UMBRIA - Diagnostica Beni Culturali · 2019-01-20 · 1.1.2.1 Il Sistema Informativo Territoriale...

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137 UMBRIA PATRIMONIO CULTURALE A RISCHIO Esperienze e proposte per una politica di prevenzione LABORATORIO DI DIAGNOSTICA PER I BENI CULTURALI

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UMBRIAPATRIMONIO CULTURALE A RISCHIOEsperienze e proposte per una politica di prevenzione

Missione primaria del Laboratorio di Spoleto è, come da denominazione, la diagnostica sullo stato di conservazione dei beni culturali.

In particolare vengono svolte indagini sistematiche su:

- l’influenza che i fattori ambientali esercitano sui processi di deterioramento dei beni culturali;- i metodi di intervento atti a prevenire e ad inibire alterazioni;- la sperimentazione e ricerca nel settore della conservazione e del restauro dei beni culturali con particolare riguardo alla diagnostica;- la consulenza ed assistenza scientifica e tecnica per le amministrazioni pubbliche nella prevenzione, manutenzione e restauro;- la costituzione di un archivio dei restauri dei beni culturali e la raccolta di documentazione funzionale alla redazione della Carta del Rischio.

Il Laboratorio opera con queste finalità dai primi anni 2000, anche in collaborazione con il Dipartimento di Chimica dell’Università di Perugia; è stato riconosciuto Centro di Eccellenza per la diagnostica e ha accumulato nel tempo una larga esperienza operativa e una dotazione di attrezzature unica nella Regione ed all’avanguardia in Italia.

LABORATORIO DI DIAGNOSTICA PER I BENI CULTURALI

LABORATORIO DI DIAGNOSTICA PER I BENI CULTURALIPiazza Campello 2 - Spoletowww.diagnosticabeniculturali.it

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UMBRIA: PATRIMONIO CULTURALE A RISCHIOEsperienze e proposte per una politica di prevenzione

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UMBRIA: PATRIMONIO CULTURALE A RISCHIOEsperienze e proposte per una politica di prevenzione

a cura diPio Baldi

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© 2018 Laboratorio di Diagnostica per i Beni Culturali di Spoleto

Il presente volume è stato realizzato nell’ambito di un progetto compreso nell’Accordo di Programma Quadro Tutela e Prevenzione dei beni culturali, stipulato nel 2007 tra Ministero dello Sviluppo Economico, Regione Umbria, Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Dipartimento Nazionale della Protezione Civile, finanziato con risorse FSC (Fondo Sviluppo e Coesione).

Hanno collaborato alla ricerca:Laboratorio di Diagnostica per i beni culturali:Paolo Angeletti, Michela Azzarelli, Alceo Mancini, Francesca Nucera.RPA S.r.l.: Omar Cristallini, Enrica Rasimelli, Antonio Borri

Coordinatore generale del progetto e Responsabile del Procedimento:Pio Baldi (Laboratorio di Diagnostica per i beni culturali di Spoleto)

Direttore dell’esecuzione del contrattoAlceo Mancini

Supporto tecnico-giuridico:Loredana Zaccari

Consiglio di Amministrazione del Laboratorio:Pier Marie Gruet, Pio Baldi, Vittoria Garibaldi

Per la collaborazione e la cortese disponibilità si ringraziano la Direzione e lo staff delle seguenti istituzioni:Centro di Protezione Civile Regionale (CPCR); Centro Operativo Beni Culturali del CPCR; Centro Funzionale del CPCR; Sistema Informativo Regionale Ambientale e Territoriale della Regione Umbria; Servizio Geologico e Sismico della Regione Umbria; Curie Vescovili di Città di Castello, Gubbio, Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, Spoleto; Comuni di Citerna, Città di Castello, Fossato di Vico, Gubbio, Monte Santa Maria Tiberina, Montone, Pietralunga, San Giustino, Spoleto; Fondo Edifici di Culto (Prefettura di Perugia).Si ringraziano anche i proprietari dei beni culturali privati sottoposti a schedatura

Si ringraziano inoltre:Servizio Programmazione negoziata e Servizio Valorizzazione delle Risorse Culturali della Regione Umbria

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento totale o parzialecon qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche)sono riservati per tutti i paesi del mondo.

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INDICE

PrEfazionE 7Catiuscia Marini

MISSIONE E ATTIVITà DEL LABORATORIO DI DIAGNOSTICA DEI BENI CULTURALIDI SPOLETOPierre Marie Gruet 9

1. LA CARTA DEL RISCHIO DEL PATRIMONIO CULTURALE Pio Baldi 13

1.1 PREMESSA DI METODO: ORIGINE, FINALITà E PRECEDENTI ESPERIENZE 131.1.1 La Carta del Rischio. Origine e finalità 131.1.2 La Carta del rischio: precedenti esperienze 151.1.2.1 Il Sistema Informativo Territoriale della Carta del rischio (ICR 1992-1996) 151.1.2.2 La gestione dei dati relativi al Terremoto Marche e Umbria (1997-1998) 161.1.2.3 I programmi Archimed e Interreg (1999-2000) 171.1.2.4 Evoluzione del progetto Carta del rischio in Sicilia (2000-2006) 181.2 IL QUADRO DI RIFERIMENTO PROGRAMMATICO DELLA CARTA DEL RISCHIO IN UMBRIA 191.3 PRESTAZIONI TECNICHE DEL PROGETTO 201.3.1 Principali componenti dei servizi realizzati 201.3.2 Attività del progetto 211.3.3 Area di realizzazione del progetto 23

2. INTRODUZIONE GENERALE AL TEMA DEGLI ALGORITMI DI VULNERABILITÀ E RISCHIO Paolo angeletti 27

3. POLO PERIFERICO CARTA DEL RISCHIO DELL’UMBRIA Primi risultati: conoscenza, elaborazione dati e prospettive antonio Borri, omar Cristallini, Enrica rasimelli 31

3.1 INNOVAZIONE TECNOLOGICA PER LA CREAZIONE DI STRUMENTI DI SUPPORTO ALLE DECISIONI 313.2 EVOLUZIONI DEL PROGETTO CdR: AMBITO NEL QUALE SI SVILUPPA IL POLO PERIFERICO DELL’UMBRIA 313.3 CREAZIONE DEL POLO PERIFERICO CARTA DEL RISCHIO IN UMBRIA 403.4 INNOVATIVITà DEI MODELLI 443.4.1 I Livello di approfondimento del Rischio Individuale 463.4.2 II Livello di approfondimento del Rischio Individuale 483.5 I TERRITORI CATALOGATI 49 3.5.1 Comune di Citerna 493.5.2 Comune di Città di Castello 543.5.3 Comune di Fossato di Vico 573.5.4 Comune di Gubbio 603.5.5 Comune di Monte Santa Maria Tiberina 643.5.6 Comune di Montone 673.5.7 Comune di Pietralunga 703.5.8 Comune di San Giustino 723.5.9 Comune di Spoleto 743.6 RISULTATI DELL’APPLICAZIONE DEI MODELLI di I e di II LIVELLO 823.6.1 Vulnerabilità sismica I livello di approfondimento: risultati 833.6.2. Esposizione I Livello di approfondimento: risultati 833.6.3. Danno atteso I Livello di approfondimento di ii livello di approfondimento: risultati 83

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3.6.4. Pericolosità Sismica I e II livello di approfondimento: risultati 843.6.5. Rischio Sismico I Livello di approfondimento: risultati 853.6.6. Vulnerabilità II livello di approfondimento: risultati 853.6.7 Esposizione II livello di approfondimento: risultati 863.6.8. Danno atteso di II livello di approfondimento: risultati 863.6.9. Rischio sismico di II livello: risultati 873.7 CONCLUSIONI 89

4. POLITICHE DI SALVAGUARDIA BENI CULTURALI DEL CRPC DI FOLIGNO Piani di prevenzione e gestione delle emergenze filippo Battoni, alfiero Moretti 99

4.1. Dal sisma Del 1997 all’accorDo Di Programma QuaDro Del 2004 994.2. l’atto integrativo Del 2007 1014.3. conclusioni 103

5. GESTIONE DEI RAPPORTI ISTITUZIONALI SUL TERRITORIO Michela azzarelli, francesca nucera 107

6. ASPETTI GIURIDICI DELL’APPALTO “CARTA DEL RISCHIO” TRA REQUISITI SPECIALI E CRITERI DI VALUTAZIONE Loredana zaccari 109

APPENDICE 1: SCHEDA SANITARIA 113

A1.1 Scheda Sanitaria – Tracciato anagrafico-Identificativo 113A1.2 Scheda Sanitaria – Tracciato anagrafico-Patrimoniale 114A1.3 Scheda Sanitaria – Tracciato di vulnerabilità conservativa 117

APPENDICE 2: MODELLO DI RISCHIO DI I LIVELLO 119

A2.1 Modello di Vulnerabilità sismica, alluvioni e frane - I Livello di approfondimento 119A2.2 Modello di Esposizione- I Livello di approfondimento 120A2.3 Pericolosità- I e II Livello di approfondimento 122A2.4 Modello di Rischio Sismico - I Livello di approfondimento 123A2.5 Modello di Rischio Alluvioni di I livello 124A2.6 Modello di Rischio Frane di I livello 124

APPENDICE 3 : MODELLO DI RISCHIO DI II LIVELLO 127

A3.1 Modello di Vulnerabilità sismica II Livello di approfondimento 127A3.2 Modello di Vulnerabilità Frane - II Livello di approfondimento 131A3.3 Modello di Vulnerabilità Alluvioni - II Livello di approfondimento 132A3.4 Modello di Esposizione di II livello (unico per le componenti sismica-alluvioni-frane) 133A3.5 Modello di Rischio Alluvioni di II livello 134A3.6 Modello di Rischio Frane di II livello 134

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il Laboratorio di diagnostica per i beni culturali di Spoleto, grazie ad un finanziamento regionale, ha realizzato la Carta del rischio del patrimonio culturale per i comuni di: Citerna, Città di Castello, fossato di Vico, Gubbio, Monte Santa Maria Tiberina, Montone, Pietralunga, San Giustino, Spoleto. in questi comuni sono stati sottoposti a schedatura conoscitiva gli edifici vincolati e gli edifici pubblici o di uso pubblico per valutarne la vulnerabilità e cioè la capacità di resistere ad aggressioni esterne quali le frane le alluvioni e, soprattutto, gli eventi sismici.La Carta del rischio, dopo 25 anni dalla sua prima sperimentazione presso l’istituto Superiore per la Conservazione e il restauro di roma, è divenuto ormai uno strumento di conoscenza abbastanza coerente che permette di rilevare lo stato di conservazione di quegli edifici storici che costituiscono una parte così imponente della bellezza e del patrimonio culturale della nostra regione.naturalmente si tratta di una rilevazione speditiva per la necessità di conoscerne i risultati in tempi abbastanza rapidi, ma consente comunque di indirizzare la programmazione degli interventi di manutenzione e restauro, o, quanto meno, di mettere in evidenza quali siano gli edifici meritevoli di attenzione che richiedono ulteriori approfondimenti perché si trovano in condizioni di maggiore rischio.Quando si parla di rischio ci si riferisce alla debolezza dei fabbricati e quindi alla loro fragilità strutturale in caso di terremoto, ma anche al pericolo determinato dal fatto che alcuni edifici ospitano funzioni che presuppongono la frequentazione di un alto numero contemporaneo di persone (chiese, scuole, teatri, cinema, ecc.) e che quindi devono essere prioritariamente messi in sicurezza perché la minaccia sismica potrebbe avere su di essi effetti devastanti per l’incolumità delle persone.insomma la Carta del rischio è il tipico strumento di supporto alle decisioni, che, sulla base di informazioni multisettoriali, consente ai responsabili

PrEfazionE

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politici e amministrativi di motivare le priorità delle scelte di intervento e della allocazione delle risorse finanziarie.i risultati del lavoro svolto, depositati presso il Centro della protezione civile regionale di foligno, possono costituire un primo importante passo verso la estensione della catalogazione che, messa ormai a punto la metodologia tecnica, può più facilmente essere estesa a tutto il territorio regionale per rendere uniforme su di esso il sistema di supporto alle decisioni.

Catiuscia Marini

Presidente della regione Umbria

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Catiuscia MariniPresidente della regione Umbria

Il Laboratorio di diagnostica per i beni culturali di Spoleto è stato creato in seguito a una Convenzione firmata nel 1996 da MiBAC, Regione Umbria e Comune di Spoleto per il recupero e la rifunzionalizzazione della Rocca Albornoziana di Spoleto. Formalmente costituito nel dicembre 2005 ne sono soci il MiBACT, la Regione Umbria, il Dipartimento di Chimica dell’Università di Perugia e il Comune di Spoleto. Con Protocollo del 22 novembre 2007 il MiBACT ha riconosciuto inoltre il Laboratorio quale Centro di eccellenza per la Diagnostica.Nello stesso tempo il Laboratorio veniva inserito quale uno dei perni fondamentali di una filiera “Protezione civile per i beni culturali” che la Regione Umbria costituiva in seguito agli eventi sismici del 1997 e che veniva finanziata e realizzata attraverso due Accordi di Programma Quadro (2004 e 2007) sottoscritti dall’allora Ministero dello Sviluppo economico, dal Ministero per i beni e le attività culturali, dal Dipartimento nazionale delle Protezione Civile e dalla Regione Umbria.Le finalità istituzionali del Laboratorio riguardano:

- lo svolgimento di indagini sistematiche su: a) l’influenza che i fattori ambientali, sia naturali che accidentali, esercitano sui processi di deterioramento dei beni culturali; b) i metodi di intervento atti a prevenire e ad inibire alterazioni;- la sperimentazione e ricerca nel settore della conservazione e del

restauro dei beni culturali con particolare riguardo alla diagnostica;- la consulenza ed assistenza scientifica e tecnica per le amministrazioni

pubbliche nella prevenzione, manutenzione e restauro;- la costituzione di un archivio dei restauri dei beni culturali e la raccolta

di documentazione funzionale alla redazione della Carta del Rischio.

Tali attività si caratterizzano, in particolare, sul versante delle indagini

MISSIONE E ATTIVITà DEL LABORATORIO DI DIAGNOSTICA DEI BENI CULTURALI DI SPOLETO

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non invasive effettuate in situ con strumentazioni portatili tecnologicamente all’avanguardia, con approccio multi-tecnica, applicabile a tutti gli aspetti di conoscenza dello stato di conservazione delle opere d’arte di varie tipologie materiche, nonché all’analisi e valutazione delle condizioni ambientali di conservazione, con la messa a punto di procedure e tecniche rivolte sia a situazioni di gestione ordinaria del patrimonio che a situazioni di emergenza.Il lavoro illustrato nella presente pubblicazione rientra nei progetti costitutivi del succitato Accordo di Programma Quadro del 2007 che prevedeva in particolare per il Laboratorio di diagnostica di Spoleto la realizzazione di tre linee di attività:

- conoscenza dello stato di conservazione e della vulnerabilità del patrimonio finalizzata alla rilevazione e valutazione dello stato di vulnerabilità e di rischio del patrimonio di edifici storico-monumentali siti nel territorio della Regione Umbria nell’ambito della costruzione della Carta del rischio per l’Umbria (845 monumenti rilevati e valutati);

- tutela conservativa e manutenzione programmata finalizzata alla movimentazione, pronto intervento e ricovero in adeguate condizioni di custodia e conservazione, dei beni (circa 1300 oggetti e 54.000 volumi) allora ancora collocati nei depositi predisposti in seguito agli eventi sismici del 1979 e 1997;

- sviluppo e sperimentazione di prassi, procedure e tecniche in ambito di diagnostica - prevenzione - conservazione finalizzata ad approfondire, con attività di ricerca e sperimentaz ione, le conoscenze generali in campo diagnostico e a rafforzare contemporaneamente le capacità d’intervento e le competenze dello stesso Laboratorio.

Sono le attività e i risultati della prima di queste linee (“conoscenza dello stato di conservazione e della vulnerabilità del patrimonio”), rientranti esplicitamente nelle finalità istitutive del Laboratorio sopra citate, che vengono presentati in questa pubblicazione.Come verrà ampiamente illustrato nelle varie relazioni componenti la pubblicazione, l’insieme delle operazioni amministrative, progettuali e tecniche necessarie alla definizione ed esecuzione delle varie fasi di lavoro sono state portate a compimento nell’ambito di un complesso processo realizzativo che ha visti impegnati sia competenze interne al Laboratorio

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Pierre Marie Gruet Presidente del Laboratorio di Diagnostica di Spoleto

che operatori esterni qualificati selezionati con apposito procedimento di gara. In particolare l’insieme del lavoro di definizione degli standard tecnici e dei parametri di rilevamento delle informazioni, la progettazione generale delle operazioni da mettere a gara e l’articolazione organizzativa delle varie fasi di esecuzione, nonché il loro recepimento in un apposito procedimento giuridico-amministrativo reso particolarmente delicato dalle complesse interrelazioni delle differenti componenti progettuali ed esecutive, sono stati effettuati con risorse interne al Laboratorio, insieme al lavoro di supervisione generale. L’attività di rilevamento e elaborazione dei dati, la definizione degli algoritmi finalizzati al calcolo degli indici di rischio e di vulnerabilità, il coordinamento operativo delle varie fasi esecutive e la predisposizione del data-base finale sono stati effettuati dall’operatore esterno RPA Srl vincitore di gara, compresa l’attività di formazione delle squadre di rilevazione cui ha partecipato anche il Laboratorio.

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1.1. PREMESSA DI METODO: ORIGINE, FINALITà E PRECEDENTI ESPERIENZE

1.1.1. La Carta del Rischio. Origine e finalità

La Carta del rischio del patrimonio culturale contiene nel proprio DNA la sintesi più innovativa del concetto di conservazione sviluppatosi in Italia verso la fine del secolo scorso come razionalizzazione evoluta delle indicazioni metodologiche messe a punto dall’Istituto Centrale del Restauro (ICR), oggi Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro (IsCR).

La Carta del rischio non è altro che una applicazione sistematica del concetto di restauro preventivo messo a punto da Cesare Brandi (già fondatore dell’Istituto Centrale del Restauro), che lo formulò all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso1. Esso consiste in un superamento del concetto di restauro inteso come intervento diretto sull’opera d’arte. In altri termini il restauro direttamente effettuato sull’opera artistica, architettonica o archeologica viene ad essere considerato l’ultimo dei rimedi ragionevolmente attuabili. Si dà invece importanza alla molteplicità dei piccoli frequenti interventi di manutenzione programmata, che hanno il vantaggio di non provocare danni invasivi all’opera e si dà contemporaneamente grande rilievo alle attività di prevenzione dei danni. La prevenzione è qui intesa come mitigazione e allontanamento dall’opera d’arte delle azioni e delle condizioni ambientali che possono minacciarne la conservazione. Si tratta di azioni aggressive di tipo meccanico o più spesso di tipo termoigrometrico (condizioni sfavorevoli per quanto riguarda temperatura, umidità, velocità o inquinamento dell’aria), ma ci si riferisce anche ad azioni macroinvasive quali i terremoti, nei cui confronti la prevenzione consiste nel mantenimento di un ragionevole buono stato di conservazione delle strutture e nella esecuzione di piccoli interventi mirati di miglioramento antisismico. Sono analogamente applicabili azioni preventive nei confronti di altri eventi geologicamente aggressivi quali, ad esempio, le frane o le alluvioni.

Negli anni ’70 l’approfondimento e le elaborazioni di Giovanni Urbani,

1.LA CARTA DEL RISCHIO

DEL PATRIMONIO CULTURALE

Pio Baldi

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allora Direttore dell’ICR, hanno portato allo sviluppo del “Piano Pilota per la conservazione programmata dei beni culturali in Umbria” (1975), definendo in maniera metodologicamente dettagliata, il tema della conservazione pianificata del patrimonio culturale.

Ancora con Urbani, nell’ambito della stessa linea di metodo, l’ICR presenta nel 1981 una mostra sulla ‘Protezione del patrimonio monumentale dal rischio sismico’ e successivamente, nel 1987, il concetto di restauro preventivo si sviluppa ulteriormente attraverso l’iniziativa Memorabilia: il futuro della memoria2 seguita dalla redazione di un primo documento dal nome ‘Carta del rischio del patrimonio culturale’3.

Da queste premesse parte l’elaborazione progettuale della Carta del rischio che, con la legge 19 aprile 1990, n. 84. ‘Piano organico di inventariazione, catalogazione ed elaborazione della Carta del rischio dei beni culturali, anche in relazione all’entrata in vigore dell’atto unico europeo: primi interventi’4, diviene uno strumento da utilizzare da parte dello Stato per la tutela, la salvaguardia e la conservazione del patrimonio culturale italiano.

La stessa legge, in particolare, al comma 4 dell’art. 3, attribuisce all’Istituto Centrale per il Restauro il compito di elaborare una carta conoscitiva aggiornabile della situazione di rischio dei beni culturali ed all’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione il compito di avviare un piano organico di inventariazione degli stessi beni5. La legge inoltre stabilisce che i dati risultanti dalle iniziative promosse debbano obbligatoriamente essere allegati ad ogni progetto di recupero di immobili o aree, di singoli beni mobili, di complessi o collezioni e debbano essere utilizzati per la redazione della strumentazione urbanistica, definendo perciò un indirizzo chiaro e normato sulle politiche di tutela del patrimonio culturale.

Come spesso accade, le intenzioni e i programmi enunciati nella legge 84/90 travalicavano largamente la potenzialità realizzativa connessa con i finanziamenti resi disponibili, cosicché il piano organico di inventariazione dei beni culturali, nonché la Carta del rischio pur avendo ricevuto spunto dalla legge, sono tuttora in via di rielaborazione e di completamento.

Il sistema Carta del rischio permette di acquisire dati, analizzarli e studiare metodologie per gestire informazioni riferite al territorio ed al patrimonio su di esso diffuso. In particolare, per quanto concerne il territorio, nel sistema vengono acquisite, sistematizzate ed elaborate le informazioni e le cartografie relative ai fenomeni naturali e a quelli di origine antropica ritenuti potenziali fattori di pericolosità, che investono la conservazione materiale dei monumenti intervenendo nei loro processi di degrado.

Nel dettaglio la Carta del rischio si basa su un Sistema Informativo Territoriale che funziona attraverso la sovrapposizione di cartografie informatizzate a contenuto tematico che, sulla base della pericolosità

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ambientale esistente sul territorio mettono in chiara evidenza le potenziali situazioni di disagio e di pericolo per i monumenti.

Oltre a studiare il territorio e la sua pericolosità, la Carta del rischio ha elaborato strumenti per rilevare la vulnerabilità dei singoli beni culturali utilizzando metodiche già elaborate e consolidate in campo medico attraverso la metodologia statistica.

La componente materica del patrimonio culturale, soggetta ad un processo di degrado causato dai diversi fattori di pericolosità (pericolosità statico-strutturale, pericolosità ambientale e pericolosità antropica), viene analizzata per determinare il livello di debolezza (vulnerabilità) nei confronti di tali fattori. Tale catena di informazioni costituisce un’ottima base per poter mettere in funzione un ‘centro di coordinamento mirato per la protezione del patrimonio culturale italiano’.

Precedenti esperienze operative condotte con le metodiche della Carta del Rischio hanno evidenziato come sia determinante poter usufruire del supporto di dati ed informazioni tecnicamente affidabili e costantemente aggiornabili.

Occorre infine precisare che la determinazione degli indici di vulne-rabilità di ciascun monumento, la loro combinazione con i relativi indici di pericolosità e la conseguente individuazione degli indici di rischio, costituiscono procedimenti scientificamente testati sulla base di metodiche di indagine di carattere esclusivamente probabilistico e non deterministico. Tutti i dati raccolti ed archiviati non avranno quindi valore previsionale diretto, ma faranno parte di un universo di probabilità statistica.

1.1.2. La Carta del rischio: precedenti esperienze

1.1.2.1. il Sistema informativo Territoriale della Carta del rischio (iCr 1992-1996)

La Carta del rischio nella visione prima tratteggiata si è proposta quindi di approfondire e razionalizzare la conoscenza ed il rapporto tra beni e territorio e lo ha fatto attraverso la realizzazione di un Sistema Informativo Territoriale (SIT)6. Il primo SIT della Carta del Rischio è stato realizzato, ad opera dell’Istituto Centrale del Restauro, fra il 1992 e il 1996.

La realizzazione del sistema SIT della Carta del rischio è stata dimensionata utilizzando il singolo monumento come elemento minimo georeferenziabile alla scala dei beni di cui bisogna calcolare il rischio di perdita, ed il Comune di appartenenza come elemento minimo della scala topografica di cui bisogna quantificare i fattori di pericolosità territoriale che si articolano in fattori di pericolosità statico-strutturale (terremoti, frane, alluvioni, ecc.)

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di pericolosità ambientale-aria (inquinamento dalle più diverse fonti) e di pericolosità antropica (che prende in esame i danni provocabili direttamente dall’uomo come furti, vandalismi, abusivismo edilizio, ipertrofia turistica, ecc.).

La Carta del Rischio ha così provveduto alla raccolta sistematica, all’organizzazione e all’informatizzazione, in alcune aree italiane, di un ricchissimo patrimonio di dati che afferiscono a due principali classi:

- dati sulla distribuzione del patrimonio monumentale (schede MARIS);- dati sulla distribuzione dei fenomeni di pericolosità ambientali, statico

strutturali ed antropici.

Nel recupero delle informazioni sono state privilegiate le fonti dei dati che garantivano la diffusione sull’intero territorio nazionale, l’omogeneità, la congruenza dei dati e la loro attendibilità anche in termini di aggior-namento.

1.1.2.2. La gestione dei dati relativi al Terremoto Marche e Umbria (1997-1998)

Il SIT della Carta del Rischio si è rilevato di grande utilità nel momento critico dell’emergenza provocata dal sisma che il 26 settembre 1997 ha colpito le Regioni Marche e Umbria. A poche ore dalla scossa più violenta, il SIT della Carta del Rischio, tracciando una circonferenza di raggio 30 km intorno all’epicentro, ha individuato i Comuni colpiti ed ha fornito tutte le informazioni sulla consistenza, distribuzione, tipologia e localizzazione dei beni presenti in quelle aree territoriali.

Soprintendenti e Vice-Commissari delle due Regioni hanno avuto a disposizione in tempi molto brevi, tutti gli elementi necessari per organizzare ed attivare le squadre di rilevamento e di controllo. Allo stesso tempo è stato possibile fornire il modello schedografico per il rilevamento dei danni subiti dai monumenti, mettendo le squadre in condizioni di operare al meglio, rapidamente e con lo stesso criterio metodologico.

La scheda utilizzata per l’immissione e la gestione dei dati nel sistema contemplava l’acquisizione delle principali misure dei manufatti, della tipologia e gravità dei danni e delle relative immagini. L’insieme delle informazioni, raccolte grazie alla convenzione stipulata fra l’ICR e il Servizio Sismico Nazionale, ha fornito la base per il trattamento statistico dell’intero fenomeno. I dati sui danni subiti dal patrimonio culturale umbro-marchigiano sono stati acquisiti dal SIT Carta del Rischio in tre fasi:

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· l’acquisizione dei dati riguardanti tutti i monumenti interessati dal sisma, circa 3.500, iniziando dai Comuni maggiormente colpiti;

· la georeferenziazione di tutti i beni sulla cartografia digitale di base già esistente nel sistema e acquisizione di ulteriori basi cartografiche di dettaglio delle aree colpite;

· l’avvio di attività sperimentali di gestione delle informazioni, incrociando i dati sui danni, le caratteristiche costruttive dei beni, ecc., con quelli inerenti le caratteristiche geologiche dei singoli siti e i caratteri dell’onda sismica, in collaborazione con il Servizio Sismico Nazionale, il Gruppo Nazionale per la Difesa dei Terremoti, l’Istituto Nazionale di Geofisica.

