SpazioNBA Magazine 1 - Back in the Days

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SpazioNBA.it Magazine - Back in the days 1

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Magazine cestistico a cura del sito www.spazionba.it. Numero 1, Back in the Days

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SpazioNBA.it Magazine - Back in the days

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PUBBLICITA

SpazioNBA.it Magazine - Back in the days

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È davvero diffici le iniziare questo editoriale.

Sia perchè è il primo editoriale che mi trovi a scrivere, sia

perchè è l'editoriale del primo numero di questa nuova

avventura targata Spazio NBA, quindi è denso di significato.

Se state ancora leggendo dopo queste prime quattro righe,

probabilmente vi starete chiedendo che cosa troverete in

questo Magazine. Lo SpazioNBA Magazine conterrà al suo

interno una raccolta degli articol i pubblicati sul sito, corredati

da immagini e grafiche talvolta inedite. Non sarà nulla di

nuovo, ma sarà un modo per poter leggere, o ri leggere, i

nostri migl iori articol i , proprio come se steste leggendo una

rivista dedicata al la nostra amata palla a spicchi.

I l primo numero, come potete immaginare dal titolo, vi

riporta nel passato e contiene una raccolta delle nostre tre

rubriche dedicate al la storia di questo sport: NBA Legends,

NBA Stories e NBAAnthology.

È probabilmente, anzi sicuramente, è i l più grande progetto

che mi sia trovato a gestire, e la realizzazione di questo

primo numero mi ha tenuto sveglio parecchie notti . Spero ne

sia valsa la pena e spero che anche questo progetto,

insieme agli altri progetti legati al la nostra community, sia

apprezzato e sostenuto da tutti voi, che in un modo o

nell 'altro rappresentate la nostra grande, grandissima

famigl ia.

Come sempre il nostro obiettivo è quello di proporvi un

prodotto di qualità, che possa con il tempo diventare un

punto di riferimento per tutti gl i appassionati di NBA e di

basket in generale. Per raggiungere questo obiettivo però

non basta essere la più grande community cestistica in

I tal ia, abbiamo bisogno che voi diffondiate la nostra voce.

Lo so, vi ho già annoiato abbastanza, per cui chiudo questo

piccolo spazio introduttivo ringraziando chi mi aiuta ogni

giorno nella gestione di SpazioNBA e di tutto ciò che gli gira

intorno, scrivendo articol i , gestendo il gruppo e la pagina e

sopportandomi nel le mie mire espansionistiche.

Non posso fare altro che augurarvi una piacevole lettura,

nel la speranza che questo sia i l primo di molti appuntamenti

con il nostro SpazioNBA Magazine.

Sebastian Aucello

EditorialeAUTORI DEI TESTI

Sebastian Aucello

Mattia Fiorani

Pasquale Russoli l lo

GRAFICA

Sebastian Aucello

PARTNER PUBBLICITARI

Superbasket

I 999 cestisti più forti del la storia del l ' NBA

Baskettari brutti

Pick&Roll

Chiamarsi "MVP" tra cestisti senza apparenti meriti sportivi

Miami Heat - I tal ia

NBA Memes Ital ia

Lebron James Ital ian Page

i

SpazioNBA Magazine è un progetto del sito internet www.spazionba. it, con

lo scopo di raccogliere i l materiale in esso contenuto. Non è pubblicato con

una periodicità regolare, pertanto non può essere considerato un prodotto

editoriale.

Gli articol i e la grafica di questo magazine sono frutto del lavoro di tutta la

redazione del sito, senza alcun scopo di lucro. Vi invitiamo quindi a non

riprodurre totalmente o parzialmente il suo contenuto.

Tutte le immagini e le dichiarazioni inserite in questo numero appartengono

ai rispettivi autori.

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SpazioNBAStories

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Leonard Kevin Bias, per i l mondo intero semplicemente Len

Bias. A molte persone questo nome non dirà nul la, ad alcuni

suonerà come una storia conosciuta, ad altri parrà una ferita

ancora aperta nel petto.

Corre l ’anno 1 963 quando Len Bias vede la sua prima luce

in una piccola città del Maryland. Pochi anni più tardi quel

bambino, oramai diventato un ragazzo corpulento, si

guadagna il soprannome di Frosty a causa del suo carattere

tranquil lo e riservato. Nonostante i l suo amore iniziale sia in

favore del footbal l americano, Len si ritrova ad esprimere il

proprio talento con la palla a spicchi tra le mani, entrando al

col lege con i migl iori auspici per i l futuro.

Arriva alla University of Maryland come un giocatore grezzo

e indiscipl inato, andando subito al lo scontro con la

personalità poco accomodante di coach Lefty Driesel l . Nel

giro di un paio d’anni, però, Bias accresce vertiginosamente

le sue qualità cestistiche fino ad arrivare a contendersi lo

scettro di col legiale più amato dai tifosi con Michael Jordan.

Entrambi giocano con una sorta di furore control lato, ma

non è quel tipo di rabbia che ti annebbia la vista, anzi, è una

cattiveria agonistica che non ti permette di perdere la

concentrazione neanche per un istante.

Quando Jordan abbandona il col lege per andare a giocare a

Chicago nel 1 984, Bias raccoglie la sua eredità vincendo

l’ACC Player of the Year per due anni consecutivi. I l suo

anno da senior è i l migl iore tuttora mai visto nel Maryland,

caratterizzato da una prestazione scolpita nel la memoria dei

presenti che lo proietta ai vertici del Draft del l ’estate

seguente. I Maryland Terrapins (1 4-11 ) devono affrontare la

squadra col migl ior record, 25-1 , e ancora imbattuta in casa:

North Carolina Tar Heels. Bias mette a referto 35 punti total i ,

ma l’episodio rappresentativo di quel la partita è i l jumper a

cui segue una rubata con schiacciata (minuto 0:08) che

cambia l ’ inerzia del la partita e permette a Maryland di

recuperare da uno svantaggio di nove punti; segna inoltre

quattro degli otto punti sufficienti ai Terrapins per

sconfiggere North Carolina in un favoloso upset che lo

consacra a star del l ’NCAA.

La March Madness del 1 986 vede i Terrapins uscire al

secondo turno. Nonostante Bias segni 1 9 degli ultimi 21

punti del la squadra, mettendone a referto dieci negl i ultimi

due minuti per un totale di 31 , Maryland viene battuta da

UNLV in quella che sarà l ’ultima partita di Bias.

I l Draft del 1 986 è il coronamento del sogno di Len. I Boston

Celtics di Red Auerbach aspettavano quel momento da due

anni, cioè da quando, due anni prima, avevano mandato

Gerald Henderson a Seattle in cambio di una scelta al primo

giro. I Cavs alla prima scelta selezionano il sol ido centro

Brad Daugherty da North Carolina, così i Celtics possono

accaparrarsi i l promettente Len Bias. Uno dei col legial i più in

vista del decennio si unisce ad una squadra non solo fresca

di titolo NBA, ma che può vantare tra le sue fi la giocatori

come Larry Bird, Kevin McHale e Robert Parish. La dinastia

dei Celtics aveva ricevuto nuova linfa vitale, era pronta per

sconfinare anche negli anni ’90.

I l giorno seguente Bias si reca alla sede della Reebok, a

New York, per firmare un contratto che avrebbe fatto di lui

l ’uomo simbolo del brand, così come era successo due anni

prima a Michael Jordan con la Nike; dopodiché torna al

"Dio era in campo con noi stasera, e quando dico Dio

intendo Len Bias.”

Keith Gatlin, compagno di squadra di Len Bias

"A quel tempo c’erano due giocatori contrapposti che

risaltavano su tutti gli altri: Michael Jordan e Len Bias.

Len era talentuoso, era davvero speciale – e la nostra

lega era piena di giocatori molto forti – quando penso a

Len Bias oggi, penso a quanto intensamente giocasse e

al suo sconfinato talento. Insieme a Michael Jordan, era

il giocatore a cui nessuna squadra poteva opporre una

contromossa. Ecco quanto era forte.”

Mike “Coach K” Krzyzewsky

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campus dell ’università per festeggiare con i suoi compagni,

andando prima a cena e poi spostando le celebrazioni nel

dormitorio.

Here we are, siamo arrivati al punto in cui le domande fin

qui accumulatesi nel la mente di chi legge questa storia per

la prima volta trovano una risposta. Come mai questo Len

Bias non è nella Hall of Fame se era davvero così

talentuoso? Perché non si sono mai visti cartel loni del la

Reebok che lo raffigurano? E poi, com’è possibi le che i

Celtics abbiano dovuto aspettare più di vent’anni prima di

tornare al titolo dopo quel Draft?

La risposta sta in un numero stampato su un fogl io.

Autopsia n°86-999

Prince George’s County

Leonard K. Bias

1 9 Giugno 1 986

Causa del decesso: intossicazione da cocaina.

L’ intera nazione è scioccata, molti rifiutano di credere che

quel ragazzo a tanti parso invincibi le sia morto. Fuori

dal l ’ospedale le lacrime si sprecano, nel le case degli

americani sintonizzati sul notiziario lo sgomento

spadroneggia, è emblematico il caso di un conduttore che,

riportando l’evento in diretta, non riesce a reggere

l ’emozione e scoppia in un pianto. A casa Bias arriva un

mazzo di peonie con le condoglianze di Michael Jordan, poi

è i l turno di Larry Bird e di l ì a poco Lonise, madre di Len, si

trova subissata di messaggi di cordoglio provenienti dal

mondo sportivo e non solo. Molti , nel corso degli anni,

etichetteranno la morte di Len Bias come l’evento sportivo

con maggiori ripercussioni a l ivel lo sociale nel la storia del lo

sport moderno.

La sua scomparsa viene strumental izzata dai media, ma

soprattutto dalla politica che la uti l izza (rincarando la dose

quando un’altra stel la del lo sport americano, Don Rodgers,

muore a causa della cocaina solamente otto giorni dopo

Bias) per far scoppiare un caso nell ’ intera nazione, a l ivel lo

istituzionale e legislativo. I fatti sono presentati in maniera

incompleta, a volte travisata (come la falsa voce che sia

stato i l crack a uccidere Len Bias), con lo scopo di

indirizzare l ’opinione pubblica, far scoppiare l ’al larme droga

nel Paese e creare i presupposti per l ’Anti-Drug Abuse Act

del 1 986, perfezionata poi nel 1 988. Questa legge,

soprannominata non a caso “Len Bias Law”, introduce fra le

altre cose i cosiddetti minimi scontabil i per reati legati al la

droga, quantificandoli con un rapporto di 1 /1 00 a seconda

che si tratti di crack o cocaina: i l possesso di 500 grammi di

cocaina e di sol i 5 grammi di crack erano equiparati , nonché

punibi l i obbl igatoriamente con una condanna di almeno

cinque anni in prigione.

Gli avvenimenti del la notte in cui Len Bias perde la vita sono

tuttora avvolti da una cortina di mistero, che diffici lmente

potrà diradarsi col tempo.

Bias s’incontra con Brian Tribble, col quale escono per

andare a comprare dei superalcol ici , prima di fare ritorno al

dormitorio. Qui, nel la stanza 11 03, insieme ad altri compagni

di squadra, tra un sorso di birra ed uno di l iquore, entra in

scena la cocaina. Come dirà in seguito Tribble, era una

situazione tranquil la, intima, non il tipo di sballo frenetico

(concedetemi i l termine) cui siamo abituati oggi. Ad un certo

punto Bias sente i l bisogno di sdraiarsi sul letto, perdendo

conoscenza di l ì a poco. Inizialmente Tribble, i l più grande

fra i quattro rimasti in stanza, ritiene di avere sotto control lo

la situazione, essendo famil iare con episodi di sincope, ma

la situazione si trasforma immediatamente in panico nel

momento in cui Tribble si rende conto che Len non sta più

respirando. Subito prende in mano il telefono e chiama il

911 :

I tentativi dei paramedici, e in seguito dei medici, per

rianimarlo sono inuti l i , la mattina stessa Len Bias lascia un

vuoto incolmabile nel cuore degli Stati Uniti .

I l processo penale e mediatico in pochi mesi passa da

accuse a tappeto nei confronti del le persone che

gravitavano intorno a Len, ad una gogna dove l’unico

"Le persone della generazione precedente alla mia

segnano il tempo con l’assassinio di John Fitzgerald

Kennedy. Per me, e molti della mia età, il tempo è

scandito dalla morte di Len Bias. Ricordiamo

esattamente il luogo e la situazione in cui eravamo

quando abbiamo saputo della sua morte, per noi era un

superuomo, una divinità indistruttibile.”

Jay Bilas, analyst per ESPN ed ex-cestista

“È Len Bias, dovete riportarlo in vita. Non può

assolutamente morire, è fuori discussione. Sul serio,

signore, venite presto per favore.”

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imputato risulta essere Brian Tribble. Le accuse nei confronti

di Terry Long e David Gregg, i due compagni presenti in

stanza quella notte, vengono fatte decadere in cambio di

informazioni significative sul conto di Tribble.

Alla fine del processo, nessuno viene condannato, ma Brian

Tribble viene incriminato quattro anni più tardi per traffico di

droga, essendo costretto a scontare una pena decennale in

carcere.

Bias consumava abitualmente cocaina o, come è stato

raccontato dalle televisioni nei mesi seguenti al la sua morte,

è rimasto vittima del primo sfortunato incontro con la droga?

I tre compagni presenti nel la stanza 11 03 sostengono che

non fosse la prima volta che Len uti l izzava cocaina. I

parenti , la fidanzata e svariati altri amici dicono invece il

contrario, raccontando di come Len persino non bevesse

alcol ici neanche nelle serate più scatenate al campus.

L’autopsia, seppur priva di certezze, sembra dare ragione ai

primi, così come la cocaina trovata sotto i l sedile del l ’auto di

Len (ritrovamento avvenuto, però, giorni dopo la sua morte).

Che Bias avesse nascosto questo suo lato per non perdere i

contratti di sponsorizzazione e la fiducia in lui riposta ai piani

più alti? Buona intuizione, ma c’è un elemento nella storia

che pare essere inspiegabile, o quantomeno inspiegato.

L’autopsia ha rivelato presenza di cocaina non solo nel

sangue di Bias ma anche nello stomaco, a l ivel l i non

raggiungibi l i con una semplice sniffata né, tanto meno,

fumandola. Alla luce di ciò sorge un più che lecito dubbio:

come ha fatto un così grande quantitativo di cocaina ad

infi larsi nel lo stomaco di Len Bias?

A seconda della fonte cui ci si affida, la versione della storia

cambia. Dove stia la verità non è dato saperlo. Forse, la

verità non è nemmeno così importante ai fini del l ’eredità

lasciata da Len Bias. La realtà, quel la con cui tutti noi

abbiamo a che fare quotidianamente, non è fatta di verità

ma di emozioni. Ognuno esprime la sua verità

compatibi lmente con la propria capacità di percepirla,

rendendo la verità una comprensione emozionale, non

intel lettuale.

Mi sarebbe piaciuto molto terminare qui l ’articolo, trovare

qualche significato recondito al la morte di Len Bias e

mettermi i l cuore in pace. Purtroppo non mi è possibi le,

devo prolungare il racconto di altri quattro anni circa.

L’eredità lasciata da Len Bias sul corpo del fratel lo minore

James (soprannominato Jay) non è tangibi le, ma risulta ben

visibi le a chi gl i sta accanto. Jay Bias è anch’egl i un

promettente giocatore di basket, capace di trascinare la sua

high school al titolo statale nella stagione da junior, con una

prestazione da 28 punti nel la partita decisiva, e di mettere a

referto 25 punti e 1 2 rimbalzi di media nella stagione da

senior. Qualcosa però inizia ad andare storto: Jay l itiga con

lo staff, diventa collerico e i suoi voti crol lano. Dopo un anno

di contrasti , interni ed esterni a sé stesso, Jay lascia la

scuola.

I l 4 Dicembre del 1 990, i l ventenne Jay si reca al centro

commerciale, dicendo di voler comprare un anello al la sua

fidanzata. Pochi minuti più tardi, nel parcheggio, muore

trafitto da una raffica di proietti l i sparati dal titolare del

negozio di gioiel l i . La causa è la gelosia, la difesa del

negoziante è che Jay nei mesi precedenti aveva fl irtato con

sua moglie, i l corpo immerso nel lago di sangue è sempre

quello del figl io di Lonise Bias.

La madre di Len si trova ad affrontare nuovamente la morte

di un figl io, per la seconda volta nel giro di quattro anni. Le

premonizioni, che aveva avuto mesi prima del Draft 1 986, di

una sciagura incombente sul la testa di un membro della sua

famigl ia si erano avverate, due volte. Quelle premonizioni la

cui ombra non era mai riuscita a scacciare, neanche quando

tutti intorno a lei festeggiavano Len Bias, la nuova stel la dei

Boston Celtics.

Si era rialzata dopo la morte di Len, si rialza ancora dopo

quella di Jay, convinta che faccia tutto parte di un disegno

del fato al quale ha poco senso opporsi. Decide così di

dedicare la sua vita ad una missione, mettere in guardia i

ragazzi del le scuole dai rischi che la crescita porta

congenitamente con sé, convinta che Len e Jay siano morti

per “donare vita” al mondo restante. Migl iaia, forse mil ioni, di

ragazzi ad oggi hanno potuto ascoltare la storia di Lonise ed

il forte messaggio insito in essa.

Era al corrente del fatto che suo figl io si drogava?” chiede

una ragazza. “È stato detto che era la sua prima volta.”

Anche Lonise Bias sembra dello stesso avviso: la verità non

è poi così importante.

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SpazioNBAAnthology

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Boston, 1 985. Madison Square Garden, meglio noto al

grande pubblico come Boston Garden. Se durante una

normale sessione di tiro dei Celtics, vi foste trovati in quel

tempio pagano, seduti più o meno comodamente sugli

storici seggiol ini gial l i , con gl i occhi persi nel parquet

incrociato, a catturare la vostra attenzione sarebbe stato con

ogni probabil ità Michael Leon Carr. Più che sessioni, quel le

di Carr erano veri e propri duel l i al l ’ultima tripla. In

al lenamento era una macchina, accompagnava ogni

canestro al la sol ita frase:

La vittima preferita era Larry Bird. Lo conosceva fin troppo

bene, lo rispettava ma sapeva con certezza aritmetica

quanto quella frase lo facesse incazzare. Larry dal canto

suo non reagiva, un po’ per rispetto un po’ perché sapeva

che quando contava, quando la partita andava messa in

ghiaccio, M.L. Carr posava scettro e corona e preferiva

passare la palla a lui piuttosto che fingere di regnare.

In quel periodo Larry dominava la Lega. Stava per diventare

ancora una volta MVP e di l ì a poco i suoi Cletics avrebbero

vinto un altro anello. La sua forza però, non risiedeva solo

nel talento, era quell ’aria da truffatore, da spaccone, la

capacità di sottomettere l ’avversario non solo con la forza

ma con la parola. Se fosse esistita una statistica per

mappare l’ incisività di un giocatore nel trash-talking, Larry

sarebbe arrivato primo, secondo e terzo. Era un profeta.

Durante una partita contro i SuperSonics, a 1 3 secondi dal la

fine con le squadre in perfetta parità, Larry guardò negli

occhi Xavier McDaniel, che stava inuti lmente provando a

marcarlo, e gl i espose nei minimi dettagl i la sua strategia:

“Ora ci sarà la rimessa, la palla arriverà a me in questo

punto ed io ti segnerò in faccia”; dopo il time-out Bird

ricevette palla in post alto, esattamente nel punto che aveva

indicato e malgrado il tempestivo aiuto difensivo, segnò il

canestro della vittoria proprio in faccia a McDaniel.

O come quella volta nell ’84, durante un incontro contro i

Sixers. I l cl iente di turno era Jul ius Erving, tutt’altro giocatore

rispetto a McDaniel. I giornal i avevano ricamato per l ’ intera

settimana sulla sfida tra Bird e Erving, al imentando, qualora

ce ne fosse ulteriore bisogno, la già sentitissima rival ità tra i

due. Ebbene, durante la partita Larry cominciò a provocare

Doctor J comunicandogli ogni qual volta la palla entrasse

nell ’anel lo, i l parziale del la loro sfida personale “Ehi J siamo

2-0, ehi J siamo 7-2, ehi J siamo[”. All ’ennesimo “Ehi J[”,

Jul ius Erving decise che fosse giusto terminare l ’ incontro

“Sono il Re delle triple, sono il Re delle triple”

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come due genti luomini, scaraventando Bird a terra sul finire

del terzo quarto. Dopo l’ inevitabile rissa, uscendo verso gli

spogliatoi, Larry chiamò a gran voce Erving: “Ehi J[siamo

42 a 6”. Larry Bird aveva sempre ragione.

Quando nel 1 986 l’NBA istituì la gara del tiro da 3 punti a

Bird non pareva vero, avrebbe dimostrato a Carr (che nel

frattempo si era ritirato) che il suo ri lascio non era poi così

lento, e sarebbe riuscito ad unire in un solo colpo le due

cose che preferiva fare sul parquet: tirare e prendere in giro

l ’avversario.

L’8 febbraio 1 986, passerà alla storia come il giorno in cui

venne redatto i l compendio dell ’Ars Birdiana, una summa

irripetibi le di agonismo e talento in cui l ’arte del trash-talking

raggiunse vette di soggiogamento psicologico che nessuno

aveva ma raggiunto prima e che nessuno riuscirà nemmeno

a sfiorare dopo. Quella mattina Bird è sul parquet del la

Reunion Arena di Dallas, mancano otto ore alla gara, ma lui

è già lì . Accanto a Larry, c’è Leon Wood, sophomore dei

New Jersey Nets e candidato principale al la vittoria finale.

Oggi Leon Wood è un arbitro affermato della NBA, ma

all ’epoca era uno dei migl iori tiratori del la lega, tirava con il

40.4% da oltre l ’arco e lo stesso Larry lo considerava

l’ostacolo più grosso che lo separava dalla vittoria. Dopo

aver terminato la sua sessione, Bird cominciò ad osservare

Leon tirare, stava provando una serie di tiri da otto metri di

distanza. Non sbagliava mai.

“Ehi Leon, ” gl i chiese “hai cambiato i l tuo tiro ultimamente?

Sembra diverso”.

Ovviamente la meccanica di tiro di Leon non era cambiata di

una virgola e Bird lo sapeva bene, ma conosceva anche

l’enorme influenza che poteva avere nei confronti di un

giovane sophomore. Leon Wood sembrò turbato, se Bird

diceva che la sua meccanica era cambiata, al lora era

cambiata sul serio.

“Non lo so, non ci ho fatto caso” rispose balbettando prima

di prendersi un altro tiro che non arrivò neppure al primo

ferro. Non contento Bird piazzò la stoccata finale. Prese una

palla colorata, la moneyball , quel la che vale 2 punti, e

sbagliando il tiro di proposito sentenziò:

“Dannazione Leon, queste palle scivolano”.

Wood ingoiò di nuovo e se prima sembrava turbato, ora era

terrorizzato.

Nell ’86 Quentin Tarantino lavorava ancora ai Video Archives

di Manhattan Beach, ma Larry Bird aveva appena cancellato

i l nome di Leon Wood dalla sua “Death List Five”, ed ora era

il turno degli altri .

Larry era sempre stato così, un po’ genio un po’ spaccone,

sin dal l ’ infanzia a French Lick quando il suo coach del l iceo,

avendo capito che il fulmine aveva colpito due volte nello

stesso luogo, gl i regalò l ’el isir che lo avrebbe cambiato per

sempre. Abbassò il canestro e prendendo due palloni gl i

disse: “In un canestro puoi far entrare due palloni

contemporaneamente, mi aspetto che uno come te ne metta

almeno uno. Tira con una parabola alta e i l iberi semmai

lunghi, mai corti . Va’ figl iolo e ricorda che questo è il tuo

gioco”, per i l giovane Larry Legend è una rivoluzione

copernicana e ricorderà per tutta la vita le parole del suo

coach. Le ricorderà soprattutto durante una partita a Springs

Valley, quando dopo 20 minuti ne mette già 30. Lo zio,

presente alla partita, si sente un po’ come il cugino di Chuck

Berry in “Ritorno al Futuro”, mette un quarto di Dollaro nel

telefono e chiama suo fratel lo: “Joe vieni in palestra, tuo

figl io sta esagerando”. Alla fine dei 40 minuti , davanti agl i

occhi di suo padre il giovane Larry finirà con 54 punti e 38

rimbalzi.

Era fatto così, si esaltava e adorava farlo notare agli altri ,

come quando giocava a knockout col suo compagno ai

Celtics Quinn Buckner: i l compagno tirava a canestro, lui

lanciava la palla in aria e non solo deviava il tiro

del l ’avversario, ma faceva finire la sua palla in buca.

Giocava a tiro al piattel lo e basket al lo stesso tempo. L’unica

spiegazione possibi le, la più credibi le quanto meno, la trovò

il commentatore dei Cleveland Cavaliers durante una partita

contro i Celtics:

“Bird tira, e Dio muove il canestro”.

E come per tutte le cose che hanno a che fare con il divino,

la gente ha bisogno di toccare con mano, ecco perché la

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sua presenza alla gara di tiri da tre fu un trionfo non solo per

le masse dei fedeli , ma anche per le casse della NBA.

Malgrado tutto però, la vittoria finale di Bird era tutt’altro che

scontata, certo era il migl ior tiratore del pianeta – e questo

aiutava – ma si trattava di una gara che univa precisione e

velocità di esecuzione, argomento nel quale Bird non

primeggiava. E così, dopo aver giocato al gatto e al topo

con l’autostima di Leon Wood, Larry entrò negli spogliatoi e

ripeté la solfa dei pal loni scivolosi. Non soddisfatto, guardò

gli altri due favoriti , Craig Hodges e Dale Ell is, e col suo

solito sorriso da baro domandò:

Cancellate pure i nomi di Craig e Dale dalla l ista dei cattivi ,

la faccenda era praticamente conclusa.

Al primo round, Leon Wood, i l temibi le sophomore, arrivò

penultimo total izzando appena 1 3 punti. Quando andò a

sedersi in panca sembrava turbato, sul suo volto non c’era

nemmeno l’ombra del sorriso che di sol ito campeggia sul le

facce di chi partecipa a questo genere di manifestazioni.

Nei primi due turni Larry non si tolse neppure la giacca.

Letteralmente.

“Sto più comodo così” disse, ma non gli credette nessuno.

La finale era contro Craig Hodges, guardia dei Milwaukee

Bucks, che quello stesso anno in regular season aveva

tirato con oltre i l 45% dall ’arco. Un cecchino.

Bird decise che era arrivato i l momento di fare sul serio.

Tolse la giacca dei Celtics e rimase con la divisa rossa degli

East All-Star. Fu un massacro.

Hodges total izzò solo 1 2 punti. I l peggior risultato in una

finale per più di una decade. Quell ’anno solo Norm Nixon,

che a distanza di tempo ancora non comprende il perché

della sua presenza allo shootout, fece peggio. Quando

arrivò i l suo turno, proprio come in Macbeth, c’era un

pugnale nel sorriso di Larry. Dopo aver tirato corto i l primo

pallone, mise a segno 1 3 punti, uno dietro l ’altro. Aveva

appena cominciato i l terzo carrel lo ma aveva già vinto. Alla

penultima moneyball , annoiato dalla sua grandezza, fece

partire di proposito un tiro ad effetto di tabella; dopo aver

ballato per un istante sul ferro sapete tutti dove sia finita la

palla. Appena tirò l ’ultima moneyball , senza nemmeno

guardare se la palla entrasse oppure no, si diresse verso il

centrocampo con le braccia alzate.

Aveva appena vinto i l primo “Three point shootout” del la

storia del la NBA con ben 22 punti.

Larry era al settimo cielo. Guardò sugli spalti e sorrise. In

prima fi la ad applaudirlo come un tifoso qualsiasi c’era

Michael Leon Carr. I l compagno di tante sfide era lì a

rendergl i omaggio.

Larry al lora alzò i pugni al cielo e con voce stridula cominciò

ad urlare:

“Sono il Re delle triple, sono il Re delle triple”.

Anche quella volta, come al sol ito, i l ragazzo di French Lick

aveva esagerato.

“Allora, chi di voi arriverà secondo?”

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WHO IS: Allen Ezail Iverson nasce il 7 giugno 1 975 ad

Hampton, Virginia. Sua madre, Ann Iverson, ha 1 5 anni e i l

suo padre biologico, Allen Broughton, anche lui un teenager,

l i abbandona. Ann però conosce un ragazzo di quattro anni

più grande, Michael Freeman, che la aiuta con il piccolo

Allen ma la situazione resta delle peggiori: senza un

diploma per Ann è molto diffici le trovare un lavoro, ma lei è

una ragazza forte, con un cuore immenso, e non si lascia

abbattere rassicurando il figl io che le cose sarebbero

migl iorate. I l quartiere è uno dei peggiori di Hampton, i l

piccolo Allen a 8 anni ha già assistito a più omicidi di quanti

la maggior parte delle persone assista in tutta la vita, ma

continua per la sua strada giocando a football come

quarterback, kick returner, defensive back e running back

nella squadra della Bethel High School. Ha davanti a sè una

splendente carriera da giocatore di footbal l , grazie al la sua

rapidità, al la sua forza fisica e alla sua intel l igenza, ma Allen

è uno sportivo a tutto tondo e come secondo sport gioca a

basket, anche se la sua grande passione resta la palla

ovale.

La vita a Hampton non migl iora, Iverson pensa addirittura di

inizia a spacciare pur di raccimolare dei soldi per aiutare la

sua famigl ia, ma proprio quando sta per fare questo passo

ecco che Tony Clark, un ragazzo di 7 anni più grande, vede

qualcosa di speciale in lui e gl i sta accanto come un fratel lo

maggiore.

All ’età di 1 5 anni un’altra svolta: Tony viene ucciso dalla

fidanzata dopo una lite e i l patrigno, Michael, viene arrestato

per spaccio. Come se non bastasse Ann, che ha appena

partorito, ha problemi di salute e a causa delle spese

mediche i pochi risparmi stanno per terminare. Allen

abbandona la scuola, inizia a frequentare i brutti ambienti

del quartiere e cerca in tutti i modi di aiutare

economicamente la famigl ia. Questa vita però non è adatta

a lui e al lora pianifica i l suo futuro, torna a scuola con lo

scopo di diplomarsi, andare in un college prestigioso grazie

a una borsa di studio e lasciarlo i l prima possibi le per

approdare in NFL. La madre però non riesce più a pagare

l ’affitto, viene sfrattata e Allen va a vivere con Gary Moore,

suo allenatore di footbal l , in attesa che lei riesca a trovare

una casa vicino alla scuola.

La carriera di giocatore di footbal l continua a gonfie vele, i

Bruins vincono il titolo statale nel 1 992, guidati proprio da

Allen che lancia per oltre 200 yards, intercetta due passaggi

e ritorna un punt per un touchdown da 60 yards, vincendo il

premio di migl ior giocatore dello stato per ben due volte.

Come detto però gioca anche a basket e, nonostante non

sia i l suo sport preferito, risulta uno dei migl iori prospetti

anche sul parquet, tanto che gli osservatori col legial i lo

definiscono il migl ior giocatore l iceale degli ultimi 1 5 anni.

I l destino però si mette ancora in mezzo e nel 1 993 in una

sala da bowling c’è uno scontro verbale con alcuni ragazzi

bianchi, che degenera poi in una rissa. Nonostante abbia

dichiarato di essersene andato non appena si è passati al le

mani, Al len è la persona più conosciuta del gruppo, viene

arrestato e condannato a 5 anni di prigione ma qualche

mese dopo il Governatore della Virginia, Douglas Wilder, gl i

concede la grazia.

Iverson non torna alla Bethel High, decide di lavorare con un

tutor per ottenere il diploma e nel frattempo la madre,

conscia che con l’arresto e il conseguente salto dell ’anno da

senior tutte le possibi l ità di ottenere una borsa di studio

sono praticamente svanite, contatta John Thompson, head

coach di Georgetown, e lo convince a dare una chance al

figl io. Dopo un colloquio e dei work out Thompson è

impressionato dal ragazzo nonostante non giochi in una

squadra di basket da quasi due anni, e decide di portarlo a

Washington DC segnando per sempre il suo futuro.

