?» chiesi. «Sì, ho saputo tutto.»
«Non mi piacciono le bugie e le mezze verità» disse. «Avrei voluto che ci fosse
un’altra alternativa. Avevamo pochissimo tempo e quella sembrava la soluzione
migliore. Nessuno dubitava della tua capacità di ragionare ed essere convincente. Era
della capacità dei Guerrieri di ascoltare e ragionare che non ci fidavamo.»
«Capisco perché non vi siate fidati di mettermi al corrente del piano.» Vicino a me,
vidi Adrian trasalire per il modo in cui mi ero riferita a loro. Non volevo implicare
nulla, ma mi rendevo conto che avevo usato un tono altezzoso e da Alchimista, molto
“Noi contro Loro”. «Ma ancora non ci credo che gli Alchimisti abbiano acconsentito,
che abbiano accettato di tenermene fuori.»
Non c’erano sedie vuote, così Dimitri si sedette sul pavimento a gambe incrociate.
«Non posso dirti molto in proposito. Ti ripeto che c’è stato poco preavviso e, quando
ho parlato con Donna Stanton, lei ha detto che sarebbe stato più sicuro se non fossi
stata al corrente dei piani. Se ti fa sentire meglio, ha insistito molto sul fatto che
avremmo dovuto proteggerti una volta lì.»
«Forse» dissi. «Sarebbe stato meglio se avesse pensato a come avrei potuto sentirmi
quando avessi scoperto che non mi vi siete fidati di darmi informazioni fondamentali.»
«Ci ha pensato» disse Dimitri un po’ a disagio. «Ha detto che non ci avresti dato
peso perché sai che è importante non mettere in discussione le decisioni dei tuoi
superiori e che sai che fanno sempre la cosa giusta. Ha detto che tu sei un’Alchimista
esemplare.»
Non dubitare. Loro sanno cosa è giusto. Non possiamo correre rischi.
«Ma certo» dissi. Io non metto mai in dubbio niente.
CAPITOLO 23 Traduzione: Noir
Pre-Revisione: Claude
SONYA IMPIEGÒ qualche giorno a riprendersi, ritardando di conseguenza il proprio
ritorno in Pennsylvania. Quando fu pronta per andare in aeroporto, mi offrii di
accompagnarla. La macchina a noleggio era stata ritrovata, ma Dimitri la stava
utilizzando per ripulire il campo dopo la missione. Nell’arco di ventiquattr’ore, i
Guerrieri avevano sgomberato il proprio insediamento, il quale si era rivelato essere un
edificio a noleggio, generalmente utilizzato per i ritiri. Non avevano lasciato indietro
quasi alcuna traccia di sé, ma ciò non aveva comunque impedito ai guardiani di
setacciare ogni centimetro dell’insediamento abbandonato.
«Grazie ancora» mi disse Sonya. «So quanto devi essere impegnata.»
«Non c’è problema. È il fine settimana, e comunque sono qui per questo, per
aiutarvi.»
Rise piano tra sé. Il suo processo di guarigione negli ultimi due giorni era stato
notevole, e adesso era gentile e spumeggiante come sempre. Quel giorno portava i
capelli castano ramato sciolti, lasciandoli ricadere in decise onde che gli incorniciavano
le linee delicate del viso. «Vero, ma è evidente che continui a fare gli straordinari
rispetto il lavoro che dovresti svolgere.»
«Sono semplicemente felice che tu stia bene» risposi onestamente. Mi ero
affezionata a Sonya, ed ero dispiaciuta di vederla andare via.
«Nell’arena... beh, è stato alquanto terrificante.»
Parte del suo divertimento si spense. «È vero. Sono stata priva di coscienza per la
maggior parte del tempo, e non ero in grado di processare ciò che stava accadendo
intorno a me. Però ricordo le tue parole. Sei stata assolutamente fantastica, per non dire
coraggiosa, ad affrontare quella folla e a difendermi. So quanto dev’essere stato
difficile trovarsi nel versante opposto rispetto quelli della tua stessa specie.»
«Quelle persone non sono la mia specie» risposi categorica. Una parte di me si
domandò chi fossero esattamente quelli della mia specie. «Che cosa ne sarà adesso
della tua ricerca?»
«Oh, continuerà di nuovo a Est. Dimitri ritornerà presto, e ci sono altri ricercatori in
grado di aiutarci a corte. Avere qualcuno che utilizzi lo spirito in modo obiettivo come
Adrian era estremamente utile, e abbiamo raccolto moltissimi dati per tenerci
impegnati grazie ai campioni di sangue e alle osservazioni sull'aurea. Permetteremo ad
Adrian di continuare con la sua arte e lo ricontatteremo più avanti se dovessimo avere
bisogno di lui.»
Non riuscivo ancora a liberarmi del senso di colpa di come l'aver rifiutato di
concedere altro mio sangue avesse indirettamente portato al rapimento di Sonya.
«Sonya, per quanto riguarda il mio sangue...»
«Non preoccuparti» m’interruppe. «Avevi ragione sul mio essere assillante e anche
sul fatto che avremmo dovuto concentrarci su Dimitri in primo luogo. Oltretutto
potremmo essere sulla strada giusta per ottenere l'aiuto degli Alchimisti.»
«Davvero?» Stanton mi era sembrato alquanto contrario alla cosa quando avevamo
parlato. «Hanno detto di sì?»
«No, ma hanno detto che ci ricontatteranno.»
Risi. «È una risposta alquanto positiva da parte loro.»
Tacqui per un momento, domandandomi se questo significava che tutti si sarebbero
dimenticati del mio sangue. Tra i Guerrieri e il potenziale sostegno da parte degli
Alchimisti, certamente non era più importante. Dopotutto gli studi preliminari non
avevano evidenziato nulla di speciale. Nessuno aveva più motivo di preoccuparsi del
mio sangue. A parte... me. Io ero alquanto preoccupata. Non importava quanta paura
avessi di essere sottoposta a esperimenti, la domanda scottante continuava a non darmi
tregua: perché lo Strigoi non era stato in grado di bere il mio sangue?
Il fatto che prima Sonya avesse menzionato le auree mi ricordò un'altra domanda
scottante. «Sonya, cosa indica il porpora nell'aurea di una persona? Adrian mi ha detto
di averlo visto nella mia, ma non vuole dirmi cosa significhi.»
