Quelle mele fatali - Altervista

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Benedetta Zanolo - 5 a B Liceo Classico “Quelle mele fatali” - 1 - Quelle mele fatali Indice 1 Mappa 2 Sezione 1: L’albero del Bene e del Male 3 Michelangelo Apuleio e la curiositas Kierkegaard e l’angoscia Angel or fallen woman: Mina and Lucy in Dracula Sezione 2: Mele protagoniste 6 Magritte The Big Apple: New York I Beatles e la Apple Records Newton Il pomo della discordia Omero Canti Ciprii Luciano, Panope e Galene: il giudizio delle Dee Callimaco: Aconzio e Cidippide Ovidio, Metamorfosi: Atalanta e Ippomene Pavese, Paesi tuoi: la figura di Gisella Biancaneve Sezione 3: La mela del futuro: Apple 9 Alan Turing Intelligenza artificiale Il calcolo binario Seneca, il tempo e Steve Jobs Bibliografia, sitografia e film 12

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Quelle mele fatali

Indice 1

Mappa 2

Sezione 1: L’albero del Bene e del Male 3

Michelangelo Apuleio e la curiositas Kierkegaard e l’angoscia Angel or fallen woman: Mina and Lucy in Dracula

Sezione 2: Mele protagoniste 6

Magritte The Big Apple: New York I Beatles e la Apple Records Newton Il pomo della discordia

� Omero � Canti Ciprii � Luciano, Panope e Galene: il giudizio delle Dee Callimaco: Aconzio e Cidippide

Ovidio, Metamorfosi: Atalanta e Ippomene Pavese, Paesi tuoi: la figura di Gisella Biancaneve

Sezione 3: La mela del futuro: Apple 9

Alan Turing Intelligenza artificiale Il calcolo binario Seneca, il tempo e Steve Jobs

Bibliografia, sitografia e film 12

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Perché partire da una mela per sviluppare un percorso di maturità? Perché è un frutto molto comune, non esotico, presente sulla tavola di tutti, gradito ai più: quindi perché non farne l’oggetto di una ricerca approfondita? Cominciando a sviluppare mentalmente il percorso che intendevo seguire, ho ragionato sul fatto che la mela, nella sua “banalità”, mi offriva l’opportunità di operare collegamenti fra argomenti estremamente diversi, di spaziare tra periodi storici lontani, di esplorare ambiti conoscitivi disparati attraverso un percorso rispecchiante i cinque anni di studi classici, durante i quali ogni materia è stata affrontata in relazione alle altre.

L’ALBERO DEL BENE E DEL MALE

Il termine “mela” deriva dal latino melum o malum e, a sua volta, dal greco antico melon; la radice del termine potrebbe ricongiungersi all’indoeuropeo Mal- dal significato di “essere molle”, “dolce”.

La mela è il frutto controverso per eccellenza ed è legato a diversi significati, miti, scoperte e invenzioni.

Simbolo di fecondità nell’antica Grecia, è la religione cattolica ad aver associato l’immagine della mela alla tentazione e al peccato originale, come è possibile osservare nel celebre dipinto di Michelangelo Buonarroti (1475-1564) intitolato Peccato originale e cacciata dal Paradiso Terrestre, risalente al 1510 circa e collocato nella Cappella Sistina a Roma. In esso il celebre pittore toscano ha

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voluto raffigurare i due momenti più significativi legati alla storia dell’umanità, vissuti dai mitici progenitori Adamo ed Eva. Benché nel libro della Genesi, dove si narra dell’episodio che li vede protagonisti, la mela non venga esplicitamente citata, l’intera iconografia cristiana ha sempre rappresentato la mela quale frutto proibito.

1 Or il serpente era il più astuto di tutti gli animali dei campi che l’Eterno Iddio aveva fatti; ed esso disse alla donna: ‘Come! Iddio v’ha detto: Non mangiate del frutto di tutti gli alberi del giardino?’

2 E la donna rispose al serpente: ‘Del frutto degli alberi del giardino ne possiamo mangiare; 3 ma del frutto dell’albero ch’è in mezzo al giardino Iddio ha detto: Non ne mangiate e non lo toccate, che non abbiate a morire’.

4 E il serpente disse alla donna: ‘No, non morrete affatto;

5 ma Iddio sa che nel giorno che ne mangerete, gli occhi vostri s’apriranno, e sarete come Dio,

vendo la conoscenza del bene e del male’.

6 E la donna vide che il frutto dell’albero era buono a mangiarsi, ch’era bello a vedere, e che l’albero era desiderabile per diventare intelligente; prese del frutto, ne mangiò, e ne dette anche al suo marito ch’era con lei, ed egli ne mangiò.

Genesi 3, 1 – 6

Adamo ed Eva vengono spinti a mangiare del frutto proibito dal Serpente tentatore che li convince del fatto che, contravvenendo al divieto imposto da Dio, i loro occhi si apriranno ed essi diverranno simili a Lui. La celebre coppia cede alla propria curiositas: Eva coglie il frutto e, dopo averlo morso, lo porge ad Adamo perché faccia altrettanto. Immediatamente, i due scoprono di essere nudi e cominciano a provare vergogna, segno che, effettivamente, i loro occhi si sono aperti all’evidenza (o forse, chissà, è solo un'illusione di conoscenza, un inganno del serpente).

