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IL CINEMA DEI LUMIÈRE
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Mai rifiuto fu più netto e
mai fu più palese che il
cinema come noi lo
vediamo, come l’abbiamo
vissuto per circa un
secolo. non coincide con
il progetto, più o meno
dichiarato, dei Lumière.
Eppure sono loro a
essere unanimemente
indicati come gli inventori
del cinema. Perché?
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1900. Anna Held, star di Ziegfeld,
pubblicizza un Mutoscope
Il motivo principale per cui viene loro attribuita la paternità del
cinema, come è noto, è la capacità di offrire una «proiezione»
di immagini in movimento di buona qualità a un pubblico che
fruisce collettivamente della visione, spezzando così il sigillo
«onanista» di Edison.
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«Edison per primo aveva
realizzato l’immagine
fotografica animata, ma i fratelli
Lumière l’hanno resa
accessibile alle folle. Il merito di
questi ultimi è dunque
considerevole».
Charles Pathè
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E fin qui il loro progetto e la storia successiva del cinema
ancora coincidono. Ma la loro eredità è un po’ più complessa
e per comprenderla meglio dobbiamo a questo punto porre
due domande.
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La prima: se il loro congegno non doveva essere impiegato
per creare ambienti esotici, avventure, sogni, personaggi
leggendari e storie meravigliose, a che cosa sarebbe dovuto
servire?
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Che cosa cercavano i due fratelli, che cosa pensavano di aver
inventato con quel «macinino di immagini» che dà vita alle
fotografie? La risposta ce la dà Louis Lumière che, cinquanta
anni dopo, scrive a Georges Sadoul: «Desideravo solo
riprodurre la vita. I soggetti che ho scelto per i miei film ne
sono la prova».
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Cinema totale
Riprodurre la vita. Un obiettivo
ambizioso e astratto, ispirato
secondo Burch (1991) alla
stessa utopia del meccanismo
«demiurgico» che animava il
sogno del barone Frankenstein.
Un obiettivo che riguarderebbe
le potenzialità inespresse della
macchina, se i Lumière non
avessero anche provato a dare
un corposo saggio delle sue
possibili declinazioni concrete.
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Le vedute Lumièrela capillare esplorazione
dell’attualità e della vita
quotidiana confluita nel loro
imponente Catalogue, forte
di quasi 1500 film, è di fatto
la prima cineteca ma anche
la sintesi e il monumento
della cultura visuale del
primo Novecento, a metà
strada fra il reportage
documentaristico e la
cartolina illustrata.
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L’estraneità dei Lumière all’dea di
spettacolo, l’indifferenza per i gusti
del grande pubblico (la cui caciara
sembra perfino disturbarli) e
l’apparente casualità delle Vues
photographique animées non
devono trarre in inganno. Il loro
modus operandi può rivelare molto
sulle intenzioni che li animano,
sull’idea di «cinema» che li guida,
sulla loro concezione del rapporto
fra la realtà e la sua raffigurazione.
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Soggetti
L’insieme dei loro prodotti esprime la decisa opzione per un
cinema-documento di chiara impronta «realista». La poetica del
quotidiano dei due fratelli riposa infatti su due pilastri. Il primo è
l’incrollabile fiducia nella potenza della loro macchina, cui
attribuiscono ingenuamente la facoltà di togliere qualunque filtro
fra la realtà e la sua rappresentazione, assimilando la loro
opera a un «album di fotografie», animate da un prodigio
tecnico, che in teoria esclude ogni artificio.
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Le vedute Lumière
Il loro primo passo per inseguire la vita consiste quindi nella
fedeltà della riproduzione, suffragata da un cinema ineccepibile
e «pulito». Definizione delle immagini, fluidità del movimento e
organizzazione delle riprese sono infatti molto curate e Louis,
esperto fotografo, sa dosare luci e ombre, linee e volumi nella
composizione delle inquadrature. Gli obiettivi usati delineano
infine una profondità di campo che garantisce la stessa
leggibilità agli elementi sullo sfondo e quelli in primo piano,
come ne L’Arrivée d’un train, con il treno sempre a fuoco.
L’Arrivée d’un train à La Ciotat, 1895
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Panorama del Canal Grande da un battello (Cat. Lumière N°295)
La passione per la tecnica porta anche a grandi
innovazioni «linguistiche». Alexandre Promio, ad
esempio, nell’ottobre 1896, chiesto il permesso
a Lione per porre la macchina da presa su una
gondola, gira a Venezia la prima “panoramica”
della storia del cinema. Gabriel Veyre realizza
nel 1900 in Vietnam, a Namo, il primo «carrello
all’indietro». Si tratta di «riprese in movimento»
nitide e spettacolari che anticipano di quasi
vent’anni l’uso dei movimenti di macchina.
