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Riassunto Capitalismo E Sviluppo Nelle Catene Globali DELValore
Sociologia dello sviluppo (Università degli Studi di Torino)
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Riassunto Capitalismo E Sviluppo Nelle Catene Globali DELValore
Sociologia dello sviluppo (Università degli Studi di Torino)
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CAPITOLO I – GLOBALIZZAZIONE ECONOMICA E TEORIA SOCIO-ECONOMICA
1.1 INTRODUZIONE
Giddes definisce la globalizzazione come l’insieme di quei processi, che hanno dato vita a una rete
mondiale di connessioni spaziali e di interdipendenze funzionali, tali che eventi locali sono
influenzati da eventi che si verificano a grande distanza. Prevale l’idea di un’economia che funziona
come un’unità in tempo reale su scala planetaria. Le teorie economiche distinguono i paesi meno
sviluppati, che godono del vantaggio del basso costo del lavoro, dai paesi sviluppati, caratterizzati
da attività a più alta intensità di capitale e forza lavoro qualificata. La globalizzazione è un
fenomeno sia strutturale che strutturante, si sviluppa in modo disomogeneo nel tempo e nello
spazio. Si sono confrontate due tradizioni di ricerca nel campo della globalizzazione, la political
economy che si occupa di analizzare la varietà di capitalismi (VOC) e ha dato un forte contributo al
dibattito sulla globalizzazione, e la seconda riguarda le trasformazioni del fordismo quindi i
cambiamenti organizzativi e strategici dell’industria.
1.2 IL DIBATTITO SULL’ECONOMIA GLOBALE: LA NATURA CAPITALISTICA DELLA GLOBALIZZAZIONE E
LE SFIDE PER LE SCIENZE SOCIALI
La globalizzazione è un processo alimentato da un flusso crescente di beni, persone, informazioni,
servizi e cultura attraverso i confini. La sociologia si occupa di analizzare il mutamento strutturale
che la globalizzazione porta con se e si riverbera sulla vita quotidiana. L’economia, invece, che ha
caratterizzato la globalizzazione è quella capitalistica. Quindi, la globalizzazione non è che una
nuova e diversa fase di sviluppo e riorganizzazione delle forze produttive del capitalismo che
poggia sul consolidamento di imprese transnazionali e tecnologie digitali. Essa impone una
divisione internazionale del lavoro e una ridefinizione della governance globale. Secondo la
political economy, la globalizzazione è un processo di deterritorializzazione con una conseguente
contrazione della territorialità degli stati nazione. Si è registrata una disconnessione tra spazio
economico e spazio di governo del territorio. L’interpretazione dei processi di globalizzazione ha
portato a:
1) destabilizzare la gerarchia scalare con un mutamento del ruolo dello stato;
2) un’articolata dialettica spazio-temporale con effetti sullo sviluppo economico;
3) privilegiare la dimensione relazionale della vita economica.
1.2.1 LA COMPLESSITA’ SCALARE E ISTITUZIONALE DEL CAPITALISMO
La globalizzazione comporta un’interdipendenza, derivante da processi articolati su varie scale. Tali
processi rimandano a fenomeni di riterritorializzazione. Lo stato ha assunto il ruolo di contenitore
delle relazioni socio-economiche e di interfaccia organizzativa delle scale subnazionali e
sopranazionali, mantiene comunque un ruolo centrale come ruolo e attore di globalizzazione.
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1.2.2 LA DIALETTICA SPAZIO-TEMPORALE E LO SVILUPPO DISEGUALE
La teoria sociale ha privilegiato la dimensione temporale dello sviluppo. Il progresso è il suo
oggetto teorico e il tempo storico la sua dimensione principale. La globalizzazione economica ha
invece come chiave interpretativa la dimensione spaziale. Essa esalta le differenze regionali e i
particolarismi locali. Il mercato mondiale accentua ulteriormente le contraddizioni e le tensioni
spazio-temporali. L’accumulazione capitalistica necessita della produzioni di configurazioni
territoriali stabili nel tempo che la rendano possibile. Emergono due tensioni contrapposte: la
mobilità territoriale del capitale, funzionale al perseguimento di opportunità di investimento, e la
fissità territoriale, che rende possibile l’accumulazione di capitale. Con il passare del tempo la
stabilità delle relazioni socio-economiche e territoriali costituisce un vincolo per il capitale. Bisogna
definire un nuovo scenario di accumulazione e ciò avviene attraverso una serie di processi di
devalorizzazione e ristrutturazione. Questi processi producono disuguaglianze a più livelli, sia
strutturale che geografico.
1.2.3 LA MATRICE RETICOLARE DELL’ECONOMIA GLOBALE
Il modello reticolare si è affermato come la matrice più adeguata di diverse rappresentazioni della
società contemporanea, fondate sull’immagine di un insieme dinamico di punti tra loro
interconnessi e delle loro proprietà emergenti, la network society. La globalizzazione economica
non è il risultato di flussi destrutturati, ma è costruita attraverso tensioni tra movimenti e ordini
sociali.
1.3 LA GLOBALIZZAZIONE ECONOMICA COME FENOMENO STORICO MODERNO
Nel tempo vi sono state diverse ondate di globalizzazione, aventi però delle caratteristiche comuni.
In particolare, la globalizzazione moderna ha comportato le seguenti trasformazioni: capitalismo,
tecnologia industriale, stato nazionale. Lo sviluppo del capitalismo si salda con le teorie
economiche sulla divisione del lavoro, che gettano le basi per la divisione geografica del lavoro,
alimentata dal colonialismo. Occorre distinguere tra un’integrazione debole, che si manifesta in
uno scambio di beni e servizi, e movimenti internazionali di capitale; e un’integrazione profonda,
che riguarda i processi di produzione ed è un aspetto distintivo della globalizzazione moderna. Un
ruolo importante svolgono le imprese multinazionali, quali attori internazionalizzati. Queste
imprese sono spinte verso i paesi in via di sviluppo per la ricerca di materie prime, forza lavoro a
basso costo e nuovi mercati. La rapida industrializzazione di alcuni paesi in via di sviluppo portano
le grandi imprese a esternalizzare attività produttive standardizzate, in località a basso costo del
lavoro. Questo porta alla nascita della fabbrica mondiale, connessa alla divisione internazionale del
lavoro: in paesi industrializzati caratterizzati dalla produzione di beni e servizi più sofisticati, mentre
la produzione di merci standardizzate avviene in paesi a basso costo del lavoro. Tale divisione del
lavoro è alla base della formazione di reti transnazionali di produzione.
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1.4 LA SOCIOLOGIA ECONOMICA E LA GLOBALIZZAZIONE
Il dibattito teorico sul radicamento sociale dell’azione economica consta di due filoni: il primo
riguarda la formazione e l’evoluzione delle agglomerazioni industriali, secondo una logica di
concentrazione spaziale; il secondo è legato all’evoluzione della grande impresa attraverso una
disintegrazione della produzione, secondo una logica di dispersione spaziale.
1.4.2 ORGANIZZAZIONI ED ESITI ECONOMICI NELLE PROSPETTIVE STRUTTURALI E ISTITUZIONALI
La nuova sociologia economica pone come tema centrale il nesso tra radicamento delle attività e
gli esiti economici. Partendo dal contributo di Granovetter diversi studiosi hanno analizzato il modo
in cui la struttura dei legami reticolari influenza l’organizzazione e la performance economica.
Ritroviamo la teoria di Burt dei buchi strutturali che, combinando informazioni tra gruppi diversi
riescono meglio nella loro carriera.
LA ‘’POLITICAL ECONOMY’’ COMPARATA
Le istituzioni politiche e sociali, configurano il quadro regolativo per le attività economiche, che
finiscono per influenzarne le scelte e determinarne gli esiti economici. La prospettiva della VOC
sottolinea come l’ambiente istituzionale influenza l’agire delle imprese. Essa sostiene che a una
diversità dell’ambiente istituzionale corrispondono diversi tipi di capitalismo. Da ciò emergono due
modelli: le economie coordinate di mercato, in cui vi è un ruolo limitato del mercato; e le
economie non coordinate di mercato, in cui vi è un’ampi regolazione del mercato. La diversità
dell’ambiente istituzionale rappresenta una fonte di vantaggio comparato. Le scelte economiche
delle imprese non si esercitano quindi solo su una base volontaristica, ma sono favorite o
ostacolate da tale contesto. Tale prospettiva è stata oggetto di una varietà di critiche riguardanti: il
ruolo delle istituzioni, il fatto di essere limitata al livello nazionale, e la mancata esplorazione della
dimensione economica.
1.4.3 ACCUMULAZIONE FLESSIBILE, RELAZIONI INTERORGANIZZATIVE LOCALIZZATE E DINAMICHE
GLOBALI
L’espansione degli studi sulle economie regionali è intrecciata con i processi messi in moto
dall’economia globale.
SISTEMI LOCALI DI PRODUZIONE E GLOBALIZZAZIONE
Le nuove condizioni di mercato hanno sollecitato una riorganizzazione della produzione verso
arrangiamenti flessibili nell’impresa e tra unità produttive diverse che potessero combinare
economie di scala, di scopo e versatilità. In tale contesto sono di fondamentale importanza le
agglomerazioni geografiche da cui è possibile trarre beneficio da una serie di vantaggi localizzati. I
distretti industriali, si presentano come regioni estremamente specializzate. In essi le imprese
cooperano e competono per la produzione. Lo sviluppo del modello distrettuale è assicurato dalla
presenza di risorse istituzionale. I processi di globalizzazione esaltano gli elementi di specificità
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delle economie locali. La globalizzazione economica spinge le aree locali/regionale a ristrutturarsi
per competere.
CAPITOLO 2 – LE CATENE GLOBALI DEL VALORE :ORGANIZZAZIONE E GOVERNANCE
DELL'ECONOMIA GLOBALE
2.1 INTRODUZIONE
La centralità delle imprese e delle catene di produzione globali nei processi di globalizzazione
economica si consolida negli anni Novanta.
L'iniziale “ricomposizione industriale” favorita dalla modularità, con cui la grande impresa
verticalmente integrata favorisce la formazione di reti produttive variamente organizzate in situ
(relativamente concentrate dal punto di vista geografico), ma nelle quali mantiene le competenze
core, viene ben presto affiancata da un parallelo processi di globalizzazione.
Riduzione dei costi, ricerca di innovazioni di varia natura, nuove fonti di vantaggio competitivo
(time to market ), cambiamenti tecnologici e di mercato, quadro storico caratterizzato da minore
regolamentazione al commercio internazionale e maggiore disponibilità di mezzi di comunicazione
e di trasporto hanno contribuito a una modificazione dell'assetto organizzativo delle grandi
imprese verso modelli più flessibili, verso maggiore apertura all'esterno e attenzione nei riguardi
delle capacità di apprendimento e di innovazione.
A partire dai tardi anni Ottanta quindi, si è assistito a un’integrazione dei processi produttivi a
opera di reti di imprese, legate funzionalmente ma legalmente indipendenti e territorialmente
dislocate.
-La prospettiva elaborata da Gereffi si inserisce in quest'ultimo ambito ma si connota per la
specifica ambizione di analizzare l'economia globale proprio a partire dalle reti produttive nelle
loro dimensioni organizzative e di governance, che ritiene siano alla base del funzionamento del
capitalismo reticolare.
2.2 LE TRASFORMAZIONI DELLA GRANDE IMPRESA: DEVERTICALIZZAZIONE PRODUTTIVA E
GLOBALIZZAZIONE
Gran parte della letteratura sulla disintegrazione produttiva nel sistema manifatturiero risale alla
discussione cominciata a partire negli anni Ottanta riguardo la crisi della grande impresa
verticalmente integrata , impegnata nella produzione di massa fordista.
I molti e ben noti fattori addotti per la trasformazione avviati in quel periodo vengono affiancati in
particolare dallo scarto che si registra tra le nuove condizioni di mercato e i principi organizzativi
improntati alla gerarchia , alla specializzazione dei ruoli e alla standardizzazione della produzione
spinge le imprese a un rinnovamento che prende due direttrici:
1) Il primo percorso è contraddistinto dall'impegno a modificare internamente
l'organizzazione della produzione e del lavoro che porta all'affermazione della produzione
snella di stampo giapponese la quale porta con sé due principi chiave: just in time e del
miglioramento continuo.
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2) Il secondo percorso è consistito nel processo di deverticalizzazione dell'impresa e nella
formazione di catene produttive.
Nello stesso periodo in cui si assiste alla disintegrazione dei processo di produzione di beni e
servizi, questi cominciano anche a globalizzarsi: si tratta pertanto di due processi interdipendenti.
Tale processo inizia nel settore manifatturiero per poi riguardare un più ampio spettro di settori già
negli anni novanta.