Nonostante giochi come playmaker non costruisce il gioco

per gl i altri , tende sempre a concludere a canestro creando

malumore nei compagni che, quando hanno la palla in

mano, preferiscono non passargl iela. Lui però non bada a

queste cose, ha una missione da compiere e gioca con

un’aggressività da professionista, vincendo i premi di Big

East Rookie of the Year e di Big East’s Defensive Player of

the Year, chiudendo la stagione con 20.4 punti , 4.5 assist,

3.3 rimbalzi e 3 rubate di media e guidando gli Hoyas fino le

Sweet 1 6 del torneo NCAA.

Nella stagione da sophomore capisce che per far breccia

nei cuori degl i scout NBA deve sviluppare il suo gioco, non

"Io non voglio essere Michael Jordan, io non voglio

essere Bird o Isiah. Io non voglio essere nessuno di

questi ragazzi. Sapete, quando la mia carriera sarà finita

voglio guardarmi allo specchio e dire: ho fatto a modo

mio!”

Allen Iverson

16

può giocare sempre 1 contro 5 ma deve saper leggere ciò

che la difesa gli concede. Ci sono le partite in cui segna 30

punti, quel le in cui smazza 1 0 assist, quel le in cui ruba 1 0

palloni e quelle in cui prende 1 0 rimbalzi. Guida gl i Hoyas

alle Elite 8 con 25 punti, 4.7 assist, 3.8 rimbalzi e 3.4 rubate

di media, vince ancora il premio di Big East Defensive

Player of the Year e viene nominato All-American. Decide

allora che è giunto i l momento di fare i l grande salto e si

dichiara per i l Draft NBA del 1 996.

NBA CAREER: Phila arriva da una stagione in cui ha vinto

soltanto 1 8 partite e nonostante l ’approdo di AI e la

presenza a roster di quattro giocatori sol idi come

Stackhouse, Coleman e Weatherspoon, i l l ivel lo del resto

della squadra è parecchio basso. Le vittorie sono soltanto

22 ma la prima stagione di Iverson tra i pro è super: 23.5

punti di media, con 7.5 assist, 4.1 rimbalzi e 2.1 rubate, che

gli valgono il premio di Rookie of the Year. Non sono

soltanto i numeri però a far sgranare gli occhi, infatti la cosa

che meravigl ia è i l suo gioco frizzante e divertente,

caratterizzato da cambi di direzione repentini che mettono in

difficoltà chiunque. Ci sono anche delle note stonate, come

le 4.4 perse a partita e le tante forzature, ma il ragazzo è

destinato a fare strada e ciò è ancor più evidente quando,

dopo che Jordan ha dichiarato che Iverson avrebbe dovuto

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portare un po’ di rispetto ai veterani presenti nel la Lega, la

matricola gl i risponde senza mezzi termini, con un crossover

passato alla storia.

La seconda stagione inizia nel migl iore dei modi. Arriva a

Philadelphia Larry Brown, coach che aveva reso grandi gl i

Indiana Pacers di Reggie Mil ler, e che vuole rendere

grande, grandissimo, Allen. Brown gli spiega che per

crescere e diventare veramente immarcabile deve

modificare il suo atteggiamento. Nessuno può tenerlo

nell ’uno contro uno, ma se cercherà sempre di terminare le

azioni con un canestro al lora l ’altra squadra non si dovrà più

preoccupare di marcare i suoi compagni e per lui sarà più

diffici le poter essere incisivo. La stagione dei Sixers è solo

leggermente migl iore di quel la precedente, 31 vittorie, ma

vengono gettate le basi per i l futuro con le cessioni di

Stackhouse, Weatherspoon e Jackson e gli acquisti di Theo

Ratl iff, Joe Smith, Aaron McKie e Eric Snow. Iverson dal

canto suo resta i l leader della squadra, ma non sembra

ascoltare pienamente i consigl i del coach e chiude con 22

punti, 6.2 assist e 3.1 perse di media.

A causa del lockout la stagione ’98-’99 vede le squadre

giocare soltanto 50 partite. Brown decidere di promuovere

Snow come play titolare e di spostare Iverson nella

posizione di guardia per togl iergl i i l peso della regia e poter

sfruttare la sua rapidità contro avversari più pesanti e lenti .

Scelta azzecata. Chiude con 26.8 punti (top scorer), viene

inserito nel l ’Al l-NBA First Team e guida Philadelphia ai

playoffs, con 28 vittorie. Nel primo turno i Sixers el iminano i

Magic 3-1 ma nel secondo turno vengono eliminati dai

Pacers con uno sweep. Iverson torna un po’ quello di

Georgetown e si prende quasi 27 tiri a partita, subendo

parecchie critiche dopo l’el iminazione.

I Sixers però sono una squadra in continua crescita, con la

trade che porta nella Città del l ’amore fraterno Toni Kukoc in

cambio di Larry Hughes arriva un giocatore di grande

esperienza che aiuta la truppa di Brown ad arrivare a 48

vittorie. Iverson dal canto suo continua a tirare parecchio,

ma è la prima (e unica) opzione offensiva. I l suo gioco però,

fatto di continue penetrazioni contro giocatori molto più

fisicati di lui , comporta molti contatti e di conseguenza AI

subisce diversi acciacchi durante la stagione, che

pregiudicano alcuni aspetti del suo gioco, ma non gli

impediscono di chiudere con 28.4 punti , 4.7 assist e 2.1

rubate di media, che gli valgono la convocazione all ’Al l-Star

Game e l’ inclusione nell ’Al l-NBA Second Team. Snow

prende in mano la squadra quando ce n’è bisogno e Phila

arriva ai playoffs con la convinzione di poter far bene e,

nonostante Iverson e Snow non siano al 1 00%, riesce a

sbarazzarsi agevolmente degli Hornets, 3-1 . Al secondo

turno però arrivano ancora i Pacers e altra sconfitta, questa

volta per 4-2. La sensazione è che i Sixers e Allen abbiano

dato veramente tutto: hanno giocato sopra tanti infortuni e

hanno trovato le partite del la vita di alcune riserve, ma non è

bastato per proseguire nella post season.

La consapevolezza di dover dare ancora di più fa bene alla

squadra che l’anno successivo migl iora ancora arrivando a

56 vittorie (secondo migl ior record di stagione al pari dei Los

Angeles Lakers), guidata da un Iverson scinti l lante, che con

31 .1 punti vince per la seconda volta i l premio di migl ior

real izzatore, con 2.5 rubate quello di migl ior ruba palloni,

viene convocato all ’Al l-Star Game (di cui vincerà l ’MVP),

incluso nell ’Al l-NBA First Team e soprattutto nominato Most

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Valuable Player, dopo che nella stagione precedente aveva

ricevuto l ’unico voto non andato a Shaquil le O’Neal. È i l

giocatore più immarcabile del la Lega, nessun pari ruolo

riesce nemmeno a limitarlo e non solo domina

offensivamente ma aiuta la sua squadra anche nell ’altro lato

del campo. Sì, perché quei Sixers sono probabilmente la

migl ior difesa del campionato, soprattutto dopo aver

acquisito Dikembe Mutombo (poi Defensive Player of the

Year) dagli Atlanta Hawks in cambio di Kukoc e Ratl iff. Nel

primo turno di playoffs ci sono ancora i Pacers, questa volta

el iminati , nonostante gara 1 persa in casa 79-78. Al secondo

turno arrivano i Toronto Raptors di Vince Carter: la serie è

stupenda, è un vero e proprio duello tra le due superstar. In

gara 1 Toronto vince 96-93, ma in gara 2 Iverson pareggia la

serie segnando 54 punti per i l 97-92 finale. Si va in Canada

per gara 3, vinta dai padroni di casa 1 02-78 con il

cinquantel lo di Carter, e gara 4, vinta da Phila 84-79. Le

squadre tornano in terra americana sul 2-2 e Iverson va

ancora sopra i 50, 52 per l ’esattezza, portando Phila al la

vittoria 1 21 -88. Gara 6 è dei Raptors 1 01 -89, grazie a i 39 di

Carter, e gara 7 viene vinta da Phila 88-87, con Carter che

sbaglia i l tiro del la vittoria. I Sixers arrivano quindi al le Final i

di Conference e affrontano i Milwaukee Bucks di Ray Allen,

già avversario di Iverson ai tempi degli Hoyas. La serie è

equil ibratissima, in gara 6 Iverson ne mette 26 (46 total i) nel

quarto periodo ma i Bucks vincono 11 0-1 00 e costringono i

Sixers a gara 7. Non c’è partita: AI chiude con 44 punti, 6

rimbalzi e 7 assist, Mutombo ne aggiunge 23, 1 9 rimbalzi e

7 stoppate e i Sixers vincono 1 08-91 approdando alle

Finals, dove affrontano i Los Angeles Lakers, campioni

uscenti e con 11 vittorie su 11 partite disputate nei playoffs.

Si sa da subito che l’ impresa è delle più proibitive, i Lakers,

guidati dal trio O’Neal-Bryant-Jackson, sono una

schiacciassi, ma Iverson è nato per questi momenti e in

gara 1 raggiunge probabilmente i l punto più alto del la sua

carriera: con 48 punti, 6 assist, 5 rimbalzi e altrettante

rubate guida i suoi al la vittoria 1 07-1 01 al l ’overtime,

costringe Bryant a tirare 7/22 dal campo e infl igge a quella

corazzata la prima e unica sconfitta di quei playoffs. Come

detto i Lakers vincono la serie 4-1 , ma le medie delle Finals

di AI recitano 35.6 punti in 47.4 minuti giocati.

Nel le stagioni successive AI resta ad altissimi l ivel l i , ma i

Sixers non riescono più a ripetere quell ’exploit incredibi le.

L’anno dopo infatti vengono eliminati al primo turno dai

Celtics dopo aver chiuso la regular season a quota 43

vittorie, con Iverson che viaggia a 31 .4 punti (terza volta top

scorer) e 2.5 rubate (seconda volta top stealer) di media,

venendo convocato ancora alla partita del le stel le ed incluso

nell ’Al l-NBA Second Team, ma torna in parte i l sol ita degli

anni precedenti prendendosi quasi 28 tiri a partita

soprattutto a causa dei molti infortuni subiti dai suoi

compagni.

Durante l ’estate del 2002 viene arrestato con diverse

accuse tra cui i l possesso il lecito di armi, e nonostante

venga poi scagionato la sua immagine ne risente molto.

Tornando al basket giocato, i Sixers arrivano ancora ai

playoffs dopo aver vinto 48 partite in stagione, guidati

sempre da Iverson a quota 27.6 punti e 2.7 palle rubate

(terza volta consecutiva top stealer), convocato per la quarta

volta al l ’Al l-Star Game e inserito nel l ’Al l-NBA Second Team.

Ai playoffs però, dopo aver el iminato gl i Hornets 4-2, serie in

cui stabil isce in gara 1 i l record di franchigia con 55 punti,

deve arrendersi ai Pistons.

In estate Larry Brown decide di accettare l ’offerta proprio dei

Pistons e va ad allenare nella Motor City (vincendo il titolo al

termine della stagione) e i Sixers ne risentono così tanto che

chiudono con 33 vittorie e 49 sconfitte. Iverson salta 34

partite e chiude la stagione con 26.4 punti e 6.8 assist

tirando però con il 38.7% dal campo (career low). La

mancanza di una figura forte come guida destabil izza

Iverson, che era già stato criticato per non impegnarsi

troppo negli al lenamenti (basta vedere la sua famosissima

conferenza stampa a riguardo), e i compagni, che non

riescono più ad esprimersi al meglio del le loro possibi l ità.

Nella stagione ’04-’05 Phila ci riprova con un roster ricco di

veterani, Iverson torna il giocatore di prima, real izza 60 punti

(career high) contro i Magic i l 1 2 febbraio e chiude con 30.7

punti (top scorer), 7.9 assist e 2.4 rubate, portando i suoi a

vincere 43 partite, venendo convocato all ’Al l-Star Game (di

cui verrà eletto MVP per la seconda volta) e guadagnandosi

l ’ inclusione nell ’Al l-NBA First Team. Ai playoffs però altra

el iminazione al primo turno per mano dei Pistons con un

secco 4-1 .

I l ciclo è ormai al la fine, i Sixers ci provano la stagione

seguente aggiungendo al roster Chris Webber ma chiudono

con 38 vittorie non qualificandosi ai playoffs. Iverson viene

convocato all ’Al l-Star Game, incluso nell ’Al l-NBA Third Team

e segna ben 33 punti di media conditi da 7.4 assist, medie

che tiene anche all ’ inizio del la stagione successiva, ma la

dirigenza dei Sixers decide di rifondare e lo cede ai Denver

Nuggets. In Colorado forma con Carmelo Anthony una delle

coppie offensive più devastanti del la Lega, termina la

SpazioNBA.it Magazine - Back in the days

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stagione con 26.3 punti e 7.2 assist di media, ancora All-

Star, i Nuggets si qualificano ai playoffs ma escono al primo

turno contro i San Antonio Spurs.

La stagione ’07-’08 è l’ultima giocata ai l ivel l i che lo hanno

da sempre contraddistinto: chiude con 26.4 punti , 7.1 assist

e 2 rubate di media, nona volta tra gl i Al l-Star, i Nuggets

arrivano a 50 vittorie e sono sicuramente uno dei migl iori

attacchi del la Lega, ma ai playoffs conta difendere ed

escono ancora al primo turno, sweeppati dai Lakers.

Nella stagione seguente, dopo sole 3 partite Denver decide

di cedere il nativo di Hampton ai Detroit Pistons in cambio di

Chauncey Bil lups. Iverson vede il suo minutaggio e le sue

cifre ridursi, ma la sua popolarità è sempre alle stel le e

nonostante segni “solo” 1 7.4 punti di media in maglia

Pistons viene comunque convocato per la decima volta

al l ’Al l-Star Game. AI perde ancora al primo turno di playoffs,

questa volta contro i Cavs, ma non gioca in post season a

causa di un infortunio, anche se il motivo reale pare sia un

altro. Pochi giorni prima infatti aveva dichiarato che,

piuttosto che partire dalla panchina come avrebbe voluto

coach Michael Curry, si sarebbe ritirato e la dirigenza

sembra abbia deciso di punirlo mandandolo in tribuna.

In estate diventa free agent e viene firmato dai Memphis

Grizzl ies con cui però gioca solo 3 partite prima di

abbandonare la squadra per motivi personali , per poi

tornare ai Sixers. Dopo sole 25 partite, in cui segna 1 3.9

punti di media, decide di lasciare Philadelphia a causa delle

condizioni critiche della figl ia di 4 anni.

Ritorna al basket giocato nel 201 0, firmando con i turchi del

Besiktas, con cui però gioca solo 1 0 partite, per poi ritirarsi

definitivamente il 30 ottobre 201 3.

24368 punti, 5624 assist, 3394 rimbalzi e 1 983 rubate in 91 4

partite giocate tra i pro. MVP nel 2001 , Rookie of the Year,

All-Rookie First Team e MVP del Rookie Challenge del

1 997, 4 volte migl ior marcatore, 3 volte migl ior ruba palloni,

3 volte nell ’Al l-NBA First Team, 3 volte nell ’Al l-NBA Second

Team, una volta nell ’Al l-NBA Third Team, 11 volte All-Star, 2

volte MVP dell ’Al l-Star Game e maglia ritirata dai

Philadelphia 76ers l ’1 marzo 201 4.

Ha sempre dato il massimo, anche quando non è riuscito a

vincere. Le sue prestazioni ai playoffs (29.7 punti di media in

post season) sono state sempre di altissimo livel lo ed ha

sempre portato i l suo gioco ad un livel lo superiore quando

necessario.

Ha decisamente fatto a modo suo. Un mix esplosivo di

genio, sregolatezza, talento e soprattutto tanto, tantissimo

cuore, che lo hanno reso uno dei giocatori più amati del la

sua generazione. Ha segnato il basket dentro e fuori i l

campo, cambiando per sempre tanti aspetti di questo

mondo, diventando un idolo delle fol le e dominando la Lega

dall ’alto dei suoi 1 80 centimetri .

Un giocatore e un personaggio unico, che ha portato lo sti le

di vita del la strada nel mondo della pallacanestro. Un uomo

che si è fatto da solo, è sempre ripartito dai suoi fal l imenti e

non ha mai rinunciato a cercare di raggiungere un obiettivo.

Semplicemente The Answer.

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Appena l’autobus svoltò su Lasalle Street lo videro, i l mitico

Louisiana Superdome era davanti ai loro occhi. J immy e

Matt si scambiarono un’occhiata complice, erano sbalorditi ,

e sapevano con certezza che malgrado tutto, i l loro futuro

era lontano da posti come quello. James era

concentratissimo, quello sarebbe stato l ’ultimo anno con

quei ragazzi e voleva più di ogni altra cosa vincere quel

titolo collegiale che gli era stato scippato da Isiah Thomas

appena un anno prima; Sam, invece, folgorato dalla

magnificenza del palazzo, dimenticò per un istante Patrick

Ewing, l ’uomo che gli togl ieva il sonno.

In fondo al pul lman però, c’era qualcuno che non sembrava

impressionato. Non importava quello che ci fosse al di là del

finestrino, per quanto gl i riguardava poteva esserci anche la

Tour Eiffel.

Michael aveva lo sguardo perso nel vetro. Ripassava come

uno scolaretto prima dell ’esame tutto quello che aveva

studiato la notte precedente. Sapeva già come sarebbe

andata la partita contro Georgetown.

Al mattino aveva chiamato sua madre: “Mà, vinciamo noi!”

aveva detto al la signora Dolores, e nonostante la perplessità

di sua madre, rincarò la dose “[vinciamo di 1 e i l tiro del la

vittoria lo metto io”.

Poco importa che lui fosse un freshman e che coloro a cui

spettava l’eventuale tiro della vittoria si chiamassero Sam

Perkins e James Worthy, nel suo mondo ideale i l tiro

sarebbe toccato a lui.

Qualcosa nella mente di Michael iniziò a ticchettare, era i l

cronometro della partita, mancavano 6 secondi al la fine, 5.

Vedeva se stesso muoversi senza palla e posizionarsi sul

lato debole pronto a ricevere la palla. Immaginò quale difesa

avrebbe potuto usare Georgetown in un ultimo possesso

contro di loro.

“Useranno sicuramente la zona 1 -3-1 ” pensò. Dean Smith si

alza dalla panca e Michael pensa a tutte quelle volte in cui

Coach Smith era stato criticato per non aver mai vinto nul la

nei suoi 21 anni a Chapel Hil l , le tre sconfitte in finale –

l’ultima delle quali l ’anno prima contro Indiana – le semifinal i

perse. Mike voleva disperatamente regalare i l titolo a Smith,

voleva portare il titolo a North Carolina. L’orologio continuò a

ticchettare e Michael si sforzò di sognare ancora. Mancano

3 secondi al la fine. Palla a Jordan[

I l pul lman parcheggiò frettolosamente nel garage privato del

Superdome costringendo Michael ad abbandonare il suo

sogno ad occhi aperti . La realtà lo chiamava. Di l ì a poco

quelle emozioni le avrebbe provate davvero.

l palazzo era strapieno e la partita, come da pronostico,

scorreva sulle al i del l ’equil ibrio con James Worthy (28 punti)

e Patrick Ewing (23 punti e 11 rimbalzi) a contendersi i l

premio di Most Outstanding Player. Mancano 32 secondi

al la fine e Georgetown conduce 62-61 . Time-out Carolina.

È il momento chiave della partita e Coach Smith in piedi di

fronte ai suoi ragazzi lo sa bene.

“Ragazzi, andiamo ad attaccare la zona 1-3-1”

Coach Dean Smith

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Mike sorride, questa volta non ha bisogno di chiudere gli

occhi, sa già cosa fare.

Smith va da Black, i l suo playmaker, e gl i dice: “J immy, la

nostra prima opzione è Worthy, tieniti pronto per un lob

dentro per lui. Se non è possibi le, ribalta sul lato debole per

Jordan.”

Le squadre stanno rientrando in campo.

“Michael” urla Coach Smith “metti la dentro”.

Jordan annuisce, deve solo eseguire quanto sognato sul

pul lman. Guarda i 62 mila spettatori e decide di renderl i

fel ici . La palla è come da copione delle mani di Black.

Guarda dentro ma Worthy è circondato da maglie blu. Si va

in automatico, pal la a Jordan.

Mancano 1 7 secondi al la fine, Dean Smith è in piedi,

Michael tira fuori la l ingua e fa partire l ’arcobaleno.Canestro.

Georgetown è alle corde e all ’ultimo possesso Fred Brown,

regala la palla a James Worthy.

North Carolina è campione!

Quella sera di fine marzo a New Orleans nacque Michael

Jeffrey Jordan e di l ì in poi nul la sarebbe stato più lo stesso,

i l mondo del basket sarebbe cambiato per sempre e perfino

i l nostro modo di intendere lo sport più bello del mondo

sarebbe stato figl io di quel tiro preso a 1 7 secondi dal la fine

da un freshman.

Non un semplice tiro, ma “I l Tiro”, “The Shot”.

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WHO IS: Shaquil le Rashaun O’Neal nasce a Newark, New

Jersey, i l 6 marzo 1 972. Suo padre, Joseph Toney, ha

problemi legati al l ’abuso di sostanze stupefacenti e, nel

1 973, viene arrestato per possesso di droghe. Toney non è

mai stato parte integrante della vita del figl io, che è stato

cresciuto dalla madre, Lucil le O’Neal, e dal patrigno, Phil l ip

A. Harrison. Shaq non ha mai voluto ristabil ire i rapporti con

il suo padre biologico, affermando più volte “Phil è mio

padre”.

Passa la sua gioventù nella Germania dell ’Ovest poichè il

patrigno era d’istanza alla base di Wildflecken con l’esercito

americano, venendo addirittura scambiato da Dale Brown,

coach di LSU, per un mil itare in servizio, per poi trasferirsi a

San Antonio, dove guida la Robert G. Cole High School a un

record di 31 vittorie e una sola sconfitta nel la stagione da

junior, 36 vittorie e nessuna sconfitta nel la stagione da

senior. In questa stagione Shaq, che ha già superato i 2

metri di altezza e i 1 20 chilogrammi di peso, domina

letteralmente chiudendo con 32 punti e 22 rimbalzi a partita,

guadagnandosi i l titolo di All-American e portando il suo

l iceo al titolo statale.

Diversi col lege, tra cui Louivi l le, UNLV, North Carolina e

North Carolina State, sono in fi la per assicurarsi i l suo

talento, ma alla fine Little Warrior (Shaquil le Rashaun in

Arabo significa proprio “Piccolo Guerriero”) decide di andare

proprio al la Louisiana State University di coach Brown, che

per primo aveva riconosciuto i l suo talento.

Dopo una prima stagione di ambientamento, in cui

comunque mette a referto 1 3.9 punti , 1 2 rimbalzi e 3.6

stoppate di media tirando con il 57% dal campo, esplode

nella stagione da sophomore: 27.6 punti , 1 4.7 rimbalzi, 5

stoppate e il 62.8% al tiro, numeri che gli valgono l’Adolph

Rupp Trophy come migl ior giocatore del Paese. Chiude

l’esperienza universitaria dopo la stagione da junior, in cui

mette a referto 24.1 punti , 1 4 rimbalzi e 5.2 stoppate,

decidendo di entrare nel Draft del 1 992, per poi

successivamente completare gl i studi per corrispondenza

nel 2000.

NBA CAREER: O’Neal non è soltanto pura potenza, è

anche tanta tecnica e una personalità incredibi le, qual ità che

fanno intravedere in lui un giocatore che potrebbe fare

grandi cose tra i pro. Viene scelto con la prima chiamata

assoluta dagli Orlando Magic, con cui vince il premio di

Rookie of the Year dopo una stagione da 23.4 punti , 1 3.9

rimbalzi e 3.5 stoppate, che con la sua presenza vincono 20

partite in più del l ’anno precedente e mancano i playoffs per

un soffio, arrivando alla pari con gli Indiana Pacers. Durante

la stagione da rookie inoltre diventa la prima matricola dopo

Michael Jordan ad essere votato come titolare nell ’Al l-Star

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Game. La stagione però viene anche ricordata per due

episodi particolari , due schiacciate incredibi l i con cui i l

giovane O’Neal rompe la struttura del canestro.

I Magic vincono ancora incredibi lmente la lottery, scelgono

Chris Webber ma lo cedono ai Warriors in cambio di

Anfernee “Penny” Hardaway, terza scelta assoluta. Shaq nel

frattempo migl iora le sue cifre mettendo a referto 29.3 punti ,

1 3.2 rimbalzi, 2.4 assist e 2.9 stoppate a partita, real izzando

la prima tripla doppia della sua carriera i l 20 novembre

contro i Nets (24 punti, 28 rimbalzi e 1 5 stoppate,

QUINDICI !), guadagnandosi ancora l ’Al l-Star Game e per la

prima volta l ’ inclusione nell ’Al l-NBA Third Team. I Magic si

qual ificano per la prima volta nella loro storia ai playoffs con

un record di 50 vittorie e 32 sconfitte, ma perdono 3-0 al

primo turno contro gl i Indiana Pacers.

La stagione 1 994-1 995 è quella del la definitiva esplosione.

29.3 punti (migl ior real izzatore nella Lega), 1 1 .4 rimbalzi, 2.7

assist, 2.4 stoppate che valgono l’Al l-Star Game,

l ’ inserimento nell ’Al l-NBA Second Team e il secondo posto,

dietro a David Robinson, nel la classifica per l ’MVP. I Magic

vincono 57 partite e arrivano ai playoffs come testa di serie

numero 1 . Al primo turno si sbarazzano dei Celtics, 3-1 , con

Shaq che, sul l ’1 -1 , domina gara 3 realizzando 20 punti e 21

rimbalzi; al secondo turno battono 4-2 i Chicago Bulls, orfani

di Jordan, guidati dal sol ito O’Neal, autore di 24.3 punti , 1 3.2

rimbalzi, 4 assist e 2 stoppate; al le Conference Finals si

trovano davanti gl i Indiana Pacers di Reggie Mil ler. La serie

è equil ibratissima nelle prime 5 partite, con scarti da 1 a 5

punti. I Magic sono in vantaggio 3-2 ma vengono distrutti a

Indianapolis in gara 6, 1 23-96 nonostante uno Shaq da 35

punti e 1 3 rimbalzi. In gara 7 però, nonostante i l #32 faccia

una partita nel la norma, real izzando 26 punti e 6 rimbalzi,

Orlando vince 1 05-81 , accedendo alle Finals. I numeri del la

serie di O’Neal sono impressionanti considerando che è un

giocatore al terzo anno e alla prima vera esperienza ai

playoffs: 27.3 punti , 9.6 rimbalzi, 2.4 assist, 1 .1 rubate, 1 .7

stoppate e il 66% dal campo. In Finale ci sono gli Houston

Rockets di un altro centro dominante, Hakeem Olajuwon,

che vincono 4-0 nonostante i l fattore campo fosse a favore

dei Magic. A Orlando non bastano i 28 punti, 1 2.5 rimbalzi,

6.3 assist e 2.5 stoppate di Shaq.

La squadra della Florida ci riprova la stagione seguente.

O’Neal salta 28 partite per infortunio ma con 26.6 punti , 1 1

rimbalzi, 2.9 assist e 2.1 stoppate partecipa ancora alla

partita del le stel le e viene inserito nel l ’Al l-NBA Third Team.

I Magic arrivano a 60 vittorie, ma sono secondi a est dietro

la stagione record da 72 vittorie dei Bul ls. Al primo turno

eliminano con un secco 3-0 i Detroit Pistons, al secondo 4-1

agl i Atlanta Hawks ma in Finale di Conference arrivano i

Bul ls, che vincono senza problemi 4-0. Shaq chiude i

playoffs con 25.8 punti, 1 0 rimbalzi, 4.6 assist e 1 .3 stoppate

di media, dimostrando di essere pronto a vincere, così in

estate, dopo aver vinto la medaglia d’oro olimpica a Atlanta,

decide di cambiare aria, di andare in una squadra dalla

grande tradizione, e firma un contratto da 1 21 mil ioni di

dol lari in 7 anni con i Los Angeles Lakers.

I gial loviola sono una squadra in piena ricostruzione dopo lo

Showtime. Hanno alcuni giovani interessanti come Eddie

Jones, Nick Van Exel e i l rookie Kobe Bryant, a cui si

affiancano veterani e giocatori già affermati come Elden

Campbell e Byron Scott. Con l’arrivo di Shaq le aspettative

sono molto alte, ma ci vuole qualche anno prima che queste

aspettative vengano rispettate.

Nella prima stagione da Laker O’Neal salta 31 partite per

infortunio, real izzando però 26.2 punti , 1 2.5 rimbalzi, 3.1

assist e 2.9 stoppate nelle 51 partite giocate, che gli valgono

l’Al l-Star Game e l’Al l-NBA Third Team. I Lakers vincono 56

partite, si qual ificano ai playoffs ma, dopo aver battuto 4-0 i

Blazers con uno Shaq da 33 punti di media nella serie,

vengono eliminati al secondo turno, 4-1 dagli Utah Jazz.

La stagione seguente salta ancora 22 partite a causa di

infortuni, chiude con 28.3 punti , 1 1 .4 rimbalzi, 2.4 assist e

2.4 stoppate, partecipa ancora all ’Al l-Star Game, viene

inserito nel l ’Al l-NBA First Team e guida i Lakers a vincere 61

partite, conquistando il tiolo del la Pacific Division. Ai

SpazioNBA.it Magazine - Back in the days

27

playoffs, dopo aver el iminato i Blazers 4-0 (29 punti e 11 .8

rimbalzi di media nella serie per O’Neal) e i Sonics 4-1 (30.6

punti e 9.6 rimbalzi di media), sono ancora i Jazz ad

eliminare Shaq e compagni, con un perentorio 4-0.

I Lakers stanno crescendo, guidati dal la coppia O’Neal-

Bryant, ma la stagione 1 998-1 999 è caratterizzata, oltre che

dal lockout, da diversi cambi a l ivel lo di staff e giocatori. Van

Exel, Jones, Campbell e coach Del Harris salutano El

Segundo, mentre in arrivo ci sono Glen Rice e Kurt Rambis,

come nuova guida tecnica. La sostanza però non cambia:

O’Neal gioca probabilmente la peggior stagione da quando

è nella Lega e chiude con 26.3 punti , 1 0.7 rimbalzi, 2.3

assist e 1 .7 stoppate, per la prima volta non è un All-Star ma

viene comunque incluso nell ’Al l-NBA Second Team. La

squadra arriva ai playoffs, el imina Houston in 4 partite ma

viene eliminata dagli Spurs con uno sweep. Manca

qualcosa, quel qualcosa che renda un gruppo di ottimi

giocatori una squadra da titolo.

Quel qualcosa ha un nome e cognome: Phil ip Douglas

Jackson.

Con l’arrivo del coach protagonista dei 6 titol i di Chicago, a

LA si respira una nuova aria. Jackson motiva Shaq, dichiara

che il trofeo di MVP sarebbe dovuto essere stato rinominato

al ritiro del #34 e, grazie al la Triangle Post Offense di Tex

Winter, costruisce un sistema che permette a O’Neal, Bryant

e agli altri interpreti di esprimersi al meglio. O’Neal chiude la

stagione con 29.7 punti (leader della Lega), 1 3.7 rimbalzi,

3.8 assist e 3 stoppate, vince l’MVP, partecipa all ’Al l-Star

Game (di cui vince l’MVP con Tim Duncan), viene incluso

nell ’Al l-NBA First Team e nell ’Al l-Defensive Second Team. È

il primo giocatore da Kareem Abdul-Jabbar, nel la stagione

’76-’77, a finire tra i primi tre nella Lega per punti, rimbalzi,

percentuale dal campo e stoppate. I Lakers arrivano ai

playoffs con 67 vittorie, al primo turno eliminano i Kings 3-2,

al secondo i Suns 4-1 , al le Conference Finals i Portland

“Jail” Blazers 4-3, dopo un’incredibi le rimonta in gara 7.