La disponibilità di misure puntuali e di valutazioni metriche di massima dei danni ha permesso di coadiuvare in maniera fattiva le autorità proposte alla progettazione, alla pianificazione, alla determinazione delle priorità e alla valutazione dei costi nell’attività di competenza. La Banca Dati così costituita permette l’acquisizione e l’elaborazione delle informazioni, l’associazione della scheda agli allegati grafici e fotografici, lo sviluppo di procedure semplificate per l’utilizzo da parte di utenti finali (Uffici dei Vice-Commissari, Soprintendenze, altri organi del MiBAC) che possono interrogare i dati contenuti, accedendo sia dalla base alfanumerica che da quella cartografica.

1.1.2.3. i programmi archimed e interreg (1999-2000)

Nell’ambito delle Azioni Pilota di cooperazione transnazionale in materia di assetto del territorio, finanziate dal FESR, è stato avviato il Programma Mediterraneo Centrale ed Orientale - Grecia e Italia archimed in base al quale l’Istituto Centrale per il Restauro ha promosso la realizzazione di Progetti Regionali volti alla realizzazione di sistemi locali della Carta del rischio in quattro regioni dell’Italia meridionale: Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia (1999-2001).

Parallelamente, sulla base di un altro Programma operativo comunitario, Mediterraneo Occidentale e Alpi Latine MeddOcc – Francia, Italia, Spagna interreg iiC, sono stati avviati Progetti in otto regioni italiane del Centro-Nord: Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana, Sardegna, Umbria, Valle d’Aosta.

I Progetti Regionali, inclusi nei Programmi archimed e interreg, sono stati realizzati in partnership con la Repubblica Greca e con la Regione Spagnola della Catalogna ed hanno avuto come attività principali:

- l’analisi e la realizzazione di tre applicativi Metadata per i dataset esistenti relativi ai beni culturali ed ambientali, ai fattori di rischio ed alla

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cartografia di base;- il censimento di questi dataset relativamente al territorio delle Regioni

Italiane partner del progetto;- il popolamento dei Metadata con i risultati del censimento;- la progettazione dell’acquisizione di dataset utili al sistema Carta del

Rischio per le cosiddette aree campione.

A livello di territorio regionale sono stati censiti tutti i dataset disponibili, sia a livello centrale che periferico. Per un’area di circa cinquanta comuni per Regione, che sono stati definiti dalla commissione tecnica del progetto, è stato eseguito anche il censimento a livello comunale. Infine, per le varie aree campione, una per Regione, è stato approfondito ulteriormente il censimento, selezionati i dati utili al sistema Carta del Rischio e progettata la loro acquisizione.

1.1.2.4. Evoluzione del progetto Carta del rischio in Sicilia (2000-2006)

La Regione Sicilia con il finanziamento della Misura 2.02 Azione B del Programma Operativo Regionale 2000-2006 Asse II – Risorse Culturali e attraverso il Centro Regionale per la Progettazione e il Restauro, ha sviluppato l’evoluzione della Carta del rischio che ha permesso di pervenire alla creazione del Sistema Informativo Territoriale della Carta del rischio della Regione Siciliana, integrando i dati del territorio regionale con quelli elaborati dal Polo centrale ICR e presenti nel sistema di riferimento nazionale.

Lo strumento di base come abbiamo già visto è il SIT che in questa esperienza di evoluzione si è reso consultabile online e che, nel caso della Sicilia e dell’area dello Stretto, ha arricchito le banche dati del sistema ed è stato in grado di erogare il servizio richiesto con particolare riferimento alle azioni che possono nascere in situazioni di emergenza. L’operazione è di grande rilevanza tecnica e scientifica sia per i risultati ottenuti sia perché ha permesso di definire uno studio del territorio regionale per valutarne le condizioni di pericolosità e di monitorare lo stato di conservazione di un primo elenco di beni culturali, per definirne il grado di vulnerabilità.

Lo studio si è occupato dei beni architettonici, beni archeologici, complessi architettonici e contenitori di beni di vario interesse, pervenendo alla stesura di oltre ottomila schede e portando allo sviluppo di un sistema conoscitivo integrato per organizzare la conoscenza della consistenza, distribuzione e pregio del patrimonio culturale siciliano e valutarne le relative condizioni di rischio.

La Sicilia con la chiusura del progetto si è posta all’avanguardia tra le Regioni italiane per la definizione di un sistema di gestione di parte del territorio che è uno strumento di grande utilità per la pianificazione degli

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interventi e per la gestione delle emergenze.è importante rilevare che il SIT, complementare al Sistema Informativo

Generale dell’ICCD (SIGEC), possiede oggi la banca dati nazionale sui vincoli, che oggi conta circa 130.000 decreti di vincolo sui beni immobili sia pubblici che privati emessi a partire dal 1902 fino al 2004/2005.

1.2. IL QUADRO DI RIFERIMENTO PROGRAMMATICO DELLA CARTA DEL RISCHIO IN UMBRIA

Il progetto carta del Rischio in Umbria ha avuto come scopo principale la costituzione di un insieme coerente e sistematico di informazioni in grado di consentire la valutazione dello stato di conservazione e di vulnerabilità di monumenti architettonici siti sul territorio regionale.

L’operazione si inquadra nel processo di costruzione della Carta del rischio del patrimonio culturale regionale e attua parte dell’Accordo di Programma Quadro (APQ) Tutela e prevenzione dei beni culturali stipulato nel 2007 tra Regione Umbria, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero per i Beni e le attività culturali e Dipartimento nazionale della Protezione Civile, e più specificatamente la linea a) Conoscenza dello stato di conservazione e di vulnerabilità del patrimonio del Progetto 1) Sviluppo delle attività di ricerca, valutazione e tutela conservativa previsto da tale APQ e in corso di realizzazione sulla base di un accordo di collaborazione tra il Laboratorio di diagnostica per i beni culturali di Spoleto e la Regione Umbria.

L’attività svolta, come descritto più in dettaglio nel successivo capitolo 3 “Prestazioni tecniche”, riguarda quindi l’attività di rilevazione/organizzazione delle informazioni sullo stato di conservazione dei singoli monumenti e l’elaborazione di specifici algoritmi finalizzati al trattamento dei dati al fine di estrarne specifici indicatori di vulnerabilità e di rischio.

L’impostazione di queste attività, come illustrato nel summenzionato APQ, è fondata in particolare:

1) sui risultati derivanti dalla realizzazione di un Sistema informativo unico per i beni culturali della Protezione civile regionale (SIU) realizzato in particolare con l’integrazione delle banche-dati esistenti in materia di Beni culturali così come previsto dall’intervento A1F_2F_1S di un precedente APQ (15 dicembre 2004) sempre in materia di tutela e prevenzione dei beni culturali;

2) sulla struttura della “Scheda sanitaria” (Appendice 1) e delle relative procedure applicative definite nell’ambito dell’intervento di cui al precedente punto 1);

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3) sullo stato di avanzamento delle rilevazioni delle Soprintendenze sui beni contenitori nonché delle metodologie messe a punto dallo ISCR in merito ai criteri di rilevazione.

Si evidenzia inoltre, a titolo puramente conoscitivo e di inquadramento generale, che l’APQ 2007 precisa che la raccolta e il trattamento del patrimonio di conoscenze, oltre agli aspetti di conoscenza/valutazione dello stato di vulnerabilità e di rischio cui si riferisce specificatamente questo progetto, saranno utili anche per la determinazione di altri output a favore di soggetti competenti (Servizio regionale per la protezione civile dell’Umbria, Uffici periferici del MiBAC) quali:

- Organizzazione del pronto intervento. La individuazione georeferenziata dei beni culturali immobili rilevati

consentirà, al SIU, la redazione di carte tematiche da cui ricavare percorsi preferenziali sia per l’accesso ai monumenti danneggiati, sia per l’avvio alla movimentazione ed al ricovero dei beni mobili in essi contenuti.

- Piani di sicurezza dei contenitori e condizioni per gli interventi di messa in sicurezza dei beni mobili.

Gli edifici a più alta concentrazione di beni culturali “contenuti” così come individuati nella fase di schedatura, presentano più alti coefficienti di rischio per l’elevato grado di valore. Per tali edifici gli interventi conservativi dovrebbero essere attivati con maggiore livello di priorità per proteggere il contenuto oltre che il contenitore:

- Conoscenze utili alla definizione dei programmi di manutenzione.

La sezione storico-anagrafica delle schede di rilevamento consente di analizzare le sequenze cronologiche degli interventi di restauro effettuati sui singoli beni e costituisce quindi una base per la definizione dei futuri programmi di manutenzione.

1.3. PRESTAZIONI TECNICHE DEL PROGETTO

1.3.1. Principali componenti dei servizi realizzati

L’insieme dei servizi realizzati con il progetto si può raggruppare in due principali componenti:

a) una campagna schedografica di rilevamento (comprensiva di diverse attività dettagliatamente descritte al seguente punto 3.2) dello stato

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di conservazione e quindi delle condizioni di vulnerabilità di un ampio numero di monumenti del territorio regionale dell’Umbria. Tale rilevamento è stato effettuato, in coerenza con le linee teorico-metodologiche della Carta del rischio del patrimonio culturale, attraverso l’uso di schede appositamente predisposte (Scheda sanitaria, Appendice 1). Le schede sono state compilate da squadre di tecnici allo scopo organizzate da RPA Srl vincitore dell’appalto. I dati acquisiti con la campagna schedografica sono stati consegnati, da parte della stazione appaltante, alla Regione e vanno, quindi, ad alimentare il sistema SIU.

b) la formulazione di algoritmi per la successiva definizione, da parte del SIU, degli indici di vulnerabilità e di rischio degli edifici rilevati. Al termine del progetto, tali algoritmi sono stati messi a disposizione del SIU che provvederà a tradurli in propri applicativi informatici ai fini della elaborazione degli indici stessi.

1.3.2. Attività del progetto

Le attività di progetto, guidate dal Laboratorio di Diagnostica per i Beni culturali di Spoleto, sono sinteticamente indicate di seguito.

Per quanto riguarda la componente “campagna schedografica”:

a) Organizzazione e realizzazione di corsi di formazione intensiva per gli operatori che hanno poi realizzato la campagna di schedatura. Gli operatori rivestivano le seguenti professionalità tecniche: architetto e/o ingegnere strutturista, storico dell’arte, fotografo, restauratore, operatore informatico. I corsi hanno abilitato gli operatori alla corretta compilazione della Scheda sanitaria in tutte le sue parti.

b) Pianificazione della campagna di rilevamento dei monumenti appartenenti al patrimonio culturale architettonico derivanti dal data base MARIS ISCR secondo gli elenchi suddivisi per comune più avanti allegati. Tali monumenti sono localizzati nei comuni specificati nel successivo paragrafo 3.3. e sono individuati tramite la denominazione e la georeferenziazione con sistema di coordinate (x, y) Gauss Boaga Ovest.

c) Organizzazione di squadre di rilevamento dotate delle professionalità necessarie in funzione delle diverse caratteristiche degli edifici da rilevare e della pianificazione cronologica e logistica della campagna di rilevamento.

d) Attività di rilevazione con compilazione, per ciascuno dei monumenti ricompresi nelle tabelle per Comuni in coda al paragrafo 3 delle 3 sotto-

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schede di cui all’Appendice 1: - anagrafico-identificativa dei beni architettonici - anagrafico-patrimoniale dei beni architettonici - vulnerabilità conservativa dei beni architettonici.

La compilazione delle schede è stata effettuata secondo i campi informativi indicati nella scheda sanitaria e secondo le relative norme di compilazione che costituiscono parte integrante delle schede stesse.

Si specifica che la scheda sanitaria utilizzata è costituita da tre differenti tipi gerarchicamente articolati:

1. scheda individuo: per il rilevamento di un edificio costituito da un singolo corpo di fabbrica;

2. scheda complesso: per il rilevamento sintetico di un insieme di edifici tra loro aggregati costituenti un complesso monumentale;

3. scheda componente: per il rilevamento dei singoli edifici componenti un complesso monumentale.

Quindi nel caso di complessi monumentali sono state compilate sia la scheda complesso sia le singole schede componenti.

L’archiviazione delle informazioni rilevate è stata eseguita con uno specifico data-base che, oltre a consentire la gestione della rilevazione, permette anche il successivo riversamento delle informazioni nella banca dati del SIU.

Per quanto riguarda la componente “algoritmi”:

a) Sono stati elaborati algoritmi finalizzati al calcolo degli indici di vulnerabilità e di rischio di ciascun monumento rilevato nella campagna schedografica, in base alle seguenti indicazioni:

- L’algoritmo per il calcolo dell’indice di vulnerabilità, che esprime lo stato di conservazione di ciascun edificio, è stato ricavato dalla combinazione di informazioni sia sul degrado edilizio, sia sulla presenza e sul degrado di elementi significativi di carattere storico-artistico o decorativo. Tali informazioni sono derivate unicamente dalla compilazione della scheda sanitaria. La elaborazione di questo algoritmo ha prodotto classi progressive di vulnerabilità entro cui riportare la condizione specifica di ogni monumento.

- L’algoritmo per il calcolo dell’indice di rischio, che costituisce anche l’indicatore di urgenza per gli interventi conservativi sul singolo monumento è stato ricavato, per ciascun edificio, dalla combinazione bilanciata tra le

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classi di vulnerabilità di cui sopra e classi di pericolosità territoriale. La pericolosità territoriale, nel sistema Carta del rischio, rappresenta

ed esprime il grado di sicurezza/insicurezza relativo ad ogni zona del territorio, dipendente dalle condizioni del luogo e dai fattori ambientali che in quel luogo possono causare degrado al patrimonio culturale. Anche i diversi livelli di pericolosità territoriale sono stati accorpati, in un limitato numero di classi riguardanti i seguenti fattori di pericolosità: sismico, alluvionale, franoso.

La definizione e l’elaborazione di tali classi di pericolosità è di competenza della Regione Umbria e sarà eseguita sulla base degli specifici dati in possesso regionale che confluiranno nel SIU. Ai fini dell’elaborazione dell’algoritmo dell’indice di rischio il Laboratorio e l’Aggiudicatario si sono raccordati con il responsabile del SIU, Dirigente del Servizio Protezione civile della Regione Umbria.

Per la esecuzione di tali elaborazioni ci si è avvalsi di un analista esperto in statistica metodologica e di un tecnico esperto in valutazioni di vulnerabilità e di rischio per i monumenti, figure professionali di elevatissima qualificazione e esperienza.

1.3.3. Area di realizzazione del progetto

In base al finanziamento disponibile per la realizzazione dell’appalto il Laboratorio di Diagnostica per i Beni culturali di Spoleto ha selezionato, anche in accordo con il Servizio Protezione Civile della Regione, un’area sub-regionale su cui effettuare gli interventi di rilevazione.

Ai fini di tale selezione si sono adottati i criteri seguenti:

a) Contiguità dei territori comunali interessati evitando la zonizzazione a macchia di leopardo allo scopo di ottenere risultati più facilmente organizzabili e gestibili da parte delle amministrazioni coinvolte.

b) Elevata concentrazione di beni costituenti il patrimonio monumentale. c) Elevata sismicità, assumendo che il terremoto costituisca il più influente

tra i fattori di pericolosità territoriale esistenti.d) Esclusione, per quanto possibile, delle aree colpite dal sisma del 1997, per

indagare strutture e complessi monumentali non ancora o non recentemente sottoposti ad interventi di miglioramento antisismico e che quindi si trovino in probabili condizioni di maggiore vulnerabilità sismica.

Dall’integrazione di tali criteri è derivata la scelta di operare nell’area dell’Umbria settentrionale e, precisamente, nei seguenti comuni dell’Alta

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Val Tiberina e dell’Alto Chiascio: Citerna, Città di Castello, Costacciaro, Gubbio, Monte Santa Maria Tiberina, Montone, Pietralunga, San Giustino, con l’aggiunta del Comune di Spoleto, con una presenza di immobili monumentali così ripartita:

CITERNA 51CITTà DI CASTELLO 149FOSSATO DI VICO 43GUBBIO 240MONTE SANTA MARIA TIBERINA 30MONTONE 38PIETRALUNGA 41SAN GIUSTINO 36SPOLETO 217

Totale schede sanitarie complete compilate 845

La somma dei monumenti qui indicati per ogni comune ha corrisposto al numero totale di schede sanitarie compilate, mentre la visita ispettiva sul campo ha interessato 881 monumenti.

1.4. SCHEDA SANITARIA

La scheda sanitaria utilizzata si articola in tre sottoschede o tracciati1) Tracciato Anagrafico-Identificativo Tale sottoscheda ha lo scopo di identificare univocamente il monumento

da schedare individuandone il tipo, la localizzazione geografica, i dati catastali, la georeferenziazione e le date iniziale e finale di costruzione e modifica.

2) Tracciato Patrimoniale La sottoscheda patrimoniale, innovativa rispetto al modello iniziale

IsCR, ha lo scopo di definire l’importanza storico artistica e culturale del monumento che è oggetto di schedatura. Essa evidenzia quindi la presenza di oggetti d’arte all’interno del monumento, nonché la presenza di decorazioni o elementi di pregio dell’involucro architettonico. Nella scheda si indicano anche le modalità di accesso all’edificio in modo da facilitare le eventuali operazioni di pronto intervento in caso di emergenza. Tali dati contribuiscono a definire il valore di “esposizione” degli edifici ed hanno un forte peso nelle fasi di prima e seconda emergenza per individuare le priorità per la messa in sicurezza.

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3) Tracciato di vulnerabilità conservativa è la sottoscheda che misura lo stato di conservazione dell’edificio a

partire da una sintesi delle notizie storiche seguita dalla indicazione dei dati dimensionali, tipologici e decorativi. Vengono poi presi in esame analiticamente i componenti edilizi ed il loro stato di efficienza nonché gli impianti con la relativa condizione di funzionalità.

Per il dettaglio dei tracciati si veda l’Appendice 1.

NOTE

1 C. Brandi, Teoria del restauro, Einaudi, 1963.2 (P. Baldi, M. Cordaro, A. Melucco)3 Ministero per i beni culturali e ambientali, Istituto Centrale del Restauro, Direttore di progetto P. Baldi4 Secondo la normativa il programma è fina liz-zato:

a) all’avvio di un piano organico di inventa-riazione e catalogazione, secondo criteri uniformi, dei beni – pubblici e privati – storico artistici, architettonico-ambientali, archeologici, storico scientifici, linguistico etnografici, archivistici e librari, nonché di tutti quei beni che costituiscono una rilevante testimonianza della storia della civiltà e della cultura;

b) all’elaborazione di una carta conoscitiva aggiornabile della situazione di rischio del patrimonio di cui alla lettera a) del presente articolo, con relativa banca dati.

5 L’IsCR sovrintende e coordina la rea lizzazione dei

progetti per la formazione della carta conoscitiva aggiornabile relativa alla situazione di rischio del patrimonio e della banca dati nazionale di cui alla lettera b) dell’articolo di cui sopra. L’ICCD sovrintende e coordina la realizzazione dei progetti di catalogazione del patrimonio ambientale, architettonico, archeologico, artistico e storico ed etnoantropologico.6 Un sistema informativo territoriale (SIT; in lingua inglese Geographic(al) Information System, abbreviato in GIS) è un sistema informativo computerizzato che permette l’acquisizione, la registrazione, l’analisi, la visualizzazione e la restituzione di in formazioni derivanti da dati geografici (geo-referenziati).Il GIS è composto da una serie di strumenti software per acquisire, memorizzare, estrarre, trasformare e visualizzare dati spaziali dal mondo reale, si tratta di un sistema informatico in grado di produrre, gestire e analizzare dati spaziali associando a ciascun elemento geografico una o più descrizioni alfanumeriche.

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Fino a pochi decenni fa il problema del terremoto veniva affrontato nei due modi “classici”: con il primo, si interveniva solo dopo l’evento, perciò si contavano le vittime, si soccorrevano i feriti, successivamente si riparavano i danni, eventualmente migliorando le prestazioni del singolo edificio; il secondo consisteva nella stesura di norme, istruzioni, consigli per prevenire le conseguenze dell’evento.

Il primo approccio ha portato a sviluppare la gestione dell’emergenza, le tecniche d’intervento sulle strutture, in alcuni casi generando anche e soprattutto nei beni culturali – dibattiti feroci tra gli strenui sostenitori della conservazione e quelli interessati solo al problema della sicurezza (a tutti i costi, anche con interventi invasivi).

Il secondo approccio ha consentito di sviluppare le normative, i piani di prevenzione (pochi in verità) e i suggerimenti per evitare le conseguenze dell’evento.

In Italia, negli anni ’70, con il terremoto del Friuli (1976) e successivamente con quello dell’Irpinia (1980), ad opera del Progetto Finalizzato Geodinamica, è stata sviluppata una carta di Pericolosità e sono stati definiti i concetti di Vulnerabilità e di Rischio. Perché?

Perché, per affrontare una sana politica di prevenzione, era necessario “prevedere” gli effetti (in termini di vittime e danni) del terremoto, o meglio dei terremoti, di tutti gli eventi attesi in un determinato periodo di tempo. Tutto questo poteva avvenire solo con algoritmi più o meno complessi per valutare la pericolosità, la vulnerabilità, l’esposizione e il rischio. Naturalmente la “previsione” va intesa in realtà in termini probabilistici, non essendo disponibili modelli attendibili di previsione deterministica.

Ecco allora che la definizione del pericolo sismico (input) diventa la pericolosità, la definizione delle carenze strutturali dell’edificio (vulnus) diviene la vulnerabilità, il contenuto e la funzione dell’edificio l’esposizione, gli effetti subiti costituiscono il rischio (vittime/danni attesi/effetti socioeconomici). Tutto in termini probabilistici.

Occorre mettere in evidenza che questi concetti e queste valutazioni hanno un senso per le costruzioni esistenti, in particolare per i beni culturali.

2.INTRODUZIONE GENERALE AL TEMA

DEGLI ALGORITMI DI VULNERABILITà E DI RISCHIO

Paolo angeletti

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Chi deve costruire ex novo ha solo bisogno di definire la pericolosità, per il resto esistono modelli sufficientemente affidabili per definire la risposta della costruzione e le sue prestazioni future. Per questa ragione il percorso logico ora descritto assume una scarsa rilevanza in paesi che non hanno un diffuso patrimonio storico o comunque in aree in cui si tende a sostituire completamente l’esistente con nuove costruzioni. Non è così in Italia.

Gli algoritmi, dicevamo.La pericolosità è ormai definita con modelli piuttosto attendibili basandosi

sui documenti storici (che in Italia possono andare indietro di molti secoli), sui risultati della tettonica e sugli studi di microzonazione. Ovviamente partendo dall’ipotesi che sono le zone già interessate da eventi sismici in passato a doversi attendere eventi in futuro (con le correzioni degli studi di tettonica).

Viceversa, la vulnerabilità si basa su modelli la cui attendibilità dipende molto dai dati disponibili. Se le informazioni sono quelle stesse usualmente gestite in un progetto ex novo, l’attendibilità è molto alta. Ma ciò accade, per le costruzioni esistenti, quasi solo in alcuni casi, in cui il dettaglio dei dati è giustificato dalla destinazione d’uso della costruzione (ospedali, dighe, edifici di primaria importanza).

Altrimenti si è costretti ad avere modelli e risultati relativamente poco attendibili. è il caso anche di molti beni culturali in cui le trasformazioni e le vicissitudini dei secoli passati rendono quasi impossibile la conoscenza completa delle informazioni strutturali. è il caso anche delle valutazioni su larga scala territoriale, in cui le informazioni che possono essere reperite, non sono molto dettagliate (valutazioni cosiddette di primo livello). In questi casi occorre ricorrere a modelli semi-qualitativi che forniscono risultati molto dispersi (euristici).

Si può comprendere che, trattando di beni culturali, per di più su scala territoriale, i modelli non possono che avere un’affidabilità decisamente ridotta. I classici modelli definiti negli anni ’70, ’80 per gli edifici “ordinari”, in muratura, cemento armato, misti, sono stati successivamente riformulati per i beni culturali, distinguendo le chiese, i palazzi, le torri, i ponti gli archi trionfali ecc., arrivando ad introdurre tali concetti nella normativa specifica (direttiva PCM del 12/10/2007).

Tali modelli venivano usualmente distinti in “vulnerabilità di 1° livello”, con cui le informazioni sono molto ridotte e si limitano a definire la situazione planimetrica, la geometria, l’età di costruzione, la tipologia strutturale, even-tualmente i livelli del danno. La vulnerabilità cosiddetta di 2° livello arriva ad individuare un certo numero di parametri che si ritengono rappresentativi del comportamento strutturale dell’edificio.

In ogni caso il risultato è spesso rappresentato con un indice di vulnerabilità, che rappresenta quantitativamente la propensione al danneggiamento della costruzione.

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L’esposizione (o il valore) si tiene in conto normalmente avendo presente il contenuto (si pensi ad un museo) e la funzione (edifici strategici, ospedali) e la sua valutazione avviene in maniera empirica o con modelli poco raffinati dal punto di vista analitico.

A questo punto gli algoritmi del rischio, pur essendo piuttosto ben definiti, risentono, ovviamente, del grado di confidenza dei modelli di vulnerabilità e sposano molto bene, purtroppo, il detto anglosassone “mud in mud out” (letteralmente, fango entra – nel modello – fango esce), il quale detto fa ben capire che un modello di rischio, in sé correttamente formulato, è penosamente dipendente dalla scarsa attendibilità dei dati di ingresso più poveri (i risultati dei modelli di vulnerabilità e di esposizione).

In ogni caso, spesso, i risultati sono costituiti da curve (dovrebbero essere rappresentate come “fasce” per tener conto del grado di dispersione dei risultati). Tali curve definiscono il danneggiamento percentuale in funzione dell’indice di vulnerabilità e dell’input sismico. Nella figura, l’input sismico è l’accelerazione al suolo, mentre la valutazione del rischio, in generale, tiene conto della pericolosità, perciò della distribuzione probabilistica delle accelerazioni negli eventi sismici attesi.

Quale uso può essere fatto di questi modelli e risultati?è chiaro che il loro uso non può che essere statistico e sul larga scala.

Anche se con questi concetti si sono costruite procedure sui singoli edifici o sui singoli beni, il grado di dispersione che si accumula nei vari passaggi del processo non consente una definizione puntuale dei risultati.

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Ma è altrettanto chiaro che i risultati di questi algoritmi sono indispensabili per sviluppare una corretta programmazione per la riduzione del rischio sismico, propedeutica a qualsiasi operazione ed intervento sul territorio e sulle costruzioni, cioè una programmazione “politicamente corretta”.

Quando Grandori e Barberi presentarono i risultati del PFG (Progetto Finalizzato Geodinamica) nella loro audizione nel Senato della Repubblica, appena dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980, fecero precedere la loro presentazione dall’elenco degli effetti del recente evento (vittime, feriti), sottolineando la tragica coincidenza con gli effetti del terremoto che colpì lo stesso territori, gli stessi paesi nel 1694.