Le dinamiche che animano tale processo sono essenzialmente due:
1) Le imprese avvertono una maggiore pressione verso una riduzione dei costi
2) Un più rapido accesso ai mercati stranieri e, in particolare, ai mercati dei paesi emergenti
Per effetto della diffusione di adeguate competenze anche nei paesi meno sviluppati e dei
cambiamenti tecnologici e di comunicazione che hanno ridotto le difficoltà di coordinamento della
produzione a distanza, le grandi imprese riescono a frammentate i loro processi produttivi non
soltanto dentro le diverse economie regionali, ma anche attraverso esse; con il tempo, queste
imprese hanno preferito optare per il controllo indiretto di una catena di produzione piuttosto che
per il coinvolgimento diretto nella produzione.
In ogni caso, al cuore dei processi di trasformazione di cui si argomenta si pongono le imprese
capitalistiche, la cui capacità di coordinazione di complessi legami intra e interorganizzativi risulta
essere la nuova fonte di vantaggio competitivo nell'economia mondiale.
Dal punto di vista teorico, la constatazione che l'attuale processo di produzione e accumulazione
capitalistico postfordista è il risultato dell’attività di reti di imprese che, autonome dal punto di vista
legale e dislocate dal punto di vista territoriale, cooperano funzionalmente alla produzione di un
bene e/o servizio ha spinto, a partire dagli anni novanta a concettualizzare le trasformazioni in
corso.
Un contributo importante all'analisi della configurazione dei rapporti di produzione nonché
delle loro implicazioni socio-economiche proviene dalla diffusione nella letteratura socio-
economica della prospettiva delle CGV.
2.3 LA TEORIA DELLE CATENE GLOBALI DEL VALORE
2.3.1 LE MATRICI TEORICHE
Il lavoro di Gereffi si inserisce nella tradizione della teoria della dipendenza e, più precisamente,
nella teoria del sistema-mondo.
Questa rappresenta un tentativo di collocare l'analisi dello sviluppo/sottosviluppo nell'ambito del
funzionamento dell'economia mondiale, chiaramente concepita come stratificata.
-La struttura portante dell'economia mondo è il sistema capitalistico, inteso come sistema storico
sviluppatosi a partire dal XVI secolo, che ha creato un'unica divisione internazionale del valore
articolata su una pluralità di unità politiche (gli Stati) stratificate e gerarchizzate in un nucleo
centrale, in una semiperiferia e in una periferia.
-Le catene vanno intese sia come processi di trasformazione che portano una materia prima al
prodotto finale sia come un insieme di legami che congiungono quelle attività produttive con la
riproduzione sociale della forza lavoro.
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I teorici del sistema-mondo hanno cercato di capire il modo in cui le catene di merci strutturano e
riproducono la stratificazione e la gerarchia del sistema-mondo, attraverso una distribuzione
diseguale del surplus tra i diversi nodi che ne fanno parte.
Attraverso le catene non sono le merci in quanto tali a spostarsi da una zona periferica ad un'area
centrale, ma è una parte consistente del surplus prodotto; è in questo che consiste l'essenza dello
scambio diseguale.
Diversamente dalla teoria della dipendenza, la teoria del sistema mondo offre anche una
semiperiferia tra i due poli che permette una certa dinamicità.
Secondo tale teoria -> Gli esiti di sviluppo di un'area sono strettamente dipendenti dal modo in cui
essa è incorporata nell'economia mondiale capitalistica e dalla concomitante perdita di
competitività di altre aree che subiscono processi di marginalizzazione .
Nel tempo quindi la stabilità della struttura gerarchica dell'economia-mondo risulta palese.
Un secondo filone concettuale valorizzato dalla teoria delle CGV è quello schumpeteriano, con
particolare riferimento alla funzione dell'imprenditore come elemento chiave dello sviluppo
economico.
Tale funzione può portare all’introduzione di:
-nuovi metodi di produzione e/o nuove forme di organizzazione industriale;
-nuovi prodotti;
- nuove fonti di fornitura;
- nuove vie commerciali e nuovi mercati.
In presenza di adeguate condizioni, quindi, queste attività interrompono l'esperienza economica
consolidata, fatta di circolarità e tendenza dell’equilibrio, nonché una serie di routine anche di
carattere sociale e portano all’affermazione di nuovi settori e allo sviluppo economico complessivo.
La concezione schumpeteriana della ‘distruzione creatrice’ apporta un duplice contributo:
1) Mette in rilievo la distribuzione diseguale delle innovazioni tra le imprese
2) Spinge a considerare i successi e i fallimenti dei loro processi innovativi nel più ampio
contesto della catena produttiva e della divisione del lavoro al suo interno.
Un altro contributo teorico è la letteratura fiorita negli anni Ottanta sulla nuova divisione
internazionale del lavoro e le sue conseguenze socio-territoriali.
In questo caso il riferimento è al trasferimento di attività industriali dal primo mondo verso alcuni
paesi in via di sviluppo grazie alla possibilità tecnica di separare e trasferire all'estero i processi
manifatturieri dequalificati e la disponibilità in quei luoghi di ampie riserve di manodopera a basso
costo .
La conseguenza è la biforcazione tra un centro in cui sono localizzate le attività a maggiore valore
aggiunto e la forza lavoro qualificata e una periferia in cui si concentrano attività e lavoratori poco
qualificati.
Un altro contributo riguarda gli studi manageriali.
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Kogut sulle catene del valore aggiunto: il loro successo nasce dalla capacità di combinare vantaggio
comparati (tra paesi) e vantaggi competitivi (tra imprese).
Secondo Kogut i vantaggi comparati (legati alla localizzazione) contribuiscono a influenzare la
decisione relativa a dove produrre e dove vendere.
I vantaggi competitivi (legati alle imprese) influenzano invece la decisione riguardante quali attività
e tecnologie l'impresa debba privilegiare lungo la catena, concentrandovi quindi le proprie risorse.
Porter sulla catena del valore: con essa un'impresa viene disaggregata nelle attività che essa svolge
quando progetta, produce e vende i suoi prodotti; queste attività generano valore e rappresentano
i singoli elementi del vantaggio competitivo.
La catena del valore è, in altri termini, un sistema di attività interdipendenti: il vantaggio
competitivo deriva sia dal modo in cui le singole attività vengono svolte sia da come sono
coordinate.
Come si constaterà entrando più nel dettaglio, la teoria delle CGV fa ampio riferimento alle
coordinate concettuali della teoria del sistema-mondo. Il tentativo di Gereffi è quello di
comprendere la realtà delle nuove forme di organizzazione industriale che si andavano a
affermando nei tardi anni ottanta e novanta e, allo stesso tempo, con l’intento di superarne le
staticità -> due aspetti differenziano la teoria delle CGV da quella del sistema-mondo:
Teoria del sistema-mondo = Teoria delle CGV
Analisi storica di lungo periodo Approccio storico ma di medio raggio
Catene del valore: parte integrante del Catene del valore: fenomeno emergente dei processi
Funzionamento dell’economia capitalistica. di integrazione economica.
Tradizionale sistema di stratificazione incapace di
Cogliere le nuove modalità di realizzazione del
Surplus e la complessità dell'intreccio di relazioni.
Sviluppo: mera illusione Sviluppo: non lo nega a priori e lo contempla
Legandolo alla capacità delle imprese dei paesi meno
Sviluppati di modificare la propria capacità di
Accumulazione e la capacità di trasferire i benefici al
Territorio (upgrading): competizione e innovazione.
2.3.2 GOVERNANCE, POTERE E GEOGRAFIA DELLE CATENE DEL VALORE
Strutture di governance e POTERE
Fasi di internazionalizzazione dell'economia si sono succedute nel tempo.
La principale specificità dell'attuale fase risiede in una tendenza, senza precedenti storici, alla
frammentazione (disintegrazione) dei processi di produzione e di lavoro e a una loro riarticolazione
a scala globale. Con il termine “frammentazione” Arndt e Kierzkowki descrivono la divisione
internazionale del lavoro che spinge imprese localizzate in paesi diversi a dar vita a network di
produzione che appunto attraversano i confini nazionali.
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Feenstra (1998) lega esplicitamente il processo di disintegrazione della produzione a livello globale
con quello parallelo dell'integrazione commerciale.
La catena del valore descrive l'insieme delle diverse attività economiche richieste per portare un
prodotto o un servizio dalla sua ideazione al consumatore finale, attraverso fasi intermedie di
produzione che aggiungono valore a ogni passaggio.
I nodi della catena, in cui scorrono flussi di materie prime, lavoro, tecnologie, e che sono a loro
volta reti di legami, tengono insieme imprese ma anche individui, regioni ed economie di diverse
parti del mondo. In altri termini, le CGV possono essere viste come un insieme di segmenti
produttivi caratterizzati da un flusso di beni tra i nodi, come l'organizzazione della produzione tra
nodi e nei nodi e come un'articolazione geografica dei nodi nello spazio geografico. Queste reti
sono socialmente costruite, localmente integrate e specifiche dal punto di vista istituzionale.
Le catene di produzione globali sono contraddistinte da quattro dimensioni:
1) In primo luogo essa hanno una specifica struttura input-output che lega i vari nodi della
produzione, della distribuzione e del consumo in una catena di attività in cui si realizza il
valore aggiunto.
2) In secondo luogo esse si contraddistinguono per una dimensione territoriale che attiene
alla loro maggiore o minore dispersione.
3) Esse sono inoltre inserite in un contesto istituzionale che ne influenza l'organizzazione e le
attività.
4) Infine esse si caratterizzano per una struttura di governance.
(Dimensioni importanti sono : cooperazione e competizione).
La dimensione della governance ha assunto un posto di rilievo sia in quanto permette di
comprendere il funzionamento di quella è stata definita anche come una macroimpresa , sia in
quanto consente di individuare, all'interno della rete, l'impresa principale (lead firm) e le modalità
attraverso le quali esercita il suo potere di inclusione e di esclusione.
La struttura di governance identifica:
-processi attraverso i quali le imprese principali organizzano e controllano i legami
interorganizzativi;
-il modo in cui essa distribuiscono le risorse
-nonché Le modalità di appropriazione del surplus lungo la catena.
A partire dalla struttura di governance, Gereffi distingue due tipologie di catene del valore
affermatesi a partire dagli anni Settanta .
Si tratta delle catene guidate dal produttore in cui l'impresa principale mantiene una seppure
minima capacità produttiva, e quelle guidate dal compratore, nelle quali l'impresa principale
potrebbe essere addirittura una “impresa senza fabbrica”.
Catene guidate dal produttore:
I requisiti di capitale e di tecnologia costituiscono le principali barriere all'entrata nel mercato.
I produttori tendono a mantenere internamente il controllo dei processi a maggiore intensità di
capitale e a esternalizzare i processi a maggiore intensità di lavoro , quelli più standardizzati e in
cui si registra maggiore pressione competitiva.
Le reti guidate dai produttori sono organizzate secondo diversi livelli di fornitura che vedono
l'impresa lead intrattenere rapporti diretti con le imprese che rappresentano i suoi fornitori di
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primo livello. Questi hanno a loro volta relazioni produttive con altre imprese che rappresentano i
loro fornitori; man mano che si scende di livello diminuisce la specificità delle risorse riconosciute
alle imprese fornitrici e aumenta una pressione verso la riduzione dei costi.
Il rapporto tra impresa e fornitori di primo livello si configura sulla base di relazioni molto
specifiche: lo scambio di conoscenze tacite e complesse rendono privilegiata tale connessione e
l'eventuale sostituzione del partner risulta estremamente costosa.
Catene guidate dal compratore:
sono tipiche dei settori à maggiore intensità di lavoro (es. Abbigliamento).
Le imprese principali non sono imprese manifatturiere ma catene commerciali di massa (es Tesco),
negozi di abbigliamento di marca (es. H&M), marchi (es. Nike) o altri intermediari che controllano
la rete dei fornitori a monte. L'integrazione verticale in questi settori è una situazione poco
frequente; l'impresa principale tende a perseguire un esteso decentramento produttivo per
l'esecuzione di fasi della produzione abbastanza standardizzate. Il controllo è quindi legato a
risorse meno tangibili che includono la gestione della distribuzione, la reputazione, la pubblicità e
sono queste a frenare la pressione competitiva delle imprese incombenti.
Il profitto deriva dall’innovazione del prodotto, dal design, dal marchio e dalla distribuzione. Nei
nodi in cui si concentrano queste attività, la pressione competitiva si riduce, mentre raggiunge il
suo apice in quelli coinvolti nel processo produttivo dove, per competere, i produttori saranno
costretti a una strategia quasi obbligata di riduzione dei costi. Questi possono essere diminuiti
abbassando gli standard, o comprimendo il costo del lavoro, magari ricorrendo al lavoro a
domicilio, o riducendo i salari, o ancora utilizzando in maniera più estesa il subcontratto.
