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AGOSTO 2015

mediattivismo e conflitti sociali

Editoriale. Comunicare per resistere

di Laura Basta

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Palestina. Fare mediattivismo sotto occu-pazione

di Dorotea Zjalic

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Acqua & India. Un racconto dalla ricerca sul campodi Benedetta Ruffini

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Servizio Civile Internazionalevia A. Cruto 43 - 00146 RomaTel 06.5580644Fax 06.5585268e-mail: [email protected]: www.sci-italia.itCentofiori n. 74

Direttore Responsabile:Gianni Novelli

Redazione e amministazione:Segreteria Nazionale SCIvia A. Cruto 43 - 00146 RomaTel 06.5580644e-mail: [email protected]

Coordinamento e realizzazione:Segreteria Nazionale SCI

Testi:Segreteria Nazionaleattivisti, volontari epartner SCI

Stampa:Multiprintvia Braccio da Montone 109, RomaAut. Trib. Roma 86/83 del 5/3/83

Youth transforming conflictsNon violence needs new media

di Patrizia Riso e Anna Chiara Leardi

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Le maschere di expo tra comunicazione e realtà

di Filippo Taglieri

clanDESTINI. Viaggio interattivo tra le voci delle migrazioni

di Valentina Vivona

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NoBorderFestdi Simone Ogno 17

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Conclusioni. Comunic-Azione

di Marco Antonioli

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NoBorderFestdi Simone Ogno

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mediattivismo e conflitti sociali PAG. 6

Negli ultimi anni sono entrati nel nostro linguaggio comune parole prima sconosciute come tweet, post, selfie, taggare, bannare, hashtag. Anche i più restii ai social network e alla logica che che vi si nasconde dietro iniziano ad avvicinarvisi. I movimenti sociali hanno fatto un grande uso dei nuovi media con cui hanno interagito in modo sempre più attivo, consapevoli che questi non sostituiscono il raggio di azione ma lo amplificano.

Movimenti come Occupy Wall Street, le Primavere Arabe, Gezi Park, il movimento No-Expo o le proteste in Brasile contro gli sprechi dei Mondiali hanno attirato l’attenzione globale, hanno agito e interagito virtualmente, mettendo in comunicazione persone che si sono incontrate nel mondo reale, hanno occupato strade e città, hanno costituito masse critiche in grado di mettere in crisi governi.

Una forma di comunicazione che si discosta e si avvicina allo stesso tempo alle prima forme di media-attivismo. Alcuni forse ricordano Luther Blisset, pseudonimo apparso per la prima volta in Italia nel 1994 grazie ad alcuni “attivisti culturali” che iniziarono a mettere in pratica un’azione di “guerrilla” contro la superficialità del sistema mass mediatico. Elaboravano beffe mediatiche come forma d’arte, rivendicandole sempre e spiegando quali difetti del sistema avevano sfruttato per far pubblicare o diffondere notizie false.

Tutti ricordano Indymedia, nata a Seattle alla fine del secondo millennio, durante le proteste contro il WTO. Una piattaforma che continuò ad avere un ruolo fondamentale nelle successive mobilitazioni di massa in tutto il mondo, in particolare contro i vertici del commercio mondiale dei primi anni del 2000, Washington, Genova e Quebec City. Quartier generali durante le mobilitazioni erano gli “Independent Media Center” che andarono a costituire le prime forme di citizen journalism: un insieme di attivisti digitali poteva caricare notizie, video, foto grazie al principio dell’open publishing.

“Ormai, nel mondo in rapida evoluzione di oggi, gli Indipendent Media Center sono un capitolo di storia antica per i digital native. (…) Per di più, in questo breve lasso di tempo si è verificato un così grande avanzamento nel campo dell’innovazione digitale e delle strategie degli attivisti, che molti movimenti sociali fanno sistematicamente ricorso a strategie di condivisione di contenuti e a un’impostazione social media marketing all’interno dei propri percorsi, senza neanche considerarsi media-attivisti” (Tom Liacas, 9/12/2014).

Oggi si parla di Rivoluzione Digitale. Ma non c’è una rivoluzione Facebook o Twitter, bensì una rivoluzione fatta di persone, nel mondo arabo come in Turchia, in Italia come in Brasile che i nuovi media contribuiscono a diffondere. Non ne sono la causa, ma la conseguenza. Sono le reti sociali a dare la possibilità concreta di partecipare ad azioni, proteste e resistenze.

EDITORIALEdi LAURA BASTA

COMUNICARE PER RESISTERE

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Sono queste le storie che abbiamo provato a raccontare in questo Centofiori, storie di media-attivismo portate avanti negli ultimi sei mesi insieme ad attivisti, volontari, associazioni e movimenti.

Dall’inizio del 2015 sono diversi i progetti e le campagne che abbiamo supportato interecciando comunicazione e attivismo:

#rights4water campagna lanciata con i volontari del progetto Grassroot Youth Democracy, che esplora il tema dell’acqua come bene comune e denuncia i processi di inquinamento, speculazione e privatizzazione tra Italia, Mauritius, Ecuador, India, Uruguay e Grecia.

Beyond Walls, progetto che ha permesso la messa in rete di attivisti, blogger e freelance internazionali sulla questione palestinese attraverso un seminario in Palestina.

Youth Transforming Conflicts: Non-violence needs new media, training che ha riunito volontari internazionali da Italia, Ucraina, Israele-Palestina, Moldavia, Ungheria, Bulgaria, Turchia, Libano, Croazia, Grecia e Sri Lanka. Da questo incontro è nato un toolkit che intreccia nonviolenza e nuovi media.

No Border Fest, festival organizzato da sette anni insieme a diversi attivisti, relatori, artisti e associazioni sulla tematica delle migrazioni e che quest’anno ne ha messo in luce le auto-narrazioni.

Campagna NoExpo, alla quale abbiamo aderito sin dall’inizio denunciando la disinformazione su cui si basa “EXPO 2015, Nutrire il Pianeta, energia per la vita” dal punto di visto del lavoro, del volontariato, del cibo.

E continuiamo questo anno convinti che bisogna utilizzare ogni strumento che abbiamo a disposizione per raccontare, narrare, denunciare e trasformare.

