TERRA - quotidiano - 20/02/2011

24
La rivolta prende il largo Uscita infelice di Berlusconi: «Preoccupato, ma non voglio disturbare il Colonnello». Intanto, in Bahrain è vera emergenza umanitaria e sale la tensione in Algeria, Gibuti, Yemen e Kuwait. Ovunque, dura repressione e vittime Rischiatutto Il 70% del territorio italiano è a rischio idrogeologico, ma il governo chiude tre quarti delle facoltà di Geologia. E gli esperti lanciano l’allarme Manifestazioni Decine di morti in 3 giorni di scontri in Libia. Gheddafi e mercenari non tremano, finché la protesta resta in Cirenaica La denuncia Di Giovanni a pagina 5 Anno VI - n. 43 - domenica 20 febbraio 2011 - E 1,50 Segue a pagina 3 Segue a pagina 4 Giorgio Mottola L’Italia cade letteralmente a pez- zi. Cinquecentomila sono le fra- ne censite. Il 70 per cento del ter- ritorio nazionale è a rischio idro- geologico, per un totale di 5mi- la 581 Comuni. Da Nord a Sud in quasi tutte le regioni è elevatissi- mo il rischio sismico. Sono nume- ri che rispuntano fuori, dopo ogni calamità. Ribadirli dovrebbe suo- nare quasi banale. Eppure il go- verno Berlusconi, in barba a qual- siasi politica di prevenzione, ha deciso di chiudere i tre quarti dei dipartimenti universitari di geo- logia in Italia. È la conseguenza della riforma universitaria del mi- nistro Gelmini. Dopo la riduzio- ne degli stanziamenti e un piano straordinario per il rischio idro- geologico mai veramente partito, ora la scure viene calata sulla ri- cerca. «In questo modo – è l’allar- me che lancia Gian Vito Grazia- no, presidente dell’Ordine nazio- nale dei geologi italiani - si rischia di raggiungere un punto di non ri- torno. Si smette di salvaguardare il Paese dai grandi rischi e si pre- ferisce rincorrere le emergenze». i hanno messo anni per formare un sinda- cato, scontrandosi contro tutti gli ostacoli messi in piedi da Ben Ali, e quando ce l’han- no fatta si sono trovati a subire il contraccolpo del regime: un golpe bianco all’interno del Snjt, il Sin- dacato nazionale dei giornalisti tunisini, che ha portato al vertice gli uomini del presidente. Eppure non si sono persi d’animo, e oggi hanno riconqui- stato la loro sede, i loro uffici, e ripreso il loro lavo- ro. La palazzina a due piani che ospita la sede del sindacato, in avenue des Etas Unis,- a due passi dal Circolo italiano, ritrovo dei blogger della capita- le- è in pieno fermento. Però, in questa Tunisia post-rivoluzione, i giornalisti non hanno ancora la fiducia dell’opinione pubblica. Se una stampa libera è il primo segno di una democrazia, allo- ra c’è ancora tanta strada davanti, e tutta in sa- lita. Soukeina Abdessamad, segretaria generale del Snjt, non nasconde i problemi che oggi han- no di fronte i media: inesperienza, imprepara- zione, approssimazione. «Adesso la nostra re- sponsabilità è enorme. E non è detto che siamo pronti a farcene carico». Rivoluzione e giornalismo. Così cambia l’informazione C Tunisia Paola Mirenda 9 7 7 2 0 3 6 4 4 3 0 0 7 1 0 2 2 0 Sped. in Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB - Roma Rifiuti Iniziative 3D comics 2 Domani ad Albano si decide la sorte di 60 ettari di terreno. Speculazioni e immondizia mettono a rischio la salute dei cittadini 6 Oggi a Portici (Napoli) torna il “Farmers market“, il mercatino dove le parole d’ordine sono ecompatibile ed ecosostenibile 9 Ecco l’immagine del premier nudo che tutti cercano e nessuno pubblica. Ma lo vedrete diverso da come immaginato finora Ieri a Parigi i ministri delle fi- nanze e i banchieri centrali dei 20 Paesi più grandi al mondo hanno deciso quali sono gli in- dicatori da utilizzare per defi- nire gli squilibri nell’economia mondiale. Non hanno parlato degli squilibri (noti a tutti). O delle soluzioni (note anch’es- se). L’accordo che ieri sventola- va fiera la ministra delle finan- ze francesi, Christine Lagarde, consiste quindi solo nella con- divisione, difficile e parziale, delle “parole” da usare. Si parle- rà di debito al lordo o al netto dei risparmi privati? Di bilancia dei pagamenti o di quella com- merciale? Nel primo caso han- no vinto gli italiani. Nel secon- do, la Cina. Nella mente di più d’un commentatore, ad un cer- to punto, deve essere circolata una domanda tipo: ma la diplo- mazia e la vita sono veramente compatibili? Vita e morte, ma- lattie e benessere, povertà e fe- licità si inseguono veloci, disor- dinate e fameliche. Invece nelle stanze ovattate dei negoziatori ufficiali, dei ministri e dei ban- chieri centrali, i tempi della vi- ta si demoltiplicano, si dilata- no. I temi si spezzettano in ta- voli negoziali che corrono pa- ralleli, e poi si intrecciano. Per decenni. Fuori dal palazzo, ne- gli ultimi 20 anni, la globalizza- zione ha marciato senza sosta. L’occidente ricco ha destinato larga parte delle proprie risor- se alle grandi economie in via di sviluppo. Il trasferimento di risorse finanziarie e industriali ha prodotto grandissimi avan- zamenti negli standard di vita dei destinatari. Chi ricorda più il tempo in cui la Cina e la So- malia avevano lo stesso Pil? Ma ha anche prodotto due drammatici effetti collaterali: il primo, ha affamato l’Occiden- te di investimenti, producen- do un graduale ma inesorabile spostamento della sua produ- zione all’estero: Usa ed Europa si sono impoverite e indebitate. La seconda controindicazione è quella ambientale: la quanti- tà di crescita e la sua pessima qualità è divenuta insostenibi- le per il pianeta. Ma la riunio- ne dei 20 potenti a Parigi, ieri, di questo non ha parlato. Non perchè le soluzioni non ci sia- no, tutt’altro. Ma perchè tutte le buone idee, inclusa la Tobin tax, si infrangono contro due moloch: gli Usa e la Cina. Luca Bonaccorsi CHE DISASTRO IL G20 DI PARIGI Il domenicale Le idee di Alex Langer, una serata con Camilleri, lo scrittore Cynan Jones si racconta, artisti nello spazio, le Filippine degli scandali, il Sud di Maurizio Braucci © MAGNI/ANSA Segue a pagina 2

description

 

Transcript of TERRA - quotidiano - 20/02/2011

Page 1: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

La rivolta prende il largoUscita infelice di Berlusconi: «Preoccupato, ma non voglio disturbare il Colonnello». Intanto, in Bahrain è vera emergenza umanitaria e sale la tensione in Algeria, Gibuti, Yemen e Kuwait. Ovunque, dura repressione e vittime

Rischiatutto

Il 70% del territorio italiano è a rischio idrogeologico, ma il governo chiude tre quarti delle facoltà di Geologia. E gli esperti lanciano l’allarme

Manifestazioni Decine di morti in 3 giorni di scontri in Libia. Gheddafi e mercenari non tremano, finché la protesta resta in Cirenaica

La denuncia

Di Giovanni a pagina 5

Anno VI - n. 43 - domenica 20 febbraio 2011 - E 1,50

Segue a pagina 3

Segue a pagina 4

Giorgio Mottola

L’Italia cade letteralmente a pez-zi. Cinquecentomila sono le fra-ne censite. Il 70 per cento del ter-ritorio nazionale è a rischio idro-geologico, per un totale di 5mi-la 581 Comuni. Da Nord a Sud in quasi tutte le regioni è elevatissi-mo il rischio sismico. Sono nume-ri che rispuntano fuori, dopo ogni calamità. Ribadirli dovrebbe suo-nare quasi banale. Eppure il go-verno Berlusconi, in barba a qual-siasi politica di prevenzione, ha deciso di chiudere i tre quarti dei dipartimenti universitari di geo-logia in Italia. È la conseguenza della riforma universitaria del mi-nistro Gelmini. Dopo la riduzio-ne degli stanziamenti e un piano straordinario per il rischio idro-geologico mai veramente partito, ora la scure viene calata sulla ri-cerca. «In questo modo – è l’allar-me che lancia Gian Vito Grazia-no, presidente dell’Ordine nazio-nale dei geologi italiani - si rischia di raggiungere un punto di non ri-torno. Si smette di salvaguardare il Paese dai grandi rischi e si pre-ferisce rincorrere le emergenze».

i hanno messo anni per formare un sinda-cato, scontrandosi contro tutti gli ostacoli messi in piedi da Ben Ali, e quando ce l’han-

no fatta si sono trovati a subire il contraccolpo del regime: un golpe bianco all’interno del Snjt, il Sin-dacato nazionale dei giornalisti tunisini, che ha portato al vertice gli uomini del presidente. Eppure non si sono persi d’animo, e oggi hanno riconqui-stato la loro sede, i loro uffici, e ripreso il loro lavo-ro. La palazzina a due piani che ospita la sede delsindacato, in avenue des Etas Unis,- a due passi dal Circolo italiano, ritrovo dei blogger della capita-

le- è in pieno fermento. Però, in questa Tunisia post-rivoluzione, i giornalisti non hanno ancora la fiducia dell’opinione pubblica. Se una stampa libera è il primo segno di una democrazia, allo-ra c’è ancora tanta strada davanti, e tutta in sa-lita. Soukeina Abdessamad, segretaria generale del Snjt, non nasconde i problemi che oggi han-no di fronte i media: inesperienza, imprepara-zione, approssimazione. «Adesso la nostra re-sponsabilità è enorme. E non è detto che siamo pronti a farcene carico».

Rivoluzione e giornalismo. Così cambia l’informazione

CTunisiaPaola Mirenda

977

2036

4430

07

10

22

0Sp

ed. in

Abb

. Pos

t. D.

L. 35

3/20

03 (c

onv.

in L

. 27/

02/2

004 n

. 46)

art.

1 com

ma 1

DCB

- Ro

ma

Rifiuti Iniziative 3D comics2Domani ad Albano si decide la sorte di 60 ettari di terreno. Speculazioni e immondizia mettono a rischio la salute dei cittadini

6Oggi a Portici (Napoli) torna il “Farmers market“, il mercatino dove le parole d’ordine sono ecompatibile ed ecosostenibile

9Ecco l’immagine del premier nudo che tutti cercano e nessuno pubblica. Ma lo vedrete diverso da come immaginato finora

Ieri a Parigi i ministri delle fi-nanze e i banchieri centrali dei 20 Paesi più grandi al mondo hanno deciso quali sono gli in-dicatori da utilizzare per defi-nire gli squilibri nell’economia mondiale. Non hanno parlato degli squilibri (noti a tutti). O delle soluzioni (note anch’es-se). L’accordo che ieri sventola-va fiera la ministra delle finan-ze francesi, Christine Lagarde, consiste quindi solo nella con-divisione, difficile e parziale, delle “parole” da usare. Si parle-rà di debito al lordo o al netto dei risparmi privati? Di bilancia dei pagamenti o di quella com-merciale? Nel primo caso han-no vinto gli italiani. Nel secon-do, la Cina. Nella mente di più d’un commentatore, ad un cer-to punto, deve essere circolata una domanda tipo: ma la diplo-mazia e la vita sono veramente compatibili? Vita e morte, ma-lattie e benessere, povertà e fe-licità si inseguono veloci, disor-dinate e fameliche. Invece nelle stanze ovattate dei negoziatori ufficiali, dei ministri e dei ban-chieri centrali, i tempi della vi-ta si demoltiplicano, si dilata-no. I temi si spezzettano in ta-voli negoziali che corrono pa-ralleli, e poi si intrecciano. Per decenni. Fuori dal palazzo, ne-gli ultimi 20 anni, la globalizza-zione ha marciato senza sosta. L’occidente ricco ha destinato larga parte delle proprie risor-se alle grandi economie in via di sviluppo. Il trasferimento di risorse finanziarie e industriali ha prodotto grandissimi avan-zamenti negli standard di vita dei destinatari. Chi ricorda più il tempo in cui la Cina e la So-malia avevano lo stesso Pil? Ma ha anche prodotto due drammatici effetti collaterali: il primo, ha affamato l’Occiden-te di investimenti, producen-do un graduale ma inesorabile spostamento della sua produ-zione all’estero: Usa ed Europa si sono impoverite e indebitate. La seconda controindicazione è quella ambientale: la quanti-tà di crescita e la sua pessima qualità è divenuta insostenibi-le per il pianeta. Ma la riunio-ne dei 20 potenti a Parigi, ieri, di questo non ha parlato. Non perchè le soluzioni non ci sia-no, tutt’altro. Ma perchè tutte le buone idee, inclusa la Tobin tax, si infrangono contro due moloch: gli Usa e la Cina.

Luca Bonaccorsi

Che DIsAstrO IL G20 DI PArIGI

Il domenicaleLe idee di Alex Langer, una serata con Camilleri, lo scrittore Cynan Jones si racconta, artisti nello spazio, le Filippine degli scandali, il Sud di Maurizio Braucci

© M

AG

NI/

AN

SA

Segue a pagina 2

Page 2: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

domenica 20 febbraio 20112

Rifiutidella discarica di Albano, e mo-nopolista della gestione rifiuti nel Lazio aveva fatto visita al pri-mo cittadino. I contenuti dell’in-contro non sono noti ma consi-derati gli interessi che l’impren-ditore romano vanta sull’area - la realizzazione di un impian-to di incenerimento rifiuti, oggi bloccato dal Tar, e l’ampliamen-to della discarica - non è poi co-sì difficile immaginarli. E il sin-daco Marini ha più volte manife-stato quale fosse la sua posizione in merito: lo ha fatto convocan-do le Conferenze di bacino con-tro l’inceneritore; firmando la ri-chiesta di sospensiva cautela-re dell’Aia in attesa della senten-za del Tar; appoggiando ad adiu-vandum il ricorso del coordina-mento cittadino contro la realiz-zazione dell’impianto, ed emet-tendo l’ordinanza per la rimo-zione dei pezzi per la sua costru-zione parcheggiati all’interno del perimetro della discarica. «Il futuro di Albano è legato a quel-lo di quei 60 ettari di terra - dice Daniele Castri, legale del coordi-namento contro l’inceneritore -. Convertire la destinazione d’uso da agricola a industriale rappre-senta per Cerroni e per tutti gli altri imprenditori interessati al business dei rifiuti un’occasione d’oro. Impedire la riconversione significa bloccare tutti i proget-ti in cantiere schierandosi in di-fesa del diritto alla salute e a un ambiente sano».

ul piatto ci sono circa 60 et-tari di terreno. E il volume di affari che potrebbero ge-nerare se l’intera area po-

tesse essere convertita da agri-cola a industriale. Lo spettro di un inceneritore, così come quello di una nuova discarica per rifiu-ti speciali, si agita da tempo sui Castelli romani. Domani il Con-siglio comunale di Albano do-vrà esprimersi contro il cambio di destinazione d’uso di un’am-pia fetta di territorio. All’ordi-ne del giorno ci sono tre mozio-ni: le prime due, presentate dal centro-destra, per chiedere che il Piano regolatore della città ela-borato dalla giunta precedente (quella guidata da Marco Mattei, oggi assessore all’Ambiente del-la Regione Lazio) - che prevede la conversione dell’area in que-stione da agricola a industriale - venga finalmente portato in Re-gione per l’approvazione defini-tiva; la terza, presentata invece dal centro-sinistra, per ottenere la revoca totale delle modifiche

al Piano. Tre mozioni, due pun-ti di vista diametralmente oppo-sti sul futuro del territorio dei Ca-stelli romani. Le proposte arriva-no al vaglio del Consiglio comu-

nale in un momento difficile per l’amministrazione di Albano, nel pieno di una crisi di governo. La scorsa settimana un consigliere dell’Udc insieme agli esponenti

>>Primo piano>>

Albano e gli appetiti degli imprenditoriRossella Anitori

S

Rifiuti Domani il Consiglio comunale dovrà decidere se convertire oltre 60 ettari di terreno agricolo ad uso industriale. Un’operazione che potrebbe dare il via libera alla speculazione

del centro-destra ha infatti pro-vato a sfiduciare il sindaco Nico-la Marini (Pd), ma il golpe non è riuscito. Solo qualche giorno pri-ma Manlio Cerroni, proprietario

i è lanciato dal pescherec-cio dove stava lavorando come marinaio e ha nuo-tato fino alla costa di Cala

Creta. Farouk (il nome è di fan-tasia), ha 17 anni. «Era solo in-freddolito – racconta Flavio di Giacomo dell’Organizzazio-ne internazionale della migra-zione – l’ambulanza lo ha soc-corso e portato al centro d’ac-coglienza». A Lampedusa, do-po due giorni senza sbarchi per il mare grosso e il maestrale, di cose insolite però accadono lo stesso. La guardia costiera ave-va concesso ieri notte ad alcu-ni pescherecci egiziani di sosta-re a Cala Creta, a Nord dell’iso-la. Poi verso l’una l’allarme: uo-mo in mare. Perché Farouk egi-ziano minorenne con documen-tazione regolare per stare a bor-

Susan Dabbous da Lampedusa

Sdo si è buttato in acqua? Per il momento il ragazzo non parla, è sotto protezione. Ma l’allarme per i nuovi sbarchi è altissimo: si guarda con preoccupazione ciò che accade in Libia, se sal-ta quella frontiera potrebbero arrivare a migliaia e certo l’iso-la non può fronteggiare da solo un esodo simile. Presto verranno intensificate anche le presenze di Frontex, l’agenzia europea per il control-lo dei confini, finora molto po-co percepita. «Parteciperanno all’operazione da 30 a 50 esper-ti, alcune navi e un paio di ae-rei», ha dichiarato il direttore Ilkka Laitinen. «Stiamo facen-do tutto il possibile per appog-giare le autorità italiane, la si-tuazione è molto grave». Si te-me il peggio. Martedì prossimo arriverà una delegazione del Pd, anche da Bruxelles, per visitare

il centro di Lampedusa, una vi-sita decisamente tardiva. Intan-to, per tranquillizzare la popo-lazione locale dopo la riunio-ne tra prefettura e forze dell’or-dine, ieri, si è deciso di proce-dere ad un maggiore pattuglia-mento delle strade. I migran-ti già da oggi verranno accom-pagnati a dormire nel Centro con dei pullman a partire dalle sette di sera; prima della distri-buzione del pasto serale. Que-ste le disposizioni sul miglia-io di tunisini che restano men-tre continuano i ponti aerei (ie-ri previsti tre voli per trasferire 270 migranti tra Bari e Crotone) per l’evacuazione. La situazione insolita dei migranti, ancora a zonzo per strade, quindi, finirà. I prossimi, se arriveranno, rice-veranno un trattamento diver-so: il Centro d’accoglienza verrà chiuso e i migranti non potran-

no uscire, inizieranno poi sin da qui le procedure di identifica-zione. «Come avveniva in pas-sato», spiega Cono Galipò, am-ministratore del Centro d’acco-glienza, «con il sistema infor-matico europeo che attraverso le impronte digitali scopre se il soggetto è già entrato in un Pa-ese dell’Unione europea». I migranti durante i colloqui con le forze dell’ordine danno le loro generalità e si fa fede a ciò che dicono in assenza di docu-menti. «In passato l’80 per cen-to degli africani dichiarava di es-sere nato il primo gennaio. Mol-ti nei Paesi d’origine non sono registrati all’anagrafe, quei dati quindi diventano ufficiali». A quel punto la questura prepa-ra il documento, che decide di accogliere o mandare via. Ma Farouk potrà rimanere finché non compirà i 18 anni.

Ancora tre ponti aereiMa si teme l’ondata libica

Lampedusa Nessuno sbarco di migranti nelle ultime due notti, ma gli occhi sono puntati a ciò che accade nel Nordafrica. In caso di nuovi arrivi il Cie verrà chiuso e inizierà l’identificazione

Gli Usa stanno inondando il mondo di liquidità per so-stenere le loro banche e la lo-ro economia. Innescando però un processo inflattivo mondia-le che deve ancora dispiegare tutti i suoi effetti. Per non mo-dificare il loro stile di vita ener-givoro poi, hanno fatto fallire tutti i negoziati climatici. I cinesi, o meglio il Partito co-munista cinese, invece pun-ta ad una cosa sola: attirare quanti più investimenti e ac-cumulare quante più riser-ve possibile. Il metodo è noto: fabbriche inquinanti, nessun diritto per i lavoratori, e una valuta artificiosamente debo-le ( forse anche perchè i car-riarmati di Pechino sono sta-ti meno clementi di quelli di Mubarak). Contro questi due moloch, e contro le loro poli-tiche dell’egoismo si infrange ogni negoziato. Che più che un G20 è un G2. Dove G stà per gretti.

p.s. Intanto, fuori dal palazzo, continuano a crescere i prezzi dei beni alimentari e con essi il numero di quelli che il cibo non se lo può più permettere.

G20 di ParigiBonaccorsi dalla prima

© S

CRO

BOG

NA

/LA

PRES

SE

Page 3: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

domenica 20 febbraio 2011 3

Il caso

tosto che rafforzare, o almeno mantenere, le strutture che stu-diano la prevenzione?»Secondo l’Ispra, l’Istituto di ri-cerca che fa capo al ministero dell’Ambiente, i danni prodot-ti dalle calamità naturali sono quasi sempre almeno dieci vol-te superiori alla spesa che si sa-rebbe sostenuta se ci fosse stata una politica di prevenzione. In Si-

cilia ad esempio, per la frana Giampilieri-si sono spesi almeno 550 milioni di euro per appena sei ore di pioggia. Ammon-tano invece a 30 mi-la miliardi i danni provocati da calami-tà naturali negli ulti-

mi 20 anni. E il minimo della si-curezza si raggiunge nelle scuole e negli ospedali: secondo la Pro-tezione civile è a rischio il 46 per cento degli edifici scolastici e il 41 per cento dei nosocomi. Il 60 per cento delle abitazioni, invece, so-no state costruite prima dell’en-trata in vigore della normativa antisismica del 1974.