Nelle catene si produce e scorre valore in relazione alle diverse attività economiche. All'interno di
ciascuna catena, il valore viene creato, accresciuto ma anche appropriato secondo modalità che
riflettono l'organizzazione e il controllo dei vari nodi.
L’intensità della competizione nei diversi nodi della catena rappresenta un aspetto cruciale per
l'appropriazione di valore da parte delle imprese.
Quelle che possono sfruttare elevate barriere all'entrata -> no rischi di competitività, controllano
direttamente o indirettamente l'intero sistema;
Le attività economiche sottoposte a maggiore concorrenza saranno più instabili.
L'idea è che non si tratti di processi win-win dove lo sforzo collettivo beneficia tutti alla stessa
maniera per via delle relazioni reticolari.
Il livello di competizione tra le imprese è una dimensione importante anche per comprendere
l'estensione geografica delle catene in quanto ha un impatto indiretto sulle decisioni di
localizzazione . Reti produttive più estese dal punto di vista geografico tendono a
contraddistinguere i settori nei quali le barriere all’entrata sono basse, la competizione nei
processi produttivi risulta elevata le competenze sono circoscritte e il capitale globale gode di
estrema mobilità; le imprese leader in questi settori perseguono un ampio decentramento
produttivo e hanno relazioni di lunga distanza con una vasta gamma di subfornitori.
Viceversa, le catene meno globalizzate, quindi più corte, sono quelle in cui le barriere all'entrata
sono a maggiormente elevate; i settori a maggiore intensità di capitale tendono a rimanere
concentrati nelle economie più sviluppate o emergenti.
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A un livello intermedio di complessità all'entrata si può osservare il caso di investimenti diretti
esteri influenzati da risparmi sui costi: si tratta della tipica situazione in cui si produce all’estero per
rimpatriare successivamente la produzione.
La competizione per l'appropriazione del surplus, nel quadro della divisione internazionale del
lavoro, ha il duplice effetto di creare relazioni asimmetriche tra le imprese e di determinare una
gerarchia tra territori, con implicazioni dissimili per le loro traiettorie di sviluppo.
2.4 LA VARIETÀ ORGANIZZATIVA NELL’ECONOMIA GLOBALE
L’evoluzione dell’organizzazione dell’attività delle imprese verso una maggiore articolazione dei loro
rapporti e verso un panorama più denso dal punto di vista delle relazioni interorganizzative ha
spinto a riflettere sui meccanismi di coordinamento tra di esse.
La teoria delle CGV ha contribuito a enfatizzare in primo luogo il ruolo dei network
nell'organizzazione industriale e ha gettato luce sulla varietà delle loro possibili articolazioni; se le
reti risultano la configurazione privilegiata, esse tuttavia sono caratterizzate da estrema varietà.
Lo specifico contributo di Gereffi, Humphrey e Sturgeon è consistito nell’identificare le diverse
tipologie di network -catene del valore modulari, catene relazionali e quelle captive- a partire dalla
combinazione di tre variabili indipendenti: la complessità delle transazioni, la loro codificabilità
nonché la capacità dei fornitori.
1) Nel caso in cui le relazioni tra imprese risultano stabili e riguardano forniture di moduli
(componenti) specifici, si tendono a creare relazioni modulari. In situazioni complesse,
L’integrazione deve essere limitata a un modulo che interagisce con il resto del sistema
tramite un'interfaccia; i fornitori producono il componente, seguendo le specifiche più o
meno dettagliate del produttore. La produzione si basa su conoscenza codificata rispetto a
moduli complessi, con regole di progettazione esplicite e standardizzate per le interfacce. I
benefici di questo modello: riduzione delle conseguenze impreviste, la facilità di effettuare i
test e la limitazione degli effetti eventualmente negativi al solo modulo; inoltre in questa
situazione è possibile introdurre innovazioni fintanto che le specifiche per l'interfaccia sono
salvaguardate. Ci sarà un’interdipendenza moderata tra cliente e fornitori che consente a
questi ultimi di avere più acquirenti; il coordinamento è facilitato dell’adozione di standard
comuni relativi alle specifiche tecniche dei prodotti. Le asimmetrie di potere sono basse e
simili alla situazione di mercato: essendo lo scambio limitato alla conoscenza codificata, il
costo connesso a un eventuale cambio del partner rimane basso. Il settore che per
eccellenza tende a favorire la formazione di catene modulari è quello dell'elettronica: già a
partire dai primi anni ’70.
2) Le catene del valore relazionali si configurano in presenza di transizioni complesse, poco
codificabili e che richiedono competenze che l'impresa principale non possiede. Il relational
contracting interessa le imprese impegnate nella produzione di beni sottoposti a
cambiamento continuo che sollecitano sperimentazione e spesso adattamento allo
specifico cliente, e presentano molte incertezze, anche in relazione alla coprogettazione. Le
relazioni tra acquirente e fornitore sono fitte, specifiche e richiedono investimenti da parte
di entrambi gli attori: la conoscenza tacita sarà complementare a quella formale e vi sarà
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un intenso learning by doing. Il potere dei fornitori risulta elevato in quanto per l’impresa
lead risulta estremamente costoso passare a nuovi partner. Esempi di pratiche relazionali
sono difficili da trovare ma a esse sono assimilabili i network di mutua dipendenza o le
collaborazioni pragmatiche, basate all’apprendimento reciproco per monitoraggio.
3) Infine le catene del valore captive presentano elevata complessità e codificabilità; tuttavia il
fornitore è debole in ragione delle basse competenze di cui è dotato e con cui riesce a
rispondere alle richieste del cliente. L’impresa finale deve trasferire a quella fornitrice
informazioni specifiche soprattutto in relazione alla produzione e alla tecnologia,
esercitando un elevato controllo e coordinamento in quanto i rischi di comportamenti
opportunistica sono elevati. Oltre che stabile, la relazione dovrà essere anche esclusiva e
consentire la “cattura” del fornitore: l’impresa finale dovrà cioè impedire che il fornitore
utilizzi le proprie informazioni per trasferirle ad altre imprese.
Quando una bassa complessità si associa ad alta codificabilità, si presenta la situazione di
mercato: a parità di capacità del fornitore nel Sud e nel Nord del mondo, l'impresa
principale potrebbe preferire quello del Sud in quanto potrà ottenere risparmi sui costi.
Se invece le barriere sono alte così come la complessità delle transazioni, i fornitori del
Nord avranno maggiore vantaggio.
In altri termini, le due combinazioni che prevedono alta complessità e bassa capacità dei
fornitori (catene modulari e quelle relazionali) potranno essere più frequentemente
trovate tra le imprese del Nord globale; nel caso in cui un'impresa si muova verso il Sud del
mondo, è più probabile che essa lo faccia attraverso investimenti diretti esteri.
Le due catene che combinano alta complessità con bassa capacità dei fornitori sono la
gerarchia e le reti captive.
L'architettura di una catena può ricomprendere al suo interno diverse forme di governance che
può variare nel tempo, ad esempio, in relazione al modificarsi della tecnologia.
Secondo Bair il nuovo schema tende a privilegiare le caratteristiche organizzative e tecniche dei
processi produttivi – quindi più in generale la logica interna dei settori- piuttosto che i fattori
esterni alle catene e il più ampio contesto istituzionale in cui le catene operano.
La riflessione di Gereffi e colleghi porterebbe a un'elaborazione concettuale più orientata verso il
coordinamento tra le imprese e quindi verso la comprensione delle motivazioni che portano alla
formazione di uno specifico network rispetto a un altro, oltre che all’indicazione generica di una
particolare configurazione organizzativa in un settore globalizzato.
2.5 LE CATENE DEL VALORE COME FENOMENO POLITICO
Oltre ad essere fenomeni economici, le reti globali di produzione sono inoltre fenomeni
profondamente politici. Contrariamente alla visione economica convenzionale che le identifica
come arene per la competizione di mercato o catene di attività di valore aggiunto, le catene
produttive sono sistemi socio-economici complessi che, al loro interno, si connotano per
dinamiche di cooperazione e competizione in cui gli attori si confrontano per la costruzione di
relazioni economiche, strutture di governance e cornici normative e discorsive e, al loro esterno
sono influenzate dal, e a loro volta influenzano, il contesto politico.
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Dunque, in questa prospettiva, il potere reticolare non risulta legato esclusivamente a motivazioni
economiche ma emerge in relazione ad altri aspetti, come ad esempio l’autorità formale, il
controllo delle risorse cruciali e la legittimità discorsiva.
La lettura presentata in questo paragrafo aiuta a mettere a fuoco il carattere politico delle catene di
produzione globale; piuttosto che il risultato di un consenso di tipo isomorfico o normativo, esse si
presentano come processi socio-economici risultanti da continue pratiche di negoziazione e
bilanciamento tra forze differenti. In questa concezione, inoltre, il potere risulta relazionale,
sistemico e dialettico: se la prevalenza dell’impresa lead appare del tutto evidente, considerato il
suo controllo sulle risorse che generano i ritorni più profittevoli e la posizione privilegiata rispetto
alle altre, si ritiene che gli altri attori possono avere la capacità e lo spazio, seppure ridotti, per
contrastarle.
2.6 LE CATENE GLOBALI DEL VALORE E CIÒ DIBATTITO PIÙ RECENTE
2.6.1 IL RAPPORTO TRA CAPITALE E LAVORO NEL PROCESSO CAPITALISTICO DI ACCUMULAZIONE
Un primo aspetto, oggetto di un intenso dibattito, concerne la considerazione di ciò che viene
considerato il reale motore dei processi di accumulazione capitalistica e di sviluppo, cioè il rapporto
tra capitale e lavoro. L'apporto di nuovi studi ha spostato il focus dell'analisi sul capitalismo,
partendo dalla considerazione che non si tratta soltanto di un sistema di produzione per il profitto
ma anche, e piuttosto, di un modo di produzione storicamente determinato, basato su un insieme
unico di relazioni sociali sulle quali si fonda l'accumulazione. Pertanto in questa prospettiva l'analisi
del capitalismo implica sia l'analisi dell’organizzazione del processo di lavoro sia la riproduzione
temporale delle relazioni di classe e del più ampio regime di lavoro.
In altri termini, le dinamiche innovative non sono incentivate esclusivamente da profitti
decrescenti ma anche dalle dinamiche delle relazioni di classe. L’implicazione per lo sviluppo
economico appare evidente : paesi e/o regioni che producono il medesimo prodotto per lo stesso
mercato possono avere traiettorie di sviluppo anche molto diverse tra loro per effetto delle
relazioni sociali di produzione e delle più ampie strutture sociali. Queste relazioni, spesso
conflittuali, interessano tanto i rapporti capitale-lavoro quanto i rapporti tra le imprese.
2.6.2 IL CONTESTO SOCIO-ISTITUZIONALE
La cosiddetta scuola di Manchester propone di analizzare le reti globali di produzione (GPN)
secondo un approccio più relazionale e sensibile al tempo e allo spazio.
Le catene del valore non legano soltanto le imprese di diverse località ma anche i contesti sociali e
istituzionali di cui queste imprese sono espressione e in cui esse rimangono radicate.
L'idea è che le istituzioni e i territori siano aspetti cruciali di condizionamento delle motivazioni e
dei comportamenti degli attori.
Da un lato, si rimanda quindi ai tratti del sistema produttivo; dall'altro, assumono rilievo gli assetti
socio- istituzionali in cui l’attività delle imprese si inserisce e che risultano cruciali per
comprendere le strategie di accumulazione. Assieme al loro patrimonio interno il contesto
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regolatorio e socio-istituzionale contribuisce a spiegare tra gli altri il profilo delle imprese, la loro
capacità produttiva, le relazioni che riescono a intrattenere con l'esterno, con implicazioni
differenti sia a livello interorganizzativo sia a livello più macro.
Il riferimento alla regolazione rimanda all'insieme degli attori, anche non economici, e dei contesti
regolatori che pure sono cruciali nelle dinamiche di organizzazione e governance dell'economia
globale.
Accanto allo Stato : altre strutture di regolazione internazionale (Banca mondiale, OMC, FMI) ma
anche aggregazioni e architetture macroregionalI (NAFTA) o accordi internazionali (GATT).
Altri attori cruciali per le catene del valore sono i lavoratori, i consumatori, le organizzazioni della
cosiddetta società civile.
2.6.3 LE CATENE COME CONTESTI DI PARTECIPAZIONE POLITICA
Se si concepisce la catena del valore come strumento di analisi critica, appare logico che essa possa
essere vista anche come una modalità di esercizio della politica: da un lato, svela le relazioni sociali
di produzione e, dall’altro, diventa un mezzo per resistere allo sfruttamento e all'alienazione che ad
esse sono strettamente connaturate.
L'obiettivo spesso è quello di creare delle alleanze esplicite tra i lavoratori (tipicamente del Sud
globale) e consumatori (di solito del Nord globale).