Nelle Finals si sbarazzano dei Pacers 4-2 e O’Neal viene

nominato MVP, chiudendo la serie con 38 punti, 1 6.7

rimbalzi, 2.3 assist, 1 rubata, 2.7 stoppate e il 61 % dal

campo, probabilmente la migl ior serie finale di sempre.

I Lakers sono una corazzata, la stagione 2000-01 si chiude

con 56 vittorie, i l duo O’Neal-Bryant domina la Lega, con il

primo che realizza 28.7 punti , 1 2.7 rimbalzi, 3.7 assist e 2.8

stoppate a partita, e i l secondo 28.5 punti, 5.9 rimbalzi, 5

assist e 1 .7 rubate. Altro All-Star Game per Shaq, altro All-

NBA First Team, altro All-Defensive Second Team e altro

viaggio ai playoffs. 3-0 ai Blazers, 4-0 ai Kings, 4-0 agli

Spurs, 4-1 in Finale ai Sixers. I l migl ior cammino di sempre

nella postseason. O’Neal viene ancora nominato MVP delle

Final i , con 33 punti, 1 5.8 rimbalzi, 4.8 assist, 3.4 stoppate e

il 57.3% dal campo, i l tutto essendo marcato da Dikembe

Mutombo, Defensive Player of the Year. In gara 3 Shaq

viene espulso proprio a causa di un fal lo in attacco

commesso contro i l congolese, e, al termine della partita,

dichiara:

Prima della stagione 2001 -2002 viene operato al piede

sinistro, ma è pronto per l ’ inizio del la stagione. Tuttavia i l

piede gli dà diversi problemi e lo costringe a saltare 1 2

partite che, aggiungendo 3 partite di squalifica dopo una

rissa con Brad Mil ler, diventano 1 5. Realizza comunque

28.7 punti, 1 0.7 rimbalzi, 3 assist e 2 stoppate a partita, ma

la sua leadership è messa in dubbio da Bryant, al la sua

prima stagione da vero trascinatore della squadra. O’Neal è

ancora All-Star, viene incluso nell ’Al l-NBA First Team e vince

per la terza volta consecutiva l ’MVP delle Finals, dopo aver

"Non avrei mai pensato che il miglior difensore della

Lega avrebbe floppato in quel modo. È vergognoso che

gli arbitri ci siano cascati. Avrei voluto che lui fosse

stato in piedi e mi avesse affrontato come un uomo,

piuttosto che floppare e piangere ogni volta che andavo

contro di lui."

Shaquille O'Neal

28

eliminato 3-0 i Blazers, 4-1 gl i Spurs, 4-3 i Kings e 4-0 i

Nets, chiudendo le Final i con 36.3 punti , 1 2.3 rimbalzi, 3.8

assist e 2.8 stoppate di media.

Shaq fatica ad accettare che Kobe lo stia superando nelle

gerarchie e tra i due il rapporto inizia ad inasprirsi. Durante

l ’estate O’Neal decide di sottoporsi ad una nuova

operazione al piede, ma aspetta fino al giorno prima del

training camp, dicendo di essersi infortunato lavorando e

che quindi sarebbe guarito durante i l periodo di lavoro. La

situazione peggiora dopo la stagione 2002-2003 con O’Neal

autore di 27.5 punti , 1 1 .1 rimbalzi, 3.1 assist e 2.4 stoppate,

di nuovo All-Star, nel l ’Al l-NBA First Team e nell ’Al l-Defensive

Secon Team, ma con i Lakers eliminati al secondo turno dei

playoffs, 4-2 dagli Spurs, dopo aver battuto i Wolves 4-2.

La dirigenza decide di provare il tutto per tutto e, nel la free

agency, firma Karl Malone e Gary Payton. Shaq però chiede

un aumento salariale, urlando “Pagami!” a Jerry Buss,

propietario dei Lakers, durante una partita di preseason, e la

tensione con Bryant è ormai palpabile. I due si criticano

durante le interviste, con Bryant che afferma che il

compagno sia fuori forma e anteponga i soldi agl i interessi

del la squadra, e Shaq che non si esime dal parlare delle

accuse di stupro del #8. La stagione del centro si chiude con

21 .5 punti , 1 1 .5 rimbalzi, 2.9 assist e 2.5 stoppate, con

l’MVP All ’Al l-Star Game e l’ inserimento nell ’Al l-NBA First

Team. I Lakers arrivano alle Finals con i favori dei pronostici

dopo aver battuto 4-1 Houston, 4-2 San Antonio e 4-3

Minnesota, ma perdono malamente 4-1 contro i Pistons di

Larry Brown.

In estate Shaq critica l ’operato della società, rea di aver

lasciato andare Phil Jackson e di voler puntare su Bryant, e

chiede di essere ceduto. Kupchack prova a scambiarlo con i

Mavericks in cambio di Dirk Nowitzki, ma alla fine cede alle

richieste dei Miami Heat, che mandano in California Caron

Butler, Lamar Odom, Brian Grant e una prima scelta futura.

Nel primo anno a Miami, O’Neal promette ai fan che

avrebbe portato l ’anel lo in Florida. Gli Heat vanno subito

fortissimo e, già al la prima stagione, chiudono con il migl ior

record della Lega. Shaq realizza 22.9 punti , 1 0.4 rimbalzi,

2.7 assist e 2.3 stoppate, partecipa all ’Al l-Star Game e viene

incluso nell ’Al l-NBA First Team. Gli Heat el iminano i Nets e i

Wizards 4-0, ma perdono nelle Conference Finals contro i

Detroit Pistons, cedendo solo in gara 7, 88-82.

Durante l 'estete O'Neal firma un’estensione contrattuale con

gli Heat, 1 00 mil ioni in 5 anni, ed è pronto ad iniziare la

nuova stagione dopo aver perso per una manciata di voti

l ’MVP 2004-05 (vinto da Steve Nash), ma alla seconda

partita subisce un infortunio al la cavigl ia che gli fa saltare 1 8

partite. Al suo ritorno Stan Van Gundy, fortemente criticato

da O’Neal durante i precedenti playoffs, si dimette e al suo

posto arriva Pat Riley. Riley decide di preservare O’Neal

durante la regular season, che chiude con 20 punti, 9.2

rimbalzi, 1 .9 assist e 1 .8 stoppate, venendo convocato

all ’Al l-Star Game e inserito nel l ’Al l-NBA First Team. Gli Heat

el iminano i Bul ls 4-2, i Nets 4-1 , i Pistons 4-2 e vincono in

rimonta i l titolo, 4-2 contro i Dallas Mavericks. È il quarto e

ultimo anello per Shaq.

Nella stagione 2006-07 salta 35 partite dopo essersi

sottoposto ad un nuovo intervento, questa volta al ginocchio

sinistro, nel mese di novembre. Gioca soltanto 40 partite,

real izzando 1 7.3 punti , 7.4 rimbalzi, 2 assist e 1 .4 stoppate,

ma viene comunque convocato all ’Al l-Star Game. Gli Heat

faticano senza Shaq, chiudono con il quarto seed come

campioni del la Southeast Division, ma al primo turno

affrontano in Bulls che, a causa di un migl ior record, hanno il

fattore campo. Miami viene eliminata 4-0, nonostante una

buona serie di Shaq che però, al l ’età di 34 anni, non è più

un fattore come un tempo.

Nella stagione successiva, dopo 33 partite sottotono, diversi

infortuni e una lite con Riley, gl i Heat decidono di cederlo ai

"O’Neal se ne è andato perché non poteva ottenere ciò

che voleva – un aumento contrattuale. Non c’è nessuna

proprietà che gli darebbe ciò che vuole. Le richieste di

Shaq hanno tenuto in ostaggio la franchigia e il suo

modo di fare non è affatto piaciuto a Jerry."

Tex Winter, assistente di Phil Jackson

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Phoenix Suns in cambio di Shawn Marion e Marcus Banks.

Shaq chiude la stagione con 1 3.6 punti , 9.1 rimbalzi, 1 .5

assist e 1 .4 stoppate di media, aiutando i Suns a

raggiungere i playoffs, in cui però vengono eliminati dagl i

Spurs 4-1 .

Lo staff medico dei Suns, si sa, fa miracoli . Nel la stagione

seguente infatti O’Neal migl iora sensibi lmente le sue cifre,

chiudendo con 21 .3 punti , 1 0.1 rimbalzi, 2 assist e 1 .7

stoppate in 75 partite giocate (mai così tante dalla stagione

’99-’00 e soltanto quinta stagione in carriera con almeno 75

partite giocate), tornando all ’Al l-Star Game, di cui vince di

nuovo l’MVP insieme al suo amico-nemico Kobe Bryant, e

venendo inserito nel l ’Al l-NBA Third Team, ma i Suns non

raggiungono i playoffs.

Phoenix decide così di tagl iare i costi e cede O’Neal ai

Cleveland Cavaliers in cambio di Sasha Pavlovic, Ben

Wallace e una seconda scelta.

Lontano dall ’Ariziona, Shaq torna ad avere problemi fisici ,

salta 29 partite ma chiude comunque con 1 8.5 punti , 1 0.3

rimbalzi, 2.3 assist e 1 .8 stoppate. Torna in campo per i l

primo turno dei playoffs, in cui i Cavs hanno la meglio sui

Bul ls 4-1 , ma il sogno di vincere il quinto titolo si spegne al

secondo turno, in cui Cleveland, testa di serie #1 , viene

eliminata 4-2 dai Boston Celtics.

La carriera di Shaq è agli sgocciol i , prova a raggiungere il

quinto anello andando dai rival i di sempre, i Boston Celtics

di Rondo, Allen, Pierce e Garnett. Nonostante i diversi

infortuni di O’Neal, la dirigenza decide di cedere Perkins ai

Thunder in cambio di Jeff Green, per lasciare più spazio al

#36. Le sue condizioni però sono peggiori del previsto:

gioca soltanto 37 partite, in cui comunque realizza 1 6.3

punti , 8.5 rimbalzi, 1 .2 assist e 2 stoppate di media, ed è

costretto a saltare tutto i l primo turno dei playoffs, che i

Celtics vincono 4-0 contro i New York. Torna in gara 3 del

secondo turno ma non è sufficiente per evitare la sconfitta,

4-1 contro i Miami Heat dei suoi vecchi compagni Wade e

James.

L’1 giugno, attraverso il suo account Twitter annuncia i l ritiro.

1 9 anni di carriera, 28596 punti segnati (sesto al l-time),

1 3099 rimbalzi, 3026 assist, 2732 stoppate (nono all-time), 4

titol i NBA, 3 MVP delle Finals, un MVP della regular season,

8 volte nell ’Al l-NBA First Team, 2 volte nell ’Al l-NBA Second

Team, 4 volte nell ’Al l-NBA Third Team, 3 volte nell ’Al l-

Defensive Second Team, 2 volte migl ior real izzatore

dell ’NBA, 1 5 volte All-Star, 3 volte MVP dell ’Al l-Star Game,

numero 34 ritirato dai Los Angeles Lakers.

Ci sarebbe ancora tantissimo da dire, soprattutto per quanto

riguarda la sua vita fuori dal campo. Dalle interviste contro

Van Gundy alle canzoncine contro Divac, dal la sua

strabordante personalità al feud con Bryant. Tante cose di

cui, prima o poi, vi prometto che parleremo, perché Shaq è

un giocatore e personaggio unico, che merita più di un

semplice articolo.

"Il mio motto è molto semplice: Win a Ring for the

King!"

Shaquille O’Neal

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SpazioNBAStories

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Ci sono situazioni, eventi , talmente causali che credere alle

coincidenze diventa un arduo compito. Quella sera di

Novembre è una delle circostanze in cui i l disegno del Caso

si fa talmente articolato e tempestivo da costringerti ad

inchinarti al la sua maestosità, oppure iniziare a dubitare

della sua effettiva esistenza. Tendendo a far parte del

secondo gruppo, voglio presentarvi questa vicenda come

l’opera scaturita dal la mano di un abile drammaturgo. Lascio

dunque la parola al le maschere principal i di questa tragedia

contemporanea, in modo che le loro parole e le suggestive

immagini possano appassionare il lettore più di quanto sia in

grado di fare un semplice narratore.

PROLOGO

La stagione precedente dei Pacers, nonostante i l migl ior

record della lega, si era chiusa con la sconfitta in Eastern

Conference Finals per mano dei Pistons, laureatisi poi

campioni. Gara 6 di quel la serie, giocata con O’Neal e

Tinsley infortunati , era stata teatro dei primi veri screzi tra le

due franchigie, con Artest che nel momento cruciale

del l ’ultimo periodo aveva rifi lato una gomitata sul viso a Rip

Hamilton.

I Pacers avevano passato tutta l ’estate a rammaricarsi per

la sconfitta, convinti di essere più forti dei Pistons,

sensazione accresciutasi ancora di più con l’arrivo di

Stephen Jackson durante quell ’estate. La stagione 2004/05

dei Pacers era cominciata con le migl iori aspettative e con la

squadra decisa ad arrivare fino in fondo, potendo contare su

un roster di primissimo livel lo ed un allenatore competente

come Rick Carl isle, l icenziato l ’anno prima dai Pistons per

un rapporto non idi l l iaco con la società e subito messo sotto

contratto da Indiana. L’occasione per sovvertire le gerarchie

dell ’anno precedente era arrivata, proprio al l ’ inizio del la

Regular Season, ed i Pacers dovevano soltanto coglierla.

EPISODI

1 9 Novembre 2004, The Palace of Auburn Hil ls, Michigan.

La partita è intensa, aggressiva, ferina. Indiana domina, si

mette davanti e non permette ai Pistons di tornare sotto. A

metà dell ’ultimo quarto Rip Hamilton colpisce Tinsley con

una gomitata nella schiena, la panchina dei Pacers esplode

ma nessun flagrant foul viene chiamato. Due canestri

consecutivi di Stephen Jackson chiudono la partita a 3’ dal

termine. Non c’è storia, Indiana è entrata nella tana del lupo

e l’ha pure fatto fuori, ma i giocatori non smettono di giocare

duro. Ben Wallace spinge Artest contro i l supporto del

canestro durante una stoppata giudicata regolare dagli

arbitri .

Artest avverte Wallace che l’avrebbe colpito. E così avviene

pochi secondi dopo.

I l fal lo di Artest sarebbe stato al massimo un flagrant one,

c’era davvero poca cattiveria in quel contatto, e guardando

le immagini ci si stupisce davanti al la reazione spropositata

del giocatore dei Pistons. Quello che spesso si dimentica di

raccontare, però, è che Ben Wallace stava attraversando un

periodo diffici le: suo fratel lo era morto da una decina di

giorni a causa di un tumore al cervello, ed egli era da poco

tornato a giocare nel tentativo di superare il lutto.

Era decisamente la persona sbagliata a cui fare un fal lo

gratuito in quel momento.

Dopo lo scontro, Artest è sdraiato sul tavolo degli assistenti

di gara nel tentativo di placare i suoi istinti , Wallace continua

ad agitarsi ma la distanza tra i due parrebbe non creare

alcun pericolo. L’animo più caldo, in quel momento, è senza

dubbio quello di Stephen Jackson.

"Era il caos assoluto, al punto che temevi davvero per

la tua vita. Non sapevamo se a quel punto qualcuno

avrebbe tirato fuori un coltello o una pistola. I tifosi

invadevano il campo e provocavano i giocatori

cercando di scatenare delle risse. Non avevo mai visto

nulla del genere.”

Tim Donaghy, arbitro "Verso la fine della partita, ricordo di aver sentito

qualcuno dire a Ron “Puoi farne uno adesso”. L’ho

sentito. Penso che qualcuno stesse tirando un tiro

libero. Qualcuno ha detto a Ron “Puoi farne uno

adesso”, intendendo che poteva fare fallo su qualcuno

con cui aveva avuto problemi durante la partita.”

Stephen Jackson

"È difficile dire “non faro più questo” o “non farò più

quello”, perché in una situazione del genere non sai

come potrai reagire. È stata una situazione unica con

così tante cose che accadevano troppo in fretta.”

Ben Wallace

La cosa che mi ha più infastidito mentre cercavamo di

dividere Ben e Ron, è stata che un sacco di compagni di

Ben continuavano a provocare. Stavo cercando di

aiutare a calmare l’ambiente quando ho sentito Rip

Hamilton e Lindsey Hunter parlare, allora mi sono detto

“Ok, non hanno intenzioni di farla finita, continuano a

provocare. Fammi vedere cosa vogliono.” Ero in

modalità combattimento. Gli dico “Siete stati molto

irrispettosi, ragazzi. Noi stiamo cercando di farla finita.

Dunque, se volete combattere , vi darò quello che state

cercando.” Era solo un mucchio di rumore, solo trash

talking. Io e Rip siamo davvero buoni amici. Ma, in quel

momento, le emozioni erano davvero incontrollabili.

32

Jack viene portato via e la situazione sembra essere sotto

control lo. Wallace, al culmine dell ’agitazione, si togl ie

l ’armband (la fascia elastica sul braccio) e la lancia in

direzione di Artest. Non lo prende, anzi, lo manca di

parecchio, ma il gesto viene colto dai tifosi come se fosse

un “aprite i l fuoco”. Nel giro di pochi secondi un bicchiere

pieno colpisce Artest dritto sul petto ed il vaso mentale di

Ron trabocca. Salta in piedi sul tavolo e si butta sugl i spalti ,

scavalcando Mark Boyle (radiocronista dei Pacers) alzatosi

nel tentativo di fermarlo, che ne ricaverà ben cinque

vertebre fratturate dopo essere stato calpestato da

parecchie persone.

Artest prende per i l bavero un tifoso dei Pistons urlandogli

se sia stato lui a tirare i l bicchiere. La risposta è negativa,

colui che ha innescato la miccia (John Green, l ’uomo con la

maglia blu ed il cappell ino) sta già tenendo Ron da dietro nel

tentativo, piuttosto vano, di immobil izzarlo per evitare che

colpisca la persona sbagliata. In quel momento un altro

tifoso decide di vuotare un bicchiere di birra in faccia ad

Artest, birra che bagna anche l’accorrente Stephen Jackson

il quale non esita a stendere il suddetto tifoso con un pugno.

Nel frattempo gli spalti si riempiono di giocatori e dirigenti .

Fred Jones, andato per sedare la rissa, è assalito al le spalle

da David Wallace, fratel lo di Ben, anche lui in pieno clima

guerrigl iero. Mike Brown, al lora vice-al lenatore dei Pacers,

viene colpito dal lo stesso tifoso che cercava di tenere fermo

Artest, nonostante fosse salito per cercare di riportare

quest’ultimo in campo.

Grazie anche all ’aiuto di Rasheed Wallace il focolaio di rissa

in quella zona si spegne, ma i tifosi iniziano ad invadere il

campo. Un paio, in particolare, si para davanti ad Artest

uscente dalla rissa precedente, Ron stende il primo con un

pugno mentre i l secondo (tale Haddad) gl i salta subito

addosso facendolo finire a terra; neanche il tempo di

"Avevamo miliardi di piani di sicurezza per il Palace, ma

nessuno includeva la possibilità che un giocatore

saltasse sugli spalti. È qualcosa che nessuno aveva mai

previsto.”

E. Olko, comandante di polizia

"La mia idea iniziale era di andare a prendere Ron, ma

appena sono salito sugli spalti un altro uomo gli ha

tirato una birra in faccia. Istintivamente ho reagito. Non

mi pento di esserci stato per il mio compagno, ma mi

pento di essere andato sugli spalti a fare a pugni con i

tifosi. È stato assolutamente sbagliato, ma non ci pensi

quando qualcuno che chiami fratello è in pericolo.

L’unica cosa a cui pensi è andare ad aiutarlo. Questa è

la definizione di un compagno e, come dice Tim

Duncan, io sono il miglior compagno possibile. Molte

persone pensano che io sia stato un delinquente a farlo.

Il mio unico pensiero era “il mio compagno sta lottando

sugli spalti ed io sarò lì al suo fianco”. Sapevo appena

fatto il primo passo sugli spalti che ci sarebbero state

delle conseguenze, senza dubbio, ma potevo affrontare

quelle conseguenze sapendo che il mio compagno era

vivo e stava bene; al contrario non avrei potuto

affrontarle se fossi rimasto in campo a guardare,

preoccupandomi per la mia carriera ed i miei soldi,

mentre lui era sugli spalti sanguinante.”

Stephen Jackson

"È stato terrificante essere lì nel mezzo perché

dovunque ti girassi, ti sembrava che dovessi

combattere. C’erano migliaia di persone contro venti.

Probabilmente non era quello il caso, il 99,9999% delle

persone erano spaventate e sconvolte tanto quanto noi,

ma sembrava che fossero tutti contro di te.”

Mike Brown

Loro erano seccati perché erano stati coinvolti. Li

stavamo battendo di quindici punti. Erano davvero

infastiditi, quindi gli ho detto “Se è questo che volete,

fatevi sotto.”

Stephen Jackson

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33

rialzarsi per Haddad a cui si para davanti Jermaine O’Neal

in corsa, pronto a recapitargl i un pugno dritto in faccia. Per

sua immensa fortuna il lungo dei Pacers scivola mezzo

metro prima della col l isione, riuscendolo a colpire solo con

parte della forza predestinata a quel pugno.

Numerosi giocatori dichiareranno in seguito che credevano

che O’Neal avrebbe ammazzato Haddad con quel pugno se

non fosse scivolato. Quest’ultimo era già noto alla sicurezza

per aver minacciato, poco tempo prima, Yao Ming di

versargl i addosso una bevanda, tanto che era già stato

invitato ad allontanarsi dal Palace.

La situazione sta velocemente precipitando, i tifosi iniziano a

lanciare oggetti in campo e sempre di più si spingono sul

parquet. I Pacers capiscono che è giunto i l tempo di

abbandonare il campo, i l più velocemente possibi le. I

giocatori vengono scortati verso il tunnel che conduce agli

spogliatoi, ricevendo degli al legri souvenir dai tifosi del

Palace tra cui bevande, pop-corn, scope e addirittura una

sedia che passa poco lontano da O’Neal, bersaglio preferito

dei tifosi di Detroit.

Sul campo rimangono solo i giocatori di Detroit e gl i arbitri

che, finalmente, dichiarano la partita conclusa: Indiana batte

Detroit 97 a 82.

Giunti negl i spogliatoi, fra i Pacers scoppia un diverbio

piuttosto acceso, O’Neal accusa Carl isle e lo staff di averl i

scortati fuori dal campo bloccandogli le mani in basso e

quindi di non avergl i permesso di ripararsi dagl i oggetti

provenienti dagl i spalti . Gl i animi si placano quando si

accorgono di Mike Brown sanguinante dalla bocca per un

pugno preso sugli spalti .

La notte è ancora lunga per i Pacers, che devono tentare di

uscire dal palazzetto senza che nessuno venga arrestato. I l

personale del Palace, infatti , l i informa che da lì a poco

sarebbe arrivata la polizia ed avrebbe portato via due

giocatori ed un coach (Mike Brown, accusato,

ingiustamente, di aver preso a pugni un tifoso). Incontrata

l ’opposizione dell ’ intera squadra, gl i ufficial i si concentrano

su Artest, chiedendo che gli venga consegnato, ma lo staff

riesce a farlo sgattaiolare fuori dal lo spogliatoio e portarlo

sul bus. La polizia decide così di lasciare andare l ’ intera

squadra e di valutare meglio l ’esistenza e l’entità dei reati

guardando le registrazioni video.

ESODO

David Stern, al lora commissioner, non esita a far calare la

scure sui giocatori ritenuti responsabil i di quel lo che viene

definito da molti l ’episodio più spiacevole nella storia

del l ’NBA. Contemporaneamente, a Detroit, i l tribunale

condanna alcuni dei partecipanti al la rissa.

Ecco l’elenco dei principal i provvedimenti:

Ron Artest*: sospeso per l ’ intera stagione (73 partite di

Regular Season e 1 3 di Playoffs) con accusa di aggressione

e percosse.

Stephen Jackson*: sospeso per 30 partite con accusa di

aggressione e percosse.

Jermaine O’Neal*: sospeso per 25 partite (poi ridotte a 1 5)

con due accuse di aggressione e percosse.

Anthony Johnson*: sospeso per cinque partite con accusa di

aggressione e percosse.

David Harrison*: accusa di aggressione e percosse.

Ben Wallace: sospeso per sei partite.

Chauncey Bil lups: sospeso per una partita.

Reggie Mil ler: sospeso per una partita.

Elden Campbell : sospeso per una partita.

Derrick Coleman: sospeso per una partita.

John Green (tifoso che ha tirato i l bicchiere ad Artest):

colpevole di aggressione e percosse e condannato a 30

giorni di prigione e due anni di l ibertà vigi lata.

Charl ie Haddad: ha fatto causa a Anthony Johnson, O’Neal,

e ai Pacers. O’Neal ha dovuto pagare 1 .686,50$ come

risarcimento a Charl ie Haddad, i l quale ha patteggiato per

"Dopo esserci calmati, Artest mi ha guardato e mi ha

detto “Jack, credi che avremo dei problemi?” Jamaal

Tinsley è scoppiato a ridere. Gli ho risposto “Sei serio,

fratello? Problemi? Ron, saremo fortunati se avremo

ancora un cazzo di lavoro”. Questa domanda mi ha fatto

capire che non c’era con la testa, non era lucido.

Scot Pollard: Verissimo, siamo morti dal ridere. “Sì,

Ron, ci saranno dei problemi, amico. Hai colpito un

tifoso.” Non potevo crederci. Era scioccato che quello

che aveva appena fatto fosse sbagliato. Non so cosa

pensasse, ma vedendolo da fuori veniva da pensare

“Wow, è incredibile come qualcuno possa avere

un’esperienza del genere e chiedere se ci saranno

ripercussioni.”

Stephen Jackson

"La parte migliore, la più assurda della serata è stata

quando siamo saliti sul bus. Eravamo così eccitati. Ci

sentivamo non solo di aver vinto la partita, ma di aver

vinto l’intera rissa. In quel momento ci sentivamo come

se avessimo rubato il cuore di Detroit. È durato finché

siamo tornati a casa ed abbiamo visto le multe e le

sospensioni, poi la realtà ci ha travolti.”

Stephen Jackson

Mi sentivo come se stessi combattendo per la mia

stessa vita là fuori.”

Rick Carlisle

34

aver violato un’ordinanza locale ed essere entrato al Palace,

ed è stato condannato a due anni di l ibertà vigi lata e dieci

weekend di lavori socialmente uti l i .

David Wallace: condannato a un anno di l ibertà vigi lata e

lavori socialmente uti l i .

Bryant Jackson (tifoso che ha lanciato la sedia dagli spalti):

ha patteggiato un’accusa di aggressione e una di

aggressione e percosse, condannato a due anni di l ibertà

vigi lata e 6.000$ di risarcimento.

*I giocatori accusati di aggressione e percosse hanno

patteggiato e sono stati condannati a un anno di l ibertà

vigi lata e di lavori socialmente uti l i , ad una multa di 250$ e

sedute di gestione della rabbia.

1 46 partite di sospensione ed un totale di dieci mil ioni di

dol lari di salari andati in fumo, spazzando via qualunque

record precedente della lega. Tutti sono d’accordo sul fatto

che le sospensioni ordinate da Stern siano troppo severe,

ad eccezione di Jackson che si definirà fortunato ad avere

ancora un lavoro dopo quello che è successo. L’episodio dà

occasione all ’NBA di cambiare la politica in fatto di alcool, di

barriere a bordo campo e di vestiti . Di vestiti? Eh sì, perché

s’inizia a mettere in discussione il carattere “troppo hip hop”

del la lega, legato ad una cultura di strada che poco si

addice all ’ immagine intonsa dell ’NBA desiderata da Stern.

Così, poco tempo dopo The Malice at the Palace viene

introdotto l ’ormai noto dress code.

Le conseguenze ricadute sui Pacers, però, sono molto più

gravi di quanto in un primo momento si possa pensare.

La squadra dopo la richiesta di cessione di Artest si sfalda, i

compagni che quella sera di Novembre erano stati al suo

fianco, ora si sentono traditi , pugnalati al le spalle. Lo spirito

di squadra svanisce e le vicende fuori dal campo mettono a

dura prova psicologicamente i componenti del la squadra.

La città di Indianapolis ne esce distrutta. Le persone

perdono progressivamente fiducia, anche solo interesse,

nel la squadra dei Pacers che lentamente si sgretolerà negli

anni. Si passerà da una squadra dal futuro roseo, destinata

a vincere il titolo, ad una franchigia in completa ricostruzione

nel giro di sol i tre anni; ricostruzione che avverrà puntando

su una nuova generazione di “facce pulite” ancor prima che

ottime individual ità e che porterà i Pacers ad essere

nuovamente competitivi solo nella stagione 2011 /1 2, ben

sette anni dopo quell ’ infausta sera a Detroit.

Non posso non concludere il racconto di questa metaforica

tragedia come si soleva fare nell ’antica Grecia, lasciando

cioè che il deus ex machina sciolga i nodi di questo

racconto, permettendo al lettore di districarsi fra le parole ed

avere una visione chiarificatrice dell ’ intero dramma. Pecco

di umana adorazione, lo so, ma l’artefice di questo prodigio

non può essere che uno.

"Non ho mai detto a mia figlia cos’è successo, l’ha

scoperto a scuola. Un giorno è tornata a casa e ha

chiesto “Papà, sei stato sospeso per aver fatto a

pugni?”. È stata dura per me. È stata dura andare al

Boys&Girls Club, nel quale ero benvoluto ad

Indianapolis, andare al St. Vincent Hospital a parlare

con le persone. È stata dura per me, come persona di

spicco della comunità, avere quelle conversazioni e

vedere l’effetto che quella sera ha avuto non solo sulla

nostra squadra, ma sulla percezione della comunità.”

Jermaine O'Neal

"Avremmo vinto il titolo quell’anno. Avevamo la miglior

squadra, avevamo un Hall ofFamer come Reggie Miller.

Avevamo ogni pezzo del puzzle, grandi allenatori,

grande squadra, grande dirigenza, grande proprietà, e

tutto stava funzionando. Credo che un sacco di ragazzi

siano ancora amareggiati, pensando “Ehi, quella era la

mia chance di vincere un titolo e Ron è stato egoista a

comportarsi così”.

Stephen Jackson

"Ti metti nella posizione di compromettere la tua

carriera, la tua vita e quella della tua famiglia e poi,

improvvisamente, la sola ragione per cui tutto questo è

successo si chiama fuori. Nessuno sa di tutti gli avanti

e indietro fatti, dell’essere messi in una stanza e dover

restarci seduto per ore, del rischiare la prigione, e tutto

questo durante la stagione. La nostra squadra volava a

Detroit per le udienze non potevamo neanche andare a

Toronto perché avevamo bisogno dei permessi per

raggiungere il Canada. Nessuno sa tutte queste cose.

(T) Alla fine, non riguardava più il basket. Non era

piacevole, non era bello giocare le partite. Sentivi come

la città fosse divisa: c’erano persone che erano ancora

dalla nostra parte, e molte altre persone che non lo

erano più”

Jermaine O’Neal

"Credo che molti di noi abbiano fatto delle scelte

egoiste. Io ho fatto una scelta egoista smettendo di

cercare di placare gli animi e andando ad affrontare

Lindsey Hunter e Richard Hamilton. Quella è stata la

mia scelta egoista. Ron ha fatto una scelta egoista

andando sugli spalti. Tutti noi abbiamo fatto delle scelte

egoiste, ma allo stesso tempo, ci stavamo proteggendo

l’un l’altro. È difficile stabilire se sia stato giusto o

sbagliato.”

Stephen Jackson

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Lunedì 1 8 Febbraio 201 3 il triste annuncio: i l Dottore si è

spento al Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles dopo

una lunga battagl ia che lo ha costretto a passare gran parte

degli ultimi 1 8 mesi in ospedale.

Proprietario dei Los Angeles Lakers dal 1 979, non solo è

l ’owner più vincente della storia del l ’NBA ma è anche il

principale artefice della nascita del l ’NBA moderna.

