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Luca Guglielminetti

DALLA DIASPORA SOCIALISTA

ALL’ASCESA DI MATTEO RENZI

P E Z Z I S P A R S I N E L W E B

DI POLITICA E CULTURA 2000 - 2011

EBOOK BY KORE MULTIMEDIA

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E-publighing by Kore Multimedia - www.kore.it

This work is licensed under a Creative Commons Attribution 4.0 International License.

In copertina rielaborazione di “Sisyphe - Risque systémique” (2011) di H.Delamare

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Luca Guglielminetti

DALLA DIASPORA SOCIALISTA

ALL’ASCESA DI MATTEO RENZI

P E Z Z I S P A R S I N E L W E B

DI POLITICA E CULTURA 2000 - 2011

APPENDICELa vignetta della settimana

2000 - 2001(di Walter Falciatore)

EBOOK BY KORE MULTIMEDIA

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"E' possibile fare il partito di quelli che non sono sicuri di avere ragione? Sarebbe il mio" (A. Camus)

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Sommario

Premessa 10Benvenuti su Socialisti.net 15Perché una e-zine liberalsocialista? Editoriale di presentazione del Nuovo Caffè 16Profilo Homme révolté 19PSI e la morte della sinistra 21Carteggio telematico: Redazione (l.g.) - Bobo Craxi 24Documento per l’assemblea naz. della Lega Socialista. 27Diaspora socialista: tra politica e letteratura 31Psiche e Polis. Coniugare Estetica e Politica 36Il Caffè, un po' di storia. Dai Fratelli Verri ad Internet 38James Hillman. Una presentazione 40La nuova musica zingara: il jazz dei Balcani 43Gli intellettuali italiani alla guerra 47I talebani del giornalismo nostrano 50Perugia-Assisi: tra Capitini e Rosselli continua l'esilio del sociali-smo 53Giuliano Ferrara contro Bobo Craxi 57DS: rischio morte per codardia 59Per andare incontro a Fassino, cominciamo a unire i socialisti dello Sdi e del Nuovo Psi 61Gore Vidal Vs. gli italo-filo-americani 64Rutelli e la giustizia minorile: addio alla laicità 66Titolo: (03.01.02) Un decennio berlusconiano 68L'orizzonte della politica di De Michelis 69Titolo: (10-01-02) Della commemorazione ad Hammamet 71(22.01.02) Da vent’anni il problema dei soldi per la politica 73(25.01.02) Da Popper a Odasso via Forza Italia 76Titolo: (05.02.02) La politica da Nanni a Stefania 78Italia-Inghilterra: tra Nanni Moretti e Ken Loach 80

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Dire qualcosa di centro-sinistra 83Minoranze tra gli opposti estremismi 85Titolo: (15.03.02) II lavoro tra padri e figli 87Titolo: (19.03.02) Sgarbi e la libera stampa 89Titolo: (23.03.02) Sinistra e riformisti e mercato del lavoro 91Titolo: (25.03.02) Il miracolo Cofferati 94Titolo: (30.03.02) Buon Aprile “Correntone”! 96Titolo: (10.04.02) La volontà di Formica 98Titolo: (22.04.02) Cercasi Tony Blair disperatamente! 100Sinistra: un grande futuro dietro di lei 102Elémire Zolla. La mitica generazione dei nuovi dinamitardi d'Oc-cidente 105L'equilibrio precario tra memoria e oblio 109Procreazione assistita: Destra e Sinistra 111Scajola il ministro e Biagi il cococo 113Dalla biologia il nuovo socialismo 115Titolo: (06.09.02) Quella torta di società civile 118W il “Leone d’oro” di Berlusconi 121Titolo: (13.09.02) Unilaterlismo e terrorismo 123Titolo: (24.09.02) A destra di Tabacci 125Titolo: (01.10.02) Il crocifisso tra leggi e religioni 127Titolo: (07.10.02) Mixx Campari 129Titolo: (17.10.02) Oligopoli 131Titolo: (23.10.02) Polito: tu vo’ fa’ l’inglese, ma sei nato in Italy 133Titolo: (30.12.02) L'Avanti (di Lavitola)... avesse contratto l’AIDS! 135Titolo: (21.12.02) Natale 2002: nobili si nasce 137Titolo: (19.01.03) Molto da leggere, poco da sperare 141Bobo Craxi: Route El Fawara, Hammamet 143Titolo: (28.09.03) Black out totale 145Titolo: (08.11.03) L’Isola dei Socialisti… Famosi. 147Cinico Natale: Auguri a... 149

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Infrastruttura scuola 151Le spine della Rosa (nel Pugno) 153Titolo: (25.11.05) Fuori della 'fattoria' prodiana 155Titolo: (01.12.05) Giavazzi: i nodi al pettina della Rosa 157Titolo: (28.12.2005) Democrazia deformata 159Socialisti e Partito Democratico 161Titolo: (31.03.06) Voto Scalfarotto 164Contro i perpetui 166Titolo: (11.04.06) Il ridico e la saggezza 174Titolo: (07.05.06) L'eclissi socialista 176Titolo: (11.05.06) Napolitano europeista 178Generazione U e socialisti: lettera a Stefano Menichini 180Amato come Blank: senatori non dei nostri 182Titolo: (23.05.06) Le tre zapatere 184Titolo: (07.06.06) Socialisti, un popolo da salvare? 185Titolo: (14.06.06) L’occasione di Boselli 187Titolo: (07.07.06) Il momento della verità 189Titolo: (14.12.06) PD, Rosa nel Pugno: in primis sciogliersi 191Capezzone/Diaco: la solitudine “des enfants terribles” 194Dismissioni industriali torinesi: meglio il vecchio sindaco comuni-sta dell’architetto postmoderno 196Crisi della politica: ci vorrebbe un Jean Monnet 198Il coraggio tardivo di Enrico Boselli 200Elezioni 2008: un bagno di sangue? 203La Grande Torino di fronte alle crisi 20610 (buone) ragioni per astenersi dal voto di domenica 208Albert Camus filosofo del futuro 210Camus - Craxi, o l'esilio del socialismo libertario 212Ida Magli: tra attualità e nichilismo 215Innovare partendo dal contratto sociale 219D'Alema e i PM 20 anni dopo 225

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La via mediana di Todorov e la "tentazione del bene" nei procura-tori 227"los indignados" e il "socialismo dei cittadini" 230La mamma (e gli spaghetti) di Erri De Luca 233L'invenzione araba 2011: la democrazia "one2one" 235La deriva giustizialista delle Lettere 237TAV: Et in Arcadia ego 239La profezia di Marshall McLuhan 241Il Caffé sui social network: un bilancio 242La casta (retorica) delle firme 244Sereno, James Hillman, assai meno noi che restiamo 245Finalmente l'Obama de no'altri: Matteo Renzi 247Lo spin doctor di Matteo Renzi 248La fatica della democrazia, o della misura delle parole 251I solidi numi tutelari di Matteo Renzi 253APPENDICE 256La vignetta della settimana 256

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Premessa

Non sono riuscito mai a vedermi come giornalista o blog-ger. Semplicemente da cittadino appassionato di politica, con pregressi giovanili tali da avermi reso consapevole delle ne-cessità di tenermi a debita distanza, e da lavoratore della co-noscenza, con pregressi studi sul ruolo delle gazzette nell'Eu-ropa dei Lumi tale da avermi reso consapevole dell'importan-za della circolazione delle idee, mi sono trovato, come sono ora, dietro la tastiera di un computer a trascorre gran parte del mio tempo.

A metà degli anni '90 la stagione giacobina e ipocrita di Tangentopoli, da una parte, e l'avvento di Internet, dall'altra, mi avevano indotto, politicamente, a diventare socialista, di quelli cattivi, cioè craxiani, e, professionalmente, a diventare un utilizzatore del web, allora mezzo esclusivo di informatici, come strumento mezzo di comunicazione e design.

Entrare nella sede storica del PSI di Corso Palestro a To-rino, ormai frequentata da pochi reduci, e fondare la web farm, Kore Multimedia, sono stati due passi paralleli, tali per cui si aprì la possibilità di sperimentare il nuovo media po-nendolo a disposizione delle idee che valutavo da difendere e promuovere verso quella élite, allora definita cybernauti, scommettendo sul fatto che sarebbe diventata una più ampia agorà telematica aperta a tutti i cittadini.

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Seppur i primi siti sia politici che culturali, con relativi testi, risalgano al 1996/7, rileggendo il complesso degli scritti ho rilevato un ciclo temporale omogeneo negli undici anni definiti (2000-2011): il 19 gennaio 2000 muore Bettino Craxi e pochi giorni dopo apre il portale Socialisti.net e, in seguito, la nuova versione della web-zine Caffè Letterario. A questi, nel contesto di una dimensione collettiva con una specie di reda-zione (a ranghi ridotti e spesso virtuali), si aggiunge il mio blog Homme Révolté, a partire dal 2006, in quella individuale che non mi ha mai troppo entusiasmato. Del resto i primi due iniziavano a languire fino quasi a mummificarsi negli ultimi anni. Il ciclo del mio impegno politico stretto si chiude in ve-ro non nel 2011 ma nel 2012, quando ho costituito un comita-to di socialisti a sostegno di Matteo Renzi per le primarie del centrosinistra: di quell'anno infatti ho aggiunto in coda un solo testo: la recensione a "Stil Novo". Un libro che mi forni-sce l'impressione di chiusura del cerchio: magari solo una impressione illusoria, ma più probabilmente si tratta almeno di una sincrona lunghezza d'onda.

Tecnicamente questa raccolta è una selezione degli scritti che omette i più pedanti o partigiani, quelli presenti in altre raccolte, come quelle sulla poesia e sull'attività della Società Fabiana, quelli che non ho scovato tra le decine di migliaia di post, nonché gli scritti in altri ambiti lavorativi, in particolare tutti quelli sul terrorismo, la radicalizzazione e la sue vittime, che dominano ormai il mio lavoro e il mio blog negli ultimi anni. Alcuni testi saranno più comprensibili ai pochi adden-

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tro alle storie della diaspora socialista con i suoi partitini. Ma il senso generale dei testi mi pare risulti di una qualche utilità per leggere le difficoltà della sinistra storica in quegli anni e scorgervi qualche premesse dell’ascesa di Matteo Renzi oggi.

Devo precisare che per me la scrittura era un corollario di una attività che privilegiava la disseminazione on-line di testi altrui. Non ho seguito corsi di scrittura creativa alla scuo-la Holden, né mi sono mai curato troppo dello stile e della forma di questo testi destinati a forum e blog in una logica di sperimentazione cui allora non era codificato alcun profes-sionismo.

In ogni caso, un debito di riconoscimento lo devo espri-mere verso Roberto Turino che, dalla sua esperienza di gior-nalista e dal ruolo di presidente dell'associazione che gestiva Socialisti.net, ha provato a darmi consigli e suggerimenti di scrittura, con esiti incerti dovuti certamente alla mia testar-daggine. Mi scuso in anticipo per refusi, errori e frasi circon-volute (non me la sono sentita di chiedere un revisione di questi testi a chicchessia).

Evito un bilancio amaro di queste esperienze: la diaspora socialista resta irrisolta e soprattutto la cultura si trova per lo più ancora avvolta nello stridulo suono degli intellettuali del piffero, secondo la dizione di Luca Mastrantonio nel suo re-cente pamphlet. In effetti il suo libro su "come rompere l'in-cantesimo dei professionisti dell'impegno" è stato la molla che mi ha indotto a raccogliere la presente selezione di testi.

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Il bilancio ha tratti anche positivi: il numero di contatti nel 2001 di Socialisti.net: oltre un milione di pagine visitate nell'anno. Le persone che si sono attivate a scrivere sui vari forum o inviare i loro testi per le rubriche del Caffè: alcune le ho poi conosciute di persona, altre sono rimasti amici/che vir-tuali, ritrovati più tardi su Facebook. Alcuni testi di cui sono orgoglioso che sono stati ripresi da altri siti o giornali (non solo l’Avanti di Lavitola!), o la presentazione di James Hill-man che è stata la prima in italiano sul web e la prima in testa ai motori di ricerca per molti anni.

In fondo, seppur Socialisti.net abbia avuto per qualche anno un piccolo contributo mensile da Bobo Craxi, il grosso dell'attività me lo sono permesso in quanto avevo alle spalle la mia micro azienda: precaria sempre, ma viva e vegeta anco-ra oggi dopo 18 anni. Per cui mi sento di affermare con tutta franchezza, che l'esperienza dietro l'eco di questi testi, la pos-so definire al massimo semi-professionismo dell'impegno. La purezza di militanza la lascio volentieri ad altri sperando che, in quando pericolosi, siano piccole schiere.

4 Gennaio 2014

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TRE INTRODUZIONI: LE FONTI

Socialisti.net

(compreso la sua rubrica Oggi in Italia)

Nuovo Caffé Letteraio

Homme révolté

(Blog sul “Cannochiale”)

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Benvenuti su Socialisti.net

(Febbraio 2000)

Questa è la comunità on line dei socialisti liberali italiani che intendono utilizzare il Web come una 'agorà telematica', un luogo di discussione e iniziativa politica avanzato. E' il portale Web del Nuovo PSI, ma anche un libero centro di confronto delle idee sulla costruzione di una Casa Socialista, che superi l'attuale diaspora. Pensiamo che per costruire una nuova prospettiva al socialismo riformista italiano si debba sempre privilegiare un dialogo diretto con la società civile nelle forme di una "lunga marcia" che è propria dei partiti o dei movimenti che scelgono di rappresentare le istanze dei cittadini, dei lavoratori e degli esclusi. Un dialogo, un collo-quio diretto, partecipato e non passivo, con quei 'cybermili-tanti' che si aggirano in questa Rete dove si muove un'artico-lazione più avanzata di società: quella dell'informazione, dei servizi e del sapere.

A tutti coloro è dedicata, e quotidianamente implementa-ta, l'attività di servizi che questo portale Web offre.

(La Redazione [email protected] )

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Perché una e-zine liberalsocialista?Editoriale di presentazione del Nuovo Caffè La Redazione (Novembre 2000)

Mai come oggi ci è sembrato che la cultura italiana di si-nistra sia stata più sciocca e conformista, forse più che al ser-vizio del poteri economici finanziari neoliberali, semplice-mente incapace completamente di produrre idee in sintonia coi tempi. La sua perdita di identità e di valori nasce da un carattere ormai coatto di rinuncia: quasi si trovasse sotto 'vuo-to spinto'. La sinistra oggi dominante ha rinunciato a tutto: alla laicità, al garantismo, a costruire un progetto di società. Si dice che sia morta. Diciamo allora: viva la sinistra!

Così come ricomincia la lunga marcia di un Nuovo Partito Socialista, noi vogliamo ricominciare a produrre idee, storie, forme e progetti. Se i partiti, o quel che resta di loro, non so-no più capaci di organizzare il discorso pubblico degli italiani (e in Italia, ormai è chiaro, non ne sono più capaci), è giunto il momento in cui inevitabilmente chi ha la nostra tradizione politica deve iniziare ad esprimersi attraverso nuovi spazi di organizzazione della cultura e dell'opinione.

Il Nuovo Caffè Letterario vuol essere questo. Uno spazio aper-to al contributo di chiunque senta e l'urgenza di uscire da quel 'vuoto spinto' e la necessità di inquadrare in un contesto

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culturale  appropriato - cioè là dove si declinano libertà indi-viduali e diritti sociali - l'operato e le scelte politiche del Nuo-vo PSI.

In ambito più ampio, possiamo dire che la sinistra in Oc-cidente ha avuto successo nel migliorare le condizioni gene-rali di vita,  ma non ha avuto successo nel proporre il suo progetto di società. Oggi si tratta di ridisegnare quel progetto evitando di ripetere quell'atteggiamento di rifiuto verso quan-to c'era e c'è di positivo in culture alternative: l'approccio in-tuitivo, magri irrazionale ma rispondente al bisogno di "mi-stero e sacro" che le chiese istituzionalizzate trasformano in una teologia della rassegnazione, il promuovere istanze egua-litarie con un processo di crescita personale che non attende il suo sviluppo da condizioni esterne. 

La democrazia vincente ha sconfitto con le armi il totalitari-smo di destra, ha sconfitto con la competizione economica l'autoritarismo di sinistra: è vincente, però registra un conti-nuo declino di partecipazione. Il rischio oggi è quello di una sostanziale dittatura delle oligarchie. Oligarchie cui interessa poco se governa un centro-sinistra o un centro-destra. Il loro potere nasce, e rischia di diventare incontrollabile a causa dal sempre maggiore deficit rappresentativo che esprime la poli-tica. Ma una politica senza idee e cultura non potrà mai con-trastare questo contrazione di democrazia, che poi sarà di li-bertà, di trasparenza, di giustizia e di pari opportunità.

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Se questa Italia, questa Europa o questa Globalizzazione, non ci piacciono così come sono, lo sforzo sarà quello di ricom-porre un quadro che configuri una interpretazione diversa della realtà nella quale viviamo e che abbia la forza di dare un corso alternativo al fiume di idee oggi egemoni. (la redazione del Caffè)

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Profilo Homme révolté

(2006-presente - Blog)

Vivo a Torino quando non sono in giro per l'Europa co-me socio di due imprese che si occupano di comunicazione multimediale, euro-progettazione e relazioni internazionali nel settore culturale. Dal 1997 sono direttore della web-zine "Nuovo Caffè Letterario" e ho diretto per 10 anni il portale politico Socialisti.net. Consulente dal 2001 dell'Associazione Italiana Vittime del Terrorismo (Aiviter) e collaboratore, dal 2011, della Direzione Generali Affari Interni (DG Home) della Commissione Europea sui temi della radicalizzazione violen-ta.

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TESTI SPARSI NEL WEB

2000 - 1011

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PSI e la morte della sinistra

Da: Luca Guglielminetti, per la Redazione di SocialistiPuntoNetData: 6/22/00

PRIMA PARTE

“La sinistra è morta, purtroppo. Ci restano i giustizialisti chic alla Folena che definiscono la candidatura a sindaco di Milano di un simpatico miliardario come Moratti, “il riscatto degli umili”. Assurdo. Diciamo allora che la sinistra ha chiuso, non c’è più, L’ultimo spenga la luce.” Finisce con la desola-zione sullo stato della sinistra l’analisi di Paolo Pillitteri in una intervista al Resto del Carlino. Chi, come Paolo, ha vissu-to tutto l’orrore di Tangentopoli sulla propria pelle, oggi vede concludersi l’era del giustizialismo. La fine di un’era che si chiude nel contesto dello sfascio dell' attuale sinistra.

Non siamo certamente interessati a conoscere, già lo sap-piamo, il perché “questa sinistra” stia marcendo nell’alveo del fiume arido che si è scavata in questi anni. Il punto è che oc-corre il coraggio di dirci, fra noi, e poi dirlo ai cittadini italiani quali siano state le responsabilità del PSI nell’involuzione drammatica della sinistra italiana. Involuzione che data pre-cedentemente l’era di Mani Pulite.

E’ stata chiesta, in questi anni, ai post-comunisti una au-tocritica seria sul loro passato: l’analisi che sono stati in grado

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di fare i DS la conosciamo bene e i risultati li stanno veden-do. Son rimasti in mezzo al guado e ora pagano. Ma il PSI, padre della sinistra italiana, non aveva veramente nulla da rimproverarsi?

Sappiamo tutti benissimo che cosa sia stata Tangentopoli: l’accanimento giudiziario, mediatico e politico subito dal PSI è stato drammatico, tragico e senza eguali. Ma delle scuse, per la parte di colpa spettante al PSI, gli italiani non se le merita-vano?

Quello che non si comprende è il motivo per il quale la Lega Socialista dovrebbe confondersi, come cespuglio, al-l’ombra del centro-destra, oggi che la guerra è al termine e la sinistra moribonda.

Facciamo un’analisi seria anche della nostra storia e ri-prendiamoci il posto che ci spetta!

Sia la Lega Socialista a “riaccendere la luce”!

SECONDA PARTE

Cicchito e Boniver pare che le radici in FI le abbiano ben salde e ci sono approdati solo da un anno: altri tipo Frattini, Baget Bozzo, Contestabile sono dei "pilastri" del partito di Berlusconi. Il primo esponente del PS entrato in contatto con una giunta regionale del Polo ha subito sposato le tesi di Sto-race sul Gay Pride...

Credo, insomma, che siano molto deboli i contorni che permettono di definire oggi un socialista come tale. Per que-sto andiamo ripetendo che urge un confronto con il dibattito

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europeo in seno alla socialdemocrazia, che definisca chiara-mente temi e politiche prioritarie e distintive in grado di ridi-segnare i confini, oggi confusi, tra destra e sinistra.

Se si considera prioritario il fatto di ripensare e rifondare la sinistra, occorre poi, che la verità storica sia raccontata tut-ta. Quanto si è patito nel corso di Tangentopoli non ci esone-ra dal fatto di ripensare anche alla parte di responsabilità che riguarda il PSI: saremmo difficilmente presentabili come ere-di di quel partito senza chiarire all'opinione pubblica anche quelli che sono stati gli errori e le deviazioni subite dal parti-to.

Solo dopo questo doppio chiarimento - sul versante di un programma di respiro "europeo" e su quello della propria storia - pensiamo che la Lega possa compiere le migliori scel-te tattiche e strategiche.

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Carteggio telematico: Redazione (l.g.) - Bobo Craxi

Da: La redazione di SocialistiPuntoNet - Bobo CraxiData: 6/23/00

R.- Redazione B.- Bobo Craxi

R.- Carissimo Bobo. Consideriamo, l'operazione di vertice condotta dalla Lega e il PS negli ultimi giorni, un deviazione dai presupposti fondanti della stessa Lega Socialista. Un'ope-razione destinata al sicuro fallimento: l'elenco dei compagni che richiedono la cancellazione dei loro nominativi dall'elen-co degli aderenti alla Lega è costante e significativa. La stessa Redazione di questa Comunità ha espresso, in precedenti contributi sull'Area di discussione del sito, tutte le sue per-plessità e critiche in merito all'operazione in oggetto. (...) Esi-ste un forte richiesta di chiarezza. Un abbraccio fraterno. La Redazione di SocialistiPuntoNet, Luca Guglielminetti, Rober-to Turino e Caterina Simiand.

B.- Capisco la richiesta di chiarezza . Doveva essere fino dall'inizio chiaro che il nostro interesse era guidare un per-corso politico. Ma quale fosse era abbastanza sottointeso. L'ho detto anche a Roma che il percorso é necessariamente a zig-zag. Il Psi non c'é più e non potrà più esserci. C'é un ispira-zione craxiana che intendiamo salvaguardare e cercheremo di farlo nel migliore dei modi possibili. Certo non possiamo in

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questa fase allearci con i ex-post-neo comunisti. Bobo ci ve-diamo presto.

R.- Siamo d'accordo su tutto: non mi pare che nessuno abbia mai parlato di alleanza con gli ex o post comunisti... an-che sul forum del sito sono poche e isolate tali posizioni. Ma puoi riscontrare facilmente che sul medesimo forum, che è uno dei pochi strumenti che permettere di monitorare il "sentire" di un campione significativo del popolo socialista, sono altresì poche le voci favorevoli ad una tattica di accordo con la Casa delle libertà. Mantenere un equidistanza dai poli fino a quando non si sia rafforzata organizzativamente la Lega e chiarire e sviluppare i suoi programmi e i temi politici d'in-tervento, mi pare sia la posizione maggiormente rappresenta-tiva: almeno da quello che possiamo trarre da questa partico-lare postazione "virtuale". Mi auguro ci si possa vedere presto. Ciao.

P.S. Ti allego un estratto di un recente contributo della compagna Simiand della redazione di SocialistiPuntoNet (si veda articolo in archivio#5 “Dei tempi e dei metodi”, n.d.r.).

B.- Il contributo della compagna SIMIAND lo avevo già letto e naturalmente lo condivido. Così come condivido quel-lo che tu dici ovverosia: Prima la costituzione di un PSI auto-nomo e poi semmai l'adesione o l'alleanza con FI. Argomento che di fatto sin dalla sua nascita la Lega , pur esaltando la sua caratteristica autonoma aveva promosso come piattaforma po-litica. Allora , mi si domanda, che cosa precipita una scelta di

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unità e di adesione alla Casa della Libertà?. Io non voglio commettere l'errore già compiuto l'anno scorso di ridurre ad un unico soggetto socialista e di non riuscirvi. L'errore di considerare strategica un alleanza che considero solo tattica , da sviluppare in una fase che considero straordinaria non so-lo nella vita dei socialisti Italiani ma in quella del paese. For-mulo una domanda: Ma difendere una posizione di un Partito piccolo piccolo, dall'identità confusa , in una alleanza di sini-stra per giunta non perdente ma sconfitta dagli elettori in cui si é tentato in tutti modi di eliminare la componente socialista é forse meglio di un alleanza con il Partito che "ospita" e non da oggi i nostri elettori e che consente di sviluppare un'ipote-si di alleanza elettorale con altri soggetti di ispirazione laica e concorrere al 4% ripresentando un simbolo politico che é la tradizione del PSI a cui tutti abbiamo appartenuto. Berlusco-ni sia detto per inciso non sarà mai il mio padrone , ma il mio alleato se si vuole e se intende esserlo. Certo non é il mio car-nefice. Ti vedrei volentieri grazie per le vostre critiche tempe-rate, perché colgono un aspetto politico che discutiamo molto fra di noi. Qui non ci si vende certo l'anima per un posticino, mio padre questo me lo ha insegnato. Tuo Bobo.

P.S. Se ritieni opportuno puoi rendere "pubblico" questo nostro carteggio anche agli altri utenti di SOCIALISTINET Comunità virtuale e virtuosa dei socialisti in Italia e (come vedo) anche all'estero.

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Documento per l’assemblea naz. della Lega Socialista. 

Da: La Redazione di SocialistiPuntoNet*Data: 5/26/00

Perché abbiamo costruito una comunità virtuale socialista su Internet?

Noi siamo convinti che si debba tentare la ricostruzione di un Partito Socialista Italiano, consapevole della sua storia, come degli errori e delle sue deviazioni, ma anche forza de-mocratica, riformista, laica, garantista, aperta a tutti i cittadini. Siamo convinti che per tentare questa impresa sia necessaria una cesura con il più recente passato. Questa rottura deve es-sere reale; cioè non semplicemente annunciata o apparente. E’ la parte più delicata e difficile del tentativo, perché negli attuali partiti socialisti della diaspora sono presenti ed in-fluenti non pochi dirigenti e protagonisti degli ultimi dieci anni. Sono uomini d’ingegno e di esperienza di cui il paese oggi avrebbe ancora necessità. Ma essi sono protagonisti di un altro tempo, capitani di altre avventure. La loro presenza arma un battello carico di rancori e di rivalsa, di intrecci e di legami tenaci e condizionanti, mentre solo una proposta lim-pida e serena - identificabile come tale -, può permettere il varo del Nuovo Partito Socialista che raccolga l’attenzione de-gli elettori. Con questa premessa, essere presenti solo su In-ternet, ha quindi - per i SOCIALISTIPUNTONET - il senso

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di un rifiuto del vecchio rituale della sezione e del conseguen-te sistema della gestione e della garanzia del consenso.

Perché siamo per un’azione politica nella Rete?Ci sembra chiaro che la dignità della nostra storia non si

può riscattare sotto altre bandiere e che ricostruire una forza politica richiede tempo e qualche rinuncia. Gli esponenti de-gli attuali partiti socialisti hanno potuto constatare che la loro forza elettorale rende dubbia una presenza parlamentare au-tonoma. Sono quindi pressati dalla realtà di qualche seggio che garantisca la sopravvivenza e un minimo di visibilità. Alla luce dei risultati, questi calcoli si riducono sempre più alla mera sopravvivenza dei singoli. Cosicché, anche se così non è, gli attuali apparentamenti assumono più l’aspetto del soddi-sfacimento di singole necessità, che vigorose scelte di campo. Infatti il dialogo dei due partiti della diaspora socialista è tut-to interno all’establishment politico e tra gli addetti ai lavori. Questo atteggiamento di vertice si riflette anche alle periferie dove i minimi resti di un grande partito si consumano tra una questua ed un servigio. Quasi totalmente assente è la volontà di dialogo con i cittadini: l’affrontare la realtà dei problemi è visto come un inutile esercizio dialettico. Anche in questo i due partiti continuano a mimare l’ultimo PSI, quello degli anni Novanta. Una dimostrazione in più di come sia vitale troncare con il passato, se vogliamo rivivere. In Rete si muove un’articolazione più avanzata di società: quella dell’informa-zione, dei servizi e del sapere e s’instaura un colloquio diretto, partecipato e non passivo. Essere “on line”, stare nella Rete è

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quindi - per i SOCIALISTIPUNTONET - scegliere di uscire dalle vecchie ritualità, dalle rendite di posizione, dalle logiche referenziali. Ci siamo posti l’obiettivo di contribuire a riunifi-care i socialisti nell’ambito della Lega Socialista, perché la premessa della riunificazione ci sembra preludio a qualsiasi rinnovamento. La Lega stessa non può, però, formarsi ad im-magine dei due partiti socialisti o di uno soltanto. Se la preoccupazione sarà solo quella della visibilità istituzionale, allora dovremo chiederla ai DS o a Forza Italia. E gli elettori, giustamente, voteranno per questi due partiti, forse eleggendo qualche “socialista” all’interno di quelle liste. A noi non sem-bra che questa scelta sarebbe la migliore. Ci pare che sia da privilegiarsi un dialogo diretto con gli elettori nelle forme di una “lunga marcia” che è propria dei partiti o dei movimenti che scelgono di rappresentare le istanze dei cittadini, piutto-sto che la necessità dei dirigenti. Ci sono esempi dei movi-menti e dei partiti che negli ultimi dieci anni non hanno avu-to visibilità televisiva, eppure ce l’hanno fatta. Queste forze hanno scelto di battersi sui problemi concreti della gente. Per questo, e per la schiettezza dei dirigenti, le loro proposte sono apparse “sincere”. Esiste, ovviamente, la necessità più imme-diata di collegare altre forze a noi affini. Gli apparentamenti della nostra Lega sembrano basarsi, allo stato delle cose, più su necessità di schieramento che su programmi sia pure cir-coscritti. Anche il progetto di una Federazione liberale e so-cialista non può assumere connotazioni di subalternità a que-sta o quella forza politica nel tentativo di una visibilità che risulterebbe puramente mediatica. E sarebbe altresì un grave

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errore di valutazione politica non avvedersi dell’importanza di un dialogo a sinistra, in primis con lo SDI o con alcuni suoi esponenti, in un momento finalmente propizio per un muta-mento dei rapporti di forza con i diessini e con lo schiera-mento maggioritario ripetutamente battuto dalle urne. Il ri-chiamo storico è ideale, insito nella scelta del nome “Lega Socialista” che fu di Turati e di Anna Kuliscioff, è al riformi-smo istituzionale, è alle fonti originali del Partito Socialista Italiano. Quindi, non sarebbe per noi vano battersi per rista-bilire lo Stato di diritto, ridare dignità e pienezza di decisio-nalità al parlamento e certezza alle leggi. Su questi fondamen-ti si ritroverebbe sia il partito che un elettorato motivato. Su questi fondamenti si misurerebbero più concretamente le al-leanze e i compagni di viaggio.

*Questo testo, come molti altri, è firmato collettivamente dalla Re-dazione senza sigle. Francamente non ricordo chi lo abbia scritto. Lo inserisco per chiarezza del contesto, scusandomi eventualmente con Roberto Tutino e Caterina Simiand

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Diaspora socialista: tra politica e letteratura

Da: la Redazione del Caffè (l.g.)Data: 12/10/00

C’è da domandarsi se la questione della collocazione so-cialista, dall’esilio di Craxi all’attuale diaspora, non sia tanto una fatto di scelte politiche, quanto piuttosto un fatto lettera-rio.

Per spiegare questa impressione, che ha il sapore della provocazione, mi servirò di un aneddoto che mi è stato riferi-to recentemente.

Si è tenuta in Piemonte un riunione della “componente” socialista di Forza Italia, presieduta da Fabrizio Cicchitto. Sol-lecitato dai compagni intervenuti sul tema della Lega Sociali-sta e il Nuovo PSI, l’argomentazione più forte utilizzata da Cicchitto per spiegare che l’operazione non ha speranze ed è inutile prendere in considerazione “un ritorno alla casa co-mune” è stata la seguente: "quel poveretto di Bobo si è preso con se Martelli, dimenticando che egli è uno degli assassini di suo padre".

Le parole precise non le conosco ma il concetto era sicu-ramente questo. Del resto abbiamo ospitato anche su questo forum interventi che avvallavano lo stesso concetto e che non a caso erano giunti da chi oggi è in Forza Italia.

Quello che mi preme non è naturalmente un difesa d’uf-ficio di Martelli, che sul tema del suo operato nel periodo cri-

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tico ha già dato abbondanti ragguagli su L’Avanti, ma sottoli-neare la natura poco politica di un’argomentazione che è ormai da anni un luogo comune di molte discussioni sulla diaspora socialista. I luoghi comune sono in verità due: uno riguarda Bobo Craxi ed è una sostanziale applicazione del detto che i figli dei grandi sono per forza un po’ dei poveretti perché si scontrano con una eredità cui è difficile, se non im-possibile, confrontarsi uscendone vincitori; il secondo riguar-da Claudio Martelli, il delfino di Bettino, cui si addebita il ruolo di Bruto nel Giulio Cesare di Shakespeare: uno che ha accoltellato alle spalle l’uomo cui doveva tutto.

Questi che ho chiamato “luoghi comuni” sono in verità dei topos letterari delle tragedie ed è dal loro frequente utiliz-zo nell’interloquire tra compagni che scorgo il dato che rende la questione della diaspora socialista un fatto che ha spesso molto di letterario e poco di politico.

Ad avvallare questa tesi c’è una valanga di pubblicistica di questi ultimi anni nella quale il tema sostanziale delle due fazioni si riduce a questi due enunciati: “non si può stare con chi ci ha perseguitato durante Tangentopoli” e “non si può stare con chi ci ha perseguitato durante il Fascismo”. Quasi che il motivo delle scelte di campo tra centrodestra e centro-sinistra sia riconducibile al fatto di avere un padre perseguita-to piuttosto che un nonno.

Il dato da valutare è se la cosiddetta Tangentopoli non sia stata vissuta dagli attori principali della diaspora con i crismi

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dello svolgimento di una tragedia nazionale e non si siano avveduti molto (oserei dire quasi abbiano “rimosso”) il fatto che si trattò di una crisi politico-culturale nazionale con ri-svolti internazionale. Lo scenario costituito dal declino del secolo socialdemocratico che è andato a sovrapporsi alla ca-duta del Muro di Berlino, ha posto il socialismo tutto, cioè in entrambi i suoi risvolti comunista e socialdemocratico, in uno stato di “crisi”. In Italia questa “crisi”, che è di natura ideolo-gica oltre che politico-istituzionale, ha assunto per il PSI il carattere della tragedia con i suoi annessi fattori di paradosso ed inspiegabilità: la tradizione socialdemocratica, il PSI, che aveva storicamente maggiori ragioni si è dissolto a fronte di una resistenza di molto maggiore dei post-comunisti che ad-dirittura arrivano al governo del paese, quasi sostituendo in tutto il ruolo politico precedentemente ricoperto dal PSI.

Chi ha cercato di spiegare questo paradosso, come Lu-ciano Cafagna, in termini storico politici quasi solo interni al PSI, non ha trovato risposte dotate di significato, anzi ha ad-dossato a Bettino Craxi altre colpe che veramente non erano sue (la riforma istituzionale e il compimento di un passaggio alla modernità per l’Italia non poteva veramente farle chi rappresentava un partito che continuava a non superare il 15% dei consensi).

Se invece ragioniamo in termini antropologici e osser-viamo come il linguaggio degli esponenti della diaspora non sia una retorica solo politica ma anche letteraria di attori che

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hanno vissuto sulla scena di una tragedia e sulla quale si ri-trovano oggi a dover scegliere tra carnefici più o meno vicini nel tempo, allora possiamo scorgere il panorama della diaspo-ra socialista sotto una luce diversa. Occorrerebbe, ad esempio, capire che l'esilio di Craxi, non ha solo una corrispondenza letteraria con quello di Garibaldi ma anche una, più significa-tiva, con lo stato di esilio del socialismo dal mondo Occiden-tale. Dobbiamo essere consapevoli del fatto che stiamo giudi-cando personaggi che sì sono della politica, ma che si ritrova-no ad essere anche attori di una tragedia nella quale la politi-ca delle volte è solo un fondale. Dire che Martelli è uno degli assassini di Craxi non è usare una metafora forte del mondo politico, ha una carattere crudo che rimanda ad un fatto quasi reale che si compone delle peculiarità della tragedia. Dire che Bobo Craxi è un debole disattento e dimentico, rimanda alle figura amletica del principe debole di una tragedia di Sha-kespeare.

Se volessimo valutare questi personaggi in questa chiave potremmo dire allora che tra un Martelli che da consigliere della ministra Turco passa nel limbo rappresentato oggi dalla Lega Socialista e chi, come Cicchitto, si trova col sedere al caldo nel grembo di Forza Italia, una differenza c’è, eccome: chi è stato capace di coprire un ruolo “da Bruto” ha coperto in ogni caso un ruolo degno di una tragedia la cui difficoltà è l’esatto opposto del fatto di accomodarsi al caldo (vale in FI quanto nei DS) senza far nulla se non difendere la propria storia personale, che in quanto personale non ha nulla di ne-

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cessariamente socialista: la storia socialista è fatta di storie sociali.

Per tornare invece al tema dell’attualità del futuro PSI, possiamo dire che il fatto che il delfino Bruto (Martelli) e il figlio del Gigante (Bobo) abbiano trovato la forza e il senso di allearsi può avere una valenza assai diversa proprio in base ai linguaggi che adotteranno. Se continueranno il percorso co-me personaggi ‘vittime’ di una tragedia, il cui operare si limiti alla resa dell’onore e del valore della loro storia o di quella dei loro padri, il futuro sarà incerto; se, viceversa, avranno il coraggio di tornare alla politica “reale”, nel senso di non lette-raria, priva cioè dei gravami psicologici rappresentati dai ter-mini della tragedia, il futuro sarà un po’ più certo. Questo si-gnifica che il successo politico del progetto della Lega Socia-lista e del Nuovo PSI, è legato a come verrà percepito il lin-guaggio “politico”, piuttosto che “letterario”, tanto da parte degli attori (i dirigenti) quanto da parte del pubblico (i mili-tanti e gli elettori).