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Che si tratti di stampa clandestina e graffiti con messaggi politici, o del mondo 2.0 odierno, la comunicazione è stata da sempre un campo di battaglia essenziale nella resistenza palestinese. E oggi più che mai, la battaglia per la liberazione della Palestina passa per i media. Lo sanno bene i media-attivisti e i giornalisti indipendenti che, quotidianamente, attraverso il loro lavoro sul territorio, raccolgono, analizzano e pubblicano informazioni dal basso e affidabili, con l’obiettivo di de-costruire la narrazione dominante e di far crollare quel muro di apatia eretto intorno ai crimini israeliani. I mediattivisti palestinesi, israeliani e internazionali usano la rete e i social network, molto spesso creati da loro stessi, come megafono delle attività dei comitati popolari di resistenza: attraverso foto, video e testi raccontano la resistenza quotidiana dei villaggi e dei campi profughi impegnati nella lotta contro l’occupazione. Solo parole e immagini, ma talmente potenti da far paura alle forze di occupazione, che riescono a reagire solo con violenza e incarcerazioni. Attraverso il raccontare quotidiano questi militanti si fanno promotori di campagne a livello mondiale. Per comprendere il

contributo che l’espressione e la diffusione di questa nuova narrazione ha offerto al dibattito globale basta considerare come recentemente il governo sionista e i media mainstream abbiano dovuto fare i conti con la crescente adesione internazionale alla campagna BDS (Boycott Divestement and Sanctions), con il voto positivo dell’unione degli studenti dell’Università londinese SOAS al boicottaggio accademico di Israele e con la richiesta di espulsione di Israele dalla FIFA. IL SEMINARIO SUI MEDIA ALTERNATIVI In questo contesto SCI Italia con altri partner, tra cui il PSCC, l’organizzazione ombrello che raccoglie i comitati di resistenza popolare non violenta in tutta la Cisgiordania e ActiveVision, un collettivo di mediattivisti israeliani, sta portando avanti “ Beyond Walls”. Si tratta di un progetto volto a consolidare la lotta nonviolenta e a favorire in maniera transnazionale l’espressione e la diffusione dei valori della resistenza e la creazione

PalestinaFare mediattivismo sotto occupazione

di DOROTEA ZjALIC

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di un linguaggio capace di riappropiarsi della storia e dell’identità palestinese. Una delle ultime attività del progetto è stato un seminario sui media alternativi di tutta l’area mediterranea, che si è tenuto a fine maggio in una piccola enclave palestinese circondata da colonie, vicino a Betlemme. Gli organizzatori di questa attività che ha visto coinvolti circa 50 giornalisti tra internazionali e palestinesi, sono stati lo SCI Italia, il PSCC e AMISNET, radio comunitaria italiana anch’essa partner di “Beyond Walls”. Il progetto ha coinvolto giornalisti e media attivisti dalla Palestina, dalla Turchia e da vari paesi europei. Anche un gruppo di giornalisti provenienti dai paesi arabi doveva essere presente, ma Israele non ha rilasciato loro i visti necessari. I primi giorni i partecipanti hanno visitato i cuori pulsanti della resistenza nonviolenta, incontrando storie e volti di chi, questa resistenza, la fa quotidianamente: da Kufr

Qaddoum1, a Bil’in2, alla piccola ma determinata comunità di Susya3, da mesi sotto la minaccia di demolizione da parte delle forze occupanti. Gli ultimi giorni sono stati dedicati ai workshop in cui i partecipanti hanno avuto modo di confrontarsi sulle buone pratiche della comunicazione alternativa e di riflettere sui limiti e sui punti di forza di un giornalismo che vuole provenire dal basso e sottrarsi alla logica degli appetiti che il mercato mass- mediatico impone. La condivisione di tante storie come quella di Bilal, uno dei fondatori di Tamimi Press4 che da 1 Villaggio vicino alla città di Nablus impegnato nella resi-stenza nonviolenta. In particolare l’oggetto della rivendicazione per la popolazione locale è la riapertura di una strada che collega il villaggio a Nablus, chiusa dall’esercito israeliano a seguito della costruzione, sulla terra di Kufr Qaddum, dell’insediamento israeliano Kedumim.2 Bil’in è un villaggio a nord di Ramallah che è diventato simbolo della resistenza nonviolenta, dal momento in cui è stato uno dei primi ad organizzare, dal 2005, le dimostrazioni nonviolente del venerdì contro la confisca di parte delle sue terre a causa della costru-zione del muro di separazione. Tutt’ora è uno dei villaggi più coinvolti nella resistenza nonviolenta.3 Piccolo villaggio nelle South Hebron Hills.4 Tamimi Press è un portale d’informazione, una sorta di agenzia d’informazione costituita da alcuni abitanti di Nabi Saleh,

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anni è in prima fila per documentare le violazioni degli occupanti, o quella di Rami, che nemmeno numerosi ferimenti gravi hanno fermato dal denunciare l’occupazione di Gerusalemme Est, ha permesso di comprendere i rischi e le sfide che gli attivisti affrontano quotidianamente.

Il confronto tra storie provenienti da paesi e contesti diversi, accomunati dalla produzione dal basso, ha portato allo scambio di numerose idee e a un impegno collettivo volto a trasformare il linguaggio dell’occupazione e del conflitto in un linguaggio che renda giustizia ai palestinesi e a tutti quei movimenti di resistenza avversati dai media mainstream. Il maggior traguardo raggiunto dall’incontro è stata la creazione di un network, ora attivo in forma embrionale, capace di comunicare con l’esterno e di condividere i saperi e le informazioni, in cui i mediattivisti internazionali possono attingere alle notizie raccontate piccolo villaggio a nord di Ramallah diventato simbolo della resistenza nonviolenta grazie al pieno coinvolgimento dell’intero villaggio e al coraggio dei suoi abitanti.

dai palestinesi. Inoltre, la partecipazione di attivisti provenienti da vari villaggi e campi profughi che non erano in contatto tra di loro prima, ha creato una nuova connessione che potrebbe essere capace di ampliare e rafforzare le strategie della resistenza popolare. La conferenza conclusiva, tenutasi al termine dei dieci giorni di Seminario, ha visto la partecipazione di giornalisti israeliani del +972 Mag, di un reporter palestinese, Eyad Mughrabi e di Chiara Cruciati, di NenaNews.

In questa occasione si è avuto modo di discutere l’impatto delle informazioni riguardanti la Palestina nei paesi di origine dei relatori, che spesso sono parziali e non rispondenti alla realtà sul campo. Da questa situazione si evince ancora di più l’importanza della circolazione di notizie dal basso, non sottoposte né a censura né ad adattamenti che facciano il gioco di una politica statale piuttosto che di un altra.