Il mondo della geologia italia-na, dall’accademia universitaria agli ordini professionali, ha deci-so di convocare per il prossimo 24 febbraio i propri Stati genera-li a Roma, presso l’Università la Sapienza alle 10 e 30. La scom-parsa dei Dipartimenti universi-tari di Scienze della terra è mol-to più di una semplice possibilità. I tagli saranno esecutivi già a otto-bre, con la partenza del nuovo an-no accademico. La riforma Gel-mini, approvata lo scorso dicem-bre, impone infatti che un diparti-mento universitario possa esiste-re solo se raggiunge un tetto mi-nimo di docenti. Nel caso il nu-mero degli insegnanti è inferiore a 40, l’ateneo è costretto a decretar-ne la chiusura e a imporre l’accor-pamento ad altre facoltà. Dal mo-mento che in Italia i dipartimen-ti di Scienze della Terra hanno in media non più di 12-15 docen-ti, il tetto minimo non sarà sicu-ramente raggiunto nei tre quar-ti degli atenei italiani. Ciò impli-ca dunque l’obbligo dell’accorpa-mento. Che significherebbe per-dere l’autonomia finanziaria, di-vidersi le briciole dei stanziamen-ti ministeriali con facoltà e dipar-timenti molto più grandi e quindi dover ridurre drasticamente an-che il numero dei corsi di laurea in Scienze della Terra.Si rischia dunque di azzerare la ri-cerca, nonostante la geologia ita-

liana rappresenti a livello interna-zionale un vero e proprio settore di eccellenza. Secondo l’agenzia internazionale di ranking scien-tifico Scimago, le Scienze della terra italiane, per pubblicazioni e qualità della ricerca, si posizio-nano al nono posto (in una clas-sifica che comprende oltre 200

paesi) dietro al Giappone e alla Germania e davanti a paesi co-me l’Australia, la Svezia, l’Olanda e la Spagna.«Sembra quasi che all’aumentare delle calamità naturali – spiega Rodolfo Carosi, preside del cor-so di laurea di geologia a Pisa e componente del Consiglio na-

>>Primo piano>>

Il governo cancellale facoltà di Geologia

Mottola dalla prima

Il caso Con l’entrata in vigore della riforma Gelmini scompariranno dagli atenei italiani tre quarti dei dipartimenti di Scienze della Terra in Italia. A rischio le politiche per la prevenzione idrogeologica

zionale dei geologi - ci sia un di-segno perverso teso a ridimen-sionare la crescita di quei profes-sionisti che incassano a livello internazionale i riconoscimenti più alti». Carosi pone al governo una domanda: «Perché si prefe-risce ancora la strategia degli in-terventi del giorno dopo piut-

ai la ricerca ita-liana nelle ge-oscienze è sta-ta così sacrifi-

cata come negli ultimi anni. So-no scomparsi quasi tutti i gran-di progetti e difficilmente ver-ranno ripresi. L’Italia rischia di perdere la sua grande tradizio-ne geologica». A lanciare l’allarme è uno dei più importanti scienziati ita-liani, Carlo Doglioni, presiden-te della Società geologica ita-liana e membro dell’Accademia dei Lincei.Cosa c’è che non va nelle poli-tiche del governo?«Sono del tutto inadeguate. Stanno causando un lento de-clino non solo della geologia ma delle scienze in generale. Gli in-vestimenti sono troppo bassi ri-spetto a tutti gli altri Paesi della comunità internazionale. Arri-

«M

viamo a stento all’un per cento del Prodotto interno lordo».Qual è la situazione attuale e aggiornata degli investimenti nel settore della geologia?«Nell’ambito di Scienze della ter-ra ci sono tra i tre e i quattromi-la ricercatori che devono divi-

dersi una torta di circa 2 milio-ni e mezzo di euro. Se pensa che è la cifra minima che la Comuni-tà europea stanzia per finanzia-re qualsiasi tipo di progetto, ha tutta la misura del disastro».È un problema solo di profilo accademico?«Assolutamente no. La limi-tazione della ricerca in que-sto campo rende complicata qualsiasi politica di prevenzio-ne. La geologia è indispensabi-le per sapere dove poter costru-ire, pianificando i coefficienti di sicurezza adeguati, realizzan-do un equilibrio sano e razio-nale con l’ambiente. Ma in Ita-lia, nonostante gli enormi pro-blemi legati ai dissesti idrogeo-logici, non esiste una cartogra-fia geologica completa del terri-torio nazionale. Era partita nel 1988, ma a causa del taglio dei finanziamenti si è fermata al 40

per cento. Intanto, continuia-mo a correre dietro alle emer-genze...»Il ministro dell’Ambiente Ste-fania Prestigiacomo però di-ce di aver stanziato 4 miliar-di di euro per il piano straor-dinario per il rischio idroge-ologico.«Anch’io ho letto di questo stan-ziamento. Ma al momento non si sa dove questi soldi siano an-dati a finire. Io le posso assicu-rare che senz’altro sulla ricerca non c’è stata alcuna ricaduta».Che cosa chiederete con gli Stati generali dei geologi che si svolgeranno a Roma giove-dì prossimo?«Riteniamo che senza una modi-fica della riforma Gelmini al tetto minimo per i Dipartimenti la ri-cerca nelle geoscienze rischia se-riamente di scomparire».

g.m.

Geoscienze, è allarme «Annientata la ricerca»

Intervista Carlo Doglioni, presidente della Società geologica italiana lancia il suo duro j’accuse: «Fondi tagliati selvaggiamente, impossibile fare prevenzione. è un vero disastro»

Ultimo giorno per Villaggio Solidale, la fiera del volonta-riato che chiude oggi a Luc-ca. Ieri a confronto molti pro-tagonisti del settore: un suc-cesso è la tavola rotonda “Il sociale fa notizia”, dedicata al ruolo dei media. Il presiden-te dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino ha animato un serrato dibattito su come l’in-formazione italiana affronta i temi sociali: protagonisti il vicedirettore del Corriere del-la Sera Giangiacomo Schiavi, che ha presentato la nuova grafica dell’allegato Comuni-care il Sociale («un prodotto innovativo») al condirettore di Terra Enrico Fontana, che ha ricordato come la testa-ta dedichi settimanalmente un inserto dedicato esclusi-vamente al sociale, il giorna-lista di Repubblica Carlo Cia-voni e il direttore di Redattore Sociale Stefano Trasatti, quel-lo di Vita Riccardo Bonacina e il giornalista di Avvenire Pa-olo Lambruschi.

Villaggio solidale, oggi la chiusura

Volontariato

Secondo gli ultimi dati in italia censite 500mila frane, a rischio 5581 Comuni (oltre il 70%) e il 60% delle case

Aldo Settembre

© S

AYA

/ A

NSA

Page 4: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

domenica 20 febbraio 20114

Tunisia

Madame Abdessamad, che effetto fa lavorare senza più condizionamenti?Magari fosse davvero così! I pri-mi giorni c’era un entusiasmo totale, tutti volevano fare tut-to, c’era un’esigenza forte di rac-contare quello che non si era mai potuto raccontare. È sta-to davvero un piacere vedere i giornalisti con questa foga, que-sto slancio di lavorare e mostra-re di essere liberi. Poi qualcosa è cambiato. Personalmente non sono molto soddisfatta di quello che succede, è come se ci fosse ancora un dominio sulla stam-pa. Si cerca la linea editoria-le da dare, ci si muove tra gente che cerca di fare passi indietro e gente che cerca di andare avan-ti: è normale, siamo in un fase di transizione, ma è anche molto pericoloso.

Cosa temete più di tutto?Siamo sottoposti a troppe pres-sioni. Quella popo-lare, di chi è nel-le piazze e manife-sta, e vuole che la propria storia ven-ga raccontata. Ma non si può raccon-tare tutto: il gior-nalista opera sem-pre delle scelte, va-luta le informazio-ni raccolte. Ma per ogni storia che non racconti, c’è un’ac-cusa di censura. E allora si cor-re cercando di dire tutto, e ma-gari lo si fa male. Scontiamo la mancanza di credibilità che ha la stampa in Tunisia, ma anche la nostra disabitudine a un certo tipo di giornalismo, alle inchie-ste, ai dibattiti. Ma la pressione più forte la esercita ancora una volta il potere, perché non è ve-ro che tutto è cambiato, anzi.

Cioè?Si toglie una persona per sosti-tuirla con un’altra, ma vengo-no entrambe dallo stesso siste-ma. Quello a cui assistiamo è solo uno spostamento di ruo-li, che non modifica nulla. Non ci sono a capo dei media per-sone che possano guidare ver-so una reale apertura, abbia-mo sempre come responsabili le stesse persone che hanno la-vorato sotto Ben Ali. Come pos-siamo essere soddisfatti di que-sto? Abbiamo bisogno che cam-bi il modo stesso di organizzare il lavoro, che ci sia un controllo da parte dei giornalisti sulle de-

Rivoluzione e giornalismoCosì cambia l’informazioneMirenda dalla prima

Tunisia Incontro con Soukeina Abdessamad, segretaria del sindacato dei giornalisti, che spiega i problemi dei media: inesperienza, impreparazione e il rischio che la politica torni nelle redazioni

loro mestiere?Sì, perché quando tu sei abitua-to a fare certe cose, non sai an-dare sul posto, non puoi dire le cose perché c’è la censura, ecco ci vuole del tempo per cambia-re questa abitudine, c’è una sor-ta di autocensura, ma insom-ma. Per esempio i dibattiti, non sono facili, perché non siamo veramente abituati a farli, so-prattutto con gli uomini politi-ci. Non siamo ancora arrivati ad organizzarci, non si parla bene, non si fanno partecipare i gior-nalisti, non c’è davvero parteci-pazione, non c’è riunione di re-dazione. Altra cosa, non si cerca il migliore per fare il dibattito, già non sono abituati, dovreb-bero fare esperienza, e tocche-rebbe istruirli in qualche odo, invece ci si mette gente che non è formata, che non ha le infor-mazioni necessario. C’è l’im-provvisazione dell’ultimo mi-nuto, e il giornalista stesso non conosce le cose, deve prende-re informazioni al volo. Che so, magari non conosce nemmeno l’arabo, si dice “vai, in qualche modo te la cavi”.

Quanti media hanno capito che si trattava di una rivolu-zione?Fino all’ultimo giorno negava-no tutto, giusto dopo il discorso di Ben Ali, il 13, l’ultimo, hanno mandato le immagine della gen-te che esultava, erano persone che erano state fatte venire con i bus, ma la televisione ha tra-smesso quelle immagini, gente con bandiere, noi abbiamo det-to che c’era una marcia di gen-te che voleva questo. Io ero in re-dazione perché c’era il coprifuo-co, e quindi passavamo la notte là. È venuto il direttore a dire che c’era una marcia, un giornalista dell’Rcd ha detto “eccomi, vado io” e ha passato tutta la notte e mostrarci immagini di questo ti-po. Uno dei miei colleghi mi ha chiamato, mi ha detto “vieni, c’è gente che scende per strada con le foto”. Eppure era palese che era una sceneggiata, ti pare che la gente ha foto e bandiere così? Gli dissi che non volevo entrare in questo gioco. Infatti il giorno dopo c’era la grande manifesta-zione che lo ha costretto ad an-dare via. Questo per dire che fi-no all’ultimo, fino alla vigilai del-la sua fuga, i media non hanno capito, fini all’ultimo minuto, Poi quando è tutto finito, allora è ini-ziato il cambiamento. Il giorno della sua fuga già nei media c’era un’evoluzione. Ma il giorno della sua fuga. Prima nulla.

cisioni prese, sui palinsesti di ra-dio e tv così come sullo sfoglio di un giornale. Non possiamo esse-re degli impiegati a cui dire: “tu fai questo, tu fai quest’altro” co-me era prima. Non vogliamo che gente dell’Rcd (Rassemblement constitutionnel démocratique, il partito di Ben Ali, ndr) sia an-cora qui a dare ordini. Gli uomi-ni dell’ex presidente, in ogni luo-go di lavoro, stanno cercando di seminare il caos per annullare la rivoluzione. Le redazioni non so-no esenti da questo pericolo. Al-lo stesso tempo, dobbiamo stare attenti i cosiddetti “regolamen-ti di conti”, perché c’è chi appro-fitta di questa situazione per far fuori persone scomode. C’è gen-te che non era nel partito ma è stata altrettanto pericolosa, se non di più. Non abbiamo biso-gno di capri espiatori oggi. Non è così che si fa la democrazia.

E il rapporto con la politica? Nel confronto con loro, come vi trovate?Questo è un altro tasto dolente

per noi. Con la politica il rappor-to è sempre stato di dipendenza, quindi non c’è un confronto di ti-po paritario. Oggi abbiamo un governo di transizione che è mul-tipartitico, ma è difficile rappor-tarsi ai suoi componenti. Si fini-sce per privilegiare il già cono-sciuto, come i membri dei par-titi che erano nel vecchio parla-mento. Gli altri sono sconosciuti al pubblico e anche a noi. Come si può davvero dibattere, fare do-mande non dico difficili, ma al-meno un po’ spinose? Ripeto, sia-mo impreparati a questo.

Siete stati anche impreparati alla rivoluzione, o no? Quan-do la stampa ufficiale ha com-preso che era davvero finita?In realtà, fino all’ultimo mo-mento la televisione naziona-le non ha capito nulla. Avevamo le immagini delle manifestazio-ni, ma non le mandavamo. L’ul-tima notte, dopo il discorso di Ben Ali (il 13 gennaio, ndr) tra-smettevamo documentari a get-to continuo. Non c’era la capa-

cità di decidere, di scegliere. Al-la fine noi giornalisti ci siamo imposti, abbiamo detto basta, e aperto i microfoni alla gente. Ma solo dopo il 14 gennaio la tv di Stato ha riconosciuto che il Pa-ese era in rivolta. Prima, non lo ha fatto mai.

E così la Rete vi ha superato.La Rete siamo stati anche noi, che mettevamo sul web quello che non ci permettevano di scri-vere, di trasmettere. Certo, non si può negare che siano stati i me-dia attraverso internet a fare l’in-formazione. Sono loro che han-no sorpassato i media tradizio-nali e hanno raccontato. Ma que-sto, attenzione, non è giornali-smo. Su Facebook passano ogni giorno notizie vere e notizie fal-se, senza alcun controllo. Noi ab-biamo giornalisti capaci. Finora il sistema non ha permesso che di-mostrassero quanto valgono. Ora dobbiamo lottare per farlo.

Giornalisti senza guida che non sono più capaci di fare il

«Scontiamo ancora la mancanza di credibilità che ha la stampa e la disabitudine alle inchieste. Ma la pressione più forte la esercita ancora il potere»

>>Intervista>>

© G

RAC

E K

ASS

AB/

AP/

LAPR

ESSE

Page 5: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

domenica 20 febbraio 2011 5

Bagno di sangue firmatoGheddafi e mercenari

enghazi si è svegliata ie-ri fra l’odore di lamiera bruciata e dei corpi ri-masti sull’asfalto. Alle fi-

nestre, ancora decine di cecchi-ni. Ma intere strade del centro città erano già libere. Dall’ospe-dale di Al Jalaa, i dottori par-lavano di almeno 120 cadaveri stipati nell’obitorio. è il bilan-cio di un’alba di sangue, inizia-ta alle cinque di fronte al tribu-nale in cui alcune centinaia di manifestanti, fra i quali anche avvocati e giudici, si erano ac-campati per pro-testare contro il regime del co-lonnello Muam-mar Gheddafi, al potere da 41 anni in seguito al col-po di stato mili-tare contro il Re Idris Al Sanussi. Con le prime luci del sesto gior-no di lotta, chi era in piazza si è ritrovato a correre fra nubi di lacrimogeni e centinaia di pro-iettili sparati dalle Forze Spe-ciali del colonnello, cercando di trascinare via i morti fra i veico-li in fiamme. Era soltanto l’en-nesimo massacro. Soltanto ve-nerdì i funerali delle vittime del giorno precedente si erano tra-sformate in un nuovo bagno di sangue, con almeno 35 vittime cadute dopo il tentativo di oc-

Annalena Di Giovanni

B

Libia Decine di vittime negli scontri tra forze dell’ordine e manifestanti. Non è solo l’esercito a sparare, ma anche i sicari africani. Repressione anche nella comunicazione: internet tagliato per ore

cupare la Katiba di Benghazi, dove Gheddafi pianta le tende quando visita la ribelle Cirenai-ca. E ad aprire il fuoco non sono soltanto le forze speciali e i so-stenitori del Colonnello: stan-do a una serie di testimonian-ze video circolate su internet, a Benghazi e al Bayda ci sareb-bero anche i mercenari africani assoldati per uccidere chi dis-sente. Se nell’assoldare stranie-ri Gheddafi ricorda il re Khali-fa del Bahrain che arruola sicari dal Balucistan, nei mezzi di co-municazione la matrice è inve-ce egiziana: anche in Libia in-

ternet è stato ta-gliato. Si è tratta-to in realtà soltan-to di sei ore, ma so-no bastate per dare l’allarme sull’emer-genza in Cirenai-ca. Fra tagli e cen-sure è tuttora diffi-cile decifrare la si-

tuazione libica. Se in Cirenai-ca, regione che da sempre con-ta un’opposizione organizza-ta oltre che in società civile an-che fra confraternite sufi (la Sa-nussia che governava il Paese prima di Gheddafi), la protesta e la violenta repressione della polizia stanno mettendo a fer-ro e fuoco sia Benghazi che Al Bayda e villaggi circostanti. Tri-poli rimane sotto controllo. E non soltanto perché, fra censu-ra e mancanza di mezzi di co-

municazione, per esempio nel-le zone dell’entroterra, è qua-si impossibile sapere cosa suc-ceda. La Libia sembra effettiva-mente ancora spaccata fra una Cirenaica in cui i manifestan-ti sono pronti a tutto in nome della transizione verso la de-mocrazia, e una rete di allean-ze fedeli al Colonnello. Fedeli le tribù, i cui legami clanici garan-tiscono il controllo dei beduini, fedele tutta quella classe impie-gatizia dipendente dai proventi del petrolio, principale risorsa libica. Un’economia fortemen-te centralizzata rende il Gover-no pressoché unico datore di lavoro nel Paese, e per questo Muammar Gheddafi è corso ai ripari alzando gli stipendi a ini-zio settimana. Le manifestazio-ni in suo sostegno, tenutesi sia in Libia (dove il Colonnello, con la consueta grandeur, è sceso personalmente in strada), che di fronte alle sedi diplomatiche all’estero, sembrano conferma-re uno scenario ancora incer-to. Finché la rabbia esplode sol-tanto in Cirenaica, il colonnel-lo può ancora contare sul con-senso, o almeno sul silenzio, del resto della Libia. Unica svolta, in questi giorni di violenze, po-trebbe essere l’estensione del-la protesta anche all’ovest e al deserto. O, ancora, una defezio-ne da parte dell’esercito, maga-ri condotta dai figli ribelli dello stesso colonnello.

Finché la rabbia è isolata in Cirenaica, il Colonnello può contare sul consenso, o almeno sul silenzio, del resto del Paese

Sono liberi Marcus Hellwig e Jens Koch, i due giornali-sti tedeschi del quotidiano domenicale Bild am Sonn-tag, arrestati quattro me-si fa in Iran mentre ten-tavano di intervistare il fi-glio e l’avvocato di Saki-neh Mohammadi-Ashtia-ni, la donna iraniana con-dannata alla lapidazione per adulterio. Lo riferisce l’agenzia Isna, citando un comunicato del ministe-ro della Giustizia. La con-danna iniziale per i due re-porter era stata di 20 me-si di carcere, pena succes-sivamente commutata in 500 milioni di rials, circa 50.000 dollari a testa, pa-gati in contanti.

Giornalisti tedeschi liberi

Iran

Circa trentamila camicie rosse antigovernative thai-landesi sono scese in piaz-za ieri nella capitale Ban-gkok, nella quarta manife-stazione pacifica dall’inizio del 2011, in coincidenza del nono mese dalla repressio-ne delle proteste che hanno avuto luogo l’anno scorso. I manifestanti, espressio-ne delle classi medio-bas-se e rurali, sostengono l’ex premier in autoesilio Tha-ksin Shinawatra. Le mani-festazioni giungono dopo che il governo thailandese ha reintrodotto un provve-dimento che dà maggiori e ulteriori poteri alle forze di sicurezza.

Thailandia

Due persone, un poliziotto e un manifestante, sono mor-te nei violenti scontri nella capitale Gibuti, tra oppo-sitori del regime del presi-dente Ismal Omar Guelleh e forze dell’ordine. La prote-sta era organizzata dall’op-posizione contro il governo e per il rinvio delle elezioni dell’8 aprile. Inoltre, il capo del Partito del Gibuti per lo sviluppo, Mohamed Daoud Chehem, è stato arrestato, mentre Ismael Guedi Ha-red, presidente del Sinda-cato per un’alternativa de-mocratica, e Aden Robleh Awaleh, leader del Partito nazionale democratico, so-no ricercati dalla polizia.

Gibuti

Bangkok si tinge di rosso

Le proteste fanno morti

>>Esteri>>

è ancora in Bahrain la peggio-re emergenza umanitaria, do-po che venerdì la polizia ha at-taccato l’ospedale di Manama tagliando le linee telefoniche ai dottori per impedire di divul-gare la notizia che nell’obitorio si contavano almeno 60 corpi. Perlopiu’ vecchi e ragazzi, oltre che una ragazzina la cui foto ha fatto il giro del web. Il secon-do massacro della rotunda di Lulu – quando la polizia ha fat-to prima entrare i manifestan-ti che porgevano fiori e rami d’ulivo e poi ha aperto il fuo-co non appena si sono seduti – è stato seguito dall’annuncio del ritiro dei mezzi dell’esercito dalla città. Ormai sembra tardi per cercare la conciliazione: la gente dell’isola sembra inten-zionata ad abbattere non solo il regime di apartheid che rico-nosce piena cittadinanza ai so-li musulmano-sunniti, ma di-rettamente a liberarsi del re Al Khalifa. Impresa che pare im-possibile, visto il terrore della vicina Arabia Saudita di vedere una democrazia nel cuore del Golfo del petrolio, per giunta a maggioranza sciita. In Yemen, nella capital Sanaa, gli scontri fra manifestanti e milizie fedeli al regime hanno causato un al-tro morto ieri, mentre ad Am-man una scena simile – da un lato una protesta contro Ab-dullah di Giordania, dall’altro un corteo di sostenitori del re-gime – ha registrato 7 feriti. In-tanto in Algeria una cinquanti-na di manifestanti si sono visti negare ieri, con la forza, il per-messo di manifestare.

