SpazioNBA Magazine 1 - Back in the Days
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SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
3
È davvero diffici le iniziare questo editoriale.
Sia perchè è il primo editoriale che mi trovi a scrivere, sia
perchè è l'editoriale del primo numero di questa nuova
avventura targata Spazio NBA, quindi è denso di significato.
Se state ancora leggendo dopo queste prime quattro righe,
probabilmente vi starete chiedendo che cosa troverete in
questo Magazine. Lo SpazioNBA Magazine conterrà al suo
interno una raccolta degli articol i pubblicati sul sito, corredati
da immagini e grafiche talvolta inedite. Non sarà nulla di
nuovo, ma sarà un modo per poter leggere, o ri leggere, i
nostri migl iori articol i , proprio come se steste leggendo una
rivista dedicata al la nostra amata palla a spicchi.
I l primo numero, come potete immaginare dal titolo, vi
riporta nel passato e contiene una raccolta delle nostre tre
rubriche dedicate al la storia di questo sport: NBA Legends,
NBA Stories e NBAAnthology.
È probabilmente, anzi sicuramente, è i l più grande progetto
che mi sia trovato a gestire, e la realizzazione di questo
primo numero mi ha tenuto sveglio parecchie notti . Spero ne
sia valsa la pena e spero che anche questo progetto,
insieme agli altri progetti legati al la nostra community, sia
apprezzato e sostenuto da tutti voi, che in un modo o
nell 'altro rappresentate la nostra grande, grandissima
famigl ia.
Come sempre il nostro obiettivo è quello di proporvi un
prodotto di qualità, che possa con il tempo diventare un
punto di riferimento per tutti gl i appassionati di NBA e di
basket in generale. Per raggiungere questo obiettivo però
non basta essere la più grande community cestistica in
I tal ia, abbiamo bisogno che voi diffondiate la nostra voce.
Lo so, vi ho già annoiato abbastanza, per cui chiudo questo
piccolo spazio introduttivo ringraziando chi mi aiuta ogni
giorno nella gestione di SpazioNBA e di tutto ciò che gli gira
intorno, scrivendo articol i , gestendo il gruppo e la pagina e
sopportandomi nel le mie mire espansionistiche.
Non posso fare altro che augurarvi una piacevole lettura,
nel la speranza che questo sia i l primo di molti appuntamenti
con il nostro SpazioNBA Magazine.
Sebastian Aucello
EditorialeAUTORI DEI TESTI
Sebastian Aucello
Mattia Fiorani
Pasquale Russoli l lo
GRAFICA
Sebastian Aucello
PARTNER PUBBLICITARI
Superbasket
I 999 cestisti più forti del la storia del l ' NBA
Baskettari brutti
Pick&Roll
Chiamarsi "MVP" tra cestisti senza apparenti meriti sportivi
Miami Heat - I tal ia
NBA Memes Ital ia
Lebron James Ital ian Page
i
SpazioNBA Magazine è un progetto del sito internet www.spazionba. it, con
lo scopo di raccogliere i l materiale in esso contenuto. Non è pubblicato con
una periodicità regolare, pertanto non può essere considerato un prodotto
editoriale.
Gli articol i e la grafica di questo magazine sono frutto del lavoro di tutta la
redazione del sito, senza alcun scopo di lucro. Vi invitiamo quindi a non
riprodurre totalmente o parzialmente il suo contenuto.
Tutte le immagini e le dichiarazioni inserite in questo numero appartengono
ai rispettivi autori.
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
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Leonard Kevin Bias, per i l mondo intero semplicemente Len
Bias. A molte persone questo nome non dirà nul la, ad alcuni
suonerà come una storia conosciuta, ad altri parrà una ferita
ancora aperta nel petto.
Corre l ’anno 1 963 quando Len Bias vede la sua prima luce
in una piccola città del Maryland. Pochi anni più tardi quel
bambino, oramai diventato un ragazzo corpulento, si
guadagna il soprannome di Frosty a causa del suo carattere
tranquil lo e riservato. Nonostante i l suo amore iniziale sia in
favore del footbal l americano, Len si ritrova ad esprimere il
proprio talento con la palla a spicchi tra le mani, entrando al
col lege con i migl iori auspici per i l futuro.
Arriva alla University of Maryland come un giocatore grezzo
e indiscipl inato, andando subito al lo scontro con la
personalità poco accomodante di coach Lefty Driesel l . Nel
giro di un paio d’anni, però, Bias accresce vertiginosamente
le sue qualità cestistiche fino ad arrivare a contendersi lo
scettro di col legiale più amato dai tifosi con Michael Jordan.
Entrambi giocano con una sorta di furore control lato, ma
non è quel tipo di rabbia che ti annebbia la vista, anzi, è una
cattiveria agonistica che non ti permette di perdere la
concentrazione neanche per un istante.
Quando Jordan abbandona il col lege per andare a giocare a
Chicago nel 1 984, Bias raccoglie la sua eredità vincendo
l’ACC Player of the Year per due anni consecutivi. I l suo
anno da senior è i l migl iore tuttora mai visto nel Maryland,
caratterizzato da una prestazione scolpita nel la memoria dei
presenti che lo proietta ai vertici del Draft del l ’estate
seguente. I Maryland Terrapins (1 4-11 ) devono affrontare la
squadra col migl ior record, 25-1 , e ancora imbattuta in casa:
North Carolina Tar Heels. Bias mette a referto 35 punti total i ,
ma l’episodio rappresentativo di quel la partita è i l jumper a
cui segue una rubata con schiacciata (minuto 0:08) che
cambia l ’ inerzia del la partita e permette a Maryland di
recuperare da uno svantaggio di nove punti; segna inoltre
quattro degli otto punti sufficienti ai Terrapins per
sconfiggere North Carolina in un favoloso upset che lo
consacra a star del l ’NCAA.
La March Madness del 1 986 vede i Terrapins uscire al
secondo turno. Nonostante Bias segni 1 9 degli ultimi 21
punti del la squadra, mettendone a referto dieci negl i ultimi
due minuti per un totale di 31 , Maryland viene battuta da
UNLV in quella che sarà l ’ultima partita di Bias.
I l Draft del 1 986 è il coronamento del sogno di Len. I Boston
Celtics di Red Auerbach aspettavano quel momento da due
anni, cioè da quando, due anni prima, avevano mandato
Gerald Henderson a Seattle in cambio di una scelta al primo
giro. I Cavs alla prima scelta selezionano il sol ido centro
Brad Daugherty da North Carolina, così i Celtics possono
accaparrarsi i l promettente Len Bias. Uno dei col legial i più in
vista del decennio si unisce ad una squadra non solo fresca
di titolo NBA, ma che può vantare tra le sue fi la giocatori
come Larry Bird, Kevin McHale e Robert Parish. La dinastia
dei Celtics aveva ricevuto nuova linfa vitale, era pronta per
sconfinare anche negli anni ’90.
I l giorno seguente Bias si reca alla sede della Reebok, a
New York, per firmare un contratto che avrebbe fatto di lui
l ’uomo simbolo del brand, così come era successo due anni
prima a Michael Jordan con la Nike; dopodiché torna al
"Dio era in campo con noi stasera, e quando dico Dio
intendo Len Bias.”
Keith Gatlin, compagno di squadra di Len Bias
"A quel tempo c’erano due giocatori contrapposti che
risaltavano su tutti gli altri: Michael Jordan e Len Bias.
Len era talentuoso, era davvero speciale – e la nostra
lega era piena di giocatori molto forti – quando penso a
Len Bias oggi, penso a quanto intensamente giocasse e
al suo sconfinato talento. Insieme a Michael Jordan, era
il giocatore a cui nessuna squadra poteva opporre una
contromossa. Ecco quanto era forte.”
Mike “Coach K” Krzyzewsky
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campus dell ’università per festeggiare con i suoi compagni,
andando prima a cena e poi spostando le celebrazioni nel
dormitorio.
Here we are, siamo arrivati al punto in cui le domande fin
qui accumulatesi nel la mente di chi legge questa storia per
la prima volta trovano una risposta. Come mai questo Len
Bias non è nella Hall of Fame se era davvero così
talentuoso? Perché non si sono mai visti cartel loni del la
Reebok che lo raffigurano? E poi, com’è possibi le che i
Celtics abbiano dovuto aspettare più di vent’anni prima di
tornare al titolo dopo quel Draft?
La risposta sta in un numero stampato su un fogl io.
Autopsia n°86-999
Prince George’s County
Leonard K. Bias
1 9 Giugno 1 986
Causa del decesso: intossicazione da cocaina.
L’ intera nazione è scioccata, molti rifiutano di credere che
quel ragazzo a tanti parso invincibi le sia morto. Fuori
dal l ’ospedale le lacrime si sprecano, nel le case degli
americani sintonizzati sul notiziario lo sgomento
spadroneggia, è emblematico il caso di un conduttore che,
riportando l’evento in diretta, non riesce a reggere
l ’emozione e scoppia in un pianto. A casa Bias arriva un
mazzo di peonie con le condoglianze di Michael Jordan, poi
è i l turno di Larry Bird e di l ì a poco Lonise, madre di Len, si
trova subissata di messaggi di cordoglio provenienti dal
mondo sportivo e non solo. Molti , nel corso degli anni,
etichetteranno la morte di Len Bias come l’evento sportivo
con maggiori ripercussioni a l ivel lo sociale nel la storia del lo
sport moderno.
La sua scomparsa viene strumental izzata dai media, ma
soprattutto dalla politica che la uti l izza (rincarando la dose
quando un’altra stel la del lo sport americano, Don Rodgers,
muore a causa della cocaina solamente otto giorni dopo
Bias) per far scoppiare un caso nell ’ intera nazione, a l ivel lo
istituzionale e legislativo. I fatti sono presentati in maniera
incompleta, a volte travisata (come la falsa voce che sia
stato i l crack a uccidere Len Bias), con lo scopo di
indirizzare l ’opinione pubblica, far scoppiare l ’al larme droga
nel Paese e creare i presupposti per l ’Anti-Drug Abuse Act
del 1 986, perfezionata poi nel 1 988. Questa legge,
soprannominata non a caso “Len Bias Law”, introduce fra le
altre cose i cosiddetti minimi scontabil i per reati legati al la
droga, quantificandoli con un rapporto di 1 /1 00 a seconda
che si tratti di crack o cocaina: i l possesso di 500 grammi di
cocaina e di sol i 5 grammi di crack erano equiparati , nonché
punibi l i obbl igatoriamente con una condanna di almeno
cinque anni in prigione.
Gli avvenimenti del la notte in cui Len Bias perde la vita sono
tuttora avvolti da una cortina di mistero, che diffici lmente
potrà diradarsi col tempo.
Bias s’incontra con Brian Tribble, col quale escono per
andare a comprare dei superalcol ici , prima di fare ritorno al
dormitorio. Qui, nel la stanza 11 03, insieme ad altri compagni
di squadra, tra un sorso di birra ed uno di l iquore, entra in
scena la cocaina. Come dirà in seguito Tribble, era una
situazione tranquil la, intima, non il tipo di sballo frenetico
(concedetemi i l termine) cui siamo abituati oggi. Ad un certo
punto Bias sente i l bisogno di sdraiarsi sul letto, perdendo
conoscenza di l ì a poco. Inizialmente Tribble, i l più grande
fra i quattro rimasti in stanza, ritiene di avere sotto control lo
la situazione, essendo famil iare con episodi di sincope, ma
la situazione si trasforma immediatamente in panico nel
momento in cui Tribble si rende conto che Len non sta più
respirando. Subito prende in mano il telefono e chiama il
911 :
I tentativi dei paramedici, e in seguito dei medici, per
rianimarlo sono inuti l i , la mattina stessa Len Bias lascia un
vuoto incolmabile nel cuore degli Stati Uniti .
I l processo penale e mediatico in pochi mesi passa da
accuse a tappeto nei confronti del le persone che
gravitavano intorno a Len, ad una gogna dove l’unico
"Le persone della generazione precedente alla mia
segnano il tempo con l’assassinio di John Fitzgerald
Kennedy. Per me, e molti della mia età, il tempo è
scandito dalla morte di Len Bias. Ricordiamo
esattamente il luogo e la situazione in cui eravamo
quando abbiamo saputo della sua morte, per noi era un
superuomo, una divinità indistruttibile.”
Jay Bilas, analyst per ESPN ed ex-cestista
“È Len Bias, dovete riportarlo in vita. Non può
assolutamente morire, è fuori discussione. Sul serio,
signore, venite presto per favore.”
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imputato risulta essere Brian Tribble. Le accuse nei confronti
di Terry Long e David Gregg, i due compagni presenti in
stanza quella notte, vengono fatte decadere in cambio di
informazioni significative sul conto di Tribble.
Alla fine del processo, nessuno viene condannato, ma Brian
Tribble viene incriminato quattro anni più tardi per traffico di
droga, essendo costretto a scontare una pena decennale in
carcere.
Bias consumava abitualmente cocaina o, come è stato
raccontato dalle televisioni nei mesi seguenti al la sua morte,
è rimasto vittima del primo sfortunato incontro con la droga?
I tre compagni presenti nel la stanza 11 03 sostengono che
non fosse la prima volta che Len uti l izzava cocaina. I
parenti , la fidanzata e svariati altri amici dicono invece il
contrario, raccontando di come Len persino non bevesse
alcol ici neanche nelle serate più scatenate al campus.
L’autopsia, seppur priva di certezze, sembra dare ragione ai
primi, così come la cocaina trovata sotto i l sedile del l ’auto di
Len (ritrovamento avvenuto, però, giorni dopo la sua morte).
Che Bias avesse nascosto questo suo lato per non perdere i
contratti di sponsorizzazione e la fiducia in lui riposta ai piani
più alti? Buona intuizione, ma c’è un elemento nella storia
che pare essere inspiegabile, o quantomeno inspiegato.
L’autopsia ha rivelato presenza di cocaina non solo nel
sangue di Bias ma anche nello stomaco, a l ivel l i non
raggiungibi l i con una semplice sniffata né, tanto meno,
fumandola. Alla luce di ciò sorge un più che lecito dubbio:
come ha fatto un così grande quantitativo di cocaina ad
infi larsi nel lo stomaco di Len Bias?
A seconda della fonte cui ci si affida, la versione della storia
cambia. Dove stia la verità non è dato saperlo. Forse, la
verità non è nemmeno così importante ai fini del l ’eredità
lasciata da Len Bias. La realtà, quel la con cui tutti noi
abbiamo a che fare quotidianamente, non è fatta di verità
ma di emozioni. Ognuno esprime la sua verità
compatibi lmente con la propria capacità di percepirla,
rendendo la verità una comprensione emozionale, non
intel lettuale.
Mi sarebbe piaciuto molto terminare qui l ’articolo, trovare
qualche significato recondito al la morte di Len Bias e
mettermi i l cuore in pace. Purtroppo non mi è possibi le,
devo prolungare il racconto di altri quattro anni circa.
L’eredità lasciata da Len Bias sul corpo del fratel lo minore
James (soprannominato Jay) non è tangibi le, ma risulta ben
visibi le a chi gl i sta accanto. Jay Bias è anch’egl i un
promettente giocatore di basket, capace di trascinare la sua
high school al titolo statale nella stagione da junior, con una
prestazione da 28 punti nel la partita decisiva, e di mettere a
referto 25 punti e 1 2 rimbalzi di media nella stagione da
senior. Qualcosa però inizia ad andare storto: Jay l itiga con
lo staff, diventa collerico e i suoi voti crol lano. Dopo un anno
di contrasti , interni ed esterni a sé stesso, Jay lascia la
scuola.
I l 4 Dicembre del 1 990, i l ventenne Jay si reca al centro
commerciale, dicendo di voler comprare un anello al la sua
fidanzata. Pochi minuti più tardi, nel parcheggio, muore
trafitto da una raffica di proietti l i sparati dal titolare del
negozio di gioiel l i . La causa è la gelosia, la difesa del
negoziante è che Jay nei mesi precedenti aveva fl irtato con
sua moglie, i l corpo immerso nel lago di sangue è sempre
quello del figl io di Lonise Bias.
La madre di Len si trova ad affrontare nuovamente la morte
di un figl io, per la seconda volta nel giro di quattro anni. Le
premonizioni, che aveva avuto mesi prima del Draft 1 986, di
una sciagura incombente sul la testa di un membro della sua
famigl ia si erano avverate, due volte. Quelle premonizioni la
cui ombra non era mai riuscita a scacciare, neanche quando
tutti intorno a lei festeggiavano Len Bias, la nuova stel la dei
Boston Celtics.
Si era rialzata dopo la morte di Len, si rialza ancora dopo
quella di Jay, convinta che faccia tutto parte di un disegno
del fato al quale ha poco senso opporsi. Decide così di
dedicare la sua vita ad una missione, mettere in guardia i
ragazzi del le scuole dai rischi che la crescita porta
congenitamente con sé, convinta che Len e Jay siano morti
per “donare vita” al mondo restante. Migl iaia, forse mil ioni, di
ragazzi ad oggi hanno potuto ascoltare la storia di Lonise ed
il forte messaggio insito in essa.
Era al corrente del fatto che suo figl io si drogava?” chiede
una ragazza. “È stato detto che era la sua prima volta.”
Anche Lonise Bias sembra dello stesso avviso: la verità non
è poi così importante.
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
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Boston, 1 985. Madison Square Garden, meglio noto al
grande pubblico come Boston Garden. Se durante una
normale sessione di tiro dei Celtics, vi foste trovati in quel
tempio pagano, seduti più o meno comodamente sugli
storici seggiol ini gial l i , con gl i occhi persi nel parquet
incrociato, a catturare la vostra attenzione sarebbe stato con
ogni probabil ità Michael Leon Carr. Più che sessioni, quel le
di Carr erano veri e propri duel l i al l ’ultima tripla. In
al lenamento era una macchina, accompagnava ogni
canestro al la sol ita frase:
La vittima preferita era Larry Bird. Lo conosceva fin troppo
bene, lo rispettava ma sapeva con certezza aritmetica
quanto quella frase lo facesse incazzare. Larry dal canto
suo non reagiva, un po’ per rispetto un po’ perché sapeva
che quando contava, quando la partita andava messa in
ghiaccio, M.L. Carr posava scettro e corona e preferiva
passare la palla a lui piuttosto che fingere di regnare.
In quel periodo Larry dominava la Lega. Stava per diventare
ancora una volta MVP e di l ì a poco i suoi Cletics avrebbero
vinto un altro anello. La sua forza però, non risiedeva solo
nel talento, era quell ’aria da truffatore, da spaccone, la
capacità di sottomettere l ’avversario non solo con la forza
ma con la parola. Se fosse esistita una statistica per
mappare l’ incisività di un giocatore nel trash-talking, Larry
sarebbe arrivato primo, secondo e terzo. Era un profeta.
Durante una partita contro i SuperSonics, a 1 3 secondi dal la
fine con le squadre in perfetta parità, Larry guardò negli
occhi Xavier McDaniel, che stava inuti lmente provando a
marcarlo, e gl i espose nei minimi dettagl i la sua strategia:
“Ora ci sarà la rimessa, la palla arriverà a me in questo
punto ed io ti segnerò in faccia”; dopo il time-out Bird
ricevette palla in post alto, esattamente nel punto che aveva
indicato e malgrado il tempestivo aiuto difensivo, segnò il
canestro della vittoria proprio in faccia a McDaniel.
O come quella volta nell ’84, durante un incontro contro i
Sixers. I l cl iente di turno era Jul ius Erving, tutt’altro giocatore
rispetto a McDaniel. I giornal i avevano ricamato per l ’ intera
settimana sulla sfida tra Bird e Erving, al imentando, qualora
ce ne fosse ulteriore bisogno, la già sentitissima rival ità tra i
due. Ebbene, durante la partita Larry cominciò a provocare
Doctor J comunicandogli ogni qual volta la palla entrasse
nell ’anel lo, i l parziale del la loro sfida personale “Ehi J siamo
2-0, ehi J siamo 7-2, ehi J siamo[”. All ’ennesimo “Ehi J[”,
Jul ius Erving decise che fosse giusto terminare l ’ incontro
“Sono il Re delle triple, sono il Re delle triple”
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come due genti luomini, scaraventando Bird a terra sul finire
del terzo quarto. Dopo l’ inevitabile rissa, uscendo verso gli
spogliatoi, Larry chiamò a gran voce Erving: “Ehi J[siamo
42 a 6”. Larry Bird aveva sempre ragione.
Quando nel 1 986 l’NBA istituì la gara del tiro da 3 punti a
Bird non pareva vero, avrebbe dimostrato a Carr (che nel
frattempo si era ritirato) che il suo ri lascio non era poi così
lento, e sarebbe riuscito ad unire in un solo colpo le due
cose che preferiva fare sul parquet: tirare e prendere in giro
l ’avversario.
L’8 febbraio 1 986, passerà alla storia come il giorno in cui
venne redatto i l compendio dell ’Ars Birdiana, una summa
irripetibi le di agonismo e talento in cui l ’arte del trash-talking
raggiunse vette di soggiogamento psicologico che nessuno
aveva ma raggiunto prima e che nessuno riuscirà nemmeno
a sfiorare dopo. Quella mattina Bird è sul parquet del la
Reunion Arena di Dallas, mancano otto ore alla gara, ma lui
è già lì . Accanto a Larry, c’è Leon Wood, sophomore dei
New Jersey Nets e candidato principale al la vittoria finale.
Oggi Leon Wood è un arbitro affermato della NBA, ma
all ’epoca era uno dei migl iori tiratori del la lega, tirava con il
40.4% da oltre l ’arco e lo stesso Larry lo considerava
l’ostacolo più grosso che lo separava dalla vittoria. Dopo
aver terminato la sua sessione, Bird cominciò ad osservare
Leon tirare, stava provando una serie di tiri da otto metri di
distanza. Non sbagliava mai.
“Ehi Leon, ” gl i chiese “hai cambiato i l tuo tiro ultimamente?
Sembra diverso”.
Ovviamente la meccanica di tiro di Leon non era cambiata di
una virgola e Bird lo sapeva bene, ma conosceva anche
l’enorme influenza che poteva avere nei confronti di un
giovane sophomore. Leon Wood sembrò turbato, se Bird
diceva che la sua meccanica era cambiata, al lora era
cambiata sul serio.
“Non lo so, non ci ho fatto caso” rispose balbettando prima
di prendersi un altro tiro che non arrivò neppure al primo
ferro. Non contento Bird piazzò la stoccata finale. Prese una
palla colorata, la moneyball , quel la che vale 2 punti, e
sbagliando il tiro di proposito sentenziò:
“Dannazione Leon, queste palle scivolano”.
Wood ingoiò di nuovo e se prima sembrava turbato, ora era
terrorizzato.
Nell ’86 Quentin Tarantino lavorava ancora ai Video Archives
di Manhattan Beach, ma Larry Bird aveva appena cancellato
i l nome di Leon Wood dalla sua “Death List Five”, ed ora era
il turno degli altri .
Larry era sempre stato così, un po’ genio un po’ spaccone,
sin dal l ’ infanzia a French Lick quando il suo coach del l iceo,
avendo capito che il fulmine aveva colpito due volte nello
stesso luogo, gl i regalò l ’el isir che lo avrebbe cambiato per
sempre. Abbassò il canestro e prendendo due palloni gl i
disse: “In un canestro puoi far entrare due palloni
contemporaneamente, mi aspetto che uno come te ne metta
almeno uno. Tira con una parabola alta e i l iberi semmai
lunghi, mai corti . Va’ figl iolo e ricorda che questo è il tuo
gioco”, per i l giovane Larry Legend è una rivoluzione
copernicana e ricorderà per tutta la vita le parole del suo
coach. Le ricorderà soprattutto durante una partita a Springs
Valley, quando dopo 20 minuti ne mette già 30. Lo zio,
presente alla partita, si sente un po’ come il cugino di Chuck
Berry in “Ritorno al Futuro”, mette un quarto di Dollaro nel
telefono e chiama suo fratel lo: “Joe vieni in palestra, tuo
figl io sta esagerando”. Alla fine dei 40 minuti , davanti agl i
occhi di suo padre il giovane Larry finirà con 54 punti e 38
rimbalzi.
Era fatto così, si esaltava e adorava farlo notare agli altri ,
come quando giocava a knockout col suo compagno ai
Celtics Quinn Buckner: i l compagno tirava a canestro, lui
lanciava la palla in aria e non solo deviava il tiro
del l ’avversario, ma faceva finire la sua palla in buca.
Giocava a tiro al piattel lo e basket al lo stesso tempo. L’unica
spiegazione possibi le, la più credibi le quanto meno, la trovò
il commentatore dei Cleveland Cavaliers durante una partita
contro i Celtics:
“Bird tira, e Dio muove il canestro”.
E come per tutte le cose che hanno a che fare con il divino,
la gente ha bisogno di toccare con mano, ecco perché la
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
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sua presenza alla gara di tiri da tre fu un trionfo non solo per
le masse dei fedeli , ma anche per le casse della NBA.
Malgrado tutto però, la vittoria finale di Bird era tutt’altro che
scontata, certo era il migl ior tiratore del pianeta – e questo
aiutava – ma si trattava di una gara che univa precisione e
velocità di esecuzione, argomento nel quale Bird non
primeggiava. E così, dopo aver giocato al gatto e al topo
con l’autostima di Leon Wood, Larry entrò negli spogliatoi e
ripeté la solfa dei pal loni scivolosi. Non soddisfatto, guardò
gli altri due favoriti , Craig Hodges e Dale Ell is, e col suo
solito sorriso da baro domandò:
Cancellate pure i nomi di Craig e Dale dalla l ista dei cattivi ,
la faccenda era praticamente conclusa.
Al primo round, Leon Wood, i l temibi le sophomore, arrivò
penultimo total izzando appena 1 3 punti. Quando andò a
sedersi in panca sembrava turbato, sul suo volto non c’era
nemmeno l’ombra del sorriso che di sol ito campeggia sul le
facce di chi partecipa a questo genere di manifestazioni.
Nei primi due turni Larry non si tolse neppure la giacca.
Letteralmente.
“Sto più comodo così” disse, ma non gli credette nessuno.
La finale era contro Craig Hodges, guardia dei Milwaukee
Bucks, che quello stesso anno in regular season aveva
tirato con oltre i l 45% dall ’arco. Un cecchino.
Bird decise che era arrivato i l momento di fare sul serio.
Tolse la giacca dei Celtics e rimase con la divisa rossa degli
East All-Star. Fu un massacro.
Hodges total izzò solo 1 2 punti. I l peggior risultato in una
finale per più di una decade. Quell ’anno solo Norm Nixon,
che a distanza di tempo ancora non comprende il perché
della sua presenza allo shootout, fece peggio. Quando
arrivò i l suo turno, proprio come in Macbeth, c’era un
pugnale nel sorriso di Larry. Dopo aver tirato corto i l primo
pallone, mise a segno 1 3 punti, uno dietro l ’altro. Aveva
appena cominciato i l terzo carrel lo ma aveva già vinto. Alla
penultima moneyball , annoiato dalla sua grandezza, fece
partire di proposito un tiro ad effetto di tabella; dopo aver
ballato per un istante sul ferro sapete tutti dove sia finita la
palla. Appena tirò l ’ultima moneyball , senza nemmeno
guardare se la palla entrasse oppure no, si diresse verso il
centrocampo con le braccia alzate.
Aveva appena vinto i l primo “Three point shootout” del la
storia del la NBA con ben 22 punti.
Larry era al settimo cielo. Guardò sugli spalti e sorrise. In
prima fi la ad applaudirlo come un tifoso qualsiasi c’era
Michael Leon Carr. I l compagno di tante sfide era lì a
rendergl i omaggio.
Larry al lora alzò i pugni al cielo e con voce stridula cominciò
ad urlare:
“Sono il Re delle triple, sono il Re delle triple”.
Anche quella volta, come al sol ito, i l ragazzo di French Lick
aveva esagerato.
“Allora, chi di voi arriverà secondo?”
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
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WHO IS: Allen Ezail Iverson nasce il 7 giugno 1 975 ad
Hampton, Virginia. Sua madre, Ann Iverson, ha 1 5 anni e i l
suo padre biologico, Allen Broughton, anche lui un teenager,
l i abbandona. Ann però conosce un ragazzo di quattro anni
più grande, Michael Freeman, che la aiuta con il piccolo
Allen ma la situazione resta delle peggiori: senza un
diploma per Ann è molto diffici le trovare un lavoro, ma lei è
una ragazza forte, con un cuore immenso, e non si lascia
abbattere rassicurando il figl io che le cose sarebbero
migl iorate. I l quartiere è uno dei peggiori di Hampton, i l
piccolo Allen a 8 anni ha già assistito a più omicidi di quanti
la maggior parte delle persone assista in tutta la vita, ma
continua per la sua strada giocando a football come
quarterback, kick returner, defensive back e running back
nella squadra della Bethel High School. Ha davanti a sè una
splendente carriera da giocatore di footbal l , grazie al la sua
rapidità, al la sua forza fisica e alla sua intel l igenza, ma Allen
è uno sportivo a tutto tondo e come secondo sport gioca a
basket, anche se la sua grande passione resta la palla
ovale.
La vita a Hampton non migl iora, Iverson pensa addirittura di
inizia a spacciare pur di raccimolare dei soldi per aiutare la
sua famigl ia, ma proprio quando sta per fare questo passo
ecco che Tony Clark, un ragazzo di 7 anni più grande, vede
qualcosa di speciale in lui e gl i sta accanto come un fratel lo
maggiore.
All ’età di 1 5 anni un’altra svolta: Tony viene ucciso dalla
fidanzata dopo una lite e i l patrigno, Michael, viene arrestato
per spaccio. Come se non bastasse Ann, che ha appena
partorito, ha problemi di salute e a causa delle spese
mediche i pochi risparmi stanno per terminare. Allen
abbandona la scuola, inizia a frequentare i brutti ambienti
del quartiere e cerca in tutti i modi di aiutare
economicamente la famigl ia. Questa vita però non è adatta
a lui e al lora pianifica i l suo futuro, torna a scuola con lo
scopo di diplomarsi, andare in un college prestigioso grazie
a una borsa di studio e lasciarlo i l prima possibi le per
approdare in NFL. La madre però non riesce più a pagare
l ’affitto, viene sfrattata e Allen va a vivere con Gary Moore,
suo allenatore di footbal l , in attesa che lei riesca a trovare
una casa vicino alla scuola.
La carriera di giocatore di footbal l continua a gonfie vele, i
Bruins vincono il titolo statale nel 1 992, guidati proprio da
Allen che lancia per oltre 200 yards, intercetta due passaggi
e ritorna un punt per un touchdown da 60 yards, vincendo il
premio di migl ior giocatore dello stato per ben due volte.
Come detto però gioca anche a basket e, nonostante non
sia i l suo sport preferito, risulta uno dei migl iori prospetti
anche sul parquet, tanto che gli osservatori col legial i lo
definiscono il migl ior giocatore l iceale degli ultimi 1 5 anni.
I l destino però si mette ancora in mezzo e nel 1 993 in una
sala da bowling c’è uno scontro verbale con alcuni ragazzi
bianchi, che degenera poi in una rissa. Nonostante abbia
dichiarato di essersene andato non appena si è passati al le
mani, Al len è la persona più conosciuta del gruppo, viene
arrestato e condannato a 5 anni di prigione ma qualche
mese dopo il Governatore della Virginia, Douglas Wilder, gl i
concede la grazia.
Iverson non torna alla Bethel High, decide di lavorare con un
tutor per ottenere il diploma e nel frattempo la madre,
conscia che con l’arresto e il conseguente salto dell ’anno da
senior tutte le possibi l ità di ottenere una borsa di studio
sono praticamente svanite, contatta John Thompson, head
coach di Georgetown, e lo convince a dare una chance al
figl io. Dopo un colloquio e dei work out Thompson è
impressionato dal ragazzo nonostante non giochi in una
squadra di basket da quasi due anni, e decide di portarlo a
Washington DC segnando per sempre il suo futuro.