Acqua & India

LEGGI DI PIU’ SUL PROGETTO BEYOND WALLS:

www.beyondwalls.net

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Acqua & India

Scrivo da un vagone del treno Howrah Mail-12840 direzione Calcutta. Siamo in viaggio da quasi 24 ore e ne mancano altre dieci. Arriveremo alla stazione centrale di Calcutta alle 4 e mezza del mattino di domani: veniamo da Chennai, dal sud-est dell’India. Solo il primo di cinque lunghi viaggi che ci porteranno a Calcutta, a Delhi, a Mumbai e a Bangalore per poi tornare a Chennai, la nostra casa: 6086km in 25 giorni.

Ci hanno accompagnato al vagone del treno due volontari dello SCI India, che ci hanno presentato agli altri passeggeri della carrozza come due volontarie in viaggio per ricercare, difendere e promuovere il diritto all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari in tutta la Terra Indiana, dal Nord all’Ovest, dal Sud all’Est.

Primo contatto con l’acqua indiana

Nei vagoni del treno commercianti-bambini urlano “Pani! Pani!” (Pani significa Acqua nell’Hindi colloquiale). Vendono acqua per dieci Rupie indiane, circa quattordici centesimi di Euro. Pratìk- 22 anni, ingegnere informatico - ci ha aiutato con gli zaini e le valigie, e ci ha detto di non comprare quell’acqua. “I bambini raccolgono le bottiglie di plastica dalla

di BENEDETTA RUFFINIUN RACCONTO DALLA RICERCA SUL CAMPO

spazzatura, e le riempiono con acqua non potabile, del rubinetto. Dovete stare attente al sigillo sulle bottiglie.”

Questa frase - dovete stare attente al sigillo sulle bottiglie - ci sarà ripetuta altre quattro volte durante il viaggio. “Ho visto gente andare in ospedale per aver bevuto un bicchier d’acqua”. L’avremmo vista anche noi, solo qualche giorno dopo. Avremmo incontrato jaimoe, un volontario tedesco che per aver mangiato della frutta lavata con acqua del rubinetto non purificata, ha passato 3 giorni in ospedale a Pondicherry, a 4 ore di treno da Chennai.

“Sì, dovete stare attente al sigillo delle bottiglie! L’acqua del rubinetto in India non si può bere, non è potabile!”, Viraj - 26 anni, dottorando in fisica.

Treno di notte Chennai-Calcutta20 giugno, 17:08

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Mankundu, 40km a Ovest di Calcutta 23 giugno, 20:22

Abbiamo visitato le Slums di Calcutta, le Baraccopoli cresciute accanto alle linee ferroviarie. Quartieri sconfinati ai confini delle città. Le Bidonville Indiane sono le più popolate al mondo.

Qui - per una Slum di 3200 persone - l’acqua scorre 25 minuti al giorno, dalle 13 alle 13:30 - “Ma smette sempre 5 minuti prima” - ci dice Raju. Ci sono tre pozzi, e la fila per riempire enormi secchi d’acqua si forma dalla mattina alle 5. Chi arriva tardi farà a meno dell’acqua per un giorno. C’è chi arriva tardi troppo spesso, e dell’acqua non può più farne a meno - iniziano gli scontri e le imprecazioni. “Sarebbero pronti ad uccidersi per un secchio d’acqua”. Sono le “Water Wars”, le Guerre dell’Acqua. L’Acqua che porta vita, qui - sulla linea ferroviaria della Bendel Local, alla destra della Stazione di Mankundu, 40km a Ovest di Calcutta, a volte porta morte.

“L’acqua del rubinetto in India non è potabile”

Non lo è - di certo - per le famiglia benestanti che si procurano costosi sistemi di purificazione e bevono e cucinano con la “filtered water”, con l’acqua filtrata.

“L’acqua del rubinetto in India non si può bere”

Eppure, è bevuta dalle famiglie che abitano le Slums.

La potabilità dell’acqua in India varia a seconda della casta di appartenenza. I Brahmani - Bramini e i Vaisya - Commercianti (originariamente la “terza” casta, ma diventati

i più ricchi con l’economia di mercato) con l’acqua del rubinetto non purificata, non si lavano neppure. Gli Kshatriya - Guerrieri purificano l’acqua per cucinare e bere, e si lavano con quella del rubinetto.

Per gli Shudra, gli Intoccabili, l’acqua del rubinetto è un lusso e quella potabile, un’utopia.

Parlare di Diritto all’Acqua in questa terra, è come parlare di Diritto al Lavoro in Italia (articolo 4 della Costituzione). Tutti capiscono, ma nessuno pensa sia realizzabile. Un privilegio più che un Diritto - Utopia più che realtà.

Nuova Delhi, Inderlock Colony 28 Giugno, 22:40

A Nuova Delhi il Governo Municipale ha già costruito migliaia di servizi igienico-sanitari. Questo, per l’immensa campagna “Clean India”, inaugurata dal Primo Ministro Indiano Narendra Modi che promette di fornire gabinetti e acqua potabile a 60 milioni di case entro il 2019. Una bella storia - se non fosse che il problema Indiano non è - o non è soltanto - l’assenza di servizi igienico-sanitari, ma la cultura sul loro utilizzo.

Un po’ come il problema dell’analfabetismo non è - o non è soltanto - la mancanza di carta e penna. Riempire l’Africa di penne non aumenterà il tasso di alfabetismo - così come riempire l’India di bagni non diminuirà il tasso della open air defecation, la defecazione nei campi.

In India i bagni non sanno proprio come usarli. Molti bagni appena costruiti dalla sfavillante campagna restano inutilizzati - o usati per conservare grano e viveri.

Per costruire migliaia di bagni si può impiegare una settimana o qualche mese. Convincere le persone ad utilizzarli non è altrettanto facile.

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Il budget governativo destinato al Raising awareness è largamente inutilizzato e il parlare con gli abitanti delle Slums non fa notizia. Costruire 1000 gabinetti in un mese invece sì. Che importa se poi vengono utilizzati come magazzini?

Qui fanno un passo avanti le ONG, e le organizzazioni umanitarie, e lo SCI India, e noi.