Fecero chiaramente intendere che era ora di prendere provvedimenti seri affinché non si ripetesse più in futuro ciò che era accaduto nello stesso territorio, con gli stessi effetti.

è stato il primo, significativo, passo avanti nella prevenzione dal rischio sismico.

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3.POLO PERIFERICO

CARTA DEL RISCHIO DELL’UMBRIAPrimi risultati: conoscenza, elaborazione dati e prospettive

antonio Borri, omar Cristallini, Enrica rasimelli

3.1. INNOVAZIONE TECNOLOGICA PER LA CREAZIONE DI STRUMENTI DI SUPPORTO ALLE DECISIONI

La formulazione teorica del progetto Carta del rischio del Patrimonio Culturale italiano (Cdr) elaborata dall’istituto Superiore per la Conservazione e il restauro (isCr) è stata resa possibile, e forse in parte suggerita, dall’innovazione tecnologica alla quale si stava assistendo negli anni ’70-’80, ovvero dalle nuove opportunità offerte dall’informatica applicata alla creazione di sistemi informativi territoriali in grado di supportare le decisioni che le amministrazioni pubbliche, a vario titolo e compito istituzionale, dovevano intraprendere.Queste nuove tecnologie hanno reso possibile il caricamento e l’elaborazione di un grandissimo numero di dati nel S.I.T. dell’isCr e l’analisi degli stessi in maniera integrata, mettendo in relazione gli uni e gli altri dando loro “pesi” diversi, al fine di definire modelli di vulnerabilità e rischio del patrimonio culturale. Una consistente mole di dati alfanumerici presenti nelle schede – anagrafica (estese a tutto il territorio italiano), vulnerabilità conservativa (qualche centinaio frutto di sporadiche campagne di catalogazione) e vulnerabilità sismica (3.000 schede tra Sicilia e Calabria) –, sono oggi archiviati in database e tutti i beni sono georeferenziati su basi cartografiche tematiche, che descrivono i diversi ambiti di pericolosità, da quella territoriale a quella locale.

3.2. EVOLUZIONE DEL PROGETTO CDR: AMBITO NEL QUALE SI SVILUPPA IL POLO PERIFERICO DELL’UMBRIA

La consistenza del patrimonio culturale italiano – architettonico, archeo-logico e musei moderni – distribuita e georeferenziata su base cartografica tematica, ha consentito l’elaborazione, nella fase iniziale di creazione del S.I.T. nazionale, del modello di Rischio Territoriale derivante dall’incrocio dei dati della pericolosità a scala comunale con quelli relativi alla diffusione e

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distribuzione dei beni. L’isCr ha dovuto procedere nelle more di un inventario dei beni – peraltro tutt’ora assente – che le Soprintendenze avrebbero dovuto realizzare, secondo le procedure da tempo definite dall’istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (iCCD), attraverso analisi bibliografiche e d’archivio seguite da visite ispettive. Volendo quindi l’istituto realizzare il progetto Cdr nell’ambito delle proprie specifiche competenze istituzionali, si trovò circa 25 anni or sono, a popolare il suo Sistema adottando, quale data entry di ciascun bene, il tracciato anagrafico-identificativo (I), così come predisposto dall’iCCD. Questo venne compilato solo parzialmente e “a tavolino”, sulla scorta di fonti in grado di garantire omogeneità bibliografica su tutto il territorio nazionale e senza poter effettuare indagini puntuali, sia pure meramente bibliografiche e d’archivio. Si utilizzò quindi, per i beni architettonici, le Guide rosse del Touring e, per i beni archeologici, anche le Guide Laterza. Questo spiega perché il dato numerico dei beni sul territorio nazionale, attualmente in possesso dell’isCr, appare impreciso e sottostimato.

Dopo questo primo popolamento di beni, l’isCr ha ulteriormente accre-sciuto il dato sulla consistenza del patrimonio culturale italiano, imputando successivamente nel S.I.T. anche i beni vincolati sino all’anno 2003 e caricando nel Sistema, in allegato al tracciato della scheda identificativa (I), i relativi decreti di vincolo. Con le attività di cui sopra, si è giunti ad acquisire almeno un’“idea” della consistenza complessiva che era allora pari a 86.825 beni architettonici (di cui 36.490 sottoposti a vincolo) e 9.617 beni archeologici (di cui 5.344 vincolati). Tale popolamento è stato utilizzato per l’elaborazione dei sopraddetti modelli di Rischio Territoriale applicati all’ambito amministrativo di ciascun comune. Dal 2003 in poi il MiBaCT ha realizzato il sito vincoli on-line dove confluisce la raccolta di tutti i decreti e pertanto in quest’ultimo è possibile rilevare beni che possono non comparire nel S.I.T. dell’isCr.

La filosofia che ha contraddistinto la nascita del progetto Cdr negli anni ’80, prevedeva 3 tipi di modelli di rischio: quello Territoriale (n. beni desunto dalle anagrafiche/pericolosità territoriale) di cui si è sopra accennato, Individuale (quale risultato dei dati sulla vulnerabilità dell’edificio/pericolosità del territorio) ed infine Locale, mai sperimentato compiutamente, che prevedeva un approfondimento del dato sulla pericolosità. Questi modelli non erano riferiti a tipologie di rischio specifiche ma a tre domini di pericolosità: statico-strutturale, ambientale-aria e antropico.

L’isCr quindi, per poter calcolare il Rischio Individuale elaborò la Scheda di Vulnerabilità Conservativa in due versioni, una speditiva ed una più estesa, quest’ultima da utilizzare per i modelli alla scala locale. Utilizzando la scheda speditiva, che non comportava attività di rilievo e/o indagini puntuali sul manufatto, si procedette ad effettuare sporadiche campagne di rilevamento

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di beni archeologici ed architettonici e a elaborare modelli di vulnerabilità, che furono però testati su campioni poco significativi. Bisognerà attendere infatti l’ampia campagna di rilevamento effettuata dalla regione Siciliana, tra il 2007 e il 20081, per avere contezza dell’affidabilità o meno di detti modelli. è ovvio che, dalla sua prima formulazione teorica, la Cdr ha avuto una sua evoluzione, ma per attendere iniziative significative, e quindi un impegno di fondi degno di nota, si dovrà attendere la grossa spinta motivazionale determinata dell’esperienza del sisma del 1997 che ha colpito Umbria e Marche.

Va specificato che, già dalla prima formulazione dei modelli di rischio dell’isCr (risalenti agli anni ’90 del secolo scorso), dette aree della dorsale appenninica erano già apparse a maggior rischio rispetto al territorio nazionale, pur tuttavia i frutti di tali risultati non sono stati presi in considerazione per programmare adeguate campagne di approfondimento conoscitivo e di prevenzione. Ciò ha prodotto gravissimi danni e drammatiche perdite; non si può infatti più parlare solo di “danni” ma, come nel caso della Basilica di San Benedetto a Norcia (foto 1 e 2), della Pieve di San Salvatore (foto 3, 4 , 5 e 6) e della chiesa di Sant’andrea (foto 7, 8 e 9) a Campi di Norcia, si registra la scomparsa di una parte non indifferente di un patrimonio architettonico, storico ed artistico che non sarà recuperabile in alcuna maniera.

Certamente per la chiesa di Sant’Andrea la sua ubicazione, in un aspro pendio del “Castello” di Campi, è stata determinante nell’amplificare gli effetti delle onde sismiche che hanno prodotto il crollo del loggiato e della facciata. A tale riguardo va sottolineato che, come verrà in seguito descritto, uno dei tracciati che compone la Scheda Sanitaria, ovvero quello anagrafico-patrimoniale, ha una sezione relativa all’ubicazione del bene rispetto alla morfologia del terreno su cui insiste.

Tale fattore risulta infatti rilevante nella valutazione del Rischio, pur non essendo stato considerato nelle schede di vulnerabilità conservativa. Il tracciato anagrafico-patrimoniale infatti rappresenta un elemento di forte innovatività, in quanto permette l’apertura di un canale di sviluppo ulteriore nello svolgimento delle attività di Protezione Civile attraverso, ad esempio, l’acquisizione di dati generali sulla morfologia dell’edificio (es.: posizionamento geografico, superficie, altezza e volume vuoto per pieno), informazioni preziose per una stima, seppur approssimativa, degli interventi di salvaguardia da effettuare sia in situazioni ordinarie (prevenzione, ovvero restauro preventivo e manutenzione ordinaria) che di emergenza (stima del danno per le attività di “ricostruzione” post-evento).

Le Chiese di cui sopra, come tante altre colpite nel nostro territorio, come tutti ci auspichiamo, vedranno quanto prima una loro “rinascita” ma non saranno più le stesse; il loro “valore” storico, artistico, documentario, ed

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anche economico, valutabile in termini di attrattività turistica, religiosa, ecc., non sarà più paragonabile a quello precedente al sisma. Finché infatti il danno rientra in un “range accettabile” di crollo parziale è ancora possibile persino pensare che, nella fase di intervento post sisma, l’edificio possa accrescere il suo “valore” portando alla luce, per citare Bruno Toscano, “quello che prima era in latenza”.

Esempi di questo tipo, nell’esperienza della ricostruzione post sisma 1997

foto 1 e 2. San Benedetto di norcia: in alto la chiesa subito dopo il sisma del 2016 (fonte www.newsly.it); sotto l’allestimento della messa in sicurezza (fonte www.LaStampa.it).

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foto 3, 4, 5, e 6. Pieve di San Salvatore a Campi di norcia. in alto a sinistra un’immagine della chiesa prima del sisma (www.ilughidelsilenzio.it.), a lato dopo l’evento del 2016 (fonte www.Umbria24.it). Le foto in basso sono relative al cantiere di messa in sicurezza (2018).

in Umbria, ve ne sono numerosi ed hanno spesso fatto crescere l’interesse turistico, ma oltre il “range” di cui sopra ciò non vale più. è ovvio poi che, se il crollo parziale riguarda edifici privi di apparati decorativi di pregio artistico, il danno seppur grave può essere in buona parte risarcito, ma nella basilica di San Francesco, nonostante la “certosina” cura nel recuperare ogni più piccolo frammento degli affreschi, parte del capolavoro di Cimabue è ormai scomparso e la perdita di valore del monumento non potrà essere più recuperata in alcun modo. Triste è inoltre il destino riservato alla Chiesa di San Salvatore a Campi. A seguito dei danni subiti durante il sisma del ’79, vennero realizzati interventi di restauro – purtroppo limitati al solo recupero dei danni alle superfici – che misero in luce affreschi che erano appunto mascherati da strati di pittura – valore latente –; con la scossa del 26 ottobre 2016 la quasi totalità degli apparati decorativi non sarà più recuperabile e

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anche il restauro della chiesa presenta indubbiamente notevoli problemi di carattere teorico e operativo.

Sulla base di tali esperienze, appare evidente la necessità di introdurre, nell’elaborazione di modelli di calcolo del rischio, il parametro relativo al “valore” di un bene che nel passato è stato preso in considerazione solo a seguito del terremoto del ’972. Se ci si trova infatti davanti a costruzioni di rilevante valore artistico per la presenza di affreschi, il rischio di perdita diventa molto alto per l’impossibilità di “recuperare” opere che, per loro natura sono “uniche” e appunto irripetibili. Tale indicatore viene particolarmente “valorizzato” nell’esperienza condotta in Umbria per la creazione del polo periferico Cdr, elaborando infatti un modello specifico di “Esposizione” di cui si parlerà in maniera più estesa in seguito. Tale approccio spesso si scontra con resistenze di carattere teorico-culturale, che non vogliono “scendere a patti” e si arroccano sulla convinzione, condivisibile ma solo in parte, che non è possibile applicare una scala di valori ai beni culturali. Come abbiamo visto però, e più avanti descriveremo in maniera più estesa, per rendere percorribile la strada della prevenzione (la sola che può evitare o quanto meno ridurre le perdite più gravi) è necessario effettuare delle scelte e, quindi, definire una scala di valori indispensabile per poter indicare quali debbano essere le priorità di approfondimento conoscitivo e poi di intervento. Ciò che si sta prospettando quindi è di passare a modelli di calcolo operativi, che possano supportare quelle decisioni che sono necessarie ed urgenti per la salvaguardia beni culturali sia in situazioni di “pace” che nella gestione delle emergenze.

La Cdr può quindi fornire una soluzione operativa di grande efficacia ed utilità per quelle Istituzioni, Dipartimento della Protezione Civile, MiBaCT e regioni, che a vario titolo si occupano di politiche per la salvaguardia dei beni culturali.

A seguito dell’esperienza post sisma del 1997, il progetto Cdr ha avuto una sua sostanziale evoluzione, operata dello stesso isCr tra il 2006 e il 2008,

foto 7, 8, 9. Sant’andrea a Campi alto (Castello) di norcia. Le prime due foto mostrano: una il loggiato (www.trekearth.com) e l’altra una vista da valle della chiesa prima del sisma del 2016 (www.iluoghidelsilenzio.it). La terza foto mostra la situazione attuale a seguito degli interventi di messa in sicurezza (2018).

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determinata dalla volontà di approfondire il tema della vulnerabilità e rischio sismico. Pur non potendo prevedere l’imminenza di calamità telluriche, sappiamo che, in certe zone, prima o poi esse arrivano, e la sola via per proteggersi è un’adeguata politica di prevenzione organizzata per fasi, come, ad esempio:

1. creazione di uno strumento di supporto alla decisione, come la Cdr, per individuare i beni a maggior rischio che devono essere “attenzionati”;

2. programmare, sulla scorta dei risultati dei modelli di rischio, ap pro-fondimenti conoscitivi;

3. progettare e realizzare interventi di prevenzione: dei beni mobili, raffor-zando il livello di risposta degli edifici storici all’azione tellurica e, di quelli immobili, per creare condizioni ambientali – collocazione ed allestimento – in grado di elevare il loro grado di sicurezza da potenziali danni.

In tal senso, è stata messa a punto dall’isCr una scheda specifica di vulnerabilità sismica (VS)3 e sono state avviate le prime consistenti campagne di rilevamento in Sicilia e Calabria (4.000 beni architettonici catalogati, di cui 3.000 – beni componenti ed individui – con le schede VS), che hanno consentito di studiare e testare i nuovi modelli di rischio su un campione significativo di beni.

I risultati di tale esperienza hanno aperto una profonda riflessione circa l’utilizzo e la diffusione dei risultati emergenti dall’applicazione dei modelli di vulnerabilità e rischio, giungendo alla conclusione che questi debbano essere funzionali ad effettuare un primo screening, in grado di evidenziare la necessità di ulteriori e puntuali approfondimenti conoscitivi che, nell’ambito di una campagna speditiva di rilevamento, non è possibile realizzare.

In tale ottica rientra la sostanziale modifica rispetto ai modelli iniziali che producevano una classificazione di beni riferiti a valori numerici, lasciando intendere una precisione del modello non corrispondente alla realtà, poiché non perseguibile sulla scorta di dati acquisiti i maniera speditiva, in assenza di anamnesi approfondite, di rilievi, ecc. Pertanto, i modelli di calcolo di vulnerabilità e rischio, che in origine erano espressi in maniera indicizzata, nel progetto realizzato tra il 2006 e il 2008 vengono elaborati per tre “fasce” qualitative: alta, media, bassa che, come vedremo in seguito, verranno portate a cinque nella creazione del polo periferico Cdr dell’Umbria.

I nuovi modelli dell’isCr dovevano essere funzionali a “segnalare” quegli edifici da sottoporre ad un ulteriore e più dettagliato livello di conoscenza, ricorrendo a moduli schedografici di maggiore accuratezza come quelli riportati all’interno dell’Allegato A alle “Linee Guida per la valutazione e

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riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale”4, a quel tempo da poco definiti.

In parallelo all’ultimo anno di realizzazione del progetto isCr di cui sopra, la Regione Siciliana avviava la creazione di un polo periferico regionale Cdr, il primo in Italia. Con tale progetto, il Centro regionale di Progettazione e restauro di Palermo (CrPr) intendeva, tra l’altro, giungere alla definizione del Rischio locale ma non è stato possibile raggiungere tale obiettivo per l’assenza di dati puntuali sulla pericolosità, nonché per l’inadeguatezza della scheda vulnerabilità conservativa speditiva sulla base della quale è stato effettuato il rilevamento.

Il CrPr quindi, pur assicurando l’interoperabilità del suo S.i.T. con quello nazionale, anche in funzione di un eventuale riversamento nello stesso delle schede anagrafiche e di vulnerabilità conservativa nel S.i.T. realizzate nell’ambito del progetto, ha inoltre posto la sua attenzione sull’elaborazione di modelli originali di Rischio Individuale, come verrà di seguito descritto.

Va inoltre specificato che il “modello siciliano” risente molto dell’esperienza maturata dalle stesse RPA s.r.l. e Protecno nell’ambito dell’APQ 2004-2007 nel settore della protezione civile ed in particolare nella salvaguardia beni culturali in emergenza su progetti a titolarità della Regione Umbria5. Proprio tale esperienza aveva motivato le due società a proporre alla Regione Siciliana, già in sede di gara, un ulteriore tracciato anagrafico-patrimoniale funzionale anche a determinare il livello di “esposizione” del bene. Tale istanza emergeva sia nell’ambito delle più recenti esperienze condotte dall’isCr che dalla stessa Protezione civile che imponeva una visione del bene culturale anche in funzione del suo uso e quindi dell’esposizione al rischio per le persone.

Il MiBaCT peraltro, dopo il sisma del 1997 e soprattutto a seguito del crollo delle volte della basilica di San francesco ad assisi (foto 10) che, oltre al grave danno inferto al patrimonio, era costato la vita a quattro persone, dovendo prendere atto dell’esiguità dei fondi rispetto all’elevata a consistenza dei beni, superò l’approccio meramente scientifico e culturale, per accettare anche il “valore” del bene e di ciò che questo contiene, quale necessario parametro di supporto alla decisione.

Il tracciato anagrafico-patrimo niale (cfr. Appendice 1) è stato pensato anche per la gestione del le emergenze contenendo campi in cui compaiono tutte le informazioni necessarie – proprietà, soggetto referente, accessibilità, beni contenuti, ecc. – a rendere più efficienti ed efficaci gli interventi post evento. Nella stessa Scheda, peraltro, viene introdotto il nuovo concetto di ambito di interesse, grazie al quale poter effettuare approfondimenti di rischio territoriale non più legati all’ambito amministrativo comunale ma anche a livello locale, entrando nel merito di aree omogenee come waterfront, parchi archeologici, ambientali, centri storici, vie, ecc., o in funzione di temi specifici, quali

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itinerari turistici, aprendo così prospettive nell’uso del S.I.T. anche nell’ambito della valorizzazione del patrimonio. In sintesi, gli elementi innovativi, rispetto a quanto elaborato dall’isCr, possono essere così riassunti:

- valorizzazione del fattore espo-sizione “E” che nei modelli isCr viene considerato solo par-zialmente;

- calcolo della vulnerabilità e ri-schio non più per domini sin-tetici, ma per singole categorie di fenomeni dannosi (Sismico, Esondazione, frane, Dissesti, Sub-sidenza, ambien tale-aria, antr o-pico);

- classificazione per fasce di vul-nerabilità e rischio (alto, Me dio, Basso);

- assunzione dei dati di vul nera bilità in maniera differente ri spetto alla categoria di pe ri colosità considerata, a fronte di quelli del modello isCr in cui risultano indistinti.

Nell’ambito di tale progetto sono stati rilevati complessivamente 2.927 beni architettonici e su 1.954 di questi – individui e componenti – sono state compilate le schede di vulnerabilità conservativa di i livello. Inoltre, presso l’iCCD, sono state acquisite informaticamente e secondo gli standard ministeriali, anche 1.354 schede cartacee di catalogo, che sono state allegate ai tracciati dei beni catalogati di cui sopra. Analogamente sono stati rilevati anagraficamente circa 667 beni archeologici e, di questi, sono state compilate 566 schede di vulnerabilità conservativa – individui e componenti.

foto 10: Un’immagine dell’interno della basilica di San francesco ad assisi, nel momento drammatico del crollo (fonte www.iltempo.it).

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3.3. CREAZIONE DEL POLO PERIFERICO CARTA DEL RISCHIO IN UMBRIA

All’interno di tale iter si inserisce la realizzazione del polo periferico dell’Umbria, intervento anch’esso ricompreso nell’ambito del sopracitato aPQ del 2004-2007, in un quadro istituzionale e tecnico-operativo legato al tema centrale della salvaguardia beni culturali per un’organizzazione sistemica ed integrata della protezione civile a livello regionale. In questa pianificazione il Laboratorio di Spoleto ha il compito di cooperare ed interagire con il Centro regionale di Protezione Civile (CrPC) di Foligno a cui è stata demandata la realizzazione e la gestione del Sistema informativo Unificato (S.i.U.) che comprende una sezione “Carta del rischio”. In fase di Gara il suddetto S.i.U. era ancora in corso di realizzazione e pertanto il rilevamento è stato supportato da un sistema informativo “di appoggio”, dotato di un data base avanzato, fruibile on line e gestito da remoto. Si tratta di un’evoluzione di quello realizzato da rPa s.r.l. e da Es Progetti e Sistemi durante la catalogazione per il CrPr. Tale strumento ha consentito al Laboratorio, sin dalle prime campagne di rilevamento, di poter monitorare lo sviluppo delle attività su campo e di procedere in progress alla validazione puntuale delle schede richiedendo in tempo reale, ove necessario, eventuali approfondimenti e/o correzioni e/o specifiche. La figura 1, di seguito riportata, è relativa ad una schermata del sistema utilizzato durante le attività di catalogazione, monitoraggio e validazione dei dati prima del riversamento degli stessi nel S.I.U. L’immagine deriva da una interrogazione, effettuata nel sistema, relativa a tutti i beni di Città di Castello imputati con la sola sezione anagrafico-identificativa “incompleta” o “validata”. Sulla destra le tre colonne corrispondono ai tre tracciati “i”(identificativa), “P”(patrimoniale) e “V”(vulnerabilità). I colori stanno ad indicare: giallo, scheda “parzialmente compilata”; rosso “interamente da compilare” e blu “validata”. Dal momento che le schede oggetto di rilevazione sono state tutte validate, non è possibile individuare schede “complete ma da validare” (presenza di “semaforo” verde), che presuppone siano “chiuse” e pronte per la validazione.Come è possibile evincere dalla schermata il bene indicato con “Pieve” non è stato rilevato su campo, ma solo inserito dall’isCr secondo la metodologia descritta e quindi anche l’identificativa appare parziale. è inoltre chiaro anche come spesso siano stati imputati beni in maniera non congrua; è il caso delle “Statue del Calvario” che, appunto, non possono dirsi “bene architettonico” e peraltro sono state inserite come unico bene “componente” senza indicare gli altri elementi componenti e il “complesso” a cui appartengono. Nelle more del riversamento nel S.i.U., dove è presente tutta la cartografia di

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base e tematica della Regione Umbria, il Sistema di cui sopra è stato dotato di una funzionalità informatica per la georeferenziazione dei beni che prende come base la cartografia di google maps (figura 2).La campagna di rilevamento ha interessato i territori dei comuni di Gubbio, Spoleto, nonché della Valtiberina – Citerna, Città di Castello, Monte Santa Maria Tiberina, Montone, Pietralunga e San Giustino – ad esclusione del territorio di Umbertide, considerato a minore pericolosità sismica. Le ipotesi sulla probabilità del manifestarsi di un prossimo evento sismico, basate su un calcolo probabilistico e sulla ricorrenza degli eventi, avevano posto infatti l’area dell’alta Valle del Tevere e la dorsale appenninica nord quale zona maggiormente “sensibile” per la protezione civile, scenario peraltro ancora attuale.Tale situazione motivò nel 2014, il Laboratorio Diagnostica Beni Culturali di Spoleto nella definizione delle aree sulle quali avviare prioritariamente la

figura 1. Schermata del Sistema, funzionale alle attività di catalogazione, monitoraggio e validazione dei dati prima del riversamento degli stessi nel S.i.U.

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campagna di catalogazione che doveva essere quanto più possibile sistematica ed esaustiva nel fornire un quadro completo sulla consistenza del patrimonio nei comuni di cui sopra.Con l’esperienza condotta si è inteso infatti avviare un primo processo di conoscenza della reale consistenza del patrimonio culturale regionale a partire da una porzione del territorio considerato potenzialmente più esposto,

figura 2. Sistema funzionale alle attività di catalogazione prima del riversamento dati nel S.i.U.: sezione (i); georeferenziazione del bene Complesso del Santuario di Canoscio.

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e dai beni architettonici che sono più vulnerabili, rispetto al patrimonio archeologico, al rischio sismico.Da una prima disamina degli elenchi forniti dal Laboratorio all’avvio dei lavori6, a seguito dell’acquisizione degli stessi dall’estrapolazione effettuata dal S.I.T. Carta del rischio dell’istituto superiore di Conservazione e restauro (isCr), venne da subito rilevato che la consistenza pari a 798 beni architettonici relativa ai territori dei comuni di cui sopra, era certamente sottostimata. Tale riflessione emergeva da esperienze pregresse di cui si è già parlato. Va infatti precisato che il risultato finale prodotto dell’attività di catalogazione è stata la redazione di 845 Schede Sanitarie complete e 36 incomplete; ciò significa che 881 beni architettonici – individui, Complessi e Componenti – sono stati catalogati su campo, ma che per 36 di questi non è stato possibile effettuare un’ispezione esaustiva al loro interno. I suddetti 881 beni sono stati generati da iniziali 377 beni inseriti nel S.I.T. nazionale Cdr e solo 22 sono state caricati nel sistema come nuovi beni. Rimangono quindi da catalogare, in relazione agli otto comuni di cui sopra, ulteriori 421 beni presenti negli elenchi iniziali. La campagna di rilevamento in Umbria è stata l’unica, rispetto a quelle di Sicilia e Calabria, che non abbia privilegiato la catalogazione dei beni intra moenia, ma abbia avuto quale obiettivo, per quanto non reso perseguibile in tutti i comuni, una conoscenza “a tappeto” del patrimonio nei centri abitati ma soprattutto di quello sparso, certamente soggetto a maggior rischio.L’obiettivo posto dal Laboratorio era quello di creare uno strumento strategico finalizzato alla salvaguardia beni culturali nell’ambito della protezione civile:

- in situazioni di “pace”, attraverso attività di previsione dei possibili effetti dannosi sul patrimonio dai principali fattori di rischio quali quello sismico, frane ed alluvioni, nonché per la programmazione di interventi di prevenzione – restauro e consolidamento – nel pieno rispetto dei principi del progetto Cdr;

- in situazione di emergenza per una gestione consapevole, efficace ed efficiente dell’emergenza post evento calamitoso.

Per questo motivo il Laboratorio ha richiesto che nel rilevamento si utilizzasse una “Scheda Sanitaria” e non già la sola “Scheda di Vulnerabilità conservativa” o di “Vulnerabilità sismica” già presenti nel S.I.T. dell’isCr. Quella Sanitaria è infatti articolata in tre sezioni: anagrafico-identificativa, anagrafico-patrimoniale e vulnerabilità conservativa, che accoglie il punto di partenza dell’esperienza condotta per la Regione Siciliana ma ne realizza un ulteriore sviluppo, come verrà in seguito descritto.