È interessante notare l’ambivalenza alimentata dalle reti di produzione globali:
Se da un lato l’articolazione complesse dei processi produttivi a scala globale porta a una
tendenziale separazione tra pratiche di consumo e condizioni materiali e sociali della
produzione, quasi a incoraggiare un'abdicazione da parte dei consumatori delle responsabilità
connesse a queste pratiche;
Dall'altro tale articolazione espone le imprese a campagne di mobilitazione globali o anche ad
azioni localizzate che possono compromettere il sistema complessivamente.
CAPITOLO 3: LO SVILUPPO NELL'ECONOMIA GLOBALE: TRAIETTORIE DI INCORPORAZIONE E
DISUGUAGLIANZE
3.1 INTRODUZIONE
La teoria delle CGV si inserisce tra le prospettive sociologiche che riconoscono la natura
profondamente asimmetrica e diseguale delle relazioni che connotano l'economia globale.
Nel quadro di una divisione internazionale del lavoro, la competizione per l'appropriazione di
surplus produce quindi il duplice effetto di creare relazioni asimmetriche tra le imprese e, allo
stesso tempo, una gerarchia tra territori, con implicazioni dissimili per le loro traiettorie di
sviluppo.
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3.2 UPGRADING INDUSTRIALE E SVILUPPO ECONOMICO
3.2.1 TRAIETTORIE DI UPGRADING INDUSTRIALE E DI APPROPRIAZIONE DEL VALORE
L’architettura delle reti produttive è, come si si è anticipato nel precedente capitolo, dinamica: le
imprese che ne fanno parte possono cioè modificare la loro posizione all'interno dei singoli nodi
e/o lungo la catena. Il meccanismo che consente tale cambiamento è l’upgrading o
riposizionamento. Si tratta fondamentalmente di un cambiamento nella natura e/o nel mix delle
attività realizzate dall'impresa che le consente l'appropriazione di maggiori quote di valore
aggiunto. La letteratura ha identificato quattro tipi di upgrading:
- Legati ai prodotti
- Legati ai processi e alle tecnologie
- Riposizionamenti funzionali
- Riposizionamenti intersettoriali
L'upgrading di prodotto implica la produzione di prodotti nuovi e/o più complessi e riflette un
certo percorso di apprendimento da parte dell’impresa;
L'upgrading di processo tende a ridurre i costi e/o a migliorare i metodi di produzione: richiede
investimenti in capitale e maggiori abilità da parte dei lavoratori;
L'upgrading funzionale implica invece il passaggio delle imprese da attività di produzione
ad attività a monte e/o a valle del processo produttivo stesso (ad esempio, attività di design, di
vendita o di R&S).
Una traiettoria di upgrading funzionale, con riferimento a un'impresa dell' abbigliamento ma valida
anche per altri settori, si realizza tipicamente attraverso i seguenti passaggi:
1) L'entrata in una catena della produzione in qualità di assemblatore (original equipment
assembly- OEA ) : il compratore fornisce all'impresa le materie prime da assemblare,
insieme alle specifiche produttive; il ruolo dell’impresa è di tagliare i capi, cucirli, e
consegnarli. Essa ha una pluralità di clienti e lavora sulla base di ordini.
2) Con il passaggio all' OEM ( original equipment manufacturing) l’impresa porta avanti tutte
le attività, dalla produzione (taglio, cucito e rifinitura), alla distribuzione. Questo passaggio
implica che l'impresa abbia capacità logistica a monte – cioè un proprio network di fornitori
di materie prime o, in altri casi, è il produttore a individuare i fornitori di tessuto – e a valle,
relativa in questo caso all'assemblaggio per la distribuzione e la consegna del prodotto
finale al compratore per il prezzo pattuito in partenza. Queste imprese possono avere una
sola linea di produzione o essere dei fornitori globali con una varietà di linee di attività;
3) Il passaggio all'ODM (original design manufacturing) si sostanzia dell’inclusione del design,
accanto all’attività di produzione. Questo significa che, oltre a tutte le fasi del processo di
produzione, il produttore si occupa di definire i campioni e scegliere i materiali. Con questo
passaggio, l’impresa punta a diventare riconoscibile sul mercato;
4) Infine, con il modello OBM ( original brand manufacturing), l'upgrading consiste nel
passaggio alla vendita di prodotti con il proprio marchio; la scelta di privilegiare la vendita
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nel mercato interno è spesso perseguita dalle imprese delle regioni meno sviluppate e
nell’ambito di un percorso di consolidamento. Considerando il valore aggiunto delle attività,
l'upgrading funzionale nel settore dell'abbigliamento può essere raffigurato secondo la
cosiddetta curva del sorriso.
( vedi pagina 96 e pagina 98)
Ciò che conta per l’impresa è riuscire a trattenere una maggiore quota di surplus nei suoi confini
organizzativi.
Se la maggior parte delle imprese della rete intraprende percorsi di miglioramento è probabile che
ci sia maggiore competizione e i margini di appropriazione del valore tenderanno a ridursi
piuttosto che ad aumentare. È cruciale per l’impresa riuscire a evitare di perdere surplus in favore
delle imprese delle imprese con cui collabora ma con cui, allo stesso tempo è in competizione.
I percorsi di upgrading individuati non sono passaggi di un processo lineare ma vanno considerati
come traiettorie alimentate alla ricerca di maggiore valore aggiunto.
Oltre che dalle relazioni tra imprese, le traiettorie di riposizionamento sono influenzate anche da
altri aspetti: condizioni settoriali, (crescita o declino), cambiamenti tecnologici, trasformazioni di
tipo regolatorio, etc…
Inoltre sulla traiettoria dell'impresa incidono le condizioni del contesto territoriale in cui l'impresa
è inserita: dalla qualità delle risorse umane alle infrastrutture materiali e immateriali, dalle
condizioni del mercato del lavoro al sostegno ad attività di R&S, al sistema finanziario e dagli
incentivo all'impresa etc…
In altri termini le traiettorie di riposizionamento sono intrinsecamente dinamiche e profondamente
influenzate sia da relazioni socio-istituzionali localizzate sia da relazioni globali.
3.2.2 DALL'UPGRADING INDUSTRIALE ALLO SVILUPPO ECONOMICO REGIONALE
Secondo Gereffi esisterebbe un nesso significativo tra la capacità delle imprese di rivestire un ruolo
di rilievo nelle catene produttive e lo sviluppo economico delle aree in cui esse operano.
Secondo la prospettiva delle CGV lo sviluppo di una regione e/o paese nell'economia globale si
verifica non soltanto quando le sue risorse e dinamiche risultano complementari alle attività delle
reti globali di produzione, ma soprattutto quando riesce a giocare un ruolo qualificato in tali reti,
trattenendo nell'area maggiori quote di valore o modificando il suo precedente status in questa
direzione. Ciò si verifica principalmente nel momento in cui le regioni riescono a intraprendere una
più completa divisione del lavoro a scala interregionale che incorpora legami a monte e a valle del
processo di produzione.
La congiunzione tra risorse economiche regionali localizzate e dinamiche reticolari globali di natura
industriale -che Yeung definisce <<combinazione strategica>> - è una condizione necessaria per lo
sviluppo in quanto mette le prime su una potenziale curva di apprendimento.
Non c’è dunque una correlazione diretta e necessaria tra upgrading di impresa e sviluppo locale.
Risulta invece cruciale la capacità dell'economia regionale di valorizzare e veder valorizzate le
proprie risorse su scala globale, trattenendo in loco il valore derivante dalla partecipazione delle
sue imprese nelle reti di produzione transnazionali.
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Sulla scorta del contributo della scuola di Manchester in particolare di Coe e Yeung l’esposizione fa
inizialmente riferimento ai concetti di ecologia organizzativa regionale e di aggregazione per
tracciare il profilo economico di una regione e i suoi legami con le reti di produzione globale.
Innanzitutto , una regione è formata da un insieme variegato di imprese di varia natura che
possiedono diverse risorse, capacità e strategie. Quando le risorse regionali (come la disponibilità
di forza lavoro, di conoscenze e competenze, di capacità produttiva, risorse naturali) risultano
complementari con i bisogni delle imprese centrali, all'interno delle reti si stabilisce una
combinazione strategica tra attività produttive locali e reti globali. Ovviamente, le imprese locali
entreranno in relazione con tali reti in maniera diversa, svolgendo cioè un ruolo differente, come
partner strategico, fornitore specializzato o fornitore generico e così via; in un dato momento, le
imprese di una regione possono svolgere contemporaneamente ruoli completamente differenti in
diversi network di produzione globale.
L'aggregazione dei vari tipi di imprese e delle molteplicità dei network2 a cui esse partecipano
consente di delineare il modo in cui un’economia regionale può essere connessa alle reti di
produzione globali.
Coe e Yeung hanno individuato tre modi (combinazioni) in cui le regioni tendono a entrare in
relazione con le reti globali di produzione, denominati: endogeno, funzionale, strutturale.
Endogena: orientamento interno-esterno:
Funzionale : orientamento interno-esterno o esterno-interno
DescrizioneAttraverso una collaborazione equilibrata tra attori regionali ed extraregionali, si soddisfano le esigenze delle imprese leadglobali e del loro network di produzione
Esempi regionali
Irlanda, Rotterdam, Singapore, Taipei-
Hsinchu (Taiwan), Dubai, Hong Kong
Settori prevalenti Elettronica, petrolchimica, trasporti e logistica, servizi finanziari
Traiettorie regionali Risorse regionali specifiche e qualche autonomia
Strutturale : orientamento esterno-interno
Descrizione Assemblaggio di beni e servizi delocalizzatiper l'esportazione, fonti di materie prime e/o input trasformati
Esempi regionaliBratislava (Slovacchia), maquilladoras
messicane, delta dello Yangtze, grande Bankok, regioni agricole dell’America Latina e dell'Africa, campi di gas in Russia
Settori prevalenti Giocattoli, tessile e abbigliamento,
miniere, petrolio, agricoltura
Traiettorie regionaliRisorse regionali generiche e limitate e dipendenza esterna accentuata
Descrizione Le imprese principali della regione sollecitano la formazione e, poi guidano, le CGV. Le imprese principali e i loro partner strategici si localizzano insieme per produrre servizi altamente specializzati
Esempi regionali
Silicon Valley, sud-est dell’Inghilterra, Parigi, Milano, Francoforte
Settori prevalentiElettronica, automobilistico, servizi avanzati, moda
Traiettorie regionaliRisorse regionali specifiche e forte autonomia
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Lo sviluppo di alcune aree non può essere correttamente compreso se non viene presa in
considerazione anche l'espansione dei mercati globali.
I percorsi di sviluppo dipendono anche da adeguati contesti istituzionali.
Naturalmente, in un'ottica evolutiva, la connessione tra economia regionale e reti globali di
produzione non dà alcuna sicurezza di sviluppo duraturo. Situazioni disconnesse (de-coupling),
riarticolazione (re-coupling) o isolamento sono sempre incipienti, soprattutto nel caso di relazioni
strutturali, data la natura altamente selettiva di tali processi.
Alcuni studiosi ne sottolineano i lati oscuri.
Da un lato, si enfatizza il potere delle grandi imprese lead che sono in grado di orientare le risorse
locali per realizzare i propri interessi a spese delle imprese e/o dei lavoratori locali. D'altra parte, le
regioni possono anche rimanere intrappolate in network esterni controllati da imprese lead che
non hanno alcun interesse nel favorire un riposizionamento delle imprese locali.
Inoltre la presunta maggior apertura dei mercati che beneficerebbe le regioni e/o i paesi meno
sviluppati si accompagna spesso a maggiori e più stringenti requisiti, ad esempio in termini di
regolamentazioni, tali da aumentare le barriere all’entrata e avere concretamente gli effetti
opposti. Infine, ciò che è positivo per le imprese potrebbe non esserlo per i paesi in cui esse
operano.
Più di recente accanto all'upgrading economico si è cominciato a considerare l'upgrading sociale
inteso come il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori coinvolti nelle reti di
produzione. L'upgrading sociale consta di due dimensioni: da un lato l'accesso per i lavoratori a
standard adeguati e misurabili di lavoro e dall'altro il titolo a diritti fondamentali quali la libertà di
associazione e il diritto alla contrattazione collettiva.
La questione centrale è quindi di comprendere la relazione causale tra upgrading economico e
upgrading sociale e, più precisamente, analizzare le condizioni nelle quali il primo conduce al
secondo o viceversa a un peggioramento delle condizioni e dei diritti dei lavoratori.
3.3 RETI GLOBALI DI PRODUZIONE E SVILUPPO REGIONALE: ALCUNI CASI DI STUDIO
Negli anni Novanta, degli studi hanno fornito evidenza del modo in cui le reti di produzione globali
influiscono sulla capacità di paesi e/o regioni meno sviluppati di intraprendere percorsi di sviluppo
economico e sociale.