Siamo qui per una campagna che non costruisce gabinetti e tubature - ma relazioni e coscienze civiche. Siamo andate nelle scuole e nelle università, abbiamo passato settimane nelle Slums, partendo dall’ABC.

Treno Nuova Delhi - Mumbai 1 luglio, 16:50

I treni - qui in India - vanno a una velocità massima di 120km/h e una velocità media di 70km/h. Per lunghissimi tratti il treno non supera i 50km/h. Così, distanze enormi vengono coperte in tempi lunghissimi, e la concezione del tempo cambia. 17 ore per un viaggio sono poche e 50 ore è un tempo accettabile.

Quel che cambia, è anche la concezione dello spazio. Con treni così lenti si osservano i paesaggi e il clima cambiare. Nel viaggio che da Nuova Delhi porta a Mumbai, si passa attraverso il Rajasthan, la zona arida e desertica dell’India, dove le donne percorrono fino a 38km al giorno per tre secchi d’acqua che trasportano sulle loro teste.

Sono le “Water Wives”, le mogli dell’acqua - seconde mogli dei contadini del Rajastan. Donne divorziate o vedove che per cercare protezione nel villaggio, accettano di risposarsi a Mariti-Protettori. Il loro compito è portare ogni giorno l’acqua alla famiglia e il loro nome “water wives” le designa una volta per tutte.

Vasai, 60km a Est di Mumbai 3 luglio, 20:22

Mumbai è sott’acqua - e nel Paese dei Monsoni con precipitazioni medie annue fra le più elevate al mondo - l’acqua potabile resta un lusso. Nel nostro viaggio abbiamo visitato le maggiori città e le zone rurali, da Chennai a Calcutta a Delhi a Mumbai. Fra qualche giorno voleremo a Bangalore per poi tornare a Chennai.

L’India è un gigante - a tratti annegato, e a tratti assetato.

PER RACCONTI, IMMAGINI E VIDEO DALLA CAMPAGNA #rights4water VISITA IL SITO:

www.rights4water.net

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C’è un legame profondo tra attivismo, non violenza e nuovi media che nel corso del training “Youth transforming conflicts: non violence needs new media” è stato analizzato in maniera innovativa. Quindici partecipanti provenienti da Italia, Ucraina, Israele-Palestina, Moldavia, Ungheria, Bulgaria, Turchia, Libano, Croazia, Grecia e Sri Lanka si sono confrontati su temi che accomunano attivisti, giornalisti e giovani che scelgono di stare dalla parte dei diritti civili, della difesa dei territori e delle minoranze.

IL CONTESTO

Il training è avvenuto presso La Città dell’Utopia nel quartiere romano di San Paolo: un luogo fortemente simbolico per vari aspetti. La città dell’uUopia è infatti un vero e proprio laboratorio per la promozione della cittadinanza attiva e del rispetto dei diritti di tutti gli essere umani, e ospita varie associazioni che lavorano per e soprattutto con gruppi come immigrati, LGBTQI, utenti psichiatrici. La Città dell’Utopia è inoltre fortemente radicata sul proprio territorio e ha costituito la cornice ideale per affrontare i temi della non-violenza e dell’uso della creatività per superare i conflitti.

NONVIOLENCE NEEDS NEW MEDIA

UNA SCELTA STRATEGICA

Sostenere l’importanza della non violenza non è, ovviamente, una scelta da buonisti che negano l’importanza di altri tipi di lotta quando necessario. Piuttosto, la non violenza è una scelta strategica di politica attiva differente che in tanti hanno teorizzato e praticato: da Gene Sharp (teorico della disobbedienza civile) ai nostrani Aldo Capitini (fondatore del Centro per l’Orientamento Sociale) e Danilo Dolci (attivista antifascista e antimafioso).

Grazie alle attività di educazione non formale, i volontari hanno avuto facilmente accesso ad un insieme di concetti, arricchiti dallo scambio delle proprie esperienze interpersonali e dall’apporto delle conoscenze di ognuno di noi. Da Gezi Park alle Primavere Arabe; da Gaza alla difesa degli spazi sociali in Italia passando per l’Ucraina, il training ha incoraggiato un mix creativo e inclusivo di prassi e punti di vista differenti.

TRA STORIE PERSONALI E CONFLITTI QUOTIDIANI

In una intensa settimana, si è parlato di tattiche non violente, di cosa significa organizzare un’azione creativa che abbia un

>>> YOUTH TRANFORMING CONLICTS

di PATRIZIA RISO E ANNA CHIARA LEARDI

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impatto sociale e di come interagire con chi ha un’opinione opposta alla nostra. Nel definire la parola conflitto, è emerso chiaramente come essa non coincida solo con azioni di guerra o di lotta armata, ma risieda anche nelle relazioni che affrontiamo quotidianamente nelle realtà associative e di movimento, così come nei nostri contesti sociali da semplici cittadini.

Soprattutto nel corso del training, si è cercato di capire come raccontare queste azioni attraverso i nuovi media. Esperti di comunicazione digitale e giornalisti provenienti dal mondo dei movimenti hanno inoltre aiutato a far capire che il web 2.0 è uno strumento potente nelle mani di attivisti e reporter che scelgono di raccontarsi piuttosto che di essere raccontati.

Il confronto tra pratiche e contesti internazionali è stato agevolato, non solo dalle attività proposte dai trainers, ma anche dall’incontro con attivisti del mondo LGBTQI, come l’associazione Libellula; dei movimenti di riappropriazione degli spazi sociali del contesto romano cosi come del settore dei diritti dei migranti. Tra le attività più particolari e incisive va citata la lezione di Ron Salaj sugli strumenti per mantenere un buon livello di sicurezza e riservatezza online, la tecnica artistica del Teatro dell’Oppresso utilizzata a fini sociali con i migranti dal Lab53 di Roma, così come la storia del progetto Radio Ghetto a Foggia. I partecipanti hanno avuto anche modo di conoscere meglio Expo e il dibattito che si è creato a proposito del diritto al cibo e della sostenibilità delle produzioni agricole.

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Il focus su Radio Ghetto ha invece permesso di approfondire il tema dello sfruttamento dei migranti come manovalanza a basso costo e il mancato rispetto dei diritti umani in Italia, in una cornice di impunità rafforzata dal silenzio delle autorità locali e nazionali.