Nonostante giochi come playmaker non costruisce il gioco
per gl i altri , tende sempre a concludere a canestro creando
malumore nei compagni che, quando hanno la palla in
mano, preferiscono non passargl iela. Lui però non bada a
queste cose, ha una missione da compiere e gioca con
un’aggressività da professionista, vincendo i premi di Big
East Rookie of the Year e di Big East’s Defensive Player of
the Year, chiudendo la stagione con 20.4 punti , 4.5 assist,
3.3 rimbalzi e 3 rubate di media e guidando gli Hoyas fino le
Sweet 1 6 del torneo NCAA.
Nella stagione da sophomore capisce che per far breccia
nei cuori degl i scout NBA deve sviluppare il suo gioco, non
"Io non voglio essere Michael Jordan, io non voglio
essere Bird o Isiah. Io non voglio essere nessuno di
questi ragazzi. Sapete, quando la mia carriera sarà finita
voglio guardarmi allo specchio e dire: ho fatto a modo
mio!”
Allen Iverson
16
può giocare sempre 1 contro 5 ma deve saper leggere ciò
che la difesa gli concede. Ci sono le partite in cui segna 30
punti, quel le in cui smazza 1 0 assist, quel le in cui ruba 1 0
palloni e quelle in cui prende 1 0 rimbalzi. Guida gl i Hoyas
alle Elite 8 con 25 punti, 4.7 assist, 3.8 rimbalzi e 3.4 rubate
di media, vince ancora il premio di Big East Defensive
Player of the Year e viene nominato All-American. Decide
allora che è giunto i l momento di fare i l grande salto e si
dichiara per i l Draft NBA del 1 996.
NBA CAREER: Phila arriva da una stagione in cui ha vinto
soltanto 1 8 partite e nonostante l ’approdo di AI e la
presenza a roster di quattro giocatori sol idi come
Stackhouse, Coleman e Weatherspoon, i l l ivel lo del resto
della squadra è parecchio basso. Le vittorie sono soltanto
22 ma la prima stagione di Iverson tra i pro è super: 23.5
punti di media, con 7.5 assist, 4.1 rimbalzi e 2.1 rubate, che
gli valgono il premio di Rookie of the Year. Non sono
soltanto i numeri però a far sgranare gli occhi, infatti la cosa
che meravigl ia è i l suo gioco frizzante e divertente,
caratterizzato da cambi di direzione repentini che mettono in
difficoltà chiunque. Ci sono anche delle note stonate, come
le 4.4 perse a partita e le tante forzature, ma il ragazzo è
destinato a fare strada e ciò è ancor più evidente quando,
dopo che Jordan ha dichiarato che Iverson avrebbe dovuto
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portare un po’ di rispetto ai veterani presenti nel la Lega, la
matricola gl i risponde senza mezzi termini, con un crossover
passato alla storia.
La seconda stagione inizia nel migl iore dei modi. Arriva a
Philadelphia Larry Brown, coach che aveva reso grandi gl i
Indiana Pacers di Reggie Mil ler, e che vuole rendere
grande, grandissimo, Allen. Brown gli spiega che per
crescere e diventare veramente immarcabile deve
modificare il suo atteggiamento. Nessuno può tenerlo
nell ’uno contro uno, ma se cercherà sempre di terminare le
azioni con un canestro al lora l ’altra squadra non si dovrà più
preoccupare di marcare i suoi compagni e per lui sarà più
diffici le poter essere incisivo. La stagione dei Sixers è solo
leggermente migl iore di quel la precedente, 31 vittorie, ma
vengono gettate le basi per i l futuro con le cessioni di
Stackhouse, Weatherspoon e Jackson e gli acquisti di Theo
Ratl iff, Joe Smith, Aaron McKie e Eric Snow. Iverson dal
canto suo resta i l leader della squadra, ma non sembra
ascoltare pienamente i consigl i del coach e chiude con 22
punti, 6.2 assist e 3.1 perse di media.
A causa del lockout la stagione ’98-’99 vede le squadre
giocare soltanto 50 partite. Brown decidere di promuovere
Snow come play titolare e di spostare Iverson nella
posizione di guardia per togl iergl i i l peso della regia e poter
sfruttare la sua rapidità contro avversari più pesanti e lenti .
Scelta azzecata. Chiude con 26.8 punti (top scorer), viene
inserito nel l ’Al l-NBA First Team e guida Philadelphia ai
playoffs, con 28 vittorie. Nel primo turno i Sixers el iminano i
Magic 3-1 ma nel secondo turno vengono eliminati dai
Pacers con uno sweep. Iverson torna un po’ quello di
Georgetown e si prende quasi 27 tiri a partita, subendo
parecchie critiche dopo l’el iminazione.
I Sixers però sono una squadra in continua crescita, con la
trade che porta nella Città del l ’amore fraterno Toni Kukoc in
cambio di Larry Hughes arriva un giocatore di grande
esperienza che aiuta la truppa di Brown ad arrivare a 48
vittorie. Iverson dal canto suo continua a tirare parecchio,
ma è la prima (e unica) opzione offensiva. I l suo gioco però,
fatto di continue penetrazioni contro giocatori molto più
fisicati di lui , comporta molti contatti e di conseguenza AI
subisce diversi acciacchi durante la stagione, che
pregiudicano alcuni aspetti del suo gioco, ma non gli
impediscono di chiudere con 28.4 punti , 4.7 assist e 2.1
rubate di media, che gli valgono la convocazione all ’Al l-Star
Game e l’ inclusione nell ’Al l-NBA Second Team. Snow
prende in mano la squadra quando ce n’è bisogno e Phila
arriva ai playoffs con la convinzione di poter far bene e,
nonostante Iverson e Snow non siano al 1 00%, riesce a
sbarazzarsi agevolmente degli Hornets, 3-1 . Al secondo
turno però arrivano ancora i Pacers e altra sconfitta, questa
volta per 4-2. La sensazione è che i Sixers e Allen abbiano
dato veramente tutto: hanno giocato sopra tanti infortuni e
hanno trovato le partite del la vita di alcune riserve, ma non è
bastato per proseguire nella post season.
La consapevolezza di dover dare ancora di più fa bene alla
squadra che l’anno successivo migl iora ancora arrivando a
56 vittorie (secondo migl ior record di stagione al pari dei Los
Angeles Lakers), guidata da un Iverson scinti l lante, che con
31 .1 punti vince per la seconda volta i l premio di migl ior
real izzatore, con 2.5 rubate quello di migl ior ruba palloni,
viene convocato all ’Al l-Star Game (di cui vincerà l ’MVP),
incluso nell ’Al l-NBA First Team e soprattutto nominato Most
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Valuable Player, dopo che nella stagione precedente aveva
ricevuto l ’unico voto non andato a Shaquil le O’Neal. È i l
giocatore più immarcabile del la Lega, nessun pari ruolo
riesce nemmeno a limitarlo e non solo domina
offensivamente ma aiuta la sua squadra anche nell ’altro lato
del campo. Sì, perché quei Sixers sono probabilmente la
migl ior difesa del campionato, soprattutto dopo aver
acquisito Dikembe Mutombo (poi Defensive Player of the
Year) dagli Atlanta Hawks in cambio di Kukoc e Ratl iff. Nel
primo turno di playoffs ci sono ancora i Pacers, questa volta
el iminati , nonostante gara 1 persa in casa 79-78. Al secondo
turno arrivano i Toronto Raptors di Vince Carter: la serie è
stupenda, è un vero e proprio duello tra le due superstar. In
gara 1 Toronto vince 96-93, ma in gara 2 Iverson pareggia la
serie segnando 54 punti per i l 97-92 finale. Si va in Canada
per gara 3, vinta dai padroni di casa 1 02-78 con il
cinquantel lo di Carter, e gara 4, vinta da Phila 84-79. Le
squadre tornano in terra americana sul 2-2 e Iverson va
ancora sopra i 50, 52 per l ’esattezza, portando Phila al la
vittoria 1 21 -88. Gara 6 è dei Raptors 1 01 -89, grazie a i 39 di
Carter, e gara 7 viene vinta da Phila 88-87, con Carter che
sbaglia i l tiro del la vittoria. I Sixers arrivano quindi al le Final i
di Conference e affrontano i Milwaukee Bucks di Ray Allen,
già avversario di Iverson ai tempi degli Hoyas. La serie è
equil ibratissima, in gara 6 Iverson ne mette 26 (46 total i) nel
quarto periodo ma i Bucks vincono 11 0-1 00 e costringono i
Sixers a gara 7. Non c’è partita: AI chiude con 44 punti, 6
rimbalzi e 7 assist, Mutombo ne aggiunge 23, 1 9 rimbalzi e
7 stoppate e i Sixers vincono 1 08-91 approdando alle
Finals, dove affrontano i Los Angeles Lakers, campioni
uscenti e con 11 vittorie su 11 partite disputate nei playoffs.
Si sa da subito che l’ impresa è delle più proibitive, i Lakers,
guidati dal trio O’Neal-Bryant-Jackson, sono una
schiacciassi, ma Iverson è nato per questi momenti e in
gara 1 raggiunge probabilmente i l punto più alto del la sua
carriera: con 48 punti, 6 assist, 5 rimbalzi e altrettante
rubate guida i suoi al la vittoria 1 07-1 01 al l ’overtime,
costringe Bryant a tirare 7/22 dal campo e infl igge a quella
corazzata la prima e unica sconfitta di quei playoffs. Come
detto i Lakers vincono la serie 4-1 , ma le medie delle Finals
di AI recitano 35.6 punti in 47.4 minuti giocati.
Nel le stagioni successive AI resta ad altissimi l ivel l i , ma i
Sixers non riescono più a ripetere quell ’exploit incredibi le.
L’anno dopo infatti vengono eliminati al primo turno dai
Celtics dopo aver chiuso la regular season a quota 43
vittorie, con Iverson che viaggia a 31 .4 punti (terza volta top
scorer) e 2.5 rubate (seconda volta top stealer) di media,
venendo convocato ancora alla partita del le stel le ed incluso
nell ’Al l-NBA Second Team, ma torna in parte i l sol ita degli
anni precedenti prendendosi quasi 28 tiri a partita
soprattutto a causa dei molti infortuni subiti dai suoi
compagni.
Durante l ’estate del 2002 viene arrestato con diverse
accuse tra cui i l possesso il lecito di armi, e nonostante
venga poi scagionato la sua immagine ne risente molto.
Tornando al basket giocato, i Sixers arrivano ancora ai
playoffs dopo aver vinto 48 partite in stagione, guidati
sempre da Iverson a quota 27.6 punti e 2.7 palle rubate
(terza volta consecutiva top stealer), convocato per la quarta
volta al l ’Al l-Star Game e inserito nel l ’Al l-NBA Second Team.
Ai playoffs però, dopo aver el iminato gl i Hornets 4-2, serie in
cui stabil isce in gara 1 i l record di franchigia con 55 punti,
deve arrendersi ai Pistons.
In estate Larry Brown decide di accettare l ’offerta proprio dei
Pistons e va ad allenare nella Motor City (vincendo il titolo al
termine della stagione) e i Sixers ne risentono così tanto che
chiudono con 33 vittorie e 49 sconfitte. Iverson salta 34
partite e chiude la stagione con 26.4 punti e 6.8 assist
tirando però con il 38.7% dal campo (career low). La
mancanza di una figura forte come guida destabil izza
Iverson, che era già stato criticato per non impegnarsi
troppo negli al lenamenti (basta vedere la sua famosissima
conferenza stampa a riguardo), e i compagni, che non
riescono più ad esprimersi al meglio del le loro possibi l ità.
Nella stagione ’04-’05 Phila ci riprova con un roster ricco di
veterani, Iverson torna il giocatore di prima, real izza 60 punti
(career high) contro i Magic i l 1 2 febbraio e chiude con 30.7
punti (top scorer), 7.9 assist e 2.4 rubate, portando i suoi a
vincere 43 partite, venendo convocato all ’Al l-Star Game (di
cui verrà eletto MVP per la seconda volta) e guadagnandosi
l ’ inclusione nell ’Al l-NBA First Team. Ai playoffs però altra
el iminazione al primo turno per mano dei Pistons con un
secco 4-1 .
I l ciclo è ormai al la fine, i Sixers ci provano la stagione
seguente aggiungendo al roster Chris Webber ma chiudono
con 38 vittorie non qualificandosi ai playoffs. Iverson viene
convocato all ’Al l-Star Game, incluso nell ’Al l-NBA Third Team
e segna ben 33 punti di media conditi da 7.4 assist, medie
che tiene anche all ’ inizio del la stagione successiva, ma la
dirigenza dei Sixers decide di rifondare e lo cede ai Denver
Nuggets. In Colorado forma con Carmelo Anthony una delle
coppie offensive più devastanti del la Lega, termina la
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
19
stagione con 26.3 punti e 7.2 assist di media, ancora All-
Star, i Nuggets si qualificano ai playoffs ma escono al primo
turno contro i San Antonio Spurs.
La stagione ’07-’08 è l’ultima giocata ai l ivel l i che lo hanno
da sempre contraddistinto: chiude con 26.4 punti , 7.1 assist
e 2 rubate di media, nona volta tra gl i Al l-Star, i Nuggets
arrivano a 50 vittorie e sono sicuramente uno dei migl iori
attacchi del la Lega, ma ai playoffs conta difendere ed
escono ancora al primo turno, sweeppati dai Lakers.
Nella stagione seguente, dopo sole 3 partite Denver decide
di cedere il nativo di Hampton ai Detroit Pistons in cambio di
Chauncey Bil lups. Iverson vede il suo minutaggio e le sue
cifre ridursi, ma la sua popolarità è sempre alle stel le e
nonostante segni “solo” 1 7.4 punti di media in maglia
Pistons viene comunque convocato per la decima volta
al l ’Al l-Star Game. AI perde ancora al primo turno di playoffs,
questa volta contro i Cavs, ma non gioca in post season a
causa di un infortunio, anche se il motivo reale pare sia un
altro. Pochi giorni prima infatti aveva dichiarato che,
piuttosto che partire dalla panchina come avrebbe voluto
coach Michael Curry, si sarebbe ritirato e la dirigenza
sembra abbia deciso di punirlo mandandolo in tribuna.
In estate diventa free agent e viene firmato dai Memphis
Grizzl ies con cui però gioca solo 3 partite prima di
abbandonare la squadra per motivi personali , per poi
tornare ai Sixers. Dopo sole 25 partite, in cui segna 1 3.9
punti di media, decide di lasciare Philadelphia a causa delle
condizioni critiche della figl ia di 4 anni.
Ritorna al basket giocato nel 201 0, firmando con i turchi del
Besiktas, con cui però gioca solo 1 0 partite, per poi ritirarsi
definitivamente il 30 ottobre 201 3.
24368 punti, 5624 assist, 3394 rimbalzi e 1 983 rubate in 91 4
partite giocate tra i pro. MVP nel 2001 , Rookie of the Year,
All-Rookie First Team e MVP del Rookie Challenge del
1 997, 4 volte migl ior marcatore, 3 volte migl ior ruba palloni,
3 volte nell ’Al l-NBA First Team, 3 volte nell ’Al l-NBA Second
Team, una volta nell ’Al l-NBA Third Team, 11 volte All-Star, 2
volte MVP dell ’Al l-Star Game e maglia ritirata dai
Philadelphia 76ers l ’1 marzo 201 4.
Ha sempre dato il massimo, anche quando non è riuscito a
vincere. Le sue prestazioni ai playoffs (29.7 punti di media in
post season) sono state sempre di altissimo livel lo ed ha
sempre portato i l suo gioco ad un livel lo superiore quando
necessario.
Ha decisamente fatto a modo suo. Un mix esplosivo di
genio, sregolatezza, talento e soprattutto tanto, tantissimo
cuore, che lo hanno reso uno dei giocatori più amati del la
sua generazione. Ha segnato il basket dentro e fuori i l
campo, cambiando per sempre tanti aspetti di questo
mondo, diventando un idolo delle fol le e dominando la Lega
dall ’alto dei suoi 1 80 centimetri .
Un giocatore e un personaggio unico, che ha portato lo sti le
di vita del la strada nel mondo della pallacanestro. Un uomo
che si è fatto da solo, è sempre ripartito dai suoi fal l imenti e
non ha mai rinunciato a cercare di raggiungere un obiettivo.
Semplicemente The Answer.
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21
Appena l’autobus svoltò su Lasalle Street lo videro, i l mitico
Louisiana Superdome era davanti ai loro occhi. J immy e
Matt si scambiarono un’occhiata complice, erano sbalorditi ,
e sapevano con certezza che malgrado tutto, i l loro futuro
era lontano da posti come quello. James era
concentratissimo, quello sarebbe stato l ’ultimo anno con
quei ragazzi e voleva più di ogni altra cosa vincere quel
titolo collegiale che gli era stato scippato da Isiah Thomas
appena un anno prima; Sam, invece, folgorato dalla
magnificenza del palazzo, dimenticò per un istante Patrick
Ewing, l ’uomo che gli togl ieva il sonno.
In fondo al pul lman però, c’era qualcuno che non sembrava
impressionato. Non importava quello che ci fosse al di là del
finestrino, per quanto gl i riguardava poteva esserci anche la
Tour Eiffel.
Michael aveva lo sguardo perso nel vetro. Ripassava come
uno scolaretto prima dell ’esame tutto quello che aveva
studiato la notte precedente. Sapeva già come sarebbe
andata la partita contro Georgetown.
Al mattino aveva chiamato sua madre: “Mà, vinciamo noi!”
aveva detto al la signora Dolores, e nonostante la perplessità
di sua madre, rincarò la dose “[vinciamo di 1 e i l tiro del la
vittoria lo metto io”.
Poco importa che lui fosse un freshman e che coloro a cui
spettava l’eventuale tiro della vittoria si chiamassero Sam
Perkins e James Worthy, nel suo mondo ideale i l tiro
sarebbe toccato a lui.
Qualcosa nella mente di Michael iniziò a ticchettare, era i l
cronometro della partita, mancavano 6 secondi al la fine, 5.
Vedeva se stesso muoversi senza palla e posizionarsi sul
lato debole pronto a ricevere la palla. Immaginò quale difesa
avrebbe potuto usare Georgetown in un ultimo possesso
contro di loro.
“Useranno sicuramente la zona 1 -3-1 ” pensò. Dean Smith si
alza dalla panca e Michael pensa a tutte quelle volte in cui
Coach Smith era stato criticato per non aver mai vinto nul la
nei suoi 21 anni a Chapel Hil l , le tre sconfitte in finale –
l’ultima delle quali l ’anno prima contro Indiana – le semifinal i
perse. Mike voleva disperatamente regalare i l titolo a Smith,
voleva portare il titolo a North Carolina. L’orologio continuò a
ticchettare e Michael si sforzò di sognare ancora. Mancano
3 secondi al la fine. Palla a Jordan[
I l pul lman parcheggiò frettolosamente nel garage privato del
Superdome costringendo Michael ad abbandonare il suo
sogno ad occhi aperti . La realtà lo chiamava. Di l ì a poco
quelle emozioni le avrebbe provate davvero.
l palazzo era strapieno e la partita, come da pronostico,
scorreva sulle al i del l ’equil ibrio con James Worthy (28 punti)
e Patrick Ewing (23 punti e 11 rimbalzi) a contendersi i l
premio di Most Outstanding Player. Mancano 32 secondi
al la fine e Georgetown conduce 62-61 . Time-out Carolina.
È il momento chiave della partita e Coach Smith in piedi di
fronte ai suoi ragazzi lo sa bene.
“Ragazzi, andiamo ad attaccare la zona 1-3-1”
Coach Dean Smith
22
Mike sorride, questa volta non ha bisogno di chiudere gli
occhi, sa già cosa fare.
Smith va da Black, i l suo playmaker, e gl i dice: “J immy, la
nostra prima opzione è Worthy, tieniti pronto per un lob
dentro per lui. Se non è possibi le, ribalta sul lato debole per
Jordan.”
Le squadre stanno rientrando in campo.
“Michael” urla Coach Smith “metti la dentro”.
Jordan annuisce, deve solo eseguire quanto sognato sul
pul lman. Guarda i 62 mila spettatori e decide di renderl i
fel ici . La palla è come da copione delle mani di Black.
Guarda dentro ma Worthy è circondato da maglie blu. Si va
in automatico, pal la a Jordan.
Mancano 1 7 secondi al la fine, Dean Smith è in piedi,
Michael tira fuori la l ingua e fa partire l ’arcobaleno.Canestro.
Georgetown è alle corde e all ’ultimo possesso Fred Brown,
regala la palla a James Worthy.
North Carolina è campione!
Quella sera di fine marzo a New Orleans nacque Michael
Jeffrey Jordan e di l ì in poi nul la sarebbe stato più lo stesso,
i l mondo del basket sarebbe cambiato per sempre e perfino
i l nostro modo di intendere lo sport più bello del mondo
sarebbe stato figl io di quel tiro preso a 1 7 secondi dal la fine
da un freshman.
Non un semplice tiro, ma “I l Tiro”, “The Shot”.
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
25
WHO IS: Shaquil le Rashaun O’Neal nasce a Newark, New
Jersey, i l 6 marzo 1 972. Suo padre, Joseph Toney, ha
problemi legati al l ’abuso di sostanze stupefacenti e, nel
1 973, viene arrestato per possesso di droghe. Toney non è
mai stato parte integrante della vita del figl io, che è stato
cresciuto dalla madre, Lucil le O’Neal, e dal patrigno, Phil l ip
A. Harrison. Shaq non ha mai voluto ristabil ire i rapporti con
il suo padre biologico, affermando più volte “Phil è mio
padre”.
Passa la sua gioventù nella Germania dell ’Ovest poichè il
patrigno era d’istanza alla base di Wildflecken con l’esercito
americano, venendo addirittura scambiato da Dale Brown,
coach di LSU, per un mil itare in servizio, per poi trasferirsi a
San Antonio, dove guida la Robert G. Cole High School a un
record di 31 vittorie e una sola sconfitta nel la stagione da
junior, 36 vittorie e nessuna sconfitta nel la stagione da
senior. In questa stagione Shaq, che ha già superato i 2
metri di altezza e i 1 20 chilogrammi di peso, domina
letteralmente chiudendo con 32 punti e 22 rimbalzi a partita,
guadagnandosi i l titolo di All-American e portando il suo
l iceo al titolo statale.
Diversi col lege, tra cui Louivi l le, UNLV, North Carolina e
North Carolina State, sono in fi la per assicurarsi i l suo
talento, ma alla fine Little Warrior (Shaquil le Rashaun in
Arabo significa proprio “Piccolo Guerriero”) decide di andare
proprio al la Louisiana State University di coach Brown, che
per primo aveva riconosciuto i l suo talento.
Dopo una prima stagione di ambientamento, in cui
comunque mette a referto 1 3.9 punti , 1 2 rimbalzi e 3.6
stoppate di media tirando con il 57% dal campo, esplode
nella stagione da sophomore: 27.6 punti , 1 4.7 rimbalzi, 5
stoppate e il 62.8% al tiro, numeri che gli valgono l’Adolph
Rupp Trophy come migl ior giocatore del Paese. Chiude
l’esperienza universitaria dopo la stagione da junior, in cui
mette a referto 24.1 punti , 1 4 rimbalzi e 5.2 stoppate,
decidendo di entrare nel Draft del 1 992, per poi
successivamente completare gl i studi per corrispondenza
nel 2000.
NBA CAREER: O’Neal non è soltanto pura potenza, è
anche tanta tecnica e una personalità incredibi le, qual ità che
fanno intravedere in lui un giocatore che potrebbe fare
grandi cose tra i pro. Viene scelto con la prima chiamata
assoluta dagli Orlando Magic, con cui vince il premio di
Rookie of the Year dopo una stagione da 23.4 punti , 1 3.9
rimbalzi e 3.5 stoppate, che con la sua presenza vincono 20
partite in più del l ’anno precedente e mancano i playoffs per
un soffio, arrivando alla pari con gli Indiana Pacers. Durante
la stagione da rookie inoltre diventa la prima matricola dopo
Michael Jordan ad essere votato come titolare nell ’Al l-Star
26
Game. La stagione però viene anche ricordata per due
episodi particolari , due schiacciate incredibi l i con cui i l
giovane O’Neal rompe la struttura del canestro.
I Magic vincono ancora incredibi lmente la lottery, scelgono
Chris Webber ma lo cedono ai Warriors in cambio di
Anfernee “Penny” Hardaway, terza scelta assoluta. Shaq nel
frattempo migl iora le sue cifre mettendo a referto 29.3 punti ,
1 3.2 rimbalzi, 2.4 assist e 2.9 stoppate a partita, real izzando
la prima tripla doppia della sua carriera i l 20 novembre
contro i Nets (24 punti, 28 rimbalzi e 1 5 stoppate,
QUINDICI !), guadagnandosi ancora l ’Al l-Star Game e per la
prima volta l ’ inclusione nell ’Al l-NBA Third Team. I Magic si
qual ificano per la prima volta nella loro storia ai playoffs con
un record di 50 vittorie e 32 sconfitte, ma perdono 3-0 al
primo turno contro gl i Indiana Pacers.
La stagione 1 994-1 995 è quella del la definitiva esplosione.
29.3 punti (migl ior real izzatore nella Lega), 1 1 .4 rimbalzi, 2.7
assist, 2.4 stoppate che valgono l’Al l-Star Game,
l ’ inserimento nell ’Al l-NBA Second Team e il secondo posto,
dietro a David Robinson, nel la classifica per l ’MVP. I Magic
vincono 57 partite e arrivano ai playoffs come testa di serie
numero 1 . Al primo turno si sbarazzano dei Celtics, 3-1 , con
Shaq che, sul l ’1 -1 , domina gara 3 realizzando 20 punti e 21
rimbalzi; al secondo turno battono 4-2 i Chicago Bulls, orfani
di Jordan, guidati dal sol ito O’Neal, autore di 24.3 punti , 1 3.2
rimbalzi, 4 assist e 2 stoppate; al le Conference Finals si
trovano davanti gl i Indiana Pacers di Reggie Mil ler. La serie
è equil ibratissima nelle prime 5 partite, con scarti da 1 a 5
punti. I Magic sono in vantaggio 3-2 ma vengono distrutti a
Indianapolis in gara 6, 1 23-96 nonostante uno Shaq da 35
punti e 1 3 rimbalzi. In gara 7 però, nonostante i l #32 faccia
una partita nel la norma, real izzando 26 punti e 6 rimbalzi,
Orlando vince 1 05-81 , accedendo alle Finals. I numeri del la
serie di O’Neal sono impressionanti considerando che è un
giocatore al terzo anno e alla prima vera esperienza ai
playoffs: 27.3 punti , 9.6 rimbalzi, 2.4 assist, 1 .1 rubate, 1 .7
stoppate e il 66% dal campo. In Finale ci sono gli Houston
Rockets di un altro centro dominante, Hakeem Olajuwon,
che vincono 4-0 nonostante i l fattore campo fosse a favore
dei Magic. A Orlando non bastano i 28 punti, 1 2.5 rimbalzi,
6.3 assist e 2.5 stoppate di Shaq.
La squadra della Florida ci riprova la stagione seguente.
O’Neal salta 28 partite per infortunio ma con 26.6 punti , 1 1
rimbalzi, 2.9 assist e 2.1 stoppate partecipa ancora alla
partita del le stel le e viene inserito nel l ’Al l-NBA Third Team.
I Magic arrivano a 60 vittorie, ma sono secondi a est dietro
la stagione record da 72 vittorie dei Bul ls. Al primo turno
eliminano con un secco 3-0 i Detroit Pistons, al secondo 4-1
agl i Atlanta Hawks ma in Finale di Conference arrivano i
Bul ls, che vincono senza problemi 4-0. Shaq chiude i
playoffs con 25.8 punti, 1 0 rimbalzi, 4.6 assist e 1 .3 stoppate
di media, dimostrando di essere pronto a vincere, così in
estate, dopo aver vinto la medaglia d’oro olimpica a Atlanta,
decide di cambiare aria, di andare in una squadra dalla
grande tradizione, e firma un contratto da 1 21 mil ioni di
dol lari in 7 anni con i Los Angeles Lakers.
I gial loviola sono una squadra in piena ricostruzione dopo lo
Showtime. Hanno alcuni giovani interessanti come Eddie
Jones, Nick Van Exel e i l rookie Kobe Bryant, a cui si
affiancano veterani e giocatori già affermati come Elden
Campbell e Byron Scott. Con l’arrivo di Shaq le aspettative
sono molto alte, ma ci vuole qualche anno prima che queste
aspettative vengano rispettate.
Nella prima stagione da Laker O’Neal salta 31 partite per
infortunio, real izzando però 26.2 punti , 1 2.5 rimbalzi, 3.1
assist e 2.9 stoppate nelle 51 partite giocate, che gli valgono
l’Al l-Star Game e l’Al l-NBA Third Team. I Lakers vincono 56
partite, si qual ificano ai playoffs ma, dopo aver battuto 4-0 i
Blazers con uno Shaq da 33 punti di media nella serie,
vengono eliminati al secondo turno, 4-1 dagli Utah Jazz.
La stagione seguente salta ancora 22 partite a causa di
infortuni, chiude con 28.3 punti , 1 1 .4 rimbalzi, 2.4 assist e
2.4 stoppate, partecipa ancora all ’Al l-Star Game, viene
inserito nel l ’Al l-NBA First Team e guida i Lakers a vincere 61
partite, conquistando il tiolo del la Pacific Division. Ai
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
27
playoffs, dopo aver el iminato i Blazers 4-0 (29 punti e 11 .8
rimbalzi di media nella serie per O’Neal) e i Sonics 4-1 (30.6
punti e 9.6 rimbalzi di media), sono ancora i Jazz ad
eliminare Shaq e compagni, con un perentorio 4-0.
I Lakers stanno crescendo, guidati dal la coppia O’Neal-
Bryant, ma la stagione 1 998-1 999 è caratterizzata, oltre che
dal lockout, da diversi cambi a l ivel lo di staff e giocatori. Van
Exel, Jones, Campbell e coach Del Harris salutano El
Segundo, mentre in arrivo ci sono Glen Rice e Kurt Rambis,
come nuova guida tecnica. La sostanza però non cambia:
O’Neal gioca probabilmente la peggior stagione da quando
è nella Lega e chiude con 26.3 punti , 1 0.7 rimbalzi, 2.3
assist e 1 .7 stoppate, per la prima volta non è un All-Star ma
viene comunque incluso nell ’Al l-NBA Second Team. La
squadra arriva ai playoffs, el imina Houston in 4 partite ma
viene eliminata dagli Spurs con uno sweep. Manca
qualcosa, quel qualcosa che renda un gruppo di ottimi
giocatori una squadra da titolo.
Quel qualcosa ha un nome e cognome: Phil ip Douglas
Jackson.
Con l’arrivo del coach protagonista dei 6 titol i di Chicago, a
LA si respira una nuova aria. Jackson motiva Shaq, dichiara
che il trofeo di MVP sarebbe dovuto essere stato rinominato
al ritiro del #34 e, grazie al la Triangle Post Offense di Tex
Winter, costruisce un sistema che permette a O’Neal, Bryant
e agli altri interpreti di esprimersi al meglio. O’Neal chiude la
stagione con 29.7 punti (leader della Lega), 1 3.7 rimbalzi,
3.8 assist e 3 stoppate, vince l’MVP, partecipa all ’Al l-Star
Game (di cui vince l’MVP con Tim Duncan), viene incluso
nell ’Al l-NBA First Team e nell ’Al l-Defensive Second Team. È
il primo giocatore da Kareem Abdul-Jabbar, nel la stagione
’76-’77, a finire tra i primi tre nella Lega per punti, rimbalzi,
percentuale dal campo e stoppate. I Lakers arrivano ai
playoffs con 67 vittorie, al primo turno eliminano i Kings 3-2,
al secondo i Suns 4-1 , al le Conference Finals i Portland
“Jail” Blazers 4-3, dopo un’incredibi le rimonta in gara 7.
Nelle Finals si sbarazzano dei Pacers 4-2 e O’Neal viene
nominato MVP, chiudendo la serie con 38 punti, 1 6.7
rimbalzi, 2.3 assist, 1 rubata, 2.7 stoppate e il 61 % dal
campo, probabilmente la migl ior serie finale di sempre.