«Tipico» rispose con una risata. «Porpora... beh, vediamo. Da quanto ho osservato,
è un colore complesso. Appassionato ma al contempo spirituale, che appartiene a
coloro che amano profondamente, ma che cercano anche una causa superiore. E'
interessante notarne la profondità. Bianco e oro puro tendono a essere i colori associati
ai poteri superiori e alla metafisica, così come rosso e arancione lo sono all'amore e
agli istinti primari. Il porpora in pratica ne racchiude gli aspetti migliori. Vorrei essere
in grado di spiegarmi più chiaramente.»
«No, ha senso» risposi, accostando nello spiazzo dell'aeroporto. «Più o meno. Non
coincide molto con la mia personalità, però.»
«Beh, non si può certo definire una scienza esatta. E ha ragione, ti circonda. Il punto
è...» Ci eravamo accostate al cordolo, e la vidi osservarmi con attenzione. «Non l'avevo
mai notata prima. Voglio dire, sono sicura che sia sempre stata lì, ma ogni volta che ti
guardavo, vedevo semplicemente il giallo tipico di molte menti. Adrian non è allenato
a leggere le auree come lo sono io, perciò sono sorpresa che abbia notato ciò che a me
è sfuggito.»
Non era l’unica. Spirituale, appassionata... ero davvero così? Adrian credeva che lo
fossi? Al solo pensiero sentii un’ondata di calore avvolgermi. Mi sentii esultante... e
confusa.
Sonya sembrò sul punto di dire qualcosa in più sull'argomento, ma poi cambiò idea.
Si schiarì la gola. «Beh, a ogni modo. Eccoci qui. Grazie ancora per il passaggio.»
«Non c'è problema» risposi, la mente ancora assorta da visioni color porpora. «Fa’
buon viaggio.»
Aprì la portiera e poi si bloccò. «Ah, ho qualcosa per te. Clarence mi ha chiesto di
dartelo.»
«Clarence?»
Sonya frugò all'interno della borsa e trovò una busta. «Ecco a te. È stato alquanto
categorico sul fatto di fartela avere... e sai come diventa quando si mette in testa
qualcosa.»
«Lo so. Grazie.»
Sonya si allontanò con il suo bagaglio e la curiosità mi spinse ad aprire la busta
prima ancora di andarmene. Al suo interno c’era una fotografia raffigurante Clarence e
un ragazzo giovane, di circa la mia età, che sembrava umano. I due si abbracciavano e
sorridevano alla fotocamera. Il ragazzo sconosciuto aveva capelli lisci e biondi che gli
arrivavano quasi al mento e splendidi occhi azzurri che risaltavano contro i lineamenti
abbronzati. Era davvero bellissimo, e nonostante gli occhi ne rispecchiassero il sorriso,
notai che era presente anche una nota di tristezza.
Ero così presa dal suo bell'aspetto, che non notai subito il suo tatuaggio. Si trovava
sulla guancia sinistra, un disegno astratto composto da mezzelune di varie dimensioni
e orientamenti raggruppate insieme, quasi alla stregua di un rampicante. Era esotico e
bellissimo; il ricco inchiostro color indaco si accoppiava quasi alla perfezione con i
suoi occhi. Studiandone le linee più da vicino, notai che c'era qualcosa di familiare
nella sua forma, e giurai di poter intravvedere una lieve nota di dorato risaltare tra le
linee blu. Per poco non lasciai cadere la foto per lo shock. Le mezzelune erano state
tatuate sopra il giglio degli Alchimisti. Voltai la fotografia. Vi era scarabocchiata una
parola: Marcus.
Marcus Finch, che i Guerrieri avevano dichiarato essere un ex Alchimista. Marcus
Finch, di cui gli Alchimisti negavano l'esistenza. La cosa assurda era che, eccetto per
casi come Keith che era stata imprigionato, non esistevano “ex Alchimisti”. Se ne
faceva parte a vita. Non era possibile andarsene. Eppure, quel giglio oscurato parlava
chiaro. A meno che Marcus non avesse cambiato nome in modo da eludere gli
Alchimisti, allora Stanton e tutti gli altri mi avevano mentito sul suo conto. Ma perché?
Si era verificato un qualche dissenso? Fino a una settimana prima, avrei ritenuto
impossibile che Stanton mi nascondesse la verità su di lui, ma adesso, essendo a
conoscenza di quanto cautamente fosse stata divulgata l’informazione, o non divulgata,
mi trovavo a dubitarne.
Fissai la foto per qualche altro momento, catturata da quei magnetici occhi blu. Poi,
la riposi e feci ritorno ad Amberwood, decisa a tenerla segreta. Se gli Alchimisti
volevano impedirmi di venire a conoscenza di Marcus Finch, li avrei lasciati fare fino
a quando non ne avrei scoperto la ragione. Ciò significava che la mia unica pista restava
Clarence e i Guerrieri assenti. Era comunque un inizio.
Un giorno, in qualche modo, sarei riuscita a trovare Marcus Finch, e ad avere le mie
risposte.
Quando feci il mio ingresso, rimasi sorpresa di trovare Jill seduta fuori dal dormitori.
Si trovava all'ombra naturalmente, ma era comunque in grado di godersi il clima
piacevole senza esporsi alla piena potenza del sole. Finalmente era iniziato una sorta
di autunno, non che fossi solita associare ventisei gradi centigradi a un brusca svolta
climatica autunnale. Il volto di Jill era pensieroso, ma si rallegrò un po' quando mi vide.
«Hey, Sydney. Speravo di incontrarti. Senza il tuo telefono non si riesce più a
trovarti.»
Feci una smorfia. «Sì, lo devo rimpiazzare. È stato un duro colpo.»
Annuì empaticamente. «Hai dato un passaggio a Sonya?»
«È sulla via di ritorno a corte e da Mikhail, e si spera anche verso una vita più
pacifica.»
«Bene» rispose Jill. Distolse lo sguardo e si morse il labbro inferiore.
La conoscevo abbastanza bene da riconoscere i segni di quando stava decidendo se
dirmi o meno qualcosa. Sapevo anche che era meglio non metterle pressione, perciò
attesi pazientemente.