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3.4. INNOVATIVITà DEI MODELLI

Le peculiarità dell’esperienza umbra, nell’ambito dei modelli di calcolo definiti ed applicati al campione rilevato, possono essere così riassunte:

A) elaborazione di specifici modelli non solo di Vulnerabilità e Rischio, ma anche per la valutazione del livello di Esposizione e Danno atteso;

B) definizione di modelli adattabili a diversi gradi di approfondimento conoscitivo:

- un I livello di approfondimento del Rischio Individuale costruito sui tracciati anagrafico identificativo e Patrimoniale, che consente di pervenire comunque ad una valutazione anche in situazioni in cui non è stato possibile effettuare l’ispezione completa del bene;

- un II livello, che invece utilizza tutti tre i tracciati che compongono la Scheda Sanitaria;

C) modelli di Danno atteso e Rischio non calcolati sulle tre fasce (alta, media e bassa), ma graduati in quattro per il I livello e cinque per il II, adeguando il progetto ai più recenti indirizzi scientifici.

L’evoluzione dei modelli di calcolo del Rischio, elaborati nell’ambito del progetto Cdr, a partire dagli anni ’80 ad oggi, può essere riassunta come segue.

Anni ’90. I modelli di calcolo elaborati dall’isCr nella fase iniziale del progetto, erano basati sullo schema:

- georeferenziazione dei beni, derivata dall’imputazione delle schede anagrafico-identificative georeferenziate + pericolosità = Rischio territoriale, articolato nei tre domini Statico-Strutturale, ambientale-aria, antropico;

- vulnerabilità conservativa, indicizzata per grandezze numeriche, unico modello di calcolo per tre diversi domini di cui sopra, basato sui dati dei tracciati identificativo e su quello speditivo di vulnerabilità conservativa + pericolosità = Rischio individuale, sempre espresso in grandezze numeriche e per domini;

- un terzo modello di Rischio locale, che non venne mai sperimentato poiché doveva basarsi su dati approfonditi e puntuali della pericolosità e su un rilevamento effettuato con tracciati di vulnerabilità conservativa molto complessi ed onerosi.

2006-2008. Il modello isCr, derivante dall’evoluzione ed approfondimento sul rischio sismico, modifica l’impostazione per la valutazione della vulnerabilità sismica, non più tradotta in valori numerici, ma in fasce – alta,

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media e bassa – e calcolata sui dati raccolti attraverso i tracciati identificativo e di vulnerabilità sismica. Per la prima volta viene considerato il fattore “esposizione” come grandezza indipendente e funzionale a stabilire un peso nel calcolo del rischio sismico individuale. La pericolosità, in questo caso è desunta sia dal valore di PGA e sia, in maniera sperimentale, dai risultati derivanti dall’applicazione di microtremori. In questo modello quindi vulnerabilità sismica + esposizione = Rischio sismico individuale.

2007-2008. Il CrPr, quale Polo Periferico Cdr della regione Siciliana sperimenta, attraverso i dati emergenti dal rilevamento su campo, i modelli degli anni ’80 elaborati dall’isCr e ne sviluppa nuovi, in particolare prevedendo due livelli di Rischio Individuale applicati a beni architettonici ed archeologici, elaborati non per domini, ma solo per alcune categorie di rischio come la sismica, l’esposizione-dinamica dei litorali, le frane, dissesti e subsidenza:- I livello, dove, a differenza dei sopradetti modelli isCr, il Rischio viene calcolato incrociando i dati presenti nei tracciati anagrafici identificativi e patrimoniali in relazione a quelli relativi alla pericolosità. Anche in questo caso per il fattore “esposizione” vengono utilizzati i dati raccolti all’interno delle schede attraverso campi specifici.- II livello, dove il Rischio è valutato sovrapponendo Vulnerabilità e Pericolosità (R = V+ P); la Vulnerabilità è articolata nelle tre fasce e il suo calcolo non è più univoco per tutti i domini, ma è differenziato per le categorie sopra considerate. I dati utilizzati provengono dai tracciati identificativa, patrimoniale e della vulnerabilità conservativa (livello speditivo).

2014. Il Laboratorio di Diagnostica di Spoleto, Polo periferico dell’Umbria, utilizzando tracciati pressoché analoghi a quelli del polo siciliano, elabora modelli per il Rischio Individuale di I e II livello ma con elementi di evidente innovatività. Il progetto approfondisce i tematismi relativi al rischio sismico, il rischio frane e il rischio alluvioni:- I livello, nel quale, a differenza dei sopradetti modelli si giunge al rischio definendo i maniera separata i livelli di Vulnerabilità e di Esposizione che concorrono alla definizione del Danno atteso (V + E = D). Al Rischio si perviene combinando Danno Atteso e Pericolosità: R = D + P. Questo I livello “speditivo”, utilizza i tracciati anagrafici identificativi e patrimoniali e articola il calcolo della Vulnerabilità e Esposizione in tre fasce (alta, media e bassa). Il Danno atteso, risultato di una matrice nella quale sono combinate tre fasce di Esposizione con tre fasce di Vulnerabilità, viene articolato in quattro livelli dal D1 – più basso – al D4 – più alto –. Il rischio invece è articolato su cinque livelli, da R1 a R5 con valori crescenti, ed è

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organizzato in una matrice che relaziona le tre fasce di pericolosità con i quattro livelli di danno.- II livello, approfondito solo per la componente sismica poiché, nelle more della disponibilità dei dati del rilevamento del S.I.U., mancavano i valori della pericolosità da poter estrapolare per le componenti relative a frane e alluvioni. Per quando riguarda il Rischio sismico, questo è stato realizzato con la stessa metodologia di cui sopra, combinando Vulnerabilità ed Esposizione per ottenere il Danno Atteso: V + E = D e quindi, successivamente, il Danno Atteso con la Pericolosità per ottenere il Rischio: R = D + P. La Vulnerabilità è stata calcolata utilizzando i dati del tracciato speditivo di vulnerabilità conservativa e la Pericolosità sulla scorta delle PGA.

Come è possibile evincere dalla sintesi sopra riportata, in Umbria sono stati sviluppati, oltre ai modelli di calcolo di Vulnerabilità e rischio, anche quelli di Esposizione e di Danno atteso; questa scelta consente di poter differenziare meglio le diverse situazioni, con il fine di indirizzare al meglio le scelte relative alla programmazione di approfondimento conoscitivo e di intervento preventivo.

3.4.1. I Livello di approfondimento del Rischio Individuale

Il primo livello ha la finalità di fornire criteri di classificazione qualitativa, basandosi su dati per lo più riconducibili al fattore Esposizione e, solo in parte, alla Vulnerabilità del bene.Si tratta di un modello di rischio che si può concettualmente porre ad un livello intermedio tra il rischio territoriale – calcolato sulla base della consistenza dei beni a livello comunale sovrapposta alla pericolosità definita a scala comunale – e quello individuale, che prende in considerazione anche lo stato di conservazione di ciascun bene (vulnerabilità conservativa incrociata con i dati di pericolosità dell’area comunale).La predisposizione di questo nuovo modello fornisce alla Regione Umbria una funzionalità di particolare rilevanza, poiché consente di pervenire alla determinazione di un “primo livello di rischio” anche in assenza di informazioni sullo stato conservativo del bene, determinate, ad esempio, dall’impossibilità di accesso o dall’inagibilità stessa del monumento. L’esperienza su campo ha mostrato infatti come spesso edifici o complessi monumentali possano risultare inaccessibili nelle parti più interne, perché posti in aree private, per mancanza di autorizzazione da parte dei soggetti preposti, per la non reperibilità della persona referente, o per altri motivi di

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ordine diverso. In questi casi non è ovviamente possibile effettuare l’analisi conservativa de visu così come richiesta dalle schede, né, conseguentemente, determinare l’indicatore di vulnerabilità necessario per il calcolo tradizionale del rischio.Poter disporre di questo nuovo modello, in un certo senso offre una soluzione al problema dell’inaccessibilità e della “piena” conoscenza del bene, consentendo di pervenire in ogni caso ad una prima, seppur sommaria, valutazione del rischio, e ottenere alcuni vantaggi che si possono qui riassumere:

1) stima approssimativa del numero di beni sui quali è più urgente porre l’attenzione, per avviare indagini dettagliate o, magari, per porre in atto interventi provvisionali o attività di prevenzione diretta (beni ad alto rischio);

2) identificazione di quei beni per i quali è opportuno, ancorché meno urgente, verificarne lo stato di conservazione attraverso modalità e strumenti più approfonditi (beni a medio rischio);

3) elencazione di massima di quei beni per i quali non si ravvisa l’occorrenza di azioni immediate (beni a basso rischio).

Questo modello utilizza criteri di classificazione per fasce, quindi è essenzialmente di tipo qualitativo, non numerico, consentendo di ottenere indicazioni su un “raggruppamento” di beni sui quali poter condurre politiche decisionali di prevenzione. La collocazione in una delle tre fasce deve intendersi puramente operativa (quindi con significato legato strettamente alla finalità illustrata) e con l’affidabilità conseguente al limitato livello di approssimazione dei dati.Tale modello speditivo, come testimoniato anche dall’esperienza condotta in Sicilia, si dimostra poi particolarmente utile per le specifiche finalità di salvaguardia dei beni culturali in emergenza. In rapporto a quest’ultimo il modello “umbro” ne rappresenta un affinamento qualitativo. Si passa infatti da un cosiddetto modello “multirischio” (che interpreta i dati relativi alla pericolosità territoriale in modo proporzionale alla qualità e presenza stessa delle informazioni sul luogo) ad un modello per componenti singole, grazie soprattutto alla completezza ed omogeneità dei dati raccolti e gestiti dal Centro Funzionale di Foligno per la Regione Umbria.Il modello di Rischio di I livello ha sviluppato algoritmi di calcolo articolati per tre differenti tematismi che sono stati presi come riferimento base del progetto: quello sismico, quello alluvionale e quello relativo agli eventi franosi. Per comporre tali algoritmi sono stati definiti indicatori “disaggregati” per quanto concerne la pericolosità territoriale e indicatori “semplici”, calcolati sulla scorta delle informazioni tratte dai primi due tracciati della scheda

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sanitaria, per quanto concerne la vulnerabilità e l’esposizione, appositamente studiati e definiti per il S.I.U. della Regione Umbria (si veda Appendice 2).I campi della scheda contenuti nei tracciati anagrafico-identificativa e anagrafico-patrimoniale che sono stati utilizzati per il modello di calcolo del rischio di I livello forniscono diverse condizioni sullo stato dei beni e consentono di determinare, a seconda della combinazione e qualità dell’informazione che restituisce, le diverse componenti associate alla vulnerabilità e all’esposizione.

3.4.2. II Livello di approfondimento del Rischio Individuale

Il II livello di approfondimento utilizza le informazioni provenienti da tutti e tre i tracciati che compongono la scheda sanitaria (anagrafico-identificativa, anagrafico-patrimoniale e vulnerabilità conservativa) ed è in grado perciò di utilizzare un maggior numero di informazioni, soprattutto in merito alle componenti fisiche del bene e al suo stato di conservazione. In particolare vengono presi in esame una serie di elementi e grandezze per le quali è stato necessario effettuare una campagna ispettiva globale del monumento in oggetto, trasferendo nella scheda le informazioni ottenute mediante l’acquisizione di valori metrico-dimensionali e del livello di gravità del danno presente. In certi casi la “purezza” del dato viene determinato dal materiale grafico a disposizione (rappresentazioni dello stato attuale, progetti di restauro, documentazione di archivio, ecc.) oltre che nella possibilità di poter “misurare” integralmente il bene indagato (non sempre possibile per problemi di accessibilità o impedimenti di altra natura non risolvibili), in altri casi è la presenza di danneggiamenti alle componenti strutturali e la capacità di lettura degli stessi, che determina la gravità ed urgenza da assegnare.Tali dati consentono di poter affinare gli algoritmi, soprattutto con riferimento agli aspetti di vulnerabilità conservativa del bene desunti dai campi del 3° modulo schedografico (si veda Appendice 3).Questo modello è in grado di fornire quindi risultati con un livello di attendibilità maggiori (in termini di qualità dell’informazione), pur sempre rimanendo nel campo di una valutazione speditiva dei dati, utilizzando comunque la suddivisione per fasce.Per tale modello rimangono invariati gli algoritmi di pericolosità definiti e calcolati per il I livello.

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3.5. I TERRITORI CATALOGATI

3.5.1. Comune di Citerna

Tutti i beni presenti nell’elenco dell’isCr, sono stati oggetto di visite ispettive e catalogati. Dai 13 beni presenti nel S.I.T. dell’isCr si è passati a 51, poiché è notevolmente cresciuto il numero dei componenti generati da complessi inseriti in maniera parziale e/o inesatta. Sono stati inoltre inseriti altri due beni complesso che non erano in elenco: un bene monumentale vincolato di proprietà privata, ovvero il Complesso della Chiesa di Santa fista (composto da 4 componenti: Chiesa, Abitazione, Fabbricato 1 e Fabbricato 2) ed un altro Complesso di proprietà ecclesiastica e contenitore di funzioni “strategiche” sotto il profilo della protezione civile - casa di riposo -, si tratta del Monastero di Sant’Elisabetta (composto da 3 componenti: Chiesa, Dormitorio e Casa di riposo). Su indicazioni del Laboratorio di Diagnostica di Spoleto infatti, i nuovi beni non compresi negli elenchi iniziali inseriti nella Cdr dell’Umbria, sono quelli che compaiono negli aggiornamenti della Guida rossa del Touring e/o sono risultati vincolati a seguito della consultazione di vincoli on line.Le 51 Schede Sanitarie compilate riguardano 4 di beni individui ovvero -Palazzo Vitelli, Casa della Confraternita, Capanna Garibaldi e Chiesa di Santa Maria Assunta - e 11 beni Complesso - COmpLEssO dI sAnTA ELIsAbETTA, COmpLEssO dI sAn mARTInO, COmpLEssO RuRALE In LOCALITà sAnTA FIsTA, COmpLEssO dI sAnTA FIsTA, COmpLEssO dI sAn mIChELE ARCAnGELO, COmpLEssO dI sAnTO sTEFAnO, COmpLEssO dELLA mAdOnnA dEL CARmInE, COmpLEssO dELLA ROCCA e COmpLEssO dI sAnTA CROCE, COmpLEssO dI sAn FRAnCEsCO, COmpLEssO dEL sAnTIssImO CROCEFIssO E sAnTA mARIA. Questi due ultimi complessi sono significativi delle tipologie presenti nel comune di Citerna. Il Convento del Complesso di San francesco è utilizzato ad Archivio di Stato e sono qui conservati diversi fondi civili ed ecclesiastici (archivi del Commissario e Vicegovernatore, della Compagnia della Santissima Concezione, della Compagnia di Greppalto, del Convento di San Francesco dell’ordine dei Frati Minori Conventuali, del Convento di San Giovanni dell’ordine dei Frati Minori Cappuccini, dell’Ente Comunale di Assistenza già Congregazione di Carità, del Giudice Economico, Notarile, dei Registri Parrocchiali della Popolazione, della Società Filarmonica, Storico Comunale e dell’Ufficio di Conciliazione). La Chiesa dello stesso complesso, già presente nel 1300, quando i frati decisero di realizzare il convento, è stata riconfigurata nei primi decenni del Cinquecento ed è allestita con nove altari riccamente decorati. Ha anch’essa un valore che va al di là di quello meramente architettonico, come è possibile evincere dalle foto 11, 12 e 13. Nonostante le sue modeste dimensioni e l’appartenenza ad un piccolo insediamento urbano, è un importante contenitore di opere d’arte, come è possibile evincere dalla figura 3, relativa ad una schermata

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foto 11, 12 e 13. Citerna, centro storico. Chiesa del Complesso di San francesco. immagini della cappella (sopra) e la vhiesa vista verso l’ingresso (sotto).

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figura 3. Citerna, centro storico. Chiesa del Complesso di San francesco. Schermata estrapolata da sistema e relativa agli apparati decorativi, elementi di pregio e beni mobili contenuti nell’edificio.

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del tracciato Patrimoniale, che riporta la presenza di un affresco di Luca Signorelli.Il Complesso del Santissimo Crocefisso e Santa Maria (figura 4), si trova in un’area extra urbana e anch’esso è contenitore di un importante coro ligneo (foto 14, 15, 16 e 17). Il rilevamento infatti è stato condotto in maniera quanto più completa nei diversi comuni, sia all’interno delle aree urbane che extraurbane a differenza delle altre consistenti campagne di catalogazione realizzate in Italia che si sono focalizzate sui centri storici.

figura 4. Citerna, area extraurbana. Schermata con georeferenziazione del bene.

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foto 14, 15, 16 e 17. Citerna, area extraurbana. Complesso del Monastero del Santissimo Crocefisso e Sant’anna in località zoccolanti (Xiii - XX secolo). in alto a sinistra una vista del chiostro e al di sotto della stessa chiesa con la vela campanaria. in alto a destra un particolare della muratura esterna laterale della chiesa dove è possibile vedere le ammorsature dell’ampliamento; si noti inoltre la presenza di un tirante posto lungo la campata. al di sopra e a destra della didascalia, il coro della chiesa. il complesso è costituito dal monastero, il chiostro, la chiesa con il suo portico, la foresteria e la parte più recente del convento che comprende l’opificio e la biblioteca.

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3.5.2. Comune di Città di Castello

In questo caso la campagna di catalogazione non è stata esaustiva, rimangono infatti da verificare su campo e catalogare 94 dei 130 beni inseriti nel S.I.T. Cdr dell’isCr. Complessivamente sono state realizzate 149 Schede Sanitarie complete ed una incompleta rispetto alle 130 che erano inizialmente state previste.Delle 149 schede 104 sono state generate da 36 beni iniziali inseriti in maniera inesatta e/o incompleta nel S.I.T. nazionale. Questa moltiplicazione di beni è stata determinata dalle peculiarità del patrimonio architettonico di Città di Castello che presenta complessi di notevoli dimensioni e molto articolati cronologicamente e tipologicamente, basti pensare ai 9 componenti del Complesso dei Santi Florido ed Amanzio, luogo della cultura inserito nella rete regionale, conteni-tore del Museo del Campanile Cilin-drico e quello del Duomo – Ex Magazzini della Canonica e Canonica Parrocchiale – (foto 18). Si citano inoltre i 7 componenti del Complesso delle Clarisse Urbaniste, gli 11 del Complesso Mura Civiche o i 10 del Complesso Vitelli a Sant’Egidio (foto 19 e 20).A fronte dei 15 complessi religiosi catalogati, l’edilizia civile è ugualmente rappresentata con 12 beni complesso costituiti da palazzi privati e pubblici e ville, dal cimitero monumentale, dalle mura civiche, dal teatro comunale, dall’ospedale, nonché da ulteriori tre beni individui – torre comunale, mercato coperto e palazzo Albizzini –. Si è prestata particolare attenzione alla catalogazione del patrimonio architettonico civile poiché è in gran parte utilizzato quale contenitore museale e pertanto presenta un elevato livello di esposizione.Rispetto agli elenchi isCr sono stati inseriti 9 nuovi beni: il Complesso

foto 18. Città di Castello, centro storico. Complesso dei Santi florido e amanzio costituito da una serie di corpi di fabbrica i cui confini non sono sempre riconoscibili a causa delle rifunzionalizzazioni e ricostruzioni avvenute nel tempo (es. Museo del Duomo collocato negli Ex Magazzini di cui si riporta a fianco una vista dell’allestimento ). La definizione dei beni componenti è stata basata su dati oggettivi ricavati da planimetrie, dalla visione diretta ed anche da interpretazioni delle sequenze costruttive dedotte o riconosciute sul posto.

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della chiesa di San Michele arcangelo bene di proprietà ecclesiastica, il Mercato Coperto, di proprietà comunale, inserito negli aggiornamenti della Guida rossa Touring, edificato a partire dal Medioevo, che dal ’700 ospita una delle ben note tipografie tifernati, ed infine il Complesso del Teatro Comunale, inserito negli aggiornamenti della Guida rossa Touring. A Città di Castello pertanto sono state compilate 149 Schede Sanitarie complete relative a: 3 di beni individui ovvero la Torre Comunale, il Mercato coperto e Palazzo Albizzini sede della Collezione Burri e 28 beni complesso –il COmpLEssO dI VILLA mOnTEsCA, utilizzato sede del Museo della Villa, il COmpLEssO dI pALAzzO VECChIO buFALInI il cui Edificio del Quadrilatero è utilizzato a Museo delle Botteghe artigiane in miniatura, il COmpLEssO VITELLI ALLA CAnnOnIERA nel cui Palazzo si trova la Pinacoteca Comunale (Foto 21), il COmpLEssO dI sAn CREsCEnTInO nell’oratorio è allestito un Museo, il COmpLEssO dEL TEATRO COmunALE che adempie ancora alla sua funzione originaria, il COmpLEssO dELLE CLARIssE uRbAnIsTE dove nel Secondo Convento è collocata la Biblioteca del Monastero delle Clarisse di Santa Cecilia, ed inoltre il COmpLEssO dEL sAnTuARIO dI CAnOsCIO, il COmpLEssO dEL pALAzzO COmunALE, il COmpLEssO dI sAn dOmEnICO, il COmpLEssO dI sAnTA mARIA mAGGIORE, il COmpLEssO dI sAn FRAnCEsCO, il COmpLEssO dELLA mAdOnnA dELLE GRAzIE, il COmpLEssO VITELLI A sAnT’EGIdIO, il COmpLEssO dELLA mAdOnnA dEL bELVEdERE, il COmpLEssO dEL CImITERO mOnumEnTALE, il COmpLEssO dELL’EREmO dEL buOnRIpOsO, il

foto 19 e 20. Città di Castello centro storico. il Complesso Vitelli a Sant’Egidio (XVi - XiX secolo); edificato nei suoi elementi più importanti nella seconda metà del XVi secolo da Paolo Vitelli in stile manierista, è composto dai componenti: Palazzo Vitelli, Palazzina Vitelli, Chiesa della Madonna dell’arco, “Calidarium”, annessi, Limonaie, Scuderie, ninfeo Grotta, ninfeo dei Satiri, ninfeo delle Virtù. a fianco un ambiente del Palazzo.

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COmpLEssO dEL pOdEsTà, il COmpLEssO dI sAnTO spIRITO, il COmpLEssO dELLA pIEVE dI CAnOsCIO, il COmpLEssO dI sAn mIChELE ARCAnGELO, il COmpLEssO dI sAnTA bARbARA, il COmpLEssO dELLE muRA CIVIChE, il COmpLEssO dEL pALAzzO VEsCOVILE, il COmpLEssO FACChInETTI, il COmpLEssO dI VILLA bICE, il COmpLEssO VITELLI ALL’AbbOndAnzA e il COmpLEssO dELL’OspEdALE CIVICO.

foto 21. Città di Castello, centro storico. Complesso Vitelli alla Cannoniera (prima metà del XVi secolo alla seconda metà) è chiuso da tratti di mura nei punti di discontinuità degli edifici in esso presenti, è costituito dal Palazzo Vitelli, dalla Limonaia, dalla Casa del custode e dall’edificio dell’ex chiesa di Palazzo. il Palazzo, oggi sede della Pinacoteca cittadina, è stato edificato nel XVi secolo dalla famiglia Vitelli. nel XiX secolo alla chiesa è stato addossato un annesso per uso agricolo ed entrambe le costruzioni sono state adibite nella seconda metà del XX secolo a magazzino dell’ex ospedale. attualmente sono chiuse e non visitabili internamente. La ex Limonaia edificata nel XViii secolo, oggi ospita mostre temporanee. L’accesso ufficiale del complesso è quello del Palazzo Vitelli, in via della Cannoniera ma in caso di emergenza via oberdan è preferibile poiché permette il passaggio di mezzi pesanti direttamente nel giardino.

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3.5.3. Comune di Fossato di ViCo

La campagna di catalogazione ha interessato tutti i 18 beni inseriti nell’elenco dell’isCr che hanno generato 27 nuovi “componenti”; sono state compilate 43 Schede Sanitarie complete e due parziali perché non ispezionabili al loro interno; si tratta della chiesa di San Luigi, per la quale è stata comunque compilata e validata la Scheda anagrafico-identificativa + patrimoniale e il Roccaccio catalogata con la sola Scheda identificativa. Questi due beni, insieme al Complesso delle Mura, sono gli unici edifici a carattere civile inseriti nella lista del patrimonio architettonico comunale.Le Schede Sanitarie – complete ed incomplete – sono relative a: 5 di beni individui - chiesa della Piaggiola ricca di apparati decorativi (Foto 22), chiesa di Sant’Apollinare, chiesa di Santa Croce, ex chiesa di San Cristoforo e chiesa di Santa Maria della Staffe e 8 beni complesso e precisamente il COmpLEssO dI sAn sEbAsTIAnO, il COmpLEssO dI sAn bEnEdETTO, il COmpLEssO dI sAn pIETRO In VInCOLI, il COmpLEssO dI sAn CRIsTOFORO, il COmpLEssO dELLA sAnTA nATIVITà dI sAnTA mARIA sAnTIssImA, il COmpLEssO dELLA GhEA, così definita dopo tante variazioni etimologiche e il COmpLEssO dELLE muRA dI FOssATO dI VICO. La chiesa della Madonna della Ghea, realizzata in epoca medievale in aperta campagna, è oggi un luogo di culto molto frequentato, ma nonostante i recenti lavori di

foto 22. fossato di Vico, centro storico; Cappella della Piaggiola (Xiii secolo), originariamente Monte di Pietà e forse luogo di culto e devozione in alcuni periodi. La Piaggiola è un piccolo ambiente rettangolare completamente affrescato: parte del ciclo è attribuito al pittore eugubino ottaviano nelli che lo ha già realizzato intorno al 1405. i soggetti sono i seguenti: una Crocifissione, un San Michele arcangelo, una Madonna in trono con Bambino, Sant’anna e Santa Caterina d’alessandria, una Pietà, un’altra Crocifissione sulla lunetta in fondo, una Madonna in trono con Bambino, San Giovanni Battista, Sant’antonio abate e Sant’onofrio, una Madonna del Latte e un Cristo morto nel Sepolcro.

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foto 24 e 25. fossato di Vico, area extraurbana. Chiesa del Complesso della Ghea (Xi - XX secolo) in località Purello, esterno.

foto 23. fossato di Vico, area extraurbana. Chiesa del Complesso della Ghea (Xi - XX secolo) in località Purello. interno.

restauro all’interno della chiesa si rileva una presenza diffusa di umidità nella parte alta mentre il porticato è stato peraltro oggetto di successivi interventi di consolidamento mediante la messa in opera di tiranti come è possibile evincere dalle foto 23, 24 e 25. Il Complesso delle Mura è invece un interessante esempio di fortificazione civile medievale che risolve in un’unica soluzione i problemi della viabilità del borgo e la difesa di ponente, sulla quale si apre la portam castri che è tuttora l’ingresso principale del castello (foto 26, 27 e 28).

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foto 26, 27 e 28. fossato di Vico, centro storico. Viste di più tratti de Le rughe del Complesso delle Mura Civiche. Le rughe si sviluppano sul lato di ponente della cinta muraria dove si apre la “portam castri” - Torre Merlata - che costituisce ancora oggi l’ingresso principale al centro storico. Si tratta di un raro esempio di architettura castellana medievale, che svolge la duplice funzione di via interna e sistema difensivo.