Tre casi studio in riferimento al ruolo cruciale che, insieme a una serie di altre condizioni socio-
istituzionali, hanno avuto le CGV nel farli diventare paradigmatici.
3.3.1 LE DINAMICHE DELL'INDUSTRIA DELL'ELETTRONICA E LO SVILUPPO DELLE TIGRI
ASIATICHE
La storia dello sviluppo economico di paesi come Taiwan, Corea del Sud e Singapore è legata
notoriamente all'industria dell'elettronica e alle finestre di opportunità derivanti dalla
globalizzazione del settore: più precisamente, le trasformazioni della catena del valore, intervenute
alla fine degli anni Ottanta, si sono rivelate cruciali. Innanzitutto, l'industria elettronica comprende
un ampio insieme di componenti, prodotti intermedi e finali che confluiscono in una varietà
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altrettanto ampia di mercati e si caratterizza per rapido cambiamenti tecnologici ed elevati
investimenti in R&S.
I principali processi manifatturieri sono codificati e standardizzati: ciò ha portato allo sviluppo della
modularità e quindi alla netta divisione del lavoro tra design e manifattura in diversi punti della
catena del valore. Nel settore si possono individuare tre attori fondamentali:
1) le imprese lead,
2) i produttori
3) e le imprese leader nelle piattaforme.
Le imprese principali possiedono il marchio dei prodotti che vendono sul mercato finale: queste
aziende piazzano gli ordini ai produttori e il loro potere risiede nel rischio finanziario che si
assumono.
I produttori (ODM) o (EMS) costruiscono i prodotti per le imprese principali e talvolta si occupano
del design e dei servizi legati ai prodotti.
Infine i leader delle piattaforme sono le imprese che sono riuscite a impiantare la loro tecnologia
nei prodotti di altre imprese.
Fino agli anni Sessanta, l'industria dell'elettronica era concentrata in un numero limitato di paesi
avanzati: Stati uniti, Europa occidentale, Giappone.
Nel decennio successivo, la ricerca di vantaggi competitivi, legati a minori costi del lavoro e delle
infrastrutture, spinge alcune imprese occidentali e giapponesi ad avviare stabilimenti di produzione
nei paesi asiatici:
Forte integrazione verticale -> coinvolgimento delle imprese locali confinato ad attività a basso
contenuto di valore aggiunto .
L’attività manifatturiera in questa regione comincia però a intensificarsi a metà degli anni Ottanta e
vi contribuiscono da un lato l'accumulazione a scala locale di adeguate competenze e conoscenze e
dall'altro la profonda trasformazione delle condizioni di mercato.
In quegli anni l'industria elettronica diventa estremamente competitiva; in particolare si fanno
sempre più pressanti le considerazioni di costo e rapidità di presenza sui mercati.
Dal punto di vista del processo produttivo, la necessità di sviluppare nuovi prodotti, a costi minori,
e di accorciare il ciclo degli stessi spinge le imprese occidentali a riorganizzare le loro catene del
valore, procedendo all'esternalizzazione di una parte significativa della produzione e della
componentistica. Si avvia un processo di frammentazione della produzione che ha portato i
produttori localizzati in Asia ad ampliare e consolidare le attività e a diventare fornitori di
componenti specializzati e di moduli integrati.
Negli anni Novanta l’industria dell’elettronica vive un'ulteriore rivoluzione legata alla diffusione del
contract manufacturing con il quale l'impresa leader globale instaura un contratto di fornitura con
un'altra impresa che diventa una sua partner strategica nella produzione, mentre la prima si
specializza nella attività a maggiore valore aggiunto e nei mercati dei prodotti Premium.
Se la riorganizzazione delle reti di produzione globali ha beneficiato un gran numero di imprese
asiatiche, soprattutto sudcoreane, taiwanesi e singaporiane secondo Yeung il processo di upgrading
di queste imprese è l'esito di una serie di strategie diversificate.
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Alcune imprese asiatiche sono diventate partner strategici di quelle occidentali nel ruolo di ODM e
di EMS: ciò significa essere coinvolti in attività di R&S, di design di nuovi prodotti nonché nella
fornitura di servizi legato a singoli prodotti.
Un'altra strategia delle imprese asiatiche è consistita nella partecipazione a catene del valore
estremamente specializzate e nel presidio dei mercati di nicchia sulla base dell'eccellenza
tecnologica, della capacità produttiva e di economie di scala. Il riferimento è a componenti ad
elevato valore aggiunto.
Infine un'altra strategia di upgrading è stata quella di imprese che hanno optato per diventare
leader globali nel settore ( Acer di Taiwan, le coreane Samsung e LG)
Tuttavia altri aspetti risultano cruciali nello spiegare la capacità di tali imprese di raggiungere
posizioni e ruoli di rilievo all’interno delle catene produttive e appropriarsi di quote di valore
sempre crescenti che si sono riverberate sul territorio.
Occorre far riferimento al ruolo dello stato e al suo cambiamento.
Fino alla fine degli anni Ottanta, lo Stato è pesantemente intervenuto a indirizzare l'economia di
questi paesi tramite la leva della politica industriale e degli incentivi fiscali.
Successivamente il ruolo dello Stato si è modificato, favorendo l'apertura economica e
commerciale e diventando il catalizzatore di accordi pubblico-privati.
Fin dagli anni Settanta i governi dei tre paesi hanno attivamente sostenuto il settore
dell'elettronica.
A partire dagli anni Novanta, i processi di democratizzazione dei regimi di questi paesi e le politiche
di apertura commerciale favoriscono la graduale emancipazione delle imprese che si inseriscono
nei circuiti della produzione globale, diventandone in alcuni ambiti i leader di mercato.
Accanto allo Stato, occorre sottolineare il ruolo dei cluster e delle reti d'impresa e dei vantaggi
legati alle economie di prossimità. Alcune imprese hanno potuto in questo modo beneficiare sia
della numerosità che delle enormi capacità tecnico-produttive dei fornitori strategici che sono stati
in grado di rispondere alle richieste di flessibilità, pronta consegna e di riduzione dei costi.
Infine, è noto nella storia economica di questi paesi il ruolo dei potenti business group, controllati
e gestiti da famiglie. Il controllo famigliare di un’imprese high-tech produce in particolare due
vantaggi:
Da un lato, gli consente di avere degli orizzonti di investimento di lungo periodo e, dall'altro, di
disporre di un'ampia base finanziaria.
Per concludere nel caso dello sviluppo delle Tigri Asiatiche ha contato sicuramente lo Stato e lo
specifico sistema di innovazione, basato su istituzioni pubbliche di ricerca, politiche industriali
orientate alla R&S nonché la proiezione esterna delle imprese e la loro integrazione in reti di
produzione globali, in un contesto di apertura commerciale.
3.3.2 LE DINAMICHE DELL'INDUSTRIA DELL'ABBIGLIAMENTO E LO SVILUPPO DELLA TURCHIA
Il settore dell'abbigliamento è uno dei primi settori a globalizzarsi e a coinvolgere nelle sue
dinamiche di espansione sostenuta, sia dagli anni Settanta, regioni meno sviluppate grazie ai bassi
costi fissi e all’intensità del lavoro. È il caso dell’estremo Oriente dove questo settore ha fatto
emergere una vera e propria economia regionale ( India, Cina, Bangladesh, Vietnam, ad esempio)
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ma anche di alcune aree del Messico e della Turchia. Le dinamiche espansive dell'industria sono
state storicamente influenzate dalle politiche commerciali, attraverso accordi settoriali;
anche attraverso le dinamiche organizzative hanno risentito fortemente delle decisioni relative alla
regolamentazione del commercio.
La decisione presa dall'OMC , di eliminare entro il 2005 le quote che avevano regolato il settore per
decenni, ha avviato un processo di ristrutturazione che ha mutato il profilo dell’industria a scala
globale, con nuovi paesi che hanno assunto la leadership produttiva e altri che stanno cercando un
riposizionamento qualitativo. Dal punto di vista della prospettiva delle CGV , il settore
dell’abbigliamento rappresenta l'esempio paradigmatico di una catena del valore guidata dal
compratore: quest'ultimo, che determina cosa dev'essere prodotto, come, dove e a quale prezzo,
organizza la rete produttiva secondo una chiara divisione del lavoro.
Emersa come paese assemblatore di prodotti tessile-abbigliamento negli anni Ottanta, la Turchia
nei due decenni successivi è diventata uno dei principali paesi esportatori a scala mondiale,
sfruttando, la sua capacità di produrre chiavi in mano.
Lo sviluppo dell'industria dell'abbigliamento in Turchia risale agli anni Ottanta quando il paese
modifica la sua strategia di industrializzazione per sostituzione delle importazioni a una più
orientata all'export. Inizialmente le imprese del paese assemblano i capi di abbigliamento sulla
base di semi lavorati importati; nel corso degli anni Novanta, però , una serie di circostanze
modifica questa traiettoria. Le imprese turche si inseriscono nelle CGV e il paese diventa uno tra i
principali esportatori di prodotti di abbigliamento.
La Turchia sin dal 1963 ha goduto dello status di fornitore privilegiato sul mercato Europeo. Per la
Turchia, quindi, l'Europa ha sempre rappresentato il maggior partner commerciale in questo
settore.
In secondo luogo, negli anni Ottanta, in concomitanza con la crescita della domanda dei paesi
europei, si apre l’opportunità per la Turchia di legarsi a una serie di compratori stranieri:
- Catene commerciali (H&M)
- Aziende con il marchio (Adidas, Hugo Boss)
- Importatori e grossisti
- Altri marchi (Nike, Puma)
La diffusione di uffici commerciali in Turchia dimostra la crescente domanda di produzione chiavi in
mano; inoltre alcuni marchi si sono stabiliti nell'area al fine di coordinare le attività sia produttive
che commerciali che si svolgono tra Medio Oriente, Nord Africa e Est europeo.
Il terzo aspetto, è stata l'ampia presenza di infrastrutture industriali volute dal governo centrale
ancor prima della liberalizzazione del commercio negli anni Ottanta. La Turchia disponeva di
un'industria tessile estremamente versatile grazie alla disponibilità di materie prime. Incoraggiati
da una serie di incentivi governativi: riduzione tariffe e fiscali, crediti e investimenti agevolati,
esenzioni per le importazioni, e a seguito di un periodo di statalismo, i capitali privati entrano nella
produzione tessile e vi investono notevolmente
+ barriere all'entrata rispetto a settori a più alta intensità di capitale.
Le imprese turche dell’abbigliamento hanno dovuto necessariamente intraprendere traiettorie di
upgrading che le mettessero al riparo dalla concorrenza dai paesi a basso costo del lavoro come
India e Cina : le imprese hanno perciò sviluppato una serie di strategie:
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-Alcune hanno avviato processi di integrazione a monte includendo la produzione tessile; lo scopo
è stato quello di assicurarsi forniture costanti, esercitare maggiore controllo sulla qualità dei
materiali (evitando di affidarsi ai sub-fornitori) e, non ultimo, accrescere la capacità di produzione
“catturando” in questo modo molte più commesse.
-Un'altra strategia è stata quella di stabilire arrangiamenti di triangolazione manifatturiera nei
paesi vicini sia europei che asiatici. Imprese turche si sono stabilite in Turkmenistan, Uzbekistan,
Romania e Bulgaria.
Queste rilocalizzazioni hanno permesso di abbassare il costo del prodotto, comprimendo i salari, e
aggirare il sistema delle quote soprattutto verso il mercato statunitense. Altri investimenti sono
stati effettuati in Giordania e in Israele.
Infine le imprese hanno cominciato a produrre un marchio proprio guadagnandosi quote di
mercato: jeans Mavi.
Si deve ricordare anche il ruolo delle associazioni imprenditoriali che hanno promosso una serie di
attività di sostegno agli associati ed esercitato un'intensa azione di lobbyng.
L'adozione di misure di salvaguardia contro le importazioni cinese o l'incentivazione degli
investimenti
Le associazioni imprenditoriali inoltre hanno operato insieme alle istituzione della formazione per
il miglioramento qualitativo della forza lavoro, anche attraverso partnership pubblico-private.
Infine si sono costituite specifiche associazione tra le imprese esportatrici i per ottenere maggiori
finanziamenti e migliorare l'accesso ai mercati.
3.3.3 LE DINAMICHE DEL SETTORE DEI SERVIZI E LO SVILUPPO DELL'INDIA
La possibilità di individuare punti di frattura nei processi di produzione e la standardizzazione e
digitalizzazione di molte attività hanno gettato le basi per lo sviluppo di un'industria globale dei
servizi e in particolare per lo sviluppo di alcune aree a essa legate, come l'India.
Gli sviluppi dell'ICT hanno avuto un ruolo cruciale nell’evoluzione della realizzazione dei servizi.