Gerald Hatten Buss, Jerry per i l resto del mondo, nasce a

Salt Lake City i l 27 Gennaio 1 933, ma cresce con la madre

a Kammerer, nel Wyoming, dopo il divorzio dei genitori. Nel

1 955 si laurea in chimica all ’Università del Wyoming per poi

trasferirsi al la University of Southern California di Los

Angeles dove ottiene un Master of Science e un dottorato di

ricerca in chimica fisica a soli 24 anni.

Inizialmente viene assunto come chimico dallo U.S. Bureau

of Mines, la principale agenzia governativa che conduceva

ricerche scientifiche sul le risorse minerarie, ed in seguito

lavora brevemente nell ’ industria aerospaziale ed insegna

chimica alla USC.

Negli anni ’60 si affaccia sul mercato edil izio per garantirsi

del le entrate che gli permettano di continuare a dedicarsi al

suo grande amore, l ’ insegnamento, e con $1 000 fa il suo

primo investimento acquistando un condominio di Los

Angeles. Ben presto però si rende conto di come la

speculazione edil izia possa essere redditizia e così decide

di abbandonare la carriera accademica e di dedicarsi

soltanto a quella immobil iare. Grazie a una mente bri l lante e

ad un grandissimo fiuto per gl i affari ottiene rapidamente

successo nel campo edil izio e fonda, insieme a Frank

Mariani, suo socio sin dai primi investimenti, la Mariani-Buss

Associates, un’impresa di investimento immobil iare.

Nel 1 979 la carriera imprenditoriale del Dr. Buss è in

continua ascesa e così, dopo essere diventato proprietario

dei Los Angeles Strings (squadra della World Team Tennis),

decide di acquistare da Jack Kent Cook i Los Angeles

Lakers, i Los Angeles Kings (team dell ’ NHL), i l Los Angeles

Forum e un ranch di 1 3 mila acri, per la cifra di 67.5 mil ioni

di dol lari , cifra record per le transazioni sportive al l ’epoca.

La mental ità vincente del Dr. Buss porta i Lakers a giocare

un basket spettacolare e guidati da Kareem Abdul-Jabbar,

Jamaal Wilkes e dal rookie Magic Johnson vincono subito i l

titolo NBA dando il via al l ’epoca dello Showtime.

Nei 1 0 anni del lo Showtime i gial loviola giocano ben 8 final i

NBA laureandosi campioni 5 volte. Guidati da Pat Riley in

panchina, promosso capo allenatore proprio da Buss nella

stagione 1 981 -82, l ’apice dello Showtime si ha nella

stagione 1 984-85, quando per la prima volta nella storia i

Lakers battono i Boston Celtics, i loro acerrimi rival i . In

quell ’occasione Jerry Buss affisse per Los Angeles dei

cartel loni pubblicitari con scritto “Lakers have never beaten

Celtics” con una grossa croce sulla parola “never” e la

scritta “Thank guys” con la sua call igrafia.

Nonostante i successi in ambito sportivo, l ’ imprenditore che

è in lui continua a fiutare gl i affari, infatti è i l primo ad

introdurre lo show-business all ’ interno delle partite NBA, con

la nascita del le Lakers Girls ad esibirsi durante le pause di

gioco ed il gran numero di celebrità che si potevano

scorgere tra i l pubblico a ogni partita. Grazie a queste

innovazioni la popolarità dei Lakers e dell ’NBA crescono

vertiginosamente sia a l ivel lo nazionale che a livel lo

mondiale. Nel 1 985 fonda la Prime Ticket Network,

un’emittente televisiva che in breve tempo diventa la

principale emittente sportiva regionale della nazione,

venduta 1 0 anni più tardi e diventata poi la Fox Sports West,

e nel 1 987 vende i Kings a Bruce McNall per un totale di 20

mil ioni di dol lari . Inoltre nel 1 997, con la nascita della

WNBA, è tra i fondatori del le Los Angeles Sparks (di cui

diventerà propritario nel 2002 e che cederà nel 2006) e nel

1 999 è tra i finanziatori del lo Staples Center, dove poi si

trasferiranno le tre franchigie, con la cessione del Forum. Da

non dimenticare la sua passione per i l poker, a l ivel lo

professionistico da sottol ineare il terzo posto nelle World

Series of Poker del 1 991 e il secondo posto nel World Poker

Tour del 2003, e la donazione di 7.5 mil ioni di dol lari al

Dipartimento di Chimica della USC nel 2008.

Un uomo incredibi le, che si è costruito da solo, che non si è

mai posto l imiti è che ha contribuito tantissimo all ’evoluzione

dell ’NBA e alla consacrazione dei Lakers. Nei 33 anni di

presidenza la franchigia non ha raggiunto i Playoffs soltanto

2 volte e ha giocato ben 1 6 NBA Finals vincendone 1 0. A

questi successi vanno aggiunti 2 titol i con le Sparks, la

"I really tried to create a Laker image, a distinct identity.

I think we’ve been successful. I mean, the Lakers are

pretty damn Hollywood."

Jerry Buss

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Stel la nel la Walk of Fame di Hollywood nel 2006 e la

nomina di Hall of Famer nel 201 0. Per lui hanno giocato

grandissimi campioni come i già citati Jabbar, Wilkes e

Johnson, Worthy, O’Neal, Bryant, ha ingaggiato due dei

migl iori al lenatori del la storia, Riley e Jackson, ed ha portato

i Lakers a valere oltre un mil iardo di dol lari , intuendo per

primo come il basket potesse essere anche un grandissimo

business.

"Il Dottor Buss amava il divertimento. Era molto

intelligente, ed estremamente competitivo. Voleva

vincere, ha fatto di tutto per darci la possibilità di farlo,

e allo stesso tempo voleva essere amico dei giocatori.

Ci ha dato tutto ciò di cui avevamo bisogno per vincere:

alloggiavamo nei migliori hotel, avevamo i migliori

allenatori, il miglior materiale.. E di fatto siamo stati

capaci di vincere il titolo al nostro primo anno, quando

eravamo entrambi rookie. Ma in realtà lui è diventato il

mio secondo padre. Mi ha portato per la prima volta a

vedere una partita di football alla USC e ci andavamo

ogni sabato quando giocavamo in casa. Inoltre

giocavamo a biliardo, quella era la cosa che

preferivamo, uscivamo spesso insieme e mi portava a

Las Vegas. Ed infine, mi ha insegnato il business dei

Lakers. Mi permetteva di leggere i suoi libri e mi

incoraggiava a farlo. È per questo che oggi sono un

uomo d’affare, è grazie a Dr. Buss. Lui mi ha permesso

di acquistare delle quote dei Lakers. Dopo i titoli questo

è stato il secondo miglior momento della mia vita,

possedere i Lakers. Gli sono grato per questo. La prima

telefonata che ho ricevuto quando ho acquistato i

Dodgers è stata da parte sua. Era molto felice per me.

Era come una padre orgoglioso di suo figlio. Quando ho

annunciato il mio ritiro per l’HIV lui non sapeva cosa

sarebbe successe, si sentiva come persone, come se

stesse perdendo un figlio. Dopo che abbiamo fatto

l’annuncio e ho iniziato le cure lui era sempre al mio

fianco. Non lo avevo mai visto piangere fino a quel

momento. Questo mi ha mostrato che mi amava e che

gli importava di me, della mia salute.. Ogni volta che mi

accadeva una cosa positiva o negativa, lui c’era.

Era un eroe, una leggenda, e ho avuto modo di vederlo

da vicino e di essere parte dell’impero che ha costruito.

Posso non avere il cognome Buss, ma mi sento proprio

come se fossi uno dei suoi figli."

Magic Johnson

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WHO IS: Yao Ming nasce il 1 2 settembre 1 980 a Shangai. I l

padre, Yao Zhiyuan, e la madre, Fang Fengdi, hanno fatto

parte entrambi del la nazionale cinese di pal lacanestro,

quindi i l piccolo (ma grande) Ming cresce con la palla a

spicchi tra le mani. Inizia a giocare agonisticamente all ’età di

9 anni nel la Youth Sports School e al l ’età di 1 3 anni entra a

far parte della squadra giovanile degli Shangai Sharks.

Grazie al le sue doti fisiche e tecniche dopo quattro anni

viene promosso nella prima squadra degli Sharks, che mil ita

nel la Chinese Basketball Association, e nell ’anno da rookie,

a soli 1 7 anni, mette a referto 1 0 punti e 8 rimbalzi di media.

Nella seconda stagione gioca soltanto 1 2 partite poiché si

rompe un piede per la seconda volta in carriera, mentre

nelle due stagioni seguenti diventa un punto fermo degli

Sharks: nel 1 999-00 chiude con 21 .2 punti , 1 4.6 rimbalzi e

5.3 stoppate, nel 2000-01 i punti diventano 27.1 , i rimbalzi

1 9.4 e le stoppate 5.5 e Yao viene nominato MVP. Nella sua

quinta e ultima stagione in terra cinese guida gl i Sharks al

loro primo titolo con medie spaventose, giocando dei

playoffs incredibi l i in cui real izza 38.9 punti , cattura 20.2

rimbalzi e tira con il 76.6% dal campo, mettendo a referto un

incredibi le 21 /21 in una partita del le final i . Grazie a questi

numeri e al le sue super prestazioni, gl i scout NBA mostrano

grandissimo interesse, soprattutto data la carenza di centri

nel la Lega, e Yao decide di compiere il grande passo

rendendosi eleggibi le al Draft 2002 in cui viene chiamato

con la prima scelta assoluta dagli Houston Rockets.

NBA CAREER: Inizialmente però c’è grande scetticismo

intorno al gigante cinese, infatti molti commentatori ed

esperti NBA, tra cui ad esempio Charles Barkley, Bil l

Simmons e Dick Vitale, sono convinti che Yao fal l irà nel la

lega migl iore del mondo. Le prime partite di Yao danno

ragione agli scettici , infatti inizialmente fatica ad abituarsi al

nuovo mondo e nelle prime 7 partite gioca solo 1 4 minuti di

media realizzando 4 punti a partita. Gradualmente però

riesce ad integrarsi e chiude l’anno da rookie con 1 3.5 punti ,

8.2 rimbalzi, 1 .8 stoppate in 29 minuti di media, venendo

votato nello starting five della Western Conference all ’Al l-

Star Game, ma non riesce a vincere il premio di Rookie

dell ’anno, che viene assegnato ad Amar’e Stoudemire.

Nonostante venga provocato e deriso diverse volte, celebre

la frase di O’Neal che prima di una partita dice “Tell Yao

Ming, Ching chong-yang-wah-ah-soh”, dimostra come riesca

a gestire egregiamente le pressioni e le provocazioni,

diventando subito uno dei personaggi più interessanti del

basket a stel le e strisce.

Nell ’estate del 2003 i Rockets ingaggiano Jeff Van Gundy

come head coach, e nella stagione 2003-04 i numeri di Yao

migl iorano (1 7.5 punti , 9 rimbalzi e 1 .9 stoppate), arriva i l

secondo All-Star Game, l ’ inserimento nell ’Al l-NBA Third

Team e Houston si qualifica ai Playoffs ma viene

immediatamente eliminata dai Lakers. La dirigenza texana

decide quindi di rivoluzionare il roster e cede Francis,

Mobley e Cato, tre titolari , in cambio di Tracy McGrady.

La stagione 2004-05 si conclude con 1 8.3 punti , 8.4 rimbalzi

e 2 stoppate, Houston si qualifica ancora per la post season

ma arriva ancora l ’el iminazione al primo turno, questa volta

per mano dei Dallas Mavericks, ma Yao chiude la serie con

21 .4 punti , 7.7 rimbalzi e i l 65% dal campo, ottime cifre che

mostrano la continua crescita del cinese.

Dalla stagione seguente però gli infortuni iniziano a

flagel lare i l #11 . Prima dell ’Al l-Star Game (in cui verrà

nuovamente votato centro titolare) salta 21 partite a causa

di un’infezione ad un’unghia del piede che lo costringe a

subire un intervento chirurgico. Chiude la stagione con 22.3

punti , 1 0.2 rimbalzi e 1 .6 stoppate (tirando con il 52% dal

campo) e l ’ inserimento nell ’Al l-NBA Third Team ma a quattro

partite dal termine si rompe nuovamente un piede ed è

costretto ad una riabil itazione di circa sei mesi.

Dopo lo stop forzato torna sui parquet in gran forma ma il 23

dicembre, contro i Clippers, Hayes e Thomas franano sulla

gamba del malcapitato Yao che riporta l ’ennesima frattura.

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Fortunatamente salta “solo” 32 partita e con 25 punti, 9.4

rimbalzi, 2 assist e 2 stoppate di media guida, insieme a T-

Mac, i Rockets ai Playoffs, andando ancora all ’Al l-Star

Game e guadagnandosi l ’Al l-NBA Second Team, ma

Houston, nonostante i l vantaggio del fattore campo, viene

eliminata da Utah in 7 partite, dopo essere stata in

vantaggio 2-0. Statisticamente Yao realizza 25.1 punti e

1 0.3 rimbalzi di media nella serie, ma ci si aspettava ben

altro impatto dopo la super stagione e lui stesso fa mea

culpa dicendo esplicitamente “Non ho fatto i l mio lavoro”.

Dopo questa sconfitta i Rockets l icenziano JVG e al suo

post assumono Rick Adelman, al lenatore molto più offensivo

del suo predecessore. Ming si integra perfettamente nel

nuovo sistema di gioco ma ancora una volta, dopo

l’ennesimo All-Star Game, a causa di una microfrattura al

piede deve sottoporsi ad un intervento chirurgico che gli

costa i l resto della stagione. Con 22 punti, 1 0.8 rimbalzi e 2

stoppate viene comunque inserito nel l ’Al l-NBA Third Team.

Nella stagione 2008-09 sembra che finalmente abbia risolto

con i problemi fisici . Gioca infatti 77 partite, chiudendo con

1 9.7 punti , 9.9 rimbalzi e 1 .9 assist, giocando ancora la

partita del le stel le e venendo inserito nel l ’Al l-NBA Second

Team per la seconda volta in carriera. I Rockets, senza

McGrady che a causa di dolori al la schiena ha dovuto

rinunciare alla seconda parte di stagione e alla post season,

arrivano ai Playoffs dove battono Portland 4-2 al primo turno

ma vengono eliminati al secondo turno dai Lakers in 7

partite. Houston vince gara 1 a LA ma perde le due partite

successive e soprattutto dopo gara 3 Yao subisce una

frattura da stress al piede che lo costringe a saltare le partite

rimanenti. La frattura è così grave che Ming dev’essere

nuovamente operato e salta tutta la stagione seguente.

Torna nella stagione 201 0-2011 con la franchigia texana

intenzionata a farlo giocare intorno ai 24 minuti di media ma

nonostante ciò i l 1 6 dicembre viene comunicato che il centro

ha subito un’altra frattura da stress, questa volta al la

cavigl ia, causata dall ’ infortunio precedente. Yao deve saltare

tutta la stagione ma nonostante ciò viene votato ancora

come centro titolare al l ’Al l-Star Game, rinunciando

ovviamente alla parteciparvi.

Al termine del suo contratto con i Rockets, i l 20 lugl io Yao

Ming annuncia i l suo ritiro dal basket a causa dei numerosi

infortuni. In seguito a questa notizia i l commissioner David

Stern dice che Yao è stato un “ponte tra i fans cinesi e

americani” mentre Shaq afferma che, senza i numerosi

infortuni, Yao sarebbe potuto diventare uno dei migl iori 5

centri di sempre.

Sapeva giocare vicino a canestro, in post, aveva un tiro

dalla media affidabile, era ottimo sia in attacco che in difesa

e aveva un trattamento di pal la superiore alla media dei

centri NBA. Nel suo palmarès NBA ci sono otto

partecipazioni al l ’Al l-Star Game, due nomine nell ’Al l-NBA

Second Team, tre nell ’Al l-NBA Third Team e l’ inclusione

nell ’Al l-Rookie First Team nel 2003.

Un giocatore d’altri tempi, che chiude con 9247 punti, 4494

rimbalzi e 920 stoppate in 8 stagioni tra i pro.

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Quando questo pensiero s’insti l lò nel la sua testa, Šarūnas

era sotto la doccia ed aveva ancora addosso la divisa

bianco-verde. La sua Lituania aveva appena conquistato la

medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Barcellona del ’92

proprio contro i sovietici , e come il repl icante di Blade

Runner le sue lacrime si perdevano sotto i l getto dell ’acqua

mentre cercava di mandare via quel pensiero:

“Che cosa sarebbe successo se avessimo perso contro i

sovietici?”

Riavvolgendo il nastro della storia, arriviamo al 1 990,

quando la Lituania conquista la sua indipendenza. I sovietici

non ci stanno e a voler essere onesti non ci staranno mai. I l

presidente Gorbaciov, che aveva appena ricevuto un Nobel

per la pace, invia le truppe a Vilnius, e a Vilnius i sovietici

uccidono barbaramente 1 4 l iberi cittadini nel la “Bloody

Sunday” del la nuova Repubblica di Lituania. Ci vorrà un

anno e una forte reazione dell ’Occidente affinché la Lituania

possa considerarsi veramente l ibera. Grazie

al l ’ indipendenza, i l primo vero atto di l iberazione è quello di

poter ritornare alle due rel igioni di Stato: la pal lacanestro e il

cattol icesimo, in quest’ordine. All ’ inizio del 1 992 la Lituania

sta affrontando una crisi economica fortissima, ha scarsi

approvvigionamenti di energia e la più forte squadra

d’Europa di basket. La partecipazione alle Olimpiadi di

Barcellona sarebbe scontata se non fosse che la nazione è

in bancarotta. A questo punto della storia entra in scena

Šarūnas, che di cognome fa Marčiul ionis, grande patriota e

grandissimo giocatore di basket. Al l ’epoca Marčiul ionis era

già una guardia dei Golden State Warriors, e dopo aver

ricevuto i l placet dal neonato governo lituano, chiese una

mano all ’amico, nonché scout dei Warriors, Donnie Nelson.

Don, dopo aver accettato i l ruolo di assistente al lenatore

della nazionale l ituana, promise che lo avrebbe aiutato a

trovare i fondi necessari per la partecipazione alle Olimpiadi.

Bussarono a tutte le porte della California ma invano,

Marčiul ionis mise di tasca sua gli 1 ,28 mil ioni di dol lari del

suo contratto con Golden State, ma la somma non bastava.

Quando tutto sembrava compromesso, arrivò la telefonata

più importante della storia sportiva della Lituania: i Grateful

Dead!

Come i Grateful Dead?

Sì, i Grateful Dead, quell i di Dark Star e Morning Dew. A

quanto pare, apprezzavano la loro l ibertà e il loro spirito

d’indipendenza.

Quando Donnie e Šarūnas andarono all ’appuntamento,

avevano l’ impressione di essere vittime di uno scherzo di

pessimo gusto. Si ritrovarono in un quartiere malfamato di

San Francisco, e appena ri lessero l ’ indirizzo sul pezzetto di

carta, e videro che corrispondeva ad un garage anonimo,

l ’ impressione si trasformò in certezza. Nel dubbio aprirono la

porta, e dopo che gli occhi si abituarono al fumo, l ’udito ai

decibel e l ’olfatto al l ’aspro odore di mari ja, videro uno studio

di registrazione modernissimo e i Dead che suonavano

cover dei Beatles. I l progetto di Jerry Garcia – il frontman

del gruppo – era tanto semplice quanto efficace: cedere i

diritti sul la vendita di una T-shirt real izzata per un concerto a

Boston e in più commercial izzare una nuova maglietta. La T-

shirt era un capolavoro di psichedelia al lucinogena, dove lo

scheletro simbolo della band schiacciava a canestro mentre

sul lo sfondo un’esplosione con i colori ufficial i del la nazione

faceva da contorno alla granitica scritta “Lithuania”. Grazie a

quella maglietta veniva riconosciuto lo sforzo e il coraggio di

un’intera nazione, davanti agl i occhi del mondo i l ituani

venivano identificati come eroi popolari la cui lotta per

l ’ indipendenza aveva travalicato lo sport.

La squadra c’era, i soldi anche. Ormai non c’erano più

dubbi.

“E se avessimo perso? Che cosa sarebbe successo se

avessimo perso contro i sovietici?”

Šarūnas Marčiulionis

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La Lituania sarebbe andata a Barcellona.

La Lituania non solo partecipò alle Olimpiadi ma arrivò fino

in fondo, fermandosi solo al cospetto della squadra più forte

mai vista da occhio umano, i l Dream Team americano. I l

giorno della semifinale Coach Daly era preoccupatissimo, i l

quintetto degli avversari, era formato per quattro quinti da

giocatori che avevano fatto parte del team sovietico che

aveva battuto gl i Stati Uniti di David Robinson a Seoul

nel l ’88. Le principal i minacce venivano da Šarūnas

Marčiul ionis che tanto bene stava facendo nei Golden State

Warriors e Árvydas Sabónis oggetto misterioso che se al

massimo della forma avrebbe dominato su Robinson e

Ewing.

“Tranquil lo Coach” disse Jordan “Io mi prendo Šarūnas”

Coach Daly non poteva dormire sonni più tranquil l i , la

marcatura di Jordan su Marčiul ionis si può ritenere senza

dubbio la prestazione difensiva più devastante della storia

del basket ol impico ed una delle migl iori prestazioni singole

più dominanti del le Olimpiadi in generale. La partita durò

solo un quarto, quando gli Stati Uniti si ritrovarono in

vantaggio 31 -8 e Artūras Karnišovas, ala che abbiamo visto

qualche anno più tardi al la Fortitudo Bologna, chiese alla

panchina di scattargl i una foto mentre marcava Charles

Barkley, i l suo idolo. La Lituania perse 1 27-76 nella

prestazione in assoluto più devastante del Dream Team, la

squadra più forte mai vista prima.

Se nella semifinale contro gl i States nessuno aveva mai

messo in conto la vittoria, nel la finale per i l bronzo, invece,

non era contemplabile la sconfitta.

Dall ’altra parte c’erano i sovietici .

Già, perché malgrado non esistesse più l ’Unione Sovietica,

quei russi, ucraini e bielorussi, che formavano la “Squadra

Unificata”, agl i occhi dei l ituani erano gli stessi che avevano

ucciso i loro cittadini e l i avevano repressi per oltre 50 anni.

Non potevano perdere quella partita, semplicemente non

potevano. La posta in gioco era troppo alta.

Sabónis, che contro gl i Stati Uniti non aveva bri l lato, aveva

una luce particolare negli occhi, guardava i compagni e l i

incitava, l i implorava a mettercela tutta, cercava di

sottol ineare che quella partita era diversa dalle altre, ma i

suoi compagni lo sapevano fin troppo bene. Marčiul ionis

ricambiava lo sguardo mentre Karnišovas, irriconoscibi le

rispetto al la semifinale contro gl i U.S.A. questa volta non

aveva portato la macchina fotografica. Nella squadra

c’erano anche Alvydas Pazdrazdis e Gintaras Einikis, due

che appena un anno prima erano nella piazza del Seimas di

Vilnius a fermare fisicamente i carri armati nemici.

Gli altri , i sovietici , potevano contare su Oleksand Volkov

centro ucraino degli Atlanta Hawks in procinto di fare una

veloce e non indimenticabile apparizione nella Viola Reggio

Calabria e Valeri j Tichonenko un’ala kazaka che oggi al lena

la nazionale femminile russa.

Compagni di squadra fino a un paio di anni prima, veri e

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propri nemici ora sul campo.

L’incontro fu durissimo sin da subito, i sovietici avevano

dalla loro la volontà di ristabil ire i l loro predominio almeno su

un campo da basket, ma i l ituani erano troppo più forti e

avevano ancora in mente l ’ indelebile ricordo di quei morti . I l

pensiero di tutti i l i tuani doveva essere rivolto certamente a

loro, al simbolo di quel la repressione, al la voglia di far

conoscere al mondo la loro voce, i loro colori e l ’odio verso i

rossi.

Quando la palla gl i arrivò ad un secondo dalla fine, Šarūnas

pensò a tutto questo, diede le spalle al canestro dei sovietici

e con rabbia lanciò la palla nel cielo di Barcellona.

Poi corse a centrocampo, abbracciò i suoi compagni e andò

dritto fi lato sotto la doccia a chiedersi:

“Che cosa sarebbe successo se avessimo perso contro i

sovietici?”

Aveva appena scacciato i suoi demoni, aveva realizzato 29

punti e aveva vinto un bronzo olimpico, ma per un attimo la

paura della sconfitta cancellò la gioia del la vittoria.

La partita finì 82-78 e la fol la impazzì, letteralmente.

Vytautas Landsbergis, i l nuovo presidente l ituano, un uomo

rigoroso e conservatore, entrò in campo e con un

comportamento che si concede ad un pari e non ad un

presidente, i giocatori lo annaffiarono con lo champagne.

Come tutti i l i tuani cresciuti sotto la dittatura sovietica,

Landsbergis era un uomo pratico, e di conseguenza non

aveva portato un altro abito di ricambio; non fece però in

tempo ad urlare “pergalė, vittoria” che si ritrovò con una

maglietta dei Grateful Dead ad innaffiare Sabónis con un

magnum di Moët & Chandon.

Al momento della premiazione, Marčiul ionis, che da vero

l ituano conosce il significato della parola “gratitudine”, rifiutò

di indossare le magliette che lo sponsor aveva preparato per

loro e disse ai suoi compagni di indossare quelle

psichedeliche dei Grateful Dead:

“I Dead hanno creduto in noi quando non eravamo

nessuno”, disse.

Sul podio sfi larono otto l ituani con le loro magliette super-

colorate sotto gl i occhi divertiti del pubblico.

C’era Marčiul ionis, Karnišovas, Pazdrazdis, Einikis,

Chomičius, Kurtinaitis, Krapikas e Jovaiša.

C’erano tutti , o meglio, quasi tutti . Mancava Árvydas.

Dov’era Árvydas Sabónis? Che fine aveva fatto?

Mai come in questo contesto e con questo protagonista, le

notizie assumono i contorni del la leggenda. Dopo aver

festeggiato con la sua lituana preferita, la vodka, Sabónis

sfidò e stracciò uno dopo l’altro a braccio di ferro tutti i pugil i ,

lottatori e sol levatori di pesi che avevano avuto l ’ardire di

misurarsi con lui. Lo ritrovarono soltanto un paio di giorni

dopo, nudo ed ubriaco nel dormitorio femminile del la

Squadra Unificata a spiegare alle sovietiche il significato

della parola perestrojka.

La Lituania aveva battuto l ’Unione Sovietica, ancora una

volta.

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“We’ve got to call Larry” disse Magic “Dobbiamo chiamare

Larry”

La telefonata è una di quel le che non vorreste mai ascoltare,

è quella di un vostro amico, i l vostro migl iore amico, che vi

confida di aver contratto i l virus dell ’HIV. E’ i l 1 991 , e in

questo momento storico, quel le tre lettere, messe in

quell ’ordine, avevano la stessa gravità di una condanna a

morte. Chiunque si sarebbe arreso, ma Magic no, non era

caduto nell ’umano sconforto, ma si era lasciato andare a

quell ’ ingenua incredulità che sopraggiunge in quei momenti.

Dopo che il dottor Mellman gli aveva comunicato la

diagnosi, Magic semplicemente non ci aveva creduto,

perché all ’alba del ventunesimo secolo quella malattia,

l ’AIDS, era appannaggio di froci e tossici, non dei campioni

NBA. Decise di ripetere il test ancora ed ancora, ma il

responso era sempre lo stesso, quelle tre maledettissime

lettere. In un’epoca in cui Twitter e Facebook non

esistevano neppure nelle menti di Matheson o Asimov, la

notizia ci mise un po’ a circolare, e dopo qualche partita in

cui Coach Mike Dunleavy non lo convocò neppure, le

domande dei giornal isti cominciarono ad essere più

pressanti.

Magic uscì al lo scoperto i l 7 Novembre del 1 991 , quando

indisse la conferenza stampa più sconvolgente della storia

del lo sport.

La sala stampa del Forum di Inglewood era stipata fino

all ’ inverosimile.

Magic salì sul podio.

I l sorriso spento è lo sguardo di un uomo impaurito.

Si avvicinò al microfono e fu diretto, come sempre:

“A causa del virus dell ’HIV che ho contratto, devo ritirarmi

dai Lakers, oggi”. Per i l mondo, quella semplice frase

metteva un punto ad una delle carriere più esaltanti di

sempre. Quel virus aveva tolto al la gente i l divertimento del

gioco, la gioia e la fantasia, quel la di un uomo che aveva

espresso il concetto di “immaginazione al potere” molto

meglio di tutti i saggi di Herbert Marcuse.

Ma se da un lato la lapidarietà di quel l ’affermazione

sembrava non lasciare speranze, dal l ’altro, l ’esempio di

Magic e le parole del dottor Mellman, servirono al mondo

per comprendere la differenza tra essere malati di AIDS e

risultare sieropositivi al test HIV. Nel 1 991 l ’aspettativa di

vita di chi contraeva l’HIV era di 9 anni, e malgrado i primi

effetti del virus riguardassero soltanto una leggera

spossatezza, i l suo ritiro non serviva ad evitare i l contagio

degli altri atleti , ma semplicemente per l imitare i

peggioramenti del le condizioni del suo sistema immunitario.

I medici stavano provando ad allungare la vita a Johnson,

uccidendo Magic.

Eppure Magic tornò. Non lo fermavano in campo, non lo

fermava il virus.

Così quando a febbraio arrivò i l momento dell ’Al l-Star

Weekend a Orlando, la gente non lo dimenticò; al quarto

posto della Western Conference, per acclamazione

popolare, campeggiava il nome di Earvin “Magic” Johnson.

La competizione sarebbe stato i l suo “canto del cigno”,

spettatori da ogni parte del globo avrebbero potuto

ammirare per un’ultima volta quel sorriso su di un campo da

basket. Questo però non andava a genio a tutti , e furono

proprio Byron Scott e A.C. Green, amici nonché compagni ai

Lakers, i primi ad ammettere la loro paura di giocare con

Magic; seguì a ruota Mark Price, guardia dei Cleveland

Cavaliers, che dichiarò “Se esiste un rischio, non credo che

dovremmo correrlo”. Magic si tappò le orecchie e dopo un

parere favorevole dei medici accettò l ’ invito di David Stern a

giocare per la squadra della Western Conference.

Dopo una standing ovation del pubblico, Magic si esibì in

una performance leggendaria, declamò basket. Gli ultimi

minuti di quel la partita sono da consegnare alla storia

del l ’uomo, un momento di perfezione in cui i l raziocinio

umano si ferma per lasciare i l posto al le emozioni. Magic

viene sfidato sistematicamente in uno contro uno da Isiah

Thomas e Michael Jordan, è una forma di rispetto viri le,

quasi tribale, in cui due figure mitologiche donano al rivale

tutto ciò che hanno di più caro, la gioia del gioco. L’ultima

azione è degna di un’opera di Tennessee Wil l iams, c’è

Magic a sette metri da canestro, in mano ha tanta magia e

una palla da basket. Isiah lo marca stretto. Sorride. I l

cronometro scorre mentre Zeke per una frazione di secondo

gli lascia spazio. Alle volte le regole non scritte del l ’amicizia

rendono le parole inuti l i . Magic lascia partire i l tiro.

Ovviamente entra, da tre. I l pubblico esplode mentre tutti ,

ma proprio tutti , compagni ed avversari, mandano a far

benedire i l virus e corrono ad abbracciare Magic.

A fine partita, dopo aver total izzato 25 punti, 9 assist, 5

rimbalzi e 2 palle rubate, con il titolo di MVP tra le mani dirà:

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La favola continua. Quella che doveva essere la sua ultima

apparizione in canotta e calzoncini diventa i l viatico per la

manifestazione sportiva per eccellenza: le Olimpiadi di

Barcellona del ’92. Non solo si unisce alla migl ior squadra di

basket che occhio umano abbia mai visto, ma ne diventa i l

protagonista.