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3.5.4. Comune di Gubbio

La campagna di catalogazione del patrimonio architettonico relativo al territorio del comune di Gubbio non è stata esaustiva; rispetto all’elenco isCr 109 beni sono ancora da verificare su campo e schedare. Le principali difficoltà incontrate per la catalogazione consistono nel posizionamento impervio di alcuni beni “sparsi” in aree extraurbane e nel loro cattivo stato di conservazione, tema che verrà ripreso più avanti nel testo (paragrafo 3.7, conclusioni). è stato comunque possibile catalogare alcuni beni in aree rurali che sono rappresentativi delle tipologie più diffuse dell’architettura fortificata (castelli) e delle chiese rurali. Per quanto riguarda invece i beni del centro storico si sono incontrate difficoltà soprattutto in merito al patrimonio monumentale privato (palazzi), di cui nella stragrande maggioranza dei casi è risultato impossibile ottenere l’autorizzazione al sopralluogo anche perché molti immobili sono stati ristrutturati a condominio. Complessivamente sono state realizzate 240 Schede Sanitarie; di queste 163 sono state generate da 72 beni inseriti in maniera inesatta e/o incompleta nel S.I.T. nazionale. Sono stati catalogati inoltre 10 nuovi beni: il Complesso di San francesco della Pace (composto da 2 beni componenti: Chiesa e Università dei Muratori) e il Complesso di Sant’antonio (composto da 6 beni componenti: Monastero, Cappella, Ampliamento settecentesco, Ala ovest, Foresteria, Cappella della Madonna del Trebbio).Le Schede Sanitarie incomplete sono 13 di cui 4 con la sola Scheda anagrafico-identificativa e 9 con la stessa e quella anagrafico-patrimoniale e precisamente: Palazzo del Complesso di San filippo neri, Monastero del Complesso di San Girolamo, opificio del Complesso di San Girolamo, Chiostro del Complesso di San Girolamo, annesso residenziale del Complesso del Castello di San Cipriano, Ex sacrestia del Complesso di San Giovanni Decollato, ala 5 e ala 4 del Complesso dell’ospedale di Santa Maria della Misericordia, ala 5 del Monastero del Complesso di Santa Lucia, Canonica del Complesso di Santa Maria della Vittoria, Casa del custode e residenza del Complesso del Castello di Branca, Casa parrocchiale del Complesso del Castello di Biscina.Delle 240 Schede Sanitarie 16 sono relative a beni individui: 9 chiese - chiesa della Madonna del Prato, chiesa di San Giuseppe, chiesa di Santa Maria Nuova (foto 29 e 30), chiesa di San Donato, chiesa di San Michele Arcangelo, chiesa della SS. Annunziata, chiesa di Santa Maria Maddalena di Fassia, chiesa della Madonna di Montecchi e chiesa della Madonna del Granello -, 4 cappelle - Prima Cappelluccia, Seconda Cappelluccia, Terza Cappelluccia e Cappella della Madonna del Trebbio -, 2 palazzi - Palazzo Balducci e Palazzo del Bargello - e il Mausoleo dei Quaranta Martiri. Le rimanenti Schede sono relative a 45 beni complesso e precisamente il COmpLEssO dI sAn

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FRAnCEsCO, la cui ala 1 è sede di archivio e il Convento ospita una selezione di opere d’arte inerenti alla storia del francescanesimo locale (dagli antichi tessuti e paramenti liturgici agli oggetti in metallo prezioso, alla quadreria con opere della scuola del Perugino, di Magnasco, dello Spagnoletto ecc.), il COmpLEssO dI pIAzzA GRAndE, il cui Palazzo dei Consoli ospita il museo civico, il COmpLEssO duCALE, dove l’antico palazzo è anch’esso museo (foto 31, 32 e 33), il COmpLEssO dEL CApITOLO dELLA CATTEdRALE con l’ala 1 e il

foto 29 e 30. Gubbio, centro storico. Chiesa di Santa Maria nuova (1270-1280), viste interne. La chiesa, nel quartiere di Sant’andrea è rappresentativa dell’architettura cistercense dell’eugubino del Xiii secolo. attualmente è chiusa al pubblico ma fa parte del polo museale di Gubbio grazie ai preziosi beni mobili e opere d’arte che caratterizzano il suo interno.

foto 31, 32 e 33. Gubbio, centro storico. il complesso del Palazzo Ducale (1470-1480), costituito dai componenti: antico Palazzo, Palazzo nel settore ovest e Corte d’onore.

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Palazzo destinati a museo, il COmpLEssO dI sAn pIETRO dove nel Chiostro e nel Convento è stata allestita una biblioteca, il COmpLEssO dELLE muRA dI GubbIO, il COmpLEssO dI sAnTA mARIA AL CORsO la cui Canonica dei Padri Serviti è utilizzata per spettacoli, il COmpLEssO dI sAnT’ubALdO anch’esso sede museale, il COmpLEssO dI sAn sECOndO dove è presente una biblioteca nel fabbricato a ex Monastero, ed inoltre il COmpLEssO dEL CAsTELLO dI bIsCInA, il COmpLEssO dI CAsTEL d’ALFIOLO, il COmpLEssO dEL CAsTELLO dI sAn CIpRIAnO, il COmpLEssO dEL CAsTELLO dI pETROIA, il COmpLEssO dEL CImITERO mOnumEnTALE, il COmpLEssO dEL duOmO, il COmpLEssO dI sAnTA mARIA dEI LAICI, il COmpLEssO dI sAn GIOVAnnI bATTIsTA, il COmpLEssO dI sAn GIuLIAnO, il COmpLEssO dI sAn dOmEnICO, il COmpLEssO dI sAnTA CROCE dELLA FOCE, il COmpLEssO dI sAn mARzIALE, il COmpLEssO dI sAnT’AGOsTInO, il COmpLEssO dI sAnTA mARIA dELLA pIAGGIOLA, il COmpLEssO dI sAnTA mARIA dELLA VITTORIA, il COmpLEssO dEL CAsTELLO dI bRAnCA, il COmpLEssO dI sAnTA LuCIA, il COmpLEssO dI sAn FILIppO nERI, il COmpLEssO dI sAn bEnEdETTO, il COmpLEssO dELL’OspEdALE dI sAnTA mARIA dELLA mIsERICORdIA, il COmpLEssO dI sAn VITTORInO, il COmpLEssO dI sAn GIOVAnnI dECOLLATO, il COmpLEssO dI sAn sILVEsTRO VECChIA, il COmpLEssO dI sAn ROCCO, il COmpLEssO dI sAn mARCO COmpLEssO dI sAnT’EGIdIO, il COmpLEssO dI sAn FELICIssImO, il COmpLEssO dI sAn GIOVAnnI bATTIsTA In LORETO, il COmpLEssO FOnTI, il COmpLEssO dELLA COnFRATERnITA dELLA mIsERICORdIA, il COmpLEssO dI sAn VERECOndO In VALLInGEGnO, il COmpLEssO dI sAn bIAGIO, il COmpLEssO dELLA ss. TRInITà, il COmpLEssO dI mAGRAnO, il COmpLEssO dI sAn GIROLAmO, il COmpLEssO dI CAsACCE, il COmpLEssO dI sAn FRAnCEsCO dELLA pACE ed infine il COmpLEssO dI sAnT’AnTOnIO.Vale forse la pena soffermarsi sul Complesso delle Mura (XIII - XIV sec.) che nel S.I.T. IsCR era stato imputato come bene individuo ed invece ha generato 9 beni componenti come è possibile evincere dalla figura 5. La rappresentazione planimetrica in figura corrisponde all’allegato al tracciato patrimoniale con il quale vengono individuati i componenti del complesso. In relazione alle mura sono riconoscibili 7 porte e due tratti di fortificazione. Il primo tratto appare conservato e riconoscibile, nonostante evidenti rimaneggiamenti che hanno comportato la realizzazione di garage a servizio dell’ex Ospedale, comprende Porta degli Ortacci e l’edificato prospettante su via Cavour-piazza Bosone. Il secondo si sviluppa da Porta Vittoria a via Perugina ed è stato oggetto di cospicui rimaneggiamenti; oggi funge in larga parte da contenimento di orti e giardini delle abitazioni retrostanti. Porta Santa Lucia include una piccola cappella locale inglobata nell’attiguo ed omonimo Complesso. Porta Sant’Ubaldo (foto 34) al momento del rilevamento risultava oggetto di interventi di messa in sicurezza con opere provvisionali, erano infatti evidenti dissesti strutturali. La Porta degli Ortacci

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(foto 35) risulta interessata da diffusi attacchi biologici con presenza di piante infestanti che ne aggrediscono le superfici parietali (piante di edera e albero di fico). Porta Metauro, Porta Castello, Porta Romana, adibita a museo (foto 36) e Porta Vittoria corrispondono ad una tipologia di porta-torrione, di cui quest’ultima risulta raddoppiata con la parte interna alle mura che ingloba un locale facente probabilmente parte di una delle abitazioni attigue.

foto 34, 35 e 36. Gubbio, centro storico. Da sinistra: Porta Sant’Ubaldo (tipologia della porta-torrione), Porta degli ortacci e Porta romana (sede museale).

figura 5. Gubbio, centro storico. Planimetria con suddivisione dei componenti del Complesso delle Mura.

N

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3.5.5. Comune di monte santa maria tiberina

La catalogazione è stata completata a meno di soli due beni – “ex canonica e chiesa” ed “edificio in frazione Prine” – la cui identificazione non è stata resa possibile a causa della genericità del dato nel S.I.T. isCr e per la non corretta georeferenziazione nello stesso.All’interno del comune sono state compilate 30 Schede Sanitarie di cui 5 di beni individui ovvero: Castello Boncompagni Ludovisi, Ingresso al Borgo, Casa colonica a Ranzola, Casa Colonica a Santa Lucia, nonché Porta Santa Maria di proprietà comunale, non inserita nel S.I.T. dell’isCr. Sono stati inoltre catalogati 6 beni complesso e precisamente: il COmpLEssO dEL CAsTELLO dI LIppIAnO (figura 6 e 7, foto 37 e 38), il COmpLEssO dI sAn LuCA, il COmpLEssO dI sAn pIETRO, il COmpLEssO dI sAnTA mARIA dELLE GRAzIE, il COmpLEssO dI sAnTA mARIA AssunTA e il COmpLEssO bOuRbOn dEL mOnTE di proprietà comunale e solo parzialmente restaurato ed attualmente sede museale (foto 39). Quest’ultimo risulta costituito da tre componenti (figura 8): il Palazzo che, così come oggi appare, si riferisce alla fase successiva al 1564, a seguito della convenzione di famiglia (ramo di Firenze dei Bourbon del Monte) del 1532 e dei successivi accordi scritti e scambi di proprietà, che stabilivano le regole con cui ogni ramo della famiglia poteva costruire a Monte Santa Maria la propria residenza privata; un piccolo Edificio annesso al Palazzo successivamente ed infine la Torre civica (figura 9 e foto 40) inglobata all’interno della struttura del Palazzo stesso. La tessitura muraria del complesso i cui materiali costitutivi sono riconducibili a materiali lapidei misti – calcare e arenaria – e cotto è fortemente disomogenea con evidenti interventi di cuci-scuci e rimaneggiamenti.

figura 6 e 7. Monte Santa Maria Tiberina, centro storico di Lippiano. i disegni fanno parte della documentazione raccolta in fase di rilevamento – presso i comuni e i soggetti proprietari – che viene allegata alle schede.

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foto 37 e 38. Monte Santa Maria Tiberina, centro storico di Lippiano. il complesso del Castello si compone della torre originaria, databile all’Xi secolo e di tre aggiunte: una del Trecento, un’altra del Quattrocento e la terza del Cinquecento. È un bene vincolato di proprietà privata e compare nella Guida rossa del Touring Club. il castello è stato oggetto di recenti interventi di restauro e consolidamento ed è adibito ad uso residenziale.

foto 39. Monte Santa Maria Tiberina,centro storico. Complesso del Palazzo Bourbon del Monte. Vista degli spazi museali

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figura 8. Monte Santa Maria Tiberina, centro storico. Complesso del Palazzo Bourbon del Monte (X - XVii secolo). Pianta del monumento con l’indicazione dei componenti.

figura 9 e foto 40. Monte Santa Maria Tiberina, centro storico. Complesso del Palazzo Bourbon del Monte. Sezione allegata alla scheda e vista della Torre.

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3.5.6. Comune di montone

Per mancanza di autorizzazione da parte dei proprietari, la campagna di catalogazione è stata completata a meno di due beni: la Chiesa dei Cappuccini e rocca d’aria. Sono stati inoltre schedati parzialmente, con i soli tracciati anagrafico-identificativo e patrimoniale 2 beni componenti appartenenti ai complessi di Santa Caterina d’alessandria e di Santa Maria di Sette, poiché non è stato possibile avere accesso all’interno degli stessi.A Montone quindi sono state compilate 38 Schede Sanitarie complete – più le due sopra citate – e riguardano tutte edifici religiosi ad eccezione del Palazzo Comunale sede di archivi, della Torre e della Rocca di Braccio. Sono stati schedati 6 di beni individui ovvero: Palazzo Comunale, Torre, Monastero di Sant’Agnese, chiesa di Santa Maria, chiesa di Santa Croce, chiesa di San Fedele e Rocca di Braccio. I beni complesso catalogati sono 9 e precisamente: il COmpLEssO dI sAn GREGORIO mAGnO di proprietà dell’istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero, costituito da Pieve, Sacrestia, Casa colonica e Annesso che, come è possibile evincere dalle foto 41, 42, 43, 44 e 45, al momento del rilevamento si trovava in pessime condizioni nonostante il suo valore architettonico ed artistico, il COmpLEssO dI sAn FRAnCEsCO che dopo un lungo periodo di abbandono, nel 1995, a seguito del suo restauro, è diventato sede del Museo Comunale. (foto 46, 47, 48, 49, 50 e 51), il COmpLEssO dELLA COLLEGIATA dEI sAnTIssImI mARIA E GREGORIO, il COmpLEssO dI sAn pIETRO In CARpInI, il COmpLEssO dI sAnTA CATERInA d’ALEssAndRIA contenitore di archivi, il COmpLEssO dI sAnTA mARIA dEI sETTE, il COmpLEssO dELLA mAdOnnA dEI COnFInI e il COmpLEssO dELLA mAdOnnA dELLE GRAzIE di proprietà ecclesiastica e inserito come nuovo bene.

foto 41 e 42. Montone, area extraurbana rurale. Complesso di San Gregorio Magno (Xi - XiX secolo), esterno.

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foto 43, 44 e 45: Montone, area extraurbana rurale. Complesso di San Gregorio Magno (Xi - XiX secolo), particolari dell’interno.

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foto 46, 47, 48, 49, 50 e 51. Montone, centro storico. il complesso di San francesco nasce con il nucleo centrale della chiesa, di cui si hanno notizie già dal Xiii secolo; adiacente ad essa è stato annesso, intorno al XVi secolo, il convento dei frati successivamente ampliato. Dopo l’Unità d’italia, il complesso è stato abbandonato e divenuto di proprietà statale. È suddiviso in sei componenti in funzione della cronologia delle diverse fasi di edificazione: ala ovest, ala est, ex convento, campanile, chiesa e chiostro.

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3.5.7. Comune di PietralunGa

La campagna di catalogazione, non ha coperto la totalità dei beni isCr; non è stato infatti possibile rilevare 12 edifici, in particolare alcuni palazzi importanti del centro storico, poiché nel tempo sono stati trasformati in condomini e quindi, la pluralità dei proprietari ha reso difficile e soprattutto non perseguibile nei tempi contrattuali, l’acquisizione di tutte le autorizzazioni.A Pietralunga sono state compilate 41 Schede Sanitarie e di queste 5 sono di beni individui: chiesa di San Giovanni Battista, chiesa di San Vincenzo, chiesa della Madonna di Loreto, chiesa del Gonfalone di proprietà della parrocchia e non inserita negli elenchi isCr come la stessa chiesa di San Pietro, bene generato da un’incongruenza del suddetto elenco iniziale. I beni complesso sono 10 e precisamente: il COmpLEssO dELLA mAdOnnA dELLE GRAzIE, il COmpLEssO dI sAn dOnATO, il COmpLEssO dI sAn mIChELE ARCAnGELO, il COmpLEssO dELLA mAdOnnA dEI RImEdI (foto 52 e 53), il COmpLEssO dI sAnT’AndREA dI COnFORnAnO (foto 54 e 55), il COmpLEssO dI sAnTA mARIA In pAGIALLA, il COmpLEssO dELLA pIEVE dE’ sAddI (foto 56, 57 e 58), il COmpLEssO dELLA pIEVE dI sAnTA mARIA, il COmpLEssO dI sAn FELICE e il COmpLEssO dELL’AnTICO CAsTELLO.

foto 52 e 53. Pietralunga, area extraurbana rurale. Santuario della Madonna dei rimedi.

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La documentazione fotografica dei beni riportata nel testo è funzionale a trasmettere la ricchezza del sistema insediativo extraurbano del territorio di Pietralunga, contrassegnato in antico da castellieri, e quindi, dal Medioevo, da numerosi esempi di architettura cosiddetta “minore” dal forte valore storico-documentario.

foto 56, 57e 58. Pietralunga, area extraurbana rurale. Pieve de Saddi.

foto 54 e 55. Pietralunga, area extraurbana rurale. Sant’andrea Confornano.

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3.5.8. Comune di san Giustino

Nell’economia dell’incarico non è stato possibile completare la verifica di tutti i beni inseriti nel S.I.T. isCr, peraltro spesso inseriti in maniera inappropriata confondendo, ad esempio, beni archeologici come la Villa romana di Plinio con beni architettonici.A San Giustino sono state compilate 36 Schede Sanitarie di cui 3 beni individui: la Chiesa di Altomare, l’Edificio ex Canonica di Pitigliano e la chiesa del SS. Crocefisso di proprietà ecclesiastica non inserito nell’elenco isCr.I beni complesso sono 7 e precisamente: il COmpLEssO ARCIpRETALE, il COm pLEssO buFALInI sede museale (foto 59, 60, 61 e 62), il COmpLEssO dI sAnT’AnAsTAsIO, il COmpLEssO dI sAnTA mARIA In CAmmInO, il COmpLEssO mAGhERInI GRAzIAnI sede del Museo della Villa di Plinio (Foto 63, 64 e 65), il COmpLEssO dI sAnTA mOnICA ALLE CApAnnE, e il COmpLEssO dI pITIGLIAnO di proprietà ecclesiastica e anch’esso non compreso nell’elenco iniziale.

foto 60, 61, 62 e 63. San Giustino, Castello Bufalini.

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foto 63, 64 e 65. San Giustino, beni sparsi. Villa Magherini Graziani, museo della Villa di Plinio in Tuscis.

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3.5.9. Comune di sPoleto

La campagna di catalogazione non è stata esaustiva, rimangono infatti 193 beni da verificare con visite ispettive sui 345 beni inizialmente inseriti nel S.I.T. isCr; le principali difficoltà nel rilevamento sono da riscontrarsi nell’elevato numero di beni privati per i quali è stato impossibile reperire l’autorizzazione all’ingresso negli edifici.Complessivamente sono state realizzate 217 Schede Sanitarie complete e precisamente: 39 schede di bene Complesso, 146 schede di bene Componente e 32 schede di bene individuo.Oltre ai precedenti, 18 beni sono stati schedati solo parzialmente di cui 5 con la sola Scheda anagrafico-identificativa e 13 con anagrafico-identificativa e patrimoniale.All’interno delle 217 Schede Sanitarie prodotte sono presenti 2 schede di nuovi beni individuo: Palazzo Bufalini e la Chiesa di San Giovanni Battista.I beni complesso sono 39: il COmpLEssO dEL mOnAsTERO dELLA sTELLA, il COmpLEssO AGOsTInIAnO che è ormai diventato un luogo della cultura per eventi, mostre e spettacoli, il COmpLEssO dI sAn dOmEnICO, il COmpLEssO dEL TEATRO nuOVO che svolge ancora la sua funzione, il COmpLEssO dEI sAnTI GIOVAnnI E pAOLO, il COmpLEssO dI sAnT’AnsAnO, il COmpLEssO COmunALE, il COmpLEssO dEI sAnTI sImOnE E GIudA, il COmpLEssO ALbORnOzIAnO (sede del Museo Nazionale del Ducato di Spoleto, del Laboratorio di Diagnostica, nonché monumento musealizzato), il COmpLEssO VInCEnTI mARERI, il COmpLEssO ARCIVEsCOVILE (sede del museo diocesano e biblioteca), il COmpLEssO dELLA sIGnORIA (foto 66 e 67) che comprende il Teatro Caio Melisso e il Teatrino delle Sei oltre ad archivi, il COmpLEssO dEL duOmO (foto 68, 69 e 70), il COmpLEssO dI sAnT’AGATA

foto 66 e 67: Spoleto, centro storico. Complesso della Signoria: ingresso al Teatro Caio Melisso e vista della platea.

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foto 68. Spoleto, centro storico. Complesso del Duomo.

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che ospita il museo archeologico nazionale, il COmpLEssO dEI CAppuCCInI, il COmpLEssO dELL’AbbAzIA dI sAn GIuLIAnO, il COmpLEssO dEL sAnTuARIO dI sAn FRAnCEsCO, il COmpLEssO dELL’EREmO dI sAnTA mARIA dELLE GRAzIE, il COmpLEssO dI sAn mIChELE ARCAnGELO dI EGGI, il COmpLEssO dELLA CInTA muRARIA, il COmpLEssO dI sAn mIChELE ARCAnGELO dI bEROIdE, il COmpLEssO dI sAn pIETRO dI bAzzAnO supERIORE, il COmpLEssO dI sAnT’AnGELO, il COmpLEssO dEL sEmInARIO ARCIVEsCOVILE, il COmpLEssO dI sAn sAbInO, il COmpLEssO dI sAnTA mARIA dELLA COnCEzIOnE, il COmpLEssO dI sAn GREGORIO mAGGIORE, il COmpLEssO dI sAn pAOLO Inter VIneas, il COmpLEssO dI sAn bRIzIO, il COmpLEssO dI sAn pOnzIAnO, il COmpLEssO dI sAnTA LuCIA, il COmpLEssO dELL’IsTITuTO mAEsTRE pIE FILIppInE, il COmpLEssO dI sAn GREGORIO mInORE, il COmpLEssO dI VILLA REdEnTA, il COmpLEssO dI CAsA COnCA, il COmpLEssO dI sAnT’AndREA dI bAzzAnO InFERIORE, il COmpLEssO dELLA mAdOnnA dELLA pIETà, il COmpLEssO dELLA mAdOnnA dI LORETO e il COmpLEssO dI sAn sALVATORE. Delle 217 Schede Sanitarie complete, 32 riguardano beni individui: chiesa della Misericordia, chiesa di San Rocco, chiesa di San Giuseppe, chiesa di San Donato, chiesa della Madonna di Castellocchio, chiesa di San Giovanni Battista, chiesa di San Lorenzo, chiesa di San Gregorio della Sinagoga, chiesa di Santa Maria delle Grazie, chiesa di San Filippo Neri, Palazzo Benedetti di Montevecchio, Palazzo Boncompagni di Visso poi Dragoni,

foto 69 e 70. Spoleto, centro storico. Complesso del Duomo, particolari.

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Chiesa di San Silvestro, Palazzo Arroni-Racani, Palazzo Zacchei-Travaglini, Palazzo Leti Sansi, Palazzo Fabricolosi-Menotti, Palazzo Antonelli, Palazzo Bachetoni Vaccari, Palazzo Clarignani, Palazzo Mongalli Fraticelli, e l’ex Villa Votalarca, Casino Luparini poi Leonetti Luparini, Casa Parenzi, Casa Ancaiani poi Anchise-Pompei, Casa medioevale, Scalinata di Piazza Pianciani ed inoltre Palazzo Rosari-Spada – sede del museo del tessuto e del costume-, Palazzo Ancajani – sede delle Poste Centrali, del Centro Italiano di Studi sull’alto Medioevo e dell’Accademia Spoletina –, Palazzo Collicola – museo di arti visive –, Palazzo Pianciani – contenitore di archivi –, e Palazzo Mauri – che ospita una biblioteca, una sala convegni, il Centro di Documentazione Multimediale, l’archivio del Teatro Lirico Sperimentale –.Per quanto riguarda la catalogazione di Spoleto, ben lungi da essere completa, bisogna rilevare che alcuni beni di notevoli dimensioni e complessità, nonché di estremo interesse culturale, versavano già nel 2014 in uno stato di degrado importante e certamente il terremoto del 2016 ha trovato terreno fertile con strutture ad elevato livello di vulnerabilità. è il caso, ad esempio del bellissimo COmpLEssO dI sAn sALVATORE (foto 71, 72, 73, 74 e 75) appena fuori Spoleto, peraltro inserito dal 2012, insieme al Tempietto del Clitunno, nella World Heritage List dell’Unesco.La chiesa si trova infatti in buone condizioni, ma in una pessima situazione di contesto, dal momento che i suoi componenti, come è possibile evincere dalla documentazione fotografica, sono in un pessimo stato conservativo e in abbandono.

foto 71, 72 e 73. Spoleto, area extraurbana. Complesso di San Salvatore.

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Altrettanto interessante è peraltro il COmpLEssO dEL mOnAsTERO dELLA mAdOnnA dELLA sTELLA (foto 76, 77 e 78; figura 10), anche quest’ultimo nel 2014 si trovava in un pessimo stato di conservazione ad eccezione dell’Ospedale e della ex sacrestia che erano in fase di restauro e per questo motivo non si è potuto completare la scheda sanitaria di quest’ultima. L’accessibilità ai vari componenti era accidentata a causa, appunto, dello stato di degrado ed abbandono in cui versava il complesso. Per accedervi all’interno si era costretti a procedere per percorsi tortuosi che rendevano difficile una lettura dell’organizzazione originaria dei diversi corpi di fabbrica. Non è stato possibile ispezionare dettagliatamente la Chiesa, in quanto accessibile solo da una balconata posta in alto.

foto 74 e 75.Spoleto, area extraurbana. Complesso di San Salvatore.

foto 76 e 77. Spoleto, area urbana. Complesso del Monastero della Madonna della Stella.oratorio e veduta del chiostro del ’500.

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foto 78. Spoleto, area urbana. Complesso del Monastero della Madonna della Stella, veduta dei fabbricati.

figura 10. Schermata da sistema con la georeferenziazione del Complesso del Monastero della Madonna della Stella. in alto l’oratorio e in basso vedute dei fabbricati e del chiostro del ’500.

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Per concludere ci sembra d’uopo affrontare il COmpLEssO ALbORnOzIAnO (foto 79, 80, 81, 82 e 83) che ha comportato un notevole lavoro ampiamente discusso con lo stesso laboratorio, finalizzato ad individuare i suoi numerosi componenti, secondo una lettura integrata che ha considerato le fasi storiche costruttive e la riconoscibilità tipologica e strutturale. La figura 11 riporta la suddivisione del Complesso nei 15 componenti.

foto 79. Spoleto, Colle Sant’Elia.Vista aerea del Complesso.

figura 11. Spoleto, Colle Sant’Elia. allegato alla Scheda Patrimoniale con l’articolazione del monumento in 15 beni componenti.

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foto 80, 81, 82 e 83. Spoleto, Colle Sant’Elia. in alto da sinistra: Torre Maestra, cortile d’0nore, una delle torri vista dal camminamento apicale e ingresso alla Cappella di Lucrezia Borgia.

