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Pontificia Universitas Gregoriana Roma 2016 - 97/3 Gregorianum PAOLO BENANTI Ut si homo non daretur? Un tentativo di dialogo con il post-umano a partire da alcuni spunti della Gaudium et spes

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ISSN 0017-4114

Pontificia Universitas Gregoriana

Roma 2016 - 97/3

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PAOLO BENANTI

Ut si homo non daretur? Un tentativo di dialogo con il post-umano a partire da alcuni spunti della Gaudium et spes

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GREGORIANUM 97, 3 (2016) 543-564 Paolo BENANTI

Ut si homo non daretur?

Un tentativo di dialogo con il post-umano a partire da alcuni spunti della Gaudium et spes

I media e i dibattiti pubblici sono animati da forti contrasti su numerose questioni legate ai diversi ambiti del vivere sociale: il lavoro, la crisi econo-mica, l’immigrazione, lo sfruttamento o la salvaguardia dell’ambiente e così via. Questi problemi sono di solito connessi a questioni molto complesse e che sempre meno consentono soluzioni che siano frutto della volontà di una singola nazione o di una singola forza politica. All’interno di questo burrascoso contesto sociale tuttavia vi sono almeno quattro grandi temi su cui si è generato un’impasse che assume una natura diversa e radicale: non si riescono a trovare argomentazioni condivise, soluzioni accettabili e risposte pacificanti. Un primo tema che produce una paralisi nel dibattito pubblico è legato alle questioni inerenti l’inizio della vita umana: questioni come quando si acqui-sisce lo stato di persona, quanto e in che maniera si possa intervenire tecno-logicamente per produrre, modificare o sopprime le nuove vite in quella fase che va dal primo istante della loro esistenza, dopo la fusione dei nuclei dei due gameti fino alla nascita, come regolare la genitorialità ora che le tecniche di riproduzione artificiale sembrano legare la procreazione solo al desiderio e non più alla biologia o al sesso dei genitori. Guardando alla nostra società sempre più multiculturale e sempre meno caratterizzata da un singolo mainstream culturale ci si trova di fronte alla incapacità radicale di definire i contorni dell’identità sessuale. Quello che per secoli era dato come un dato acquisito fin dalla nascita ora sempre più si vede svincolato dalla costituzione biologica della persona e lo si vorrebbe trasformare in un costrutto culturale cui associare di volta in volta i diritti che il singolo soggetto pretende o richiede: il problema non è più costruire una società che non discrimini in base al sesso degli individui o in base al loro

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544 PAOLO BENANTI orientamento ma si vuole far assurgere a diritto invalicabile e inviolabile le proprie autodeterminazioni in materia di gender e identità sessuale. Gli sviluppi del mondo biomedico e la comparsa sul mercato di sostanze che non sono più pensate per curare malattie ma per migliorare e potenziare le facoltà cognitive dell’uomo creano una nuova serie di difficoltà che pongo-no in scacco la discussione politica. L’idea di poter sempre più creare uomini che sono migliori di altri in forza di farmaci cui fare ricordo rischia di mettere in crisi il principio di uguaglianza che fonda l’idea stessa delle nostre demo-crazie: la politica non riesce a sanare il conflitto tra il desiderio di autorealiz-zazione dei singoli, base di una vita libera, e la necessaria uguaglianza tra tutti i membri della collettività. Se dovessimo lasciare libera facoltà di migliora-mento biotecnologico degli individui non ci sarebbe forse il rischio di far venir meno il principio di eguaglianza fondamento dei nostri ordinamenti democratici? Infine si affaccia sempre con maggiore prepotenza la discussione sul fine vita: la morte è un accadimento che l’uomo deve attendere come inevitabil-mente connesso alla sua costituzione antropologica o un diritto da esercitare? Si vuole creare un diritto alla morte, la facoltà di decidere come e quando porre fine all’esistenza umana. A seconda delle tinte che di volta in volta questa richiesta assume ci si trova di fronte a proposte di sancire il diritto per il singolo di una autodeterminazione totale o di consentire alla collettività di riconoscere casi in cui la mera esistenza biologica non si qualifichi più come esistenza umana. Su questi grandi temi si assiste al susseguirsi di grandi manifestazioni di piazza che non sono direttamente collegabili ad una singola forza politica, si creano accesissimi dibattiti e confronti negli spazi offerti dai social networks, si producono argomentazioni che hanno il sapore di slogan tra tifoserie più che di riflessioni volte a cercare ciò che è bene e giusto. Vorremmo proporre un’analisi di questi fenomeni che non si concentri sui singoli e complessi problemi ma che provi a intessere un dialogo con un fattore che sembra accomunare queste diverse istanze: uno smarrimento, o quanto meno un’eclissi, del senso dell’umano e un’apparente insignificanza del concetto della dignità umana che porta a vivere, come provocatoriamente indicato dal titolo, ut si homo non daretur. Gli elementi che abbiamo tratteggiato sono, a nostro giudizio l’esito di una crisi che investe il senso stesso di cosa sia l’essere umano. Questa dimensione di crisi valoriale dell’umano viene normalmente identificata con la comparsa del pensiero post-umano1.

———–– 1 Sul tema rimandiamo a P. BENANTI, The Cyborg. Corpo e corporeità nell’epoca del post-

umano, Assisi 2012.

UT SI HOMO NON DARETUR? 545

I. LE GIOIE E LE SPERANZE: IN ASCOLTO DEL PENSIERO POST-UMANO

Gaudium et spes, luctus et angor hominum huius temporis, pauperum praesertim et quorumvis afflictorum, gaudium sunt et spes, luctus et angor etiam Christi discipulorum, nihilque vere humanum invenitur, quod in corde eorum non resonet. (GS1)

Per raggiungere lo scopo che ci prefissiamo procederemo nella seguente maniera. In un primo momento proveremo a metterci in ascolto di quelle aspettative che animano la società post-umana. L’ascolto delle istanze post-umane stimola e provoca la riflessione teologica, in particolare l’antropologia e l’etica. Proveremo ad assumere queste provocazioni partendo da alcuni passi della Gaudium et spes2: siamo consapevoli che solo aprendo, nello stile che proprio della Costituzione conciliare, un dialogo con questo cambio di paradigma antropologico saremo in grado di intercettare gli elementi che ingenerano questi fenomeni valorizzandone le istanze positive e confrontan-doci con quelle forme di riduzionismo antropologico che non sembrano in grado di dire la complessità e il mistero che caratterizza la persona umana. Ci faremo guidare da alcune suggestioni contenute nei numeri 12, 14, 16 e 19 della Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. La scelta di questi numeri è suggerita dal loro costituire, nello sviluppo del documento stesso, un momento di risposta e rilettura della condizione umana alla luce delle istanze che la società contemporanea poneva all’autocompren-sione umana (De hominis condicione in mundo hodierno nn. 4-10). Appare evidente che adottare lo stile suggerito da Gaudium et spes comporta non solo un ascolto autentico e sincero di quanto di umanamente autentico il post-umano si fa interprete, ma anche una rilettura del dato credente per ri-dire ed, eventualmente, approfondire la verità della condizione umana alla luce di queste istanze. Il motivo di questa scelta è duplice. Da un lato numerosi autori si sono chiesti se esista un’antropologia del Concilio e, più precisamente, se esista un’antropologia di Gaudium et spes. Un autorevole interprete dell’antro-pologia teologica attuale, Ladaria, così introduce la sua indagine:

il Concilio Vaticano II non ha dedicato espressamente nessun documento all’uomo. Però è ugualmente chiaro che la costituzione pastorale Gaudium et spes sulla chiesa nel mondo contemporaneo ci offre, soprattutto all’inizio, una valida sintesi di antropologia3.

———–– 2 Cf. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 7

dicembre 1965 (da ora GS). Per il testo latino facciamo riferimento a quello pubblicato in AAS 58 (1966) 1025-1120 per il testo italiano a quello pubblicato in EV I, pp. 1253-1467.

3 L. LADARIA, Introduzione alla antropologia teologica, Roma 1992, 26. Un’analisi maggiormente dettagliata è offerta dallo stesso autore in L. LADARIA., «L’uomo alla luce di

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544 PAOLO BENANTI orientamento ma si vuole far assurgere a diritto invalicabile e inviolabile le proprie autodeterminazioni in materia di gender e identità sessuale. Gli sviluppi del mondo biomedico e la comparsa sul mercato di sostanze che non sono più pensate per curare malattie ma per migliorare e potenziare le facoltà cognitive dell’uomo creano una nuova serie di difficoltà che pongo-no in scacco la discussione politica. L’idea di poter sempre più creare uomini che sono migliori di altri in forza di farmaci cui fare ricordo rischia di mettere in crisi il principio di uguaglianza che fonda l’idea stessa delle nostre demo-crazie: la politica non riesce a sanare il conflitto tra il desiderio di autorealiz-zazione dei singoli, base di una vita libera, e la necessaria uguaglianza tra tutti i membri della collettività. Se dovessimo lasciare libera facoltà di migliora-mento biotecnologico degli individui non ci sarebbe forse il rischio di far venir meno il principio di eguaglianza fondamento dei nostri ordinamenti democratici? Infine si affaccia sempre con maggiore prepotenza la discussione sul fine vita: la morte è un accadimento che l’uomo deve attendere come inevitabil-mente connesso alla sua costituzione antropologica o un diritto da esercitare? Si vuole creare un diritto alla morte, la facoltà di decidere come e quando porre fine all’esistenza umana. A seconda delle tinte che di volta in volta questa richiesta assume ci si trova di fronte a proposte di sancire il diritto per il singolo di una autodeterminazione totale o di consentire alla collettività di riconoscere casi in cui la mera esistenza biologica non si qualifichi più come esistenza umana. Su questi grandi temi si assiste al susseguirsi di grandi manifestazioni di piazza che non sono direttamente collegabili ad una singola forza politica, si creano accesissimi dibattiti e confronti negli spazi offerti dai social networks, si producono argomentazioni che hanno il sapore di slogan tra tifoserie più che di riflessioni volte a cercare ciò che è bene e giusto. Vorremmo proporre un’analisi di questi fenomeni che non si concentri sui singoli e complessi problemi ma che provi a intessere un dialogo con un fattore che sembra accomunare queste diverse istanze: uno smarrimento, o quanto meno un’eclissi, del senso dell’umano e un’apparente insignificanza del concetto della dignità umana che porta a vivere, come provocatoriamente indicato dal titolo, ut si homo non daretur. Gli elementi che abbiamo tratteggiato sono, a nostro giudizio l’esito di una crisi che investe il senso stesso di cosa sia l’essere umano. Questa dimensione di crisi valoriale dell’umano viene normalmente identificata con la comparsa del pensiero post-umano1.

———–– 1 Sul tema rimandiamo a P. BENANTI, The Cyborg. Corpo e corporeità nell’epoca del post-

umano, Assisi 2012.

UT SI HOMO NON DARETUR? 545

I. LE GIOIE E LE SPERANZE: IN ASCOLTO DEL PENSIERO POST-UMANO

Gaudium et spes, luctus et angor hominum huius temporis, pauperum praesertim et quorumvis afflictorum, gaudium sunt et spes, luctus et angor etiam Christi discipulorum, nihilque vere humanum invenitur, quod in corde eorum non resonet. (GS1)

Per raggiungere lo scopo che ci prefissiamo procederemo nella seguente maniera. In un primo momento proveremo a metterci in ascolto di quelle aspettative che animano la società post-umana. L’ascolto delle istanze post-umane stimola e provoca la riflessione teologica, in particolare l’antropologia e l’etica. Proveremo ad assumere queste provocazioni partendo da alcuni passi della Gaudium et spes2: siamo consapevoli che solo aprendo, nello stile che proprio della Costituzione conciliare, un dialogo con questo cambio di paradigma antropologico saremo in grado di intercettare gli elementi che ingenerano questi fenomeni valorizzandone le istanze positive e confrontan-doci con quelle forme di riduzionismo antropologico che non sembrano in grado di dire la complessità e il mistero che caratterizza la persona umana. Ci faremo guidare da alcune suggestioni contenute nei numeri 12, 14, 16 e 19 della Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. La scelta di questi numeri è suggerita dal loro costituire, nello sviluppo del documento stesso, un momento di risposta e rilettura della condizione umana alla luce delle istanze che la società contemporanea poneva all’autocompren-sione umana (De hominis condicione in mundo hodierno nn. 4-10). Appare evidente che adottare lo stile suggerito da Gaudium et spes comporta non solo un ascolto autentico e sincero di quanto di umanamente autentico il post-umano si fa interprete, ma anche una rilettura del dato credente per ri-dire ed, eventualmente, approfondire la verità della condizione umana alla luce di queste istanze. Il motivo di questa scelta è duplice. Da un lato numerosi autori si sono chiesti se esista un’antropologia del Concilio e, più precisamente, se esista un’antropologia di Gaudium et spes. Un autorevole interprete dell’antro-pologia teologica attuale, Ladaria, così introduce la sua indagine:

il Concilio Vaticano II non ha dedicato espressamente nessun documento all’uomo. Però è ugualmente chiaro che la costituzione pastorale Gaudium et spes sulla chiesa nel mondo contemporaneo ci offre, soprattutto all’inizio, una valida sintesi di antropologia3.

———–– 2 Cf. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 7

dicembre 1965 (da ora GS). Per il testo latino facciamo riferimento a quello pubblicato in AAS 58 (1966) 1025-1120 per il testo italiano a quello pubblicato in EV I, pp. 1253-1467.

3 L. LADARIA, Introduzione alla antropologia teologica, Roma 1992, 26. Un’analisi maggiormente dettagliata è offerta dallo stesso autore in L. LADARIA., «L’uomo alla luce di

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546 PAOLO BENANTI La sintesi antropologica offerta da Gaudium et spes ne fa uno strumento privilegiato per dialogare con il nostro tempo proprio sulle questioni di fondo dell’umano e della dignità della persona. In secondo luogo proprio lo stile dialogante di Gaudium et spes ne fa, a nostro giudizio, lo strumento maggiormente opportuno per il tentativo che ci accingiamo a compiere. Per cercare di far emergere come il pensiero post-umano concorra alla creazione di una società a esso ispirato dovremo far emergere delle tendenze e delle influenze che permettano di identificare le linee di connessione tra post-umanesimo e società. Il primo elemento che dobbiamo recuperare è la priorità che il post-umane-simo attribuisce all’informazione. L’informazione è vista come caratteristica universale delle realtà materiali e immateriali, questo comporta che «both nature and human nature are also infinitely malleable»4. La malleabilità è uno dei principali ambiti di influenza del pensiero post-umano sulla società. Tutta una serie di aspetti che contribuiscono a creare della nostra vita un qualcosa di mai completamente definito e comunque suscettibile di innume-revoli trasformazioni, cioè che fanno della nostra esistenza una vita liquida5, hanno una forte attinenza con il pensiero post-umano. Seguendo il contributo della Hayles6, che indica il futuro come una costru-zione dell’uomo, si riconosce come per una società post-umana «mastery is the foremost issue at stake, because the overriding goal of survival is grounded in the operational principle of controlling one’s fate»7. Di fronte a un universo caratterizzato da una totale malleabilità, la capacità di controllo si costituisce come la prerogativa indispensabile per garantirsi la capacità di sopravvivere. La forma migliore della capacità di controllo è la tecnologia: la tecnologia è il vettore principale che contribuisce al passaggio di alcune istanze del post-umanesimo nella società. La tecnologia non si risolve in una collezione di semplici dispositivi tecnologici ma si rivela capace di includere ulteriori elementi che contribuiscono a determinare la società post-umana8. Il primo ambito in cui sembra essere visibile con maggiore chiarezza questo processo è quello delle relazioni umane: la malleabilità e il controllo si ———–– Cristo nel Vaticano II», in Vaticano II: bilancio e prospettive. Venticinque anni dopo, 1962-1987, Assisi 1992, 939-951.