Tutto ciò senza dimenticare che le stesse ICT sono attività oggetto di delocalizzazione. L'aspetto
nuovo di queste dinamiche consiste nel fatto che interessano non soltanto le grandi imprese, ma
anche le piccole e medie organizzazioni che riescono così a risparmiare sui costi accedendo ad
attività estremamente qualificate.
L'industria globale dei servizi si riferisce a un insieme di attività sviluppate in un paese e
consumate in un altro. I servizi possono essere generici, o specifici e costano in varie fasi:
ideazione, analisi delle richieste , design, codifica, testing e il supporto.
L'industria si compone di tre segmenti principali :
1) L'esternalizzazione della tecnologia informatica: in questo caso i servizi ruotano intorno alla
produzione e all'uso di software.
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2) L'esternalizzazione del processo d'impresa: in questo caso le attività informatiche
riguardano la gestione delle risorse umane, le relazioni con i clienti, le risorse delle imprese;
rientrano in questo ambito i Call center o la gestione delle buste paga
3) L'esternalizzazione del knowledge process: attività specializzate che spesso richiedono
autorizzazioni professionali come quelle legali, mediche o bancarie
4) Infine i servizi specifici per l’industria includono tutti quei servizi che richiedono conoscenze
e competenze settoriali (campo medico, farmaceutico…). La misurazione del valore in molti
segmenti dell'industria globale dei servizi risulta più complicata in quanto attività con
diverso contenuto di valore aggiunto (basso, elevato) possono coesistere; per ovviare a ciò
è invalsa la scelta di misurare il valore dei servizi prodotti attraverso i livelli di competenza
e l'esperienza di lavoro necessari per sviluppare le attività.
Lo sviluppo globale del settore dei servizi è strettamente connesso con l’affermazione dell'India
come paese leader.
È paese di destinazione del 56% dei servizi esternalizzati dalle imprese statunitensi e del 36% di
quelli delle imprese europee.
Il successo di questo paese è dipeso da una varietà di fattori .
Lo sviluppo di servizi su scala globale è stata significativamente influenzato dalle decisioni di
alcune grandi imprese multinazionali che all'inizio degli anni Novanta avviano la delocalizzazione
delle attività di routine nei paesi a basso costo del lavoro per migliorare in efficienza e guadagnare
sui margini. Se inizialmente queste attività erano state affidate a fornitori terzi di paesi sviluppati
successivamente le imprese indiane riescono a conquistare ampie fette del mercato. Un passaggio
decisivo in tal senso avviene alla fine degli anni 70 quando in seguito al Foreign Exchange
Regulation Act, IBM, presente nel subcontinente dagli anni 50, lascia il paese. Le competenze e le
capacità liberate alimentano le imprese locali : ma anche decine di altre imprese di dimensioni
minori, riescono a entrare nel settore del software dove le barriere all’entrata sono relativamente
basse.
L'uscita dell’ IBM favorisce anche le imprese straniere che già si affidavano agli ingegneri indiani
per scrivere i loro programmi. Orientando all’esportazione la sua produzione domestica, l’India
assume la leadership mondiale nei tardi anni 90.
Nel corso dei tre decenni un’evoluzione qualitativa con importanti ripercussioni sui percorsi di
sviluppo di alcune aree del paese come Bangalore ma anche Mombay e Delhi.
Inizialmente le imprese indiane erano entrate nel settore informatico con semplici servizi di
supporto IT. La forma prevalente era quella della fornitura personale: per esempio TCS mandava la
manodopera indiana ma nel momento in cui mandavano loro personale all'estero trasferivano
responsabilità e il controllo al cliente. L'ingresso nella catena del valore viene resa possibile dalla
abbondante offerta di ingegneri a bassi salari è in grado di parlare in inglese.
Allo stesso tempo, le imprese occidentali favoriscono lo sviluppo dell’Industria grazie all’apertura di
filiari e/o alla definizione di relazione di mercato con centri di supporto e sviluppo locali. Durante
gli anni 90 il segmento comincia a decollare. Ben presto quindi si sviluppa il modello del offshoring
con il quale imprese indiane indipendenti si prendono carico del design e dello sviluppo di intere
attività di business, dipendendo però dai clienti per il marketing e la vendita dei prodotti.
L’esplosione della bolla informatica del 2001, che mette a nudo le vulnerabilità delle attività a
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basso valore aggiunto e concentrata sulla fornitura di un solo servizio, incoraggia ulteriormente le
imprese locali a entrare Nel BPO e a diversificare la produzione. La disponibilità di comunicazione
24 ore su 24 con i clienti americani, nonché la diaspora degli indiani nelle imprese High Tech
americane, hanno costituito altri vantaggi.
Nel decennio successivo: molte imprese sviluppano il cosiddetto Global Delivery model con il quale
riescono a fornire una varietà di servizi combinando attività On Site con quelle offshore e
NearShore, realizzando centri di sviluppo in regioni vicine o simili.
I maggiori siti offshore sono localizzati in India e Brasile;
i centri che forniscono servizi On Site sono negli Stati Uniti, Regno Unito e Singapore.
Questa fase di upgrading implicano l'acquisizione di conoscenze e capacità proprie attraverso
maggiori investimenti in attività di formazione interna.
Nell’ultimo decennio le imprese indiane hanno cercato di specializzarsi in singoli settori, offrendo
servizi specifici ad alto contenuto di valore aggiunto. Inoltre, le imprese indiane hanno cominciato
esse stesse a delocalizzare in altri paesi.
Il processo di cui si è argomentato ha permesso l’espansione della base imprenditoriale del paese.
Le scelte delle imprese e le dinamiche del settore sono state condizionate da una serie di aspetti:
- Un imponente riserva di forza lavoro a basso costo, tecnicamente qualificata
- Gli standard sempre più elevati richiesti dalle imprese accidentali
- la scelta di entrare nei segmenti BPO e KPO hanno indotto le imprese indiane a investire
ulteriormente sulla formazione delle proprie risorse umane. Tale formazione è più orientata
verso la conoscenza di piattaforma e globali standard, attraverso l’acquisizione di
certificazione riconosciute internazionalmente.
La crescita sostenuta dell’occupazione nel settore ha esercitato una certa pressione sull’offerta del
lavoro: da un lato si è registrata una competizione tra le imprese per accaparrarsi i lavoratori più
talentuosi, la cosiddetta Race to the top, dall’altro le imprese hanno cominciato a delineare
strategie per salvaguardare la propria base occupazionale, hanno intrapreso iniziative congiunte
con gli istituti privati di formazione e certificazione.
Un secondo aspetto da considerare è il sostegno attivo delle istituzioni indiane al settore
sostanziato nel sostegno alla creazione di infrastrutture correlate e alle attività di R&S.
Se la politica protezionistica e di industrializzazione ha spinto l’India a gettare le basi per lo sviluppo
dell’industria, l’abbandono di questa politica negli anni 80, voluta da R. Gandhi, favorisce
apertamente i settori dell’informatica. Nei primi anni 90 il governo Rao intraprende una marcata
politica di deregolamentazione che riduce le barriere agli investimenti stranieri e le tariffe doganali.
Ulteriori interventi legislativi rimuovono le restrizioni ai trasferimenti tecnologici stranieri,
incentivando la creazione di imprese e la partecipazione del settore privato nei processi di Policy
making e favoriscono misure che rendono più agevole il finanziamento delle imprese attraverso
l’apporto del capitale di rischio.
3.4 DELOCALIZZAZIONI, COLLABORAZIONI E DESTABILIZZAZIONE DELLE GERARCHIE SCALARI
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I processi di accumulazione capitalistica ai tempi della globalizzazione non seguono una logica
unica; il capitalismo globalizzato segue piuttosto logiche multiple, come multiple sono le gerarchie
che crea spazialmente. In altri termini, le imprese lead, soprattutto dell’Industria automobilistica e
dell’ingegneria meccanica, non riescono a perseguire strategie di globalizzazione senza coinvolgere
i loro fornitori occidentali e senza stabilire relazione di collaborazione con le unità che entrano
nella catena produttiva. Esse sono inoltre estremamente consce della cosiddetta “trappola della
modularità” per cui l’estrema devozione a uno specifico prodotto o tecnologia finisce per
impoverire le competenze e le conoscenze per il suo sviluppo e la stessa capacità di definire nuove
architetture produttive.
Quindi se in linea generale una certa gerarchia tra le regioni è rinvenibile, il processo di
globalizzazione della produzione tende a indebolire la stessa gerarchia che presuppone.
La delocalizzazione manifatturiera ha avuto conseguenze non soltanto strettamente manifatturiere
– creazione di una base industriale, formazione di forza lavoro operaia- ma ha anche inciso sulle
abilità e sulle conoscenze dei lavoratori, sia riguardo i processi produttivi sia riguardo le attività di
R&S.
L’ingresso su nuovi mercati implica spesso, soprattutto in alcuni settori, creazione di capacità
produttiva, ma anche trasferimento tecnologico di conoscenza alle imprese locali. Coinvolgendo i
fornitori si accentua il trasferimento della logica di collaborazione che esiste nella produzione
disintegrata delle regioni sviluppate alle regioni meno sviluppate e ciò crea una realtà della
globalizzazione diversa dalle descrizioni genericamente basate sui costi. L’immagine che si ricava è
di un architettura multiregionale. Gli sforzi di concentrare le competenze tecnologiche in alcuni siti,
la continua richiesta di riduzione dei costi, il desiderio di massimizzare la produzione, ma anche di
considerare la varietà e le pressioni dei consumatori si intrecciano nel definire logiche organizzative
e spaziali multiple e variegate. La capacità, sia produttiva che di ricerca, è allocata, separata e
ricombinata in vari modi: la distinzione tra Paesi centrali e paesi periferici continua a sussistere, ma
non secondo schemi prefissati.
3.5 RETI DI PRODUZIONE GLOBALE, SVILUPPO, DISUGUAGLIANZE
3.5.1 RETI DI PRODUZIONE E SVILUPPO
Il progetto dello sviluppo ha nello Stato e nella crescita economica i suoi principi universali: in
particolare, esso elegge l’industrializzazione nazionale come meccanismo propulsore della crescita
e del benessere materiale della sua popolazione, misurato in termini di produzione di beni di
servizi.
Il perseguimento della politica dell’ industrializzazione per sostituzione delle importazioni nei
paesi meno sviluppati risponde Precisamente a questa spinta :
replicare il modello di industrializzazione dei paesi più sviluppati favorendo l’espansione il
rafforzamento di un’adeguata a base industriale e sostenendo la crescita dell’indotto e dei mercati
di sbocco.
La prospettiva delle CGV mostra che nella globalizzazione capitalistica il surplus matura nelle
dinamiche che attengono ai diversi nodi delle reti produttive e, più specificatamente, al modo in
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cui tali nodi sono organizzati e controllati. Risultano centrali quella attività della catena che
consentono appropriazione di surplus, diventano centrali quei territori in cui attività centrali sono
spazialmente concentrate. L’aspetto cruciale, e differenziante, sta nel riconoscimento che i nuclei
centrali e nuclei periferici coesistono in ogni parte del mondo. Quello di utilizzare le reti produttive
per analizzare il funzionamento dell'Economia e dell'Industria contemporanea e per esaminare la
loro influenza sullo sviluppo è stato l’intento di Gereffi.
La prospettiva delle CGV riconosce la natura profondamente asimmetrica e diseguale delle
relazioni che connotano l’economia globale. Il paradigma delle CGV Sì interroga sulle condizioni
nelle quali la partecipazione a tali relazioni può implicare upgrading, soprattutto a livello macro. In
un’economia globalizzata quest’ultimo è il possibile esito delle strategie degli attori in un panorama
economico, compresso spazio-temporalmente, a cui si coniugano risorse e strategie delle
istituzioni locali e internazionali.
3.5.2 STRUTTURA ECONOMICA GLOBALE, SVILUPPO E DISUGUAGLIANZE
Nel paradigma delle CGV la possibilità di intraprendere un percorso di sviluppo risulta
generalizzata; Ciò significa che percorsi di sviluppo possono essere intrapresi da pressoché tutti i
paesi meno sviluppati attraverso strategie di riorientamento produttivo e funzionale. In un’ottica
sistemica, tuttavia, la prospettiva si modifica e l’interrogativo cruciale diventa comprendere il ruolo
della struttura economica mondiale e del modo in cui le traiettorie di sviluppo economico dei
diversi paesi ne sono influenzate. Altrettanto di rilievo è la questione del se e in che misura i
cambiamenti verificatisi nell’organizzazione dell’economia associati alla globalizzazione hanno
inciso sulle disuguaglianze globali, definite dalla posizione in una gerarchia di ricchezza. In altri
termini è capire chi beneficia della globalizzazione e chi invece ne risulta perdente.
Secondo Wade la mobilità ascendente dei paesi nella gerarchia della ricchezza non è più vincolata
dalla struttura.