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Altri elementi grammaticali interessanti sono il fuoricampo con
funzioni narrative ne L’arrivo del treno e il tentativo di assorbire
lo spettatore nelle immagini presente in Spanish Bullfight
(1900), dove la macchina da presa viene parzialmente collocata
all’interno del fatto narrato, fornendo allo spettatore del film il
punto di vista di quello della corrida.
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Questi impulsi sperimentali minacciano l’oggettività della
raffigurazione, poiché potrebbero far emergere l’ingombrante
ruolo di «mediazione» ricoperto dall’operatore, ma l’involucro
documentaristico imposto dalla ditta non consente il passaggio
dal carattere puramente tecnico a quello narrativo, confinandoli
al compito di rendere solo più intrigante e profondo lo sguardo
sulla realtà, «facendo vedere» sempre di più e sempre meglio.
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Il tarlo della narrazione insidia però ogni genere di film e,
sebbene i Lumière si rifiutino tenacemente di conferire un
fine «espressivo» alle Vues, che considerano sempre e solo
un mezzo per registrare fedelmente la vita e la realtà in
movimento, anche il loro sguardo sulla realtà non è mai così
“innocente” e “casuale” come essi vorrebbero.
Gerusalemme, Porta di
Jaffa, lato est, 3 aprile 1897
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Louis sa già prima che cosa vuole vedere, e dove cercare. Le
sue vedute tradiscono infatti, oltra alla consueta tecnica,
un’istintiva e particolare attenzione per la complessità delle
inquadrature, per le azioni che coinvolgono una pluralità di
persone, cui egli tende a conferire un ordine preciso, anche
nelle inquadrature più «affollate», come in Sortie d’usines.
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La Sortie, infatti, non è affatto quell’occhiata distratta sulla
quotidianità che vorrebbe sembrare. L’esistenza di tre versioni
rivela la «premeditazione» e molti elementi suggeriscono un
«copione fantasma»: gli operai escono dividendosi con ordine,
senza ammassarsi, evitando di passare davanti alla macchina
da presa e ostruire così l’obiettivo. Anche l’assenza di sguardi
in macchina, tranne furtivi ammiccamenti, fa intuire che le
persone, avvertite in anticipo, stiano in parte recitando.
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Messa in scena
Si sospetta addirittura che gli operai siano stati convocati di
domenica per replicare ‒ a uso esclusivo della cinepresa ‒ ciò
che normalmente facevano durante la settimana e che quindi il
primo protagonista della storia del cinema, la folla, sapesse fin
troppo bene di essere filmato, il che spiegherebbe anche i
cappelli e i vestiti Belle époque inadatti al lavoro.
Operaie del reparto stenditura nel 1895 ca.
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Messa in scena
Anche ne La battaglia con le palle di neve (1897) sembra che
l’operatore si sia imbattuto in un gruppo di allegri buontemponi
e abbia deciso lì per lì di filmarli. Osservando la composizione
dell’inquadratura, però, si nota che i movimenti dei personaggi
non «impallano» mai l’operatore, che, ricordiamolo, aveva per
filmare un minuto scarso a disposizione.
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Messa in scena
È anche sorprendente che, in un tempo così breve, il campo di
battaglia sia addirittura attraversato da un ciclista spericolato. Il
fatto che costui, come si vede all’inizio, non proviene dal fondo
del viale ma parte da metà percorso, offre la prova ulteriore che
si tratta di una “messa in scena”.
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La quota di simulazione e una certa complicità fra i protagonisti
e l’operatore sono altresì evidenti negli ammiccamenti verso la
cinepresa che costellano le «scenette»: in Bataille de femmes
(1896) le due donne protagoniste della lite si trattengono a
stento dal ridere, in Repas de bébé (1896) la bambina offre un
biscotto allo zio Louis che sta riprendendo.
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Le vedute Lumière
Ma il sentore di messa in scena presente nell’“organizzazione
interna” delle riprese non minaccia la coerenza del realismo
dell’impresa tanto quanto la presenza, nel grande mucchio
delle vedute, di soggetti fictional, a carattere storico (Néron
essayant des poisons sur des esclaves, 1897) o religioso
(l’ambiziosa Passione del 1898), o di semplici storielle per
ridere, a partire dall’Arroseur arrosé del 1895.
.
