Vita di san Francesco Saverio

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    TITO CASINI

    FRANCESCOSAVERIO

    Torino: SEI, 19542

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    XAVIER

    Cristoforo Colombo aveva poco pi di un mese da vivere, quando, pocodistante da lui, a Xavier, nell'Alta Navarra, Francesco Saverio, il grandeCristoforo delle Indie - delle vere - venne alla luce.

    Egli nasceva tra mura austere in paese austero - una fortezza solitariasopra una delle pi bruciate sodaglie del bacino dell'Ebro - in uno dei piausteri giorni dell'anno: il 7, aprile del 1506, Marted Santo.

    Nos autem gloriari oportet in Cruce Domini nostri Iesu Christi, in quo estsalus, vita et resurrectio nostra... Il solenne monito dell'Apostolo, da cui la messadel Marted Santo prende le mosse, risuonava ancora per le volte parate diviolaceo della chiesa di Xavier - sacra alla Madonna e intitolata da lei, SantaMaria, come la caravella su cui Colombo aveva raggiunto le nuove terre -allorch il bambino vi fu portato a battezzare; e tra gli echi di questo monito -nel quale, a Valladolid, il grande navigatore confortava forse il suo desertotramonto - egli ricev l'acqua rigenerante.

    Essa non cadeva sul capo d'una creatura a cui altre glorie, secondo ilmondo, non fossero sicuramente promesse e gi assicurate. La sua famigliaera per nobilt e rinomanza una tra le principali del regno. Padre, madre,nonni e nonne avevan tutti, pi o meno annoso, il loro albero; tra i ramid'uno dei quali si trovavano, per non dir d'altri, i re di Navarra e i red'Aragona.

    Il padre, don Giovanni de Jassu, signore di Xavier, Azpilcueta e Ydocin,tornato, nel 1470, dottore in decreti dall'universit di Bologna, era salito, digrado in grado, fino a quello di alcade della Corte Maggiore e di consiglieredel re, con grande vantaggio della corona e del paese, per il servizio dei qualiera continuamente in viaggio. Il suo matrimonio con donna Maria deAzpilcueta aveva aumentato, se non le sue ricchezze, i suoi titoli di nobilt,portandogli tra l'altro quella signoria di Xavier che doveva, nel suo sesto eultimo figlio, conservar per i secoli, pi, e pi a ragione d'ogni altra cosa, lafama della famiglia.

    Per verit, la gloria della Croce era tenuta al primo posto tra tutte le glorie,acquisite e acquisibili, della famiglia. Dopo aver rilevato come i suoi duecasati, d'Azpilcueta e di Jaureguigar, potessero vantare origini - anteriori dimolto al tempo di Carlo Magno, un cugino di Francesco, il celebre dottorNavarro, si compiaceva soprattutto di poter asserire che, grazie a Dio, mai,fin l, signor d'Azpilcueta o di Jaureguiar s'era macchiato di eresia. E questalode, applicabile con la stessa sicurezza ai De Jassu, era ben inferiore a ci chedella famiglia si poteva affermare in fatto di attaccamento alla Chiesa.Quando Francesco venne alla luce, era circa un anno che i suoi genitori (pernon parlar che di loro) avevan perfezionato un atto di donazione e difondazione mediante il quale essi cedevano per intero e in perpetuo allachiesa parrocchiale di Xavier - da essi ricostruita, ingrandita e provvista ex

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    novo di un'abbadia, o presbiterio, in cui un vicario perpetuo viveva in comunecon alcuni prebendari minori - tutte le decime di pane, vino, bestiame, lana ealtre cose loro spettanti nel regno di Navarra, diocesi di Pamplona, pi unaloro vigna, due cafizados di tierra blanca e altro ancora; e stabilivano icorrispettivi oneri di culto con quattordici capitoli di ordinanze le qualimostrano quanto i castellani avessero a cuore la gloria di Dio. Essi voglionoche nella chiesa sia celebrata tutti i giorni la messa e recitato in coro l'ufizio;che messa e ufizio siano cantati, la domenica e tutte le feste sia del Signore chedella Madonna, item tutti i giorni di Quaresima e con particolare solennit inquelli della Settimana Santa, item nel giorno di certi santi, tra cui i patroni delcastello e dei castellani (una grande santa italiana, santa Caterina da Siena,canonizzata pochi anni avanti il ritorno di don Giovanni dall'universit diBologna, era tra i protettori dei Jassu). E siccome le cose sante vannosantamente trattate, le ordinanze desiderano che i preti si confessino, diregola, prima di celebrare; che le ore si dicano devotamente, pronunziandobene le parole, senza interromperle per attendere ad altro; che in coro non siapra bocca se non per lodare Iddio. Quanto alla loro vita nell'abbadia, esse,prescrivono, tra l'altro, che non vi s'ammettano donne di meno disessant'anni; che non ci si dedichi al gioco; che a tavola si osservi il silenzio esi faccia lettura.

    Le ordinanze terminano con questo discorso, che i castellani fannorivolgere ai loro beneficiati dal vicario generale di Pamplona il quale a nomedel vescovo le approva e sigilla: Vi esortiamo dunque e vi facciamo undovere, vicario e prebendari della chiesa e abbadia di Santa Maria di Xavier,che voi e quelli che verranno dopo di voi impieghiate la vostra vita al serviziodi Dio, esercitandovi agli atti di virt e alla contemplazione, tenendovi lontanidai vizi e dalle pratiche mondane.

    Terminati i divini uffici, datevi a delle occupazioni oneste. Lo studio siala vostra ricreazione, pur non negandovi qualche convenevole svago, comesarebbe la pesca o la coltivazione dei giardino. Non consumate il tempo inoziose conversazioni, sapendo quale stretto conto se ne dovr rendere a Dio.Vi preghiamo di tener sempre presente che la vita e la regola primitiva deichierici, ordinata dai santi apostoli di Ges Cristo e suoi discepoli, fu di viverein comunit, non possedendo niente in proprio, e che la loro abitazione fossecontigua alla chiesa, in modo che si mantenessero separati dalle pratichemondane e da molteplici occasioni di peccato, contentandosi di avere victumet vestitum, senz'altri beni terrestri. In questa vita santa e i sicura, i chiericivissero fino al tempo in cui il diavolo, il quale di continuo vigila e si travagliaper, corrompere e depravare la buona vita dei servitori di Dio, riusc adaccendere nelle anime degli ecclesiastici un tal fuoco di cupidigia che la vitaapostolica divenne loro insopportabile. Perci appunto che la legge primitivaera cos male osservata, sant'Agostino prefer ricorrere al rimedio delladispensa... e permise ai chierici di posseder beni temporali, volendo piuttostovederli in pericolo per tale possesso che in una perdizione totale come quellain cui li poneva l'ipocrita simulazione di una povert ch'essi calpestavano:

    Malui habere caecos et claudos, quam plangere mortuos... Ma la vita propria dei

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    chierici, e la pi sicura per loro, ch'essi servano Iddio separati dal mondo.Perci i santi Padri vollero che i chierici attendessero al servizio di Dio senzarelazioni abituali con la famiglia e parentela, come dice sant'Ambrogio in libroDe fuga saeculi: haec est vera sacerdotis fuga, abdicatio domesticorum, et quaedamalienatio carissimorum. Tutti questi vantaggi della vita apostolica vi sonoofferti. Voi avete un buon riparo contro i pericoli del mondo nella chiesa eabbadia di Santa Maria di Xavier, e nulla in esse vi manca di ci che necessario per attraversar la vita presente e meritare una bella ricompensanella vita eterna....

    Essendo lecito pensare che tutte queste belle disposizioni eraccomandazioni non rimanessero, almeno nei primi anni, pii desideri deifondatori, facile figurarci in quale idillico mondo di virt, di piet, direligiosa poesia prese a viver Francesco.

    La sua mente, col primo mover della ragione, cominciava appena acomprenderlo, allorch, improvvisamente, l'idillio precipit in tragedia, e ditante glorie non rimase, a Xavier, salda, efficace, consolatrice, che quella dellaCroce.

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    LA GUERRA

    Francesco aveva sei anni quando sulla Navarra si abbatt il flagello dellaguerra.

    La sua famiglia si trovava allora al massimo del fastigio e dell'opulenza.I molti e grandi servizi resi ai sovrani e alla patria come ministro avevanprocurato al dottor De Jassu onori e privilegi tali che, aggiunti a quelli di cuigodeva per nascita e per matrimonio, facevan di lui, nei suoi domin, unalleato, pi che un servitore, della corona. Egli non aveva, verso la corona,alcun obbligo n di riconoscimento n di omaggio, salvo quello di guerra epace. Godeva del diritto di bassa e media giustizia, e sappiamo che anche ilcastello di Xavier aveva le sue carceri sotterranee, munite di ferri per legarvi imalfattori... Ma pi che il rigore, il piccolo Francesco deve aver visto, a Xavier,esercitar la misericordia, sotto la forma del diritto di asilo, ch'era un altro deiprivilegi goduti dal castellano. Il dottor De Jassu nota con soddisfazione, inun suo scritto, come da ogni parte del regno si accorresse a Xavier, rei diquesto o quel delitto, a mettervisi al sicuro tra le mura della fortezza; eaggiunge che vi si son sempre accolti bene e trattenuti quanto han voluto,senza che a nessuno sia stato torto un capello.... Con lo stesso generosoanimo (il medesimo documento lo prova), il signor di Xavier esercitava il suodiritto di pedaggio, che gli dava la facolt di prelevare un certo numero dicapi per ogni gregge o armento che attraversasse le sue terre... El Passo, illuogo in cui i pastori fermavano i loro branchi, e le guardie del castellanovenivano a prendere il dovuto, era vicino alla fortezza, e chiss quante volteFrancisco avr assistito co' suoi fratelli alla bucolica scena.

    Il dottor De Jassu godeva di una grande riputazione anche fuori dellaNavarra. Alla corte di Castiglia, dov'era stato ambasciatore, la sua primafiglia, Maddalena, damigella d'onore della regina Isabella, aveva ricevuto lepi splendide offerte di matrimonio, fino al giorno in cui, rispondendo a benaltro invito, se n'era ritirata, per divenire, oltre a tutto, l'angelo tutelareinvisibile di Francesco. Dalla medesima corte di Ferdinando e Isabella ilministro di Navarra aveva ricevuto l'offerta, per un de' suoi figli, di un postodi paggio.

    Ed ecco che proprio dalla Castiglia, per iniziativa di Ferdinando, ilflagello che doveva tra l'altre cose travolgere anche la fortuna del signor diXavier s'abbatt, nel 1512, sulla Navarra. Il dottor De Jassu si portava ancorauna volta, nei primi di luglio di quell'anno, alla corte di Ferdinando, con lamissione d'indurlo ad accettare la neutralit della Navarra nella guerrascoppiata tra lui e il re di Francia Luigi XII. Rimasti vani gli sforzi del suoministro, e costretto a scegliere tra i due avversari, Giovanni di Navarra simette dalla parte di Luigi XII, e la conseguenza, per la Navarra, che, seigiorni dopo, le truppe di Ferdinando entrano in Pamplona; per il dottore De

    Jassu, rimasto ammirevolmente fedele al suo re fuggiasco, la perdita di

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    quasi tutti i suoi beni, espropriati dal vincitore, e, di li a tre anni, dietro ilcolpo inferto al suo cuore dal fatto dell'annessione ufficiale della sua patriaalla Castiglia, la morte (16 ottobre 1515). -

    Tre mesi dopo che Francesco, novenne, era rimasto orfano, ancheFerdinando di Castiglia mor, e l'occasione parve buona, ai realisti navarresi,per tentar la riscossa. Ma il moto di sollevazione, scoppiato nel marzo del1516, se diede assai da fare ai dominatori, fin tuttavia per esser domato, e icapi della rivolta furono presi e imprigionati. Tra questi erano diversi parentidei castellani di Xavier, e la famiglia ebbe la sua grossa parte di rappresaglie:Xavier, come Azpilcucta e Jassu, fu tra le fortezze segnate dal governatoreXimenez per essere rase al suolo, e se la piet di chi fu mandato a eseguir lasentenza risparmi alla vedova e agli orfani dell'antico ministro di diventareaddirittura dei senzatetto, nessuno pot risparmiare ai loro occhi il tristespettacolo, durato certo molti giorni, dei loro castello pien d'operai intenti abuttar gi il muro di cinta, le torri, gli scaloni, le porte, a distrugger le feritoie,a ricolmare i fossati, a togliere, in una parola, da Xavier ogni segno di forte,per non lasciarvi che quanto pot, tra tante ferite e mutilazioni, restare inpiedi di casa. In questo quanto, la famiglia dovette per di pi far posto a unagente dei governo, incaricato di sorvegliarla.