Alla cerimonia di apertura succede il pandemonio; la

portabandiera è una tale Francie Larrieu-Smith, ma in quel

momento gl i occhi del mondo sono puntati su di lui . Tutti , dai

più grandi campioni agl i atleti sconosciuti , vogl iono vederlo

da vicino, toccarlo, avere una foto con lui, un cimelio,

qualsiasi cosa provasse ai nipotini che il nonno aveva

conosciuto i l grande Magic. La sfi lata diventa un momento

straordinariamente emozionante, i l sorriso di Magic entra

nelle case di mil iardi di persone. Come direbbe Peppuccio

Tornatore, l ’Ol impiade è una pura formalità, gl i Stati Uniti

dominano vincendo tutti e 8 gl i incontri che l i separano dalla

medaglia d’oro con un margine di 43.8 punti. I l più del le

volte gl i avversari smettono di giocare e si fermano ad

ammirare quegli Dèi scesi in terra a spiegare basket. Nel

match finale contro la Croazia di Dražen Petrović, Magic

segna 11 punti , smazza 6 assist e compie i l suo capolavoro:

ha abbattuto i l pregiudizio che aleggiava nei confronti dei

sieropositivi .

Quando i suoi compagni di squadra si complimentano per le

bell issime partite nonostante la malattia, gl i occhi di Magic si

i l luminano.

I complimenti lo fanno sentire guarito. Decide di tornare a

casa, ai Lakers.

Non tutti sono però d’accordo, Karl Malone, suo compagno

di squadra a Barcellona, in un intervista dopo una partita di

pre-season, mostrando i tagl i e le ferite dice: “Ho paura del

contagio. I l fatto che Magic sia tornato non vuol dire niente

per me. Non sono un tifoso. Sarà anche una bella cosa per

i l basket, però bisogna guardare oltre. I l Dream Team è stata

un’idea che tutti hanno amato, ma ora siamo tornati nel la

realtà”.

Magic accusa il colpo, e un paio di giorni dopo la

“Gioco per me stesso ma anche per tutti quelli che sono

malati o hanno un handicap e vogliono continuare a

vivere”

Magic Johnson

“Sembri in gran forma, tornerai vero?”

Larry Bird

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dichiarazione di Malone, durante un exhibition game a

Chapel Hil l contro i Cleveland Cavaliers, si procura un

tagl ietto sul l ’avambraccio destro. Gary Vitti , i l preparatore

dei Lakers e grande amico di Magic, prende un tampone e a

mani nude gli fascia i l braccio. Nel palazzetto cala i l si lenzio

e lo sguardo dei giocatori, compagni ed avversari, pesa

come un macigno. L’espressione sul volto di Magic è

eloquentissima: è sconvolto.

Magic rientra in campo, ma non è più lo stesso, qualcosa si

è rotto, aveva spento il sorriso mentre la gioia del gioco se

l’erano portata via quegli sguardi e quel si lenzio, la cura con

la quale Gary gli aveva curato un graffietto ridicolo che non

meritava neppure un cerotto e le dolorosissime dichiarazioni

di Karl.

Magic si ritirò prima ancora che cominciasse il campionato e

per la seconda volta fece convocare i giornal isti al Forum di

Inglewood. Questa volta, al la conferenza stampa, Magic non

si presentò neppure. Se ne andò, lasciò i l gioco che amava

e che aveva cambiato come un angelo ripudiato. Quel

giorno Magic perse ma era vivo e lo è ancora dopo 23 anni

dal contagio.

Se chiedete a chiunque chi sia Magic Johnson, vi

risponderà “Magic, i l migl ior playmaker di sempre”.

Magic Johnson ha vinto!

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In questo articolo non troverete sfi lze di numeri, statistiche

stagionali o conteggi di punti/assist in carriera; questi

possono spiegare solo parte di ciò che è il basket in realtà,

parte che si avvicina vorticosamente a zero se l’uomo, ancor

prima che giocatore, di cui si sta parlando è Stephen

Jackson.

I l copione di partenza è dei più scontati , ma imprescindibi le

per tentare di capire ciò che è successo più avanti: padre

scomparso, patrigno in galera e una piccola città del Texas

in cui pul lulano gang di strada e spacciatori. Tutto questo

fino a che il sedicenne Stephen vede morire i l suo

fratel lastro in ospedale a causa di un’aggressione da parte

di tre ragazzi del luogo.

Dopo aver portato la Lincoln High School al titolo, viene

scelto al secondo giro dai Phoenix Suns al Draft del 1 997,

salvo essere tagl iato un paio di mesi più tardi senza aver

potuto sfiorare il campo da gioco. I tre anni seguenti si

dividono tra CBA (lega minore, in sti le D-League), Sud

America, Austral ia e provini per ben 1 7 squadre NBA. La

ruota inizia a girare prima della stagione 2000/01 , quando gli

al lora New Jersey Nets decidono di farlo partecipare al

campus estivo e di tesserarlo in sostituzione dell ’ infortunato

Keith Van Horn.

I l suo anno da rookie non è esaltante anche a causa della

sua propensione a farsi traviare dal veterano, nonché nuovo

amico, Stephon Marbury: notti brave e scarso impegno, non

ciò che ci vuole per dare una buona prima impressione.

Infatti i Nets decidono di lasciarlo andare a fine anno,

permettendo così agl i Spurs di mettere le mani su questo

controverso esordiente.

Così com’è stato per molti suoi predecessori e, perché no,

successori, i l primo incontro con Popovich rientra nella

categoria dei “sarebbe potuto andare meglio”. Pop mette

subito in chiaro le cose dicendogli che l ’avrebbe lasciato

fuori per la maggior parte della stagione, che avrebbe

preteso da lui un arrivo di buon’ora e una tarda uscita dagli

al lenamenti, pena l’ immediato al lontanamento dalla

squadra.

Jackson, dopo l’ iniziale fisiologica fase di negazione, inizia

ad allenarsi con dedizione e a studiare i l sistema degli

Spurs, capendo come gestire le spaziature per permettere a

David Robinson e Tim Duncan di avere spazio di manovra

all ’ interno dell ’area. Altra mossa chiave di Pop è quella di

sistemare l’armadietto di Jackson accanto a quello di

Duncan, propiziando così la nascita di un’inaspettata quanto

solida relazione di reciproca stima, fondamentale per la

crescita professionale del primo (o di entrambi?).

La stagione seguente, 2002/03, Jack diventa una pedina

importante della squadra, tanto da diventare un fattore

determinante persino nelle final i di conference contro i Mavs

e nelle Finals contro i vecchi compagni dei Nets, segnando

spesso triple decisive negli ultimi quarti di queste serie e

chiudendo come terzo migl ior marcatore degli Spurs

campioni NBA.

Dopo la vittoria del l ’anel lo Jackson lascia gl i Spurs in cerca

di un contratto remunerativo, che troverà soltanto dopo un

anno di transizione agli Atlanta Hawks. Sei anni di contratto

per un totale di 38 mil ioni di dol lari , questa l ’offerta degli

Indiana Pacers nella stagione 2004/05. Titolo che a detta di

molti sarebbe effettivamente arrivato se non fosse stato per

un episodio tristemente celebre, passato alla storia col

nome di The Brawl (la rissa).

Queste parole ricordano terribi lmente quelle spese dopo la

morte del fratel lo, e credo siano più che sufficienti a

spiegare la reazione di Jack in quella serata al Palace of

Auburn Hil ls, Detroit.

La stagione dei Pacers si chiude sostanzialmente quella

sera, dato che tutti i giocatori coinvolti nel la rissa ricevono

pesanti squalifiche mettendo la parola fine ai sogni di gloria

del la squadra. I l cl ima a Indiana si fa pesante, la città si

disinteressa della squadra che l’anno successivo inizia a

sfaldarsi. Artest, rientrante dall ’anno di squalifica ricevuto in

seguito al la rissa, chiede di essere ceduto causando una

ferita nel cuore di Jackson, sentitosi tradito da un fratel lo per

cui lui e l ’ intera squadra erano stati presenti, nonostante i l

rischio enorme per le loro carriere.

"È come se ogni giorno sperassi di poter esser stato là,

perché molto di ciò che ho imparato e della persona che

sono lo devo a lui: come essere leale, come esserci per

un amico, come parlare alle ragazze. Non voglio che

qualcuno dica che non ero là per aiutare mio fratello.

Non voglio che qualcuno possa dirlo ancora.”

Stephen Jackson

"Molte persone non hanno idea di cosa significhi avere

un compagno di squadra, col quale passi più tempo che

con la tua famiglia. Come potete pensare che non sarei

andato ad aiutarlo? In un certo modo, se dovessi morire

nel tentativo di aiutare un compagno, un amico o

qualcuno che amo, credo che lo potrei accettare. La mia

famiglia probabilmente no, ma io sì.”

Stephen Jackson

“I make love to pressure”

Stephen Jackson

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A dare il colpo di grazia al la situazione in quel di

Indianapolis ci pensa ancora Jack, un paio d’anni più tardi,

coinvolto in un alterco fuori da uno strip club. All ’uscita

Jackson e compagni vengono fermati da un gruppo di

persone ed inizia una non precisata discussione, in

particolare con un uomo a cui Jack pare di vedere una

pistola addosso; a quel punto i l cugino di uno degli uomini

investe Jackson con la macchina (evidentemente a velocità

non proibitive), i l quale, dopo essersi rialzato e ripreso dalla

botta subita, tira fuori la pistola e spara cinque colpi “per

disperdere la fol la”, a detta sua. I l vaso trabocca e i Pacers

lo mandano a giocare a Golden State.

La stagione 2006/07 è celebre per quello che è forse il

migl ior upset nel la storia del l ’NBA.

I Golden State Warriors di Baron Davis e Stephen Jackson

(8th seed) battono i Dallas Mavericks (67-1 5, sesto migl ior

record nella storia del la lega) in una serie che si conclude

sul 4-2, ricordata per i l calore del pubblico dell ’Oracle Arena,

sesto uomo in campo per i cal iforniani.

Jackson viene espulso in gara 2 e 5, ma si riscatta con una

gara 6 favolosa segnando 7/8 tiri dal l ’arco e permettendo a

Golden State di produrre un parziale da 1 8-0 all ’ interno del

quale segna 1 3 punti consecutivi (33 total i), tutto questo

marcando l’MVP Dirk Nowitzki e costringendolo ad un

imbarazzante 2/1 3 dal campo.

Baron Davis, infortunatosi al la spalla durante i l primo quarto

di quel la gara, ha dichiarato:

Grazie al le prestazioni di quel l ’anno, Jack si guadagna il

titolo di capitano della squadra diventando “Captain Jack”,

titolo che ha ripudiato in seguito perché non ritenuto adatto

a sé.

Quanto di più significativo per la sua carriera di giocatore si

ferma qui.

Le esperienze a Charlotte e Milwaukee, i l ritorno fugace agli

Spurs nel tentativo (ben riuscito) di avere un uomo che

arginasse Durant, non hanno più dato modo a Jack di

mettersi in luce ad alti l ivel l i , salvo per i Playoffs con i

suddetti Spurs, giocati eccellentemente nei pochi minuti a

disposizione e terminati nel club 50-40-90; e la sua carriera

è probabilmente ormai volta al termine.

Che tipo di giocatore è stato?

Cosa sta facendo ora?

Possibi le si stia dando da fare per la sua comunità

al l ’ interno della Stephen Jackson Academy, da lui fondata in

seguito al le devastazioni degl i uragani passati dal la sua

città.

Che uomo è?

"Gli ho detto (a Jack, ndr) che avrei dato il massimo e

che non avrei voluto essere colui che lavorava più duro

su quel campo. Avrebbe dovuto guidarmi. Lui è il leader

di questa squadra e se chiedete a chiunque di noi, lui è

il cuore e l’anima di questa squadra. Lui è un giocatore

da grandi appuntamenti, e sapeva quanto questa partita

fosse importante. È l’unico di questa squadra ad aver

vinto un titolo, quindi abbiamo dovuto fare affidamento

su di lui.”

Baron Davis

“Chiedete a chiunque nella lega, Stephen è un giocatore

d’élite, tanto quanto chiunque altro tra quelli che ho

allenato.”

Larry Brown

“Non credo la gente abbia compreso che gran giocatore

sia Stephen Jackson, difende ogni sera, fa giocate,

segna, l’unica cosa che non fa è andare a rimbalzo.

Rende migliori i compagni attorno a lui.”

Don Nelson

“Il migliore compagno di squadra possibile.”

Tim Duncan

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Indubbiamente è una persona il cui passato influenza il

presente, ed influenzerà il futuro. Tante sono state le parole

spese dai media per crocifiggere i suoi errori, quante quelle

usate dai suoi compagni di squadra e dirigenti nel l ’ intera

carriera per lodare la sua simpatia, la sua lealtà e il suo

cuore.

Io un’idea mia personale l ’ho, ma non m’interessa

convincere nessuno.

"Molte persone confondono la mia passione per il gioco

con l’essere un criminale o un gangster. Sono tutt’altra

storia. Sono solo uno cresciuto nel ghetto, che ha fatto

qualcosa venendo da nulla e che non è cambiato.

Continuerò a stare a Port Arthur d’estate camminando

senza scarpe, mangiando gamberi, facendo barbecue e

andando a pescare. Sarò la stessa persona, e sono

orgoglioso di dirlo perché un sacco di giocatori in NBA

sono intoccabili. Non sono reali. Ma io sono orgoglioso

di essere un tipo regolare a cui le persone possono

avvicinarsi, non sono Hollywood. Voglio che le persone

sappiano che questo è quello che sono e che non

cambierò per nulla al mondo.”

Stephen Jackson

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WHO IS: Brandon Dawayne Roy nasce il 23 Luglio 1 984 a

Seattle. Inizia a dar prova del suo talento nella AAU, la

Amateur Athletic Union, una delle più grandi organizzazioni

sportive amatorial i del Paese, per poi iscriversi al la Garfield

High School. Vince l’MVP della KingCo Conference sia

nell ’anno da junior che in quello da senior, che chiude con

22.3 punti e 1 0.4 rimbalzi di media, e viene considerato uno

dei migl iori e più completi talenti a l ivel lo nazionale, tanto

che in molti danno per certo i l suo sbarco in NBA. Brandon

inizialmente decide di rendersi eleggibi le al Draft 2002, ma

successivamente dà prova di grande saggezza, cambiando

idea e decidendo di andare al col lege. Le norme della NCAA

sono molto ferree, infatti i futuri studenti-giocatori devono

ottenere punteggi molto alti al SAT, un test di ammissione,

per potersi iscrivere ai col lege di Division I . Roy, che ha

problemi di apprendimento ed è molto lento nella

comprensione dei testi scritti , deve ripetere il test quattro

volte prima di rispettare le richieste dell ’NCAA e potersi

iscrivere alla University of Washington.

Nella prima stagione gioca poco, come usanza agli Huskies,

mentre nella seconda stagione ha un ruolo fondamentale

al l ’ interno della squadra, guidandola nei rimbalzi e

chiudendo secondo in punti , assist e palle rubate. La

stagione da junior è caratterizzata da costanti problemi al

menisco destro che lo costringono a vedere il minutaggio

ridotto, ma al termine dell ’anno Brandon considera ancora la

possibi l ità di rendersi eleggibi le al Draft 2005. Quando però

il suo compagno di col lege Nate Robinson e la futura recluta

degli Huskies Martel l Webster decidono di entrare in NBA,

Roy vede l’opportunità di poter diventare la stel la del la

squadra e decide di concludere gli studi a Seattle.

Ancora una volta la sua decisione è azzeccata, perché non

solo guida l ’ateneo al titolo nel la Pac-1 0 e alle Sweet 1 6 nel

torneo NCAA, ma con 20.2 punti , 4.1 assist e 5.6 rimbalzi

viene nominato Pac-1 0 Player of the Year e All-American.

Terminata la carriera collegiale Brandon è pronto a fare il

salto al piano superiore e viene scelto con la sesta chiamata

del Draft 2006 dai Minnesota Timberwolves.

NBA CAREER: I Wolwes però lo girano subito ai Portland

Trail Blazers in cambio di Randy Foye, scelto al la settima

chiamata.

La prima stagione tra i pro è subito positiva sia dal punto di

vista statistico che da quello tecnico, ma la guardia di

Seattle mostra subito la fragil ità del le sue ginocchia.

Sebbene infatti chiuda un’ottima stagione con 1 6.8 punti , 4.4

rimbalzi, 4 assist e 1 .2 rubate, ricevendo 1 27 voti su 1 28 per

i l Rookie of the Year e lasciando gli addetti ai lavori a bocca

aperta per la sua maturità cestistica, è costretto a saltare

ben 25 partite a causa dei problemi al le ginocchia.

Nella stagione da sophomore le sue cifre migl iorano,

Brandon è la stel la dei Blazers, segna 1 9.1 punti a partita

con 4.7 rimbalzi, 5.8 assist e 1 .1 rubate, guidando Portland

a una striscia di 1 3 vittorie consecutive nel mese di

Dicembre e venendo convocato come riserva all ’Al l-Star

Game. Nell ’ultima partita prima del break però ha un

infortunio al la cavigl ia che tuttavia non gli impedisce di

giocare ben 29 minuti nel la partita del le stel le e di segnare

1 8 punti con 9 rimbalzi.

La terza stagione in NBA è da incorniciare, nonostante salti

gran parte della preseason a causa di un intervento al

ginocchio per la rimozione di carti lagine che irritava

l’articolazione: in 78 partite registra 22.6 punti , 4.7 rimbalzi,

5.1 assist e 1 .1 rubate, tirando con il 48% dal campo e il

37.7% dalla lunga distanza. Grazie a questi numeri Roy

viene convocato ancora all ’Al l-Star Game, incluso nell ’Al l-

NBA Second Team e i suoi Blazers si qualificano per la post

season dove vengono però eliminati al primo turno dai

Rockets in sei partite. Nonostante l ’el iminazione Roy chiude

la serie con 26.7 punti di media e una grandissima Gara 2 in

cui guida i suoi al la vittoria con 42 punti.

Prima della stagione 2009-1 0 Brandon firma un nuovo

contratto che lo lega alla franchigia del l ’Oregon per i

successivi 4 anni, con opzione sul quinto, al massimo

salariale. Gli infortuni costringono Roy a saltare 1 7 partite,

ma nelle 65 giocate sfodera ancora grandi prestazioni che

“Al termine del mio anno da junior sentivo che ero

pronto per giocare in NBA, ma c’era ancora molto che

dovevo mostrare”

Brandon Roy

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gli valgono la terza convocazione consecutiva alla partita

del le stel le, che salta a causa di un infortunio al polso, e

l ’ inclusione nell ’Al l-NBA Third Team. Chiude la stagione con

20.8 punti , 4.2 rimbalzi, 4.5 assist e 0.9 rubate, guidando

ancora i Blazers ai Playoffs. Tuttavia l ’1 1 apri le nel la vittoria

contro i Lakers Brandon subisce un nuovo infortunio al

ginocchio destro, che lo costringe ad andare sotto i ferri .

Secondo le prima previsione Roy dovrebbe saltare tutto i l

primo turno dei Playoffs contro i Suns, incredibi lmente però

torna in Gara 4, ma nonostante i l suo rientro i Blazers

vengono ancora eliminati per 4-2.

Nella stagione 201 0-11 Brandon inizialmente mantiene i

suoi standard realizzativi abitual i , ma dal mese di Dicembre

le sue ginocchia lo costringono a saltare diverse partite, per

poi essere out a tempo indeterminato. La mancanza di

carti lagine in entrambe le ginocchia lo porta nuovamente

sotto i ferri i l 1 7 Gennaio 2011 , ma torna in campo il 25

Febbraio con 1 8 punti dal la panchina, compresa una tripla

per portare la gara all ’overtime, nel la vittoria contro i

Nuggets. Per i l resto della stagione Roy continua a partire

dalla panchina e ad avere un minutaggio ridotto rispetto gl i

anni precedenti, chiudendo con un career low di 1 2.2 punti ,

2.6 rimbalzi, 2.7 assist e 0.8 rubate in 47 partite giocate. Nei

Playoffs i Blazers affrontano i Mavs, futuri campioni NBA. In

Gara 1 Roy gioca 26 minuti segnando solo 2 punti mentre in

Gara 2 gioca solo 8 minuti senza segnare, con i Blazers che

perdono entrambe le partite. Roy non nasconde il suo

malumore per essere stato l ’ultima delle riserve e mostra di

poter essere ancora uti le al la squadra segnando 1 6 punti in

quasi 24 minuti di uti l izzo in Gara 3, vinta da Portland 97-92.

Gara 4 è leggenda. Dopo i primi due quarti equil ibrati , in cui

Roy segna soltanto 3 punti, Dallas al lunga fino al 67-44. La

partita sembra chiusa anche dopo una tripla del #7 al

termine del terzo periodo, ma nel quarto periodo Roy guida i

suoi in un’incredibi le rimonta, segnando 1 8 punti, di cui 4 in

un pazzesco gioco da 4 punti per i l pareggio permettendo ai

Blazers di vincere 84-82 e di pareggiare al serie sul 2-2.

Nelle restanti partite Dallas mostra la sua superiorità ed i

Blazers vengono eliminati ancora per 4-2.

La stagione 2011 -201 2 è quella del Lockout, la speranza

che Roy possa recuperare e tornare la star degli anni

precedenti è tanta, ma poco dopo il training camp Brandon

annuncia i l suo ritiro a causa della mancanza di carti lagine

in entrambe le ginocchia.

La sua carriera sembra finita, ma in realtà Roy lavora

moltissimo per poter tornare in NBA e a Giugno 201 2

comunica che, grazie ad un procedura tramite cui viene

iniettato del plasma direttamente nelle ginocchia per

permettere alle stesse una rigenerazione dei tessuti (la

stessa eseguita da Kobe Bryant), è pronto calcare

nuovamente i parquet del la Lega americana. I l 31 Luglio

firma un biennale con i Wolves, la squadra che lo aveva

scelto al Draft, e durante i l training camp le sue ginocchia

non gli provocano dolore. In una partita di preseason

subisce un infortunio dopo uno scontro di gioco, ma riesce

comunque ad essere presente alla prima partita del la

stagione, nel la quale realizza 1 0 punti in 30 minuti di uti l izzo.

Dopo sole cinque partite però le sue ginocchia richiedono

l’ennesimo intervento chirurgico e Roy è costretto a saltare

l ’ intera stagione. I l 1 0 Maggio 201 3 Minnesota lo tagl ia

mettendo probabilmente fine alla sua sfortunata carriera.

Sarebbe potuto entrare nell ’Ol impo dei giocatori NBA, aveva

tutte le carte in regola per poter essere tra i grandissimi di

questo sport ma la sfortuna si è accanita su di lui e non gli

ha permesso di mostrare tutto i l suo talento. La speranza è

che riesca a recuperare in qualche modo, per garantire

anche solo 20 minuti di qual ità, ma la realtà è che la sua

carriera è ormai giunta definitivamente al termine. In bocca

al lupo Brandon, ci hai fatto vivere grandissime emozioni.

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WHO IS: Reginald Wayne Mil ler nasce a Riverside, in

California, i l 24 agosto 1 965. I l piccolo Reggie presenta sin

dal la nascita dei gravi problemi a cavigl ie e ginocchia, tanto

che i medici sono costretti a comunicare a mamma Carrie

che nei primi anni di vita per camminare dovrà uti l izzare dei

sostegni metal l ici , con la speranza che un giorno, forse,

potrà farne a meno. Dopo quattro anni finalmente i medici

decidono che i sostegni non sono più necessari, ma di

praticare sforzi fisici non se ne parla: i l fisico è troppo esile e

la muscolatura poco sviluppata. Reggie però non ci sta,

inizia a giocare con i fratel l i permettendo alle sue ossa e alla

sua muscolatura di irrobustirsi, riuscendo finalmente a

camminare e correre senza problemi.

Inizialmente si dedica al baseball , seguendo le orme del

fratel lo, Darrel l , che negli anni ’80 giocherà addirittura

qualche stagione in MLB, ottenendo ottimi risultati . La sua

grande passione però è la palla a spicchi, ma quando gioca

con la sorel la viene regolarmente stoppato ed ecco che

inizia ad allontanarsi dal canestro, svi luppando una tecnica

di tiro discutibi le, con parabola molto alta, ma dannatamente

efficace. Dopo essersi diplomato alla Riverside Polytechnic

High School, i l suo grande sogno è quello di vestire la

leggendaria maglia Bruins, e per sua fortuna quell ’anno tutti

i prospetti migl iori decl inano l’ interessamento di UCLA, che

decide di puntare sul fratel lo di Cheryl, quel la che ne aveva

messi 1 05 in una partita l iceale pochi anni prima.

I l primo anno è di puro apprendimento, ma già dal secondo

le doti di real izzatore di Reggie iniziano a farsi vedere e

guida l ’ateneo losangelino al la vittoria del NIT, chiudendo la

stagione come migl ior marcatore della squadra. I l terzo e

quarto anno la consacrazione: da junior chiude con 25.9

punti a partita tirando con il 55% abbondante dal campo, da

senior, anno in cui l ’NCAA decide di inserire i l tiro da tre

punti, mette a referto 22.2 punti di media, con il 54% dal

campo e il 47% scarso dalla lunga distanza, chiudendo la

carriera collegiale con 2095 punti, secondo nella classifica

dei real izzatori in maglia Bruins, dietro solo a Lew Alcindor

(o meglio Kareem Abdul-Jabbar).

Purtroppo però il fisico smilzo e il gioco troppo basato sul

tiro in sospensione fanno storcere il naso a molti , quando

con l’undicesima scelta del Draft 1 987 i Pacers decidono di

puntare su di lui , preferendolo al l ’ idolo locale, Steve Alford,

fresco campione olimpico 1 984, scelto poi dai Mavs e che in

NBA resterà soltanto quattro stagioni.

NBA CAREER: Lo scetticismo dell ’ambiente però giova a

Reggie, abituato a combattere sin dai primi minuti di vita,

che, giocando da backup di John Long, segna 61 tiri

dal l ’arco battendo il record di triple segnate da un rookie

realizzato otto anni prima da Larry Bird, e chiude la stagione

con 1 0 punti di media tirando con il 48.8% dal campo e il

35.5% da tre punti in 22 minuti di uti l izzo.

Nell ’anno da sophomore diventa titolare e le sue cifre

l ievitano, 1 6 punti a partita con il 40% da tre in 34 minuti .

Le critiche verso il cal iforniano e la società, rea secondo i

tifosi di aver puntato sul giocatore sbagliato, sono però una

costante e questo porta Mil ler a lavorare duramente durante

i l training camp, chiudendo poi la stagione con 24.6 punti a

partita contornati da 3.6 rimbalzi, 3.8 assist e 1 .3 rubate,

tirando con percentual i incredibi l i per una guardia (51 .4%

dal campo e 41 .4% dalla lunga distanza) e diventando

finalmente l ’ idolo di Indianapolis, nonché giocatore

franchigia e vero trascinatore dei Pacers. Diventa i l primo

Pacer ad essere convocato alla partita del le stel le dal ’77 e

guida la squadra ai Playoffs, dove però arriva l ’el iminazione

al primo turno contro i futuri campioni, i Detroit Pistons.

L’anno successivo, i l quarto in NBA, termina con 22.6 punti

di media e soprattutto i l 91 .8% ai l iberi, primo nella classifica

NBA e record per la franchigia del l ’ Indiana, che però esce

ancora al primo turno di Playoffs, questa volta contro i

Celtics.

Dopo altre due stagioni da oltre 20 punti di media, nel

campionato 1 993-94 Reggie diventa migl ior real izzatore

nella storia dei Pacers, superando Bil ly Knight, e guida la

squadra alle Conference Finals dove Indiana affronta New

York. L’1 giugno, al Madison Square Garden, con la serie sul

62

2-2, Reggie entra definitivamente nella storia: 1 4/26 dal

campo, di cui 6/11 da 3 punti, per 39 punti total i . Fino a qui

potreste pensare “si, ottima partita, ma non è l’unico da aver

giocato una partita del genere”. La cosa incredibi le è che 24

di questi 39 punti l i ha segnati nel quarto periodo, dove ha

tirato con un perfetto 5/5 dall ’arco, recuperando

praticamente da solo uno svantaggio di quasi 20 punti e

vincendo la partita. Da qui viene coniato i l termine It’s Mil ler

Time per indicare i final i di partita, in cui Reggie da il meglio

di sè. I Knicks però vincono le due partite seguenti,

approdando alle Finals dove vengono sconfitti dai Rockets.

Questa serie segna l’ inizio di una grandissima rival ità tra le

due squadre e gara 5 sarà sempre ricordata, oltre che per la

prestazione mostruosa del Kil ler, anche per i l trash talking

tra Mil ler e Spike Lee, con lo storico choke di Reggie.

L’anno successivo diventa i l primo Pacer ad essere titolare

al l ’Al l Star Game, guida Indiana al titolo del la Central

Division stabilendo il record di franchigia con 60 vittorie e nel

secondo turno incrocia ancora i Knicks.

Tanto per cambiare, entra nella storia.

In gara 1 , con 1 8.7 secondi sul cronometro, i Knicks sono in

vantaggio 1 05-99 e Larry Brown, coach di Indiana, chiama

timeout, con i giocatori di New York che già festeggiavano la

vittoria. Nell ’azione successiva Mil ler, con 8.9 secondi

rimanenti, segna la tripla del meno 3, sul la rimessa ruba

palla, si piazza oltre la l inea da 3 punti e pareggia. L’ inerzia

del la partita ha cambiato padrone, fal lo su Starks nel

tentativo di rubare palla: 0/2 dalla lunetta, schiacciato dalla

pressione. Battagl ia incredibi le a rimbalzo, Ewing conquista

i l pal lone ma sbaglia da due. I Knicks, spaventati dal le triple

di Reggie, commettono fal lo proprio sul 31 , che però non

perdona, facendo 2/2 e vincendo, ancora una volta da solo

e in rimonta con 8 punti in poco meno di 9 secondi,

mostrando ancora una volta le sue incredibi l i doti da closer.

La serie viene vinta 4-3 da Indiana, che però deve

arrendersi ancora una volta al le Conference Finals, contro i

Magic che poi perderanno contro i Rockets nuovamente

campioni NBA.

Nei due anni seguenti i Pacers deludono, perdendo contro

Atlanta al primo turno dei Playoffs e non qualificandosi poi

al la postseason.

Nella stagione 1 997-98, dopo un’altra ottima regular season

in cui Reggie supera quota 1 5 mila punti , al secondo turno

ecco ancora i Knicks ed ecco ancora Kil ler Mil ler,

ribattezzato The Knick-Kil ler: in gara 4, con la serie sul 2-1

per Indiana, davanti al la sedia di Spike Lee segna la tripla

per l ’overtime e guida i Pacers al la vittoria con 38 punti

total i . La serie si chiude 4-1 senza difficoltà, ma il turno

seguente ecco arrivare la corazzata Bulls. In gara 4, con i

Bul ls sul 2-1 e in vantaggio di due punti con 2 secondi e

mezzo sul cronometro, dal la rimessa ecco lo schema per

Mil ler che, nonostante la marcatura asfissiante di Jordan,

con un movimento incredibi le ed un catch and shoot perfetto

segna una tripla da 1 0 metri per la vittoria. I Bul ls vincono la

serie 4-3, ma per la prima volta hanno bisogno di sette

partita per raggiungere le Finals.

L’anno successivo guida la lega con il 91 .5% ai l iberi,

supera quota 1 8 mila punti ed è per l ’ennesima volta migl ior

real izzatore della squadra con 1 8.4 punti di media. Ai

Playoffs ancora New York alle Final i di Conference, ma

questa volta a trionfare sono i Knicks, 4-2, grazie soprattutto

al le ottime prestazioni di Houston e Sprewell ed al la

pessima gara 6 di Mil ler (3/1 8 dal campo).

Nell ’anno seguente Mil ler raggiunge probabilmente l ’apice

SpazioNBA.it Magazine - Back in the days

63

della sua carriera. Indiana per la prima volta nella storia

arriva al le Finals, dopo aver el iminato ancora i Knicks 4-2 al

primo turno con 34 punti di Reggie in gara 6, ma nonostante

una serie praticamente perfetta di Mil ler, che chiude con

24.3 punti di media, cede 4-2 ai Lakers, prossimi al three-

peat.