La globalizzazione appiattisce il mondo, portando un dinamismo diffuso anche nei paesi meno
sviluppati. In questa prospettiva, si nega pertanto la gerarchia delle posizioni, enfatizzando in
termini positivi l’esistenza di differenziazioni.
Adottando un approccio sistemico e quantitativo e utilizzando i dati sul commercio internazionale,
Mahutga e Smith hanno mostrato la perdurante importanza della struttura sulle traiettorie di
sviluppo dei paesi: in particolare, la loro analisi lascia emergere che nella globalizzazione:
a) La crescita economica rapida non si verifica nei paesi centrali mai nei paesi che ricoprono
una posizione intermedia all’interno della divisione del lavoro;
b) Quasi tutta la variazione nelle relazioni commerciali tra Paesi può essere spiegata con un
modello centro/ periferia; Considerando la mobilità, lo strato Superiore della semiperiferia
si è avvicinato maggiormente al centro e si è allontanato dalla periferia;
c) La divergenza osservata nella crescita tra periferia e semiperiferia è spiegata dalla maggiore
propensità all'upgrading da parte dei paesi intermedi. Rispetto a quest’ultimo punto, si
argomenta che i paesi che si trovano in tale posizione hanno maggiore probabilità di avere
sia un adeguato livello di capacità per utilizzare tecnologie di produzione esogene (un
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vantaggio rispetto ai paesi periferici) Sia livelli salariali appetibili per imprese pronte alle
esternalizzazione ( un vantaggio rispetto ai paesi centrali).
I beneficiari della globalizzazione sembrano pertanto essere i paesi che presentano un basso costo
del lavoro ma allo stesso tempo una capacità tecnologica comparativamente maggiore nella sfera
della produzione. In sintesi, La globalizzazione economica produce vincitori e perdenti in termini di
crescita economica : i primi lo sono soprattutto se presentano alcune caratteristiche e soprattutto
nelle fasi calanti del ciclo economico, l’upgrading è un meccanismo che può produrre un percorso
di sviluppo sostenibile, na questo sembrerebbe riservato ai paesi che occupano una specifica
posizione nella struttura economica mondiale. Per quanto concerne l’interrogativo riguardante il
legame tra i cambiamenti nell’organizzazione economica associati alla globalizzazione e l’influenza
sulla distribuzione di ricchezza a scala globale, l’evidenza empirica e la letteratura, sono voluminose
e contraddittorie.
La distribuzione mondiale del reddito dipende da una serie di variabili: tra le altre, la stima dei dati
relativi al reddito nazionale rispetto alla popolazione, il confronto dei dati sul reddito tra Paesi
usando la aggiustamento del tasso di cambio ha la parità di potere di acquisto, l’inclusione o meno
della Cina e dell’India nelle analisi.
Espresso in termini di CGV , l’upgrading può essere possibile per alcune imprese e per alcuni paesi,
ma altrettanto il downgrading; nel corso del tempo, queste dinamiche contrastanti tenderanno a
bilanciarsi così che la distribuzione complessiva di reddito a livello sistemico resterà stabile. È
proprio per questa ragione che i teorici del sistema-mondo sostengono che lo sviluppo nazionale è
un'illusione: infatti non è disponibile per tutti, per quanto, ovviamente, è (o è stato) possibile per
alcuni.
3.5.3 LE CATENE COME MECCANISMI DI STRATIFICAZIONE ED ESCLUSIONE
Quest’ultimo passaggio mette in chiara evidenza il cosiddetto paradosso dell'upgrading:
contemplando la possibilità dello sviluppo, la teoria delle CGV produrrebbe una disconnessione tra
unità di analisi sub-sistemiche e modelli sistemici e si allontanerebbe dalla teoria del sistema
mondo che pure ne rappresenta la più importante matrice teorica. Le attività ad alto e a basso
contenuto di valore aggiunto, infatti, non si distribuiscono casualmente nello spazio, ma tendono a
concentrarsi in alcuni nodi/aree che presentano specifiche caratteristiche, funzionali ai processi di
accumulazione del capitale. I processi di inserimento e di partecipazione alle catene, cioè i processi
di incorporazione, sebbene privilegiati dalle analisi, si accompagnano a processi di dipendenza,
esclusione e disconnessione dalla catena. Allo stesso modo, la disponibilità di lavoro e la sua
valorizzazione sono inseparabili dalla costruzione di differenze sociali basate su gerarchie
interrelate e sovradeterminate di razza, genere, classe e nazione. Il capitale genera dispossesso,
escludendo alcuni tipi di risorse dai circuiti di accumulazione, ma l’esito si presenta indeterminato.
Accanto all' incorporazione e alla partecipazione vi sono quindi processi attraverso cui paesi e
regioni sono soggetti a disconnessioni e disarticolazioni; le connessioni spazio-temporali sono
forgiate attraverso processi di disgiunzione e distruzione che trasformano selettivamente, o
disarticolano, le relazioni sociali e le forme di produzione preesistenti. È l’insieme di questi processi
a determinare e perpetuare le disuguaglianze.
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4 LA REGOLAZIONE TRANSNAZIONALE DELL'ECONOMIA TRA ESPANSIINE DELLA
GOVERNANCE PRIVATISTICA È STATI DENAZIONALIZZATI
4.1 INTRODUZIONE
L’enorme potere delle imprese transnazionali in grado di influenzare le decisioni politiche ed
economiche stanno stimolando un interessante dibattito concernente la regolazione delle attività
economiche nel quadro della globalizzazione.
Il sistema stato-centrico emerso con il Trattato di Westfalia è stato indubbiamente messo in crisi
dalla transnazionalità della produzione. Questa è parzialmente sottratto alle legislazioni nazionali la
regolazione di attività e ha contribuito a depotenziare la volontà politica di intervenire su una
molteplicità di aspetti e specialmente sulla regolazione del lavoro, in ragione dell’eventuale
minaccia del capitale di disinvestire nel singolo territorio nazionale. Il nuovo scenario di
governance transnazionale si contraddistingue, in primo luogo, per la presenza di una pluralità di
soggetti :
Stati nazionali, organizzazioni internazionali, istituzione esplicitamente globali ( ad esempio i
tribunali internazionali).
Si tratta di attori privati ancorché fattualmente dotati di un identità istituzionale.
Il panorama regolatorio nella globalizzazione risulta quindi policentrico e si delinea un sistema di
governance senza government, caratterizzato dalla diffusione di Soft Law promozionali di modalità
volontarie di definizione e osservanza di vincoli, in un’ottica di raggiungimento consensuale e
mutuale di obiettivi condivisi e desiderabili. In questo sistema, le imprese transnazionali non sono
solo in grado di influenzare le decisioni pubbliche, ma sono esse stesse in grado di produrre
regolazione non meno rilevante o spazialmente estesa. Questo capitolo illustra l'espansione delle
regolazioni privatistica, soprattutto nell'ambito del lavoro, è da conto delle trasformazioni che
hanno investito quella degli Stati nazionali.
D’altra parte, gli stati continuano a mantenere un ruolo strategico per la regolazione delle
dinamiche economiche, in particolare per quelle delle reti di produzione globale e per la
definizione dei più ampi regime di accumulazione di cui esse fanno parte.
4.2 LA REGOLAZIONE PRIVATISTICA: STRUMENTI, CONTENUTI E ATTORI
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4.2.1 GLI STRUMENTI DELLA REGOLAZIONE SOFT
Nel panorama politico e giuridico connesso all’economia globale, accanto allo stato e alla sua
regolazione coercitiva, sono emersi altri attori altre forme di regolazione.
Accanto allo stato e alle tradizionali istituzioni sovranazionali, si profilano:
Le ONG, Le Corti penali internazionali, le alleanze politico-militari ( NATO), le associazioni
economiche regionali (UE, ASEAN), nonché le imprese, soprattutto transnazionali.
Accanto alla legislazione nazionale, ai trattati internazionali, alle convenzioni e alle consuetudini, si
sono inoltre affermate nuove fonti normative, come i verdetti delle Corti arbitrali, le elaborazioni
normative dei grandi studi associati esperti nel diritto commerciale, finanziario e fiscale, e altre
forme di regolazione di natura privatistica. Quest’ultima emerge dall’interazione tra attori privati e
attore pubblici dando vita ad accomodamenti istituzionali aventi effetti strutturanti per il
comportamento degli attori, tali effetti sono analoghi alle funzioni di governo proprio dello Stato
dunque anche ad essi è applicata la nozione di autorità.
I principali strumenti della regolazione privatistica sono i codici di condotta, i regolamenti, gli
schemi di certificazione, i sistemi di audit e monitoraggio, i sistemi di etichettatura;
Questi possono riguardare la singola impresa e la sua rete produttiva, ma più spesso sono
intrapresi da organizzazioni di settore e hanno quindi portata settoriale; in alcuni casi sono
intersettoriali. Nuovo è il fatto che vi sia un processo di istituzionalizzazione della certificazione dei
comportamenti in relazione agli effetti sociali e ambientali della produzione.
Il dispositivo più diffuso è Indubbiamente il codice di condotta.
I primi esempi di adozione si riferiscono all’abbigliamento.
Nel 1991 Levi Strauss è stata tra le prime multinazionali ad adottare un codice di condotta.
Successivamente anche Nike, Reebok, the gap adottano quelli che vengono definiti first party
codes: codici adottati unilateralmente dalle imprese che si obbligano anche a monitorare
l'attuazione.
Anche i second party codes, utilizzati per un intero settore e applicati alle imprese aderenti.
Le forme di certificazioni third party o multistakeholder rappresentano invece una sostanziale
novità. Derivano da un processo negoziale che coinvolge le imprese, i governi, le ONG.
Tale espansione, che costituisce l’asse portante della Global labour governance, emerge dopo il
fallimento di una serie di iniziative per regolare l’operato delle imprese multinazionali in ambito
sociale.
L’obiettivo dei codici di condotta è di tutelare i diritti dei lavoratori e le condizioni di lavoro,
accrescendo la responsabilità delle imprese nei loro confronti, in un contesto che registra appunto
numerose inosservanze soprattutto da parte delle imprese subfornitrici. Nella stragrande
maggioranza dei casi, i codici fanno riferimento e incorporano alcuni dei contenuti previsti dalla
“dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, dalla “convenzione internazionale sui diritti
dell’infanzia” delle Nazioni unite, ma anche da alcune convenzioni e raccomandazioni dell'OIL .
Molti codici prestano quindi attenzione alle condizioni di lavoro, la salute e alla sicurezza nei luoghi
di lavoro, assicurando il rispetto dei criteri retributivi e degli orari e la non discriminazione. Alcuni
prevedono inoltre il rispetto della libertà di associazione e il diritto di contrattazione collettiva.
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Altri strumenti di regolazione privatistica sono i cosiddetti standard di produzione ( ad esempio nel
campo della gestione ambientale e della qualità organizzativa) e standard di consumo ( ad
esempio, sicurezza e qualità alimentare), definiti da organizzazioni internazionali come l'ISO e
assunti come standard ufficiali dei governi, ad esempio, negli appalti, e dalle organizzazioni
internazionali come l'OMC, che li ha posti alla base degli accordi sul commercio internazionale.
Imponendo significative barriere all’entrata tali standard influenzano notevolmente la possibilità di
partecipare alle reti di produzione globali; allo stesso modo, un loro cambiamento ne modifica la
configurazione. Anche la certificazione dei prodotti biologici e le iniziative di commercio etico
influenzano la possibilità delle imprese agroalimentari di partecipare alle catene, escludendo
spesso quelle organizzazioni che non hanno i mezzi e le capacità, non solo economiche, di
adeguarvisi.
4.2.2 L'ESPANSIONE DELLA REGOLAZIONE PRIVATISTICA: LE RAGIONI DEL MERCATO E LO
SPAZIO DELLA POLITICA
Il sistema di regolazione privatistica emergerebbe le risposte agli incentivi, ai rischi e alle incertezze
proveniente dal mercato globalizzato. Più precisamente il nuovo disegno istituzionale nasce dal
tentativo delle imprese, soprattutto di quelle più sensibili ai cambiamenti dei gusti dei consumatori
e di quelle più dipendenti dall’immagine inglobata dai prodotti, di preservare la propria
reputazione e mantenere la posizione sul mercato, mettendosi al riparo da campagne name and
shame ( cioè nominare e disonorare). Per le imprese che godono di capitale reputazionale e che
investono nel valore della marca gli strumenti di regolazione privatistica agevolano la risposta ai
cambiamenti del consumo nei paesi più sviluppati: questo è oggi caratterizzato da un’accresciuta
consapevolezza rispetto ai problemi di natura sociale, ambientale e di sicurezza. Il controllo di
qualità, la tracciabilità, le certificazioni sono quindi meccanismi che trasmettono l'idea dell'impresa
al consumatore e tendono ad assicurare la qualità e la specificità dei prodotti.