4 B. WATERS, From Human to Posthuman: Christian Theology and Technology in a Postmodern World, Aldershot 2006, 41.

5 Si veda a tal proposito l’analisi che propone Zygmunt Bauman (cf. Z. BAUMAN, Vita liquida, Bari – Roma 2008).

6 N.K. HAYLES, How We Became Posthuman: Virtual Bodies in Cybernetics, Literature, and Informatics, Chicago 1999, 2-9.

7 B. WATERS, From Human to Posthuman (cf. nt. 4), 44 (i corsivi sono nel testo). 8 Cf. J. HUER, The Post-Human Society, Frederick 2004, 41. Il fatto che la tecnologia

dimostri la capacità di racchiudere in sé elementi che vanno oltre la sua materialità di strumento è di notevole importanza.

UT SI HOMO NON DARETUR? 547 traducono tramite strumenti di connessione tecnologica in una modalità di relazione «simplified into manageable routines and procedure»9. Da questa trasformazione sostanziale delle relazioni umane deriva un secondo ambito che caratterizza la società post-umana, una trasformazione del concetto di felicità nel piacere:

pleasure and happiness are hopelessly confused, and the effects of the confusion are profoundly reshaping its personality. [...] [People] want to be happy but instead of happiness we pursue pleasure with the mistaken belief that they are the same thing. [...] Instead of making ours a happy society, we make [...] [it] a pleasurable one10.

Richard Roberts lega questa trasformazione alla malleabilità che configura il post-umano, il piacere sarebbe una forma di felicità malleabile e ingegne-rizzata, un prodotto tecnologico del nostro tempo11. Anche questo cambiamento è legato alla penetrazione della tecnologia nel contesto sociale. Huer nota come in generale si affidi all’innovazione tecno-logica il ruolo di ricerca della felicità perché questa è sentita capace di offrire le continue variazioni e permutazioni desiderate12. Allora accade che

we believe in the omnipotence of technology to produce and intensify pleasure in our lives as a way achieving happiness. [...] Technology simply makes sharing unnecessary by isolating individuals in their separate cocoons of pleasurable existence13.

II. CHI O COS’È L’UOMO? IL CUORE DEL PENSIERO POST-UMANO

Quid est autem homo? Multas opiniones de seipso protulit et profert, varias et etiam contrarias, quibus saepe vel se tamquam absolutam regulam exaltat vel usque ad desperationem deprimit, exinde anceps et anxius. Quas quidem difficultates Ecclesia persentiens, a Deo revelante instructa eisdem responsum

———–– 9 J. HUER, The Post-Human Society (cf. nt. 8), 11. 10 J. HUER, The Post-Human Society (cf. nt. 8), 35. Per quanto riguarda questa trasfor-

mazione Huer è convinto che sia da ricollegare al fatto che la felicità ha bisogno di relazioni interpersonali mentre il piacere sarebbe una cosa che riguarda solo l’individuo isolato. È interessante leggere in parallelo a queste considerazioni anche il contributo di C. LASCH, The Culture of Narcissism: American Life in an Age of Diminishing Expectations, New York 1991 e il concetto di eroismo presente in E. BECKER, The Denial of Death, New York 1973.

11 Cf. R.H. ROBERTS, «“Nature”, Post/Modernity and the Migration of the Sublime», Ecotheology: Journal of Religion, Nature & the Environment 9(2004) 315-337.

12 J. HUER, The Post-Human Society (cf. nt. 8), 35. Per quanto riguarda gli effetti sulla persona di questa contrazione di orizzonte e sulla trasformazione in posizioni che potremmo definire difensive di fronte alla realtà si veda C. LASCH, The Culture of Narcissism (cf. nt. 10).

13 J. HUER, The Post-Human Society (cf. nt. 8), 41.

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546 PAOLO BENANTI La sintesi antropologica offerta da Gaudium et spes ne fa uno strumento privilegiato per dialogare con il nostro tempo proprio sulle questioni di fondo dell’umano e della dignità della persona. In secondo luogo proprio lo stile dialogante di Gaudium et spes ne fa, a nostro giudizio, lo strumento maggiormente opportuno per il tentativo che ci accingiamo a compiere. Per cercare di far emergere come il pensiero post-umano concorra alla creazione di una società a esso ispirato dovremo far emergere delle tendenze e delle influenze che permettano di identificare le linee di connessione tra post-umanesimo e società. Il primo elemento che dobbiamo recuperare è la priorità che il post-umane-simo attribuisce all’informazione. L’informazione è vista come caratteristica universale delle realtà materiali e immateriali, questo comporta che «both nature and human nature are also infinitely malleable»4. La malleabilità è uno dei principali ambiti di influenza del pensiero post-umano sulla società. Tutta una serie di aspetti che contribuiscono a creare della nostra vita un qualcosa di mai completamente definito e comunque suscettibile di innume-revoli trasformazioni, cioè che fanno della nostra esistenza una vita liquida5, hanno una forte attinenza con il pensiero post-umano. Seguendo il contributo della Hayles6, che indica il futuro come una costru-zione dell’uomo, si riconosce come per una società post-umana «mastery is the foremost issue at stake, because the overriding goal of survival is grounded in the operational principle of controlling one’s fate»7. Di fronte a un universo caratterizzato da una totale malleabilità, la capacità di controllo si costituisce come la prerogativa indispensabile per garantirsi la capacità di sopravvivere. La forma migliore della capacità di controllo è la tecnologia: la tecnologia è il vettore principale che contribuisce al passaggio di alcune istanze del post-umanesimo nella società. La tecnologia non si risolve in una collezione di semplici dispositivi tecnologici ma si rivela capace di includere ulteriori elementi che contribuiscono a determinare la società post-umana8. Il primo ambito in cui sembra essere visibile con maggiore chiarezza questo processo è quello delle relazioni umane: la malleabilità e il controllo si ———–– Cristo nel Vaticano II», in Vaticano II: bilancio e prospettive. Venticinque anni dopo, 1962-1987, Assisi 1992, 939-951.

4 B. WATERS, From Human to Posthuman: Christian Theology and Technology in a Postmodern World, Aldershot 2006, 41.

5 Si veda a tal proposito l’analisi che propone Zygmunt Bauman (cf. Z. BAUMAN, Vita liquida, Bari – Roma 2008).

6 N.K. HAYLES, How We Became Posthuman: Virtual Bodies in Cybernetics, Literature, and Informatics, Chicago 1999, 2-9.

7 B. WATERS, From Human to Posthuman (cf. nt. 4), 44 (i corsivi sono nel testo). 8 Cf. J. HUER, The Post-Human Society, Frederick 2004, 41. Il fatto che la tecnologia

dimostri la capacità di racchiudere in sé elementi che vanno oltre la sua materialità di strumento è di notevole importanza.

UT SI HOMO NON DARETUR? 547 traducono tramite strumenti di connessione tecnologica in una modalità di relazione «simplified into manageable routines and procedure»9. Da questa trasformazione sostanziale delle relazioni umane deriva un secondo ambito che caratterizza la società post-umana, una trasformazione del concetto di felicità nel piacere:

pleasure and happiness are hopelessly confused, and the effects of the confusion are profoundly reshaping its personality. [...] [People] want to be happy but instead of happiness we pursue pleasure with the mistaken belief that they are the same thing. [...] Instead of making ours a happy society, we make [...] [it] a pleasurable one10.

Richard Roberts lega questa trasformazione alla malleabilità che configura il post-umano, il piacere sarebbe una forma di felicità malleabile e ingegne-rizzata, un prodotto tecnologico del nostro tempo11. Anche questo cambiamento è legato alla penetrazione della tecnologia nel contesto sociale. Huer nota come in generale si affidi all’innovazione tecno-logica il ruolo di ricerca della felicità perché questa è sentita capace di offrire le continue variazioni e permutazioni desiderate12. Allora accade che

we believe in the omnipotence of technology to produce and intensify pleasure in our lives as a way achieving happiness. [...] Technology simply makes sharing unnecessary by isolating individuals in their separate cocoons of pleasurable existence13.

II. CHI O COS’È L’UOMO? IL CUORE DEL PENSIERO POST-UMANO

Quid est autem homo? Multas opiniones de seipso protulit et profert, varias et etiam contrarias, quibus saepe vel se tamquam absolutam regulam exaltat vel usque ad desperationem deprimit, exinde anceps et anxius. Quas quidem difficultates Ecclesia persentiens, a Deo revelante instructa eisdem responsum

———–– 9 J. HUER, The Post-Human Society (cf. nt. 8), 11. 10 J. HUER, The Post-Human Society (cf. nt. 8), 35. Per quanto riguarda questa trasfor-

mazione Huer è convinto che sia da ricollegare al fatto che la felicità ha bisogno di relazioni interpersonali mentre il piacere sarebbe una cosa che riguarda solo l’individuo isolato. È interessante leggere in parallelo a queste considerazioni anche il contributo di C. LASCH, The Culture of Narcissism: American Life in an Age of Diminishing Expectations, New York 1991 e il concetto di eroismo presente in E. BECKER, The Denial of Death, New York 1973.

11 Cf. R.H. ROBERTS, «“Nature”, Post/Modernity and the Migration of the Sublime», Ecotheology: Journal of Religion, Nature & the Environment 9(2004) 315-337.

12 J. HUER, The Post-Human Society (cf. nt. 8), 35. Per quanto riguarda gli effetti sulla persona di questa contrazione di orizzonte e sulla trasformazione in posizioni che potremmo definire difensive di fronte alla realtà si veda C. LASCH, The Culture of Narcissism (cf. nt. 10).

13 J. HUER, The Post-Human Society (cf. nt. 8), 41.

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afferre potest, quo vera hominis condicio delineetur, explanentur eius infirmitates, simulque eius dignitas et vocatio recte agnosci possint (GS 12).

Come nota la Gaudium et spes più volte l’uomo ha fornito diverse interpre-tazioni di se stesso. Anche il pensiero post-umano elabora una sua personale visione dell’uomo e sebbene il post-umano non si presenti come un pensiero compatto e unitario ma fluido e dalle numerose sfumature, possiamo rintrac-ciare nelle riflessioni di Donna Haraway alcune linee che lasciano emergere le coordinate antropologiche di fondo che strutturano il pensiero post-umano14. Donna Haraway15 analizza le implicazioni che ha un mondo altamente tecnologizzato sulla vita dell’uomo contemporaneo. Nel suo pensiero è possibile rintracciare una dialettica di stampo marxista unita ad alcune istanze della filosofia della tecnologia e del postumanesimo: secondo la studiosa americana, la cultura occidentale è sempre stata caratterizzata da una struttura binaria ruotante intorno a coppie di categorie come uomo-donna, naturale-artificiale, corpo-mente basata sul predominio di un elemento sull’altro16. Per la Haraway, guardando alla tradizione occidentale, si possono riconoscere persistenti dualismi funzionali alle logiche e alle pratiche del dominio sulle donne, sulla gente di colore, sulla natura, sui lavoratori, sugli animali: sul dominio, cioè, di chiunque fosse costruito come altro rispetto al sé17. La Haraway, in un suo scritto del 1985 intitolato A Cyborg Manifesto: Science, Technology, and Socialist-Feminism in the Late Twentieth Cen-tury18, riconosce l’organismo cibernetico come costitutivo di una metafora della condizione umana di fronte alla crisi dell’umanesimo. Il cyborg è al contempo uomo e macchina, individuo non sessuato o situato oltre le cate-gorie di genere, creatura sospesa tra finzione e realtà, il cyborg supera la

———–– 14 Per una approfondita disanima di come si possano rintracciare le linee di fondo che

accomunano i postumanisti nel pensiero della Haraway rimandiamo a P. BENANTI, The Cyborg (cf. nt. 1). Vedremo più avanti che sebbene sia possibile rintracciare nella Haraway le coordinate di fondo del post-umano il modo di interpretare queste istanze è molto differente in diversi autori.

15 Nata a Denver (CO) nel 1944 e cresciuta nell’ambiente cattolico irlandese è una filosofa e docente statunitense. Nel 1966 si è laureata in zoologia e filosofia al Colorado College, mentre nel 1972 ha concluso un dottorato in biologia alla Yale University. Ha sviluppato le sue teorie sul cyborg dopo essere entrata a far parte della Women’s Union, un’associazione femminista socialista. Attualmente insegna teoria femminista e scienza tecnologica alla European Graduate School di Saas-Fee in Svizzera e storia della scienza alla Santa Cruz University in California. Cf. R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?», in American Philosophy of Technology: The Empirical Turn, Bloomington 2001, 97-100.

16 Cf. N. BADMINGTON, Posthumanism (Readers in Cultural Criticism), New York 2000, 8. 17 Cf. R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?» (cf. nt. 15), 95-118. 18 D.J. HARAWAY, «A Cyborg Manifesto: Science, Technology, and Socialist-Feminism in

the Late Twentieth Century», in D.M. KAPLAN ed., Readings in the Philosophy of Technology, Lanham 2004, 161-178.

UT SI HOMO NON DARETUR? 549 costante dialettica della cultura occidentale dando il via alla condizione post-umana19. Quello che fa dell’organismo cibernetico la metafora del nostro tempo è visto nel fatto che

cyborgs are constructions lacking a fixed, pre-existing, natural identity; they are made not born [...] they also partly reflect the predicament of contemporary human beings, whose existence is inextricably bound up in a technological framework, whose lifeworld has become dominated by technology20.

La riflessione della Haraway prende forma in maniera più dettagliata nel testo Simians, Cyborgs and Women: The Reinvention of Nature21. Tornando sulla figura del cyborg e sulla sua costituzione mitica la Haraway si spinge oltre e supera il concetto di offuscamento per parlare di una vera e propria rottura dei confini che avviene secondo tre modalità:

the first is the erosion of the difference between human and animal brought by modern biology. The second is the undermining of the difference between the animal-human organism and the machine. [...] The third boundary breakdown is that between physical and non physical22.