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Le jardinier
Qui tutto è palesemente recitato e nulla è lasciato al caso: gli
attori, la composizione dell’inquadratura, il ritmo, l’energia,
l’astuzia con cui il giardiniere afferra il birbante e lo trascina
verso una cinepresa che ancora non può muoversi.
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Le jardinier
Ma pur essendo più che evidenti la preparazione della scena e
la filigrana narrativa, si percepisce che tutto questo conta poco:
gli attori sono del tutto improvvisati, le trame ingenue, le storie
assolutamente subordinata all’esigenza di «sorprendere» lo
spettatore. L’obiettivo non è quindi quello di «intrattenerlo» ma
sempre e comunque quello di fargli apprezzare il valore di
duplicazione della realtà offerto dalla nuova tecnica.
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Soggetti
Entra in gioco qui il secondo pilastro della poetica dei Lumiére:
una concezione «allargata» di realtà che non si limita alla
registrazione oggettiva di dati «genuini», ma si estende alle
ricostruzioni e alle messe in scena, agli aneddoti e alla ripresa
di soggetti «consapevoli», assimilando gli inevitabili conati
narrativi delle «messe in scena» (o «scene di genere») alla
stessa logica del reportage fotografico.
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Secondo i Lumière, la macchina da presa annulla ogni possibile
discrepanza fra la vita e il suo racconto, rendendo tutto «reale»:
l’arrivo del treno alla stazione come la scenetta domestica in cui
i protagonisti non possono ignorare la macchina che li riprende,
il giardiniere burlato come la registrazione del traffico in Place
des Cordeliers, l’acrobata che fa il suo numero come il bimbo
che gioca col pesce rosso. Sono tutte «scene di vita vissuta».
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L’aura di naturalezza e spontaneità che aleggia su tutta la loro
opera è alimentata dalla fede nella possibilità di rappresentare
la realtà, la vita in movimento, che non permette loro di capire
l’antinomia tra finzione e documentario, tra fiction e ripresa dal
vero: per loro quindi la «cattura» di una scenetta quotidiana
coincide perfettamente con la messa in scena di una «finzione
realistica». La partita a carta allegramente inscenata dai propri
parenti nel cortile di casa si sovrappone pertanto alle mille
partite giocate in ogni dove, col vantaggio di una «cinegenicità»
che paradossalmente la rende ancor più rappresentativa.
Partie d’écarté (1895). L’uomo a sinistra è Antoine Lumière.
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Soggetti
La loro visione sulle funzioni e sul destino del Cinematografo
sembra inscritta dentro quel naturalismo positivista che si
ripropone di decifrare la realtà psicologica e sociale con gli
stessi mezzi delle scienze naturali e che, in campo letterario,
impone allo scrittore di raffigurare la realtà in modo oggettivo e
impersonale, lasciando parlare le cose e i fatti narrati.
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Soggetti
Tuttavia è interessante la vaghezza con cui » viene declinato il
paradigma «realista». La consuetudine dei Lumière con la
fotografia omologa le vedute animate con l’«album dei ricordi»
smussandone le potenzialità investigative e spettacolari, come
del resto la concezione distensiva della realtà ne asseconda
una lettura compiaciuta che fugge con cura ogni inquietudine.
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Realismo
«L’interesse del pubblico è in gran parte
suscitato dalla curiosità di vedere riprodotta
con molta esattezza la realtà fenomenica, sia
nella rappresentazione delle forme, degli
oggetti, della natura, degli esseri viventi, sia
nei loro movimenti. È il “realismo” della
rappresentazione che colpisce e meraviglia il
pubblico, sono la naturalezza e la “verità”
degli oggetti e dei personaggi che forniscono
allo spettacolo il fascino e il carattere di
novità».
(Georges Brunel, Les projections mouvementées, Parigi 1897)
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L’assenza di un progetto o di approfondita
consapevolezza delle qualità espressive
del mezzo, l’ambiguo disdegno verso la
loro produzione materiale e la cieca fiducia
nell’oggettività del mezzo lasciano quindi
irrisolta la tensione fra documentazione
«oggettiva» della realtà e ricorso a bozze
di struttura narrativa, conducendo i due
fratelli a una sistematica sottovalutazione
dei fattori in gradi di distorcere la perfetta
simmetria fra il reale e la sua riproduzione.