I Lakers sono una corazzata, la stagione 2000-01 si chiude
con 56 vittorie, i l duo O’Neal-Bryant domina la Lega, con il
primo che realizza 28.7 punti , 1 2.7 rimbalzi, 3.7 assist e 2.8
stoppate a partita, e i l secondo 28.5 punti, 5.9 rimbalzi, 5
assist e 1 .7 rubate. Altro All-Star Game per Shaq, altro All-
NBA First Team, altro All-Defensive Second Team e altro
viaggio ai playoffs. 3-0 ai Blazers, 4-0 ai Kings, 4-0 agli
Spurs, 4-1 in Finale ai Sixers. I l migl ior cammino di sempre
nella postseason. O’Neal viene ancora nominato MVP delle
Final i , con 33 punti, 1 5.8 rimbalzi, 4.8 assist, 3.4 stoppate e
il 57.3% dal campo, i l tutto essendo marcato da Dikembe
Mutombo, Defensive Player of the Year. In gara 3 Shaq
viene espulso proprio a causa di un fal lo in attacco
commesso contro i l congolese, e, al termine della partita,
dichiara:
Prima della stagione 2001 -2002 viene operato al piede
sinistro, ma è pronto per l ’ inizio del la stagione. Tuttavia i l
piede gli dà diversi problemi e lo costringe a saltare 1 2
partite che, aggiungendo 3 partite di squalifica dopo una
rissa con Brad Mil ler, diventano 1 5. Realizza comunque
28.7 punti, 1 0.7 rimbalzi, 3 assist e 2 stoppate a partita, ma
la sua leadership è messa in dubbio da Bryant, al la sua
prima stagione da vero trascinatore della squadra. O’Neal è
ancora All-Star, viene incluso nell ’Al l-NBA First Team e vince
per la terza volta consecutiva l ’MVP delle Finals, dopo aver
"Non avrei mai pensato che il miglior difensore della
Lega avrebbe floppato in quel modo. È vergognoso che
gli arbitri ci siano cascati. Avrei voluto che lui fosse
stato in piedi e mi avesse affrontato come un uomo,
piuttosto che floppare e piangere ogni volta che andavo
contro di lui."
Shaquille O'Neal
28
eliminato 3-0 i Blazers, 4-1 gl i Spurs, 4-3 i Kings e 4-0 i
Nets, chiudendo le Final i con 36.3 punti , 1 2.3 rimbalzi, 3.8
assist e 2.8 stoppate di media.
Shaq fatica ad accettare che Kobe lo stia superando nelle
gerarchie e tra i due il rapporto inizia ad inasprirsi. Durante
l ’estate O’Neal decide di sottoporsi ad una nuova
operazione al piede, ma aspetta fino al giorno prima del
training camp, dicendo di essersi infortunato lavorando e
che quindi sarebbe guarito durante i l periodo di lavoro. La
situazione peggiora dopo la stagione 2002-2003 con O’Neal
autore di 27.5 punti , 1 1 .1 rimbalzi, 3.1 assist e 2.4 stoppate,
di nuovo All-Star, nel l ’Al l-NBA First Team e nell ’Al l-Defensive
Secon Team, ma con i Lakers eliminati al secondo turno dei
playoffs, 4-2 dagli Spurs, dopo aver battuto i Wolves 4-2.
La dirigenza decide di provare il tutto per tutto e, nel la free
agency, firma Karl Malone e Gary Payton. Shaq però chiede
un aumento salariale, urlando “Pagami!” a Jerry Buss,
propietario dei Lakers, durante una partita di preseason, e la
tensione con Bryant è ormai palpabile. I due si criticano
durante le interviste, con Bryant che afferma che il
compagno sia fuori forma e anteponga i soldi agl i interessi
del la squadra, e Shaq che non si esime dal parlare delle
accuse di stupro del #8. La stagione del centro si chiude con
21 .5 punti , 1 1 .5 rimbalzi, 2.9 assist e 2.5 stoppate, con
l’MVP All ’Al l-Star Game e l’ inserimento nell ’Al l-NBA First
Team. I Lakers arrivano alle Finals con i favori dei pronostici
dopo aver battuto 4-1 Houston, 4-2 San Antonio e 4-3
Minnesota, ma perdono malamente 4-1 contro i Pistons di
Larry Brown.
In estate Shaq critica l ’operato della società, rea di aver
lasciato andare Phil Jackson e di voler puntare su Bryant, e
chiede di essere ceduto. Kupchack prova a scambiarlo con i
Mavericks in cambio di Dirk Nowitzki, ma alla fine cede alle
richieste dei Miami Heat, che mandano in California Caron
Butler, Lamar Odom, Brian Grant e una prima scelta futura.
Nel primo anno a Miami, O’Neal promette ai fan che
avrebbe portato l ’anel lo in Florida. Gli Heat vanno subito
fortissimo e, già al la prima stagione, chiudono con il migl ior
record della Lega. Shaq realizza 22.9 punti , 1 0.4 rimbalzi,
2.7 assist e 2.3 stoppate, partecipa all ’Al l-Star Game e viene
incluso nell ’Al l-NBA First Team. Gli Heat el iminano i Nets e i
Wizards 4-0, ma perdono nelle Conference Finals contro i
Detroit Pistons, cedendo solo in gara 7, 88-82.
Durante l 'estete O'Neal firma un’estensione contrattuale con
gli Heat, 1 00 mil ioni in 5 anni, ed è pronto ad iniziare la
nuova stagione dopo aver perso per una manciata di voti
l ’MVP 2004-05 (vinto da Steve Nash), ma alla seconda
partita subisce un infortunio al la cavigl ia che gli fa saltare 1 8
partite. Al suo ritorno Stan Van Gundy, fortemente criticato
da O’Neal durante i precedenti playoffs, si dimette e al suo
posto arriva Pat Riley. Riley decide di preservare O’Neal
durante la regular season, che chiude con 20 punti, 9.2
rimbalzi, 1 .9 assist e 1 .8 stoppate, venendo convocato
all ’Al l-Star Game e inserito nel l ’Al l-NBA First Team. Gli Heat
el iminano i Bul ls 4-2, i Nets 4-1 , i Pistons 4-2 e vincono in
rimonta i l titolo, 4-2 contro i Dallas Mavericks. È il quarto e
ultimo anello per Shaq.
Nella stagione 2006-07 salta 35 partite dopo essersi
sottoposto ad un nuovo intervento, questa volta al ginocchio
sinistro, nel mese di novembre. Gioca soltanto 40 partite,
real izzando 1 7.3 punti , 7.4 rimbalzi, 2 assist e 1 .4 stoppate,
ma viene comunque convocato all ’Al l-Star Game. Gli Heat
faticano senza Shaq, chiudono con il quarto seed come
campioni del la Southeast Division, ma al primo turno
affrontano in Bulls che, a causa di un migl ior record, hanno il
fattore campo. Miami viene eliminata 4-0, nonostante una
buona serie di Shaq che però, al l ’età di 34 anni, non è più
un fattore come un tempo.
Nella stagione successiva, dopo 33 partite sottotono, diversi
infortuni e una lite con Riley, gl i Heat decidono di cederlo ai
"O’Neal se ne è andato perché non poteva ottenere ciò
che voleva – un aumento contrattuale. Non c’è nessuna
proprietà che gli darebbe ciò che vuole. Le richieste di
Shaq hanno tenuto in ostaggio la franchigia e il suo
modo di fare non è affatto piaciuto a Jerry."
Tex Winter, assistente di Phil Jackson
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
29
Phoenix Suns in cambio di Shawn Marion e Marcus Banks.
Shaq chiude la stagione con 1 3.6 punti , 9.1 rimbalzi, 1 .5
assist e 1 .4 stoppate di media, aiutando i Suns a
raggiungere i playoffs, in cui però vengono eliminati dagl i
Spurs 4-1 .
Lo staff medico dei Suns, si sa, fa miracoli . Nel la stagione
seguente infatti O’Neal migl iora sensibi lmente le sue cifre,
chiudendo con 21 .3 punti , 1 0.1 rimbalzi, 2 assist e 1 .7
stoppate in 75 partite giocate (mai così tante dalla stagione
’99-’00 e soltanto quinta stagione in carriera con almeno 75
partite giocate), tornando all ’Al l-Star Game, di cui vince di
nuovo l’MVP insieme al suo amico-nemico Kobe Bryant, e
venendo inserito nel l ’Al l-NBA Third Team, ma i Suns non
raggiungono i playoffs.
Phoenix decide così di tagl iare i costi e cede O’Neal ai
Cleveland Cavaliers in cambio di Sasha Pavlovic, Ben
Wallace e una seconda scelta.
Lontano dall ’Ariziona, Shaq torna ad avere problemi fisici ,
salta 29 partite ma chiude comunque con 1 8.5 punti , 1 0.3
rimbalzi, 2.3 assist e 1 .8 stoppate. Torna in campo per i l
primo turno dei playoffs, in cui i Cavs hanno la meglio sui
Bul ls 4-1 , ma il sogno di vincere il quinto titolo si spegne al
secondo turno, in cui Cleveland, testa di serie #1 , viene
eliminata 4-2 dai Boston Celtics.
La carriera di Shaq è agli sgocciol i , prova a raggiungere il
quinto anello andando dai rival i di sempre, i Boston Celtics
di Rondo, Allen, Pierce e Garnett. Nonostante i diversi
infortuni di O’Neal, la dirigenza decide di cedere Perkins ai
Thunder in cambio di Jeff Green, per lasciare più spazio al
#36. Le sue condizioni però sono peggiori del previsto:
gioca soltanto 37 partite, in cui comunque realizza 1 6.3
punti , 8.5 rimbalzi, 1 .2 assist e 2 stoppate di media, ed è
costretto a saltare tutto i l primo turno dei playoffs, che i
Celtics vincono 4-0 contro i New York. Torna in gara 3 del
secondo turno ma non è sufficiente per evitare la sconfitta,
4-1 contro i Miami Heat dei suoi vecchi compagni Wade e
James.
L’1 giugno, attraverso il suo account Twitter annuncia i l ritiro.
1 9 anni di carriera, 28596 punti segnati (sesto al l-time),
1 3099 rimbalzi, 3026 assist, 2732 stoppate (nono all-time), 4
titol i NBA, 3 MVP delle Finals, un MVP della regular season,
8 volte nell ’Al l-NBA First Team, 2 volte nell ’Al l-NBA Second
Team, 4 volte nell ’Al l-NBA Third Team, 3 volte nell ’Al l-
Defensive Second Team, 2 volte migl ior real izzatore
dell ’NBA, 1 5 volte All-Star, 3 volte MVP dell ’Al l-Star Game,
numero 34 ritirato dai Los Angeles Lakers.
Ci sarebbe ancora tantissimo da dire, soprattutto per quanto
riguarda la sua vita fuori dal campo. Dalle interviste contro
Van Gundy alle canzoncine contro Divac, dal la sua
strabordante personalità al feud con Bryant. Tante cose di
cui, prima o poi, vi prometto che parleremo, perché Shaq è
un giocatore e personaggio unico, che merita più di un
semplice articolo.
"Il mio motto è molto semplice: Win a Ring for the
King!"
Shaquille O’Neal
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
31
Ci sono situazioni, eventi , talmente causali che credere alle
coincidenze diventa un arduo compito. Quella sera di
Novembre è una delle circostanze in cui i l disegno del Caso
si fa talmente articolato e tempestivo da costringerti ad
inchinarti al la sua maestosità, oppure iniziare a dubitare
della sua effettiva esistenza. Tendendo a far parte del
secondo gruppo, voglio presentarvi questa vicenda come
l’opera scaturita dal la mano di un abile drammaturgo. Lascio
dunque la parola al le maschere principal i di questa tragedia
contemporanea, in modo che le loro parole e le suggestive
immagini possano appassionare il lettore più di quanto sia in
grado di fare un semplice narratore.
PROLOGO
La stagione precedente dei Pacers, nonostante i l migl ior
record della lega, si era chiusa con la sconfitta in Eastern
Conference Finals per mano dei Pistons, laureatisi poi
campioni. Gara 6 di quel la serie, giocata con O’Neal e
Tinsley infortunati , era stata teatro dei primi veri screzi tra le
due franchigie, con Artest che nel momento cruciale
del l ’ultimo periodo aveva rifi lato una gomitata sul viso a Rip
Hamilton.
I Pacers avevano passato tutta l ’estate a rammaricarsi per
la sconfitta, convinti di essere più forti dei Pistons,
sensazione accresciutasi ancora di più con l’arrivo di
Stephen Jackson durante quell ’estate. La stagione 2004/05
dei Pacers era cominciata con le migl iori aspettative e con la
squadra decisa ad arrivare fino in fondo, potendo contare su
un roster di primissimo livel lo ed un allenatore competente
come Rick Carl isle, l icenziato l ’anno prima dai Pistons per
un rapporto non idi l l iaco con la società e subito messo sotto
contratto da Indiana. L’occasione per sovvertire le gerarchie
dell ’anno precedente era arrivata, proprio al l ’ inizio del la
Regular Season, ed i Pacers dovevano soltanto coglierla.
EPISODI
1 9 Novembre 2004, The Palace of Auburn Hil ls, Michigan.
La partita è intensa, aggressiva, ferina. Indiana domina, si
mette davanti e non permette ai Pistons di tornare sotto. A
metà dell ’ultimo quarto Rip Hamilton colpisce Tinsley con
una gomitata nella schiena, la panchina dei Pacers esplode
ma nessun flagrant foul viene chiamato. Due canestri
consecutivi di Stephen Jackson chiudono la partita a 3’ dal
termine. Non c’è storia, Indiana è entrata nella tana del lupo
e l’ha pure fatto fuori, ma i giocatori non smettono di giocare
duro. Ben Wallace spinge Artest contro i l supporto del
canestro durante una stoppata giudicata regolare dagli
arbitri .
Artest avverte Wallace che l’avrebbe colpito. E così avviene
pochi secondi dopo.
I l fal lo di Artest sarebbe stato al massimo un flagrant one,
c’era davvero poca cattiveria in quel contatto, e guardando
le immagini ci si stupisce davanti al la reazione spropositata
del giocatore dei Pistons. Quello che spesso si dimentica di
raccontare, però, è che Ben Wallace stava attraversando un
periodo diffici le: suo fratel lo era morto da una decina di
giorni a causa di un tumore al cervello, ed egli era da poco
tornato a giocare nel tentativo di superare il lutto.
Era decisamente la persona sbagliata a cui fare un fal lo
gratuito in quel momento.
Dopo lo scontro, Artest è sdraiato sul tavolo degli assistenti
di gara nel tentativo di placare i suoi istinti , Wallace continua
ad agitarsi ma la distanza tra i due parrebbe non creare
alcun pericolo. L’animo più caldo, in quel momento, è senza
dubbio quello di Stephen Jackson.
"Era il caos assoluto, al punto che temevi davvero per
la tua vita. Non sapevamo se a quel punto qualcuno
avrebbe tirato fuori un coltello o una pistola. I tifosi
invadevano il campo e provocavano i giocatori
cercando di scatenare delle risse. Non avevo mai visto
nulla del genere.”
Tim Donaghy, arbitro "Verso la fine della partita, ricordo di aver sentito
qualcuno dire a Ron “Puoi farne uno adesso”. L’ho
sentito. Penso che qualcuno stesse tirando un tiro
libero. Qualcuno ha detto a Ron “Puoi farne uno
adesso”, intendendo che poteva fare fallo su qualcuno
con cui aveva avuto problemi durante la partita.”
Stephen Jackson
"È difficile dire “non faro più questo” o “non farò più
quello”, perché in una situazione del genere non sai
come potrai reagire. È stata una situazione unica con
così tante cose che accadevano troppo in fretta.”
Ben Wallace
La cosa che mi ha più infastidito mentre cercavamo di
dividere Ben e Ron, è stata che un sacco di compagni di
Ben continuavano a provocare. Stavo cercando di
aiutare a calmare l’ambiente quando ho sentito Rip
Hamilton e Lindsey Hunter parlare, allora mi sono detto
“Ok, non hanno intenzioni di farla finita, continuano a
provocare. Fammi vedere cosa vogliono.” Ero in
modalità combattimento. Gli dico “Siete stati molto
irrispettosi, ragazzi. Noi stiamo cercando di farla finita.
Dunque, se volete combattere , vi darò quello che state
cercando.” Era solo un mucchio di rumore, solo trash
talking. Io e Rip siamo davvero buoni amici. Ma, in quel
momento, le emozioni erano davvero incontrollabili.
32
Jack viene portato via e la situazione sembra essere sotto
control lo. Wallace, al culmine dell ’agitazione, si togl ie
l ’armband (la fascia elastica sul braccio) e la lancia in
direzione di Artest. Non lo prende, anzi, lo manca di
parecchio, ma il gesto viene colto dai tifosi come se fosse
un “aprite i l fuoco”. Nel giro di pochi secondi un bicchiere
pieno colpisce Artest dritto sul petto ed il vaso mentale di
Ron trabocca. Salta in piedi sul tavolo e si butta sugl i spalti ,
scavalcando Mark Boyle (radiocronista dei Pacers) alzatosi
nel tentativo di fermarlo, che ne ricaverà ben cinque
vertebre fratturate dopo essere stato calpestato da
parecchie persone.
Artest prende per i l bavero un tifoso dei Pistons urlandogli
se sia stato lui a tirare i l bicchiere. La risposta è negativa,
colui che ha innescato la miccia (John Green, l ’uomo con la
maglia blu ed il cappell ino) sta già tenendo Ron da dietro nel
tentativo, piuttosto vano, di immobil izzarlo per evitare che
colpisca la persona sbagliata. In quel momento un altro
tifoso decide di vuotare un bicchiere di birra in faccia ad
Artest, birra che bagna anche l’accorrente Stephen Jackson
il quale non esita a stendere il suddetto tifoso con un pugno.
Nel frattempo gli spalti si riempiono di giocatori e dirigenti .
Fred Jones, andato per sedare la rissa, è assalito al le spalle
da David Wallace, fratel lo di Ben, anche lui in pieno clima
guerrigl iero. Mike Brown, al lora vice-al lenatore dei Pacers,
viene colpito dal lo stesso tifoso che cercava di tenere fermo
Artest, nonostante fosse salito per cercare di riportare
quest’ultimo in campo.
Grazie anche all ’aiuto di Rasheed Wallace il focolaio di rissa
in quella zona si spegne, ma i tifosi iniziano ad invadere il
campo. Un paio, in particolare, si para davanti ad Artest
uscente dalla rissa precedente, Ron stende il primo con un
pugno mentre i l secondo (tale Haddad) gl i salta subito
addosso facendolo finire a terra; neanche il tempo di
"Avevamo miliardi di piani di sicurezza per il Palace, ma
nessuno includeva la possibilità che un giocatore
saltasse sugli spalti. È qualcosa che nessuno aveva mai
previsto.”
E. Olko, comandante di polizia
"La mia idea iniziale era di andare a prendere Ron, ma
appena sono salito sugli spalti un altro uomo gli ha
tirato una birra in faccia. Istintivamente ho reagito. Non
mi pento di esserci stato per il mio compagno, ma mi
pento di essere andato sugli spalti a fare a pugni con i
tifosi. È stato assolutamente sbagliato, ma non ci pensi
quando qualcuno che chiami fratello è in pericolo.
L’unica cosa a cui pensi è andare ad aiutarlo. Questa è
la definizione di un compagno e, come dice Tim
Duncan, io sono il miglior compagno possibile. Molte
persone pensano che io sia stato un delinquente a farlo.
Il mio unico pensiero era “il mio compagno sta lottando
sugli spalti ed io sarò lì al suo fianco”. Sapevo appena
fatto il primo passo sugli spalti che ci sarebbero state
delle conseguenze, senza dubbio, ma potevo affrontare
quelle conseguenze sapendo che il mio compagno era
vivo e stava bene; al contrario non avrei potuto
affrontarle se fossi rimasto in campo a guardare,
preoccupandomi per la mia carriera ed i miei soldi,
mentre lui era sugli spalti sanguinante.”
Stephen Jackson
"È stato terrificante essere lì nel mezzo perché
dovunque ti girassi, ti sembrava che dovessi
combattere. C’erano migliaia di persone contro venti.
Probabilmente non era quello il caso, il 99,9999% delle
persone erano spaventate e sconvolte tanto quanto noi,
ma sembrava che fossero tutti contro di te.”
Mike Brown
Loro erano seccati perché erano stati coinvolti. Li
stavamo battendo di quindici punti. Erano davvero
infastiditi, quindi gli ho detto “Se è questo che volete,
fatevi sotto.”
Stephen Jackson
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
33
rialzarsi per Haddad a cui si para davanti Jermaine O’Neal
in corsa, pronto a recapitargl i un pugno dritto in faccia. Per
sua immensa fortuna il lungo dei Pacers scivola mezzo
metro prima della col l isione, riuscendolo a colpire solo con
parte della forza predestinata a quel pugno.
Numerosi giocatori dichiareranno in seguito che credevano
che O’Neal avrebbe ammazzato Haddad con quel pugno se
non fosse scivolato. Quest’ultimo era già noto alla sicurezza
per aver minacciato, poco tempo prima, Yao Ming di
versargl i addosso una bevanda, tanto che era già stato
invitato ad allontanarsi dal Palace.
La situazione sta velocemente precipitando, i tifosi iniziano a
lanciare oggetti in campo e sempre di più si spingono sul
parquet. I Pacers capiscono che è giunto i l tempo di
abbandonare il campo, i l più velocemente possibi le. I
giocatori vengono scortati verso il tunnel che conduce agli
spogliatoi, ricevendo degli al legri souvenir dai tifosi del
Palace tra cui bevande, pop-corn, scope e addirittura una
sedia che passa poco lontano da O’Neal, bersaglio preferito
dei tifosi di Detroit.
Sul campo rimangono solo i giocatori di Detroit e gl i arbitri
che, finalmente, dichiarano la partita conclusa: Indiana batte
Detroit 97 a 82.
Giunti negl i spogliatoi, fra i Pacers scoppia un diverbio
piuttosto acceso, O’Neal accusa Carl isle e lo staff di averl i
scortati fuori dal campo bloccandogli le mani in basso e
quindi di non avergl i permesso di ripararsi dagl i oggetti
provenienti dagl i spalti . Gl i animi si placano quando si
accorgono di Mike Brown sanguinante dalla bocca per un
pugno preso sugli spalti .
La notte è ancora lunga per i Pacers, che devono tentare di
uscire dal palazzetto senza che nessuno venga arrestato. I l
personale del Palace, infatti , l i informa che da lì a poco
sarebbe arrivata la polizia ed avrebbe portato via due
giocatori ed un coach (Mike Brown, accusato,
ingiustamente, di aver preso a pugni un tifoso). Incontrata
l ’opposizione dell ’ intera squadra, gl i ufficial i si concentrano
su Artest, chiedendo che gli venga consegnato, ma lo staff
riesce a farlo sgattaiolare fuori dal lo spogliatoio e portarlo
sul bus. La polizia decide così di lasciare andare l ’ intera
squadra e di valutare meglio l ’esistenza e l’entità dei reati
guardando le registrazioni video.
ESODO
David Stern, al lora commissioner, non esita a far calare la
scure sui giocatori ritenuti responsabil i di quel lo che viene
definito da molti l ’episodio più spiacevole nella storia
del l ’NBA. Contemporaneamente, a Detroit, i l tribunale
condanna alcuni dei partecipanti al la rissa.
Ecco l’elenco dei principal i provvedimenti:
Ron Artest*: sospeso per l ’ intera stagione (73 partite di
Regular Season e 1 3 di Playoffs) con accusa di aggressione
e percosse.
Stephen Jackson*: sospeso per 30 partite con accusa di
aggressione e percosse.
Jermaine O’Neal*: sospeso per 25 partite (poi ridotte a 1 5)
con due accuse di aggressione e percosse.
Anthony Johnson*: sospeso per cinque partite con accusa di
aggressione e percosse.
David Harrison*: accusa di aggressione e percosse.
Ben Wallace: sospeso per sei partite.
Chauncey Bil lups: sospeso per una partita.
Reggie Mil ler: sospeso per una partita.
Elden Campbell : sospeso per una partita.
Derrick Coleman: sospeso per una partita.
John Green (tifoso che ha tirato i l bicchiere ad Artest):
colpevole di aggressione e percosse e condannato a 30
giorni di prigione e due anni di l ibertà vigi lata.
Charl ie Haddad: ha fatto causa a Anthony Johnson, O’Neal,
e ai Pacers. O’Neal ha dovuto pagare 1 .686,50$ come
risarcimento a Charl ie Haddad, i l quale ha patteggiato per
"Dopo esserci calmati, Artest mi ha guardato e mi ha
detto “Jack, credi che avremo dei problemi?” Jamaal
Tinsley è scoppiato a ridere. Gli ho risposto “Sei serio,
fratello? Problemi? Ron, saremo fortunati se avremo
ancora un cazzo di lavoro”. Questa domanda mi ha fatto
capire che non c’era con la testa, non era lucido.
Scot Pollard: Verissimo, siamo morti dal ridere. “Sì,
Ron, ci saranno dei problemi, amico. Hai colpito un
tifoso.” Non potevo crederci. Era scioccato che quello
che aveva appena fatto fosse sbagliato. Non so cosa
pensasse, ma vedendolo da fuori veniva da pensare
“Wow, è incredibile come qualcuno possa avere
un’esperienza del genere e chiedere se ci saranno
ripercussioni.”
Stephen Jackson
"La parte migliore, la più assurda della serata è stata
quando siamo saliti sul bus. Eravamo così eccitati. Ci
sentivamo non solo di aver vinto la partita, ma di aver
vinto l’intera rissa. In quel momento ci sentivamo come
se avessimo rubato il cuore di Detroit. È durato finché
siamo tornati a casa ed abbiamo visto le multe e le
sospensioni, poi la realtà ci ha travolti.”
Stephen Jackson
Mi sentivo come se stessi combattendo per la mia
stessa vita là fuori.”
Rick Carlisle
34
aver violato un’ordinanza locale ed essere entrato al Palace,
ed è stato condannato a due anni di l ibertà vigi lata e dieci
weekend di lavori socialmente uti l i .
David Wallace: condannato a un anno di l ibertà vigi lata e
lavori socialmente uti l i .
Bryant Jackson (tifoso che ha lanciato la sedia dagli spalti):
ha patteggiato un’accusa di aggressione e una di
aggressione e percosse, condannato a due anni di l ibertà
vigi lata e 6.000$ di risarcimento.
*I giocatori accusati di aggressione e percosse hanno
patteggiato e sono stati condannati a un anno di l ibertà
vigi lata e di lavori socialmente uti l i , ad una multa di 250$ e
sedute di gestione della rabbia.
1 46 partite di sospensione ed un totale di dieci mil ioni di
dol lari di salari andati in fumo, spazzando via qualunque
record precedente della lega. Tutti sono d’accordo sul fatto
che le sospensioni ordinate da Stern siano troppo severe,
ad eccezione di Jackson che si definirà fortunato ad avere
ancora un lavoro dopo quello che è successo. L’episodio dà
occasione all ’NBA di cambiare la politica in fatto di alcool, di
barriere a bordo campo e di vestiti . Di vestiti? Eh sì, perché
s’inizia a mettere in discussione il carattere “troppo hip hop”
del la lega, legato ad una cultura di strada che poco si
addice all ’ immagine intonsa dell ’NBA desiderata da Stern.
Così, poco tempo dopo The Malice at the Palace viene
introdotto l ’ormai noto dress code.
Le conseguenze ricadute sui Pacers, però, sono molto più
gravi di quanto in un primo momento si possa pensare.
La squadra dopo la richiesta di cessione di Artest si sfalda, i
compagni che quella sera di Novembre erano stati al suo
fianco, ora si sentono traditi , pugnalati al le spalle. Lo spirito
di squadra svanisce e le vicende fuori dal campo mettono a
dura prova psicologicamente i componenti del la squadra.
La città di Indianapolis ne esce distrutta. Le persone
perdono progressivamente fiducia, anche solo interesse,
nel la squadra dei Pacers che lentamente si sgretolerà negli
anni. Si passerà da una squadra dal futuro roseo, destinata
a vincere il titolo, ad una franchigia in completa ricostruzione
nel giro di sol i tre anni; ricostruzione che avverrà puntando
su una nuova generazione di “facce pulite” ancor prima che
ottime individual ità e che porterà i Pacers ad essere
nuovamente competitivi solo nella stagione 2011 /1 2, ben
sette anni dopo quell ’ infausta sera a Detroit.
Non posso non concludere il racconto di questa metaforica
tragedia come si soleva fare nell ’antica Grecia, lasciando
cioè che il deus ex machina sciolga i nodi di questo
racconto, permettendo al lettore di districarsi fra le parole ed
avere una visione chiarificatrice dell ’ intero dramma. Pecco
di umana adorazione, lo so, ma l’artefice di questo prodigio
non può essere che uno.
"Non ho mai detto a mia figlia cos’è successo, l’ha
scoperto a scuola. Un giorno è tornata a casa e ha
chiesto “Papà, sei stato sospeso per aver fatto a
pugni?”. È stata dura per me. È stata dura andare al
Boys&Girls Club, nel quale ero benvoluto ad
Indianapolis, andare al St. Vincent Hospital a parlare
con le persone. È stata dura per me, come persona di
spicco della comunità, avere quelle conversazioni e
vedere l’effetto che quella sera ha avuto non solo sulla
nostra squadra, ma sulla percezione della comunità.”
Jermaine O'Neal
"Avremmo vinto il titolo quell’anno. Avevamo la miglior
squadra, avevamo un Hall ofFamer come Reggie Miller.
Avevamo ogni pezzo del puzzle, grandi allenatori,
grande squadra, grande dirigenza, grande proprietà, e
tutto stava funzionando. Credo che un sacco di ragazzi
siano ancora amareggiati, pensando “Ehi, quella era la
mia chance di vincere un titolo e Ron è stato egoista a
comportarsi così”.
Stephen Jackson
"Ti metti nella posizione di compromettere la tua
carriera, la tua vita e quella della tua famiglia e poi,
improvvisamente, la sola ragione per cui tutto questo è
successo si chiama fuori. Nessuno sa di tutti gli avanti
e indietro fatti, dell’essere messi in una stanza e dover
restarci seduto per ore, del rischiare la prigione, e tutto
questo durante la stagione. La nostra squadra volava a
Detroit per le udienze non potevamo neanche andare a
Toronto perché avevamo bisogno dei permessi per
raggiungere il Canada. Nessuno sa tutte queste cose.
(T) Alla fine, non riguardava più il basket. Non era
piacevole, non era bello giocare le partite. Sentivi come
la città fosse divisa: c’erano persone che erano ancora
dalla nostra parte, e molte altre persone che non lo
erano più”
Jermaine O’Neal
"Credo che molti di noi abbiano fatto delle scelte
egoiste. Io ho fatto una scelta egoista smettendo di
cercare di placare gli animi e andando ad affrontare
Lindsey Hunter e Richard Hamilton. Quella è stata la
mia scelta egoista. Ron ha fatto una scelta egoista
andando sugli spalti. Tutti noi abbiamo fatto delle scelte
egoiste, ma allo stesso tempo, ci stavamo proteggendo
l’un l’altro. È difficile stabilire se sia stato giusto o
sbagliato.”
Stephen Jackson
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
37
Lunedì 1 8 Febbraio 201 3 il triste annuncio: i l Dottore si è
spento al Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles dopo
una lunga battagl ia che lo ha costretto a passare gran parte
degli ultimi 1 8 mesi in ospedale.
Proprietario dei Los Angeles Lakers dal 1 979, non solo è
l ’owner più vincente della storia del l ’NBA ma è anche il
principale artefice della nascita del l ’NBA moderna.
Gerald Hatten Buss, Jerry per i l resto del mondo, nasce a
Salt Lake City i l 27 Gennaio 1 933, ma cresce con la madre
a Kammerer, nel Wyoming, dopo il divorzio dei genitori. Nel
1 955 si laurea in chimica all ’Università del Wyoming per poi
trasferirsi al la University of Southern California di Los
Angeles dove ottiene un Master of Science e un dottorato di
ricerca in chimica fisica a soli 24 anni.