Questa irrimediabile rottura svela per la Haraway che «the cyborg is our ontology; it give us our politics»23: l’ontologia dell’essere post-umano, di ciò che succede all’uomo, è il cyborg. La Haraway fa del cyborg l’elemento chiave per l’antropologia post-umana. La conclusione a cui giunge la studiosa nordamericana è che il cyborg sia «the awful apocalyptic telos of the ‘west’s’ escalating dominations of abstract individuation, an ultimate self-untied at last from all dependency, a man in space»24. Il cyborg è concepito come un essere costruito e costrui-bile, caratterizzato da una radicale contingenza e dall’essere costantemente determinato dall’essere radicalmente situato in un tempo e in un luogo25 che ne fanno «as much a wish fulfilment as the partially realized product of the western project of domination over nature»26. Inoltre poiché il cyborg è un prodotto dell’uomo e un essere costruito, l’organismo cibernetico non è né creato né nato. Questa condizione strappa il

———–– 19 Cf. N. BADMINGTON, Posthumanism (Readers in Cultural Criticism) (cf. nt. 16), 8. 20 R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?» (cf. nt. 15), 95. 21 Cf. D.J. HARAWAY, Simians, Cyborgs and Women: The Reinvention of Nature, London

1996. 22 R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?» (cf. nt. 15), 95. 23 D.J. HARAWAY, Simians, Cyborgs and Women (cf. nt. 21), 150. 24 D.J. HARAWAY, Simians, Cyborgs and Women (cf. nt. 21), 150-151 (i corsivi sono nel

testo). 25 Cf. R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?» (cf. nt. 15), 104-105

e D.J. HARAWAY, Simians, Cyborgs and Women (cf. nt. 21), 150-151. 26 R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?» (cf. nt. 15), 102.

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548 PAOLO BENANTI

afferre potest, quo vera hominis condicio delineetur, explanentur eius infirmitates, simulque eius dignitas et vocatio recte agnosci possint (GS 12).

Come nota la Gaudium et spes più volte l’uomo ha fornito diverse interpre-tazioni di se stesso. Anche il pensiero post-umano elabora una sua personale visione dell’uomo e sebbene il post-umano non si presenti come un pensiero compatto e unitario ma fluido e dalle numerose sfumature, possiamo rintrac-ciare nelle riflessioni di Donna Haraway alcune linee che lasciano emergere le coordinate antropologiche di fondo che strutturano il pensiero post-umano14. Donna Haraway15 analizza le implicazioni che ha un mondo altamente tecnologizzato sulla vita dell’uomo contemporaneo. Nel suo pensiero è possibile rintracciare una dialettica di stampo marxista unita ad alcune istanze della filosofia della tecnologia e del postumanesimo: secondo la studiosa americana, la cultura occidentale è sempre stata caratterizzata da una struttura binaria ruotante intorno a coppie di categorie come uomo-donna, naturale-artificiale, corpo-mente basata sul predominio di un elemento sull’altro16. Per la Haraway, guardando alla tradizione occidentale, si possono riconoscere persistenti dualismi funzionali alle logiche e alle pratiche del dominio sulle donne, sulla gente di colore, sulla natura, sui lavoratori, sugli animali: sul dominio, cioè, di chiunque fosse costruito come altro rispetto al sé17. La Haraway, in un suo scritto del 1985 intitolato A Cyborg Manifesto: Science, Technology, and Socialist-Feminism in the Late Twentieth Cen-tury18, riconosce l’organismo cibernetico come costitutivo di una metafora della condizione umana di fronte alla crisi dell’umanesimo. Il cyborg è al contempo uomo e macchina, individuo non sessuato o situato oltre le cate-gorie di genere, creatura sospesa tra finzione e realtà, il cyborg supera la

———–– 14 Per una approfondita disanima di come si possano rintracciare le linee di fondo che

accomunano i postumanisti nel pensiero della Haraway rimandiamo a P. BENANTI, The Cyborg (cf. nt. 1). Vedremo più avanti che sebbene sia possibile rintracciare nella Haraway le coordinate di fondo del post-umano il modo di interpretare queste istanze è molto differente in diversi autori.

15 Nata a Denver (CO) nel 1944 e cresciuta nell’ambiente cattolico irlandese è una filosofa e docente statunitense. Nel 1966 si è laureata in zoologia e filosofia al Colorado College, mentre nel 1972 ha concluso un dottorato in biologia alla Yale University. Ha sviluppato le sue teorie sul cyborg dopo essere entrata a far parte della Women’s Union, un’associazione femminista socialista. Attualmente insegna teoria femminista e scienza tecnologica alla European Graduate School di Saas-Fee in Svizzera e storia della scienza alla Santa Cruz University in California. Cf. R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?», in American Philosophy of Technology: The Empirical Turn, Bloomington 2001, 97-100.

16 Cf. N. BADMINGTON, Posthumanism (Readers in Cultural Criticism), New York 2000, 8. 17 Cf. R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?» (cf. nt. 15), 95-118. 18 D.J. HARAWAY, «A Cyborg Manifesto: Science, Technology, and Socialist-Feminism in

the Late Twentieth Century», in D.M. KAPLAN ed., Readings in the Philosophy of Technology, Lanham 2004, 161-178.

UT SI HOMO NON DARETUR? 549 costante dialettica della cultura occidentale dando il via alla condizione post-umana19. Quello che fa dell’organismo cibernetico la metafora del nostro tempo è visto nel fatto che

cyborgs are constructions lacking a fixed, pre-existing, natural identity; they are made not born [...] they also partly reflect the predicament of contemporary human beings, whose existence is inextricably bound up in a technological framework, whose lifeworld has become dominated by technology20.

La riflessione della Haraway prende forma in maniera più dettagliata nel testo Simians, Cyborgs and Women: The Reinvention of Nature21. Tornando sulla figura del cyborg e sulla sua costituzione mitica la Haraway si spinge oltre e supera il concetto di offuscamento per parlare di una vera e propria rottura dei confini che avviene secondo tre modalità:

the first is the erosion of the difference between human and animal brought by modern biology. The second is the undermining of the difference between the animal-human organism and the machine. [...] The third boundary breakdown is that between physical and non physical22.

Questa irrimediabile rottura svela per la Haraway che «the cyborg is our ontology; it give us our politics»23: l’ontologia dell’essere post-umano, di ciò che succede all’uomo, è il cyborg. La Haraway fa del cyborg l’elemento chiave per l’antropologia post-umana. La conclusione a cui giunge la studiosa nordamericana è che il cyborg sia «the awful apocalyptic telos of the ‘west’s’ escalating dominations of abstract individuation, an ultimate self-untied at last from all dependency, a man in space»24. Il cyborg è concepito come un essere costruito e costrui-bile, caratterizzato da una radicale contingenza e dall’essere costantemente determinato dall’essere radicalmente situato in un tempo e in un luogo25 che ne fanno «as much a wish fulfilment as the partially realized product of the western project of domination over nature»26. Inoltre poiché il cyborg è un prodotto dell’uomo e un essere costruito, l’organismo cibernetico non è né creato né nato. Questa condizione strappa il

———–– 19 Cf. N. BADMINGTON, Posthumanism (Readers in Cultural Criticism) (cf. nt. 16), 8. 20 R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?» (cf. nt. 15), 95. 21 Cf. D.J. HARAWAY, Simians, Cyborgs and Women: The Reinvention of Nature, London

1996. 22 R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?» (cf. nt. 15), 95. 23 D.J. HARAWAY, Simians, Cyborgs and Women (cf. nt. 21), 150. 24 D.J. HARAWAY, Simians, Cyborgs and Women (cf. nt. 21), 150-151 (i corsivi sono nel

testo). 25 Cf. R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?» (cf. nt. 15), 104-105

e D.J. HARAWAY, Simians, Cyborgs and Women (cf. nt. 21), 150-151. 26 R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?» (cf. nt. 15), 102.

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550 PAOLO BENANTI cyborg da un qualsiasi mito di origine analogo a quelli che si trovano, a suo dire, nelle religioni monoteiste:

because a cyborg can conceive itself only as a construction, it can never conceive itself as a moment in a history that involves recovery of an original unity or inno-cence that existed before a Fall. A cyborg never has such respectful or nostalgic sentiments. A cyborg is radically exclude from Paradise and is untroubled by the fact. It is a being of everlasting dispersion; it has forever lost its innocence. For Haraway, this is the subversive character of the cyborg27.

La Haraway sostiene che il cyborg si trova in una differente relazione con la morte: all’interno della sua condizione vive una diaspora che è caratte-rizzata dall’assoluta contingenza, dalla situazionalità, dalla finitudine e dalla vulnerabilità e in cui è chiamato a giocare il gioco serio della sopravviven-za28. Questa condizione di sopravvivenza lo porta a realizzare una ininterrotta costruzione della sua identità in cui si inverano continue rotture dei confini: dopo il confine uomo-animale e quello tra essere umano e macchina, il cyborg arriva a offuscare il confine tra vita e morte29. Da questo punto di vista il destino del cyborg è tragico30: l’organismo cibernetico, che è divenuto in parte uomo e in parte animale, in parte essere umano e in parte macchina, ora si scopre «a being that is partly alive, partly dead, or both together»31. Alla luce del percorso compiuto possiamo rilevare come il pensiero post-umano guardi all’uomo con una visione di tipo dualista: il corpo è una sorta di sostrato che permette l’esistenza ma che può essere modificato, alterato e, quando sarà possibile, anche rimpiazzato da un altro medium, come il silicio, che garantisca prestazioni migliori32. L’uomo trova quindi, per i postuma-nisti, nella sua costituzione biologica un mero accidens che consente all’informazione, quello che è importante dell’uomo, di essere conservata ed elaborata33.

———–– 27 R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?» (cf. nt. 15), 105. 28 Cf. D.J. HARAWAY, Modest Witness@Second Millennium: FemaleMan Meets

OncoMouse Feminism and Technos, New York 1997, 74-152 e 216-309. 29 Cf. R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?» (cf. nt. 15), 116. 30 Cf. D.J. HARAWAY, Modest Witness@Second Millennium (cf. nt. 28), 74-152. 31 R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?» (cf. nt. 15), 116. 32 Si apre qui il discorso dello human enhancement. Viste le finalità del presente contributo

non possiamo ulteriormente approfondire il tema ma ci limitiamo a rimandare a P. BENANTI, The Cyborg (cf. nt. 1).

33 Per approfondire il concetto di vita come informazione rimandiamo al testo P. BENANTI, The Cyborg (cf. nt. 1).

UT SI HOMO NON DARETUR? 551

III. IL FONDAMENTO: LA NATURA DEL CORPO È LA PERSONA

Corpore et anima unus, homo per ipsam suam corporalem condicionem elementa mundi materialis in se colligit, ita ut, per ipsum, fastigium suum attingant et ad liberam Creatoris laudem vocem attollant (GS 14).

Il corpo umano è una realtà fisica che occupa uno spazio e vive in un tempo. Lo studio del funzionamento del corpo e il suo caratterizzarsi come vita è l’oggetto di discipline scientifiche quali la biologia e la medicina. Il contributo che queste scienze hanno offerto sulla conoscenza e sul funzio-namento del corpo umano è notevole. La peculiarità del nostro corpo tuttavia è quella di essere, tra l’altro, un organismo vivo, e questo lo pone in una posizione di confine tra la biologia e la filosofia: la vita non è solo un termine scientifico, un concetto biologico, ma tutto un mondo di esperienze, sapienza e consapevolezza34. Data la natura del presente scritto, non ci è possibile ripercorre il cammino del pensiero filosofico sull’uomo. Ci limiteremo, pertanto, ad analizzare i contributi e le categorie più significative che la filosofia contemporanea, e in particolare il personalismo35 per il suo legame con la Gaudium et spes, fornisce sulla questione36. La visione antropologica personalista coglie l’uomo anzitutto come unità psicosomatica, come spirito incarnato e solo in un secondo tempo,

———–– 34 Cf. P. RAMELLINI, Il corpo vivo. Il corpo tra biologia e filosofia, Roma 2006, 15-39. 35 Il personalismo si sviluppa intorno al 1930 soprattutto grazie all’opera di Emmanuel

Mounier e si afferma come visione realistica dell’uomo in contrasto e in alternativa sia all’individualismo che ai totalitarismi che si stavano affermando in quell’epoca. Altre voci importanti riconducibili al personalismo sono il filosofo tedesco di origine ebraica Paul-Ludwig Landsberg, i filosofi Jacques Maritain, Romano Guardini e Josef Pieper (cf. N. ABBAGNANO – G. GALEAZZI, «Personalismo» in Dizionario di filosofia, Torino 2001, 814-815, G. FORNERO, «Persona» in Dizionario di filosofia, Torino 2001, 812-814, G. FORNERO, «Antropologia», in Dizionario di filosofia, Torino 2001, 65-66, N. ABBAGNANO – G. GALE-AZZI, «Personalismo» in Dizionario di filosofia, Torino 2001, 65-66 e G. FORNERO, «Uomo» in Dizionario di filosofia, Torino 2001, 1133-1136). Nel leggere i contributi dei filosofi personalisti bisogna conservare una certa prudenza, in alcuni casi permangono tracce di un certo dualismo non ancora del tutto superato o introdotto in forma diversa nel loro modo di procedere filosofico. Non potendo trattare la questione in maniera esauriente rimandiamo a studi specializzati.

36 Per il legame e l’influenza che esiste tra la Gaudium et spes e il personalismo riman-diamo a numerosi studi specifici. Qui ci limitiamo a segnalare, rimandando anche alla bibliografia ivi contenuta, i seguenti testi: J.-L. BROUGUES, Corso di teologia morale fondamentale. La persona umana una e molteplice, Bologna 2005; E. FURLAN, Bioetica e dignità umana. Interpretazioni a confronto a partire dalla Convenzione di Oviedo, Milano 2009; A. THOMMASET, «Dignità della persona umana», Aggiornamenti Sociali 63/1(2012) 71-74.

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550 PAOLO BENANTI cyborg da un qualsiasi mito di origine analogo a quelli che si trovano, a suo dire, nelle religioni monoteiste:

because a cyborg can conceive itself only as a construction, it can never conceive itself as a moment in a history that involves recovery of an original unity or inno-cence that existed before a Fall. A cyborg never has such respectful or nostalgic sentiments. A cyborg is radically exclude from Paradise and is untroubled by the fact. It is a being of everlasting dispersion; it has forever lost its innocence. For Haraway, this is the subversive character of the cyborg27.

La Haraway sostiene che il cyborg si trova in una differente relazione con la morte: all’interno della sua condizione vive una diaspora che è caratte-rizzata dall’assoluta contingenza, dalla situazionalità, dalla finitudine e dalla vulnerabilità e in cui è chiamato a giocare il gioco serio della sopravviven-za28. Questa condizione di sopravvivenza lo porta a realizzare una ininterrotta costruzione della sua identità in cui si inverano continue rotture dei confini: dopo il confine uomo-animale e quello tra essere umano e macchina, il cyborg arriva a offuscare il confine tra vita e morte29. Da questo punto di vista il destino del cyborg è tragico30: l’organismo cibernetico, che è divenuto in parte uomo e in parte animale, in parte essere umano e in parte macchina, ora si scopre «a being that is partly alive, partly dead, or both together»31. Alla luce del percorso compiuto possiamo rilevare come il pensiero post-umano guardi all’uomo con una visione di tipo dualista: il corpo è una sorta di sostrato che permette l’esistenza ma che può essere modificato, alterato e, quando sarà possibile, anche rimpiazzato da un altro medium, come il silicio, che garantisca prestazioni migliori32. L’uomo trova quindi, per i postuma-nisti, nella sua costituzione biologica un mero accidens che consente all’informazione, quello che è importante dell’uomo, di essere conservata ed elaborata33.