Le abil ità da closer di Mil ler continueranno, nonostante la

carriera sia prossime al termine. Nel 2001 i Pacers perdono

3-1 al primo turno contro i Sixers, ma l’unica partita vinta è

decisa da un buzzer da tre punti del sol ito Reggie, mentre

nel 2002, nel primo turno contro i Nets con la serie sul 2-2,

prima segna sulla sirena una tripla da metà campo per i l

pareggio, poi al lo scadere del primo supplementare

pareggia di nuovo con una schiacciata. Deve però

arrendersi nel secondo overtime a Kidd, che guida i suoi al la

vittoria del la partita e della serie, e successivamente alle

prime Finals del la franchigia del New Jersey.

Gli anni seguenti Mil ler diventa progressivamente sesto

uomo di lusso e leader morale della squadra, dando qualche

sprazzo del suo enorme talento, come i 39 punti a 39 anni

contro i Lakers, fino a giungere al ritiro al termine della

stagione 2004-05, dopo l’el iminazione contro i Pistons.

Chiude la carriera NBA con 25279 punti, quattordicesimo

nella classifica di tutti i tempi, 2560 triple realizzate,

superato soltanto da Ray Allen i l 1 0 febbraio 2011 , e

un’infinità di game winner e tiri decisivi. 5 volte All-Star, 3

volte nel terzo quintetto NBA, oro mondiale e olimpico.

Come detto in apertura, uno dei tiratori migl iori sempre, ed

anche un giocatore estremamente intel l igente e malizioso,

capace di guadagnare giochi da quattro punti al largando le

gambe dopo una tripla toccando l’avversario e procurandosi

i l fal lo. Letale sia in uscita dai blocchi che dal pal leggio,

nonostante tecnicamente il suo tiro lasciasse molto a

desiderare. Personaggio unico, trash talker di prima

categoria.

Fa parte della cerchia di giocatori leggendari a non aver mai

vinto un anello.

Ma, pensando che alla nascita i medici non erano certi

potesse camminare senza uti l izzare sostegni metal l ici al la

Forrest Gump, ha vinto molto di più.

“Mi sembra doveroso ringraziare Reggie per tutto quello

che ha fatto per questa franchigia. Ha illuminato il

nostro cammino per 18 anni, portandoci 6 volte in finale

di conference, rendendo i Pacers una squadra

competitiva in regular season e nei playoffs. Per questo

Reggie Miller rimarrà per sempre nella storia degli

Indiana Pacers, e il suo numero 31 sarà ritirato."

Donnie Walsh durante il ritiro della maglia #31

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Marvin Barnes nasce a Providence nel 1 952, resistendo ad

un’infanzia da lui stesso definita raccapricciante, trascorsa a

fare da spettatore mentre i l padre alcol izzato alzava le mani

a piacimento su lui e la madre. Fino a che, compiuti sedici

anni, Marvin fa ritorno a casa con una pistola in mano,

ribaltando le gerarchie famil iari .

Quando è sul campo da gioco, però, la vita sembra

sorridere a Marvin. Porta la sua high school al titolo due

volte consecutive senza mai perdere una partita,

continuando a stupire una volta entrato a far parte della

squadra del col lege, i Providence Friars. Nel 1 973 li

conduce alle Final Four per la prima volta nella loro storia

(grazie al record di dieci canestri su dieci tentativi in una

partita del la March Madness), concludendo poi i suoi quattro

anni nel l ’NCAA come All-American e detenendo ancora oggi

i record per punti segnati (52), rimbalzi (34) e stoppate (1 2)

in una singola partita per i Friars, di cui è ancora oggi i l

migl ior rimbalzista (1 592, 1 7.9 rpg) e stoppatore (363, 4.1

bpg) di sempre.

A lasciare i l segno a Providence, però, non sono solo le sue

doti cestistiche. Nel suo anno da senior in high school, si

unisce ad un gruppo di ragazzi intenzionati a rubare un

autobus, ma la banda viene riconosciuta proprio grazie a

Barnes il quale, durante la rapina, indossa una giacca della

scuola con le scritte “State Champions” e “Marvin” cucite

sul la schiena. Durante i l col lege, invece, viene accusato di

aver colpito un compagno di squadra con una chiave

inglese, del tipo che si uti l izza per i dadi degl i pneumatici.

Barnes nega in ogni occasione il fatto, salvo poi

inaspettatamente dichiararsi colpevole in tribunale, potendo

così patteggiare e ottenere tre anni di l ibertà vigi lata (poiché,

nel caso non avesse patteggiato, gl i sarebbe toccato il

carcere). Queste vicende gli porteranno uno dei soprannomi

più calzanti nel la storia del gioco e che non si scrol lerà più di

dosso: Bad News, cattive notizie.

In ogni caso il talento è cristal l ino, motivo per cui viene

draftato in NBA con la seconda scelta dai Philadelphia

76ers. Barnes, però, rifiuta l ’offerta e decide di portare i l suo

talento agli Spirits of St. Louis, squadra di ABA, invogliato

dal paio di mil ioni presenti sul contratto.

I l suo esordio fra i professionisti è strabil iante, gl i Spirits

sono probabilmente la squadra più spettacolare dell ’epoca

(NBA compresa) e Barnes s’inserisce alla perfezione nel

gruppo. Porta a casa il Rookie of the year, al la faccia di

Moses Malone, e sul campo da gioco scherza con future

leggende quale Artis Gilmore e Dan Issel, facendo crescere

intorno a sé una montagna di aspettative per i l futuro.

Le due grandi stagioni con gli Spirits sono segnate da tanti

aneddoti imprescindibi l i per cercare di inquadrare meglio,

ammesso e non concesso che sia possibi le farlo, la persona

di Marvin Barnes.

I l suo rapporto con gli orari, i trasferimenti del la squadra e gli

al lenamenti? Travagliato.

Gli Spirits hanno un volo la mattina presto perché devono

giocare in back-to-back a Norfolk, ovviamente Barnes non si

presenta e, anzi, perde pure tutti gl i altri vol i fino a

pomeriggio inoltrato. Quando, finalmente, giunge in

aeroporto è costretto a pagare per un aereo privato in modo

che decoll i i l prima possibi le. A Norfolk, i l coach sta parlando

coi suoi, mancano dieci minuti al l ’ inizio del la partita, quando

Marvin irrompe nello spogliatoio con un ampio sorriso, un

"Ero seduto alla fine della panchina con un

asciugamano in testa, stavo sniffando cocaina e il mio

naso iniziava a sanguinare. Don Chaney e Nate

Archibald si erano spostati, lasciando quattro o cinque

posti di distanza tra me e il compagno più vicino. Stavo

sniffando cocaina, il naso mi andava in pezzi. Sniffavo e

mi sentivo esplodere. Era come se il cervello stesse per

uscirmi dal naso, sull’asciugamano, ma io non riuscivo

a smettere. Era terribile, avevo una dipendenza.”

Marvin Barnes

"Ero giovane, selvaggio e pensavo di conoscere tutto.

Ero condannato, non pensavo che sarei mai arrivato a

trent’anni. Volevo morire in una sparatoria, non volevo

una vita lunga, non era mia ambizione. Live fast, die

young, era quello il mio obiettivo.”

Marvin Barnes

"Guardate cosa ha fatto Marvin per noi nella sua

stagione da rookie. Ha segnato 24 punti, preso 16

rimbalzi e tirato col 50% dal campo, e l’ha fatto con la

peggior selezione di tiri che abbia mai visto in un

professionista. Semplicemente prendeva la palla, si

voltava e tirava. Non gli importava della sua posizione

sul campo.”

Harvey Weltman, presidente degli Spirits ofSt. Louis

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sacchetto colmo di hamburger e patatine del Mc Donald’s,

ed un cappotto lungo di visone annunciando “Non

preoccupatevi, Bad News è arrivato”; sotto i l cappotto c’è la

divisa degli Spirits. I primi otto minuti l i passa in panchina,

ma il conto finale dice 51 punti con 1 9 rimbalzi.

I l suo concetto di squadra risulta essere, quantomeno,

stravagante. Finita una partita prende da parte Bob Costas,

cronista locale degli Spirits: “Non c’è gioco di squadra, non

ci importa dei nostri compagni, ” – dice – “stasera ero a 48

punti con ancora un paio di minuti da giocare. Qualcuno mi

ha passato la palla in modo che potessi arrivare a 50? No, si

sono tenuti la pal la e io sono rimasto fermo a 48.”

La sua spontaneità ed il suo cuore sono ciò che ha sempre

reso Marvin amato dai suoi compagni di squadra. Un giorno,

passando con la sua Rolls Royce nei pressi di un

playground di Louisvi l le, fa cenno all ’autista di fermarsi.

Scende, parla con le due dozzine di bambini che stavano

giocando, e l i invita a salire in auto. Risultato? Regala delle

scarpe da basket nuove a tutti , paga loro il gelato e si

congeda, non prima di avergl i presentato i l compagno (di

squadra, prima, e di sventure, poi) Gus Gerard come “uno

dei tizi bianchi che mi passa la palla”.

L’aneddoto più celebre lo avrete certamente sentito,

raccontato tra gl i altri anche dall ’ inarrivabile Federico Buffa,

è quello del l ’aereo che atterra a St.Louis ad un orario

precedente rispetto al la partenza in quel di Louisvi l le, a

causa del cambio del fuso orario per i l passaggio ad un’altra

zona. Quando Barnes si accorge di ciò, la reazione è da

antologia: “I ain’t gettin’ on no time machine. I ain’t takin’ no

fl ight that takes me back in time” – non salirò su una

macchina del tempo, non prenderò nessun volo che mi

porta indietro nel tempo.

Come si era soliti dire al l ’epoca, just Marvin being Marvin.

Gli Spirits, però, sono per Barnes anche l’occasione per fare

conoscenza con la cocaina. Inizialmente la bianca è un

paradiso, amplifica i sensi di Marvin, la sua consapevolezza

e la sua attitudine nel social izzare con le persone; arriva

addirittura a pensare che la cocaina lo renda un giocatore

migl iore, ma si accorgerà ben presto che non è così.

Nel 1 976 l’ABA si fonde con l’NBA, andando a costituire una

lega unica. Gli Spirits sono una delle due squadre che

spariscono e Barnes accetta quindi l ’offerta dei Detroit

Pistons. Neanche il tempo di iniziare la stagione che, ad

Ottobre, Marvin viola la l ibertà condizionata derivante dalla

condanna precedente cercando di nascondere una pistola ai

control l i in aeroporto. Questa violazione gli costa più di

cinque mesi di prigione, ma molto altro a l ivel lo intangibi le.

Da quel momento Marvin smette di essere il giocatore

fantastico a cui tutti gl i States si erano abituati , a dir la verità

diventa nel giro di un paio d’anni un giocatore meno che

discreto. Detroit Pistons, Buffalo Braves, San Diego

Clippers, nessuna squadra riesce a rinvigorirlo, anzi, non

possono far altro che stare ad osservare il suo inarrestabile

declino. Nemmeno firmare con i Boston Celtics, sogno di

SpazioNBA.it Magazine - Back in the days

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una vita, scalfisce minimamente l ’animo alla deriva di

Marvin.

La sua carriera diventa un inconsapevole vagabondaggio,

prima metaforico e poi effettivo, poiché si ritrova senza una

casa, in disgrazia, a far avanti e indietro dalla galera, con la

bianca come unico pensiero e senza alcuna possibi l ità di

tirarsene fuori. Nei rarissimi momenti di lucidità tenta di

affidarsi a centri di riabi l itazione, salvo ricascare nel baratro

dopo qualche giorno e sprofondandoci definitivamente

quando riceve una condanna di sette anni in Texas, per

detenzione e spaccio. La pena sarà poi ridotta a soli tre

anni, ma la permanenza in quel carcere, dove le guardie

non cercavano di interrompere le risse ma si l imitavano a

raccattare i corpi esanimi, è i l punto di svolta per Marvin.

Venti programmi di riabi l itazione dopo, con un fegato ridotto

in brandell i , Marvin sta ancora combattendo la sua

personale battagl ia verso la l iberazione. L’ex proprietario

degli Spirits si è offerto di pagargl i le cure, e prosegue nel

suo intento, memore della splendida persona che è stata

Barnes negli anni a St. Louis. La missione di Marvin,

paral lelamente al suo benessere, è quella di essere da

insegnamento per i giovani del le sue zone, grazie al la

Rebound Foundation. La sicurezza e la convinzione di avere

il mondo ai propri piedi, sono sparite dal volto di Marvin con

la stessa velocità con cui i l talento l ’ha abbandonato.

Trent’anni dopo aver cestinato la sua carriera, la vita gl i ha

comunque dato la possibi l ità di assistere ad una cerimonia

speciale. I ronia, benedizione, rammarico, c’era un po’ di

tutto quella sera dell ’8 marzo 2008. La maglia #24 dei

Providence Friars è stata issata proprio su uno di quei soffitti

a cui Marvin aveva smesso di guardare a causa della

cocaina. In fin dei conti , anche Bad News lo sa, la vita ha

avuto un occhio di riguardo per lui.

"Crescendo, sognavo di giocare per i Boston Celtics,

ma ad un tossicodipendente non frega niente del Celtic

Pride, di Bill Russell o di Red Auerbach. Volevo solo

farmi, punto. Non m’interessava essere sui soffitti dei

palazzetti, non significava nulla per me, non c’era

cocaina su quei soffitti. Le droghe ti distorcono il

pensiero.”

Marvin Barnes

"Lo stavo picchiando, era privo di sensi e gli sbattevo la

testa contro il cemento. La verità è che lo stavo

uccidendo. Avevo la sua testa fra le mie mani, l’ho

lasciato andare e si è accasciato al suolo. Se ne stava lì,

immobile, sembrava privo di vita. Non sapevo se fosse

morto o no, ma sapevo che era finita. Era il momento

della svolta, era il punto più basso che potessi

raggiungere.”

Marvin Barnes

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WHO IS: Mayce Edward Cristopher Webber I I I nasce l’1

marzo 1 973 a Detroit, Michigan. Sin da bambino usa la palla

a spicchi per evadere dalla monotonia quotidiana di una

città che fa dell ’ industria i l suo fiore al l ’occhiel lo, diventando

uno dei prospetti local i più interessanti. Al momento

dell ’ iscrizione alla High School fa di tutto per poter giocare

con Jalen Rose, amico d’infanzia, ma le loro strade non

sono ancora destinate ad incrociarsi. Si iscrive alla Detroit

Country Day School, diventando immediatamente leader e

guidando gli Yellow Jackets a tre titol i statal i , chiudendo la

stagione da senior con 28 punti e 1 3 rimbalzi di media e

vincendo il premio di migl ior giocatore l iceale della nazione.

Tutti i migl iori col lege del Paese fanno carte false per

reclutare Chris, che decide di diventare un membro della

University of Michigan, dove, oltre al suo caro amico Jalen

Rose, trova anche Juwan Howard, Jimmy King e Ray

Jackson. Webber è al primo posto della classifica dei

migl iori giocatori in uscita dal l ’High School, Howard al terzo,

Rose al sesto, King al nono e Jackson all ’84esimo. Si

formano quindi i Fab Five, la migl ior classe di reclutamento

di sempre costituita da 4 All-American (record assoluto fino

allo scorso anno quando Kentucky ha reclutato addirittura

sei All-American), che però paradossalmente non riesce a

vincere nessun titolo NCAA. I Wolverines arrivano alla finale

del torneo NCAA in entrambi le stagioni di permanenza di

Webber, ma nel 1 992 perdono contro Duke 71 -51 , mentre

nel 1 993 a batterl i sono i Tar Heels di North Carolina con il

punteggio di 77-71 , nel la partita che sarà poi ricordata per i l

timeout chiamato da Webber sul -2 a 11 secondi dal termine

che però costa un tecnico al nativo di Detroit, poiché

Michigan non ha più timeout a disposizione, chiudendo

definitivamente la partita. Chris chiude l’anno da sophomore

con 1 9.2 punti , 1 0.1 rimbalzi, 2.5 assist e altrettante

stoppate di media, tirando con il 61 .9% dal campo, numeri

che gli permettono di essere chiamato con la prima scelta

assoluta del Draft 1 993 (primo sophomore ad essere prima

scelta dal draft del 1 979, quando venne scelto Magic

Johnson) dagli Orlando Magic, che vincono la lottery per i l

secondo anno consecutivo.

NBA CAREER: Orlando Magic dicevamo. Sebbene i tifosi

del la franchigia del la Florida non vedevano l’ora di assistere

alle giocate della coppia O’Neal-Webber, Chris viene ceduto

la stessa notte del Draft ai Golden State Warriors in cambio

della terza scelta assoluta, Anfernee “Penny” Hardaway, e di

tre future scelte al primo giro.

A causa degli infortuni di Tim Hardaway e di Sarunas

Marciulonis, C-Webb diventa subito uno dei principal i

terminal i offensivi dei Warriors e termina la prima stagione

con 1 7.5 punti a partita, conditi da 9.1 rimbalzi, 3.6 assist e

oltre 2 stoppate, real izzando addirittura una tripla doppia

con 22 punti, 1 2 assist e altrettanti rimbalzi, vincendo il

Rookie of the Year e guidando la franchigia del la Baia ai

“Questo in senso cestistico ha avuto oro, incenso e

mirra sin dal primo giorno di fianco alla culla.”

Federico Buffa

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Playoffs, dove però viene eliminata al primo turno dai Suns.

Webber però ha diverse discussioni con il coach dei

Warriors, Don Nelson, che vuole uti l izzarlo principalmente

da centro spalle a canestro in un ruolo che non piace a

Chris e che snatura le sue caratteristiche, discussioni che

culminano nell ’estate del 1 994 quando il giocatore esercita

un’opzione per uscire dal contratto diventando free agent.

Nonostante la dirigenza cerchi di convincerlo Webber è

inamovibi le e si arriva ad una delle trade più discusse della

storia del l ’NBA: l ’ex Wolverine viene ceduto ai Washington

Bullets (oggi Wizards) in cambio di Tom Gugliotta e tre

future prime scelte.

Nella capitale Chris ritrova Juwan Howard, ma nella prima

parte di stagione non è il giocatore atletico ammirato a

Golden State e subisce pesanti critiche da tifosi e stampa.

Nella seconda parte però ritorna a mostrare il suo gioco e

chiude con 20.1 punti , 9.6 rimbalzi e 4.7 assist a partita che

però non portano i Bul lets oltre un pessimo record di 21

vittorie e 61 sconfitte.

Nella stagione 1 995/1 996 a causa del riacutizzarsi di un

problema alla spalla, che lo costringe ad un intervento

chirurgico, gioca soltanto 1 5 partite in cui comunque viaggia

a 23.7 punti di media.

La stagione successiva finalmente Webber mostra tutto i l

suo potenziale. Con 20.1 punti , 1 0.3 rimbalzi, 4.6 assist, 1 .9

stoppate e 1 .7 rubate (tirando con il 51 .8% dal campo),

guida Washington ai Playoffs per la prima volta dal 1 988,

viene selezionato per la prima volta al l ’Al l-Star Game e

diventa uno degli uomini di punta della Lega. I l cammino ai

Playoffs però termina subito per mano dei Bul ls, ma Webber

gioca un’eccellente serie, chiudendo con il 66% dal campo,

percentuale più alta di quel la offseason.

Nel 1 997-98 si riconferma ad altissimi l ivel l i , 21 .9 punti , 9.5

rimbalzi e 3.8 assist, ma i (neo) Wizards non riescono ad

approdare alla off season ed ecco che la dirigenza decide di

dare la franchigia in mano a Juwan Howard, cedendo Chris

ai Kings in cambio di Mitch Richmond e Otis Thorpe.

Webber diventa subito uomo franchigia, chiudendo la

stagione con 20 punti, 1 3 rimbalzi (migl ior rimbalzista della

Lega), 4.1 assist e 2.1 stoppate, tirando con il 48%

abbondante dal campo guadagnandosi l ’ inserimento nell ’Al l-

NBA Second Team. Con Webber ci sono uno dei migl iori

centri del l ’NBA, Vlade Divac, uno dei migl iori tiratori, Peja

Stojakovic, e uno dei playmaker più spettacolari, Jason

Wil l iams. I Kings arrivano ai Playoffs dove danno del fi lo da

torcere ai Jazz di Stockton e Malone, venendo però eliminati

con il punteggio di 3-2.

L’anno seguente ancora Playoffs ma ancora sconfitta per 3-

2 al primo turno, questa volta contro i futuri campioni, i Los

Angeles Lakers. La stagione di Webber è super, 24.5 punti ,

1 0.5 rimbalzi e 4.6 assist, viene inserito nel la terza squadra

All-NBA, convocato all ’Al l-Star Game, e i Kings diventano

una delle squadre più spettacolari del la Lega e vedono

davanti a loro un futuro roseo.

La stagione 2000-01 è la migl iore a l ivel lo di cifre: 27.1

punti , 1 1 .1 rimbalzi e 4.2 assist, inserito nel All-NBA First

Team, quarto nella classifica per l ’MVP (vinto da Iverson) e

titolare per la prima volta al l ’Al l-Star Game. I Kings, che in

estate hanno acquistato uno dei migl iori difensori, Doug

Christie, riescono ad eliminare i Suns nel primo turno di

Playoffs ma si devono arrendere ancora ai Lakers, che

passano con un rotondo 4-0. Webber diventa free-agent e,

nonostante i l forte interessamento dei Pistons, decide di

rifirmare con Sacramento. I Kings decidono di scambiare

Jason Wil l iams, giocatore spettacolare ma con una

propensione troppo alta al le pal le perse, per Mike Bibby

facendo un incredibi le migl ioramento.

Nell ’anno seguente infatti , nonostante le 28 partite saltate a

causa di infortuni vari, Webber viene convocato per la

quarta volta al l ’Al l-Star Game e viene inserito nel la seconda

squadra All-NBA, dopo aver chiuso la stagione con 24.5

punti, 1 0.1 rimbalzi e 4.8 assist, guidando ancora la squadra

di Adelman ai Playoffs, in quella che da molti viene

considerata la migl ior stagione della storia del la franchigia

californiana. I Kings, che hanno il migl ior record di tutta

l ’NBA, spazzano via i Jazz al primo turno (3-1 ) e i Mavs al

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secondo (4-1 ), ritrovando ancora i Lakers, questa volta al le

Conference Finals. In una delle serie peggio arbitrate della

storia, i Lakers riescono ad avere la meglio dei rival i solo

nell ’overtime di gara 7, dopo che Sacramento era stata

avanti 3-2 nella serie, con Peja Stojakovic che sbaglia una

tripla wide open per la vittoria al termine del tempo

regolamentare.

La stagione successiva i Kings continuano a giocare un

basket stupendo, venendo considerati una delle principal i

contender. C-Webb chiude ancora in doppia-doppia di

media, con 23 punti, 1 0.5 rimbalzi e 5.4 assist, venendo

convocato per la quinta e ultima volta al la partita del le stel le

e guadagnandosi ancora una volta l ’Al l-NBA Second Team.

Dopo aver el iminato nel primo turno i Jazz (4-1 ),

Sacramento affronta i Mavericks del trio Nash-Nowitzki-

Finley. Dopo aver vinto gara 1 1 24-11 3, in gara 2 il destino

infrange i sogni di Webber e compagni: Chris si rompe il

menisco del ginocchio sinistro, dicendo addio al la stagione e

i Mavs, dopo una serie combattutissima, riescono a passare

4-3.

Inizia quindi una lunga riabil itazione per l ’ex-Michigan che,

sommata ad una squalifica dovuta a scommesse sulle

partite ai tempi del col lege, gl i fa saltare 59 partite. Nei 23

incontri disputati mette a referto 1 8.7 punti , 8.7 rimbalzi e

4.6 assist di media, ed i Kings arrivano ancora alla post

season dove si vendicano dei Mavs (4-1 ). Al secondo turno

però devono arrendersi, ancora in gara 7, ai Wolves di

Kevin Garnett. Durante la stagione i Kings avevano trovato

un ottimo equil ibrio, rotto però dal ritorno di C-Webb.

Stojakovic, che nel frattempo era diventato i l trascinatore

della squadra, viene messo da parte per lasciare spazio al

nativo di Detroit, questo provoca malumore all ’ interno dello

spogliatoio e a fine stagione Peja chiede la cessione. La

dirigenza dei Kings non accoglie la richiesta e si presenta ai

nastri di partenza della stagione 2004-05 con la speranza di

poter finalmente raggiungere le Finals.

Nei primi mesi però il malumore all ’ interno dello spogliato

cresce, e Sacramento decide di puntare sul serbo, cedendo

Webber (che comunque stava viaggiando a 21 .3 punti , 9.7

rimbalzi e 5.5 assist) ai Sixers in cambio di Brian Skinner e

Kenny Thomas. La coppia Iverson-Webber porta i Sixers ai

Playoffs dove però vengono eliminati dai Pistons per 4-1 .

Webber chiude la stagione con 1 9.5 punti , 9.1 rimbalzi e 4.7

assist di media.

La stagione 2005-06 è statisticamente la migl iore dopo

l’ infortunio, ma nonostante i 20.2 punti con 9.9 rimbalzi e 3.4

assist di Webber e i 33 di media di Iverson, Phila non riesce

a qualificarsi per la post season.

Nell ’anno successivo il minutaggio di Chris inizia a calare.

L’ex-Kings manifesta tutto i l suo malumore e dopo un paio di

settimane la dirigenza di Philadelphia compie una decisione

incredibi le: prima cede Iverson ai Nuggets, poi, a causa del

contratto pesantissimo che non interessava a nessuna

squadra, tagl ia C-Webb che decide di tornare a casa,

firmando per i Pistons e diventando subito i l centro titolare.

Detroit ha i l migl ior record a Est, ma i numeri di Webber

calano drasticamente (11 punti , 8.3 rimbalzi, 3.4 assist) e nei

Playoffs arriva l ’el iminazione nella finale di conference per

mano dei Cavs (4-2). Chris non è un fattore nella post

season e di conseguenza la dirigenza dei Pistons decide di

non rinnovare il contratto al l ex-Fab Five.

Nonostante i l corteggiamento di diverse squadre, C-Webb

non trova nessun accordo e resta fermo fino al gennaio

2008, quando firma per la franchigia che lo ha lanciato, i

Golden State Warriors. I l suo fisico però non gli permette più

di essere il giocatore esplosivo di cui tutti hanno ricordo e

allora, dopo sole nove partita in maglia Warrior, decide di

porre fine alla sua carriera.

In 1 5 stagioni da pro, Webber ha realizzato 20.7 punti di

media, con 9.8 rimbalzi, 4.2 assist, 1 .4 stoppate e altrettante

rubate, tirando con il 47.9% dal campo. Uno dei migl iori

giocatori degl i anni ’90-’00 ed una delle PF più versati l i e

complete di sempre. 5 volte All-Star, Rookie of the Year

1 994, migl ior rimbalzista 1 999, inserito una volta nella prima

squadra All-NBA, 3 volte nella seconda e una volta nella

terza e il numero 4 ritirato dai Sacramento Kings, di cui è

stata la guida indiscussa nei migl iori anni del la storia del la

franchigia.

Chiude con 1 71 82 punti, 81 24 rimbalzi e 3526 assist, 1 1 97

rubate e 1 200 stoppate.

“Ci sono state tantissime persone che mi hanno

supportato durante la mia carriera: i compagni, gli

allenatori ed i fans prima di tutti. Ma non mi dimentico

nemmeno degli Owner, dei Gm, dei dottori e di tutti gli

staffmedici che mi hanno aiutato nella mia avventura.

Senza di loro non sarei mai arrivato ai massimi livelli ed

è proprio per questo che oggi voglio ringraziarli tutti.

Spero che in futuro potrò occuparmi ancora di basket in

modo da mantenermi in contatto con questo fantastico

mondo.”

Chris Webber

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Non funzionava, quella frase buttata lì semplicemente non

funzionava. Erano parole troppo ordinarie, mancava

qualcosa. Jay Livingston guardava Ray Evans, lo guardava

in attesa di un aiuto, una frase che avrebbe potuto farl i

uscire da quel cul-de sac in cui si erano ritrovati. Sir Alfred

Hitchcock li aveva contattati qualche mese prima

richiedendo una canzone da poter inserire nel suo prossimo

capolavoro, i l remake de “L’uomo che sapeva troppo”. Era

l ’occasione di una vita, quel momento che passa una sola

volta e che non lascia una seconda possibi l ità. Quel

maledetto “Whatever wil l be” non funzionava proprio, Jay

era ancora in attesa di un aiuto da parte di Ray, quando

all ’ improvviso gl i venne in mente di quel la vacanza a

Marbella. Aveva conosciuto una ragazza andalusa e arrivati

al momento degli addii , quando le promesse fanno il paio

con le menzogne, al la domanda “Ci rivedremo mai

ancora?”, la bel la spagnola rispose “Que será, será”.

Fu un’i l luminazione. Jay Livingston, o meglio, la señorita

Soledad, inconsapevolmente aveva fatto in un sol colpo la

storia del cinema, del la musica e del basket. Come del

basket?

Facciamo un salto nel vuoto di 26 anni e spostiamoci

idealmente a pochi isolati dal la stanza in cui Jay e Ray

scrissero la canzone più fatal ista della storia. Siamo nei

pressi del Forum di Inglewood, e al le 5 del mattino nella hal l

del lo splendido Sheraton Hotel, attorno ad un pianoforte a

coda, Jul ius Erving e alcuni suoi compagni di squadra

cantavano abbracciati :

“Que será, será,

whatever wil l be, wil l be

the future’s not ours to see,

que será, será.”

Appena sette ore prima avevano consegnato nelle mani di

Magic Johnson, l ’ottavo titolo del la storia dei Lakers e

l’atmosfera che si respirava attorno a quello Schimmel nero

era di assoluta tristezza più che di rabbia.

Quella tristezza che lo aveva accompagnato fin da

ragazzino quando viveva dall ’altra parte del continente, a

Long Island per la precisione, la stessa Long Island in cui

Francis Scott Fitzgerald aveva fatto incontrare sul le pagine

del suo capolavoro Daisy Buchanan e il grande Jay Gatsby.

Mantenendo le ovvie proporzioni tra la dimora di casa

Erving e quella ben più fastosa di West Egg, Jul ius era

cresciuto senza un padre ma con la sincera convinzione che

le Rolls-Royce che vedeva dal corti le del la sua casa

popolare, un giorno sarebbero state sue; accanto alle

preghiere ogni sera giurava a se stesso che non avrebbe

mai più accettato che il caso potesse comandare sul suo

destino. Era un predestinato e da ragazzino sveglio quale

era, lo aveva capito subito.

Mentre i suoi amici saltavano, lui volava.

I l cursus honorum di un ragazzino con quelle doti atletiche

non poteva essere diverso: playground, col lege,

professionismo. Al col lege giocò nella Yankee League, una

Conference che non esiste nemmeno più e alla University of

Massachusetts, dove alla partita c’erano più lontre di fiume

che esseri umani.

Al piano di sopra invece, viene scelto dai Milwaukee Bucks

di Kareem Abdul-Jabbar e Oscar Robertson. Avrebbero

formato un Big-Three ante l itteram, i l più forte di tutti , la lega

avrebbe avuto qualche pagina in più da raccontare e, senza

dubbio oggi, al Bradley Center di Milwaukee, ci sarebbe

certamente qualche stendardo in più appeso al soffitto.

Jul ius però, rifiuta la chiamata dei Bucks e decide di andare

nella più colorata ABA, un torneo a dir poco lisergico in cui si

gioca con una palla colorata, e la creatività e le giocate

spettacolari contano molto di più del punteggio finale.

Accettò l ’offerta dei Virginia Squires, una squadra che

giocava in tre città diverse, Hampton, Norfolk e Richmond e

che a differenza della palestra della University of

Massachusetts, accanto alle lontre di fiume, aveva tra i tifosi

anche qualche scoiattolo. Agli Squires, Jul ius conobbe un

uomo che gli cambiò la vita, Wil l ie Sojourner, armadio di

puro ebano nero di 2.03 che al momento delle

presentazioni, sentendo che quel ragazzetto di Long Island

si presentò come “The Doctor”, decise di aggiungere alla

“Whatever will be, will be”

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dicitura i l nome “Jul ius” e di abbreviare i l tutto in “Dr. J”,

senza sapere, probabilmente, d’aver regalato al la storia del

gioco uno dei nickname più bell i di sempre.