«L’ho fatto» disse, infine. «Ho detto a Micah che è finita... finita per davvero.»
Mi sentii sollevata. Una cosa in meno di cui preoccuparsi. «Mi dispiace» replicai.
«So che dev’essere stata dura.»
Si scostò i ricci dal volto, riflettendo. «Sì. E no. Lui mi piace. E mi piacerebbe
continuare a uscire con lui, come amici, se lui è d’accordo. Non saprei, però. Non l’ha
presa molto bene... e i nostri amici comuni? Beh... non sono molto contenti di me al
momento.» Mi sforzai di non grugnire. Lo status di Jill aveva fatto grandi progressi lì,
e adesso avrebbe potuto andare tutto in frantumi. «Ma è per il bene comune. Micah e
io viviamo in mondi diversi, e in ogni caso non c’è futuro con un umano. Oltretutto ho
pensato un sacco all'amore... tipo, l'amore epico...» Incontrò il mio sguardo per un
momento, addolcendo il proprio. «E non era ciò che avevamo. A quanto pare se sto con
qualcuno è ciò che dovrei sentire.»
Pensai che l’amore epico fosse un po’ una forzatura alla sua età, ma mi astenni dal
dirlo. «Pensi che starai bene?»
Tornò bruscamente alla realtà. «Sì, credo di sì.» Le sue labbra si curvarono in un
breve sorriso. «E una volta che l’avrò superata, magari Eddie vorrà uscire qualche
volta, ovviamente fuori dal campus. Dal momento che siamo “imparentati”.»
Quelle parole furono quasi una ripetizione di quanto avevo sentito l'altra sera a casa
di Clarence, e la fissai sorpresa mentre un'improvvisa consapevolezza prese a
germogliare dentro di me. «Tu non sai... credevo che lo sapessi dato che Angeline è la
tua compagna di stanza...»
Jill si accigliò. «Di che stai parlando? Cos’è che non so?»
Oddio. Perché, perché dovevo proprio essere io a darle quella notizia? Perché non
potevo trovarmi rinchiusa nella mia stanza o in biblioteca a fare qualcosa di piacevole,
come i compiti ad esempio?
«Eddie ha... uhm, ha chiesto ad Angeline di uscire. Non so quando accadrà, ma ha
deciso di darle una chance.» Non aveva preso in prestito la mia macchina, perciò si
presumeva che l'appuntamento non fosse ancora avvenuto.
Jill assunse un’aria colpita. «C… come? Eddie e Angeline? Ma... lui non la
sopporta...»
«È cambiato qualcosa» risposi debolmente. «Non sono sicura di cosa. Non si tratta
di ehm, amore epico, ma si sono avvicinati nelle ultime settimane. Mi dispiace.» Jill
sembrava più distrutta da questa notizia che dalla sua rottura con Micah.
Distolse lo sguardo, ricacciando indietro le lacrime. «Va bene. Voglio dire, non l’ho
mai incoraggiato. Probabilmente penserà che sto ancora uscendo con Micah. Perché
avrebbe dovuto continuare a starmi attorno? È giusto che trovi qualcuno.»
«Jill...»
«Non c’è problema. Starò bene.» Aveva un’aria così triste e poi, incredibilmente il
suo volto divenne persino più tetro. «Oh, Sydney. Ti arrabbierai da morire con me.»
I miei pensieri erano ancora focalizzati su Micah perciò il cambiamento di
argomento mi prese totalmente in contropiede. «Perché?»
Prese il suo zaino e ne estrasse una rivista dalla copertina lucida. Era una di quelle
che promuovevano il turismo nel Sud della California, con articoli e pubblicità che
mettevano in risalto la zona. Una delle pagine era segnata, così la aprii. Era una
pubblicità di Lia DiStefano che occupava l'intera pagina con un collage di foto di vari
look.
E una delle foto era di Jill.
Impiegai un momento per coglierlo. La foto era uno scatto di profilo, con Jill che
indossava un paio di occhiali da sole e un cappello di feltro, così come una sciarpa blu
e verde che le aveva dato Lia. I suoi capelli ricci le ricadevano alle spalle fluenti, e i
contorni del suo viso erano bellissimi. Se non avessi conosciuto Jill così bene, non
l'avrei mai riconosciuta in quella modella così chic, anche se il suo essere una Moroi
sarebbe risultato ovvio a chiunque sapesse cosa cercare.
«Come?» Domandai. «Com’è accaduto?»
Jill fece un profondo respiro, pronta ad assumersi la sua colpa. «Quando lasciò
perdere i costumi e mi diede la sciarpa, mi chiese se le avrei permesso di scattarmi una
foto per vedere come sarebbero venuti i colori immortalati. Aveva anche altri accessori
in macchina, così li ho indossati. Voleva provarmi che con il giusto look, sarebbe stata
in grado di nascondere la mia identità. Ma non avrei mai pensato che... voglio dire, non
mi ha detto che l'avrebbe utilizzata. Dio, mi sento così stupida.»
Magari non stupida, ma ingenua sicuramente. Ci mancò poco che accartocciassi il
giornale. Ero furiosa con Lia. Una parte di me voleva denunciarla per l'utilizzo della
foto di una minore senza consenso, ma avevamo problemi ben più gravi. Quanto
popolare era quella rivista? Se la foto di Jill fosse stata esposta soltanto in California
magari nessuno l'avrebbe riconosciuta. Una modella Morii però attirava comunque
l'attenzione. Come sapere che tipo di guai si sarebbero verificati adesso per noi?
«Sydney, mi dispiace» disse Jill. «Cosa posso fare per aggiustare le cose?»
«Nulla» risposi. «A parte stare lontana da Lia.» Mi sentivo male. «Me ne occuperò
io.» Anche se non avevo davvero idea di come. Potevo semplicemente pregare che
nessuno avesse notato la foto.
«Sono disposta a fare qualsiasi cosa serva se ti viene in mente qualcosa. Io… oh.» I
suoi occhi si posarono su qualcosa alle mie spalle. «Magari dovremmo parlare più
tardi.»
Mi voltai anche io. Trey stava venendo verso di noi: un altro problema da risolvere.
«Direi che è una buona idea» risposi. Il cuore spezzato e la pubblicità di Jill
rimpicciolivano a confronto.
Si allontanò proprio mentre Trey si posizionava di fronte a me.