Probabilmente la curiositas di Adamo ed Eva è lo stesso moto d’animo che anima Lucio, il protagonista del romanzo latino Le metamorfosi di Apuleio di Madaura.

Questo romanzo risalente al II secolo d.C. e pervenutoci per intero, narra la storia dell’uomo-asino, dell’uomo cioè che per un incantesimo sbagliato viene trasformato in asino, ma conserva sensibilità e intelligenza umana. In questa veste, egli vive numerose avventure, anche rischiose, fino alla trasformazione finale che lo vede recuperare l’aspetto umano.

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Lucio – l’uomo asino di Apuleio – è spinto dalla propria curiositas ad addentrarsi nei meandri della magia, sperimentandone le conseguenze nefaste: viene infatti trasformato nell’animale per antonomasia considerato il più stupido.

Adamo e Lucio vivono beati nella loro ignoranza, finché la curiositas non spinge entrambi ad andare oltre, attraverso la conoscenza delle proprie infinite possibilità. Questo percorso tuttavia non porterà loro alcun beneficio: in particolare Adamo diventerà preda dell’angoscia, stato d’animo su cui sono incentrate le riflessioni condotte dal filosofo danese Søren Aabye Kierkegaard (1813 – 1855) in una delle sue opere più famose, ovvero Il concetto dell’angoscia.

L'angoscia è la condizione generata nell'uomo dal possibile che lo costituisce. Essa è strettamente connessa con il peccato, ed è anzi a fondamento dello stesso peccato originale. Adamo è "innocente" finché resta "ignorante", cioè finché non conosce le proprie infinite possibilità; ma tale ignoranza contiene già in sé l'elemento che determinerà la caduta, e tale elemento non è né calma né riposo, né turbamento né lotta, perché non c'è alcunché da cui riposarsi o contro cui lottare. Non è che un niente; ma è proprio questo niente a generare l'angoscia. A differenza del timore e di altri stati analoghi, che si riferiscono sempre a qualcosa di determinato, l'angoscia non si riferisce a nulla di preciso. Essa è il puro sentimento della possibilità.

“…Il divieto divino rende inquieto Adamo perché sveglia in lui la possibilità della libertà. Ciò che si offriva all'innocenza come il niente dell'angoscia è ora entrato in lui, e qui ancora resta un niente: l'angosciante possibilità di potere. Quanto a ciò che può, egli non ne ha nessun idea, altrimenti sarebbe presupposto ciò che ne segue, cioè la differenza tra il bene ed il male. Non vi è in Adamo che la possibilità di potere, come una forma superiore di ignoranza, come un'espressione superiore di angoscia, giacché in questo grado più alto essa è e non è, egli l'ama e la fugge…”.

(Il concetto dell’angoscia, capitolo 1, paragrafo 5)

Adamo, nell’episodio della Genesi, ha avuto certamente un ruolo da protagonista, ma il ruolo gli è conteso da Eva, co-protagonista della caduta del genere umano. Se fosse vissuta nel periodo vittoriano (1837-1901) sarebbe sicuramente stata considerata una Fallen woman, ovvero una donna “caduta” nel baratro della perdizione. All’epoca, le categorie cui era ascrivibile un individuo di sesso femminile erano solo due: Fallen women e Angel women, donne che hanno perso la loro innocenza, peccaminose, seduttrici, e donne angeliche, angeli del focolare domestico, pure, incontaminate. Questa contrapposizione è ben delineata da Bram Stoker (1847-1912) nella sua opera letteraria più famosa, Dracula.

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MELE PROTAGONISTE

« Ebbene, qui abbiamo qualcosa di apparentemente visibile poiché la mela nasconde ciò che è nascosto e visibile allo stesso tempo, ovvero il volto della persona. Questo processo avviene infinitamente. Ogni cosa che noi vediamo ne nasconde un'altra; noi vogliamo sempre vedere quello che è nascosto da ciò che vediamo. Proviamo interesse in quello che è nascosto e in ciò che il visibile non ci mostra. Questo interesse può assumere la forma di un sentimento letteralmente intenso, un tipo di disputa, potrei dire, fra ciò che è nascosto e visibile e l'apparentemente visibile. »

Questo è quello che Magritte disse riferendosi al proprio dipinto Il figlio dell’uomo, una tela tuttora non compresa dalla critica per il suo significato esoterico giacché il suo autore non rivelò mai i significati dei suoi quadri. La tela presenta come unico soggetto un uomo vestito elegantemente con un completo sartoriale inglese accompagnato dal classico cappello a bombetta. Dietro a esso si trova un parapetto di pietra, il quale si affaccia sul mare. Dalla tinta del cielo e dall’abbigliamento dell’uomo si deduce che la scena sia ambientata d’inverno o quantomeno in autunno. L’oggetto che attrae maggiormente l’attenzione dell’osservatore è la mela verde posta ad oscurare il volto dell’uomo. Così un oggetto qualsiasi come una mela può diventare un volto, solo noi con il linguaggio gli assegniamo un ruolo di frutto e basta, ma si potrebbe ricollocare in un altro ruolo ai nostri occhi.