Inizialmente viene assunto come chimico dallo U.S. Bureau
of Mines, la principale agenzia governativa che conduceva
ricerche scientifiche sul le risorse minerarie, ed in seguito
lavora brevemente nell ’ industria aerospaziale ed insegna
chimica alla USC.
Negli anni ’60 si affaccia sul mercato edil izio per garantirsi
del le entrate che gli permettano di continuare a dedicarsi al
suo grande amore, l ’ insegnamento, e con $1 000 fa il suo
primo investimento acquistando un condominio di Los
Angeles. Ben presto però si rende conto di come la
speculazione edil izia possa essere redditizia e così decide
di abbandonare la carriera accademica e di dedicarsi
soltanto a quella immobil iare. Grazie a una mente bri l lante e
ad un grandissimo fiuto per gl i affari ottiene rapidamente
successo nel campo edil izio e fonda, insieme a Frank
Mariani, suo socio sin dai primi investimenti, la Mariani-Buss
Associates, un’impresa di investimento immobil iare.
Nel 1 979 la carriera imprenditoriale del Dr. Buss è in
continua ascesa e così, dopo essere diventato proprietario
dei Los Angeles Strings (squadra della World Team Tennis),
decide di acquistare da Jack Kent Cook i Los Angeles
Lakers, i Los Angeles Kings (team dell ’ NHL), i l Los Angeles
Forum e un ranch di 1 3 mila acri, per la cifra di 67.5 mil ioni
di dol lari , cifra record per le transazioni sportive al l ’epoca.
La mental ità vincente del Dr. Buss porta i Lakers a giocare
un basket spettacolare e guidati da Kareem Abdul-Jabbar,
Jamaal Wilkes e dal rookie Magic Johnson vincono subito i l
titolo NBA dando il via al l ’epoca dello Showtime.
Nei 1 0 anni del lo Showtime i gial loviola giocano ben 8 final i
NBA laureandosi campioni 5 volte. Guidati da Pat Riley in
panchina, promosso capo allenatore proprio da Buss nella
stagione 1 981 -82, l ’apice dello Showtime si ha nella
stagione 1 984-85, quando per la prima volta nella storia i
Lakers battono i Boston Celtics, i loro acerrimi rival i . In
quell ’occasione Jerry Buss affisse per Los Angeles dei
cartel loni pubblicitari con scritto “Lakers have never beaten
Celtics” con una grossa croce sulla parola “never” e la
scritta “Thank guys” con la sua call igrafia.
Nonostante i successi in ambito sportivo, l ’ imprenditore che
è in lui continua a fiutare gl i affari, infatti è i l primo ad
introdurre lo show-business all ’ interno delle partite NBA, con
la nascita del le Lakers Girls ad esibirsi durante le pause di
gioco ed il gran numero di celebrità che si potevano
scorgere tra i l pubblico a ogni partita. Grazie a queste
innovazioni la popolarità dei Lakers e dell ’NBA crescono
vertiginosamente sia a l ivel lo nazionale che a livel lo
mondiale. Nel 1 985 fonda la Prime Ticket Network,
un’emittente televisiva che in breve tempo diventa la
principale emittente sportiva regionale della nazione,
venduta 1 0 anni più tardi e diventata poi la Fox Sports West,
e nel 1 987 vende i Kings a Bruce McNall per un totale di 20
mil ioni di dol lari . Inoltre nel 1 997, con la nascita della
WNBA, è tra i fondatori del le Los Angeles Sparks (di cui
diventerà propritario nel 2002 e che cederà nel 2006) e nel
1 999 è tra i finanziatori del lo Staples Center, dove poi si
trasferiranno le tre franchigie, con la cessione del Forum. Da
non dimenticare la sua passione per i l poker, a l ivel lo
professionistico da sottol ineare il terzo posto nelle World
Series of Poker del 1 991 e il secondo posto nel World Poker
Tour del 2003, e la donazione di 7.5 mil ioni di dol lari al
Dipartimento di Chimica della USC nel 2008.
Un uomo incredibi le, che si è costruito da solo, che non si è
mai posto l imiti è che ha contribuito tantissimo all ’evoluzione
dell ’NBA e alla consacrazione dei Lakers. Nei 33 anni di
presidenza la franchigia non ha raggiunto i Playoffs soltanto
2 volte e ha giocato ben 1 6 NBA Finals vincendone 1 0. A
questi successi vanno aggiunti 2 titol i con le Sparks, la
"I really tried to create a Laker image, a distinct identity.
I think we’ve been successful. I mean, the Lakers are
pretty damn Hollywood."
Jerry Buss
38
Stel la nel la Walk of Fame di Hollywood nel 2006 e la
nomina di Hall of Famer nel 201 0. Per lui hanno giocato
grandissimi campioni come i già citati Jabbar, Wilkes e
Johnson, Worthy, O’Neal, Bryant, ha ingaggiato due dei
migl iori al lenatori del la storia, Riley e Jackson, ed ha portato
i Lakers a valere oltre un mil iardo di dol lari , intuendo per
primo come il basket potesse essere anche un grandissimo
business.
"Il Dottor Buss amava il divertimento. Era molto
intelligente, ed estremamente competitivo. Voleva
vincere, ha fatto di tutto per darci la possibilità di farlo,
e allo stesso tempo voleva essere amico dei giocatori.
Ci ha dato tutto ciò di cui avevamo bisogno per vincere:
alloggiavamo nei migliori hotel, avevamo i migliori
allenatori, il miglior materiale.. E di fatto siamo stati
capaci di vincere il titolo al nostro primo anno, quando
eravamo entrambi rookie. Ma in realtà lui è diventato il
mio secondo padre. Mi ha portato per la prima volta a
vedere una partita di football alla USC e ci andavamo
ogni sabato quando giocavamo in casa. Inoltre
giocavamo a biliardo, quella era la cosa che
preferivamo, uscivamo spesso insieme e mi portava a
Las Vegas. Ed infine, mi ha insegnato il business dei
Lakers. Mi permetteva di leggere i suoi libri e mi
incoraggiava a farlo. È per questo che oggi sono un
uomo d’affare, è grazie a Dr. Buss. Lui mi ha permesso
di acquistare delle quote dei Lakers. Dopo i titoli questo
è stato il secondo miglior momento della mia vita,
possedere i Lakers. Gli sono grato per questo. La prima
telefonata che ho ricevuto quando ho acquistato i
Dodgers è stata da parte sua. Era molto felice per me.
Era come una padre orgoglioso di suo figlio. Quando ho
annunciato il mio ritiro per l’HIV lui non sapeva cosa
sarebbe successe, si sentiva come persone, come se
stesse perdendo un figlio. Dopo che abbiamo fatto
l’annuncio e ho iniziato le cure lui era sempre al mio
fianco. Non lo avevo mai visto piangere fino a quel
momento. Questo mi ha mostrato che mi amava e che
gli importava di me, della mia salute.. Ogni volta che mi
accadeva una cosa positiva o negativa, lui c’era.
Era un eroe, una leggenda, e ho avuto modo di vederlo
da vicino e di essere parte dell’impero che ha costruito.
Posso non avere il cognome Buss, ma mi sento proprio
come se fossi uno dei suoi figli."
Magic Johnson
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
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WHO IS: Yao Ming nasce il 1 2 settembre 1 980 a Shangai. I l
padre, Yao Zhiyuan, e la madre, Fang Fengdi, hanno fatto
parte entrambi del la nazionale cinese di pal lacanestro,
quindi i l piccolo (ma grande) Ming cresce con la palla a
spicchi tra le mani. Inizia a giocare agonisticamente all ’età di
9 anni nel la Youth Sports School e al l ’età di 1 3 anni entra a
far parte della squadra giovanile degli Shangai Sharks.
Grazie al le sue doti fisiche e tecniche dopo quattro anni
viene promosso nella prima squadra degli Sharks, che mil ita
nel la Chinese Basketball Association, e nell ’anno da rookie,
a soli 1 7 anni, mette a referto 1 0 punti e 8 rimbalzi di media.
Nella seconda stagione gioca soltanto 1 2 partite poiché si
rompe un piede per la seconda volta in carriera, mentre
nelle due stagioni seguenti diventa un punto fermo degli
Sharks: nel 1 999-00 chiude con 21 .2 punti , 1 4.6 rimbalzi e
5.3 stoppate, nel 2000-01 i punti diventano 27.1 , i rimbalzi
1 9.4 e le stoppate 5.5 e Yao viene nominato MVP. Nella sua
quinta e ultima stagione in terra cinese guida gl i Sharks al
loro primo titolo con medie spaventose, giocando dei
playoffs incredibi l i in cui real izza 38.9 punti , cattura 20.2
rimbalzi e tira con il 76.6% dal campo, mettendo a referto un
incredibi le 21 /21 in una partita del le final i . Grazie a questi
numeri e al le sue super prestazioni, gl i scout NBA mostrano
grandissimo interesse, soprattutto data la carenza di centri
nel la Lega, e Yao decide di compiere il grande passo
rendendosi eleggibi le al Draft 2002 in cui viene chiamato
con la prima scelta assoluta dagli Houston Rockets.
NBA CAREER: Inizialmente però c’è grande scetticismo
intorno al gigante cinese, infatti molti commentatori ed
esperti NBA, tra cui ad esempio Charles Barkley, Bil l
Simmons e Dick Vitale, sono convinti che Yao fal l irà nel la
lega migl iore del mondo. Le prime partite di Yao danno
ragione agli scettici , infatti inizialmente fatica ad abituarsi al
nuovo mondo e nelle prime 7 partite gioca solo 1 4 minuti di
media realizzando 4 punti a partita. Gradualmente però
riesce ad integrarsi e chiude l’anno da rookie con 1 3.5 punti ,
8.2 rimbalzi, 1 .8 stoppate in 29 minuti di media, venendo
votato nello starting five della Western Conference all ’Al l-
Star Game, ma non riesce a vincere il premio di Rookie
dell ’anno, che viene assegnato ad Amar’e Stoudemire.
Nonostante venga provocato e deriso diverse volte, celebre
la frase di O’Neal che prima di una partita dice “Tell Yao
Ming, Ching chong-yang-wah-ah-soh”, dimostra come riesca
a gestire egregiamente le pressioni e le provocazioni,
diventando subito uno dei personaggi più interessanti del
basket a stel le e strisce.
Nell ’estate del 2003 i Rockets ingaggiano Jeff Van Gundy
come head coach, e nella stagione 2003-04 i numeri di Yao
migl iorano (1 7.5 punti , 9 rimbalzi e 1 .9 stoppate), arriva i l
secondo All-Star Game, l ’ inserimento nell ’Al l-NBA Third
Team e Houston si qualifica ai Playoffs ma viene
immediatamente eliminata dai Lakers. La dirigenza texana
decide quindi di rivoluzionare il roster e cede Francis,
Mobley e Cato, tre titolari , in cambio di Tracy McGrady.
La stagione 2004-05 si conclude con 1 8.3 punti , 8.4 rimbalzi
e 2 stoppate, Houston si qualifica ancora per la post season
ma arriva ancora l ’el iminazione al primo turno, questa volta
per mano dei Dallas Mavericks, ma Yao chiude la serie con
21 .4 punti , 7.7 rimbalzi e i l 65% dal campo, ottime cifre che
mostrano la continua crescita del cinese.
Dalla stagione seguente però gli infortuni iniziano a
flagel lare i l #11 . Prima dell ’Al l-Star Game (in cui verrà
nuovamente votato centro titolare) salta 21 partite a causa
di un’infezione ad un’unghia del piede che lo costringe a
subire un intervento chirurgico. Chiude la stagione con 22.3
punti , 1 0.2 rimbalzi e 1 .6 stoppate (tirando con il 52% dal
campo) e l ’ inserimento nell ’Al l-NBA Third Team ma a quattro
partite dal termine si rompe nuovamente un piede ed è
costretto ad una riabil itazione di circa sei mesi.
Dopo lo stop forzato torna sui parquet in gran forma ma il 23
dicembre, contro i Clippers, Hayes e Thomas franano sulla
gamba del malcapitato Yao che riporta l ’ennesima frattura.
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Fortunatamente salta “solo” 32 partita e con 25 punti, 9.4
rimbalzi, 2 assist e 2 stoppate di media guida, insieme a T-
Mac, i Rockets ai Playoffs, andando ancora all ’Al l-Star
Game e guadagnandosi l ’Al l-NBA Second Team, ma
Houston, nonostante i l vantaggio del fattore campo, viene
eliminata da Utah in 7 partite, dopo essere stata in
vantaggio 2-0. Statisticamente Yao realizza 25.1 punti e
1 0.3 rimbalzi di media nella serie, ma ci si aspettava ben
altro impatto dopo la super stagione e lui stesso fa mea
culpa dicendo esplicitamente “Non ho fatto i l mio lavoro”.
Dopo questa sconfitta i Rockets l icenziano JVG e al suo
post assumono Rick Adelman, al lenatore molto più offensivo
del suo predecessore. Ming si integra perfettamente nel
nuovo sistema di gioco ma ancora una volta, dopo
l’ennesimo All-Star Game, a causa di una microfrattura al
piede deve sottoporsi ad un intervento chirurgico che gli
costa i l resto della stagione. Con 22 punti, 1 0.8 rimbalzi e 2
stoppate viene comunque inserito nel l ’Al l-NBA Third Team.
Nella stagione 2008-09 sembra che finalmente abbia risolto
con i problemi fisici . Gioca infatti 77 partite, chiudendo con
1 9.7 punti , 9.9 rimbalzi e 1 .9 assist, giocando ancora la
partita del le stel le e venendo inserito nel l ’Al l-NBA Second
Team per la seconda volta in carriera. I Rockets, senza
McGrady che a causa di dolori al la schiena ha dovuto
rinunciare alla seconda parte di stagione e alla post season,
arrivano ai Playoffs dove battono Portland 4-2 al primo turno
ma vengono eliminati al secondo turno dai Lakers in 7
partite. Houston vince gara 1 a LA ma perde le due partite
successive e soprattutto dopo gara 3 Yao subisce una
frattura da stress al piede che lo costringe a saltare le partite
rimanenti. La frattura è così grave che Ming dev’essere
nuovamente operato e salta tutta la stagione seguente.
Torna nella stagione 201 0-2011 con la franchigia texana
intenzionata a farlo giocare intorno ai 24 minuti di media ma
nonostante ciò i l 1 6 dicembre viene comunicato che il centro
ha subito un’altra frattura da stress, questa volta al la
cavigl ia, causata dall ’ infortunio precedente. Yao deve saltare
tutta la stagione ma nonostante ciò viene votato ancora
come centro titolare al l ’Al l-Star Game, rinunciando
ovviamente alla parteciparvi.
Al termine del suo contratto con i Rockets, i l 20 lugl io Yao
Ming annuncia i l suo ritiro dal basket a causa dei numerosi
infortuni. In seguito a questa notizia i l commissioner David
Stern dice che Yao è stato un “ponte tra i fans cinesi e
americani” mentre Shaq afferma che, senza i numerosi
infortuni, Yao sarebbe potuto diventare uno dei migl iori 5
centri di sempre.
Sapeva giocare vicino a canestro, in post, aveva un tiro
dalla media affidabile, era ottimo sia in attacco che in difesa
e aveva un trattamento di pal la superiore alla media dei
centri NBA. Nel suo palmarès NBA ci sono otto
partecipazioni al l ’Al l-Star Game, due nomine nell ’Al l-NBA
Second Team, tre nell ’Al l-NBA Third Team e l’ inclusione
nell ’Al l-Rookie First Team nel 2003.
Un giocatore d’altri tempi, che chiude con 9247 punti, 4494
rimbalzi e 920 stoppate in 8 stagioni tra i pro.
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
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Quando questo pensiero s’insti l lò nel la sua testa, Šarūnas
era sotto la doccia ed aveva ancora addosso la divisa
bianco-verde. La sua Lituania aveva appena conquistato la
medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Barcellona del ’92
proprio contro i sovietici , e come il repl icante di Blade
Runner le sue lacrime si perdevano sotto i l getto dell ’acqua
mentre cercava di mandare via quel pensiero:
“Che cosa sarebbe successo se avessimo perso contro i
sovietici?”
Riavvolgendo il nastro della storia, arriviamo al 1 990,
quando la Lituania conquista la sua indipendenza. I sovietici
non ci stanno e a voler essere onesti non ci staranno mai. I l
presidente Gorbaciov, che aveva appena ricevuto un Nobel
per la pace, invia le truppe a Vilnius, e a Vilnius i sovietici
uccidono barbaramente 1 4 l iberi cittadini nel la “Bloody
Sunday” del la nuova Repubblica di Lituania. Ci vorrà un
anno e una forte reazione dell ’Occidente affinché la Lituania
possa considerarsi veramente l ibera. Grazie
al l ’ indipendenza, i l primo vero atto di l iberazione è quello di
poter ritornare alle due rel igioni di Stato: la pal lacanestro e il
cattol icesimo, in quest’ordine. All ’ inizio del 1 992 la Lituania
sta affrontando una crisi economica fortissima, ha scarsi
approvvigionamenti di energia e la più forte squadra
d’Europa di basket. La partecipazione alle Olimpiadi di
Barcellona sarebbe scontata se non fosse che la nazione è
in bancarotta. A questo punto della storia entra in scena
Šarūnas, che di cognome fa Marčiul ionis, grande patriota e
grandissimo giocatore di basket. Al l ’epoca Marčiul ionis era
già una guardia dei Golden State Warriors, e dopo aver
ricevuto i l placet dal neonato governo lituano, chiese una
mano all ’amico, nonché scout dei Warriors, Donnie Nelson.
Don, dopo aver accettato i l ruolo di assistente al lenatore
della nazionale l ituana, promise che lo avrebbe aiutato a
trovare i fondi necessari per la partecipazione alle Olimpiadi.
Bussarono a tutte le porte della California ma invano,
Marčiul ionis mise di tasca sua gli 1 ,28 mil ioni di dol lari del
suo contratto con Golden State, ma la somma non bastava.
Quando tutto sembrava compromesso, arrivò la telefonata
più importante della storia sportiva della Lituania: i Grateful
Dead!
Come i Grateful Dead?
Sì, i Grateful Dead, quell i di Dark Star e Morning Dew. A
quanto pare, apprezzavano la loro l ibertà e il loro spirito
d’indipendenza.
Quando Donnie e Šarūnas andarono all ’appuntamento,
avevano l’ impressione di essere vittime di uno scherzo di
pessimo gusto. Si ritrovarono in un quartiere malfamato di
San Francisco, e appena ri lessero l ’ indirizzo sul pezzetto di
carta, e videro che corrispondeva ad un garage anonimo,
l ’ impressione si trasformò in certezza. Nel dubbio aprirono la
porta, e dopo che gli occhi si abituarono al fumo, l ’udito ai
decibel e l ’olfatto al l ’aspro odore di mari ja, videro uno studio
di registrazione modernissimo e i Dead che suonavano
cover dei Beatles. I l progetto di Jerry Garcia – il frontman
del gruppo – era tanto semplice quanto efficace: cedere i
diritti sul la vendita di una T-shirt real izzata per un concerto a
Boston e in più commercial izzare una nuova maglietta. La T-
shirt era un capolavoro di psichedelia al lucinogena, dove lo
scheletro simbolo della band schiacciava a canestro mentre
sul lo sfondo un’esplosione con i colori ufficial i del la nazione
faceva da contorno alla granitica scritta “Lithuania”. Grazie a
quella maglietta veniva riconosciuto lo sforzo e il coraggio di
un’intera nazione, davanti agl i occhi del mondo i l ituani
venivano identificati come eroi popolari la cui lotta per
l ’ indipendenza aveva travalicato lo sport.
La squadra c’era, i soldi anche. Ormai non c’erano più
dubbi.
“E se avessimo perso? Che cosa sarebbe successo se
avessimo perso contro i sovietici?”
Šarūnas Marčiulionis
46
La Lituania sarebbe andata a Barcellona.
La Lituania non solo partecipò alle Olimpiadi ma arrivò fino
in fondo, fermandosi solo al cospetto della squadra più forte
mai vista da occhio umano, i l Dream Team americano. I l
giorno della semifinale Coach Daly era preoccupatissimo, i l
quintetto degli avversari, era formato per quattro quinti da
giocatori che avevano fatto parte del team sovietico che
aveva battuto gl i Stati Uniti di David Robinson a Seoul
nel l ’88. Le principal i minacce venivano da Šarūnas
Marčiul ionis che tanto bene stava facendo nei Golden State
Warriors e Árvydas Sabónis oggetto misterioso che se al
massimo della forma avrebbe dominato su Robinson e
Ewing.
“Tranquil lo Coach” disse Jordan “Io mi prendo Šarūnas”
Coach Daly non poteva dormire sonni più tranquil l i , la
marcatura di Jordan su Marčiul ionis si può ritenere senza
dubbio la prestazione difensiva più devastante della storia
del basket ol impico ed una delle migl iori prestazioni singole
più dominanti del le Olimpiadi in generale. La partita durò
solo un quarto, quando gli Stati Uniti si ritrovarono in
vantaggio 31 -8 e Artūras Karnišovas, ala che abbiamo visto
qualche anno più tardi al la Fortitudo Bologna, chiese alla
panchina di scattargl i una foto mentre marcava Charles
Barkley, i l suo idolo. La Lituania perse 1 27-76 nella
prestazione in assoluto più devastante del Dream Team, la
squadra più forte mai vista prima.
Se nella semifinale contro gl i States nessuno aveva mai
messo in conto la vittoria, nel la finale per i l bronzo, invece,
non era contemplabile la sconfitta.
Dall ’altra parte c’erano i sovietici .
Già, perché malgrado non esistesse più l ’Unione Sovietica,
quei russi, ucraini e bielorussi, che formavano la “Squadra
Unificata”, agl i occhi dei l ituani erano gli stessi che avevano
ucciso i loro cittadini e l i avevano repressi per oltre 50 anni.
Non potevano perdere quella partita, semplicemente non
potevano. La posta in gioco era troppo alta.
Sabónis, che contro gl i Stati Uniti non aveva bri l lato, aveva
una luce particolare negli occhi, guardava i compagni e l i
incitava, l i implorava a mettercela tutta, cercava di
sottol ineare che quella partita era diversa dalle altre, ma i
suoi compagni lo sapevano fin troppo bene. Marčiul ionis
ricambiava lo sguardo mentre Karnišovas, irriconoscibi le
rispetto al la semifinale contro gl i U.S.A. questa volta non
aveva portato la macchina fotografica. Nella squadra
c’erano anche Alvydas Pazdrazdis e Gintaras Einikis, due
che appena un anno prima erano nella piazza del Seimas di
Vilnius a fermare fisicamente i carri armati nemici.
Gli altri , i sovietici , potevano contare su Oleksand Volkov
centro ucraino degli Atlanta Hawks in procinto di fare una
veloce e non indimenticabile apparizione nella Viola Reggio
Calabria e Valeri j Tichonenko un’ala kazaka che oggi al lena
la nazionale femminile russa.
Compagni di squadra fino a un paio di anni prima, veri e
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
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propri nemici ora sul campo.
L’incontro fu durissimo sin da subito, i sovietici avevano
dalla loro la volontà di ristabil ire i l loro predominio almeno su
un campo da basket, ma i l ituani erano troppo più forti e
avevano ancora in mente l ’ indelebile ricordo di quei morti . I l
pensiero di tutti i l i tuani doveva essere rivolto certamente a
loro, al simbolo di quel la repressione, al la voglia di far
conoscere al mondo la loro voce, i loro colori e l ’odio verso i
rossi.
Quando la palla gl i arrivò ad un secondo dalla fine, Šarūnas
pensò a tutto questo, diede le spalle al canestro dei sovietici
e con rabbia lanciò la palla nel cielo di Barcellona.
Poi corse a centrocampo, abbracciò i suoi compagni e andò
dritto fi lato sotto la doccia a chiedersi:
“Che cosa sarebbe successo se avessimo perso contro i
sovietici?”
Aveva appena scacciato i suoi demoni, aveva realizzato 29
punti e aveva vinto un bronzo olimpico, ma per un attimo la
paura della sconfitta cancellò la gioia del la vittoria.
La partita finì 82-78 e la fol la impazzì, letteralmente.
Vytautas Landsbergis, i l nuovo presidente l ituano, un uomo
rigoroso e conservatore, entrò in campo e con un
comportamento che si concede ad un pari e non ad un
presidente, i giocatori lo annaffiarono con lo champagne.
Come tutti i l i tuani cresciuti sotto la dittatura sovietica,
Landsbergis era un uomo pratico, e di conseguenza non
aveva portato un altro abito di ricambio; non fece però in
tempo ad urlare “pergalė, vittoria” che si ritrovò con una
maglietta dei Grateful Dead ad innaffiare Sabónis con un
magnum di Moët & Chandon.
Al momento della premiazione, Marčiul ionis, che da vero
l ituano conosce il significato della parola “gratitudine”, rifiutò
di indossare le magliette che lo sponsor aveva preparato per
loro e disse ai suoi compagni di indossare quelle
psichedeliche dei Grateful Dead:
“I Dead hanno creduto in noi quando non eravamo
nessuno”, disse.
Sul podio sfi larono otto l ituani con le loro magliette super-
colorate sotto gl i occhi divertiti del pubblico.
C’era Marčiul ionis, Karnišovas, Pazdrazdis, Einikis,
Chomičius, Kurtinaitis, Krapikas e Jovaiša.
C’erano tutti , o meglio, quasi tutti . Mancava Árvydas.
Dov’era Árvydas Sabónis? Che fine aveva fatto?
Mai come in questo contesto e con questo protagonista, le
notizie assumono i contorni del la leggenda. Dopo aver
festeggiato con la sua lituana preferita, la vodka, Sabónis
sfidò e stracciò uno dopo l’altro a braccio di ferro tutti i pugil i ,
lottatori e sol levatori di pesi che avevano avuto l ’ardire di
misurarsi con lui. Lo ritrovarono soltanto un paio di giorni
dopo, nudo ed ubriaco nel dormitorio femminile del la
Squadra Unificata a spiegare alle sovietiche il significato
della parola perestrojka.
La Lituania aveva battuto l ’Unione Sovietica, ancora una
volta.
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
49
“We’ve got to call Larry” disse Magic “Dobbiamo chiamare
Larry”
La telefonata è una di quel le che non vorreste mai ascoltare,
è quella di un vostro amico, i l vostro migl iore amico, che vi
confida di aver contratto i l virus dell ’HIV. E’ i l 1 991 , e in
questo momento storico, quel le tre lettere, messe in
quell ’ordine, avevano la stessa gravità di una condanna a
morte. Chiunque si sarebbe arreso, ma Magic no, non era
caduto nell ’umano sconforto, ma si era lasciato andare a
quell ’ ingenua incredulità che sopraggiunge in quei momenti.
Dopo che il dottor Mellman gli aveva comunicato la
diagnosi, Magic semplicemente non ci aveva creduto,
perché all ’alba del ventunesimo secolo quella malattia,
l ’AIDS, era appannaggio di froci e tossici, non dei campioni
NBA. Decise di ripetere il test ancora ed ancora, ma il
responso era sempre lo stesso, quelle tre maledettissime
lettere. In un’epoca in cui Twitter e Facebook non
esistevano neppure nelle menti di Matheson o Asimov, la
notizia ci mise un po’ a circolare, e dopo qualche partita in
cui Coach Mike Dunleavy non lo convocò neppure, le
domande dei giornal isti cominciarono ad essere più
pressanti.
Magic uscì al lo scoperto i l 7 Novembre del 1 991 , quando
indisse la conferenza stampa più sconvolgente della storia
del lo sport.
La sala stampa del Forum di Inglewood era stipata fino
all ’ inverosimile.
Magic salì sul podio.
I l sorriso spento è lo sguardo di un uomo impaurito.
Si avvicinò al microfono e fu diretto, come sempre:
“A causa del virus dell ’HIV che ho contratto, devo ritirarmi
dai Lakers, oggi”. Per i l mondo, quella semplice frase
metteva un punto ad una delle carriere più esaltanti di
sempre. Quel virus aveva tolto al la gente i l divertimento del
gioco, la gioia e la fantasia, quel la di un uomo che aveva
espresso il concetto di “immaginazione al potere” molto
meglio di tutti i saggi di Herbert Marcuse.
Ma se da un lato la lapidarietà di quel l ’affermazione
sembrava non lasciare speranze, dal l ’altro, l ’esempio di
Magic e le parole del dottor Mellman, servirono al mondo
per comprendere la differenza tra essere malati di AIDS e
risultare sieropositivi al test HIV. Nel 1 991 l ’aspettativa di
vita di chi contraeva l’HIV era di 9 anni, e malgrado i primi
effetti del virus riguardassero soltanto una leggera
spossatezza, i l suo ritiro non serviva ad evitare i l contagio
degli altri atleti , ma semplicemente per l imitare i
peggioramenti del le condizioni del suo sistema immunitario.
I medici stavano provando ad allungare la vita a Johnson,
uccidendo Magic.
Eppure Magic tornò. Non lo fermavano in campo, non lo
fermava il virus.
Così quando a febbraio arrivò i l momento dell ’Al l-Star
Weekend a Orlando, la gente non lo dimenticò; al quarto
posto della Western Conference, per acclamazione
popolare, campeggiava il nome di Earvin “Magic” Johnson.
La competizione sarebbe stato i l suo “canto del cigno”,
spettatori da ogni parte del globo avrebbero potuto
ammirare per un’ultima volta quel sorriso su di un campo da
basket. Questo però non andava a genio a tutti , e furono
proprio Byron Scott e A.C. Green, amici nonché compagni ai
Lakers, i primi ad ammettere la loro paura di giocare con
Magic; seguì a ruota Mark Price, guardia dei Cleveland
Cavaliers, che dichiarò “Se esiste un rischio, non credo che
dovremmo correrlo”. Magic si tappò le orecchie e dopo un
parere favorevole dei medici accettò l ’ invito di David Stern a
giocare per la squadra della Western Conference.
Dopo una standing ovation del pubblico, Magic si esibì in
una performance leggendaria, declamò basket. Gli ultimi
minuti di quel la partita sono da consegnare alla storia
del l ’uomo, un momento di perfezione in cui i l raziocinio
umano si ferma per lasciare i l posto al le emozioni. Magic
viene sfidato sistematicamente in uno contro uno da Isiah
Thomas e Michael Jordan, è una forma di rispetto viri le,
quasi tribale, in cui due figure mitologiche donano al rivale
tutto ciò che hanno di più caro, la gioia del gioco. L’ultima
azione è degna di un’opera di Tennessee Wil l iams, c’è
Magic a sette metri da canestro, in mano ha tanta magia e
una palla da basket. Isiah lo marca stretto. Sorride. I l
cronometro scorre mentre Zeke per una frazione di secondo
gli lascia spazio. Alle volte le regole non scritte del l ’amicizia
rendono le parole inuti l i . Magic lascia partire i l tiro.
Ovviamente entra, da tre. I l pubblico esplode mentre tutti ,
ma proprio tutti , compagni ed avversari, mandano a far
benedire i l virus e corrono ad abbracciare Magic.
A fine partita, dopo aver total izzato 25 punti, 9 assist, 5
rimbalzi e 2 palle rubate, con il titolo di MVP tra le mani dirà:
50
La favola continua. Quella che doveva essere la sua ultima
apparizione in canotta e calzoncini diventa i l viatico per la
manifestazione sportiva per eccellenza: le Olimpiadi di
Barcellona del ’92. Non solo si unisce alla migl ior squadra di
basket che occhio umano abbia mai visto, ma ne diventa i l
protagonista.