«Melbourne» disse, tentando di fare uno dei suoi vecchi sorrisi. Vacillò leggermente.
«Non sapevo fossi ancora qui in giro» risposi. «Credevo te ne fossi andato con gli
altri.» I Guerrieri si erano dati alla macchia. Trey aveva detto in precedenza che
viaggiavano per portare avanti le loro “cacce” e Maestro Angeletti aveva anche fatto
parola di un raduno da varie parti del paese. Presumibilmente, avevano fatto ritorno da
dove venivano. Avevo pensato che anche Trey sarebbe semplicemente scomparso.
«Negativo» rispose. «Questo è il posto dove vado a scuola, dove mio padre vuole
che stia. Oltretutto gli altri Guerrieri non hanno mai avuto una base permanente qui a
Palm Springs. Se ne andranno in qualsiasi luogo dove…»
Non completò la frase, così lo feci io al suo posto. «Qualsiasi luogo dove ricevete
soffiate sui mostri che potrete poi brutalmente giustiziare?»
«Non è andata così» rispose. «Credevamo fosse una degli Strigoi. Lo crediamo
ancora.»
Lo scrutai in volto, il volto di quel ragazzo che credevo essere mio amico. Ero
abbastanza sicura che lo fosse ancora. «Non tu. Ecco perché hai iniziato la rissa.»
«Non è così» protestò.
«Sì invece. Ti ho visto esitare quando avresti potuto sopraffare Chris. Non volevi
vincere. Non volevi uccidere Sonya perché non eri certo che fosse davvero una
Strigoi.»
Non lo negò. «Penso comunque che debbano venire tutti distrutti.»
«Lo stesso vale per me.» Risposi. «A meno che non ci sia un modo per salvarli tutti,
ma non è chiaro.» Nonostante la quantità di informazioni che avevo condiviso al
momento di difendere Sonya, mi rendeva comunque nervosa condividere con lui
segreti e esperimenti. «Se i Guerrieri si spostano di continuo, cosa accadrà la prossima
volta che saranno qui in zona? O persino a Los Angeles? Ti unirai nuovamente a loro?
Viaggerai verso la prossima caccia?»
«No.» La risposta fu decisa, brusca persino.
La speranza mi sbocciò dentro. «Hai deciso di tagliare i ponti con loro?»
Le emozioni sul volto di Trey erano difficili da interpretare, ma certamente non
potevano dirsi felici. «No. Hanno deciso di tagliarci fuori... me e mio padre. Siamo
stati espulsi.»
Lo fissai per alcuni istanti, a corto di parole. Non mi piaceva il fatto che i Guerrieri
o Trey fossero coinvolti, ma quello non era mai stato il mio obiettivo. «A causa mia?»
«No. Sì. Non lo so.» Si strinse nelle spalle. «Immagino di sì, indirettamente. Non
incolpano personalmente te e nemmeno gli Alchimisti. Al contrario, vogliono ancora
fare squadra con gli Alchimisti, cazzo. Hanno pensato che tu ti fossi comportata con la
tua solita imprudenza. Ma io? Io sono quello che ha fatto pressioni affinché entrassi
nell’operazione, che ha promesso che tutto sarebbe andato bene. Perciò mi incolpano
di mancanza di giudizio e della disfatta che ne è conseguita. Anche altri si stanno
assumendo la colpa, il consiglio per aver acconsentito, la sicurezza per non aver
bloccato il raid... ma non mi sento meglio. Mio padre e io siamo stati gli unici a essere
esiliati.»
«Mi... mi dispiace. Non avrei mai pensato che sarebbe accaduto qualcosa del
genere».
«Non era di tua competenza» rispose pragmaticamente, anche se il suo tono rimase
avvilito. «In certa misura hanno ragione: sono stato io a inserirti. È colpa mia, e stanno
punendo mio padre per quello che ho fatto. Questa è la parte peggiore.» Trey cercava
di apparire rilassato, ma sapevo come stavano le cose. Aveva lavorato sodo per
impressionare suo padre, tutto per essere poi il responsabile della massima umiliazione.
Le parole che pronunciò subito dopo ne furono la conferma. «I Guerrieri sono stati tutta
la sua vita. Essere buttati fuori in quel modo... beh, la sta prendendo molto male. Devo
trovare un modo per essere riammessi... devo farlo per lui. Non penso tu sappia dove
si trovi uno Strigoi facilmente uccidibile, vero?»
«No» risposi. «Specialmente perché nessuno di loro è una facile preda.» Esitai,
incerta su come proseguire. «Trey, cosa comporta questo per noi? Capirò se non
possiamo più essere amici...dato che, ho, ehm, rovinato la tua vita lavorativa.»
Un’ombra del suo vecchio sorriso tornò a farsi vedere. «Nulla è perso per sempre.
Te l’ho detto, mi farò riammettere. E se non uccidendo uno Strigoi, chi lo sa? Magari
imparando di più su di voi, potrei colmare le distanze tra i nostri gruppi e riuscire a
farli collaborare. Mi farebbe guadagnare punti.»
«Sei il benvenuto a fare un tentativo» risposi, diplomaticamente. Non pensavo
minimamente che fosse possibile, e lui lo sapeva.
«Beh, allora mi verrà in mente qualcosa, qualche super mossa per attirare
l’attenzione dei Guerrieri e far riammettere me e mio padre. Devo riuscirci.» La sua
espressione tornò a rabbuiarsi, ma l’ombra di un sorriso, seppur triste, tornò a mostrarsi
brevemente. «Sai cos’altro fa schifo? Adesso non posso chiedere ad Angeline di uscire.
Frequentare te è una cosa, ma anche se sono un esiliato non posso rischiare di
mostrarmi amichevole con i Morii o i dhampirs. E soprattutto non posso uscire con uno
di loro. Cioè, mi ero accorto di cosa fosse già un po’ di tempo fa, ma avrei potuto fare
il finto tonto. L’attacco nell’arena però ha rovinato tutto. Neanche i Guerrieri li
apprezzano minimamente, sai. Dhampirs o i Morii che siano. Desidererebbero vedere
distrutti anche loro, ma al momento pensano sia semplicemente troppo impegnativo e
non una vera priorità.»