EDUCARE…USCENDO DAGLI SCHEMI

Tutte le attività del training sono state contraddistinte dall’uso di metodologie di educazione non formale che hanno permesso ai partecipanti di interagire attivamente alle lezioni attraverso giochi di ruolo, esercitazioni, gruppi di lavoro. Il training si è focalizzato soprattutto sullo scambio orizzontale di conoscenze, superando l’ottica tradizionale dell’insegnamento come flusso unilaterale di informazioni. Questa metodologia ha permesso ai partecipanti di affrontare temi importanti attraverso un’ottica differente: particolarmente interessante è stato lo svolgimento di un gioco focalizzato sulla rappresentazione dell’economia mondiale e dei suoi effetti sui popoli.

DALLA TEORIA ALLA PRATICA

Dal corso è nato un blog che raccoglie contributi relativi alle attività e agli incontri realizzati nel corso del training stesso, cosi come le storie di attivismo e cittadinanza attiva dei partecipanti nei loro contesti di provenienza (conflictstransformers.wordpress.com). La scelta del blog come strumento di raccolta delle esperienze vissute è stata dettata sia dalla volontà di mettere subito in pratica le lezione apprese sui new media come strumento di comunicazione, oltre che dalla necessità di offrire uno strumento di consultazione più semplice per persone già attive nel campo, neofiti o semplici curiosi.

Stay tuned!

www.conflictstransformers.wordpress.com

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NARRAZIONI ALTERNATIVE

SULLEMIGRAZIONI

Nelle giornate del 27-28 Giugno si è svolta presso La Città dell’Utopia la settima edizione del No Border Fest. Il festival, organizzato da La Città dell’Utopia, Servizio Civile Internazionale, Laboratorio 53, Radio Ghetto e Amisnet è dal 2009 un appuntamento ricco di momenti culturali e di confronto sul tema delle migrazioni con workshop, esposizioni, dibattiti, musica e teatro.

di SIMONE OGNO

Ormai da qualche anno il sottotitolo è “Per la libertà di movimento, oltre ogni frontiera”. La scelta non è casuale ma è la risposta più naturale alla cornice nella quale si inserisce il tema e al nostro approccio verso di esso. Mentre a livello istituzionale i flussi migratori continuano ad essere visti come un “problema da risolvere” con un’intensificazione dei dispositivi di controllo delle frontiere e una gestione dell’accoglienza caratterizzata da speculazione e business, il No Border Fest vuole proporre un modello basato sulla libertà di movimento e sui diritti di cittadinanza attraverso narrazioni alternative, decostruzione di pregiudizi, analisi e buone pratiche. Una cittadinanza che sia contemporaneamente locale e internazionale.

Era il 19 aprile quando, nel pieno degli

incontri di preparazione del festival, ci giungeva la notizia dell’ennesimo naufragio nelle acque del Mediterraneo. Come dice Enrico Calamai – ex viceconsole italiano in Argentina ai tempi della dittatura di Videla – i migranti sono “i nuovi desaparecidos […] perché la desaparición è una modalità di sterminio di massa, gestita in maniera che l’opinione pubblica non riesca a prenderne coscienza, o possa almeno dire di non sapere”. Si sapeva fin dall’inizio che il passaggio dall’operazione militare italiana “Mare Nostrum” all’operazione europea Triton avrebbe causato ulteriore abbandono in mare delle persone.Si sapeva fin dall’inizio che l’intervento militare in Libia avrebbe gettato il paese nel caos, aggravando una situazione già di per sé terribile dopo gli anni della dittatura Gheddafi. Da poche settimane era poi scoppiato a Roma il caso di “Mafia Capitale”, l’affaire che affonda le sue

NOBORDER

FEST

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radici nell’eversione nera grazie alla presenza di personaggi come Massimo Carminati, una piovra in grado di pilotare appalti, sperperare risorse pubbliche e controllare vaste aree di Roma. E mentre la politica strumentalizzava nuovamente i viaggi delle persone dalla sponda sud a quella nord del Mediterraneo per bassi tornaconti elettorali, poca attenzione si dedicava al fatto che “Mafia Capitale” era – e ancora è – un apparato che lucra sulle spalle delle persone migranti e delle comunità rom.In questo clima di tensione crescente, in cui la crisi economica non accennava a mordere, mancava ancora una volta lo spazio per ascoltare le voci protagoniste di quei viaggi, mero oggetto, deumanizzate, senza diritto di parola.

“AUTO-NARRAZIONI MIGRANTI”

Dalle riflessioni intorno a questa cornice è nata la settima edizione del No Border Fest, e si è scelto di invitare quelle esperienze che provano a scardinare la narrazione dominante sulla tematica migratoria, in modo particolare quelle che vedono la sinergia tra “chi viaggia e chi sta” come Radio Ghetto e Archivio Memorie Migranti.

Radio Ghetto è una radio pirata nata nel 2012 insieme ai braccianti africani delle campagne pugliesi, operativa soprattutto durante il periodo della raccolta estiva dei pomodori – e non solo -. Una radio comunitaria gestita dagli abitanti del ghetto di Rignano Garganico, in provincia di Foggia, luogo isolato e assolato che ricorda gli slums periferici di Dakar e Casablanca piuttosto che l’ambiente rurale del Sud Italia. Intendiamoci, non sono le precarie condizioni igienico-sanitarie il motivo di questo raffronto, quanto la composizione panafricana inserita in un contesto socio-politico, quello italiano, che accetta luoghi come il Ghetto poiché funzionali alla produzione agricola in forte crisi nel Meridione. Luoghi di marginalizzazione, esclusione, isolamento, ghettizzazione appunto. E nonostante l’ambiente ostile, Radio Ghetto è un trampolino verso la liberazione, uno spazio aperto e libero per condividere le difficoltà di

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ogni giornata di duro lavoro; uno spazio in cui raccontare il ruolo dei “capi neri”, africani “promossi” all’infausto rango che permette di scegliere quotidianamente chi lavorerà e chi no per 2,5 euro all’ora; uno spazio in cui ridere e scherzare e che tenta di abbreviare la distanza emotiva che separa da casa.