Per concludere, la storia di un Nuovo PSI si potrà scrive-re solo se si saprà uscire dalla dimensione letteraria della tra-gedia per tornare ad immaginare idee che, guardando in fac-cia la realtà presente e futura, tolgano il socialismo dal suo stato di esilio: per questa via si potrà ottenere proprio il rico-noscimento del carattere tragico dell’ingiustizia subita anche da parte della Storia.

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Psiche e Polis. Coniugare Estetica e Politica

(2000 - Nuovo Caffè Letterario)

"Sì, il grande evento del nostro secolo è stato l'abbando-no dei valori di libertà da parte del movimento rivoluzionario, la progressiva ritirata del socialismo della libertà davanti al socialismo cesareo o militare. Da quel momento ogni speran-za è sparita dal mondo, ed è iniziata la solitudine per ogni uomo libero". (A. Camus)

Partiamo da queste attualissime parole di Albert Camus del 1953 per proporre un itinerario che declini il disagio psi-chico con quello politico. Un itinerario che cerchi di illumi-nare come una certa cultura "eretica" abbia inteso creare una connessione tra quegli ambiti che il pensiero cristiano prima, quello cartesiano poi e quello nichilista più recentemente, hanno sempre mantenuto rigorosamente separati: quello in-dividuale e quello sociale, il mondo interno e il mondo ester-no, quello del "fare anima" e quello del "fare politica".

L'intento è quello di smascherare una delle maggiori mi-stificazioni della cultura dominante e riparare ad un convin-cimento della sinistra che è stato suo errore storico: la pre-sunta non declinabilità tra irrazionale e razionale, o meglio la presunta cesura tra la sfera individuale (psiche) e quella pub-blica (polis).

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Vorremmo denotare come il concetto di sviluppo infinito del progresso e del mercato, classici della cultura scientista e capitalista, porti come conseguenza oltre al restringimento degli spazi democratici, dei diritti sociali e dell'ambiente, (cioè di attività politica, sindacale e civile) anche un disagio nell'attività psichica, estetica e sessuale.

Questa parte del Nuovo Caffè Letterario vuole insomma indurre verso una congiunzione tra i temi della bellezza e quelli della politica, non solo considerandoli al pari strategici, ma soprattutto per evidenziare una volta per tutte la connes-sione che esiste tra disagio psicologico (che si riflette nell'am-bito dei rapporti interpersonale) e il disagio politico/sociale (che si riflette - a sua volta - verso il sistema culturale delle idee).

(la Redazione del Caffè)

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Il Caffè, un po' di storia. Dai Fratelli Verri ad Internet

(Dicembre 2000 - Nuovo Caffè Letterario) E' quasi un luogo comune nella storia della sinistra ri-

formista far coincidere la sua nascita col movimento illumini-sta che in Italia ebbe epicentro nella Milano del "Caffè" (1764-66). Promosso dagli scrittori e polemisti Pietro e Ales-sandro Verri, Cesare Beccaria, Gian Rinaldo Carli e quant'altri iniziarono ad elaborare idee nello spirito dell'Enciclopedia, cioè in una lingua svelta e diretta atta a riformare, il "Caffè" resta il capostipite di una lunga storia di pubblicazioni mila-nesi ("il Conciliatore", il "Politecnico", "Il Crepuscolo") cui la "Critica Sociale" di Filippo Turati è stata la più coerente con-tinuazione ideale.

Ci sono poi stati gli epigoni del "Caffè" che hanno anche mantenuto il nome della bevanda... ma arriviamo ad Internet e a Torino, la 'net-capitale' della Web-Generation.

Data 1997 la prima esperienza di Net-Caffè italiano che in qualche modo cercasse di ancorarsi ad una cultura da Enci-clopedia. Un'esperienza, quella del 'vecchio' Caffè Letterario, che nonostante il suo carattere disorganico e la sua articola-zione da zibaldone, poniamo come punto d'origine dal quale ripartire oggi, in una situazione rinnovata nella quale si ha l'impressione che gli spazi per l'agire politico e culturale si stiano riaprendo.

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<<Questo libro è scritto per persone che si trovano in una disposizione amichevole nei confronti dello spirito che lo anima. Tale spirito è diverso da quello della grande corrente della civiltà europea e americana in cui tutti noi ci troviamo. Questo si esprime in un progresso, in una costruzione di strutture sempre più grandi e più complesse, l'altro, in un'aspirazione alla chiarezza e alla trasparenza delle strutture, qualunque esse siano.>>

Riportiamo queste righe della prefazione di Wittgenstein alle sue "Osservazioni filosofiche", per sottolineare uno dei propositi metodologici che utilizzeremo (e che invitiamo ad utilizzare a coloro che intendono collaborare con il Nuovo Caffè Letterario) per questo tentativo di divulgazione delle coordinate del pensiero liberalsocialista: cercare la chiarezza in tutte le cose che andremo trattando, la trasparenza sotto la loro strutturata complessità.

Vorremmo pertanto che sia chiaro a quanti ci leggono e a quanti vorranno con noi collaborare che il fine del Nuovo Caffè Letterario è quello di aiutare ad interpretare lo stato delle cose come modalità per giungere a un atto conoscitivo di natura sociale, e non come gusto individuale, eccentricità curiosa, o estetismo fine a se stesso.

(la Redazione del Caffè)

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James Hillman. Una presentazione

(2000 - Nuovo Caffè Letterario)

James Hilllman, psicanalista americano (Atlantic City 1926) ha iniziato una revisione del pensiero psicologico par-tendo dalla tesi che tutti gli attuali approcci psicoterapici non tengono conto dell'aspetto sociale del disagio psichico, prefe-rendo rivolgersi quasi esclusivamente al mondo interno del paziente e, quindi, secondo Hillman, da un lato, fallendo nel-l'intento di promuovere il senso critico e la creatività e, dal-l'altro lato, riuscendo soltanto a omologare il paziente ai valo-ri conformistici della società.

Hillman invoca costantemente in tutta la sua opera il ri-torno agli Dei, come forze dell'"immaginale", potenze arche-tipiche che hanno potere sulla psiche, di fronte alle quali l'uomo si "ammala", si "aliena dal mondo" se non si emancipa da una visone monoteista, se non si lascia condurre verso l'universo plurale delle forme della mitologia greca.

Dello psichiatra elvetico Jung, Hillman mantiene il gran-

de valore attribuito alla nozione di "anima": la vera grande assente dal dibattito psicologico-culturale dell'Occidente, co-stretta tra le idee di spirito e corpo. Il concetto di anima ci viene proposto in chiave di "psicologia della liberazione", che lo affranca dal soggettivismo, restituendolo al mondo dal qua-

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le è stato bandito dai tempo di Cartesio, <<se non prima e in misura ancora più devastante dalla divisione cosmologica cri-stiana che assegnò a Cesare il mondo e a Cristo l'anima.>>(*)

Ma in parte rielabora alcune acquisizioni junghiane per svilupparle in direzioni spesso opposte e cosi in verità ci tro-viamo a pieno titolo nel bel mezzo dell'ambizioso progetto di tracciare una vera e propria "mappa mitologica" della nostra anima "greca e politeista", un progetto che addita all'Occi-dente un sentiero "non più interrotto", percorrendo il quale sia possibile uscire fuori dalle secche nichilistiche in cui i vari letteralismi del pensiero metafisico classico l' hanno alla fine costretto (compie insomma l'esatto capovolgimento della tesi espressa da Heidegger in Essere e tempo).

In (re)visione dell'analisi quella svolta da James Hillman che conduce ad altrettante revisioni dei linguaggi utilizzati tanto nella patologia psichiatrica come in quelli dell'estetica, con risvolti chiari ed evidenti in quelli che sono le attività umane del "fare anima" e del "fare politica". Infatti non è dif-ficile scorgere nell'attività rappresentativa costituita dalla sua opera la connessione con le attività di legittimazione di chi lotta contro l'economicismo postmoderno, la devastazione ambientale, il gigantismo e la bruttezza della città, l'"ottundi-mento psichico" del conformismo e l'"anestesia" provocata dalla cultura scientista e tecnologista.

Proporremo quindi una serie di abstract dei suoi libri nell'ottica di suggerire una risposta al problema posto da

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Camus: la necessità cioè di riaprire la guerra di Troia, per tor-nare ad impossessarci di Elena, la bellezza. Liberare - come dice Hillman - Afrodite dal suo ambito uranico, trascendente e celestiale per tornare a renderla immanente e manifesta (nuda "anima mundis").

(*)J.H., L'anima del mondo e il pensiero del cuore,1993, Garzanti editore (pag.8)

(Luca Guglielminetti)

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La nuova musica zingara: il jazz dei Balcani

(2002 - Nuovo Caffè Letterario)

"Dotati di un senso musicale d'incredibile profondità, certamente sconosciuto a qualsiasi altro popolo" ha scritto Franz Liszt a proposito degli zingari, in un saggio del 1859. C'è da chiedersi se esiste una connessione tra la tale "profon-dità musicale" e i dati antropologici di un popolo in diaspora, spesso perseguitato e violentato.

E' certamente un popolo strano quello che designa il ieri e il domani con la stessa parola, che non ha un verbo per tra-durre il termine "avere" (bisogna comporlo con un "a me è, a te è...). Un popolo nel quale non esiste il concetto di eredità. Ogni zingaro deve costruirsi il suo patrimonio da solo. Gli zingari sono, come gli ebrei, un popolo in costante diaspora, senza precisa dislocazione geografica: un popolo senza patria, l'unico popolo del mondo senza patria - e quindi anche l'uni-co popolo al mondo che non abbia mai combattuto una guer-ra.

Anche questi pochi dati esemplificativi sono in relazione con tutta la musica che conosciamo e apprezziamo in forma indiretta, attraverso le "rielaborazioni" di classici come Brahms o in forma diretta ad esempio attraverso i film di Emir Kusturica Underground e le Temps des Gitanes con la

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musica della Banda per matrimoni e funerali di Goran Brego-vic'?

Sappiamo che gli zingari utilizzano con grande passione e capacità il linguaggio musicale basando la costruzione dei brani su due elementi di fondo: l'apprendimento, come per la lingua parlata, di arie e melodie popolari dai luoghi di pas-saggio e l'estro individuale particolarmente esaltato dalla pra-tica molto frequente dell'improvvisazione. È difficile indivi-duare una musica originale zingara. Si possono riconoscere però stili diversi, come fra i gitani e gli tzigani, dove però l'elemento comune rimane l'utilizzo di un filo conduttore prescelto su cui poi avviare fioriture, cesellature, arabeschi.

Se si ricercano elementi di continuità nella presenza dei loro canti, si può verificare che la cultura slava ha dato un contributo determinante con la sua forte influenza sui princi-pali ceppi linguistici zingari immigrati in Europa da est.

Nella tradizione esiste una netta distinzione fra canto ed esecuzione strumentale, il primo rimane rivolto all'ambito ristretto della comunità ed è puramente sentimentale, mentre l'esecuzione di motivi strumentali per violino, chitarra, ottoni, viene fatta per professione, cioè dietro pagamento.

Oggi lo stato dell'arte della musica degli zingari è leg-germente diverso: si sono sviluppate formazioni che coprono entrambi i versanti vocale e strumentale (i Bratch o gli Ando Drom) ed altre come Bregovic' che restano fedeli alla tradi-zione strumentale o i Kaly Jag che, viceversa, restano fedeli

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alla tradizione vocale segnata al massimo da una sottile linea strumentale di accompagnamento ritmico o di controcanto.

Nel caso della banda di Goran Bregovic' troviamo l'in-

fluenza dello stile delle bande militari dell'impero ottomano: siamo di fronte ad una musica ibrida ai confini del mondo in un cocktail irresistibile di musiche balcaniche ricche di echi arabi, turchi e mediorientali in un turbinio di ritmi che le forniscono un certo "groove" che la rende sempre riconosci-bilissima. E' difficile non percepire un parentela con l'in-fluenza delle bande militari della Luisiana sull'origine della Jazz band in un confine del mondo come era New Orleans. Anche quelle bande, dove si formarono King Oliver e Luis Amstrong, entravano in servizio in occasione di funerali e ma-trimoni. "Groove", del resto, definisce un ritmo trascinante e 'sporco', cui sono specializzati gli ottoni con i loro reiterati 'riff' a velocità e volume crescente.

Se il dato primario degli zingari è la capacità (necessità) di adattarsi a contesti sociali sempre nuovi, cui prestare atten-zione per percepire quanto serve per sopravvivere, è ben pos-sibile che, come per i neri americani, prestando orecchio a quanto le tradizioni musicali popolari fornivano nei contesti dei luoghi nei quali si aggiravano abbiano condotto a queste strepitose "sintesi" o "rivitalizzazioni" di tradizionali arie in forme dotate di una autonoma cifra stilistica. Del resto, sia col jazz che con la musica zingara strumentale siamo di fronte alla funzione di far danzare da parte di popoli sradicati, emar-

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ginati, quando non perseguitati. Così come il carattere pro-fondamente nostalgico del blues e della musica zingara vocale copre la funzione sentimentale. Le similitudine finiscono qui però, in quanto discorsi analoghi potrebbero valere per la musica Klezmer degli ebrei, per il Fado porteghese e molta musica folk in generale.

Concludiamo dicendo che per la musica zingara, sia voca-le che strumentale, vale certamente un dato di precarietà so-ciale eccezionale che si riflette in quella profondità di cui scriveva Liszt un secolo e mezzo fa, e che la rende ancora oggi di una forza unica. Una forza della disperazione, forse, della precarietà della vita che il nomade percepisce ad una potenza diversa rispetto a noi sedentari, sicuramente. Ma quando ascoltiamo al meglio la loro musica di oggi, probabilmente qualche eco del nostro passato comune al loro riusciamo a sentirlo: brani e canzoni dei Kaly Jag come di Bregovic' e di tanti altri artisti zingari riescono a creare brecce nel frastuono delle nostre metropoli, nella massiccia produzione commer-ciale di musiche da ballare sempre più come degli automi o che ci rimanda a sentimenti sempre più vuoti.

(Luca Guglielminetti)

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Gli intellettuali italiani alla guerra

Da: La Redazione del Nuovo Caffè Letterario (l.g.)Data: 28 Sep 2001

E' incredibile come molti intellettuali/fondisti dei mag-giori quotidiani nazionali, nel clima prebellico di questi gior-ni, perdano il lume della ragione e alla moderazione sostitui-scano anatemi contro i sistemi culturali non omologati, con-tro chi non si unisce al coro della guerra di civiltà dell'Occi-dente.

"Andar giù per le trippe", mi pare sia lo sport preferito. Un Panebianco, per esempio, sul Corriere di oggi, parte da osservazioni giuste e condivisibili come la denuncia di una relativismo culturale e di una mancanza di memoria storica che depriva di una scala di valori per analizzare e valutare i fatti. Ma "a fronte delle interpretazioni demonizzanti della storia occidentale che tanti intellettuali fanno circolare", non è lecito concludere che rappresentano la "quinta colonna" in Occidente del terrorismo e del fanatismo o che "Nei giorni di Genova, teppisti a parte, tante brave e miti persone erano là riunite a manifestare contro il G8 parlando di quella riunione dei capi di governo di alcuni dei Paesi più liberi e più civili del mondo, più o meno negli stessi termini in cui ne parla Bin Laden."

Questo genere di conclusioni, al contrario del relativismo culturale che tutto annulla, rende fondamentalisti e a propria volta miopi della storia. E' un ragionare che colpevolizza in

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base ad accadimenti successivi e slegati storicamente tra loro, come, in modo analogo, chi ricorda che Bin Laben e la guer-riglia afgana erano pagati e armati dagli americani. E' eviden-te che con la sfera di cristallo gli occidentali sarebbero stati più accorti in Afganistan al tempo dell'invasione sovietica, così come lo sarebbe stato il movimento di Seattle a Genova. Le analisi non si fanno con il senno di poi, perché le scelte politiche si fanno in contesti storici che cambiano: senza sfere di cristallo a disposizione.

Ha veramente senso lanciarsi in una crociata sulla supe-riorità dell'Occidente sull'Islam? Ci possiamo dimenticare, ad esempio, che alla origini della cultura moderna c'è un illumi-nismo nutrito, nelle "Lettere Persiane" di Montesquieu o nell' Encilopedie di Diderot e D'Alambert, anche di cultura e sa-peri tecnico-scietifici del mondo arabo?

Lamentare la smemoratezza storica non crediamo condu-ca ad una difesa ad oltranza della storia dell'Occidente, tutta buona contro i cattivi. Prendiamo solo il caso dell'Irak. Quando un sacerdote di una Organizzazione-non-governativa denuncia che il numero dei morti dell'11 settembre a New York è lo stesso di quello dei bambini irakeni ogni mese; cosa dobbiamo dire? E' tutta colpa di Saddam Hussein. O è possi-bile fare delle riflessioni sullo strumento dell'embargo eco-nomico? Siamo sicuri che questo dato sia noto alla famosa opinione pubblica americana e occidentale? E' lecito, senza essere accusati di fiancheggiamento col terrorismo, ricordare che la storia dell'Occidente nasce dall'impero AssiroBabilo-nese, che il Kuwait è uno stato inventato all'inizio del '900 per

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ragioni 'petrolifere', che la democrazia si può esportare non solo con il mercato ma anche con la cultura e la circolazione delle idee?

C'è poi Caracciolo che, sempre oggi su la Repubblica, denuncia l'uso dei pacifisti per dividere l'Occidente. L'accusa che si ripete è quella di fare il gioco dei terroristi. L'impres-sione evidente è che un certo fondamentalismo risieda anche nelle colonne dei nostri quotidiani e nelle fila di intellettuali che non vogliono prendere atto del fatto che esiste una parte dell'opinione pubblica che non ha intenzione di essere presa in giro dalla disinformazione sulla "guerra in corso" (chi si ricorda la storiella delle incubatrici staccate dagli irakeni in Kuwait?) o da risposte "asimmetriche" che mietano altre vit-time civile o che semplicemente si augura e spera che la poli-tica riprenda il suo ruolo per limitare l'uso delle armi.

Insomma, pensiamo che essere consapevoli della storia ed esenti da un relativismo culturale assoluto, conduca in ogni caso a privilegiare la dimensione dialettica e politica nel confronto tra civiltà.

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I talebani del giornalismo nostrano

Da: La Redazione del Nuovo Caffè Letterario (l.g.)Data: 07 Oct 2001

Nel contesto post 11 settembre anche la vicenda di Erika ed Omar, ritornata alla ribalta, assume i contorni e i toni della crociata. Lorenzo Mondo su La Stampa di oggi scrive a pro-posito della coppia omicida che:

“(i due ragazzi)Dovranno, un poco alla volta, prendere le distanze da molti che si presentano formalmente come loro protettori, e dalle stesse leggi, che non si curano della loro anima. Non possono che stupirsi, nell’intimo, per queste leg-gi, che si ostinano a considerarli «minori», mentre con il loro comportamento hanno voluto affermare una torva qualità di adulti. E come aggrapparsi decentemente al rimedio estremo dell’incapacità di intendere e di volere? Farsi passare per mat-ti, una coppia strabiliante di matti? Ma dovranno rifiutare an-che il soccorso di una cultura dell’irresponsabilità e dell’im-punibilità. Quella che non perde occasione per inventare, an-che davanti all’intollerabile, l’alibi del «disagio», i crimini del-la famiglia, della società, dell’universo mondo.

Prendendola così larga, non esistono persone che non soffrano di qualche disagio, e si contano a milioni quelli che possono imputare al contesto sociale meno generiche soffe-renze. Senza che si sognino di strangolare la vecchietta della porta accanto o di far saltare le torri di New York.”

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Proprio in quanto è condivisibile la critica alla cultura dell’irresponsabilità e dell’impunibilità, stupisce assai l’indi-retta richiesta che i loro protettori e le leggi si debbano occu-pare della loro anima e che le leggi per i minori non siano all’altezza dei delitti di tipo “adulto”. Che la legge non debba occuparsi di recuperare le anime, speravamo fosse un concet-to giuridico assodato nella famosa cultura occidentale, almeno dopo l’Illuminismo. Così come una legislazione penale mino-rile ha ben senso di esistere anche a fronte del fatto che, os-servando il lunghissimo pregresso di sentenze per crimini inter-familiari, non c’è mai stata equanimità tra le sentenze nelle quali erano i genitori ad uccidere i figli e quelle nelle quali erano i figli ad uccidere i genitori. E non dimentichiamo che per una coppia con comportamento non “minorile”, esi-stono moltitudini di adulti che giocano, psicologicamente e irresponsabilmente, agli eterni bambini. (Il padre di Erika si è probabilmente salvato dal massacro, perché nel quadro delle tranquille attività della famiglia, era intento a fare una partita di calcetto...).

Senza dunque bisogno di scomodare una banalità come quella che non tutti i disagiati compiono delle stragi, si può anche solo semplicemente notare come in questo clima emergenziale la “dura lex, sed lex” venga, a gran voce, richie-sta di modifica in senso illiberale o, peggio ancora, fondamen-talista teologico nostrano.

Non c’è da stupirsi se un editorialista laico come Lorenzo Mondo, si lascia andare al clima ‘teologico’ che urgentemente ci chiede di dividere Bene e Male, per identificarli con chia-

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rezza nell’imminenza del conflitto. Ma la sua analisi evidenzia la debolezza della nostra cultura laica e giuridica, come quan-do si chiede a terroristi e mafiosi di pentirsi. Lamentarsi dei “cretini che solidarizzano su Internet con i due tenebrosi eroi”, ricorda la superficialità di un Berlusconi che a Genova, accanto a Ciampi la sera dell’uccisione di Carlo Giuliani, non riusciva a definire diversamente che “inconvenienti” i mali della globalizzazione che i manifestanti denunciavano.

Di fronte a queste capacità di analisi, forse la prudenza con la quale si sono mossi degli Stati Uniti, dopo l’11 settem-bre fino ad oggi, al confronto è una grande lezione. Per quan-to sia alto l’allarme sociale di fronte a fatti come quelli di Eri-ka ed Omar o quelli di New York e Washington, non c’è pro-prio bisogno degli isterismi catto-fondamentalisti dei nostri opinionisti ‘laici’.

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Perugia-Assisi: tra Capitini e Rosselli continua l'esilio del socialismo

Da: La Redazione (l.g.)Data: 10/14/2001

Uno dei paradossi della marcia per la Pace di oggi, la Pe-rugia Assisi, è che si è tornato a parlare del suo ideatore e fondatore Aldo Capitini mentre negli Stati Uniti è appena uscita una nuova biografia di Carlo Rosselli.

Le concezioni di liberalsocialismo del primo e di sociali-smo liberale del secondo appaiono oggi nella loro radicale diversità e possono spiegare bene la divisioni in seno alla si-nistra e chiarire il valore della partecipazione alla marcia pa-cifista. Le filosofie di libertà che si confrontano sono tra un ambito etico-religioso in Capitini ed etico-politico in Rosselli. Per essere più precisi Rosselli cerca di ancorare il socialismo marxiano alla filosofia idealista crociana, mentre Capitini tro-va al socialismo un approdo teologico in una teosofia univer-salistica di condivisione dei valori etici. Non a caso le fortune dei due pensieri trovano sbocchi assai diversi. Dalla fine del-l’azionismo, come esperienza partitica, il pensiero di Capitini troverà eredi dell’associazionismo volontaristico di matrice cattolica progressista; mentre il pensiero di Rosselli avrà eredi

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in correnti ed esponenti di PSI, PSDI e PRI, cioè in partiti politici.

La difficoltà di confronto tra i pacifisti storici e la sinistra storica risiede allora nella preminenza del valore metafisico della pace dei primi su quello politico dei secondi. L'Ulivo cerca in quest'occasione di assorbire le divisioni dei dibattiti parlamentari sulle mozioni relative alla guerra in Afghanistan, ma le diversità sono culturalmente radicali, come un’altro pa-radosso ci può ulteriormente illustrare. Trent’anni fa Capitini organizzava una marcia in ricordo e commemorazione di Ghandi. Oggi il Partito Radicale che riproduce nel suo simbo-lo l’effige di Ghandi, va ad Assisi ma non per la marciare con i pacifisti, bensì a commemorare in un cimitero le vittime an-glo-americane del secondo conflitto mondiale.

La riflessione che si impone sulla figura di Ghandi è quella per cui l’azione non-violenta è sostenibile contro il “si-stema occidentale”, da forze esterne a questo come nel caso dell’indipendenza dell’India o interne, come nel caso del Mo-vimento di Seattle fino a Genova. Ma si può sostenere in buona fede che Israele o gli Stati Uniti si possano difendere dal fondamentalismo islamico con la pratica della non violen-za? I pacifisti di Assisi vogliono dare: « corpo e voce a un pa-cifismo politico che vuole portare la nonviolenza dal cielo dell'utopia alla polvere della storia...». Ma questa è una posi-zione che richiede l’avvento del regno di Isaia: quando il lupo giocherà con l’agnello, invece di mangiarlo. Chi crede è libero

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di pregare e manifestare affinchè ciò avvenga, chi segue inve-ce un’etica della responsabilità – come l’uomo politico - non si aspetta che il lupo ritragga i denti davanti l’agnello e deve invece vigilare per capire di volta in volta chi è il lupo e chi l’agnello, e con ciò fare delle scelte.

Un capitolo a parte merita l’antiamericanismo viscerale che alberga in ampi settori della sinistra italiana, cosiddetta antagonista. Si può osservare a questo proposito che i testi-monial di riferimento che essi adoperano sono praticamente tutti americani: da Susan George a Noam Chomsky, da Susan Sontag a James Hillman. La verità è che il nostro movimento antagonista ha poco a vedere culturalmente quello del mondo anglo-americano. Quelli che a Seattle avevano dimostrato come i settori più avanzati della società civile avessero orga-nizzato molto bene l’opposizione all’establishment della grande finanza e delle multinazionali, coprendo il ruolo che i partiti democratico e laburista avevano lasciato vuoto, sono portatori di una cultura politica che non ha nulla a che vedere con i centri sociali italiani e l’anti-americanismo nostrano. Sono liberals, keynesiani, socialdemocratici che chiedevano che il processo di globalizzazione venisse gestito politicamen-te in modo democratico e non finanziariamente dall’anarchia del mercato.

Citammo, alla nascita di questo Portale, la stupefacente e profetica testimonianza di Karl Polanyi che nel suo capolavo-ro The Great Transformation scriveva: " ...permettere che il

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meccanismo del mercato sia il solo direttore del destino degli esseri umani e del loro ambiente naturale... provocherebbe la demolizione della società ". Dopo un decennio di egemonia culturale neoliberista che ha ridotto i partiti, tanto progressi-sti che conservatori, ad avvallare la supremazia del mercato nella regolamentazione mondiale, con l’11 settembre – ancora una volta forse paradossalmente – questo è finito: la politica sta riprendendosi il suo primato.

Tanto Bush, quanto Blair si trovano a gestire una svolta decisiva: la globalizzazione non potrà più procedere senza una governance politica. A fronte dell’intervento militare assistia-mo a gran voce alla richiesta di intervento dello Stato nel-l’economia. Il discorso di Tony Blair al Congresso del Partito Laburista rappresenta la presa di coscienza che la "Terza via" era viziata da troppa accondiscendenza verso il neoliberismo dominante e che il socialismo ha bisogno ancora di ritrovare, nella gestione pubblica, il suo senso di reponsabilità verso le povertà e i conflitti sociali, politici e culturali in qualunque parte del mondo si annidino.

Il limite attuale della sinistra nostrana è invece quello ben rappresentato del filosofo ulivista Gianni Vattimo, che, su La Stampa di pochi giorni fa, chiede di non dover “gridare viva Bush, per favore, e nemmeno viva Berlusconi”, dimenti-cando che potrebbe gridare “viva Blair”.

L’esilio dalla scena politica italiana del socialismo libera-le, laburista e laico continua.

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Giuliano Ferrara contro Bobo Craxi

Da: La Redazione (l.g.)Data: 10/31/2001

“L’agonia, lo stillicidio, la presa per il sedere: questo no”. Grida Giuliano Ferrara su il Foglio di oggi, all’indirizzo di Bobo Craxi. Dimentico dell’agonia, dello stillicidio e della presa per il sedere che il Cavalier Berlusconi riservò al Nuovo PSI per tutto il periodo successivo al Congresso fino alle ele-zioni, il direttore del Foglio invita Bobo a «non stare a menar-la nel mezzo», a evitare «un’ipocrita commedia mastelliana».

La risposta è subito arrivata. «Non non sto recitando nes-suna ipocrita commedia», ribatte Bobo Craxi. Che rivendica il suo «stare nel mezzo», il sentirsi a disagio in un Polo attento più a salvaguardare gli interessi di Berlusconi che a ristabilire tutte le verità sugli anni ‘90 e il dovere di una forza socialista di guardare a sinistra «senza tabù, senza pregiudizi, senza scomuniche». «Ci sono prove di dialogo con i Ds - aggiunge Claudio Martelli - Sono cose utili, purché non ci sia troppa ipocrisia e troppo tatticismo, purché si tenga conto che ci so-no delle ferite aperte e che i balsami non bastano». E dopo il messaggio alla Quercia, ecco la risposta al Foglio che l’ha de-finito «intelligente ma ondivago». «A Giuliano Ferrara - dice l’ex ministro della Giustizia - vorrei dire che sono sempre sta-to un liberalsocialista, e così morirò. E quanto a Bobo, meglio essere autonomi, anche se un po’ isolati, che pretendere, ri-

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uscendoci meravigliosamente come fa Ferrara, di essere Ar-lecchino servitore di due padroni».

E’ curioso che Ferrara finisca il suo invito scrivendo: “Faccia come suggeriscono i gesuiti: qualunque cosa, sed cum dignitate.” Non sappiamo se sia stata la comune aspirazione con Don Baget Bozzo a svolgere il ruolo di consigliere del Principe, a condurre Giuliano Ferrara all’uso del manichei-smo gesuita, ma sicuramente una forza socialista, laica ed au-tonomista che fino al 13 giugno si è posta come antagonista di una sinistra non-socialdemocratica, ha tutto il diritto oggi di porre la sua attenzione a quanto accade nei DS. Solo dopo il 13 giugno, come scriveva Paolo Franchi sul Correre all’indo-mani delle elezioni, è stato unanimemente riconosciuto il fal-limento “del tentativo dei principali eredi del Pci di costruire in corsa, sulle ceneri del vecchio partito, ma anche sulle rovi-ne del socialismo riformista italiano, qualcosa di simile a una sinistra di governo”. E solo oggi sappiamo che i sostenitori della via socialdemocratica di stampo europeo saranno mag-gioranza nel prossimo congresso DS.

“Nessuno scandalo se Bobo dice: mi sono sbagliato”, scri-ve Ferrara. Ma non c’è da ammettere errori o sbagli. Siamo tutti certi di aver compiuto la scelta migliore al Congresso di gennaio. Aver aiutato ieri a sconfiggere quella sinistra è stato il solo modo per avviare oggi un processo di revisione in quella sinistra. Il processo è in corso, sarà lungo, ma se con-durrà verso una seria costituente della sinistra storica sulla solco del socialismo europeo, non possiamo certo assistervi passivi dall’interno del Polo.

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DS: rischio morte per codardia

Da: per la Redazione (l.g.)Data: 11/17/2001

Così Paolo Franchi conclude il fondo di oggi sul Corriere della Sera: “(...)Considerazioni non dissimili valgono anche a proposito dell’altra questione fondamentale, e cioè l’avvio della costruzione, con altre forze politiche, culturali e sociali, non di un partito dei Ds un po’ meno piccolo, ma di un gran-de partito socialdemocratico. Fassino ha confermato e preci-sato questo obiettivo, con grande soddisfazione di Giuliano Amato. Ma forse non avrebbe fatto male a spendere qualche parola di più sul perché l’Italia un partito simile non lo abbia mai conosciuto. E’ vero che non si possono tenere all’infinito gli occhi rivolti all’indietro. E’ ancor più vero però che, senza fare i conti con il proprio passato, la sinistra difficilmente avrà un futuro. E non basta affermare che l’89, decretando la vitto-ria della socialdemocrazia sul comunismo, ha azzerato la sto-ria: perché c’è anche una storia italiana con la quale bisogne-rebbe trovare la forza di misurarsi”.

Può darsi che il neo-segretario abbia evitato di affondare troppo il bisturi per non crearsi gratuitamente dei problemi in più con le opposizioni interne. Ma nel primo rapporto con-gressuale di uno che si è candidato dicendo: «O si cambia o si muore» un po’ più di coraggio ci sarebbe stato bene. Magari lo

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avrebbe apprezzato persino l’altra sinistra, quella che a Pesaro non c’è, e non vuole diventare blairista.”

Insomma il rischio è che Fassino sia prigioniero della “sindrome Amato”, cioè la codardia ad “assumersi la respon-sabilità di promuovere un processo di revisione seria che solo potrebbe portare alla costruzione di un'altra sinistra moderna e liberale”, come denunciava ieri Stefania Craxi a proposito dell’articolo di Giuliano sul primo numero della nuova rivista "Italianieuropei".

I Ds sono un partito ormai stimato al 12%, di cui un terzo è antisocialista viscerale. Si trova con una forza e in una posi-zione non dissimile dal PSI di De Martino, prima del MIDAS. Sanno perfettamente che o cambiano o muoiono, ma sanno altrettanto bene, checché ne dica Giuliano Amato, che per non morire devono fare i conti con il socialismo italiano e con Craxi in particolare. A ricordargli questo, oggi, non ci sono solo Stefania Craxi, e i dirigenti di SDI e NPSI, ma tutta la stampa italiana.

Tutti i quotidiani si sono infatti accorti ed hanno sottoli-neato che nella relazione di Fassino non è stato mai citato Bettino Craxi e che quindi il dialogo concreto è rimandato, per il momento.

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Per andare incontro a Fassino, cominciamo a unire i socialisti dello Sdi e del Nuovo Psi

20 Novembre 2001 (Corriere.it) Luca Guglielminetti*

Pochi giorni dopo la morte di Bettino Craxi, il sottoscritto con un gruppo di compagni, aprì un sito Internet con l'idea di fornire sul Web un libero spazio di confronto delle idee sulla costruzione di una Casa Socialista, che superasse la dia-spora. Divenne poi il sito ufficiale del Nuovo Psi, dopo il con-gresso del gennaio scorso, ma continuammo a mantenerlo aperto al contributo di tutti, ovunque schierati, consapevoli che per costruire una nuova prospettiva al socialismo riformi-sta italiano si dovesse sempre privilegiare un dialogo diretto con la società civile nelle forme di una "lunga marcia" che è propria dei partiti o dei movimenti che scelgono di rappre-sentare le istanze dei cittadini, dei lavoratori e degli esclusi.

Oggi, con i suoi 8.000 documenti, Socialisti.net rappre-senta una testimonianza concreta di quanto sia vivo l'interes-se per il futuro del socialismo italiano, così come questo fo-rum testimonia quello per la sinistra ed i Ds.

Premetto questo per inviarvi una riflessioni che nasce, più che dalla militanza politica tradizionale, dall'osservazione di quasi due anni di attività dei forum che abbiamo attivati sul nostro sito.

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Se dovessi dire qual'è stato il minimo comune denomina-tore delle migliaia di e-mail e articoli "postati" sui forum, non potrei che trovarlo nella forte richiesta di porre fine alla dia-spora dell'ex PSI. Anche con accenti critici verso i vari diri-genti, accusati spesso di salvaguardare più se stessi che l'ere-dità del Partito, il tratto comune delle richieste, quasi una “condicio sine qua non” per tornare con fiducia all'impegno politico, era ed è che ci sia una comune struttura e una ritro-vata unità.

Allora, la riflessione che mi viene in mente, alla luce del congresso di Pesaro, è che i Ds, nel momento della svolta so-cialdemocratica, si sono trovati di fronte a singoli esponenti della trazione socialista italiana, rappresentanti di se stessi o di piccolissimi partiti. Questo fatto penso che abbia influito in parte a rendere monca e insufficiente la svolta congressuale. Se invece del singolo Giuliano Amato, Fassino si fosse trovato un soggetto, magari pur sempre piccolo, ma unitario, come interlocutore della "questione socialista", forse l'omissione su Craxi-Berlinguer-Tangentopoli sarebbe stata più difficile da compiere.

La mancata unità dei segmenti post-PSI, soprattutto do-po la manifestazione di piazza Navona (l'unico atto unitario avvenuto dopo la liquidazione del PSI) e alla luce dei magris-simi risultati elettorali di SDI e Nuovo PSI, denota infatti un fatto indiscutibile: non c'è stata una leadership in grado di raccogliere l'eredità del PSI.

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La situazione di oggi fotografa così due appuntamenti mancati: l'analisi degli ultimi vent'anni da parte dei Ds, e la creazione di una leadership nell'area ex PSI.

Il tutto a vantaggio di Bertinotti, da una parte, di Rutelli, dall'altra e in parte anche di Berlusconi che continua a racco-gliere ex quadri socialisti, magari opportunisti, ma certo stan-chi di attendere transizioni decennali.

Concludo parafrasando Fassino. Il messaggio che rice-viamo dalla nostra postazione virtuale di socialisti autonomi-sti è forte e chiaro: diamoci tutti una mossa, altrimenti finire-mo per perire tutti quanti indistintamente, socialisti o comu-nisti che fossimo!

Un fraterno saluto.

* direttore di Socialisti.net

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Gore Vidal Vs. gli italo-filo-americani

Da: Luca GuglielminettiData: 22 Nov 2001 Forum del Nuovo Caffè Letterario

“Mi ha gelato il freddo di questo studio televisivo nella capitale della romanità: siete veramente vittime dell’”antrace morale” che pervade gli Stati Uniti.”