Qualcosa nelle sue parole mi fece rabbrividire, specialmente perché ricordavo il
disinvolto commento di un Guerriero riguardo fare fuori anche i Moroi prima o poi.
Gli Alchimisti sicuramente non amavano i dhampirs o i Morii, ma da lì a volervi
abbattere c’era una bella differenza.
«Devo andare.» Trey toccò la sua tasca e mi porse qualcosa che fui grata di vedere.
Il mio telefono. «Ho pensato ne potessi sentire la mancanza.»
«Sì!» Lo presi impazientemente e lo accesi. Non avendo idea se l’avrei riavuto
indietro, ero stata sul punto di andarne a comprare uno nuovo. Questo qui era
comunque vecchio di tre mesi e in pratica datato. «Grazie per averlo salvato. Oh.
Wow.» Lessi il display. «Ci sono tipo un milione di messaggi da parte di Brayden.»
Non avevamo più parlato dalla notte della scomparsa di Sonya.
Lo sguardo malizioso che tanto amavo di Trey si fece rivedere. «Meglio rispondergli,
allora. Il vero amore non aspetta nessuno.»
«Il vero amore, eh?» Scossi la testa con esasperazione. «È bello riaverti qui.»
Il commento mi fece guadagnare un sorriso vero e proprio. «Ci vediamo in giro.»
Non appena rimasi da sola, risposi a Brayden: Scusa per il silenzio radio. Ho perso
il telefono per tre giorni. La sua risposta fu quasi immediata: Sono a lavoro, a breve
avrò una pausa. Passi? Ci pensai sopra. Dato che al momento non avevo questioni di
vita o di morte di cui occuparmi, era un momento buono come qualsiasi altro. Gli
risposi che me ne sarei andata subito da Amberwood.
Una volta arrivata da Spencer's scoprii che Brayden mi aveva fatto trovare pronto il
mio caffellatte preferito. «Ho calcolato basandomi su quando eri partita la tempistica
per fartelo trovare caldo al tuo arrivo.»
«Grazie» risposi, prendendolo. Mi sentii un po’ in colpa per il fatto che provavo
un’emozione maggiore vedendo il caffè piuttosto che lui.
Comunicò all’altro barista che si stava prendendo una pausa e mi condusse verso un
tavolo isolato. «Non ci vorrà molto» mi informò, Brayden. «So che probabilmente hai
un sacco di fare questo weekend.»
«In realtà le cose stanno iniziando a diventare più rilassate» risposi.
Prese un profondo respiro, mostrando la medesima ansia e risoluzione delle volte in
cui mi aveva chiesto di uscire. «Sydney» disse, formalmente «credo che non dovremmo
vederci più.»
Mi bloccai a metà sorso. «Aspetta...cosa?»
«So che probabilmente dev’essere devastante per te» aggiunse. «E devo ammettere,
è difficile anche per me. Ma alla luce degli ultimi eventi è diventato chiaro che non sei
ancora chiaramente pronta per una relazione.»
«Ultimi eventi?»
Annuì solennemente. «La tua famiglia. Hai annullato una serie di nostri impegni per
stare con loro. Anche se un tale senso di devozione è ammirevole, non voglio trovarmi
in questo tipo di relazione instabile.»
«Instabile?» Continuavo in pratica a ripetere le sue parole chiave, quindi mi obbligai
a tornare in me. «Quindi...fammi capire bene. Stai rompendo con me».
Ci pensò su. «Sì. Sì, è quello che sto facendo.»
Attesi una mia qualche reazione interiore. Un'ondata di dolore. La sensazione di
avere il cuore spezzato. Una qualsiasi emozione. Ma tutto quello che sentivo in pratica
era una sensazione di confusa sorpresa.
«Ah» dissi.
Apparentemente quella fu una manifestazione di dolore sufficiente per Brayden.
«Per favore non renderla più dura di quanto già non sia. Ti ammiro molto. Sei
indubbiamente la ragazza più intelligente che abbia mai conosciuto. Solo che non posso
essere coinvolto con una persona irresponsabile come te.»
Lo fissai. «Irresponsabile.»
Non sono certa di dove iniziò, da qualche parte nello stomaco o nel petto, forse. Ma
improvvisamente venni travolta da un’incontrollabile risata. Non riuscivo a fermarmi.
Dovetti mettere giù il caffè per non rovesciarlo. E anche dopo, fui costretta a seppellire
il volto nelle mani per asciugarmi le lacrime.
«Sydney?» Mi chiamò cautamente, Brayden. «È una specie di reazione isterica a
causa del dolore?»
Impiegai quasi un altro minuto per riuscire a calmarmi e a rispondergli. «Oh,
Brayden. Mi hai davvero cambiato la giornata. Mi hai dato qualcosa che mai avrei
creduto di ricevere. Grazie.» Presi il caffè e mi alzai. Aveva un'aria completamente
sperduta.
«Ehm, non c’è di che?»
Uscii dal caffè, continuando a ridere come una scema. Nell’arco dell'ultimo mese
all’incirca, tutte le persone della mia vita mi avevano detto all’infinito quanto fossi
responsabile, diligente, esemplare. Mi erano stati appioppati molti aggettivi. Ma mai e
poi mai ero stata chiamata irresponsabile.
E in un certo senso mi piacque.
CAPITOLO 24 Traduzione: Noir
Revisione: Veru
DATO CHE QUELLA GIORNATA non poteva diventare ancora più assurda, decisi di
fare un salto da Adrian. C’era una cosa che morivo dalla voglia di sapere, ma che non
avevo avuto ancora occasione di chiedergli.
Quando bussai aprì la porta con un pennello in mano. «Oh» disse. «Che sorpresa.»
«Interrompo qualcosa?»
«Solo i compiti.» Si fece da parte per lasciarmi entrare. «Non preoccuparti, non la
vivo come la tragedia che sarebbe per te.»
Entrai nel salotto e fui felice di vedere che era nuovamente pieno di tele e cavalletti.
«Hai rimesso su il tuo atelier.»
«Già.» Mise giù il pennello e si pulì le mani con uno straccio. «Ora che questo posto
non è più un centro di ricerche, posso riconferirgli il suo normale aspetto artistico.»
Si appoggiò contro lo schienale del divano a quadri e mi osservò spostarmi da una
tela all’altra. Una in particolare attirò la mia attenzione. «Che cos’è? Sembra un
giglio.»