L’ impatto con la “Lega dei giocolieri” fu devastante, anche

prima di prendere in mano una di quel le simpatiche arance

tricolori. Per lasciar vagamente intendere il peso specifico di

Dr.J al l ’ interno della Lega, vi basti pensare che quando i

New Jersey Nets lo cedettero ai Philadelphia 76ers, la CBS

cancellò dal pal insesto i l match Nets-Warriors che avevano

in programma per quella sera. E stiamo parlando di uno che

non aveva giocato ancora un secondo nella NBA.

Era il 1 976, ben sei anni prima della sconfitta contro i

Lakers. Quella notte, la notte del “Que será, será”, Erving si

rese conto che come da bambino, aveva lasciato vincere

ancora una volta i l caso, non poteva più permetterlo, la

prossima volta avrebbe dovuto vincere lui.

Nel la stagione successiva, i Sixers coniarono uno slogan

che riprendeva alla perfezione il pensiero di Dr. J, “We owe

you one”, ve ne dobbiamo uno. Con il Dottore che aveva

doppiato i l Capo di Buona Speranza dei 33 anni, serviva un’

altra superstar, un Mosè che potesse condurl i oltre lo Yam

Suf della sconfitta del l ’anno precedente. Nomen omen, i l

Mosè arrivò da Houston, e rispondeva al nome di Moses

Malone, giocatore capace di unire un atletismo fuori dal

comune ad una tecnica sopraffina. La cavalcata verso le

Finals fu clamorosa, 65 vittorie in regular season e una sola

sconfitta ai Playoff contro Milwaukee. I l caso questa volta

c’entrava poco, e i l destino da grande scrittore, dopo aver

lasciato che i Bucks gli scippassero un partita in Finale di

Conference, regalò a Jul ius la possibi l ità di vendicare la

delusione di un anno prima: in finale ci sono i Los Angeles

Lakers, di nuovo.

Moses e J sono immarcabil i , anche per Kareem e Magic, e

rendono le prime 3 gare una pura formalità. Con le squadre

sul 3-0, Jul ius ritorna a Los Angeles per la decisiva Gara-4,

si al loggia sempre allo Sheraton, quello del lo Schimmel

nero. I l match resta uno dei più bell i da quando un

insegnante canadese decise di appendere due cestini di

pesche a due pali . I Lakers dominano per tre quarti di gara,

al l ’ inizio del l ’ultimo periodo i Sixers sono sotto 82-93. Al

momento di ritornare in campo però, Jul ius si ferma, chiama

tutti i suoi compagni, l i guarda negli occhi uno ad uno e

comincia a ripetere, in maniera quasi ossessiva: “The

future’s ours, the future’s ours”, i l futuro è nostro, i l futuro è

nostro. I Sixers sono perfetti , letteralmente, la difesa diventa

impenetrabile mentre dall ’altra parte del campo, i Lakers

sembrano inermi. La riscossa è inesorabile, e Philadelphia

impatta.

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A pochi minuti dal la fine, Jul ius riceve palla, l ’area è intasata

e le tempie sono bianche. Guarda la palla e guarda il

canestro, per un attimo gli torna la paura di non riuscire a far

suo il destino, non sa più cosa fare. Ripensa a quella sera di

un anno prima, al la sensazione di tristezza che provò

regalando l’anel lo ai Lakers, la stessa squadra che stava

provando a modellare ancora una volta i l suo fato. Poi,

proprio come Jay Livingston ricordò la bella Soledad, al lo

stesso modo Julius ebbe quella folgorante i l luminazione che

gli cambiò la vita. All ’ improvviso capì. Fece partire i l tiro.

Canestro.

Due punti.

Titolo.

Quella notte nella hal l del lo Sheraton, Jul ius e Moses

cantarono abbracciati fino al le 5 del mattino. Moses non

capiva, ma era troppo fel ice per riuscire a pensare al

significato di quel le parole.

“The future’s not ours to see, que será, será”

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WHO IS: Elgin Gay Baylor nasce a Washington D.C. i l 1 6

settembre 1 934. Inizia ad affacciarsi al mondo della palla a

spicchi soltanto a 1 4 anni, ma da subito dimostra di saperci

fare. Aiutato da un atletismo mostruoso, domina in lungo e

in largo, ma a livel lo accademico lascia molto a desiderare,

tanto che è costretto a cambiare addirittura quattro High

School: inizia al la Southwest Boys Club, poi si trasferisce

alla Brown Junior High, successivamente alla Phelps e

infine conclude la carriera l iceale al la Spingarn High, dove

chiude con oltre 36 punti di media, essendo in cima alla l ista

dei desideri di molti scout universitari .

I voti non idi l l iaci, per usare un eufemismo, però non gli

permettono di approdare ad un college di prima fascia e alla

fine ottiene una borsa di studio al College of Idaho per

giocare sia a basket che a football . A Caldweel resta

soltanto un anno a causa di un tagl io ai fondi per le borse di

studio e allora riesce a trasferirsi a Seattle, dove però sta

fermo un anno a causa delle ferree regole sui trasferimenti.

Nel l ’anno da senior, guidati da Elgin, i Chieftains riescono

per la prima (e ultima) volta ad approdare alle Final Four del

torneo NCAA, dove però devono cedere in finale al la

Kentucky guidata dal leggendario Adolph Rupp.

Baylor chiude la carriera collegiale con oltre 32 punti e 1 9

rimbalzi di media, non male per un ragazzo alto 1 .96,

vincendo il premio di migl ior giocatore delle Final Four e

venendo definito da Emmett Watson, uno dei più popolari ed

esperti giornal isti del l ’epoca, “i l migl ior giocatore di basket

del pianeta, professionisti inclusi”.

NBA CAREER: Elgin decide quindi di dichiararsi eleggibi le

per i l Draft NBA del 1 958. Viene scelto con la prima

chiamata assoluta da dei derel itti Minneapolis Lakers,

sul l ’orlo del la bancarotta, nel la speranza che possa

risol levarl i . Come potete immaginare l i risol leva.

Eccome.

Nell ’anno da rookie Baylor viaggia a medie spaventose,

quasi 25 punti e 1 5 rimbalzi ad al lacciata di scarpe, mostra

delle doti tecniche sopraffine ed un atletismo mai visto prima

d’ora, vince il premio di Rookie of the Year e guida quei

Lakers fino alle final i NBA dove però non può nulla contro la

corazzata Celtica di Russell e Auerbach, scenario che si

ripeterà anche negli anni seguenti.

L’anno da rookie è soltanto i l prologo. Nel ’60 i Lakers si

trasferiscono a Los Angeles ed ecco che dal draft arriva un

altro genio, Jerry West, che con Baylor andrà a formare una

delle più grandi coppie nella storia del gioco.

Elgin entra ancora più nella storia i l 1 5 novembre 1 960

contro i Knicks, essendo il primo giocatore a segnare più di

70 punti in una partita (71 per la precisione). Baylor chiude

la terza stagione con 34.8 punti e 1 9.8 rimbalzi, e diventa

sempre più leader carismatico dei Lakers.

Nella stagione ’60/’61 realizza 34.8 punti e 1 9.8 rimbalzi a

partita (career high), ma i Lakers mancano ancora le Finals,

perdendo 4-3 contro i St. Louis Hawks nella finale della

Western Division.

L’anno successivo, a causa del servizio mil itare obbligatorio,

gioca soltanto nei week end senza allenarsi in settimana: in

48 partite mette a referto 38.3 punti e 1 8.6 rimbalzi, numeri

straordinari, e guida la città di Los Angeles al la prima finale

della sua recente storia, la prima della grande rival ità tra LA

e Boston. In gara 5, con la serie sul 2-2, segna 61 punti,

tutt’ora record per una finale NBA. Ma la spunta ancora

Boston, al l ’overtime di gara 7, dopo che Russell al l ’ultimo

secondo dei regolamentari strappa il rimbalzo della vittoria

proprio a Baylor.

L’anno seguente, dopo una stagione in cui i l numero 22 ha

realizzato 34 punti e catturato 1 4.3 rimbalzi a partita, ancora

finale e ancora Celtics vittoriosi, storia che si ripeterà ancora

nel 1 963, nonostante Elgin realizzi 34 punti e 1 4.3 rimbalzi

di media nella Regular Season.

Nella stagione ‘63/’64 chiude con 25.4 punti e 1 2 rimbalzi di

media, ma i Lakers escono al primo turno contri St. Louis 3-

2, mentre nel 1 965, dopo una stagione da 27.1 punti e 1 2.8

rimbalzi a partita, arrivano di nuovo le Finals, di nuovo

contro Russel e compagni che vincono il loro ottavo titolo.

Nel frattempo il fisico di Elgin inizia a dargl i i primi problemi,

i l suo gioco diventa meno atletico e più tecnico ma non per

questo meno efficacie. Le sue medie infatti calano, 1 6.6

punti e 9.6 rimbalzi nel la stagione ‘65/’66, la prima in cui non

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è All-Star, ma guidati da West i Lakers raggiungono ancora

le Finals dove però si devono arrendere per l ’ennesima volta

ai Celtics in gara 7, nonostante Baylor e West realizzino

58.9 punti a partita nel la serie.

Nella stagione successiva torna sui suoi standard abitual i ,

26.6 punti conditi da 1 2.8 rimbalzi, ma i Lakers escono al

primo turno contro i San Francisco Warriors, ma tornano alle

Finals nel ’68, dopo una stagione da 26 punti e 1 2.2 rimbalzi

di Elgin, e nel ’69, con Elgin a quota 24.8 punti e 1 0.6

rimbalzi a partita, sempre contro i Celtics poi vittoriosi

nonostante in quest’ultima stagione in California sia

approdato Chamberlain e West abbia giocato una serie

finale da MVP, ma questa è un’altra storia.

La sensazione è che LA sia una città maledetta, idea che si

rafforza quando, nel la stagione seguente, i l trio Baylor-

West-Chamberlain arriva ad un Wil l is Reed dall ’alzare il

Walter A. Brown Trophy, perdendo ancora alle Finals,

questa volta 4-3 contro i Knicks, dopo una stagione in cui i l

nostro protagonista ha messo a referto 24 punti e 1 0.4

rimbalzi di media, ultima stagione da All-Star e

sostanzialmente ultima stagione da professionista.

Nella stagione seguente infatti gioca soltanto due partite a

causa di un brutto infortunio al ginocchio, che gli fa pensare

al ritiro, e i Lakers perdono in finale di conference contro i

Bucks di Robertson e Alcindor (i l futuro Abdul-Jabbar). Elgin

decide di provarci ancora un’ultima volta, ma il 31 ottobre

1 971 dopo nove partite giocate in preda al dolore si arrende,

ponendo fine alla sua carriera.

I l destino però è cinico e spietato: i Lakers vinceranno le 33

gare successive (tutt’ora record degli sport americani) e a

fine stagione porteranno a casa il primo titolo del l ’era

Losangelina, ma, come per quanto riguarda West, questa è

un’altra storia.

Giocatore favoloso, si dice abbia inventato i l tiro in

sospensione. Ha cambiato i l gioco e ha permesso a LA di

diventare LA franchigia gloriosa che è oggi. Chiude la

carriera con 27.4 punti e 1 3.5 rimbalzi di media,

probabilmente i l più grande giocatore a non aver vinto

niente, nessun MVP, nessun anello, nessun premio di

migl ior marcatore o migl ior rimbalzista della Lega. Per lui 1 1

convocazioni al l ’ Al l Star Game e un MVP dello stesso, i l

premio di Rookie dell ’anno, 1 0 apparizioni nel primo

quintetto NBA, la nomina di Hall of Famer e la maglia sul

soffitto del lo Staples Center.

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WHO IS: Bernard King nasce il 4 dicembre 1 956 a

Brooklyn, New York. Famigl ia sportiva quella di Bernard,

infatti i l fratel lo minore, Albert viene considerato migl ior

prospetto dell ’High School e giocherà diverse stagioni in

NBA. Dopo essere stato la stel la del l iceo Fort Hamilton di

Brooklyn, Bernard va alla University of Tennessee, dove

gioca tre stagione super per i Volunteers (chiude la carriera

universitaria con 25.8 punti e 1 3.2 rimbalzi di media, numeri

impressionanti per un’ala che superava appena i 2 metri di

altezza) nel le quali vince per tre volte i l titolo di migl ior

giocatore della SEC, venendo considerato una vera e

propria celebrità, status che gli costerà una carriera

universitaria piuttosto turbolenta. Al termine dell ’anno da

junior decide di entrare nel Draft NBA del 1 977, durante i l

quale viene scelto dai Nets con la settima chiamata.

NBA CAREER: King ha la fama di essere uno scorer

purissimo, e mette in mostra tutte le sue caratteristiche già

dal suo anno da rookie, durante i l quale guida la sua

squadra per punti segnati (24.2 a cui aggiunge 9.5 rimbalzi),

piazzandosi decimo nella classifica dei migl iori marcatori

NBA. Nonostante questo però non riesce a vincere il premio

di Rookie of the Year, che viene invece assegnato a Walter

Davis dei Phoenix Suns. I l suo gioco è caratterizzato da un

jumper dalla media affidabile e da un ri lascio molto veloce

che lo fa risultare praticamente indifendibi le.

Nella stagione da sophomore chiude con 21 .6 punti , 8.2

rimbalzi tirando con il 52% dal campo, ma a causa di

problemi fuori dal terreno di gioco, legati soprattutto

al l ’abuso di sostanze stupefacenti, i Nets decidono di

cederlo agl i Utah Jazz.

I Jazz non sono certo i l posto migl iore per un giocatore con

quel tipo di problemi, infatti al l ’ inizio stagione 1 979-80 King

viene arrestato diverse volte per possesso e uti l izzo di

stupefacenti e un compagno di Bernard, Terry Furlow, perde

la vita in un incidente stradale mettendosi al la guida di

un’auto dopo aver assunto una massiccia dose di droghe.

Bernard gioca soltanto 1 9 partite a Salt Lake, prima che sia

sospeso dalla franchigia per i l resto della stagione a causa

dell ’ennesimo arresto.

Nella off-season King viene ceduto ai Warriors, franchigia

nel la quale torna il giocatore immarcabile ammirato un paio

d’anni prima, ma continua ad avere sempre gli stessi

problemi nel la vita privata. Chiude la stagione 1 980-81 con

21 .9 punti di media, tirando con un incredibi le 58.8% dal

campo, cifre che gli permettono di vincere l ’NBA Comeback

Player of the Year (equivalente del Most Improved Player

odierno), mentre la stagione successiva i punti real izzati

sono 23.2, con il 56.6% al tiro, viene convocato per la prima

volta al l ’Al l-Star Game guadagnandosi anche l’ inclusione

nella seconda squadra All-NBA. Golden State però, al pari

dei Nets, non tol lera gl i eccessi extra cestistici di Bernard,

che cambia nuovamente franchigia venendo ceduto ai New

York Knicks in cambio di Ray Richardson. Entrambi i

giocatori hanno problemi con le droghe, ma la franchigia

del la Grande Mela azzecca questo scambio: Richardson

infatti gioca soltanto 33 partite in maglia Warriors prima di

essere squalificato a vita dal la NBA a causa all ’abuso

sconsiderato di sostanze stupefacenti, mentre King diventa

i l Re della Big Apple.

Nella prima stagione segna 21 .9 punti (52.8% dal campo),

nel la seconda i suoi numeri migl iorano: 26.3 punti con il

57% al tiro, quinto nella classifica dei marcatori NBA.

Questo è l’anno dei due cinquantel l i in back to back contro

San Antonio e Dallas, oltre che della seconda convocazione

all ’Al l-Star Game e dell ’ inclusione nell ’Al l-NBA First Team. I

Knicks centrano i Playoffs e Bernard vince praticamente da

solo i l primo turno, 3-2 contro i Pistons, segnando 40 punti

in quattro delle cinque partite (la quinta si è fermato a 36).

La corsa di New York però si interrompe al turno successivo

contro i futuri campioni, i Boston Celtics di Larry Bird, che

riescono a prevalere soltanto dopo 7 partite vincendo la

gara decisiva 1 21 -1 04. Bernard chiude i Playoffs con 34.8

punti di media.

La stagione 1 984-85 è la migl iore in NBA: 32.9 punti a

partita (leader NBA) con il 53% (settima stagione

82

consecutiva oltre i l 50% dal campo), 5.8 rimbalzi e 3.7

assist. Nella partita natal izia segna 60 punti contro New

Jersey (record delle partite natal izie), prestazione che ripete

ancora contro i Nets segnando 55 punti i l 1 6 Febbraio

successivo. In questa stagione gioca il suo terzo All-Star

Game ed è inserito per la seconda volta nell ’Al l-NBA First

Team.

Quando tutto sembra andare per i l meglio però ecco che

improvvisamente gl i crol la i l mondo addosso. I l 23 Marzo si

rompe il legamento crociato anteriore del ginocchio destro,

infortunio gravissimo che lo costringe a stare fuori fino al le

ultime sei giornate della stagione 1 986-87. A causa di

questo infortunio i Knicks non raggiungono i Playoffs ma,

nel la sfortuna, hanno la fortuna di vincere la Lottery, che gli

consente di scegliere, con la prima scelta assoluta, Patrick

Ewing al Draft 1 985.

Dopo due anni di stop King ritorna e, tra lo scetticismo

generale, dimostra di essere riuscito a modificare il suo sti le

di gioco, rimanendo però uno scorer incredibi le. In queste

sei partite, nel le quali Ewing è infortunato, real izza 22.7

punti di media ma i Kincks non sono più interessati a

puntare su di lui e decidono di non rinnovargl i i l contratto in

scadenza.

Bernard decide di firmare con i Washington Bullets. Nel

primo anno gioca 69 partite, 38 da titolare, a minutaggi

leggermente l imitati per non forzare troppo il suo rientro,

segnando comunque 1 7.2 punti con il 50% dal campo.

Numeri che aumentano nelle stagioni successive (20.7 con

il 47.7% nella stagione 1 988-89, 22.4 con il 48.7% nella

stagione 1 989-90) fino ad arrivare ai 28.4 di media con il

47% dal campo della stagione 1 990-91 , che lo portano al

suo quarto All-Star Game, al terzo posto nella classifica dei

migl iori real izzatori NBA (dietro a Michael Jordan e Karl

Malone) e all ’ inclusione nel terzo quintetto All-NBA.

L’infortunio gl i ha fatto perdere molta dell ’esplosività che

uti l izzava per giocare in post ed essere immarcabile nel

fadeaway, ma Bernard ha risposto diventando un giocatore

formidabile nel pitturato e vicino a canestro.

Prima della stagione 1 991 -92 però un altro intervento

chirurgico, questa volta per la rimozione di carti lagine dal

ginocchio, lo costringe a saltare tutta la stagione e l’ inizio

del la stagione 1 992-93. Nel Gennaio ’93 King viene tagl iato

dai Bul lets e decide di firmare per quei Nets che, sedici anni

prima, lo avevano portato in NBA. Le condizioni del le

ginocchia però sono troppo precarie e Bernard in 32 partite

(solo 2 titolare) gioca 1 3 minuti di media, segnando 7 punti a

partita, decidendo di porre fine alla sua carriera al termine

della stagione.

Un giocatore incredibi le, che a causa di un grave infortunio

ha dovuto ricostruire la sua carriera. Chiude con 1 9655

punti, 5060 rimbalzi e 2863 assist. Unico giocatore nella

storia ad aver realizzato almeno 40 punti (42 per la

precisione) con il 60% dal campo e ad aver segnato almeno

30 punti con il 60% per quaranta partite consecutive.

Quattro volte All-Star, NBA Scoring Champion 1 985, due

volte nell ’Al l-NBA First Team, una nell ’Al l-NBA Second

Team, una nell ’Al l-NBA Third Team e NBA Hall of Famer.

"Parla a qualsiasi giocatore che sia uno scorer, ti dirà

che ci sono momenti in cui entri in uno stato di

massima concentrazione. Quando segnavo 30 punti a

partita non dovevo pensare a nulla, ero guidato dal mio

istinto.. In quei momenti non importa cosa fai, senti che

funzionerà. È una sensazione incredibile, non esiste

nient’altro del genere."

Bernard King

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Esiste un modo molto veloce per creare due schieramenti in

ambito cestistico: pronunciare un nome. Subito le masse si

mobil iteranno cercando di screditarne l ’ immagine, sempre

che ce ne sia ulteriore bisogno, nel frattempo un numero

non tanto cospicuo di tifosi (poiché la maggior parte di essi

sono lacustri , così come la storia l i conosce erroneamente)

abbozzerà un tentativo di difesa a spada tratta. I l nome è

quello del giocatore che più ha diviso da quando ha messo

piede in NBA, ladies and gentlemen, Ronald Wil l iam Artest

Jr.

Nasce nel Queens, condividendo i pochi metri di una casa

popolare con altre nove persone. I l padre, dal quale ha

ereditato i l temperamento facilmente infiammabile, è un

veterano della marina nonché pugile che inizia ben presto a

sfogare le sue ire sul la madre di Ronald, arrivando al punto

di picchiarla. Trasferitasi la figura paterna in seguito a questi

incidenti , Ron inizia a manifestare i primi problemi di

gestione della rabbia, prendendo per la gola e mettendo al

tappeto un paio di compagni di scuola. All ’età di otto anni ha

così i l suo primo colloquio con uno psicoterapista, i l cui

consigl io è di far praticare uno sport al ragazzo per

permettergl i di sfogarsi, vada per i l basketball .

Da quel momento il basket diventa effettivamente la valvola

di sfogo di Artest, sfiorando l’ossessione, sport al quale si

applica con una dedizione non comune. Prima di fare i l salto

nel basket che conta, ha il tempismo per assistere alla

morte (raccontata solamente molti anni dopo) di un ragazzo

diciannovenne sul campo da gioco, trafitto dal la gamba

staccata ad un tavolino, in una rissa scoppiata in seguito a

discussioni riguardanti i l punteggio della partita in questione.

Artest viene scelto con la chiamata numero 1 6 al Draft del

1 998 dai Chicago Bulls, nei quali gioca due anni e mezzo,

partendo titolare in gran parte delle partite e riuscendo a

guadagnarsi l ’attenzione di squadre in condizioni migl iori dei

Bul ls nel periodo post-MJ (dove non hanno mai superato le

ventuno vittorie annuali). Ma le attenzioni attirate sul campo,

per Ron Artest, sono sempre andate di pari passo con

quelle fuori dal campo. Nel suo anno da rookie, tra le altre

cose, fa richiesta ad un negozio di elettronica per un lavoro

scrivendo “NBA player” come professione principale e

menzionando Jerry Krause (presidente dei Bul ls) come

raccomandazione, i l tutto per poter usufruire dello sconto

per gl i impiegati; nel l ’estate antecedente i l secondo ritorno di

Michael Jordan nella lega, Artest viene scelto da MJ come

spalla per gl i al lenamenti e lo “ringrazierà” causandogli

inavvertitamente la frattura di due costole in seguito ad una

marcatura in post poco ortodossa, non esattamente il

trattamento coi guanti di vel luto che ci si può aspettare da

parte di un novell ino ad una leggenda vivente di quel lo

sport.

A metà della stagione 2001 /02, Artest viene mandato agli

Indiana Pacers ritrovandosi di colpo in una squadra in lotta

per i Playoffs. Qui inizia propriamente la carriera ad alti l ivel l i

del Ron Artest che abbiamo potuto conoscere negli anni,

fatta di peculiarità note a chiunque abbia avuto occasione di

vederlo giocare anche abbastanza recentemente: un’ala

piccola, Small Forward per dirlo al l ’americana, con punti

nel le mani (proprio a Indiana formerà il duo di al i più

produttivo della lega insieme a Jermaine O’Neal), difensore

straordinario uti l izzato molto spesso sul più pericoloso degli

avversari ed atleta dotato di fisicità ed aggressività,

purtroppo non solo agonistica, impensabil i per i suoi stessi

compagni di squadra.

Nei due anni successivi riceve una valanga di sospensioni,

contravvenzioni discipl inari e panchine punitive per varie

cose tra cui screzi con avversari, flagrant fouls (otto in una

sola stagione), l ’aver distrutto delle apparecchiature video

uscendo dal Madison Square Garden dopo una sconfitta

contro i Knicks o aver chiesto ai Pacers un mese di

aspettativa, se così vogliamo chiamarla, per potersi

occupare della promozione del suo nuovo album rap.

Nulla in confronto a ciò che capita al palazzetto dei Pistons

la sera del 1 9 novembre 2004: la vicenda è nota come The

Brawl o Malice at the Palace, che dir si vogl ia, e costerà ad

Artest la sospensione più lunga della storia del l ’ intera lega,

incrinando i rapporti di Artest e del pubblico di Indianapolis

con i Pacers. Lo stesso Artest chiederà di essere ceduto,

causando sconforto tra i suoi compagni sentitisi traditi dal

suo abbandono, dopo essersi immolati per difenderlo in

quella sera di Novembre, rischiando la loro stessa carriera.

"C’era così tanta competizione che hanno hanno

spaccato la gamba di un tavolo e l’hanno lanciata,

quella lo ha trapassato ed è morto proprio lì sul campo

da gioco. Quindi sono abituato a giocare molto duro.

Quando sono entrato nella lega, ero abituato a

combattere sul campo. È come sono stato cresciuto

giocando a basket.”

Metta World Peace

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Dopo aver criticato in un’intervista coach Carl isle, i Pacers

decidono di l iberarsi velocemente di Artest che finisce a

giocare presso i Sacramento Kings. Una squadra non

all ’altezza della precedente, che manca i Playoffs con una

buona costanza, non impedisce comunque al nostro eroe di

fare la fortuna dei giornal i local i al imentando la cattiva fama

costruitasi dopo l’accaduto in quel di Detroit. In meno di un

mese, al l ’ inizio del 2007, mette a referto due condanne. La

prima è per non essersi preso cura adeguatamente di uno

dei suoi cani, trovato in condizioni fisiche precarie e accudito

da un veterinario fino al la completa ripresa (colpa di una

persona pagata per accudire i suoi sette cani durante le

trasferte, la sua difesa); la seconda dovuta ad un litigio

domestico durante i l quale la moglie stessa l’ha accusato di

averla scaraventata a terra, di averla colpita e di averle

fisicamente impedito di chiamare il la polizia. Quest’ultima

condanna, arrivata nonostante la moglie abbia poi scelto di

non sporgere denuncia, lo costringe a cento ore di lavori

socialmente uti l i e ad un progetto lavorativo presso l’ufficio

del lo sceriffo della contea. Interrogato sul l ’accaduto e su

quanto avrebbe influenzato le sue prestazioni in campo,

Artest risponde così: "That’s not a problem. The hardest

problem is everything else. Basketball , that’s easy.”

Inuti le dire che anche la sua avventura a Sacramento

termina dopo poco tempo, lasciando negli annali due

episodi tanto curiosi quanto omologhi. Dopo i Playoffs del

2005, gl i unici giocati in maglia Kings, offre di rinunciare al

proprio stipendio se avessero rifirmato il compagno Bonzi

Wells in scadenza di contratto, stessa offerta che ripropone

quando ad essere a rischio è la permanenza di Rick

Adelman in panchina; nessuna delle due trattative finisce

come desiderato da Ron e le sue parole si disperdono nel

vento senza darci opportunità di sapere cosa sarebbe

effettivamente successo.

La nuova destinazione di Artest è Houston dove si riconcil ia

con l’amato coach Adelman. Al secondo round dei Playoffs

seguenti, quel l i del 2009, va in scena il primo atto della

travagliata storia tra Artest e Kobe Bryant.

Nul la di strano, direte voi, se non fosse per quello che era

successo un annetto prima di questa serie. NBA Finals

2008, gara 6. I Boston Celtics campioni (quel l i dei Big Three,

per intenderci) stanno festeggiando la vittoria contro i loro

rival i storici dei Lakers. Kobe è rimasto da solo sotto la

doccia, a cercare di metabolizzare la sconfitta quando sente

qualcuno entrare. I l resto della vicenda l’ha raccontato Phil

Jackson:

Come auspicato da Ron, dopo una sola stagione ai

Rockets, i Lakers decidono di portare il suo talento a Los

Angeles grazie al la free agency. Artest dimostra sin

dal l ’ inizio dei Playoffs di essere più che determinato a tener

fede all ’ impegno preso due anni prima con Phil Jackson e

Kobe. Segna il canestro che fa girare la serie in favore dei

Lakers durante le Western Conference Finals contro i

Phoenix Suns di Nash e Stoudemire: gara 5 e serie sul 2-2,

la partita è in parità e i Lakers hanno l’ultima rimessa con

3.5’’ sul cronometro, perdere significherebbe sprecare il

fattore campo ed essere costretti a vincere in Arizona

annullando il match-point dei Suns; Odom la passa a Kobe il

quale tira in mezzo a due avversari, la pal la rimbalza sul

ferro e Artest con un tap-in vincente porta la serie sul 3-2 in

favore dei gial loviola.

I Lakers arrivano in finale, dove trovano gli stessi Celtics che

due anni prima li avevano costretti al la sconfitta più pesante

nella storia di una gara che assegna il titolo NBA (39 punti di

differenza). La serie è delle più equil ibrate e si decide solo

al la settima partita, a chiuderla è una tripla di Artest a un

minuto dalla fine che porta i l vantaggio dei Lakers a due

possessi pieni. Phil Jackson lo definirà “l ’MVP di gara 7″, ma

la parte migl iore deve ancora arrivare. La conferenza

stampa a fine partita ritengo sia una piccola perla in grado di

dare la dimensione dell ’uomo che è Ron Artest, al netto dei

pregi, difetti o contraddizioni. I l ringraziamento alla periferia

dov’è cresciuto, al la sua psicoterapista, la digressione sui

suoi compagni ad Indianapolis non avranno a che fare con

la serie contro i Celtics, ma hanno molto a che fare con la

persona di Ron Artest e i l suo impatto in quella gara 7.

"Dopo la devastante sconfitta in gara 6 contro i Boston

Celtics, Ron Artest è entrato nel nostro spogliatoio,

Kobe Bryant si stava facendo la doccia, e ha detto:

‘Coach, posso aiutare la tua squadra, posso vincere

quell’anello con i Lakers.’ Gli ho risposto ‘Grazie Ron, è

molto gentile da parte tua, apprezzo la tua

comprensione. Vedremo cosa succederà il prossimo

anno.’ Dopodiché è entrato in doccia e ha detto lo

stesso a Kobe. Da quel momento Kobe ha sempre

saputo quali fossero le intenzioni di Artest.”

Phil Jackson

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La stagione seguente Artest decide di donare il suo unico

anello di campione NBA ad una sorta di “pesca di

beneficenza”, riuscendo a raccogliere più di 650,000$, cifra

ridistribuita tra vari istituti che si occupano di salute mentale,

non a caso. Infatti , nonostante non sia mai stata confermata

da fonti ufficial i , si è fatta strada negli anni l ’ ipotesi che

Artest soffra di disturbo bipolare, voce a cui in tutta sincerità

si fatica a non credere approcciandosi a lui e al la sua storia

personale. Comunque, parlando di fatti , questo gesto gl i

vale la vittoria del J. Walter Kennedy Citizenship Award,

premio che ogni anno l’NBA assegna a un membro della

lega per i l suo impegno verso la comunità, impegno che

Artest sta portando avanti tuttora.

Sul l ’onda di questo premio che accoglie con enorme

gratitudine ed onore, Artest inizia un nuovo capitolo del la

propria vita. I l 1 6 settembre 2011 la storia di Ron Artest,

metaforicamente, finisce ed inizia quella di Metta World

Peace: i l nuovo nome, Metta, è una parola proveniente dalla

cultura induista/buddhista che significa fratel lanza ed amore.

Nonostante le dichiarazioni riguardo al voler essere

un’ispirazione per i ragazzi e al l ’energia positiva in grado di

diffondersi grazie al la nuova identità, credo fermamente che

il cambio di nome sia stato concepito dalla sua mente in

primis a scopo personale e terapeutico, quasi a voler

esorcizzare la parte di sé che ha cercato di combattere per

anni ma che è troppo spesso tornata a galla; credo

ciecamente nella sincerità del suo gesto.