All’incirca con queste parole, rivolte a Giuliano Ferrara, a Gad Lerner, a Marco Taradash, a Paolo Guzzanti e a Maria Giovanna Maglie, Gore Vidal ha concluso la trasmissione “Diario di guerra” su La7, dedicata al suo saggio “La fine della libertà”, censurato in America e pubblicato in Italia da Fazi editore.

Così un bel gruppo di esponenti di punta dei nostrani giornalisti “liberal” si è beccato la bella definizione di “vittime dell’antrace morale” da un “liberal” americano.

Posto in una arena televisiva e circondato da esponenti tutti più realisti di re Bush, Gore Vidal, nel denunciare il ri-schio di una involuzione totalitaria e liberticida dopo l’11 set-tembre nel suo paese, probabilmente non credeva alle sue orecchie ascoltando i suoi interlocutori.

Pensava di trovarsi in un paese in questo momento più libero del suo, disposto a pubblicare delle idee forti che in questo momento gli editori americani preferiscono non far ascoltare ai loro lettori, e invece si è trovato a interloquire cir-condato da voci italiche tutte dedite all’incredulità e alla ri-cerca del paradosso. Sì, il termine di cui hanno abusato tutti

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di fronte alle teorie di Vidal è “paradosso”. Tutti speravano si trattasse di una denuncia basata sul paradosso, di chi la spara grossa.

Tra un Guzzanti in preda alla recita di un mea culpa per tutte le nefandezze europee del secolo scorso (a fronte della “rettitudine” americana) e una Maria Giovanna Maglie che parla di ciò che non ha letto ed è all’oscuro dell’esistenza di un tale chiamato Noam Chomsky, i nostri "liberal" sono usciti dalla trasmissione con le ossa rotte. Pensavano di essere i più bravi ad amare l’America e invece sono solo vittime dell’an-trace morale americano. Chi ama veramente la democrazia americana è chi è capace, come Gore Vidal, di denunciarne le involuzioni e sa che le libertà non sono mai fatti assodati, ma richiedono sempre di essere conquistate, difese o riconquista-te.

( Sito web di Fazi Editore http://www.fazieditore.it/ )

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Rutelli e la giustizia minorile: addio alla laicità

Da: Luca GuglielminettiData: 18 Dec 2001 da Nuovo Caffè Letterario

A proposito della sentenza su Erika e Omar. il leader del-l'Ulivo a “Porta a Porta” spiega: ''Di fronte ad una cosa del genere la sentenza deve essere dura. Noi dobbiamo garantire che una sentenza severa sia scontata fino in fondo. Se una ra-gazzo, anche minorenne, ha compiuto un delitto efferato deve sapere che rischia una pena lunga e sofferta''.

Rutelli ha smesso i panni del buonista? O rincorre la be-nevolenza delle maggioranze demoscopiche dei sondaggi che considerano la sentenza giusta, se non troppo poco dura? Par-lare di sentenze da scontare fino in fondo a proposito di mi-norenni è un’infamia giuridica, soprattutto quando sottinten-de “in carcere”. Esiste apposta una legislazione per i minori che tende alla flessibilità degli strumenti di pena e che consi-dera il carcere come risorsa estrema, ma per certa sinistra pronta a diventare forcaiola, in questo caso ci vuole la durez-za. Quella che non hanno subito terroristi e mafiosi, autori delle più turpi azioni e che beneficiano di lauti sconti di pena, soprattutto se pentiti.

Già, il pentimento. Quello che dà veramente fastidio a Rutelli e molti italiani è la mancanza di pentimento di Erika. Qui da noi i rimorsi, o più in generale le analisi delle proprie responsabilità, si devono esprimere con le forme canonizzate dai cristiani. Guai ad esprimerle con forme psicologiche che

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non comprendano il pubblico cospargimento del sale in capo o la pubblica abiura. In fondo sono mille anni che le 'streghe' vanno al rogo, proprio perché hanno qualche difficoltà a pen-tirsi, specie se non investite da ruolo materno. Solo le mam-me possono ammazzare i figli, pentirsi e uscire subito di gale-ra.

Quello che si vuol dire è semplicemente che anche nel caso di Novi Ligure manca la capacità -anche politica- di ana-lizzare i fatti in modo laico. Per fortuna, come recita un titolo di Totò, anche per i minori, “La legge è legge”, ma i conti con le 'streghe' restano sempre da saldare.

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Titolo: (03.01.02) Un decennio berlusconiano

Redazione

Come disse il matematico Godfrey Hardy, “una persona seria non sta a perdere tempo nel formulare l’opinione della maggioranza”. Così una sinistra “seria” non può limitarsi a rincorre la destra sul piano demoscopico dei sondaggi. Anco-ra nell’ultima sua uscita televisiva Rutelli ha mostrato l’inca-pacità di analizzare il presente, che è la sola vera condizione per poter progettare il futuro, è ha mostrato invece come si trova a suo agio dalle sacche del conformismo più becero.

Accettare il reale come un dato immodificabile di natura è proprio quello che distingue il pensiero conservatore da quello progressista e la sinistra oggi ha solo bisogno di un progetto di modifica di ampio respiro e di alto profilo.

Invece, "la priorità delle priorità" del centrosinistra, nel 2002, sarà "la battaglia sul conflitto di interesse", promette Rutelli che il 10 gennaio, nel corso del primo coordinamento nazionale dell'Ulivo, ci dirà anche se aderirà o meno alle ce-lebrazioni dell'anniversario per il primo decennio dall'inizio di Tangentopoli, promosse da Paolo Flores d'Arcais, direttore di Micromega.

Povero centro-sinistra, povero Ulivo: vogliono proprio consegnarci un decennio berlusconiano... (l.g.)

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L'orizzonte della politica di De Michelis

Da: La Redazione (l.g.), da Oggi in ItaliaData: 1/8/2002

“E´ questo - riempire di tecnica e contenuti politici il contenitore di Forza Italia - l´orizzonte di De Michelis, e il motivo della sua fedeltà berlusconiana.”

A concludere con queste parole il suo articolo sul ruolo di De Michelis nella politica estera italiana del governo Berlu-sconi su La Stampa di oggi, è Aldo Cazzullo. L’unico opinio-nista ad essersi speso nel fornire ampio spazio sul medesimo quotidiano al pamphlet inedito di Bettino Craxi che Stefania – attraverso la Fondazione – ha pubblicato e distribuito ai mi-nistri e parlamentari poche settimane fa.

A parte le altre malignità contenute nell’articolo in que-stione, sui particolari della sua casa ai Parioli e sulle indiscre-zioni a proposito della sua rinnovata vita mondana, viene in-dividuato con precisione l’orizzonte dell’attività politica di De Michelis. Una attività che, aggiungiamo noi, parte dalla consa-pevolezza che i dirigenti di Forza Italia sanno presiedere i Consigli di Amministrazione di aziende, ma non i delicati rapporti con le diplomazie degli altri paesi. Possono concepi-re i consolati italiani come filiali estere di aziende, ma non come uffici in grado di mediare conflitti politici.

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Sarà bene allora che i compagni che hanno scelto di se-guirlo sulla strada della fedeltà berlusconiana, siano consape-voli di questo angusto orizzonte fatto di consulenza, magari ben valide e ben retribuite, ma che non hanno nulla a che vedere con lo scopo sociale del Nuovo PSI, che era quello di ricostruire una casa per tutti i socialisti, affinché potessero tornare a svolgere un ruolo di rilievo sulla scena politica ita-liana.

Anche seguendo strade contorte, imposte dal sistema elettorale, il percorso delineato era quello di ricostruirci uno spazio autonomo che potesse prima ripresentare un soggetto socialista italiano agli elettori e quindi riconquistare il suo ruolo storico nella sinistra che nel frattempo, come previsto, si è distrutta con le sue mani. L’opera di consulenza e la pro-spettiva di portatori d’esperienza in casa altrui, francamente può soddisfare solo singole ambizioni, non certo la speranza e la domanda politica dei militanti socialisti.

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Titolo: (10-01-02) Della commemorazione ad Hamma-met

Redazione

Riunirsi intorno alla tomba di Bettino, si è gia potuto constatare in Piazza Navona quasi due anni fa, purtroppo non serve ad aiutare la ricostruzione dell'unità dei socialisti. Il no-bile intento di Stefania Craxi, ideatrice della commemorazio-ne ad Hammamet il 18, 19 e 20 gennaio, è gravato psicologi-camente da un ruolo di 'vittima' di una tragedia. Dispiace dir-lo, ma questa incapacità di elaborare il lutto non può portare lontano i socialisti italiani.

Tangentopoli e il "Caso Craxi" sono stata vissuti da molti degli attori principali della diaspora con i crismi dello svolgi-mento di una tragedia nazionale (e personale) e non si sono avveduti molto del fatto che si trattò di una crisi politico-cul-turale nazionale con risvolti internazionali. Lo scenario costi-tuito dal declino del secolo socialdemocratico che è andato a sovrapporsi alla caduta del Muro di Berlino, ha posto il socia-lismo tutto, cioè in entrambi i suoi risvolti comunista e so-cialdemocratico, in uno stato di "crisi". Crisi che assunse per il PSI il carattere della tragedia con i suoi annessi fattori di paradosso: la tradizione socialdemocratica, il PSI, che aveva storicamente maggiori ragioni si è dissolto a fronte di una re-sistenza di molto maggiore dei post-comunisti che addirittura

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arrivano al governo del paese, quasi sostituendo in tutto il ruolo politico precedentemente ricoperto dal PSI.

E' quindi comprensibile che l'esilio di Craxi abbia creato a Stefania e in molti compagni una specie di paralisi psicolo-gica di fronte alla tragedia, nella quale ci siamo in qualche modo riflessi, ma il modo migliore per interpretarlo è quello di correlarlo allo stato di crisi del socialismo dal mondo Oc-cidentale: all'"esilio del socialismo".

Solo se, Stefania e noi tutti, ci renderemo conto che oc-corre spostare il fiume dei nostri pensieri dal piano delle sto-rie individuali a quello politico, dedicando sforzi e idee nel cercare risposte all'esilio del socialismo, si starà veramente lavorando alla ricostruzione del socialismo e della sua unità.

Scriveva Camus che "il grande evento" del '900 è stato l'abbandono dei valori di libertà da parte del socialismo: "Da quel momento ogni speranza è sparita dal mondo, ed è inizia-ta la solitudine per ogni uomo libero".

All'inizio di questo secolo il gravoso compito che spetta, a noi socialisti e in generale alla sinistra, è quello di tornare a fornire risposte concrete ai bisogni di cittadini, lavoratori ed esclusi, ridando speranza alla solitudine dell'uomo globalizza-to. Craxi portiamocelo allora nel cuore, come Bettino aveva Garibaldi, e non al centro del discorso pubblico e politico so-cialista. (l.g.)

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(22.01.02) Da vent’anni il problema dei soldi per la po-litica

Redazione

Violante spiega, su le colonne del Corriere della Sera di ieri, le ragioni politiche di quella rottura fra Paese e Potere, che apri' la stagione di Tangentopoli, con la mancata intesa tra Bettino Craxi e Enrico Berlinguer, negli anni Ottanta, su come modernizzare il Paese pur avendo individuato nella questione istituzionale e in quella morale i due ostacoli prin-cipali per agire. Il leader del Psi, sostiene Violante, ''voleva affrontare la riforma istituzionale lasciando da parte quella morale'' mentre il segretario del Pci ''voleva esattamente l'opposto''.

Violante si riferisce ad uno dei prossimi scoop che dila-gheranno dal profluvio editoriale in occasione del decennale di Tangentopoli nelle prossime settimane e mesi. In particola-re su quello dello storico Piero Craveri che comparirà sul primo numero di una nuova rivista edita dalla Luiss: «XXI Secolo - Studi sulle transizioni», a proposito della proposta avanzata da Eugenio Scalfari a Berlinguer, via Antonio Tatò, di un vero e proprio patto tra Psi e Pci.

E’ Paolo Mieli, sullo stesso Corriere, ha fornire alcune anticipazioni dello scoop storico-politico nella sua rubrica epistolare del quotidiano ieri in edicola. La Fondazione

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Gramsci, che ha in custodia le carte di Enrico Berlinguer, ha consentito allo studioso di consultarle. Tra i documenti del segretario di Enrico Berlinguer, Tatò, è spuntato un suo rap-porto molto lungo relativo ad un incontro con l’allora diretto-re di Repubblica, Scalfari, che aveva a sua volta precedente-mente incontrato Bettino Craxi.

In quel rapporto del’81 si legge: «Se il Pci (è Craxi che parla, mi riferisce Scalfari) mi comunica che è pronto a fare esso la proposta della Presidenza del Consiglio socialista, io garantisco che al prossimo comitato centrale o al Congresso nazionale di aprile, il Psi dichiarerà in forma "solenne e irre-vocabile" che il Pci è pienamente autonomo, è pienamente democratico e ha tutti i titoli per essere pienamente partito di governo». Quel patto non si fece, conclude Paolo Mieli, ma Violante ci suggerisce che la questione andava ben al di là della legittimazione reciproca dei due partiti storici della sini-stra italiana.

Il vero punto, ancora una volta, crediamo stia in quella che Berlinguer, con somma ipocrisia, chiamava “questione morale” e che Craxi, senza ipocrisia ma con ritardo, poneva come il problema del finanziamento dei partiti e della politi-ca. E’ immaginabile sapere come è andata questa storia. E’ noto che fino agli anni ’70 le risorse del PSI arrivavano o dal-la sponda PCI o da quella DC, mentre con Craxi si aprì la strada dell’”autonomia”. Lo sanno tutti i quadri socialisti de-gli anni ’80 che la strada delle riforme per il paese e dell’au-tonomia politica del partito aveva come prezzo quello di inse-

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rirsi indipendenti nel sistema tangentizio. Qualunque patto con il PCI di allora, ben difficilmente non avrebbe implicato una dipendenza economica (e quindi politica) per il PSI, co-me era successo nei decenni precedenti.

La vera morale di questa vicenda di vent’anni fa, travalica la questione dei rapporti PCI e PSI e la stessa Tangentopoli. Ancora oggi possiede tutta la sua drammatica attualità, che risiede nel fatto che non si è ancora giunti a risolvere il pro-blema di come la politica possa finanziarsi per svolgere la sua attività, senza sposare il sistema delle tangenti. Il rischio è che possa reggere solo il “sistema Berlusconi”: la politica la fa solo chi i soldi gia ce li ha. (l.g.)

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(25.01.02) Da Popper a Odasso via Forza Italia

Redazione

L´ex potentissimo manager delle Molinette di Torino, rac-contando a piccoli passi le sue imprese ai magistrati, ci in-forma, nel suo ultimo interrogatorio, dei costi delle sua ade-sione a “Società Aperta” e quelli relativi alle iniziative eletto-rali per Forza Italia della medesima. Un´associazione fondata da Angelo Burzi, assessore regionale al Bilancio e di cui fanno parte, tra gli altri, 15 direttori generali delle Asl piemontesi (su 29 totali) oltre che il suo braccio destro, Rosso.

Il concetto di “Società aperta”, cui si ispira l’associazione di Burzi & C., fu introdotto dal povero Karl Popper in quanto riteneva che non potendosi, per motivi logici, determinare in modo scientifico i valori ai quali ispirare la nostra azione nella vita sociale, occorresse ancorare la democrazia ad un insieme di regole formali che, utilizzando della scienza il metodo, favo-rissero il "politeismo dei valori".

Non sappiamo se tale politeismo dei valori, nel club pie-montese in questione, sia stato trasferito sul piano della plu-ralistica spartizioni di tangenti ai vari partiti, ma la sicumera con la quale il governatore Ghigo ha liquidato il caso ("isola-to") e l’orologio regalatogli ("non ho fatto caso al suo valore"), e il profilo sottotono dell’opposizione di centro sinistra sulle

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tessere di FI acquistate dal manager, fanno desumere che del metodo scientifico proposto da Popper non sia rimasto nien-te.

In fondo, per un’associazione che si ispirava filosofica-mente al concetto della scientificità dell'azione politica e del-l'attività di organizzazione istituzionale della società in quanto utilizzatrice dello stesso " metodo ", Burzi e Odasso hanno fallito clamorosamente nella loro trasposizione sul piano tan-gentizio. Si evidenzia dai fatti delle cronache giudiziarie che la modernità di Forza Italia è totalmente apparente, nominalisti-ca e, anzi, fatica a raggiungere il livello di una ‘società chiusa’, come poteva essere quello di una vecchia loggia massonica. (l.g.)

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Titolo: (05.02.02) La politica da Nanni a Stefania

Redazione

Moretti non ha mai smesso di rappresentare nei suoi film altro che delle stanze. Da quelle dell’autarchico -nel suo pri-mo film- a quella del figlio nell’ultimo, da quelle dei desidera-ta di Ecce Bombo a quelle del proprio Diario, passando dagli spogliatoi della pallanuoto alle canoniche. Nonostante ciò, egli non si è accorto che la Sacher, la sua casa di produzione, non ha fatto altro che produrre la stessa materia della Aran, la casa di produzione di Stefania Craxi: stanze, appunto. Le ci-neprese di Moretti o le telecamere del Grande Fratello sono sempre solo puntate dentro le stanze del narcisismo indomito ed indifferente al “fuori”, cioè agli altri, al sociale.

Si potrebbe quasi ipotizzare che la Aran, con la produ-zione del Grande Fratello, abbia portato a livello di massa del “reality show” televisivo l’estetica cinematografica di Moretti con quelle stanze autarchiche: i luoghi del qualunquismo e del conformismo, dove l’autocompiacimento e la nutella sosti-tuiscono l’azione politica e quella sessuale.

Lo scalpore delle loro ultime iniziative nasce forse da questo comune filo rosso. Le apparizione delle ultime setti-mane di Stefania a fianco dei vertici della maggioranza e di Nanni a fianco dei vertici dell’opposizione, esprimono solo il paradosso che a parlare di politica siano persone che debbo-no la loro comune fortuna al “format dell’ombelico”. Due campioni del "cuore messo a nudo" che ci ricordano, in fondo

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la stessa cosa: l’una che non c’è più Bettino, l’altro che la sini-stra non ha una leadership che sia tale. Ma da questi esimi fustigatori del mercato politico attuale non aspettiamoci che ci giungano analisi sociali, progetti o sogni per la sinistra. Loro potranno solo tornare alle loro stanze colme di rancore, dolore e alterigia. Mentre noi abbiamo bisogno di case e di città, di polis: insomma di politica. (l.g.)

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Italia-Inghilterra: tra Nanni Moretti e Ken Loach

(2002)

La società anglosassone non rinuncia a misurare l´Italia "con il metro della giustizia, efficienza e trasparenza", che - come noto - non è il nostro forte. L´ammirazione per il dina-mismo del paese ("nella piccola città di Montebelluna si pro-ducono il 90% delle scarpe da sci dell´intero universo") si fonde con l´allarme per l´arretratezza civile. Certo è che se poi riesportiamo intellettuali come Ginsborg (Italy and Its Di-scontents, una estensione fino al 2001 della sua storia dell´Ita-lia contemporanea) lo storico inglese, che insegna all’Univer-sità di Firenze e che è assurto di recente alle cronache politi-che per aver animato la "lega per la difesa della democrazia italiana", anche qualche inglese penserà che ci sia un "allarme democratico" in Italia. Ma non è passato inosservato a Lon-dra, neppure il protagonismo autarchico con il quale il vinci-tore di Cannes si è lanciato nell’agone politico italiano. Time Out, la bibbia dello spettacolo londinese, ha approfittato della presentazione del film di Moretti per lanciarsi in un attacco al pericolo che Berlusconi rappresenterebbe per le arti.

Il punto però è molto antico e critico per la cultura di sinistra: le arti, gli artisti, devono vivere degli oboli dei gover-ni, pubblici e di stato? E' di sinistra che dei film, tra l'altro - nel caso di Moretti - tutt'altro che sociali o impegnati politi-

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camente, come gran parte delle cinematografia italiana, siano vissuti essenzialmente di finanziamenti pubblici?

"Giustizia, efficienza e trasparenza" nella politica cinema-tografica di Veltroni non c'è ne stata molta, e francamente, la fine che faranno i suoi 'amici' registi ci interessa poco (non hanno che da imparare da Ken Loach e sfornare film che co-prano almeno le spese di produzione). Ma, a parte questo, presto o tardi, gli inglesi si accorgeranno che Nanni Moretti non è Ken Loach. Si accorgeranno che la nostra arretratezza civile risiede proprio nel fatto che a fianco delle scarpe da sci, esportiamo solo qualche film di Moretti e Benigni.

Il problema per noi, non è dove vada a finire l'arte di sta-to, sotto il governo Berlusconi, ma sapere se ne possediamo una che sia in gradi fornire una critica stringente nei con-fronti della cultura dominante. Quel che è certo, risiede nel fatto che il "modello Moretti", l'intellettuale che sul lavoro inquadra il proprio ombelico e la domenica sale sul palco del-la piazza, non porta alcun pro alla sinistra e alla sua cultura. Le sue stanze autarchiche sono i luoghi del qualunquismo e del conformismo, non meno di quelle della casa del Grande Fratello. Mentre noi abbiamo bisogno che l'arte e la cultura, al di là delle dichiarazioni politiche dei loro artefici, si misurino - con il loro spirito anarchico e anticonvenzionale - sul piano della capacità di analizzare il presente (che è la sola vera con-dizione per poter progettare il futuro), ri-visionando le realtà sociali attuali o passate .

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In un'intervista alla domanda: "Chi sono i suoi maestri?", Ken Loach risponde: "Dal punto di vista letterario sicuramen-te William Shakespeare. Il suo nome precede quello di tutti gli altri. Non voglio suggerire paragoni - me ne guardo bene - ma lui mi ha influenzato in tutto il mio lavoro. Poi ci sono altri nomi, come quello di George Orwell e di altri grandi scrittori socialisti".

Altro che bombo, nutella, preti, palombelle e figli: siamo su un altro pianeta, lontana anni luce dal mondo anglosasso-ne e non per colpa di Berlusconi!

Luca Guglielminetti

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Dire qualcosa di centro-sinistra

Da: Luca Guglielminetti, da Oggi in ItaliaData: 12 Feb 2002

E’ inutile nasconderselo, il vero problema non è quello di dire qualcosa di sinistra, ma qualcosa di centro-sinistra. La differenza non è un’inezia, ma coinvolge il problema dei pro-blemi per tutta l’opposizione al centro-destra: cioè quello di sviluppare un discorso pubblico agli italiani. Un discorso che sviluppi una "retorica dell'appartenenza" per tutti coloro che non si identificano nel progetto berlusconiano. Un discorso ai cittadini in grado di coniugare il terreno degli ideali con quel-lo della prassi, l’utopia con la riforma, un progetto di società diversa con la pratica del gradualismo.

L’inadeguatezza su questo terreno è evidente in ogni ma-nifestazione del fu Ulivo o nelle apparizioni televisive dei vari leaders nei salotti della politica. Si manifesta nel fatto che ognuno, ogni singolo leader o partito, riesce a esprimere solo una piccola parte del discorso. Piccole ragioni si stemperano da Fassino a Rutelli, da Boselli a Pecoranio Scanio, passando pur anche per Di Pietro e Bertinotti, ma da una tale segmen-tazione non risulta alcun disegno unitario, nessuna retorica in grado di fungere da cemento comune per gli italiani: dal gio-vane del movimento al vecchio liberale progressista.

E’ un problema di leadership? Sicuramente. Un proble-ma di cultura politica? Anche. Ma probabilmente la carenza più significativa è quella degli spazi della politica. Dei luoghi

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dove far crescere il confronto tra i cittadini che vogliono pro-vare a reimmaginare se stessi, la società e l’ambiente nel qua-le vivono.

Forse qualcosa di centro-sinistra può nascere se si inven-tano nuovi spazi: alternativi all’esibizionismo personalistico di quelli televisivi, alla prova di forza muscolare di quelli di piaz-za, ma anche a quelli ipercolti e verticistici delle fondazioni. (l.g.)

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Minoranze tra gli opposti estremismi

Da: Luca Guglielminetti, da Oggi in ItaliaData: 27 Feb 2002

Della serie: ‘le voci inascoltate’. Claudio Martelli su La Stampa di domenica e Marco Boato sul Corriere della Sera di oggi, avvertono il fatto che oggi si sia di fronte a due opposti estremismi, ben riemersi, ancora domenica sera, con i fischi a D’Alema, allorché di fronte alla platea dei professori ‘ribelli’ ribadisce la piena legittimità della maggioranza e del suo go-verno, e, ieri, nelle dichiarazione di Berlusconi e Buttiglione che ravvisavano un nesso - causa effetto - tra la manifestazio-ne del Palavobis e l’attentato in via Palermo.

Entrambi sostengono che un motivo serio per la manife-stazione del Palavobis c’è: «un capo del governo che dia anche solo l´impressione di usare il potere legislativo della maggio-ranza per confezionare leggi su misura, come una sartoria, eccita gli animi», dice Martelli. Ma entrambi sono lontani dal-le posizioni politico culturali emerse in queste manifestazioni: quelle di un Flores D’Arcais, “privo di un grammo di cultura dei diritti” (Martelli), o, del professor ‘pancho’ Pardi riciclatore di un “primitivismo politico ideologico risalente agli anni ’70” (Boato). «Se l’Ulivo adottasse questa piattaforma culturale, che ricorda la "Gioiosa macchina da guerra" del’94, andrebbe in-contro a un suicidio politico. Non dimentichiamo che in In-ghilterra governi legittimi di centro destra sono durati per 17 anni e nessuno si è mai sognato di parlare di regime», afferma

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Boato. «Il loro progetto è estremizzare l´opposizione, cavalcar-la, e impadronirsene», rilancia Martelli.

Sullo sfondo di queste voci inascoltate, ci sono un D’Alema in procinto di lasciare l’Italia per gli USA, dopo le amministrative, e un Amato che sarà sempre più preso in Eu-ropa con la Convenzione che inizia domani. Insomma, la lea-dership riformista del Congresso DS di Pesaro resterà sulle sole smilze spalle di Fassino, il quale, in questi mesi, ha dimo-strato di non avere proprio il fisico migliore per il ruolo di cui è stato investito.

La disgraziata situazione nella quale siamo immersi trova qualche ragionevolezza di discorso pubblico solo in piccole minoranze. Da una parte in quella all’interno della maggio-ranza, che svolge il ruolo di ‘pompiere’, come - ad esempio - Follini o Mantovano che negano connessione tra i cortei e gli attentati. Dall’altra, in una minoranza, all’interno della oppo-sizione, che svolge il ruolo di ‘pontiere’ per impedire al centro sinistra di rovinarsi completamente cedendo alle culture illi-berali e giustizialiste o a quelle movimentiste e massimaliste. (l.g.)

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Titolo: (15.03.02) II lavoro tra padri e figli

Redazione

Rispondendo senza mezzi termini all’affermazione di Berlusconi che aveva definito le iniziative sindacali come “come uno sciopero dei padri contro i figli”, Cofferati ha sot-tolineato come sia "questo governo a voler togliere i diritti ai figli". "Si tratta - ha aggiunto il leader della Cgil, - della can-cellazione dei diritti fondamentali. Noi invece vogliamo che i figli abbiano gli stessi diritti dei padri".

Chi ha ragione?

Negli ultimi decenni l'erogazione di benefici pubblici e garanzie è stata senza dubbio destinata soprattutto alle gene-razioni mature con un sindacato orientato prevalentemente alla garanzia del lavoro burocratico, di quello taylorista o dei pensionati. Le nuove generazioni sono spesso destinate alla disoccupazione o sottoccupazione dovendosi inserire sempre più nei nuovi lavori che più che flessibili sono più spesso precari e privi di ogni forma di garanzia e tutela sindacale. Esiste, insomma, un variegato gruppo sociale in grande cre-scita, formato dal popolo delle partite IVA ai “manovali della conoscenza”, dai lavoratori di cooperative e quelli delle agen-zie interinali, dai microimprenditori ai nuovi sottoproletari, che oggi pagano il prezzo delle politiche del sindacato e di

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una classe politica attente, da una parte a mantenere lo status quo ai lavoratori e ai pensionati garantiti e dall’altra ad am-pliare gli interessi d’impresa e profitto di chi deve competere nel mercato globalizzato.

Sia i sindacati che il governo risultano fortemente defici-tari verso una seria riforma dello stato sociale che coniughi nuovi diritti con il nuovo scenario del mercato del lavoro, nel quale il modello tradizionale - sul quale era stato ritagliato lo Statuto dei lavoratori - ogni giorno cede spazio a quello nuo-vo flessibile e precario. Berlusconi non offre iniziative serie e diritti ai figli, ne' Cofferati può permettersi di favoleggiare su diritti per i figli pari a quelli dei padri in un quadro quasi completamente trasformato rispetto a trent’anni fa.

Raccontano entrambi balle e, ancora una volta, anche sul tema del lavoro, assistiamo alla radicalizzazione dello scontro politico per l’incapacità dell’azione riformista di entrambi gli schieramenti in campo. (l.g.)

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Titolo: (19.03.02) Sgarbi e la libera stampa Redazione

Dopo l’eclatante caso di D’Alema con Forattini, oggi è il turno di Sgarbi con “Le iene”. Una querela per diffamazione e una richiesta di risarcimento danni da parte del deputato di Forza Italia per 51 milioni 640 mila euro (pari a 100 miliardi delle vecchie lire) a carico del programma Mediaset. L'accusa e' di aver definito ''falsamente'' Sgarbi come ''un drogato'' nella trasmissione del 3 febbraio scorso.

Il rapporto del potere con la satira è sempre una perfetta cartina tornasole della “liberalità” del primo e, dopo il crollo del Muro di Berlino, tutti hanno fatto la gara a definirsi libera-li o i più liberali. Purtroppo, si evidenzia ancora una volta che la cultura liberale nel nostro paese si trova solo “in tracce”, come il sodio nelle acque oligominerali dietetiche.

Lo strumento della querela, inoltre, è diventato negli ul-timi anni un ottimo mezzo per imbavagliare la stampa. La li-bertà d’opinione sta diventando un lusso che si possono permettere solo i grandi gruppi editoriali. Quale piccolo gior-nale o Tv locale può permettersi la spada di Damocle di una attesa di anni per una possibile sentenza miliardaria in lire, o milionaria in euro?

Noi sicuramente no… quindi affermiamo perentoriamen-te che Vittorio Sgarbi non è assolutamente un drogato, ma è

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un vero liberale che soffre di una ipertensione arteriosa che gli procura repentini sbalzi di umore, le cui “vittime” solo ca-sualmente appartengono alla fauna strisciante della satira. (l.g.)

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Titolo: (23.03.02) Sinistra e riformisti e mercato del la-voro

Redazione

Le aziende hanno bisogno di strumenti per rendersi competitive nel mercato globale. Si introducono allora stru-menti di flessibilità. Il governo di centro sinistra lancia, pochi anni fa, la legge per le agenzie di lavoro interinale, che affian-cano i precedenti strumenti quali i contratti di formazioni, le collaborazioni coordinate e continuative etc. Strumenti che a loro volta si innestano su un mercato del lavoro nel quale già si trova il grande popolo delle partite iva e quello dei lavora-tori del sommerso. Crescono flessibilità e precarietà e dimi-nuiscono i lavoratori del mondo taylorista per la contrazione generale della grande impresa, mentre i pensionati aumenta-no in proporzione ai lavoratori attivi, a causa della scarsa na-talità e di strumenti come le pensioni di anzianità per le quali il nostro paese è il più generoso d’Europa. Le prospettive previdenziali e di stabilità lavorativa per i giovani si fanno ne-re e la stragrande maggioranza dei lavoratori attivi (esclusi appunti quelli delle aziende medio grandi con più di 15 di-pendenti e dello stato) si trovano sempre più privi di tutele e con diritti ridotti.

Su questo scenario, sommariamente tracciato, si innesta l’opera dei riformisti. Coloro che sanno che esiste una forte

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frattura generazionale nel mondo del lavoro dalla quale oc-corre assolutamente uscire, consapevoli che i figli di oggi non avranno tutele e garanzie pari a quelle dei loro padri, ma non per questo possono essere lasciati alla precarietà cronica e all’incertezza permanente su lavoro e pensione. Coloro cioè che, consapevoli dello stato dell’arte dei lavori e delle aziende, cercano di introdurre, sulla scorta di analisi tipo quelle del Libro sul Lavoro in Italia, scritto da Biagi per il Ministero del Welfare, delle proposte atte a ridisegnare dei nuovi ammortiz-zatori sociali e dei nuovo diritti. Proposte come quella di uno Statuto dei lavori che colga l’enorme evoluzione avvenuta dai tempi dello Statuto di Brodolini e Giugni.

In questo contesto di riforma, la proposta di deroga al-l’art. 18 inserita nella delega governativa, rappresenta solo un piccola parte, parziale, ma la riforma maggiore ha il grave di-fetto di risultare al momento assolutamente non finanziata.

L’attuale scontro sociale ed in particolare quello tra go-verno e confindustria da una parte e i sindacati dall’altra, ha evitato, fino alla morte di Marco Biagi, di entrare nel merito di questo quadro globale del problema, concentrandosi sul valo-re politico-sindacale della deroga parziale all’art.18. C’è stata la speranza, ancora al Congresso della UIL a Torino, che l’Unione sindacale di tradizione socialista e riformista potesse appoggiare (insieme alla CISL) l’opera del governo, che tenta-va di riproporre un’operazione analoga a quella di Craxi sulla scala mobile. Ma proprio per l’attenzione tutta focalizzata sul-l’art. 18, è mancato un’apertura del sindacato sulla globalità

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della riforma. Le posizioni si sono radicate in quella fase, ma occorre sottolineare una netta differenza di linea tra il mini-stro Maroni e Berlusconi. Differenza ben esplicitata in una vignetta del Corriere dove si vedeva il Cavaliere bastonare in testa Maroni, gridando: “Linea dura!”. E’ cioè assai probabile che il Ministro del Walfare, così come Biagi, non intendessero porre la questione della deroga all’art. 18 come punto irri-nunciabile, ma cercassero un varco nel settore sindacale per proseguire comunque l’iter di riforma presente nelle altre deleghe.

C’è stata insomma, una volontà esplicita, da parte di Ber-lusconi e della maggioranza dell’esecutivo, di calcare la mano e, così, la riscrittura della delega ha continuato a contenere la deroga, seppur in forma attenuata. Dall’altra, il sindacato, an-che per la sua composizione sociale dominata da dipendenti fissi e pensionati, non ha fornito aperture apprezzabili sul tentativo di riforma che, va pur detto, riguarda anche moltis-simi lavoratori atipici che probabilmente non potrà mai por-tare nelle proprie file.

Siamo così giunti alla uccisione per mano terroristica di Biagi e alla manifestazione della CGIL di oggi a Roma, ma la morale di questo stato di cose è quella che ripetiamo da tem-po e che il senatore Franco Debenedetti ha ben sintetizzato pochi giorni fa: “L'assassinio di Biagi oggi, di D'Antona ieri, per non tradursi nella radiazione dei riformisti dalla sinistra italiana chiede ora ai leader della sinistra, politica e sindacale, una scelta netta.” (l.g.)

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Titolo: (25.03.02) Il miracolo Cofferati

Redazione

Uscito perdente dal Congresso dei DS di Pesaro, isolato fino a poche settimane fa, un miracolo ha colpito Sergio Cof-ferati. Il capo della CGIL si è trovato in pochi giorni alla gui-da di uno schieramento addirittura più ampio dello stesso fronte sindacale e comprendente ampi settori di elettorato della Casa delle Libertà. Il miracolo si compie al Congresso della Margherita, dove si è trovato investito da Cacciari quale ticket, in tandem con Prodi, per la leadership dell’Ulivo pros-simo venturo. Pezzotta, allo stesso congresso, viene contestato dalla platea così che CISL e UIL rischiano di trovarsi prive di riferimenti politici nel centro-sinistra tutto convertito alla li-nea della CGIL. Non a caso le due organizzazioni oggi ripon-gono speranze che il dialogo col governi riprenda dalle pro-poste contenute nel Libro Bianco di Marco Biagi. «Il Governo deve stralciare le modifiche all’articolo 18 - spiega il segreta-rio generale della Uil, Luigi Angeletti - e la discussione deve ripartire da altri temi: la riforma del collocamento, quella de-gli ammortizzatori sociali, la partecipazione». Questo bisogna fare per Angeletti «se si vuole realmente rendere omaggio al professor Marco Biagi».

Il miracolo si sviluppa poi sulle colonne dell’Unità di sa-bato diffusa alla grande piazza della manifestazione. Due ri-

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formisti, come il senatore Franco Debenedetti e Giuseppe Caldarola vengono fatti, ancora una volta, oggetto di vergo-gnosi attacchi, con l’ironia del fatto che il quotidiano fu «pre-so» dall’attuale direttore ed editore a condizione che vi fosse-ro massicci licenziamenti, senza la tutela dell’art. 18.

Il miracolo Cofferati, infine, si completa anche grazie alla scelta del governo di anteporre alla riforma del mercato del lavoro l’attacco alla CGIL, raggiungendo l’incredibile obietti-vo di spingere i riformisti sempre più a gettare la spugna.

La responsabilità più grave dello stato del riformismo ita-liano dettato da questo miracolo resta del centro sinistra, là dove nessuna delle pur autorevoli voci riformiste ivi presenti ha alzato la voce o ha avuto la forza di affermare che nel pro-getto di Biagi non c’era niente di “vergognoso”. (l.g.)

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Titolo: (30.03.02) Buon Aprile “Correntone”!

Redazione

"Aprile è il mese più crudele”, April is the cruellest month,..., è questo il famoso incipit della Terra Desola che ottant’anni fa dava alla luce forse il maggior poeta del XX se-colo, T. S. Eliot. “Aprile. Per la sinistra” è invece, il nome dell’ l’associazione del correntone diessino che dal prossimo 7 aprire prenderà il via dal Teatro Eliseo in Roma. Il fine è quel-lo di aprire i Ds alla dialettica con girotondisti, CGIL (Coffe-rati ha già dato la sua adesione), movimenti e intellettuali.

Il nome naturalmente è di morettiana memoria. A chi verrebbe in mente nella vasta intellighenzia di sinistra di col-legarlo a Eliot? Suvvia, non scherziamo, questi compagni de-vono costruire l’opposizione al regime incipiente con gli strumenti del pensiero debole e con gli ingredienti della nu-tella! Mica possono chiedersi come puntellate le rovine della civiltà, con strumenti più raffinati.