———–– 27 R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?» (cf. nt. 15), 105. 28 Cf. D.J. HARAWAY, Modest Witness@Second Millennium: FemaleMan Meets

OncoMouse Feminism and Technos, New York 1997, 74-152 e 216-309. 29 Cf. R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?» (cf. nt. 15), 116. 30 Cf. D.J. HARAWAY, Modest Witness@Second Millennium (cf. nt. 28), 74-152. 31 R. MUNNIK, «Donna Haraway: Cyborgs for Earthly Survival?» (cf. nt. 15), 116. 32 Si apre qui il discorso dello human enhancement. Viste le finalità del presente contributo

non possiamo ulteriormente approfondire il tema ma ci limitiamo a rimandare a P. BENANTI, The Cyborg (cf. nt. 1).

33 Per approfondire il concetto di vita come informazione rimandiamo al testo P. BENANTI, The Cyborg (cf. nt. 1).

UT SI HOMO NON DARETUR? 551

III. IL FONDAMENTO: LA NATURA DEL CORPO È LA PERSONA

Corpore et anima unus, homo per ipsam suam corporalem condicionem elementa mundi materialis in se colligit, ita ut, per ipsum, fastigium suum attingant et ad liberam Creatoris laudem vocem attollant (GS 14).

Il corpo umano è una realtà fisica che occupa uno spazio e vive in un tempo. Lo studio del funzionamento del corpo e il suo caratterizzarsi come vita è l’oggetto di discipline scientifiche quali la biologia e la medicina. Il contributo che queste scienze hanno offerto sulla conoscenza e sul funzio-namento del corpo umano è notevole. La peculiarità del nostro corpo tuttavia è quella di essere, tra l’altro, un organismo vivo, e questo lo pone in una posizione di confine tra la biologia e la filosofia: la vita non è solo un termine scientifico, un concetto biologico, ma tutto un mondo di esperienze, sapienza e consapevolezza34. Data la natura del presente scritto, non ci è possibile ripercorre il cammino del pensiero filosofico sull’uomo. Ci limiteremo, pertanto, ad analizzare i contributi e le categorie più significative che la filosofia contemporanea, e in particolare il personalismo35 per il suo legame con la Gaudium et spes, fornisce sulla questione36. La visione antropologica personalista coglie l’uomo anzitutto come unità psicosomatica, come spirito incarnato e solo in un secondo tempo,

———–– 34 Cf. P. RAMELLINI, Il corpo vivo. Il corpo tra biologia e filosofia, Roma 2006, 15-39. 35 Il personalismo si sviluppa intorno al 1930 soprattutto grazie all’opera di Emmanuel

Mounier e si afferma come visione realistica dell’uomo in contrasto e in alternativa sia all’individualismo che ai totalitarismi che si stavano affermando in quell’epoca. Altre voci importanti riconducibili al personalismo sono il filosofo tedesco di origine ebraica Paul-Ludwig Landsberg, i filosofi Jacques Maritain, Romano Guardini e Josef Pieper (cf. N. ABBAGNANO – G. GALEAZZI, «Personalismo» in Dizionario di filosofia, Torino 2001, 814-815, G. FORNERO, «Persona» in Dizionario di filosofia, Torino 2001, 812-814, G. FORNERO, «Antropologia», in Dizionario di filosofia, Torino 2001, 65-66, N. ABBAGNANO – G. GALE-AZZI, «Personalismo» in Dizionario di filosofia, Torino 2001, 65-66 e G. FORNERO, «Uomo» in Dizionario di filosofia, Torino 2001, 1133-1136). Nel leggere i contributi dei filosofi personalisti bisogna conservare una certa prudenza, in alcuni casi permangono tracce di un certo dualismo non ancora del tutto superato o introdotto in forma diversa nel loro modo di procedere filosofico. Non potendo trattare la questione in maniera esauriente rimandiamo a studi specializzati.

36 Per il legame e l’influenza che esiste tra la Gaudium et spes e il personalismo riman-diamo a numerosi studi specifici. Qui ci limitiamo a segnalare, rimandando anche alla bibliografia ivi contenuta, i seguenti testi: J.-L. BROUGUES, Corso di teologia morale fondamentale. La persona umana una e molteplice, Bologna 2005; E. FURLAN, Bioetica e dignità umana. Interpretazioni a confronto a partire dalla Convenzione di Oviedo, Milano 2009; A. THOMMASET, «Dignità della persona umana», Aggiornamenti Sociali 63/1(2012) 71-74.

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552 PAOLO BENANTI eventualmente procederà a cogliere in questa unità una dualità e non un dualismo37. La corporeità fornisce il fondamento costante della singolarità personale ma si può dire che l’uomo si costituisce e si rivela come persona nell’incontro con un’altra persona e nell’unità che con l’incontro si stabilisce38. Inoltre, per superare ogni possibile forma di dualismo, si deve considerare come

il corpo non è qualcosa che io possiedo, il corpo che io vivo in prima persona sono io stesso. Il mio corpo non è solo un modo di far presa sul mondo, ma la condi-zione imprescindibile di abitarlo e di vivere la mia esperienza irripetibile nel mondo. [...] il corpo umano partecipa pienamente alla realizzazione dell’io spiri-tuale e la consente39.

La corporeità è il modo specifico di esistere dello spirito umano: il corpo rivela l’uomo, esprime la persona. Allora la persona non si configura come pura razionalità né come solo corpo, ma come una unità totale o meglio come unitotalità unificata, che pensa, conosce, sceglie, decide, sente, ha paura, ama, prova delle sofferenze e delle gioie indicibili40. Da questa consapevolezza antropologica emerge immediatamente un primo punto di dialogo con il pensiero post-umano. Da un lato quello che la tecnica, specialmente nella declinazione che ne fanno i postumanisti, svela è che il corpo non è un apriori immutabile ma un qualcosa su cui la nostra capacità tecnica ci consente di operare. In modo particolare il potere che abbiamo di operare sul nostro strato biologico, trattandolo come se fosse un’entità interamente malleabile, interroga profondamente l’antropologia: questi approcci filosofici che confluiscono in questa corrente post-umana se da un lato leggono la realtà umana nell’ottica riduzionista che offre la comprensione tecnologica del mondo, dall’altro ci spingono a riformulare la nostra consapevolezza della condizione umana in termini rinnovati. Siamo chiamati a superare approcci che risultino troppo idealisti a favore di una antropologia che sappia indicare il senso del nostro esistere e di una riflessione etica capace di farsi carico di una corporeità che ci è affidata e che definisce sempre i limiti del nostro essere e del nostro capire e capirci.

———–– 37 Cf. R. LUCAS LUCAS, Orizzonte verticale. Senso e significato della persona umana,

Cinisello Balsamo 2011, 256. 38 Cf. G. BOF, «Corporeità», in S. LEONE – S. PRIVITERA ed, Nuovo dizionario di bioetica,

Roma – Acireale 2004, 246. 39 R. LUCAS LUCAS, L’uomo, spirito incarnato. Compendio di filosofia dell’uomo,

Cinisello Balsamo 2007, 198. 40 Cf. M.V. ATTARD, «La persona umana come unità totale. Spunti per l’antropologia

Morale», in E. ANCILLI ed., Temi di antropologia teologica, Roma 1981, 838.

UT SI HOMO NON DARETUR? 553 L’unità dell’uomo, spirito incarnato, è tale che non esistono atti umani che possano realizzarsi solo nel corpo o solo nello spirito ma il rapporto intrinseco tra corpo e persona umana non stabilisce una coincidenza totale o definitiva tra la persona il suo corpo41. La persona umana, questo spirito incarnato che traspare attraverso la corporeità, non è un vuoto irreale. L’essere concreto che è ogni persona può essere definito come intelligenza senziente42: un contenuto concreto che esprime la storia personale dell’uomo, che rende la persona quella che è43. Il dialogo con il post-umano trova qui un punto che può essere particolarmente fecondo: il desiderio di intervenire tecnologicamente sulla corporeità è un’implicita affermazione di una storicità umana in cui si sperimentano possibilità e limiti, la grandezza della nostra vocazione, per usare termini che risuonano nella Gaudium et spes, e la fragilità della nostra condizione. Il post-umano ripone al centro del dibattito sull’uomo la questione del telos. La capacità che abbiamo di intervenire su noi stessi ci pone di fronte al fatto che un’interpretazione dell’uomo come mera esposizione delle cause che lo generano o che lo spingono ad agire non è più la questione focale dell’attuale panorama culturale. In questo passaggio d’epoca che genera il post-umano i fini tornano ad essere una questione chiave. Il post-umano fa del fine una questione intramondana e storica affidata a una techné senza telos o forse a un telos di techné. Siamo chiamati a sollevare, in questo confronto dialogante, una questione di fondo: l’uomo è un essere condannato a coincidere solo con la sua storia, un debole apparire personale attraverso la cortina corporea, o si configura come altro? Dobbiamo chiederci, in altre parole, se e come l’uomo, nel suo essere spirito incarnato, corporeità intelligente e intelligenza sen-ziente, essere reale e storico, abbia modo di esprime l’oltre che lo costituisce.

IV. LA COSCIENZA MORALE: RADICE E FONDAMENTO DELLA PERSONA E DELLA SUA DIGNITÀ

In imo conscientiae legem homo detegit, quam ipse sibi non dat, sed cui obedire debet, et cuius vox, semper ad bonum amandum et faciendum ac malum vitandum eum advocans, ubi oportet auribus cordis sonat: fac hoc, illud devita. Nam homo legem in corde suo a Deo inscriptam habet, cui parere ipsa dignitas eius est et secundum quam ipse iudicabitur. Conscientia est nucleus secretissimus atque sacrarium hominis, in quo solus est cum Deo, cuius vox resonat in intimo eius (GS 16).

———–– 41 Cf. R. LUCAS LUCAS, Orizzonte verticale (cf. nt. 37), 270-274. 42 Cf. X. ZUBIRI, Intelligenza senziente, Milano 2008, 81-103.105-138.371-388 43 Cf. M.V. ATTARD, «La persona umana» (cf. nt. 40), 794 e G. FORNERO, «Psicologia», in

Dizionario di filosofia, Torino 2001, 822.

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552 PAOLO BENANTI eventualmente procederà a cogliere in questa unità una dualità e non un dualismo37. La corporeità fornisce il fondamento costante della singolarità personale ma si può dire che l’uomo si costituisce e si rivela come persona nell’incontro con un’altra persona e nell’unità che con l’incontro si stabilisce38. Inoltre, per superare ogni possibile forma di dualismo, si deve considerare come

il corpo non è qualcosa che io possiedo, il corpo che io vivo in prima persona sono io stesso. Il mio corpo non è solo un modo di far presa sul mondo, ma la condi-zione imprescindibile di abitarlo e di vivere la mia esperienza irripetibile nel mondo. [...] il corpo umano partecipa pienamente alla realizzazione dell’io spiri-tuale e la consente39.

La corporeità è il modo specifico di esistere dello spirito umano: il corpo rivela l’uomo, esprime la persona. Allora la persona non si configura come pura razionalità né come solo corpo, ma come una unità totale o meglio come unitotalità unificata, che pensa, conosce, sceglie, decide, sente, ha paura, ama, prova delle sofferenze e delle gioie indicibili40. Da questa consapevolezza antropologica emerge immediatamente un primo punto di dialogo con il pensiero post-umano. Da un lato quello che la tecnica, specialmente nella declinazione che ne fanno i postumanisti, svela è che il corpo non è un apriori immutabile ma un qualcosa su cui la nostra capacità tecnica ci consente di operare. In modo particolare il potere che abbiamo di operare sul nostro strato biologico, trattandolo come se fosse un’entità interamente malleabile, interroga profondamente l’antropologia: questi approcci filosofici che confluiscono in questa corrente post-umana se da un lato leggono la realtà umana nell’ottica riduzionista che offre la comprensione tecnologica del mondo, dall’altro ci spingono a riformulare la nostra consapevolezza della condizione umana in termini rinnovati. Siamo chiamati a superare approcci che risultino troppo idealisti a favore di una antropologia che sappia indicare il senso del nostro esistere e di una riflessione etica capace di farsi carico di una corporeità che ci è affidata e che definisce sempre i limiti del nostro essere e del nostro capire e capirci.

———–– 37 Cf. R. LUCAS LUCAS, Orizzonte verticale. Senso e significato della persona umana,

Cinisello Balsamo 2011, 256. 38 Cf. G. BOF, «Corporeità», in S. LEONE – S. PRIVITERA ed, Nuovo dizionario di bioetica,

Roma – Acireale 2004, 246. 39 R. LUCAS LUCAS, L’uomo, spirito incarnato. Compendio di filosofia dell’uomo,

Cinisello Balsamo 2007, 198. 40 Cf. M.V. ATTARD, «La persona umana come unità totale. Spunti per l’antropologia

Morale», in E. ANCILLI ed., Temi di antropologia teologica, Roma 1981, 838.

UT SI HOMO NON DARETUR? 553 L’unità dell’uomo, spirito incarnato, è tale che non esistono atti umani che possano realizzarsi solo nel corpo o solo nello spirito ma il rapporto intrinseco tra corpo e persona umana non stabilisce una coincidenza totale o definitiva tra la persona il suo corpo41. La persona umana, questo spirito incarnato che traspare attraverso la corporeità, non è un vuoto irreale. L’essere concreto che è ogni persona può essere definito come intelligenza senziente42: un contenuto concreto che esprime la storia personale dell’uomo, che rende la persona quella che è43. Il dialogo con il post-umano trova qui un punto che può essere particolarmente fecondo: il desiderio di intervenire tecnologicamente sulla corporeità è un’implicita affermazione di una storicità umana in cui si sperimentano possibilità e limiti, la grandezza della nostra vocazione, per usare termini che risuonano nella Gaudium et spes, e la fragilità della nostra condizione. Il post-umano ripone al centro del dibattito sull’uomo la questione del telos. La capacità che abbiamo di intervenire su noi stessi ci pone di fronte al fatto che un’interpretazione dell’uomo come mera esposizione delle cause che lo generano o che lo spingono ad agire non è più la questione focale dell’attuale panorama culturale. In questo passaggio d’epoca che genera il post-umano i fini tornano ad essere una questione chiave. Il post-umano fa del fine una questione intramondana e storica affidata a una techné senza telos o forse a un telos di techné. Siamo chiamati a sollevare, in questo confronto dialogante, una questione di fondo: l’uomo è un essere condannato a coincidere solo con la sua storia, un debole apparire personale attraverso la cortina corporea, o si configura come altro? Dobbiamo chiederci, in altre parole, se e come l’uomo, nel suo essere spirito incarnato, corporeità intelligente e intelligenza sen-ziente, essere reale e storico, abbia modo di esprime l’oltre che lo costituisce.