Paura e mortenel Golfo

Bahrain

©A

P/LA

PRES

SE

Page 6: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

domenica 20 febbraio 20116

Portici, il mercato è ecosolidaleCommercio In viale Leonardo da Vinci torna oggi il farmers market. L’iniziativa, di successo, è a cura dell’assessorato all’Ambiente

n tuffo nel passato con un occhio al futuro. Un ritor-no alle origini che si cele-bra la terza domenica di

ogni mese a Portici quando viale Leonardo da Vinci, la strada del-lo shopping, spegne le proprie ve-trine per trasformarsi in un carat-teristico mercatino dove le paro-le d’ordine sono eco-compatibili-tà e biologico. Un appuntamento fisso da quasi 5 anni per i cittadi-ni che, grazie all’iniziativa dell’as-sessorato all’Ambiente guidato da Franco Santomartino, hanno ri-scoperto il piacere di passeggia-re a piedi tra i banchi che espon-gono i prodotti della terra coltiva-ti biologicamente o a “chilome-tri zero”, nel rispetto dell’ambien-te e della salute dei consumatori. In quest’arteria di norma traffica-tissima si ricrea così un’atmosfera nella quale adulti e bambini risco-prono la possibilità di acquista-re alimenti genuini senza l’assillo del tempo che corre veloce, di in-contrare amici e scambiare quat-tro chiacchiere scegliendo vino e dolci artigianali provenienti da aziende agroalimentari certifica-te. Ma come nasce tutto questo? «Il mercatino ecologico di Por-tici – afferma l’assessore Santo-martino - è nato inizialmente da un progetto della Regione ed era dedicato solo al settore del biolo-gico. Poi il Comune, e l’assessora-to all’Ambiente nello specifico, ha voluto ampliare questo momento

Diego Penna

Ufacendolo divenire un vero e pro-prio “farmers market”, con la col-laborazione di Coldiretti, Bio Lo-gica e Cia, nell’ambito del quale la campagna entra nella città offren-do i propri prodotti». Ma definire questo momento di vita cittadina semplicemente come “mercato” è un po’ riduttivo. viale Leonardo da Vinci in quest’occasione diventa una vetrina del sociale con stand di associazioni e cooperative ope-ranti nel terzo settore. «L’assesso-rato all’Ambiente – prosegue San-tomartino – ha voluto legare sem-pre il market ai temi sociali. Ogni appuntamento ha un’impron-

ta specifica ed evidenzia di volta in volta un tema. Nel corso degli anni abbiamo dedicato spazio al-la ricerca di fonti energetiche al-ternative, all’immigrazione con la cooperazione con il consolato del Senegal, al riciclo e riuso dei ri-fiuti con la cooperativa Ambien-te e Cultura, alla tutela degli ani-mali, alla lotta all’inquinamen-to ambientale ed elettromagne-tico e così via. Il tutto con l’ausi-lio di associazioni di volontaria-to come Fare Verde, Ricomincio da tre, Abeta, Associazione Alex Langer, e altre». «L’appuntamento di quest’oggi è dedicato alla cono-

scenza del cioccolato – spiega Lu-igi Esposito della segreteria citta-dina dei Verdi –. Grazie ad alcuni produttori che hanno sposato la filosofia dell’impatto ambientale zero si potranno conoscere i pro-cedimenti per la produzione di questo dolce tanto amato, men-tre con gli agronomi dell’associa-zione Univino i partecipanti effet-tueranno un percorso sensoriale alla scoperta di questo prodotto». Questo mese anche Terra avrà un suo spazio grazie al volontariato militante dei Verdi porticesi che distribuiranno copie del giornale più attento ai temi dell’ecologia.

Terra Napoli A cura di Francesco Emilio BorrelliInfo: [email protected]

La città di Portici è tra le cit-tà campane tra le più impe-gnate nella difesa e cura de-gli animali. Molte le inizia-tive intraprese dall’ammi-nistrazione, tra le quali la prossima apertura di un uf-ficio apposito per la tute-la degli animali gestito in collaborazione con l’asso-ciazione Abeta e l’Asl loca-le. Tra le attività del nuovo ufficio comunale ci sarà la microchippatura di cani e gatti per combattere la pia-ga dell’abbandono. Proprio l’associazione Abeta, pre-sieduta da Stefano Fiorenti-no, si è ritagliata uno spazio importante nell’ambito del mercatino ecologico men-sile dove si promuove l’ado-zione consapevole di cani e gatti abbandonati sul terri-torio comunale. Un angolo quello dei cuccioli frequen-tatissimo dai bambini e che ha permesso di trovare una famiglia a centinaia di ran-dagi. Ma non solo. I volon-tari dell’associazione, in oc-casione del mercatino, of-frono anche consulenze ve-terinarie e comportamen-tali, informazioni legali ine-renti ai diritti e ai doveri dei possessori di animali d’af-fezione, effettuano raccol-te alimentari per i randagi e, proprio ai più piccoli, for-mazione sul corretto com-portamento da tenere in presenza di cani sconosciu-ti col supporto di materiale prodotto dal ministero del-la Salute ed edito dall’asso-ciazione stessa. Altro pun-to di attrazione del merca-tino è quello dedicato al ri-ciclo ed al riuso creativo dei rifiuti e dei materiali di scarto. I volontari dell’asso-ciazione offrono ai cittadini idee e conoscenze tecniche per fare di un oggetto in di-suso destinato alla discari-ca, qualcosa di nuovo e uti-le. Ad ogni appuntamen-to è grande la curiosità in-torno allo stand di Ambien-te e Cultura in una città che, grazie all’impegno dei citta-dini e dell’amministrazio-ne comunale ha una delle percentuali di raccolta dif-ferenziata più alta di tutta la Campania divenendo un modello positivo da espor-tare anche fuori regione.

d.p.

Nasce l’ufficiotutela animali

Iniziative

di Gianni Simioli

Al Pacinoè il nome d’arte con cui è conosciuto il salerni-tano più potente del Festival. è uno dei quattro look- maker che devono vestire (in certi casi svesti-re) adeguatamente: orchestrali, vallette porta-fiori e ovvia-mente i presentatori e le bellone di turno.

Sanremo Mastelloni Su Radio Marte Leopoldo Mastel-loni ha commentato tutte le serate del Fe-stival. E, in ordine sparso, ha distrutto tutti. Patty Pravo? Quando canta dal vivo cataliz-za ancora l’attenzione del pubblico perché uno si domanda: vediamo se anche stavolta ce la fa a distruggere ‘na bella canzone. An-na Oxa? La bambola assassina. Max Pezza-li? Ti fa venire voglia di farti una doccia tan-to sembra sporco. E di Morandi? Speriamo che tutte le tinture per capelli che gli hanno fatto in questi giorni alla fine non lo avvele-

nino. Salva Belen Rodriguez e An-na Tatangelo. La prima perché

è bella-bellissima, la signora D’Alessio perché almeno sa cantare.

Sal Da VinciIl terzo posto di qual-che Sanremo fa è arriva-

to accompagnato dal pa-dre (anche lui cantante fa-

moso in città). Passeggia sempre nei paraggi degli studi

mobili radiofonici e televisivi. Saluta tutti con affetto dando per

scontato che tutti sappiano chi sia.

Giggino FuriosoD’Alessio è arrivato direttamente da New York dove si è esibito per gli italiani d’Ameri-ca al fianco di star del calibro di Liza Minnel-li e Paul Anka. Incazzato nero con Morandi e Mazzi (direttore artistico del Festival). Dice ai suoi fedelissimi: Non dovevano farmi lo sgar-ro di eliminare Annarella mia! Dalla suite del grande albergo Royal telefona chiunque sia in grado di garantire alla Tatangelo interviste,

copertine, ospitate televisive e passaggi ra-diofonici della canzone “Bastardo”.

Morandi teme GigginoDicono anche che Gianni Morandi faccia di tutto per non incontrarlo.

Napoli bastardaI musicisti e artisti napoletani (anche quelli bocciati da Morandi) si divertono con il gio-co: Quale canzoni ha plagiato Giggino per comporre la musica del pezzo della sua An-narella? C’è chi non ha dubbi: ha l’inizio di Una canzone per te di Vasco Rossi e il ritor-nello di Un amico in più di Cocciante.

Nino D’AngeloL’ex caschetto biondo non ha voluto saper-ne di guardare il Festival. Non ha digerito che la critica abbia esaltato Van de Sfroos, il cantante simbolo della Lega che ha presen-tato un pezzo il dialetto bergamasco. Ricor-da ancora. Amaramente, che lo scorso anno lo fecero a pezzi perché alla gara si presentò con una canzone in lingua napoletana che tutti accusarono di essere incomprensibile per un festival della canzone italiana.

Gossip

O’ festivallo visto da NapoliLa rubrica dello speaker di Radio Marte Stereo, autore del blog www.napospia.it

Page 7: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

domenica 20 febbraio 2011 7

GiradischiOverlookHotel

>>Media Mix>>

Mali d’Americain odor di Oscar

è voluto un po’ di tempo, cioè la concomitanza con la notte de-gli Oscar ormai prossima, per ve-dere sui nostri schermi una del-

le pochissime occasioni in cui si può par-lare a ragion veduta di “altro cinema” in ri-ferimento all’industria di Hollywood, an-che in virtù della “altra America” che vie-ne rappresentata e narrata, quella dimen-ticata, nera e mortale della provincia pro-fonda, del Missouri per l’esattezza. Il te-sto filmico in questione si chiama Un geli-do inverno, traduzione italiana riduttiva di Winter’s bone, titolo dalle molteplici con-notazioni e contenente già alcune impor-tanti premesse: oltre al significato lettera-le, ben chiaro nel crudissimo finale (che ov-viamente non sveliamo), il senso più “nar-rativo” è anche quello di “denaro inverna-le”, oggetto del contendere che anima e muove lo snodarsi della trama. La vicen-da, dark e tesissima, che possiamo consi-derare una favola al contrario, ha al cen-tro una bambina che bambina non è: la di-ciassettenne Ree, armata di tutta la volon-tà del mondo per andare a caccia del padre scomparso, reo di aver ipotecato la casa di famiglia per sfangare la galera e il giro del-la droga. Vive in una catapecchia in mezzo ai boschi, si alza per spaccare la legna, pre-parare la colazione ai fratellini e alla madre demente e per setacciare il territorio, rom-pendo le scatole alle cattive amicizie pater-ne, ricevendo neint’altro che sputi e minac-ce di morte da una comunità malata che

C’

Il reggae, il più solare tra i generi musica-li, ha un problema: quello di dire la veri-tà, che, si sa, è spes-so scomoda. Paro-la tagliente e ritmo in levare sono le armi che l’ordine va a silenziare: ve-di la chiusura del festival italiano Ro-totom, punta di un iceberg di stra-falcioni italiani, frutto di una classe dirigente ignorante che soffoca e di-scrimina il libero pensiero. Date que-ste premesse, il titolo Musica ribelle (Bizzarri Records/Self) parla da so-lo: è il manuale di resistenza compi-lato per il suo esordio solista da Gin-ko, membro della storica crew ro-mana Villa Ada Posse, che in quasi venti anni si è guadagnata un posto di primo piano sulla scena reggae-raggamuffin nazionale. La vena can-tautorale del musicista, espressa in romanesco, emerge tra i ritmi, pre-valentemente in stile new roots, co-struiti e suonati da Marco “Magista” Evangelista, si avvale di una solida squadra di colleghi e saltella tra de-nuncia accorata, ironia e giocosità. I temi compongono il puzzle orribi-le del Belpaese di oggi: donne ogget-to, politiche anti-migranti, ambien-te deturpato, paure costruite a tavo-lino e la surreale mistificazione sma-scherata in “Non mi svegliate”, au-tentico tormentone, che descrive un mondo alla rovescia rispetto all’era berlusconiana: un Paese dove tutto va bene, la politica è utile alla gen-te, non c’è corruzione, non esistono cemento e inquinamento ed è scom-parso anche il male supremo: il tele-visore. d.c.

Ginko, reggae per tempi buiLa pellicola indipendente

Un gelido inverno, cupo dramma ambientato nel Missouri, è l’outsider dei prossimi Academy Awards. Giusta consacrazione per lo scrittore Daniel Woodrell

di Diego Carmignani

si mantiene raffinando cocaina. Neanche una via d’uscita o un briciolo di pietà da-vanti alla caparbia ragazzina interpreta-ta da Jennifer Lawrance, da sola contro un animale selvaggio e criminale: il marciume degli Stati Uniti. Ora, dai patinati (e quanto mai incerti) Academy Awards verrà la con-sacrazione o meno di questa pellicola, gira-ta da Debra Granik e già trionfatrice al pre-stigioso Sundance, nonché al nostro festi-val di Torino. Qualora si affermasse anche tra una settimana al Kodak Theatre, a sa-lire alla giusta ribalta, possiamo scommet-terci, non sarebbero tanto i realizzatori e i volti di questo scomodissimo dramma ma-de in Usa, quanto un nome: Daniel Woo-

drell, l’autore del romanzo da cui il film è tratto, edito in Italia da Fanucci editore, co-me le altre sue opere. Cinquantatreenne da Ozark, Missouri, attivo in campo letterario dal 1986, Woodrell può essere annoverato nella schiera dei narratori americani con-temporanei capaci di generare storie toc-canti e tribolate, con al centro affetti e fa-miglia, e tutto intorno un orrore dato dalla società malata, ormai moribonda, dipinta come senza tempo, ma identificabile con un semplice nome: America. Ispirazione urgente e vincente, che ha il suo vertice, tra cinema e letteratura, nel western urbano di Cormac McCarthy, a poche miglia dalla ru-ralità sanguinosa di Woodrell.

MilanoCOLOSSEO viale Monte Nero , 84 Il Grinta Sala Berlino 17:30 20:00 22:30Che bella giornata Sala Cannes 18:40 20:30 22:30Il padre e lo straniero Sala Locarno 20:30 22:35Qualunquemente Sala V 15:00 16:50 18:40Femmine contro maschi Sala Sundance 15:00 18:15 21:30

ELISEO MULTISALA via Torino, 64Un gelido inverno Sala Kubrick 17:50 20:15 22:30La versione di Barney Sala Olmi 18:40 20:30 22:30Gianni e le donne Sala Scorsese 18:40 20:30 22:30Il discorso del re Sala Truffaut 17:50 20:15 22:30

TorinoAMBROSIO CINECAFE corso Vittorio Emanuele , 52 Skyline Sala 1 17:50 20:15 22:30Vallanzasca Sala 2 18:10 20:15 22:30Vi presento i nostri Sala 3 18:10 20:15 22:30

ARLECCHINO corso Sommeiller, 22Che bella giornata Sala 1 15:30 18:30 21:30La versione di Barney Sala 2 18:10 20:15 22:30

ELISEO via Monginevro, 42 Qualunquemente Sala 1 17:50 20:20 22:30Il Grinta Sala 2 17:30 20:00 22:30Il discorso del re Sala 3 18:45 20:40 22:35

GREENWICH VILLAGE via Po, 30Che bella giornata Sala 1 15:30 18:30 21:30La versione di Barney Sala 2 16:00 19:00 22:00Vi presento i nostri Sala 3 17:30 20:00 22:30

KING KONG MICROPLEX via Po, 21Un altro mondo Sala 1 17:50 20:15 22:30

MASSIMO via Verdi, 18Un gelido inverno Sala 1 18:10 20:20 22:30Gianni e le donne Sala 2 17:50 20:10 22:30

NAZIONALE via Pomba, 7Il Grinta Sala 1 18:10 20:20 22:30Il discorso del re Sala 2 18:00 20:10 22:30

ROMANO galleria SubalpinaAnother year Sala 1 17:30 20:30 22:30La donna che canta Sala 2 18:00 20:15 22:30Il Cigno nero Sala 3 17:50 20:10 22:30

GenovaARISTON vicolo San Matteo, 14/rGianni e le donne Sala 1 15:30 17:30 21:15Che bella giornata Sala 2 15:00 17:00 21:15

CITY vicolo Carmagnola, 9Un gelido inverno Sala 1 15:30 17:30 21:15Il padre e lo straniero Sala 2 15:30 18:00 21:15

CORALLO via Innocenzo IV, 13/r Il cigno nero Sala 1 15:30 18:30 21:30Another year Sala 2 15:30 18:30 21:30

ODEON corso Buenos Aires, 83/rFemmine contro maschi Sala 1 15:00 18:00 21:00Qualunquemente Sala 1 15:00 18:00 21:00

SIVORI salita S. Caterina, 12Il discorso del re Sala 1 15:30 17:50 20:30Amori e altri rimedi Sala 2 15:30 17:50 20:30

BolognaARLECCHINO via Lame, 57 Gianni e le donne Sala 1 18:10 20:20 22:30

EUROPA via Pietralata, 55/aIl discorso del re Sala 1 18:30 20:30 22:30

jOLLY via Marconi, 14 Il Cigno nero Sala 1 18:10 20:20 22:30

ODEON via Mascarella, 3Il padre e lo straniero Sala A 18:10 20:20 22:30La donna che canta Sala B 15:00 18.15 21:30Il truffacuori Sala c 16:00 18:10Qualunquemente Sala D 20:20 22:30

RIALTO via Rialto, 19La versione di Barney Sala 1 16:00 19:00 22:00Un gelido inverno Sala 2 16:00 19:00 22:00

ROMA via Fondezza, 14Another year Sala 1 16:00 19:00 22:00

Firenze

ASTRA II CINEHALL piazza BeccariaFemmine contro maschi Sala 1 18:05 20:20 22:45

COLONNA ATELIER lungarno Francesco Ferrucci, 23Stanno tutti bene Sala 1 18:15 20:45 22:30

FIORELLA ATELIER via Gabriele D’Annunzio, 15La versione di Barney Sala 1 18:15 20:30 22:45

FLORA ATELIER piazza Dalmazia, 2/rIl Grinta Sala 1 18:15 20:30 22:45

ODEON CINEHALL via degli AnselmiUn giorno della vita Sala 1 20.:30

RomaCIAK via Cassia, 692 Che bella giornata Sala 1 18:00 20:30 22:30La versione di Barney Sala 2 18:10 20:30 22:30

EDEN FILM CENTER piazza Cola di Rienzo, 74/76La versione di Barney Sala 1 18:30 20:40 22:40Il discorso del re Sala 2 19:10 21:00 22:40La donna che canta Sala 3 18:10 20:20 22:40Hereafter Sala 4 18:20 20:30 22:30

EURCINE via Liszt, 32Qualunquemente Sala 1 17:15 20:10 22:30Il discorso del re Sala 2 18:30 20:30 22:30Biutiful Sala 3 18:20 20:25 22:30Another year Sala 4 18:20 20:25 22:30

FIAMMA via Bissolati, 47Il discorso del re Sala 1 17:15 20:00 22:30 Il cigno nero Sala 2 16:15 19:15 22:15True Grint Sala 3 16:15 18:20 22:30

GIULIO CESARE via Giulio Cesare, 229Il grinta Sala 1 17:15 20:10 22:30 Another year Sala 2 18:20 20:25 22:30Gianni e le donne Sala 3 18:20 20:25 22:30

GREENWICH via Bodoni, 59Another year Sala 1 17:50 20:10 22:30La versione di Barney Sala 2 17:50 20:10 22:30Gianni e le donne Sala 3 17:50 20:10 22:30

INTRASTEVERE vicolo Moroni, 3/aInto Paradiso Sala 1 17:50 20:10 22:30Un gelido inverno Sala 2 18:20 20:25 22:30Biutiful Sala 3 18:10 20:20 22:30

jOLLY via Giano della Bella, 4/6Il Grinta Sala 1 18:30 20:30 22:30Femmine contro maschi Sala 2 18:30 20:30 22:30Il cigno nero Sala 3 16:15 18:30 Immaturi Sala 4 17:30 20:00 22:30

KING via Fogliano, 37Il Grinta Sala 1 17:15 20:10 22:30Il discorso del re Sala 2 18:20 20:25 22:30

MAESTOSO via Appia Nuova, 416-418Il Grinta Sala 1 18:30 20:30 22:30Femmine contro maschi Sala 2 17:15 20:10 22:30Il discorso del re Sala 3 17:15 20:10 22:30Gianni e le donne Sala 4 18:20 20:25 22:30

METROPOLITAN via del Corso, 7Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni Sala 1 18:20 20:25 22:30The tourist Sala 2 18:20 20:25 22:30Precious Sala 3 18:20 20:25 22:30The social network Sala 4 17:15 20:00 22:30

MIGNON via Viterbo, 11Il Grinta Sala 1 17:30 20:10 22:30Into Paradiso Sala 2 18:10 20:10 22:30

NUOVO OLIMPIA via in Lucina, 16/gThe king speech Sala 1 17:15 20:00 22:30Black Swan Sala 2 18:20 20:25 22:30

QUATTRO FONTANE via delle Quattro Fontane, 23Another year Sala 1 17:15 20:00 22:30Gianni e le donne Sala 2 18:20 20:25 22:30Un gelido inverno Sala 3 18:30 20:30 22:30Hereafter Sala 4 18:20 20:25 22:30

TIBUR via degli Etruschi, 36Un gelido inverno Sala 1 17:30 20:00 22:30Il discorso del re Sala 2 17:30 20:00 22:30

NapoliFILANGIERI MULTISALA via Filangieri, 43/ via Vetriera, 12Il Grinta Sala Rossellini 18:20 20:30 22:30Il discorso del re Sala Magnani 18:30 20:30 22:30Another year Sala Mastroianni 18:30 18:30

La programmazione nelle sale in collaborazione con Circuito cinema (www.circuitocinema.com)