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La prima volta
Non si tratta solo dell’artificiosità della scena,
falsificata dalla consapevolezza della messa
in scena. A maggior ragione, sfugge a loro
come a tutti i primi cineasti un elemento
essenziale: anche nella registrazione più
rigorosa, l’occhio della cinepresa introduce
una distorsione inevitabile, potendo
inquadrare solo un tratto di un’«infinità priva
di senso», per dirla con Weber, che trova nel
«punto di vista» dell’operatore (che ne sia o
no consapevole) il framing che ne indirizza
la percezione e la lettura.
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La prima volta
L’unico dato veramente
oggettivo è perciò che la
realtà dello schermo è diversa
dalla realtà «vera» e gli
spettatori si trovano sempre di
fronte a una rappresentazione
che mette in luce solo alcuni
aspetti del reale, cui
conferisce un sorprendente
rilievo «drammatico»,
accentuando i particolari
normalmente trascurati.
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Dopo tanti anni, col senno di poi e
alla luce della sensibilità moderna
possiamo dire che il loro tentativo
di duplicare la vita, soprattutto se
paragonato al netto prevalere del
cinema che manifestamente si
pone come il teatro del sogno e
dell’invenzione, possa essere
dichiarato, anche alla luce del loro
precoce abbandono, un fallimento.
Eppure, a guardar bene…
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A guardar bene, al di là della consapevolezza della propria
invenzione e della loro personale interpretazione del paradigma
realista, cosa c’è qualcosa nell’opera dei fratelli Lumiére, una
specie di «affabulazione primitiva» o «elementare» che
oggettivamente arriva fino a noi, influenza il nostro rapporto con
lo schermo e ne rende gradevole e interessante il ricordo.
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Vedere è potere
Inoltre, non va dimenticato che la proiezione cinematografica
offre la possibilità di vedere senza essere visto, che garantisce
ancor oggi allo spettatore un sottile senso di superiorità rispetto
ai personaggi e la gratificazione nell’assistere alle loro vicende.
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Il mare
Allo stupore per la riproduzione meccanica delle azioni
quotidiane mediante un apparecchio «miracoloso» le
immagini dei Lumiére aggiungono il fascino sottile di
osservare fatti e situazioni come fosse la «prima volta».
Baignade en mer (1895), ad esempio, veduta di straordinaria
modernità costruita all’insaputa dei suoi attori, evidenzia il
legame del cinema dei Lumière con l’infanzia, con qualcosa
che evoca sistematicamente il concetto di «prima volta».
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Civiltà dell’immagine
Il successo del cinematografo risiede essenzialmente in
questa duplice attrattiva. Mentre si impone la nuova realtà
dello schermo (tempo e spazio peculiari creati dalle grandi
immagini bidimensionali in movimento), si intessono inediti
rapporti con la realtà esterna, dando progressivamente vita
a quella che sarà poi detta «civiltà dell’immagine».
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La petite fille et son chat (1900)
Immortalità
I film Lumière possiedono il fascino della testimonianza storica
e insieme quello della società della comunicazione ai suoi albori.
Al di là della tecnica, del divertimento e della curiosità,
l’elemento che combina il narcisismo innato della società
dell’immagine e il desiderio d’immortalità dei “moderni” è l’idea
di far muovere la fotografia per mostrare e conservare il mondo,
poterlo tenere fra le mani e guardare in modo nuovo.
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Non omnis moriar
È in questo senso che assume spessore anche l’idea, altrimenti
ingenua, che la registrazione della vita e la sua conservazione
nel tempo nel tempo fossero una sfida al potere della morte,
idea che, in una cronaca sulla serata del Salon Indien, compare
ammanta di lirismo: «Quando queste macchine saranno a
disposizione di tutti, quando tutti potranno fotografare gli esseri
a loro cari, non più nella forma immobile ma nel loro
movimento, nella loro azione, nei loro gesti familiari, con la
parola sulle labbra, la morte cesserà di essere assoluta».
La poste, 30 décembre 1895
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Un altro fattore che consolida la fama dei due fratelli risiede in
un’ingenua «poetica della famiglia borghese», che asseconda il
gusto dell’epoca proiettando sulla realtà l’immagine bonaria e
rassicurante di una società in pace con se stessa, fecondata
dalla scienza: due affermati imprenditori che, «giocando» con
gli strumenti ottici, aprono una finestra di rara verosimiglianza
per un pubblico ancora affezionato al disegno e alla fotografia.
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Infatti, la macchina per riprodurre il movimento e sorprendere
la realtà con uno sguardo nuovo, non avrebbe potuto dare il
suo specifico contributo al narcisismo della civiltà
dell’immagine senza la partecipazione emotiva di un certo
tipo di, eccitata e nello stesso tempo rassicurata da vedute
che si tuffano nella quotidianità, come le stampe di genere e i
quadretti familiari, amplificando la piacevole quiete della vita
borghese per consegnarla a un’immortalità di celluloide.