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3.6. RISULTATI DELL’APPLICAZIONE DEI MODELLI DI I E DI II LIVELLO

Delle 881 Schede Sanitarie compilate, sono state utilizzate, per la definizione dei modelli di Vulnerabilità, Esposizione, Danno atteso e rischio, quelle relative ai beni individui e ai singoli componenti dei complessi, con le seguenti differenze:

- i modelli di I livello sono stati applicati su un campione di beni, tra individui e componenti, pari a 705, utilizzando i dati presenti nei due tracciati anagrafico-identificativa, anagrafico-patrimoniale;

- quelli di II livello sono stati applicati su un campione di beni, tra individui e componenti, pari a 681, utilizzando i dati presenti nei tre tracciati che compongono la Scheda Sanitaria.

Si rimanda alle Appendici 1 e 2 per la descrizione degli algoritmi di calcolo utilizzati per la messa a punto dei modelli di Esposizione, Vulnerabilità, Danno atteso e rischio di i e ii livello di approfondimento, relativi alle tre componenti sismica, alluvioni e frane, mentre di seguito si riportano, in forme tabellari, i risultati ottenuti dall’applicazione dei modelli di calcolo di I e II livello attraverso la sperimentazione dei modelli schedografici sul campione di beni presenti nel territorio oggetto di indagine.Va specificato che, nelle more del riversamento dei dati relativi al rilevamento nel S.I.U. del Centro regionale di Protezione Civile dell’Umbria, non è stato possibile testare i modelli di rischio alle componenti alluvioni e frane per la mancanza delle estrapolazioni dei dati di pericolosità per tali domini.I risultati dell’applicazione dei modelli di algoritmo di calcolo definiti per la Vulnerabilità ed il rischio sono stati ottenuti attraverso un’elaborazione informatica effettuata tramite dei fogli di calcolo su base Microsoft Excel, partendo dai dati estrapolati dalle schede presenti all’interno del sistema Data Entry utilizzato per l’attività di schedatura. I fogli di calcolo sono stati quindi strutturati evidenziando ogni singolo parametro/indicatore, in modo da poter condurre delle accurate analisi di sensitività per ciascuno di essi e, parallelamente, verificare in tempo reale i risultati delle singole simulazioni. L’utilizzo di questa elaborazione ha consentito di effettuare interrogazioni, modifiche ed implementazioni, necessarie per affinare le valutazioni dei risultati e ottenere dati sufficientemente coerenti. L’impiego di Excel ha inoltre permesso di effettuare la simulazione di calcolo non su un campione limitato di beni, ma sulla totalità degli oggetti rilevati, in modo tale da ottenere dei valori completi rispetto all’attività di schedatura condotta.

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3.6.1. Vulnerabilità sismica I livello di approfondimento: risultati

Di seguito si riportano in forma tabellare la classificazione ottenuta dall’applicazione dei modelli di calcolo su un campione pari a 705 beni schedati (beni individui e componenti) attraverso l’utilizzo del modulo schedografico relativo alla anagrafico-identificativa e anagrafico-patrimoniale.I dati di sintesi vengono rappresentati attraverso la suddivisione in scale qualitative che ne specificano l’appartenenza secondo una valutazione di “gravità” identificata dal colore di riferimento: alta (colore rosso), media o medio-bassa (colore arancione), bassa (colore verde).

Per quanto riguarda l’assenza del livello di vulnerabilità bassa per le componenti alluvioni e frane, ciò è dovuto alla difficoltà di poter ottenere valori sufficientemente distinti nelle 3 fasce che consentano di stabilire

differenze apprezzabili sulla base delle informazioni desunte dai campi della scheda.

3.6.2. Esposizione I Livello di approfondimento: risultati

A differenza degli indicatori utilizzati per la Vulnerabilità e Pericolosità, gli algoritmi che definiscono le diverse classificazioni per l’Esposizione sono comuni per tutte e tre le componenti e non sviluppano condizioni separate in quanto dipendono intrinsecamente

per caratteristiche comuni.I risultati ottenuti dall’applicazione dei modelli di calcolo per il fattore relativo all’esposizione per il I livello sono rappresentati nella tabella a fianco.

3.6.3. Danno atteso I Livello di approfondimento di II livello di approfondimento: risultati

Il Danno atteso è il risultato di una matrice che combina i fattori Vulnerabilità ed Esposizione i cui modelli e risultati sono stati precedentemente esposti. Di seguito si riportano i risultati ottenuti sul campione di beni rilevato attraverso l’applicazione del modello, riportato nelle matrici e nel relativo istogramma

ESPOSIZIONE I LIVELLO

Alta 304

Media 109

Bassa 292

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3.6.4. Pericolosità Sismica di I e II livello di approfondimento: risultati

La simulazione ha interessato esclusivamente la componente sismica per la quale i dati per ottenere i valori degli algoritmi di pericolosità sono stati calcolati a partire dai criteri di classificazione sismica regionale definiti per ciascun Comune dal D.G.r. n. 852 del 18/06/2003 e s.m.i., non avendo a disposizione strumenti che consentono ottenere in modo completo i valori puntuali di accelerazione massima al suolo per ciascun bene6.I Comuni interessati dall’attività di schedatura sono stati quindi associati alle seguenti fasce di pericolosità:

di riepilogo calcolato per ognuna delle 3 componenti (sismica, alluvioni, frane).

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Dal grafico si osserva che, applicando il modello di primo livello rispetto ai beni schedati, il risultato in termini di rischio sismico si può riassumere come segue: il 7,94 % dei beni hanno un rischio di livello elevato R5 e il 18,58 % un rischio di livello R4. Si tratta quindi un insieme di beni che raggiunge poco più del 25% del totale schedato e per esso si suggerisce l’avvio di una necessaria condizione di “attenzionamento” che possa portare ad adeguate e specifiche azioni di approfondimento nel breve periodo.

3.6.6. Vulnerabilità II livello di approfondimento: risultati

Come per l’applicazione dei modelli di vulnerabilità di I Livello anche per quelli di II Livello i risultati sono stati ottenuti attraverso un’elaborazione informatica effettuata tramite dei fogli di calcolo su base Microsoft Excel,

- ZONA 1 – PERICOLOSITà ALTA: ag > 0,25g (Spoleto)

- ZONA 2 – PERICOLOSITà MEDIA: 0,15g < ag ≤ 0,25g (Citerna, Città di Castello, fossato di Vico, Gubbio, Monte Santa Maria Tiberina, Montone, Pietralunga, San Giustino)

Tali valori sono stati presi a riferimento sia per il calcolo del modello di I livello che per quello di II livello.

3.6.5. Rischio Sismico I Livello di approfondimento: risultati

è stato elaborato il solo calcolo che riguarda la componente sismica. Il risultato che si è ottenuto è riportato nella seguente matrice e nel relativo istogramma di riepilogo.

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VULNERABILITÀ SISMICA

II LIVELLO

VULNERABILITÀ ALLUVIONI

II LIVELLO

VULNERABILITÀ FRANE

II LIVELLO

Alta 447 Alta 121 Alta 129

Media 164 Media 58 Media 136

Bassa 70 Bassa 502 Bassa 416

(beni individui e componenti) attraverso il modulo schedografico relativo alla anagrafico-identificativa, anagrafico-patrimoniale e vulnerabilità conservativa.

3.6.7. Esposizione II livello di approfondimento: risultati

Come già specificato per il I livello di approfondimento, anche per il II livello gli algoritmi che definiscono il fattore Esposizione sono comuni per tutte e tre le componenti e non sviluppano condizioni separate.I risultati ottenuti dall’applicazione dei modelli di calcolo per il fattore

relativo all’esposizione per il II livello sono rappresentati nella tabella a fianco.

3.6.8 Danno atteso di II livello di approfondimento: risultati

Il danno atteso consente di poter correlare il dato sull’esposizione con quello di vulnerabilità, definendo dei livelli attraverso i quali, in combinazione con la pericolosità del sito, si può successivamente valutare il rischio individuale del bene.Il risultato che si è ottenuto sul campione di beni esaminato attraverso l’applicazione del modello di II livello è riportato nelle seguenti matrici e nel relativo istogramma di riepilogo calcolato per ognuna delle tre componenti (sismica, alluvioni, frane).

ESPOSIZIONE II LIVELLO

Alta 315

Media 120

Bassa 246

partendo dai dati estrapolati dalle schede presenti all’interno del sistema Data Entry utilizzato per l’attività di schedatura.Di seguito si riportano, in forme tabellare, i risultati ottenuti dall’applicazione dei modelli di calcolo di II livello su un campione pari a 681 beni schedati

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3.6.9. Rischio sismico di II livello: risultati

Per il campione interessato dalla schedatura è stato valutato il rischio, con esclusivo riferimento alla componente sismica. Il risultato è riportato nella seguente matrice e nel relativo istogramma. Dal grafico si può facilmente

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osservare che, applicando il modello di secondo livello rispetto ai beni schedati, il risultato in termini di rischio sismico fornisce una percentuale pari all’11,31 % di beni con rischio di livello elevato R5 e pari al 28,63 % di beni con rischio di livello R4.

Insieme (beni a livello R4 + beni a livello R5) costituiscono circa il 40% del totale e per essi dovrebbe essere attivata una condizione di specifico “attenzionamento” che conduca a procedure di approfondimento conoscitivo e a verifiche in tempi sufficientemente rapidi, al fine di consentire una programmazione coerente con gli obiettivi di prevenzioni generale del patrimonio.

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3.7. CONCLUSIONI

Di seguito si riporta una tabella di sintesi dove, per comuni, vengono riportate le Schede Sanitarie COMPLETATE in tutti i tre tracciati che le compongono, articolate in beni desunti dagli elenchi isCr o da questi generati e beni “nuovi” ovvero inseriti secondo i criteri già descritti. La terza colonna riporta il dato complessivo .Le ultime due colonne riassumono l’attività di catalogazione comunque effettuata anche attraverso visite ispettive, ma che non ha prodotto Schede Sanitarie complete per motivi di accessibilità ai beni. L’ultima colonna riporta i beni per i quali comunque è stato compilato il tracciato anagrafico-patrimoniale che comunque garantisce il possesso di tutti quei dati indispensabili per la gestione delle emergenze e sulla base dei quali è possibile comunque realizzare un primo modello speditivo di rischio. In totale quindi l’attività di verifica in situ ha riguardato 881 beni.

SCHEDE SANITARIE COMPLETE SCHEDE SANITARIE INCOMPLETE

COMUNI

Beni

da

elen

co Is

CR

Nuov

i ben

i

TOTA

LE

Sola

iden

tifica

tivea

Iden

tifica

tivea

+ pa

trim

onia

le

Citerna 42 9 51 --- ---

Città di Castello 139 10 149 1 ---

Fossato di Vico 43 --- 43 1 1

Gubbio 229 11 240 4 9

Monte Santa Maria Tiberina 29 1 30 --- ---

Montone 34 4 38 --- 2

Pietralunga 39 2 41 --- ---

San Giustino 31 5 36 --- ---

Spoleto 215 2 217 5 13

TOTALE 801 44 845 11 25

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Sulla scorta del rilevamento condotto su un campione così significativo, è possibile realizzare una stima relativa alla reale consistenza del patrimonio architettonico ancora da schedare nei comuni interessati da questa prima campagna di catalogazione e quindi nell’intero territorio dell’Umbria.Dalla verifica su campo di 377 beni, sui complessivi 798 inseriti nel S.i.T. nazionale e relativi agli otto comuni interessati dal progetto è possibile ipotizzare un fattore di moltiplicazione pari a 2,24 applicabile al dato iniziale isCr per pervenire a quello finale relativo alla effettiva consistenza del patrimonio architettonico in Umbria. Considerando però che tra i 421 beni ancora da verificare, presenti nel S.I.T. isCr dei comuni di cui sopra, si trovano alcuni doppioni e oggetti non ascrivibili all’ambito dei beni architettonici, tale fattore può essere ricondotto ad un massimo di 2.Pertanto, se il S.I.T. Cdr nazionale riporta il dato di 566 beni architettonici in provincia di Terni e di 3662 in provincia di Perugia, il patrimonio reale dovrebbe avvicinarsi a circa il doppio di tale dato:

- circa 1.132 beni architettonici nella provincia di Terni;- circa 7.324 in quella di Perugia;

per un totale di 8.456 beni e pertanto il rilevamento effettuato è pari a circa il 10 % di quello complessivo. Queste considerazioni forniscono elementi di riflessione su quanto ri-man ga ancora da fare e su come andrebbero investite al meglio le risorse disponibili. Ovviamente, il dato conoscitivo circa la quantità, qualità e stato di conservazione dell’intero patrimonio architettonico dell’Umbria è fondamentale e necessario per porre in essere ogni indispensabile intervento di prevenzione da parte degli organi competenti e, al tempo stesso, dotarsi di uno strumento per una efficace ed efficiente gestione delle emergenze che purtroppo si susseguono periodicamente nel nostro territorio.Salvaguardare beni culturali da eventi calamitosi, assicurando agli stessi una situazione statico-strutturale adeguatamente sicura, significa anche e soprattutto salvaguardare vite umane e attività economiche in gran parte legate alla fruizione turistica e turistico-religiosa del patrimonio.Se la basilica di San Francesco di Assisi non fosse stata chiusa al pubblico quel 26 settembre del 1997, per precauzione e per consentire la verifica degli eventuali danni che questa aveva subìto durante le precedenti scosse, il bilancio di vittime sarebbe stato di certo tragicamente alto. Rafforzare quindi le capacità di risposta dei beni culturali al rischio sismico significa salvaguardare edifici “strategici”, non solo per il loro valore culturale e “patrimoniale”, ma anche per il loro utilizzo pubblico che, in alcuni casi, implica un consistente grado di affluenza pressoché quotidiano, con picchi

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stagionali e giornalieri elevati.Per questo motivo il Laboratorio Diagnostica Beni Culturali di Spoleto, una volta preso atto che non si poteva coprire con il rilevamento l’intero territorio degli otto comuni in oggetto, ha dato priorità di rilevamento a quegli edifici utilizzati a pieno titolo come “luoghi della cultura”, a quelli di proprietà pubblica ed uso pubblico, alle chiese, e così via.è ovvio che alle amministrazioni competenti è demandato l’ingrato compito della scelta. Quella iniziale, di aver concentrato le risorse nei territori della dorsale appenninica, non può che essere condivisa e sicuramente, future disponibilità finanziarie potranno essere indirizzate al completamento di tale quadro conoscitivo.I risultati emergenti dall’applicazione dei modelli alla Scheda Sanitaria, hanno però indotto ad effettuare ulteriori riflessioni circa l’“economicità” – intesa come rapporto costi/benefici – e l’adeguatezza del tracciato a fornire un modello di Rischio di II livello significativo.La Scheda di Vulnerabilità Conservativa, infatti, rileva il danno per macro-classi che aggregano le differenti tipologie di danneggiamento. Ad esempio, per quanto riguarda i danni strutturali (danni di tipo A, nel lessico isCr), la scheda consente solo di rilevarne la presenza, senza dare la possibilità di specificare se trattasi di cedimenti, fuori piombo, lesioni, distacchi, ecc. Analogamente avviene per quanto concerne le altre cinque macro-classi, B-Disgregazione materiale, C-Umidità, D-attacchi biologici, E-alterazione degli strati superficiali, F-Parti mancanti.La compilazione della vulnerabilità conservativa richiede molto tempo, soprattutto per quanto riguarda la descrizione di numerosi fattori di danno delle superfici e relativi coefficienti, spesso poco o niente indicativi per comprendere le effettive condizioni strutturali del manufatto. A differenza di quelli archeologici peraltro, l’analisi dei danni sui beni architettonici non prende neppure in considerazione tecniche costruttive e materiali costituenti dei beni. Tale scheda andrebbe quindi ripensata, anche in funzione dei campi della stessa Scheda di Vulnerabilità Sismica del 2008; alcuni campi di quest’ultima sono stati infatti già inseriti non a caso nella scheda anagrafico-patrimoniale.è evidente quindi come la Scheda Sanitaria, così come sperimentata, non consenta una valutazione approfondita, tale da pervenire ad una valutazione quantitativa del grado di effettiva vulnerabilità di un edificio.Un’altra valutazione riguarda il fatto che vengono inseriti nel calcolo anche beni per i quali sono del tutto evidenti le condizioni di totale e/o parziale perdita. è il caso, ad esempio, del Complesso della Madonna della Stella a Spoleto, danneggiato dal recente sisma ma che, come noto, versava già dal 2014 in un gravissimo stato di degrado. Situazioni simili, di complessi di

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notevole interesse culturale ridotti in più che precarie condizioni conservative sono stati riscontrati anche e soprattutto extra moenia e, in questo caso, l’emergenza diventa ancora più impellente per il rischio di spoliazione. Nel territorio di Gubbio ad esempio sono presenti complessi di estremo interesse architettonico ed artistico ormai in abbandono. è il caso del COmpLEssO dEL CAsTELLO dI sAn CIpRIAnO (foto 84 e 85) di proprietà privata, la sua compromissione a livello strutturale è di entità tale da renderne difficile una lettura della fabbrica, seppure appare evidente il suo valore architettonico ed artistico. Inutile dire che la “perdita” del monumento appaia ormai prossima.

foto 84 e 85. Gubbio, area extraurbana rurale. Castello di San Cipriano (XV-XiX sec.). Si tratta di un palazzo inizialmente realizzato come fortificazione. nel XVi secolo passò in mano alla famiglia eugubina dei Galeotti.

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Un caso analogo è quello del COmpLEssO dEL CAsTELLO dI bIsCInA (foto 86, 87, 88, 89. 90, 91 e 92), anch’esso di proprietà privata, che seppur parzialmente ristrutturato si trova ancora in gran parte in stato di abbandono.

foto 86, 87, 88, 89 e 90: Gubbio, area extraurbana rurale. il Complesso del Castello di Biscina (X – XX sec.), conserva ancora l’aspetto del borgo altomedievale, con tutti gli elementi architettonici del tipico castrum feudale.

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figura 12

Per dare un’idea della sua articolazione e complessità, è costituito da 8 beni componenti (Figura 12). La chiesa di Sant’Anastasio presenta gravi danni strutturali che ne compromettono l’agibilità. Le pareti portanti sono state messe in sicurezza con opere provvisionali in carpenteria metallica mentre la copertura è con presidi in elementi lignei. La protezione dagli agenti meteorici è

foto 91 e 92. Gubbio, area extraurbana rurale. il Complesso del Castello di Biscina (X - XX sec.), conserva ancora l’aspetto del borgo altomedievale, con tutti gli elementi architettonici del tipico castrum feudale.

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“assicurata” con una copertura provvisionale in lamiera. Anche l’attigua torre campanaria presenta danni strutturali gravi. è da notare inoltre la tessitura dello spigolo della chiesa opera di maestranze estremamente qualificate che testimoniano l’importanza storica del monumento.Si dovrebbe quindi puntare ad avere un’esatta conoscenza a livello regionale di situazioni di questo tipo, anche per indirizzare politiche di sviluppo a partire dal recupero e valorizzazione di questa parte significativa di patrimonio a rischio attuale – e non potenziale – di dispersione.Il confronto statistico tra la sperimentazione del modello di I e quello di II livello, applicata in particolare sulla componente sismica, mette in evidenza che, passando da un modello speditivo ad uno più approfondito, possono avere discostamenti apprezzabili se si valutano gli esiti relativi ai rischi R4-R5. Tale insieme statistico viene considerato l’indicatore più efficace attraverso cui si attiva il livello di alert per la procedura di attenzionamento.Il passaggio percentuale che va dal 25% al 40% tra i risultati di I e II livello, è in qualche modo conseguenza dell’entrata in gioco di una maggiore combinazione di fattori soprattutto riguardanti aspetti di vulnerabilità desunti dalla raccolta di dati sulle condizioni “conservative” del monumento.è palese che l’impiego completo della scheda sanitaria con tutti e 3 i moduli consente un grado di affidabilità del dato migliore che non utilizzando i soli campi afferenti all’anagrafica e patrimoniale, ma questo, come detto, non sempre è una condizione possibile da ottenere. è da evidenziare al contrario l’allineamento di massima del dato riferito ai beni attestati al livello più alto di rischio (R5) tra quelli calcolati con il modello di I e di II livello. Si evidenzia infatti uno scarto di poco inferiore al 4% facendo intendere che l’attendibilità del modello cosiddetto “speditivo” almeno per quest’ultimo caso è sufficientemente elevata.Il dato essenziale che emerge da una lettura critica dei risultati sperimentali ottenuti in occasione della prima campagna di rilevamento è quello che il patrimonio monumentale, nelle sue diverse forme, deve poter essere innanzitutto conosciuto per poterne trarre informazioni utili a definire politiche di prevenzione coerenti e sostenibili anche in termini economici.La corretta programmazione è infatti l’elemento più efficace in questo campo per dare risposta alle necessarie azioni di “difesa” che per forza di cose derivano dalla naturale propensione dei beni a subire l’effetto di eventi calamitosi.La capacità nel poter gestire efficacemente i risultati di un approccio cono-scitivo come quello proposto (se pur probabilistico) deve trasformarsi in una nuova “abitudine” per le pubbliche amministrazioni ad occuparsi, una volta per tutte, con spirito consapevole del problema legato alla mitigazione del rischio.

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Nota degli autori

il r.U.P. del servizio sopra descritto è stato l’architetto Pio Baldi, promotore e responsabile del progetto Carta del rischio del Patrimonio Culturale per l’isCr (1990-1996). il professor Paolo angeletti è stato, per l’ente appaltante, incaricato del collaudo del servizio in qualità di esperto in Carta del rischio e messa a punto di modelli di rischio.il coordinamento del progetto è stato realizzato dagli architetti omar Cristallini e Enrica rasimelli (rPa s.r.l.). È stata effettuata, nell’ambito del progetto, un’attività di formazione dei rilevatori al fine di assicurare omogeneità nei giudizi interpretativi durante le visite ispettive e univocità nella compilazione dei tracciati che compongono la Scheda Sanitaria, compreso il tipo di documentazione fotografica e documentaria da allegare. La formazione dei rilevatori è stata realizzata da antonio Borri, Dora Cirone, omar Cristallini, anna De riso Paparo, Maurizio Dragoni, angela Maria ferroni, andrea Giannantoni, rolando ramaccini, Enrica rasimelli, adriano Scognamillo. nell’ambito di detta attività formativa è stato promosso un seminario “rilevazione dello stato di conservazione di monumenti del territorio regionale dell’Umbria Carta del rischio del Patrimonio Culturale” svoltosi presso la rocca albornoziana il 16 giugno 2014.i responsabili dell’elaborazione dei modelli di calcolo sono il professor antonio Borri e gli architetti Enrica rasimelli e omar Cristallini che hanno operato congiuntamente ai coordinatori del progetto; la dottoressa Dora Cirone ha inoltre assicurato una costante assistenza ai rilevatori durante tutta la fase di rilevamento. il sistema informativo utilizzato per le attività di catalogazione e per le estrazioni funzionali a testare i modelli di rischio, è un’evoluzione di quello progettato e realizzato dalla stessa rPa s.r.l. ed ES Progetti Sistemi di roma in occasione del Progetto di “Carta del rischio del Patrimonio Culturale e ambientale della regione Siciliana” promosso dal CrPr di Palermo. Per quanto riguarda la catalogazione di Spoleto, buona parte di questa è stata realizzata da Pro.rEST. s.r.l. di Spoleto per la sua profonda conoscenza del territorio in oggetto.il team è stato inoltre così composto: Michela antonini, Marta Bernicchi, Luca Bragetta, Valentina Brasili, Matteo Cannarsa, Benedetto Ceccarini, Elisabetta Chiodini, Leonardo Ciarapica, Enrico Coluzzi, Salvatore Corlianò, anna Maria De Carolis, antonella filiani, Egisto favaroni, Giulio Galli, Stefano Galli, Bruno Gori, Simonetta innamorati, Cinzia Loreti, Valerio Mastroianni, Jonas orland, Giuseppina Paoni, Daniela Provani, Giovanna ramaccini, Emanuele Santini, olivia Schillaci, Mario Tosti, Gianfranco Vanni, Laura zamperoni.

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NOTE

1 Cfr. REGIOnE sICILIAnA – CEnTRO REGIOnALE pER LA pROGETTAzIOnE Ed IL REsTAuRO (a cura di), Waterfront urbani di Catania, Messina, Palermo, Siracusa e Trapani. Modelli di studio a scala locale della Carta del rischio del patrimonio culturale ed ambientale della regione Siciliana, Eurografica s.r.l., Palermo, 2008 ed inoltre sempre a cura del CRPR di Palermo, il Sistema informativo Territoriale e gli studi tematici. Carta del rischio del patrimonio culturale ed ambientale della regione Siciliana, Eurografica s.r.l., Palermo, 2008.2 Il concetto di valore del bene culturale fu per la prima volta analizzato in una elaborazione dell’ICR nel 1983 (V. “La protezione del patrimonio culturale dal rischio sismico, termini del problema”, quaderno 5, cap 5.5, Pio Baldi e Franco Braga, pp. 5-10, Istituto Centrale del Restauro, 1983).3 La scheda di vulnerabilità sismica è stata elaborata nell’ambito del progetto Carta del Rischio del Patrimonio Culturale – Dati sulla vulnerabilità e Pericolosità sismica del patrimonio culturale della Regione Siciliana e della Regione Calabria, a titolarità dell’IsCR, che aveva inteso definire un nuovo tracciato schedografico in grado di rispondere in maniera più specifica alla definizione degli indici di vulnerabilità e rischio sismico. il tracciato è stato elaborato dall’allora Consorzio Protecno attualmente confluito in RPA s.r.l. e da quest’ultima società,facendo leva sulla consulenza scientifica del prof. Ing. Paolo Angeletti. Dette società si sono poi occupate del rilevamento di 2.600 beni architettonici con la scheda anagrafico-identificativa – inventario – e 1950 con quella di vulnerabilità sismica, nonché della messa a punto di nuovi modelli di rischio e vulnerabilità sismica. SGA Storia Geofisica Ambiente s.r.l., si è occupata del rilevamento in Calabria che ha interessato 1.400 beni architettonici con la scheda anagrafico-identificativa – inventario – e 1.050 con quella di vulnerabilità sismica. 4 Elaborate nel 2006 di concerto tra il Dipartimento della Protezione Civile e la Direzione Generale per i Beni Architettonici e Paesaggistici, in attuazione di quanto previsto all’art. 3 dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 maggio 2005, n. 3431 e successivamente approvate con modifiche dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e dalla Conferenza Unificata.5 Si tratta degli interventi eseguiti nell’ambito dell’Accordo Programma Quadro – Tutela e prevenzione dei beni culturali nella Regione Umbria ed in particolare dell’intervento a6f1

“Studio e progettazione di attrezzature speciali nell’ambito della robotica per la protezione degli operatori in emergenza, nonché di nuove tecniche di intervento applicabili alle attrezzature speciali nell’ambito della robotica per la protezione dei beni culturali in emergenza”, dell’intervento a5f “Studio e progettazione finalizzati alla produzione di prototipi di contenitori e imballaggi speciali per la salvaguardia dei beni culturali mobili, nonché all’elaborazione di relativi modelli di trasporto istituzionale in caso di emergenza” e dell’intervento D1 “Progetto trasversale per la definizione delle procedure, prassi, tecnologie, modelli per l’attivazione a regime delle varie linee di attività nella filiera dei beni culturali, in integrazione con le attività di protezione civile”.6 L’attività di catalogazione e messa a punto dei modelli di vulnerabilità e rischio è stata infatti condotta a seguito dell’aggiudicazione ad rPa s.r.l. del Servizio di rilevazione dello stato di conservazione di monumenti del territorio regio-nale dell’Umbria (Carta del Rischio del Patrimonio Culturale). Per l’espletamento del servizio suddetto, che è stato coordinato dall’arch. Enrica rasimelli congiuntamente all’arch. omar Cristallini, rpa ha fatto leva sull’esperienza e qualità scientifica del prof. ing. antonio Borri nella messa a punto dei modelli di vulnerabilità e rischio. L’esperienza scientifica del prof. Borri e quella “su campo” maturata da rpa in altri progetti simili nei quali ha operato on il prof. ing. Paolo angeletti, ha garantito un’evoluzione ragionata dal modello iniziale Carta del rischio che non precludesse la possibilità di mantenere un dialogo funzionale con il Sistema Centrale Carta del rischio.7 è stato comunque effettuato un test su un cam-pione di 50 beni, ricercando per coordinate il va-lore puntuale dell’accelerazione al suolo, al fine di valutare la variabilità di tale grandezza nell’ambito dei vari territori comunali. Per ogni comune sono stati selezionati un numero significativo di punti in base all’estensione del territorio, dislocati in modo da coprire l’intera area in esame (uno o più pun-ti al centro città ed altri nei territori periferici più estremi). I dati evidenziano una variabilità minima all’interno di ogni comune, e confermano sostan-zialmente la classificazione regionale adottata, tranne che per il Comune di Spoleto per il quale i valori esaminati si attestano su un livello inferiore (fascia media - 0,15g < ag ≤ 0,25g - anziché alta - ag > 0,25g -). Tale risultato è attribuibile al fatto che i beni schedati risultano localizzati nella porzione di territorio con valori di accelerazione mediamente inferiori.