Alla cerimonia di apertura succede il pandemonio; la
portabandiera è una tale Francie Larrieu-Smith, ma in quel
momento gl i occhi del mondo sono puntati su di lui . Tutti , dai
più grandi campioni agl i atleti sconosciuti , vogl iono vederlo
da vicino, toccarlo, avere una foto con lui, un cimelio,
qualsiasi cosa provasse ai nipotini che il nonno aveva
conosciuto i l grande Magic. La sfi lata diventa un momento
straordinariamente emozionante, i l sorriso di Magic entra
nelle case di mil iardi di persone. Come direbbe Peppuccio
Tornatore, l ’Ol impiade è una pura formalità, gl i Stati Uniti
dominano vincendo tutti e 8 gl i incontri che l i separano dalla
medaglia d’oro con un margine di 43.8 punti. I l più del le
volte gl i avversari smettono di giocare e si fermano ad
ammirare quegli Dèi scesi in terra a spiegare basket. Nel
match finale contro la Croazia di Dražen Petrović, Magic
segna 11 punti , smazza 6 assist e compie i l suo capolavoro:
ha abbattuto i l pregiudizio che aleggiava nei confronti dei
sieropositivi .
Quando i suoi compagni di squadra si complimentano per le
bell issime partite nonostante la malattia, gl i occhi di Magic si
i l luminano.
I complimenti lo fanno sentire guarito. Decide di tornare a
casa, ai Lakers.
Non tutti sono però d’accordo, Karl Malone, suo compagno
di squadra a Barcellona, in un intervista dopo una partita di
pre-season, mostrando i tagl i e le ferite dice: “Ho paura del
contagio. I l fatto che Magic sia tornato non vuol dire niente
per me. Non sono un tifoso. Sarà anche una bella cosa per
i l basket, però bisogna guardare oltre. I l Dream Team è stata
un’idea che tutti hanno amato, ma ora siamo tornati nel la
realtà”.
Magic accusa il colpo, e un paio di giorni dopo la
“Gioco per me stesso ma anche per tutti quelli che sono
malati o hanno un handicap e vogliono continuare a
vivere”
Magic Johnson
“Sembri in gran forma, tornerai vero?”
Larry Bird
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
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dichiarazione di Malone, durante un exhibition game a
Chapel Hil l contro i Cleveland Cavaliers, si procura un
tagl ietto sul l ’avambraccio destro. Gary Vitti , i l preparatore
dei Lakers e grande amico di Magic, prende un tampone e a
mani nude gli fascia i l braccio. Nel palazzetto cala i l si lenzio
e lo sguardo dei giocatori, compagni ed avversari, pesa
come un macigno. L’espressione sul volto di Magic è
eloquentissima: è sconvolto.
Magic rientra in campo, ma non è più lo stesso, qualcosa si
è rotto, aveva spento il sorriso mentre la gioia del gioco se
l’erano portata via quegli sguardi e quel si lenzio, la cura con
la quale Gary gli aveva curato un graffietto ridicolo che non
meritava neppure un cerotto e le dolorosissime dichiarazioni
di Karl.
Magic si ritirò prima ancora che cominciasse il campionato e
per la seconda volta fece convocare i giornal isti al Forum di
Inglewood. Questa volta, al la conferenza stampa, Magic non
si presentò neppure. Se ne andò, lasciò i l gioco che amava
e che aveva cambiato come un angelo ripudiato. Quel
giorno Magic perse ma era vivo e lo è ancora dopo 23 anni
dal contagio.
Se chiedete a chiunque chi sia Magic Johnson, vi
risponderà “Magic, i l migl ior playmaker di sempre”.
Magic Johnson ha vinto!
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In questo articolo non troverete sfi lze di numeri, statistiche
stagionali o conteggi di punti/assist in carriera; questi
possono spiegare solo parte di ciò che è il basket in realtà,
parte che si avvicina vorticosamente a zero se l’uomo, ancor
prima che giocatore, di cui si sta parlando è Stephen
Jackson.
I l copione di partenza è dei più scontati , ma imprescindibi le
per tentare di capire ciò che è successo più avanti: padre
scomparso, patrigno in galera e una piccola città del Texas
in cui pul lulano gang di strada e spacciatori. Tutto questo
fino a che il sedicenne Stephen vede morire i l suo
fratel lastro in ospedale a causa di un’aggressione da parte
di tre ragazzi del luogo.
Dopo aver portato la Lincoln High School al titolo, viene
scelto al secondo giro dai Phoenix Suns al Draft del 1 997,
salvo essere tagl iato un paio di mesi più tardi senza aver
potuto sfiorare il campo da gioco. I tre anni seguenti si
dividono tra CBA (lega minore, in sti le D-League), Sud
America, Austral ia e provini per ben 1 7 squadre NBA. La
ruota inizia a girare prima della stagione 2000/01 , quando gli
al lora New Jersey Nets decidono di farlo partecipare al
campus estivo e di tesserarlo in sostituzione dell ’ infortunato
Keith Van Horn.
I l suo anno da rookie non è esaltante anche a causa della
sua propensione a farsi traviare dal veterano, nonché nuovo
amico, Stephon Marbury: notti brave e scarso impegno, non
ciò che ci vuole per dare una buona prima impressione.
Infatti i Nets decidono di lasciarlo andare a fine anno,
permettendo così agl i Spurs di mettere le mani su questo
controverso esordiente.
Così com’è stato per molti suoi predecessori e, perché no,
successori, i l primo incontro con Popovich rientra nella
categoria dei “sarebbe potuto andare meglio”. Pop mette
subito in chiaro le cose dicendogli che l ’avrebbe lasciato
fuori per la maggior parte della stagione, che avrebbe
preteso da lui un arrivo di buon’ora e una tarda uscita dagli
al lenamenti, pena l’ immediato al lontanamento dalla
squadra.
Jackson, dopo l’ iniziale fisiologica fase di negazione, inizia
ad allenarsi con dedizione e a studiare i l sistema degli
Spurs, capendo come gestire le spaziature per permettere a
David Robinson e Tim Duncan di avere spazio di manovra
all ’ interno dell ’area. Altra mossa chiave di Pop è quella di
sistemare l’armadietto di Jackson accanto a quello di
Duncan, propiziando così la nascita di un’inaspettata quanto
solida relazione di reciproca stima, fondamentale per la
crescita professionale del primo (o di entrambi?).
La stagione seguente, 2002/03, Jack diventa una pedina
importante della squadra, tanto da diventare un fattore
determinante persino nelle final i di conference contro i Mavs
e nelle Finals contro i vecchi compagni dei Nets, segnando
spesso triple decisive negli ultimi quarti di queste serie e
chiudendo come terzo migl ior marcatore degli Spurs
campioni NBA.
Dopo la vittoria del l ’anel lo Jackson lascia gl i Spurs in cerca
di un contratto remunerativo, che troverà soltanto dopo un
anno di transizione agli Atlanta Hawks. Sei anni di contratto
per un totale di 38 mil ioni di dol lari , questa l ’offerta degli
Indiana Pacers nella stagione 2004/05. Titolo che a detta di
molti sarebbe effettivamente arrivato se non fosse stato per
un episodio tristemente celebre, passato alla storia col
nome di The Brawl (la rissa).
Queste parole ricordano terribi lmente quelle spese dopo la
morte del fratel lo, e credo siano più che sufficienti a
spiegare la reazione di Jack in quella serata al Palace of
Auburn Hil ls, Detroit.
La stagione dei Pacers si chiude sostanzialmente quella
sera, dato che tutti i giocatori coinvolti nel la rissa ricevono
pesanti squalifiche mettendo la parola fine ai sogni di gloria
del la squadra. I l cl ima a Indiana si fa pesante, la città si
disinteressa della squadra che l’anno successivo inizia a
sfaldarsi. Artest, rientrante dall ’anno di squalifica ricevuto in
seguito al la rissa, chiede di essere ceduto causando una
ferita nel cuore di Jackson, sentitosi tradito da un fratel lo per
cui lui e l ’ intera squadra erano stati presenti, nonostante i l
rischio enorme per le loro carriere.
"È come se ogni giorno sperassi di poter esser stato là,
perché molto di ciò che ho imparato e della persona che
sono lo devo a lui: come essere leale, come esserci per
un amico, come parlare alle ragazze. Non voglio che
qualcuno dica che non ero là per aiutare mio fratello.
Non voglio che qualcuno possa dirlo ancora.”
Stephen Jackson
"Molte persone non hanno idea di cosa significhi avere
un compagno di squadra, col quale passi più tempo che
con la tua famiglia. Come potete pensare che non sarei
andato ad aiutarlo? In un certo modo, se dovessi morire
nel tentativo di aiutare un compagno, un amico o
qualcuno che amo, credo che lo potrei accettare. La mia
famiglia probabilmente no, ma io sì.”
Stephen Jackson
“I make love to pressure”
Stephen Jackson
54
A dare il colpo di grazia al la situazione in quel di
Indianapolis ci pensa ancora Jack, un paio d’anni più tardi,
coinvolto in un alterco fuori da uno strip club. All ’uscita
Jackson e compagni vengono fermati da un gruppo di
persone ed inizia una non precisata discussione, in
particolare con un uomo a cui Jack pare di vedere una
pistola addosso; a quel punto i l cugino di uno degli uomini
investe Jackson con la macchina (evidentemente a velocità
non proibitive), i l quale, dopo essersi rialzato e ripreso dalla
botta subita, tira fuori la pistola e spara cinque colpi “per
disperdere la fol la”, a detta sua. I l vaso trabocca e i Pacers
lo mandano a giocare a Golden State.
La stagione 2006/07 è celebre per quello che è forse il
migl ior upset nel la storia del l ’NBA.
I Golden State Warriors di Baron Davis e Stephen Jackson
(8th seed) battono i Dallas Mavericks (67-1 5, sesto migl ior
record nella storia del la lega) in una serie che si conclude
sul 4-2, ricordata per i l calore del pubblico dell ’Oracle Arena,
sesto uomo in campo per i cal iforniani.
Jackson viene espulso in gara 2 e 5, ma si riscatta con una
gara 6 favolosa segnando 7/8 tiri dal l ’arco e permettendo a
Golden State di produrre un parziale da 1 8-0 all ’ interno del
quale segna 1 3 punti consecutivi (33 total i), tutto questo
marcando l’MVP Dirk Nowitzki e costringendolo ad un
imbarazzante 2/1 3 dal campo.
Baron Davis, infortunatosi al la spalla durante i l primo quarto
di quel la gara, ha dichiarato:
Grazie al le prestazioni di quel l ’anno, Jack si guadagna il
titolo di capitano della squadra diventando “Captain Jack”,
titolo che ha ripudiato in seguito perché non ritenuto adatto
a sé.
Quanto di più significativo per la sua carriera di giocatore si
ferma qui.
Le esperienze a Charlotte e Milwaukee, i l ritorno fugace agli
Spurs nel tentativo (ben riuscito) di avere un uomo che
arginasse Durant, non hanno più dato modo a Jack di
mettersi in luce ad alti l ivel l i , salvo per i Playoffs con i
suddetti Spurs, giocati eccellentemente nei pochi minuti a
disposizione e terminati nel club 50-40-90; e la sua carriera
è probabilmente ormai volta al termine.
Che tipo di giocatore è stato?
Cosa sta facendo ora?
Possibi le si stia dando da fare per la sua comunità
al l ’ interno della Stephen Jackson Academy, da lui fondata in
seguito al le devastazioni degl i uragani passati dal la sua
città.
Che uomo è?
"Gli ho detto (a Jack, ndr) che avrei dato il massimo e
che non avrei voluto essere colui che lavorava più duro
su quel campo. Avrebbe dovuto guidarmi. Lui è il leader
di questa squadra e se chiedete a chiunque di noi, lui è
il cuore e l’anima di questa squadra. Lui è un giocatore
da grandi appuntamenti, e sapeva quanto questa partita
fosse importante. È l’unico di questa squadra ad aver
vinto un titolo, quindi abbiamo dovuto fare affidamento
su di lui.”
Baron Davis
“Chiedete a chiunque nella lega, Stephen è un giocatore
d’élite, tanto quanto chiunque altro tra quelli che ho
allenato.”
Larry Brown
“Non credo la gente abbia compreso che gran giocatore
sia Stephen Jackson, difende ogni sera, fa giocate,
segna, l’unica cosa che non fa è andare a rimbalzo.
Rende migliori i compagni attorno a lui.”
Don Nelson
“Il migliore compagno di squadra possibile.”
Tim Duncan
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55
Indubbiamente è una persona il cui passato influenza il
presente, ed influenzerà il futuro. Tante sono state le parole
spese dai media per crocifiggere i suoi errori, quante quelle
usate dai suoi compagni di squadra e dirigenti nel l ’ intera
carriera per lodare la sua simpatia, la sua lealtà e il suo
cuore.
Io un’idea mia personale l ’ho, ma non m’interessa
convincere nessuno.
"Molte persone confondono la mia passione per il gioco
con l’essere un criminale o un gangster. Sono tutt’altra
storia. Sono solo uno cresciuto nel ghetto, che ha fatto
qualcosa venendo da nulla e che non è cambiato.
Continuerò a stare a Port Arthur d’estate camminando
senza scarpe, mangiando gamberi, facendo barbecue e
andando a pescare. Sarò la stessa persona, e sono
orgoglioso di dirlo perché un sacco di giocatori in NBA
sono intoccabili. Non sono reali. Ma io sono orgoglioso
di essere un tipo regolare a cui le persone possono
avvicinarsi, non sono Hollywood. Voglio che le persone
sappiano che questo è quello che sono e che non
cambierò per nulla al mondo.”
Stephen Jackson
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WHO IS: Brandon Dawayne Roy nasce il 23 Luglio 1 984 a
Seattle. Inizia a dar prova del suo talento nella AAU, la
Amateur Athletic Union, una delle più grandi organizzazioni
sportive amatorial i del Paese, per poi iscriversi al la Garfield
High School. Vince l’MVP della KingCo Conference sia
nell ’anno da junior che in quello da senior, che chiude con
22.3 punti e 1 0.4 rimbalzi di media, e viene considerato uno
dei migl iori e più completi talenti a l ivel lo nazionale, tanto
che in molti danno per certo i l suo sbarco in NBA. Brandon
inizialmente decide di rendersi eleggibi le al Draft 2002, ma
successivamente dà prova di grande saggezza, cambiando
idea e decidendo di andare al col lege. Le norme della NCAA
sono molto ferree, infatti i futuri studenti-giocatori devono
ottenere punteggi molto alti al SAT, un test di ammissione,
per potersi iscrivere ai col lege di Division I . Roy, che ha
problemi di apprendimento ed è molto lento nella
comprensione dei testi scritti , deve ripetere il test quattro
volte prima di rispettare le richieste dell ’NCAA e potersi
iscrivere alla University of Washington.
Nella prima stagione gioca poco, come usanza agli Huskies,
mentre nella seconda stagione ha un ruolo fondamentale
al l ’ interno della squadra, guidandola nei rimbalzi e
chiudendo secondo in punti , assist e palle rubate. La
stagione da junior è caratterizzata da costanti problemi al
menisco destro che lo costringono a vedere il minutaggio
ridotto, ma al termine dell ’anno Brandon considera ancora la
possibi l ità di rendersi eleggibi le al Draft 2005. Quando però
il suo compagno di col lege Nate Robinson e la futura recluta
degli Huskies Martel l Webster decidono di entrare in NBA,
Roy vede l’opportunità di poter diventare la stel la del la
squadra e decide di concludere gli studi a Seattle.
Ancora una volta la sua decisione è azzeccata, perché non
solo guida l ’ateneo al titolo nel la Pac-1 0 e alle Sweet 1 6 nel
torneo NCAA, ma con 20.2 punti , 4.1 assist e 5.6 rimbalzi
viene nominato Pac-1 0 Player of the Year e All-American.
Terminata la carriera collegiale Brandon è pronto a fare il
salto al piano superiore e viene scelto con la sesta chiamata
del Draft 2006 dai Minnesota Timberwolves.
NBA CAREER: I Wolwes però lo girano subito ai Portland
Trail Blazers in cambio di Randy Foye, scelto al la settima
chiamata.
La prima stagione tra i pro è subito positiva sia dal punto di
vista statistico che da quello tecnico, ma la guardia di
Seattle mostra subito la fragil ità del le sue ginocchia.
Sebbene infatti chiuda un’ottima stagione con 1 6.8 punti , 4.4
rimbalzi, 4 assist e 1 .2 rubate, ricevendo 1 27 voti su 1 28 per
i l Rookie of the Year e lasciando gli addetti ai lavori a bocca
aperta per la sua maturità cestistica, è costretto a saltare
ben 25 partite a causa dei problemi al le ginocchia.
Nella stagione da sophomore le sue cifre migl iorano,
Brandon è la stel la dei Blazers, segna 1 9.1 punti a partita
con 4.7 rimbalzi, 5.8 assist e 1 .1 rubate, guidando Portland
a una striscia di 1 3 vittorie consecutive nel mese di
Dicembre e venendo convocato come riserva all ’Al l-Star
Game. Nell ’ultima partita prima del break però ha un
infortunio al la cavigl ia che tuttavia non gli impedisce di
giocare ben 29 minuti nel la partita del le stel le e di segnare
1 8 punti con 9 rimbalzi.
La terza stagione in NBA è da incorniciare, nonostante salti
gran parte della preseason a causa di un intervento al
ginocchio per la rimozione di carti lagine che irritava
l’articolazione: in 78 partite registra 22.6 punti , 4.7 rimbalzi,
5.1 assist e 1 .1 rubate, tirando con il 48% dal campo e il
37.7% dalla lunga distanza. Grazie a questi numeri Roy
viene convocato ancora all ’Al l-Star Game, incluso nell ’Al l-
NBA Second Team e i suoi Blazers si qualificano per la post
season dove vengono però eliminati al primo turno dai
Rockets in sei partite. Nonostante l ’el iminazione Roy chiude
la serie con 26.7 punti di media e una grandissima Gara 2 in
cui guida i suoi al la vittoria con 42 punti.
Prima della stagione 2009-1 0 Brandon firma un nuovo
contratto che lo lega alla franchigia del l ’Oregon per i
successivi 4 anni, con opzione sul quinto, al massimo
salariale. Gli infortuni costringono Roy a saltare 1 7 partite,
ma nelle 65 giocate sfodera ancora grandi prestazioni che
“Al termine del mio anno da junior sentivo che ero
pronto per giocare in NBA, ma c’era ancora molto che
dovevo mostrare”
Brandon Roy
58
gli valgono la terza convocazione consecutiva alla partita
del le stel le, che salta a causa di un infortunio al polso, e
l ’ inclusione nell ’Al l-NBA Third Team. Chiude la stagione con
20.8 punti , 4.2 rimbalzi, 4.5 assist e 0.9 rubate, guidando
ancora i Blazers ai Playoffs. Tuttavia l ’1 1 apri le nel la vittoria
contro i Lakers Brandon subisce un nuovo infortunio al
ginocchio destro, che lo costringe ad andare sotto i ferri .
Secondo le prima previsione Roy dovrebbe saltare tutto i l
primo turno dei Playoffs contro i Suns, incredibi lmente però
torna in Gara 4, ma nonostante i l suo rientro i Blazers
vengono ancora eliminati per 4-2.
Nella stagione 201 0-11 Brandon inizialmente mantiene i
suoi standard realizzativi abitual i , ma dal mese di Dicembre
le sue ginocchia lo costringono a saltare diverse partite, per
poi essere out a tempo indeterminato. La mancanza di
carti lagine in entrambe le ginocchia lo porta nuovamente
sotto i ferri i l 1 7 Gennaio 2011 , ma torna in campo il 25
Febbraio con 1 8 punti dal la panchina, compresa una tripla
per portare la gara all ’overtime, nel la vittoria contro i
Nuggets. Per i l resto della stagione Roy continua a partire
dalla panchina e ad avere un minutaggio ridotto rispetto gl i
anni precedenti, chiudendo con un career low di 1 2.2 punti ,
2.6 rimbalzi, 2.7 assist e 0.8 rubate in 47 partite giocate. Nei
Playoffs i Blazers affrontano i Mavs, futuri campioni NBA. In
Gara 1 Roy gioca 26 minuti segnando solo 2 punti mentre in
Gara 2 gioca solo 8 minuti senza segnare, con i Blazers che
perdono entrambe le partite. Roy non nasconde il suo
malumore per essere stato l ’ultima delle riserve e mostra di
poter essere ancora uti le al la squadra segnando 1 6 punti in
quasi 24 minuti di uti l izzo in Gara 3, vinta da Portland 97-92.
Gara 4 è leggenda. Dopo i primi due quarti equil ibrati , in cui
Roy segna soltanto 3 punti, Dallas al lunga fino al 67-44. La
partita sembra chiusa anche dopo una tripla del #7 al
termine del terzo periodo, ma nel quarto periodo Roy guida i
suoi in un’incredibi le rimonta, segnando 1 8 punti, di cui 4 in
un pazzesco gioco da 4 punti per i l pareggio permettendo ai
Blazers di vincere 84-82 e di pareggiare al serie sul 2-2.
Nelle restanti partite Dallas mostra la sua superiorità ed i
Blazers vengono eliminati ancora per 4-2.
La stagione 2011 -201 2 è quella del Lockout, la speranza
che Roy possa recuperare e tornare la star degli anni
precedenti è tanta, ma poco dopo il training camp Brandon
annuncia i l suo ritiro a causa della mancanza di carti lagine
in entrambe le ginocchia.
La sua carriera sembra finita, ma in realtà Roy lavora
moltissimo per poter tornare in NBA e a Giugno 201 2
comunica che, grazie ad un procedura tramite cui viene
iniettato del plasma direttamente nelle ginocchia per
permettere alle stesse una rigenerazione dei tessuti (la
stessa eseguita da Kobe Bryant), è pronto calcare
nuovamente i parquet del la Lega americana. I l 31 Luglio
firma un biennale con i Wolves, la squadra che lo aveva
scelto al Draft, e durante i l training camp le sue ginocchia
non gli provocano dolore. In una partita di preseason
subisce un infortunio dopo uno scontro di gioco, ma riesce
comunque ad essere presente alla prima partita del la
stagione, nel la quale realizza 1 0 punti in 30 minuti di uti l izzo.
Dopo sole cinque partite però le sue ginocchia richiedono
l’ennesimo intervento chirurgico e Roy è costretto a saltare
l ’ intera stagione. I l 1 0 Maggio 201 3 Minnesota lo tagl ia
mettendo probabilmente fine alla sua sfortunata carriera.
Sarebbe potuto entrare nell ’Ol impo dei giocatori NBA, aveva
tutte le carte in regola per poter essere tra i grandissimi di
questo sport ma la sfortuna si è accanita su di lui e non gli
ha permesso di mostrare tutto i l suo talento. La speranza è
che riesca a recuperare in qualche modo, per garantire
anche solo 20 minuti di qual ità, ma la realtà è che la sua
carriera è ormai giunta definitivamente al termine. In bocca
al lupo Brandon, ci hai fatto vivere grandissime emozioni.
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WHO IS: Reginald Wayne Mil ler nasce a Riverside, in
California, i l 24 agosto 1 965. I l piccolo Reggie presenta sin
dal la nascita dei gravi problemi a cavigl ie e ginocchia, tanto
che i medici sono costretti a comunicare a mamma Carrie
che nei primi anni di vita per camminare dovrà uti l izzare dei
sostegni metal l ici , con la speranza che un giorno, forse,
potrà farne a meno. Dopo quattro anni finalmente i medici
decidono che i sostegni non sono più necessari, ma di
praticare sforzi fisici non se ne parla: i l fisico è troppo esile e
la muscolatura poco sviluppata. Reggie però non ci sta,
inizia a giocare con i fratel l i permettendo alle sue ossa e alla
sua muscolatura di irrobustirsi, riuscendo finalmente a
camminare e correre senza problemi.
Inizialmente si dedica al baseball , seguendo le orme del
fratel lo, Darrel l , che negli anni ’80 giocherà addirittura
qualche stagione in MLB, ottenendo ottimi risultati . La sua
grande passione però è la palla a spicchi, ma quando gioca
con la sorel la viene regolarmente stoppato ed ecco che
inizia ad allontanarsi dal canestro, svi luppando una tecnica
di tiro discutibi le, con parabola molto alta, ma dannatamente
efficace. Dopo essersi diplomato alla Riverside Polytechnic
High School, i l suo grande sogno è quello di vestire la
leggendaria maglia Bruins, e per sua fortuna quell ’anno tutti
i prospetti migl iori decl inano l’ interessamento di UCLA, che
decide di puntare sul fratel lo di Cheryl, quel la che ne aveva
messi 1 05 in una partita l iceale pochi anni prima.
I l primo anno è di puro apprendimento, ma già dal secondo
le doti di real izzatore di Reggie iniziano a farsi vedere e
guida l ’ateneo losangelino al la vittoria del NIT, chiudendo la
stagione come migl ior marcatore della squadra. I l terzo e
quarto anno la consacrazione: da junior chiude con 25.9
punti a partita tirando con il 55% abbondante dal campo, da
senior, anno in cui l ’NCAA decide di inserire i l tiro da tre
punti, mette a referto 22.2 punti di media, con il 54% dal
campo e il 47% scarso dalla lunga distanza, chiudendo la
carriera collegiale con 2095 punti, secondo nella classifica
dei real izzatori in maglia Bruins, dietro solo a Lew Alcindor
(o meglio Kareem Abdul-Jabbar).
Purtroppo però il fisico smilzo e il gioco troppo basato sul
tiro in sospensione fanno storcere il naso a molti , quando
con l’undicesima scelta del Draft 1 987 i Pacers decidono di
puntare su di lui , preferendolo al l ’ idolo locale, Steve Alford,
fresco campione olimpico 1 984, scelto poi dai Mavs e che in
NBA resterà soltanto quattro stagioni.
NBA CAREER: Lo scetticismo dell ’ambiente però giova a
Reggie, abituato a combattere sin dai primi minuti di vita,
che, giocando da backup di John Long, segna 61 tiri
dal l ’arco battendo il record di triple segnate da un rookie
realizzato otto anni prima da Larry Bird, e chiude la stagione
con 1 0 punti di media tirando con il 48.8% dal campo e il
35.5% da tre punti in 22 minuti di uti l izzo.
Nell ’anno da sophomore diventa titolare e le sue cifre
l ievitano, 1 6 punti a partita con il 40% da tre in 34 minuti .
Le critiche verso il cal iforniano e la società, rea secondo i
tifosi di aver puntato sul giocatore sbagliato, sono però una
costante e questo porta Mil ler a lavorare duramente durante
i l training camp, chiudendo poi la stagione con 24.6 punti a
partita contornati da 3.6 rimbalzi, 3.8 assist e 1 .3 rubate,
tirando con percentual i incredibi l i per una guardia (51 .4%
dal campo e 41 .4% dalla lunga distanza) e diventando
finalmente l ’ idolo di Indianapolis, nonché giocatore
franchigia e vero trascinatore dei Pacers. Diventa i l primo
Pacer ad essere convocato alla partita del le stel le dal ’77 e
guida la squadra ai Playoffs, dove però arriva l ’el iminazione
al primo turno contro i futuri campioni, i Detroit Pistons.
L’anno successivo, i l quarto in NBA, termina con 22.6 punti
di media e soprattutto i l 91 .8% ai l iberi, primo nella classifica
NBA e record per la franchigia del l ’ Indiana, che però esce
ancora al primo turno di Playoffs, questa volta contro i
Celtics.
Dopo altre due stagioni da oltre 20 punti di media, nel
campionato 1 993-94 Reggie diventa migl ior real izzatore
nella storia dei Pacers, superando Bil ly Knight, e guida la
squadra alle Conference Finals dove Indiana affronta New
York. L’1 giugno, al Madison Square Garden, con la serie sul
62
2-2, Reggie entra definitivamente nella storia: 1 4/26 dal
campo, di cui 6/11 da 3 punti, per 39 punti total i . Fino a qui
potreste pensare “si, ottima partita, ma non è l’unico da aver
giocato una partita del genere”. La cosa incredibi le è che 24
di questi 39 punti l i ha segnati nel quarto periodo, dove ha
tirato con un perfetto 5/5 dall ’arco, recuperando
praticamente da solo uno svantaggio di quasi 20 punti e
vincendo la partita. Da qui viene coniato i l termine It’s Mil ler
Time per indicare i final i di partita, in cui Reggie da il meglio
di sè. I Knicks però vincono le due partite seguenti,
approdando alle Finals dove vengono sconfitti dai Rockets.
Questa serie segna l’ inizio di una grandissima rival ità tra le
due squadre e gara 5 sarà sempre ricordata, oltre che per la
prestazione mostruosa del Kil ler, anche per i l trash talking
tra Mil ler e Spike Lee, con lo storico choke di Reggie.
L’anno successivo diventa i l primo Pacer ad essere titolare
al l ’Al l Star Game, guida Indiana al titolo del la Central
Division stabilendo il record di franchigia con 60 vittorie e nel
secondo turno incrocia ancora i Knicks.
Tanto per cambiare, entra nella storia.
In gara 1 , con 1 8.7 secondi sul cronometro, i Knicks sono in
vantaggio 1 05-99 e Larry Brown, coach di Indiana, chiama
timeout, con i giocatori di New York che già festeggiavano la
vittoria. Nell ’azione successiva Mil ler, con 8.9 secondi
rimanenti, segna la tripla del meno 3, sul la rimessa ruba
palla, si piazza oltre la l inea da 3 punti e pareggia. L’ inerzia
del la partita ha cambiato padrone, fal lo su Starks nel
tentativo di rubare palla: 0/2 dalla lunetta, schiacciato dalla
pressione. Battagl ia incredibi le a rimbalzo, Ewing conquista
i l pal lone ma sbaglia da due. I Knicks, spaventati dal le triple
di Reggie, commettono fal lo proprio sul 31 , che però non
perdona, facendo 2/2 e vincendo, ancora una volta da solo
e in rimonta con 8 punti in poco meno di 9 secondi,
mostrando ancora una volta le sue incredibi l i doti da closer.
La serie viene vinta 4-3 da Indiana, che però deve
arrendersi ancora una volta al le Conference Finals, contro i
Magic che poi perderanno contro i Rockets nuovamente
campioni NBA.
Nei due anni seguenti i Pacers deludono, perdendo contro
Atlanta al primo turno dei Playoffs e non qualificandosi poi
al la postseason.
Nella stagione 1 997-98, dopo un’altra ottima regular season
in cui Reggie supera quota 1 5 mila punti , al secondo turno
ecco ancora i Knicks ed ecco ancora Kil ler Mil ler,
ribattezzato The Knick-Kil ler: in gara 4, con la serie sul 2-1
per Indiana, davanti al la sedia di Spike Lee segna la tripla
per l ’overtime e guida i Pacers al la vittoria con 38 punti
total i . La serie si chiude 4-1 senza difficoltà, ma il turno
seguente ecco arrivare la corazzata Bulls. In gara 4, con i
Bul ls sul 2-1 e in vantaggio di due punti con 2 secondi e
mezzo sul cronometro, dal la rimessa ecco lo schema per
Mil ler che, nonostante la marcatura asfissiante di Jordan,
con un movimento incredibi le ed un catch and shoot perfetto
segna una tripla da 1 0 metri per la vittoria. I Bul ls vincono la
serie 4-3, ma per la prima volta hanno bisogno di sette
partita per raggiungere le Finals.
L’anno successivo guida la lega con il 91 .5% ai l iberi,
supera quota 1 8 mila punti ed è per l ’ennesima volta migl ior
real izzatore della squadra con 1 8.4 punti di media. Ai
Playoffs ancora New York alle Final i di Conference, ma
questa volta a trionfare sono i Knicks, 4-2, grazie soprattutto
al le ottime prestazioni di Houston e Sprewell ed al la
pessima gara 6 di Mil ler (3/1 8 dal campo).
Nell ’anno seguente Mil ler raggiunge probabilmente l ’apice
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
63
della sua carriera. Indiana per la prima volta nella storia
arriva al le Finals, dopo aver el iminato ancora i Knicks 4-2 al
primo turno con 34 punti di Reggie in gara 6, ma nonostante
una serie praticamente perfetta di Mil ler, che chiude con
24.3 punti di media, cede 4-2 ai Lakers, prossimi al three-
peat.