«Sì» rispose. «Senza offesa, ma è molto più figo del tuo. Se gli Alchimisti vogliono
comprarne i diritti e iniziare a utilizzarlo sono disposto a negoziare.»
«Lo terrò presente» risposi. Ero ancora di buon umore per via della rottura con
Brayden, e quello non fece altro che migliorarlo. Anche se dovevo ammettere di non
aver esattamente compreso il quadro… cosa che mi accadeva spesso con l’arte astratta
di Adrian. Il giglio, pur essendo più stilizzato e ‘‘figo’’ di quello sobrio sulla mia
guancia, rimaneva comunque chiaramente distinguibile. Era dipinto d’oro. Era
circondato da disordinati schizzi di pittura scarlatti e, intorno al rosso, c’era un motivo
di cristalli color azzurro ghiaccio. Era straordinario, ma se dietro c’era un qualche
significato nascosto, non riuscivo a capirlo.
«Sei incredibilmente di buon umore» osservò Adrian. «C’erano i saldi da Khakis-R-
Us?»
Interruppi la mia interpretazione artistica e mi voltai verso di lui. «No. Brayden mi
ha lasciata.»
Il suo sorrisetto si spense. «Oh. Merda. Mi dispiace. Stai… voglio dire… vuoi
qualcosa da bere? Hai bisogno di, non so, piangere o qualcosa del genere?»
Risi. «No. Stranamente sto bene. La cosa non mi affligge. Ma dovrebbe, vero?
Magari ho qualcosa che non va.»
Gli occhi verdi di Adrian mi soppesarono. «Non credo. Non tutte le rotture sono
tragedie. Ad ogni modo… potrebbe comunque servirti qualcosa che ti dia un po’ di
conforto.»
Si raddrizzò e si diresse in cucina. Confusa, lo osservai prendere qualcosa dal freezer
e rovistare nel suo cassetto dell’argenteria. Fece poi ritorno in salotto con una coppa di
gelato alla melagrana e un cucchiaio.
«Per chi è questa?» domandai, accettando l’offerta unicamente a causa dello shock.
«Per te, ovviamente. Avevi voglia di melagrana, no?»
Ripensai a quella sera al ristorante italiano. «Beh, sì… ma non c’era bisogno che tu
facessi…»
«Beh, la volevi» rispose ragionevolmente. «E poi un patto è un patto.»
«Quale patto?»
«Ricordi quando hai detto che avresti bevuto un’intera lattina di soda se non avessi
fumato per una giornata intera? Bene, ho calcolato le calorie, e sono le stesse di questa
coppa.»
Lasciai quasi cadere il gelato. «Sei… sei stato un’intera giornata senza fumare?»
«Quasi una settimana a dire il vero» rispose. «Perciò puoi mangiarla tutta, se vuoi.»
«Perché mai avresti dovuto farlo?» domandai.
Si strinse nelle spalle. «Ehi, sei stata tu a lanciare la sfida. E oltretutto fumare è una
cattiva abitudine, no?»
«Sì…» Ero ancora scioccata.
«Mangialo o finirà per sciogliersi.»
Gli restituii il gelato. «Non posso. Non se mi guardi. È troppo strano. Posso
mangiarlo più tardi?»
«Certo» rispose riponendolo nel freezer. «Sempre se lo mangi. So come sei fatta.»
Incrociai le braccia al petto quando si posizionò davanti a me. «Come?»
Mi fissò con uno sguardo sorprendentemente severo. «Forse tutti gli altri penseranno
che la tua avversione nei confronti del cibo sia carina, ma io no. Ho visto come guardi
Jill. Ed ecco la verità nuda e cruda: non avrai mai, e dico mai, il suo corpo. Mai. È
impossibile. Lei è una Moroi, tu sei umana. Si tratta di biologia. Ne hai già uno che va
benissimo, uno per cui la maggior parte degli umani ucciderebbe… e staresti ancora
meglio se mettessi su un po’ di peso. Un paio di chili sarebbero un buon punto di
partenza. Nasconderebbero quelle costole. Avresti una misura di reggiseno più
grande.»
«Adrian!» Ero inorridita. «Sei… sei impazzito? Non hai il diritto di dirmi queste
cose! Nessuno!»
Fece un verso di derisione. «Ne ho tutto il diritto, Sage. Sono tuo amico, e nessun
altro verrà a dirtelo. Inoltre sono il re delle abitudini non salutari. Credi che non ne
riconosca una quando la vedo? Non so cos’abbia scatenato questa cosa – la tua
famiglia, troppi Moroi, oppure la tua natura ossessivo compulsiva – ma voglio che tu
sappia che non è necessario.»
«Quindi si tratta di una specie di intervento psicologico?»
«Si tratta della verità» rispose semplicemente. «Da parte di una persona che tiene a
te e che vuole che il tuo corpo sia sano e meraviglioso esattamente come la tua mente.»
«Non intendo starti a sentire» risposi voltandomi. Un misto di emozioni mi
ribollivano dentro. Rabbia. Indignazione. E stranamente un accenno di sollievo. «Vado.
Non sarei mai dovuta passare.»
Mi fermò mettendomi una mano sulla spalla. «Aspetta… stammi a sentire.» Mi girai
con riluttanza. La sua espressione era ancora severa, ma la voce si era addolcita. «Non
voglio essere cattivo. Sei l’ultima persona che voglio ferire… ma non voglio neanche
che tu ti faccia del male da sola. Puoi ignorare tutto ciò che ho detto, ma dovevo dirtelo,
okay? Non ne parlerò più. Sei tu che controlli la tua vita.»
Distolsi lo sguardo e ricacciai indietro le lacrime. «Grazie» risposi. Avrei dovuto
essere contenta che si sarebbe fatto da parte. Invece, percepivo un malessere dentro di
me, come se avesse portato allo scoperto qualcosa che stavo ignorando e tenendo
segregato. Un’orribile verità che non volevo ammettere, il che era ipocrita da parte di
una persona che sosteneva di occuparsi di fatti ed evidenza. E, che volessi concordare
con lui o meno, sapevo con certezza che aveva ragione su una cosa: nessun altro mi
avrebbe detto queste cose.