    Nonostante tutto questo, Michele e Giovanni de Jassu, i due fratelli diFrancesco, sono, nel 1521, tra i Navarresi nuovamente ribelli al giogo,partecipano alla presa di Pamplona, e continuano, dopo il rovescio di Noain,a portar l'anni contro la Spagna, con un valore e una costanza che Carlo Vattestava, nel dicembre del 1523, riconfermando contro di loro la pena dimorte e di confisca mentre largiva alla massa degl'insorti il proprio perdono.Dopo avere, insieme ad altri nobili legittimisti, alcuni dei quali loro parenti,barricati con la guarnigione francese nella fortezza di Fontarabia, stancato perpi di due anni le forze avversarie, essi capitolarono, il 19 febbraio 1524, congli onori di guerra, il condono d'ogni pena, la restituzione dei loro beni e lareintegrazione nei loro antichi diritti.

    Francesco aveva diciott'anni quando Michele e Giovanni rientrarono,dopo tante vicende, a Xavier, e si pu bene immaginare ch'egli li invidiasse,quei suoi fratelli, gi suoi compagni di giochi, che si erano coperti di tantagloria mentr'egli, colpa dell'et, se n'era dovuto rimaner l a veder pianger suamadre, a pregar con lei per la loro salvezza, ad aiutarla come poteva, astudiare.

    I documenti son quasi muti su questo periodo della sua vita, come suquello della sua adolescenza, intorno alla quale si sa soltanto di una corsach'egli fece, insieme al guardia e ai fratelli, dietro un gruppo di pastori ch'eranpassati, senza pagar pedaggio, sopra le terre del castello con pi di millequadrupedi. Fermati e ricondotti a Xavier, i greggi, rinchiusi nel cortiledell'abbadia, furon dal guardia numerati e multati, ma la faccenda termin colperdono della signora, e questo non primo n ultimo esempio di generositdella vedova fu quanto rimase ai figli della loro bravura.

    Francesco ebbe in quegli anni un secondo padre, e la vedova unprotettore, nel cugino di questa, Martino de Azpilcueta de Lecaun, bravo

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    soldato e ottimo cristiano, il quale si era accasato con loro, vivente ancora ildottor De Jassu, dopo aver dato al Signore tutti i suoi figli, e s'occupava delloro bene (mentre pur tutelava gl'interessi di diversi conventi) con un amore eun'umilt che dovevan farlo considerare come il san Giuseppe della famiglia.

    Col ritorno dei due eroi, le sorti di questa cominciarono, lentamente,molto lentamente, a rialzarsi, e anche Francesco prese parte alle pratiche fattedal fratelli e dalla madre per tale risveglio: il 10 febbraio 1525, per esempio,egli a Roncisvalle, procuratore della noble seora de Xabierr, davanti al notaroFrancesco di Roncisvalle, per dare in affitto a un tale Johanot de Orbayceta unmolino che la signora ha acquistato, o ricuperato, per opera di suo figlioMichele.

    Questo principio di risollevamento, e, forse, proprio il provento di quelmolino da lui affittato, dovevano servire a lui stesso per mettersi incondizione di soddisfare quei desideri di gloria che il suo ingegno, il suosangue, gli esempi del padre e dei fratelli avevano acceso nel suo spirito,indicandogli, a preferenza della carriera dell'armi, quella degli studi. Nelsettembre di quel medesimo 1525, circa un anno dopo il ritorno di Michele eGiovanni, Francesco lasciava a sua volta la madre (che non doveva pirivedere) mettendosi in via per l'universit di Parigi.

    ben probabile che, prima di montare a cavallo, egli abbia voluto, con lamamma, inginocchiarsi un'ultima volta in quella chiesa di Santa Maria diXavier cos cara alla sua famiglia, cosi piena di ricordi per lui; e non difficileche i suoi occhi si sian posati ancora un momento sull'ultimo di sei vestitinibianchi pendenti a modo di ex-voto dalla parete al disopra del fontebattesimale. In quell'abito, su quel fonte, egli aveva ricevuto il donodell'innocenza. Eran passati, da quel giorno, circa vent'anni, e tuttavia eglinon ebbe a arrossire guardando il simbolico ricordo: chi era in grado disaperlo ci assicura di questo, mentre ce lo dipinge, in questa sua prima et,pieno di gaiezza, d'intelligenza, di fuoco. Con tutto ci, egli sarebbe forserimasto mortificato se qualcuno gli avesse detto, mentre partiva, che quellavestuccia bianca sarebbe divenuta come l'emblema della sua pi degnacarriera, come il blasone della sua pi inconfondibile gloria. La veste che inquel momento seduceva il suo cuore, che gli dava la forza di separarsi datante cose e persone care, era una toga di dottore.

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    III

    PARIGI

    A Parigi, Francesco entr come interno nel collegio di Santa Barbara, unodei tanti istituti (una cinquantina) in cui i giovani, d'ogni lingua e nazione,aspiranti alla laurea, potevan compiere i loro studi allora che l'insegnamentonon era pubblico.

    La posizione degli alunni non era uguale in questi istituti. Vi era chigodeva di una borsa di studio (borsisti), per cui vi riceveva tutto (alloggio,vitto, istruzione) senza spender nulla, e vi erano i paganti, che spendevanopi o meno secondo che l'istituto li manteneva di tutto (cameristi-porzionisti) o si contentavano d'essere istruiti e albergati. Gli esterni, forseper il loro andare e venire, eran chiamati martinets (rondoni), e molti di questisi procuravano i mezzi per vivere e studiare facendo qualche servizio ai loroprofessori o condiscepoli del collegio.

    Francesco venne accettato come camerista porzionista nel collegio diSanta Barbara e si assoggett ai suoi regolamenti, che gl'imponevano, tral'altre cose, di andar vestito modestamente, di non coltivar la capigliatura, dinon portare n spada n bastone armato, di non uscir solo n rimanere adormir fuori, di non cantar canzoni immorali, di non parlare, in casa, altro chelatino.

    I corsi cominciavano per San Remigio: e sotto la protezione del grandeapostolo e battezzatore dei Franchi, il 1 ottobre 1525, pochi giorni dopoarrivato, Francesco diede principio ai suoi studi.

    Per giungere, com'egli si proponeva, al culmine supremo, la laurea inteologia o in diritto canonico, il cammino era lungo. Ripassati e perfezionati,nel primo anno, i suoi studi letterari, egli inizi, col 1 ottobre del 1526, quellidi scienza e filosofia, e nel 1599 era baccelliere, nel 1530, il 15 marzo, licenziatoin arti. Per arrivare al dottorato, gli occorreva almeno altrettanto, colvantaggio, per altro, di poter nello stesso tempo tener cattedra d'arti in unodei collegi dell'universit stessa: ci ch'egli fece, ascrivendosi alla facolt diteologia e impiegandosi contemporaneamente come professore di filosofia nelcollegio di Dormans-Beauvais.

    In tutti questi anni, e per tutto il tempo dei suoi studi, che dal 1 ottobre1525 and fino al 15 novembre 1536, egli non lasci mai Parigi, non tornneppure una volta a Xavier, il che non significa ch'egli trascurasse di farsivivo coi suoi. Secondo l'uso sempiterno e universale degli studenti, egliscriveva spesso a casa per chieder quattrini, mettendo giustamente in ansiasua madre, che non poteva non domandarsi che cosa egli ne facesse. In realt,egli spendeva largamente, menando un tenor di vita pi adeguato alla famache alla fortuna presente della propria famiglia. L'uniforme di studente, lalunga e nera veste, stretta alla cintola da una correggia, che gli era toccatomettersi entrando in Santa Barbara, non gli aveva fatto scordare gli abiti coi

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    quali era giunto, n le regole dell'istituto erano muri insormontabili per chiavesse avuto ambizioni e soldi.

    La castellana di Xavier aveva in verit ragione di trepidare per il figlioagli studi, non meno di quanto ne avesse avuta poc'anzi nei riguardi dei duein guerra. Cominciando dal servo che si era preso (un martinet suocompatriotta, mariolo di prima classe, detto Michele il Navarrino), egli nonaveva intorno a se che esempi e suggerimenti di male. Egli stesso ce lo dir, adistanza di venti anni nel tempo e di diecimila leghe nello spazio, riandandocon un amico le sue memorie parigine. Il ricordo dei suoi compagni glitoglier di bocca queste parole: Essi erano rotti al vizio, e il nostro maestronon meno di loro. Fortunatamente per lui, egli aveva, visibili, nelle stessepersone, anche gli esempi delle conseguenze, o almeno di certe conseguenze,del vizio, e lo spettacolo di queste gli fece aborrir le cause. La paura, egliconfidava allo stesso amico, che avevo di contrarre le ulceri di cui vedevocolpiti scolari e maestro, fu tale che mi preserv dal far come loro. Questotimore mi sostenne per un anno o due, fino a che il maestro non mor di talimalattie vergognose....

    Comunque, a Xavier non si era tranquilli, sul conto dei figlio e delfratello studente, e, sommando forse con quelli d'ordine spirituale i motivid'ordine finanziario, si venne al punto che ci si chiese se non fosse il caso difargli troncar gli studi e richiamarlo a casa. La cosa pervenne, a Gandia, in unconvento di Clarisse, a una che per il velo di suora, in un istituto dei piausteri, aveva lasciato gli abiti di damigella d'onore di una regina, emeravigliava ora per la sua virt le sue consorelle, come prima per la suagrazia avvinceva quanti frequentavan la corte. Era Maddalena de Jassu, lasorella di Francesco. Richiesta, forse, del suo parere, o, comunque, informatadi ci che si pensava di fare nei riguardi dello studente, essa scrisse allafamiglia sconsigliando in termini risoluti il richiamo. Al contrario, essadiceva, favorite gli studi di mio fratello Francesco, perch son certa ch'eglidiventer un gran servo di Dio e una colonna della sua Chiesa.