Le abil ità da closer di Mil ler continueranno, nonostante la
carriera sia prossime al termine. Nel 2001 i Pacers perdono
3-1 al primo turno contro i Sixers, ma l’unica partita vinta è
decisa da un buzzer da tre punti del sol ito Reggie, mentre
nel 2002, nel primo turno contro i Nets con la serie sul 2-2,
prima segna sulla sirena una tripla da metà campo per i l
pareggio, poi al lo scadere del primo supplementare
pareggia di nuovo con una schiacciata. Deve però
arrendersi nel secondo overtime a Kidd, che guida i suoi al la
vittoria del la partita e della serie, e successivamente alle
prime Finals del la franchigia del New Jersey.
Gli anni seguenti Mil ler diventa progressivamente sesto
uomo di lusso e leader morale della squadra, dando qualche
sprazzo del suo enorme talento, come i 39 punti a 39 anni
contro i Lakers, fino a giungere al ritiro al termine della
stagione 2004-05, dopo l’el iminazione contro i Pistons.
Chiude la carriera NBA con 25279 punti, quattordicesimo
nella classifica di tutti i tempi, 2560 triple realizzate,
superato soltanto da Ray Allen i l 1 0 febbraio 2011 , e
un’infinità di game winner e tiri decisivi. 5 volte All-Star, 3
volte nel terzo quintetto NBA, oro mondiale e olimpico.
Come detto in apertura, uno dei tiratori migl iori sempre, ed
anche un giocatore estremamente intel l igente e malizioso,
capace di guadagnare giochi da quattro punti al largando le
gambe dopo una tripla toccando l’avversario e procurandosi
i l fal lo. Letale sia in uscita dai blocchi che dal pal leggio,
nonostante tecnicamente il suo tiro lasciasse molto a
desiderare. Personaggio unico, trash talker di prima
categoria.
Fa parte della cerchia di giocatori leggendari a non aver mai
vinto un anello.
Ma, pensando che alla nascita i medici non erano certi
potesse camminare senza uti l izzare sostegni metal l ici al la
Forrest Gump, ha vinto molto di più.
“Mi sembra doveroso ringraziare Reggie per tutto quello
che ha fatto per questa franchigia. Ha illuminato il
nostro cammino per 18 anni, portandoci 6 volte in finale
di conference, rendendo i Pacers una squadra
competitiva in regular season e nei playoffs. Per questo
Reggie Miller rimarrà per sempre nella storia degli
Indiana Pacers, e il suo numero 31 sarà ritirato."
Donnie Walsh durante il ritiro della maglia #31
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
65
Marvin Barnes nasce a Providence nel 1 952, resistendo ad
un’infanzia da lui stesso definita raccapricciante, trascorsa a
fare da spettatore mentre i l padre alcol izzato alzava le mani
a piacimento su lui e la madre. Fino a che, compiuti sedici
anni, Marvin fa ritorno a casa con una pistola in mano,
ribaltando le gerarchie famil iari .
Quando è sul campo da gioco, però, la vita sembra
sorridere a Marvin. Porta la sua high school al titolo due
volte consecutive senza mai perdere una partita,
continuando a stupire una volta entrato a far parte della
squadra del col lege, i Providence Friars. Nel 1 973 li
conduce alle Final Four per la prima volta nella loro storia
(grazie al record di dieci canestri su dieci tentativi in una
partita del la March Madness), concludendo poi i suoi quattro
anni nel l ’NCAA come All-American e detenendo ancora oggi
i record per punti segnati (52), rimbalzi (34) e stoppate (1 2)
in una singola partita per i Friars, di cui è ancora oggi i l
migl ior rimbalzista (1 592, 1 7.9 rpg) e stoppatore (363, 4.1
bpg) di sempre.
A lasciare i l segno a Providence, però, non sono solo le sue
doti cestistiche. Nel suo anno da senior in high school, si
unisce ad un gruppo di ragazzi intenzionati a rubare un
autobus, ma la banda viene riconosciuta proprio grazie a
Barnes il quale, durante la rapina, indossa una giacca della
scuola con le scritte “State Champions” e “Marvin” cucite
sul la schiena. Durante i l col lege, invece, viene accusato di
aver colpito un compagno di squadra con una chiave
inglese, del tipo che si uti l izza per i dadi degl i pneumatici.
Barnes nega in ogni occasione il fatto, salvo poi
inaspettatamente dichiararsi colpevole in tribunale, potendo
così patteggiare e ottenere tre anni di l ibertà vigi lata (poiché,
nel caso non avesse patteggiato, gl i sarebbe toccato il
carcere). Queste vicende gli porteranno uno dei soprannomi
più calzanti nel la storia del gioco e che non si scrol lerà più di
dosso: Bad News, cattive notizie.
In ogni caso il talento è cristal l ino, motivo per cui viene
draftato in NBA con la seconda scelta dai Philadelphia
76ers. Barnes, però, rifiuta l ’offerta e decide di portare i l suo
talento agli Spirits of St. Louis, squadra di ABA, invogliato
dal paio di mil ioni presenti sul contratto.
I l suo esordio fra i professionisti è strabil iante, gl i Spirits
sono probabilmente la squadra più spettacolare dell ’epoca
(NBA compresa) e Barnes s’inserisce alla perfezione nel
gruppo. Porta a casa il Rookie of the year, al la faccia di
Moses Malone, e sul campo da gioco scherza con future
leggende quale Artis Gilmore e Dan Issel, facendo crescere
intorno a sé una montagna di aspettative per i l futuro.
Le due grandi stagioni con gli Spirits sono segnate da tanti
aneddoti imprescindibi l i per cercare di inquadrare meglio,
ammesso e non concesso che sia possibi le farlo, la persona
di Marvin Barnes.
I l suo rapporto con gli orari, i trasferimenti del la squadra e gli
al lenamenti? Travagliato.
Gli Spirits hanno un volo la mattina presto perché devono
giocare in back-to-back a Norfolk, ovviamente Barnes non si
presenta e, anzi, perde pure tutti gl i altri vol i fino a
pomeriggio inoltrato. Quando, finalmente, giunge in
aeroporto è costretto a pagare per un aereo privato in modo
che decoll i i l prima possibi le. A Norfolk, i l coach sta parlando
coi suoi, mancano dieci minuti al l ’ inizio del la partita, quando
Marvin irrompe nello spogliatoio con un ampio sorriso, un
"Ero seduto alla fine della panchina con un
asciugamano in testa, stavo sniffando cocaina e il mio
naso iniziava a sanguinare. Don Chaney e Nate
Archibald si erano spostati, lasciando quattro o cinque
posti di distanza tra me e il compagno più vicino. Stavo
sniffando cocaina, il naso mi andava in pezzi. Sniffavo e
mi sentivo esplodere. Era come se il cervello stesse per
uscirmi dal naso, sull’asciugamano, ma io non riuscivo
a smettere. Era terribile, avevo una dipendenza.”
Marvin Barnes
"Ero giovane, selvaggio e pensavo di conoscere tutto.
Ero condannato, non pensavo che sarei mai arrivato a
trent’anni. Volevo morire in una sparatoria, non volevo
una vita lunga, non era mia ambizione. Live fast, die
young, era quello il mio obiettivo.”
Marvin Barnes
"Guardate cosa ha fatto Marvin per noi nella sua
stagione da rookie. Ha segnato 24 punti, preso 16
rimbalzi e tirato col 50% dal campo, e l’ha fatto con la
peggior selezione di tiri che abbia mai visto in un
professionista. Semplicemente prendeva la palla, si
voltava e tirava. Non gli importava della sua posizione
sul campo.”
Harvey Weltman, presidente degli Spirits ofSt. Louis
66
sacchetto colmo di hamburger e patatine del Mc Donald’s,
ed un cappotto lungo di visone annunciando “Non
preoccupatevi, Bad News è arrivato”; sotto i l cappotto c’è la
divisa degli Spirits. I primi otto minuti l i passa in panchina,
ma il conto finale dice 51 punti con 1 9 rimbalzi.
I l suo concetto di squadra risulta essere, quantomeno,
stravagante. Finita una partita prende da parte Bob Costas,
cronista locale degli Spirits: “Non c’è gioco di squadra, non
ci importa dei nostri compagni, ” – dice – “stasera ero a 48
punti con ancora un paio di minuti da giocare. Qualcuno mi
ha passato la palla in modo che potessi arrivare a 50? No, si
sono tenuti la pal la e io sono rimasto fermo a 48.”
La sua spontaneità ed il suo cuore sono ciò che ha sempre
reso Marvin amato dai suoi compagni di squadra. Un giorno,
passando con la sua Rolls Royce nei pressi di un
playground di Louisvi l le, fa cenno all ’autista di fermarsi.
Scende, parla con le due dozzine di bambini che stavano
giocando, e l i invita a salire in auto. Risultato? Regala delle
scarpe da basket nuove a tutti , paga loro il gelato e si
congeda, non prima di avergl i presentato i l compagno (di
squadra, prima, e di sventure, poi) Gus Gerard come “uno
dei tizi bianchi che mi passa la palla”.
L’aneddoto più celebre lo avrete certamente sentito,
raccontato tra gl i altri anche dall ’ inarrivabile Federico Buffa,
è quello del l ’aereo che atterra a St.Louis ad un orario
precedente rispetto al la partenza in quel di Louisvi l le, a
causa del cambio del fuso orario per i l passaggio ad un’altra
zona. Quando Barnes si accorge di ciò, la reazione è da
antologia: “I ain’t gettin’ on no time machine. I ain’t takin’ no
fl ight that takes me back in time” – non salirò su una
macchina del tempo, non prenderò nessun volo che mi
porta indietro nel tempo.
Come si era soliti dire al l ’epoca, just Marvin being Marvin.
Gli Spirits, però, sono per Barnes anche l’occasione per fare
conoscenza con la cocaina. Inizialmente la bianca è un
paradiso, amplifica i sensi di Marvin, la sua consapevolezza
e la sua attitudine nel social izzare con le persone; arriva
addirittura a pensare che la cocaina lo renda un giocatore
migl iore, ma si accorgerà ben presto che non è così.
Nel 1 976 l’ABA si fonde con l’NBA, andando a costituire una
lega unica. Gli Spirits sono una delle due squadre che
spariscono e Barnes accetta quindi l ’offerta dei Detroit
Pistons. Neanche il tempo di iniziare la stagione che, ad
Ottobre, Marvin viola la l ibertà condizionata derivante dalla
condanna precedente cercando di nascondere una pistola ai
control l i in aeroporto. Questa violazione gli costa più di
cinque mesi di prigione, ma molto altro a l ivel lo intangibi le.
Da quel momento Marvin smette di essere il giocatore
fantastico a cui tutti gl i States si erano abituati , a dir la verità
diventa nel giro di un paio d’anni un giocatore meno che
discreto. Detroit Pistons, Buffalo Braves, San Diego
Clippers, nessuna squadra riesce a rinvigorirlo, anzi, non
possono far altro che stare ad osservare il suo inarrestabile
declino. Nemmeno firmare con i Boston Celtics, sogno di
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
67
una vita, scalfisce minimamente l ’animo alla deriva di
Marvin.
La sua carriera diventa un inconsapevole vagabondaggio,
prima metaforico e poi effettivo, poiché si ritrova senza una
casa, in disgrazia, a far avanti e indietro dalla galera, con la
bianca come unico pensiero e senza alcuna possibi l ità di
tirarsene fuori. Nei rarissimi momenti di lucidità tenta di
affidarsi a centri di riabi l itazione, salvo ricascare nel baratro
dopo qualche giorno e sprofondandoci definitivamente
quando riceve una condanna di sette anni in Texas, per
detenzione e spaccio. La pena sarà poi ridotta a soli tre
anni, ma la permanenza in quel carcere, dove le guardie
non cercavano di interrompere le risse ma si l imitavano a
raccattare i corpi esanimi, è i l punto di svolta per Marvin.
Venti programmi di riabi l itazione dopo, con un fegato ridotto
in brandell i , Marvin sta ancora combattendo la sua
personale battagl ia verso la l iberazione. L’ex proprietario
degli Spirits si è offerto di pagargl i le cure, e prosegue nel
suo intento, memore della splendida persona che è stata
Barnes negli anni a St. Louis. La missione di Marvin,
paral lelamente al suo benessere, è quella di essere da
insegnamento per i giovani del le sue zone, grazie al la
Rebound Foundation. La sicurezza e la convinzione di avere
il mondo ai propri piedi, sono sparite dal volto di Marvin con
la stessa velocità con cui i l talento l ’ha abbandonato.
Trent’anni dopo aver cestinato la sua carriera, la vita gl i ha
comunque dato la possibi l ità di assistere ad una cerimonia
speciale. I ronia, benedizione, rammarico, c’era un po’ di
tutto quella sera dell ’8 marzo 2008. La maglia #24 dei
Providence Friars è stata issata proprio su uno di quei soffitti
a cui Marvin aveva smesso di guardare a causa della
cocaina. In fin dei conti , anche Bad News lo sa, la vita ha
avuto un occhio di riguardo per lui.
"Crescendo, sognavo di giocare per i Boston Celtics,
ma ad un tossicodipendente non frega niente del Celtic
Pride, di Bill Russell o di Red Auerbach. Volevo solo
farmi, punto. Non m’interessava essere sui soffitti dei
palazzetti, non significava nulla per me, non c’era
cocaina su quei soffitti. Le droghe ti distorcono il
pensiero.”
Marvin Barnes
"Lo stavo picchiando, era privo di sensi e gli sbattevo la
testa contro il cemento. La verità è che lo stavo
uccidendo. Avevo la sua testa fra le mie mani, l’ho
lasciato andare e si è accasciato al suolo. Se ne stava lì,
immobile, sembrava privo di vita. Non sapevo se fosse
morto o no, ma sapevo che era finita. Era il momento
della svolta, era il punto più basso che potessi
raggiungere.”
Marvin Barnes
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
69
WHO IS: Mayce Edward Cristopher Webber I I I nasce l’1
marzo 1 973 a Detroit, Michigan. Sin da bambino usa la palla
a spicchi per evadere dalla monotonia quotidiana di una
città che fa dell ’ industria i l suo fiore al l ’occhiel lo, diventando
uno dei prospetti local i più interessanti. Al momento
dell ’ iscrizione alla High School fa di tutto per poter giocare
con Jalen Rose, amico d’infanzia, ma le loro strade non
sono ancora destinate ad incrociarsi. Si iscrive alla Detroit
Country Day School, diventando immediatamente leader e
guidando gli Yellow Jackets a tre titol i statal i , chiudendo la
stagione da senior con 28 punti e 1 3 rimbalzi di media e
vincendo il premio di migl ior giocatore l iceale della nazione.
Tutti i migl iori col lege del Paese fanno carte false per
reclutare Chris, che decide di diventare un membro della
University of Michigan, dove, oltre al suo caro amico Jalen
Rose, trova anche Juwan Howard, Jimmy King e Ray
Jackson. Webber è al primo posto della classifica dei
migl iori giocatori in uscita dal l ’High School, Howard al terzo,
Rose al sesto, King al nono e Jackson all ’84esimo. Si
formano quindi i Fab Five, la migl ior classe di reclutamento
di sempre costituita da 4 All-American (record assoluto fino
allo scorso anno quando Kentucky ha reclutato addirittura
sei All-American), che però paradossalmente non riesce a
vincere nessun titolo NCAA. I Wolverines arrivano alla finale
del torneo NCAA in entrambi le stagioni di permanenza di
Webber, ma nel 1 992 perdono contro Duke 71 -51 , mentre
nel 1 993 a batterl i sono i Tar Heels di North Carolina con il
punteggio di 77-71 , nel la partita che sarà poi ricordata per i l
timeout chiamato da Webber sul -2 a 11 secondi dal termine
che però costa un tecnico al nativo di Detroit, poiché
Michigan non ha più timeout a disposizione, chiudendo
definitivamente la partita. Chris chiude l’anno da sophomore
con 1 9.2 punti , 1 0.1 rimbalzi, 2.5 assist e altrettante
stoppate di media, tirando con il 61 .9% dal campo, numeri
che gli permettono di essere chiamato con la prima scelta
assoluta del Draft 1 993 (primo sophomore ad essere prima
scelta dal draft del 1 979, quando venne scelto Magic
Johnson) dagli Orlando Magic, che vincono la lottery per i l
secondo anno consecutivo.
NBA CAREER: Orlando Magic dicevamo. Sebbene i tifosi
del la franchigia del la Florida non vedevano l’ora di assistere
alle giocate della coppia O’Neal-Webber, Chris viene ceduto
la stessa notte del Draft ai Golden State Warriors in cambio
della terza scelta assoluta, Anfernee “Penny” Hardaway, e di
tre future scelte al primo giro.
A causa degli infortuni di Tim Hardaway e di Sarunas
Marciulonis, C-Webb diventa subito uno dei principal i
terminal i offensivi dei Warriors e termina la prima stagione
con 1 7.5 punti a partita, conditi da 9.1 rimbalzi, 3.6 assist e
oltre 2 stoppate, real izzando addirittura una tripla doppia
con 22 punti, 1 2 assist e altrettanti rimbalzi, vincendo il
Rookie of the Year e guidando la franchigia del la Baia ai
“Questo in senso cestistico ha avuto oro, incenso e
mirra sin dal primo giorno di fianco alla culla.”
Federico Buffa
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Playoffs, dove però viene eliminata al primo turno dai Suns.
Webber però ha diverse discussioni con il coach dei
Warriors, Don Nelson, che vuole uti l izzarlo principalmente
da centro spalle a canestro in un ruolo che non piace a
Chris e che snatura le sue caratteristiche, discussioni che
culminano nell ’estate del 1 994 quando il giocatore esercita
un’opzione per uscire dal contratto diventando free agent.
Nonostante la dirigenza cerchi di convincerlo Webber è
inamovibi le e si arriva ad una delle trade più discusse della
storia del l ’NBA: l ’ex Wolverine viene ceduto ai Washington
Bullets (oggi Wizards) in cambio di Tom Gugliotta e tre
future prime scelte.
Nella capitale Chris ritrova Juwan Howard, ma nella prima
parte di stagione non è il giocatore atletico ammirato a
Golden State e subisce pesanti critiche da tifosi e stampa.
Nella seconda parte però ritorna a mostrare il suo gioco e
chiude con 20.1 punti , 9.6 rimbalzi e 4.7 assist a partita che
però non portano i Bul lets oltre un pessimo record di 21
vittorie e 61 sconfitte.
Nella stagione 1 995/1 996 a causa del riacutizzarsi di un
problema alla spalla, che lo costringe ad un intervento
chirurgico, gioca soltanto 1 5 partite in cui comunque viaggia
a 23.7 punti di media.
La stagione successiva finalmente Webber mostra tutto i l
suo potenziale. Con 20.1 punti , 1 0.3 rimbalzi, 4.6 assist, 1 .9
stoppate e 1 .7 rubate (tirando con il 51 .8% dal campo),
guida Washington ai Playoffs per la prima volta dal 1 988,
viene selezionato per la prima volta al l ’Al l-Star Game e
diventa uno degli uomini di punta della Lega. I l cammino ai
Playoffs però termina subito per mano dei Bul ls, ma Webber
gioca un’eccellente serie, chiudendo con il 66% dal campo,
percentuale più alta di quel la offseason.
Nel 1 997-98 si riconferma ad altissimi l ivel l i , 21 .9 punti , 9.5
rimbalzi e 3.8 assist, ma i (neo) Wizards non riescono ad
approdare alla off season ed ecco che la dirigenza decide di
dare la franchigia in mano a Juwan Howard, cedendo Chris
ai Kings in cambio di Mitch Richmond e Otis Thorpe.
Webber diventa subito uomo franchigia, chiudendo la
stagione con 20 punti, 1 3 rimbalzi (migl ior rimbalzista della
Lega), 4.1 assist e 2.1 stoppate, tirando con il 48%
abbondante dal campo guadagnandosi l ’ inserimento nell ’Al l-
NBA Second Team. Con Webber ci sono uno dei migl iori
centri del l ’NBA, Vlade Divac, uno dei migl iori tiratori, Peja
Stojakovic, e uno dei playmaker più spettacolari, Jason
Wil l iams. I Kings arrivano ai Playoffs dove danno del fi lo da
torcere ai Jazz di Stockton e Malone, venendo però eliminati
con il punteggio di 3-2.
L’anno seguente ancora Playoffs ma ancora sconfitta per 3-
2 al primo turno, questa volta contro i futuri campioni, i Los
Angeles Lakers. La stagione di Webber è super, 24.5 punti ,
1 0.5 rimbalzi e 4.6 assist, viene inserito nel la terza squadra
All-NBA, convocato all ’Al l-Star Game, e i Kings diventano
una delle squadre più spettacolari del la Lega e vedono
davanti a loro un futuro roseo.
La stagione 2000-01 è la migl iore a l ivel lo di cifre: 27.1
punti , 1 1 .1 rimbalzi e 4.2 assist, inserito nel All-NBA First
Team, quarto nella classifica per l ’MVP (vinto da Iverson) e
titolare per la prima volta al l ’Al l-Star Game. I Kings, che in
estate hanno acquistato uno dei migl iori difensori, Doug
Christie, riescono ad eliminare i Suns nel primo turno di
Playoffs ma si devono arrendere ancora ai Lakers, che
passano con un rotondo 4-0. Webber diventa free-agent e,
nonostante i l forte interessamento dei Pistons, decide di
rifirmare con Sacramento. I Kings decidono di scambiare
Jason Wil l iams, giocatore spettacolare ma con una
propensione troppo alta al le pal le perse, per Mike Bibby
facendo un incredibi le migl ioramento.
Nell ’anno seguente infatti , nonostante le 28 partite saltate a
causa di infortuni vari, Webber viene convocato per la
quarta volta al l ’Al l-Star Game e viene inserito nel la seconda
squadra All-NBA, dopo aver chiuso la stagione con 24.5
punti, 1 0.1 rimbalzi e 4.8 assist, guidando ancora la squadra
di Adelman ai Playoffs, in quella che da molti viene
considerata la migl ior stagione della storia del la franchigia
californiana. I Kings, che hanno il migl ior record di tutta
l ’NBA, spazzano via i Jazz al primo turno (3-1 ) e i Mavs al
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
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secondo (4-1 ), ritrovando ancora i Lakers, questa volta al le
Conference Finals. In una delle serie peggio arbitrate della
storia, i Lakers riescono ad avere la meglio dei rival i solo
nell ’overtime di gara 7, dopo che Sacramento era stata
avanti 3-2 nella serie, con Peja Stojakovic che sbaglia una
tripla wide open per la vittoria al termine del tempo
regolamentare.
La stagione successiva i Kings continuano a giocare un
basket stupendo, venendo considerati una delle principal i
contender. C-Webb chiude ancora in doppia-doppia di
media, con 23 punti, 1 0.5 rimbalzi e 5.4 assist, venendo
convocato per la quinta e ultima volta al la partita del le stel le
e guadagnandosi ancora una volta l ’Al l-NBA Second Team.
Dopo aver el iminato nel primo turno i Jazz (4-1 ),
Sacramento affronta i Mavericks del trio Nash-Nowitzki-
Finley. Dopo aver vinto gara 1 1 24-11 3, in gara 2 il destino
infrange i sogni di Webber e compagni: Chris si rompe il
menisco del ginocchio sinistro, dicendo addio al la stagione e
i Mavs, dopo una serie combattutissima, riescono a passare
4-3.
Inizia quindi una lunga riabil itazione per l ’ex-Michigan che,
sommata ad una squalifica dovuta a scommesse sulle
partite ai tempi del col lege, gl i fa saltare 59 partite. Nei 23
incontri disputati mette a referto 1 8.7 punti , 8.7 rimbalzi e
4.6 assist di media, ed i Kings arrivano ancora alla post
season dove si vendicano dei Mavs (4-1 ). Al secondo turno
però devono arrendersi, ancora in gara 7, ai Wolves di
Kevin Garnett. Durante la stagione i Kings avevano trovato
un ottimo equil ibrio, rotto però dal ritorno di C-Webb.
Stojakovic, che nel frattempo era diventato i l trascinatore
della squadra, viene messo da parte per lasciare spazio al
nativo di Detroit, questo provoca malumore all ’ interno dello
spogliatoio e a fine stagione Peja chiede la cessione. La
dirigenza dei Kings non accoglie la richiesta e si presenta ai
nastri di partenza della stagione 2004-05 con la speranza di
poter finalmente raggiungere le Finals.
Nei primi mesi però il malumore all ’ interno dello spogliato
cresce, e Sacramento decide di puntare sul serbo, cedendo
Webber (che comunque stava viaggiando a 21 .3 punti , 9.7
rimbalzi e 5.5 assist) ai Sixers in cambio di Brian Skinner e
Kenny Thomas. La coppia Iverson-Webber porta i Sixers ai
Playoffs dove però vengono eliminati dai Pistons per 4-1 .
Webber chiude la stagione con 1 9.5 punti , 9.1 rimbalzi e 4.7
assist di media.
La stagione 2005-06 è statisticamente la migl iore dopo
l’ infortunio, ma nonostante i 20.2 punti con 9.9 rimbalzi e 3.4
assist di Webber e i 33 di media di Iverson, Phila non riesce
a qualificarsi per la post season.
Nell ’anno successivo il minutaggio di Chris inizia a calare.
L’ex-Kings manifesta tutto i l suo malumore e dopo un paio di
settimane la dirigenza di Philadelphia compie una decisione
incredibi le: prima cede Iverson ai Nuggets, poi, a causa del
contratto pesantissimo che non interessava a nessuna
squadra, tagl ia C-Webb che decide di tornare a casa,
firmando per i Pistons e diventando subito i l centro titolare.
Detroit ha i l migl ior record a Est, ma i numeri di Webber
calano drasticamente (11 punti , 8.3 rimbalzi, 3.4 assist) e nei
Playoffs arriva l ’el iminazione nella finale di conference per
mano dei Cavs (4-2). Chris non è un fattore nella post
season e di conseguenza la dirigenza dei Pistons decide di
non rinnovare il contratto al l ex-Fab Five.
Nonostante i l corteggiamento di diverse squadre, C-Webb
non trova nessun accordo e resta fermo fino al gennaio
2008, quando firma per la franchigia che lo ha lanciato, i
Golden State Warriors. I l suo fisico però non gli permette più
di essere il giocatore esplosivo di cui tutti hanno ricordo e
allora, dopo sole nove partita in maglia Warrior, decide di
porre fine alla sua carriera.
In 1 5 stagioni da pro, Webber ha realizzato 20.7 punti di
media, con 9.8 rimbalzi, 4.2 assist, 1 .4 stoppate e altrettante
rubate, tirando con il 47.9% dal campo. Uno dei migl iori
giocatori degl i anni ’90-’00 ed una delle PF più versati l i e
complete di sempre. 5 volte All-Star, Rookie of the Year
1 994, migl ior rimbalzista 1 999, inserito una volta nella prima
squadra All-NBA, 3 volte nella seconda e una volta nella
terza e il numero 4 ritirato dai Sacramento Kings, di cui è
stata la guida indiscussa nei migl iori anni del la storia del la
franchigia.
Chiude con 1 71 82 punti, 81 24 rimbalzi e 3526 assist, 1 1 97
rubate e 1 200 stoppate.
“Ci sono state tantissime persone che mi hanno
supportato durante la mia carriera: i compagni, gli
allenatori ed i fans prima di tutti. Ma non mi dimentico
nemmeno degli Owner, dei Gm, dei dottori e di tutti gli
staffmedici che mi hanno aiutato nella mia avventura.
Senza di loro non sarei mai arrivato ai massimi livelli ed
è proprio per questo che oggi voglio ringraziarli tutti.
Spero che in futuro potrò occuparmi ancora di basket in
modo da mantenermi in contatto con questo fantastico
mondo.”
Chris Webber
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
73
Non funzionava, quella frase buttata lì semplicemente non
funzionava. Erano parole troppo ordinarie, mancava
qualcosa. Jay Livingston guardava Ray Evans, lo guardava
in attesa di un aiuto, una frase che avrebbe potuto farl i
uscire da quel cul-de sac in cui si erano ritrovati. Sir Alfred
Hitchcock li aveva contattati qualche mese prima
richiedendo una canzone da poter inserire nel suo prossimo
capolavoro, i l remake de “L’uomo che sapeva troppo”. Era
l ’occasione di una vita, quel momento che passa una sola
volta e che non lascia una seconda possibi l ità. Quel
maledetto “Whatever wil l be” non funzionava proprio, Jay
era ancora in attesa di un aiuto da parte di Ray, quando
all ’ improvviso gl i venne in mente di quel la vacanza a
Marbella. Aveva conosciuto una ragazza andalusa e arrivati
al momento degli addii , quando le promesse fanno il paio
con le menzogne, al la domanda “Ci rivedremo mai
ancora?”, la bel la spagnola rispose “Que será, será”.
Fu un’i l luminazione. Jay Livingston, o meglio, la señorita
Soledad, inconsapevolmente aveva fatto in un sol colpo la
storia del cinema, del la musica e del basket. Come del
basket?
Facciamo un salto nel vuoto di 26 anni e spostiamoci
idealmente a pochi isolati dal la stanza in cui Jay e Ray
scrissero la canzone più fatal ista della storia. Siamo nei
pressi del Forum di Inglewood, e al le 5 del mattino nella hal l
del lo splendido Sheraton Hotel, attorno ad un pianoforte a
coda, Jul ius Erving e alcuni suoi compagni di squadra
cantavano abbracciati :
“Que será, será,
whatever wil l be, wil l be
the future’s not ours to see,
que será, será.”
Appena sette ore prima avevano consegnato nelle mani di
Magic Johnson, l ’ottavo titolo del la storia dei Lakers e
l’atmosfera che si respirava attorno a quello Schimmel nero
era di assoluta tristezza più che di rabbia.
Quella tristezza che lo aveva accompagnato fin da
ragazzino quando viveva dall ’altra parte del continente, a
Long Island per la precisione, la stessa Long Island in cui
Francis Scott Fitzgerald aveva fatto incontrare sul le pagine
del suo capolavoro Daisy Buchanan e il grande Jay Gatsby.
Mantenendo le ovvie proporzioni tra la dimora di casa
Erving e quella ben più fastosa di West Egg, Jul ius era
cresciuto senza un padre ma con la sincera convinzione che
le Rolls-Royce che vedeva dal corti le del la sua casa
popolare, un giorno sarebbero state sue; accanto alle
preghiere ogni sera giurava a se stesso che non avrebbe
mai più accettato che il caso potesse comandare sul suo
destino. Era un predestinato e da ragazzino sveglio quale
era, lo aveva capito subito.
Mentre i suoi amici saltavano, lui volava.
I l cursus honorum di un ragazzino con quelle doti atletiche
non poteva essere diverso: playground, col lege,
professionismo. Al col lege giocò nella Yankee League, una
Conference che non esiste nemmeno più e alla University of
Massachusetts, dove alla partita c’erano più lontre di fiume
che esseri umani.
Al piano di sopra invece, viene scelto dai Milwaukee Bucks
di Kareem Abdul-Jabbar e Oscar Robertson. Avrebbero
formato un Big-Three ante l itteram, i l più forte di tutti , la lega
avrebbe avuto qualche pagina in più da raccontare e, senza
dubbio oggi, al Bradley Center di Milwaukee, ci sarebbe
certamente qualche stendardo in più appeso al soffitto.
Jul ius però, rifiuta la chiamata dei Bucks e decide di andare
nella più colorata ABA, un torneo a dir poco lisergico in cui si
gioca con una palla colorata, e la creatività e le giocate
spettacolari contano molto di più del punteggio finale.
Accettò l ’offerta dei Virginia Squires, una squadra che
giocava in tre città diverse, Hampton, Norfolk e Richmond e
che a differenza della palestra della University of
Massachusetts, accanto alle lontre di fiume, aveva tra i tifosi
anche qualche scoiattolo. Agli Squires, Jul ius conobbe un
uomo che gli cambiò la vita, Wil l ie Sojourner, armadio di
puro ebano nero di 2.03 che al momento delle
presentazioni, sentendo che quel ragazzetto di Long Island
si presentò come “The Doctor”, decise di aggiungere alla
“Whatever will be, will be”
74
dicitura i l nome “Jul ius” e di abbreviare i l tutto in “Dr. J”,
senza sapere, probabilmente, d’aver regalato al la storia del
gioco uno dei nickname più bell i di sempre.