Dagli spazi liberi agli spazi comuni, è questo il trait d’union tra Radio Ghetto e Archivio Memorie Migranti, associazione composta di autori, ricercatori, registi, operatori di terreno, migranti e non, impegnati nel tentativo di dare vita a un nuovo modo di comunicare, partecipato e interattivo, che lasci traccia dei processi migratori in corso e allo stesso tempo permetta l’inserimento di memorie “altre” nel patrimonio collettivo della memoria nazionale e transnazionale. Un obiettivo sicuramente ambizioso ma che ha prodotto una mole di materiale audio-visivo che già compone quella memoria “altra” che è epurata da quella nazionale nel senso più esclusivo del termine; una memoria che permette di parlare del fenomeno migratorio senza prendere in considerazione quello

coloniale. Perché l’origine del viaggiare, le responsabilità politiche, sono da ricercare nella sponda nord del Mediterraneo: accordi politico-economici con governi dispotici, sfruttamento delle risorse, vendita di armi, imposizione di stili di vita e modelli alieni a quei contesti.

Si può dire che l’auto-narrazione abbia un solo pregio, ma è anche l’unica cosa che conta: permette alla persona di riappropriarsi del proprio sé, di tornare umana, senza la pretesa arrogante di “dare voce” poiché tutto si fa in sinergia tra “chi viaggia e chi sta”.La persona al centro quindi, la stessa filosofia che si ritrova nelle opere di Mauro Biani, vignettista de ilManifesto e terzo ospite della giornata conclusiva del No Border Fest. Attraverso la sua matita Biani disegna l’umanità che stiamo perdendo a discapito del profitto, le contraddizioni del potere che vorrebbe allo stesso tempo promuovere diritti e reprimere. Una caratteristica delle vignette di Biani è che non hanno mai presentato un personaggio ricorrente come quelle di Staino, Vauro e Altan, ma hanno sempre rappresentato il panorama umano tutto, in modo particolare quello emarginato o che si vorrebbe emarginare, valorizzando ogni singola storia. Colpisce in questo senso uno dei suoi ultimi lavori che trae ispirazione dallo sgombero del presidio delle persone migranti di Ventimiglia, al confine tra Italia e Francia, nel quale però è ritratto un sofferente Nelson Mandela portato via dalla polizia italiana; in calce una sola parola: apartheid.

Radio, video, matita. Tutti strumenti nuovi che permettono di scardinare le narrazioni tossiche sul tema del viaggio, che denunciano un allargamento della repressione di cui i migranti sono il laboratorio, che disegnano scenari di autodeterminazione e di rivalsa. Strumenti che volano sopra le frontiere e ci scavano sotto, nella speranza che arrivi anche una gomma a completare l’astuccio e a cancellarle una volta per tutte.

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Vignetta di Mauro Biani pubblicata su IlManifesto

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“Cosa significa per te il mare?”

“Il mare mi ricorda il viaggio fatto per arrivare in Italia dalla Libia. Mi ricorda la paura”

“Anche se sei nato sulla costa?”

“Sì, il ricordo della paura è più forte”

di VALENTINA VIVONA

clanDESTINI viaggio interattivo tra le

voci delle migrazioni

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Il video partecipato è uno strumento di auto-narrazione che si fonda su due elementi: l’ascolto e la fiducia. Fare video partecipato non significa insegnare a un gruppo di persone come utilizzare una telecamera, quanto elaborare uno strumento di dialogo che diventa, per questo, anche politico. Il primo esperimento fu fatto nelle Isole Terranova, in Canada, con una comunità di pescatori in conflitto tra loro e che, tramite il processo partecipativo di produzione video, ha affrontato e superato insieme i propri problemi. Successivamente è stato adottato nelle isole dell’Oceano Pacifico maggiormente esposte ai cambiamenti climatici e in diverse periferie d’Europa, mentre in Italia è stato finora sperimentato solo in pochi contesti. La Città dell’Utopia ha trasformato il percorso di video partecipato in un progetto a più livelli che ha preso il nome di “clanDESTINI” ed è stato inaugurato durante la VII Edizione del No Border Fest, il festival sulla libertà di movimento che si tiene a Roma da sette anni. L’idea iniziale di coinvolgere i richiedenti asilo e i rifugiati assistiti dall’associazione Laboratorio 53 si è strutturata mese dopo mese, influenzata

dall’attualità. I numeri crescenti delle vittime di naufragi, le politiche autoritarie discusse in seno alla Comunità Europea, il razzismo latente hanno portato a una provocazione. Nei bar, nei negozi, nelle scuole e nelle università sono apparse a inizio maggio una serie di scatole colorate chiamate “Migrobox”. In ognuna di esse, i passanti potevano inserire le proprie domande sul mondo delle migrazioni. Quando il 1° giugno le scatole sono state aperte, sono spuntati oltre 65 messaggi. In alcuni c’era scritto “SCUSA” o “L’Italia è satura”, negli altri i punti interrogativi disegnavano un movimento in tre tempi: partire, viaggiare, arrivare. Su queste tre tematiche, sette migranti hanno immaginato e realizzato i propri cortometraggi. Altri hanno invece registrato le proprie risposte sottoforma di audio, raccolti in lettori mp3 e indossati da sette manichini. Un percorso che ha ricreato idealmente il viaggio dai paesi d’origine all’Italia. La Città dell’Utopia è così diventata per due giorni un luogo di incontro clan-destino tra destini, italiani e stranieri, che troppo raramente si incrociano.

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forma di contro-informazione. Lo scenario prima di EXPO sembrava terribile, piani di comunicazione semplici, lineari ma diretti, potenti, onirici e poetici, tecnologie e canali di comunicazione senza eguali, uno spiegamento di forze da prima guerra mondiale della comunicazione… ma poi, di soppiatto il surreale, sboccia “l’albero della truffa” (contrapposizione nel mondo surreale all’albero della vita, istallazione simbolo dell’area EXPO 2015). Per descrivere a pieno questo tzunami di controsensi, autogol ed insuccessi occorre un’analisi puntuale, estrapolando delle macro-aree: “Il cibo è vita”, “il lavoro è finito”, “la multinazionale è socialmente responsabile” e “la gente è tonta”. “IL CIBO è VITA”

I percorsi che si intersecano sono due: i racconti della realtà e la realtà vera e propria. La comunicazione che ha preceduto l’arrivo del “carrozzone” EXPO ci ha mostrato una Milano “nuova” o ancor più “rinnovata” di cui nessuno si era mai accorto prima. La Lombardia è (o forse è sempre stata) un infinito tappeto di spighe di grano, la miglior regione da cui partire per nutrire il pianeta; Milano è ormai è diventata a tutti gli effetti