“Sedetti sulla riva/A pescare, con la pianura arida dietro di me/Riuscirò alla fine a mettere ordine nelle mie terre?” La mitica figura del “Re pescatore”, è un po’ troppo fabiana, temporeggiatrice e consapevole delle crudeltà che ci circon-dano.

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L’allegra compagnia della Melandri & C., crede invece, ancora, che Aprile sia il mese delle scampagnate in vespa e della feste di piazza. Li riporta agli “happy days” di Fonzie di quando erano giovani della Fgci, o all’anno in cui l’Ulivo vin-se le elezioni e che Moretti celebrò con l'inizio della «pasco-lizzazione» della sinistra. I loro confini non vanno oltre il Pascoli e il solito buonismo: al massimo ci aggiungono un piz-zico di cultura heideggeriana tanto per rendere ancor più ste-rile l’agire, nel mese che “genera Lillà da terra morta, confon-dendo Memoria e desiderio.”

Auguriamo loro buona Pasqua, sperando che tale iniziati-va non immoli tutta la sinistra come un agnello sacrificale. (l.g.)

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Titolo: (10.04.02) La volontà di Formica

Redazione

A metà gennaio scrivevamo che: “Non ce ne stiamo ac-corgendo, forse, ma i disastri di Berlusconi, da una parte e di Fassino, dall’altra, potrebbero alla fine giovare a ricompattare i socialisti. Tutti i socialisti: da quelli in area governativa fino a quelli in area diessina”. Ugo Intini, su “Mondo Operaio”, pro-poneva di ripartire da un ''heri dicebamus''. E noi, da questa postazione virtuale, invitavamo a parlarsi insieme, senza ver-gogna, sia chi è stato anticraxiano che chi è stato craxiano.

Oggi si stanno raccogliendo in tutta Italia le firme in cal-ce ad un appello che vede vicini compagni che fino a poco tempo fa era inimmaginabile accostare. L’omicidio di Biagi, lo scontro sociale e la china sulla quale versano maggioranza ed opposizione, hanno permesso a questa iniziativa che ruota intorno all'unica organizzazione socialista rimasta in piedi e unita, la UIL, di procedere spedita, realizzando in questi gior-ni la convergenza di socialisti, laici e riformisti diversamente collocati in termini di partito - o fuori dagli attuali partiti - ma che intendono impegnarsi nella ricerca di una piattaforma comune - senza particolarismi né preclusioni - che ribadisca la validità del patrimonio di storia e tradizione di tanta parte del movimento socialista e democratico italiano.

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Il tutto nasce da un'idea di Rino Formica che è venuto a Torino per il Congresso della UIL ed ha organizzato un primo incontro tra i vertici del sindacato, esponenti del Nuovo PSI e di quei socialisti andati nei DS ai tempi della Cosa2.

L’ottimismo della volontà pare dunque tornato per mano del compagno Formica, in queste settimane che simbolica-mente vanno dal secondo anniversario della scomparsa di Bettino a quella recente di Giacomo Mancini. (l.g.)

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Titolo: (22.04.02) Cercasi Tony Blair disperatamente!

Redazione

Nelle ultime settimane i giornalisti e gli intellettuali fran-cesi erano talmente impegnati nell’additare il caso Italia, l’anomalia e il pericolo Berlusconi, che forse non si sono ac-corti di cosa stava succedendo in casa propria. Nel paese lea-der dell’integrazione, dove risiede la più grande comunità mussulmana d’Europa, si sono moltiplicati negli ultimi tempi centinaia di attentati antisemiti, culminati nel rogo della sina-goga di Marsilia. Lo spettro dell’insicurezza e della criminalità extracomunitaria venivano agitati dall’estrema destra quanto, se non assai più, di quanto facesse Bossi da noi, fino a giun-gere al risultato clamoroso delle elezioni di ieri: Le Pen ha liquidato il socialista Jospin nella corsa alla presidenza della repubblica francese.

Certamente la vittoria di Silvio Berlusconi in Italia, di Fog Rasmussen in Danimarca, di Antonio Durao Barroso in Portogallo, le dimissioni anticipate di Wim Kok in Olanda, ora l'uscita di scena di Lionel Jospin e la praticamente scontata vittoria di Jacques Chirac in Francia, e in Germania la debo-lezza della Spd del cancelliere Gerhard Schroeder, che i son-daggi danno perdente alle politiche del prossimo autunno, confermano un terremoto in atto nella politica europea.

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Si aggiunga che l’ironia del caso vuole che gli unici parti-ti socialisti vincenti in Europa siano quelli post-comunisti nei paesi dell’Est, come è successo, sempre ieri, in Ungheria.

L’unica eccezione, salda in questo panorama, è rappre-sentata dal New Labour inglese. La sinistra europea continen-tale ha dunque da ben riflettere sull’esempio di Tony Blair e sulla strada da percorrere per riconquistare il terreno perso! (l.g.)

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Sinistra: un grande futuro dietro di lei

Da: da Oggi in Italia (l.g.)Data: 5/20/2002

Il dibattito della sinistra in Italia, ma forse anche in Eu-ropa, sembra sintetizzabile nell’espressione autocompiaciuta di chi dice “Sempre avanti perché abbiamo un grande futuro dietro di noi”, senza capire che è impossibile oggi andare avanti sui fasti del passato, sulle idee e i simboli che, anche se positivi e moderni, hanno costituito la storia della sinistra dal-l’800 a ieri. No, non è possibile trarre con geometrica simme-tria la linea di continuità tra quella che era ieri la sinistra e quello che potrà essere domani. Si percepisce che il dibattito gira in folle, è come arrotolato su se stesso e su un centro co-stituito dal luminoso passato che si immaginava come futuro. Si dovrebbe percepire che occorre un salto: uno di quei “salti dell’oca” di cui parla Konrad Lorenz per descrivere il proces-so di apprendimento negli animali.

Forse questa percezione di necessità del salto dell’oca è più sviluppato in una certa generazione. Lo la stessa immagi-ne sintetica del dibattito in corso, non è presa a caso dal titolo di un libro di Giuliano da Empoli. Figlio d’arte di un nostro compagno gambizzato dalle BR e oggi collaboratore di Giu-liano Amato, nel 1996 Giuliano scriveva un libro, “Un grande futuro dietro di noi”, nel quale descriveva molto bene il con-

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flitto generazionale in corso da un decennio. Il conflitto con gli “anziani” di quella "Generazione X", come è definita negli USA, di chi è nato negli anni del boom economico ed è entra-ta nel mondo del lavoro negli anni 90, anni di crisi, e di cui si parla per sottolinearne l’esclusione dagli ambiti centrali del sistema sociale. Quei giovani che vengono definiti la genera-zione "senza", senza lavoro, valori, certezze e fiducia nelle isti-tuzioni.

Loro/noi percepiamo, sempre di più, il fatto che il “gran-de futuro” immaginato dalla sinistra “anziana” ci appartenga sempre meno, sotto tutti i punti di vista. A partire dai nomi fino ai simboli passando per le idee “forti” o “deboli” che hanno rappresentato le migliori tradizioni politico culturali della sinistra storica o movimentista: tutto sembra dotato di senso e significato sempre più labile. Questa perdita di signi-ficato è indiscutibilmente legata alla mancanza di senso di responsabilità della sinistra stessa come scrive parla Barbara Spinelli nel fondo de La Stampa sul nuovo populismo in Eu-ropa (riportato per intero sul forum principale). Ma c’è dell'al-tro, perché la sinistra è incapace di fornire risposte anche a chi in piazza professa che “ un mondo diverso è possibile”, oltre a quelle di chi, nel chiuso delle proprie case, chiede maggiore sicurezza sociale e libertà personale. La sinistra si-lente non riesce più a rispondere alle nuove domande di li-bertà e responsabilità, domande che sono solo in apparente contraddizione, come utopia e riforma, o come l’ossimoro li-beralsocialismo. Forse sarà un neologismo a sintetizzare le

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risposta, ma, in ogni caso, è abbastanza evidente, potranno scaturire sola dall’interno di questa nuova generazione. La scena degli “anziani” (con tanti auguri a Stefania Craxi o ai mitografi di Berlinguer o del Che) pare veramente ogni dì sempre più vuota. (l.g.)

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Elémire Zolla. La mitica generazione dei nuovi dina-mitardi d'Occidente

IL 30 MAGGIO 2002 LO SCRITTORE È MORTO NELLA SUA CASA DI MONTEPULCIANO. AVEVA 76 ANNI

Molto di quanto scritto da Elemire Zolla, forse non pare, ma oggi è incarnato. Incarnato nella generazione più giovane, quella che rischia. Sì, rischia perché non avendo le prospetti-ve dei padri, rischia di trovarsi senza lavoro fisso, senza fissa dimora, senza pensione né paura di morire. Ma quando non si ha paura di rischiare e di morire, al contrario di Zolla, o di Cristina Campo, la svolta oggi non avviene sul piano mistico delle idee. Semmai capita qualcosa di simile a quanto scriveva Max Weber: "Gli antichi dei, disincantati e perciò trasformati in potenze impersonali, sorgono dalle loro tombe e riprendo-no la lotta fra di loro aspirando a conquistare il dominio sulla vita".

Molti delle ultime generazioni, possono sembrare zombi, ma gli dei non li praticano con la mistica, ma nella carne, cer-cando appunto di riconquistare il "dominio sulla vita". Le fol-li corse in auto di notte a fari spenti, gli eccessi di alcolici e stupefacenti, il rifiuto del lavorare, non come bestie, ma in quanto solo bestie, certamente li connota come 'bassi'. Come 'bassa' è la considerazione per la contesa politica espressa da Zolla e la Campo, così anche a questa generazione è chiaro

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che destra e sinistra oggi mancano di connotazioni sufficien-temente chiare e si pongono al di sopra o fuori dalla politica in senso stretto: cioè fuori dalla politica partitica. Nel senso che la politica, come condivisione di spazi pubblici condivisi, si svolge fuori dalle sedi di patito, fuori dalle sezioni e dalla maggior parte dei circoli politico-culturali.

In fondo molto di Zolla, fra cui la distonia tra l'intellet-tuale e lo sciamano, oggi si aggira nelle nostre città, e l'espres-sione di Flaiano : "Elemire Zolla / preferisco la folla", oggi suona, seppur debolmente in quanto molto deprivato cultu-ralmente (della cultura classica), "Noi/ pratichiamo la folla" e forse anche un po' la follia.

Se di miti si deve parlare, o rispecchiarcisi, i libri di Zolla, come quelli di un Guénon o un Eliade, e come i molti altri della 'tradizione', sono di una natura molto diversa da quelli di Kerény o di Hillman, ad esempio. Qual'è la differenza? L'approccio esclusivamente "letterario" ed "esoterico" dei primi e quello più "scientifico" od "essoterico" dei secondi. Sarà perché l'illuminismo e l'uso della ragione non riusciamo a percepirli come "cospirazione" o come "demoniaco", ci pare che la differenza tra un mistico "liberale" e un socialista "libe-rale" risieda nella dimensione sociale della conoscenza, o gnosi. Il rimprovero a questa cultura, sicuramente emarginata per molti anni in Italia, risiede non più tanto nel fatto di esse-re "di destra" tout-court, quanto piuttosto per il disprezzo che esprime verso il "basso", la piazza dove tumultuose e sporche si muovevano l'altro ieri le classi, ieri la massa, oggi una

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somma di individui in relazioni varie tra loro. La cultura di sinistra, con le rare eccezioni italiane costituite da Furio Jesi o Ugo Volli, ha, a sua volta, respinto o rimosso la "macchina mitologica". Solo in casi isolati di "socialismo eretico" ha col-to nel segno. Come trapela in tutta l'opera di Camus, dove si percepisce la contiguità tra l'estrema solitudine e indifferenza dell'individuo e tutto il senso a partecipazione a tutto ciò che lo circonda con spirito di libertà ed eguaglianza.

In fondo l'unico rimprovero che ci sentiamo di muovere a Elémire Zolla è solamente questo: non aver visto che gli dei non animano solo il fondo della propria anima, o quella di una cerchia chiusa, ma agiscono sempre in chiunque e ovun-que in forme diverse, anche nella bassa piazza della politica che rifiuta l'unità del tutto, ma si divide politeisticamente, per non dire - dato il tema - semplicemente pluralisticamente, almeno in parti opposte, come lo yin e yan della tradizione taoista. Quello che vediamo noi, ed è profondamente sociali-sta e liberale contemporaneamente, è il principio di scissione originario del più semplice organismo biologico vivente che si riproduce, forse nell'universo taoista, ma sicuramente in modo evidentemente percepibile in noi stessi, nella politica, all'interno degli schieramenti e dei singoli partiti, correnti, e giù, giù in fondo fino a quando chiacchieriamo al bar con un amico e siamo sempre in due.

Se il titolo del suddetto articolo ci sintetizza Zolla come dinamitardo dei miti dell'Occidente, oggi assistiamo all'esplo-sione concreta di quella bomba. Gli "dei dell'estasi" non sono

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un meccanismo in fondo al nostro cervello o cuore, ma sono carne lacera, che aspira a ricompattarsi per domare la vita. Lui ha fatto un po' l'aristocratico ed è morto in casa sua pur preferendo la folla, noi facciamo un po' gli anarchici e ci sen-tiamo di morire in piazza, perché la nostra nostalgia non sarà un mito morto da consumarsi in casa propria, ma una città viva, come la Lugano Bella: un'utopia o una riforma dotate di bellezza sociale, da condividere (con la forza impersonale de-gli antichi dei) con altri negli spazi pubblici e privati.

(Luca Guglielminetti)

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L'equilibrio precario tra memoria e oblio

Da: da Oggi in Italia (lg)Data: 6/4/2002

Può sembrare stano, ma un filo rosso lega il contributo sul perché l’Italia abbia perso gli ultimi tre Mondiali ai rigori e quello di Barbara Spinelli sull’origine storica delle attuali difficoltà che l’Europa incontra con l’Est e i nuovi nazionali-smi (entrambi sul Forum principale del Portale).

Il filo rosso si snoda sul sottile rapporto tra memoria e oblio. Tema antico, già caro ai greci, la dialettica tra questi due termini suggerisce un modo di leggere gli avvenimenti in una modalità profonda. Nel rapporto dinamico tra il ricordare e il dimenticare scorgiamo la forza del profondo: come, ad esem-pio, la forza del rimosso della psiche umana che Freud chia-mò inconscio.

Così ci sovviene l’idea che forse all’origine dei guai del socialismo italiano ci sia qualcosa che è stato rimosso, che l’origine della diaspora socialista, o della divisione della sini-stra storica, risieda in qualcosa che le varie parti in gioco non vogliono ricordare o dimenticare.

Eppure la storia è lì. Come quella dei Mondiali persi o quella dell’Europa post-bellica o quella del Socialismo italia-no è lì. Sembrerebbe una cosa evidente, autoevidente, dicia-

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mo che la conosciamo, ma evidentemente non è così: qualco-sa la omettiamo. L’impressione è che ogni soggetto in campo, da Bertinotti a De Michelis, tanto per essere chiari, rimuova parte della storia comune del socialismo, o della sinistra ita-liana.

Qualcuno rimuove le foibe, altri l’asprezza delle lotte operaie. Qualcuno rimuove Craxi, altri Berlinguer, tanto per fare due esempi. Ma nessuno è disposto a dire: “D’accordo, distribuiamoci i torti e da domani scenda l’oblio”. Un oblio attivo che consegni alla storia con la S maiuscola, il rendicon-to tra torti e ragioni. Un oblio attivo che significa che ciascun attore accetta di portare sulle sue spalle il peso dei torti degli altri oltre ai propri. Un oblio attivo che è riconoscenza della memoria al posto della sua rimozione. Continuare a rimuove-re infatti implica mantiene la storia nell’agone politico, come clava esacerbante.

Ri-conosciamoci, letteralmente significa avere la volontà di conoscersi di nuovo, cioè non darsi per scontati: più facile a dirsi che a farsi... (l.g.)

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Procreazione assistita: Destra e Sinistra

Da: da Oggi in Italia (lg)Data: 6/14/2002

Negli stessi giorni nei quale Forza Italia sul tema della fecondazione assistita approda definitivamente nel brodo postdemocristiano, con la triste e penosa eccezione di Fabri-zio Cicchitto, Marcello dell’Utri ha presentato un manifesto della cultura di destra. Sottotitolo “La cultura non è solo a sinistra”. Hanno già aderito all´iniziativa numerosi maître a penser di destra: Alberoni, Baget Bozzo, Brunetta, La Malfa, Sgarbi, Teodori, Adornato, Zecchi.

Lo hanno presentato come “di destra”, ma leggendo i nomi si capisce che dietro c’è l’area “liberal” dei forzisti. Man-ca solo Giuliano Ferrara. In AN e Lega si sono subito alzate proteste per rimarcare che la cultura non di sinistra non è solo quella liberale (sic!).

Penosa diatriba in vero. Nel momento di maggior debo-lezza per la cultura di sinistra, atomizzata dalle sclerosi dei suoi di maître a penser, i liberali di FI si alzano a dire che ci sono anche loro, proprio mentre in Parlamento si manifesta palesemente, oltre alla trasversalità della 'Santa Allenza' in temi di bioetica, tutta la debolezza che quell’area culturale esprime in termini di peso politico.

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E’ diventato evidente, e lo sarà sempre di più, che la dico-tomia Destra/Sinistra stenta a reggere in un mondo che i vari maestri ed intellettuali dei due schieramenti faticano ad in-terpretare.

Noi socialisti non possiamo limitarci a riconoscere che in entrambi i poli ci sono istanze riformiste o laiche e quindi approdare indistintamente ad uno dei due forni con margina-le, se non nulla, autonomia ed identità.

In altri tempi si sarebbe detto: “Ben altri compiti ci aspet-tano, compagni!”. Ma purtroppo, con altrettanta evidenza, prendiamo atto che non ci sono all’orizzonte uomini o donne in grado di alzarsi a gridarlo, anche se molti di noi lo pensano, intensamente e non solo tra i due tempi di una partita dei mondiali. (l.g.)

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Scajola il ministro e Biagi il cococo

Da: da Oggi In Italia (l.g.)Data: 7/1/2002

Cofferati in qualche modo se ne va'. Tra poco sarà co-stretto a ricostruirsi una sua strada, un suo partito o movi-mento dove provare a raccogliere il saldo della sua attività di ex sindacalista. Scajola, no. Ha fatto la pantomima delle di-missioni, ma il Cavaliere le ha subito respinte. Del resto gli uomini di FI non sono mica politici di professione. Uno come Scajola cosa potrebbe fa fuori dal Governo? Al massimo il manager in qualche azienda del gruppo Fininvest. L’ascen-denza democristiana del Ministro è evidente che è stata com-pletamente assorbita, anche nel linguaggio, dal quella azien-dalista, che è l’unica che può trovare espressioni tipo: Biagi? “Era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del suo contratto di consulenza”. Quando mai un democristiano avrebbe dato una risposta del genere? Il sentimento sotteso in quella cultu-ra era sempre il massimo rispetto verso chi “tiene famiglia” e lotta per il mantenimento del suo contratto.

Oggi l’azienda Italia è invece post-fordista, così viene na-turale che i ministri mutuino le loro espressioni dalla trivialità di un manager o un membri di CdA. L’unico rapporto che le parole esprimo verso chi, pur collaborando, è fuori dalla stan-za dei bottoni è quella del dipendente a contratto. E’ quella

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del questuante, quasi sempre rompicoglioni, perché non capi-sce che nello Stato-Azienda, gli può toccare di entrare nel tritacarne in qualunque momento. Oggi Biagi, domani un al-tro, non importa se meglio o peggio, l’importante è che ri-sponda alle necessità del momento dell’esecutivo, il quale la-vora con l’ottica degli investimenti finanziari per ottenere alti interessi a breve termine.

In fondo la battuta di Scajola ci illumina sull’essenza at-tuale dei rapporti tra potere pubblico e suoi collaboratori e ci suggerisce il fatto che la sua natura non è molto diversa da quella che intercorre tra una azienda privata e un CoCoCo, cioè un collaboratore coordinato continuativo.

Il paradosso del tutto risiede allora nel fatto che Marco Biagi si occupava proprio di ridisegnare il quadro giuridico dei rapporti lavorativi per conto del governo. Chissà se, prima di essere ucciso, aveva percepito che le collaborazioni al mas-simo livello, come la sua, in fin dei conti rispondono alla stes-sa dinamica di quelli dell’ultimo dei lavoratori atipici e preca-ri? (l.g.)

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Dalla biologia il nuovo socialismo

Da: Luca Guglielminetti (Forum Caffè Letterario)Data: 30 Aug 2002

Un nuova frontiera scientifica pare che si sia aperta per il socialismo. Dopo la sociologia marxiana, si apre uno nuovo scenario - questa volta - dalla biologia. Umberto Galimberti, fornendo un primo commento su La Repubblica di una gior-nata di fine luglio, naturalmente non parla di socialismo. Rac-contando della scoperta americana sulla gratificazione cere-brale che si attua dallo svolgimento di azioni altruistiche, co-operative e solidaristiche, scrive della conferma delle idee di Aristotele e di Eugenio Scalari (!).

La ricerca svolta ad Atlanta dalla Emory University e di-retta da Gregory Berns, ha individuato l’analoga l’irrorazione della stessa parte del cervello che avviene di fronte ai vari pia-cere della vita anche quando si compiono azioni altruistiche. Per la chimica del cervello non c’è differenza se ci stiamo sa-crificando per un altro o se stiamo soddisfando il più egotico desiderio: il piacere è biologicamente uguale.

Se quindi la virtù è ‘naturale’ e non ha bisogno di ricom-pense, va bene dar ragione ad Aristotele, ma il tema è però stato dibattuto per qualche decina di secoli da filosofi e lette-rati e quindi non si comprende bene perché, l’esimio com-mentatore, abbia compiuto il curioso salto temporale fino a

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Scalari. Il quale, avrà pur scritto che “la morale è un istinto” nel suo libro <<Alla ricerca della morale perduta>>, ma non ci sembra il miglior esempio comparativo sul terreno dell’eti-ca. Non per voler infierire a tutti costi col fondatore del quo-tidiano indipendente, ma forse neppure Karl Kraus, direttore del "Die Fackel" nella Grande Vienna, avrebbe accettato un sua ‘assimilazione aristotelica’, se non per puro spirito di iro-nica irriverenza.

In ogni caso, a parte la digressione su Scalari filosofo, la scoperta in questione, per ammissione degli stessi ricercatori, conduce alla conclusione che: “a livello di ‘piacere cerebrale’ il comportamento altruistico eccederebbe di molto il compor-tamento egoistico e, se no fosse per il tipo di società che ab-biamo inventato, il comportamento cooperativo sarebbe da tutti preferito a quello competitivo”. Il motivo di una tale scelta risederebbe nella capacità dell’uomo a considerare il domani. Al contrario degli animali, gli uomini sono in grado di rinunciare ad un vantaggio immediato per un bene a più lungo termine e in una situazione di crisi tendono a collabo-rare per la sopravvivenza invece di azzannarsi tra loro.

Galimberti, a questo proposito, si permette di una nota polemica con l’attuale “american way of life”. Il modello della competizione esasperata, ci segnala, potrebbe voler condurre l’uomo a diventare un “organismo geneticamente modificato”. A noi non preoccupa tanto questo, in fondo l’uomo ha subito mutazioni genetiche nei millenni per diventare com’è oggi, il

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punto invece, alla vigilia del vertice ONU di Johannesburg, è capire quanto i capi della terra traggano maggior piacere ad operare in via cooperativa per superare i problemi di ambien-te, fame e povertà, piuttosto che da cavalcare in via egoistica i propri interessi nazionali, industriali e militari. (l.g.)

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Titolo: (06.09.02) Quella torta di società civile

Redazione

Sarà che la torta Sacher la giudichiamo una fregatura in quanto, al pari della Nutella, sembra solo alla vista ricca di cioccolato, così nel cinema omonimo della torta e della socie-tà di produzione di Nanni Moretti, si ritrovano gli organizza-tori della manifestazione del 14 settembre, che, con eguale fregatura, ci vengono presentati come ‘la società civile’. Anche loro infatti, a prima vista, sembrano ricchi di qualcosa: idee, buoni propositi, spirito di iniziativa. Ma perché definirli ‘so-cietà civile’?

Vattimo, ‘Pancho’ Pardi, Flores D’Arcais e & C. con segui-to di belle signore e vecchi menestrelli, per non dire "nani e ballerine", sono tutti ex-sessantottini, che in verità non vede-vano l’ora che vincesse Berlusconi per “finalmente tornare a combattere”. Il loro culto è infatti l’eroe post-moderno che si cura di coltivare una indignazione permanente, di disegnare tragici e cupi scenari, di segnalare con enfasi l’imminenza di gravi pericoli. Se ci si pensa bene in fondo non hanno fatto nulla di diverso da quando c’è Berlusconi, da quello che ha fatto il presidente Bush a partire dell’11 settembre. Come si è visto benissimo che il cow boy texano non vedeva l‘ora di “tornare a combattere” e da allora arringa le folle con tutta la retorica guerrafondaia più becera, per scatenare guerre e dis-

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seminare il mondo di basi militari americane come ha fatto in Afghanistan e stati limitrofi. Così questi nostri eroi del ’68, nel loro piccolo, provano a cimentarsi nella loro guerra a dife-sa del loro status sociale di intellettuali tanto innocui cultu-ralmente quanto privilegiati socialmente, facendo leva sull’as-senza di integrità morale del nostro premier. Ma da quale pulpito, quello che si è riunito al cinema Nuovo Sacher e sarà sul palco a Roma, viene la predica?

Dotati, chi più, chi meno, di altrettanto narcisismo di Ber-lusconi, questi eroi del ‘68 hanno costruito le loro fortune e privilegi sul fatto di indicare alla sinistra il maggior numero di nemici, interni ed esterni, cui opporsi strenuamente. Uno dei vertici della loro attività, poco noto, lo ha raggiunto Nicola Tranfaglia due anni fa quando è riuscito a farsi sequestrare dal giudice Mascarello il suo volume Storia dell’Italia repub-blicana per eliminare il nome di Antonio De Martino quale possibile ministro del governo nel tentato golpe di Pacciardi e Sogno nel 74!

Dopo aver fatto il ‘68, negli ultimi dieci anni mai una vol-ta che si siano mobilitati, che so, sui temi disoccupazione nel mezzogiorno, dalla malasanità o altro tema sociale. Stanno, invece, riuscendo nel capolavoro di mettersi al servizio di una sinistra italiana talmente malconcia che non capisce che non ha nulla da guadagnare dal loro moralismo bacchettone, il quale è il perfetto specchio di quello spauracchio comunista utilizzato dal loro avversario principale.

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Ha scritto qualcuno che è solo interesse di Berlusconi presentare la dialettica politica del nostro paese come scontro tra lui e i girotondi. Bisognerebbe allora iniziare a spiegare all’Ulivo che quanto esprimono questi girotondisti, più che massimalismo da cercare di cavalcare, come ai tempi di Tan-gentopoli, è difesa di status sociale privilegiato, cui migliaia di italiani con la coda di paglia corrono dietro, dopo aver magari votato fino all’altro ieri per la Lega Nord. Altro che società civile! (l.g.)

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W il “Leone d’oro” di Berlusconi

Data: 10 Sep 2002

Il primo paradosso della Mostra del cinema di Venezia era giunto nei primi giorni quando si è assistito al capovolgimen-to della consacrazione a Cannes l’anno scorso di Moretti regi-sta. Le parole di Dino Risi hanno espresso con perfetta for-mula sintetica quanto ripetiamo da anni sulle amenità narci-siste dei suoi non-film, culminati con l’incivile “Stanza del figlio”.

Il secondo paradosso si è verificato invece ieri alla pre-miazione. Mentre al Festival di San Remo del centro-sinistra si vide vincere gli ‘amici’ Avion Travel, domenica prossima presenti sul palco dei girotondisti, la prima Mostra cinemato-grafica del governo Berlusconi si è conclusa suggellando la fine dell’egemonia democristiana inaugurata nel 1948. Ha in-fatti vinto un film dopo essere stato bollato dall’ Avvenire co-me «infame», condannato da l’ Osservatore Romano come «provocazione rabbiosa e rancorosa» e definito «un falso, una calunnia» da don Baget Bozzo.

Il film «The Magdalene Sisters» di Peter Mullan racconta la storia di un gruppo di ragazze all'interno di un istituto di correzione-lavanderia gestito dalle suore della Maddalena in Irlanda nel 1964. Chiusi nel '96, per anni gli istituti hanno ospitato, tra violenze e abusi di ogni tipo, ragazze madri, orfa-

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ne, quelle con difetti fisici e handicap o quelle che avevano subito stupri.

Capita così nel Bel paese che, mentre Veltroni in Consi-glio Comunale e Frizzi a Miss Italia si mobilitano per le ragaz-ze madri che in Nigeria rischiano la lapidazione, un film di un allievo di Ken Loach vinca il Leone d’oro rammentandoci che una certa condizione femminile è tutt’altro che estranea alla nostra società e che tutte le fedi fondamentaliste opprimono le donne. Ringraziamo Berlusconi almeno per la giuria della mostra veneziana! (l.g.)

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Titolo: (13.09.02) Unilaterlismo e terrorismo

Redazione

Non si può non osservare che a fronte di pagine intere sull’intervento di Bush alle Nazioni Unite, sia difficile trovare sulla stampa quotidiana adeguato spazio alla notizia delle mi-nacce, altrettanto violente, del Presidente Putin alla Georgia. Avessero accostato le notizie, sarebbe stato evidente a tutti che si sta prefigurando una accordo che sancirà il via libera reciproco a due guerre ‘preventive’: l’una contro i ‘terroristi’ irakeni, l’altra contro i ‘terroristi’ ceceni. Sullo sfondo da tempo, Sharon alle prese con i ‘terroristi’ palestinesi e le mi-riade di altri conflitti, più o meno palesi e ampi, in giro per il mondo.

Un anno dopo l’11 settembre domina ovunque l’incertez-za su tutti i fronti delle relazioni internazionali, per non dire della crisi delle economie. Il semi-fallimento del vertice di Johannesburg su ambiente, fame e sviluppo, come quello per l’introduzione della Corte Internazionale per i reati di guerra e di ogni tentativo di applicazione delle risoluzioni sui conflit-ti in corso, sanciscono lo stato di impasse nel quale si trovano le Nazioni Unite. Non si riesce, insomma, in alcun modo a da-re una ‘governance’ alla famosa globalizzazione. Così, ognuno per sé, sulla scorta della forza in possesso, sempre più brutale, a difendere i propri interessi nazionali. E’ la dottrina dell’uni-

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lateralismo che avanza e, c’è da scommetterci, non ne verrà nulla buono. Quando fallì il primo Onu - la Società delle Na-zioni - fu la seconda Guerra mondiale.

La sinistra, che ci risultava essere una volta internaziona-lista, non riesce a dir nulla, riflettendo la vacuità del suo or-ganismo principale: l’Internazionale socialista. Sarebbe bello che a fronte allo stravolgimento del diritto internazionale, che - come noto - non prevede ‘la guerra preventiva’, la sinistra in generale, e quella nostrana in particolare, rinunciasse al paci-fismo metafisico e monodirezionale verso USA e Israele e uti-lizzasse, invece, un’etica della responsabilità per mobilitarsi a salvaguardia del diritto internazionale su tutti i fronti. Tenen-do poi conto del fatto che lo scenario bellico in corso propo-ne, nel caso più clamoroso e pericoloso, uno scontro tra civil-tà giudaico-cristiana e islam che dovrebbe necessariamente rilanciare il linguaggio della laicità per uscire dall'attuale coro del duplice manicheismo dalle retoriche religiose, proprie tanto degli ‘unilateralisti’ che dei ‘terroristi’. (l.g.)

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Titolo: (24.09.02) A destra di Tabacci

Redazione

Scrive De Michelis, su Il Nuovo: “Dopo poco più di un anno di vita la maggioranza governativa accusa qualche affan-no, nel mentre l'opposizione, soprattutto a livello della società civile, sembra ricompattarsi e rialzare la testa: bene fa quindi Umberto Bossi a richiamare anche bruscamente i propri partners a stringere le fila ed a rilanciare i propri progetti di riforma del Paese.” E conclude l‘articolo chiedendo a Tremon-ti di farsi carico di individuare “con precisione tappe e pas-saggi obbligati” per giungere alla devolution.

Bruno Tabacci, del Udc, invece di esaltare le pantomime padane di Bossi e chiedere a Tremonti di farsene carico, non usa mezzi termini nei confronti del ministro dell’Economia: sul controllo della spesa pubblica ''è stato superficiale'', ha dichiarato di recente nel suo intervento alla seconda giornata del forum organizzato da Business International. Un’altra grana l’aveva piantata, settimane fa, con la Lega sulla maxi-sanatoria per gli immigrati.

A noi pare veramente curioso che il segretario di un “par-tito socialista” riesca a porsi a destra di un centrista del Polo come Tabacci, il quale verso i ministri Bossi e Tremonti, e il governo in generale, ha assunto il ruolo del più accesso pian-tagrane di questa maggioranza. Gianni De Michelis no, il suo

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ruolo - alla faccia della salvaguardia di una identità socialista, evidentemente ormai solo nominalistica, nella Casa delle Li-bertà – si esaurisce in quello di suggeritore che dispensa pru-denti consigli su politiche economiche ed internazionali ad uso interno delle correnti di governo. Del controllo della spe-sa pubblica non è mai stato maestro, ma forse nutre qualche speranziella di soffiare al “compagno” Frattini la prossima nomina alla Farnesina, o almeno di parteciparvi come sotto-segretario. Chissà? (l.g.)

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Titolo: (01.10.02) Il crocifisso tra leggi e religioni

Redazione

Il crocifisso «sfrattato» dalle aule dopo il concordato fir-mato da Craxi negli anni '80, torna a far parlare si sé. Natu-ralmente non era sparito dalle scuole, ma solo parzialmente. E’ evidente che l’intento era quello di permettere una gradua-le ritirata del simbolo religioso dallo spazio pubblico scolasti-co. Ma oggi siamo in un triste periodo di crociate e quindi molto del patrimonio politico e culturale che si pensava con-solidato è messo in discussione.

Dalla divisione dei poteri dello Stato alla laicità dello stesso, pare che si debbano affrontare i temi politici tornando ad intingere le piuma alla maniera dei ‘philosophes’ del seco-lo dei lumi.

La questione del crocifisso, a leggere la stampa italiana, sembra infatti che sia essenzialmente una questione tra reli-gioni. Un problema di rapporti tra religioni o di identità cul-turale nazionale, o europea, quando si entra nel dibattito sulla carta costituzionale per l’Unione Europea. A nessuno, in Ita-lia, neppure a Giuliano Amato, viene in mente di rammentare che la religione o l’identità culturale, nazionale o europea che sia, sono questioni di natura extra-istituzionale e extra-costi-tuzionale. Leggi, regolamenti e costituzioni hanno una natura normativa della prassi dei rapporti tra uomini, società, istitu-

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zioni e nazioni, mentre i valori culturali religiosi o morali non sono per loro natura di carattere contrattualistico ed è quindi perfettamente inutile che siano enunciati in quelle sedi. Non ha senso prevedere una legge che impone di pregare un certo dio e non un altro: nella prassi della propria coscienza ognu-no prega poi per chi vuole. Del resto la legge non impone mai un precetto morale, magari sacrosanto, come “non uccidere”. Il codice penale, infatti, non dice “uccidere è peccato”, ma articola una serie di sanzioni a chi uccide, in quanto condivi-diamo tutti il fatto che chi uccide debba essere punito dalla società. Le norme, nel regolare i rapporti sociali, dettano ope-rativamente i rapporti con tutte le sfumature, i casi e le ecce-zioni necessarie. Qualsiasi etica, religiosa o meno, non può invece prevedere sfumature, casi, eccezioni, senza perdere di forza e regredire allo stato di relativismo vacuo. La dottrina cattolica, per esempio, non può fare un eccezione per l’Africa, al divieto di usare i contraccettivi, quand’anche volesse aiuta-re ad evitare la diffusione dell’AIDS o la sovrappopolazione di genti affamate.

Il punto allora è semplicemente quello di affermare lai-camente che l‘ambito di espressione dei valori etici è estraneo alla contrattazione sociale che è il fulcro della prassi politica nella gestione della ‘cosa pubblica’, dello Stato e delle sue istituzione nelle democrazie liberali. Che siano le scuole ita-liane o l'Europa, l’alternativa è lo stato etico di Komeini o dei Talebani... o l’”ancièn règime”. (l.g.)

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Titolo: (07.10.02) Mixx Campari

Redazione

Dopo il Presidente della Repubblica, le critiche alla legge Finanziaria sono seguite e cascata: il presidente della Confin-dustria D’Amato, quello della Banca d’Italia Fazio, il Presi-dente del Senato Pera. Tutti, con accenti diversi, hanno de-nunciato i limiti della manovra economica del governo Berlu-sconi. Per non parlare delle preoccupazioni di sindaci e go-vernatori di tutta Italia.

I limiti dell’esecutivo, in quel settore, quello economico, cui erano poste le maggiori aspettative da parte dell’elettorato ‘produttivo’ ed ‘emergente’, sono venuti a galla. Si è venuto scoprendo la falsità dell’ottimismo di facciata, ed è emersa la cruda realtà nei numeri dei vari parametri economici, finan-ziari e produttivi del nostro paese, ma soprattutto si è palesata l’incapacità di dar seguito alle promesse elettorali in materia di modernizzazione e riforma strutturale del sistema. Opera-zioni strutturali che, come noto, o si fanno a metà legislatura - cioè adesso -, o non si fanno più in prossimità di elezioni.

Non si può non prendere atto che alla fine solo un mix di conservatorismo e populismo è la cifra stilistica che ha carat-terizzato gli interventi economici del governo i questa mano-vra di metà legislatura, col risultato di deludere e scontentare

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tutti. In questo contesto, l’opposizione non solo non trae al-cun beneficio per mancanza di progetti di sviluppo e di ri-forma alternativi, ma addirittura si frantuma sul terreno della politica estera. Il terreno cioè sul quale si misura, anche in sede internazionale, l’affidabilità e l'aspirazione a governare di una coalizione.