L’ impatto con la “Lega dei giocolieri” fu devastante, anche
prima di prendere in mano una di quel le simpatiche arance
tricolori. Per lasciar vagamente intendere il peso specifico di
Dr.J al l ’ interno della Lega, vi basti pensare che quando i
New Jersey Nets lo cedettero ai Philadelphia 76ers, la CBS
cancellò dal pal insesto i l match Nets-Warriors che avevano
in programma per quella sera. E stiamo parlando di uno che
non aveva giocato ancora un secondo nella NBA.
Era il 1 976, ben sei anni prima della sconfitta contro i
Lakers. Quella notte, la notte del “Que será, será”, Erving si
rese conto che come da bambino, aveva lasciato vincere
ancora una volta i l caso, non poteva più permetterlo, la
prossima volta avrebbe dovuto vincere lui.
Nel la stagione successiva, i Sixers coniarono uno slogan
che riprendeva alla perfezione il pensiero di Dr. J, “We owe
you one”, ve ne dobbiamo uno. Con il Dottore che aveva
doppiato i l Capo di Buona Speranza dei 33 anni, serviva un’
altra superstar, un Mosè che potesse condurl i oltre lo Yam
Suf della sconfitta del l ’anno precedente. Nomen omen, i l
Mosè arrivò da Houston, e rispondeva al nome di Moses
Malone, giocatore capace di unire un atletismo fuori dal
comune ad una tecnica sopraffina. La cavalcata verso le
Finals fu clamorosa, 65 vittorie in regular season e una sola
sconfitta ai Playoff contro Milwaukee. I l caso questa volta
c’entrava poco, e i l destino da grande scrittore, dopo aver
lasciato che i Bucks gli scippassero un partita in Finale di
Conference, regalò a Jul ius la possibi l ità di vendicare la
delusione di un anno prima: in finale ci sono i Los Angeles
Lakers, di nuovo.
Moses e J sono immarcabil i , anche per Kareem e Magic, e
rendono le prime 3 gare una pura formalità. Con le squadre
sul 3-0, Jul ius ritorna a Los Angeles per la decisiva Gara-4,
si al loggia sempre allo Sheraton, quello del lo Schimmel
nero. I l match resta uno dei più bell i da quando un
insegnante canadese decise di appendere due cestini di
pesche a due pali . I Lakers dominano per tre quarti di gara,
al l ’ inizio del l ’ultimo periodo i Sixers sono sotto 82-93. Al
momento di ritornare in campo però, Jul ius si ferma, chiama
tutti i suoi compagni, l i guarda negli occhi uno ad uno e
comincia a ripetere, in maniera quasi ossessiva: “The
future’s ours, the future’s ours”, i l futuro è nostro, i l futuro è
nostro. I Sixers sono perfetti , letteralmente, la difesa diventa
impenetrabile mentre dall ’altra parte del campo, i Lakers
sembrano inermi. La riscossa è inesorabile, e Philadelphia
impatta.
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
75
A pochi minuti dal la fine, Jul ius riceve palla, l ’area è intasata
e le tempie sono bianche. Guarda la palla e guarda il
canestro, per un attimo gli torna la paura di non riuscire a far
suo il destino, non sa più cosa fare. Ripensa a quella sera di
un anno prima, al la sensazione di tristezza che provò
regalando l’anel lo ai Lakers, la stessa squadra che stava
provando a modellare ancora una volta i l suo fato. Poi,
proprio come Jay Livingston ricordò la bella Soledad, al lo
stesso modo Julius ebbe quella folgorante i l luminazione che
gli cambiò la vita. All ’ improvviso capì. Fece partire i l tiro.
Canestro.
Due punti.
Titolo.
Quella notte nella hal l del lo Sheraton, Jul ius e Moses
cantarono abbracciati fino al le 5 del mattino. Moses non
capiva, ma era troppo fel ice per riuscire a pensare al
significato di quel le parole.
“The future’s not ours to see, que será, será”
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WHO IS: Elgin Gay Baylor nasce a Washington D.C. i l 1 6
settembre 1 934. Inizia ad affacciarsi al mondo della palla a
spicchi soltanto a 1 4 anni, ma da subito dimostra di saperci
fare. Aiutato da un atletismo mostruoso, domina in lungo e
in largo, ma a livel lo accademico lascia molto a desiderare,
tanto che è costretto a cambiare addirittura quattro High
School: inizia al la Southwest Boys Club, poi si trasferisce
alla Brown Junior High, successivamente alla Phelps e
infine conclude la carriera l iceale al la Spingarn High, dove
chiude con oltre 36 punti di media, essendo in cima alla l ista
dei desideri di molti scout universitari .
I voti non idi l l iaci, per usare un eufemismo, però non gli
permettono di approdare ad un college di prima fascia e alla
fine ottiene una borsa di studio al College of Idaho per
giocare sia a basket che a football . A Caldweel resta
soltanto un anno a causa di un tagl io ai fondi per le borse di
studio e allora riesce a trasferirsi a Seattle, dove però sta
fermo un anno a causa delle ferree regole sui trasferimenti.
Nel l ’anno da senior, guidati da Elgin, i Chieftains riescono
per la prima (e ultima) volta ad approdare alle Final Four del
torneo NCAA, dove però devono cedere in finale al la
Kentucky guidata dal leggendario Adolph Rupp.
Baylor chiude la carriera collegiale con oltre 32 punti e 1 9
rimbalzi di media, non male per un ragazzo alto 1 .96,
vincendo il premio di migl ior giocatore delle Final Four e
venendo definito da Emmett Watson, uno dei più popolari ed
esperti giornal isti del l ’epoca, “i l migl ior giocatore di basket
del pianeta, professionisti inclusi”.
NBA CAREER: Elgin decide quindi di dichiararsi eleggibi le
per i l Draft NBA del 1 958. Viene scelto con la prima
chiamata assoluta da dei derel itti Minneapolis Lakers,
sul l ’orlo del la bancarotta, nel la speranza che possa
risol levarl i . Come potete immaginare l i risol leva.
Eccome.
Nell ’anno da rookie Baylor viaggia a medie spaventose,
quasi 25 punti e 1 5 rimbalzi ad al lacciata di scarpe, mostra
delle doti tecniche sopraffine ed un atletismo mai visto prima
d’ora, vince il premio di Rookie of the Year e guida quei
Lakers fino alle final i NBA dove però non può nulla contro la
corazzata Celtica di Russell e Auerbach, scenario che si
ripeterà anche negli anni seguenti.
L’anno da rookie è soltanto i l prologo. Nel ’60 i Lakers si
trasferiscono a Los Angeles ed ecco che dal draft arriva un
altro genio, Jerry West, che con Baylor andrà a formare una
delle più grandi coppie nella storia del gioco.
Elgin entra ancora più nella storia i l 1 5 novembre 1 960
contro i Knicks, essendo il primo giocatore a segnare più di
70 punti in una partita (71 per la precisione). Baylor chiude
la terza stagione con 34.8 punti e 1 9.8 rimbalzi, e diventa
sempre più leader carismatico dei Lakers.
Nella stagione ’60/’61 realizza 34.8 punti e 1 9.8 rimbalzi a
partita (career high), ma i Lakers mancano ancora le Finals,
perdendo 4-3 contro i St. Louis Hawks nella finale della
Western Division.
L’anno successivo, a causa del servizio mil itare obbligatorio,
gioca soltanto nei week end senza allenarsi in settimana: in
48 partite mette a referto 38.3 punti e 1 8.6 rimbalzi, numeri
straordinari, e guida la città di Los Angeles al la prima finale
della sua recente storia, la prima della grande rival ità tra LA
e Boston. In gara 5, con la serie sul 2-2, segna 61 punti,
tutt’ora record per una finale NBA. Ma la spunta ancora
Boston, al l ’overtime di gara 7, dopo che Russell al l ’ultimo
secondo dei regolamentari strappa il rimbalzo della vittoria
proprio a Baylor.
L’anno seguente, dopo una stagione in cui i l numero 22 ha
realizzato 34 punti e catturato 1 4.3 rimbalzi a partita, ancora
finale e ancora Celtics vittoriosi, storia che si ripeterà ancora
nel 1 963, nonostante Elgin realizzi 34 punti e 1 4.3 rimbalzi
di media nella Regular Season.
Nella stagione ‘63/’64 chiude con 25.4 punti e 1 2 rimbalzi di
media, ma i Lakers escono al primo turno contri St. Louis 3-
2, mentre nel 1 965, dopo una stagione da 27.1 punti e 1 2.8
rimbalzi a partita, arrivano di nuovo le Finals, di nuovo
contro Russel e compagni che vincono il loro ottavo titolo.
Nel frattempo il fisico di Elgin inizia a dargl i i primi problemi,
i l suo gioco diventa meno atletico e più tecnico ma non per
questo meno efficacie. Le sue medie infatti calano, 1 6.6
punti e 9.6 rimbalzi nel la stagione ‘65/’66, la prima in cui non
78
è All-Star, ma guidati da West i Lakers raggiungono ancora
le Finals dove però si devono arrendere per l ’ennesima volta
ai Celtics in gara 7, nonostante Baylor e West realizzino
58.9 punti a partita nel la serie.
Nella stagione successiva torna sui suoi standard abitual i ,
26.6 punti conditi da 1 2.8 rimbalzi, ma i Lakers escono al
primo turno contro i San Francisco Warriors, ma tornano alle
Finals nel ’68, dopo una stagione da 26 punti e 1 2.2 rimbalzi
di Elgin, e nel ’69, con Elgin a quota 24.8 punti e 1 0.6
rimbalzi a partita, sempre contro i Celtics poi vittoriosi
nonostante in quest’ultima stagione in California sia
approdato Chamberlain e West abbia giocato una serie
finale da MVP, ma questa è un’altra storia.
La sensazione è che LA sia una città maledetta, idea che si
rafforza quando, nel la stagione seguente, i l trio Baylor-
West-Chamberlain arriva ad un Wil l is Reed dall ’alzare il
Walter A. Brown Trophy, perdendo ancora alle Finals,
questa volta 4-3 contro i Knicks, dopo una stagione in cui i l
nostro protagonista ha messo a referto 24 punti e 1 0.4
rimbalzi di media, ultima stagione da All-Star e
sostanzialmente ultima stagione da professionista.
Nella stagione seguente infatti gioca soltanto due partite a
causa di un brutto infortunio al ginocchio, che gli fa pensare
al ritiro, e i Lakers perdono in finale di conference contro i
Bucks di Robertson e Alcindor (i l futuro Abdul-Jabbar). Elgin
decide di provarci ancora un’ultima volta, ma il 31 ottobre
1 971 dopo nove partite giocate in preda al dolore si arrende,
ponendo fine alla sua carriera.
I l destino però è cinico e spietato: i Lakers vinceranno le 33
gare successive (tutt’ora record degli sport americani) e a
fine stagione porteranno a casa il primo titolo del l ’era
Losangelina, ma, come per quanto riguarda West, questa è
un’altra storia.
Giocatore favoloso, si dice abbia inventato i l tiro in
sospensione. Ha cambiato i l gioco e ha permesso a LA di
diventare LA franchigia gloriosa che è oggi. Chiude la
carriera con 27.4 punti e 1 3.5 rimbalzi di media,
probabilmente i l più grande giocatore a non aver vinto
niente, nessun MVP, nessun anello, nessun premio di
migl ior marcatore o migl ior rimbalzista della Lega. Per lui 1 1
convocazioni al l ’ Al l Star Game e un MVP dello stesso, i l
premio di Rookie dell ’anno, 1 0 apparizioni nel primo
quintetto NBA, la nomina di Hall of Famer e la maglia sul
soffitto del lo Staples Center.
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
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WHO IS: Bernard King nasce il 4 dicembre 1 956 a
Brooklyn, New York. Famigl ia sportiva quella di Bernard,
infatti i l fratel lo minore, Albert viene considerato migl ior
prospetto dell ’High School e giocherà diverse stagioni in
NBA. Dopo essere stato la stel la del l iceo Fort Hamilton di
Brooklyn, Bernard va alla University of Tennessee, dove
gioca tre stagione super per i Volunteers (chiude la carriera
universitaria con 25.8 punti e 1 3.2 rimbalzi di media, numeri
impressionanti per un’ala che superava appena i 2 metri di
altezza) nel le quali vince per tre volte i l titolo di migl ior
giocatore della SEC, venendo considerato una vera e
propria celebrità, status che gli costerà una carriera
universitaria piuttosto turbolenta. Al termine dell ’anno da
junior decide di entrare nel Draft NBA del 1 977, durante i l
quale viene scelto dai Nets con la settima chiamata.
NBA CAREER: King ha la fama di essere uno scorer
purissimo, e mette in mostra tutte le sue caratteristiche già
dal suo anno da rookie, durante i l quale guida la sua
squadra per punti segnati (24.2 a cui aggiunge 9.5 rimbalzi),
piazzandosi decimo nella classifica dei migl iori marcatori
NBA. Nonostante questo però non riesce a vincere il premio
di Rookie of the Year, che viene invece assegnato a Walter
Davis dei Phoenix Suns. I l suo gioco è caratterizzato da un
jumper dalla media affidabile e da un ri lascio molto veloce
che lo fa risultare praticamente indifendibi le.
Nella stagione da sophomore chiude con 21 .6 punti , 8.2
rimbalzi tirando con il 52% dal campo, ma a causa di
problemi fuori dal terreno di gioco, legati soprattutto
al l ’abuso di sostanze stupefacenti, i Nets decidono di
cederlo agl i Utah Jazz.
I Jazz non sono certo i l posto migl iore per un giocatore con
quel tipo di problemi, infatti al l ’ inizio stagione 1 979-80 King
viene arrestato diverse volte per possesso e uti l izzo di
stupefacenti e un compagno di Bernard, Terry Furlow, perde
la vita in un incidente stradale mettendosi al la guida di
un’auto dopo aver assunto una massiccia dose di droghe.
Bernard gioca soltanto 1 9 partite a Salt Lake, prima che sia
sospeso dalla franchigia per i l resto della stagione a causa
dell ’ennesimo arresto.
Nella off-season King viene ceduto ai Warriors, franchigia
nel la quale torna il giocatore immarcabile ammirato un paio
d’anni prima, ma continua ad avere sempre gli stessi
problemi nel la vita privata. Chiude la stagione 1 980-81 con
21 .9 punti di media, tirando con un incredibi le 58.8% dal
campo, cifre che gli permettono di vincere l ’NBA Comeback
Player of the Year (equivalente del Most Improved Player
odierno), mentre la stagione successiva i punti real izzati
sono 23.2, con il 56.6% al tiro, viene convocato per la prima
volta al l ’Al l-Star Game guadagnandosi anche l’ inclusione
nella seconda squadra All-NBA. Golden State però, al pari
dei Nets, non tol lera gl i eccessi extra cestistici di Bernard,
che cambia nuovamente franchigia venendo ceduto ai New
York Knicks in cambio di Ray Richardson. Entrambi i
giocatori hanno problemi con le droghe, ma la franchigia
del la Grande Mela azzecca questo scambio: Richardson
infatti gioca soltanto 33 partite in maglia Warriors prima di
essere squalificato a vita dal la NBA a causa all ’abuso
sconsiderato di sostanze stupefacenti, mentre King diventa
i l Re della Big Apple.
Nella prima stagione segna 21 .9 punti (52.8% dal campo),
nel la seconda i suoi numeri migl iorano: 26.3 punti con il
57% al tiro, quinto nella classifica dei marcatori NBA.
Questo è l’anno dei due cinquantel l i in back to back contro
San Antonio e Dallas, oltre che della seconda convocazione
all ’Al l-Star Game e dell ’ inclusione nell ’Al l-NBA First Team. I
Knicks centrano i Playoffs e Bernard vince praticamente da
solo i l primo turno, 3-2 contro i Pistons, segnando 40 punti
in quattro delle cinque partite (la quinta si è fermato a 36).
La corsa di New York però si interrompe al turno successivo
contro i futuri campioni, i Boston Celtics di Larry Bird, che
riescono a prevalere soltanto dopo 7 partite vincendo la
gara decisiva 1 21 -1 04. Bernard chiude i Playoffs con 34.8
punti di media.
La stagione 1 984-85 è la migl iore in NBA: 32.9 punti a
partita (leader NBA) con il 53% (settima stagione
82
consecutiva oltre i l 50% dal campo), 5.8 rimbalzi e 3.7
assist. Nella partita natal izia segna 60 punti contro New
Jersey (record delle partite natal izie), prestazione che ripete
ancora contro i Nets segnando 55 punti i l 1 6 Febbraio
successivo. In questa stagione gioca il suo terzo All-Star
Game ed è inserito per la seconda volta nell ’Al l-NBA First
Team.
Quando tutto sembra andare per i l meglio però ecco che
improvvisamente gl i crol la i l mondo addosso. I l 23 Marzo si
rompe il legamento crociato anteriore del ginocchio destro,
infortunio gravissimo che lo costringe a stare fuori fino al le
ultime sei giornate della stagione 1 986-87. A causa di
questo infortunio i Knicks non raggiungono i Playoffs ma,
nel la sfortuna, hanno la fortuna di vincere la Lottery, che gli
consente di scegliere, con la prima scelta assoluta, Patrick
Ewing al Draft 1 985.
Dopo due anni di stop King ritorna e, tra lo scetticismo
generale, dimostra di essere riuscito a modificare il suo sti le
di gioco, rimanendo però uno scorer incredibi le. In queste
sei partite, nel le quali Ewing è infortunato, real izza 22.7
punti di media ma i Kincks non sono più interessati a
puntare su di lui e decidono di non rinnovargl i i l contratto in
scadenza.
Bernard decide di firmare con i Washington Bullets. Nel
primo anno gioca 69 partite, 38 da titolare, a minutaggi
leggermente l imitati per non forzare troppo il suo rientro,
segnando comunque 1 7.2 punti con il 50% dal campo.
Numeri che aumentano nelle stagioni successive (20.7 con
il 47.7% nella stagione 1 988-89, 22.4 con il 48.7% nella
stagione 1 989-90) fino ad arrivare ai 28.4 di media con il
47% dal campo della stagione 1 990-91 , che lo portano al
suo quarto All-Star Game, al terzo posto nella classifica dei
migl iori real izzatori NBA (dietro a Michael Jordan e Karl
Malone) e all ’ inclusione nel terzo quintetto All-NBA.
L’infortunio gl i ha fatto perdere molta dell ’esplosività che
uti l izzava per giocare in post ed essere immarcabile nel
fadeaway, ma Bernard ha risposto diventando un giocatore
formidabile nel pitturato e vicino a canestro.
Prima della stagione 1 991 -92 però un altro intervento
chirurgico, questa volta per la rimozione di carti lagine dal
ginocchio, lo costringe a saltare tutta la stagione e l’ inizio
del la stagione 1 992-93. Nel Gennaio ’93 King viene tagl iato
dai Bul lets e decide di firmare per quei Nets che, sedici anni
prima, lo avevano portato in NBA. Le condizioni del le
ginocchia però sono troppo precarie e Bernard in 32 partite
(solo 2 titolare) gioca 1 3 minuti di media, segnando 7 punti a
partita, decidendo di porre fine alla sua carriera al termine
della stagione.
Un giocatore incredibi le, che a causa di un grave infortunio
ha dovuto ricostruire la sua carriera. Chiude con 1 9655
punti, 5060 rimbalzi e 2863 assist. Unico giocatore nella
storia ad aver realizzato almeno 40 punti (42 per la
precisione) con il 60% dal campo e ad aver segnato almeno
30 punti con il 60% per quaranta partite consecutive.
Quattro volte All-Star, NBA Scoring Champion 1 985, due
volte nell ’Al l-NBA First Team, una nell ’Al l-NBA Second
Team, una nell ’Al l-NBA Third Team e NBA Hall of Famer.
"Parla a qualsiasi giocatore che sia uno scorer, ti dirà
che ci sono momenti in cui entri in uno stato di
massima concentrazione. Quando segnavo 30 punti a
partita non dovevo pensare a nulla, ero guidato dal mio
istinto.. In quei momenti non importa cosa fai, senti che
funzionerà. È una sensazione incredibile, non esiste
nient’altro del genere."
Bernard King
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
85
Esiste un modo molto veloce per creare due schieramenti in
ambito cestistico: pronunciare un nome. Subito le masse si
mobil iteranno cercando di screditarne l ’ immagine, sempre
che ce ne sia ulteriore bisogno, nel frattempo un numero
non tanto cospicuo di tifosi (poiché la maggior parte di essi
sono lacustri , così come la storia l i conosce erroneamente)
abbozzerà un tentativo di difesa a spada tratta. I l nome è
quello del giocatore che più ha diviso da quando ha messo
piede in NBA, ladies and gentlemen, Ronald Wil l iam Artest
Jr.
Nasce nel Queens, condividendo i pochi metri di una casa
popolare con altre nove persone. I l padre, dal quale ha
ereditato i l temperamento facilmente infiammabile, è un
veterano della marina nonché pugile che inizia ben presto a
sfogare le sue ire sul la madre di Ronald, arrivando al punto
di picchiarla. Trasferitasi la figura paterna in seguito a questi
incidenti , Ron inizia a manifestare i primi problemi di
gestione della rabbia, prendendo per la gola e mettendo al
tappeto un paio di compagni di scuola. All ’età di otto anni ha
così i l suo primo colloquio con uno psicoterapista, i l cui
consigl io è di far praticare uno sport al ragazzo per
permettergl i di sfogarsi, vada per i l basketball .
Da quel momento il basket diventa effettivamente la valvola
di sfogo di Artest, sfiorando l’ossessione, sport al quale si
applica con una dedizione non comune. Prima di fare i l salto
nel basket che conta, ha il tempismo per assistere alla
morte (raccontata solamente molti anni dopo) di un ragazzo
diciannovenne sul campo da gioco, trafitto dal la gamba
staccata ad un tavolino, in una rissa scoppiata in seguito a
discussioni riguardanti i l punteggio della partita in questione.
Artest viene scelto con la chiamata numero 1 6 al Draft del
1 998 dai Chicago Bulls, nei quali gioca due anni e mezzo,
partendo titolare in gran parte delle partite e riuscendo a
guadagnarsi l ’attenzione di squadre in condizioni migl iori dei
Bul ls nel periodo post-MJ (dove non hanno mai superato le
ventuno vittorie annuali). Ma le attenzioni attirate sul campo,
per Ron Artest, sono sempre andate di pari passo con
quelle fuori dal campo. Nel suo anno da rookie, tra le altre
cose, fa richiesta ad un negozio di elettronica per un lavoro
scrivendo “NBA player” come professione principale e
menzionando Jerry Krause (presidente dei Bul ls) come
raccomandazione, i l tutto per poter usufruire dello sconto
per gl i impiegati; nel l ’estate antecedente i l secondo ritorno di
Michael Jordan nella lega, Artest viene scelto da MJ come
spalla per gl i al lenamenti e lo “ringrazierà” causandogli
inavvertitamente la frattura di due costole in seguito ad una
marcatura in post poco ortodossa, non esattamente il
trattamento coi guanti di vel luto che ci si può aspettare da
parte di un novell ino ad una leggenda vivente di quel lo
sport.
A metà della stagione 2001 /02, Artest viene mandato agli
Indiana Pacers ritrovandosi di colpo in una squadra in lotta
per i Playoffs. Qui inizia propriamente la carriera ad alti l ivel l i
del Ron Artest che abbiamo potuto conoscere negli anni,
fatta di peculiarità note a chiunque abbia avuto occasione di
vederlo giocare anche abbastanza recentemente: un’ala
piccola, Small Forward per dirlo al l ’americana, con punti
nel le mani (proprio a Indiana formerà il duo di al i più
produttivo della lega insieme a Jermaine O’Neal), difensore
straordinario uti l izzato molto spesso sul più pericoloso degli
avversari ed atleta dotato di fisicità ed aggressività,
purtroppo non solo agonistica, impensabil i per i suoi stessi
compagni di squadra.
Nei due anni successivi riceve una valanga di sospensioni,
contravvenzioni discipl inari e panchine punitive per varie
cose tra cui screzi con avversari, flagrant fouls (otto in una
sola stagione), l ’aver distrutto delle apparecchiature video
uscendo dal Madison Square Garden dopo una sconfitta
contro i Knicks o aver chiesto ai Pacers un mese di
aspettativa, se così vogliamo chiamarla, per potersi
occupare della promozione del suo nuovo album rap.
Nulla in confronto a ciò che capita al palazzetto dei Pistons
la sera del 1 9 novembre 2004: la vicenda è nota come The
Brawl o Malice at the Palace, che dir si vogl ia, e costerà ad
Artest la sospensione più lunga della storia del l ’ intera lega,
incrinando i rapporti di Artest e del pubblico di Indianapolis
con i Pacers. Lo stesso Artest chiederà di essere ceduto,
causando sconforto tra i suoi compagni sentitisi traditi dal
suo abbandono, dopo essersi immolati per difenderlo in
quella sera di Novembre, rischiando la loro stessa carriera.
"C’era così tanta competizione che hanno hanno
spaccato la gamba di un tavolo e l’hanno lanciata,
quella lo ha trapassato ed è morto proprio lì sul campo
da gioco. Quindi sono abituato a giocare molto duro.
Quando sono entrato nella lega, ero abituato a
combattere sul campo. È come sono stato cresciuto
giocando a basket.”
Metta World Peace
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Dopo aver criticato in un’intervista coach Carl isle, i Pacers
decidono di l iberarsi velocemente di Artest che finisce a
giocare presso i Sacramento Kings. Una squadra non
all ’altezza della precedente, che manca i Playoffs con una
buona costanza, non impedisce comunque al nostro eroe di
fare la fortuna dei giornal i local i al imentando la cattiva fama
costruitasi dopo l’accaduto in quel di Detroit. In meno di un
mese, al l ’ inizio del 2007, mette a referto due condanne. La
prima è per non essersi preso cura adeguatamente di uno
dei suoi cani, trovato in condizioni fisiche precarie e accudito
da un veterinario fino al la completa ripresa (colpa di una
persona pagata per accudire i suoi sette cani durante le
trasferte, la sua difesa); la seconda dovuta ad un litigio
domestico durante i l quale la moglie stessa l’ha accusato di
averla scaraventata a terra, di averla colpita e di averle
fisicamente impedito di chiamare il la polizia. Quest’ultima
condanna, arrivata nonostante la moglie abbia poi scelto di
non sporgere denuncia, lo costringe a cento ore di lavori
socialmente uti l i e ad un progetto lavorativo presso l’ufficio
del lo sceriffo della contea. Interrogato sul l ’accaduto e su
quanto avrebbe influenzato le sue prestazioni in campo,
Artest risponde così: "That’s not a problem. The hardest
problem is everything else. Basketball , that’s easy.”
Inuti le dire che anche la sua avventura a Sacramento
termina dopo poco tempo, lasciando negli annali due
episodi tanto curiosi quanto omologhi. Dopo i Playoffs del
2005, gl i unici giocati in maglia Kings, offre di rinunciare al
proprio stipendio se avessero rifirmato il compagno Bonzi
Wells in scadenza di contratto, stessa offerta che ripropone
quando ad essere a rischio è la permanenza di Rick
Adelman in panchina; nessuna delle due trattative finisce
come desiderato da Ron e le sue parole si disperdono nel
vento senza darci opportunità di sapere cosa sarebbe
effettivamente successo.
La nuova destinazione di Artest è Houston dove si riconcil ia
con l’amato coach Adelman. Al secondo round dei Playoffs
seguenti, quel l i del 2009, va in scena il primo atto della
travagliata storia tra Artest e Kobe Bryant.
Nul la di strano, direte voi, se non fosse per quello che era
successo un annetto prima di questa serie. NBA Finals
2008, gara 6. I Boston Celtics campioni (quel l i dei Big Three,
per intenderci) stanno festeggiando la vittoria contro i loro
rival i storici dei Lakers. Kobe è rimasto da solo sotto la
doccia, a cercare di metabolizzare la sconfitta quando sente
qualcuno entrare. I l resto della vicenda l’ha raccontato Phil
Jackson:
Come auspicato da Ron, dopo una sola stagione ai
Rockets, i Lakers decidono di portare il suo talento a Los
Angeles grazie al la free agency. Artest dimostra sin
dal l ’ inizio dei Playoffs di essere più che determinato a tener
fede all ’ impegno preso due anni prima con Phil Jackson e
Kobe. Segna il canestro che fa girare la serie in favore dei
Lakers durante le Western Conference Finals contro i
Phoenix Suns di Nash e Stoudemire: gara 5 e serie sul 2-2,
la partita è in parità e i Lakers hanno l’ultima rimessa con
3.5’’ sul cronometro, perdere significherebbe sprecare il
fattore campo ed essere costretti a vincere in Arizona
annullando il match-point dei Suns; Odom la passa a Kobe il
quale tira in mezzo a due avversari, la pal la rimbalza sul
ferro e Artest con un tap-in vincente porta la serie sul 3-2 in
favore dei gial loviola.
I Lakers arrivano in finale, dove trovano gli stessi Celtics che
due anni prima li avevano costretti al la sconfitta più pesante
nella storia di una gara che assegna il titolo NBA (39 punti di
differenza). La serie è delle più equil ibrate e si decide solo
al la settima partita, a chiuderla è una tripla di Artest a un
minuto dalla fine che porta i l vantaggio dei Lakers a due
possessi pieni. Phil Jackson lo definirà “l ’MVP di gara 7″, ma
la parte migl iore deve ancora arrivare. La conferenza
stampa a fine partita ritengo sia una piccola perla in grado di
dare la dimensione dell ’uomo che è Ron Artest, al netto dei
pregi, difetti o contraddizioni. I l ringraziamento alla periferia
dov’è cresciuto, al la sua psicoterapista, la digressione sui
suoi compagni ad Indianapolis non avranno a che fare con
la serie contro i Celtics, ma hanno molto a che fare con la
persona di Ron Artest e i l suo impatto in quella gara 7.
"Dopo la devastante sconfitta in gara 6 contro i Boston
Celtics, Ron Artest è entrato nel nostro spogliatoio,
Kobe Bryant si stava facendo la doccia, e ha detto:
‘Coach, posso aiutare la tua squadra, posso vincere
quell’anello con i Lakers.’ Gli ho risposto ‘Grazie Ron, è
molto gentile da parte tua, apprezzo la tua
comprensione. Vedremo cosa succederà il prossimo
anno.’ Dopodiché è entrato in doccia e ha detto lo
stesso a Kobe. Da quel momento Kobe ha sempre
saputo quali fossero le intenzioni di Artest.”
Phil Jackson
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
87
La stagione seguente Artest decide di donare il suo unico
anello di campione NBA ad una sorta di “pesca di
beneficenza”, riuscendo a raccogliere più di 650,000$, cifra
ridistribuita tra vari istituti che si occupano di salute mentale,
non a caso. Infatti , nonostante non sia mai stata confermata
da fonti ufficial i , si è fatta strada negli anni l ’ ipotesi che
Artest soffra di disturbo bipolare, voce a cui in tutta sincerità
si fatica a non credere approcciandosi a lui e al la sua storia
personale. Comunque, parlando di fatti , questo gesto gl i
vale la vittoria del J. Walter Kennedy Citizenship Award,
premio che ogni anno l’NBA assegna a un membro della
lega per i l suo impegno verso la comunità, impegno che
Artest sta portando avanti tuttora.
Sul l ’onda di questo premio che accoglie con enorme
gratitudine ed onore, Artest inizia un nuovo capitolo del la
propria vita. I l 1 6 settembre 2011 la storia di Ron Artest,
metaforicamente, finisce ed inizia quella di Metta World
Peace: i l nuovo nome, Metta, è una parola proveniente dalla
cultura induista/buddhista che significa fratel lanza ed amore.
Nonostante le dichiarazioni riguardo al voler essere
un’ispirazione per i ragazzi e al l ’energia positiva in grado di
diffondersi grazie al la nuova identità, credo fermamente che
il cambio di nome sia stato concepito dalla sua mente in
primis a scopo personale e terapeutico, quasi a voler
esorcizzare la parte di sé che ha cercato di combattere per
anni ma che è troppo spesso tornata a galla; credo
ciecamente nella sincerità del suo gesto.