    Di dove venissero a suor Maddalena le sue certezze, non era unadomanda che si sarebbero fatta le sue compagne di chiostro. Esse la sapevanoprivilegiata, da parte del cielo, di doni particolari, e ci hanno anchetramandato il ricordo di varie visioni da lei avute, una almeno delle quali,apparetenente al periodo del suo noviziato, pu giovar che sia riferita. Ilracconto di qualche anno dopo la morte della suora, e si trova in una letterascritta da colei che le succedette nella carica di badessa. Nonostante il suogran fervore, sfuggivano a Maddalena delle leggre mancanze, le quali,esagerate ai suoi occhi da quel suo stesso fervore, le facevan dir, moltotristemente, che la vita perfetta era impossibile per lei. Mentre appunto pativadi tali pene, essa vide, in sogno, un luogo delizioso, una specie di paradiso incui si trovava il Signore. Il luogo era per altro lontano, e bisognava, perarrivarci, salire una ripida costa. Maddalena, impaziente di giungere alSignore, si sforzava di arrampicarsi, ma non ci riusciva. Un grazioso bambinos'avvicin, allora, la prese per mano e l'aiut a salire. Tale soccorso nonimped a Maddalena di ricadere, ma l'angelo la sosteneva, la rialzava, e cosi

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    s'andava un po' avanti; veniva poi un altro passo falso, e di nuovo l'angelo adaiutare. La cosa si ripet tante volte che Maddalena diceva dentro di s:"Ahim! con tutte queste cadute, io non arriver mai". Ma l'angelo,rispondendo al suo pensiero, le disse: "Cadendo e rialzandosi si va al cielo:Caiendo y levantandose se va al cielo".

    Per quanto, forse, meno edotti delle virt e dei favori di cui era ricca laloro figlia e sorella, i castellani di Xavier ricevettero il suo consiglio sul contodi Francesco come consiglio di Dio: e Francesco non fu richiamato. Lepreghiere della pia suora lo accompagnavano certamente tra i pericoli a cuirimaneva esposto, e fu forse merito d'esse se tra tanti compagni, e non esclusidei maestri, che facevan con lui la parte del diavolo, egli ebbe anche chirappresent accanto a lui la parte dell'angelo.

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    IV

    PIETRO FAVRE

    Tra i benefizi di cui si dir un giorno grato al Signore per il periodo delsuo studentato a Parigi, Francesco metter quello di aver avuto, a successoredei disgraziato maestro morto delle sue dissolutezze, un uomo casto evirtuoso quale il dottore spagnolo Giovanni de Pea; ma pi ancora sisentir in obbligo di ringraziarlo per avergli mandato un compagno dicollegio e di studi quale fu per lui Pietro Favre.

    Prima di venire a Parigi - anche lui, come Francesco, nel 1525, anche luidi diciannove anni - Pietro Favre aveva parato le pecore su per i monti dellanativa Savoia: ben diverso, in questo, da Francesco, che di pecore non avevavisto altre scene che quelle del prelevamento dei capi, da parte delle guardiedel padre, per diritto di pedaggio. Ma, l'uno tra gli agi del suo castello, l'altrotra le strettezze della sua capanna, essi avevano avuto anche allora una cosa,una grande cosa, in comune: quella che in Santa Maria di Xavier restavasimboleggiata dalla bianchezza di una piccola veste appesa con altre cinque aldisopra del fonte battesimale.

    La purezza aveva in Pietro, fino dai suoi dodici anni - dal giorno, cio,che, inginocchiato per terra in un anfratto della montagna, aveva chiesto alSignore, e gli era stato risposto, che cosa pi desiderasse da lui -, il valore e laforza di un voto di castit. Risoluto di legarsi totalmente a Dio come suoministro, egli s'era dedicato fin da quel tempo allo studio, e aveva tantoprofittato, mettendo al servizio di un'intelligenza eccezionale una volontazionata dal fuoco dello zelo apostolico, che quando giunse a Parigi percompiervi la sua preparazione era gi un grecista eccellente, e il suoprofessore si rivolgeva a lui per aiuto quando incontrava in Aristotele qualchedifficolt di testo.

    Francesco ebbe comune con Pietro, in Santa Barbara, la stanza, e questoagevol il formarsi dell'amicizia, che sorse presto tra loro e dur, passata infraternit, oltre le distanze e la morte. L'uno, e l'altro faranno a gara, nelle loromemorie, a dirsi gli avventurati del vicendevole incontro, e non c' bisogno didar torto a Pietro per dar ragione a Francesco. certo, per che Dio si servidel pastore savoiardo per trattenere dal male il gentiluomo navarrese, intantoche si avvicinava per lui chi doveva mostrargli la strada della sua vocazione eaccender tra i due compagni la gara.

    L'amicizia di Pietro, di un cuore e di un intelletto come quelli di Pietro,fu doppiamente salutare per Francesco, esposto al doppio pericolo dei cattiviesempi in materia di costumi e delle cattive idee in materia di fede. Ilpaganesimo pratico andava infatti di pari passo, in quegli anni e tra queglistudi pervasi gi dello spirito della Rinascenza, con un paganesimo teorico,letterario e filosofico, il cui amore per le antichit greche non era punto indisaccordo con le novit di Germania. Qui graecizabant lutheranizabant, dir,parlando di quel tempo, un compagno di Francesco, Nicol Bobadilla: e non

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    ci voleva meglio, per preservarsi dall'errore, di un condiscepolo cosi versatoin cose greche e insieme cos convinto cattolico quale Francesco avevaappunto in Pietro Favre.

    Egli oper soavemente sullo spirito dell'amico tentato. La soavit era laforza di Pietro, ed emanava dal suo sguardo, dal suo viso, dal suo parlare,come da tutto il suo fare. Contro la tentazione del male - neutralizzata, piche vinta, in Francesco, dalla vista di certi suoi effetti - egli esercit sulcompagno, col, fascino della sua purezza, la tentazione del bene: e fu latentazione che vinse, fu l'amore che prevalse, fino al giorno in cui sull'idealedel bene, sul limitato ideale del giovane ricco, cominci a far sentir le sueseduzioni l'ideale del perfetto, l'ideale di quelli che avevan tutto lasciato peresser tutti di Dio.

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    IIGO DI LOYOLA

    Nel luglio del 1529, donna Maria de Azpilcueta, signora di Xavier,moriva, e Francesco, nuovo ancora dei suo grado di baccelliere, si sapevaormai orfano.

    probabile che l'ultimo e il pi accorato pensiero della morente fosseper lui, il suo muchacho, il suo nio, com'era forse rimasto nella sua memoria,nel suo cuore e nel suo parlare, nonostante i suoi ventitr anni e quel suotitolo or ora acquistato, la prima consolazione venutale dai suoi studi, inattesa delle maggiori ch'essi le promettevano rinnovando un giorno nel figliole glorie del marito. Nonostante le sue speranze, nonostante le certezze dellaclarissa di Gandia, essa non poteva non preoccuparsi per lui, cos giovane esenz'appoggio tra tanti pericoli e con tanti bisogni; e per lui pi che per tuttigli altri suoi figli, tutti pi grandi e, chi in una maniera, chi in un'altra, tuttigi accomodati. Giovanni, il penultimo, si era unito da pochi mesi con la figliaunica, Giovanna, di don Gonzalo de Arbizu, signor di Sotes e Aoz, mentreMichele compiva il suo primo anno di nozze con Isabella de Goi y Peralta,figlia del signor di Tirapu, di Goi, di Salinas de Oro, e nipote del celebreRemigio de Goi, dottore in utroque delle universit di Cahors e di Tolosa,consigliere dei re di Navarra eccetera eccetera. Quanto alle sorelle, una diesse, la maggiore, Maria, aveva scelto gi da molti anni, nel convento di SantaEngracia di Pamplona, quella miglior parte che Maddalena godeva in quellodi Gandia, mentre la terza, Anno, era andata sposa vivente ancora suo padre.

    Il pensiero di Francesco avrebbe forse meno angustiato l'agonia dellacastellana se essa avesse potuto prevedere la generosit con cui lo avrebbeassistito, facendogli da mamma, pi che da cognata, la sua ultima nuora, lamoglie di Giovanni. Rifugiandosi, meno aleatoriamente, in quello che lepermetteva di preveder la sua fede, essa offerse certo a Dio, per il figlio, la suaultima preghiera, forse il sacrifizio della sua vita: e Dio la esaud oltre ognisuo prevedere.

    Francesco era orfano da circa tre mesi allorch la sua camerata, nelcollegio di Santa Barbara, crebbe di un ospite nella persona di uno studentevecchio, malvestito, zoppo; detto, tra i molti che in Parigi gi lo conoscevano,il pellegrino.

    Prima di diventar barbarista egli aveva frequentato come martinet,alloggiando in un ospedale e mendicando per vivere, il collegio di Montaigu,dove aveva avuto per condiscepolo Calvino; e Francesco doveva essersi, inquel tempo, incontrato, se non scontrato, parecchie volte con lui, stante lavicinanza delle due case e la distanza delle due scuole, le quali, divise soltantoda una strada, si guardavano per tra loro come il passato (Montaigu) e(Santa Barbara) l'avvenire, e si servivano spesso di quella strada per dare alleloro rivalit ideologiche un'espressione pi concreta mediante scambio di

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    pugni, bastonate e colpi di spada. Per quanto lo spirito battagliero nonmancasse nel maturo scolaro montacutino, e nell'amico di Pietro Favrescorresse pur sempre il sangue dei Jassu, pi probabile, tuttavia, che discontri, tra loro, in quella famosa via di San Sinforiano, vulgo via dei Cani, nonsi sia mai trattato, e non sarebbe fuor di luogo pensare che la carit,implorante e donante, abbia determinato il loro primo, anonimo, incrocio dimani.

    Comunque, non sarebbe stato quello il primo contatto che il nuovocompagno di Francesco avrebbe avuto con un De Jassu y Xavier. Al tempoche la clarissa di Gandia splendeva, in corte di Castiglia, damigella d'onoredella regina Isabella, tra i giovani gentiluomini che gareggiavano acomplimentarne le grazie il mendicante martinet ora convittore di suo fratellocercava forse di distinguersi per la nobilt del suo nome e l'eleganza della suatenuta di paggio. E allorch, il 20 maggio 1521, Michele e Giovanni de Jassu,vinta l'accanita resistenza degli Spagnoli, entravano coi Francesi e i Navarresiin Pamplona, tra i pi malconci feriti rimasti per terra nell'ultima disperatadifesa trovarono, ancora, l'or zoppicante condiscepolo del loro fratello.

    Era stata appunto quella ferita alla gamba che aveva,provvidenzialmente, messo Iigo, o Ignazio - com'egli piglier poi a chiamarsi- di Loyola, per la strada a un certo punto della quale egli doveva,provvidenzialmente, incontrar Francesco Saverio.

    Lungo era stato il cammino che lo zoppo aveva fatto in quegli anni, nontanto per le strade del mondo (e, prima di Parigi, era stato, per non citar chegli estremi, a Roma e a Gerusalemme) quanto in quella dello spirito: e basta, adarne un'idea, il fatto di quel suo mendicar, volontario, a scopo dimortificazione, sotto gli occhi dei suoi compagni e dei suoi insegnanti, cosacerto pi dura, per un uomo del suo nome e del suo passato, che non l'andarein Terra Santa, il digiunare a pane e acqua, il servire i malati, il dormir perterra, il portar cinture di ferro. Non ne era forse anche un grande indizio quelsuo essersi messo a studiare, come un giovanetto e tra giovanetti, a pocomeno di quarant'anni ?

    Egli vi si era risolto, a gloria di Dio, durante il suo ritorno daGerusalemme, leggendo nel Vangelo le parole ed essi non capirono nulla diqueste cose e deducendone l'apostolica utilit del sapere. Per questo eravenuto a Parigi, dopo esser passato, studiando, edificando, soffrendo, perBarcellona, Alcal e Salamanca; e, ripassate, nel collegio di Montaigu, dalfebbraio del 1528 all'agosto del 1529, le proprie nozioni di umanit, s'eraascritto per il nuovo anno al corso di filosofia in quello di Santa Barbara.