Nel dissesto generale, il tema all’ordine del giorno del-l’Ulivo, da tempo immemorabile, ruota sempre sulla gestione interna: come coordinarsi e come eleggere la sua leadership...etc. Continua l’inganno ‘ideologico’ di pensare che la condizione base di una salda coalizione risieda in una questione tecnica di ‘management’ interno e ‘marketing’ d’immagine. Pare loro che sia sufficiente individuare un por-tavoce unico ‘anti-Berlusconi’ perché tutto si risolva, e non colgono il risultato tragicomico al quale potrebbero approda-re, emulando il modello che proprio adesso sta mostrando la corda, cioè quello di fornire al centrosinistra un suo leader, mix - a sua volta - di conservatorismo e populismo.

Ci aspetta insomma una futura scena politica che potreb-be essere degna del set pubblicitario del Mixx Campari: uno zoo umano di esemplari ibridi, soprattutto nella 'voce', tra i quali scegliere il più bello. (l.g.)

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Titolo: (17.10.02) Oligopoli

Redazione

Per chi non lo sapesse, le società quotate in borsa neces-sitano di essere certificate da altre società nella revisione dei conti. Alla fine dell’estate, l’amministrazione americana ha fatto votare al Congresso la legge Sarbanes-Oxley con il fine di migliorare la trasparenza dei bilanci e garantire il massimo livello di informazione agli azionisti, dopo i molteplici e gravi scandali finanziari. Una legge che si applicherà a tutte le so-cietà quotate a Wall Street, a prescindere dalla loro nazionali-tà, e quindi anche a quelle europee.

Senza entrare nel merito dell’efficacia di detta legge, c’è un aspetto preoccupante di cui si spera che le istituzioni eu-ropee si occuperanno. Dopo la fusione fra Price Waterhouse e Coopers & Lybrand, nel 1998, due dei «sei grandi» consulenti- revisori dell’epoca, l’antitrust dell’Unione Europea chiese un’inchiesta contro il rischio di concentrazioni. Oggi, travolta Arthur Andersen dal caso Enron, di quei «Big» ne sono rima-sti quattro: oltre a Price Waterhouse Coopers, solo Ernst & Young, Deloitte & Touche e Kpmg. Si pone, quindi, un reale problema di trasparenza e oligopolio evidente. Tanto più che le quattro società hanno radici, con l’eccezione parziale di Kpmg, al di là dell’Atlantico.

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Siamo nella situazione in cui tutte le imprese del mondo, quotate in borsa, sono soggette a una legge americana, ma soprattutto la certificazione dei loro conti è in mano solamen-te a quattro società, sempre americane. Chissà se questa ten-denza alla creazione di oligopoli, così come si verifica in mol-to settori, come in quello automobilistico, sfaterà il mito che prefigurava la globalizzazione come una libertario processo di moltiplicazione del pluralismo economico d’impresa? Si torni a parlare di capitalismo e delle sue creazione oligopolistiche, senza vergognarsi e si dica che l’economia di mercato, da sola e incontrollata produce un mondo dove le ricchezze vanno concentrandosi a livelli inconcepibili nelle mani di pochissi-mi. In questo contesto, il socialismo europeo, e non, ha sem-pre molto, molto lavoro da svolgere. (l.g.)

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Titolo: (23.10.02) Polito: tu vo’ fa’ l’inglese, ma sei nato in Italy

Redazione

L'ex corrispondente da Londra di "La Repubblica", An-tonio Polito esce oggi con un nuovo quotidiano, 'Il Riformi-sta', già etichettato - prima della pubblicazione - come 'Il Fo-glio di sinistra'. Stesso formato, ma con l'arancione come co-lore 'sociale' e un omino che scruta in alto col cannocchiale, come logo. Columnist più noto, Lucia Annunziata per la poli-tica internazionale. Editoriale politico sulla Cirami a cura del senatore Franco Debenedetti che propone al centrosinistra il voto di astensione. Modello politico auspicato, la terza via di Tony Blair nell'alveo del sistema maggioritario italiano. Parola tabù, socialismo.

Scrive Polito nell'editoriale di presentazione: "Cerchere-mo i veri riformisti e daremo loro voce. La loro cultura è nata, un secolo fa, nella sinistra e nel movimento dei lavoratori. Dove ha vinto, ha creato società più efficienti e più giuste. In Italia si è smarrita in mille rivoli". Da questo rimandare a una cultura che non si nomina subiamo l'impressione che il diret-tore, come capita a molti anglofili, voglia fare l'inglese più de-gli inglesi, battere la terza via più del New Labour, essere più realista del re Tony.

Incarnando la cultura analitica anglosassone, Polito ridu-ce la 'trinità socialista' a binomio pragmatico, privo dello 'spi-

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rito santo', quando conclude la presentazione del quotidiano scrivendo: "Ci si può ancora battere per gli ideali della Rivo-luzione francese: libertà ed eguaglianza. Il terzo, quello della fraternità, ci sembra per sempre sepolto sotto le macerie delle utopie e i fasti dell'individualismo di massa".

Tutti i nostri auguri al 'Il Riformista' e a Polito per questa impresa editoriale utile e coraggiosa, ma non possiamo esi-merci dal ricordare che le culture hanno nomi e cognomi e che le tradizioni senza padri e ‘spirito santo', forse non pro-ducono utopie pericolose, ma sicuramente privano il riformi-smo di una retorica comune che fornisca un’identità condivi-sa al centrosinistra. Alla fraternità, forse, non si può rinuncia-re solo perché deve essere liberata dalle macerie del populi-smo, del massimalismo e del giutizialismo. Non possiamo né eludere, né continuare a reinventare il passato, così come non possiamo sacrificare la dimensione ideale, utopica e immagi-nifica sull’altare del pragmatismo: le idee riformiste hanno bisogno di storia e di sogni. (rt e l.g.)

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Titolo: (30.12.02) L'Avanti (di Lavitola)... avesse con-tratto l’AIDS!

Redazione

Domenica 29 dicembre, compro il giornale di Lavitola. L’Avanti di oggi è l’unico quotidiano che riporta in prima pa-gina la notizia che "Berlusconi è nonno per la seconda volta”, penso tra me. Non basta, vediamo l’incipit dell’editoriale con tanto di foto dedicata al Cavaliere: “Sul delicato ed essenziale tema delle riforme, non si può che condividere quanto il pre-sidente Berlusconi ha, in questi giorni, detto. (…)”. Non basta ancora, vediamo il titolone e l’articolo di lancio: “Brunetta: il 2003? L’anno delle riforme. L’europarlamentare di Forza Italia ricorda…”.

Sconsolato giro pagina. La seconda e la terza sono cultu-rali, ma c’è da farsi venire le vertigini, perché cambia comple-tamente musica: si parte con due articoli di un socialismo ve-ramente esagerato, come la nota aranciata!

In testa, un articolo di severa critica al capitalismo tratto a piene mani dell’introduzione scritta dal prof. Francesco Forte, già ministro socialista, alla riedizione di un libro di Shumpe-ter del '42, ma servito sotto forma di collage affrettato e ap-piccicaticcio. Pazienza, si capisce comunque il concetto: il ca-pitalismo è un gran “casinò” con sempre meno regole dove domineranno i giochi finanziari a breve termine. Forse basta-

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va scrivere che è un casino per eiuculatori precoci, ma sul-l'onda dell'entusiasmo proseguo e vado sotto.

Sempre in seconda pagina, trovo una risorgimentale in-vettiva anti-savoia degna d’altri tempi che si conclude inneg-giando all’erezione in ogni città italica di un monumento al-l’anarchico Bresci!

Vacillo domandandomi cosa aspettarmi negli articoli a seguire. Ma resto deluso poiché seguono ameni articoletti su spettacoli teatrali con “la perspicace regia di Pippo Franco” e di recensioni letterarie che s’interrogano se “sta forse na-scendo uno corrente letteraria sarda?”.

Sorvolo sulle brevi dedicate alle scontate lodi alle letture dantesche di Benigni o ai prossimi eventi per l’anniversari della morte di Fellini. Sono personaggi ormai bipartisan, quindi assolutamente innocui, oggi.

Provo infine a soffermarmi su un ultimo articolo prima di addormentarmi col mal di testa. Parla della morte di un foto-grafo. Vado a leggere: “Chiunque frequenti un minimo le pas-serelle di tutto il mondo – e molti giornalisti sono tra questi – sa bene che si diceva da tempo che il fotografo aveva contrat-to l’aids”. Mi fermo perché mi accorgo che l’autrice dell’arti-colo, come giornalista, forse ha passato troppo tempo sulle passerelle e troppo poco a studiare la coniugazione dei tempi nei verbi.

Sdraiandomi sul letto con le ultime forze mi domando: cos’è L’Avanti? Un congiuntivo mancato. “...avesse contratto l’aids.” Forse era meglio! (l.g.)

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Titolo: (21.12.02) Natale 2002: nobili si nasce

Redazione

Al grandissimo Antonio de Curtis ci vollero quasi tren-t’anni di battaglie legali e mediatiche per accedere all’empi-reo dell’aristocrazia. Vinse le cause grazie ai proventi dei lazzi di Totò e così si scoprì che principe lo era sempre stato per nascita. Della sua nobiltà i fans puri di cuore mai avevano dubitato.

Ai commercialisti, avvocati, industriali, rider, intellettuali, scrittori, tutti d’antico pelo che hanno dato vitalità e notorietà a Libertà & Giustizia, un’ associazione nata nelle retrovie del-la borghesia torinese, è bastato invece poco meno di un me-setto per trasformarsi in Giustizia e Libertà e per tentare così, complice La Stampa, d’ impadronirsi della nobile tradizione dei fratelli Rosselli & Militanti correlati.

L’impresa dei più che settuagenari - tra garanti e dirigenti solo due hanno meno di sessant’anni - per ora è abortita per-ché già esiste un’altra associazione con lo stesso nome e le stesse finalità – girotondi, giustizialismo, antiberlusconismo -, nata nel 1994 all’epoca della primo governo del Cavaliere d’Arcore. Da questo ceppo provengono alcuni dei dirigenti del nuovo e potentissimo sodalizio che si pone un preciso obiettivo: « Ricostruire l'identità civile di questo Paese, per

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riscrivere il patto di cittadinanza che è alla base dello stare insieme e per fermare il declino dell'Italia nel mondo. Un pat-to che avrebbe oggi, come primo firmatario, Indro Montanelli. Il grande leader della società civile ci ha lasciato un compito: intervenire con la cura giusta quando i due anni del "vaccino Berlusconi" avranno fatto il loro effetto», come dice Carlo De Benedetti, con l’entusiasmo tipico del miliardario che, giunto alle soglie della grande età, dispensa saggezza in luogo di cat-tivi esempi. .

L’influente e ingombrante patron della nuova istituzione si rivolge a tutti gli italiani, rilevando che «Al di là degli schie-ramenti di destra e di sinistra, su questioni come il conflitto di interessi, la qualità dell'informazione, la moralità del pote-re, il rispetto dell'ambiente, l'etica della ricerca, solo il "tuo-no" della società può arrivare dove la politica è di fatto impo-tente. E' la libertà, comunque, che deve restare la nostra pri-ma bussola, il nostro primo valore. Crediamo in un mondo di uomini liberi, in grado di difendersi sul mercato con i propri talenti e le proprie conoscenze. Riconosciamo le differenze sociali come l'esito del confronto tra persone dotate di libero arbitrio». E Franzo Grande Stevens, massimo avvocato civili-sta italiano e ‘garante’ di Libertà e Giustizia, chiarisce ancor meglio il concetto, citando il filosofo della scienza Amartia Sany: « Lo sviluppo dell'umanità va definito e misurato in termini di libertà individuale e di qualità della vita e non in termini di prodotto interno lordo".

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Sono frasi e militanze sorprendenti, se si considerano i personaggi. L’uno è il capitalista che girava il mondo fi-schiando la ‘fine della ricreazione’ ai vecchi establishment eu-ropei, comprando e vendendo aziende, poco incline - allora - alle ansie sociali del Grande Stevens di oggi. L’altro è l’uomo degli Agnelli, l’esperto delle più avanzate alchimie societarie che siede in innumerevoli consigli d’amministrazione d’istitu-zioni culturali e di aziende (l’ultima acquisizione è la vicepre-sidenza Fiat).

Con loro sta un ‘parterre de roi’, onusto di glorie e carico d’anni, tutti rigorosamente over sessanta e settanta: Umberto Eco, Enzo Biagi, il giurista Guido Rossi, l'economista Inno-cenzo Cipolletta. E, ancora l'architetto Gae Aulenti, Claudio Magris, Alessandro Garante Garrone, Giovanni Sartori, Um-berto Veronesi, l'ex direttore de Il Sole 24 Ore, Gianni Loca-telli e Giovanni Bachelet, questi ultimi due solo poco più che cinquantenni. Solo Simona Peverelli, con i suoi 31 anni, è l’unica rappresentante delle nuove generazioni; è lei l’astro nascente del team avendo organizzato il ‘giorno della Legalità’ con Paolo Flores D'Arcais e il movimento Le Girandole, lo scorso 23 febbraio al Palavobis di Milano.

L’operazione messa in piedi tra Milano e Torino, forte-mente sponsorizzata dal Corriere e da La Stampa, è già ricca di quasi tremila adesioni, duemila iscrizioni formalizzate, altre mille in itinere. Tra queste molte sono di esponenti del mon-do culturale e professionale che gravita a sinistra e si sente

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stimolato alla nuova avventura dalla promessa di un ricco bot-tino: quale che sarà l’esito, con condottieri così ricchi non ci si perde mai.

Libertà e Giustizia nasce in chiave anti-partiti, si ispira alla ‘Società aperta’ di Carl Popper, ma si nutre d’intolleranza e risentimenti. Ormai considerati dannosi e incapaci, i politici devono essere messi in riga. Quindi la ‘società civile’ si mobi-lita in vista della resa dei conti con l’attuale governo. Il cam-pione messo in campo dalla borghesia è Romano Prodi, ma l’obiettivo immediato è quello di un rimescolamento di carte all’interno dell’Ulivo, in modo da spostarne l’asse verso il centro dello schieramento. Probabile beneficiaria di questo “girotondo di miliardari” sarà, quindi, la Margherita e lo spa-zio politico per i socialisti si chiude ulteriormente.

Tra i nuovi nobili che si comprano L’Avanti e i vecchi no-bili che si compreranno l’Ulivo, per chi nobile lo è come Totò, cioè nel cuore socialista di tante compagne e compagni, resta l’orgoglio. La rabbia e il risentimento, non perché sia Natale, ma non servono proprio: sono politicamente inutilizzabili, come già diceva Nenni. Così, accanto all’orgoglio socialista, in questo fine d'anno, ci possiamo nutrire solo di 'pessimismo della ragione', ma a chi ha la forza di agire ancora chiediamo un regalo. Un po’ di 'ottimismo della volontà'.

L'aspettiamo... è pur sempre Natale! (rt e l.g.)

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Titolo: (19.01.03) Molto da leggere, poco da sperare

Redazione

Forse hanno ragione Bobo Craxi e Ugo Intini quando, in questo terzo anniversario, affermavano che «finalmente la fi-gura di Bettino Craxi non è più vista come quella del latitante morto all’estero ma dello statista costretto all’esilio». Ma han-no anche ragione Massimo Siracusa e Paolo Mieli che nelle epistole sul Corriere sostengono che per storicizzare Tangen-topoli probabilmente dovrà “passare una generazione, forse due, dopodiché arriverà qualcuno che non ha avuto a che fare con quegli episodi e tutto sarà più facile”.

Il punto politico concreto però è: quanto dovrà passare per una futura riunificazione della diaspora socialista?

Antonio Girelli, ex direttore dell’Avanti!, sostiene che: “Oggi, a mio avviso, tutto ciò che i socialisti possono e devono fare è di abbandonare l'ossessione, opportunistica o dissenna-ta, di anteporre la scelta delle alleanze alla rinascita del parti-to, per ritrovare a tutti i costi l'unità. Le elezioni regionali, se non quelle amministrative, sono fatte apposta con la loro lo-gica proporzionalista, per secondare questo disegno.” In una intervista a Il Giorno, Bobo sostiene, in riferimento ad una prospettiva di spaccatura nei DS, che “Il problema sarebbe trovare in questa destrutturazione uno spazio per una area

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riformista...”. Questo significa aspettare le evoluzioni che compieranno Fassino e D’Alema, oggi alle prese con Coffera-ti, il correntone, i movimenti e il referendum sull’art. 18. In-tanto il Nuovo PSI chiede all’Internazionale Socialista che si riunirà a Roma domani (lunedì 20), di partecipare ai lavori come membro osservatore.

Una casa comune dei socialisti riformisti è una prospetti-va di mesi o, come per la storia, occorrono le generazioni?

Se si dovessero guardare solo alle iniziative editoriali del-l’aera riformista, c’è da avere poche speranze. l’Avanti si fa in tre. Pillitteri collabora con all’Opinione di Diaconale. Un altro ex, Dell’Utri, da qualche mese esce col settimanale “Domeni-cale”. Sull’altro versante, Claudio Signorile uscirà col suo quotidiano, La Gazzetta politica. I fans di Tony Blair hanno da qualche tempo “il Riformista”, fronda a destra dei DS, come ‘Il Foglio’ a sinistra di FI. In totale, tra qualche mese, avremo 5 quotidiani e 3 settimanali nell’area liberal/socialista/riformi-sta dei due schieramenti.

A breve, quindi, c’è molto da leggere …e poco da spera-re! (l.g.)

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Bobo Craxi: Route El Fawara, Hammamet

(2003)

Non ha nulla di enfatico, eroico od apologetico. Non tra-spaiono né rancori né nostalgia. E’ la storia di Bettino Craxi vista con gli occhi del figlio tra l’11 febbraio 1993, quando si dimise da Segretario del Psi, al 19 gennaio 2000, quando la morte lo colse ad Hammamet.

Sorprende veramente l’assenza di ogni carattere agiogra-fico in questa conversazione tra Bobo e il giornalista Pennac-chi dalla quale si dipanano gli anni dell’esilio tunisino del leader socialista. C’è l’affetto del figlio, certo, ma anche tutte le difficoltà e la pesantezza di trovarsi ad essere “arruolato” nell’ultima battaglia da un padre spigoloso, umorale ed egoti-co.

Le vicende politiche si intrecciano con quelle private in dosi che rendono piacevole la lettura di ‘Ruote El Fawara’. E’ inutile cercarvi retroscena politici inediti, il valore del libro risiede nel ritratto piano di Bettino Craxi svolto da Bobo in un rapporto nel quale si intrecciano le necessità di memoria e di oblio. Un rapporto tra la passione e l'affetto che custodi-scono il ricordo e l'esigenza di dimenticare per superare ed andare oltre. Tutto parte, certo, dalla dimensione umana per-sonale del figlio che rivisita gli ultimi anni del padre, ma ne sottende un’altra più squisitamente politica. Una dimensione che suggerisce da una parte l'inevitabilità di ricordare in

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modo equilibrato l’azione politica svolta da Craxi, e dall’altra, di avviare verso il superamento politico della sua figura, in modo che il suo nome non venga mantenuto nell’agone dei partiti italiani come una clava da utilizzare dalle parti, come avviene per tanta parte della nostra storia contemporanea.

Dal libro si evince l’interesse di Bettino “esule” ad Ham-mamet verso fenomeni ed iniziative politiche che vanno dalla fondazione di Forza Italia, fino al movimento di Seattle e Ber-tinotti, passando per la a Cosa 2, il Trifoglio di Cossiga, lo Sdi e il PS. Questo interesse ad amplio raggio è speculare a quan-to sta accadendo negli ultimi tempi, cioè i gesti e le iniziative che da ogni parte politica operano una “riabilitazione” della sua figura.

Entrambi i fatti evidenziano come non esista una parte politica che possa legittimarsi a suo nome, o dichiarasi sua erede, ma sono anche sintomi che la “questione socialista” e la sua “diaspora” non può e non poteva trovare, né ieri né og-gi, repliche o avalli nel pensiero di Bettino Craxi.

‘Ruote El Fawara’ non propone quindi nessuna risposta, ma invita semmai a ri-conoscere la vicenda degli ultimi anni di Bettino, non per usarla come arma di scontro, bensì per introdurla nella dimensione della Storia italiana, com'è legit-timo attendersi in un paese che abbia placato le sue vendette e rinunciato alle sue ipocrisie.

(Luca Guglielminetti)

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Titolo: (28.09.03) Black out totaleRedazione

Già non è facile dormire dopo un film di David Cronen-berg, poi urlano le sirene: è mancata la luce nella notte e gli allarmi scattano tutti. C’è da alzarsi presto. Oggi, devono far brillare due ordigni della 2° Guerra mondiale in un cantiere della futura Torino olimpica: il quartiere è da evacuare. Sono le 6,30 di una domenica mattina senza elettricità da ore e, quindi, anche senza acqua. La radio, a pile, mi informa di quel che succede e sconsiglia di uscire ed usare automobili. Men-tre. assonnato ed incarognito, sospiro un caffè, urlo alla mo-glie di usare l’acqua minerale per lavare la caffettiera. Sono le 7,45, torna la luce, ma le sirene non cessano: ora sono quelle delle forze dell’ordine che avvisano di sfollare. Poi tutti fuori sporchi e malconci, naturalmente piove.

Gli eventi mi portano fatali a venire al lavoro. Ci sono tut-ti i quotidiani tranne quello torinese, che evidentemente deve possedere un generatore elettrico molto economico e che sceglie di 'ribattere' l'edizione con notizie dettagliate sullo sconquasso energetico. Metà dei siti web di informazione so-no out o non aggiornati. Le e-mail e i comunicati stampa par-lano sempre di unità socialista per le europee, e sempre Bo-selli vuol suicidarsi nel listone Prodi. Il governo, dopo l’inetti-tudine, procede a gran corsa verso la farsa: non c’era una poli-tica seria e coesa e quindi ognuno per sé, la maggioranza non

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esiste più. Intanto la Margherita, che non ne ha mai abbastan-za, chiede una commissione d'inchiesta.

A n c h e a V e l t r o n i i l konsumista-amerikano-mai-stato-komunista, va male: non si sederà più al tavolo con Bossi, dice lui, ma non credo neppu-re che potrà più riaccendere luci e negozi della capitale per tutta la notte. Pure Tony Blair non sta bene, con buona pace di Polito/Il Riformista e Carluccio/Critica Sociale: oggi si apre il congresso del Newlabour a Bournemouth e ieri la piazza pacifista a Londra era piena, quanto l'Irak vuoto di armi di distruzioni di massa.

Mi vengono poi in mente tutti quelli che considerano gli ecologisti dei visionari, paranoici e catastrofisti: ora diranno che il black-out di questa notte è colpa loro per via del refe-rendum contro il nucleare di quindici anni fa, dimentichi di quanto è successo negli USA poco più di un mese fa. Insom-ma è una pessima domenica e sono anch'io in black-out. Me-no male che ieri Ferrante e il Toro…, ma esiste veramente an-cora il calcio?

Portatemi un altro caffè, per favore! (l.g.)

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Titolo: (08.11.03) L’Isola dei Socialisti… Famosi.

Redazione

Se non c’è forum che tenga per unire i dirigenti sociali-sti, perché non chiedere alla Aran Endemol del marito di Ste-fania Craxi, di produrre un format analogo a quello dell’“Isola dei famosi”, in onda su Rai 2?

In fondo, in comune coi naufragi dell’isola, gli ex dirigen-ti del PSI hanno il fatto di essere dei famosi di seconda o ter-za categoria come Adriano Pappalardo o la Carmen Russo. Contrappasso dantesco sarebbe la dieta coatta cui sarebbero sottoposti per i passati fasti della ‘Milano da Bere’. Lo segui-rebbero contenti anche i seguaci di Di Pietro, adesso che è chiaro a tutti che più che un paradiso tropicale, l’isola famosa risulta una colonia penale.

Da li, i nostri dirigenti non potrebbero scappare, sareb-bero costretti a confrontasi per forza in uno spazio limitato. Invece dei giochi, ogni settimana, si sottoporranno ad una prova di unità: dovranno elaborare un documento politico comune su un tema proposto dal conduttore, il quale potreb-be ben essere l’ex parlamentare PSI Jerry Scotti. Ogni dome-nica almeno tre cartelle su: diritto internazionale e globalizza-zione, riforma del walfare e pensioni, conflitto di interessi e televisioni, riforma del sistema giudiziario, scolastico e sanita-rio, laicità dello stato e immigrazione, etc.

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Noi tutti, sfigati teleutenti socialisti italiani (STiSI) di ogni risma, età o fazione, che navighiamo, chattiamo, mandiamo SMS, potremmo seguirli e votarli, facendo una selezione ‘na-turale’ fra chi tra loro dimostra buona volontà, coraggio e de-terminazione ad unire la diaspora decennale. Tele-voteremo il venerdì sera gli elementi che meno si coagulano nel gruppo, fino a che non ne resteranno due e poi uno solo che vincerà, non soldi - per carità (!) - ma la carica di nuovo segretario po-litico.

Facile no? (l.g.)

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Cinico Natale: Auguri a...

Da: La Redazione, da Oggi in ItaliaData: 20/12/2003

Auguri a chi non si è accordo che il Bel Paese è in guerra e pensa che siamo brava gente con un cuore d’oro che va in giro a fare solo i pacificatori, scambiando i ‘peacemaker’ con i ‘pacemaker’.

Auguri a chi pensa che Tangentopoli sia stata una caccia al ladro e non si è accorto che ha aperto la strada alla post-democrazia, nella quale gli interessi di una minoranza potente sono divenuti ben più attivi della massa comune nel piegare il sistema politico ai propri scopi.

Auguri a chi crede che i crocifissi nei luoghi pubblici del-lo Stato facciano da scudo missilistico al fondamentalismo islamico.

Auguri a chi parla di riforma della previdenza sociale dal-l’alto di una generazione che ha avuto privilegi, posto fisso e baby pensioni e che ha ridotto i suoi figli nel precariato, chiamando flessibilità la libertà di progettare la propria vita per i prossimi tre mesi.

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Auguri a chi approva le campagne contro il fumo, la dro-ga, le stragi del sabato sera e non vede che il suicidio è la se-conda causa di morte per i ragazzi fra 14 e 24 anni.

Auguri a Parma, nuova Authority europea per l’alimenta-zione, ma anche alla Parmalat, alla Cirio e a tutto il sistema bancario italiano per la gestione dei risparmi dei cittadini.

Auguri ai girotondi che in trenta al Pantheon, a festeggia-re Ciampi, si fanno chiamare società civile, ma che se non fa-ceva freddo ci sarebbe stato anche Moretti... ed erano trentu-no.

Auguri a chi gli piace la Meglio gioventù, Madre Teresa, Padre Pio e Caterina va in città, ed esce da Dogville senza aver capito nulla.

Auguri a chi continua a preferire il sistema bipolare e farci sempre scegliere così tra due democristiani.

Auguri, infine, ai dirigenti socialisti che, dimenticando il voto di scambio, le cliente e camarille del PSI, cercano ex elettori e, dimenticando i loro stipendi da parlamentari o le pensioni da ex tali, hanno perso ogni orizzonte di giustizia sociale. (l.g.)

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Infrastruttura scuola

Da: La Redazione da Oggi in ItaliaData: 07/02/2004

L’occupazione di un’università, come è capitato a Roma, con tanto di professori ex sessantottini, ormai privi di eskimo e di qualche capello, è comprensibile che sia notizia degna di ampio spazio, ma in questi giorni ci sono state anche altre 'occupazioni', meno note e appariscenti: sono quelle degli atrii di molte scuole elementari e medie in tutta Italia, da par-te di genitori e maestre riuniti in occasionali assemblee per-ché preoccupati anch’essi dalle conseguenze dalla riforma del Ministro Letizia Moratti.

Il tentativo di minare le basi del tempo pieno e della plu-ralità di insegnanti, suona veramente preoccupante in un paese che, nelle medie europee, risulta agli ultimi livelli per i più alti tassi di abbandono scolastico.

Parimenti stonato risulta l’indirizzo politico volto ad un maggiore intervento privato negli istituti d’istruzione di ogni ordine e grado. La realtà economico industriale del nostro paese non pare proprio al momento sia quella di una 'tigre asiatica', dove i privati concorrono massicciamente ad investi-re in quella che è la risorsa più rilavante nell’economia post-fordista, il capitale umano.

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Così, mentre ci risultano poco opinabile gli interventi alla Blair relativi alle tasse universitarie, i problemi dell’istruzione di base, dell’abbandono scolastico, delle fondamenta comuni di una società sempre più strutturata sui saperi e le cono-scenze, richiederebbero che l’intervento pubblico si ponga in modo analogo a quello utilizzato per le grandi opere infra-strutturali.

Franco Venturi in "Quaderni dell'Italia Libera" del 1943, scriveva che i socialisti (liberali) “sanno quando e come è il momento di privatizzare o meno”. A noi pare che la competi-tività del nostro sistema richieda oggi semmai un maggiore sforzo da parte dello Stato nella formazione del capitale uma-no italiano.

Qualcuno ha detto che nelle elezioni del 2001 il centro-sinistra pagò anche per le 'riforme' condotte dal ministro Berlinguer, prossimamente è facile prevedere che toccherà al centro-destra per quelle della Moratti… sorvolando sulla pro-posta ‘azzurra’ di vietare agli 'under 11' la partecipazione alle riunioni in luogo pubblico! (l.g.)

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Le spine della Rosa (nel Pugno)

Data: La Redazione da Oggi in Italia Ora: 17/11/2005

E' comprensibile, nelle dinamiche politiche, che la tattica di Sdi e Radicali sia di tenere sulla corda il Nuovo Psi di Bobo Craxi, con la scusa della legalità del Congresso e la proprietà del simbolo, per poi accoglierlo all’ultimo momento, quasi come un ospite tollerato. Quindi al momento, possiamo dire che le spine le ha chi è senza rosa.

Chi oggi la tiene forte in pugno, potrebbe però trovarsi anche lui qualche spina alla conta dei seggi, se ritiene di ca-valcare fino alla scadenza elettorale i soli temi della laicità del-lo stato. Da una parte, non è infatti interesse né di Polo né di Unione, una campagna elettorale sui temi del concordato, del-la pillola RU-486, del cardinale Ruini, etc… Dall’altra, occorre considerare che un conto è se si tratta di fare lo Zapatero dei diritti civili, tutt'altra cosa è se si tratta di fare il Blair del libe-rismo economico, dei tagli nel pubblico impiego, del conte-nimento dello stato e dell'intervento attivo in politica estera. In questo caso i cari compagni dello Sdi, di Unità Socialista, nonché di “Socialismo è Libertà” e della Uil si troverebbero in un imbarazzo notevole e tutte i buoni propositi di novità politica, espressi fino ad oggi, improvvisamente si sgonfiereb-bero, con la conseguenza che la base dei compagni dello Sdi,

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tornerebbe a sospettare che, come con Dini, con i Verdi e con Prodi, i vertici del partito, con l’abbraccio radicale, perpetui-no l’ennesimo espediente per sopravvivere a se stessi, esatta-mente come fanno, sull’altra sponda, i "governativi" del Nuo-vo Psi, (che probabilmente finiranno a fare la corona intorno al simbolo di Forza Italia insieme a Pri, Dc ed altri).

La cartina di tornasole sulla bontà generale dell'opera-zione "rosa nel pugno", sarà quindi sui temi sociali: la sfida del socialismo liberale, che vuole farsi erede di quello craxia-no aggiornato ai nostri tempi, resta Blair. A chi raccoglierà la sfida, onori ed oneri, agli altri resteranno spine di rosa o spo-glie di garofano.

(l. guglielminetti)

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Titolo: (25.11.05) Fuori della 'fattoria' prodiana

Redazione

In fondo Prodi e l’Ulivo riservano alla Rosa nel pugno, lo stesso trattamento che quest’ultima riserva al Garofano.

“Ad oggi infatti nessuna convocazione a riunioni dello schieramento di sinistra e' stato loro (alla Rosa nel pugno) concesso. Eppure Prodi il 16 novembre ha incontrato i sinda-cati confederali ed il 19 ha trovato perfino il tempo di inter-venire al congresso dei socialisti francesi tenendo un discorso di oltre 10.000 battute”, cito testualmente da un cahier de do-léance del Notiziario radicale. Idem si può dire per il Garofa-no al quali parimenti non è stata concessa nessuna convoca-zione da parte dei compagni Sdi-radicali.

Meno male che stiamo parlando di partiti propugnatori o interessati a un soggetto che si chiama Unione!

A pochi mesi dalle elezioni politiche nascono quindi al-leanze elettorali che, invece di considerarsi cantieri aperti, tengono ben chiusi i ranghi. Questo mentre la CdL non potrà che recuperare terreno nei favori degli elettori, come è a tutti noto, per le qualità del marketing di Berlusconi.

Farsi male da sola è una malattia cronica della sinistra italiana. Si attenuerà quando si sarà giunti a un solo grande partito di centrosinistra, senza trattino, senza se e ma, senza

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identità storico culturali da sbandierare solo per grette finali-tà. Non importa neppure come si chiamerà il nuovo partito, se mai nascerà conterà solamente che abbia un programma, al contrario di quanto accade oggi.

Andiamo tutti a meditare e e proporre idee, anche fuori della 'fattoria' prodiana che non può essere l'unico nostro pensatoio: sarà meno 'appagante' del fiore giusto per il seggio giusto, ma è al programma, in primis a questo, che è necessa-rio lavorare, per chi al socialismo liberale vuole dare un’eredi-tà nobile e non banale.

(l. guglielminetti)

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Titolo: (01.12.05) Giavazzi: i nodi al pettina della Rosa

Redazione

Abbiamo posto sul forum principale la rassegna stampa seguita all’articolo sul Corriere della Sera di sabato scorso dell’economista liberale Francesco Gavazzi, “Cinque impegni per i cento giorni”, perché, al di là dell’indubbio pregio e sen-satezza delle proposte ivi contenute, immaginavamo che avrebbe rappresentato una cartina di tornasole per la Rosa nel Pugno.

Puntualmente l’altro ieri, il segretario radicale Capezzone ha manifestato pieno sostegno: “Mi schiero per la "linea Gia-vazzi" e chiedo che candidati, partiti e schieramenti dicano cinque chiari "si'" o cinque chiari "no" alle domande poste da Giavazzi”. Oggi il probo Villetti - vicepresidente Sdi - ha, in-vece, detto solo: “ma, …sì forse, …quello non è possibile, …quest’altro non si può proprio fare”.

Come qui sotto scritto, meno di due settimane fa, sulle questioni economico-sociali casca l’asino sulla Rosa. Dopo la breve brezza del profumo dei petali, siamo già alle spine.

La sola domanda, retorica, che pongo ai Radicali è que-sta: in considerazione del fatto che sia loro che il Nuovo Psi, pur con modalità diverse, fino a pochi mesi fa erano semi-al-leati della Cdl ed entrambi stavano maturano la ovvia scelta di

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passare nel centro-sinistra, non sarebbe stato più naturale che il discorso ‘Rosa’ nascesse tra questi due soggetti, per poi interloquire con lo Sdi come testa di ponte con l’Unione? In fondo la scelta a favore del centro sinistra è costata anche ai radicali italiani una scissione: è di ieri la presentazione dei ‘salmoni’ Della Vedova, Taradash benedetti da Berlusconi in persona, sempre in vena di scherzare dichiarandosi “più bra-vo della Thatcher”.

Suddetta domanda ha però valore se, e solo se, nel Nuovo Psi fosse maturata nel frattempo una linea programmatica nettamente ‘blairiana’ o, anche solo, ‘zapatera’, alla luce delle recenti scelte del governo spagnolo sulle partecipazioni statali (abolizione della ‘golden share’).

La conclusione, per essere molto espliciti, è che qui in Italia c’è il rischio che gli unici che incarnino in qualche modo il liberalsocialismo europeo siano solo i radicali, più qualche voce nei Ds e nella Margherita, mentre la varie for-mazioni socialiste, nel nome, siano restate o con lo sguardo rivolto indietro al passato o rivolto in basso verso lo scranno su cui sono sedute. (l. guglielminetti)

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Titolo: (28.12.2005) Democrazia deformata

Redazione

"Quando un equilibrio entra in crisi e si creano poteri troppo forti, prevaricanti, la democrazia si corrompe. Provi ad immaginarsi che cosa significherebbe in Italia una situazione in cui i grandi gruppi industriali, che già posseggono i giorna-li, possedessero pure le banche e il loro potere si allargasse a quello finanziario, assommato a quello industriale e dell'in-formazione. Si creerebbe un forte squilibrio. Se il potere giu-diziario usa il potere che ha in modo violento, interpretando le leggi sovente in modo estensivo o abusivo e senza controlli e travolgendo ogni forma di controllo e ogni possibilità di ar-ginare questa violenza, questo significa che una società co-mincia ad essere una società meno democratica, significa che la democrazia viene deformata" (Bettino Craxi, l'Avanti!, 7 no-vembre 1992).

Dopo quasi 14 anni da quelle parole, la differenza risiede essenzialmente nel “possedessero”: i grandi gruppi industria-li, salvati da Tangentopoli, come ha ricordato di recente Ser-gio Cusani su il Sole 24 Ore, non sono infatti riusciti a raffor-zarsi, eccezion fatta per il gruppo berlusconiano (con il soste-gno del centro sinistra al governo) e nonostante le privatizza-zioni “protette dall’interesse nazionale”, ma sono tutti finiti ad essere in gran parte “posseduti” dal sistema bancario.

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A questa differenza strutturale, si aggiunge il venir meno della diversità o superiorità morale degli ex Pci: anche il loro partito ha subito una specie di «mutazione genetica». La casa di Hammamet di Craxi sta alla barca a vela di D’Alema, come il collateralismo del cooperatore Consorte con Fassino, non è diverso da quello tra Bettino e gli imprenditori emergenti al-lora come Gardini e Berlusconi.