Page 8: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

domenica 20 febbraio 20118

Il 29 aprile del 1992 il Comitato Inter-ministeriale Prezzi emanò il famigerato provvedimento conosciuto come Cip6, attraverso il quale la Edison del Gruppo Montedison, la Sondel del Gruppo Falck ed i petrolieri privati (trasformando i co-sti dei residui di raffinerie in ricavi!) be-neficiarono di sostanziose entrate produ-cendo energia elettrica. L’impresa fu pos-sibile attraverso uno dei soliti machiavel-lismi semantici italiani. Bisognava pre-miare le energie pulite, e non potendo es-sere considerato pulito il gas, e ancor me-no i residui di raffineria, questi diventa-rono “fonti assimilate”. Un nuovo più co-stoso “mostro finanziario”, oltre che “na-no industriale”, sta nascendo nel nostro paese: il nucleare riversato sulle spalle dei cittadini italiani. Prescindendo dal bana-lizzato problema delle scorie, dalla proli-ferazione, dal passaggio da un mercato, quello dei prodotti petroliferi in cui so-no presenti 20 produttori (13 OPEC e 7 non OPEC), a quello dell’uranio, control-lato dalle “7 cugine”, e che il combustibile pronto per l’impiego (uranio arricchito) è fornito da 4 società (Areva, Urenco, Rosa-tom, Usec), esiste una consapevole mini-mizzazione del costo dell’energia elettri-ca da fonte nucleare. Un coacervo lobbi-

stico infine spinge per la formazione del nuovo fardello da caricare su contribuen-ti e consumatori. Il Governo nel docu-mento “Nuovo Programma Nucleare Ita-liano”, così come a Cernobbio è stato fatto nel Rapporto presentato da Enel e Edf, ci-ta lo studio dell’Agenzia per l’Energia Nu-cleare per dimostrare l’economicità del nucleare. Si chiede all’oste se la minestra è buona! Il chilowattora (kwh) del nucle-are costerebbe secondo il Governo 6 cen-tesimi di euro. Questo valore altro non è che una media tra i valori forniti dal NEA (Nuclear Energy Agency) variabili tra 58 e 99 dollari. L’ampia variabilità è dovuta all’uso del tasso di interesse applicato sul capitale investito. Tale variabilità suscita una doverosa critica alla colpevole legge-rezza del Governo. Il tasso d’interesse ap-plicato è infatti “irreale” e corrisponden-te al 5%. Ufficio del Budget del Congres-so degli Stati Uniti, Camera dei Lord del Regno Unito, Commissione Europea, Isti-tuto di Ricerca di Palo Alto USA, Massa-chusetts Institute of Technology (una del-

le più importanti Università di ricerca del mondo), Agenzia di rating Moody’s, nes-suno di questi utilizza il tasso “marzia-no” del 5% nel calcolare il costo del Kwh da nucleare. La consapevole sottostima del Kwh nel nostro Paese sconta la cer-tezza che un nuovo, costosissimo one-re sarà scaricato per 50 anni sulle spal-le dei cittadini. Inoltre la pressione lobbi-stica è fortissima sugli apparati decisio-nali. I riscontri? Contrariamente a quan-to previsto dall’art. 7 del DL 112/2008, che recita “nessun onere“ per lo Stato, inter-viene l’art. 17 del DLgs 31/2010 che sta-bilisce “copertura finanziaria e assicura-tiva contro i ritardi e la messa in eserci-zio degli impianti”. Si presti attenzione: non il riconoscimento dei costi sostenu-ti, ma un generico danno che potrà esse-re dilatato a piacere considerata l’impos-sibilità di calcolo! Si aggiunga la priorità di dispacciamento, ovvero la precedenza riconosciuta all’energia elettrica nuclea-re per l’entrata nella rete elettrica. L’an-tieconomicità del nucleare è dimostra-

ta anche dalle garanzie federali concesse per circa 8 miliardi di dollari a due reat-tori AP 1000 che sorgeranno in Georgia; questi, contrariamente a quelli da instal-lare in Italia, sono reattori con sicurezza passiva certificata! In Italia, inoltre, viene chiesta la certezza sul prezzo di vendita del nucleare (altro che pianificazione co-munista), insomma garanzia per il rien-tro dell’investimento e congrua remune-razione dell’investimento. Altro che mer-cati liberalizzati dell’economia e rischio d’impresa! Notevole la posizione dell’Au-torità per l’Energia, che nel documen-to “Orientamenti finali e confronti inter-nazionali sul mercato della capacità pro-duttiva di energia elettrica”, afferma che gli oneri del nucleare vanno scaricati sui consumatori. La stessa AEEG, per le rin-novabili, si è pronunciata per lo sposta-mento degli oneri sulla fiscalità genera-le. Incredibile il silenzio sull’evidenza che notevoli capacità di centrali a gas instal-late saranno fermate a causa del nuclea-re. Considerato che il Kwh prodotto attra-verso il gas ha un costo inferiore a quello del Kwh nucleare, risulta evidente, al di là di ogni altro discorso, che la bolletta elet-trica degli italiani aumenterà considere-volmente.

>>Commenti>>Le donne e la politica il veneto sotto

una cappa di smog, e l’arpav che fa?

Ma l’Arpav, Agenzia regio-nale per la protezione am-bientale del Veneto fa dav-vero il suo dovere e control-la l’inquinamento atmosferi-co e quindi la salute dei ve-neti? Dall’autunno scorso i dati pubblicati sul sito web dell’agenzia non consentono una immediata lettura della qualità dell’aria. Chi abita a Vicenza da mesi può leggere solo le informazioni di una centralina, e per giunta po-sta in una zona di basso traf-fico; le altre dieci mantengo-no il silenzio. A Verona solo 5 centraline su 11 danno le informazioni sui livelli degli inquinanti. E così a Venezia, dove troviamo 5 centraline su 10. Il sito web dell’agen-zia, dall’autunno scorso, ha sospeso la pubblicazione dei bollettini di previsione me-teo che garantiscono alla popolazione informazione giornaliera sulle concentra-zioni di polveri Pm10. Sem-pre dall’autunno 2010, il si-to web dell’Arpav ha sospeso l’accesso ai dati dell’archivio storico delle tabelle dei da-ti validati. Sono stati sospesi anche i dati relativi alla me-dia annuale del benzo(a)pi-rene e del Pm10. Eppure tut-to il Veneto da settimane è sotto una cappa di smog. Pa-dova ha esaurito i 35 giorni di superamento del Pm10 concessi dalla Comunità eu-ropea; raggiungeranno il pri-mato, a breve, anche le altre città venete. Da ora in poi la regione viene posta in zona di infrazione comunitaria.

Associazione Aduc

Sarebbe d’obbligo, dopo le grandi manifestazioni di que-sto mese, avviare nuove ri-flessioni e proposte sul com-plicato rapporto donne, poli-tica, potere. Dopo diversi an-ni di impegno politico e am-ministrativo nelle istituzioni mi vado convincendo che in tutti gli organismi istituziona-li dovrebbero essere previste, per legge, non quote rosa, ma il 50% della presenza femmi-nile. Le donne costituiscono più del 60% della popolazione mondiale e contribuiscono, in modo determinante, sia nel-le società povere che in quel-le più avanzate alla vita delle famiglie, e sono attive in tut-ti i settori della società . Nel-la politica, dove il problema è la rappresentanza, non il me-rito, diversamente da quanto pensavo qualche anno fa so-no convinta che non sia più possibile lasciar fare al buon cuore degli uomini e dei par-titi. Le donne dovrebbero ri-vendicare una rappresentan-za paritaria non perché sono diverse dagli uomini, ma per-ché esistono; per altro tendo-no a sgobbare di più; quando sono in politica, sono serie, ri-gorose e rispettose delle rego-le . Questa valutazione non è solo mia, ma risulta di diversi questionari realizzati nel no-stro paese. Le donne si sono spesso interrogate sulla radi-ce della differenza, dell’esse-re di fatto diverse dagli uomi-ni, spostando il loro campo di indagine dai problemi sociali e politici al terreno delle pra-tiche simboliche, cioè di tut-te le attività che mediano la coscienza e il comportamen-to umano, dal modo di parla-re al modo di collocarsi del-la donna fra le donne e in se-no alla società. Come ci ha in-segnato l’antropologa Ida Ma-gli, noi occidentali tendiamo

a fare discorsi assoluti, come se tutto il mondo fosse occidenta-le. La nostra cultura è portatri-ce di un rapporto con la natu-ra e con gli altri uomini fondato sull’idea di dominio. Anche il rap-porto con la scienza è stato vi-sto, per esempio da Bacone qua-le rapporto sessuato, tra maschio e femmina, il maschio portatore della scienza e la natura sua spo-sa. Dal 500 in poi si è affermato un concetto di natura in cui l’uomo, sessuato maschio aveva un rap-porto sponsale con la natura che era di dominio. Come la donna era sottomessa all’uomo nel ma-trimonio così la natura era sot-tomessa al maschio nella scien-za. Questo lungo itinerario cul-turale rende difficile ipotizzare un rapporto con l’ambiente, con la natura che non sia di dominio. E d’altra parte oggi per affronta-re i problemi dell’inquinamento ci affidiamo ancora alla scienza, in una visione spesso, però ridu-zionistica. Per non parlare della maternità vista come esperien-za idilliaca: quello è stato un rap-porto terribile, di conflitto e di-sperazione. La mortalità per par-to è stata la massima causa di morte per le donne sino alla fine dell’800. È facile oggi parlare del-

la maternità ma perché grazie a Dio si muore molto meno di par-to. L’esperienza delle donne con l’agricoltura è sempre stata duris-sima perché a loro sono stati la-sciati i lavori più pesanti, più in-grati, meno gratificanti, tagliare il fieno, tagliare il grano… Anche che la donna sia più vicina alla natura è una proiezione del ma-schio, non è un’esperienza della donna. È il maschio che ha mes-so la donna dalla parte della na-tura e lui dalla parte della cultu-ra. Le donne lì ci si sono ritro-vate, perché a quello erano state assegnate. Ma è una proiezione del desiderio maschile È il ma-schio che ha bisogno di ogget-tivare la natura, oggettivando il corpo della donna. La differen-za femminile non è una differen-za per natura. L’uomo ha proiet-tato sulla donna tutte le proprie paure. La paura del corpo della donna come un corpo aperto al trascendente, perché attraver-so il corpo della donna nasce il bambino. Tutto questo ha fatto paura all’uomo… Adesso c’è una forma di livellamento metafisi-co-religioso: la laicità, l’ateismo. Si tratta di una costruzione cul-turale che , poi le donne l’abbia-no introiettata, questo è norma-

le. La differenza sessuale è valsa soprattutto a dare po-tere al maschio. Quindi non è sulla differenza che fonde-rei la mia proposta di presen-za paritaria delle donne nelle istituzioni. Piuttosto sul fatto che ci portiamo dietro un re-tagggio di soprusi non indif-ferenti: In Italia come donne abbiamo avuto il voto dopo la seconda guerra mondiale : si-no ad allora le donne non po-tevano votare. Che le donne possano studiare tutto, sino a qualche anno fa non era con-siderato giusto: non c’erano donne magistrato, adesso ci sono e nessuno si azzarda più a dire che la donna non può fare il magistrato perché ha le mestruazioni (in certi giorni – questa era la motivazione – la sua capacità di giudizio non era abbastanza oggetti-va). Ida Magli allora soste-neva la necessità di un parti-to delle donne. Io mi accon-tenterei che tutte le donne si impegnassero almeno a rag-giungere il diritto alla parità, sarebbe una grande conqui-sta. Pensando a tutti gli scan-dali urlati, alle escort di que-sto inizio secolo, sarebbe dav-vero una buona idea.

*assessore ai parchi storici, decrescita e Patto dei Sindaci

del Comune di Genova

Pinuccia Montanari*

Pinocchio, Dell’Utri e MangiafuocoAll’inizio ho pensato a uno scherzo. Poi ho controllato. E’ tutto vero. Mercoledì prossimo, alla Biblioteca del Senato, Marcello Dell’Utri presenta il libro Le avventure di Pinocchio della Silvio Berlusconi Editore.

Rassegnastanca [email protected]

Costi e oneri del nucleare in ItaliaErasmo Venosi

Page 9: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

Segue a pagina 3

olio

su te

la -

Il re

è n

udo

- su

gent

ile c

once

ssin

e de

ll’aut

ore,

Gab

riel

e di

Mat

teo

LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA

Inserto del quotidiano Terra. Settimanale di Cultura,

Spettacolo e Comunicazione.

Ideato e diretto da Giulio Gargia.

Progetto grafico: Bottega Creattiva/Pippo Dottorini.

In redazione: Arianna L’Abbate.

Webmaster: Filippo Martorana

domenica 20 febbraio 2011 anno 2 n. 7

Nudo di fiNe regime

tvEscalation del pasticcio digitale. Nella guerra delle frequenze le Tv locali ita-liane invadono la Coazia e la Slovenia, e rischiano di innescare una reazione a catena, che aggraverà la confusione dell’etere.

SAtirAIl Rubygate raccontato ai vostri bambini. Un doveroso lavoro di interpretazione dello scandalo, necessario perchè i nostri figli non siano turbati dalle maliziose insinuazioni mediatiche date a un gesto di beneficenza.

ComiCSIl mondo dei fotoreporter è in subbuglio, alla spasmodica ricerca delle foto perdute dei festini del premier. Trame e tranelli del mercato delle immagini che tutti vogliono e nessuno pubblicherà.Fantasia? No, solo cronaca. A fumetti.

www.3dnews.it - [email protected]

il buNgA-buNker

di Lorenzo Luciano

Stupid mediase scoppia la bolla

Prima di tutto hanno rincoglionito i con-sumatori e gli elettori. All’inizio è stato fa-cile: qualche culo, qualche tetta, pubblici-tà e spogliarelli, e la pianta della stupidità è cresciuta rigogliosa. Gli investimenti in stupidità davano grandi profitti, che - in parte - potevano essere reimpiegati per instupidire ancora di più consumatori ed elettori. Era un sistema a reazione positi-va, in cui gli effetti rafforzavano la causa che li generava. La stupidità e i guadagni parevano destinati ad aumentare senza fine. Ma i sistemi reali hanno dei vincoli, che in prima approssimazione non ven-gono considerati, ma che ne determinano l’andamento. Il primo vincolo è che la crescita della stu-pidità non è lineare; non può cioè crescere all’infinito. In altre parole: una volta che qualcuno è stato rincitrullito per bene, non è facile rincitrullirlo ancora di più. E poi: una volta rincitrulliti i soggetti più facili, non è altrettanto a buon mercato raggiungere tutti gli altri. E la stupidità deve anche essere accudita se si vuole che consumatori e gli elettori facciano quel che si desidera. Sono così arrivati al pun-to in cui occorre spendere sempre di più solo per mantenere il livello raggiunto. Reti televisive, giornali, pubblicità, calcia-tori, campionati, grandi fratelli, talk show, menzogne e paura, un castello sempre più complesso e costoso per evitare che qual-cuno apra gli occhi e smetta di comprare e votare a comando. Ma neanche questo basta per trovare - se non gli antichi gua-dagni - almeno un punto equilibrio, per-ché è in agguato un secondo vincolo: uno stupido non può produrre ricchezza, può solo dissipare quel che possiede in televen-dite, pay-tv e gratta e vinci.

Il povero B è disperato. Vestito è peggio che nudo. Nudo è peggio che vestito. Asserragliato nell’etere, dal suo bunker virtuale compra tutto quello che può : deputati, spazi Tv, foto vere e fotomon-taggi falsi. Esige dai suoi vassalli RAI lo jus primae seratis , blindando la campagna elettorale con Vespa e Sgarbi per 3 giorni alle 21 su RAI UNO, poi ispira ( copyright Alessio Butti ) un regolamento per i pro-grammi di viale Mazzini che fa invidia a Breznev ( il doppio conduttore e la satira par condicio sono trovate sublimi, so-spese tra Groucho Marx e Kafka ) . I suoi feldmarescialli mediatici però danno se-gno di nervosismo, il pensiero del “burqa bunga “, ovvero l’eliminazione delle con-traddizioni tramite il televoto e la mani-polazione delle menti hanno un limite ( a fianco ce lo spiega un professore blogger ). Le mutande pazze di Ferrara semina-no disagio anche nella Chiesa, in chi non riesce più a spiegare ai suoi parrocchiani quale sia il senso della corsa di quella “

cienza al limite del disprezzo dagli Usa, che lo tengono sotto schiaffo, aiutando-lo fino al momento in cui servirà a loro. Oggi conta sulla debolezza dell’opposi-zione parlamentare, scommette sull’in-consistenza della “versione di Fini “. Ma sono solo trastulli di fine regime. Ma co-munque il punto è che B è nudo come un verme. Spera di essere il verme della Lega. Ma la Lega è una mela stregata. Umberto Bossi ha finito la benzina: il federalismo è in panne. Hai voglia di far finta che sia la soluzione di tutti i problemi. Non ci crede più nessuno, neanche i fedelissimi del Carroccio. L’asse Berlusconi-Bossi è un semiasse che si è scassato sul terreno accidentato del populismo. Nell’ Era del gossip, nella dimensione antropologica di una politica fatta di foto scabrose, la fotografia politica del Bossi “che la Lega ce l’ha duro” fa un poco tristezza. La ve-rità sembrerebbe essere che quello che ce l’ha duro è alla mercè di quello che c’ha il sedere flaccido.

zoccola impazzita “ ( cit. Nicole Minetti, ibidem ) che è ormai la linea del governo tra economia, giustizia, intercettazio-ni, lavoro e donne. E vedere gli stessi del bunga bunga riproporsi campioni della famiglia cristiana con un po’ di soldi per le parrocchie in mano, forse non lo reggono nemmeno quegli storici venditori di in-dulgenze d’Oltretevere. Intanto, i giornali del premier applicano “ la continuazione della politica con altri mezzucci “ , per dirla con Massimo Clausetwitz D’Alema, e dopo le foto di lui col pellicciotto a Saint Moritz, “scoopano” quelle di Vendola nudo in Calabria 30 anni fa. Palliativi. Per-chè chi è davvero nudo è il premier, nudo senza meta. B porta sfiga: la storiella del-la nipote di Mubarak? Mubarak ha perso il potere. La pratica del bunga-bunga, per imitare le amazzoni di Gheddafi? Ghed-dafi attualmente sta vedendo i sorci verdi per le proteste di piazza contro il suo regi-me. B è nel bunker, nudo come un verme. Trattato – ci dice Wikileaks - con suffi-

di Marco Ferri

Page 10: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA Anno 2 Numero 7- febbraio 2011

Internet, arriva il Bungle BungleL’obbiettivo è informare in maniera originale quelli che si perdono nel mare di news

II

L

Mondo Web

Nasce un motore di ricerca ad hoc sullo scandalo Ruby; parla l’autore

Tutti «I nemici della Rete»

o sviluppo della rete in Italia è frenato da un esplosivo mix di sot-tocultura e interessi.

Troppo facile prendersela col Ministro Romani per non aver dato le gambe al piano di infra-strutturazione per 1 miliardo e 400 mila euro che portava il suo nome, ma di certo è difficile aspettarsi dal governo capitana-to da un tycoon della televisione un grande piano digitale di ri-lancio del paese che passi attra-verso Internet e le potenzialità della società civile che l’affolla. Oggi si torna a parlare di legge bavaglio nonostante le smentite del premier. Una legge aperta-mente osteggiata dalla rete an-che perchè prevedendo l’obbligo di rettifica per i siti amatoriali - pena una multa salata - avreb-be minato alle fondamenta il meccanismo di produzione dal basso di news in un ecosistema dell’informazione di cui anche i blog personali oggi fanno parte a pieno titolo. Molti vi avevano visto un interesse specifico dei potenti di silenziare un’opposi-zione sociale che si esprime an-che attraverso Internet. Ma da

questo punto di vista ancora più grave appare la delibera con cui l’AgCom, a dispetto del decreto Romani del marzo scorso, si at-tribuisce la facoltà di inibire en-tro cinque giorni l’accesso a siti segnalati per un’ipotetica viola-zione del copyright. La delibera non definisce i soggetti titolati a fare la segnalazione, non intro-duce alcun criterio di valutazio-ne del merito della segnalazio-ne, salta a piè pari le prerogative assegnate dalla Costituzione a magistratura e polizia. Come non pensare che ci sia dietro un’intenzione di “deterrenza” nei confronti di chi fa libera in-formazione? Chi ci garantisce

che il dispositivo oggi in consul-tazione fino a marzo non sarà usato in maniera arbitraria con-tro le voci critiche verso gover-no, imprese, lobby d’interesse? Ma c’è di più. Dall’analisi dei ca-blogrammi di Wikileaks emerge che da almeno cinque anni gli Stati Uniti premono per influen-zare il quadro regolatorio delle telecomunicazioni e della pro-prietà intellettuale in Italia e in Europa. Il pacchetto Telecom, i negoziati Acta (Accordo Anti Contraffazione), ne sono un esempio a livello europeo, men-tre gli incontri fra l’ex ambascia-tore Ronald Spogli e i funzionari del Ministero degli esteri dicono quanto l’Italia tenesse a fare bel-la figura con il potente alleato adottando pratiche draconiane di enforcement dei diritti d’au-tore. In questo contesto ciò che stupisce è la straordinaria somi-glianza fra la delibera AgCom (668/2010 del dicembre 2010) e la proposta americana “S.3804 - Combating Online Infringement and Counterfeits Act”. Stessa lo-gica, stessi provvedimenti: black list dei provider, spegnimento dei DNS, blocco degli utenti, nessuna indagine di merito ver-so i presunti responsabili delle

Nel libro edito da Bur, chi sono, cosa vogliono, come combatterli

violazioni. Con una importante differenza: nella legge ameri-cana si presume che l’Avvocato Generale dello Stato mostri a una corte le prove di tale atti-vità criminosa, mentre in Italia no. Per questo nel Belpaese una coalizione di associazioni ha attivato la campagna “sitonon-raggiungibile.it” per chiedere una moratoria sui futuri effetti della delibera, affinchè il Parla-mento possa legiferare in ma-teria. Da questi soli esempi, “I nemici della rete” sono tanti. E non è difficile trovarli. Sono co-loro che dalla disintermediazio-ne portata da Internet vedono terremotate le proprie rendite di posizione. Fra questi ci sono anche i giornali e i giornalisti. E’ tempo di parlarne approfon-ditamente per capire che la rete è un grande alleato nello sforzo della ricerca della verità e che rappresenta una grande oppor-tunità per rinnovare una profes-sione - nata in un’altra epoca e in un contesto sociale oggi profon-damente mutato – che con essa non compete più solo in termini di velocità.