    Non si sa com'egli riuscisse a farsi accettare. Conoscendolo per unrivoluzionario (trascinati, per dirne una, dall'esempio di lui, tre studenti, inParigi, avevano improvvisamente mutato abitudini, e, venduta a pro deipoveri la loro mobilia, lasciati i loro collegi, s'erano messi a mendicare), ilrettore del collegio di Santa Barbara, il portoghese don Diego de Gouvea, gliaveva promesso, poco prima, di farlo frustare pubblicamente se si fosseazzardato a mettere un piede nella sua casa. Era poi anche noto che ilpellegrino aveva, pi volte, avuto a che far con l'Inquisizione, e assaggiato

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    intanto la galera, sia pure uscendone sempre giustificato. Comunque, egli vifu accettato, e non certo, a giudicarne dai fatti, dietro promessa di lasciar fuoriil suo zelo.

    Era supponibile che Pietro Favre sarebbe presto entrato nella sua orbita,e ci avvenne tanto pi facilmente, dato che a lui tocc, per parte del lettore difilosofia, l'incarico d'insegnare al nuovo scolaro, e si trov quindi con lui inrapporti di vicinanza pi stretti ancora di quel che gi non concedessero unamedesima casa, una medesima stanza, una medesima tavola.

    Favoriti da tutto questo, Iigo e Pietro divennero in poco tempo, come ilFavre dir nelle sue memorie, una cosa sola tra loro ed era stato il discepoloche aveva attratto il maestro.

    Ben diversamente dovevano andar le cose per in quanto a Francesco.Pur riconoscendo sbagliata l'interpretazione data da alcuni a certe parole

    del Favre, secondo la quale l'incombenza di fare scuola al Loyola sarebbe stataprima offerta al Saverio ed egli l'avrebbe, per antipatia verso l'ipoteticoalunno, passata all'amico, lecitissimo immaginare che un tale incarico non loavrebbe punto rallegrato e ch'egli sarebbe pure stato capace, per la ragionesupposta, di rifiutarlo. Antipatia e ripugnanza furono i primi sentimenti cheFrancesco ebbe per il compatriotta: antipatia e ripugnanza che nonescludevano, in una certa misura, l'ammirazione, ma di quell'ammirazionefredda, ragionata, convenzionale, tutta cervello e niente cuore, di cui sipreferisce, in sostanza, essere il soggetto anzich l'oggetto: l'ammirazione chei vivi hanno per certi morti gloriosi, l'ammirazione, diciamo pure, che moltibuoni cristiani hanno per i santi.

    Bisogna avere almeno un principio di santit per amare i santi, e non erail caso di Francesco. Egli era soltanto un bravo giovane, convinto che la virt pi bella del vizio, ma che non occorre, per essere virtuosi, buttarsi agliestremi, dare un calcio a tutto ci che si o si pu essere, che si ha o si puavere, e risoluto, per conto suo, a servirsi del suo casato come de' suoi studiper godersi la sua parte di mondo senza giocarsi col malfare la sua parte diparadiso. La santit non era certo, a quel tempo, l'ideale di Francesco, e menodi tutte una santit come quella del pellegrino. La sua natura si ribellava alsolo pensiero di una mortificazione come quella di allungare verso i passantila mano.

    Con tutto questo, egli era pur sempre il figlio di un uomo che per il suoestremismo, nella fedelt al proprio re, aveva perduto beni e salute, ilfratello di due giovani che per lo stesso eroico motivo avevan rischiato alungo la vita, e di due fanciulle che per un altro estremismo, senzaparagone pi alto, s'eran seppellite vive tra le spesse mura di un chiostro...Chi gli avesse detto che proprio questa sua fierezza, insieme alle dotid'intelligenza e di cuore presto notate in lui dal nuovo compagno, lo avrebbereso oggetto delle sue pi ardite speranze e, per conseguenza, dei suoi assaltipi risoluti?

    In realt Francesco era degno delle speranze d'Iigo. Essi sirassomigliavan, nel fondo, e quello stesso grande amor della gloria, quellastessa gran ripugnanza a certe forme di abnegazione, che sembravano far

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    dell'uno il contrario dell'altro, eran riprove di questo. Si sa quanto tramenasseprima della sua conversione il Loyola per render famoso il proprio nome, e aquale supplizio si sottoponesse, in man dei chirurghi, dopo guarito dellaferita, per toglier dalla propria gamba una residua sporgenza ossea cheavrebbe nociuto alla perfetta attillatura dei suoi calzoni. Essi si somigliavanonella tendenza all'eroico. Era stata colpa dell'et se il loro primo incontro nonera avvenuto, una diecina d'anni avanti, a Pamplona, attraverso la breccia: aPamplona erano, in ogni modo, i due fratelli di Francesco, e sarebbe statoanche suo padre se per la medesima nobile causa egli non avesse gi perduto,dopo i beni, la vita. La materia, insomma, era buona (la clarissa di Gandia,col fatto della sua vocazione, era l, anch'essa, ad attestarlo) e non s trattavache di lavorarla per aver diritto a presumerne le massime possibilit.

    Il lavoro fu lungo e duro, da parte d'Iigo. Mentre, con l'aiuto e coi modidi Pietro Favre, cercava di forzarne il cuore, egli agiva sopra Francescomartellandone continuamente lo spirito, acceso di ambizioni pi o menomondane, con la domanda evangelica: Quid prodest homini si universummundum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur? La risposta diFrancesco consisteva per lo pi in una spallucciata, e il ritornello, dopo dueanni, aveva fatto in lui cos poca presa che una delle sue preoccupazioni, nel1531, era quella di ottenere, dalle autorit di Pamplona, il certificato da luirichiesto della sua quadruplice nobilt. Il Loyola stesso dir, un giorno, riccoormai di tante conquiste, che il metallo pi resistente capitatogli tra le maniera stato il Saverio.

    Il Loyola e il Favre non erano soli, come si sa, a occuparsi di Francesco.Colei che si era opposta, qualche anno prima, al progetto di fargli troncar glistudi, pregava certamente per lui con moltiplicato fervore dacch'egli eraorfano, e le sue preghiere avevano ormai il valore della santit a cui Dio nonresiste. Maddalena mor, badessa di Gandia, nel 1533, di una morte degna diricordare quella commemorata in tale anno. Avendo avuto rivelazione che ilsuo trapasso sarebbe stato dolcissimo, e vedendo una sua sorella, suorSalvadora, agonizzare tra grandi pene, corporali e spirituali, essa chiese a Dioche invertisse le loro sorti, e fu esaudita, terribilmente esaudita: mentre suorSalvadora si addormentava placida nel Signore, essa, senza mai perdere dellaserenit dei suo viso, si faceva in pezzi la lingua (come si vide dopo spirata)per lo sforzo di non gridare sotto la violenza delle torture che neaccompagnaron la fine.

    La tranquilla morte della consorella fu il solo effetto del sacrifizio diMaddalena? Lasciando a Dio una risposta che Dio solo potrebbe dare,notiamo che il 1533 fu l'anno santo di Francesco: l'anno in cui, prestandorisolutamente attenzione a una domanda tante volte e in tante maniererivoltagli da chi aveva con Maddalena diviso gli agi di una delle pisplendide corti, concluse che nulla gli sarebbe valso guadagnare anche tutto ilmondo, se a detrimento della sua anima, a cui il salvarsi non bastava, dacchla sua consegna e il suo anelito erano la perfezione.

    Allorch, nei primi del 1534, il Favre torn a Parigi, di dove si eraassentato sette mesi innanzi per recarsi in Savoia a rivedere e salutare la sua

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    famiglia avanti di darsi tutto a Iigo, stent a riconoscere il suo primo amico.Al posto del giovane gentiluomo, fiero del suo sangue, dei suoi titoli e deisuoi sogni di carriera, egli ritrov un Francesco che d'immutato non aveva piquasi altro che il nome: un Francesco amico d'Iigo, non meno ambizioso, perquesto, vero, anzi infinitamente di pi, ma di un'ambizione che lo facevasorridere dei propri gradi accademici, gli aveva reso un fastidio l'esposiziondi Aristotele, e gli faceva sospirare la fine degli studi non per altro che perpoter dire addio a tutto e, pi evangelicamente, senza neppur tornare avedere Xavier, mettersi dietro al veloce zoppo per correr con lui fin dove lamaggior gloria di Dio avrebbe loro ingiunto o concesso.

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    MONTMARTRE

    Il 22 luglio 1534, festa di Santa Maddalena, Pietro Favre disse la suaprima messa. Francesco, a cui quel giorno doveva ricordare in modo specialela sorella da poco morta, era certamente, con Iigo, accanto all'amico, e dallesue labbra ascolt con entusiasmo di neofito le grandi parole di Betania: Porrounum est necessarium. Maria optimam partem elegit, quae non auferetur ab ea...

    Erano in sei, quasi tutti spagnoli, quelli che avevano allora eletto, dietroil Loyola, la parte migliore: oltre al Favre e al Saverio, tutti e due diventott'anni, Nicol Bobadilla, di circa ventisette, Simone Rodriguez,portoghese, di circa ventisei, Giacomo Lainez, di ventidue, e AlfonsoSalmeron, di diciotto, due volte e mezzo pi giovane d'Iigo, il maestro, chene aveva quarantatr.

    Essi si ritrovarono, tutti, intorno al Favre, il loro prete, di l a pochigiorni, la mattina dell'Assunzione (un altro onomastico caro al cuore diFrancesco, quello della mamma), nella cripta di Montmartre, e ricevetterodalle sue mani la comunione dopo aver udito un'altra volta dalla sua bocca,attraverso il vangelo della festivit, il sublime monito di Ges: Solo una cosa necessaria. Maria s' scelta la meglio parte, la quale non le sar levata....

    Quelle parole dovevano tanto pi fare effetto nelle loro anime inquell'occasione, dato lo scopo per cui essi s'eran recati a quella solitariacollina, s'erano appartati in quel sotterraneo, dentro quella Capella de sancto

    Martyrio, che ricordava il luogo in cui san Dionigi e soci avevano per la fedeversato il sangue. Dopo essersi, nei giorni innanzi, consigliati tra loro sulmodo migliore di procurar la gloria di Dio, i sette compagni avevan deciso dilegarsi intanto a Dio, per quando avrebbero terminato i loro studi, con trevoti: di povert, di castit, di pellegrinaggio a Gerusalemme, dove sarebberorimasti a predicare tra gl'infedeli, a meno che, com'era gi capitato al Loyola,non ne fossero stati espulsi, nel quale caso, come in quello ch'essi nonavessero potuto imbarcarsi entro un dato tempo, si sarebbero portati a Roma,dal papa, per mettersi semplicemente e totalmente ai suoi ordini. Il 15 agostoe Montmartre erano appunto stati scelti per la pronunzia, ch'essi fecero a unoa uno prima di ricever dal Favre la comunione, del triplice voto.

    Fissata cos l'azione, non c'era che da prepararvisi esercitandosiintensamente nelle virt necessarie all'apostolo, come a dire in tutte: e fuquello a cui ciascuno si pose, con una cura pari all'importanza del fine.

    Cessate col 24 agosto le scuole, Francesco si valse delle vacanze per fare,spiritualmente, il suo campo mediante gli Esercizi d'Iigo, gi in uso tra idiscepoli dell'autore dopo il collaudo fruttuosissimo che il Favre, liberodall'insegnamento, ne aveva fatto nell'inverno, prima di ricevere ilsuddiaconato. Egli vi spese tutto il settembre, e ne usc . con una talesoprammisura di ardore che Iigo ebbe bisogno di moderarlo. Era stato anchequattro giorni senza mettersi nulla in bocca, e aveva punito le proprie

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    gambe e le proprie braccia del loro antico amore al salto e alla ginnasticastringendole con delle cordicelle nodose che ne avevano tumefatto le carni eper poco non avevano richiesta l'opera dei chirurgo.