La pentola scoperchiata, da Cirio ai Bond argentini, da Parmalat alla Banca Popolare di Lodi, sul capitalismo finan-ziario nazionale apre una visione di democrazia deformata forse ancor peggiore degli eccessi giustizialisti e violenti di Tangentopoli.

Certo sarà difficile venire a sapere se anche lo stesso po-tere giurisdizionale è affetto dagli stessi vizi di quello politico e finanziario; e di conseguenza conoscere anche quanto le in-dagini di allora e quelle di oggi siano state e siano indirizzate univocamente verso delle parti, tralasciandone altre; ma il punto è che lo stato del sistema democratico richiede urgen-temente due valori, di cultura liberale e repubblicana e di ra-rità assoluta ad ogni ordine e grado di potere in Italia: il senso dello Stato e la morigeratezza. (l. guglielminetti)

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Socialisti e Partito Democratico

Da: Luca GuglielminettiData: 19/01/2006

Testo dell'intervento del Direttore di Socialisti.net in occasione del convegno "SOCIALISTI NELLA MARGHERITA: VERSO IL PARTITO DEMOCRATICO " che si è svolto a Torino SABATO 14 GENNAIO 2006

Sei anni fa, pochi giorni dopo la morte di Bettino Craxi ad Hammamet, ebbe inizio l’avventura di utilizzare il web per costruire una “agorà telematica”, Socialisti.net: un luogo di discussione e iniziativa avanzato a disposizione di tutti i socia-listi italiani liberali ed autonomisti. E’ nato e resta ancor oggi, per quanto sia stato sito ufficiale della Lega Socialista e del Nuovo Psi, un libero centro di confronto per la diaspora so-cialista con i suoi forum e le sue rubriche di attualità e cultu-ra. Per questa mia breve testimonianza, prendo spunto da questa iniziativa di comunità virtuale che mi ha permesso di avere una postazione di osservazione politica particolare ed interessante, per trarre oggi un bilancio, seppur parziale, che a buon titolo si inserisce nel dibattito sulle prospettive del par-tito democratico. Parziale, perché mi limiterò a valutare un fattore, fra i tanti, quello che chiamerei la fidelizzazione, per usare la terminologia del marketing, per sintetizzare il concet-to di continuità nella tensione ideale verso un progetto politi-co organizzato.

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Nel corso di questi sei anni, abbiamo avuto molte spon-tanee richieste di collaborazione: compagne e compagni che periodicamente ci inviavano testi, articoli e saggi, originali e talvolta anche di alto livello per le varie sezioni di Socialisti.net. Cybermilitanti che esprimevano una tensione e un impegno verso l’analisi e le prospettive dell’unità socialista o studiosi ed intellettuali che non disdegnavano di inviarci i loro materiali e studi per le sezioni culturali nel Caffè lettera-rio. Nonostante una crescita continua dei visitatori del porta-le, ed un offerta sempre crescente di servizi e rubriche, queste forme di collaborazione, di impegno e militanza virtuali, si sono quasi sempre esaurite in periodi più o meno brevi. Si verificavano, cioè, dei crolli: la tensione veniva meno insieme alla motivazione a prolungare e continuare queste forme di impegno politico e collaborazione con la nostra redazione.

Questo andamento difficilmente può essere spiegato se non per la precarietà cronica di tutte le iniziative politiche intraprese dai partiti della diaspora dell’ex PSI. Al di là delle collocazioni negli schieramenti, al di là dei risultati elettorali di volta in volta ottenuti da Sdi, Nuovo PSI o liste unitarie, al di là delle difficoltà ad essere riconosciuti ed accettati dai vari interlocutori politici, le classe dirigenti che hanno guidato le varie formazioni partitiche e associative hanno continuato a dimostrare l’incapacità a disegnare un progetto serio e dura-turo che conducesse alla casa comune dei socialisti italiani. Tale incapacità, fino all’ennesimo fallimento seguito alla na-scita della Rosa del pugno e al V Congresso del Nuovo PSI, ci

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conduce a concludere con molto chiarezza che è meglio ar-chiviare una volte per tutte l’obiettivo dell’unità socialista. Mentre, la questione socialista oggi avrebbe più senso se fosse declinata con un'invenzione, quella di Prodi, che non è senza radici a noi care: un'alternativa democratica al partito sociali-sta "ideologico" fu accarezzata più volte da Turati, ritorna con Carlo Rosselli, e fu immaginata anche da Craxi che, sul finire degli anni Ottanta, propose di ribattezzare come «Internazio-nale Democratica» l'Internazionale Socialista.

Parlare di “Partito democratico” non significa solo defini-re la fusione di “due culture politiche e due culture storiche profondamente diverse che derivano una dal Pci e l’altra dalla Dc” in un unico contenitore, come sostiene Eugenio Scalfari. Se i socialisti sapranno inserirsi in tale progetto avranno un duplice vantaggio: da una parte essere partecipi di un proget-to che garantisce prospettive serie e durature, ponendosi fuo-ri da quelli precari e a breve termini; dall’altra chiudere i con-ti con la storia della sinistra italiana e con il Pci in particolare. Dopo tredici anni dallo scioglimento del Psi, solo la nascita del partito democratico garantirà la fine, per autoscioglimen-to, degli ex comunisti. Solo allora sarà chiusa la lunga stagio-ne del dopo Livorno 1921 e saremo tutti proiettati in un futu-ro che ci darà ragione: «il passato non torna: solo il futuro ha ragione» (Turati).

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Titolo: (31.03.06) Voto Scalfarotto

Redazione

A chi venisse in mente la domanda di Don Abbondio ("...chi era costui?"), ricordiamo che senza il sostegno di un partito politico o di una lobby, senza decenni di delfinato, Scalfarotto si è candidato per le primarie 2005 del centrosini-stra grazie unicamente alla forza del suo programma politico e al sostegno dei numerosissimi visitatori del suo sito ( www.ivanscalfarotto.info ). A quarant'anni, vuole fare il presi-dente del Consiglio. Dal 2002 vive all'estero, prima a Londra ora a Mosca, e lavora come direttore del personale di uno de-gli istituti finanziari più prestigiosi al mondo.

Ha appena pubblicato, per i tipi della Garzanti, un pam-phlet “Contro i Perpetui”, in cui denuncia che alla prossime elezioni “stiamo per votare gli stessi candidati del 1996, due settantenni. Alla testa del paese, e non solo in politica, c’è una classe over cinquanta. Sono i Perpetui: non hanno fine, non se ne vanno, tengono un’intera generazione in anticamera. Le facce sono note. Le idee, pure. Le questioni urgenti sempre aperte: coppie di fatto, libertà di stampa, scempi finanziari. In Italia manca l’aria. E la «classe creativa» fugge all’estero o si logora in interminabili gavette. Un paese senza giovani è un paese senza futuro.”

Ivan Scalfarotto, come molti trentenni e quarantenni di questo paese, denuncia e ha ben chiaro che non c’è giustizia

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senza meritocrazia. è talmente vero che siamo il paese dell’in-giustizia, che nonostante molti dei temi che egli ha presentato solitario alle primarie dell’Unione siano quelli poi adottati della Rosa nel Pugno e dell’agenda Giavazzi - Istituzione dei PACS e allargamento alle coppie gay e lesbiche del diritto a sposarsi e della possibilità di richiedere di adottare un bam-bino; abrogazione del valore legale dei titoli di studio; elimi-nazione dei concorsi universitari ed istituzione di un concor-so abilitante a livello nazionale; abrogazione degli ordini pro-fessionali; aumento delle risorse destinate alla ricerca scienti-fica; depenalizzazione della vendita e del consumo delle dro-ghe leggere… - né la Rosa né nessun altro partito hanno pen-sato di metterlo in lista.

La colpa di non avere un corsus honorum nella politica italiana, è stata evidentemente introiettata anche da Pannella, Bonino e Boselli. Anche loro, che preferiscono accogliere in lista Lanfranco Turci, Biagio Di Giovanni, Salvatore Buglio, Michele Ainis, Marco Bellocchio, Fabrizio Rondolino, Luciano Cafagna, Pio Marconi e Luciano Pellicani, rientrano nell’im-magine finale del libro di Ivan: fanno parte di una parata, modello Piazza Rossa nella celebrazione della rivoluzione d’ottobre, con il palco dei Perpetui, incartapecorite facce del-la nomenklatura.

(Luca Guglielminetti)

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Contro i perpetui

La classe over 50 che mutila la meritocrazia e il futuro dell’Italia. La denuncia di Ivan Scalfarotto, candidato "dimenticato"(2007 - Nuovo Caffé Lettarario)

‘Contro i perpetui’ è il racconto della candidatura di Ivan Scalfarotto, un quarantenne quasi digiuno di esperienza poli-tica, alle primarie dell’Unione del 16 settembre 2005. Un can-didato, cervello emigrato all’estero, che “voleva fare il presi-dente del Consiglio” sul modello di Zapatero.

Nel corso dei capitoli di questo pamphlet si dipana la sto-ria dell’ingresso in politica di questo outsider intrecciandosi con una diagnosi impietosa dei mali del nostro paese. È so-prattutto quest’ultimo l’aspetto che ci interessa sottolineare, perché gli avvenimenti italiani sono visti da ‘fuori’, dall’Euro-pa, con gli occhi di questo manager di una delle più impor-tanti banche americane, ieri di stanza a Londra ed oggi a Mo-sca.

La rilevanza della sua testimonianza è straordinaria per il suo valore documentale e mi riporta alla mente il capitolo “L’Italia fuori dall’Italia” della Storia d’Italia dell’Einaudi: la sezione di Franco Venturi che per il settecento si concentra sulla circolazione delle idee partendo da quanto viene scritto sull’Italia fuori dal nostro paese, dalle gazzette ed agli scritti dell’intellighenzia cosmopolita e riformatrice.

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E’ inoltre interessante confrontare le tesi di questo testo con quelle di Paul Ginsborg, storico e professore inglese che insegna a Firenze, che nel 2001 pubblicò a Londra “Italy and Its Discontents”, un’estensione fino al 2001 della sua storia dell´Italia contemporanea, già fondatore della "Lega per la difesa della democrazia italiana", uno dei movimenti dei giro-tondi. Confronto utile sia per la simmetria geografica - scri-vono dell’Italia attuale, l’uno italiano in Gran Bretagna, l’altro inglese in Italia - sia perché anche Ivan prese parte alla sta-gione dei girotondi fondando il circolo “Adottiamo la Costitu-zione” e la sezione di “Libertà e Giustizia” a Londra.

La differenza più eclatante è sulla questione Berlusconi. All’allarme democratico sparso a piene mano del primo, Scal-farotto contrappone, di fatto, il dato che la vera anomalia del paese risieda nella debolezza strutturale delle regole di demo-crazia liberale, per cui Berlusconi è solo un sintomo e non certo la causa di tale debolezza. Una volta sbarazzati di lui, “sarà più o meno come aver preso un’aspirina: l’infezione non sarà di certo andata via”.

Le manifestazioni di questa infezione, che spesso emer-gono dal libro per paragone con i modelli inglesi ed europei, le riassumerei nei seguenti 4 punti.

· I sistemi chiusi del corporativismo, degli ordini profes-sionali e di categoria, dove l’interesse particolare prevale sempre su quello generale e dove le professioni si ereditano dai padri.

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· Il sistema discriminatorio per età, dove l’inserimento nei lavori qualificati e di responsabilità segue “un rigoroso criterio di anzianità”.

· Il sistema politico di anziani, in cui il rinnovo della clas-se dirigente avviene solo per consunzione, nel contesto di uno Stato incapace di mantenere la sua separazione dalla Chiesa, di garantire i diritti delle minoranze e, ai cittadini, quella di-gnità che nasce dall’inclusione e dal rispetto per l’altro.

· Un sistema ingiusto dove la meritocrazia è puntualmen-te castigata, prevalendo sempre i vincoli di appartenenza ed identità sulle questioni di contenuto e metodo, da cui deriva il sistema delle raccomandazioni e delle clientele.

Non mi soffermo sui temi della laicità, che pur pervadano molti capitoli, in quanto sono temi oggi discussi e riportati alla luce dai radicali italiani e dalla nuova formazione della Rosa nel Pugno: dai diritti di donne, omosessuali, immigrati, fino a quelli di ricerca sulle staminali e di adozione esteso an-che ai singoli. La questione centrale posta da Ivan Scalfarotto resta comunque quella generazionale che forse dovremmo avere il coraggio di chiamare “repressione dei meriti”, attuata dagli over 50 con i loro sistemi chiusi e corporativi, dietro il falso alibi della poca esperienza.

Ho già avuto modo di osservare come la pratica dell’in-giustizia nasca dal discriminare meriti e creatività; tanto è vera e praticata questa scelta che nessun partito del centro sini-stra, Bonino e Boselli in testa, si è sognato di proporre a Scal-

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farotto una candidatura per queste elezioni (vedi “Io voto Scalfarotto” su Oggi in Italia). Che l’esperienza non sia un requisito indispensabile per fare, in questo caso, politica, lo ha aveva già dimostrato la discesa in campo di Berlusconi nel ‘94. Scalfarotto, quindi, non è certo il primo candidato che si è presentato, seppur in un contesto di elezioni particolari, senza “avere alle spalle una storia politica”.

Entrambi, va segnalato, hanno alcuni tratti comuni: quel-lo di presentarsi con “proposte concrete”, il non avere una matrice identitaria politico-partitica precisa, il provenire dal mondo dell’impresa. Quest’ultimo dato forse giustifica i primi due, in quanto al di là di trovarci in un epoca post-ideologica, rispetto alla formazione politica, chi si forma nell’impresa tende sicuramente ad un pragmatismo maggiore che diluisce identità marcate di tipo politico e culturale. Da questo scatu-risce un altro segno distintivo in comune almeno con il primo Berlusconi, il carattere innovativo del linguaggio.

“Contro i perpetui” è scritto senza i paludamenti del poli-tichese, con il vantaggio di poter essere letto da chiunque e con il limite di lasciare un senso di vuoto a chi è avvezzo ai nostrani testi di politica. Pur trattandosi di pamphlet di stam-po anglosassone, all’insegna di proposte concrete per rendere l’Italia un paese più aperto, creativo, efficiente e giusto, “Con-tro i perpetui” pone anche il problema di sostituire l’identità e le appartenenze ai particolarismi, ai localismi, alle categorie e ai microcosmi corporativi e sociali chiusi, con una identità più ampia che garantisca l’apertura necessaria all’inclusione e

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all’affermarsi dei meriti. L’autore ha chiaro che un’identità più aperta necessita la creazione di valori civili condivisi e lo fa denunciando la mancanza nel centrosinistra di un visione “con la V maiuscola” e il relativo bisogno di ideali che indi-chino una via oltre i tatticismi e la gestione del potere fine a se stessa. Parla di “simboli forti”, di un quadro macro da cui far discendere quello micro, il programma.

Siccome il problema è solo enunciato, siamo andati a ri-cercare all’interno dei capitoli quali fossero gli autori o i testi utilizzati dall’autore per la propria visione macro. Abbiamo trovato “L’ascesa della nuova classe creativa”, un saggio di Ri-chard Florida, docente di teoria dello sviluppo economico alla Carnegie Mellon University di Pittsburg, che ha indivi-duato una forte relazione tra sviluppo economico e aree dove più alta si presenta la concentrazione dei creativi - intesi in senso lato: dagli artisti agli ingegneri - e che ipotizza l’ascesa di una futura “classe creativa” oggi ancora per lo più tenuta ai margini.

Questo è però l’unico indizio che l’autore ci fornisce. Del resto, a un pamphlet, non è richiesta una bibliografia e un profluvio di citazioni di padri ispiratori, ma segnaliamo che il problema di “vision” esiste e non è risolvibile solo aggiun-gendo le analisi di altri sociologi: pensiamo alle ampie analisi della società a rete di Manuel Castell, agli studi sulla moder-nità di Zygmunt Bauman e a Pekka Himanen con la “sua” eti-ca hacker contrapposta a quella protestante, di weberiana memoria, per cui all’accumulazione di capitale, la classe crea-tiva si sostituirebbe la circolazione di conoscenze.

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Il problema della visione è da porre anche sul piano del linguaggio e della filosofia del linguaggio: della necessità nel centrosinistra di trovare "una retorica dell'appartenenza co-mune", per usare la dizione rortyana, che lo renda capace di “Non pensare all’elefante!” per citare l’appena edito saggio di George Lakoff, nel quale l’allievo di Chomsky cerca di spiega-re come i progressisti abbiano da guadagnare di più a spiega-re se stessi che non a denunciare le malefatte dell’avversario.

Tornando al linguaggio dell’autore, Scalfarotto ha sicu-ramente applicato per un certo verso il metodo di Lakoff, perché non ha pensato all’elefante-Berlusconi e si è concen-trato a fornire un quadro, se pur sintetico, di come immagina un futuro progressista in Italia, degno dell’Europa.

C’è però un problema che Scalfarotto non affronta e do-vrà chiarire a meno di non volersi porre su di un piano auto-referenziale: quello della storia.

Da un parte, dovrebbe considerare il fatto che non è il primo ad affrontare i “suoi temi”. Al di là di quelli di laicità che hanno una letteratura sterminata, mi limito a segnalare che, nel profluvio di pubblicistica generazionale dell’ultimo decennio, quasi sempre incentrata su biografie del precario, il tema del conflitto generazionale declinato in una chiara anali-si politico-economica era stato ben affrontato da Giuliano da Empoli in “Un grande futuro dietro di noi” e, successivamen-te, in “La guerra del talento. Meritocrazia e mobilità nella nuova economia”.

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Dall’altra, quando richiede di fondare una nuova identità - diciamo quella del futuro partito democratico - non può prescindere dal fatto che in qualche modo vanno risolti i con-ti con le vecchie identità e le loro storie. Una visione macro non può nascere dal nulla. Anche noi quarantenni abbiamo precedenti identità e storie, più o meno sfumate dei sempre più numerosi over 50. E’ necessario, allora, ricondurre ad un filo comune le storie politico-culturali delle identità ancora separate e disperse in partiti e associazioni varie. Proprio per-ché le idee e le sensibilità per l'oggi e il domani proprie degli “under 50” dei liberal Ds, dei laici della Margherita e degli spezzoni socialisti, radicali, verdi e movimenti vari, sono sem-pre più affini ed omogenee, occorre fare i conti con la storia affinché le vecchie identità non possano più dividere.

Concludo con tre appunti. L’aver appartenuto ad un cir-colo “Libertà e Giustizia”, associazione ispirata dall’ing. De-bendetti, gli ha forse giovato nel trovare spazio su “la Repub-blica” nel momento della suo primo exploit come candidato alle primarie, ma non possiamo non rimproverargli, da soste-nitore del partito democratico, di cui non vede in vista dei fuori classe per dirigerlo, il fatto di non aver speso un riga sull’intervento di Debenedetti all’assise dell’Ulivo, dove inco-ronava ad eredi di Prodi, due cinquantenni: Veltroni e Rutelli.

Il secondo appunto è relativo alla questione dei diritti. Derivante probabilmente dal suo iter movimentista, Scalfarot-to tende nel suo discorso politico a privilegiare l’emergenza

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diritti, ma sarebbe forse utile affrontare gli stessi temi anche dal punto di vista dei doveri. Molti dei risultati e delle propo-ste resterebbero valide ed immutate, ma si aprirebbe una fi-nestra anche su un’altra prospettiva e l’analisi stringente della realtà delle cose verrebbe ad acquisire maggiore completezza.

Infine, più che un appunto, un invito a cautelarsi dal ri-schio di isolamento, mantenendo i contatti con l’Italia e la politica solo attraverso internet e l’associazione “Io parteci-po”. Il sottoscritto ha tratto dalla modesta esperienza politica di candidato alle elezioni del 2001, con un breve programma analogo a quello di Scalfarotto, l’insegnamento che ovunque ci si trovi, gettata la pietra, non si può procedere coltivando il proprio orticello, né si può restare in attesa degli avvenimenti (il futuro partito democratico). Dobbiamo da oggi, a pochi giorni dalle elezioni e a prescindere dal loro esito, lavorare tutti per le fondamenta del futuro: utilizzare la comunanza generazionale per aprire un dialogo stabile e permanente tra le molte e varie realtà affini che si aggirano su Internet e su-perare - da subito - le barriere invisibili che le rendono altret-tante realtà separate dei partiti e dei movimenti a cui fanno riferimento.

Luca Guglielminetti

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Titolo: (11.04.06) Il ridico e la saggezza

Redazione

Se la Rosa nel Pugno e Bobo Craxi avessero trovato un accordo, sommando i risultati di oggi, avrebbero almeno avu-to quanto l'Italia dei Valori, e quindi qualche senatore, invece di nessuno, come ci indicano i crudi risultati. Le varie liste socialiste hanno ottenuto il magro bottino di mandare alla Camera i loro dirigenti nazionali: De Michelis e Del Bue da una parte, Boselli & c. dall’altra, più i due figli di Bettino Craxi (Stefania di certo in FI e Bobo più probabilmente in qualche posto di sottogoverno).

Ora non si può più dire, lamentandosi, siamo stati massa-crati, fatichiamo a riprenderci. La realtà è un'altra. Ragionare politicamente in termini di identità politiche del XX secolo - si chiamino queste socialiste, liberali, laiche, repubblicane, radicali - è diventato semplicemente obsoleto. Se qualche sparuta pattuglia vuole vivere di piccole rendite fino a quando sarà in vita qualche elettore del vecchio PSI, PSDI, PLI, PRI, si accomodi, faccia pure. Può magari seguire il tentativo di Nicola Cariglia e del Gruppo dei Centouno di riproporre un terzo polo laico, e finire domani al pari della lista dell’altro dinosauro, Vincenzo Scotti, che si è presentata 'terzopolista' prendendo lo 0,04.

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A noi francamente non interessa più.

O c’è ancora qualcuno di cultura socialista che capisca che si deve costruire una nuova identità più ampia, che superi il vecchio e guardi avanti sapendo interpretare la realtà, op-pure non resta che seguire la 'saggezza italiana' che ci ha for-nito oggi il miglior risultato possibile e attendere il triste an-nullamento delle forze e della generazione ancora in campo per autoconsunzione.

(Luca Guglielminetti)

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Titolo: (07.05.06) L'eclissi socialista

Redazione

La tessera n.1 del futuro partito democratico è stata sim-bolicamente privata all’ing. Carlo De Benedetti da parte degli oltre cento partecipanti alla manifestazione “Generazione U per una costituente del partito democratico” che ieri a Roma hanno firmato un facsimile gigante di tessera.

Il direttore di Europa, Stefano Manichini, ieri scriveva: “La Generazione U può essere il fuoco di paglia di una pri-mavera blog, ed è molto probabile che finisca così. Oppure dichiarare la sua pacifica guerra allo status quo, individuare con precisione gli obiettivi, gli amici e i nemici.”

Ci chiediamo se i socialisti sono "amici o nemici" del mo-vimento generazionale.

Vorremo chiedere a chi oggi si definisca di cultura socia-lista se considera i seguenti obiettivi: “Abbattimento delle barriere corporative negli ordini, nelle professioni, nelle car-riere. Sconfitta delle baronie nelle università e nella ricer-ca;ridistribuzione della spesa sociale a favore dei giovani lavo-ratori precari, fatalmente in danno di qualcun altro; autentici criteri di valutazione per merito nella scuola, nell’università, nella ricerca, nella pubblica amministrazione, contro gli avan-zamenti per motivi di famiglia o di iscrizione al sindacato giu-sto” le priorità dell’agenda paese per ricondurlo su una strada di modernizzazione e di civiltà.

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Vorremmo chiedere a chi, a qualsiasi titolo, si rifà al-l’esperienza del dissolto PSI, quel partito che negli anni ’80 si prefiggeva di coniugare ‘meriti e bisogni’, se si accorga e quindi si ribelli al fatto che l’Italia è il solo paese europeo do-ve si pratichi la sistematica repressione dei meriti - ad ogni livello - da parte degli over 50 con i loro sistemi chiusi e cor-porativi (dietro il falso alibi della poca esperienza dei giovani).

Il sottoscritto risponde sì (ed è andato a firmare quella simbolica tessera) ma teme di restare voce isolata in contesto di silenzio che dimostrerebbe solo un'eclissi della cultura socialista italiana, oggi incapace di leggere e interpretare la realtà e quindi di farsi motore di alcun progetto politico.

(Luca Guglielminetti)

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Titolo: (11.05.06) Napolitano europeista

Redazione

Fra i tanti commenti biografici su Giorgio Napolitano che affollano i media di oggi e che affondano quasi tutti sul passa-to di ex esponente del PCI, noi preferiamo qui sottolineare il suo impegno più recente: quello europeista che lo vede anche Presidente della sezione italiana del Movimento Europeo.

"L'europeismo - scrive nelle appassionate pagine finali del suo libro "Dal Pci al socialismo europeo - Un'autobiogra-fia politica"- l'idea di un'Europa unita nella democrazia e nel-la pace, ha rappresentato l'esempio più alto di utopia mite, non violenta, portatrice di libertà e di progresso, non rove-sciabile nel suo contrario”. Vogliamo quindi ricordare quel Napolitano che ammette di aver subito l'influsso di Altiero Spinelli, riportando il più noto passaggio del Manifesto di Ventotene, attualissimo in un paese che da anni si sta allonta-nando dagli standard di civiltà europei:

"la linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti re-azionari cade perciò ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socia-lismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del pote-re politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamen-

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te il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incan-descente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vec-chio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realiz-zare l'unità internazionale"

(lg)

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Generazione U e socialisti: lettera a Stefano Menichini

15 maggio 2006 (Europa)

Caro Direttore,

Sabato scorso ho partecipato a Roma alla meritoria e ben riuscita iniziativa di Mario Adinolfi, dopo avervi aderito e aver stretto rapporti con chi, per primo, aveva posto il problema del ricambio generazionale nella politica italiana: Ivan Scalfa-rotto. Penso, infatti, che chi voglia declinare oggi meriti e bi-sogni, come si diceva nel PSI degli anni '80, non possa non riconoscere, in quello che denuncia e sostiene Scalfarotto nel suo recente pamphlet, "Contro i perpetui" (di cui segnalo per inciso la recensione del sottoscritto alla pagina web http://www.kore.it/CAFFE/critica/scalfarotto.htm la più attua-le prospettiva di socialismo liberale per l'Italia.

Ma a parte questa considerazione, credo che concordia-mo tutti sul fatto che la rivolta contro la pratica della sistema-tica repressione dei meriti - ad ogni livello - da parte degli over 50 con i loro sistemi chiusi e corporativi, dietro il falso alibi della poca esperienza dei giovani, è quanto accomuna la Generazione U e che il successo, o meno, di quest’ultima sia la sola cartina di tornasole per capire se il processo verso il

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futuro partito democratico poggi su solide e ben strutturate basi.

Intanto è urgente il futuro organizzativo di "Generazione U". Ho fatto due proposta a Mario Adinolfi: la prima, che mi pare forse già emersa in qualche articolo o post, formare un'associazione. La seconda, più immediata, quella di creare un network a livello web: ideare un banner con la scritta "Questo sito aderisce a Generazione U Network", linkato ad una pagina con tutti i siti, blog e portali delle realtà che han-no aderito all’iniziativa del 6 maggio. Grazie dell’ospitalità.

Luca Guglielminetti

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Amato come Blank: senatori non dei nostri

Da: Luca GuglielminettiDate: 5/15/2006

Ho letto ieri l’editoriale di Barbara Spinelli su La Stampa che, in relazione all'atteggiamento che i Ds hanno avuto in queste settimane verso Giuliano Amato: “Chi nei Ds s'è la-sciato sfuggire che «Amato non è dei nostri» ha parlato, non si sa quanto consapevolmente, il vecchio linguaggio del legame consanguineo, esoterico, che regna all'interno del partito elet-to, portatore del senso della storia e del suo finalismo.”

Permettetemi, quale aggiunta, di riportare un breve passo che stavo leggendo sempre ieri di Charles R. Aldrich in “Men-te primitiva e civiltà moderna” (1931). In relazione ai legami e alle convenzioni sociali nel capito intitolato, guarda caso, “So-cialismo primitivo”, è scritto: “(…) per la psiche primitiva il gruppo sociale non è tanto una organizzazione politica quan-to una confraternita, una comunità composta di inizia-ti”(…)“Quanto più debole è una società, tanto più tende a consolidarsi; e ricordo che anni fa negli ambienti finanziaria-mente impotenti delle vecchie famiglie di Washington tutte queste concezioni primitive erano sommate nella frase di condanna: «Il senatore Blank non è dei nostri».”

Le due letture sono state una coincidenza troppo curiosa per non segnalarla. Mi permetto di conseguenza di aggiunge-

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re che l’ardua via verso il partito democratico con “gruppi di-rigenti veramente ibridati, non fatti da consanguinei ma da affinità elettive edificate su comuni volontà riformiste”, come giustamente sostiene la Spinelli, non penso possa passare per le attuali classi dirigenti ma solo attraverso un ricambio gene-razionale radicale: trenta-quarantenni privi di mente primiti-va, favorevoli ad una società forte in quanto aperta e merito-cratica, e capaci di riconoscersi al di là degli steccati ideologi-ci del ‘900.

(Luca Guglielminetti da Oggi in Italia)

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Titolo: (23.05.06) Le tre zapatere

Redazione

Se il vice minsitro Visco se ne esce con l’idea di ripristi-nare la tassa di successione, anche se tutti sanno che crea un afflusso assolutamente marginale alle casse dello stato, nessun opinionista commenterebbe che “sarebbe meglio arginare l’estemporaneità delle singole proposte” dei ministri.

Se invece si tratta delle “tre zapatere”, Rosy Bindi, Livia Turco e Emma Bonino, allora Pigi Battista dalle colonne del Corsera, lancia subito l’allarme del pericolo di guerra religio-sa, di offesa all’identità nazionale, di vendetta contro il Papa. Ed esorta a lasciare parlare (e decidere) solo Prodi, su pro-blemi così delicati.

Rosy Bindi è intervenuta senza preclusioni sul tema delle coppie di fatto e addirittura sulla revisione della legge sulla procreazione assistita; Livia Turco ha dichiarato l'intenzione di non mettere ostacoli alla sperimentazione in Italia della pillola abortiva Ru486; Emma Bonino ha ricordato che che nel Manifesto di Altiero Spinelli non sono contemplate le «radici cristiane» come fonte identitaria dell’Europa.

Il poco di nuovo e moderno che si intravede nel nuovo esecutivo viene da loro, le tre donne “zapatere” di Ds, Mar-gherita e Rosa nel Pugno. Lasciamole fare, invece di evocare subito l’intervento del vecchio “curato di campagna”, per fa-vore! (Luca Guglielminetti)

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Titolo: (07.06.06) Socialisti, un popolo da salvare?

Redazione

Il titolo della recensione del libro di Valdo Spini, “Com-pagni, siete riabilitati!” sul supplemento domenicale de il So-le 24 Ore, in verità non conteneva il punto interrogativo. Lo aggiungiamo noi, alla luce di due fatti: i catastrofici risultati alle politiche ed alle amministrative ottenuti dalle liste eredi del Psi (Il nuovo Psi con i neo DC, I Socialisti di Bobo Craxi e lo Sdi con i radicali nella Rosa nel Pugno), da un parte, il ri-sorgere di tentativi di rilancio della questione dell’unità dei socialisti avviati da più parti con ottiche assai diverse tra loro, dall’altra. Vediamole.

Valdo Spini, nel suo libro, boccia il partito democratico prodiano ed auspica la nascita di “un forte partito del sociali-smo europeo” intorno ai DS, previa riabilitazione di Craxi e dei socialisti.

Bobo Craxi, vuole rilanciare l’unità socialista, organizzan-do un seminario a luglio che verifichi “che cosa pensano vec-chi dirigenti, a cominciare da Formica, Amato, De Michelis e anche da Martelli”, e risponda al da farsi di fronte alla nascita del partito democratico.

C’è poi l’imminente iniziativa degli “autoconvocati” a Fi-renze, intorno a Cariglia, Lagorio e Laroni, che vogliono lan-

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ciare un polo laico socialista, fuori dall’attuale bipolarismo e che trova anche consensi nel Nuovo Psi.

Esistono quindi almeno tre gruppi che ripropongo, dopo un decennio di tentativi falliti, il tema dell’unità socialista, tutti con prospettive politiche diverse.

La minima riflessione di fronte a questo stato di cose, premettendo che in politica o si è in grado di salvarsi da soli o nessuno verrà in soccorso dei socialisti, è quella di misurare questi tentativi sulla capacità di esprimere un’evoluzione del-l’identità socialista, attraverso un cambio di linguaggio che superi il reducismo e l’invettiva al traditore di turno, una cambio di parole d’ordine che vada oltre lo stereotipato ri-proporre antiche agende politiche, un cambio di rituali che sancisca la modestia degli attori che finora hanno fallito.

Il punto interrogativo è quindi d’obbligo, perché, così com’è, l’identità socialista - è stato fin troppo dimostrato dagli ultimi risultati elettorali - non ha proprio più nulla da dire al nostro paese.

(Luca Guglielminetti)

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Titolo: (14.06.06) L’occasione di Boselli

Redazione: Luca Guglielminetti

Cross-fertilization e diversity mangement, sono due con-cetti applicati in due ambiti diversi, il mondo scientifico e quello degli affari, ma significano la stessa cosa: la creatività che nasce dell’incontro tra diversi. Si tratti di scuole scientifi-che o di pensiero, di esperienze lavorative o professionali, che si tratti di origini etniche o nazionali, il confronto tra soggetti diversi crea quel crogiuolo che è “alla base del progresso mo-derno”, come dice Umberto Veronesi.

Cosa succede in politica? Negli anni successivi a Tangen-topoli si sono creati soggetti, che, volenti o nolenti, hanno sperimentato una cross-fertilization/ diversity mangement tra culture politiche: Forza Italia e la Margherita sono due esem-pi, che funzionano abbastanza, Le “cose” di Ds e quelle di Bo-selli, invece si sono rilevate dei fallimenti. Sorvolo sull’ex Pci, e la sua lunga tradizione di inglobamento dei diversi, perché mi interessano le vicissitudini attuali della Rosa nel Pugno.

Le alleanze dello Sdi di Boselli con Dini, con i Verdi e con i Radicali sono state meri escamotage elettorali durati lo spazio di tre campagne elettorali politiche: quelle del 1996 - 2001- 2006. La necessità di stringere rapporti elettorali non è stata colta da Boselli come opportunità per coltivare un cro-giolo dove la tradizione del Psi, almeno la parte rappresentata

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dallo Sdi, si mescolasse con la cultura liberaldemocratica, ambientalista e radica. ln altri termini si potrebbe dire: non ha fatto della propria debolezza un punto di forza.

Poiché l’esperimento della Rosa nel Pugno non è ancora completamente fallito, ci permettiamo di segnalare i due con-cetti gemelli di cross-fertilization e diversity mangement, con-cetti che si applicano e funzionano in politica, non solo quando c’è una leadership forte che li coltiva, ragionando in termini di nuova identità, ma, soprattutto, quando l’osmosi di idee si pratica col confronto a tutti i livelli condividendo i luoghi dell’agire quotidiano: le sedi, le sezione o i circoli. E non quando si continua, come accade oggi, a parlare di com-ponete, socialista o radicale, a mantenere ciascuno le proprie sedi, centrali e periferiche, e a ritrovarsi, ai soli livelli dirigen-ziali, per decidere le spartizioni di seggi e poltroncine.

Non è con una riunione di tutti a Fiuggi una volta l’anno che si coltiva la Rosa, ma come tutti gli esperimenti botanici, con la pazienza di un lavoro continuo in un laboratorio con la porta aperta.

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Titolo: (07.07.06) Il momento della verità

Redazione

I prossimi mesi saranno molto interessanti per valutare la tenuta del governo e l’andamento della costituzione del Parti-to Democratico. Il nesso stretto tra i due percorsi, è stato con-fermato nell’assise romana che si è svolta martedì scorso dove Prodi ha sostenuto: “Avanti veloci se no si cade”.

Il vero puntello che potrà sostenere o far crollare il pro-getto del PD è solo ed essenzialmente il governo presieduto da Romano Prodi che ha l’occasione storica di fare quella “ri-voluzione liberale” che, dopo Giolitti, è mancata da un secolo nella nostra storia e che nessuno ha osato intraprendere con un serio lavoro di smantellamento dei sistemi corporativi, che - riguardi tassisti, artigiani, professionisti, sindacati, imprese, statali - non dimentichiamolo, sono eredi diretti del sistema fascista che si è protratto per tutta la prima repubblica fino ad oggi per i deficit di cultura liberale nel DNA di tutti i partiti politici del nostro paese.

Se il governo, nonostante la varietà di culture politiche al suo interno, insisterà e vincerà gli scontri che sorgeranno sul-le sue politiche di liberalizzazione, potrà compattare chi vuole modernizzare questo paese ed abbattere i suoi sistema chiusi,

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oligarchici, incivili ed antieconomici, e non ci sarà resistenza che tenga: il Partito Democratico sarà cosa fatta.

Dopo un quarto di secolo di riforme mancate: Craxi non c’e riuscito, Berlusconi ha fatto solo finta, sarà la volta buona? Siamo vicini al momento della verità.

Concludo con l’augurio che di fronte a questa prospetti-va, le forze organizzate di cultura socialista, radicale e liberale, non perdano l’occasione per confrontarsi con essa. Le batta-glie per la laicità o quelle per l’orgoglio e l’unità socialista, sono sterili ed inefficaci se non passano dalla piena consape-volezza che al paese servono, moltiplicate per cento, riforme sul modello del decreto Bersani.

I diritti civili, laici e bioetici allignano là dove si sia af-fermato il primo diritto, per il quale vale oggi combattere, cioè quello di vivere in una società aperta, con una ampia mobilità sociale al suo interno e dove i meriti trovino sovranità.

(Luca Guglielminetti)

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Titolo: (14.12.06) PD, Rosa nel Pugno: in primis scio-gliersi

Redazione

In relazione al dibattito sollevato da Paolo Franchi su Il Riformista: “socialisti parlate adesso o tacete per sempre”, vorrei esprimere in breve un concetto.