Purtroppo per lui, però, certe scuole di pensiero ritengono

che non sia possibi le el iminare a piacimento parti del proprio

essere; vedendo ciò che accade un anno più tardi viene

quasi vogl ia di crederci.

Durante una partita contro i Thunder, dopo un canestro

esulta piantando una gomitata nella tempia a James

Harden. Harden riporta una commozione cerebrale dalla

quale guarisce in pochi giorni, Metta viene travolto da un

ciclone mediatico dal quale la sua immagine non può che

uscirne a pezzi. Sette giornate di sospensione, questo i l

verdetto dell ’al lora commissioner David Stern. World Peace

si è scusato in seguito con Harden e i Thunder, dichiarando

la gomitata come involontaria e speranza nella veloce

ripresa del barba. La descrizione migl iore di quel gesto,

però, credo stia in queste parole pronunciate i l giorno della

sua sospensione:

Successivamente la carriera di World Peace ha un declino

ricalcante quello dei Lakers, gl i infortuni non gli permettono

di tornare a giocare ai suoi l ivel l i nemmeno dopo il

trasferimento ai New York Knicks l ’estate scorsa; la sua

immagine agli occhi dei più rimane scolpita nel tempo a

quella gomitata.

There’s a thin l ine between love and hate, scrivono gli I ron

Maiden proprio l ’anno in cui Artest entra in NBA, just a thin

l ine drawn between being a genius or insane. C’è una linea

sotti le tra coloro che amano Ron Artest e coloro che lo

odiano, tanto quanto sotti le è la l inea tra i l suo essere una

persona sincera dal grande cuore e una persona pericolosa

con un disturbo bipolare alla costante ricerca d’equil ibrio.

Forse quella l inea è tanto sotti le da non esistere nemmeno,

da essere solo un residuo della nostra cultura manichea che

ci chiede costantemente di scegliere tra luce e buio, tra

bianco e nero. Credo che analizzare il proprio giudizio su

Ron Artest possa essere un buon modo per rendersi conto

di quanto sia sotti le la propria l inea interiore, quel la che

separa il bene dal male o il giusto dallo sbagliato, e possa

aiutarci a valutare se la scelta di uno schieramento sia

effettivamente migl iore della più consapevole accettazione.

Intervistatore: Venti punti, cinque rimbalzi, cinque palle

rubate. Sembra che tu abbia messo il tuo zampino

dovunque stasera per i Lakers. È per questo che sei

venuto qui?

Ron Artest: Come prima cosa voglio dire (prima di

impazzire, cosa che farò molto presto) Dio mi ha messo

in questa situazione e, bella o brutta che sia, lo voglio

ringraziare per la benedizione. Una gara 7, con il

vantaggio del fattore campo. Abbiamo buttato via gara 2

(o io ho buttato via gara 2), gara 7, la vuoi vincere. Bella

o brutta, voglio ringraziare Dio per l’opportunità di

essere qui. Come ho detto prima, lo sapete, quand’ero

più giovane ho abbandonato la mia squadra ad Indiana.

Ero così giovane, così egoista. E ho mollato. Donnie

[Walsh], Larry [Bird], Jermaine [O'Neal], [Jamaal]

Tinsley, [Jeff] Foster – che non molla mai, combatte per

te, per la sua squadra – Stephen Jackson – che aveva

già un anello ma ha sempre combattuto per tutti noi – e

tutti gli altri. E alle volte mi sento un codardo quando li

vedo perché è come se fosse ‘Ehi, sono ai Lakers,

abbiamo avuto una chance di vincere, ma avevo una

chance di vincere anche con voi, ragazzi’. È così, e mi

sono sempre sentito come un vigliacco. Non pensavo

Dio mi avrebbe dato ancora un’occasione del genere, a

causa di come mi ero comportato. Ecco, quindi mi

sento fortunato e, ehm, ho completamente dimenticato

la domanda che mi avevi fatto.”

"Kevin [Durant] non aveva chance. L’ho spinto via, sono

saltato e ho schiacciato, ma a quel punto ero troppo

emotivo. È sembrata rabbia, ma c’era un sacco di

passione. Ma era incontrollabile. Era un fuoco

incontrollabile, era passione incontrollabile. Era

davvero troppo, davvero troppo.”

Metta World Peace

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WHO IS: Vernon Earl Monroe nasce a Philadelphia i l 21

novembre 1 944. Da bambino mostra interesse nel footbal l e

nel baseball , ma poi improvvisamente, al l ’età di 1 4 anni,

cresce superando il metro e 90 e di conseguenza inizia a

dedicarsi al basket dei playground di Phil ly. In breve tempo

la sua popolarità aumenta grazie al suo sti le di gioco

spettacolare ma allo stesso tempo efficace, tanto che i suoi

compagni di high school lo soprannominano Thomas Edison

a causa di tutti i movimenti rivoluzionari che inventa.

A livel lo nazionale però è ancora semi sconosciuto, tanto

che non riceve offerte da college della Divison I e si iscrive

alla Winston-Salem State University, istituto afro americano

del North Carolina che partecipa al campionato di Division I I

guidato in panchina dal futuro Hall of Famer Clarence

Gaines.

I l primo anno è di apprendistato e si chiude con 7.1 punti di

media. Nell ’anno da sophomore mette a referto 23.2 a

partita, in quello da junior 29.8 e in quello da senior chiude

con l’ incredibi le media di 41 .5 punti a partita, guidando i

Rams ad un record di 31 vittorie e soltanto 1 sconfitta e alla

vittoria del titolo di Division I I , venendo eletto migl ior

giocatore della Division I I e guadagnandosi i l soprannome di

Earl The Pearl. Terminata la formazione al col lege, Earl, due

volte All-American, è pronto a fare il grande salto in NBA.

NBA CAREER: Monroe è ormai sul la bocca di tutti . Con la

prima scelta al Draft 1 967 i Detroit Pistons chiamano Jimmy

Walker, guardia talentuosissima proveniente da Providence

che figura anche come ultima chiamata del Draft NFL dello

stesso anno nonostante in vita sua non abbia mai giocato a

football , con la seconda gli al lora Baltimore Bullets (oggi

Washington Wizards) non si lasciano scappare Earl.

The Pearl approda nella peggior franchigia NBA ma già dal

primo anno mette in mostra le sue grandi doti offensive,

real izzando 24.3 punti di media, segnandone 56 contro i

Lakers, tutt’ora terza migl ior prestazione per una matricola,

e vincendo il premio di rookie dell ’anno.

Nella seconda stagione i Bul lets draftano Wes Unseld,

costruendo una coppia che li porta dalle 36 vittorie del la

stagione precedente alle 57 di quel la ’68-’69. Unseld diventa

i l secondo Bullets in due anni ad essere nominato Rookie of

the Year e la franchigia del Maryland si qualifica ai Playoffs

dove però viene eliminata al primo turno dai Knicks con il

punteggio di 4-0. In questa stagione Monroe viene

convocato all ’Al l Star Game dove realizza 21 punti lasciando

sbigottiti gl i spettatori per la spettacolarità del le sue azioni,

ed inserito nel primo quintetto NBA grazie ai 25.8 punti a

partita.

L’anno successivo i suoi 23.4 punti guidano ancora i Bul lets

ai Playoffs dove però i Knicks passano ancora, questa volta

4-3. Nella quarta stagione da pro, porta ancora all ’off-

season Baltimore con una media di 21 .4 punti ,

guadagnandosi la seconda partecipazione all ’Al l-Star Game.

Ancora Knicks, questa volta al le Eastern Conference Finals,

ma a differenza degli anni precedenti finalmente i Bul lets

vincono, 4-3, ed arrivano per la prima volta nella loro storia

al le Finals, dove però vengono spazzati via dai Bucks di

Alcindor e Robertson.

"Per la stampa dei bianchi Jesus non andava bene,

perciò cominciarono a chiamarlo Black Jesus."

Jake Shuttlesworth nel film He Got Game

"La cosa fondamentale è che io non so cosa sto

facendo con la palla, e se non lo so io sono piuttosto

sicuro che non lo sappia nemmeno il giocatore che mi

sta marcando."

Earl Monroe

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Al termine della stagione ’70-’71 Monroe inizia a desiderare

di essere ceduto e come mete preferite indica i Lakers, i

Bul ls e i Sixers. Dopo sole quattro partite nel la stagione ’71 -

’72, in cui stava comunque viaggiando ancora oltre i 20

punti di media, i Bul lets chiudono uno scambio clamoroso

cedendo la loro stel la ai rival i del la Grande Mela.

Per Monroe inizia una nuova vita, infatti nei Knicks mil itava il

suo grande avversario, Walt Frazier, e dopo essere stato i l

franchise player a Baltimore decide di fare un passo

indietro, non pretendendo le chiavi del la squadra ed

applicandosi per migl iorare quegli aspetti del gioco, come la

difesa ed il gioco di squadra, in cui ancora era carente,

stupendo tutti gl i addetti ai lavori che erano piuttosto scettici

sul la sua capacità di adattarsi al nuovo ruolo. Le sue medie

realizzative calano, passa dagli oltre 20 punti a partita agl i

1 1 .4 del primo anno a New York, ma insieme a Frazier va a

formare un backcourt formidabile, conosciuto come il “Rolls

Royce Backcourt”.

Oltre al le due guardie, i Knicks potevano contare su

giocatori del cal ibro di Wil l is Reed (eroe delle Finals due

anni prima), Jerry Lucas e Dave DeBusschere. Con questo

grandissimo roster tornano in Finale, dove però i Lakers si

prendono la rivincita con il punteggio di 4-1 . L’anno

successivo Monroe realizza 1 5.5 punti , i Knicks tornano in

Finale nuovamente contro i Lakers e questa volta vincono,

ribaltando il risultato dell ’anno precedente, 4-1 . Nella

stagione ’73-’74, la franchigia del la Grande Mela è ancora

tra le favorite, ma viene fermata alle Final i di Conference dai

Celtics, futuri campioni NBA. Per Monroe 1 4 punti di media

giocando solo 41 partite a causa di alcuni infortuni. Al

termine della stagione Reed annuncia i l ritiro, e con lui

anche DeBusschere e Lucas.

Monroe torna ad essere uno dei principal i terminal i offensivi

venendo convocato per la terza volta al l ’Al l Star Game, ma

la squadra, per la prima volta negli ultimi otto anni, chiude

con un record negativo di 40 vittorie e 42 sconfitte,

riuscendo però a qualificarsi ai Playoffs dove però viene

eliminata dai Rockets al primo turno.

Nella stagione seguente ancora record negativo, 38-44, e

questa volta niente Playoffs, nonostante Monroe chiuda, per

l ’ultima volta in carriera, oltre i 20 punti di media, 20.7 per la

precisione. L’anno successivo, nonostante l ’acquisto di Bob

McAdoo, MVP della stagione ’74-‘75 che chiude con 26.7

punti e 1 2.7 rimbalzi di media, e l ’ennesima ottima stagione

di Monroe, convocato ancora per l ’Al l Star Game, e Frazier

(1 9.9 di media per i l primo e 1 7.4 per i l secondo) ancora

niente Playoffs.

Frazier passa ai Cavs mentre Reed viene nominato Head

Coach e sotto la sua guida, grazie al le prestazioni di

McAdoo e di un Monroe diventato ormai vero e proprio

mentore della squadra (1 7.8 punti di media), la stagione ’77-

’78 si chiude con il record di 43 vittorie e 39 sconfitte. I

Knicks sembra abbiano ritrovato equil ibrio, Black Jesus

continua a stupire con il suo gioco imprevedibi le e l ’asse

formato da lui e McAdoo sembra possa funzionare, ma

invece arriva l ’el iminazione al secondo turno contro i Sixers

con sweep annesso.

L’anno successivo Earl inizia ad avere seri problemi al le

ginocchia, i l suo minutaggio viene ridotto a poco meno di 22

minuti a partita ma nonostante ciò chiude ancora in doppia

cifra di media con 1 2.3 punti. Gl i infortuni non lasciano in

pace nemmeno McAdoo ed i Knicks chiuduno con il record

di 31 vittorie e ben 51 sconfitte.

Nel 1 980, a 36 anni, dopo che le sue ginocchia sono

peggiorate costringendolo a saltare 30 partite e a giocare

nelle rimanenti soltanto 1 2 minuti di media, Earl “The Pearl”

Monroe decide di ritirarsi, ponendo fine ad una carriera

leggendaria.

Ha portato i l playground sui parquet del l ’NBA. I l suo gioco

ricco di finte, penetrazioni ed appoggi in controtempo è

unico, tanto che lui stesso, parlando dell ’NBA moderna, dice

di non aver ancora visto un giocatore che gli ricordi i l suo

modo di giocare.

Nella sua bacheca ci sono il Titolo NBA del 1 973, 4

convocazioni al l ’Al l Star Game, i l premio di Rookie of the

Year del 1 968, l ’Al l-NBA First Team del 1 968, la nomina di

Hall of Famer e il ritiro del la maglia #1 5 da parte dei Knicks

e #1 0 da parte dei Wizards.

Chiude con 1 7454 punti, 2796 rimbalzi e 3594 assist,

entrando nella leggenda NBA.

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Se ascoltate un essere umano cantare queste parole, state

pur certi che state ascoltando un argentino. L’Argentina, el

Mar Dulce, i l luogo in cui si parla i l vero castel lano, perché

nonostante le influenze ital iane e inglesi, checché ne dicano

in Colombia ed Ecuador, lo spagnolo più elegante lo parlano

nella tierra de la plata. A 1 4000 chilometri di distanza dal

convento di Rosario citato nel testo, seduto su di un pullman

diretto al l ’O.A.K.A. Olympic Hall di Atene, Manu Ginóbil i

canta la Marcha de San Lorenzo, probabilmente i l canto di

battagl ia più famoso nella storia del l ’umanità. Tutte le

nazionali argentine, prima di qualsiasi incontro la cantano, e

la generación dorada non fa eccezione. Mentre i l pul lman è

invaso dalle voci dei suoi compagni che cantano a gran

voce la marcia, Ginóbil i , seduto nelle prime fi le con l’amico

fraterno Pepe Sanchez, le sussurra. Manu è un tipo

notoriamente allegro, sempre sorridente ed educato, è la

classica persona che se ti vede dall ’altra parte del campo

prima di una partita, corre a salutarti , non importa che tu sia

suo fratel lo, un semplice conoscente o se tu abbia mai

giocato a truco con lui da bambino.

Quella volta però no. Manu è concentrato, le parole escono

fuori da sole dalla bocca, mentre col pensiero vola in posti in

cui si può arrivare solo con la mente.

Quando la notizia oltrepassò Panama, ed arrivò a Bahía,

Manu era certo che quel Ginóbil i che volevano tanto in

America era senz’altro Sepo, el hi jo mediano. Di certo non

poteva essere lui, el tercero, quello che nessuno voleva,

quello che non sapeva giocare e che ancora oggi, dopo uno

Scudetto, un’Eurolega, un oro olimpico e tre titol i NBA,

continua a definirsi i l più scarso dei fratel l i Ginóbil i . Già,

perché Don Jorge e Doña Raquel di figl i ne avevano avuti

tre, Leandro, Sebastian detto Sepo e Manu, e tutti e tre

avevano dimostrato sin da piccoli un amore sconfinato per

la “otra pelota”. A Bahía Blanca funzionava così, poco futbol

e tanto basquet, e così era sempre stato, dai tempi in cui

papà Jorge era il playmaker della Bahiense, una delle sette

squadre di basket del la città. L’amore per la otra pelota

l ’avevano preso da lui, un figl io d’ immigrati marchigiani

arrivati in Argentina quando Juan Perón non era ancora al

potere.

I l viaggio di Manu parte da qui e sebbene il suo futuro lo

abbia abituato a toccare le stel le, i sogni di quel pibe magro

e bassino erano semplici : arrivare con la testa al la mensola,

giocare in Europa e fidanzarsi con la bambina dei suoi

sogni, Marianela Oroño; i l tutto da compiersi in questo

preciso ordine. Scorrendo i capitol i del la sua vita, la profezia

si è compiuta con largo margine di successo, dato che alla

mensola ci è arrivato eccome – e soddisfazione personale,

è diventato più alto di Leandro e Sepo –, l ’Europa è stato un

semplice viatico per arrivare a giocare in NBA ed infine la

bella Marianela è diventata prima la sua ragazza e poi sua

moglie. Proprio nell ’anno del matrimonio, Manu avrebbe

aggiunto un quarto punto alla personale l ista, che nemmeno

la fervida immaginazione di quel bambino di sette anni

avrebbe potuto concepire, vincere le Olimpiadi di Atene.

A lugl io, la mattina del primo raduno pre-ol impico con la

nazionale, i l termometro segnava zero gradi. I l palazzetto

era una cella frigorifera e i giocatori, con gli occhi ancora

pieni di sonno, sembravano ri luttanti al l ’ idea di mettersi in

calzoncini e canotta e allenarsi. Coach Ruben Magnano

“Febo asoma, ya sus rayos iluminan el histórico

convento”

“With the 57th selection in the 1999 NBA Draft, the San

Antonio Spurs select Emanuel Ginobìli from Argentina”

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allora, decise di annul lare la seduta di al lenamento, c’era

troppo freddo. I giocatori si voltarono imboccando l’uscita,

quando ad un tratto sentirono un rumore di passi. Manu

Ginóbil i , coperto con un cappotto, aveva cominciato a

correre per i l palazzetto. Se lui correva, al lora anche loro

dovevano correre. Tutti i compagni ad uno ad uno, presero

un giubbotto, e cominciarono a correre dietro di lui . In quel

preciso istante, in quel momento magico, tutti capirono che

avrebbero vinto le Olimpiadi.

In semifinale, l ’Argentina annichi l ì gl i USA di Tim Duncan,

derisi letteralmente dal talento di Ginóbil i che in

quell ’occasione segnò 29 punti. Sul la panchina della

squadra statunitense, che in barba al Dream Team del ’92

era stata ribattezzata “Nightmare Team”, accanto a Coach

Brown, c’era Greg Popovich, lo stesso che cinque anni

prima si era fatto convincere a chiamare con la 57esima

scelta proprio quel Manu Ginobíl i ; al lora l ’accento era

ovviamente sul la vocale sbagliata.

Dopo una vittoria del genere, al l ’ombra dell ’Ol impo contro gl i

Dèi del basket, i tifosi argentini impazzirono. Gli spalti

del l ’O.A.K.A. sembravano quell i del la Bombonera:

L’Argentina era in finale, 54 anni dopo Roma ’60, l ’ultima

volta in cui El Sol de Mayo era salito sul podio di qualsiasi

sport.

I l pul lman che portava “el equipo de los sueños” al l ’O.A.K.A.

per la finale contro l ’ I tal ia frenò di colpo, Manu venne

distolto dai suoi pensieri, erano appena arrivati al palazzo.

Negli spogliatoi non c’era Oberto, Marbury in semifinale gl i

aveva fracassato una mano, ma l’atmosfera era allo stesso

modo carica della giusta tensione. Manu guardava la sua

camiseta, la numero cinque, sapeva che nonostante tutti i

suoi successi, quel lo che si apprestava a vivere era il

momento più importante della sua vita. Come da tradizione

Scola ricominciò a cantare La Marcha de San Lorenzo.

Se sul pul lman Manu sussurrava quelle parole, ora le urlava

con fierezza.

Uscirono dagli spogliatoi e da una porta in fondo al corridoio

videro spuntare Pozzecco, Bulleri e Soragna.

Cantarono ancora più forte:“Vamos vamos Argentina, vamos vamos a ganar! Esta

barra quilombera no te deja no te deja de alentar”

“Febo asoma, ya sus rayos iluminan el histórico

conventoT”

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95

Quando entrarono in campo per i l riscaldamento successe

quello che nessuno avrebbe mai potuto immaginare. Dagli

spalti trecento Hinchas impazziti cantavano a loro volta la

Marcha de San Lorenzo:

Era una situazione irreale ma meravigl iosa allo stesso

tempo, i giocatori e i tifosi cantavano insieme il loro canto di

battagl ia. I l canto fu profetico, quel giorno quei nove

granatieri , al leati con la gloria scrissero davvero la loro

pagina migl iore.

Dopo la vittoria, con una medaglia d’oro al col lo e una

lacrima che gli solcava il viso, Manu si rese conto che oltre

ad aver realizzato i l sogno di una vita, aveva regalato un

sogno all ’ intera nazione e alla sua Bahía Blanca, la tierra de

la otra pelota.

“Avanza el enemigo a paso redobladoT”

“Ynuestros granaderos, aliados de la gloria, iscriben en

la historia su página mejor”

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SpazioNBALegends

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WHO IS: Peter Press Maravich nasce e cresce ad Aliquippa,

in Pennsylvania, i l 22 giugno 1 947. Suo padre, Petar “Press”

Maravich, è un ex giocatore professionista di pal lacanestro

che ha giocato una stagione nella NBL e una stagione nella

BAA prima di diventare allenatore collegiale. Proprio questa

passione del padre per la palla a spicchi porta i l giovane

Peter ad avvicinarsi a questo mondo e all ’età di sette anni

ad imparare i fondamental i del gioco sotto l ’occhio vigi le di

Petar. Pete mostra grandissimo talento con la palla tra le

mani e si rinchiude giorno dopo giorno in palestra per

al lenarsi, ossessionato dal volersi migl iorare.

Dal 1 961 al 1 963 frequenta la Daniel High School a Central,

in South Carolina, più giovane di un anno rispetto a tutti i

suoi compagni e avversari, per poi trasferirsi insieme alla

famigl ia a Raleigh, in North Carolina, quando il padre

diventa head coach di NC State. Qui frequenta la Needham

B. Broughton High School ed in questi anni nasce il

soprannome “Pistol”, che trae origine dal suo sti le di tiro

simile al movimento effettuato per estrarre un revolver dal la

fondina. Pete completa la carriera l iceale al l ’Edwards

Mil itary Institute, per poi andare alla Louisiana State

University, in cui al lena suo padre.

Le regole dell ’epoca proibivano alle matricole di giocare per

la squadra principale dell ’università, quindi Pistol gioca nella

squadra dei freshman nella stagione ’66-’67 che chiude

realizzando la cifra mostruosa di 43.6 punti a partita. L’anno

successivo viene inserito nel la squadra dell ’università,

squadra in cui gioca tre stagioni real izzando rispettivamente

43.8, 44.2, e 44.5 punti di media a stagione, segnando 50

punti in 1 0 delle 31 partite giocate nell ’anno da senior, anno

in cui vince il primo di migl ior giocatore del panorama

collegiale, venendo inserito per tutte e tre le stagione negli

Al l-Americans e chiudendo con 3667 punti segnati, ancora il

maggior numero di punti segnati da un giocatore nella

carriera universitaria. Cifre impressionanti, soprattutto se si

considera che il tiro da tre punti è stato introdotto nel basket

col legiale nel la stagione ’86-’87, ma che sono

accompagnate da qualche critica causata dal record non

esaltante di LSU durante queste tre stagioni, 49-35 il record

complessivo.

Pete viene quindi scelto al la terza chiamata dagli Atlanta

Hawks nel Draft del 1 970, dietro a Bob Lanier e Rudy

Tomjanovich, ed è pronto per affacciarsi al mondo NBA e a

rimpiazzare Joe Caldwell , passato alla ABA.

NBA CAREER: Nonostante lo scetticismo all ’ interno dello

spogliatoio, la stagione di debutto di Maravich è ottima:

chiude con 23.2 punti di media, migl iora i compagni zittendo

le critiche secondo cui non fosse adatto a giocare insieme a

un playmaker scorer come “Sweet” Lou Hudson (che

termina la stagione con 26.8 punti a partita, la migl iore in

carriera) e viene inserito nel l ’Al l-Rookie First Team. Pete è

un giocatore spettacolare, porta sul parquet moltissimi

movimenti tipici del basket di strada, come tiri fuori

equil ibrio, cambi di mano dietro la schiena, passaggi in

mezzo alle gambe, tutte giocate che erano considerate

quasi oltraggiose in un periodo in cui i l basket era fatto di

fondamental i , fondamental i e ovviamente fondamental i . I l

suo gioco è caratterizzato anche da un jumpshot micidiale,

sia da vicino che oltre un’ipotetica l inea del tiro da 3 punti.

Gl i Hawks, nonostante una stagione negativa con 36 vinte e

46 perse dopo che l’anno precedente avevano chiuso con il

98

migl ior record della Western Division e si erano fermati

soltanto al la finale di division contro i Lakers, si qual ificano

ai playoffs dove però vengono eliminati al primo turno dai

New York Knicks.

La seconda stagione è peggiore a livel lo individuale, 1 9.3

punti di media, e gl i Hawks replicano il record precedente ed

escono ancora al primo turno, questa volta contro i Boston

Celtics nonostante i 27.7 punti a partita di Pistol.

La stagione ’72-’73 è quella del la consacrazione: Maravich

chiude con 26.1 punti , 6.9 assist e 4.4 rimbalzi a partita,

real izzando 2063 punti e formando, insieme a Sweet Lou

autore di 2029 punti, la seconda coppia di sempre con più di

duemila punti ciascuno. Questa stagione vale la

convocazione all ’Al l-Star Game e l’ inserimento nell ’Al l-NBA

Second Team, ma gli Hawks, dopo una stagione positiva

chiusa con 46 vittorie e 36 sconfitte, vengono ancora

eliminati al primo turno dei playoffs, ancora per mano dei

Celtics.

L’ultima stagione in Georgia vede crescere ancora le cifre di

Pete che con 27.7 punti a partita chiude al secondo post

nel la classifica dei marcatori, dietro a Bob McAdoo, e viene

convocato per la seconda volta al l ’Al l-Star Game. Atlanta

però conclude con 35 vittorie e 47 sconfitte, non centrando

la postseason.

L’estate del ’74 è caratterizzata dalla nascita di una nuova

franchigia, i New Orleans Jazz, che vogliono inserire nel

roster un giocatore di prima fascia che possa essere il volto

del l ’organizzazione e che possa infiammare il pubblico. I

Jazz quindi cedono Dean Meminger, Bob Kauffman, due

prime scelte future e due seconde scelte future per

assicurarsi l ’ex stel la del la Louisiana State University.

La prima stagione nella Big Easy però non è molto positiva

e si chiude con 21 .5 punti a partita tirando con il 41 .9% dal

campo (career low). Inoltre, come prevedibi le, i Jazz

chiudono con il peggior record della Lega, 23-59.

Gli anni successivi però sono senza dubbio i migl iori di

Maravich, che inizia ad essere non soltanto spettacolare ma

anche maledettamente efficace.

Nella stagione ’75-76 gioca 62 partita a causa di infortuni

minori, real izza 25.9 punti a partita (terzo nella classifica

marcatori dietro a McAdoo e Abdul-Jabbar) tirando con il

45.9% dal campo (career high) e partecipa al suo terzo All-

Star Game ma i Jazz, nonostante i grandi migl ioramenti nel

roster, chiudono con 38 vittorie e 44 sconfitte e non si

qualificano per i playoffs. L’ottima stagione di Maravich

viene comunque premiata con l’ inserimento nell ’Al l-NBA

First Team.

La stagione successiva è la migl iore in carriera: 73 partite

giocate, 31 .1 punti a partita che gli permettono di vincere la

classifica marcatori, 5.4 assist e 5.1 rimbalzi, 1 3 volte sopra

quota 40 punti, 4 volte sopra quota 50 punti, 68 punti i l 25

febbraio 1 977 in faccia a Walt Frazier. Guida la Lega per

punti real izzati (2273), tiri tentati (2047) e l iberi real izzati

(501 ). Ovviamente viene convocato alla partita del la stel le e

inserito per i l secondo anno consecutivo nell ’Al l-NBA First

Team.

I critici però fanno notare come il suo gioco sia molto

individuale, tanto che quando è in campo sembra quasi che

si trovi ancora in palestra, ad allenarsi sol itario.

La stagione ’77-’78 è caratterizzata da un intervento al

ginocchio, da un’infezione batterica e da una tendinite

al l ’altro ginocchio, che insieme fanno saltare 32 partite al la

stel la di NOLA. L’infortunio al ginocchio rimediato contro

Buffalo è la classica diapositiva della sua intera carriera:

piuttosto che effettuare un semplice scarico, Pete salta per

cercare un passaggio tra le gambe ma cade male e rimedia

una brutta distorsione. Non si riprenderà mai da questo

infortunio, non tornerà mai più i l giocatore di prima. In 50

partite chiude comunque con 27 punti di media e la

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convocazione all ’Al l-Star Game e l’ inserimento nell ’Al l-NBA

Second Team. Ancora niente playoffs per i Jazz che

chiudono con 39 vittorie e 43 sconfitte.

Nella stagione seguente le cifre di Maravich peggiorano.

Salta 33 partite, chiude con 22.6 punti di media e gioca

nell ’Al l-Star Game, ma non riesce più ad essere il giocatore

spettacolare e allo stesso tempo efficace di prima, a causa

degli infortuni e del tutore uti l izzato sul ginocchio operato

che ral lenta i suoi movimenti.

Come se non bastasse, l ’anno successivo la franchigia

capisce che New Orleans non è il posto giusto e si

trasferisce a Salt Lake City. Maravich inizia a lamentarsi per

i l minor impiego, viene addirittura panchinato per 24 partite

da coach Tom Nissalke, ma la realtà è che non è più un

giocatore indispensabile, tanto che dopo 1 7 partite i Jazz

decidono di tagl iarlo i l 1 7 gennaio 1 980.

Cinque giorni più tardi viene firmato dai Boston Celtics, la

squadra con il migl ior record in NBA, e a sorpresa si

presenta come un giocatore nuovo. Gioca soltanto 1 7 minuti

di media partendo dalla panchina ma si mette al completo

servizio dei compagni. Con 11 .5 punti aiuta i Celtics a

chiudere con il migl ior record della Lega, 61 -21 , passa per la

prima volta i l primo turno dei playoffs ma i Celtics vengono

eliminati al le Eastern Conference Finals dai Philadelphia

76ers di Jul ius Erving.

Dopo aver realizzato che i problemi al ginocchio non

sarebbero mai migl iorati , Maravich decide di ritirarsi al

termine della stagione.

1 5948 punti, 3563 assist, 2747 rimbalzi in 658 partite

giocate, tirando con il 44% dal campo, l ’82% dalla lunetta

del tiro l ibero e il 66.7% da tre punti. Sì , perché nell ’ultima

stagione giocata da Pete l ’NBA ha inserito la l inea del tiro da

tre punti e Pistol, nonostante lo scarso uti l izzo e le pessime

condizioni fisiche, chiude con 1 0/1 5 dall ’arco.

Migl ior giocatore collegiale nel 1 970, SEC Player of the Year

e All-American nel ’68, ’69 e ’70, NBA All-Rookie First Team

nel ’71 , Al l-NBA First Team nel ’76 e ’77, All-NBA Second

Team nel ’73 e ’78, NBA scoring Champion nel ’77, 5 volte

All-Star (’73, ’74, ’77, ’78, ’79), numero 7 ritirato dai New

Orlans Pelicans e dagli Utah Jazz, inserito nel la Basketball

Hal l fo Fame nel 1 987.

Dopo essersi ritirato nel 1 980 si avvicina allo yoga e

all ’ Induismo. Successivamente diventa un Cristiano

Evangelico e afferma: “Non voglio essere ricordato come un

giocatore di pal lacanestro ma come un cristiano, una

persona che fa il possibi le per servire Gesù.”

I l 5 gennaio del 1 988 “Pistol” Pete Maravich collassa e

muore mentre sta giocando una partitel la nel la palestra della

chiesa di Pasadena, California. L’autopsia rivela che la

causa del decesso è stata una rara malattia congenita: è

nato senza l’arteria coronaria sinistra, che porta i l sangue

alle fibre muscolari del cuore. La sua arteria coronaria

destra era abbastanza grande per compensare questa

mancanza. I l medico che ha effettuato l ’autopsia ha definito

la sua carriera un vero e proprio miracolo.