IV. LA COSCIENZA MORALE: RADICE E FONDAMENTO DELLA PERSONA E DELLA SUA DIGNITÀ

In imo conscientiae legem homo detegit, quam ipse sibi non dat, sed cui obedire debet, et cuius vox, semper ad bonum amandum et faciendum ac malum vitandum eum advocans, ubi oportet auribus cordis sonat: fac hoc, illud devita. Nam homo legem in corde suo a Deo inscriptam habet, cui parere ipsa dignitas eius est et secundum quam ipse iudicabitur. Conscientia est nucleus secretissimus atque sacrarium hominis, in quo solus est cum Deo, cuius vox resonat in intimo eius (GS 16).

———–– 41 Cf. R. LUCAS LUCAS, Orizzonte verticale (cf. nt. 37), 270-274. 42 Cf. X. ZUBIRI, Intelligenza senziente, Milano 2008, 81-103.105-138.371-388 43 Cf. M.V. ATTARD, «La persona umana» (cf. nt. 40), 794 e G. FORNERO, «Psicologia», in

Dizionario di filosofia, Torino 2001, 822.

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554 PAOLO BENANTI Parlare di essere umano come corpo è parlare di qualcosa che “io” sono e non di qualcosa che può essere posta di fronte a me (ob-jectum) come un oggetto; “il problema del corpo” è precisamente “l’essere come corporeità” della persona, un’esperienza compiuta in ogni momento della vita44. La struttura fondamentale dell’essere umano è quella di essere aperto all’altro, per l’uomo esistere è coesistere45: «l’uomo non si percepisce e si realizza in modo pienamente umano che nel rapporto d’incontro (fatto di accoglienza e di dono) con l’altro/altri»46. Il corpo della persona è insieme presenza, nel senso latino di prae-esse cioè stare al cospetto di qualcuno, e linguaggio, in quanto in ogni momento parla dicendo l’intenzione interiore. Ma relegare al corpo solo un ruolo informativo non risulta coerente con quanto fin qui emerso. Il corpo ha un ruolo anche realizzativo: «è in esso infatti che l’io della persona umana storicamente si “fa”, si autorealizza nel suo essere e divenire storico-relazionale»47. In questo senso il corpo è piena-mente simbolo reale. Questo modo di percepire il corpo e di valorizzarne il suo appartenere a quell’unitotalità unificata che è la persona, presuppone l’intenzionalità dell’uomo: il corpo è rappresentativo e realizzativo della persona solo in quanto «esprime una manifestazione consapevole dell’io spirituale»48. Per poter entrare in dialogo con il post-umano su questi temi dobbiamo sottolineare come questo movimento non sia un unicum omogeneo ma presenti accezioni differenti che facilitano o rendono assai difficile, là dove non impossibile, un confronto. In una sua recente opera Thweatt-Bates rileva l’esistenza di diverse correnti che danno luogo al post-umano, saper distin-guere tra queste è, a suo giudizio, necessario per un dialogo fruttuoso tra credenti e postumanisti49: gli esiti infelici di numerosi tentativi di dialogo che ———––

44 Cf. R.M. ZANER, «Body. I. Embodiment: the Phenomenological Tradition» in W.T. REICH, ed., Encyclopedia of Bioethics. Revised Edition, I, New York 1995, 297 ove si legge: «is to speak of something that “I” am and not something that can be placed over against me (ob-jectum) as an object. [...] What is expressed by “the problem of the body” is precisely the person’s “being as embodied”, that is, therefore, a matter of experience: it is enacted at every moment in the ongoing life of the person. These consideration makes it easier to appreciate that the human body is essentially expressive». Si veda a proposito anche U. GALIMBERTI, Il corpo, Milano 2002, 188-195 e 479-491.

45 Su questa condizione umana come istanza di aperture all’altro e sull’autocomprensione che all’uomo deriva da questa esperienza di un tu che gli si pone di fronte rimandiamo al pensiero di Merleau-Ponty. Cf. M. MERLEAU-PONTY, Fenomenologia della percezione, Milano 2003, 394-474.

46 C. ROCCHETTA, Sacramentaria fondamentale: dal «mysterion» al «sacramentum», Bologna 1999, 33-34.

47 C. ROCCHETTA, Sacramentaria fondamentale (cf. nt. 46), 36. 48 C. ROCCHETTA, Sacramentaria fondamentale (cf. nt. 46), 37. 49 Cf. J. THWEATT-BATES, Cyborg Selves. A Theological Anthropology of the Posthuman,

Burlington 2012.

UT SI HOMO NON DARETUR? 555 fin ora si sono avuti sono da un lato nelle radici stesse del movimento che, comprendendosi come sviluppo dell’illuminismo e dell’umanesimo razionale, pone una netta separazione tra ragione e fede, e dall’altro nel non aver saputo distinguere, da parte credente, tra i diversi tipi di postumanesimo. Oggi è possibile riconoscere l’esistenza di diverse correnti con cui sarebbe possibile instaurare un dialogo come quelle che si identificano con il democratic transhumanism e il technoprogressivism50. Tuttavia permangono parti del pensiero post-umano con cui ogni forma di dialogo sembra impossibile: per esempio la figura del cyborg, così come viene delineata da Donna Haraway e ripresa da Rosi Braidotti51, è una forma di pensiero post-umano non aperta al dialogo52. Le posizioni della Haraway mostrando come vi sia una diffidenza previa e di fondo verso la metanarrativa religiosa, particolarmente con la tradizione cristiana che è incolpata di unire la narrazione biblica su Dio con una narrazione culturale sulla natura53. Esistono però declinazioni del pensiero post-umano, quali ad esempio il già citato democratic transhuma-nism e il technoprogressivism, che, sebbene riconoscano anche essi l’identità umana come mera malleabilità riplasmabile a piacimento ad opera della tecno-scienza, divergono dalle posizioni della Haraway e si presentano come possibili attori di un confronto e dialogo con l’antropologia e in particolare con l’antropologia teologica. Volendo provare a trarre alcune brevi elementi di sintesi possiamo eviden-ziare come se da un lato il post-umano ci interroga nel cercare di dare un giusto peso a questa malleabilità intrinseca nella nostra dimensione biologica dall’altra siamo chiamati a portare istanze che sappiano rendere ragione del fatto che l’uomo, unitotalità unificata, vive il suo essere spirito incarnato, la sua dimensione spazio-temporale nella dimensione della corporeità e che la sua esistenza non è mai riducibile alla mera parte corporea né alla mera componente spirituale. Il corpo e lo spirito sono uniti in una unità che la nostra tradizione antropologica chiama personale e ogni antropologia che non voglia essere un mero riduzionismo deve tener conto del fatto che l’uomo è posto tra la sua costituzione biologica e la persona, di cui è epifenomeno.

V. LA PERSONA DI FRONTE AL MISTERO ASSOLUTO: LA CREATURALITÀ

Dignitatis humanae eximia ratio in vocatione hominis ad communionem cum Deo consistit. Ad colloquium cum Deo iam inde ab ortu suo invitatur homo: non enim exsistit, nisi quia, a Deo ex amore creatus, semper ex amore conservatur; nec

———–– 50 Cf. J. THWEATT-BATES, Cyborg Selves (cf. nt. 49), 11. 51 Cf. R. BRAIDOTTI, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte,

Roma 2014. 52 Cf. J. THWEATT-BATES, Cyborg Selves (cf. nt. 49), 12. 53 Cf. J. THWEATT-BATES, Cyborg Selves (cf. nt. 49), 15-26.

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554 PAOLO BENANTI Parlare di essere umano come corpo è parlare di qualcosa che “io” sono e non di qualcosa che può essere posta di fronte a me (ob-jectum) come un oggetto; “il problema del corpo” è precisamente “l’essere come corporeità” della persona, un’esperienza compiuta in ogni momento della vita44. La struttura fondamentale dell’essere umano è quella di essere aperto all’altro, per l’uomo esistere è coesistere45: «l’uomo non si percepisce e si realizza in modo pienamente umano che nel rapporto d’incontro (fatto di accoglienza e di dono) con l’altro/altri»46. Il corpo della persona è insieme presenza, nel senso latino di prae-esse cioè stare al cospetto di qualcuno, e linguaggio, in quanto in ogni momento parla dicendo l’intenzione interiore. Ma relegare al corpo solo un ruolo informativo non risulta coerente con quanto fin qui emerso. Il corpo ha un ruolo anche realizzativo: «è in esso infatti che l’io della persona umana storicamente si “fa”, si autorealizza nel suo essere e divenire storico-relazionale»47. In questo senso il corpo è piena-mente simbolo reale. Questo modo di percepire il corpo e di valorizzarne il suo appartenere a quell’unitotalità unificata che è la persona, presuppone l’intenzionalità dell’uomo: il corpo è rappresentativo e realizzativo della persona solo in quanto «esprime una manifestazione consapevole dell’io spirituale»48. Per poter entrare in dialogo con il post-umano su questi temi dobbiamo sottolineare come questo movimento non sia un unicum omogeneo ma presenti accezioni differenti che facilitano o rendono assai difficile, là dove non impossibile, un confronto. In una sua recente opera Thweatt-Bates rileva l’esistenza di diverse correnti che danno luogo al post-umano, saper distin-guere tra queste è, a suo giudizio, necessario per un dialogo fruttuoso tra credenti e postumanisti49: gli esiti infelici di numerosi tentativi di dialogo che ———––

44 Cf. R.M. ZANER, «Body. I. Embodiment: the Phenomenological Tradition» in W.T. REICH, ed., Encyclopedia of Bioethics. Revised Edition, I, New York 1995, 297 ove si legge: «is to speak of something that “I” am and not something that can be placed over against me (ob-jectum) as an object. [...] What is expressed by “the problem of the body” is precisely the person’s “being as embodied”, that is, therefore, a matter of experience: it is enacted at every moment in the ongoing life of the person. These consideration makes it easier to appreciate that the human body is essentially expressive». Si veda a proposito anche U. GALIMBERTI, Il corpo, Milano 2002, 188-195 e 479-491.

45 Su questa condizione umana come istanza di aperture all’altro e sull’autocomprensione che all’uomo deriva da questa esperienza di un tu che gli si pone di fronte rimandiamo al pensiero di Merleau-Ponty. Cf. M. MERLEAU-PONTY, Fenomenologia della percezione, Milano 2003, 394-474.

46 C. ROCCHETTA, Sacramentaria fondamentale: dal «mysterion» al «sacramentum», Bologna 1999, 33-34.

47 C. ROCCHETTA, Sacramentaria fondamentale (cf. nt. 46), 36. 48 C. ROCCHETTA, Sacramentaria fondamentale (cf. nt. 46), 37. 49 Cf. J. THWEATT-BATES, Cyborg Selves. A Theological Anthropology of the Posthuman,

Burlington 2012.

UT SI HOMO NON DARETUR? 555 fin ora si sono avuti sono da un lato nelle radici stesse del movimento che, comprendendosi come sviluppo dell’illuminismo e dell’umanesimo razionale, pone una netta separazione tra ragione e fede, e dall’altro nel non aver saputo distinguere, da parte credente, tra i diversi tipi di postumanesimo. Oggi è possibile riconoscere l’esistenza di diverse correnti con cui sarebbe possibile instaurare un dialogo come quelle che si identificano con il democratic transhumanism e il technoprogressivism50. Tuttavia permangono parti del pensiero post-umano con cui ogni forma di dialogo sembra impossibile: per esempio la figura del cyborg, così come viene delineata da Donna Haraway e ripresa da Rosi Braidotti51, è una forma di pensiero post-umano non aperta al dialogo52. Le posizioni della Haraway mostrando come vi sia una diffidenza previa e di fondo verso la metanarrativa religiosa, particolarmente con la tradizione cristiana che è incolpata di unire la narrazione biblica su Dio con una narrazione culturale sulla natura53. Esistono però declinazioni del pensiero post-umano, quali ad esempio il già citato democratic transhuma-nism e il technoprogressivism, che, sebbene riconoscano anche essi l’identità umana come mera malleabilità riplasmabile a piacimento ad opera della tecno-scienza, divergono dalle posizioni della Haraway e si presentano come possibili attori di un confronto e dialogo con l’antropologia e in particolare con l’antropologia teologica. Volendo provare a trarre alcune brevi elementi di sintesi possiamo eviden-ziare come se da un lato il post-umano ci interroga nel cercare di dare un giusto peso a questa malleabilità intrinseca nella nostra dimensione biologica dall’altra siamo chiamati a portare istanze che sappiano rendere ragione del fatto che l’uomo, unitotalità unificata, vive il suo essere spirito incarnato, la sua dimensione spazio-temporale nella dimensione della corporeità e che la sua esistenza non è mai riducibile alla mera parte corporea né alla mera componente spirituale. Il corpo e lo spirito sono uniti in una unità che la nostra tradizione antropologica chiama personale e ogni antropologia che non voglia essere un mero riduzionismo deve tener conto del fatto che l’uomo è posto tra la sua costituzione biologica e la persona, di cui è epifenomeno.

V. LA PERSONA DI FRONTE AL MISTERO ASSOLUTO: LA CREATURALITÀ

Dignitatis humanae eximia ratio in vocatione hominis ad communionem cum Deo consistit. Ad colloquium cum Deo iam inde ab ortu suo invitatur homo: non enim exsistit, nisi quia, a Deo ex amore creatus, semper ex amore conservatur; nec

———–– 50 Cf. J. THWEATT-BATES, Cyborg Selves (cf. nt. 49), 11. 51 Cf. R. BRAIDOTTI, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte,

Roma 2014. 52 Cf. J. THWEATT-BATES, Cyborg Selves (cf. nt. 49), 12. 53 Cf. J. THWEATT-BATES, Cyborg Selves (cf. nt. 49), 15-26.

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556 PAOLO BENANTI

plene secundum veritatem vivit, nisi amorem illum libere agnoscat et Creatori suo se committat. Multi tamen ex coaevis nostris hanc intimam ac vitalem cum Deo coniunctionem nequaquam perspiciunt aut explicite reiiciunt (GS 19).

Alla luce di un panorama post-umano che si declina con diversi accenti e con diverse accezioni ci proponiamo di far emergere quali contenuti e prospettive abbia il credente per dialogare con quelle parti del post-umano rimane aperto a un confronto nel cercare di costruire i concetti di soggettività e di relazionalità facendosi anche provocare dall’idea di corporeità multipla che l’ibridizzazione uomo macchina sembra suggerire cercando di eviden-ziare se e fino a che punto sia pensabile incorporare alcune intuizioni antropo-logiche del post-umano nell’antropologia. Per mettere in atto questo primitivo tentativo di dialogo, ci avvarremo, in un primo momento, del linguaggio della teologia trascendentale, e in modo particolare della riflessione di Karl Rahner. La scelta dell’autore tedesco è giustificata da diversi elementi di convenienza. In primo luogo Rahner, allievo di Martin Heidegger, si fa carico delle esigenze della filosofia contemporanea mostrando come il cristianesimo sia in grado, non solo di rispondere alle sollecitazioni che la ragione gli pone, ma anche di fornire ulteriori stimoli e risposte che diano senso al vivere umano. Inoltre nel modo di impostare la sua riflessione teologica, Rahner fa emergere l’inseparabile intreccio tra filosofia e teologia; nota il teologo tedesco come

una filosofia assolutamente immune da ogni teologia è semplicemente impossibile nella nostra situazione storica. L’autonomia fondamentale di tale filosofia può consistere soltanto nel riflettere sulla propria origine storica e nel chiedersi se si senta ancor sempre obbligata verso tale origine [...]. Viceversa anche la teologia dogmatica intende dire all’uomo quel che egli è e che pur sempre rimane, anche quando egli non accetta e non crede al messaggio del cristianesimo. La stessa teologia implica dunque un’antropologia filosofica, che fa sì che questo messaggio sorretto dalla grazia possa essere elaborato in maniera genuinamente filosofica e lo affida alla responsabilità propria dell’uomo54.