Penso che si debba uscire dall’ipocrisia del fatto di non spiegare mai perché si dice, come ad esempio Roberto Villetti nel suo intervento, che il progetto del partito democratico perché “funzioni occorre che si realizzi con un vero e proprio scioglimento dei partiti”. L’unico pronto a sciogliere qualcosa, che io sappia, è Claudio Nicolini con la sua micro-componen-te nello Sdi!

Sarebbe, invece, di sinistra e di socialista avere il coraggio di dire che nessuno vuole sciogliere niente, e mi riferisco prima ancora che ai Ds e Margherita, allo Sdi e ai Radicali, perché nessuno vuole perdere le piccole o grandi rendite di posizione. La Rosa nel Pugno, prima ancora del PD di cui è una specie di pre-esperimento in vitro, sta infatti sfiorendo proprio perché coltivata in spazi angusti e chiusi tali da ga-rantire aria e luce solo ai dirigenti ‘designati’.

Non credo alla frottola che gli italiani hanno punito o non hanno capito la Rosa con il suo bel progetto liberalsocia-lista. Non c’è, neppure, da scomodare la sindrome da Partito

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d’Azione, ma semplicemente da osservare il sistema di con-servazione del potere in una ‘partitocrazia’ di cui sono vittime anche gli stessi inventori del termine. Sono i dirigenti dei due partiti quelli che non sarebbero sopravvissuti se avessero aperto un vero cantiere/giardino per la nascita e la coltivazio-ne della Rosa . Boselli e Pannella si sono ben guardati, e con-tinuano, dall’andare in giro per l’Italia a cercare (di unire) lai-ci, liberali, socialisti e radicali. Si sono limitati, prima delle elezioni, a cooptare qualche ex Ds, senza pretese di potere ed utile ad ottenere buona stampa (che non significa voti).

Il punto cruciale mi pare che risieda nel fatto che al po-sto delle correnti di una volta, le quali denotavano progetti politici concorrenti all’interno della stessa cultura/partito, og-gi abbiamo ovunque politici-feudatari che agiscono nei partiti in modo sostanzialmente non dissimile da quello berlusco-niano: cooptando e realizzando reti di fiduciari. Come ha det-to Palenzona, Vicepresidente Unicredit, a Sesto San Giovanni domenica scorsa nel convegno di ItalianiEuropei: "Abbiamo solo guerra per bande". Già, bande che stanno insieme non per raggiungere il potere condividendo un progetto politico, ma per la conservazione e la implementazione del potere fine a se stesso, alimentando economie di relazioni/vicinato/fami-glia/clan, il che significa punire il merito, la mobilità sociale... e in ultima analisi: deprimere il sistema paese.

Così, che si parli di Pd, RnP o socialisti, quello che conta è verificare chi abbia il coraggio di aprire la lotta al neo-feu-dalesimo in cui si trova asfissiata la nostra democrazia.

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Vedremo presto se qualcuno saprà sciogliersi veramente per aprirsi a relazioni di merito e poter così progettare sul serio un'Italia moderna ed europea. Se non ci sarà, il timore di Giuliano Amato di un futuro populista sarà l'ipotesi più certa.

(luca guglielminetti)

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Capezzone/Diaco: la solitudine “des enfants terribles”

25 novembre 2006 (Blog)

LibertàEguale di Torino ha avuto l’idea originale di ri-prendere un sondaggio ed uno studio sullo gerontocrazia nel-la politica italiana, facendo partecipi del dibattito Daniele Capezzone e Pierluigi Diaco.

Due eccezioni nel panorama politico ed in quello giorna-listico, noti per suscitare un certa antipatia. Non sono così mancate sorprese e provocazione ai danni degli organizzatori. Col risultato di un dibattito abbastanza fuori dai canoni e dai paludamenti nello stile, grazie ai due giovani, ma poco deci-frabile nei contenuti che sono risultati molto “nevrotizzati”.

Visti da vicino, Daniele e Pieluigi, mi hanno fatto una strana impressione di “enfants terribile” tanto giovani quanto prematuramente annegati nella solitudine del potere (e delle fama). Diaco ha anche accennato a un dato autobiografico fat-to di lunga solitudine e ferma volontà verso la meta. Capezzo-ne, cui va sempre dato merito di chiarezza e promettente lun-gimiranza politica, credo stia vivendo un pessimo periodo in casa radicale, linciato da più parti in maniera ignobile dagli anziani del partito.

Come mi aspettavo, paradossalmente non erano le perso-ne più adatte a parlare della questione generazionale, nel sen-so di come abbiamo affrontato la questione in questo o negli

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altri blog di Generazione U, (ed il sottoscritto aveva suggerito agli organizzatori i nomi di Adinolfi e Scalfarotto). I due en-fants, viceversa, proprio in quanto eccezioni del panorama italiano, tendono a non rendersi conto dello stato di “repres-sione dei meriti” nella sua dimensione sociale, presi come so-no dalla necessità di difendere il proprio potere/personaggio che vedono in pericolo o in possibile declino, al primo passo falso.

Visti da vicino, Daniele e Pieluigi sembrano ancora più giovani che non in video, ma i loro occhi, pur sprizzando in-telligenza, sono lontani e vagamente e tristemente sfuggenti. E’ normale che i due non possano vedere la “repressione dei meriti” subita degli altri giovani semplicemente perché non hanno visto coetanei che, magari pur loro competitor, condi-videssero lo sforzo e la solitudine per raggiungere una meta - il potere - che richiede oggi un costo personale, emotivo e psicologico pesantissimo.

Non c’è più la scuola di partito con il bigliardo per gioca-re almeno la sera un’oretta a carambola o a boccette ad alle-viare la solitudine del giovane e futuro politico o giornalista. I due enfants si sono ritrovati nelle macerie post tangentopoli, nell’era globalizzata della modernità liquida; fatta di rapporti personali che, come i cibi, sono light; fatta di ricerca di crea-tività solo perché "so usare i software giusti"; fatta di ambi-zione che si rivolge al mantenersi adolescenti, “supergiovani” fino a che i muscoli o la chirurgia plastica lo permettano...

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Dismissioni industriali torinesi: meglio il vecchio sin-daco comunista dell’architetto postmoderno

12 dicembre 2006 (Blog)

Ieri sera a Torino si è presentata una nuova istituzione locale l’Urban Center Metropolitano di Torino, creata dal city architect Carlo Olmo un anno fa a ridosso del periodo olim-pico, quando i primi lamenti si erano già sollevati sulla facile demolizione del ricco patrimonio industriale cittadino.

Un anno dopo l’ente organizza insieme a Torino Interna-zionale una tre giorni sul riuso della aree dimesse e sul futuro di quella di Mirafiori, così ieri per la prima serata, a fronte di un pubblico per la maggioranza composto da studenti, hanno presentato i loro lavori due architetti: Francesco Garofalo e Cino Zucchi.

Uno più smorto, l’altro più brillante, i due noti architetti hanno fornito una chiara idea di quanto poco interessi loro il patrimonio industriale e di quanto la loro disciplina sia ripie-gata sul proprio ombelico. Con linguaggio postmoderno per cui si dice che in un luogo c’è un ‘Genius loci’ invece di dire che possiede una identità storico sociale, per fare un esempio, i due hanno snocciolato i loro lavori in rapide immagini di Power Point nelle quali il nesso tra forma e contenuto è eva-porato tra le quinte del palco teatrale su cui stavano seduti.

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Nell’occasione del dibattito ho fatto quello che rompe il ghiaccio, a fronte di un pubblico forse intimidito da un pro-fluvio di dotte citazioni della storia dell’arte e dell’architettu-ra. Mi sono così permesso di far osservare che forse le città hanno un qualche diritto a mantenere traccia della loro sto-ria, che le aree dismesse fanno parte di questa storia per cui la progettazione architettonica può fare uno sforzo e tenere conto del fatto che il paesaggio urbano possa essere letto nel-la sua evoluzione tra passato e futuro.

Cino Zucchi si è sentito colpito e quasi scusandosi ha riconosciuto l’ esagerazione del suo linguaggio e ha voluto puntualizzare la sua sensibilità al problema da me sollevato.

Francesco Garofalo, invece è rimasto fermo e duro con l’elogio della ruspa demolitrice e l’allarme per tutto ciò che inizia con “ri”, come riuso.

In mezzo un moderatore, incerto tra il cedere al nichili-smo dei tempi o combattere la museificazione del mondo.

Ma il supporto inaspettato l’ho avuto a fine serata dall’in-tervento di Diego Novelli, seduto alle mie spalle, che pur sen-za alcuna retorica operaista, ha denunciato i disastri ‘olimpici’ della spina tre, vere “porcate” di ediliza residenziale e sbeffeg-giato le pretese di trasformare Torino in città turistica e del “loisire”.

Insomma una seratina divertente, con applausi inaspettati così come inaspettato l’appoggio del ex sindaco di Torino, da cui sono piuttosto distante politicamente, ma verso il quale ieri sera ho condiviso una piccola lotta probabilmente solo donchisciottesca.

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Crisi della politica: ci vorrebbe un Jean Monnet

26 maggio 2007

Con sommo ritardo, e grazie al suggerimento di un ami-co, faccio un breve riflessione sulla presentazione della auto-biografia di Jean Monnet, “Cittadino d’Europa”, svolta alla Fiera del Libro di Torino.

La ri-proposizione in Italia, grazie all’Editore Guida di Napoli, dopo quasi un trentennio di assenza (la prima edizio-ne di Rusconi è del 1978), del testo del padre d'Europa più tradotta al mondo, è opera meritoria che denuncia altresì la poca fortuna del pensiero, e di conseguenza del metodo, monnettiano fino ad oggi nel nostro paese.

Leggendo “Cittadino d’Europa”, al di là del valore bio-grafico e storico-documentale, ci si trova in effetti di fronte alla descrizione di un metodo, al cui centro c’è il dialogo, aperto e plurale, fra diversi e sul quale aleggia la capacità di individuare interlocutori e di persuaderli verso una azione cooperativa.

Un testo dunque che alla ricchezza di ricordi e retroscena della storia dalla Prima Guerra Mondiale agli anni ’70 del No-vecento, aggiunge, pervaso nei capitoli, la nascita di un meto-do, di una maieutica, lontanissima degli impianti idealistici e dogmatici tipica di gran parte della pubblicistica federalista italiana sull’europeismo.

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Senza alcun riferimento al dibattito d'idee astratte ed utopiche sull'Europa, dal primo all’ultimo capitolo, assistiamo all’affermarsi pragmatico di una modalità di lavoro che crea co-operazione internazionale e concertazione tra le parti, na-zionali o sociali. Si scorge cioè l’invenzione di far incontrare intorno ad un tavolo i diversi, per nazionalità, lingua, cultura, idea politica, ruolo sociale, al fine di ottenere che ognuno, co-noscendo l’altro, creando reciproca fiducia, operi e si adoperi per un comune obiettivo, che consegua il “bene comune”. Tanto che si tratti della pace in Europa, o che si tratti di at-tuare politiche economiche condivise dalla parti sociali in Francia, possiamo chiaramente scorgere la fonte di quel me-todo di lavoro che oggi viene definito con termini quali “di-versity managment”, “cross fertilization”.

Riflettendo su questa autobiografia non si può non ren-dersi conto di essere di fronte a quanto c’è di più lontano dal-la cultura fideistica/ideologica, corporativa, statalista e famili-stica del nostro paese, che versa nella situazione di crisi e sfi-ducia verso la propria classe dirigente, anche in quanto privo di figure alla Jean Monnet, con la sua autorità morale da ‘au-todidatta’ e cosmopolita, e il suo agire laico, antidogmatico, liberale, aperto e plurale.

Se ancora oggi, leggendo la composizione del nostro par-lamento, così come del Comitato promotore del partito De-mocratico, troviamo poche donne e giovani e i soliti nomi no-ti, con dubbie referenze ad autorità, è bene sapere che la cau-sa è anche nella mancanza di quella cultura/azione incarnata da Monsieur Europe.

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Il coraggio tardivo di Enrico Boselli

9 aprile 2008

Boselli sta conducendo una discreta campagna elettorale, in piena solitudine, privo delle accoppiate che per oltre un decennio avevano caratterizzato lo SDI sulla scia della sfortu-nata tradizione della "bicicletta" (PSI-PSDI) di quasi quaran-t'anni fa. Dopo Dini (1996), la Francescato (2001) e la Bonino (2006), recuperata la diaspora che aveva portato il garofano del centro destra berlusconiano, i socialisti si presentano soli - per la prima volta dopo Tangentopoli - a causa del mancato accordo con il Partito Democratico.

Il Partito Socialista si è così trovato in una situazione ana-loga a quella dell'UDC: due partiti che affrontano le immi-nenti elezioni sul piano dell'identità storico culturale, quelle socialdemocratica e cristiano-democratica, a fronte dei due partiti/coalizione che si presentano come presunte novità di un panorama post-identitario che intende la politica in ter-mini pragmatici come confronto tra programmi di governo e nella quale i valori assumo un ruolo secondario oggetto o di mediazioni interne (PD), o lasciate alle opzioni dei singoli (PDL).

Se fosse tutto riconducibile alla domanda su chi è più moderno, probabilmente occorrerebbe optare per i due neo

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agglomerati partitici di Veltroni e Berlusconi. Se ci poniamo invece una domanda di cultura politica più stringente e ad ampio raggio, e ci domandassimo chi è più adatto ad affronta-re le crisi che si profilano in quasi tutti i settori: dalla crescita economica alla sostenibilità ambientale, dalle tematiche bioe-tiche e dei nuovi diritti a quelle delle società multieniche di un mondo globalizzato connotato da tentazioni di terrorismo internazionale, da una parte, e di politiche di sicurezza unila-terali, dall'altra, allora sarebbe difficile non concludere che un sistema valoriale chiaro e forte sarebbe utile e necessario a compiere le difficili scelte che si prospetteranno al nostro paese.

Il punto è allora quello di valutare se gli eredi delle due sopra menzionate tradizioni culturali, PS ed UDC, o i due nuovi partiti, PD e PDL, sono attrezzati degli strumenti cultu-rali, cioè critici, per affrontare in modo lucido i nodi del futu-ro dell'Italia. A giudicare dalla campagna elettorale in corso parrebbe che non lo sia nessuno. Basterebbe, come esempio, l'incipit dell'articolo di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera di lunedì scorso: "Le questioni di politica internazionale hanno una curiosa caratteristica: in campagna elettorale val-gono meno di zero, non portano voti, se ne parla il meno pos-sibile. Però, a elezioni concluse, sono quelle questioni a pro-vocare alcune delle più gravi turbolenze, talvolta anche sismi capaci di fare oscillare violentemente i palazzi della politica."

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Tornando a Boselli e al Partito Socialista, non si può non dargli atto che sta conducendo una battaglia coraggiosa in una situazione di oggettiva difficoltà, ma non possiamo esi-merci dal sottolineare che tale coraggio sarebbe stato meglio investito se l'avesse utilizzato fin dai tempi del SI (Socialisti Italiani) quando si nascondeva dietro la lista diniana. In que-sti dodici anni le poche energie disponibili sono state investi-te in progetti politici di corto respiro, certo a causa delle diffi-coltà del clima post Tangentopoli, ma al prezzo di giungere oggi senza la possibilità di presentarsi con un progetto ed un programma solido perchè costruito nel tempo.

Per chi abbia tempo e voglia suggerisco di confrontare il programma attuale del PS

( http://www.partitosocialista.it/site/353/default.aspx?tabID=0 ) con quello del Nuovo PSI del 2001 ( http://www.socialisti.net/node/304 ).

La quantità di spunti e riflessioni presenti in quel vec-chio programma è solo una delle tante risorse, in questo caso culturale (per non parlare di quelle umane), gettate vie dalla miopia con cui i dirigenti dell'ex PSI hanno gestito il dopo Tangentopoli e portato Boselli a svolgere adesso sì una mis-sione coraggiosa, ma impossibile per i risultati attesi. L'augu-rio è quello che il giorno dopo le elezioni inizi una nuova sto-ria, che comunque vada, non potrà evitare dall'incrociarsi con quella del PD.

(luca guglielminetti da Socialisti.net)

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Elezioni 2008: un bagno di sangue?

15 aprile 2008 (Blog) Il PD cannibalizza tutto la sinistra: scompaiono dal par-

lamento non solo i socialisti, come prevedibile, ma tutta la sinistra Arcobaleno. Bertinotti si ritira, Boselli si dimette; non un parlamentare comunista o socialista ed accanto al PD un solo partito che non si può definire esattamente di centrosini-stra come l'IdV di Antonio Di Pietro.Veltroni perde con uno scarto del 9% su Berlusconi e non è riuscito a sottrarre un solo voto al centro, mancando la scommessa di conquistare i voti moderato e del nord. Il risul-tato più impressionante è lo sfondamento della Lega, in Emi-lia Romagna in particolare.

Tutta la stampa è unanime nel considerare positivo la semplificazione raggiunta: 3-4 partiti in tutto sederanno in Camera e Senato. Un risultato che dimostra l'ampia sovrasti-ma, e in qualche caso la malafede, delle lunghe  dissertazioni sul sistema elettorale, ma soprattutto un risultato che ricon-duce ad una riduzione del sistema partitico auspicato da molti componenti intellettuali, politiche e d'affari dopo il crollo del Muro di Berlino.

A monte del risultato elettorale saranno pochi oggi a leg-gere quanto è successo ancora nel corso dell'ultima legislatu-ra prodiana in termini di intervento della magistratura sulla politica: se accanto a Veltroni c'è solo Di Pietro e mancano

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Mastella e Pecoraro Scanio, qualche merito ce l'hanno anche i PM. Non escluderei, cioè, che il risultato di ieri  rappresenti anche un punto d'approdo di quanto è iniziato con Tangen-topoli.

Questo punto di arrivo però non può essere oggi demo-nizzato: il risultato è oggettivamente utile al paese, pur la-sciando un'ombra che lo seguirà soprattutto nella futura evo-luzione del PD. Va preso atto che siamo arrivati ad una demo-crazia dell'alternanza, nel quale i due attori principali, PDL e PD, hanno la stessa forza che una volta avevano rispettiva-mente la DC e il PCI. Se intorno a loro sono sopravvissuti solo l'UDC, la Lega e l'IdV, questo è dovuto essenzialmente ai ritardi culturali della sinistra, cosiddetta radicale, ed all'inetti-tudine con cui è stata gestita negli ultimi dodici anni la eredi-tà dell'ex-PSI.

I primi, la sinistra oggi extra parlamentare, marxista e comunista, pur con venature riconducibili alla sinistra sociali-sta lombardiana da cui nasce il suo leader Bertinotti, ha molto velato la falce e martello pur continuando, ad esempio, a di-squisire sulla declinazione tra Marx ed Haidegger in chiave rivoluzionaria, come sul Manifesto di pochi giorni fa.I secondi, i dirigenti dell'ex PSI, hanno cavalcato per un de-cennio una miope strategia atta a salvaguardare solo minime rendite di posizione individuali, giungendo fuori tempo mas-simo ad unificare la diaspora dopo aver gettato al vento quelle collaborazioni con Verdi e Radicali, dalle quali avrebbero po-tuto trarre giovamento in termini di contaminazione culturale

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reciproca, e che sono invece state utilizzate come meri artifizi elettorali atti alla sopravvivenza spicciola.

La sinistra fuori dal Parlamento rischia solo di regredire ulteriormente in una dimensione dove la radicalità avrà mag-gior agio, il Partito socialista sembra non avere più alcun futu-ro.

Con meno dell'1% il PS non avrà neppure il rimborso elettorale: al fallimento politico seguirà quello finanziario.Assisteremo ancora una volta al nascere di micro iniziative atte alla sopravvivenza di qualche esponente socialista in pen-sione, ma ai più, l'unica l'alternativa praticabile, è quella già ampiamente pronosticata un anno fa: alla spicciolata entre-ranno nel PD. Dalla porta di servizio, come si adice a chi ha truffato l'orgoglio di un popolo riducendolo a 355.581 unità.

 (Luca Guglielminetti)

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La Grande Torino di fronte alle crisi

8 novembre 2008

  Il sabato mattina, se soleggiato, è un raro momento in cui, come potrebbe fare un placido pensionato, mi siedo su una panchina dei giardini a leggere il giornale. Stamane col sole mi sono cimentato, ma davanti alla cronaca di Torino de La Stampa sono rimasto basito.

Già nella pagina di economia abbiamo il report della Banca d’Italia sul Piemonte che notifica che la recessione qui è iniziata già prima della crisi delle borse: sono crollati l’ex-port, gli investimenti sono rimandati, etc… La cronaca apre invece con la storiella ‘segno dei tempi’: una coppia manda la figlia a sfamarsi dai nonni. Continua con le banche che lesi-nano i prestiti alle aziende o esigono da queste il rientro im-mediato parziale o totale. Troviamo poi quella che sta diven-tando un rubrica fissa, “Il Diario delle aziende in crisi”: pun-tata dedicata agli esuberi alla Seat e alla cassa integrazione alla Pininfarina.

In mezzo alla sezione cronaca due pagine da non perdere. Il vero ‘segno dei tempi’ della grande Torino: “Artissima”. Un progressista commercialista di Verona si è comprato una fio-riera a forma di svastica nazista, un Gran Galà si è svolto alla Reggia di Venaria con 1000 ospiti della bella società; e, dulcis

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in fundo, per la giovane plebe spensierata, un bella notte bianca. Il cui pezzo forte sarà stanotte un’installazione a San Salvario di un scultore di strada sul grave tema del proliferare degli escrementi canini sui marciapiedi, dal titolo: “Sai cosa? La merda rosa”.

E’ straordinario! Tutta questa povertà è resa lieve dalla logica che lo “show must go on”, le mille luci devono abba-gliare il futile, l’effimero e l’infantile per oscurare gli spettri reali della crisi economica.Questi assessori delle luci d’artista, questi 1000 ospiti della Reggia, cosa hanno di diverso dalla nobiltà asburgica della grande Vienna che ballava i valzer andando incontro al bara-tro della Grande Guerra?

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10 (buone) ragioni per astenersi dal voto di domenica

24 marzo 2010

1. Il linguaggio stracotto : obsoleto nella forma e nei contenuti in bocca ad un ceto politico invecchiato malamen-te;

2. La selezione darwinista sociale dei candidati : non il merito e la capacità, ma il portafoglio per un investimento in campagne a buon rendere;

3. L’abuso delle donne : procace velina o algida passio-naria, sono la medesima moneta falsa sul mercato politico in pasto a elettori poveri di fantasie sessuali o di spirito umori-stico;

4. L’ecologia assente ingiustificata : ovvero il bel paese nel quale a nessuno frega del habitat naturale ed antropico in cui vive;

5. Il pedissequo manicheismo degli elettori : due popoli per i quali è tutto bianco o tutto nero;

6. Il conformismo bipartisan della cultura : per cui quello che conta sono i chilogrammi di rassegna stampa che produce;

7. Laicità negletta : per codardia codina diffusa, con ra-rissime eccezioni;

8. La comoda Europa : piena di vocali, riempie bene la bocca, soprattutto nei discorsi d’apertura delle autorità che

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poi corrono via per pregressi impegni istituzionali, molto lo-cali;

9. Programmi illeggibili con alleanze improbabili : can-didati presidenti di Regione incapaci di scrivere in capoversi di lunghezza decente esprimono la banalità dell’A4, mentre la miriade di liste che li segue rendono il contenuto incredibile;

10. L’autoesilio della scelta astensionista ha valore solo se accompagnato da consapevolezza proattiva, nel dubbio si può sempre optare per voti disgiunti : non sia accidia, in-somma.

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Albert Camus filosofo del futuro

6 aprile 2010

Il titolo è assolutamente centrato, ma...

“Albert Camus filosofo del futuro” di Paolo Flores D’Ar-cais (Codice Edizioni, Torino, 2010) è una sintesi in 30 pagine del pensiero del Premio Nobel, in linguaggio ‘filosofese’. Il “Mito di Sisifo” e “L’uomo in rivolta” sono cioè ricondotti ad un linguaggio che sostituisce la ricchezza di quello originario con le categorie di quello accademico: la vita umana diventa ‘dimensione ontologica’, il senso per la misura diventa ‘fini-tezza’, tanto per fare due esempi.

Certamente, è corretto presentare Camus, come filosofo del futuro, capace di superare le sacche nichiliste nelle quali è sprofondato il pensiero post-moderno, ma dubito che l’inte-ressato avrebbe apprezzato che il suo pensiero fosse ricondot-to ad una specie di prefazione alla sua opera ad uso degli stu-denti universitari dei corsi di filosofia. Obliterare la ricchezza, in termini di storia, letteratura, mito, di quanto è presente nelle opere originali, temo cagioni un depauperamento trop-po grave. Questo, però, probabilmente vale sempre quanto ci si cimenta ad affrontare l’opera di un gigante: si rischia sem-pre di tradire in qualche modo e, d’altra parte, sarebbe troppo

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facile limitarsi a dire: leggete Camus (e traetene le conseguen-za nelle vostre vite)!

A Madrid due mesi fa, trovai una libreria, neanche cen-tralissima, che aveva allestito la sua vetrina di tutte le opere di Albert Camus. In questo 50° anniversario delle sua scomparsa si è visto talmente poco in Italia (spero che Bompiani si degni almeno di ristampare l’ormai introvabile “Il primo uomo”) che non possiamo non dare il benvenuto a questo breve pamphlet di Paolo Flores D’Arcais e che ha il pregio di con-tenere in appendice le trascrizioni di una tavola rotonda (Al-bert Camus et le mensogne) tenutasi a Parigi nel 2002, nella quale spicca il contributo di Alian Finkielkraut (sul rifiuto netto del terrorismo e la presenza delle natura).

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Camus - Craxi, o l'esilio del socialismo libertario

(2010)

Nel gennaio 1960 e nel gennaio 2000, cinquant’anni fa e dieci anni, sono morti rispettivamente Albert Camus e Betti-no Craxi. Li accomuna qualcosa?

Forse i cimiteri sotto il sole posti sull’altro versante del Mediterraneo rispetto a quello in cui sono nati, o forse il fatto di essere considerati dei ‘traditori’, il «filosofo da liceali» e il «cinghialone», dalla sinistra del socialismo cesareo e militare, illiberale e comunista, odiati e rimossi a tal punto che ri-schiano di diventare oggi strumentali icone l’uno della destra di Sarkozy in Francia, l’altro della destra di Berlusconi in Ita-lia.

Impresa ardua paragonare un politico e un intellettuale: uno statista del primato della politica e un artista del primato dell’uomo in rivolta. Ma anche rappresentanti esemplari delle responsabilità soggettiva propria dell'intellettuale impegnato (Camus) e delll’etica della responsabilità propria del politico (Craxi), come ci segnalano Todorov e Ostellino. Due irregolari nei rispettivi mondi che hanno evitato di diventare complici di menzogne. Non solo quelle del comunismo, ma anche, ad esempio, da quelle sul terrorismo: l’uno di fronte a quello del-la sua patria algerina, l’altro di fronte a quello brigatista che rapiva Aldo Moro; con le loro scelte a favore della vita umana

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da anteporre alla ‘ragion di giustizia’ anticolonialista («In que-sto momento ad Algeri si gettano bombe sui bus. Mia madre potrebbe trovarsi su uno di questi. Se questa è la giustizia, io preferisco mia madre».) e alla ‘ragion di Stato’ (la linea di Craxi contro la "strategia della non decisione" o della ‘fer-mezza’ che bloccò ogni trattativa per la liberazione del presi-dente della DC).

Due irregolari che, nei rispettivi ambiti, hanno lanciato sfide a destra e manca, cui non è mai mancato coraggio, luci-dità e coerenza (eccezion fatta per il Craxi successivo al 1989, debilitato dopo il suo primo ricovero, come ci ricorda Giusi La Ganga), accomunati dal comune destino paradossale di aver perso pur avendo ragione. Sono cioè rimasti rappresen-tanti di minoranze nell’ambito della cultura e della politica. Così come il PSI non ebbe mai i numeri per imporsi su DC e PCI e così attuare la “grande riforma” che modernizzasse l’Italia, così la sinistra culturale si è impantanata, in Francia come in Italia, nelle sacche del nichilismo, del pensiero debo-le, della critica vacua della scuola di Francoforte, dei Roland Barthes, dei Foucault e Deridda. Con il risultato che abbiamo tutti sotto gli occhi : una sinistra agonizzante sia in termini di critica sociale che culturale, proprio nel momento in cui il neoliberismo ha mostrato tutte le sue capacità di criminalità finanziaria e di sperequazione sociale, mentre le chiese mani-festano con sempre maggiore aggressività la crisi del loro pre-sunto universalismo.

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E’ vero che nel 50° anniversario della morte di Camus, Bernard-Henri Lévy con mezzo secolo di ritardo fa qualche ammissioni sulle ragioni del Premio Nobel a nome del 'gau-chisme' d'oltralpe, così come nel decennale delle morte del leader socialista si sprecano i riconoscimenti dei meriti delle grandi firme del giornalismo italiano, con la postilla delle sen-tenze passate in giudicato. Ma nessuno si è accorto della me-tafora che incarnano entrambi: l‘esilio del socialismo liberta-rio dal panorama politico e culturale attuale.

In Italia si preferisce parlare di intitolazione di vie, in Francia di spostamento di tombe al Pantheon ed è quindi corretto quanto riportava il corrispondente de La Stampa da Parigi riferito ad Alain Finkielkraut che dice: «Camus è consa-crato da un’epoca che gli volta la schiena. Il nostro tempo non ama che se stesso ed è se stesso che celebra quando cre-de di commemorare i grandi uomini».

Non commemoriamo nessuno, quindi: c’è solo da studia-re e lottare, con la fatica ciclica e assurda di Sisifo, per ripor-tare la carica libertaria del socialismo al cento della scena.

(Luca Guglielminetti)

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Ida Magli: tra attualità e nichilismo

26 aprile 2010 (blog)

E’ sempre interessante leggere un saggio, che tratta di attualità, dopo un decennio e mezzo: in questo caso l’analisi antropologica di Ida Magli sulla politica in Italia dopo Tan-gentopoli e ai primi passi di Berlusconi.

La distanza che l’antropologo pone dall’oggetto del suo studio disorienta sicuramente chi è abituato ai testi di scienze politiche o di filosofia. Non so se sia corretto indagare in casa propria, se cioè l’antropologo riesca a metter la giusta distan-za dall’oggetto, ma in ogni caso La bandiera strappata vale la pena di essere letto e soppesato, oggi: con la distanza del tempo.

Soprattutto i rilievi sul ruolo “antipolitico” di Berlusconi sono assai originali, e completamente assenti, per ovvie ragio-ni, dalla critica della sinistra.

Il punto che però a me preme criticare è l’estremismo dell’analisi strutturalista di Ida Magli, che come in altri casi, quale la Susan Sontag, conducono alle sacche di un relativi-smo estremo, cioè nichilistico. Se nella Sontag l’analisi della cultura conduceva all’”estetica del silenzio”, nella Magli l’ana-lisi politica conduce a un “campo vuoto”, nel quale la cultura dell’Immagine estingue quella della Parola.

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L’attacco sferrato dalla Magli ha due obbiettivi precipui: la storia come atto fondatore e la parola, come atto “allucina-torio”, o “magico”. Quella memoria con il quale il Potere si fonda e quel logos, biblico, con il quale il Potere crea e man-tiene se stesso.

Tratterò solo del primo termine.

Quello di radicale che risulta insopportabile è l’accomu-nare tutto il logos a parole del Potere, come se fossero esistiti solo la tradizione giudaico-cristiana, e poi quella comunista, e la filosofia non avesse mai visto la luce.

Capita così, ad esempio, che una delle conclusioni a cui giunge l’analisi dell’autrice la porti a scrivere:”L’Occidente, attraverso un cammino lunghissimo,… è giunto oggi (almeno in teoria) a riconoscere che l’Uomo non ha bisogno di “somi-gliare” a nessuno per essere Uomo. Di conseguenza, non ha altro da fare che studiare se stesso come Uomo, con tutti gli strumenti e le conoscenze che le singole scienze gli mettono a disposizione, senza poter credere di poter giungere ad esauri-re questo studio”.

Peccato che questo concetto l’abbia già espresso Socrate nell’Atene del IV secolo (conosci te stesso, gnôthi seautón)!

Un altro abbaglio che la induce a dettare il necrologio della Parola a favore dell’Immagine, è il palesarsi della televi-sione, cioè di una cultura dell’immagine verso la quale quella dei libri non può competere per diffusione. Questo abbaglio è in parte giustificato dal fatto che 1994, quando Ida Magli ha

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scritto il suo saggio, Internet era pressoché sconosciuta in Ita-lia.

Quello che non solo la Magli, ma molto odierni detrattori del logo, faticano a comprendere è che il processo di alfabe-tizzazione di massa in Occidente è un fatto relativamente re-cente e solo da pochi anni, con Internet, si è sviluppata una piattaforma tecnologica che permette a tali masse di espri-mersi in una forma scritta, dotata di una modalità diretta, ve-loce e diffusa, assolutamente incomparabile con le lettera, i diari di carta, o qualsiasi precedente mezzo di comunicazione popolare scritta od orale.

Si manifesta così il paradosso che l’ipotesi della Magli di giungere a forme di democrazie diretta oggi siano ancora più vicine, ma queste non passino per il dominio della cultura dell’immagine: l’opzione non è tanto un telecomando interat-tivo con la televisione, ma è la tastiera del computer che ga-rantirà lunga vita alla Parola, non più singolare espressione del Potere, ma al plurale e democratica: Parole con le quali cittadini sempre più informati potranno creare il loro contro-Potere.

L’ultimo paradosso che segnalo è quindi quello che a fronte di una giusta critica al riduttivo ed inattuale dualismo destra-sinistra, della lezioni di Bobbio, la Magli sviluppi un dualismo tra Parola ed Immagine, che risulta appunto altret-tanto riduttivo ed inattuale.

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Blog, YouTube, social-network, mix di parole ed immagi-ni, sono lì a dimostrarlo e a configurarsi come una novella Biblioteca (multimediale e di massa) di Alessandria.

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Innovare partendo dal contratto sociale

1 giugno 2010 (blog)

NUOVA VERSIONE DEGLI APPUNTI SU: Federalismo e Demo-crazia diretta,o del municipalismo libertario dell'era di Internet

PREMESSA

Il punto alla base dei successivi punti consiste nel deli-neare in estrema sintesi un nuovo orizzonte, quello che tecni-camente si chiama vision, al Partito Democratico, per uscire dall’empasse nel quale si trova, insieme al resto della social-democrazia europea, avendo - tra l’altro - perso in gran parte la capacità di rappresentare, cioè essere votato, delle classi lavoratrici.

Il nuovo orizzonte sostituisce i cittadini ai lavoratori: lo sviluppo tecnologico, nelle società occidentali avanzate, ha infatti da tempo iniziato un processo di emancipazione del lavoro manuale e, contemporaneamente, determinato quella che si definisce società della conoscenza, quale spazio nel quale competono i mercati e i territori.

La necessità di ridefinire il contratto sociale, nasce quindi da quella di spostare il focus dell’attività politica dei progres-sisti dal lavoro, inteso ancora troppo spesso sul modello fordi-sta, ai cittadini, intesi come capitale sociale di conoscenza, ai quale devolvere, su un principio di sussidiarietà radicale, il potere deliberativo e l’autonomia di creare contenuti.

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In termini giuridici si tratta di passare da “l’uguaglianza politica formale” a quella sostanziale della deliberazione, cioè la democrazia diretta.

Pensiamo che solo sulla base da una nuova e radicale vi-sion si possano delineare le politiche a livello territoriale: solo innovando la prima, troveremo coerenti proposte per le se-conde.

- La storia di una nazione di solito cementa il tessuto ideologico del potere, costituisce una base comune per i vari partiti e schieramenti politici. In Italia, come noto, non c’è storia condivisa: anche dopo il Risorgimento ci sono state al-meno due storie che hanno tagliato in due il paese: dall’Unità d’Italia alla Resistenza abbiamo fenomeni diversi al Nord e al Sud. Questo inficia qualsiasi utilizzo della retorica nazionale.

- A questo, in Italia, si somma il retaggio del convergere delle culture cattoliche e comuniste, che con le loro ragioni sociali universaliste e internazionaliste hanno reso marginale la cultura liberaldemocratica, base delle democrazie classiche occidentali, e il senso dello Stato, anche come unità territoria-le.

- Il processo di integrazione comunitaria (dall'istituzio-ne della CECA all’Euro) ha poi determinato che l’Unione Eu-ropea abbia avocato a sé taluni ruoli e funzioni prima nazio-nali. A questo è seguita la globalizzazione dei mercati che ha

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accentuato il peso dell’interdipendenza tra territori locali ed economia globale, indebolendo ulteriormente il ruolo nazio-nale.

- La Costituzione italiana ha parti assurde (il suo fon-darsi sul lavoro) ed altre disapplicate (la regolamentazione della vita dei partiti e dei sindacati), ma, pur consapevoli che la sua origine risale ad un contesto storico ormai ampiamente superato, ci si ostina a difenderla, quando invece andrebbe riformata completamente.

- Probabilmente solo il federalismo potrebbe permette-re la nascita di forme di democrazia diretta, partendo dai ter-ritori e dalla sua sperimentazione in ambito locale (comuni e circoscrizioni).

- La democrazia diretta è stata osteggiata ancora fino a poche decenni fa, da Norberto Bobbio per esempio, perché si reputava inapplicabile tecnicamente, e poi, sottovoce, si ag-giungeva che il popolo non decide così bene come i suoi rap-presentanti eletti. Ma oggi non è più così:

Oggi è tecnicamente possibile affidare forme di voto e consultazione direttamente ai singoli cittadini attraverso le reti telematiche, come Internet.

Ma soprattutto, attraverso Internet, c’è stata una socia-lizzazione di saperi ed informazioni che si sono sviluppati (e si

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stanno sviluppando) in quantità stratosferiche e in modalità sempre più democratiche (web2.0), tali da rendere ciascun cittadino potenziale giornalista (citizen journalism), ovvero detentore del potere di controinformazione a fronte dei mo-nopoli di media oligarchici, quali giornali e televisioni. Que-sto determina la possibilità che le scelte dei cittadini non pos-sa che diventare sempre più consapevoli, con buona pace del-la temuta ignoranza/irrazionalità del popolo.