In una convenzione industriale, l’incertezza sulla qualità è risolta attraverso l’azione di una parte
terza che determina le norme e gli standard comuni e li fa mettere in pratica attraverso ispezioni e
controlli. I sistemi di certificazione funziona nel fine come “ quasi cartelli” e assicurano alle imprese
che li adottano una serie di vantaggi competitivi.
Nell'analisi di Bartley, in questa prospettiva, le forme privatistiche di regolazione vengono
interpretate come il risultato di più ampi conflitti di potere tra stato, mercato e società civile nel
contesto della globalizzazione neoliberista. Il sostegno fornito dai governi a questo tipo di
regolazione risponderebbe cioè a pressioni politiche che si intersecano con i dettami neoliberisti:
Ad esempio la liberalizzazione del commercio internazionale. Appare evidente che sia stata
preferita una soluzione pragmatica di più facile accettazione; il cambiamento viene indotto
attraverso un meccanismo di apprendimento piuttosto che di mera regolazione.
4.2.3 IL RUOLO DELLE ONG E L'ACCONDISCENDENZA DELLE IMPRESE
La dilatazione della regolazione transnazionale dell’attività imprenditoriale trova nelle ONG il suo
perno principale. Un primo aspetto concerne la possibilità di contribuire a legittimare
politicamente la società civile globale dando ai vari gruppi di attivisti una leva politica al di fuori dei
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tradizionali strumenti politici. La regolazione sostenuta dalle ONG rappresenta un nuovo e diverso
modo di influenzare la formazione e l’implementazione di regole.
L’adozione da parte delle ONG di forme privatistiche di regolazione risponderebbe a una scelta
politica ancora più ampia e concernente Il temperamento dei rischi connessi alle dinamiche di
mercato; in quest'ottica, le ONG avrebbero un ruolo di “globalizzare” un liberalismo radicato
socialmente che preveda il contenimento del potere delle imprese, soprattutto di quelle
multinazionali. Secondo un'altra visione infine le ONG hanno permesso il consolidamento di uno
spazio politico per nuovi attivisti politici quali si dimostrano i consumatori occidentali. La
regolazione privatistica ha incontrato il favore delle imprese, una prima motivazione che spiega
l’accondiscendenza delle imprese in una strategia politica volta a evitare l’adozione di norme
cogenti da parte del legislatore pubblico. In secondo luogo l'aderenza alle più svariate forme di
regolazione soft risponde all'intento delle imprese di scongiurare l'attivismo politico delle ONG e la
mobilitazione dei consumatori, depotenziando la pratica del boicottaggio. Infine essere
socialmente ed ecologicamente responsabili beneficia agli affari: riducono i costi e il mercato
tende a premiare i comportamenti virtuosi.
4.2.4 I LIMITI DELLA REGOLAZIONE PRIVATISTICA
Quanto è efficace la regolazione privatistica?
Problemi di accesso, di risorse e di rendicontazione impediscono di valutarne e monitorarne
l’efficacia, mentre la sua implementazione dipende dal valore attribuitovi dall’impresa lead ed alle
asimmetrie di potere esistenti all’interno di una catena di valore. L’efficacia di tale regolazione
dipende anche dai principi e dei valori a cui si ispira; frequentemente elaborati con riferimento ai
contesti socio-istituzionali e culturali occidentali, questi non riescono a interpretare le questioni
attinenti ai paesi del Sud del mondo. Tuttavia l’aspetto più controverso della regolazione
privatistica riguarda il lavoro e la sua effettiva capacità di tutelare i lavoratori. I codici e le altre
forme di regolazione privatistica contribuiscono a migliorare le condizioni dei lavoratori, ma non a
rafforzare i loro diritti e anzi hanno spesso l’effetto antitetico, cioè Impedire la promozione della
rappresentanza sindacale a livello locale. La regolazione privatistica aiuta le imprese a raggiungere
un duplice significativo obiettivo:
- da un lato, essi vengono legittimati a disciplinare i diritti dei lavoratori che, vale la pena ribadire,
ha luogo unilateralmente senza negoziazione.
- dall’altro, intervengono pesantemente sulla formazione della rappresentanza sindacale in quanto,
è il codice di condotta attribuisce al management e non ai lavoratori la valutazione della necessità
o meno della rappresentanza sindacale nell’organizzazione.
Altri rilievi critici attengono alle modalità di protesta e specificatamente alla campagna name and
shame. Queste campagne basate sulla connessione fra organizzazioni e attivisti del Nord globale e
organizzazioni del Sud del mondo, maturano frequentemente negli ambienti occidentali con una
limitata partecipazione da parte dei cittadini dei paesi a cui dovrebbero indirizzarsi.
D’altra parte, molte ONG decidono di lavorare direttamente con le imprese e con i loro fornitori per
sviluppare e mettere in pratica i codici di condotta: in altri termini, relazioni conflittuali lasciano
spesso il posto a relazione di collaborazione. In secondo luogo è stato sottolineato che le
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campagne di boicottaggio tendono a funzionare prevalentemente nei confronti delle imprese
particolarmente visibili ed esposte alle pressioni dell’opinione pubblica. Queste campagne riescono
a tematizzare solo i casi estremi di violazione dei diritti sul lavoro.
4.3 LO STATO NELL'ECONOMIA GLOBALE: PROCESSI DI RISCALATURA E PARTECIPAZIONE
DENAZIONALIZZATA
Lo Stato nazionale risulta essere un potente attore nel configurare l’economia e il mercato,
compreso quello globale. Più precisamente, tre dimensioni appaiono cruciali nelle relazioni tra
stato e CGV:
1) In primo luogo vi è la relazione stato- capitale che ha a che fare con il modo in cui lo Stato
cerca di creare, le diverse scale, le condizioni per l'espansione delle opportunità di
accumulazione;
2) In secondo luogo, Vi sono le relazioni stato-stato poiché lo sviluppo delle reti produttive a
Scala globale porta a una negoziazione delle regolazioni e delle alleanze nello spazio
globale;
3) Infine vanno considerate le specifiche relazioni tra stato e strategie di accumulazione delle
CGV come il risultato dell’ influenza della politica dello Stato su specifiche attività
economiche.
La questione attiene innanzitutto a ruolo dello Stato nella facilitazione della formazione delle reti di
produzione e dei processi di accumulazione, attraverso adeguate politiche industriali e
commerciali. Ancora, lo stato è tradizionalmente chiamato a garantire i diritti di proprietà privata e
i contratti, a favorire la crescita e a realizzare altre attività di regolazione.
Una prospettiva sulle CGV informata da un’adeguata teorizzazione dello Stato implica la
comprensione della natura delle relazioni tra lo Stato e l’economia nelle reti produttive globali
come elementi di un modello di sviluppo. Il punto è il riferimento alla politica economica
perseguita dallo stato anche attraverso le reti produttive. Le reti sono radicate dentro e costitutive
di particolare regime di accumulazione a diverse scale (nazionali o internazionali); in definitiva, la
centralità delle intersezioni tra stato ed economia è cruciale ed è impossibile capire particolari
formazioni industriali fuori dal contesto della più ampia Political Economy.
Il discorso più generale attiene alla crisi degli strumenti di regolazione dell’economia di matrice
keynesiana, già durante gli anni 70, e alla successiva ridefinizione delle politiche economiche dello
stato. Lo Stato gioca un ruolo strategico per la globalizzazione economica. Il progetto neoliberista
di deregolamentazione e liberalizzazione intrapresa partire dagli anni 80 si è intrecciato con varie
forme di riregolazione attraverso le quali gli stati hanno attivamente promosso il processo di
globalizzazione; spostando le fasi sul rafforzamento dei vantaggi competitivi e la promozione dei
processi di ristrutturazione industriale e sociale, le strategie statuali hanno privilegiato il lato
dell'offerta e, in particolare, scelte che hanno condotto verso nuove politiche industriali e urbani,
nuovi regimi di regolazione finanziaria e del lavoro, nuove forme di selezione dei Poli di crescita e,
più in generale, un ambiente favorevole al capitale transnazionale: interessi privati hanno trovato
spazio nei progetti sostenuti dallo stato e sono stati da questo perseguiti attraverso l’autorità
pubblica. Questa riscalatura è una strategia concentrata per facilitare e coordinare il processo di
globalizzazione. L’organizzazione scalare del capitalismo contemporaneo ha portato a una
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relativizzazione della Scala nazionale e contemporaneamente, a una intensificazione del ruolo delle
scale sub-nazionali e sovranazionali, in quanto fonte di regolazione.
In conclusione, l’attuale regime di coregolazione , implica da un lato che gli stati e il settore privato
partecipano al processo di regolazione in una situazione in cui gli obiettivi di efficienza economica
tendono frequentemente a prevalere su quelli di equità sociale e, dall’altro, che l’agenda della
regolazione privatistica è penetrata nell’ambito dell’ autorità pubblica formalmente legittimata.
4.4 LA REGOLAZIONE DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI
Le regole sancite da tali istituzioni nel corso della gestione della crisi del debito degli anni 80, la
scelta delle liberalizzazioni e il successo dei paesi asiatici sono gli elementi alla base del
capovolgimento del modello di sviluppo che, a partire da quel periodo, consiste nella
stabilizzazione delle relazioni finanziarie globali e nell’accettazione del libero mercato da parte
delle economie del sud. L’iniziativa politica passa dunque dai governi nazionali alle istituzioni
internazionali, ma anche a tutte quelle situazioni come L’OMC, e i blocchi regionali di libero
scambio che perseguono l’obiettivo dell’apertura degli scambi e dello sviluppo del commercio
internazionale. Ancora più concretamente, gli arrangiamenti economici macroregionali e gli accordi
di libero scambio da essi definiti risultano estremamente importanti nell' influenzare l’architettura
e la governance delle catene produttive. Esemplare in questo senso è il NAFTA con i suoi effetti sul
settore dell’abbigliamento nei paesi coinvolti.
Com’e noto, si tratta di un accordo commerciale tra stati uniti, Canada e Messico firmato nel 1992
ed entrato in vigore nel 1994. A partire dagli anni 60 per effetto del Border industrialisation
program, il Messico aveva registrato l’espansione di un gran numero di imprese dell’abbigliamento
al confine con gli stati uniti, le cosiddette maquilladoras, specializzate nell’ assemblaggio di
semilavorati importati dal paese confinante, al quale erano destinate il 90% delle successive
esportazioni.
Nel corso degli anni 80, le imprese messicane del settore dell’abbigliamento cominciano a svolgere
attività produttive più sofisticate; e con l'accordo NAFTA, tuttavia, che il settore si modifica
radicalmente e con esso le relazioni produttive tra le imprese dei due paesi.
L’accordo NAFTA ha esteso le condizioni di accesso preferenziale al mercato degli Stati Uniti per
tutte le merci provenienti dal Messico e dal Canada che rispettavano le regole sull’origine stabilite
dall’accordo: In altri termini questo ha significato che i prodotti tessili e dell’abbigliamento si
connotano come nordamericani se sono realizzati in uno dei tre paesi sottoscriventi l’accordo.
L'avvio dell'accordo NAFTA ha portato al Messico un vantaggio pari a 6 punti percentuali nello
scambio tariffario rispetto ad altri paesi. L’accordo NAFTA ha creato le condizioni per lo sviluppo di
un'industria Tessile in Messico la cui presenza ha permesso alle imprese dell'abbigliamento locali di
modificare il loro ruolo, nelle reti produttive guidate dai grossisti e dai compratori statunitensi, da
assemblatori e fornitori chiavi in mano; si tratta di relazioni produttive che consentono una più
ampia autonomia ai produttori e maggiori opportunità di apprendimento. Il sostegno degli Stati
Uniti all’accordo si spiega con la volontà del compratore statunitensi di diminuire la loro
dipendenza rispetto ai fornitori asiatici e favorire i produttori geograficamente più prossimi.
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Anche in Europa, l’accordo sul tessile-abbigliamento siglato nel 1994 nell’ambito del round finale
del GATT ha avuto un’importanza cruciale per il settore. Regolato dallo speciale regime previsto
dall’accordo multifibre del 1974, il commercio globale dei prodotti del tessile-abbigliamento
prevedeva la salvaguardia del settore nei paesi sviluppati attraverso l’imposizione di restrizioni alle
quantità di prodotti provenienti dai Paesi meno sviluppati che godevano del vantaggio derivante
dal basso costo del lavoro nell’industria. La decisione di liberalizzare il commercio rimuovendo il
regime delle quote (a partire dal 2005) ha rivoluzionato la geografia del settore e le relazioni di
produzione tra le sue imprese. In Europa, l’apertura commerciale è andata a vantaggio dei paesi
dell’est europeo (e del Nord africa) le cui imprese, specialmente dopo il 1989 avevano allacciato
robuste relazioni produttive con quelle europee.
+ Leggere conclusioni fine libri per. 161-171
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