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Terremoti, frane, alluvioni, cambiamenti climatici, inquinamento sono minacce che nel nostro Paese incombono non solo sul territorio e sui cittadini, ma anche sul patrimonio artistico, architettonico, archeologico e archivistico. Nelle piccole, come nelle grandi emergenze, l’importanza della tutela, della salvaguardia e del soccorso dei beni culturali, patrimonio identitario delle comunità che rappresentano, è ormai un dato acquisito non solo per ragioni morali ma anche per le implicazioni economiche e sociali che ne derivano.L’Umbria ha fatto tesoro delle esperienze passate ed è riuscita a ritagliarsi un ruolo di leaderschip nelle politiche di prevenzione dalle calamità e nella salvaguardia dei beni culturali. Una lungimiranza che ha permesso di af-fron tare con competenza ed efficienza anche la devastante crisi sismica che nell’arco di cinque mesi, tra il 24 agosto 2016 e il 18 gennaio 2017, ha sconvolto il territorio dell’Appennino centrale coinvolgendo, per la vastità del cratere, quattro regioni: l’Umbria, le Marche, il Lazio e l’Abruzzo. In ogni caso, per ripercorrere il cammino compiuto dall’Umbria nell’ambito della prevenzione e gestione delle emergenze, e in particolare nell’ambito della salvaguardia dei beni culturali, occorre spostare indietro nel tempo le lancette dell’orologio al momento in cui nasce a Foligno il Centro di Protezione Civile Regionale (CPCR) con le articolazioni del Centro Operativo Beni Culturali (COBC), del deposito di Santo Chiodo di Spoleto e del Sistema Informativo Unico dei Beni Culturali.

4.1. DAL SISMA DEL 1997 ALL’ACCORDO DI PROGRAMMA QUADRO DEL 2004

è il 1998, quando il Ministro dell’Interno, attraverso l’ordinanza n. 2783, individua i soggetti chiamati alla realizzazione nel comune di Foligno – e quindi in posizione baricentrica rispetto al territorio regionale – di un Centro di Protezione Civile la cui gestione è di competenza della Regione Umbria.Sono passati sette mesi dalla scossa di terremoto che il 26 settembre 1997 ha sconvolto molti paesi a cavallo tra l’Umbria e le Marche causando 11

4.POLITICHE DI SALVAGUARDIA

DEI BENI CULTURALI DEL CRPC DI FOLIGNOPiani di prevenzione e gestione delle emergenze

filippo Battoni, alfieroMoretti

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morti, centinaia di feriti e quasi 23 mila sfollati. Nella sola Umbria sono quasi 33 mila gli edifici danneggiati, tra cui la basilica di San Francesco ad Assisi, il cui crollo della volta affrescata da Giotto e Cimabue, avvenuto in diretta TV, provoca la morte di quattro persone – due tecnici e due frati – che stavano controllando i danni causati nell’edificio dalla prima violenta scossa di terremoto. è proprio in seguito al sisma del 1997 che, partendo dal presupposto che la gestione delle emergenze rientra a pieno titolo nella tutela del patrimonio culturale, emerge in Umbria la necessità di disporre di strutture specializzate per azioni di pronto intervento, protezione civile, conservazione, manutenzione e valorizzazione dei beni culturali. Per questa ragione vengono messe in atto tutte le iniziative necessarie per avviare il “Centro operativo per la conservazione, la manutenzione e la valorizzazione dei beni storico-artistici, archivistici e librari dell’Umbria” di seguito definito Centro Operativo Beni Culturali (COBC), interconnesso con il Centro di Protezione Civile Regionale, come previsto nel Protocollo d’Intesa sottoscritto il 19 maggio 1998 dalla Regione Umbria, dalla Provincia di Terni, dai Comuni di Foligno, Narni, Spoleto e dal Commissario per i Beni Culturali e Ambientali. Nel protocollo, tra le principali funzioni del Centro Operativo Beni Culturali in caso di emergenza vengono elencate: la definizione dello scenario del danno e la raccolta delle richieste di intervento; la pianificazione della campagna di controllo ed ispezione dei siti; la verifica preliminare dei dati relativi ai beni nel Sistema Informativo Unico dei Beni Cultuali e, in loro assenza, la compilazione del “fascicolo di fabbricato” per i beni immobili e della “scheda sanitaria” per i beni mobili; l’organizzazione e il coordinamento delle operazioni delle squadre tecniche multidisciplinari; la gestione dei flussi delle squadre operative, dei materiali e attrezzature verso i beni danneggiati, nonché dei flussi delle opere d’arte rimosse e/o asportate verso l’eventuale deposito di transito di Foligno e verso il deposito di Spoleto; l’organizzazione e la gestione dei dati relativi agli interventi eseguiti; la gestione e il coordinamento del volontariato per il recupero dei beni culturali.Inoltre, sulla base di un rinnovato quadro della legislazione per la protezione del patrimonio culturale (Codice per i Beni Culturali e Paesaggistici Dlgs. N. 42/2004), nel successivo Accordo di Programma Quadro del 15 dicembre 2004 (APQ2004), vengono individuate analiticamente anche le competenze della sezione di Spoleto dove si prevede che, in caso di emergenza, nel deposito di Santo Chiodo vengano gestiti i materiali in arrivo e venga definito un programma di pronto intervento sulle opere attivando interventi di disinfestazione, di primo intervento, di catalogazione, di immagazzinamento delle opere, di comunicazione della collocazione delle stesse agli enti

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proprietari e di implementazione dei dati del Sistema Informativo Unico dei Beni Culturali.Oltre a ciò l’Accordo di Programma Quadro del 2004, riconosce al Centro Operativo Beni Culturali, e più in generale al Centro Regionale di Protezione Civile, un ruolo rilevante anche nell’ambito della formazione e della ricerca sottolineando la necessità di un’ampia riflessione fra le istituzioni interessate per articolare e coordinare gli interventi formativi in un unicum per coprire il vasto panorama di figure professionali relative alle diverse funzioni del Centro Operativo Beni Culturali. L’obiettivo è quello di far sì che l’offerta formativa assicuri livelli di eccellenza tali da costituire, nel territorio nazionale e internazionale, un “serbatoio” di competenze unico nella sua specificità mentre, per quanto riguarda la ricerca, il COBC punta a svolgere una funzione di collettore di risultati della ricerca applicata (scientifica e tecnologica) per individuare strategie e modelli all’avanguardia in grado di fronteggiare le future emergenze. Risale sempre al 2004 un piano di azione della Giunta Regionale per l’attuazione del ‘parco progetti pilota’ del Centro operativo per i beni culturali e del Centro Regionale di Protezione Civile i cui interventi sono finanziati con fondi CIPE per un importo complessivo di € 12.255.953,46.

4.2. L’ATTO INTEGRATIVO DEL 2007

Negli anni successivi emerge la necessità di inserire quanto stabilito nell’APQ 2004 in un Piano-quadro in cui gli apporti istituzionali, tecnici e finanziari di tutti i soggetti della filiera vengano stabiliti con precisione al fine di garantire sostenibilità funzionale, operativa e gestionale al progetto. E ciò anche in base alle risultanze del “Percorso metodologico e progetto funzionale per l’attivazione del Centro regionale di Protezione Civile e dell’area strategico-operativa beni culturali”, approvato dalla Giunta Regionale nel 2007 (atto n. 1830/2007).è così che le scelte individuate nell’Atto Integrativo del 2007 vertono su una azione di calibratura e perfezionamento strategico con l’obiettivo di dare un profilo più definito ai servizi che si intendono fornire a regime, e quindi individuare funzioni, specializzazioni e strutture di riferimento attorno cui costruire il ruolo nazionale della filiera umbra, anche nell’ambito di una rete pluriregionale che possa integrare eventuali altre necessarie competenze.Vengono così individuate specifiche prassi e prontuari personalizzati per il pronto intervento, la messa in sicurezza e la prima tutela riferiti a concrete situazioni dei vari beni localizzati e, i risultati ottenuti, confluiscono nel Sistema Informativo Unico dei Beni Culturali, ubicato sempre a Foligno, con

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funzione preminente di sistema di supporto alle decisioni e quale strumento operativo unico per la gestione integrata del territorio sia in tempo di ‘pace’ che in caso di emergenze. In situazione di pace, il sistema deve consentire la realizzazione di analisi territoriali per la configurazione di scenari di previsione, rischio e pericolosità; la definizione di strategie di prevenzione e lo sviluppo di programmi e piani di tutela, da cui derivi un effettivo contributo ad uno sviluppo regionale sostenibile. In emergenza, esso deve garantire l’operatività immediata del Centro, mettendo a disposizione degli operatori un efficace sistema di relazioni con il territorio (sistema di scambio delle informazioni con gli enti locali), nonché un sistema di informazioni utili a definire, in tempo reale, lo scenario dell’emergenza, consentendo perciò di attivare le prime operazioni di soccorso.Infatti, relativamente ai beni culturali colpiti da calamità, le necessità informative acquisiscono una valenza ancora più significativa, in quanto la carenza di conoscenze dettagliate sulle caratteristiche e sui valori intrinseci delle opere e sui particolari comportamenti degli oggetti sottoposti a condizioni ambientali anomale, possono determinare distruzione e grave deterioramento degli stessi, con danni economici di inestimabile entità. Contemporaneamente si punta anche ad una strutturazione di un ambito di specializzazione delle attività di pronto intervento, messa in sicurezza e prevenzione in grado di garantirne non solo la perfetta adeguatezza tecnica, ma anche di alimentarne continuamente l’aggiornamento appropriato utilizzando e valorizzando le competenze già in possesso dell’amministrazione regionale o comunque presenti in Umbria. Per lo sviluppo dei servizi caratterizzanti la funzione specialistica e il profilo identitario/strategico della filiera umbra, la tematica che viene individuata è quella dell’attività di diagnostica, nella sua articolazione più ampia, per l’assoluta rilevanza di questa funzione nell’ambito delle procedure principali di analisi e valutazione dello stato dei beni, della loro vulnerabilità, delle situazione post-calamità (di pronto intervento e di tutela conservativa), e dunque sia delle azioni preparatorie agli interventi in emergenza, sia delle azioni post-emergenza e, più in generale, di manutenzione programmata. La scelta è dovuta al fatto che in Umbria, la presenza di competenze strutturale di alto livello – Università di Perugia – Dipartimento di Chimica, Centro di eccellenza per i beni culturali del Miur – possono garantire i necessari apporti tecnico scientifici e collegamenti con le massime istituzioni internazionali del campo. Inoltre, un ruolo non secondario in tale scelta gioca anche l’esistenza del Laboratorio di diagnostica nella Rocca Albornoziana di Spoleto, realizzato con fondi europei, cui partecipano, oltre alla Regione e al Comune di Spoleto, lo stesso Dipartimento di Chimica dell’Università di Perugia, il MiBAC (oggi Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo) e l’ICR (oggi

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Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro) oltre all’esistenza della “Scuola europea di formazione specialistica per conservatori-restauratori di beni librari”, anch’essa ubicata nella Rocca Albornoziana di Spoleto, istituita nel 1992 dal MiBAC e dalla Regione e gestita dal 1998 da una Fondazione costituita con legge regionale, ad opera del Ministero, della Regione Umbria, del Comune di Spoleto e delle Province di Perugia e Terni.Su questi presupposti, in data 22 novembre 2007, tra MiBAC, Regione Umbria e Università degli studi di Perugia viene stipulato un Protocollo d’intesa per la costituzione di un Centro di eccellenza per la diagnostica fondato sul Laboratorio di diagnostica di Spoleto le cui finalità istitutive coprivano già di fatto anche l’intera gamma delle competenze e dei compiti fondanti o comunque riconducibili ad una corretta impostazione tecnico-scientifica delle attività di protezione civile, basti pensare alle analisi di vulnerabilità e rischio o alla Carta del Rischio.La costituzione del Centro di eccellenza sulla diagnostica per i beni culturali rappresenta un’azione di razionalizzazione e di potenziamento tecnico-operativo delle attività specializzate caratterizzate dalle così dette “economie di produzione congiunta” (economy of scope) tipiche di strutture multi-obiettivo, a tutto vantaggio dell’organizzazione dell’Area strategico-operativa per i beni culturali del Centro Regionale di Protezione Civile, consentendo alla stessa una semplificazione nei riferimenti e nei raccordi esterni, una garanzia di continuità, qualità e pertinenza delle prestazioni e una integrazione già operata a monte tra i vari soggetti maggiormente implicati nelle tipologie di attività tecnico-scientifiche attinenti la protezione civile per i beni culturali.In questo disegno rimane di assoluta centralità la funzione di coordinamento, di impostazione dei programmi, di validazione di norme, protocolli e prassi, che il Centro Operativo di Foligno è tenuto a svolgere nei confronti delle attività tecniche e scientifiche destinate ad essere effettuate dal Centro di eccellenza per quanto attiene agli specifici output ai fini della protezione civile.

4.3. CONCLUSIONI

Alla luce degli eventi sismici del 2016 l’Umbria ha dimostrato di non brancolare nel buio e di essere stata capace di affrontare una vasta e complessa situazione di emergenza poiché, per tempo, si era dotata prima di tutto di strutture idonee, quali il Centro Regionale di Protezione Civile di Foligno, e si era preparata attraverso una articolata azione di prevenzione. Quanto ai beni culturali è evidente che il deposito di Santo Chiodo di Spoleto, interconnesso al Centro Operativo dei Beni Culturali, ha rappresentato in questa emergenza

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un modello da riproporre in tutti i territori esposti al rischio di calamità naturali in quanto ha fatto la differenza accorciando notevolmente i tempi della messa in sicurezza dei beni culturali a rischio per la presenza di una struttura antisismica, adeguata e completamente attrezzata per la gestione delle operazioni di pronto di intervento, protezione civile, conservazione, manutenzione e valorizzazione dei beni culturali. Ecco perché, all’indomani degli eventi sismici del 2016, la Protezione civile regionale, dopo aver prioritariamente assistito le persone, è stata in prima linea anche nell’impegno per il recupero dei beni culturali e per la messa in sicurezza di edifici fortemente identitari per gli abitanti delle zone colpite. Protagonisti – in coordinamento con il Mibact – insieme alla Protezione civile, i Vigili del fuoco, l’Esercito Italiano e i Carabinieri del nucleo tutela del patrimonio culturale che sono riusciti a mettere in salvo nel deposito di Santo Chiodo – in una corsa contro il tempo per il rischio di nuove scosse e possibili crolli strutturali, contro la neve, la pioggia, il freddo intenso – oltre sei mila opere d’arte di varia tipologia per alcune delle quali si è resa necessaria la conservazione in un’area con situazione ambientale controllata, per stabilizzarne le condizioni e permetterne il recupero. Per ogni pezzo è stata redatta una scheda inventariale ed è stata effettuata un’analisi conservativa per verificare la necessità di intervenire immediatamente con operazioni manutentive, come la depolveratura e la rimozione di depositi incoerenti, per poter poi programmare interventi di restauro. Gli eventi sismici del 2016 hanno sottolineato ancora una volta come in situazioni di calamità sia di fondamentale importanza assicurare, a tutti i soggetti che operano nella fase critica, il giusto insieme di informazioni e gli strumenti di gestione appropriati, per consentire loro di operare tempestivamente nel luogo richiesto. Assume quindi un ruolo strategico il Sistema informativo Unico per i Beni Culturali che deve ambire a diventare il principale contenitore dell’informazione per chi deve operare nella tutela e prevenzione dei beni culturali in Umbria, raccogliendo al suo interno le informazioni relative ai beni provenienti dalle banche dati dei singoli soggetti partecipanti al progetto e le informazioni relative al posizionamento dei beni sul territorio.  Insomma una banca dati centralizzata, alimentata costantemente in tempo di pace, con l’obiettivo di riunificare l’informazione sui beni culturali, attualmente assai dispersa fra i vari soggetti competenti, in funzione della gestione dell’emergenza.Ed è proprio in questo contesto di prevenzione e di pianificazione di interventi di tutela che si inserisce «La Carta del rischio del patrimonio culturale per i comuni di Citerna, Città di Castello, fossato di Vico, Gubbio, Monte Santa Maria Tiberina, Montone, Pietralunga, San Giustino, Spoleto» realizzata

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dal Laboratorio di diagnostica per i beni culturali di Spoleto nella piena consapevolezza del continuum non solo teorico, ma operativo, tra tutela, conservazione, valorizzazione e promozione che devono caratterizzare tutte le azioni sul patrimonio culturale. Questo lavoro è l’esempio tangibile di un contributo finalizzato ad alimentare la ‘banca dati centralizzata’ del Sistema informativo che i vari soggetti partecipanti al progetto e competenti nelle diverse materie si sono impegnati a mantenere sempre aggiornata implementando sia le informazioni sugli oggetti tutelati (caratteristiche strutturali, vulnerabilità, localizzazione, etc.) sia quelle relative alle risorse materiali, tecnologiche e ai procedimenti.L’auspicio è che questo sforzo comune, affidato ad una tutela preventiva, ad una rete di conoscenze condivise e all’interazione dei diversi soggetti, possa proteggere e conservare il patrimonio culturale ed artistico della nostra Regione poiché esso costituisce una priorità non solo per la conservazione dell’identità delle singole comunità ma anche perché genera ricchezza ed è motore di crescita economica.

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Nell’ambito del progetto Carta del rischio realizzato dal Laboratorio di Diagnostica per i Beni Culturali di Spoleto con il concorso della ditta RPA di Perugia, sono state acquisite molte informazioni e molti dati tecnici che, analizzati e studiati all’interno di un Sistema Informativo, hanno permesso di definire con sufficiente precisione sia i valori di vulnerabilità del patrimonio di edilizia storica preso in esame, sia i valori di pericolosità del territorio, arrivando a definire un indice di rischio relativo.

Il lavoro ha fornito, alla Regione Umbria, un enorme patrimonio di informazioni e tutti gli elementi utili alla definizione di una metodologia scientificamente organizzata sul tema della conservazione programmata del patrimonio di edilizia storica.

Relativamente ai beni oggetto di indagine e come ampiamente analizzato nei saggi precedenti, nel Sistema realizzato sono stati acquisite informazioni che, partendo dai dati anagrafico-patrimoniali, convergono sulle informazioni più squisitamente strutturali ed ingegneristiche.

Relativamente al territorio sono state sistematizzate ed elaborate le informazioni e le cartografie relative ai fenomeni naturali ritenuti potenziali fattori di pericolosità che investono la conservazione materiale dei monumenti intervenendo nei loro processi di degrado. Ulteriore obiettivo del progetto, a supporto di tutte le attività destinate alla gestione dell’emergenza, è stato quello di acquisire, verificare ed organizzare al meglio i dati anagrafici per accertare non solo il proprietario ma anche l’utilizzatore abituale o il custode del bene garantendo così una pronta e piena accessibilità.

Sulla base di queste premesse e in accordo con l’IsCR – che ha fornito l’elenco dei beni immobili umbri inseriti nel progetto Carta del Rischio nazionale – e con la Regione Umbria, il Laboratorio ha impostato i lavori per determinare i dati catastali utili, tra l’altro, all’ottenimento delle autorizzazioni all’accesso da fornire alla ditta appaltatrice.

Per poter recuperare tali dati si è organizzato un sistema adatto ad immagazzinare, elaborare, analizzare, gestire e rappresentare informazioni di tipo geografico attraverso un software GIS. Il sistema è stato organizzato sulla base dell’ultima proiezione orto-fotografica disponibile della Regione

5.GESTIONE DEI RAPPORTI ISTITUZIONALI

SUL TERRITORIO

Michela azzarelli, francesca nucera

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Umbria sulla quale si sono sovrapposti un layer catastale e il layer dei beni fornito dall’IsCR in proiezione cartografica Gauss Boaga Ovest – da noi poi trasferito in Est per compatibilità con il sistema di coordinate sia dell’ortofoto che del catastale.

Questa soluzione ci ha consentito di verificare che molti beni oggetto del nostro rilevamento non erano stati effettivamente individuati sul campo durante la campagna di georeferenziazione curata dall’IsCR rendendo perciò necessaria una verifica e correzione della georeferenziazione durante la campagna di rilevamento della vulnerabilità.

Una volta individuati i proprietari si è inoltrata la richiesta di accesso per l’autorizzazione alla schedatura.

Nei casi in cui i proprietari hanno richiesto maggiori informazioni sulle attività da svolgere, sulla natura e sul livello di diffusione e di privacy dei dati rilevati si è proceduto con incontri dedicati come, ad esempio, nei casi di particolari immobili di pregio di proprietà di Fondazioni o di Trust con sedi estere.

Nei casi di eccessiva riservatezza da parte dei proprietari si è richiamata la responsabilità e l’obbligo di cura del bene vincolato e il vantaggio dell’analisi gratuita dello stato di conservazione dell’edificio.

Nel caso invece degli immobili di proprietà parrocchiale, che hanno rappresentato percentualmente la fetta più importante del progetto, si è proceduto presentando la richiesta alle rispettive Curie con l’invito a porsi da intermediari nella trattativa con i singoli parroci e chiedendo inoltre il supporto degli uffici tecnici per il recupero dei dati utili all’anamnesi conservativa dei beni.

Nel complesso il progetto, pur con qualche resistenza, ha riscosso molto interesse sia tra i privati che tra le istituzioni pubbliche ed ecclesiastiche che hanno certamente percepito la delicatezza e l’interesse collettivo del tema dell’emergenza e dell’organizzazione della prevenzione che li vede protagonisti attivi della tutela dei beni in loro possesso.

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La linea di attività “Conoscenza dello stato di conservazione e della vulnerabilità del patrimonio”, di cui all’Accordo di collaborazione con la Regione Umbria, è stata progettata direttamente dal Laboratorio di Diagnostica per i Beni Culturali di Spoleto e affidata, per la sua realizzazione, a seguito dell’espletamento di una procedura aperta di rilevanza comunitaria aggiudicata col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

La documentazione di gara del servizio appaltato nel settore ordinario e denominato “Servizio di rilevazione dello stato di conservazione di monumenti del territorio regionale dell’Umbria (Carta del Rischio)” è stata predisposta in perfetta aderenza alle finalità progettuali contenute nella Relazione Tecnica Illustrativa. Per consentire di realizzare le esigenze perseguite dalla Stazione appaltante, particolare attenzione è stata riservata alla individuazione dei requisiti speciali soggettivi da richiedere ai concorrenti e l’attività di elaborazione dei criteri oggettivi di valutazione dell’offerta ha concorso a definire meglio la suddetta strategia, come emerge dalla breve esposizione che segue.

La complessità dei servizi tecnici oggetto dell’appalto, riguardanti la campagna schedografica di rilevamento dello stato di conservazione e delle condizioni di vulnerabilità di un rilevante numero di monumenti del territorio umbro, comprendente l’organizzazione e realizzazione di un corso di formazione per gli operatori che avrebbero realizzato la campagna stessa, nonché la formulazione di algoritmi per la successiva definizione degli indici di vulnerabilità e di rischio degli edifici rilevati, hanno determinato la previsione, in sede di gara, di specifici requisiti speciali di capacità tecnico-organizzativa oltreché economico-finanziaria, oggetto di verifica successiva in capo all’aggiudicatario e al secondo in graduatoria.

Riguardo ai requisiti di capacità tecnico-organizzativa, il capitolato tecnico descrittivo e prestazionale e, in particolare, il disciplinare di gara hanno richiesto agli operatori economici, come requisito di partecipazione, la disponibilità in caso di aggiudicazione di figure professionali addette alla schedatura (architetti, ingegneri, strutturisti, storici dell’arte, fotografi, restauratori e responsabile informatico) coerenti per qualificazione,

6.ASPETTI GIURIDICI DELL’APPALTO

“CARTA DEL RISCHIO” TRA REQUISITI SPECIALI E CRITERI DI VALUTAZIONE

Loredana zaccari

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esperienza e dimensione con le esigenze del servizio richiesto, come anche la disponibilità di figure professionali addette alla elaborazione degli algoritmi (analista esperto in statistica metodologica e un architetto o ingegnere con esperienza in valutazioni di vulnerabilità e di rischio per i monumenti). Tale requisito speciale, solo autocertificato in sede di partecipazione alla procedura aperta, sarebbe stato oggetto di verifica al momento della conclusione delle operazioni di gara – e prima dell’apertura delle offerte, solo in capo al sorteggiato – attraverso l’acquisizione dei curriculum vitae delle citate figure professionali.

La stazione appaltante inoltre, come sopra accennato, ha previsto come criterio di aggiudicazione dell’appalto del servizio “Carta del rischio” quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa in quanto ritenuto il più adeguato, sia in relazione alla procedura da avviare, sia tenuto conto dell’oggetto, dell’importo e delle caratteristiche del servizio, procedendo a elaborare i relativi criteri di valutazione.

Inizialmente, con la predisposizione del progetto, il Laboratorio di Diagnostica per i Beni Culturali ha definito un livello base del trade-off tra costo e qualità del servizio da appaltare e poi, attraverso la gara, ha individuato nell’ambito del proprio potere discrezionale quei miglioramenti riguardanti sia il prezzo sia la qualità che il mercato era in grado di offrire e ha definito, pertanto, i criteri di valutazione, i metodi e le formule per l’attribuzione dei punteggi, i punteggi stessi e il metodo per la formazione della graduatoria finale.