Inoltre, la temuta ‘videocracy’, ovvero la formazione dell'opinione pubblica attraverso la televisione, è un dato ge-nerazionale in esaurimento nel giro dei prossimi decenni, grazie sia alla sempre maggiore alfabetizzazione informatica, che all’integrazione crescente tra televisione e internet.

- Una opzione in favore del federalismo e della demo-crazia diretta (nella variante di Electronic direct democracy, abbreviazione EDD) significa:

favorire forme partito federaliste e territoriali, oppo-nendosi a quelle attuali di centralismo, anche nelle loro cor-renti, e soprattutto significa minare il ruolo di intermediazio-ne - spesso clientelare - dei suoi funzionari e burocrati, non-ché la debole, se non falsa, rappresentanza dei suoi eletti alle cariche rappresentative;

mettere in discussione le élites politiche con la loro attività di negoziazione piuttosto che di deliberazione, deri-

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vante dai vincoli di partito. “I cittadini non sono vincolati a collegi elettorali o a partiti, non hanno nessun bisogno di ne-goziare, di scendere a compromessi per avere dei voti; di con-seguenza sono liberi di cambiare le proprie posizioni, non solo riguardo a concrete proposte legislative ma anche su questioni fondamentali che riguardano il mondo che ci cir-conda, così com’è o come dovrebbe e potrebbe essere”.

propugnare politiche che favoriscano la diffusione ca-pillare delle infrastrutture tecnologiche, cioè le reti e l’hard-ware;

sviluppare spazi on line, sul modello dell'ambiente e21 ( http://www.progettoe21.it/ ), atti a promuovere la partecipa-zione attiva dei cittadini con gli strumenti deliberativi di di-scussioni informata, bilanciata, consapevole, sostanziale, com-prensiva;

propugnare politiche che difendano la completa auto-nomia dei contenuti creati in rete in forma collaborativa (Creative Commons, Wiki, Open source,…);

rivedere la Costituzione italiana in funzione dei citta-dini e non dei lavoratori, la forma partito in funzione delle forme di sovranità popolare diretta e partecipata, nella com-pleta trasparenza dei processi decisionali e di governance;

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prospettare uno scenario definibile anche come globa-lizzazione dal basso, che valorizzi le risorse e le differenze lo-cali promuovendo processi di autonomia rispetto alla eterodi-rezione della globalizzazione dall’alto.

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D'Alema e i PM 20 anni dopo

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Nel cablo di WikiLeaks il giudizio di D'Alema sui pm: "La giustizia, minaccia per l'Italia".

Si conferma la massima per cui i comunisti, anche ex post, comprendono 20/30 anni dopo quanto anticipato dai socialisti, con l'aggravante di non comunicare la scoperta alla base, ma di sussurrarla nella sede dell'ambasciata ...sbagliata!

Si veda: EL PAIS:"LOS PAPELES DEL DEPARTAMENTO DE ESTADO

- Conflicto entre poderes en ItaliaBerlusconi y la oposición desconfían de la justicia"

Dall'originale: http://wikileaks.ch/cable/2008/07/08ROME840.html

ITALY'S JUDICIARY: FOR MANY, A BROKEN SY-STEM

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¶7. (C/NF) Transcripts of telephone intercepts related tocriminal investigations are frequently leaked to the press,resulting in significant embarrassment to those involved and

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calls for reform of Italy's fiercely independent judiciaryand of the practice of wiretapping. Rarely, if ever, is thesource inside the judiciary who leaked the transcriptdiscovered. Though Italy's judiciary is traditionallyconsidered left-leaning, former PM and FM Massimo D'Alematold the Ambassador last year that the judiciary is thegreatest threat to the Italian state. Despite fifteen yearsof discussions on the need for comprehensive judicial reform,no significant progress has been made. Italians, by andlarge, consider their judicial system broken, perhaps beyondrepair, and have very little confidence that the systemactually delivers justice.

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La via mediana di Todorov e la "tentazione del bene" nei procuratori

9 febbraio 2011 (blog)

Lasciamo la parola a chi ha titoli per riflettere sull’evolu-zione delle democrazie europee. Parola che prescinde da ogni riferimento all’attualità, del caso Ruby in Italia o dello sciope-ro dei magistrati in Francia, anche solo per il fatto che sono state scritte 10 anni fa. Titoli che più che accademici, sono quelli di un grande pensatore umanista, democratico e illu-minista: Tzvetan Todorov.

A pagina 377 di “Una vita da passatore”, un libro intervi-sta edito in Italia da Sellerio l’anno scorso e pubblicato in Francia nel 2002, leggiamo questa domanda dell’intervistatri-ce, Catherine Portevin: “Arriverebbe a dire che oggi la giusti-zia sta prendendo il posto non solo della scuola o della storia, ma anche della politica?”

Risponde Todorov: “La parola pubblica, l’immagine che la società produce di se stessa, sta per indebolirsi sotto la pressione dell’individualismo, con la sua predilezione del mondo privato. E’ tuttavia uno dei compiti degli uomini (e delle donne) politici evitare questa rappresentazione. E’ per-ché essi non svolgono più questo ruolo che ci si rivolge di più verso le istanze giuridiche, come se il mondo giudiziario fosse

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diventato l’ultimo rifugio della parola pubblica, del mondo comune. Enunciare i valori comuni, esprimere un biasimo, un rincrescimento, formulare una sanzione può essere necessario alla vita di una comunità, ma per fare questo non c’è bisogno di passare dai tribunali. Questo è il ruolo della scuola, dei media, delle personalità di prestigio, a un altro livello, dei di-versi comitati di saggi. Il capo dello Stato può giocare il suo ruolo a seconda delle circostanze, nella misura in cui non in-carna solo una figura politica ma anche l’autorità morale. Ri-cordiamoci di Willy Brandt in ginocchio davanti al ghetto di Varsavia: ecco un gesto che si confà a un uomo politico. Il ruolo di queste persone, di queste istituzioni non è quello di produrre conoscenza ma di dare un riconoscimento a coloro che lo meritano”.

(…) “Il posto lasciato vuoto dai politici viene surrettizia-mente occupato da coloro che sono soliti impartire lezioni, da procuratori di corto respiro, fieri di denunziare il male degli altri e di indicare a tutti la retta via. E’ un aspetto delle demo-crazie moderne cui bisognerebbe stare attenti, questa tenden-za a raddrizzare i torti altrui, a esigere che tutti si conformino al bene. E’ quanto ho chiamato la «tentazione del bene»”.

Per chi fosse interessato ad approfondire, si segnala dello stesso autore “Memoria del male, tentazione del bene – In-chiesta su un secolo tragico” (Garzanti 2004-2009)

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Aggiungiamo poche frasi nelle vicinanze della stessa pa-gina.

“Più in generale, il tribunale conosce solo due colori: bianco e nero, sì-no, colpevole innocente. La realtà umana ne conosce svariati – l’ampia zona grigia di Primo Levi – e gli storici sono meglio messi per restituire questa complessità. (…) I deputati non sono qualificati a scrivere la storia, non più dei giudici. (…) Oggi abbiamo bisogno più di verità che di giustizia. (…) La Francia ha bisogno di guardare in faccia il proprio passato, senza nascondersi nulla.”

Per finire, la conclusione del capitolo:

“Sognare una giustizia assoluta mi sembra non solo vano ma nefasto: l’esistenza umana, lo abbiamo visto, è un giardino imperfetto. Le derive moralistiche sono nocive, ma una vita privata di ogni idea di giustizia, non è più una vita umana. Non dobbiamo arrossire nel seguire questa via mediana".

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"los indignados" e il "socialismo dei cittadini"

23 maggio 2011 (blog)

"Un libro uscito nel 2006 da Feltrinelli spiega bene que-st'alternativa: Zapatero - Il Socialismo dei Cittadini (curato da Marco Calamai e Aldo Garzia) è documento prezioso. Il nuovo consiste nell'estendere i diritti e le libertà di individui o mi-noranze, accettando l'enorme varietà delle preferenze esisten-ziali in società rese insicure da disoccupazione, immigrazione, terrorismo. I soldi mancano per politiche sociali magnanime, agire sull'economia è divenuto tremendamente complicato a causa di vincoli e incompatibilità: meglio allora concentrarsi sulle riforme «a costo zero» - riforme civili più che economi-che, dice Antonio Gutiérrez che oggi dirige la Commissione economica del Congresso dei deputati - che danno al cittadi-no la sensazione di essere ascoltato, rispettato anche quando la vita si fa per lui difficile."

Da L'allergia italiana a Zapatero, di Barbara Spinelli, an-cora ragionevole editorialista de La Stampa nel dicembre 2006

Zapatero ha fatto molto nel campo dei diritti civili, ma il movimento 15 M,  quello dell'ultima settima degli accampati a Madrid e in altre città,  è lì a dimostrare che una parte dei cit-tadini sono indignati da un deficit democratico (di rappresen-

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tanza reale) ed a un deficit di intervento politico nell'econo-mia (a seguito della crisi). Un vero schiaffo al socialismo dei cittadini, che forse funziona quando l'economia va bene, e del quale chiedersi che fine farà adesso, ora che si prospetta solo uno sfondamento del partito Popolare dalle amministrative di ieri fino alle prossime elezioni politiche?

Riporto la testimonianza diretta di una amica da Puerta del Sol che mi ha postato su FaceBook:

"ci sono stata ieri sera per vedere cosa dicevano anche perché domenica voto anche io per il sindaco qui. Noi euro-pei residenti abbiamo questo bellissimo diritto. Mi ha colpito molto perché è una manifestazione totalmente pacifica. Sui giornali si vede solo porta del sol ma in ogni parte del centro di Madrid c'è gente a cerchio che come in un'agorà parla a turno e crea dibattito (con il megafono). Non ci sono solo gio-vani ma gente di tutte le età e secondo me anche di tutti i co-lori politici. La gente è stanca, ha dovuto subire una crisi non aspettata forte e senza prospettiva di ripresa. La cosa più bella è che non c'è un leader ma gruppi di lavoro e la rivendicazio-ne più presente è abolire o modificare il sistema dei partiti che non riescono a rappresentare i cittadini. Vogliono una democrazia reale e per ottenerla credono che è fondamentale la partecipazione cittadina attraverso la democrazia diretta (referendum, petizioni, etc).Il programma politico si sta creando giorno dopo giorno in strada poiché è un movimento spontaneo nato tra più di 200 piccole associazioni che sono

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state capaci di comunicare su internet.Insomma una lezione di democrazia che a vederla dal vivo ti va venire la pelle d'oca. Tutti i politici ed i candidati per le elezioni di domani hanno già perso perché la vera campagna elettorale l'hanno fatto i cittadini in questi giorni, sebbene ci fosse il divieto della giunta elettorale per rispettare i giorni di riflessioni pre-voto. Da quanto si capisce, il ministro dell'interno sarà cauto e non farà intervenire la polizia per sgombrare le piazze stasera che è la serata più delicata. Speriamo che "los indignados" e la democrazia vera trionfino!!!"

In cosa consiste il nuovo di questo movimento? Quale direzione e quale connessione con il resto delle

mobilitazioni nel resto nel mondo arabo ed europeo? E, ancora una volta, quale ruolo hanno i social-network

nelle rivolte senza leader che hanno aperto il 2011?

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La mamma (e gli spaghetti) di Erri De Luca

31 agosto 2011 (blog)

Il nostro paese è quello in cui a produrre film, o ci pensa il Ministero della Cultura o la Pasta Garofalo. Quest'ultima è giunta al quinto cortometraggio prodotto: titolo, "Di là dal vetro", autore, lo scrittore Erri De Luca.

Quest'ultimo, interpretando se stesso in un dialogo im-maginario con la madre defunta, sostiene un teorema molto semplice: il terrorismo vero è quello dei bombardamenti aerei sulle città (quelli della II Guerra Mondiale, così come quelli su Belgrado alla fine del '900); quanto fatto dalla sua genera-zione in confronto erano solo pinzillacchere.

Il teorema, attraverso l'artificio retorico della ereditarietà, di madre in figlio, della paura per le sirene degli allarmi anti-aerei, crea un contorsione concettuale che naturalmente sfugge ai vari critici (quelli della trasmissione radiofonica Hollywood Party) così come sfuggirà a quelli del Festival di Venezia 68: guerra e terrorismo sono due modi distinti e di-stanti di svolgere violenza politica di massa.

Capisco che ai palati delicati dei lettori di De Luca di-spiaccia distinguere, preferendo le languida lingua letteraria che tutto tracima d'incanto, ma tra la violenza istituzionalizza-ta, cioè in qualche modo "legale" (la guerra) sul terreno diffi-

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cile del diritto internazionale, e quella eversiva, "illegale" (il terrorismo) c'è grande differenza. Si può dire che le vittime sono sempre la società civile, ma la differenza tra guerra e ter-rorismo, oltre l'aspetto leguleio, è anche in una importante questione di trasparenza. Sotto un bombardamento in guerra so chi mi colpisce, in una bomba terrorista non lo so e diffi-cilmente lo verrò a sapere perché le file dei fatti sono quasi sempre coperte da ragion di Stato, segreto di Stato, sicurezza nazionale. In altri termini, le dinamiche dei terrorismi, neri o rossi, di ieri o di oggi, sono oggetti di strategie politiche in-terne e internazionali il cui livello di comunicazione e propa-ganda è assai più elevato e sofisticato che in guerra. Insomma, la guerra consegna la verità ai figli, il terrorismo la delega, for-se, ai nipoti.

Ringraziando per questo ultimo contributo alla cultura del nostro Paese dalla generazione sessantottina, una notazio-ne finale. Le liberaldemocrazie hanno una prassi politica così terribilmente noiosa che difficilmente si potrebbero descrive-re in belle lettere. Capita così che il nostro autore preferisca ancora tramandare il verbo rivoluzionario della sua passione giovanile, questa volta, in nome di quanto più santo hanno gli italiani: la mamma! (Per non dire del sostegno finanziario de-gli spaghetti, degno partner delle madri 'coraggio' d'Italia)

Possiamo immaginare che per Erri de Luca le lente ri-forme, il rito parlamentare, la pacata e plurale dialettica poli-tica sia tutta roba da casta, cui la lingua italiana può dedicare al massimo un insulto. Un grillesco vaffa.

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L'invenzione araba 2011: la democrazia "one2one"

8 gennaio 2012 (Blog)

Motivo della profonda radicalizzazione del mondo arabo che ha condotto molti giovani sulla strada del terrorismo, è stato ricercato nel fatto che negli ultimi quattro secoli gli ara-bi non abbiano prodotto alcuna invenzione degna di rilievo, connotando un declino che dai tempi d'oro del Califfato non si è più interrotto.

Un declino che potrebbe essere stato indotto dai tre se-coli di ritardo con i quali gli arabi hanno introdotto il torchio tipografico e quindi la distribuzione libraria con i loro carat-teri. Un ritardo che ha prodotto un dato impressionante: la quota dei libri stampati nei paesi arabi è pari allo 0,8 per cen-to della produzione mondiale, secondo il rapporto della Na-zioni Unite 2002-2004.

Questi dati che troviamo ne "Il perdente radicale", cioè nel profilo che il poeta Hans Magnus Enzensberger tratteggia del soldato nazista di ieri e del terrorista kamikaze di oggi, potrebbe avere trovato una sbocco positivo, a scapito di un destino suicida per l'intera civiltà araba, nell'anno appena trascorso che si era inaugurato con la rivoluzione dei gelso-mini in Tunisia.

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Gli arabi, i loro giovani, le loro donne, potrebbero aver inventato un modello di rivolta democratica caratterizzata da due novità assolute, in relazione tra loro: l'uso dei social net-work e, ancor più importante, l'assenza di leadership nei pro-cessi di governance in seno ai movimenti.

Il modello di utilizzo del web e dei social network, come Twitter o Facebook, ancora nel 2010 è stata la campagna elet-torale di Obama. Ma tale modello reiterava ancora in fondo il rapporto televisivo di uno a tanti, seppur condito da molto feedback.

Il modello delle rivolte arabe è stato invece orizzontale, uno da uno: one2one. Una orizzontalità accentuata dell'assen-za di leadership, che potrà costutuire per alcuni un limite e per altri una opportunità, me che resta la vera innovazione dell'uso sociale della democrazia e della rete. L'invenzione che è stata copiata poi dai movimenti europei (Indignados) e USA (Occupy).

Credo quindi che la rivista Time abbia fatto bene a dedi-care la copertina per il 2011 ad un anonima rivoltosa, con tratti arabi. Potrebbe infatti trattarsi di una importante inven-zione del mondo arabo dopo secoli, che dona a tutto il mondo non solo l'invenzione stessa, ma anche un prospettiva meno conflittuale allorchè le giovani generazioni arabe ne saranno consapevoli e ne andranno fiere. 

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La deriva giustizialista delle Lettere

12 giugno 2011 (Blog)

Bruno Pischedda sul Domenicale odierno del Sole24Ore, dopo un nano-excursus sulla figura dell'italico intellettuale e connotati annessi, giunge a una conclusione che, più di mille saggi, fornisce lo stato della cultura in Italia.

L'autore di Gomorra, secondo Pischedda, sarebbe infatti il novello Pasolini di "Io so i nomi… Io so i nomi. Ma non ho le prove e nemmeno gli indizi", con la differenza che Saviano nei suoi testi porta le prove: le prove giudiziarie, essenzial-mente. Naturalmente!

La consegna alla prassi giudiziaria, nelle parole dell'ex direttore di Linea d'ombra, non può essere più totale: "A un minore slancio poetico, divinatorio, sapienziale, supplisce un più robusto atteggiamento empirico di cui è il giornalismo militante a fornire la matrice."

Il postulato che manca per concludere l'articolo esplici-tandone completamente il senso è che l'unico intellettuale possibile oggi è il giornalista militante: Roberto Saviano è so-lo il migliore in quanto "esperienza emotiva e territorio in lui coincidono".

Il ricercatore milanese non si accorge, o avvalla spudora-tamente, il tentativo, da 20 anni a questa parte, di fondare tut-ta la politica, le idee e la storia del nostro paese solo sul loro asse giudiziario. Questo tentativo dovrebbe essere evidente, a

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una sinistra liberale, che è figlio di una cultura da inquisizio-ne più che da umanesimo, come ancora con Pasolini eravamo 'ben' abituati (anche se forse un certo furore manicheo era già presente).

Si consiglia, allora, la lettura del solito Todorov, giacché le ampie "zone grigie" della storia del nostro paese necessite-rebbero di Primo Levi, cioè uomini di Lettere, non di giorna-listi di giudiziaria.

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TAV: Et in Arcadia ego

6 luglio 2011 (blog)

Questa immagine, tra quelle delle manifestazioni e dei violenti scontri del 3 luglio 2011 in Valsusa, mi ha subito sug-gerito il suo titolo.

Senza scomodare Panofsky, questa fotografia ha un valore iconografico di grande forza emotiva: gli scudi "militari" della TAV contro il crocefisso disperato dei NO TAV.

Fin dall'origine il rapporto tra violenza e movimento contro la TAV è equivoco: la verginità pacifista, i "no-tav" l'hanno persa decenni fa con le indagini di Maurizio Laudi sugli anarchici valsusini, accusati di banda armata. Alcuni di

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loro si suicidarono in seguito. La storia è complessa, non li-neare, lunga e ...per arrivare fino al 3 luglio 2011, forse occor-re passare per Genova 2001.

Andando al di là della cultura e della violenza emerse, da tutte le parti in scontro, il dato che ci riporta questa immagine è quello sintetizzato in un commento su un altro blog del Cannocchiale: http://orione.ilcannocchiale.it

che termina così :"Qual è il fine del progresso, se non il progresso stesso, e

in che cosa è diverso dagli altri monoteismi che chiedono atti di fede contro speranza? Che differenza c’è tra le scavatrici della Val di Susa, che si apprestano a far svettare il tricolore su abeti sradicati, nidi di scoiattoli e cime millenarie, con gli appetiti del gigante minerario indiano Vedanta Resources, che della montagna sacra dei Dongria Kondh riescono solo a cal-colare i due miliardi di dollari di bauxite che ci stanno sotto? Cosa cambia con i Buddha abbattuti dai talebani in Afghani-stan, coi roghi di libri dei nazisti, coi templi Inca e Maya pial-lati dagli evangelizzatori e usati come base per le loro chiese? Chi decide cos’è sacro e cosa può essere spazzato via dal mondo?"

Ecco l'interrogativo retorico che sintetizza, come icona, questa immagine.

Quella in Val Susa non è quindi solo una bieca questione economica su chi sbaglia nell'analisi dei costi/benefici, ma anche una questione di vision antropologica tra arcadia e progresso. Tra sacro e profano.

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La profezia di Marshall McLuhan

21 luglio 2011 (blog)

Oggi è il giorno che dovrebbe celebrare l'importanza dei mass media nella storia umana. Esattamente 100 anni fa na-sceva infatti Marshall McLuhan, e prima che scocchi la mez-zanotte, un breve omaggio. La recensione della biografia scrit-ta da D. Coupland: You Know Nothing of My Work! che ci ri-corda come le scienze umane siano premessa indispensabile alla riflessione sulle tecnologie.

"One must remember that Marshall arrived at these con-clusions not by hanging around, say, NASA or I.B.M., but rat-her by studying arcane 16th-century Reformation pamphle-teers, the writings of James Joyce, and Renaissance perspecti-ve drawings. He was a master of pattern recognition, the man who bangs a drum so large that it’s only beaten once every hundred years.” ~ Douglas Coupland

Alla sua più famosa massima, oggi ne preferiamo una più amara e letteraria: "Oggi i modelli di eloquenza non sono i classici, ma le agenzie pubblicitarie".

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Il Caffé sui social network: un bilancio

22 luglio 2011

Dopo un anno dall'apertura della pagina 'sociale', i lettori del 'Caffè' su Facebook si sono attestati intorno ai 144, 12 alla seconda: un numero che 'mi piace'… più che un bel numero. Assai peggio è andata su Twitter, dopo lo stesso periodo, solo 48 persone seguono i cinguettii del Nuovo Caffè Letterario: una miseria anche per un social network che non ha preso molto piede in Italia.

Sul Web "tradizionale" i numero sono diversi: sia il blog che il sito dopo 5 anni di vita il primo e ben 14 il secondo, se non altro almeno hanno qualche migliaio di lettori all'anno.

Poiché in rete si paga sempre una discontinuità nella cu-ra e nei tempi degli aggiornamenti dei contenuti, uno dei da-ti positivi dell'uso dei social network è stato quello di obbli-gare a tenere aggiornata un po' tutta la filiera dei siti legati al NCL (Issuu, Anobii, YouTube, Vimeo…). Inoltre credo che sia FB che TW siano stati utili per fornire una servizio aggiunto ai contenuti del Caffè, offrendo una segnalazione di link cul-turali di livello internazionale che mi pare potrebbe essere anche un po' più apprezzata, ma che in ogni caso sostituisco-no le vecchie pagine statiche di link 'amici' coi i loro indirizzi internet vieppiù interrotti.

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Infine, se si è coltivata una nicchia, occorre rassegnarsi, non si possono cercare grandi numeri.

Apprezziamo quindi i piccoli: quelli che possono stare su un divano in compagnia delle Muse.

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La casta (retorica) delle firme23 agosto 2011 (blog)

Un paese si può giudicare, oltre che dai suoi uomini poli-tici, anche dai suoi giornalisti. Anzi è più facile perché l'uso della retorica, nel giornalista di successo, per quanto raffinata, alla stretta finale si rivela nella maggioranza dei casi semplice manicheismo moralistico. I buoni e i cattivi, i vizi e le virtù, la casta e i cittadini, una serie di binomi artatamente applicati di volta in volta come giudizio sommario a seconda del teorema presentato dall'editoriale.

Per esempio, la stessa firma, un giorno può presentare il piccolo comune del Nord come il ricettacolo delle peggiori trivialità legiste di un Paese dilaniato da cento campanili, e il giorno successivo diventare cellula feconda del tessuto con-nettivo di un Paese composto da mille villaggi.

In sostanza la lettura di certi 'pezzi' da prima pagina, con firme strapagate, induce la riflessione seguente. Se una volta si diceva che il Paese ha la classe politica che si merita (salvo scoprire poi tardivamente che non era così male), oggi - no-nostante tutto il discredito del ceto politico - credo si debba ribaltare il concetto: siamo una nazione con i giornalisti che si merita (dove pochi si accorgono della subdola incoerenza di chi tutto artificiosamente subordina al nemico del giorno per stappare l'applauso interiore a signori e signore i cui som-mersi rancori sociali mai sopiti ben si coniugano con la su-blime arte della penna).

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Sereno, James Hillman, assai meno noi che restiamo

28 ottobre 2011 (blog)

(James Hillman, one of our great mentors, died peacefully this morning at his home in Connecticut. He was 85. His wife Margot said he was true to his character to the end, even as he moved into that place between day and night. May I just add, in tribute to him as a friend, how deeply James has enri-ched us.)

Da una strana recensione di molti anni fa, de "La politica della bellezza":

"(...) Se la situazione di trovarci a far shopping tra prodot-ti di un consumo rapido ed intimo, esposti in contesti di un gigantismo concentrazionale ai quali arrivare 'motu proprio' tra un percorso di discariche, con mezzi inquinanti; se tutto questo lo percepiamo talvolta come un agire coatto verso, nel e con la bruttura siamo pronti alla rivolta di Camus. Siamo prossimi a scendere in politica per riappropriarci del bello cercando di re-immaginare la nostra città. Iniziamo a conside-rare contigua a noi quell'attività che la psicoanalisi (l'intimo) ha sempre rimosso: la politica. Quell'attività di liberazione contemporaneamente personale e sociale che fornisce di sen-so la vita quotidiana.

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Così come già oggi accade che una bellezza esotica da salvare induca ad una 'nobile' mobilitazione ambientalista per una cause lontana (percepibile come 'estrema'), se il senso del lontano ed del prossimo a noi saranno man mano ricondotti ad un concetto di contiguità, si otterrà allo stesso modo di mobilitare politicamente 'a difesa o al pro' di una bellezza più difficile da riconoscere. Quella bellezza che sta tra casa nostra (l'intimo) e l'amazzonia (l'estremo): la città, il luogo della poli-tica e dei cittadini.

Il libro di Hillman ci dice questo: tra la psicoanalisi e l'ambientalismo c'è la politica. La primo combatte il narcisi-smo, il secondo la devastazione ambientale, la terza l'aliena-zione della vita ridotta a consumarsi in una terra desolata. Il fare politica lo si può dunque configurare come contiguità di un'azione liberatrice della bellezza, che ripristina il ponte tra l'io (intimo) e l'altro (estremo) paragonabile ad un ponte con la Grecia della polis, tra filosofia e mitologia.

Così al richiamo delle sirene dell'interiorità psicologica e dell'esteriorità ambientale, le voci della politica ci riconduco-no alla prassi dialettica dell'agorà, cioè in quel luogo 'bastar-do' (meticcio) dove si aggirano discutendo animatamente co-loro che provano a re-immaginare se stessi e il mondo."

...e, nel 2000, la prima presentazione di Hillman in rete (in italiano). Piccolo vanto, gloria personale.

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Finalmente l'Obama de no'altri: Matteo Renzi

30 ottobre 2011

Due anni fa, in quell’epopea che è stata la campagna elet-torale di Barak Obama, si sono sprecate le lagnanze della se-rie: “avessimo un Obama italiano!”.

Ora che c’è: levate di scudi.Comprensibili quelle dell’apparato di partito del PD che

vede, per la prima volta, insidiata seriamente la sua leaders-hip. Meno comprensibile quelle che salgono dai social net-work, dai giovani, dai simpatizzanti del centro-sinistra che continuano a preferire le parole di Bersani, Vendola, quando non Diliberto.

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Lo spin doctor di Matteo Renzi

1 novembre 2011 (blog)

Non so se sia esatto definirlo spin dottor, magari gli gar-ba, ma dietro o a fianco, ma fuori dalla ribalta, di Matteo Ren-zi c'è una vecchia conoscenza. Un nome noto al mondo socia-lista: Giuliano da Empoli.

E' infatti il figlio di Antonio. Vicino ai socialisti, amico di Giuliano Amato, Antonio Da Empoli era entrato a Palazzo Chigi negli anni di Craxi. Nel 1983 divento' responsabile del dipartimento economico della presidenza del Consiglio e tre anni dopo le Br lo presero di mira in un attentato. Nel 1987 un altro incarico importante, questa volta al Dipartimento per il Mezzogiorno, snodo importante nel gran fiume degli aiuti al Sud. Nel 1992, con Amato a Palazzo Chigi, il governo invia Da Empoli al Monte dei Paschi di Siena, come rappresentante in quota socialista nella deputazione della banca senese. Muore in un incidente sull'autostrada del sole nel 1996, quando, con la moglie, è coinvolto nelle inchieste di tangentopoli sul Paci-ni Battaglia e la Karfinko.

Il figlio Giuliano sembra ereditare immediatamente il ruolo del padre, soprattuto l'amicizia con Giuliano Amato: infatti, morto il padre, lo troviamo consigliere del ministro delle comunicazioni Maccanico tra il 1996 e il 1998, esperto presso la presidenza del Consiglio con il governo Prodi II

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(1999-2001) e consigliere del ministro della cultura Rutelli fino al 2008. E' poi membro del cda della Biennale di Venezia, già amministratore delegato di Marsilio editore, la casa editri-ce veneziana del fratello di Gianni De Michelis. Dal 2009 è assessore alla cultura nella città di Dante, quando lo chiama Matteo Renzi uscito vincitore, come sindaco outsider, dalla primarie del PD.

Una laurea in giurisprudenza, sociologo e giornalista è anche un prolifico autore di saggi, tra i quali il primo ebbe un certo successo "Un grande futuro dietro di noi". Ne parlam-mo su Socialisti.net nel lontano 2002. Un articolo che finiva così:

"il “grande futuro” immaginato dalla sinistra “anziana” ci appartenga sempre meno, sotto tutti i punti di vista. A partire dai nomi fino ai simboli passando per le idee “forti” o “debo-li” che hanno rappresentato le migliori tradizioni politico cul-turali della sinistra storica o movimentista: tutto sembra dota-to di senso e significato sempre più labile. Questa perdita di significato è indiscutibilmente legata alla mancanza di senso di responsabilità della sinistra stessa (...). Ma c’è dell'altro, perché la sinistra è incapace di fornire risposte anche a chi in piazza professa che “ un mondo diverso è possibile”, oltre a quelle di chi, nel chiuso delle proprie case, chiede maggiore sicurezza sociale e libertà personale. La sinistra silente non riesce più a rispondere alle nuove domande di libertà e re-sponsabilità, domande che sono solo in apparente contraddi-zione, come utopia e riforma, o come l’ossimoro liberalsocia-lismo. Forse sarà un neologismo a sintetizzare le risposta, ma,

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in ogni caso, è abbastanza evidente, potranno scaturire sola dall’interno di questa nuova generazione. La scena degli “an-ziani” (con tanti auguri a Stefania Craxi o ai mitografi di Ber-linguer o del Che) pare veramente ogni dì sempre più vuota."

Dopo 10 anni da quell'articolo, e 15 dall'uscita del libro, le idee di patto tra generazioni, di meritocrazia, di walfare per i lavoratori non garantiti etc. arrivano finalmente alla scena nazionale. Grazie al "Big Bang" della Leopolda organizzato da Matteo Renzi. Bene ha fatto allora Giuliano da Empoli: invece di farsi cooptare ancora da il "vecchio" Amato, questa volta ha scelto un coetaneo. In questo modo un futuro, magari non grandissimo, si profila non più alle nostre spalle, ma nella sua giusta prospettiva: davanti. Davanti a questo paese che aspetta da troppo tempo i suoi giovani.

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La fatica della democrazia, o della misura delle parole

13 novembre 2011 (blog)

Fatico a sostenere la privazione di intelligenza politica che ben si esalta e diffonde in queste ore.

Uno stimato giornalista di temi dell'innovazione come Luca De Biase, twitta poche minuti fa: "oggi è il primo giorno del resto della tua vita". Un frase che vedrei più adatta al giorno dopo la liberazione dei superstiti dai lager nazisti.

Invece è riferita alle fine di un Presidente del Consiglio dei Ministri regolarmente eletto dal popolo. Pur non essendo tra i suoi elettori, è evidente che fino al 2008, cioè alle ultime elezioni politiche, la stragrande maggioranza degli italiani non si è neppure metaforicamente sentita in un lager.

La battuta di De Biase fa il paio naturalmente con i cori di "Bella ciao" di ieri sera, i festeggiamenti per un liberazione che, tra l'altro si stenta capire come sia successa. I festanti è evidente che non colgono che Berlusconi sia in vero caduto da destra, per una azione in parte eterodiretta dall'Europa (ma anche del Vaticano), sotto la pressione delle novelle guer-re finanziarie.

Questo non saper misurare le parole, o valutare le circo-stanze non è un problema da poco. E' semplicemente il vero dramma della sinistra di questo paese, che stenta ancora a legittimare le libere scelte degli elettori.

La fatica della democrazia.

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ADDENDUM 2012

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I solidi numi tutelari di Matteo Renzi

13 ottobre 2012 (blog)

Matteo Renzi, Stil novo.[Mentre i ‘renzini’ di Torino si riuniscono pubblicamente

per presentare i primi 100 Comitati, in modo tale da ottenere qualche riga sui media locali,] questa mattina mi accingo ad affrontare la lettura di Stil novo, pamphlet di Matteo Renzi che, utilizzando l’artifizio del “ping pong tra passato e presen-te”, mixa la storia di Firenze con ciò su cui è intervenuto co-me sindaco e con quello che vorrebbe fare per l’Italia.

Il libro manca di un indice dei nomi, ma non è gran fati-ca ricavarlo. La chiave di interpretazione del testo infatti si può determinare facilmente segnandosi i nomi degli uomini di cultura citati. Solo i moderni, al netto dunque di quelli del-la storia fiorentina, cioè dei vari Dante, Machiavelli, Savonaro-la, Cellini, etc. che hanno una funzione aneddotico-compara-tiva. Basta allora trovare i primi due nomi per comprende il sottotitolo: “La rivoluzione della bellezza tra Dante e Twitter”.

Pur in un testo dal registro diretto e basso, non siamo di fronte alla declinazione della bellezza di un Celentano, né a quella astrattamente romantica di un Rilke: i primi due nomi che si incontrano sono quelli di Albert Camus e di James Hillman. [Chissà se i vari agit-prop piemontesi, dal consigliere

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regionale Gariglio al sindaco Catizone, hanno mai letto una riga de L’uomo in rivolta o di Politica della bellezza?]

Difficile non restare positivamente sorpresi: sono i due autori tra i più coltivati dal Caffè Letterario da oltre dieci anni (si veda http://www.kore.it/caffe2/Psiche_Polis.htm). Mentre è più faci-le ora comprendere la difesa del ‘corpo docenti’ e l’ironia snob della recensione a Stil novo di Claudio Giunta sul sup-plemento domenicale del Sole24Ore del 12 agosto scorso (http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2012-08-12/renzi-politica-incultura-

082002.shtml?uuid=AbGvpLNG&fromSearch ). I due nomi di Camus e Hillman sono accuratamente evitati in tale recensione, si tratta, infatti, di due delle rimozioni principali dell’intelli-ghenzia italiana nell’ultimo mezzo secolo. Specialmente il primo in relazione alla generazione del ’68: quella oggi al co-mando del paese. Anche il dubbio che dietro il libro ci sia qualche aiuto, è lecito, ma è irrilevante o meno? Certamente postare su un social network non è come scrivere un libro. Ma come determinare il peso tra il pensiero dell’autore ufficiale e quello del gosthwriter? La risposta la potrà fornire solamente il tempo, con la sua famosa galanteria.

Un aneddoto. Su Hillman, segnalo la sua stessa precisa-zione in prefazione: “Fu però soltanto nell'ottobre del 1981 che iniziò a prendere forma un'intuizione psicologica più profonda, sotto gli auspici ispiratori di Francesco Donfrance-sco, che ha curato questo libro, e di Paola Donfrancesco, che con passione lo ha tradotto. In Palazzo Vecchio, a Firenze, mi

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fu offerta infatti la possibilità di elaborare abbastanza diste-samente quell'intuizione che ha finito per diventare Politica della bellezza”. C’è quindi un curioso legame che lega la Fi-renze che ispira il pensatore americano che ispira, 30 anni dopo, il sindaco della città.

I due autori sono certamente legati pur nella diversità generazionale e di approccio, ma non mi risulta che nessun saggio accademico li abbia mai finora accostati. E’ stato fatto solo in rete, sul nostro NCL oltre un decennio fa, ma per for-tuna anche di recente, come riportato dalla giovane blogger S i l v i a Q u a r a n t a (http://silviettapd.wordpress.com/2012/07/11/bellezza-e-rivoluzione-il-mond

o-ha-bisogno-di-entrambe/). Che Camus e Hillman si ritrovino og-gi tra i numi tutelari di Matteo Renzi cerco di leggerlo dun-que come un buon presagio [contrariamente ai Comitati locali del PD che lo sostengono]. Il segno indiscutibile che lo iato generazionale, politico e culturale con l'attuale classe dirigen-te del PD e del paese, oltre ad essere incolmabile, appoggia almeno su solide fondamenta.

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APPENDICELa vignetta della settimana

2000 - 2001

(di Walter Falciatore)

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NUOVA GENERAZIONE

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IL BERSAGLIO DELLA LEGA

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"CHE NE DICE, SERGENTE, SE DIAMO TUTTA LA COLPA A VOI?"

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FUTURI INCONTRI

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BOSELLI-PINOCCHIO HA CAMBIATO LE GAMBE

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ARRIVANO GLI AMERICANI

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LEZIONI DI STORIA

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IL LUNGO VIAGGIO DEL SOCIALISMO ITALIANO

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"LA NUOVA DIREZIONE CENTRALE"

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I DUE VERONESI

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I NUOVI TRIBUNI

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SANTE PILLOLE

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AD OGNUNO LE SUE DROGHE

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".. E QUANDO AVRAI VENTI MESI DIVENTERAI DELLE BELLE FETTINE DI CARNE BIANCA SENZA ENCEFALOPATIA SPONGIFORME"

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"BATTER CASSA ALL'AFRICA"

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