    Se Iigo gli avesse ora comandato di mendicare, egli se ne sarebbeprobabilmente fatto una gioia, e non per questo si potrebbe affermare ch'egliavesse addirittura subto una trasfusione di sangue, o che il suo sangue fossemeno caldo di un giorno. Ne abbiamo una chiara prova in contrario in unalettera ch'egli scrisse il 25 marzo 1535 a suo fratello Giovanni, sottol'impressione di certe voci non buone che gli avevano riferito esser corse inNavarra sul conto suo. Si trattava probabilmente di chiacchiere,malevolmente riportate, circa l'accusa di novatori, se non addirittura dieretici, di cui Iigo aveva dovuto ancora una volta scagionarsi e scagionare icompagni davanti all'inquisitor di Parigi, messo poco prima sull'avviso dacerti che, troppo attenti a guardar la vigna dai seminatori di errori, nevedevano magari anche in chi s'applicasse con uno zelo fuor del comune acoltivare il buon seme. Trovandosi ultimamente a questa universit ilreverendo padre Fray Vear, sono stato da lui informato che Vostra Grazia haricevuto sul mio conto certe lagnanze, ch'egli mi ha esposto nella lorointerezza. Il gran dolore che voi, com'egli mi ha detto, ne avete provato, unsegno dell'amicizia e dell'affetto che voi stesso avete per me. E ci che inquesto m' rincresciuto pi di tutto stato appunto il pensiero del dispiacereprofondo che vi han recato le delazioni di alcuni uomini cattivi e perversi,ch'io vorrei conoscer con sicurezza per pagarli come si meritano: il che mi assolutamente impossibile, dato ch'essi si spaccian tutti per miei amici. Dio sail dolore che provo di non poterli ricompensare secondo le loro opere. La miaconsolazione che quod differtur non aufertur. Questo latino ha un pocoscandalizzato i primi raccoglitori delle lettere saveriane, dimentichi diquell'altro che dice: Naturam expellas furca, tamen usque recurret: perch lastessa disgrazia non accadesse ai lettori, lo hanno infatti lasciato, con tutto ilpasso, nel manoscritto. Meno male che non gli han dato di frego!

    Fu proprio Iigo, la causa prima del disturbo deplorato da Francesco inquel passo, che s'incaric di portar la lettera, contenente molte altre cose, alsuo antico avversario di Pamplona, il capitano don Giovanni de Azpilcueta yXavier ora residente in Obanos. Prostrato da fortissimi periodici dolori distomaco, e consigliato dai medici a provar l'aria nativa, egli aveva infattideciso, anche per altri motivi d'ordine spirituale, di tornare per qualchetempo a Loyola, e parti, per sempre, da Parigi, sopra un cavallucciocompratogli dai compagni verso la fine di quel marzo 1535.

    Rimasti soli, ossia senza di lui, i sei compagni si strinsero ancora di pitra loro, vivendo secondo il piccolo regolamento da lui lasciata e continuandointanto i loro studi, nei quali, al dir d'un di loro, Dio li aiut in manieraparticolare, indirizzati com'erano alla gloria di sua divina Maest e allasalute del prossimo. Pietro Favre, il loro prete, era di fatto il loro capo. Egliridisse la sua messa a Montmartre, il 15 agosto 1535, e con lui tuttirinnovarono i loro voti. Tutti pi uno, Claudio le Jay, savoiardo, studenteanch'egli e gi prete, guadagnato di recente al gruppo dal suo compatriotta, a

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    cui il gruppo dovette nel nuovo anno altre due conquiste: del piccardoPascasio Broet, altro prete, e del provenzale Giovanni Codure, i quali emiserole loro promesse quando gli altri le ripetevano per la terza o per la secondavolta, sempre a Montinartre, l'Assunta del 1536.

    Questa nuova riunione avvenne mentre Parigi era in ansia per le vicendedella guerra scoppiata in giugno tra Carlo V e Francesco I, causa lasuccessione del ducato di Milano; guerra che aveva gi portatoall'occupazione, da parte delle truppe imperiali, della Piccardia e dellaProvenza, e faceva temer quella della capitale.

    A queste ansie i nove compagni parteciparono, con l'aggravarsi dei fatti,non tanto come studenti e, per la maggior parte, spagnoli, quanto per ilpericolo in cui si videro di non poter mettere in esecuzione, al tempo debito, iloro voti. Dall'Italia, dove si trovava da circa un anno, Iigo li aspettava, aVenezia, per i primi del 1537, e il viaggio, qualora avessero potuto farlo,sarebbe riuscito certamente lunghissimo, data la necessit di evitare i territorioccupati. Tenuto conto di tutto questo, essi decisero di anticipar la partenza, eavvisarono Iigo che a met novembre si sarebbero messi in via.

    Gi si attendeva ai preparativi, quando Francesco ricevette da Pamplonadue atti, ch'egli aveva gi chiesto e molto desiderato. Uno di questi venivadalla Corte Mayore attestava come qualmente esso Francesco avesse bene elegalmente provato di essere per antica origine e discendenza in linea retta elegittima dai suoi genitori e antenati, secondo i quattro rami della suagenealogia paterna e materna, idalgo, nobile e gentiluomo; in conseguenzadi che, aggiungeva, noi Imperatore, Regina e Re dichiariamo di tenere ildetto don Francesco de Jassu y Xavier per uomo nobile, idalgo e gentiluomo,e ch'egli e i suoi figli e discendenti possono e devono usare e godere di tutte leprerogative, esenzioni, onori, libert, privilegi di cui gli altri gentiluomini eidalgi usano e godono nel nostro regno di Navarra. L'altro veniva dalCapitolo di Nostra Seora del Sagrario, la cattedrale, e portava la nomina di luia canonico della chiesa suddetta... Ch'effetto fecero su Francesco queste duelettere, ch'egli aveva chiesto quattro o cinque anni prima, e lo mettevano, colsuo ingegno, sulla strada d'una tra le pi promettenti carriere? superfluodomandarselo quando si sa con che gioia egli avesse pur ora rinunziato allalicenza e al titolo di dottore in teologia, per correre in anticipo di qualchegiorno alle umiliazioni, alle fatiche, alle pene che lo aspettavano nella carrieradi apostolo.

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    VII

    IN ITALIA

    A met novembre, com'era fissato, i nove compagni dissero addioall'universit, a Parigi, e s'incamminarono.

    Di tutti e nove, chi aveva messo in quei luoghi pi profonde radici, edov sentir pi forte lo strappo, era certo Francesco. Egli vi aveva passatoininterrottamente dodici anni, gli anni tra i diciotto e i trenta, e non potr piscordarsene, nei sedici che gli rimangon da vivere.

    Vivere, per l'ex commentator d'Aristotele, per il dimissionario canonicodi Pamplona, vorr dir soprattutto, d'or innanzi, camminare, vorr dirstrapazzarsi, e il viaggio, a piedi, da Parigi a Venezia, tra i pericoli dellaguerra, in Lorena, degli eretici, in Germania, della neve, sulle Alpi, con tuttol'annesso e connesso, rappresent per lui un discreto tirocinio.

    Esso dur circa due mesi, e furono, nonostante tutti i motivi diabbattersi, due mesi di cordiale allegria, di sano e santo goliardismo a base dipreghiere, di salmi, d'inni, detti o cantati in comune mentre tutti o quasi tuttigli elementi che il Cantico dei tre giovani invita a benedire il Signore - il sole,la luna, le stelle, la pioggia, la brina, la neve, il ghiaccio, i monti, i colli, leforeste, le fonti, i laghi, i fiumi, gli animali, gli uomini - si succedevano suiloro passi. Il Capodanno del 1537 li trov vicini alla meta: due giorni dopol'Epifania, essi abbracciavano, in Venezia, Iigo, da due anni non pi veduto.

    La meta era veramente Gerusalemme, e la prima cosa che Iigo si sentchiedere fu senza dubbio la data del loro imbarco. Non essendovi partenzeper il Levante prima di giugno, essi decisero di trattenersi in Venezia,consolandosi del non poter ancora servire il Signore l dove si sapeva ch'egliera stato, coi servirlo intanto dove si sapeva ch'egli era, ossia nei malati degliospedali, non senza il proposito di portarsi anche, in primavera, a riverirlo inchi ne faceva visibilmente le veci. Si divisero perci in due gruppi, uno deiquali prese alloggio all'ospedale di San Giovanni e Paolo, e l'altro a quellodegl'Incurabili.

    Venezia era di l a poco tutta un discorrer di loro.Francesco, agl'Incurabili, era per la sua parte motivo di meraviglia ai

    Veneziani che venivano, tratti dal dicerio popolare (e ce n'erano della nobilt,e ce n'erano del senato), a vedere coi loro occhi, in abito e in funzioned'infermieri, quelli che non pi di tre mesi innanzi indossavano, in Parigi, latoga di professori o si preparavano alla laurea in teologia. I suoi alunni diDormans-Beauvais, i suoi compagni di Santa Barbara, pure al corrente dellasua trasformazione, non avrebbero certo creduto ai loro occhi se avesserovisto com'egli attendeva alle sue nuove mansioni, delle quali era il rifare iletti, spazzare, vuotare, imboccare e ripulire i malati, di qualunque speciefossero i loro mali, portar via i morti e inumarli.

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    Egli faceva tutto questo con l'apparente disinvoltura dell'abitudine;apparente, perch in realt egli doveva, per farlo, vincer continuamente sestesso, e ci fu anche un giorno ch'egli credette di perdere. Il disgusto, il timoredi attaccarsi la malattia lo presero infatti per la gola, una volta, mentregrattava la schiena a un povero infermo tutto piaghe, ritenuto un lebbroso, ela natura fu per avere il sopravvento... Risoluto di vincerla, con un atto eroico,una volta per sempre, egli pass allora il dito per le pustole del malato, se loport alla bocca e succhi.

    Dopo due mesi di questa vita - non si pu certo dir di questo riposo - inove maestri parigini impugnaron daccapo i loro bordoni e, ripartiti dal lorocapo in tre gruppi, di un prete e due secolari ciascuno, si mossero da Veneziaper Roma, verso la met di Quaresima, pieni di entusiasmo al pensiero chepresto avrebbero veduto il papa, dal quale avrebbero implorato, oltre lalicenza di predicare in Terra Santa, le opportune dispense per esser fatti tuttipreti. Al buon esito della cosa, Iigo, che in Roma sapeva e presumeva di averdei forti nemici, stim utile non accompagnare i discepoli, e rest a Veneziaad attendere, nell'esercizio della carit e nello studio, il loro ritorno.

    Il nuovo viaggio, durato in tutto circa un mese, se non riusc menoallegro, non fu neppur meno disagioso del primo, un po' per parte deglielementi, ossia dell'acqua, che non cess quasi mai di cascar dal cielo,bagnandoli, inondando le terre ch'essi dovevan percorrere, facendo traboccarei fiumi ch'essi dovevano attraversare; un po' per parte di loro stessi, chevollero far tutta la strada a piedi - quando non dovettero farla a nuoto -mangiando di stretto magro finch dur la Quaresima, e poco e di accatto,albergando; con quei loro panni cosi inzuppati, in stalle e capanne, quandonon s'imbattevano in qualche ospedale e passavan la notte al servizio degliammalati. Essi giunsero a Roma, per la via di Loreto, il 25 di marzo, domenicadelle Palme, e presero alloggio all'ospedale di San Giacomo degli Spagnoli.