Nutrire il Pianeta, Energia per la vita e la campagna di comunicazione di lancio “Il Cibo è Vita” sono rispettivamente la porta e la chiave per entrare in un mondo dolcissimo e sognante che riporterebbe chiunque alla bambina della pubblicità della famiglia Barilla degli anni ’80-’90 o al bambino della Kinder, insomma a tutte le narrative tossiche che hanno distrutto il nostro legame col cibo e che con EXPO tornano per provare a dare il colpo di grazia. EXPO Milano 2015 è un parco divertimenti più surreale della storia, è la ciliegina sulla torta (torta avvelenata e costosissima) di ogni piano di comunicazione di qualunque multinazionale si occupi di alimentazione. Rappresenta il sogno realizzato di una campagna di comunicazione e marketing perfetta che trasmetta passione, vita, messaggi positivi, speranza, colore, calore e il tutto per un orizzonte variabile di “buone cause”. EXPO è il sogno in cui si rielaborano i vissuti e le narrative velenose impacchettate e che ci trascina dentro un modo nuovo, diverso e colorato, come per Alice nel Paese delle Meraviglie, in mondo in cui tutto ci viene raccontato al contrario di com’è, ma proprio all’esatto contrario per spiazzare qualunque

di FILIPPO TAGLIERI

LE MASCHERE DI EXPOtra comunicazione e realtà

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(per i comunicatori) l’emblema della metropoli sostenibile che ruota intorno all’agricoltura (agricity.it è il sito creato ad hoc per far toccare con mano questa realtà parallela, e attraverso il quale si è potuto accedere ai fondi creati AD HOC per abbellire l’immagine di EXPO Milano 2015). Volti noti della cultura e dell’attivismo politico hanno prestato la loro immagine a questo piano di comunicazione fascinosa; essi stessi in fase rem di piena dimensione onirica hanno contribuito e dato voce alle false promesse della fiera commerciale: Antonio Albanese, jeremy Rifkin, Frankie Hi-nrg e Vandana Shiva (questi ultimi due in un secondo momento hanno fatto un passo indietro, la Shiva dal ruolo di EXPO Ambassador) oltre ad tutti i maggiori personaggi di spicco del mondo dello spettacolo, dello sport (italiano e non) e della cucina, ovviamente. La loro responsabilità è stata raccontare che il cibo è vita, bellezza, amore, ma hanno omesso la parte che ci riporta alla triste realtà: il cibo ad EXPO è caro, carissimo (si tratta di prezzi che variano dai 25 ai 50 euro) se si vogliono mangiare e testare i prodotti proposti nei padiglioni (qualità del cibo spesso sponsorizzata da grandi chef e commercializzata da Eataly, che ha la quasi totalità della ristorazione d’élite presente); altrimenti nel polo fieristico puoi trovare la tua personale soluzione per nutrirti con la spesa alla Coop (monopolistica per il suo settore nell’area espositiva) o accontentarti del “buon” vecchio Mc Donald’s: garanzie di nutrimento sano e genuino!

“IL LAVORO è FINITO” Il lavoro è concetto apertamente superato da molte correnti anarchiche o di una parte della sinistra sinistra,che lo rielaborano in termini di dignità dellì’essere umano, di autonomia, di autorganizzazione verso la costruzione di un reddito nel rispetto di sé stessi e delle proprie aspirazioni. Ma questa è un’altra storia (come direbbe qualcuno). Le narrative pre-EXPO parlavano di oltre 70.000 posti di lavoro: il fronte degli “expottimisti” è stato attraversato da fremiti e gemiti nel poter dire parole fatate come “rilancio dell’occupazione, opportunità per i giovani, costruire il futuro lavorativo partendo dalla conoscenza del mondo etc...” Poi la realtà, guasta feste e spoetizzante, ha rovinato anche questo piano di comunicazione: 24.000 persone impegnate nell’area (secondo alcune stime, 20.000 secondo altre) e 18.500 volontari. Il messaggio è chiaro: il lavoro è finito, il datore di lavoro può anche non pagarti se ti offre tanti altri beni non facilmente monetizzabili come fare la hostess, strappare i biglietti, conoscere altre persone da tutto il mondo, chiedere i soldi ai tuoi genitori anche se hai trent’anni, etc...etc... Davanti alla cruda realtà, la macchina della comunicazione ha subito trovato un cerotto

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nella serie di short stories “Volunteers” in onda dal 16 giugno su MTV; in questa impeccabile opera di promozione, veri o presunti volontari raccontano quanto è bello lavorare gratis per EXPO se in cambio conosci la donna della tua vita o riscopri le tue origini (gastronomiche e quindi culturali) o sbirci alle prove del Cirque du Soleil. Dopo un paio di video ti convinci anche tu che fare il volontario per EXPO e meglio di lavorare: ma dal sogno abbassi gli occhi alla realtà e vedi bollette e affitti e realizzi che hanno solo rubato il tuo tempo con una maschera di promesse. “LA MULTINAZIONALE è SOCIALMENTE RESPONSABILE”

Un summit internazionale dal titolo ambizioso “Nutrire il Pianeta” “Energia per la Vita” dibattiti pubblici, stimoli di discussione, proposte, aspettative realizzabili di un mondo migliore e protagonismo. Sei tu al centro del dibattito mondiale sulla nutrizione globale, tu con la pizza napoletana e la dieta mediterranea e le certificazioni biologiche, tu che chiedi e rispondi al mondo: il cibo buono è un diritto! Questa la sensazione di chi ascolta le narrative di EXPO imprigionato in una ragnatela di sogni e speranze con gli occhi a cuoricino. Poi la ragnatela si sfalda, è di nuovo realtà: c’è Ronald Mc Donald’s con la sua Coca-Cola (un’eccezione rispetto alla storica presa di posizione sulla Pepsy come bevanda preferita) e sui panini portati a spalla da loschi figuri. Partiamo dai loschi figuri, sono Monsanto, Du Pont e Bayer CropScience, per esempio, o lo stato di Isreale, tra i maggiori player del settore agro-industriale, che detengono la maggior parte del mercato sementiero mondiale (nei primi tre casi) e la maggior parte dei brevetti da agricoltura industriale (nel secondo caso). Loro sono la realtà, le ragionevoli controparti di un tavolo in cui si parla di nutrire il pianeta. Il tempo che le risate lascino spazio ai pianti, si delinea sotto gli occhi la mappa di EXPO sezione “Corporate” è la realtà cruda o meglio cucinata bene, questo grande evento è una fiera molto pericolosa perché ci vuole convincere di cosa dovremo nutrirci nei

prossimi anni: OGM, amore e fantasia. “LA GENTE è TONTA”