Il teologo tedesco elabora un’antropologia in grado di rispondere ai quesiti degli uomini del nostro tempo. L’elaborazione di tale sintesi è importante perché

l’antropologia è la spiegazione che l’uomo ha o fornisce di se stesso, il riflesso del proprio essere che si trova sempre in stato di interrogativo [...]. Si tratta dunque di una riflessione teoretica e scientifica che ha avuto varie espressioni nella storia umana. E allora capiamo subito la relazione che l’antropologia possa avere con la cultura e con la vita di un periodo storico ben definito. Da una parte è condizionata dai propri tempi, dall’altra li condiziona. [...] Tutti gli aspetti ed elementi della morale fondamentale hanno la loro radice nell’uomo; è quindi a partire dall’uomo

———–– 54 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede, Cinisello Balsamo 1990, 46-47.

UT SI HOMO NON DARETUR? 557

che devono essere studiati. In questo senso, la morale si risolve in un’antropologia morale55.

Proviamo a tracciare le linee fondamentali della ricognizione antropologica che ci accingiamo a fare. In primo luogo l’uomo va inteso come persona e come soggetto. Il paradigma teologico adottato ci consentirà di travalicare il dibattito filosofico su cosa si debba intendere parlando di persona e su quando e in quali condizioni questo sia possibile. Siamo, infatti, maggiormente inte-ressati alle conseguenze dell’evidente esistenza personale dell’uomo che non alla sua possibile definizione filosofica e giustificazione razionale. Intima-mente connesso all’esistenza personale del soggetto umano si trova il suo essere affidato a sé mediante la libertà e la responsabilità. Il contenuto dell’e-sistenza personale è un soggetto libero e responsabile. La rivelazione del Dio di Gesù Cristo, inoltre, svela all’uomo come la sua esistenza sia parte di un disegno creativo-redentivo. La persona-soggetto, libera e responsabile, si deve allora comprendere di fronte al mistero assoluto che è Dio. In questo situarsi della creatura davanti al Creatore emerge una storia composta da una radicale minaccia di peccato e da una autocomu-nicazione graziosa e salvifica da parte del Signore risorto. Lo specifico dell’antropologia cristiana si innesta qui: l’uomo è una creatura radicalmente minacciata dalla colpa e graziosamente salvata dal suo Signore. Karl Rahner recupera questi concetti ma li rielabora partendo dall’espe-rienza che la persona vive. Il concetto chiave su cui si poggia la riflessione del teologo tedesco è quello di esperienza trascendentale. Solo partendo dalla chiarificazione dell’esperienza trascendentale si può ricostruire la persona come consistenza ontologica e come relazionalità e definirne lo statuto di soggetto. Per giungere alla definizione di esperienza trascendentale si deve partire dalla natura della conoscenza: in ogni atto di conoscenza del soggetto, esso coglie, oltre a quanto conosce, anche se stesso. Allora

questa con-conoscenza del soggetto conoscente, con-conoscenza soggettiva, ate-matica, presente in ogni atto di conoscenza spirituale, necessaria e ineliminabile, nonché nella sua apertura alla sterminata ampiezza di tutta la realtà possibile, viene da noi determinata esperienza trascendentale. Essa è un esperienza perché questa conoscenza di natura atematica ma inevitabile è momento e condizione della possibilità di qualsiasi esperienza concreta di un qualche oggetto. Diciamo che essa è un esperienza trascendentale, perché fa parte delle strutture necessarie e ineliminabili del soggetto conoscente e perché consiste precisamente nel superamento di un determinato gruppo di oggetti, nel superamento di categorie56.

Il tematizzare come nucleo e caratterizzazione dell’uomo l’esperienza trascendentale porta a capire l’uomo come una persona soggettiva, cioè come

———–– 55 M.V. ATTARD, «La persona umana» (cf. nt. 40), 793. 56 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 40 (il corsivo è nel testo).

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556 PAOLO BENANTI

plene secundum veritatem vivit, nisi amorem illum libere agnoscat et Creatori suo se committat. Multi tamen ex coaevis nostris hanc intimam ac vitalem cum Deo coniunctionem nequaquam perspiciunt aut explicite reiiciunt (GS 19).

Alla luce di un panorama post-umano che si declina con diversi accenti e con diverse accezioni ci proponiamo di far emergere quali contenuti e prospettive abbia il credente per dialogare con quelle parti del post-umano rimane aperto a un confronto nel cercare di costruire i concetti di soggettività e di relazionalità facendosi anche provocare dall’idea di corporeità multipla che l’ibridizzazione uomo macchina sembra suggerire cercando di eviden-ziare se e fino a che punto sia pensabile incorporare alcune intuizioni antropo-logiche del post-umano nell’antropologia. Per mettere in atto questo primitivo tentativo di dialogo, ci avvarremo, in un primo momento, del linguaggio della teologia trascendentale, e in modo particolare della riflessione di Karl Rahner. La scelta dell’autore tedesco è giustificata da diversi elementi di convenienza. In primo luogo Rahner, allievo di Martin Heidegger, si fa carico delle esigenze della filosofia contemporanea mostrando come il cristianesimo sia in grado, non solo di rispondere alle sollecitazioni che la ragione gli pone, ma anche di fornire ulteriori stimoli e risposte che diano senso al vivere umano. Inoltre nel modo di impostare la sua riflessione teologica, Rahner fa emergere l’inseparabile intreccio tra filosofia e teologia; nota il teologo tedesco come

una filosofia assolutamente immune da ogni teologia è semplicemente impossibile nella nostra situazione storica. L’autonomia fondamentale di tale filosofia può consistere soltanto nel riflettere sulla propria origine storica e nel chiedersi se si senta ancor sempre obbligata verso tale origine [...]. Viceversa anche la teologia dogmatica intende dire all’uomo quel che egli è e che pur sempre rimane, anche quando egli non accetta e non crede al messaggio del cristianesimo. La stessa teologia implica dunque un’antropologia filosofica, che fa sì che questo messaggio sorretto dalla grazia possa essere elaborato in maniera genuinamente filosofica e lo affida alla responsabilità propria dell’uomo54.

Il teologo tedesco elabora un’antropologia in grado di rispondere ai quesiti degli uomini del nostro tempo. L’elaborazione di tale sintesi è importante perché

l’antropologia è la spiegazione che l’uomo ha o fornisce di se stesso, il riflesso del proprio essere che si trova sempre in stato di interrogativo [...]. Si tratta dunque di una riflessione teoretica e scientifica che ha avuto varie espressioni nella storia umana. E allora capiamo subito la relazione che l’antropologia possa avere con la cultura e con la vita di un periodo storico ben definito. Da una parte è condizionata dai propri tempi, dall’altra li condiziona. [...] Tutti gli aspetti ed elementi della morale fondamentale hanno la loro radice nell’uomo; è quindi a partire dall’uomo

———–– 54 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede, Cinisello Balsamo 1990, 46-47.

UT SI HOMO NON DARETUR? 557

che devono essere studiati. In questo senso, la morale si risolve in un’antropologia morale55.

Proviamo a tracciare le linee fondamentali della ricognizione antropologica che ci accingiamo a fare. In primo luogo l’uomo va inteso come persona e come soggetto. Il paradigma teologico adottato ci consentirà di travalicare il dibattito filosofico su cosa si debba intendere parlando di persona e su quando e in quali condizioni questo sia possibile. Siamo, infatti, maggiormente inte-ressati alle conseguenze dell’evidente esistenza personale dell’uomo che non alla sua possibile definizione filosofica e giustificazione razionale. Intima-mente connesso all’esistenza personale del soggetto umano si trova il suo essere affidato a sé mediante la libertà e la responsabilità. Il contenuto dell’e-sistenza personale è un soggetto libero e responsabile. La rivelazione del Dio di Gesù Cristo, inoltre, svela all’uomo come la sua esistenza sia parte di un disegno creativo-redentivo. La persona-soggetto, libera e responsabile, si deve allora comprendere di fronte al mistero assoluto che è Dio. In questo situarsi della creatura davanti al Creatore emerge una storia composta da una radicale minaccia di peccato e da una autocomu-nicazione graziosa e salvifica da parte del Signore risorto. Lo specifico dell’antropologia cristiana si innesta qui: l’uomo è una creatura radicalmente minacciata dalla colpa e graziosamente salvata dal suo Signore. Karl Rahner recupera questi concetti ma li rielabora partendo dall’espe-rienza che la persona vive. Il concetto chiave su cui si poggia la riflessione del teologo tedesco è quello di esperienza trascendentale. Solo partendo dalla chiarificazione dell’esperienza trascendentale si può ricostruire la persona come consistenza ontologica e come relazionalità e definirne lo statuto di soggetto. Per giungere alla definizione di esperienza trascendentale si deve partire dalla natura della conoscenza: in ogni atto di conoscenza del soggetto, esso coglie, oltre a quanto conosce, anche se stesso. Allora

questa con-conoscenza del soggetto conoscente, con-conoscenza soggettiva, ate-matica, presente in ogni atto di conoscenza spirituale, necessaria e ineliminabile, nonché nella sua apertura alla sterminata ampiezza di tutta la realtà possibile, viene da noi determinata esperienza trascendentale. Essa è un esperienza perché questa conoscenza di natura atematica ma inevitabile è momento e condizione della possibilità di qualsiasi esperienza concreta di un qualche oggetto. Diciamo che essa è un esperienza trascendentale, perché fa parte delle strutture necessarie e ineliminabili del soggetto conoscente e perché consiste precisamente nel superamento di un determinato gruppo di oggetti, nel superamento di categorie56.

Il tematizzare come nucleo e caratterizzazione dell’uomo l’esperienza trascendentale porta a capire l’uomo come una persona soggettiva, cioè come

———–– 55 M.V. ATTARD, «La persona umana» (cf. nt. 40), 793. 56 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 40 (il corsivo è nel testo).

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558 PAOLO BENANTI colui che pone se stesso davanti a sé, come il prodotto di ciò che è a lui radicalmente estraneo: l’uomo è persona e soggetto significa perciò anzitutto che l’uomo è colui che è indeducibile, colui che non può essere adegua-tamente composto con altri elementi disponibili; egli è colui che è sempre già affidato a se stesso57. In altre parole questa impostazione del discorso sulla persona individua nell’uomo un unicum dovuto all’esperienza di una proble-maticità radicale: la possibilità che l’uomo ha di porsi in questione. L’esperienza trascendentale si caratterizza come una esperienza di trascen-denza poiché è un esistente a cui la realtà infinita, silente e non disponibile, si presenta continuamente come un mistero: l’uomo è trasformato dall’incontro con la realtà in pura apertura verso questo mistero e posto come persona e come soggetto di fronte ad esso58. Il fatto che l’uomo sia realmente soggetto, cioè un essere della trascen-denza che è sempre affidato a se stesso e nel contempo è sempre sottratto a se stesso e incapace di disporre di sé, mostra con evidenza che la struttura perso-nale del soggetto ha come caratteristica e contenuto il fatto che egli sia l’essere orientato a Dio: il mistero che scopre essere il fondamento del proprio essere nell’esperienza trascendentale è «come una conoscenza anoni-ma e atematica di Dio»59. Tutto il messaggio cristiano presuppone un uomo capito come persona e come soggetto: capace di un rapporto personale con Dio e coinvolto in una storia che è storia salvifica. La persona è soggetto e come tale è affidata a se stessa e sempre sottratta a sé: il corpo è il primo luogo ove questo si rende visibile e si realizza: ne è simbolo realizzativo. La trascendenza dischiude l’uomo e insieme lo affida a se stesso, tanto nella coscienza quanto nell’azione:

nel fatto di essere così affidato a se medesimo l’uomo sperimenta se stesso come responsabile e libero [...]. Alla loro radice responsabilità e libertà dell’uomo non sono un dato empirico particolare, posto nella realtà dell’uomo accanto ad altri dati particolari [...]. Qui ciò che chiamiamo carattere soggettivo reale, soggettività reale, reale essere affidato a se stesso [...] esiste sotto forma di un’esperienza aprioristica-trascendentale della mia libertà60.

La persona implica identità con se stessa, autopossesso, che è possibile solo nella libertà. Questa è una dimensione inerente alla irripetibilità di ogni persona umana, che, chiamata da Dio come un “tu” inconfondibile e unico, deve rispondere anche personalmente all’invito divino. La libertà emerge ———––

57 Cf. K. RAHNER, Uditori della parola, Roma 1963, 59-102, ID., Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 54 e F.G. BRAMBILLA, Antropologia teologica, Brescia 2005, 109-127.

58 Cf. I. SANNA, L’antropologia cristiana tra modernità e postmodernità, Brescia 2001, 450-460.

59 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 41 (il corsivo è nel testo). 60 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 59-61.

UT SI HOMO NON DARETUR? 559 dalla natura stessa dell’uomo, dai suoi desideri e dalle sue tendenze non realizzate, che lo obbligano a confrontarsi con la realtà. Ma l’uomo facendo ciò modifica la struttura naturale delle sue tendenze, conforma se stesso. Per la sua relazione con questi desideri e tendenze naturali la libertà dell’uomo è una libertà situata, condizionata, ma che rimane comunque una libertà autentica61. Anche per la libertà, come per l’esperienza, si può distinguere una libertà trascendentale, cioè il fatto che in ultima istanza la persona sia affidata a se stessa non solo nella conoscenza ma anche nell’azione, e una libertà che passa attraverso la mediazione del mondo e della storia corporea e viene mediata a se stessa62. La libertà non si esercita a partire dal nulla ma a partire dalle tendenze anteriori ad essa: questa non si riduce né consiste primariamente nella capacità di scegliere su questo o quel bene finito, su una o un’altra cosa esteriore a noi stessi, ma nell’optare su noi stessi, nell’orientare le nostre tendenze e con ciò configurare la nostra esistenza; la libertà tende quindi verso la definitività63. L’essere liberi non si configura come il possesso di una facoltà che in se stessa è sempre neutrale, come la capacità di compiere atti singoli; la libertà non è, utilizzando un esempio, come la facoltà di tagliare che ha un coltello: questo nel tagliare rimane sempre lo stesso coltello;

essa possiede — benché in seno alla temporalità e alla storia — un atto unico e irripetibile, l’autoattuazione del soggetto unitario stesso, che deve sempre e dappertutto passare attraverso una mediazione oggettiva, mondana e storica delle singole azioni, ma che intende e attua un’unica cosa: il soggetto unitario nella totalità irripetibile della sua storia64.