    Il 3 aprile, con l'anima riposata e commossa per tante belle cose vedute evissute visitando la citt e partecipando alle cerimonie della Settimana Santa,erano davanti al papa.

    Paolo III, a cui i pellegrini erano stati presentati e raccomandati da unantico avversario d'Iigo in Parigi, il dottor Pietro Ortiz, agente di Carlo V, sicompiacque di mettere a prova il loro ingegno e il loro sapere facendolidiscutere, in sua presenza, coi suoi teologi. Soddisfatto del saggio, egli libenedisse e accord tutto ci che chiesero, e anche ci che non chiesero, comela non disprezzabile somma di sessanta ducati. Quanto all'andare in TerraSanta, egli non manc di aggiungere, concedendo l'impetrata licenza: Credoper che non vi sar possibile. Sapeva infatti che Venezia si preparava aentrare in guerra coi Turchi.

    Mancava un mese alla partenza dei legni sui quali avrebbero dovutocompiere il sospirato tragitto, quando i nove si ricongiunsero, in Venezia, alloro maestro.

    Ripresi i loro posti negli ospedali, essi attesero con una dedizione ancorapi fervida, pi amorosa, pi umile, al servizio degli ammalati. Nel pane e nelvino ch'essi portavano alle loro labbra, le labbra del Cristo infermo, il loro

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    spirito vedeva ormai le specie del Cristo eucaristico. Promossi, il 10 di giugno,agli ordini minori, sei di essi, compreso Iigo, cio tutti i laici del gruppomeno il Salmeron, troppo giovane, di l a due settimane eran sacerdoti.

    Per Francesco non pot essere indifferente che il gran giorno della suavita cadesse nella festa di San Giovanni. Era l'onomastico non di una ma di trepersone a lui care: di suo padre, di suo fratello e di uno tra i suoi maestridell'universit parigina, al quale la sua anima si sentiva pi legata diriconoscenza. Quella festa del grande battezzatore, del grande missionario diCristo, doveva inoltre parergli e parergli come un pronostico, come un segnopromettitore di frutti, secondo la vocazione comune a lui e ai suoi compagni esecondo un'altra ch'egli sentiva da qualche tempo in particolare.

    Dormendo accanto a lui durante il loro pellegrinar per l'Italia, uno deisuoi compagni, il Lainez, lo aveva udito pi d'una volta esclamare: Ges!come sono pesto! e Francesco stesso gli aveva cos spiegato il perch diquelle parole: Sognavo di portar sopra le spalle un Indiano, ed era cos pesoche mi sentivo schiacciare. Un altro compagno, il Rodriguez, lo aveva pureudito gridare, in sogno: Mas! Mas! Mas! Di pi! Di pi! Di pi! e doveva,pi tardi, ricever da lui, in proposito, questa confidenza: Mi pareva ditrovarmi tra indicibili fatiche e pericoli per il servizio di Dio nostro Signore, enello stesso tempo la sua grazia mi sorreggeva e mi animava talmente ch'ionon potevo trattenermi dal chiederne ancora di pi.

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    VIII

    LA COMPAGNIA DI GES

    Si pu pensare che i sei ordinati avessero sperato di offrire aGerusalemme, nel luogo dei sacrifizio divino, il loro primo sacrifizio. Questapossibile speranza, legata a quella, ben pi importante, ch'essi custodivanoormai da quattr'anni, doveva purtroppo svanire, prima ancora della loroordinazione, col blocco posto dai Turchi alle vie dell'Adriatico in conseguenzadella rottura avvenuta tra loro e la Serenissima agl'inizi dell'estate.

    Sciolti dunque, di necessit, dal supposto principale del loro voto, essirivolsero tutta la loro mente alla celebrazione della loro prima messa, edeliberarono di prepararvisi - l'assistenza dei malati non consentendo loro ilnecessario raccoglimento - con un ritiro di quaranta giorni, da farsiindividualmente o a piccoli gruppi, fuor di Venezia. Cos si separaron dinuovo, sulla fine di luglio di quel medesimo 1537, e chi prese la via di Treviso,chi di Bassano, chi di Vicenza, chi di Verona, chi di Padova.

    Francesco, in compagnia del Salmeron, diacono, si ferm a Monselice,oltre Padova, e l, in una casuccia disabitata, senz'uscio e senza finestre, passla sua vigilia d'armi pregando e mortificandosi, interrompendo a quando aquando, di rado e per poco, la solitudine, solo per predicar sulla piazza emendicare un po' di pane.

    Verso il principio d'ottobre, i Compagni (era ormai il loro nome comune)s riadunaron tutti a Vicenza, dove Iigo li attendeva, insieme al Favre e alLainez suoi coesercitanti, in un convento abbandonato, a un miglio dalla citt,detto San Pietro in Vivarolo, anch'esso aperto a tutti i venti e senz'altro mobileche un po' di paglia che i nuovi ospiti vi avevan portato per dormire. Pocodopo, in Vicenza, il Saverio, il Lainez, il Codure, il Bobadilla e anche ilSalmeron, che aveva nel frattempo raggiunto quel minimo di ventidue annicompiuti concessogli dalla Penitenzieria per farsi ordinare, celebrarono la loroprima messa.

    Non sappiamo n in che giorno n in che chiesa Francesco celebrasse lasua (per il giorno, ci piacerebbe credere il 4 ottobre, che sarebbe stato il suosanto); sappiamo come la celebr, e fu con tale commozione che chi lo videdovette piangere, insieme a lui.

    Spargendosi quindi di nuovo per la regione, i Compagni si misero apredicare, con un fervore simile a quello degli Apostoli dopo la Pentecoste, econ frutti adeguati, sebbene non avessero, degli Apostoli, il dono delle lingue.Ai loro ascoltatori accadeva infatti di ridere sentendo quel loro parlare chevoleva esser veneto o almeno italiano e si tradiva continuamente per spagnoloo francese. Ma c'era nella loro voce, come nel loro aspetto, qualcosa che nonera n italiano n spagnolo o francese; qualcosa, per dir meglio, che nonoccorreva essere italiani o spagnoli o francesi per arrivare a capire: e questoqualcosa, ch'era l'ardor della santit, suppliva il pi perfetto vocabolario.

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    Suppliva, in certa maniera, anche al di pi delle forze che ci volevanoper condurre una vita come quella che i Compagni conducevanospecialmente da un anno. S'intende, in una certa misura; e siccome essipretendevano di passar oltre ogni misura, accadde che cominciarono adammalarsi, e fu grazia particolare di Dio se qualcuno non ci rimise tuttoquanto.

    Francesco fu uno di questi. Ammalatosi mentre uno dei suoi compagni,il Rodriguez, si riammalava, fu con lui messo all'ospedale, e con lui - troppagrazia, in verit - ebbe anche a dividere il letto: un letto in cui sarebbe stata adisagio una sola persona, immaginarsi loro due, che uno bruciava dallafebbre, e avrebbe avuto necessit di scoprirsi, mentre l'altro tremava tutto dalfreddo. Fra tali angustie, egli ebbe una grande consolazione: quella d'esservisitato - sveglio, come a lui sembr - e illuminato sul suo imminenteavvenire, da un santo suo particolare patrono, patrono da antico della suacasa, l'austero san Girolamo.

    Perdutasi intanto, col prolungarsi all'inverno della guerra tra Venezia ela Porta, l'ultima speranza di passare in Terra Santa entro l'anno, si era decisotra i Compagni che Iigo andasse, col Favre e il Lainez, a Roma, per mettere,conforme al voto, il gruppo a disposizione del papa, e gli altri, nel frattempo,si portassero, a due o a tre, nelle universit meno discoste, a predicare, aistruire, a far del bene, in una parola, e magari a trovar nuovi compagni.

    Stabiliti e spartiti tra loro i luoghi - Padova, Ferrara, Bologna e Siena -,essi si posero, prima di mettersi in via, la questione del come avrebberodovuto rispondere a chi avesse voluto o desiderato saper chi fossero, come sichiamasse il loro consorzio: e fu allora che sorse, dalla meditazione e dallapreghiera, il nome della Compagnia di Ges.

    Era un nome da soldati, come poteva venire in mente a un uomo daiprecedenti e dall'indole del Loyola. Era nello stesso tempo un nome da amici,come poteva a tali soldati dettare il cuore dopo tale e gi tanta societ d'armi:come un di loro, Francesco, doveva un giorno, lontan da tutti e cos lontano,interpretarlo scrivendo: La Compagnia di Ges non che una Compagniad'amore.

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    IX

    BOLOGNA E ROMA

    Francesco ebbe in sorte, col Bobadilla, l'universit di Bologna. Egli vigiunse sulla fine di ottobre, e non fu certo senza una forte commozione ch'eglicondusse i suoi passi, in cerca d'anime da conquistare al Signore, l dove suopadre aveva studiato per aprirsi una bella strada nel mondo col titolo didottore in decreti.

    La sua prima visita fu a un grande compatriotta, presso il quale anchesuo padre doveva essersi recato pi volte durante i suoi studi: fu a sanDomenico, il campione, il drudo, l'atleta della fede, il patriarca deipredicatori, che in Calarhuega, nella vecchia Castiglia, aveva visto la luce, e inBologna aveva da circa tre secoli deposto le ossa. Davanti a quest'ossa eglipreg, disse messa, con un ardore che fece stupire tutti i presenti.

    Tra questi era una signora spagnola, terziaria e devota di san Domenico,tanto che per morire vicino a lui era venuta a stare a Bologna. Tocca dallapiet di quel prete, evidentemente straniero, essa gli chiese, insieme a una suaamica e consorella spirituale, Isabetta Casalini, il favore di un colloquio, e neuscirono persuase di aver trattato con un santo.

    Isabetta parl di lui a un suo zio canonico di San Petronio, don GirolamoCasalini, rettore della chiesa di Santa Lucia, e il canonico offr a Francesco e alsuo compagno, per tutto il tempo che sarebbero rimasti a Bologna, la propriacasa e la propria chiesa. Per quanto il suo desiderio fosse di alloggiareall'ospedale, Francesco si pieg alle insistenze del generoso rettore e accettda lui un letto (non la mensa, ch volle viver sempre di accatto), del quale, delresto, fece poco uso, passando abitualmente (come don Girolamo pot spiare)le ore della notte a pregare, a mortificarsi, a dolersi sul crocifisso.

    All'ospedale passava parte del giorno, quella che non passava nellecarceri o negli ospizi o per le strade a predicare. Predicava molto, predicavadovunque fosse gente per ascoltarlo, ed egli stesso si formava, andando, ilproprio uditorio, agitando il cappello e gridando: Venite a sentir la parola diDio!. La lingua, al solito, era quello che poteva esser l'italiano in bocca a unospagnolo vissuto dodici anni a Parigi e una diecina di mesi tra il Veneto e ilLazio, ma la parola era veramente parola di Dio e portava, dalla piazza, allachiesa, al confessionale, all'altare.

    La sua salute fini per accusare, un'altra volta, l'eccesso dello strapazzo,aggiunta anche la particolare rigidezza di quell'inverno, e in una citt comeBologna, dove l'inverno gi di suo rigidissimo. Egli per non se ne diede perinteso, e, senza punto misericordia per s, seguit, con la febbre quartanaaddosso, a esercitar verso gli altri ogni specie d'opere di misericordia,cominciando da quella di curare i malati. Si possono immaginare leconseguenze: allorch, verso Pasqua, egli lasci Bologna per ricongiungersico' suoi a Roma, parve legittimo domandarsi se vi sarebbe arrivato, e, quandolo videro arrivare, i suoi credettero di vedere un cadavere.