* autore del libro omonimo , in-sieme a Alessandro Gilioli

di Arturo di Corino *

Bungle Bungle non ha par-tito, non ha colore; ma ha uno scopo ben preciso: ren-dere facilmente accessibile a tutti, informazioni che altri cercano di nascondere, confutare, sminuire ... e se fosse anche vero che si sta violando la privacy di una persona è altrettanto vero che questa stessa persona, nel passato e nel presente ha fatto di tutto per manipolare le genti, dimostrando ipocri-sia e falsità. È ora di cambia-re, è ora di informarsi ...BungleBungle nasce in con-trapposizione al caos gene-rato e voluto dai mass-media nel momento in cui occorre divulgare o insabbiare infor-mazioni di interesse comune. Verso la fine del 2010 il popo-lo italiano è stato spettatore di un vero e proprio scempio della politica e dell’uso che, ormai, ne fanno gli addetti ai lavori. Un vero e proprio intreccio di relazioni e rap-porti basati esclusivamente su favoritismi (economici, politici, sessuali) è emerso dalle intercettazioni gene-rando una vera e propria marea nera sociale . Lo scopo è comprensibile, è evidente che viviamo in un Paese nel quale i mass-media vengono pilotati per far filtrare quanto basta a ri-empire una scaletta che dia una mezzoretta di intratteni-mento agli spettatori, spesso farcita di servizi spazzatura. È in atto un preoccupante e lento processo di medio-cratizzazione della società che passa dall’istruzione e termina in ciò che vediamo ogni giorno in TV. Bungle-Bungle è prima di tutto una provocazione e in secondo luogo uno strumento che si auspica possa aiutare l’uten-te ad avere accesso a infor-mazioni difficili da reperire (in questo caso specifico le intercettazioni riguardanti il caso Ruby) Attualmente l’unica fonte per effettuare le ricerche sono le trascrizioni delle intercettazioni riguar-danti il caso Ruby, il primo popolamento del Database è stato effettuato mediante un processo automatizzato ma ciò non toglie che ce ne potrebbero essere altri e po-trebbero coinvolgere qual-siasi tipo di informazione ritenuta ‘scomoda’

*L’autore del sito

PeRchè L’ho cReaTodi Marcello Barile

i chiama Bungle Bun-gle l’ultima frontiera della ricerca sul caso Ruby che sta rischian-

do di affossare il presidente del consiglio Silvio Berlusco-ni.Ma cos’è? Si tratta di un ve-ro e proprio motore di ricerca che aiuta l’utente nella ricer-ca delle informazioni e delle intercettazioni sul caso Ruby. Per capirne un po’ di più ab-biamo sentito Marcello Ba-rile, l’ideatore del sito: “Bun-

Sdi Marcello Perrone gle.it è nato quasi per ‘gioco’

nel senso che circa una setti-mana fa mi è venuto in men-te questo nome ‘Bungle Bun-gle’ che è un simpatico mix tra Google e l’ormai tormen-tone ‘bunga bunga’ (tra l’al-tro Bungle in inglese significa ‘pasticcio’ quindi mi è subito piaciuta questa strana coinci-denza)”. Facile, no? Quindi…Bunga Bunga + Google ed ec-co fuori che esce Bungle Bun-gle. Ma il riferimento al brand Google non termina qui. In-fatti, anche i colori della scrit-

ta Bungle Bungle sono identi-ci a quelli di Google così co-me anche i due pulsanti tipici di Google. Se nella home del motore di ricerca della casa di Mountain View troviamo da una parte “Cerca” e dall’al-tra “Mi sento fortunato” nel caso di Bungle Bungle trovia-mo “Cerca su Bungle” e “Mi sento intercettato“. Abbiamo fatto diverse prove ed effet-tivamente il sito funziona e aiuta a trovare tutti gli sms e i testi delle telefonate che so-no state raccolti dalla Procu-

ra di Milano. Un lavoro sicu-ramente certosino e Marcello ci tiene a precisare che “l’in-tero sistema è stato scritto ad hoc e che non ci appoggiamo a servizi di terze parti per le ricerche”. Un motore di ricer-ca ben collaudato e che mo-stra tutti gli attori della vicen-da: Nicole Minetti, Emilio Fe-de, Lele Mora, Sara Tommasi e tanti altri. Insomma una bella trovata in un periodo diffici-le, un modo per informare in maniera divertente e origina-le coloro che finora non l’ave-vano fatto. E il nostro inter-locutore non ci nasconde la possibilità di far continuare la vita del sito ben oltre il pro-cesso in cui Berlusconi è im-putato per concussione e pro-stituzione minorile: “Ci ren-diamo conto che l’idea era ed è vincente per cui stiamo se-riamente meditando sul pro-trarre la vita di Bungle.it an-che successivamente ai fatti le-gati alle intercettazioni e quin-di inglobando altri tipi di do-cumenti che vengono pubbli-cati ogni giorno ma che passa-no in sordina.”

http://www.webdopera.com

Page 11: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

Anno 2 Numero 7 - Febbraio 2011 LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA IIIMonitor

Blitzkrieg digitale, l’Italia sfonda a estCroazia e Slovenia invase abusivamente dai palinsesti delle tv locali

Italia ha invaso la Croa-zia e la Slovenia e presto replicherà in altri Paesi della sponda adriatica.

Nel mirino, per il momento, ci sono Bosnia, Albania, e Mon-tenegro. Poi forse sarà la volta della Corsica. Per fortuna non ci sono morti e feriti perché soldati e carri armati non cen-trano nulla. Tutto, infatti, è si è consumato nell’etere, ben al di sopra delle teste dei cittadini, a livello di frequenze televisi-ve. La vicenda, una sorta Risi-ko 2.0, è la conseguenza logica del modo ‘sui generis’ con cui il nostro Governo sta condu-cendo il passaggio al digitale tv. Procediamo con ordine. Il danno principale, per ora, è che in diverse case croate e slo-vene non si vedono i program-mi delle emittenti del posto ma quelli italiani. Esponenti della tv di Stato di Lubiana hanno puntato il dito contro la scor-rettezza degli italiani parlando di sconfinamenti volontari che si sono intensificati a partire dalla scorsa settimana. Dalla Croazia, invece, qualche gior-no prima, sono arrivate le la-gnanze ufficiali del ministro degli Esteri Jandrokovic, che,

di Eugenio Bonanata

L’

dopo alcune sollecitazioni ca-dute nel vuoto già a dicembre, ha esortato a chiare lettere il collega italiano Frattini ad im-pegnarsi per trovare una so-luzione. Dunque un incidente diplomatico in piena regola. La causa del problema sembra ormai ragionevolmente chiara. Nel digitale italiano lo spazio per tutte le tv non c’è e il Go-verno, preoccupato di assegna-re posti ottimi e abbondati a Mediaset e Rai, non si fa troppi scrupoli a spedire oltre confine i più sfigati. Questo consente di dare comunque un contenti-no agli editori locali, cioè una bella frequenza fiammante, in modo da evitare seccature nel breve periodo. Poi si vedrà. Ora il problema è che ci hanno sco-

perti. L’unica possibilità è un passo indietro da parte delle sfortunate protagoniste, cioè alcune locali che si conferma-no anello sempre più debole della catena. Secondo Thomas Panto, Editore di Antenna 3 Nordest, “Si chiederà di ridur-re la potenza del segnale o di spostare il trasmettitore se non addirittura cambiare frequen-za dopo aver abituato l’utenza alla quella sintonizzazione”. Difficile pensare ancora al digi-tale come opportunità. “Questo – spiega – vuol dire mandare in fumo il patrimonio di un’azien-da”. Cosa fare dunque? “Io farei causa allo Stato come ci inse-gna il premier Berlusconi”. Una reazione probabile. Del resto chi ha consentito alle tv loca-

li italiane di Veneto e Friuli di utilizzare quelle frequenze? Lo Stato Italiano, appunto, che peraltro non ha rispettato una vecchia regola nazionale che impone di riservare un terzo delle frequenze alle locali e neanche precisi trattati inter-nazionali sui limiti delle emis-sioni. Tali trattati, tra le altre cose, hanno previsto fin dal 2006 un numero di frequenze ridotto per il digitale televisivo in Veneto e Friuli, proprio per tutelare lo spazio riservato ai paesi vicini. Successivamente il Piano nazionale delle frequen-ze ha fotografato tutto questo. All’indomani della sua pubbli-cazione, però, alcune emittenti locali italiane di quelle aree, tra cui quella di Panto, nel timore di essere discriminate, avevano presentato ricorso al Tar. A get-tare acqua sul fuoco era stato il Ministero dello Sviluppo Eco-nomico, il quale, in autunno, al termine di una missione in Croazia e Slovenia, aveva tirato fuori le frequenze assicurando – nero su bianco in un comu-nicato - la risoluzione di ogni tipo di problema con i vicini. Dal ministro Romani nessun commento, mentre nelle regio-ni italiane cresce il timore per l’arrivo del digitale.

Le tecniche del Burqa bunga

ispondere alle domande? No, piuttosto attaccare i giornalisti. Il libretto d’istruzione del Cavaliere

è chiaro. Fate “ammuina” e pun-tate sul conduttore, fazioso, co-munista e prevenuto. Cosa che sistematicamente hanno fatto gli arruolati del Cav., nel gran casino (è il caso di dire) dello scandalo Ruby e seguenti.Mentre a sinistra il linguaggio ri-mane parlamentare e forbito (la costituzione, Montesquieu, la proposta in commissione) o etico (la decenza, il privato, il pubblico) o da affari esteri (che diranno di noi negli altri paesi?), a destra si menano le mani. Come i barbari in Campidoglio. Secoli di impero e raffinatezze, poi vengono quelli lì, senza Catullo e Giovenale, e dico-no i padroni siamo noi.Ma veniamo agli arieti della legio-ne di guastatori. Lasciamo stare la bambinata di La Russa che dà pedate a Formigli (ultima puntata di Annozero) o l’estasi un po’ avvi-nazzata di Ferrara sulla repubbli-ca puritana illiberale o la furbata di Formigoni family day, che per l’occasione dice di voler “difendere l’uomo e il suo limite”. Veniamo al

Rmanuale di istruzioni. I legionari del Cav., nel pieno della tempesta, sono a Ballarò e Annozero. Sanno che devono rispondere a doman-de e servizi imbarazzanti. Raccon-teranno la favoletta della nipote di Mubarak, diranno del complotto dei magistrati e daranno del mora-lista a chi ci vede del marcio. Non prima però d’aver delegittimato trasmissione e conduttore. Se costui è un fazioso, tutte le infor-mazioni, che sta dando al grande pubblico, sono false. Ergo: fate am-muina con i giornalisti, spianate la strada, poi passateci sopra con la storia della nipote egiziana.Santanchè ad Annozero di qual-che puntata fa: “Mi sembra di es-sere, in questa trasmissione, in una succursale della Procura di Milano. Come lei (Santoro, ndr) ha iniziato questo programma (“Il fidanzato d’Italia”) –uso un termine gentile- è schifoso, perché senza una con-trapposizione (e chi è lei, una di sinistra? ndr) mimare le intercetta-zioni è schifoso, è fazioso, quindi io stasera mi comporto come se fossi di fronte a un pm”. E uno. Più avan-ti: “Io non so se lei (sempre Santoro, ndr) non finirà sui giornali, perché magari anche lei non è così etico”. E due. “Lei (ancora il giornalista travestito da pm, ndr) non è libero,

è schiavo di un’appartenenza, della sinistra”. E tre.Ruby? La concussione? E che c’en-trano. Qua si parla di Rai. E tanto per non far mancare la frase ad effetto sull’argomento: “Chiedo da domani una firma per lo sciopero del canone Rai, perché siamo stufi di pagare programmi che disin-formano e mistificano, che sono contro l’Italia”. Grandioso. Lo vo-gliamo fare anche noi lo sciopero del canone Rai, per il digitale che per molti non funziona.Avanti il prossimo. Il ministro Ro-mani a Ballarò: “La sentenza è già stata emessa dalle parole di Croz-za e dai servizi che lei (questa volta Floris, ndr) ha presentato. La cosa più clamorosa è la giornalista del Corriere (Sarzanini, ndr) che dice che nelle 389 pagine di intercetta-zioni si parla di scene di sesso e di sesso a pagamento. E’ falso”.C’era pure Rotondi alla puntata di Ballarò (“Il paese è fermo”), perché si sa che il contraddittorio nelle tra-smissioni comuniste non c’è. L’in-cipit del ministro per l’attuazione del programma è sicuramente ro-tondo: “E’ una vicenda inesistente. Berlusconi è una persona speciale. Una festa a casa sua è improntata non solo all’onestà, ma all’elegan-za”. L’unico che usa un argomento.

Da apprezzare. Non era consape-vole, però, che l’argomento non era il Cav., ma i giornalisti.Sempre a Floris, che si affanna a fare una puntata sulla “Politica e gli italiani”, il ministro Sacconi risponde (si fa per dire): “Mi colpi-sce questa trasmissione che è co-minciata con un messaggio molto fazioso. Io non riesco a ridere di Crozza e dei suoi comizi” e via de-nunciando sulla pericolosità delle sue parole e sui rischi delle botti-glie molotov. Giù dalla torre anche la satira, ma non è una novità.Passiamo di categoria: dai megafo-ni della ditta ai liberi professionisti dell’engage. Lele Mora al telefono con Formigli (Annozero di giove-dì scorso): “Comunista di merda, spero che vengano i fascisti e ti spezzino le gambe”. Era semplice-mente nervoso.Ci si consola, invece, col giorna-lismo d’approfondimento. Vespa, il primo febbraio scorso, cerca di spiegare porta a porta la differen-za tra un’amante e una prostituta. A Radio 1, pochi giorni fa, Aldo Forbice col suo Zapping riapre il libretto d’istruzione e taglia corto: “Parlare di Santoro? Non ne vale la pena, nemmeno lo guardo”. Sicuro: il problema non è Berlusconi, ma il collega di Annozero.

I LIMITI DELLA TV DEFICIENTE

Ed allora ecco che gli stu-pidi non sono più in grado di assicurare quel flusso di denaro che prima sostene-va la crescita del sistema e si scordano persino di an-dare a votare. La reazione ha dunque cambiato segno, ora è negativa: gli sforzi per rincitrullire non si ripagano più, sono una perdita. Sia-mo arrivati al punto in cui investire sulla stupidità non solo costa di più di quanto se ne possa ricavare, ma ac-cade anche che la stupidità accumulata negli anni ha raggiunto la massa critica tale da bloccare il sistema. Ed ecco che il sistema si sgretola: chi sfrutta non ot-tiene più nulla dagli sfrut-tati e gli sfruttati - nella loro ebete incoscienza - non san-no né dove sono precipitati né il perché e tantomeno come uscirne.

Da http://allegriadinaufra-gi.blogspot.com

Continua dalla prima

Il libretto di istruzioni della Cav ai suoi emissari in tv: fate ammuina

di Toni Medina

Page 12: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA Anno 2 Numero 7- febbraio 2011IV Racconto

operazione spyoneAlla ricerca delle foto perdute

Il mondo dei media visto con gli occhi di un precario, poco meno che trentenne, sempre in cerca di lavoro come cameraman e/o fotografo

Treddì I fatti e i personaggi illustrati da questo racconto sono basati su notizie di cronaca. Le fonti sono

consultabili su www.3dnews.it

Page 13: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

Anno 2 Numero 7 - Febbraio 2011 LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA VRaccontoSCUOLA ITALIANA DI

FUMETTOIllustrazione graphic design

web designsceneggiatura

Animazione 2D 3dscript: Paco Desiatodisegni e colori: Daniele Sansone

Allora, si tratta di questo … ho avuto questa foto di Vendola, che gira nudo in un camping gay.

In questo momento è una immagine che si può

vendere bene…

E a chi ?

A quelli che la tengono in un cassetto, per pubblicarla quando serve....E’ un giro che conosco, l’ho fatto già altre

volte... guarda, queste sono tutte foto che non hai visto sui giornali.. eppure

gliele ho vendute io...

Ti giro i contatti... ti mando da Signorini, Feltri e Sallusti...

sono questi quelli che comprano

‘ste robe...

Ma perchè ti rivolgi a me?

Ma ti devi muovere subito. Devi dire a

ognuno di loro che li hai offerti anche alla

concorrenza...

Io ‘ste cose le sto dicendo ai magistrati e sono sorvegliato... e pure Vittorio è indagato .. se li

portiamo i poliziotti in redazione, questi ci segano per sempre...

invece a te non ti conosce nessuno …. pagheranno bene

e ci guadagnamo tutti … ma devi fare in fretta...

Speriamo si muova, tra 3 giorni ‘ste foto saranno su Internet

e non varranno più nulla....

Uhm.. qui si lavora con

servizi segreti e politici. Meglio

fare qualche verifica prima di partire... se devo fare il burattino,

vorrei capire almeno chi tira i fili....

Page 14: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA Anno 2 Numero 6- febbraio 2011VI Satira

testi: Tommaso Vitiellodisegni e colori: Andrea Scoppetta e Gianluca Maconcoordinamento: scuola italiana di fumetto Comix

Il Bunga Bunga spiegato ai più giovaniSerVIzIo puBBlICo

Page 15: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

Anno 2 Numero 6 - Febbraio 2011 LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA VII

Il Cairo, quando la rivoluzione è andata in TVCome l’informazione ha vinto la sua battaglia contro l’oscuramento

è una storia nel-la storia della rivo-luzione egiziana. Quella della batta-

glia per l’informazione. Ricorde-rete Shahira Amin, la conduttri-ce del canale satellitare in ingle-se che si era dimessa per prote-sta contro la censura. E’ stata so-lo la prima. Il giorno dopo si è di-messa Soha el Nakash, conduttri-ce del telegiornale in arabo, an-che lei denunciando che mentre migliaia di persone scendevano in piazza contro Mubarak la tele-visione di Stato parlava dei giardi-ni della first lady. Nei primi gior-ni della crisi, i programmi della Tv si dilungavano sulle rivendi-cazioni economiche dei manife-stanti, senza mai dire che voleva-no le dimissioni di Mubarak. Di-cevano che erano pagati, che rice-vevano pasti gratis dai fast food, li accusavano di essere al servizio di agenti stranieri, di un complotto ordito insieme da Hamas, da Hez-bollah e dagli Stati Uniti (manca-vano Pippo e Topolino). Said, un collega che lavorava per l’agenzia

di Riccardo Chartrouxw

C’di Stato Mena, mi racconta dei suoi lanci da piazza Tahrir, parla-va di migliaia di manifestanti che in rete diventavano decine, scri-veva che la polizia sparava e il suo capo correggeva: i dimostranti sparano. Ma poi il muro della cen-sura ha cominciato a incrinarsi. Il primo canale ha ospitato un mu-sicista, Ammar El Sherei, che ha discusso con la conduttrice. “Si vergogni!” le ha detto. “La gente ha occhi, dove sono le migliaia di manifestanti pro-Mubarak di cui parla?” Il 30 gennaio Reem Nour, una inviata di 22 anni della tv, è andata dal suo capo e gli ha gri-dato: la gente ride di noi, d’ora in poi non accetto censure. Va bene le ha risposto lui, vai e porta le no-tizie. Per la prima volta la collega ha potuto parlare ai telespettato-ri delle richieste dei manifestan-ti. “In redazione avevano capito” racconta Reem, “che il vento stava cambiando”. Al giornale governa-tivo Al Ahram i giornalisti hanno votato un documento di protesta e il direttore Omar Saraya, fiero difensore del regime, ha scritto un editoriale in cui lodava la nobiltà della rivoluzione e chiedeva rifor-me. Molti giornalisti hanno prote-stato contro il presidente del loro sindacato Ahmed Makram Mo-hammed che si è dimesso il gior-no in cui Mubarak vacillava. Si è capito che era finita quando la Tv ha messo in sovraimpressione un banner: “l’Egitto sta cambian-

do”… I giornalisti del servizio pub-blico sono bravi a fiutare il vento (intendo in Egitto, naturalmente). Tra le richieste presentate ora dal comitato rivoluzionario ai milita-ri c’è quella di assicurare la com-pleta libertà di stampa, nella clas-sifica mondiale di Reporters sen-za Frontiere l’Egitto è al trenta-cinquesimo posto. Ma a riempi-re i silenzi della stampa ufficiale in questi anni sono stati i blogger. Kareem Amer, arrestato più vol-te e rilasciato solo il giorno del-la fine del regime, Wael Ghonim, il manager di Google diventato il simbolo della rivoluzione con la sua pagina Facebook “siamo tut-ti Khaled Said”, dedicata a un ra-gazzo ucciso da poliziotti corrot-ti perché aveva messo su internet un filmato in cui prendevano sol-di dagli spacciatori. E poi gli al-tri, Zeinobia, El Shaheed, Bahey-ya, Sandmonkey, tutti nomi fami-liari ai giovani egiziani come Ana Ikhwan, il primo blogger dei Fra-telli Musulmani, e il movimento 6 Aprile su Internet e soprattutto su Facebook. Sono stati loro a im-porre alla attenzione del pubbli-co fatti di cui i media ufficiali non parlavano mai, come le aggres-sioni a giovani donne durante la festa dell’Eid di tre anni fa, nega-ta da polizia e giornali come leg-genda metropolitana e svelata dai blog finché anche la televisione ne ha dovuto parlare. O le violen-ze contro gli omosessuali da par-

te dei poliziotti. Nei primi gior-ni della rivolta il regime ha chiu-so Internet ma ha dovuto rinun-ciare, non serviva a niente perché i giovani avevano trovato il modo di collegarsi lo stesso ma soprat-tutto stavano andando in banca-rotta migliaia di call center, in pie-no boom in Egitto: lavorano tut-ti con il VoIP, le chiamate in rete. Non ci sono solo le piramidi… La rivoluzione egiziana ci ha rivelato un ceto medio arabo vitale, atten-to, assetato di informazioni, e una categoria di giornalisti che era, certo, asservita al regime ma den-tro il quale crescevano energie sa-ne, voglia di raccontare la verità contro le censure. Se l’Occidente vuole davvero incoraggiare le for-ze della democrazia e della liber-tà al di là del Mediterraneo, la bat-taglia dell’informazione è cruciale ? Perché non trovare il modo per offrire solidarietà ai giornalisti ve-ri, e sono tanti quelli che voglio-no farla finita con censure e veri-tà di regime?