Dalla Relazione Tecnica Illustrativa è emerso che la campagna schedografica necessitava di una attenta pianificazione a causa del notevole numero di monumenti coinvolti (circa 800), della tipologia degli stessi in relazione ai proprietari non solo “pubblici” ma anche “privati”, nonché dell’attività preliminare di richiesta delle autorizzazioni di accesso da completare a cura dell’aggiudicatario (l’80% di tali autorizzazioni erano già state richieste e ottenute dalla Stazione appaltante). Sarebbe spettato all’aggiudicatario, altresì, di individuare i monumenti – tra quelli già in possesso dell’autorizzazione ottenuta dalla Stazione appaltante – i cui proprietari (pubblici o privati) non fossero risultati gli effettivi detentori, possessori, occupanti e di procedere quindi con la richiesta delle ulteriori autorizzazioni (ai detentori, ai possessori, agli occupanti), nonché di organizzare e realizzare corsi di formazione intensiva per le figure professionali addette alle operazioni di schedatura.

Per ottenere la piena realizzazione delle suddette finalità progettuali e meglio definire la propria strategia, la Stazione appaltante ha individuato in sede di capitolato tecnico e disciplinare di gara, i seguenti sub criteri e/o sub pesi di valutazione delle caratteristiche qualitative e funzionali dell’offerta tecnica che la Commissione giudicatrice – nominata dalla Stazione appaltante

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ñ avrebbe (e ha) poi preso in considerazione per l’attribuzione di punteggi: la migliore qualità/efficienza della pianificazione/realizzazione della schedatura in relazione all’organizzazione delle diverse fasi di attività e all’ottimizzazione dei tempi e delle risorse umane e strumentali impiegate; la qualificazione professionale del concorrente desunta dalle esperienze effettuate nel campo dei servizi di indagine e rilevazione dello stato di conservazione degli elementi edilizi e costruttivi di immobili in muratura; le modalità organizzative del corso di formazione in relazione al profilo professionale e esperienza docenti, ai contenuti didattici proposti e alle modalità didattiche operative; le modalità di realizzazione e funzionamento del sistema di controllo interno di validazione delle schede di rilevamento. è stata ritenuta necessaria, al riguardo, la previsione di un punteggio minimo di 35 punti per l’ammissione dei concorrenti alle successive fasi della procedura.

Pertanto, la verifica del possesso dei requisiti di ordine speciale di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa in capo all’aggiudicatario da un lato, nonché l’equilibrata valutazione delle caratteristiche qualitative e funzionali e del prezzo (criteri di valutazione) dall’altro, avrebbero (e hanno) consentito al Laboratorio di Diagnostica per i Beni Culturali di Spoleto di individuare l’operatore economico che, per qualità soggettive e caratteristiche oggettive dell’offerta presentata, fosse in grado di realizzare pienamente gli obiettivi che si era prefissato di raggiungere, ovvero la schedatura dello stato di conservazione di una considerevole parte dei beni culturali immobili del territorio umbro, compresa l’elaborazione logico-matematica degli algoritmi di calcolo della vulnerabilità e del rischio che, una volta informatizzati, avrebbero potuto essere inseriti all’interno del Sistema Informativo Unico per i beni culturali della Protezione civile regionale (SIU), completando e implementando le sue funzioni valutative.

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APPENDICE 1

A1. MODELLO DI RISCHIO DI I LIVELLO

Scheda sanitaria. Tracciato anagrafico-identificativo

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Scheda sanitaria. Tracciato anagrafico-patrimoniale.

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Scheda sanitaria. Tracciato vulnerabilità conservativa.

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A2.1. MODELLO DI VULNERABILITà SISMICA, ALLUVIONI E FRANE - I LIVELLO DI APPROFONDIMENTO

Per la componente “sismica”, sono stati analizzati i seguenti valori della scheda:

- altezza significativa: indicazione del valore medio dell’altezza totale (campo del tracciato\anagrafico-patrimoniale);

- superficie coperta: indicazione valore in metri quadrati della superficie coperta del bene (campo del tracciato\anagrafico-patrimoniale);

- morfologia del sito: informazioni sugli aspetti morfologici e qualitativi che caratterizzano il sito in cui si colloca il bene (campo del tracciato\anagrafico-patrimoniale);

- definizione: indicazioni miranti all’identificazione che consentono la corretta e precisa individuazione del bene architettonico con riferimento specifico alla tipologia chiese in quanto generalmente più vulnerabile sotto il profilo sismico (campo del tracciato\anagrafico-identificativo).

Per la componente “alluvioni” è stato analizzato il campo:

- definizione: in questo caso con riferimento specifico alle tipologie ipogee (cripte) più vulnerabili agli effetti di allagamenti o esondazioni (campo del tracciato\anagrafico-identificativo).

Per la componente “frane” è stato analizzato il campo:

- definizione: in quest’altro caso con riferimento specifico alle tipologie più propense ad essere danneggiate per forma, quali le strutture allungate come mura, acquedotti, ecc. (campo del tracciato\anagrafico-identificativo).

Nel modello di vulnerabilità sismica sono state utilizzate le informazioni derivanti dai campi della scheda anagrafico-patrimoniale relativi a:

- morfologia del sito, data l’influenza della conformazione topografica del terreno su cui insiste la costruzione sui possibili effetti derivati dall’azione sismica;

- altezza significativa, legata alla “snellezza” geometrica dell’edificio (sulla base del rapporto tra la radice della superficie coperta e l’altezza) che lo rende maggiormente vulnerabile ad un eventuale evento sismico;

- definizione, nello specifico caso riferito alla tipologia architettonica associato al termine “chiesa”, stante la maggiore vulnerabilità sismica, specifica di tale varietà costruttiva, rispetto ad altre categorie edilizie.

Per quanto attiene l’informazione sullo stato di abbandono di un bene, essa è stata considerata quale indicatore di vulnerabilità, in quanto si riferisce ad una situazione di reale e totale abbandono, sia da un punto di vista funzionale che manutentivo, tale da portare ad una rapida ruderizzazione dell’edificio.Per quanto riguarda invece la vulnerabilità da alluvioni e frane, sono stati presi come indicatori solamente

APPENDICE 2

MODELLO DI RISCHIO DI I LIVELLO

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alcuni valori desunti dal lessico del campo Definizione del tracciato anagrafico-patrimoniale, relativi a tipologie edilizie che, per la loro specificità, possono essere genericamente considerate maggiormente danneggiabili in caso di evento calamitoso: la tipologia “cripta” per le alluvioni, in quanto tradizionalmente realizzata nel piano interrato di un edificio, e le tipologie “mura”, “cinta muraria” e “acquedotto” che si caratterizzano per la forma allungata.Per queste due componenti non è stato possibile determinare una suddivisione in tre diverse fasce dei risultati come per la sismica, in quanto i pochi indicatori considerati non sono in grado di differenziare qualitativamente i risultati. In tal caso la differenziazione risulta compressa un una duplice valutazione di tipo alta e medio-bassa.

A2.2. MODELLO DI ESPOSIZIONE - I LIVELLO DI APPROFONDIMENTO

Nel tracciato anagrafico-patrimoniale si trovano la maggior parte dei campi dai quali poter determinare il “valore” e l’“uso” dell’edificio. Per determinare il “valore” sono state prese in considerazione le seguenti informazioni:

- elementi decorativi pregiati: informazioni circa la presenza di elementi decorativi fissi (storico artistici ed archeologici) di pregio culturale;

- beni o collezioni mobili notificati: informazioni sulla presenza, all’interno del bene, di beni mobili o collezioni notificati ai sensi della normativa vigente;

- segnalazione del bene: notizie relative alla eventuale segnalazione del bene e all’eventuale corrispondenza e/o inclusione del bene nel perimetro (core zone e buffer zone) di un Sito iscritto nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO;

- appartenenza ad un ambito di interesse relativo alla lista dei “luoghi della cultura” presente sul sito

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istituzionale della Regione Umbria;- bene architettonico di interesse archeologico: informazione relativa all’eventuale costruzione su

preesistenze antiche o presenza di materiale archeologico di riuso, che può innalzare il valore del bene oggetto di rilevamento;

Per l’“uso” dell’edificio sono stati analizzati i seguenti campi:

- soggetto proprietario: informazioni sulla condizione giuridica del bene, con riferimento alla qualificazione del soggetto proprietario (pubblico; ecclesiastico/religioso; privato);

- frequenza di utilizzo - uso continuativo: informazione sulla situazione di frequenza d’uso, con riferimento all’uso continuativo inteso come frequentazione giornaliera del bene;

- ad accesso pubblico: informazione che specifica la natura del bene, quale luogo deputato ad accogliere presenza stabile e frequente di persone.

Si tratta di informazioni utilizzate di facile reperibilità e oggettive, ovvero che non hanno nulla di discrezionale e valutabile dal rilevatore; ciò assicura omogeneità del dato. Tra le informazioni che determinano il livello di Esposizione, è stata considerata anche la sua appartenenza ad un ambito di interesse (scheda anagrafico-identificativa - tipo “ambito di interesse”), concetto introdotto dalla Regione Siciliana). Nel caso umbro, il Laboratorio di Diagnostica aveva inteso “attenzionare” la rete regionale dei “luoghi della cultura”, così come viene descritta nel sito istituzionale della Regione Umbria1 e pertanto l’appartenenza di alcuni beni a detto “ambito di interesse”, ha giustificato un incremento

“extra” sulla determinazione dell’esposizione. Con la valorizzazione di tale campo è infatti possibile specificare per un determinato un gruppo di beni la propria singolarità secondo criteri univoci. Nel caso particolare è stato effettuato un controllo degli elenchi presenti nel sito regionale ed effettuata la relativa associazione al bene componente/individuo schedato secondo 4 livelli tematici: musei e gallerie, teatri e spettacolo, biblioteche, archivi.Per quanto concerne l’esposizione, fermo restando che i modelli formulati sono applicati a “beni culturali”, riconosciuti in quanto tali ai sensi del D.lgs. 42/2004 Codice di beni culturali e del paesaggio per il loro “interesse”/valore culturale, tuttavia gli indicatori selezionati nei primi due tracciati della scheda sanitaria prendono in considerazione sia l’Esposizione intesa quale funzione/uso del bene, sia l’esposizione intesa quale valore. Per quanto infatti la perdita di un bene culturale sia da considerarsi sempre e comunque irreparabile, il “danno” espresso in termini economici può variare.

Al fine di pervenire ad una gradazione nella stima di valore dei beni, sono stati utilizzati quali indicatori i dati raccolti nelle schede relativi alla presenza di elementi decorativi fissi pregiati e di collezioni mobili notificate2. Per quanto attiene l’esposizione intesa quale funzione/uso, il modello combina tra di loro i dati relativi alla proprietà (con riferimento però ai soli beni segnalati, per quanto riguarda quelli di proprietà privata), con le informazioni sull’uso continuativo da parte del pubblico.Secondo il modello proposto, il bene è riportabile in fascia bassa solo se tutti gli indicatori, relativi alla funzione/uso e al valore, risultano negativi, e cioè i relativi campi della scheda non sono valorizzati. In aggiunta a ciò, per quanto concerne il valore, il bene architettonico non deve rivestire interesse archeologico, inteso con ciò che non deve presentare situazioni ove risultino evidenti reimpieghi di strutture antiche o presentare materiale archeologico di riuso.

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A2.3. PERICOLOSITà - I E II LIVELLO DI APPROFONDIMENTO

Gli indicatori utilizzati per definire i diversi modelli sono stati desunti attraverso l’analisi delle cartografie e basi informative fornite dalla Regione Umbria e sono il risultato di scelte adottate in funzione alla necessaria riconducibilità dei singoli valori tematici in fasce qualitative di tre livelli.

COmpOnEnTE sIsmICA

L’algoritmo preso in esame per quanto riguarda la componente sismica è quello derivante dalla localizzazione geografica del bene che genera un determinato valore di accelerazione massima al suolo (ag), secondo la OPCM 3519/2006 e la classificazione Sismica regionale - DGR n. 852 del 18/06/2003 e s.m.i., con cui si stabilisce la fascia/intervallo di appartenenza.La distinzione in fasce/zone (1-2-3 per l’ambito regionale) può facilmente essere prodotta dall’appartenenza a precisi intervalli di valore ag come risultato dalla seguente classificazione3:

COmpOnEnTE ALLuVIOnI L’algoritmo per la componente alluvione (pericolosità idraulica) è derivato dalla classificazione proveniente dalla cartografia aggiornata del PAI - Piano di Stralcio di Assetto Idrogeologici (approvazione da parte del Comitato Istituzionale con deliberazione n. 125 del 18 luglio 2012), in quanto, anche in questo caso, risultato di dati omogenei individuabili per tutto il territorio regionale e soprattutto utilizzabile per la caratteristica di essere già distinta in classi (P1-P2-P3 per gli ambiti interessati dalle aree potenzialmente sondabili) che possono facilmente essere accorpate in classi/fasce coincidenti con gli indicatori elementari, previsti dal progetto. FIG 67

Per quanto riguarda la componente frane invece l’algoritmo si basa sulla convoluzione di grandezze provenienti dalle tre principali banche dati presenti a scala regionale, cioè l’inventario IFFI, l’atlante PAI e la carta di suscettibilità da frana recentemente realizzata dall’IRPI per la Regione Umbria.

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COmpOnEnTE FRAnE

A2.4. MODELLO DI RISCHIO SISMICO - I LIVELLO DI APPROFONDIMENTO

Vale la pena sottolineare le definizioni delle grandezze che contribuiscono a sviluppare il rischio.

1. Pericolosità (P): rappresenta la presenza di azioni aggressive sul territorio (anche in assenza di beni, persone cose, ecc.) per la sola appartenenza “geografica”; tale grandezza può essere limitata a diverse scale e grado di dettaglio e si definisce anche come probabilità di accadimento di un evento in uno specifico lasso temporale.

2. Esposizione (E) (valore o uso): rende conto del “contenuto” del bene vulnerabile; perciò tiene conto dell’uso, della funzione (ad es. ospedale), dell’affollamento (rischio sulle persone), del valore degli oggetti contenuti (museo).

3. Vulnerabilità (V): è la grandezza che tiene conto della propensione a subire l’effetto individuato dal rischio (vittime, feriti, danni economici, danni al valore storico artistico). Nel caso della valutazione di vittime o danni economici esso dipende da come reagisce la costruzione fino al completo collasso; se invece i danni si riferiscono al valore storico artistico è interessante la modalità di comportamento anche su livelli molto più bassi (fessurazioni, caduta di oggetti, ecc.).

4. Rischio (R): rappresenta l’effetto atteso. Si tratta spesso, come già detto, di vittime o danni, ma può trattarsi anche di degrado del tessuto socio-economico, conseguenze psicologiche, ecc.

In generale, il rischio è valutato come una convoluzione (operazione diversa a seconda del tipo di rischio) delle tre grandezze illustrate:

R = P x E x V

è bene anche ricordare che il rischio è sempre valutato in termini probabilistici, non essendo - l’effetto - per definizione prevedibile in modo certo (anche se di alcune grandezze viene usato un valore con un frattile ben definito (mediana, frattile al 95%, ecc.).Secondo la metodologia correntemente adottata per la valutazione dei rischi, si definisce:

Rischio = gravità del danno x probabilità di accadimento

Dove nel caso in oggetto si ha:

Gravità del danno = V x E

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Essendo state suddivise, sia la vulnerabilità che l’esposizione, in tre diverse classi o fasce (Alta, Media e Bassa), l’unico modo per poter determinare il livello classificazione della gravità del danno (danno atteso) è quello di utilizzare una matrice nel modo che segue:

A2.6 MODELLO DI RISCHIO FRANE DI I LIVELLO

Come per il caso precedente, cambia sia l’articolazione in livelli di Danno che la matrice del Rischio. La matrice del Danno tiene conto dei soli due livelli di Vulnerabilità che si combinano con i tre dell’Esposizione dando come risultato tre livelli di Danno. La matrice di Rischio si trasforma in tre soli livelli.

MATRICE DEL DANNO ATTESO (FRANE)

MATRICE DI RISCHIO SISMICO

Il livello di rischio viene poi determinato attraverso una ulteriore matrice, definita matrice di rischio, che mette a confronto le fasce di pericolosità e i livelli di danno atteso e che si contraddistingue da una classificazione in cinque livelli, con valore progressivo del rischio che va dal minore R1 al maggiore R5:

MATRICE DEL DANNO ATTESO (SISMICO)

L’articolazione in cinque livelli consente di mantenere differenziate situazioni sostanzialmente dissimili tra loro, evitando in particolare l’incoerenza di livelli eguali per danni attesi eguali ma pericolosità differenti (alte o medie) e lasciando comunque piena libertà per ogni eventuale successivo accorpamento.

A2.5. MODELLO DI RISCHIO ALLUVIONI DI I LIVELLO

In questo caso, rispetto ai casi precedenti cambia sia l’articolazione in livelli di Danno che la matrice del Rischio, in quanto la matrice del Danno Atteso tiene conto dei soli due livelli di Vulnerabilità che si combinano con i tre dell’Esposizione dando come risultato tre diverse classificazioni di Danno. La matrice di Rischio di conseguenza si trasforma in 3 soli livelli.Analogamente a quanto fatto in precedenza, utilizzando in questo caso i modelli di pericolosità e di vulnerabilità relativi alle alluvioni, si ha:

MATRICE DEL DANNO ATTESO (ALLUVIONI)

MATRICE DI RISCHIO ALLUVIONI

MATRICE DI RISCHIO FRANE

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Note

1 La fonte di riferimento per tali informazioni è stato il sito web della Regione Umbria (www.musei.regioneum-bria.eu) dove i luoghi della cultura venivano classificati secondo le seguenti tipologie: musei e gallerie, teatri e spettacolo, biblioteche (e fonoteche), archivi. Il sito web ha subito successivamente un aggiornamento e si presenta all’indirizzo www.umbriacultura.it dove i luoghi della cultura sono classificati per macrogruppi secondo le seguenti tipologie: musei, teatri storici, biblioteche e archivi, siti archeologici, ville o giardini, ecomusei, rocche o castelli.

2 Il numero di elementi pregiati o collezioni necessarie per portare i beni in fascia alta di esposizione è stato valutato tramite un’analisi di sensitività sulla scorta delle prime estrazioni elaborate su un numero di 603 beni. In parti-colare, i beni che hanno più di tre elementi decorativi fissi pregiati rappresentano poco meno del 10% del totale, così come solo 56 beni su 603 ospitano una collezione mobile notificata.3 Nelle stringhe delle combinazioni logiche indicate all’in-terno delle parentesi il segno + indica una situazione di tipo “and”, mentre il segno / indica una situazione di tipo “or”.

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A3.1. MODELLO DI VULNERABILITà SISMICA - II LIVELLO DI APPROFONDIMENTO

Nella tabella A FRONTE sono individuati gli indicatori che vengono utilizzati nel modello di calcolo della vulnerabilità sismica con la relativa codifica.

APPENDICE 3

MODELLO DI RISCHIO DI II LIVELLO

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2) Parametro f per stimare l’area muraria al livello di fondazione

Tenendo conto del principio per cui, essendo presenti delle fondazioni, si presume che possa essere presente una muratura verticale che vi gravita sopra, individuando l’area di muratura al livello più basso (e solo a quel livello) riusciamo a stabilire una condizione che suggerisce un indizio importante sulla vulnerabilità complessiva della costruzione.Definiamo quindi tale grandezza come:

F = (fon * 0.6) / SC

In questo modo si ha la possibilità di definire una Condizione di vulnerabilità n. 2:

La combinazione ragionata di tali indicatori permette di definire alcuni parametri di stima che consentono di valutare il livello di vulnerabilità per una particolare condizione del bene.

1) Parametro M per stimare l’area muraria media a piano

Stabilendo che la Lunghezza media pareti è L = SV/(HS*2), se si assegna uno spessore convenzionale di 0,6 metri, si arriva all’area convenzionale di muratura media a piano A:

A = L x 0.6 (mq)

Tale parametro se diviso per la superficie coperta può dare una indicazione importante sulla vulnerabilità:

% Muratura media a piano = M = a / SC = L x 0.6 /SC = SV x 0.6 / (2 x HS x SC)

In questo modo si ha la possibilità di definire una Condizione di vulnerabilità n. 1:

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3)Parametro sulla snellezza media delle pareti SnEL

In questo caso appare evidente che in presenza di altezza elevata con numero esiguo di piani si determina un’altezza d’interpiano (o un interpiano) anch’essa elevata e quindi sarà probabile avere pareti snelle.

SNEL = altezza significativa (HS) / numero piani fuori terra principali (nPfTP)

In questo modo si ha la possibilità di definire una Condizione di vulnerabilità n. 3:

4)Parametro sulla continuità muraria CM

Tale parametro fornisce una indicazione di quanto sono forate mediamente le quinte murarie dell’edificio in esame1. Esso deriva dal rapporto tra il numero totale di aperture (qui convenzionalmente ritenute di 1 m2 di superficie) e la superficie totale delle strutture verticali SV:

CM = (2*nTa) / SV

In questo modo si ha la possibilità di definire una Condizione di vulnerabilità n. 4:

Insieme ai parametri di cui sopra, il modello di vulnerabilità sismica di II livello considera le informazioni, ricavabili dal terzo tracciato della scheda sanitaria, sulla presenza di danneggiamenti alle componenti strutturali fondamentali: fondazioni, strutture in elevazione, strutture di orizzontamento, coperture e collegamenti verticali.Vengono prese in considerazione, in particolare, inserendole nella fascia alta di vulnerabilità, le situazioni relative alla presenza di danni strutturali (tipo A) o di parti mancanti (tipo F) di gravità 2 (con riferimento alle indicazioni sulla gravità fornite dalle norme di compilazione della scheda architettonica del sistema centrale Carta del Rischio dell’IsCR,).Per quanto attiene la macro-classe di danno Parti mancanti, con essa si intende la perdita recente di parti di un elemento edilizio, o di un intero elemento, per crollo dovuto ad abbandono, incuria, danneggiamento, ecc.In fascia alta di vulnerabilità vengono posti inoltre quegli edifici sulle cui componenti è stata rilevata la compresenza di fenomeni apparentemente “superficiali”, quali i danni da umidità (tipo C), da disgregazione (tipo B) e da attacchi biologici (tipo D), di gravità 2 e grado di urgenza 3, corrispondente ad

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un “degrado avanzato ed in rapida progressione per incuria ed assenza di protezione, tale da richiedere interventi immediati pena la perdita “irreparabile” del bene2” .Dalle considerazioni precedenti si desumono i seguenti algoritmi che sono stati posti alla base del calcolo per definire i modelli di vulnerabilità sismica.

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A3.2. MODELLO DI VULNERABILITà FRANE - II LIVELLO DI APPROFONDIMENTO

Per quanto riguarda la componente frane, viene adottato lo stesso criterio definito nel I livello di vulnerabilità, utilizzando l’informazione relativa al parametro che indica l’estensione in pianta del bene. Si parte dall’assunto che “tanto più è esteso linearmente tanto è più vulnerabile” rispetto alla componente frane.Rispetto al I livello di vulnerabilità in cui tale parametro era affidato alla sola definizione/oggetto presente nella parte relativa alla scheda anagrafico-patrimoniale, in questo caso si possono aggiungere indicatori più oggettivi che risultano dall’utilizzo dei campi LA (larghezza massima) e LU (lunghezza massima) in pianta del bene. Si considerano inoltre le informazioni, ricavabili dal terzo tracciato della scheda sanitaria, sulla presenza di danneggiamenti alle componenti strutturali fondamentali: fondazioni, strutture in elevazione, strutture di orizzontamento, coperture e collegamenti verticali.Vengono prese in considerazione, in particolare, inserendole nella fascia alta di vulnerabilità, le situazioni relative alla presenza di danni strutturali (tipo A) o di parti mancanti (tipo F) di gravità 2.L’algoritmo di calcolo di calcolo proposto per la vulnerabilità relativa alle frane è il seguente:

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A3.3. MODELLO DI VULNERABILITà ALLUVIONI - II LIVELLO DI APPROFONDIMENTO

Per quanto riguarda la componente alluvioni, il II modello tiene conto di ulteriori campi rispetto a quelli presi in considerazione nel I livello ed in particolare si tratta dei seguenti elementi:

- n. piani interrati;- analisi dei danni – umidità di tipo “C”;- impianto di smaltimento delle acque piovane;- volume dentro terra.

Come per la vulnerabilità sismica, il modello combina i parametri di cui sopra con le informazioni ricavabili dal terzo tracciato della scheda sanitaria relative alla presenza di danneggiamenti alle componenti edilizie: fondazioni, strutture in elevazione, strutture di orizzontamento. In particolare, vengono prese in considerazione, per quanto concerne la fascia alta di vulnerabilità, le informazioni relative alla presenza di danni da umidità (tipo C), di gravità 2 e grado di urgenza 3.

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A3.4. MODELLO DI ESPOSIZIONE DI II LIVELLO (UNICO PER LE COMPONENTI SISMICA-ALLUVIONI-FRANE)

Il modello di esposizione definito per il presente livello di approfondimento è il risultato dell’applicazione di quello già definito per il I Livello integrato con una serie di indici che elaborano le informazioni presenti in alcuni campi della sezione afferente alla parte “vulnerabilità conservativa” del tracciato schedografico. In particolare, vengono prese in considerazione le informazioni relative al numero di dipinti mobili presenti sul bene e agli elementi decorativi pregiati. Anche in questo caso il numero di dipinti o di elementi decorativi pregiati necessari per portare i beni in fascia alta di esposizione è stato valutato sulla scorta delle estrazioni elaborate su un numero molto elevato di beni.

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A3.5. MODELLO DI RISCHIO ALLUVIONI DI II LIVELLO

A differenza del modello di I° livello in questo caso la matrice del Danno tiene conto dei tre livelli di Vulnerabilità che si combinano con i tre dell’Esposizione, fornendo come risultato quattro livelli di Danno Atteso. Analogamente a quanto fatto in precedenza, utilizzando qui i modelli di pericolosità e di vulnerabilità relativi alle alluvioni, si ha:

MATRICE DEL DANNO ATTESO (ALLUVIONI)

Il livello di rischio viene poi definito attraverso la seguente matrice di rischio:

MATRICE DI RISCHIO ALLUVIONI

La procedura di calcolo del Rischio, in assenza della funzionalità del software geodatabase del SIU, non è risultata al momento possibile in quanto risultano necessari strumenti GIS geografici e specifici database che possano estrapolare le singole informazioni di pericolosità territoriale.

A3.6. mOdELLO dI RIsChIO FRAnE dI II LIVELLO

Anche in questo caso la matrice del Danno tiene conto dei tre livelli di Vulnerabilità che si combinano con i tre dell’Esposizione dando come risultato quattro livelli di Danno Atteso.

MATRICE DEL DANNO ATTESO (FRANE)

Il livello di rischio viene poi definito attraverso la seguente matrice di Rischio:

MATRICE DI RISCHIO FRANE

Anche in questo caso la procedura di calcolo del Rischio, in assenza della funzionalità del software geodatabase del SIU, non è risultata al momento possibile in quanto risultano necessari strumenti GIS geografici e specifici database che possano estrapolare le singole informazioni di pericolosità territoriale.

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NOTE

10 il parametro CM nel caso di assenza di infissi ci fornisce solo una stima per difetto della continuità muraria, cosi

come in situazione di parziale ispezionabilità del bene.11 Cfr. Norme di compilazione delle schede per l’analisi dello stato di conservazione dei beni architettonici.

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