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    Nessuno di loro, veramente, mostrava d'essersi risparmiato, comeneppure d'essere stanco o di desiderare il riposo. Riunitisi, in Roma, a Iigo eai suoi e aiutanti nella settimana di Pasqua, che nel 1538 cadde il 25 di aprile,ai primi di maggio eran di nuovo, con tutte le loro forze, o meglio con tutta laloro volont, al lavoro.

    Ottenuta, il 3, dal cardinale Gian Vincenzo Carafa - che governava lacitt a nome del papa, partito per Nizza il 23 marzo a vedere di rifar la pacetra Carlo V e Francesco I - la pi ampia licenza di predicare e amministrare isacramenti, essi se ne valevano senza indugio per indire e tenere in settechiese di Roma un corso di missioni, che riusc frequentatissimo e ricco difrutti, quantunque fatto, rispetto alle tradizioni romane, fuor di stagione.

    Nonostante le condizioni del suo organismo, Francesco partecip, cometutti gli altri, alla buona battaglia.

    La chiesa di San Lorenzo in Damaso fu il suo quartiere, e suo compagnodi fatiche fu il Favre, il suo primo amico, il suo salvatore di Parigi.

    L'ipotetico pericolo che la giovane Compagnia s'insuperbisse dellabuona accoglienza ricevuta in Roma a queste sue prime prove fu risparmiatoai suoi gregari dalla burrasca che si abbatt su di loro, in quei medesimigiorni, in forma di calunnie, circa le loro dottrine e i loro costumi, direttespecialmente contro la persona del loro capo, il Loyola, il quale, in verit, c'eraabituato. Promotori ne furono gli amici molto potenti di un molto celebrepredicatore di quel tempo, l'agostiniano Agostino Mainardi detto ilPiemontese, di cui i Romani avevan finito or ora di ascoltare, inSant'Agostino, il quaresimale.

    Il parlare di questo frate non era purtroppo, teologicamente, cos preciso,quanto era eloquente, ed tutto dire ch'egli fin, cacciato dall'Ordine che sen'era tanto gloriato, pastore di una comunit protestante. Dell'eterodossia dicerte sue affermazioni nessuno si era ancora accorto o si era voluto far caso,quando alle sue prediche cominciarono ad andare i preti del Loyola. Menoattenti alla forma che alla sostanza del suo dire, essi avvertirono subito, neisuoi sermoni, il sapore dell'eresia e cercarono, senza farne uno scandalo, dimettere in guardia chi ne poteva aver danno: primo, come sembra, lo stessopredicatore. Alla loro carit, alla loro prudenza, i partigiani del frate -partigiani fino all'apostasia - risposero appunto con la calunnia, creata contutta l'improntitudine e spinta con tutto il clamore che fu loro possibile.Pigliando a testimone un tristo soggetto, vecchio nemico del Loyola, essirappresentarono al governo e al pubblico come tante condanne per motivo dieresia tutte le inchieste che il Loyola aveva subito e vinto in Spagna e a Parigi,n si contentarono, naturalmente, di questo.

    Era l'ottavo processo per cui il Loyola si ritrovava a dover passare nellasua carriera, ed era senza dubbio il pi serio, per troppe e troppo evidentiragioni. Egli lo affront, con la calma che gli veniva dalla tranquilla coscienza,dall'aver raffinato a Dio ogni sua causa, e anche, un po', dalla pratica cheaveva ormai di tali faccende. Non fu colpa dei suoi nemici se l'affare dur ottomesi. Visto come si mettevan le cose, essi lo avrebbero anche troncato a

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    mezzo, e quasi in principio, ossia dal momento che il testimone bugiardo sisbugiard da se stesso, se, prendendo l'iniziativa, il Loyola non avesse chiesto,e quasi imposto, alle autorit, un esame a fondo dell'accusa, e, non contentodella ritrattazione fatta dagli accusatori medesimi, non avesse fatto e brigatoperch la causa fosse portata fino al papa, al quale and infatti, tornato che fuPaolo III da Nizza, e dal quale fu risoluta nella maniera pi soddisfacente pergli accusati, pi degna della loro innocenza.

    Tra i documenti giunti durante l'inchiesta al governatore di Roma sitrovava una lettera del vescovo Agostino Zanetto, vicario generale esuffraganeo di Bologna, nella quale l'ortodossia, l'onest, la piet, lo zelo diFrancesco Saverio erano oggetto degli elogi pi ampi. Bologna difendeva cosuno dei dieci, per il quale la causa cosi finita aveva avuto, oltre ai comuni, ungrande motivo di dispiacere particolare. Il disgraziato della cui falsatestimonianza gli accusatori s'eran serviti non era altro, infatti, che il martinetavuto gi da lui come domestico a Santa Barbara, Michele Landivar detto ilNavarrino.

    Egli ebbe anche a soffrire per parte di una sua penitente, un'indegna,una sciagurata che volle forse vendicarsi di non averlo potuto tirare al maledenunziandolo come suo complice nel male da lei commesso con altri che nonpot rimaner nascosto... Fu probabilmente sotto l'impressione di questo cheuna notte, mentr'era di guardia a un suo compagno malato, Francesco fu vistoalzarsi di scatto dalla stuoia su cui s'era assopito e gridare e gestire come arespingere da se un nemico, versando sangue dalla bocca e dal naso.Interrogato, infatti, pi tardi, dal medesimo testimone, su questo fatto, egliconfidava di aver sognato che una donna, trovandosi lui in un albergodurante un viaggio, gli s'era avvicinata con intenzioni peccaminose, e tale erastato il suo orrore che una vena del petto gli s'era rotta nello sforzo discacciare l'immaginaria tentatrice.

    Con molta pi soddisfazione che non fino ad allora a difendersi (e nonera stata questa l'unica o principale loro cura, negli otto mesi che si trascin lafaccenda) i Compagni attesero, nell'inverno 1538-1539, all'assistenza,materiale e spirituale, degli affamati che la carestia, giunta sul Lazio indicembre insieme a una straordinaria precipitazione di nevi e di piogge, fece ocondusse in Roma da tutti i paesi dell'agro. Pi di tremila poveri furonoalloggiati, sfamati, messi al riparo dal freddo, da essi che pur vivevan diaccatto e dovevano, nello stesso tempo, prodigarsi in tanti altri uffici,spontaneamente assunti o commessi loro dal papa, al quale s'erano di nuovoofferti sul finire dell'anno.

    La fama del loro zelo aveva intanto camminato, e diversi vescovi lichiedevano al papa per questa o quella necessit della loro diocesi. Prima disepararsi tra loro, essi si posero il grave problema della forma definitiva dadare alla loro associazione, e, sotto la guida d'Iigo, riservando al deliberare leore della notte per lasciar tutte quelle del giorno all'assistenza dei bisognosi,iniziarono, verso la met di marzo del 1539, quel lavoro di meditazione,d'intesa vicendevole e di negoziati esteriori che doveva di l a sedici mesi, il 27

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    fatto prender la via dei mare: gi partito, con la mia gente e i miei bagagli, eallogger in casa mia, a Lisbona, finch non piacer a Vostra Altezza didisporre di lui. Egli ha per compagno un prete italiano che si prepara adabbracciare lo stesso genere di vita. Quanto al castigliano, egli verr con meper via di terra.

    Il portoghese, reduce da Siena e gi in viaggio - dal 5 marzo - perLisbona, era Simone Rodriguez, gi borsista del re nel collegio di SantaBarbara; e il suo compagno italiano era un giovane umile prete (la sua umilt,che gli fece sempre dire di non aver nessun cognome, fa che ne sappiamosoltanto il nome), Paolo, da Camerino, venuto da poco alla Compagnia con lavolont di esservi piuttosto un servo che un confratello degli altri, e con talevolont offertosi al Loyola per l'India il giorno avanti che il Rodriguezs'imbarcasse, a Civitavecchia, per l'Occidente. Il castigliano, che dovevaandare per via di terra insieme all'ambasciatore, era il Bobadilla. Richiamatoappositamente da Napoli, dove si trovava in missione, egli era venuto senzaindugio, per quanto mai ridotto di forze da un lungo periodo di febbrimaligne prese nel recarsi all'isola d'Ischia, ma, appena messo il piede inRoma, egli ricadeva malato: e Francesco Saverio riceveva, oggi per domani,l'ordine di sostituirlo.

    Egli spese le poche ore che gli restavano nel mettere insieme la sua roba- pochi poveri panni, il breviario e un altro solo libro, Marci Maruli opus dereligiose vivendi institutione per exempla -, ordinare i suoi affari, salutare i suoiamici (Filippo Neri fu certamente tra questi), ottenere la benedizione del papa(che lo ricev con grande amore e lo mun di larghi poteri), redigere tredocumenti, da lasciar per quando che fosse nelle mani dei suoi confratelli: lasua adesione alle future Costituzioni, la formula dei suoi voti di povert,castit e ubbidienza, la sua scheda (non occorre dir con che nome) perl'elezione del preposito generale.

    E venne il momento doloroso. Con una voce che si sforzava invanod'esser la solita, Iigo diede al suo missionario i suoi ultimi consigli, gliraccomand la corrispondenza. Poi si abbracciarono, certi tanto l'uno chel'altro che non si sarebbero mai pi veduti quaggi. E uno di essi parti.

    Presero per via Flaminia verso Loreto, dove giunsero il 21 marzo,domenica delle Palme.

    I cinque giorni passati insieme eran bastati per guadagnare a Francescol'affetto dell'ambasciatore e di tutto il suo seguito, per i quali il viaggio erastato - e doveva esser sino alla fine - un vero corso di missioni, predicatesoprattutto a base di esempi. Esempi d'umilt, di semplicit, di spirito disacrifizio, nel desiderio, espresso invano dal missionario a don Pietro almomento della partenza, di fare a meno del cavallo messo a sua disposizionee compiere il tragitto a piedi mendicando il suo pane. Esempi di carit, dibont, nella sua continua attenzione di risparmiare ai servi, sostituendosi aloro, qualche fatica, intorno agli uomini come intorno alle cavalcature;nell'offrir che faceva spesso la propria bestia a chi ne aveva una menocomoda; nella cordialit con cui partecipava ai vari discorsi, ridendo e

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    scherzando per tenere innocentemente allegri i propri compagni. Esempi dipiet, nel raccoglimento in cui sapeva, a suo tempo, lungamente appartarsiper attendere alla meditazione e alla preghiera. La conclusione fu che, appenasceso a Loreto, egli si dovette mettere a confessare, e quasi tutti, cominciandodall'ambasciatore, passarono davanti a lui, per poi fargli corona intorno nellacappella della Madonna, dove celebr e li comunic.

    La medesima scena si ripet, ancora a Loreto, dove si trattennero pertutta la Settimana Santa, il giorno di Pasqua; e si ripet quasi a ogni fermata intutto il resto del viaggio. Per la via stessa, accadeva che qualcuno si accostassein un certo modo, ch'egli capiva subito, a padre Francesco, e padre Francesco,smontato subito da cavallo, ascoltava, proseguendo a piedi con lui un po'discosto dagli altri, la sua confessione.