Purtroppo per lui, però, certe scuole di pensiero ritengono
che non sia possibi le el iminare a piacimento parti del proprio
essere; vedendo ciò che accade un anno più tardi viene
quasi vogl ia di crederci.
Durante una partita contro i Thunder, dopo un canestro
esulta piantando una gomitata nella tempia a James
Harden. Harden riporta una commozione cerebrale dalla
quale guarisce in pochi giorni, Metta viene travolto da un
ciclone mediatico dal quale la sua immagine non può che
uscirne a pezzi. Sette giornate di sospensione, questo i l
verdetto dell ’al lora commissioner David Stern. World Peace
si è scusato in seguito con Harden e i Thunder, dichiarando
la gomitata come involontaria e speranza nella veloce
ripresa del barba. La descrizione migl iore di quel gesto,
però, credo stia in queste parole pronunciate i l giorno della
sua sospensione:
Successivamente la carriera di World Peace ha un declino
ricalcante quello dei Lakers, gl i infortuni non gli permettono
di tornare a giocare ai suoi l ivel l i nemmeno dopo il
trasferimento ai New York Knicks l ’estate scorsa; la sua
immagine agli occhi dei più rimane scolpita nel tempo a
quella gomitata.
There’s a thin l ine between love and hate, scrivono gli I ron
Maiden proprio l ’anno in cui Artest entra in NBA, just a thin
l ine drawn between being a genius or insane. C’è una linea
sotti le tra coloro che amano Ron Artest e coloro che lo
odiano, tanto quanto sotti le è la l inea tra i l suo essere una
persona sincera dal grande cuore e una persona pericolosa
con un disturbo bipolare alla costante ricerca d’equil ibrio.
Forse quella l inea è tanto sotti le da non esistere nemmeno,
da essere solo un residuo della nostra cultura manichea che
ci chiede costantemente di scegliere tra luce e buio, tra
bianco e nero. Credo che analizzare il proprio giudizio su
Ron Artest possa essere un buon modo per rendersi conto
di quanto sia sotti le la propria l inea interiore, quel la che
separa il bene dal male o il giusto dallo sbagliato, e possa
aiutarci a valutare se la scelta di uno schieramento sia
effettivamente migl iore della più consapevole accettazione.
Intervistatore: Venti punti, cinque rimbalzi, cinque palle
rubate. Sembra che tu abbia messo il tuo zampino
dovunque stasera per i Lakers. È per questo che sei
venuto qui?
Ron Artest: Come prima cosa voglio dire (prima di
impazzire, cosa che farò molto presto) Dio mi ha messo
in questa situazione e, bella o brutta che sia, lo voglio
ringraziare per la benedizione. Una gara 7, con il
vantaggio del fattore campo. Abbiamo buttato via gara 2
(o io ho buttato via gara 2), gara 7, la vuoi vincere. Bella
o brutta, voglio ringraziare Dio per l’opportunità di
essere qui. Come ho detto prima, lo sapete, quand’ero
più giovane ho abbandonato la mia squadra ad Indiana.
Ero così giovane, così egoista. E ho mollato. Donnie
[Walsh], Larry [Bird], Jermaine [O'Neal], [Jamaal]
Tinsley, [Jeff] Foster – che non molla mai, combatte per
te, per la sua squadra – Stephen Jackson – che aveva
già un anello ma ha sempre combattuto per tutti noi – e
tutti gli altri. E alle volte mi sento un codardo quando li
vedo perché è come se fosse ‘Ehi, sono ai Lakers,
abbiamo avuto una chance di vincere, ma avevo una
chance di vincere anche con voi, ragazzi’. È così, e mi
sono sempre sentito come un vigliacco. Non pensavo
Dio mi avrebbe dato ancora un’occasione del genere, a
causa di come mi ero comportato. Ecco, quindi mi
sento fortunato e, ehm, ho completamente dimenticato
la domanda che mi avevi fatto.”
"Kevin [Durant] non aveva chance. L’ho spinto via, sono
saltato e ho schiacciato, ma a quel punto ero troppo
emotivo. È sembrata rabbia, ma c’era un sacco di
passione. Ma era incontrollabile. Era un fuoco
incontrollabile, era passione incontrollabile. Era
davvero troppo, davvero troppo.”
Metta World Peace
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
89
WHO IS: Vernon Earl Monroe nasce a Philadelphia i l 21
novembre 1 944. Da bambino mostra interesse nel footbal l e
nel baseball , ma poi improvvisamente, al l ’età di 1 4 anni,
cresce superando il metro e 90 e di conseguenza inizia a
dedicarsi al basket dei playground di Phil ly. In breve tempo
la sua popolarità aumenta grazie al suo sti le di gioco
spettacolare ma allo stesso tempo efficace, tanto che i suoi
compagni di high school lo soprannominano Thomas Edison
a causa di tutti i movimenti rivoluzionari che inventa.
A livel lo nazionale però è ancora semi sconosciuto, tanto
che non riceve offerte da college della Divison I e si iscrive
alla Winston-Salem State University, istituto afro americano
del North Carolina che partecipa al campionato di Division I I
guidato in panchina dal futuro Hall of Famer Clarence
Gaines.
I l primo anno è di apprendistato e si chiude con 7.1 punti di
media. Nell ’anno da sophomore mette a referto 23.2 a
partita, in quello da junior 29.8 e in quello da senior chiude
con l’ incredibi le media di 41 .5 punti a partita, guidando i
Rams ad un record di 31 vittorie e soltanto 1 sconfitta e alla
vittoria del titolo di Division I I , venendo eletto migl ior
giocatore della Division I I e guadagnandosi i l soprannome di
Earl The Pearl. Terminata la formazione al col lege, Earl, due
volte All-American, è pronto a fare il grande salto in NBA.
NBA CAREER: Monroe è ormai sul la bocca di tutti . Con la
prima scelta al Draft 1 967 i Detroit Pistons chiamano Jimmy
Walker, guardia talentuosissima proveniente da Providence
che figura anche come ultima chiamata del Draft NFL dello
stesso anno nonostante in vita sua non abbia mai giocato a
football , con la seconda gli al lora Baltimore Bullets (oggi
Washington Wizards) non si lasciano scappare Earl.
The Pearl approda nella peggior franchigia NBA ma già dal
primo anno mette in mostra le sue grandi doti offensive,
real izzando 24.3 punti di media, segnandone 56 contro i
Lakers, tutt’ora terza migl ior prestazione per una matricola,
e vincendo il premio di rookie dell ’anno.
Nella seconda stagione i Bul lets draftano Wes Unseld,
costruendo una coppia che li porta dalle 36 vittorie del la
stagione precedente alle 57 di quel la ’68-’69. Unseld diventa
i l secondo Bullets in due anni ad essere nominato Rookie of
the Year e la franchigia del Maryland si qualifica ai Playoffs
dove però viene eliminata al primo turno dai Knicks con il
punteggio di 4-0. In questa stagione Monroe viene
convocato all ’Al l Star Game dove realizza 21 punti lasciando
sbigottiti gl i spettatori per la spettacolarità del le sue azioni,
ed inserito nel primo quintetto NBA grazie ai 25.8 punti a
partita.
L’anno successivo i suoi 23.4 punti guidano ancora i Bul lets
ai Playoffs dove però i Knicks passano ancora, questa volta
4-3. Nella quarta stagione da pro, porta ancora all ’off-
season Baltimore con una media di 21 .4 punti ,
guadagnandosi la seconda partecipazione all ’Al l-Star Game.
Ancora Knicks, questa volta al le Eastern Conference Finals,
ma a differenza degli anni precedenti finalmente i Bul lets
vincono, 4-3, ed arrivano per la prima volta nella loro storia
al le Finals, dove però vengono spazzati via dai Bucks di
Alcindor e Robertson.
"Per la stampa dei bianchi Jesus non andava bene,
perciò cominciarono a chiamarlo Black Jesus."
Jake Shuttlesworth nel film He Got Game
"La cosa fondamentale è che io non so cosa sto
facendo con la palla, e se non lo so io sono piuttosto
sicuro che non lo sappia nemmeno il giocatore che mi
sta marcando."
Earl Monroe
90
Al termine della stagione ’70-’71 Monroe inizia a desiderare
di essere ceduto e come mete preferite indica i Lakers, i
Bul ls e i Sixers. Dopo sole quattro partite nel la stagione ’71 -
’72, in cui stava comunque viaggiando ancora oltre i 20
punti di media, i Bul lets chiudono uno scambio clamoroso
cedendo la loro stel la ai rival i del la Grande Mela.
Per Monroe inizia una nuova vita, infatti nei Knicks mil itava il
suo grande avversario, Walt Frazier, e dopo essere stato i l
franchise player a Baltimore decide di fare un passo
indietro, non pretendendo le chiavi del la squadra ed
applicandosi per migl iorare quegli aspetti del gioco, come la
difesa ed il gioco di squadra, in cui ancora era carente,
stupendo tutti gl i addetti ai lavori che erano piuttosto scettici
sul la sua capacità di adattarsi al nuovo ruolo. Le sue medie
realizzative calano, passa dagli oltre 20 punti a partita agl i
1 1 .4 del primo anno a New York, ma insieme a Frazier va a
formare un backcourt formidabile, conosciuto come il “Rolls
Royce Backcourt”.
Oltre al le due guardie, i Knicks potevano contare su
giocatori del cal ibro di Wil l is Reed (eroe delle Finals due
anni prima), Jerry Lucas e Dave DeBusschere. Con questo
grandissimo roster tornano in Finale, dove però i Lakers si
prendono la rivincita con il punteggio di 4-1 . L’anno
successivo Monroe realizza 1 5.5 punti , i Knicks tornano in
Finale nuovamente contro i Lakers e questa volta vincono,
ribaltando il risultato dell ’anno precedente, 4-1 . Nella
stagione ’73-’74, la franchigia del la Grande Mela è ancora
tra le favorite, ma viene fermata alle Final i di Conference dai
Celtics, futuri campioni NBA. Per Monroe 1 4 punti di media
giocando solo 41 partite a causa di alcuni infortuni. Al
termine della stagione Reed annuncia i l ritiro, e con lui
anche DeBusschere e Lucas.
Monroe torna ad essere uno dei principal i terminal i offensivi
venendo convocato per la terza volta al l ’Al l Star Game, ma
la squadra, per la prima volta negli ultimi otto anni, chiude
con un record negativo di 40 vittorie e 42 sconfitte,
riuscendo però a qualificarsi ai Playoffs dove però viene
eliminata dai Rockets al primo turno.
Nella stagione seguente ancora record negativo, 38-44, e
questa volta niente Playoffs, nonostante Monroe chiuda, per
l ’ultima volta in carriera, oltre i 20 punti di media, 20.7 per la
precisione. L’anno successivo, nonostante l ’acquisto di Bob
McAdoo, MVP della stagione ’74-‘75 che chiude con 26.7
punti e 1 2.7 rimbalzi di media, e l ’ennesima ottima stagione
di Monroe, convocato ancora per l ’Al l Star Game, e Frazier
(1 9.9 di media per i l primo e 1 7.4 per i l secondo) ancora
niente Playoffs.
Frazier passa ai Cavs mentre Reed viene nominato Head
Coach e sotto la sua guida, grazie al le prestazioni di
McAdoo e di un Monroe diventato ormai vero e proprio
mentore della squadra (1 7.8 punti di media), la stagione ’77-
’78 si chiude con il record di 43 vittorie e 39 sconfitte. I
Knicks sembra abbiano ritrovato equil ibrio, Black Jesus
continua a stupire con il suo gioco imprevedibi le e l ’asse
formato da lui e McAdoo sembra possa funzionare, ma
invece arriva l ’el iminazione al secondo turno contro i Sixers
con sweep annesso.
L’anno successivo Earl inizia ad avere seri problemi al le
ginocchia, i l suo minutaggio viene ridotto a poco meno di 22
minuti a partita ma nonostante ciò chiude ancora in doppia
cifra di media con 1 2.3 punti. Gl i infortuni non lasciano in
pace nemmeno McAdoo ed i Knicks chiuduno con il record
di 31 vittorie e ben 51 sconfitte.
Nel 1 980, a 36 anni, dopo che le sue ginocchia sono
peggiorate costringendolo a saltare 30 partite e a giocare
nelle rimanenti soltanto 1 2 minuti di media, Earl “The Pearl”
Monroe decide di ritirarsi, ponendo fine ad una carriera
leggendaria.
Ha portato i l playground sui parquet del l ’NBA. I l suo gioco
ricco di finte, penetrazioni ed appoggi in controtempo è
unico, tanto che lui stesso, parlando dell ’NBA moderna, dice
di non aver ancora visto un giocatore che gli ricordi i l suo
modo di giocare.
Nella sua bacheca ci sono il Titolo NBA del 1 973, 4
convocazioni al l ’Al l Star Game, i l premio di Rookie of the
Year del 1 968, l ’Al l-NBA First Team del 1 968, la nomina di
Hall of Famer e il ritiro del la maglia #1 5 da parte dei Knicks
e #1 0 da parte dei Wizards.
Chiude con 1 7454 punti, 2796 rimbalzi e 3594 assist,
entrando nella leggenda NBA.
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
93
Se ascoltate un essere umano cantare queste parole, state
pur certi che state ascoltando un argentino. L’Argentina, el
Mar Dulce, i l luogo in cui si parla i l vero castel lano, perché
nonostante le influenze ital iane e inglesi, checché ne dicano
in Colombia ed Ecuador, lo spagnolo più elegante lo parlano
nella tierra de la plata. A 1 4000 chilometri di distanza dal
convento di Rosario citato nel testo, seduto su di un pullman
diretto al l ’O.A.K.A. Olympic Hall di Atene, Manu Ginóbil i
canta la Marcha de San Lorenzo, probabilmente i l canto di
battagl ia più famoso nella storia del l ’umanità. Tutte le
nazionali argentine, prima di qualsiasi incontro la cantano, e
la generación dorada non fa eccezione. Mentre i l pul lman è
invaso dalle voci dei suoi compagni che cantano a gran
voce la marcia, Ginóbil i , seduto nelle prime fi le con l’amico
fraterno Pepe Sanchez, le sussurra. Manu è un tipo
notoriamente allegro, sempre sorridente ed educato, è la
classica persona che se ti vede dall ’altra parte del campo
prima di una partita, corre a salutarti , non importa che tu sia
suo fratel lo, un semplice conoscente o se tu abbia mai
giocato a truco con lui da bambino.
Quella volta però no. Manu è concentrato, le parole escono
fuori da sole dalla bocca, mentre col pensiero vola in posti in
cui si può arrivare solo con la mente.
Quando la notizia oltrepassò Panama, ed arrivò a Bahía,
Manu era certo che quel Ginóbil i che volevano tanto in
America era senz’altro Sepo, el hi jo mediano. Di certo non
poteva essere lui, el tercero, quello che nessuno voleva,
quello che non sapeva giocare e che ancora oggi, dopo uno
Scudetto, un’Eurolega, un oro olimpico e tre titol i NBA,
continua a definirsi i l più scarso dei fratel l i Ginóbil i . Già,
perché Don Jorge e Doña Raquel di figl i ne avevano avuti
tre, Leandro, Sebastian detto Sepo e Manu, e tutti e tre
avevano dimostrato sin da piccoli un amore sconfinato per
la “otra pelota”. A Bahía Blanca funzionava così, poco futbol
e tanto basquet, e così era sempre stato, dai tempi in cui
papà Jorge era il playmaker della Bahiense, una delle sette
squadre di basket del la città. L’amore per la otra pelota
l ’avevano preso da lui, un figl io d’ immigrati marchigiani
arrivati in Argentina quando Juan Perón non era ancora al
potere.
I l viaggio di Manu parte da qui e sebbene il suo futuro lo
abbia abituato a toccare le stel le, i sogni di quel pibe magro
e bassino erano semplici : arrivare con la testa al la mensola,
giocare in Europa e fidanzarsi con la bambina dei suoi
sogni, Marianela Oroño; i l tutto da compiersi in questo
preciso ordine. Scorrendo i capitol i del la sua vita, la profezia
si è compiuta con largo margine di successo, dato che alla
mensola ci è arrivato eccome – e soddisfazione personale,
è diventato più alto di Leandro e Sepo –, l ’Europa è stato un
semplice viatico per arrivare a giocare in NBA ed infine la
bella Marianela è diventata prima la sua ragazza e poi sua
moglie. Proprio nell ’anno del matrimonio, Manu avrebbe
aggiunto un quarto punto alla personale l ista, che nemmeno
la fervida immaginazione di quel bambino di sette anni
avrebbe potuto concepire, vincere le Olimpiadi di Atene.
A lugl io, la mattina del primo raduno pre-ol impico con la
nazionale, i l termometro segnava zero gradi. I l palazzetto
era una cella frigorifera e i giocatori, con gli occhi ancora
pieni di sonno, sembravano ri luttanti al l ’ idea di mettersi in
calzoncini e canotta e allenarsi. Coach Ruben Magnano
“Febo asoma, ya sus rayos iluminan el histórico
convento”
“With the 57th selection in the 1999 NBA Draft, the San
Antonio Spurs select Emanuel Ginobìli from Argentina”
94
allora, decise di annul lare la seduta di al lenamento, c’era
troppo freddo. I giocatori si voltarono imboccando l’uscita,
quando ad un tratto sentirono un rumore di passi. Manu
Ginóbil i , coperto con un cappotto, aveva cominciato a
correre per i l palazzetto. Se lui correva, al lora anche loro
dovevano correre. Tutti i compagni ad uno ad uno, presero
un giubbotto, e cominciarono a correre dietro di lui . In quel
preciso istante, in quel momento magico, tutti capirono che
avrebbero vinto le Olimpiadi.
In semifinale, l ’Argentina annichi l ì gl i USA di Tim Duncan,
derisi letteralmente dal talento di Ginóbil i che in
quell ’occasione segnò 29 punti. Sul la panchina della
squadra statunitense, che in barba al Dream Team del ’92
era stata ribattezzata “Nightmare Team”, accanto a Coach
Brown, c’era Greg Popovich, lo stesso che cinque anni
prima si era fatto convincere a chiamare con la 57esima
scelta proprio quel Manu Ginobíl i ; al lora l ’accento era
ovviamente sul la vocale sbagliata.
Dopo una vittoria del genere, al l ’ombra dell ’Ol impo contro gl i
Dèi del basket, i tifosi argentini impazzirono. Gli spalti
del l ’O.A.K.A. sembravano quell i del la Bombonera:
L’Argentina era in finale, 54 anni dopo Roma ’60, l ’ultima
volta in cui El Sol de Mayo era salito sul podio di qualsiasi
sport.
I l pul lman che portava “el equipo de los sueños” al l ’O.A.K.A.
per la finale contro l ’ I tal ia frenò di colpo, Manu venne
distolto dai suoi pensieri, erano appena arrivati al palazzo.
Negli spogliatoi non c’era Oberto, Marbury in semifinale gl i
aveva fracassato una mano, ma l’atmosfera era allo stesso
modo carica della giusta tensione. Manu guardava la sua
camiseta, la numero cinque, sapeva che nonostante tutti i
suoi successi, quel lo che si apprestava a vivere era il
momento più importante della sua vita. Come da tradizione
Scola ricominciò a cantare La Marcha de San Lorenzo.
Se sul pul lman Manu sussurrava quelle parole, ora le urlava
con fierezza.
Uscirono dagli spogliatoi e da una porta in fondo al corridoio
videro spuntare Pozzecco, Bulleri e Soragna.
Cantarono ancora più forte:“Vamos vamos Argentina, vamos vamos a ganar! Esta
barra quilombera no te deja no te deja de alentar”
“Febo asoma, ya sus rayos iluminan el histórico
conventoT”
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Quando entrarono in campo per i l riscaldamento successe
quello che nessuno avrebbe mai potuto immaginare. Dagli
spalti trecento Hinchas impazziti cantavano a loro volta la
Marcha de San Lorenzo:
Era una situazione irreale ma meravigl iosa allo stesso
tempo, i giocatori e i tifosi cantavano insieme il loro canto di
battagl ia. I l canto fu profetico, quel giorno quei nove
granatieri , al leati con la gloria scrissero davvero la loro
pagina migl iore.
Dopo la vittoria, con una medaglia d’oro al col lo e una
lacrima che gli solcava il viso, Manu si rese conto che oltre
ad aver realizzato i l sogno di una vita, aveva regalato un
sogno all ’ intera nazione e alla sua Bahía Blanca, la tierra de
la otra pelota.
“Avanza el enemigo a paso redobladoT”
“Ynuestros granaderos, aliados de la gloria, iscriben en
la historia su página mejor”
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97
WHO IS: Peter Press Maravich nasce e cresce ad Aliquippa,
in Pennsylvania, i l 22 giugno 1 947. Suo padre, Petar “Press”
Maravich, è un ex giocatore professionista di pal lacanestro
che ha giocato una stagione nella NBL e una stagione nella
BAA prima di diventare allenatore collegiale. Proprio questa
passione del padre per la palla a spicchi porta i l giovane
Peter ad avvicinarsi a questo mondo e all ’età di sette anni
ad imparare i fondamental i del gioco sotto l ’occhio vigi le di
Petar. Pete mostra grandissimo talento con la palla tra le
mani e si rinchiude giorno dopo giorno in palestra per
al lenarsi, ossessionato dal volersi migl iorare.
Dal 1 961 al 1 963 frequenta la Daniel High School a Central,
in South Carolina, più giovane di un anno rispetto a tutti i
suoi compagni e avversari, per poi trasferirsi insieme alla
famigl ia a Raleigh, in North Carolina, quando il padre
diventa head coach di NC State. Qui frequenta la Needham
B. Broughton High School ed in questi anni nasce il
soprannome “Pistol”, che trae origine dal suo sti le di tiro
simile al movimento effettuato per estrarre un revolver dal la
fondina. Pete completa la carriera l iceale al l ’Edwards
Mil itary Institute, per poi andare alla Louisiana State
University, in cui al lena suo padre.
Le regole dell ’epoca proibivano alle matricole di giocare per
la squadra principale dell ’università, quindi Pistol gioca nella
squadra dei freshman nella stagione ’66-’67 che chiude
realizzando la cifra mostruosa di 43.6 punti a partita. L’anno
successivo viene inserito nel la squadra dell ’università,
squadra in cui gioca tre stagioni real izzando rispettivamente
43.8, 44.2, e 44.5 punti di media a stagione, segnando 50
punti in 1 0 delle 31 partite giocate nell ’anno da senior, anno
in cui vince il primo di migl ior giocatore del panorama
collegiale, venendo inserito per tutte e tre le stagione negli
Al l-Americans e chiudendo con 3667 punti segnati, ancora il
maggior numero di punti segnati da un giocatore nella
carriera universitaria. Cifre impressionanti, soprattutto se si
considera che il tiro da tre punti è stato introdotto nel basket
col legiale nel la stagione ’86-’87, ma che sono
accompagnate da qualche critica causata dal record non
esaltante di LSU durante queste tre stagioni, 49-35 il record
complessivo.
Pete viene quindi scelto al la terza chiamata dagli Atlanta
Hawks nel Draft del 1 970, dietro a Bob Lanier e Rudy
Tomjanovich, ed è pronto per affacciarsi al mondo NBA e a
rimpiazzare Joe Caldwell , passato alla ABA.
NBA CAREER: Nonostante lo scetticismo all ’ interno dello
spogliatoio, la stagione di debutto di Maravich è ottima:
chiude con 23.2 punti di media, migl iora i compagni zittendo
le critiche secondo cui non fosse adatto a giocare insieme a
un playmaker scorer come “Sweet” Lou Hudson (che
termina la stagione con 26.8 punti a partita, la migl iore in
carriera) e viene inserito nel l ’Al l-Rookie First Team. Pete è
un giocatore spettacolare, porta sul parquet moltissimi
movimenti tipici del basket di strada, come tiri fuori
equil ibrio, cambi di mano dietro la schiena, passaggi in
mezzo alle gambe, tutte giocate che erano considerate
quasi oltraggiose in un periodo in cui i l basket era fatto di
fondamental i , fondamental i e ovviamente fondamental i . I l
suo gioco è caratterizzato anche da un jumpshot micidiale,
sia da vicino che oltre un’ipotetica l inea del tiro da 3 punti.
Gl i Hawks, nonostante una stagione negativa con 36 vinte e
46 perse dopo che l’anno precedente avevano chiuso con il
98
migl ior record della Western Division e si erano fermati
soltanto al la finale di division contro i Lakers, si qual ificano
ai playoffs dove però vengono eliminati al primo turno dai
New York Knicks.
La seconda stagione è peggiore a livel lo individuale, 1 9.3
punti di media, e gl i Hawks replicano il record precedente ed
escono ancora al primo turno, questa volta contro i Boston
Celtics nonostante i 27.7 punti a partita di Pistol.
La stagione ’72-’73 è quella del la consacrazione: Maravich
chiude con 26.1 punti , 6.9 assist e 4.4 rimbalzi a partita,
real izzando 2063 punti e formando, insieme a Sweet Lou
autore di 2029 punti, la seconda coppia di sempre con più di
duemila punti ciascuno. Questa stagione vale la
convocazione all ’Al l-Star Game e l’ inserimento nell ’Al l-NBA
Second Team, ma gli Hawks, dopo una stagione positiva
chiusa con 46 vittorie e 36 sconfitte, vengono ancora
eliminati al primo turno dei playoffs, ancora per mano dei
Celtics.
L’ultima stagione in Georgia vede crescere ancora le cifre di
Pete che con 27.7 punti a partita chiude al secondo post
nel la classifica dei marcatori, dietro a Bob McAdoo, e viene
convocato per la seconda volta al l ’Al l-Star Game. Atlanta
però conclude con 35 vittorie e 47 sconfitte, non centrando
la postseason.
L’estate del ’74 è caratterizzata dalla nascita di una nuova
franchigia, i New Orleans Jazz, che vogliono inserire nel
roster un giocatore di prima fascia che possa essere il volto
del l ’organizzazione e che possa infiammare il pubblico. I
Jazz quindi cedono Dean Meminger, Bob Kauffman, due
prime scelte future e due seconde scelte future per
assicurarsi l ’ex stel la del la Louisiana State University.
La prima stagione nella Big Easy però non è molto positiva
e si chiude con 21 .5 punti a partita tirando con il 41 .9% dal
campo (career low). Inoltre, come prevedibi le, i Jazz
chiudono con il peggior record della Lega, 23-59.
Gli anni successivi però sono senza dubbio i migl iori di
Maravich, che inizia ad essere non soltanto spettacolare ma
anche maledettamente efficace.
Nella stagione ’75-76 gioca 62 partita a causa di infortuni
minori, real izza 25.9 punti a partita (terzo nella classifica
marcatori dietro a McAdoo e Abdul-Jabbar) tirando con il
45.9% dal campo (career high) e partecipa al suo terzo All-
Star Game ma i Jazz, nonostante i grandi migl ioramenti nel
roster, chiudono con 38 vittorie e 44 sconfitte e non si
qualificano per i playoffs. L’ottima stagione di Maravich
viene comunque premiata con l’ inserimento nell ’Al l-NBA
First Team.
La stagione successiva è la migl iore in carriera: 73 partite
giocate, 31 .1 punti a partita che gli permettono di vincere la
classifica marcatori, 5.4 assist e 5.1 rimbalzi, 1 3 volte sopra
quota 40 punti, 4 volte sopra quota 50 punti, 68 punti i l 25
febbraio 1 977 in faccia a Walt Frazier. Guida la Lega per
punti real izzati (2273), tiri tentati (2047) e l iberi real izzati
(501 ). Ovviamente viene convocato alla partita del la stel le e
inserito per i l secondo anno consecutivo nell ’Al l-NBA First
Team.
I critici però fanno notare come il suo gioco sia molto
individuale, tanto che quando è in campo sembra quasi che
si trovi ancora in palestra, ad allenarsi sol itario.
La stagione ’77-’78 è caratterizzata da un intervento al
ginocchio, da un’infezione batterica e da una tendinite
al l ’altro ginocchio, che insieme fanno saltare 32 partite al la
stel la di NOLA. L’infortunio al ginocchio rimediato contro
Buffalo è la classica diapositiva della sua intera carriera:
piuttosto che effettuare un semplice scarico, Pete salta per
cercare un passaggio tra le gambe ma cade male e rimedia
una brutta distorsione. Non si riprenderà mai da questo
infortunio, non tornerà mai più i l giocatore di prima. In 50
partite chiude comunque con 27 punti di media e la
SpazioNBA.it Magazine - Back in the days
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convocazione all ’Al l-Star Game e l’ inserimento nell ’Al l-NBA
Second Team. Ancora niente playoffs per i Jazz che
chiudono con 39 vittorie e 43 sconfitte.
Nella stagione seguente le cifre di Maravich peggiorano.
Salta 33 partite, chiude con 22.6 punti di media e gioca
nell ’Al l-Star Game, ma non riesce più ad essere il giocatore
spettacolare e allo stesso tempo efficace di prima, a causa
degli infortuni e del tutore uti l izzato sul ginocchio operato
che ral lenta i suoi movimenti.
Come se non bastasse, l ’anno successivo la franchigia
capisce che New Orleans non è il posto giusto e si
trasferisce a Salt Lake City. Maravich inizia a lamentarsi per
i l minor impiego, viene addirittura panchinato per 24 partite
da coach Tom Nissalke, ma la realtà è che non è più un
giocatore indispensabile, tanto che dopo 1 7 partite i Jazz
decidono di tagl iarlo i l 1 7 gennaio 1 980.
Cinque giorni più tardi viene firmato dai Boston Celtics, la
squadra con il migl ior record in NBA, e a sorpresa si
presenta come un giocatore nuovo. Gioca soltanto 1 7 minuti
di media partendo dalla panchina ma si mette al completo
servizio dei compagni. Con 11 .5 punti aiuta i Celtics a
chiudere con il migl ior record della Lega, 61 -21 , passa per la
prima volta i l primo turno dei playoffs ma i Celtics vengono
eliminati al le Eastern Conference Finals dai Philadelphia
76ers di Jul ius Erving.
Dopo aver realizzato che i problemi al ginocchio non
sarebbero mai migl iorati , Maravich decide di ritirarsi al
termine della stagione.
1 5948 punti, 3563 assist, 2747 rimbalzi in 658 partite
giocate, tirando con il 44% dal campo, l ’82% dalla lunetta
del tiro l ibero e il 66.7% da tre punti. Sì , perché nell ’ultima
stagione giocata da Pete l ’NBA ha inserito la l inea del tiro da
tre punti e Pistol, nonostante lo scarso uti l izzo e le pessime
condizioni fisiche, chiude con 1 0/1 5 dall ’arco.
Migl ior giocatore collegiale nel 1 970, SEC Player of the Year
e All-American nel ’68, ’69 e ’70, NBA All-Rookie First Team
nel ’71 , Al l-NBA First Team nel ’76 e ’77, All-NBA Second
Team nel ’73 e ’78, NBA scoring Champion nel ’77, 5 volte
All-Star (’73, ’74, ’77, ’78, ’79), numero 7 ritirato dai New
Orlans Pelicans e dagli Utah Jazz, inserito nel la Basketball
Hal l fo Fame nel 1 987.
Dopo essersi ritirato nel 1 980 si avvicina allo yoga e
all ’ Induismo. Successivamente diventa un Cristiano
Evangelico e afferma: “Non voglio essere ricordato come un
giocatore di pal lacanestro ma come un cristiano, una
persona che fa il possibi le per servire Gesù.”
I l 5 gennaio del 1 988 “Pistol” Pete Maravich collassa e
muore mentre sta giocando una partitel la nel la palestra della
chiesa di Pasadena, California. L’autopsia rivela che la
causa del decesso è stata una rara malattia congenita: è
nato senza l’arteria coronaria sinistra, che porta i l sangue
alle fibre muscolari del cuore. La sua arteria coronaria
destra era abbastanza grande per compensare questa
mancanza. I l medico che ha effettuato l ’autopsia ha definito
la sua carriera un vero e proprio miracolo.