L’assunto di base su cui si fonda tutto il piano di comunicazione di questa manifestazione è che bastano 500 grammi di disinformazione, una parte di immagini e narrative edulcorate, un’altra di assuefazione dai media main-stream, una parte di dipendenza dalla corruzione all’italiana, mescolati con 30 anni di berlusconismo, il bollito (l’italiano medio, secondo loro) è pronto. Per fortuna l’assunto di base non è confermato in toto, la gente continua ad affluire ad EXPO e spesso si fa’ un’idea corretta di quello che questa manifestazione porta con sé, promesse fumose e nulla di buono e verosimile. I dati sull’affluenza, in generale, offrono un’altra confortante rassicurazione, la comunicazione pubblicitaria di EXPO non ha colpito nel segno, o meglio non ha colpito come avrebbe dovuto. Le stime erano di 20.000.000 di presenze nel corso dell’intera manifestazione, gli organizzatori sono corsi ai ripari, lanciando una promozione dopo l’altra (riduzioni di prezzo su riduzioni di prezzo, tanto i debiti li erediteranno milanesi, lombardi e italiani tutti) ed il risultato è stato esaltante, 5 milioni in meno delle stime (1/4 in meno). E noi saremo pure tonti ma fessi no…

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COMUNIC-AZIONE

Partiamo da un’analisi della parola comunicazione. In latino communico voleva dire “mettere in comune, condividere, rendere partecipi”. Per noi comunic-azione non è solo questo: è anche un’azione comune, frutto di un agire collettivo derivante da un confronto. Un’altra parola chiave per il nostro modo di fare comunicazione è mediattivismo. Anche qui troviamo all’interno tutte le radici a noi care: mediare, fare da tramite, affiancarsi alle voci degli altri affinché riecheggino più forti. La comunicazione fine a se stessa non ci è mai piaciuta, è come darsi una pacca sulla spalla. Comunicare non è un fine, è un mezzo che amplifica le idee e i progetti nostri e di coloro con cui collaboriamo. Comunicare per noi vuol dire smascherare le comunicazioni errate del “mondo di sopra”. Ad esempio Expo è stato un’altra grande opera inutile comunicata male: i messaggi erano sbagliati e gli sponsor erano sbagliati. “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” con Coca-Cola? Con McDonald’s? C’è qualcosa che non torna: c’è un’interferenza nella comunicazione. è un messaggio di per sé importante, ma che dovrebbe essere proprietà di tutti i movimenti in difesa della terra e non di un grande flop frutto di speculazioni. Per reti come Genuino Clandestino nutrire il pianeta è veramente energia per la vita. Per Expo no. Comunicare per noi vuol dire affiancarci alle voci del “mondo di sotto”, a quelle

di MARCO ANTONIOLI

persone la cui voce non viene ascoltata dai più ma che hanno moltissimo da dire. Un esempio su tutti è sicuramente il progetto Beyond Walls, dove l’obiettivo è supportare Palestinesi e Israeliani che lottano contro l’occupazione. Altro esempio ripreso addirittura dalla stampa del “mondo di sopra” è Radio Ghetto-Voci Libere, un’esperienza di comunicazione partecipata per dare voce alle campagne pugliesi e a quei lavoratori migranti che le rendono vive. Quelle stesse campagne pugliesi che spesso sono luoghi di sofferenza e di morte. L’obiettivo della radio è aprire una breccia, far uscire queste voci, far narrare dalla voce viva dei migranti le loro esperienze e le loro problematiche dal percorso migratorio all’attuale vita in Italia. Nel nostro piccolo comunicare è trasmettere i nostri ideali di antimilitarismo e nonviolenza. La nonviolenza non ha mai avuto spazio nel “mondo di sopra”. Adesso esistono i new media, strumenti dei poteri forti nati per dare legittimità a chi detiene il potere e per questo violenti, ma che se utilizzati in maniera corretta consentono alle idee “mondo di sotto” di farsi strada, di emergere fino a scalfire le certezze di intoccabilità del “mondo di sopra”. In sintesi per noi comunicare è agire collettivamente per contrastare e contestare il “mondo di sopra”, per farci sentire con gli abitanti del “mondo di sotto” e proporre con essi un’alternativa.

CONCLUSIONI

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SEGRETERIA NAZIONALETel. 065580644Cell. 3465019990Fax. 065585268e-mail [email protected] di apertura: dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 18.00 Pagina Facebook

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LIGURIADenise Murgia (La Spezia)tel. 0187414129 ore seraliemail: [email protected] Matteo Testino (Genova)tel. 3396713868email: [email protected]

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LOMBARDIASCI Lombardiaviale Suzzani 273, 20100 Milanoe-mail: [email protected]: www.scilombardia.itInformagiovani Sondrio c/o PolicampusConsorzio Sol.Co. SondrioVia Tirano snc – 23100 SondrioTel e fax 0342.518239Sito: www.policampus.itE-mail: [email protected]

PIEMONTESCI Piemonte c/o Associazione Comala - Polo Creativo 3.65Corso Ferrucci 65/A, 10138 Torinoe-mail: [email protected]: www.sci-piemonte.itCarmen Fiore (Torino)tel. 3394708757Luca Robino (Moncalieri)tel. 3479734315Lisa Lissolo (Ivrea, TO)tel. 3459739806Valentina Contin (Tortona - AL)tel. 3355784626Riunioni il martedì alle 21:00(per calendario su www.sci-piemonte.it)

PUGLIASCI Bariemail: [email protected]; web: www.sci-bari.itCristoforo Marzocca - tel. 3403646421

SARDEGNASCI Sardegnavia San Giovanni 400, Cagliaritel. 3395482930 email: [email protected]: http://facebook.com/SciSarde-gnaRiunione martedì 19,00

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TRENTINO ALTO ADIGEBeatrice De Blasi (Trento)tel. 0461391113 (ore pasti)e-mail: [email protected]

VENETOSCI VenetoGruppo SCI Padovaemail: [email protected] Danieli (Padova)tel. 3896749213Elena Roncolato (Verona)tel. 3286958907e-mail: [email protected] Blazina (Udine)tel. 3397635902email: [email protected] Setti (Treviso)tel. 3805329262email: [email protected]

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