Così compresa la libertà non è la facoltà del poter revocare o rivedere continuamente le nostre scelte ma la facoltà unica del definitivo, è la facoltà del soggetto di procedere verso la sua definitività e irrevocabilità: la libertà è la facoltà dell’eterno65. La libertà ci è donata perché tutto possa diventare realmente definitivo, è in un certo senso la facoltà di fondare il necessario, il permanente, il definitivo: anche se la nostra opzione libera è in molte occasioni revocabile, questo non significa che la nostra opzione precedente non continui ad avere peso in noi, persino in quanto revocata. La tendenza alla definitività fa sì che la nostra

———–– 61 Cf. L. F. LADARIA, Antropologia teologica, Casale Monferrato 1998, 158-162. 62 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 61. 63 Cf. L.F. LADARIA, Antropologia teologica (cf. nt. 61), 158-162. 64 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 133. 65 Cf. F.G. BRAMBILLA, Antropologia teologica (cf. nt. 57), 384-388, L.F. LADARIA,

Antropologia teologica (cf. nt. 61), 158-162 e K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 130-135.

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558 PAOLO BENANTI colui che pone se stesso davanti a sé, come il prodotto di ciò che è a lui radicalmente estraneo: l’uomo è persona e soggetto significa perciò anzitutto che l’uomo è colui che è indeducibile, colui che non può essere adegua-tamente composto con altri elementi disponibili; egli è colui che è sempre già affidato a se stesso57. In altre parole questa impostazione del discorso sulla persona individua nell’uomo un unicum dovuto all’esperienza di una proble-maticità radicale: la possibilità che l’uomo ha di porsi in questione. L’esperienza trascendentale si caratterizza come una esperienza di trascen-denza poiché è un esistente a cui la realtà infinita, silente e non disponibile, si presenta continuamente come un mistero: l’uomo è trasformato dall’incontro con la realtà in pura apertura verso questo mistero e posto come persona e come soggetto di fronte ad esso58. Il fatto che l’uomo sia realmente soggetto, cioè un essere della trascen-denza che è sempre affidato a se stesso e nel contempo è sempre sottratto a se stesso e incapace di disporre di sé, mostra con evidenza che la struttura perso-nale del soggetto ha come caratteristica e contenuto il fatto che egli sia l’essere orientato a Dio: il mistero che scopre essere il fondamento del proprio essere nell’esperienza trascendentale è «come una conoscenza anoni-ma e atematica di Dio»59. Tutto il messaggio cristiano presuppone un uomo capito come persona e come soggetto: capace di un rapporto personale con Dio e coinvolto in una storia che è storia salvifica. La persona è soggetto e come tale è affidata a se stessa e sempre sottratta a sé: il corpo è il primo luogo ove questo si rende visibile e si realizza: ne è simbolo realizzativo. La trascendenza dischiude l’uomo e insieme lo affida a se stesso, tanto nella coscienza quanto nell’azione:

nel fatto di essere così affidato a se medesimo l’uomo sperimenta se stesso come responsabile e libero [...]. Alla loro radice responsabilità e libertà dell’uomo non sono un dato empirico particolare, posto nella realtà dell’uomo accanto ad altri dati particolari [...]. Qui ciò che chiamiamo carattere soggettivo reale, soggettività reale, reale essere affidato a se stesso [...] esiste sotto forma di un’esperienza aprioristica-trascendentale della mia libertà60.

La persona implica identità con se stessa, autopossesso, che è possibile solo nella libertà. Questa è una dimensione inerente alla irripetibilità di ogni persona umana, che, chiamata da Dio come un “tu” inconfondibile e unico, deve rispondere anche personalmente all’invito divino. La libertà emerge ———––

57 Cf. K. RAHNER, Uditori della parola, Roma 1963, 59-102, ID., Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 54 e F.G. BRAMBILLA, Antropologia teologica, Brescia 2005, 109-127.

58 Cf. I. SANNA, L’antropologia cristiana tra modernità e postmodernità, Brescia 2001, 450-460.

59 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 41 (il corsivo è nel testo). 60 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 59-61.

UT SI HOMO NON DARETUR? 559 dalla natura stessa dell’uomo, dai suoi desideri e dalle sue tendenze non realizzate, che lo obbligano a confrontarsi con la realtà. Ma l’uomo facendo ciò modifica la struttura naturale delle sue tendenze, conforma se stesso. Per la sua relazione con questi desideri e tendenze naturali la libertà dell’uomo è una libertà situata, condizionata, ma che rimane comunque una libertà autentica61. Anche per la libertà, come per l’esperienza, si può distinguere una libertà trascendentale, cioè il fatto che in ultima istanza la persona sia affidata a se stessa non solo nella conoscenza ma anche nell’azione, e una libertà che passa attraverso la mediazione del mondo e della storia corporea e viene mediata a se stessa62. La libertà non si esercita a partire dal nulla ma a partire dalle tendenze anteriori ad essa: questa non si riduce né consiste primariamente nella capacità di scegliere su questo o quel bene finito, su una o un’altra cosa esteriore a noi stessi, ma nell’optare su noi stessi, nell’orientare le nostre tendenze e con ciò configurare la nostra esistenza; la libertà tende quindi verso la definitività63. L’essere liberi non si configura come il possesso di una facoltà che in se stessa è sempre neutrale, come la capacità di compiere atti singoli; la libertà non è, utilizzando un esempio, come la facoltà di tagliare che ha un coltello: questo nel tagliare rimane sempre lo stesso coltello;

essa possiede — benché in seno alla temporalità e alla storia — un atto unico e irripetibile, l’autoattuazione del soggetto unitario stesso, che deve sempre e dappertutto passare attraverso una mediazione oggettiva, mondana e storica delle singole azioni, ma che intende e attua un’unica cosa: il soggetto unitario nella totalità irripetibile della sua storia64.

Così compresa la libertà non è la facoltà del poter revocare o rivedere continuamente le nostre scelte ma la facoltà unica del definitivo, è la facoltà del soggetto di procedere verso la sua definitività e irrevocabilità: la libertà è la facoltà dell’eterno65. La libertà ci è donata perché tutto possa diventare realmente definitivo, è in un certo senso la facoltà di fondare il necessario, il permanente, il definitivo: anche se la nostra opzione libera è in molte occasioni revocabile, questo non significa che la nostra opzione precedente non continui ad avere peso in noi, persino in quanto revocata. La tendenza alla definitività fa sì che la nostra

———–– 61 Cf. L. F. LADARIA, Antropologia teologica, Casale Monferrato 1998, 158-162. 62 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 61. 63 Cf. L.F. LADARIA, Antropologia teologica (cf. nt. 61), 158-162. 64 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 133. 65 Cf. F.G. BRAMBILLA, Antropologia teologica (cf. nt. 57), 384-388, L.F. LADARIA,

Antropologia teologica (cf. nt. 61), 158-162 e K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 130-135.

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560 PAOLO BENANTI capacità di opzione libera sia tale da poter portare alla distruzione della libertà stessa66. L’uomo si configura come l’essere responsabilmente affidato a se stesso, come oggetto della sua azione libera vera e propria: l’essere soggetto perso-nale dell’uomo è inseparabile dalla libera responsabilità che da questo ne deriva e la libera responsabilità è il contenuto del soggetto personale. Inoltre l’uomo, essendo un soggetto libero affidato alla sua responsabilità, «ha una salvezza e [...] la vera e propria questione esistentiva personale è in verità una questione salvifica [...]. Il vero concetto teologico della salvezza [...] indica la definitività della vera autocomprensione e della vera autoazione dell’uomo»67. Questa configurazione di noi stessi si fa sempre davanti a Dio e alla sua libertà originaria: la nostra decisione libera risponde alla chiamata divina, forgia il nostro essere dinanzi a Dio e la nostra verità ultima, si fa opzione per Dio, dal quale e per il quale siamo68. Dobbiamo tenere presente che questa libertà davanti a Dio si esercita soprattutto nella partecipazione alla libertà di Gesù, che si è offerto per amore al Padre e agli uomini: solo in Cristo scopriamo il senso ultimo del nostro essere personale irripetibile e solo in Lui troviamo il paradigma della nostra libertà nella quale configuriamo noi stessi davanti a Dio. Non dobbiamo scordare che il tempo, il mondo e la storia mediano il soggetto personale, libero e responsabile, a se stesso e lo fanno pervenire al proprio autopossesso ma l’uomo, nonostante la sua libera soggettività, si sperimenta sottratto a sé per quanto riguarda le sue origini e il suo fine:

la sua costituzione di soggetto trascendentale è sorretta dall’essere che si dischiude e nel contempo si rifiuta come mistero [...] si tratta di un orientamento che non pone autonomamente se stesso, bensì che si sperimenta come posto e disposto, come fondato nell’abisso del mistero ineffabile69.

L’uomo è costantemente a contatto con la sua finitezza storica. Questa collocazione tra la finitezza e l’infinità lo costituisce e si manifesta proprio nell’essere storicamente condizionato e contemporaneamente affidato a se stesso: egli perviene alla sua verità autentica proprio accettando e sostenendo con tranquillità questa impossibilità di disporre della propria realtà, impos-sibilità di cui è consapevole70.

———–– 66 Cf. L.F. LADARIA, Antropologia teologica (cf. nt. 61), 158-162. 67 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 64. 68 Cf. L.F. LADARIA, Antropologia teologica (cf. nt. 61), 158-162. 69 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 68. 70 Cf. F.G. BRAMBILLA, Antropologia teologica (cf. nt. 57), 384-388, L.F. LADARIA,

Antropologia teologica (cf. nt. 61), 158-162 e K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 65-70.

UT SI HOMO NON DARETUR? 561 L’esperienza trascendentale si configura come un’esperienza della trascendenza che affida il soggetto a sé, tanto nella conoscenza che nell’a-zione: il soggetto nell’esperienza trascendentale fa un’esperienza anonima di Dio. La relazione con il Dio di Gesù Cristo nella fede caratterizza e determina in modo specifico l’esperienza trascendentale: l’uomo si comprende come crea-tura di fronte al Creatore. Il tema della creaturalità «viene espresso pienamen-te solo attraverso il messaggio cristiano nel suo complesso»71. Nel suo significato originario la creaturalità indica un rapporto assoluta-mente unico che si verifica e viene mediato dall’esperienza trascendentale: con l’uso di questo termine non si vuole rimandare quindi ad un punto cronologico in cui ha avuto luogo la creazione della creatura ma un processo permanente che rimane sempre attuale e avviene in ogni istante anche se si parla di una creatura esistente nel tempo72:

creazione e creaturalità non individuano quindi anzitutto un evento verificatosi in un momento (il primo di un esistente temporale), bensì la posizione di tale esistente e del suo stesso tempo, posizione che non trapassa nel tempo ma che rimane il suo fondamento73.

Da quanto emerso fin qui appare come il concetto di creazione sia formulabile solo da chi fa esperienza della propria responsabilità e libertà; queste rimangono valide davanti al Creatore e in ordine a Lui: solo dove l’uomo si sperimenta come un soggetto personale, cioè libero e responsabile, e accetta consapevolmente tale responsabilità, solo là comprende cosa sia la sua autonomia e come questa cresca e non diminuisca nel riconoscersi derivanti da Dio74. La fede ha sempre espresso la creaturalità alla luce dell’esperienza di tale indipendenza e autonomia: la creaturalità significa sempre anche la grazia e il compito di prendere su di sé, capendolo e accettandolo, l’essere affidati a se stessi come soggetti personali, derivati e orientati al mistero assoluto75. Questa concezione del mondo come creatura comporta anche una demi-tizzazione della realtà: il creato è realmente non-Dio e affidato all’attività dell’uomo76.

———–– 71 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 109. 72 Cf. F.G. BRAMBILLA, Antropologia teologica (cf. nt. 57), 282-287 e L.F. LADARIA,

Antropologia teologica (cf. nt. 61), 63-108. 73 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 111. 74 Cf. F.G. BRAMBILLA, Antropologia teologica (cf. nt. 57), 282-287 e L.F. LADARIA,

Antropologia teologica (cf. nt. 61), 63-108. 75 Cf. F.G. BRAMBILLA, Antropologia teologica (cf. nt. 57), 282-287, L.F. LADARIA,

Antropologia teologica (cf. nt. 61), 63-108 e K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 110-118.

76 Cf. F.G. BRAMBILLA, Antropologia teologica (cf. nt. 57), 282-287.

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560 PAOLO BENANTI capacità di opzione libera sia tale da poter portare alla distruzione della libertà stessa66. L’uomo si configura come l’essere responsabilmente affidato a se stesso, come oggetto della sua azione libera vera e propria: l’essere soggetto perso-nale dell’uomo è inseparabile dalla libera responsabilità che da questo ne deriva e la libera responsabilità è il contenuto del soggetto personale. Inoltre l’uomo, essendo un soggetto libero affidato alla sua responsabilità, «ha una salvezza e [...] la vera e propria questione esistentiva personale è in verità una questione salvifica [...]. Il vero concetto teologico della salvezza [...] indica la definitività della vera autocomprensione e della vera autoazione dell’uomo»67. Questa configurazione di noi stessi si fa sempre davanti a Dio e alla sua libertà originaria: la nostra decisione libera risponde alla chiamata divina, forgia il nostro essere dinanzi a Dio e la nostra verità ultima, si fa opzione per Dio, dal quale e per il quale siamo68. Dobbiamo tenere presente che questa libertà davanti a Dio si esercita soprattutto nella partecipazione alla libertà di Gesù, che si è offerto per amore al Padre e agli uomini: solo in Cristo scopriamo il senso ultimo del nostro essere personale irripetibile e solo in Lui troviamo il paradigma della nostra libertà nella quale configuriamo noi stessi davanti a Dio. Non dobbiamo scordare che il tempo, il mondo e la storia mediano il soggetto personale, libero e responsabile, a se stesso e lo fanno pervenire al proprio autopossesso ma l’uomo, nonostante la sua libera soggettività, si sperimenta sottratto a sé per quanto riguarda le sue origini e il suo fine:

la sua costituzione di soggetto trascendentale è sorretta dall’essere che si dischiude e nel contempo si rifiuta come mistero [...] si tratta di un orientamento che non pone autonomamente se stesso, bensì che si sperimenta come posto e disposto, come fondato nell’abisso del mistero ineffabile69.

L’uomo è costantemente a contatto con la sua finitezza storica. Questa collocazione tra la finitezza e l’infinità lo costituisce e si manifesta proprio nell’essere storicamente condizionato e contemporaneamente affidato a se stesso: egli perviene alla sua verità autentica proprio accettando e sostenendo con tranquillità questa impossibilità di disporre della propria realtà, impos-sibilità di cui è consapevole70.

———–– 66 Cf. L.F. LADARIA, Antropologia teologica (cf. nt. 61), 158-162. 67 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 64. 68 Cf. L.F. LADARIA, Antropologia teologica (cf. nt. 61), 158-162. 69 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 68. 70 Cf. F.G. BRAMBILLA, Antropologia teologica (cf. nt. 57), 384-388, L.F. LADARIA,

Antropologia teologica (cf. nt. 61), 158-162 e K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 65-70.