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Di vita rappresentata quindi nelle vedute ce n’è a volontà. Ma
di quale vita si tratta? «È quasi sempre la vita quotidiana, più
ordinaria e familiare. (…) Sì, certo, proprio così, sembrano i
soggetti dei filmini di famiglia, i super8 del benessere di
sessant’anni dopo. Il proto-cinema non voleva stupire con
quello che mostrava, ma per come lo mostrava: perché
l’album delle foto di famiglia, improvvisamente, si muoveva».
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Per i Lumière infatti il cinema è un medium «domestico», un
accessorio per l’appagato autoritratto della famiglia borghese.
Questo «dilettantismo espressivo» in salsa amatoriale li salva
dal pedante «oggettivismo» positivista e li tiene vicini al gusto
dell’epoca. L’ipotesi realistica sospende così il suo rigore in una
sorta di «limbo incantato» che restituisce ancor oggi il sognante
ritratto di una società che si specchia compiaciuta in se stessa.
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Spariscono così le istruzioni date ai «protagonisti», la scelta
dell’inquadratura, l’allestimento della scena, insomma tutto ciò
che, in una concezione più rigorosa della documentazione
oggettiva della realtà, andrebbe fatalmente a «inquinare» la
fedeltà della rappresentazione. Basta solo sedersi e guardare,
poiché alla fine l’elemento più potente delle vedute è la
relazione fra il soggetto e la macchina da presa, orba di tutte le
interferenze diegetiche: è il modo in cui esse mimano l’atto del
guardare e dell’osservare.
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Il loro fascino risiede pertanto nella esplorazione dei
meccanismi dello sguardo, al di fuori dello spazio finzionale,
che inscena davanti a noi la pulsione a “guardare soltanto”
così centrale per la nostra epoca.
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Documentario
Puntigliosamente attaccati all’idea di «mostrare la realtà»,
lontanissimi dal mondo spettacolo, i Lumière inventano, forse
senza saperlo, lo spettacolo del mondo, «il quadro, lo spazio
scenico con cui il cinema racconta il mondo», come chiosa
Farinelli. Guidando il nostro sguardo sul teatro della vita, essi ci
mettono impegno e tecnica, il tempo aggiunge la magia.
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«Nella storia del cinema sono
numerosi i punti di fuga in cui, di colpo,
sappiamo d’essere davanti a qualcosa
di straordinario. L’esempio più bello è
Lumière. E riguarda una cosa persino
più importante del fatto d’avere
inventato la proiezione. Perché quel
che accade, con Lumière, è una sorta
di miracolo. Lumière, come realista, è
campione in ogni categoria. Eppure io
trovo che i suoi film appartengano al
fantastico».
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«Quel fantastico che dovrebbe essere
di tutti i film, ma che dopo Lumière non
c’è stato più. Si è logorato, si è
usurato, perché, dopo, tutto è stato
trucco. Il cinema di Lumière mostra la
vita come non si era mai vista.
Lumière non è realista, il suo è il regno
del miracolo. E tuttavia, i suoi film
sono la realtà, per la prima volta.
Un’ingenuità e una purezza che, dopo
di lui, si sono perdute».
Maurice Pialat (1925-2003)
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«La vera storia del mondo inizia nel 1895.
Prima si raccontava ciò che si vedeva. Con
la parola, a far da padrone è la menzogna.
Con le immagini, i bugiardi hanno avuto più
difficoltà a distorcere la realtà. Per me il
cinematografo è dunque la più bella
invenzione di tutti i tempi. Non è la settima
arte, ma la prima: la vera memoria del
mondo. La forza dell’immagine e no
comment. Un viaggio senza audioguida!»
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«Poi questo vettore di verità si è
trasformato in una macchina per raccontare
storie. La magia è diventata un’altra. Ho per
i fratelli Lumière una riconoscenza
sconfinata. Senza di loro non avrei mai
avuto questi piccoli momenti di verità,
questi momenti magici che fanno la mia
felicità, e mi ricordano i loro primi film: un
minuto di pellicola in cui era la vita stessa a
mettersi in scena».
Claude Lelouch
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Ah, per quanto riguarda
il quesito iniziale, la
soluzione data da Louis
Lumière è semplice e
definitiva e si riassume
in una sola frase:
«Qualcuno può dire,
prima di noi, di
essere andato al
cinema?»
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