Da www.articolo21. Org

Quando l’Egitto è rimasto senza Rete

MediAoriente

ames Glanz e John Mar-koff in un lungo articolo sul New York Times rico-struiscono quanto avvenu-

to nei giorni della protesta con-tro Mubarak, quando il governo è riuscito a bloccare la Rete. Il blocco fu rimosso dopo cinque giorni ha fatto nascere diverse preoccupazioni sulla possibili-tà che lo scontento in altre aree del Medio Oriente possa portare alcuni governi autoritari – molti dei quali già noti per aver inter-ferito in particolari siti web e nel-le email – a possedere quello che di fatto è un sistema per bloc-care Internet. Per propria natu-ra, la Rete è fatta in modo tale da aggirare i blocchi imposti dai go-verni, consentendo agli utenti di usare strade secondarie per in-viare e ricevere dati attraverso i loro computer, per questo moti-vo quanto avvenuto in Egitto ha sorpreso gli esperti di telecomu-nicazioni. Caduto Mubarak, in questi ultimi giorni ingegneri e tecnici hanno iniziato a ricostru-ire quanto accaduto lo scorso 28 gennaio. Dai primi dati sem-bra che le autorità egiziane sia-no riuscite a ottenere un risulta-

to così esteso sfruttando diver-se vulnerabilità dell’infrastruttu-ra egiziana. Il governo egiziano, del resto, controlla fisicamente la rete sulla quale passano i da-ti che circolano all’interno e ver-so l’esterno del paese. Come ac-cade in numerosi paesi autori-tari, in Egitto le vie di comuni-cazione per collegare la rete egi-ziana a quella globale sono po-che e molto controllate. I tecni-ci hanno così disattivato queste vie di accesso, isolando in bre-ve tempo buona parte della rete nazionale. In teoria, Internet a li-vello interno sarebbe dovuta so-pravvivere a questo colpo. Ma la chiusura ha dimostrato quanto le reti egiziane interne ricevano costantemente dati da sistemi che risiedono al di fuori del pae-

se, compresi i servizi per le email delle società come Google, Mi-crosoft e Yahoo; i centri dati de-gli Stati Uniti e gli elenchi dei si-ti web chiamati “domain name server”, che possono trovarsi fi-sicamente ovunque dall’Austra-lia alla Germania. Mancando l’afflusso di dati dall’esterno, la rete egiziana ha iniziato a fun-zionare malamente. L’infrastrut-tura continuava a essere in linea, ma mancandone dei pezzi non consentiva agli utenti di naviga-re, consultare i social network o la loro posta elettronica. Le au-torità egiziane sono anche in-tervenute fisicamente su alcu-ni sistemi per fermarli e bloccare il passaggio dei dati. Il governo controlla Telecom Egypt, la so-cietà di telecomunicazioni che

possiede buona parte dell’infra-struttura in fibra ottica egiziana. Le altre società che vendono le connessioni alla Rete, i provider, devono affittare i cavi dell’azien-da di stato. Alle autorità è quindi bastato poco per isolare l’Egitto. Stando ad alcune fonti che vo-gliono restare anonime, consul-tate dal New York Times, le au-torità egiziane avrebbero mi-nacciato i provider riluttanti a staccare la spina prospettando l’ipotesi di un taglio netto del-le reti in fibra ottica di Telecom Egypt, procedura che avrebbe poi richiesto molto tempo e ri-sorse per ripristinare la connet-tività. Molti provider non furono nemmeno avvisati della decisio-ne drastica assunta dal governo nella notte tra il 27 e il 28 gen-naio. Come hanno ampiamen-te dimostrato i fatti, la decisione del governo di spegnere Internet non ha arrestato la rivolta. For-se ha complicato l’organizzazio-ne delle manifestazioni, ma al tempo stesso ha indotto molte più persone a protestare contro il governo e le sue censure.

Da www.ilpost.it

L’analisi del NYT sul blocco del web nel paese durante la rivolta

J

maghREbRIbELLI ON LINE

Quando ero in piazza per gi-rare immagini della rivolu-zione la gente mi fermava e mi ringraziava, gli egiziani vogliono che il mondo sap-pia, veda, parli con loro. In-ternet è il ponte tra le due sponde del Mediterraneo, troviamo modi per usarlo, e per adesso chi va su Twit-ter può usare #Feb12 per la rivolta in Algeria. E #Feb17 per la rivoluzione promes-sa in Libia e intitolata ad Omar Mukhtar l’eroe del-la resistenza contro l’Italia (a proposito, il nostro ami-co Gheddafi ha vietato ogni ripresa televisiva nel Paese per il 17, giorno delle mani-festazioni, significa un mas-sacro senza testimoni). E c’è #Feb11 per lo Yemen, ma soprattutto #Feb14 oppure #25Bahman per l’Iran che ci riprova… C’è un mondo in movimento, non stiamo al-la finestra. APPROFONDIMENTI - Mol-ti dei blog sono in arabo. Al-cuni sono cambiati o inatti-vi dopo la rivoluzione. Le pagine principali in ingle-se per ora sono: Siamo tut-ti Khaled Said: http://www.elshaheeed.co.uk/ Su Fa-cebook: http://www.face-book.com/groupph p?gid =38588398289&v=info#!/el-shaheeed.co.uk Baheyya: ht-tp://baheyya.blogspot.com/ Zenobia è a http://egyp-tianchronicles.blogspot.com/ Sandmonkey è a www.sandmonkey.org ma per ora irraggiungibile Pagina ufficiale del movi-mento 6 aprile: http://sha-bab6april.wordpress.com/shabab-6-april-youth-mo-vement-about-us-in-en-glish/ Movimento 6 aprile su Facebook: http://www.facebook.com/group.php? gid=38588398289&v=wall Un buon aggregatore di blog arabi in inglese è http://qwaider.com/ Per quanto ri-guarda il sindacato dei gior-nalisti è ancora presto per capire quali saranno i con-tatti validi e seri. R.CH

Page 16: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA Anno 2 Numero 7 - febbraio 2011VIII Schermi

Page 17: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

immagini di alessandro Ferraro

della domenica

MondoMani pulite

nelle Filippinepag. 20

ArteSpazio astrale

pag. 21

IntervistaA colloquio

con lo scrittore Cynan Jones

pag. 22

LetteraturaCamilleri

parla di cuorepag. 23

Creativitàmeridiane

Il Mezzogiorno dello scrittore

Maurizio Brauccipag. 24

Raccolti in volume gli scritti di Langer, uno dei padri

nobili dell’ambientalismo italiano. Prima di morire

suicida il 3 luglio 1995 a Firenze, scrisse

in un biglietto destinato a noi tutti: “Non siate

tristi, continuate in ciò che era giusto”

Le idee di Alex

Page 18: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

18 domenica 20 febbraio 2011 Memoria

di buono c’è nel passato e nella sua custo-dia. In un’intervista con Adriano Sofri, che fu il leader carismatico di Lotta Con-tinua, Langer spiega che le persone che venivano dai movimenti della fine degli anni Sessanta e dei Settanta trovavano nella riconversione ecologica un modo concreto per tenere insieme il desiderio di cambiamento dell’esistente e la possi-bilità effettiva di farlo: senza sprofonda-re, come alcuni fecero scegliendo la lotta armata, nell’annichilimento dell’altro. «Io uso a proposito della questione dei rap-porti fra sinistra e Verdi - dice Langer - un paragone che ti sembrerà strano, ma è efficace, col rapporto fra Vecchio e Nuo-vo Testamento, com’è visto dai cristiani: c’è la continuità, le profezie incompiute, le speranze di liberazione, ma poi è solo nel Nuovo Testamento che si compiono, e attraverso una rottura».

Le radici sud tirolesiLanger era di origini sud tirolesi, di lingua madre tedesca, figlio di un medico ebreo e di una farmacista di religione cristiana. Le sue prime attività sociali avvennero proprio nell’orbita dell’impegno cattolico. Nell’Alto Adige diviso tra cittadini di lingua italiana, tedesca e ladina, la sua preoccu-pazione precoce (ma costante) fu quella di sperimentare l’insegnamento che ave-va ricevuto in famiglia, ossia riconoscere le differenze e cercare di farle dialogare. In quegli anni, tra le altre cose, animò un mensile in lingua tedesca, in alcuni casi aperto al bilinguismo, che insisteva molto sul valore della comprensione reciproca. Il metodo sperimentato nella sua terra d’origine in gioventù venne poi esportato, molti anni più tardi, nella Jugoslavia che si stava dissolvendo, con la convinzione che fosse possibile far parlare tra loro popoli che avevano vissuto insieme per decenni e ora iniziavano ad ammazzarsi. “Per fare una pace - scrive - c’è bisogno che qualcu-no, senza dover essere un eroe, dimostri che è possibile, e che in qualche modo ne sperimenti in anticipo le condizioni, passi

parte dell’ispirazione intellettuale e mo-rale che ha guidato la fatica di Langer (…) Langer è stato un esempio - un tentativo - unico di tenere insieme le due aspirazio-ni, un’intelligenza delle cose che non si la-sciasse spaventare dall’enormità; uno stile di vita quotidiano che non contraddices-se, e neanche si discostasse troppo, dalle convinzioni proclamate e anzi ne offris-se la prima verifica; e poi una dedizione pratica che permettesse di misurarsi con l’efficacia, con la faticosa e mortificante e realistica traduzione delle idee, dei desi-deri e delle paure, in azioni concrete». Le pagine di Langer possono essere pre-se in effetti come una guida precisa allo smarrimento della politica di oggi. Inca-strata nella dichiarazione a uso del tele-giornale della sera e incapace di pensare persino a dopodomani: figurarsi al futuro (del pianeta, poi). Alexander Langer era una persona ben radicata, per questo poté avere l’ardire del pioniere. Fu lui a fondare il Partito dei Verdi italiani, sulle macerie dell’ideologia di classe della sini-stra estremista italiana (prima, fu un mili-tante di Lotta Continua). Lo fece in nome di qualcosa di più grande e insieme di più semplice: la vita della terra e quella delle persone che la abitano. “Se i Verdi sapran-no rinunciare alla tentazione intellettua-listica di presentarsi come rinnovatori del mondo in nome di progetti astratti - scrisse -, e riusciranno invece a collegarsi a quanto di vivo e positivo si può ricavare dall’esperienza non ancora cancellata dei rapporti tra uomo e natura, e tra uomini, nella cultura popolare, il discorso verde potrebbe smascherare contemporane-amente la falsità del “conservatorismo” della destra e del “progressismo” della si-nistra, prospettando una via d’uscita dav-vero liberata dalla consunta polarizzazio-ne ereditaria tra destra e sinistra”. Secondo Langer, la conservazione pro-pria della destra è quella dei rapporti di potere, non dell’ambiente, del patrimo-nio, della cultura tradizionale. Viceversa la sinistra disconosce, sbagliando, ciò che

hi ha condiviso il suo tempo, sa bene chi è Alexander Langer. Per chi invece è venuto dopo, come chi scrive, c’è bisogno di

cominciare da capo. Perché Alex - così lo chiamano gli amici che continuano a tra-smetterne la memoria - secondo le catalo-gazioni classiche è un politico. Ma un poli-tico insolito, di quelli che non si trovavano una volta, e non si trovano nemmeno ora. E proprio per non mischiarlo tout court con la politica politicante molti preferi-scono dire di lui che è stato un costruttore di ponti: metafora quanto mai esatta, non solo per descriverlo, ma per riassumere la politica stessa: dove appunto ci sono quelli che i ponti li fanno saltare, e quel-li che li tirano su. Langer edificava, con la comprensione, l’ascolto e il confronto. E anche lui probabilmente capiva la sua anomalia, sentendosi un po’ a disagio nel-la cerchia cinica del mestiere politico, del tutto estraneo al suo livello più malato, quello dell’affare e della corruzione. Tanto che quando Tangentopoli scoppiò, Langer cominciò a inviare ai giornali lettere nelle quali riportava minuziosamente entrate e uscite della sua attività di parlamentare europeo, presidente del Gruppo dei Verdi. Lettere che nessuno prendeva in conside-razione - e per questo sono importanti. Perché mostrano che c’era (e c’è ancora) un modo diverso di fare politica.

Uno stile coerenteAdesso Sellerio ha deciso di ripubblicare la raccolta dei suo scritti, Il viaggiatore leggero (pag. 416, 18 euro), curata da Edi Rabini e Adriano Sofri. Il primo collabo-ratore strettissimo e grande amico di Ale-xander Langer. Il secondo persona che gli fu vicina e ricavò dalla sua attività molti argomenti per mettere in discussione le proprie convinzioni o al contrario raffor-zarle. Nella loro nota all’inizio del libro, scrivono: “È del tutto raro che nella poli-tica corrente si trovi anche una piccola

C

La lezionedi un politico

insolitoA quindici anni dalla morte, Sellerio editore ripubblica la raccolta di scritti di Alexander Langer con il titolo “Il viaggiatore leggero”,

volume curato da Edi Rabini e Adriano Sofri. È l’occasione per tornare a riflettere sulle idee e sull’itinerario di vita di uno dei fondatori del partito italiano dei Verdi. Secondo Langer, la conservazione propria della destra è quella dei rapporti di potere, non dell’ambiente, del patrimonio o della

cultura tradizionali. Viceversa la sinistra disconosce, sbagliando, ciò che di buono c’è nel passato e nella sua custodia

Nicola Mirenzi

attraverso il ponte che si è sforzato di get-tare tra le due parti”.Nella bella introduzione al libro, Goffredo Fofi fa notare che “se si dovesse chiudere in una formula ciò che Alex Langer ci ha insegnato, essa non potrebbe che essere: piantare la carità nella politica. Proprio piantare, non inserire, trasferire, insedia-re. E cioè farle metter radici, farla crescere, difenderne la forza, la possibilità di ridare alla politica il valore della responsabilità di uno e di tutti verso ‘la cosa pubblica’, il ‘bene comune’, verso una solidarietà tra gli umani e tra loro e le altre creature”. E chiarisce: “Dico carità nel preciso senso evangelico, poiché Alex era un cristiano, dei non molti che cercavano di attenersi agli insegnamenti evangelici”.Quando Langer cominciò a frequenta-

Page 19: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

19domenica 20 febbraio 2011

Marco Boato

In alternativa agli ideologismi astratti, Langer si fece promotore di “utopie concrete”, rifiutando ogni forma di fondamentalismo e superando i muri delle barriere etniche

Un ecopacifista costruttore di pontie portatore di speranza

re l’Università di Firenze conobbe Don Lorenzo Milani, l’autore di Lettera a una professoressa, che tradusse in tedesco insieme a Marianne Andre dopo la mor-te del parroco. In un articolo pubblicato su Azione non Violenta nel 1987, Langer scrive che c’erano “due cose” che l’aveva-no “sempre incuriosito e non convinto di Don Dilani” ma che non ha “mai trovato il coraggio di chiedergliene ragione”. Le due cose riguardavano, una, “l’eredità che Don Milani aveva ricevuto e conservato dell’ebraismo, che lui aveva abbandona-to per convertirsi al cattolicesimo”. L’altra era, scrive, la “ragione della sua (eccessiva, secondo me) fiducia nelle grandi aggrega-zioni (la chiesa, la Dc, i comunisti, il sin-dacato …), e della sua diffidenza e forse disprezzo per le minoranze (i filocinesi,

il Psiup di allora, gli estremisti, le mino-ranze laico-radicali…)” nelle quali Lan-ger si riconosceva. “Avevo capito che lui credeva molto nelle grandi culture po-polari e nella necessità che le idee forti si facessero strada in modo non elitario tra le grandi masse. Ma ho sempre avuto il sospetto che questa impostazione fa-cesse in qualche modo violenza alla sua stessa storia, tutta quanta: dalla sua ori-gine, al suo cammino nella chiesa fioren-tina, fino all’esilio di Barbina”. Queste domande senza risposta dicono m olto della diffidenza che Alexander Langer nutriva verso le grandi istituzio-ni. Una diffidenza che si trasforma in aperta sfiducia quando dalle grandi or-ganizzazioni politiche di massa si passa alle organizzazioni politiche dei tecnici,

come il Fondo monetario internaziona-le, la Banca mondiale e via dicendo. Più di ogni altro egli capì per tempo la tra-sformazione globale che stava mutando il segno della politica contemporanea, conducendola sempre di più verso il dominio del bios, della vita, attraverso il controllo delle nascite, la manipolazione genetica, e altre diavolerie. Langer sep-pe stare all’altezza di questo mutamento (l’ecologismo è in effetti un’idea globale o non è) ma nella lotta tra la politica e la vita, cioè il cuore della biopolitica contemporanea, egli si schierava senza esitazioni dalla parte della vita, contro il potere che pretende di sottometterla e governarla a tavolino. E tuttavia, in un’esistenza pur così ge-nerosa e ben vissuta, non sono mancati

l’enigma e l’ombra. Alexander Langer si suicidò nei pressi di Firenze il 3 luglio 1995. Pochi mesi prima, era stato escluso dalla candidatura a sindaco della città di Bolzano. Perché, quando venne deciso il censimento della sua popolazione in base all’appartenenza etnica linguistica (italiani, tedeschi, ladini), Langer si op-pose strenuamente e si rifiutò di farsi in-casellare, considerando quella scelta una violenza che divideva le persone. Prima di morire, nell’ultimo biglietto, scrisse: “Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto”. Un epilogo comunque amaro. Che - come dice Adriano Sofri - non deve però impedirci di porci la domanda giu-sta sul suo conto. Cioè non perché Ale-xander Langer sia morto come è morto. Ma perché sia vissuto come è vissuto.

urtroppo Alex è morto per scelta volontaria il 3 luglio 1995. Oltre quindici anni dopo, la sua figura continua

ancor oggi a segnare in modo emble-matico la storia dell’ecologismo italia-no ed europeo, e non solo. Scomparso a quarantanove anni, molte sue intui-zioni sono rimaste di una attualità sor-prendente, molte sue iniziative sono ancora oggi vive e vitali, la sua eredità spirituale, culturale e politica è ormai patrimonio comune - al di là di ogni confine ideologico - di intere generazio-ni, non solo in Trentino e in Alto Adige/Südtirol, ma nell’Italia intera, in Europa e in molti altre Paesi del mondo che lui, da vivo, ha attraversato e percorso in lungo e in largo. Molte testimonianze su di lui - provenienti dai mondi politici, culturali, religiosi più diversi - le ho rac-colte nel decennale della sua morte nel volume Le parole del commiato (Trento, 2005), come in una sorta di collegiale e solidale elaborazione del lutto.Alexander Langer è stato “costruttore di ponti”: tra etnie e gruppi linguistici, tra identità ideologiche diverse, tra le differenze di genere, tra partiti e socie-tà, tra Nord e Sud e tra Est e Ovest del mondo, tra uomo e natura, tra la pace

e l’ambiente (“Ecopax”, appunto). In alternativa agli ideologismi astratti, si è fatto promotore di “utopie concrete”; rifiutando ogni forma di fondamentali-smo, si è fatto sostenitore della “conver-sione ecologica”; superando i muri delle barriere etniche, si è fatto protagonista e artefice della “convivenza”; di fronte alla disperazione e al catastrofismo, ha cercato di essere “portatore di speran-za” (“Hoffnungsträger”, per usare una espressione tedesca a lui cara) e “co-struttore di pace”.Aveva scritto nel 1991: “Oggi, soprattutto in campo ambientale, è tutta una profezia di sventura. C’è a volte il rischio di essere catastrofisti e di terrorizzare la gente, la qual cosa non sempre aiuta a cambiare strada, ma può indurre a rassegnarcisi. Piuttosto bisogna indicare strade di con-versione, se si vogliono evitare ragiona-menti come ‘dopo di noi il diluvio’, ‘tanto è tutto inutile e la corsa è disperatamen-te persa’, ‘se io non inquino, ce ne sono mille altri che invece lo fanno’ ”. Qualche anno dopo, nel 1994, ha scritto un testo più sistematico sulla “conver-sione ecologica”, affermando in parti-colare: “La domanda decisiva è: come può risultare desiderabile una civiltà ecologicamente sostenibile? Lentius, profundius, suavius, al posto di citius, altius, fortius. La domanda decisiva quindi appare non tanto quella su cosa si deve fare o non fare, ma come suscita-re motivazioni ed impulsi che rendano possibile la svolta verso una correzione di rotta”.Prima di morire, ai piedi di un albicoc-co ha scritto queste estreme parole, in tedesco: “Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto” (“Seid nicht traurig, macht weiter, was gut war”). In realtà, i molti che l’hanno conosciuto e ama-to sono ancor oggi tristi per la sua scomparsa. Ma il modo migliore per ri-cordarlo a tutti - e in particolare ai più giovani, che non l’hanno potuto cono-scere - è davvero “continuare in ciò che era giusto”.

P

Alexander Langer

Page 20: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

Mondo20 domenica 20 febbraio 2011 Mondo

vita, onorato in morte”, ha titola-to l’Inquirer, uno dei tre maggiori quotidiani nazionali. “In tanti siamo rimasti scioccati quando abbiamo saputo della sua morte - si leggeva sull’editoriale del quo-tidiano dopo i funerali - A causa del suo ruolo nella storia recente il suo suicidio è da considerarsi il più grave nella nostra storia, dopo quello dell’ex ministro delle Fi-nanze Jaime Ongpin nel 1987”. Al-lora si trattò di sospetti legati a un fallito colpo di Stato nel quadro di instabilità politica successiva alla dittatura di Marcos. Nel caso del sessantacinquenne Reyes si è trattato di soldi.