«Perché sei passata?» chiese. «Sei sicura di non voler utilizzare il mio fantastico
dipinto come nuovo logo degli Alchimisti?»
Non riuscii a trattenere una risatina. Tornai a posare lo sguardo su di lui, disposta a
supportarlo in quel brusco cambio di argomento. «No. Qualcosa di molto più serio.»
Sembrò sollevato di fronte al mio sorriso, e rispose con uno dei suoi. «Deve trattarsi
di qualcosa di molto serio.»
«Quella notte nel rifugio. Come hai fatto a guidare la Mustang?»
Il suo sorriso si spense.
«Perché l’hai guidata» continuai. «Senza esitazioni. Bene come avrei potuto guidarla
io. Ho iniziato a chiedermi se magari qualcuno ti avesse insegnato. Ma anche se avessi
preso lezioni sin dal giorno in cui hai comprato la macchina, non saresti stato in grado
di guidare in quel modo. Cambiavi le marce come se usassi il cambio manuale da
sempre.»
Adrian si voltò repentinamente dall’altra parte e raggiunse la parte opposta del
salotto. «Forse ho un talento naturale» rispose, senza guardarmi.
Era buffo come le carte in tavola fossero completamente cambiate. Un attimo prima
Adrian mi aveva messa all’angolo, costringendomi ad affrontare questioni che non
volevo affrontare. Adesso era il mio turno. Lo seguii sino alla finestra e lo costrinsi a
guardarmi.
«Ho ragione, non è vero?» insistei. «È una vita che guidi macchine del genere!»
«Neanche i Moroi distribuiscono patenti ai bambini, Sage» rispose seccamente.
«Non cercare di eludere la domanda. Sai cosa intendo. Sai guidare con il cambio
manuale da anni.»
Il suo silenzio era una risposta eloquente. Avevo ragione, anche se era difficile
leggere la sua espressione.
«Perché?» chiesi. Lo stavo quasi implorando. Tutti quanti dicevano sempre che ero
estremamente intelligente, in grado di collegare fatti e trarre conclusioni notevoli. Ma
questo andava al di là della mia comprensione, e non riuscivo a capire una cosa tanto
priva di senso. «Perché comportarti così? Perché fingere di non saper guidare?»
Un milione di pensieri sembrarono attraversargli la mente, nessuno dei quali era
disposto a dire ad alta voce. Infine, scosse la testa esasperato. «Non è ovvio, Sage? No,
certo che no. L’ho fatto in modo da avere un motivo per poter stare con te, uno che
sapevo non avresti potuto rifiutare.»
Ero più confusa che mai. «Ma… perché? Perché l’hai fatto?»
«Perché?» domandò. «Perché era l’unico modo per avvicinarmi a fare questo.»
Si protese in avanti e mi attirò a sé, una mano sulla mia vita e l’altra dietro il collo.
Mi sollevò il volto e abbassò le labbra sulle mie. Chiusi gli occhi e mi sciolsi mentre
tutto il mio corpo veniva consumato da quel bacio. Ero niente. Ero tutto. Brividi presero
a corrermi lungo la pelle, e un fuoco a bruciarmi dentro. Avvicinò il suo corpo al mio
e gli allacciai le braccia intorno al collo. Le sue labbra erano più morbide e calde di
qualsiasi cosa avessi mai potuto immaginare, eppure impetuose e decise allo stesso
tempo. Le mie risposero fameliche, e aumentai la presa su di lui. Le sue dita
scivolarono lungo la mia nuca, tracciandone la forma, e ogni punto da lui toccato
diventò elettrico.
Ma forse la parte migliore di tutto fu che io, Sydney Katherine Sage, colpevole di
analizzare costantemente il mondo che mi circondava, beh… smisi di pensare.
E fu meraviglioso.
Almeno fino a che non ricominciai a pensare.
La mia mente, tutte le mie preoccupazioni e considerazioni, improvvisamente
presero il sopravvento. Mi scostai da Adrian, nonostante le proteste del mio corpo.
«Cosa… cosa stai facendo?»
«Non saprei» rispose lui con un sorriso. Fece un passo verso di me. «Ma sono
abbastanza certo che lo stessi facendo anche tu.»
«No. No. Non ti avvicinare! Non lo puoi fare più. Capisci? Non possiamo... non
avremmo dovuto… oddio. No. Mai più. È stato uno sbaglio.» Mi toccai le labbra con
le dita, come se così facendo avrei potuto cancellare quello che era appena successo,
ma finii soprattutto per ripensare alla dolcezza e al calore della sua bocca contro la mia.
Abbassai subito la mano.
«Uno sbaglio? Non lo so, Sage. Onestamente, è stata la cosa più giusta che mi sia
capitata dopo tanto tempo.» Nonostante ciò, mantenne le distanze.
Scossi la testa freneticamente. «Come puoi dirlo? Sai come funziona! Non c’è…
beh, lo sai. Umani e vampiri non… no. Non può esserci nulla tra di loro. Tra di noi.»
«Beh, qualcosa dev’esserci stato» ribatté, tentando un approccio ragionevole.
«Altrimenti non ci sarebbero dhampir. E poi cosa mi dici dei Custodi?»
«I Custodi?» Quasi risi, ma non c’era niente da ridere. «I Custodi vivono in caverne
e si fanno guerre per lo stufato di opossum. Se desideri condurre quel tipo di vita, sei
liberissimo di farlo. Se vuoi vivere nel mondo civile con noi, allora non toccarmi di
nuovo. E cosa mi dici di Rose? Non sei follemente innamorato di lei?»
Adrian sembrava anche troppo calmo rispetto alla situazione. «Forse lo ero un
tempo. Ma sono passati… quanto, tre mesi? E sinceramente è da un po’ che non penso
a lei. Sì, sono ancora ferito e mi sento come se mi avesse usato, ma… credimi, non è
più a lei che penso sempre. Non è il suo volto che vedo quando vado a dormire. Non
mi chiedo se…»
«No!» Mi allontanai ancora di più. «Non voglio sentire niente. Non voglio più
ascoltarti.»
Con pochi, rapidi passi, Adrian mi fu nuovamente di fronte. La parete era a solo un
paio di centimetri da me, e non potevo andare da nessuna parte. Non fece niente di
minaccioso, ma mi strinse le mani e se le portò al petto, protendendosi verso di me.