    A Loreto, il giorno di Pasqua, gli giunsero, per il corrieredell'ambasciatore, le prime lettere d'Iigo. Quale gioia egli ne provasse, nontrovava, nella sua risposta, le parole per descriverla: Dio lo sa, egli diceva. Eaggiungeva, l'antico segretario dimentico dell'uso del fuoco: A, cos, tantumper lettere che noi potremo ormai vederci, come ho paura, in questa vita:nell'altra soltanto facie ad faciem, e con quanti mai abbracciamenti! Finchdurer quello che ci resta della vita presente, visitiamoci spesso per lettera.cos che io far.

    Lasciata, subito dopo Pasqua, la citt della Madonna, la comitiva siriferm per qualche giorno a Bologna, con grande commozione e allegrezzadei Bolognesi, che non s'eran mai potuti scordare del loro missionario e glimanifestarono il loro affetto non lasciandolo mai beneavere un momento. Ilbuon canonico Casalini era sempre l, e lo rivolle in casa sua - ritogliendoloper questo dall'albergo dell'ambasciatore -, dove le visite furori tante chebisogn far d della notte. Il giorno non bastava infatti a contentar tutti quelliche volevano esser da lui confessati, comunicati, benedetti: il pigiapigia,intorno al confessionale e all'altare, cominciava alle ore piccine e finiva, omeglio allentava, alle ore piccine. Era certamente una gran fatica, ma erasoprattutto una grande consolazione per lui: i suoi occhi, mentre si voltava,dall'altare, per dir Dominus vobiscum, tradivano ch'egli piangeva.

    Da Bologna, accompagnato per un lungo pezzo di strada da una folla dique' suoi affezionati, che non avrebbero mai voluto staccarsi (sapevano infattich'era per sempre) da lui, e ce n'eran che lo pregavano di portarli con s inIndia, Francesco prosegu con l'ambasciatore, per Modena e Reggio, versoParma, dove giunsero il venerd 2 aprile. Questa tappa era desiderata daFrancesco, come quella che gli avrebbe concesso di rivedere, ancora una volta,il dilettissimo tra i suoi amici, il suo Pietro Favre, che vi si trovava in missioneda una diecina di mesi. facile immaginar la premura con cui ne chiese,appena messo il piede in terra e il dolore con cui apprese che il padre Pietroera partito quel giorno stesso per Brescia. Chi dicesse ch'egli fece subitoofferta a Dio di questa amara delusione, direbbe una cosa pi edificante chevera. La verit, infatti, ch'egli pens di andargli dietro fino a raggiungerlo,dovunque fosse, e abbracciarlo, l'ultima volta, il suo primo amico, il suocondiscepolo e concamerista di Santa Barbara. La rassegnazione venne in un

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    secondo momento, quando l'ambasciatore e i compagni cominciarono asconsigliarlo. Ed egli si arrese: n vide pi in vita sua l'amico del cuore.

    Non sappiamo in quante e quali altre tappe si segmentasse il lungoviaggio, che per Francesco fu tutto viaggio di addio: addio all'Italia dei suoifervori, delle sue prime fatiche apostoliche; addio alla Francia dei suoi studi,della sua prima giovent; addio alla Spagna dei suoi cari, del suo castello,della sua fanciullezza... Sappiamo ch'egli lo pass tutto benefacendo, con taleamore, con tale dedizione di s, che i suoi compagni eran persuasi dicamminar con un santo e non dubitaron di attribuire alla sua presenza, allesue preghiere, la liberazione da varie disgrazie che avrebbero potutofunestare la comitiva.

    Don Pietro, l'ambasciatore, si considerava obbligato a lui, dopo che aDio, se un suo scudiere, travolto per lungo tratto dalla corrente di un grossofiume che nella sua testardaggine aveva tentato di attraversare, se l'era cavatasolo con la paura e i panni bagnati... La paura era stata veramente parecchia,perch si sa che l'uomo non fece altro, da allora in poi, che parlar del suo casoe raccomandare a tutti di star preparati, discorrendo con una tale efficaciadelle pene della vita futura che si sarebbe detto ch'egli le avesse provate.

    Qualche cosa di simile, alle pene della vita futura, dovette provare ilsegretario di don Pietro a un certo passo delle Alpi, nel quale fuinnegabilmente preziosa la presenza di padre Francesco. Colpa sua o dellabestia che cavalcava, accadde infatti al pover uomo di ritrovarsi, dopo untremendo scivolone gi da un nevaio, sospeso per il vestito alla sporgenza diuna roccia su un precipizio a pi dei quale schiumeggiava un fragorosotorrente. Mentre i compagni, che non lo vedevano pi, si chiedevano disperatidove mai fosse andato a fermarsi e come fare a salvarlo, Francesco si calavaarditamente nel precipizio e ritirava su il poveretto, al quale probabilmentemanc per parecchio tempo il fiato di raccontare il suo caso.

    Un'altra volta fu il furiere che dovette ringraziar Dio della presenza diFrancesco tra il seguito dell'ambasciatore. Approssimandosi la notte, egli siera avvantaggiato, come di solito, sulla comitiva, per provvedere gli alloggi, egaloppava a tutta forza, non tanto spronato dalla fretta quanto dalla rabbiache aveva in corpo contro il padrone, dal quale aveva avuto un momentoprima una solenne risciacquata. Altrettanto velocemente gli andava dietro,senza ch'egli lo sapesse, Francesco, spronato dal desiderio di placarne ilrisentimento con qualche buona parola che gli avrebbe detto quando lo avesseraggiunto. Era appunto per raggiungerlo, quando il furiere, che sfogava acalci contro il cavallo la sua rabbia, per una strada Punto adatta allo scopo,precipit con la bestia gi da una roccia e si ritrov mezzo morto, tra per lospavento e la botta, sotto il cavallo morto del tutto, dove avrebbe fatto inbreve l'identica fine se Francesco non lo avesse a tempo liberato e soccorso.Inutile dire che i consigli di mitezza, impartitigli a cose sicure dal missionario,produssero in lui il massimo effetto.

    N si deve considerare un salvataggio meno importante, se menoscenico e di tutt'altro ordine, quello di cui gli fu sempre grato il nobile Filippo

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    de Aguiar, che, pieno di giovent, di soldi e di vizi, accompagnava perdiporto l'ambasciatore del Portogallo. Cammin facendo, raccontava eglistesso, feci la conoscenza di maestro Francesco, ed egli mi dimostr ungrande affetto: cercava la mia compagnia e mi allargava il cuore, mentre siandava cos insieme, con la sua onesta gaiezza. A poco a poco, egli venne aparlarmi di confessione generale e fin per indurmi a farla. La feci a lui stesso,e con grande soddisfazione, in una chiesa che s'incontr sulla via. Dopo, iofui, grazie a Dio, un altr'uomo. E aggiungeva: vero che maestro Francescoaveva un talento straordinario d'imprimere nelle anime il timor di Dio: io losentivo spandersi in me mentr'egli mi confessava. Fu allora che, per la primavolta in vita mia, io capii che cosa significa esser cristiani.

    Quel tanto di umano sfuggito a lui in Parma nel desiderio di rivederl'ultima volta un amico, sarebbe stato da lui pi che scontato al suo passaggioper la Navarra, se fosse vero ci che raccontano i suoi primi biografi, ch'egliavrebbe di proposito evitato Xavier. La leggenda porta invece ch'egli lo vollerivedere, dopo tant'anni, il suo paese, il suo castello, la chiesa dove unavesticciola ancor bianca ricordava ancor la sua nascita, e due tombe i suoigenitori. Essa narra che, rimessosi in via, egli si volse ancora, prima che unaltro passo glielo nascondesse per sempre, a guardare Xavier, e l'altura da cuifu dato quest'ultimo sguardo prese da quello sguardo il suo nome: Peas del ADios.

    La pena dell'addio, del suo ultimo addio al passato, fu forse lenita alpellegrino dalle accoglienze ch'egli dovette ricevere, giunto poco dopo aLoyola, dalla famiglia d'Iigo. Come Francesco aveva fatto con lui alcuni anniprima, Iigo aveva dato all'amico una lettera di presentazione al fratello, donBeltrano, nella quale il destinatario era pregato di considerare il latore unacosa sola col mittente: ed facile immaginar le premure di cui egli fucircondato, tenuto anche conto di dove andava, non che di dove veniva.

    Due cuori lo aspettavano ormai, coi battiti dell'impazienza, all'ultimatappa del suo viaggio europeo. Simone Rodriguez e l'umile prete italianosenza cognome, scesi a Lisbona gi il 17 di aprile, venivano informati ai primidi giugno del prossimo arrivo del confratello da un dispaccio che ilMascarenhas aveva spedito al re dal confine: e il loro desiderio diriabbracciarlo non era paragonabile che col suo di fare altrettanto con loro.

    L'incontro avvenne, dopo un viaggio durato pi di tre mesi, verso lamet di giugno, e ne descriveva Francesco stesso il primo effetto, nella letteracon cui avvisava i padri di Roma: Il giorno che arrivai a Lisbona vi trovaimaestro Simone sul punto d'essere assalito dalla sua quartana. Il mio arrivogli port tanta gioia, e tanta n'ebbi io a rivederlo, che le nostre due gioie,unite, ebbero la forza di cacciare la febbre, e da quel giorno essa non lo ha piripreso.

    La virt di Francesco ebbe al giudizio di molti il merito ch'egli attribuivaalle due gioie riunite, e non c'era da farsene meraviglia sapendo da qualefama lo avesse fatto precedere la lettera al re dell'ambasciatore, persuasocom'egli era di aver condotto da Roma un santo.

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  • 7/30/2019 Vita di san Francesco Saverio

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    persuasi che in questo, nella penombra di questo, si servisse meglio il Signoreche nella sfolgorante luce di quello. Accettarono invece, e senza esitare,l'incarico dell'assistenza spirituale dei detenuti del Santo Ufizio, e ottennerocon la carit ci che non aveva o non avrebbe mai ottenuto il rigore.

    Uno dei frutti pi importanti di questo loro gran zelo fu il prodursi, ingran numero, di vocazioni all'apostolato, specialmente dopo l'erezionecanonica della Compagnia di Ges, che Lisbona apprese con festa dopo averlacon fervore appoggiata mediante l'opera degli agenti reali a Roma. Il nuovoOrdine, in Portogallo, avrebbe in breve messo insieme il pi grossocontingente di membri, se i due gesuiti, a cui gli aspiranti si presentavano,pronti anche a seguirli nell'India, non avessero proceduto con la massimacautela alla scelta.

    Tra quelli che si dovettero contentare di accompagnarli col cuore fu uncugino di Francesco, e proprio il grande cugino, don Martin de Azpilcueta, ilcelebre dottor Navarro, che l'universit di Coimbra, mediante la sorella del re,Elisabetta di Portogallo, ora imperatrice di Spagna, aveva rapito da un anno aquella di Salamanca. Saputo, da un mercante di Navarra, che il suo parente sitrovava a Lisbona per passare alle Indie, egli, ardentissimo di rivederlo, diaverlo un poco con se, gli scrisse, per invitarlo a venire, non meno di trelettere, tutte piene di affetto, e scrisse, non contento, anche al re, che glielomandasse, promettendogli, in cambio di questa grazia, di far senza stipendiodue lezioni straordinarie, una di materie spirituali e una di diritto canonico oaltra facolt, e aggiungendo che, pi tardi, quando fosse arrivato al suogiubileo di dottore, sarebbe andato anche lui, col cugino, alle Indie. NFrancesco, al punto ormai di separarsi da tutti, avrebbe meno desiderato diriabbracciare, l sull'ultima sponda, chi sembrava esser venuto l per recargli,coi suo nome e il suo sangue, quasi il saluto di sua madre: e gi,rispondendogli, rimetteva a quel momento il pi delle cose da dirgli, da dirsitra loro, ma quel momento, il perch ci