Regali e prebendeDue settimane fa, durante un’au-dizione al Senato, il colonnello George Rabusa ha accusato Reyes e altri due capi di stato maggiore di aver intascato enormi somme di denaro sia durante la carriera che all’atto del pensionamento. Altri ufficiali avrebbero ricevuto somme minori, ma comunque consistenti, al momento di pren-dere servizio, grazie a una catena di regali e prebende capace di dre-nare dal budget della difesa l’equi-valente di circa 700mila euro al mese attraverso fondi riservati gestiti internamente. Rabusa, 52 anni, era il responsabile del bilan-cio e aveva il compito di far transi-tare le somme necessarie a destra

i è sparato con la pistola d’ordinanza sulla tomba della madre. Non alla testa,

come fanno tutti, ma al petto per recidere l’aorta. Perché quando si giura, si giura con il cuore. «Un atto di estremo coraggio», lo ha definito il viceammiraglio a tre stelle Mateo Mayuga. «Un atto che una mente non-militare non potrà mai capire». Così il gene-rale Angelo Reyes ha reagito alle accuse di corruzione e avidità che nelle ultime settimane lo avevano seppellito sotto un mare di fan-go. Lui, capo di stato maggiore in pensione delle Forze armate filippine (Afp) ed ex ministro della Difesa, eroe di guerra, personag-gio pubblico di primo piano, pos-sibile candidato alla presidenza della Repubblica, ha messo tutti a tacere troncando la propria vita con un finale da film guadagnan-dosi parole di stima e di affetto da quanti lavorarono al suo fianco. Benché sospettato di aver sottrat-to milioni di pesos alle casse dello Stato, Reyes ha ricevuto onori fu-nebri degni di un padre della pa-tria, con la guardia d’onore a por-tare la sua bara nella base militare di Camp Aguinaldo e una folla di generali al seguito. È stato sep-pellito a Libingan ng mga Bayani, il Cimitero degli eroi. “Vilipeso in

e a manca a seconda delle neces-sità. Al momento dell’insedia-mento nel suo nuovo ufficio si era ritrovato con una disponibilità di 20 milioni di pesos (circa 350mila euro) da gestire in maniera discre-zionale a beneficio dei membri del comando. «Una tradizione», secondo il colonnello, quella di donare grosse somme ai verti-ci militari, un sistema ereditato dal passato a cui nessuno mai si sarebbe opposto. Lui stesso, fra i tanti, guadagnava ufficialmente 500 euro al mese ma manteneva ben dodici conti bancari e aveva una casa in Florida. Secondo le sue stesse ammissioni all’atto del pensionamento, nel 2001, aveva ricevuto sottobanco 50 milioni di pesos. A chi lo ha accusato di cupidigia, Rabusa ha risposto di aver intascato anche meno degli altri. E in ogni caso se non aves-se accettato il sistema sarebbe stato trasferito altrove e qualcun altro avrebbe preso il suo posto. Avendo accettato, invece, si ve-deva nei panni di Babbo Natale a regalare denaro ovunque ce ne fosse occasione. Un alto ufficiale in pensione, di quelli che presero parte al fallito golpe contro la pre-sidente Corazon Aquino nel 1989, ha rivelato che il comportamento di Rabusa fu una delle ragioni del colpo di Stato. «I comandanti non ne potevano più. Gli chiedevano di liberare i fondi per le loro unità

Bruno Picozzi da Manila

Il suicidio del generale fa tremare Manila

... Ma se lui non voleva, non ne fa-ceva nulla». Rabusa era dunque al centro di un sistema di corruzione senza limiti, le spese dell’esercito ruotavano intorno alle sue volon-tà e chi poteva ne approfittava. «Lei sapeva che era sbagliato far-lo, dunque perché l’ha fatto?», gli ha chiesto uno studente durante un incontro al Collegio di San-ta Benilde a Manila. «E chi non l’avrebbe fatto? - ha risposto il co-lonnello candidamente - Mi sono ritrovato sul tavolo 20 milioni di pesos e mi sono adeguato. La vita qui è bella, mi sono detto».La corruzione sistemica all’in-terno dell’Afp era un segreto di pulcinella che tutti conoscevano ma del quale nessuno parlava. Ora, scoperchiato il pentolone del malaffare tra i militari di carriera, i giornali si chiedono se le guerre che scuotono il Paese non siano anch’esse figlie della corruzione. “Forse una delle ragioni per cui il nostro esercito non ha neutraliz-zato il Cpp-Npa (la guerriglia co-munista) risiede nella corruzione all’interno dell’esercito”, scriveva un commentatore del Philippine Star. “La corruzione impedisce di vincere contro il Milf ” (i sepa-ratisti islamici), titolava un altro quotidiano locale. Si comincia a credere che il pericolo costituito dalla guerra e dal terrorismo sia stato determinante nel garantire ai vertici militari decenni di privi-legio. L’amministrazione uscente di Gloria Macapagal-Arroyo, in carica per nove anni, si è addirittu-ra permessa il lusso di mantenere undici capi di Stato maggiore, un record inspiegabile se non attra-verso le parole della stessa Arro-yo: «I militari hanno il ruolo di preservare il nostro stile di vita». Necessari, dunque intoccabili. Al-meno fino a due settimane fa.

Mani pulite in azioneOra, sollecitato dal presidente Ninoy Aquino, il Dipartimento di difesa nazionale ha costituito una squadra speciale di investigazio-ne e un’inchiesta “mani pulite” rischia di spazzar via tutti coloro che hanno beneficiato del siste-ma. Il suicidio di Reyes è forse la mossa che potrà salvare la pelle a molti, perché l’ex capo di stato maggiore e ministro era un perso-naggio pubblico molto popolare presso gran parte dell’opinione pubblica. Solo grazie alle sue deci-sioni e alla sua moderatezza una profonda crisi istituzionale nel 2001 era stata sanata con l’accesso

Angelo Reyes, ex ministro della Difesa, ha reagito

alle accuse di corruzione che nelle ultime

settimane lo avevano seppellito sotto un mare di fango sparandosi con una pistola d’ordinanza

davanti alla tomba della madre. Si sono

celebrati funerali solenni. «Più onore per lui, più

impunità per tutti», hanno pensato molti

corrotti. La società civile sembra invece

spalleggiare le iniziative della magistratura

alla presidenza di Gloria Macapa-gal-Arroyo. Una soluzione demo-cratica trovata dove tutti teme-vano un golpe militare. “Sotto la Arroyo, la stella politica di Reyes fu più splendente che mai - scrive Randy David sull’Inquirer - Dopo essersi ritirato dal servizio milita-re fu nominato ministro della Di-fesa. A un certo punto si parlò di lui come possibile successore alla stessa Arroyo”.La morte di Reyes ha dato fiato a tutti coloro che credono di poter schierare semplicemente il pro-prio volto indignato e l’offesa alla propria dignità contro le accuse della macchina della giustizia. Gli ampi onori militari ricevuti dal generale suicida sono sem-brati a molti una forzatura visto che i regolamenti interni all’Afp proibiscono di onorare pubbli-camente coloro che si tolgono la vita a meno che una commissione appositamente nominata non de-cida che la morte sia avvenuta per circostanze legate al dovere. Il fat-to che l’ex capo di stato maggiore non fosse più in servizio attivo è stata considerata una giustifica-zione sufficiente per ovviare alla regola. L’equazione sembra essere la seguente: più onore per Reyes, più impunità per tutti. «La gente come lei e me non potrà mai ca-pire - ha dichiarato il viceammi-raglio Mateo Mayuga - Io sono solo un comune mortale. Lui apparteneva a un genere diverso di persone illustri che tengono l’onore in maggior conto della vita stessa». “Reyes è vittima della transizione dolorosa della nostra società verso la moder-nità - scrive ancora Randy David - Il suo suicidio può essere letto come una reiterazione della sua disperata protesta durante l’au-dizione al Senato, l’affermazione di non essere mai stato avido o egoista. Era certo di aver agito onestamente e dignitosamente secondo i parametri tradizionali di un’istituzione imperfetta”. Ma la nazione non capisce e non approva. La società civile sembra fare quadrato intorno alle inizia-tive della magistratura e i gior-nali tengono alta la barra dell’at-tenzione. Se è vero che la parola corruzione viene dal latino cor ruptum per “cuore infranto”, ha dichiarato Felino Palafox, presi-dente della locale Confesercenti, «ci sembra di vivere in una socie-tà dal cuore spezzato». Una so-cietà che, come Reyes, si è tirata un colpo al cuore.

Angelo Reyes

S

Organo ufficiale d’informazionedella Federazione dei VerdiReg. Trib. di Roma n. 34 del 7/2/2005Sped. in Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 c. 1 DCB - RomaLa testata fruisce dei contributidi cui alla legge 7/10/ 1990 n. 250

via del Porto Fluviale, 9/a - 00154 Romatel. 06.45.47.07.00 - fax [email protected] - www.terranews.it

Direttore responsabile: Luca Bonaccorsi

Condirettore: Enrico Fontana

Direttore editoriale: Giovanni NaniVicedirettori: Vincenzo MulèValerio Ceva Grimaldi

Redazione: Rossella Anitori, Diego Carmignani, Susan Dabbous, Pierpaolo De Lauro, Alessandro De Pascale, Alessia Mazzenga, Alessio Nannini, Paolo Tosatti, Federico Tulli

Grafica: Andrea Canfora, Alessio Melandri,Gianluca Rivolta, Monica Di BrigidaIllustrazioni: Alessandro Ferraro

Web content management: Francesca Ricci

Comitato scientifico: Vanni Bianchi, Valerio Calzolaio, Marcello Cini, Franco Corleone, Derrick de Kerckhove, Anna Donati, Gianluca Felicetti, Vincenzo Ferrara, Paolo Galletti, Marco Gisotti, Carlo Alberto Graziani, Umberto Guidoni, Giulio Marcon, Stefano Masini, Gianni Mattioli, Giorgio Parisi, Francesca Sartogo, Eddy Salzano, Danilo Selvaggi, Massimo Serafini, Alex Sorokin, Mario Tozzi

undicidue srl via del Porto Fluviale, 9/a - RomaPresidente: Luca LaurentiAmm. delegato: Roberto PresciuttiConsiglieri: Luca Bonaccorsi,Roberto Presciutti

Stampa: New Poligraf Rome srl Stabilimento: via della Mola Saracena Fiano Romano

Distribuzione: S.E.R. srl - Tel. 081-5845742E-mail: [email protected] di pubblicità:Poster pubblicità & P.r. srlSede legale, direzione generale:via Angelo Bargoni, 8 - 00153 - romaTel.06 68896911 - Fax 06 58179764E-mail: [email protected]

Chiuso in redazione alle ore 19.00

Page 21: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

21domenica 20 febbraio 2011Arte

[email protected]

el film Cosmonauta (2009) Susanna Nicchi-arelli intrecciava l’utopia

comunista di una nuova società con la corsa allo spazio dei primi anni 60, per raccontare la cre-scita personale di una giovane militante politica, che sogna di mandare una donna sulla Luna mentre cerca la propria strada in un ambiente, quello del P.C.I., dove le ragazze non sono prese molto sul serio. Nel 1963 Valenti-na Tereškova avrebbe realizzato quel sogno e nel 1984 Svetlana Savickaja avrebbe compiuto la prima attività extraveicolare di una donna nello spazio astrale. Ma l’artista americana d’ori-gine polacca Aleksandra Mir (Lubin, 1967) ha fatto forse di meglio, concependo nel 1999 una performance e un video, First Woman on the Moon, dove - partendo dai dubbi sulla veri-dicità dello sbarco di Armstrong - propone una propria trasposi-zione dell’evento, per sovvertire giocosamente la Storia in favo-re delle donne. Se le immagini dell’allunaggio realizzate allora

a cura di Francesca Franco

sono considerate plausibili, allo-ra possono esserlo anche quelle create dall’artista, smuovendo con i trattori una spiaggia olan-dese fino a renderla simile a un paesaggio lunare di magnifica desolazione e poi piantare su un’altura la bandiera americana. Questo lavoro torna alla memo-ria guardando una delle gran-di carte del ciclo The Church of Sharpie, che Mir ora espone a Roma nella mostra sulla colle-zione avviata nel 1992 da Patri-zia Sandretto Re Rebaudengo. Dipinta a pennarello indelebile Sharpie nero, la serie ripercor-re la politica statunitense dalla guerra civile al bicentenario del 1976 ed è stata realizzata nel 2005 grazie alla collaborazione di 16 assistenti chiamati a ri-empire le silhouette disegnate dall’artista. Come accade nelle Biro di Alighiero Boetti, una vol-ta formulata l’idea Mir ne affida a terzi la lenta, certosina esecuzio-ne manuale. Nonostante i mezzi poveri e la tecnica elementare, l’immagine possiede sfumatu-re e variazioni tonali: prodotte

Nonostante l’età d’oro della NASA sia passata e i programmi spaziali odierni non attirino l’interesse del grande pubblico, la corsa al cosmo rimane un catalizzatore potente per gli artisti, continuando a ispirare tensioni e nostalgie, fantasie e considerazioni sulla nostra vita… terrestre

Focus

Nata nel 1966 a Rainy Riv-er (Canada) e formatasi al Goldsmiths’ College di Londra (1985-88), l’artista è nel 1997 tra i finalisti del prestigioso Turner Price della Tate Gallery e, dagli anni 90, uno dei più ap-prezzati esponenti della Brit Art. Proveniente dal-la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, Superstructure with satelli-tes (1997) è una morbida, colorata scultura ambien-tale (in qualche modo me-more della seduta a sacco ideata nel 1968 da Franco Teodoro, Cesare Paolini e Piero Gatti per Zanotta e ora conservata al MoMA di New York), componibile potenzialmente all’infini-to per aggiunta di forme anellari. Simile a un ludi-co, anticonvenzionale sofà pop, trasforma lo spazio espositivo in una zona di svago e leggerezza, sov-vertendo la tradizionale inconciliabilità di concetti opposti, quali ordine e di-sordine, gioco e impegno. La superstruttura con sa-telliti di Bulloch funziona come luogo d’interazione sociale, lasciando a cias-cuno la libertà di guardar-la, semplicemente, oppure di fare momentaneamen-te parte dell’opera d’arte. L’immaginario spaziale che la ispira informa an-che la serie di proiezioni e installazioni luminose Night Skies, nata dall’ela-borazione al computer di un panorama della nostra galassia ripreso dallo spa-zio remoto, infinito e ale-atorio.

Angela Bulloch

Plus ultra. Opere dalla collezione Sandretto Re Rebaudengo, a cura di Francesco Bonami, espone al MACRO Testaccio i lavori più significativi di questi 15 anni della Fondazione torinese. Fino al 20 marzo. Info: 06.671070400, [email protected] La sede distaccata di Milano del Centro per l’arte contempora-nea Luigi Pecci di Prato ospita il progetto espositivo in progress Invito al viaggio, curato da Stefano Pezzato. Dopo gli ambienti di Gallizio, Mauri e Superstudio, che dal 16 dicembre 2010 affian-cano l’opera di Mario Merz, il Progetto per Concetto spaziale di Lucio Fontana e l’installazione in situ di Massimo Uberti, è ora la volta dei lavori di Loris Cecchini, Enzo Cucchi, Remo Salvadori e Gilberto Zorio, che dal 18 febbraio andranno a incrementare una panoramica nell’arte italiana degli ultimi 50 anni. Fino al 23 aprile. Info: 02.39811926

Un’altra Luna

dalla quantità d’inchiostro del pennarello, dalla forza o dall’in-clinazione del gesto, dallo stato d’animo di chi ha compiuto il tratteggio. «Outer Space In-ner Peace» dice la scritta che campeggia nell’oscurità di un cielo stellato, sopra e sotto la sa-goma degli Stati Uniti d’America, all’interno della quale uno space shuttle parte dal globo terrestre alla conquista di nuovi mondi. La didascalia fa riferimento agli scopi pacifici dell’impresa del 1969 («Siamo venuti in pace per tutta l’umanità», recita la placca lasciata da Armostrong sul suo-lo lunare), ma allo stesso tempo gioca sul contrappunto concet-tuale delle parole, per augurare in quel lancio verso l’ignoto al di là di noi il conseguimento di una pace non solo politica ma interiore. La Luna conserva la sua dimen-sione scientifica, oltre a quel-la mitica ed emotiva, anche in uno storico ambiente di Fabio Mauri (Roma, 1926-2009), ora riproposto al Museo Pecci di Mi-lano. Presentata nel 1968 presso

la galleria La Tartaruga a Roma, all’interno del ciclo di azioni e installazioni intitolato Teatro delle Mostre, Luna anticipa di un anno il memorabile allunaggio, trasformando le porte di una sala nei boccaporti ovoidali di un’astronave, attraversando i quali il pubblico si trova a calpe-stare un suolo latteo, volatile ed elettrostatico, dalla consistenza imprevedibile quanto può esser-lo il perlinato di polistirolo. La luce, che entra dalle due apertu-re e si riflette nel bianco del pa-vimento, crea un doppio chiaro di luna: simile a due occhi aperti su uno spazio-tempo ancora al di là da venire. «Una dimensione più che inconscia, quasi oniri-ca, con denominatore sociale» definì Maurizio Calvesi questo lavoro, che proietta fisicamente il pubblico in un mondo nuovo e originario al tempo stesso. Pri-mitivo e futuribile quanto la Ca-verna dell’antimateria di Pinot Gallizio (Alba, 1902-1964), che ci conduce alla frontiera fra due galassie straniere attraverso una totalizzante “pittura industriale da vendersi al metro”: segnica, sgocciolata e pronta a farsi uto-pia (ossia non-luogo) di una Na-tura sconosciuta e impondera-bile ma già abitata dalla donna, come suggerisce una foto d’epo-ca che documenta l’allestimento alla galerie Drouin di Parigi nel 1959. L’opera scaraventò il pub-blico di allora nel buio profondo dell’universo e nei suoi inson-dabili inizi e mutazioni, quanto quello odierno l’esperimento compiuto il novembre scorso dal CERN di Ginevra, che ha intrap-polato magneticamente per 172 millesimi di secondo 38 atomi di antiidrogeno, aprendo la strada a una maggiore comprensione di quell’antimateria che riporta alla memoria concetti astratti a lungo indagati dalla filosofia come “essere” e “non essere”, ridefinendone il senso. Ma an-che, forse, più recenti scoperte scientifiche sull’uomo, come la Teoria della nascita di Massimo Fagioli, che parla di fusione tra “vitalità biologica” e “pulsione di annullamento”.

NAleksandra Mir, Outer Space, 2005. In basso a sinistra, First Woman on the Moon, 1999, partic.In basso, Fabio Mauri, Luna, 1968, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato.

Night Sky Sirius, 2007, DA Collection, Haus für Elektronische Künste Basel, Basilea; in alto, Superstructu-re with satellites, 1997

Pinot Gallizio, Caverna dell’anti-materia, 1958-59, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato

© C

OU

RTES

Y A

RCH

IVIO

GA

LLIZ

IO, T

ORI

NO

© C

OU

RTES

Y ST

UD

IO F

ABIO

MAU

RI/A

SSO

CIA

ZIO

NE

PER

L’ART

E L’

ESPE

RIM

ENTO

DEL

MO

ND

O

Page 22: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

Intervista22 domenica 20 febbraio 2011

ci comportiamo allo stesso modo con le nostre emozioni e se non lo facessimo saremmo danneggiati. Per questo, nel romanzo, vediamo l’involucro dei personaggi, invece di conoscere il loro effettivo con-tenuto.Non a caso il “tragico eroe” del-la vicenda è Alan, uno spazzino.Penso che per certe persone, do-ver essere padre, marito e sve-gliarsi tutte le mattine per andare a lavorare, rappresenti una forma di eroismo. Ci vuole energia e fi-ducia. Nel caso di Alan, lui non ha né l’una né l’altra. Non vuole la responsibilità di vestire i panni dell’eroe, e nemmeno dell’anti-eroe. Il suo ruolo sta nel rappre-sentare la stanchezza e la diffi-coltà, comune a tutti, di provare a mantenere il senso della propria esistenza. È questo il motivo per cui ho scelto di scrivere di un per-sonaggio del genere.Un atteggiamento che lo pone in un contatto difficile con le

ella cittadina del Galles dove è ambientato Le cose che non vogliamo

più (Isbn edizioni), c’è un pro-tagonista silenzioso: l’immon-dizia. Possiamo dire che gli scarti sono il riflesso dell’agire dei personaggi?La migliore risposta è nel prologo che scrissi quando il libro non era ancora finito e in cui spiegavo: esi-ste un “rifiuto primario”, di poco valore e impatto, come la polvere e le briciole, che gettiamo in giar-dino, e poi c’è il “rifiuto seconda-rio”, che viene rimosso dal posto dove viene prodotto. Per questi scarti esiste la possibilità di venire riutilizzati e rivalorizzati, oppure finiscono in discarica, gradual-mente relegati sempre più lonta-no, finché non vengono rimossi definitivamente. Questa distinzio-ne esiste sia per l’immondizia che per molti aspetti della nostra vita:

persone, riflesso anche qui del modo di approcciarsi agli og-getti e alla loro dimensione di “scarti”. Cosa pensi del nostro rapporto con le cose, oggi?Viviamo in una società molto più “in svendita” di quanto sia mai ca-pitato prima. Essere testimone di ciò ha forse cambiato il modo in cui ci rapportiamo alle persone, al lavoro e così via. Le relazioni ven-gono scelte e utilizzate per uno scopo, con la stessa leggerezza con cui scegliamo un accessorio da uno scaffale dell’Ikea. Siamo molto più pronti a gettare via le cose che a ripararle. Tra le cose e gli esseri umani, nel libro, ci sono anche diversi animali: granchi, pesci, ratti... Che ruolo hanno?Spesso gli animali appaiono come metafore ma crescendo in una località come la mia, Aberaeron, si è spesso circondati da diverse creature. Così, risulta difficile ca-pire il mondo senza ricorrere alla

Diego Carmignani loro presenza. In molti modi, gli animali nel mio libro riflettono gli esseri umani. Al loro livello, sono soggetti alle stesse pressioni e agli stessi fallimenti. E cercano di sopravvivere usando le stesse strategie. Ad esempio, il granchio che tenta di starsene al sole, vie-ne imprigionato in un barattolo e trascinato via dalla corrente, somiglia in tutto ad Alan, intrap-polato in una relazione a cui ha provato a sopravvivere, mentre la marea di affetto e amore andava calando nel tempo.Cosa pensi del rapporto dell’uo-mo con la natura? Anche que-sto è influenzato dal tuo mon-do, il Galles, o hai una visione complessiva?Sono cresciuto lì, e lì ho scelto di tornare e vivere. Tutto quello che faccio è ispirato e influenzato da questo fatto inamovibile. Penso che la costa del Galles sia comun-que un posto “universale”, ma nel libro non ha un nome specifico:

A colloquio con Cynan Jones, talento gallese

della letteratura contemporanea che, dopo

“La lunga siccità”, firma “Le cose che non vogliamo

più”, parabola sull’abbandono e

sul rapporto dell’uomo moderno con ciò che ama

una location del genere è capace di suggerire i sintomi propri della nostra società nella loro interezza. C’è il mare, che è un dato di fatto che crea identità, ma possiamo considerarla una storia che fun-zionerebbe ovunque. Credo che chi vive in un ambiente urbano, oggi, ha un rapporto con la natu-ra totalmente voyeuristico. In so-stanza, le tue decisioni non sono intimamente connesse con essa. E anche in questo libro, la natura essenzialmente è per i personaggi un luogo da scoprire più che un soggetto dove sono immersi e con cui coesistono.Il tuo primo romanzo era inti-tolato La lunga siccità, questo, nella lingua originale, Out onto the water. Sono l’uno l’opposto dell’altro? E cosa rappresenta il mare nel libro?Il mare è lo spazio, o meglio l’aspirazione ad avere uno spazio dove essere noi stessi e troppo spesso precluso dalla tanta “im-mondizia” che ci riempie la vita. Sul rapporto tra i due romanzi, ci sono diversi punti di contatto. L’intimità con la natura opposta allo smarrimento esistenziale; un uomo che accetta le responsabi-lità opposto a uno che le rifiuta; uno è in cerca di qualcosa, l’altro si nasconde da qualcosa; le cose che cerchiamo di portare al mondo opposte a quelle che gettiamo via dal mondo. C’’è una versione di Le cose che non vogliamo più che ho scritto prima di La lunga siccità e a cui ho aggiunto altro materiale da un’altra mia opera. Insomma, questo libro stesso è stato sman-tellato, riciclato e trasformato in qualcos’altro.C’è un intento morale nel tuo li-bro? Non troviamo distinzione tra “buoni” e “cattivi”.No, nessun intento morale. La differenza che faccio io è tra colpevolezza e responsabilità. Ognuno di noi, per affrontare il mondo, dispone solamente delle armi che possiede (psicologiche, emozionali, intellettuali, etc.). Io non scrivo per esprimere giudizi: quelli li lascio al lettore. Credo fer-mamente che le persone facciano ogni giorno il meglio che possono, con tutte le forze che la sorte ha messo a loro disposizione.