«No, tu mi ascolterai, invece. Per una volta, starai a sentire qualcosa che non va a
collocarsi nel tuo mondo preciso e categorizzato, fatto di ordine, logica e ragione.
Perché questa non è una cosa razionale. Se tu sei terrorizzata, credimi… io sono
spaventato a morte. Mi hai chiesto di Rose? Ho provato a essere una persona migliore
per lei, ma volevo impressionarla, far sì che mi volesse. Ma quando sono con te voglio
essere migliore perché… beh, perché mi sembra la cosa giusta da fare. Perché sono io
a volerlo. Mi fai desiderare di diventare qualcosa di più grande di ciò che sono. Voglio
eccellere. Mi ispiri in ogni azione, ogni parola, ogni sguardo. Ti guardo e mi sembri…
mi sembri luce fatta persona. Te l’ho detto ad Halloween e pensavo ogni parola: sei la
creatura più bella che abbia mai visto camminare su questa terra. E non ne sei neanche
consapevole. Non hai idea di quanto tu sia bella né di quanto tu sia intensamente
splendida.»
Sapevo che avrei dovuto divincolarmi, staccare le mani dalle sue. Ma non potevo.
Non ancora. «Adrian…»
«E so, Sage» continuò, lo sguardo infuocato, «so cosa pensate di noi. Non sono
stupido e, credimi, ho provato a togliermi questa cosa dalla testa. Ma non c’è
abbastanza liquore, arte, o qualsiasi altra distrazione al mondo in grado di farlo. Ho
dovuto smettere di andare da Wolfe perché era troppo difficile starti tanto vicino, anche
se si trattava soltanto di fingere di combattere. Non riuscivo a sopportare il contatto.
Era un’agonia perché aveva un significato per me… e sapevo che invece per te non ne
aveva nessuno. Continuavo a ripetermi che dovevo starti lontano, e poi finivo per
trovare delle scuse… come la macchina… qualsiasi cosa pur di stare di nuovo con te.
Hayden era un coglione, ma almeno se stavi con lui avevo un buon motivo per
mantenere le distanze.»
Adrian continuava a tenermi le mani, il volto impaziente, spaventato e disperato
mentre metteva a nudo il suo cuore. Il mio stesso cuore batteva incontrollabilmente, e
la colpa era di un’infinità di emozioni. Aveva lo sguardo distratto e rapito… lo stesso
che assumeva quando lo spirito prendeva il controllo e lo faceva sproloquiare. Pregai
che si trattasse di quello, un attacco di follia indotto dallo spirito. Doveva essere così.
Giusto?
«Si chiama Brayden» risposi alla fine. Lentamente, fui in grado di placare la mia
ansia e riacquisire un po’ di controllo. «E, anche senza di lui, ci sono un milione di
motivi per mantenere le distanze. Dici di sapere come la pensiamo. Ma è così? Lo sai
davvero?» Staccai le mani dalle sue e indicai la mia guancia. «Sai cosa significa
davvero il giglio dorato? È una promessa, un voto nei confronti di uno stile di vita e un
sistema di convinzioni. Non si può cancellare una cosa del genere. Questo non me lo
permetterà, anche se volessi. E, sinceramente, non voglio! Credo in ciò che facciamo.»
Adrian mi guardò pacatamente. Non cercò di riprendermi le mani, ma non si tirò
indietro. Le mie mani sembravano dolorosamente vuote senza le sue. «Questo ‘‘stile di
vita’’ e ‘‘sistema di convinzioni’’ che stai difendendo, ti ha usata e continua a farlo. Ti
trattano come l’ingranaggio di una macchina, a cui non è concesso di pensare… e tu
sei meglio di così.»
«Alcune parti del sistema non sono perfette» ammisi. «Ma i principi sono giusti e io
ci credo. C’è una linea di confine tra umani e vampiri, tra me e te, che non può mai
essere oltrepassata. Siamo troppo diversi. Non siamo fatti per essere… così. Niente.»
«Nessuno di noi è fatto per essere o fare qualcosa» rispose. «Decidiamo che cosa
faremo. Una volta mi hai detto che qui non ci sono vittime, e che tutti abbiamo il potere
di scegliere ciò che vogliamo.»
«Non cercare di utilizzare le mie parole contro di me» lo ammonii.
«Perché?» domandò, un lieve sorriso sulle labbra. «Erano dannatamente vere. Tu
non sei una vittima. Non sei prigioniera del giglio. Puoi essere quello che vuoi. Puoi
scegliere ciò che vuoi.»
«Hai ragione.» Mi divincolai, riscontrando zero resistenza da parte sua. «E non
scelgo te. Ecco cosa ti sfugge.»
Adrian si immobilizzò. Il suo sorriso svanì. «Non ti credo.»
«Lasciami indovinare. Perché ho ricambiato il tuo bacio?» Lo schernii. Quel bacio
mi aveva fatto sentire più viva di quanto non mi fossi sentita da settimane, e avevo la
sensazione che se ne fosse accorto.
Scosse la testa. «No. Perché non c’è nessun altro che ti capisce come ti capisco io.»
Attesi un’ulteriore spiegazione. «Tutto qui? Non hai intenzione di spiegare meglio
cosa significhi?»
I suoi occhi verdi mi avevano in pugno. «Non credo ce ne sia bisogno.»
Dovetti distogliere lo sguardo, anche se non ero sicura del perché. «Se mi conosci
così bene, allora capirai perché me ne vado.»
«Sydney…»
Mi mossi rapidamente verso la porta. «Addio, Adrian.»
Mi affrettai a oltrepassare la soglia, temendo in parte che avrebbe cercato di
trattenermi di nuovo. Se l’avesse fatto, non ero certa che sarei riuscita ad andarmene.
Ma non mi toccò. Non cercò in alcun modo di fermarmi. Solo una volta arrivata a metà
del prato davanti alla sua casa osai guardarmi alle spalle. Adrian era appoggiato allo
stipite della porta e mi guardava con occhi che erano lo specchio del suo cuore. Sentivo
il mio cuore spezzarsi nel petto. Il giglio sulla mia guancia mi ricordò chi ero.
Gli diedi le spalle e me ne andai, rifiutandomi di guardare indietro.