UT SI HOMO NON DARETUR? 561 L’esperienza trascendentale si configura come un’esperienza della trascendenza che affida il soggetto a sé, tanto nella conoscenza che nell’a-zione: il soggetto nell’esperienza trascendentale fa un’esperienza anonima di Dio. La relazione con il Dio di Gesù Cristo nella fede caratterizza e determina in modo specifico l’esperienza trascendentale: l’uomo si comprende come crea-tura di fronte al Creatore. Il tema della creaturalità «viene espresso pienamen-te solo attraverso il messaggio cristiano nel suo complesso»71. Nel suo significato originario la creaturalità indica un rapporto assoluta-mente unico che si verifica e viene mediato dall’esperienza trascendentale: con l’uso di questo termine non si vuole rimandare quindi ad un punto cronologico in cui ha avuto luogo la creazione della creatura ma un processo permanente che rimane sempre attuale e avviene in ogni istante anche se si parla di una creatura esistente nel tempo72:

creazione e creaturalità non individuano quindi anzitutto un evento verificatosi in un momento (il primo di un esistente temporale), bensì la posizione di tale esistente e del suo stesso tempo, posizione che non trapassa nel tempo ma che rimane il suo fondamento73.

Da quanto emerso fin qui appare come il concetto di creazione sia formulabile solo da chi fa esperienza della propria responsabilità e libertà; queste rimangono valide davanti al Creatore e in ordine a Lui: solo dove l’uomo si sperimenta come un soggetto personale, cioè libero e responsabile, e accetta consapevolmente tale responsabilità, solo là comprende cosa sia la sua autonomia e come questa cresca e non diminuisca nel riconoscersi derivanti da Dio74. La fede ha sempre espresso la creaturalità alla luce dell’esperienza di tale indipendenza e autonomia: la creaturalità significa sempre anche la grazia e il compito di prendere su di sé, capendolo e accettandolo, l’essere affidati a se stessi come soggetti personali, derivati e orientati al mistero assoluto75. Questa concezione del mondo come creatura comporta anche una demi-tizzazione della realtà: il creato è realmente non-Dio e affidato all’attività dell’uomo76.

———–– 71 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 109. 72 Cf. F.G. BRAMBILLA, Antropologia teologica (cf. nt. 57), 282-287 e L.F. LADARIA,

Antropologia teologica (cf. nt. 61), 63-108. 73 K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 111. 74 Cf. F.G. BRAMBILLA, Antropologia teologica (cf. nt. 57), 282-287 e L.F. LADARIA,

Antropologia teologica (cf. nt. 61), 63-108. 75 Cf. F.G. BRAMBILLA, Antropologia teologica (cf. nt. 57), 282-287, L.F. LADARIA,

Antropologia teologica (cf. nt. 61), 63-108 e K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 110-118.

76 Cf. F.G. BRAMBILLA, Antropologia teologica (cf. nt. 57), 282-287.

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562 PAOLO BENANTI L’autonomia che deriva dall’affidamento del mondo e dell’uomo a sé comporta l’esistenza di una minaccia costante nella vita dell’uomo: la possi-bilità di negare o respingere la sua provenienza e il suo orientamento verso l’orizzonte assoluto. La colpa e il peccato sono un tema centrale per il cristia-nesimo che si comprende come religione redentrice, come l’evento del perdono della colpa da parte di Dio in Gesù di Nazaret, nella sua morte e nella sua risurrezione77. L’esperienza della creaturalità è l’esperienza di un’autonomia radicalmente minacciata dalla colpa ma che in forza dell’esperienza dell’amore prossimo e perdonante di Dio rinuncia a essere il fondamento della propria autocom-prensione orientandosi al mistero assoluto come fonte di senso e valore. La realtà dell’uomo di essere creatura non è quindi solo un presupposto metafisico in grado di giustificare alcuni enunciati logici sull’autonomia della persona, ma ermeneutica del vissuto e verifica esistenziale dell’esperienza trascendentale del soggetto personale. Il corpo accettato come dono del Creatore non può essere interpretato a prescindere da esso: la creaturalità dell’uomo impone e dona nuovi parametri in quel compito ermeneutico affidato all’uomo con la creazione.

CONCLUSIONI

Questa rilettura del dato credente che abbiamo operato si presenta, a nostro giudizio, come il fronte più promettente per questo dialogo con il post-umano. In primo luogo ascoltare le istanze del pensiero post-umano ci ricorda che dobbiamo prendere-sul-serio, se ci è permesso utilizzare questo registro linguistico, la libertà che il nostro stato creaturale ci dona. L’idea che la tecno-scienza ci mostri e ci sveli sempre più la costituzione biologica dell’uomo e ci consenta di mettere le mani su noi stessi in una maniera così forte e radicale è un tema che deve interrogare la nostra consa-pevolezza di essere spirito incarnato interrogando cosa significhi che ci si attui in un divenire storico che assume sempre di più la forma di un divenire plasmato dalle nostre scelte più che un fato sconosciuto. Contemporanea-mente dobbiamo elaborare nuove esplicite riflessioni tematiche che rendano conto di ciò che la nostra costituzione di unitotalità unificata mostra: proprio là dove sperimentiamo l’autonomia e la libertà vi è il locus dove ci è dato di esperire il nostro essere costantemente posti di fronte a quella ulteriorità che ha il volto del Dio dell’Amore, che ci pone nel mondo, parafrasando Rahner, come uditori del suo richiamo d’amore. Allora dialogare con il post-umano

———–– 77 Cf. F.G. BRAMBILLA, Antropologia teologica (cf. nt. 57), 479-592, L.F. LADARIA,

Antropologia teologica (cf. nt. 61), 203-304 e K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 127-277.

UT SI HOMO NON DARETUR? 563 non è un’opzione apologetica ma l’occasione per disvelare nelle pieghe di queste inedite culture e delle nuove frontiere tecnologiche l’esistenza di un senso che appare all’uomo nel momento in cui accetta di vivere fino in fondo la condizione umana. Se accetteremo di farci compagni di viaggio con quella parte di pensatori post-umani che vogliono trovare un senso che animi la questione sul telos che offre la techné allora potremo farci mediatori di quel Logos che è vera forma e vero fine di ogni telos. Solo riscoprendo insieme la natura dell’uomo, cioè il suo essere persona, una unitotalità-unificata di anima e corpo, ci riapproprieremo del vero telos della nostra esistenza: l’essere creatura di fronte all’amore immenso del suo Creatore. Solo lasciando risuonare nel nostro intimo quella voce eco della voce di Dio (cf. GS 16) troveranno voce (e risposta) gaudium et spes, luctus et angor hominum huius temporis (GS 1). Basilica dei Ss. Cosma e Damiano Paolo BENANTI Via dei fori imperiali 1 00186 Roma E-mail: [email protected]

RIASSUNTO Sui grandi temi del vivere sociale si riesce sempre meno a trovare un’intesa nella comunità e si creano accesissimi dibattiti e confronti rendendo sempre più difficile produrre riflessioni e soluzioni politiche condivise volte a cercare ciò che è bene e giusto. Proporremo un’analisi di questi fenomeni che provi a intessere un dialogo con un fattore che sembra accomunare queste diverse istanze: uno smarrimento, o quanto meno un’eclissi, del senso dell’umano e un’apparente insignificanza del concetto della dignità umana che porta a vivere, come provocatoriamente indicato dal titolo, ut si homo non daretur. La nostra analisi prenderà spunto da alcuni passi scelti della Gaudium et spes per intessere un dialogo con questi nuovi scenari antropologici Parole chiavi: Cultura, Gaudium et spes, postumano, antropologia, teologia morale

ABSTRACT On the major issues of social debate, we find every day more disagreement: different opinions generate debates that make increasingly difficult to produce reflections and shared political solutions to look for what is good and right. We will propose an analysis of these phenomena starting from an element that seems to unite these different instances: a loss, or at least an eclipse, of the meaning of human being and the concept of human dignity that produces lives, as provocatively bold by title,

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562 PAOLO BENANTI L’autonomia che deriva dall’affidamento del mondo e dell’uomo a sé comporta l’esistenza di una minaccia costante nella vita dell’uomo: la possi-bilità di negare o respingere la sua provenienza e il suo orientamento verso l’orizzonte assoluto. La colpa e il peccato sono un tema centrale per il cristia-nesimo che si comprende come religione redentrice, come l’evento del perdono della colpa da parte di Dio in Gesù di Nazaret, nella sua morte e nella sua risurrezione77. L’esperienza della creaturalità è l’esperienza di un’autonomia radicalmente minacciata dalla colpa ma che in forza dell’esperienza dell’amore prossimo e perdonante di Dio rinuncia a essere il fondamento della propria autocom-prensione orientandosi al mistero assoluto come fonte di senso e valore. La realtà dell’uomo di essere creatura non è quindi solo un presupposto metafisico in grado di giustificare alcuni enunciati logici sull’autonomia della persona, ma ermeneutica del vissuto e verifica esistenziale dell’esperienza trascendentale del soggetto personale. Il corpo accettato come dono del Creatore non può essere interpretato a prescindere da esso: la creaturalità dell’uomo impone e dona nuovi parametri in quel compito ermeneutico affidato all’uomo con la creazione.

CONCLUSIONI

Questa rilettura del dato credente che abbiamo operato si presenta, a nostro giudizio, come il fronte più promettente per questo dialogo con il post-umano. In primo luogo ascoltare le istanze del pensiero post-umano ci ricorda che dobbiamo prendere-sul-serio, se ci è permesso utilizzare questo registro linguistico, la libertà che il nostro stato creaturale ci dona. L’idea che la tecno-scienza ci mostri e ci sveli sempre più la costituzione biologica dell’uomo e ci consenta di mettere le mani su noi stessi in una maniera così forte e radicale è un tema che deve interrogare la nostra consa-pevolezza di essere spirito incarnato interrogando cosa significhi che ci si attui in un divenire storico che assume sempre di più la forma di un divenire plasmato dalle nostre scelte più che un fato sconosciuto. Contemporanea-mente dobbiamo elaborare nuove esplicite riflessioni tematiche che rendano conto di ciò che la nostra costituzione di unitotalità unificata mostra: proprio là dove sperimentiamo l’autonomia e la libertà vi è il locus dove ci è dato di esperire il nostro essere costantemente posti di fronte a quella ulteriorità che ha il volto del Dio dell’Amore, che ci pone nel mondo, parafrasando Rahner, come uditori del suo richiamo d’amore. Allora dialogare con il post-umano

———–– 77 Cf. F.G. BRAMBILLA, Antropologia teologica (cf. nt. 57), 479-592, L.F. LADARIA,

Antropologia teologica (cf. nt. 61), 203-304 e K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede (cf. nt. 54), 127-277.

UT SI HOMO NON DARETUR? 563 non è un’opzione apologetica ma l’occasione per disvelare nelle pieghe di queste inedite culture e delle nuove frontiere tecnologiche l’esistenza di un senso che appare all’uomo nel momento in cui accetta di vivere fino in fondo la condizione umana. Se accetteremo di farci compagni di viaggio con quella parte di pensatori post-umani che vogliono trovare un senso che animi la questione sul telos che offre la techné allora potremo farci mediatori di quel Logos che è vera forma e vero fine di ogni telos. Solo riscoprendo insieme la natura dell’uomo, cioè il suo essere persona, una unitotalità-unificata di anima e corpo, ci riapproprieremo del vero telos della nostra esistenza: l’essere creatura di fronte all’amore immenso del suo Creatore. Solo lasciando risuonare nel nostro intimo quella voce eco della voce di Dio (cf. GS 16) troveranno voce (e risposta) gaudium et spes, luctus et angor hominum huius temporis (GS 1). Basilica dei Ss. Cosma e Damiano Paolo BENANTI Via dei fori imperiali 1 00186 Roma E-mail: [email protected]

RIASSUNTO Sui grandi temi del vivere sociale si riesce sempre meno a trovare un’intesa nella comunità e si creano accesissimi dibattiti e confronti rendendo sempre più difficile produrre riflessioni e soluzioni politiche condivise volte a cercare ciò che è bene e giusto. Proporremo un’analisi di questi fenomeni che provi a intessere un dialogo con un fattore che sembra accomunare queste diverse istanze: uno smarrimento, o quanto meno un’eclissi, del senso dell’umano e un’apparente insignificanza del concetto della dignità umana che porta a vivere, come provocatoriamente indicato dal titolo, ut si homo non daretur. La nostra analisi prenderà spunto da alcuni passi scelti della Gaudium et spes per intessere un dialogo con questi nuovi scenari antropologici Parole chiavi: Cultura, Gaudium et spes, postumano, antropologia, teologia morale

ABSTRACT On the major issues of social debate, we find every day more disagreement: different opinions generate debates that make increasingly difficult to produce reflections and shared political solutions to look for what is good and right. We will propose an analysis of these phenomena starting from an element that seems to unite these different instances: a loss, or at least an eclipse, of the meaning of human being and the concept of human dignity that produces lives, as provocatively bold by title,

Page 23: U A quarterly, published by the Gregorian University. N ...

564 PAOLO BENANTI ut homo is not daretur. Our analysis will take a cue from some selected passages of Gaudium et Spes to weave a dialogue with these new anthropological scenarios Keywords: Culture, Gaudium et spes, posthuman, anthropology, moral theology

GREGORIANUM 97, 3 (2016) 565-578 Ľuboš ROJKA, S.I. Júlia HALAMOVÁ

Divine Justice and the Problem of Evil Ethics as a theoretical discipline of human life is hardly conceivable with-out a religious theory. A human being is an ethical and spiritual being, and it makes a significant difference if the ethical principles are believed to be supported by the almighty, omniscient, benevolent, and perfectly good God. The existence of evil (especially, of physical and psychological suffering) sheds serious doubts on the belief that the world was created by such a God, and consequently religious belief might lose its deeper meaning, and people might find themselves in the midst of an evil and cruel world. The goal of this paper is to make a contribution to a more optimal Christian understanding of the complex relationship between evil, human freedom, and God. Evil has played a significant role in the development of the world, and it is also often important in the ethical and moral development of an individual as well as human society. It is usually taken as granted that God does not intervene in most instances to prevent evils from happening even though he could inter-vene. A strange thing is that whether difficult situations turn out to be good or evil sometimes depends on human choices and personal ability and willing-ness to add a deeper positive meaning to pain and suffering. Human decisions and choices in these particular situations depend on personal ethical and religious beliefs, and these beliefs can be modified depending on the situation and willingness of the subject. So it looks like God does not intervene because he wants people to take action and change the situation or their beliefs. The question is then what is the role of a morally perfect and omni-potent God in the dynamic interaction between human free decisions (and actions) and suffering? If he does not intervene (at least sometimes), do we need such a God or is it better to change the world without him just facing the problems on our own? Janusz Salamon has recently reasonably stated that «considerations of human free will, the possibility of moral development […], the desirability of Divine hiddenness, and the undesirability of a massively irregular world, do jointly account for God’s refraining in some instances from acting in the