Cynan Jones

N

Vivere e sopravvivere nell’era della spazzatura

Ci sono storie di arte e impegno che vale la pena approfondire, specie nel nostro Paese distratto e dalla memoria corta. Il siciliano Pippo Pollina è un idolo in Sviz-zera, dove si è trasferito ormai da tempo, dopo aver contribuito alla nascita degli Agricantus, essersi impegnato nel mo-vimento antimafia e aver collaborato al mensile catanese I siciliani, fino all’uc-cisione del direttore Giuseppe Fava. Nel tempo, l’artista ha dato vita a un canzo-niere di ormai 150 brani e 18 album, ha tenuto 3500 concerti in tutto il mondo e messo in fila una serie di collaborazioni e progetti che rendono conto di una sensi-bilità poliedrica e di un infaticabile lavoro di ricerca. Per Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri esce ora il dettagliato resoconto della sua rara e romanzesca esistenza: Abitare il sogno-Vita e musica di Pippo Pol-

lina (pag. 280, euro 25). Più di una biogra-fia: un importante “specchio retrovisore” per osservare il nostro recente passato.L’autore Franco Vassia, con alle spalle un’altra importante operazione, Resistere a Mafiopoli firmato con Giovanni Impa-stato, parte dalle passioni di Pollina, ar-cheologia, arte, musica, la propria terra, e incrocia i momenti della sua vita con i fatti e i personaggi che hanno cambiato la faccia al Paese e al mondo, come l’allunag-gio e il maxi-processo di Palermo, la Sici-lia abbandonata e il golpe in Cile, Falcone

e Borsellino, Dalla Chiesa e Fava, la mafia e la strage di Ustica. Proprio all’oscura vi-cenda del Dc-9 precipitato con 81 persone a bordo nell’estate del 1980 è dedicato il dvd allegato, contenente l’opera di teatro e musica Ultimo volo-Orazione civile per Ustica, commissionata a Pollina dall’As-sociazione dei parenti delle vittime della strage e rappresentata al Teatro Manzoni di Bologna per l’inaugurazione del Museo per la memoria della strage di Ustica, il 27 giugno 2007. Insieme alla messa in scena, troviamo preziose interviste ai protago-

nisti, tra cui Manlio Sgalambro e Franco Battiato (che firma anche l’introduzione al libro), le testimonianze dei parenti del-le vittime e il documentario sul Museo, a cui parte del ricavato di Abitare il sogno è destinato. Ultima nota per un altro sigillo di garan-zia posto su questa importante opera di musica e impegno civile: la prefazione affidata al magistrato Giancarlo Caselli, che negli anni Novanta era procuratore a Palermo e assestò colpi decisivi alla mafia con l’arresto di boss come Leoluca Baga-rella, Gaspare Spatuzza e Giovanni Bru-sca. Per saggiare le doti artistiche e uma-ne di Pippo Pollina, c’è poi l’occasione live, con le date del tour iniziato a gennaio a Torino: mercoledì 23 febbraio a Firenze, il 24 a Milano, il 25 a Cattolica e il 26 a San Giovanni Lupatoto. d.c.

Libri

Ustica e altre storieNel libro biografico Abitare il sogno, il profilo artistico e umano del cantautore siciliano Pippo Pollina

Page 23: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

23domenica 20 febbraio 2010www.terranews.it

uante e quali sono “le pa-role del cuore” di Andrea Camilleri? Sono tante, e

le più disparate, le parole su cui ragiona quel grande affabula-tore ospite, qualche sera fa, del grande teatro del S. Spirito, il più antico ospedale di Roma che, a ridosso del Vaticano, era un tem-po il rifugio dei pellegrini vittime di malanni o epidemie. Ora il S. Spirito ha, tra parecchie specia-lizzazioni, una Cardiologia di eccellenza (diretta dal dr. Rober-to Ricci) dove alcuni ex pazienti hanno dato vita a un’associazione (“Cuore Sano”) che anima molte-plici iniziative per l’educazione, la prevenzione, la riabilitazione cardiovascolare. Tra queste ini-ziative, ecco l’invito al grande scrittore siciliano perché raccon-ti, appunto, quali riflessioni susci-ta in lui una parola così concreta e insieme così astratta. Sono tan-ti e diversi, questi ragionamenti, che la giornalista-provocatrice Maria Grazia Putini fatica a star dietro a Camilleri mentre la fol-la che gremisce il teatro scatta frequentemente in applausi ora commossi, ora divertiti, ora sba-lorditi dall’incredibile memoria dell’inventore del commissario Montalbano che cita Pascal e Dante, Aristotele, Saba, Montale, Moravia. Già Pascal: quando, in apertura del dialogo, gli si chiede come definirebbe di primo acchito il cuore, lui non sottoscrive quel “la coscienza di sé” secondo la defi-nizione di Aristotele, e invece si dichiara pascaliano convinto, e fa proprio uno dei classici pen-sieri dello scrittore-scienziato francese: “Il cuore è la guida alla morale”. E chi vuole intendere la modernità, l’attualità, di questa fulminante sentenza, intenda. A proposito di cuore, ci sarebbero le raccomandazioni dei cardiolo-gi: fare movimento, per esempio. Replica autoironica: «Mi piace moltissimo vedere gli altri muo-versi. La ginnastica? La facevo,

Camilleri è un fiume di aneddo-ti, di definizioni, di paradossi, di curiosità che affascinano quanti lo ascoltano, e sono tanti, e così partecipi dell’iniziativa e delle sue ragioni da mettersi dopo in fila per sottoscrivere o iscriversi all’Associazione Cuore Sano. In certi momenti il cuore è per lo scrittore un pretesto per ragio-nare sulla vita, sulla mutevolezza della percezione delle cose, sul valore delle parole. Ecco che ad un tratto lui coglie in una acuta domanda di Maria Grazia Puti-ni l’appiglio per dire amaro che «oggi è difficile scrivere parole del cuore. «Saba sapeva farlo (e

Q Giorgio Frasca Polara

Deciso, come a proposito della ginnastica, lui che è una ciminie-ra: «Il fumo fa male, è un vizio da imbecilli e ne sono un dissuasore convinto. Tant’è che posso stare tre, quattro ore senza fumare… ma prima di entrare qui dentro mi sono fatto una sigaretta…». Il mangiar sano? Rammaricato e divertito: «Dove sono finiti quegli asparagi anoressici, magrissimi, amarissimi? E la cicoria selvati-ca? Ne ho condiviso la passione con Bernardo Provenzano, e lo invidio: pare che gliela portino in carcere». Il brivido per la cita-zione del feroce boss si scioglie in una risata liberatoria.

poi da ragazzo sono stato forse l’unico scolaro d’Italia rimanda-to in ginnastica. Allora ho smes-so. Fatela voi, fa molto bene!». Ancora, non bere vino, o alme-no esserne di parco consumo. Emozionato (ed emozionante): «Ricordo perfettamente quando ho smesso: il 1° maggio ’47. Stavo bevendo, quando mi avvertirono che a Portella della Ginestra ave-vano sparato contro i lavoratori, tanti morti… Fu un trauma, detti di stomaco, da allora fui incapa-ce di bere vino» (poi ammette però di essere passato più tardi al whisky, ma ha chiuso anche con i superalcolici). E il fumo?

L’Associazione Cuore Sano invita

presso l’ospedale S. Spirito a Roma lo

scrittore siciliano per dissertare sull’organo

umano più delicato. Per l’inventore

del commissario Montalbano,

l’occasione diventa il pretesto per

ragionare sulla vita, sulla mutevolezza

della percezione delle cose, sul valore

delle parole, sulla durata dell’amore e perfino sul fumo

e l’alimentazione

Letteratura

qui il dono di pochi, intensi versi del poeta triestino, ndr), ma nella poesia moderna il cuore è scom-parso, c’è una incapacità di senti-re i sentimenti, c’è paura dei sen-timenti… il mondo è sempre più duro. E Montale lo aveva detto: “Scordato strumento del cuore”, nel doppio senso di strumento dimenticato e di strumento non più accordato, falso». C’è pure lo spazio, in questa deliziosa serata, per qualche domanda dal pubblico. C’è la si-gnora che in incognito gli man-da regolarmente certe torte, e che ora approfitta dell’occasione per chiedergli: come sono? E lui, pronto: «Porca miseria, è lei a mandarmele! Lunga vita e tante torte!». Un altro: l’amore è eter-no? Risposta: prima un «Ho fat-to finta di non sentire», poi - da laico mai pentito ma che ha un bellissimo ricordo di Papa Gio-vanni - chiosa con un «Ma che cosa è l’eternità? Per i credenti lo sappiamo, ma per altri e per me l’amore eterno è quanto voglia-mo che duri: quel che conta non è la durata ma l’intensità». Ovviamente c’è anche chi gli chiede se essere siciliano sia un accidente o no. Lui la prende alla larga, ricordando l’amico Sciascia e il suo splendido Consiglio d’Egit-to. Poi ricorda che solo i siciliani hanno avuto ben tredici domina-zioni: «Prima ne abbiamo preso il peggio, poi il meglio. Non è un accidente, esserlo: il siciliano ha un carattere prismatico, mute-vole», poi gli scappa un verbo in puro siciliano: «Cancia il caratte-re…». E regala al rapito uditorio ancora una citazione, di Moravia: «Il milanese tende a semplificare un problema difficile, il siciliano fa il contrario». Fosse per chi lo ascolta (tra tante altre cose che qui non c’è lo spazio per raccon-tare, c’è anche perfido paragone tra quanti debbono la loro for-mazione a libri fondamentali come Cuore e Pinocchio, e quanti oggi cominciano leggendo altri libri…), la serata si trascinerebbe sino a notte. Grazie Camilleri.

«I mutamenti cosmici sono lenti ma ne abbiamo già le prime avvisaglie. Forse senza nemmeno che ce ne rendiamo conto. La prima cosa è l’immi-grazione. L’immigrazione che noi consideriamo fino a questo momento, fin quando è assor-bibile, come una forza lavoro non indifferente per esempio per lo sviluppo dell’Italia. E la tolleriamo. Mi chiedo: come re-agiremmo se di queste persone non avessimo bisogno? Sicu-ramente reagiremmo ancora peggio di come stiamo facen-do, è naturale. Ora - dico nu-meri a caso - fin quando sono diecimila persone è un conto, quando inizieranno a diventa-re cinquecentomila, come ine-vitabilmente sarà, questa po-litica che farà? Perché questa di oggi è una politica cieca che affama per piccole dispute na-zionali, è una politica che pro-voca tutto quello che provoca in Africa e in altre parti del mondo, ma è un boomerang, è inevitabilmente un boome-rang. Questa gente scappa, va via, e in qualche modo arriva

qua. E allora sono questi i fatti che possono in qualche modo determinare un cambiamento, non per volontà di chi detiene il potere, ma costretto dagli eventi. In un certo senso co-stretto da uno tsunami fatto di esseri umani».È uno stralcio della conversa-zione di Andrea Camilleri nel libro intervista Questo mon-

do un po’ sgualcito, realizzato con il giornalista-scrittore (in forza all’Agenzia Ansa) Fran-cesco De Filippo per Infinito Edizioni (pag. 128, euro 12). Nel libro, Camilleri affronta molte questioni sociali e po-litiche, offrendo uno sguardo sull’Italia molto particolare, quello della “memoria storica” di uno dei nostri intellettuali. Con i proventi del libro, Ca-milleri e De Filippo contribu-iscono alla costruzione di un ospedale a Bilogo, nel Burkina Faso. Con il patrocinio di Me-hala onlus.Nella conversazione non mancano osservazioni più ge-nerali di Camilleri: «Ritengo che l’Italia sia un Paese che va ricivilizzato a partire dalle asticelle a scuola. Sono venute a mancare le regole elementa-ri. C’è l’analfabetismo dell’ap-prendere e l’analfabetismo della democrazia che aumen-ta. È sempre così: il danno prodotto da governi corrotti prosegue oltre la durata del governo stesso; occorrono anni per riprendersi».

Quello tsumani fatto di esseri umani

Andrea Camilleri, una seratad’affabulazione

Page 24: TERRA - quotidiano - 20/02/2011

24 domenica 20 febbraio 2011 Creatività meridiane

e chiedi a uno scrittore che percezione abbia di un luo-go, ti aspetti che risponda

con una suggestione. Sbagliando. Perché l’immgine poetica non sta per forza in una metafora, può stare anche nella capacità di sintonizzarsi sulla «propria esperienza personale». Maurizio Braucci è un napoletano, classe 1966. Scrive racconti e romanzi, scrive per la radio, il teatro e il cinema. E quando gli chiedi cos’è oggi il Sud non esita un attimo: «La percezione del Sud, come per ogni cosa, riguarda la propria esperienza personale. E allora la mia percezione è economica». Spiega che nell’equilibrio nazio-nale «il Sud ha una posizione particolare: serve cioè come luo-go di sfruttamento della propen-sione al consumo», luogo in cui far decantare «la disoccupazione e il precariato». Per dirla in altri termini, «il Sud è il luogo grazie al quale l’economia italiana vive cercando di compensare le pro-prie contraddizioni». Una chiave di lettura molto interessante, ma per nulla originale. Come rileva lo stesso scrittore: «È la storia del nostro Paese e di tutti i Sud del mondo dai quali noi occiden-tali traiamo risorse e buttiamo le nostre deiezioni». È la descrizio-ne di un «equilibrio mondiale basato sullo sfruttamento di al-cuni a favore dell’arricchimento di altri». Il riferimento non è alla polemica in voga in queste setti-mane sul modo in cui s’è “fatta” l’unità d’Italia. «Mi basterebbe tornare indietro al secondo do-poguerra», precisa.

Pericolo imbarbarimentoIl discorso scivola presto su Na-poli, la città di Braucci, una del-le grandi capitali d’Italia, della Campania. Invasa dai rifiuti, fre-quentata e governata da politici sotto inchiesta per camorra e incapaci persino di organizzare primarie regolari, dove le aule restano vuote perché le famiglie hanno paura di mandare i bam-bini a scuola, dove l’amore si pre-tende a suon di bombe. Braucci ci riflette: «Non è singolare quello che accade - sottolinea deciso - forse è singolare il meccanismo: esiste una tradizione di Napoli che esibisce spontaneamente le sue oscenità. Ma io lo considero un pezzo della tradizione cultu-rale italiana». La città parteno-pea, «una simil-metropoli con tre milioni di abitanti», rappresenta una sorta di «caposaldo di un modello generale». Tutta l’Italia vive «un momento particolare. Semmai Napoli è il luogo che in-carna tutte le contraddizioni». Nessuno, insomma, consideri i

fatti di Napoli lontani da sé. Per questo Maurizio Braucci rivol-ge un invito a tutti gli italiani: «Non guardate a Napoli come al ritratto di Dorian Gray dell’Ita-lia». Insomma, quello che accade altrove «forse è meno evidente, ma è un’unica questione frutto di un imbarbarimento generale». Poi, certo, ammette lo scrittore napoletano, ci sono «questioni come l’economia, la criminalità, la corruzione delle istituzioni che si ereditano pesantemente dal passato, non sono mai state affrontate e risolte e che sono ca-ratteristiche di Napoli». Per usare altre parole, lo scrittore pensa che ci sia «una distorsione cognitiva degli italiani». Che non va asse-condata. Nello stesso tempo però ammette: «Se parlo di distorsione vuol dire che qualcosa di vero c’è, ma stiamo parlando dello spec-chio del Paese». Non è una difesa d’ufficio della sua città. È un’ana-lisi di un meccanismo semplice e complesso allo stesso tempo. Come dimostra l’annosa vicenda della gestione del ciclo dei rifiu-ti. «Ho studiato a fondo la crisi in Campania - spiega Braucci - e ho trovato riscontri in ogni parte d’Italia». Non solo. Aggiunge con-vinto: «Alla base dell’emergenza

c’è la privatizzazione dei servizi pubblici con le sue inefficienze strutturali. Non è un caso se dal 2001 l’Unione europea ha aperto una battaglia legale con il nostro Paese».Un’altra dimostrazione della sua idea Braucci la trova guardando alle periferie di Napoli. «Abbiamo tanto lottato per migliorarne le condizioni - rimarca - perché al-lora non si interviene?». Per que-sta domanda retorica, Braucci

«Questo Sud piace all’economia e alla politica»

Lo scrittore napoletano Maurizio Braucci è il protagonista della puntata di “Creatività

meridiane”, il ciclo di incontri con intellettuali, artisti, politici, semplici cittadini meridionali

con esperienze da raccontare per un Paese unito

Danilo Chirico ha una risposta precisa e decisa: «Perché rappresenta una grande occasione per il potere: la perife-ria serve». Così com’è. «La droga si deve vendere da qualche parte - aggiunge - i poveri e i disoccu-pati sono straordinarie opportu-nità di clientela per la politica e di manovalanza per la camorra. Su tutto questo - sottolinea an-cora - persiste e trova il suo senso l’ingiustizia sociale di una demo-crazia parziale e non realizzata come quella italiana». Dove esi-stono Napoli, la Calabria, la Sici-lia. Lo stato in cui versa il Paese insomma non è frutto dell’inef-ficienza del sistema. Piuttosto «la discrasia è un connotato del sistema stesso. Che deve essere così, che non può che essere così: è l’assurdo sociale del fondamen-talismo neoliberista che stiamo vivendo».L’analisi lucida e dura dello scrit-tore campano vale anche per il mondo dell’informazione. «Il Sud deve rimanere quello che è: per fare funzionare l’economia e conservare questo assetto di po-tere». E aggiunge: «È la rappre-sentazione di una terra senza sal-vezza. In fondo - dice - siamo un Paese cattolico. Serve far passare questa idea apparentemente mo-rale, ma in realtà funzionale alla conservazione di un sistema di potere ed economico».

Futuro incertoNon si creda che Braucci abbia intenti assolutori nei confronti dei meridionali. Per descrivere i cittadini del Sud, ricorre alla «psicologia degli oppressi». Se-condo lo scrittore, infatti, «chi ha una storia da perdente, non alza la voce perché pensa sia inutile. Subisce. Ha scarsa fiducia che diventa scetticismo, nichilismo». Poi ci sono quelli che sfruttano la situazione «attraverso mediatori che non possono non essere loca-li». Insiste nel suo ragionamento: «Credo, e lo dico nella prospetti-

va di immaginare una via d’uscita che dove ci sono rassegnazione e mitezza non c’è consapevolezza dei diritti e dei doveri (che cam-minano insieme) ed è più facile costruire dei cancri. Le élite, le-gali o illegali che siano, trovano terreno più fertile». Le responsa-bilità delle classi dirigenti, «delle élite, dei politici, degli industriali, della borghesia è alta», accusa. Sul futuro non c’è da essere pes-simisti o ottimisti. «Siamo in pareggio, si può vincere o perde-re», sostiene Braucci. Il risultato non può che dipendere, «dalle persone che devono comincia-re a cambiare la propria storia». Una via d’uscita può essere forse rappresentata dall’arte, dalla cul-tura. Che sono di casa a Napoli. La Napoli del grande teatro, della grande musica. «Questo tipo di cultura ha la sua matrice nell’arte degli analfabeti, prodotta dal po-polo - spiega - E oggi questa tradi-zione del popolo è venuta meno perché quel popolo non esiste più. Si vive di rendita». Tuttavia, rispetto alle cose «che nascono oggi in città, c’è sempre una certa fibrillazione. Se Radio3, la radio culturale, ogni domenica fa una trasmissione che si chiama Zazà ed è solo su Napoli un motivo ci sarà», osserva. Poi certo «ci sono fasi di espansione e di depressio-ne e oggi per Napoli non è una fase di espansione». C’è un altro elemento che va preso in consi-derazione quando si parla di arte e cultura. Chiarisce: «Napoli è un luogo di creatività e di sperimen-tazione. Che non sempre posso-no emergere: manca l’industria culturale che ormai è uno stan-dard necessario». Un gap molto pesante rispetto ad altre città.Poi, proprio mentre la conver-sazione sembra finire, Braucci all’improvviso dice: «Conosci la storia delle assicurazioni?». Sì, credo. La racconta così: «Per tantissimo tempo ci sono stati i sinistri falsi tra le auto». Era-no gestiti «dalla camorra o dal-le agenzie delle assicurazioni». La contromisura trovata è stata far lievitare le tariffe. Potrebbe sembrare un provvedimento tampone. E invece no: «Anziché rivedere i criteri - evidenzia - le compagnie nazionali hanno la-sciato tutto com’è: hanno capito che in fondo così ci guadagnano di più. Fare gli imbrogli in fondo è un vantaggio anche per loro». A rimetterci gli onesti. «E così i cit-tadini in un vortice di depressio-ne e disperazione girano senza assicurazione». Commenta: «È lo status quo», non un’eccezione. «È un esempio, certo. Ma incar-na una volontà precisa», osserva Braucci. Di non cambiamento. «Chiaro?». Chiaro.

[email protected]

S

Lo scrittore Maurizio Braucci

Un sarto napoletano a Città del Messico

«È un libro che racconta come da un Paese lontano e pieno di simboli come il Messico si possa guardare all’Italia e al Sud». Così Maurizio Braucci parla del suo Per sé e per gli altri, uscito per Mon-dadori nel 2010, che fa «un parallelo tra i Sud del mondo lungo un viaggio attraverso territori reali e immaginari». Una storia «di vita e di morte», dice Braucci. Il racconto di un sarto italiano, genio e sregolatezza come Napoli, la sua città d’origine, morto e sepolto a Città del Messico. Il racconto del viaggio di suo figlio che dall’Ita-lia vola in Messico per dargli l’ultimo saluto e per riannodare i fili di un rapporto che s’era interrotto qualche tempo prima quando il padre, all’improvviso, aveva deciso di lasciare la sua famiglia, la sua città, il suo Paese e di rifarsi una vita in Messico. Un viag-gio attraverso un mondo. Che gli farà scoprire il fallimento di un mondo fondato sulle ingiustizie e la sofferenza.