Per Magritte, la mela diventa un volto; per i Newyorkesi, la mela diventa il nomignolo con cui è chiamata la divisione amministrativa della loro città. Il primo ad avvicinare New York a questa simbologia è Edward S. Martin nel suo libro The Wayfarer in New York (1909), nel quale egli paragona la città ad un melo con le radici nella valle del Mississippi e i frutti a New York. L’uso corrente dell’epiteto The Big Apple si deve al costume di compensare con una mela i suonatori di jazz degli anni Trenta che si esibivano nei locali pubblici di Manhattan.

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Anche i Beatles – il celeberrimo gruppo musicale inglese - trassero ispirazione dal frutto che divenne il logo della loro casa discografica Apple Records fondata negli anni Sessanta.

La mela è altresì protagonista di uno degli aneddoti più famosi della storia della scienza, assieme al genio seicentesco Isaac Newton (1642 – 1727). Mentre costui sonnecchiava sotto un melo nella sua tenuta inglese, venne svegliato all’improvviso da un frutto maturo cascatogli sulla testa. Secondo la leggenda diffusa da Voltaire, questo fatto lo indusse a domandarsi se la forza che aveva fatto precipitare la mela sul suo capo non fosse la stessa che manteneva la Luna in orbita attorno alla Terra. Dopo lunghe riflessioni, Newton arrivò a formulare la “legge sulla gravitazione universale” in base alla quale ogni punto materiale attrae ogni altro punto materiale con una forza che è direttamente proporzionale al prodotto delle

loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza.

Oltre a questo contesto nel quale il semplice frutto è addirittura fonte di ispirazione per la formulazione di una teoria scientifica che è alla base della fisica, la mela ha avuto la sua parte in numerose leggende della tradizione epica, in racconti moderni, e persino nelle fiabe.

All’interno di tre opere classiche, l’Iliade di Omero, i Canti Cipri appartenenti al Ciclo Troiano e i Dialoghi Marini di Luciano di Samosata, troviamo narrato l’episodio del “Pomo della Discordia”: durante il banchetto nuziale di Teti e Peleo, padre del valoroso

Achille, nonché re di Ftia, vennero invitati tutti gli dei e le dee eccetto una: Discordia. Questa, sentendosi offesa, decise di vendicarsi lasciando cadere, su un tavolo imbandito, una mela d’oro, sulla quale era incisa la frase: “Alla più bella”. Era, Atena e Afrodite, credendosi ognuna superiore in bellezza alle altre due, si contesero la mela, fino a quando Zeus, re degli dei, si recò da Paride, giovane famoso per il suo fascino, e gli affidò la decisione. Le dee, determinate ad ottenere la mela, offrirono doni differenti: Atena la saggezza, Era la potenza e Afrodite la donna più bella del mondo, Elena, moglie di Menelao, re di Sparta. Paride, preferendo quest’ultima offerta, consegnò il pomo ad Afrodite che mantenne la sua promessa. Il giovane non esitò a indurre la bella Elena alla

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fuga da Sparta e a condurla in patria, scatenando così la furia di Menelao, che si schierò con il fratello Agamennone, interessato all’espansione, contro Priamo e l’intera città di Troia. Trascorreranno, così, ben dieci anni prima che i Greci riescano a fare breccia nelle potenti mura di Ilio (Troia) e conquistarla.

Mentre il Pomo della Discordia recava la scritta “Alla più bella”, la mela al centro dell’episodio che vede protagonisti Aconzio e Cidippe, narrato negli Aitia di Callimaco, vi ha inciso un giuramento: "Giuro per il santuario di Artemide di sposare Aconzio". Aconzio, straordinariamente colpito dalla bellezza della giovane Cidippe, escogita un sistema particolare per farla sua sposa: prende una mela, vi scrive sopra questa frase e la invia alla fanciulla. Cidippe, ignara di tutto, raccoglie la mela e, leggendo ad alta voce la frase, resta legata al giuramento che la vuole sposa di Aconzio e dopo varie vicissitudini, la coppia convola a nozze.

Non una, ma tre sono le mele che vengono in aiuto di Ippomene nell’episodio narrato da Ovidio ( X Libro delle Metamorfosi).

Atalanta, figlia di Iaso, re dell'Arcadia e di Climene, abbandonata sul monte Pelio dal padre, che avrebbe voluto un figlio maschio, viene allevata da un'orsa. Cresce bellissima, provetta nella caccia e più veloce nella corsa degli stessi Centauri. Tanto veloce che, non volendo prendere marito, quando il terribile padre, dopo averla riconosciuta, vuole costringerla a farlo, accetta di concedersi solo a chi la batta in una gara di corsa. I pretendenti che si presentano alla prova, perdono e sono per questo messi a morte. Ippomene, che la ama, prima di partecipare alla gara fatale chiede aiuto a Venere. La Dea gli consegna tre mele dorate, colte nel Giardino delle Esperidi, che durante la corsa dovrà semplicemente lasciar cadere una ad una lungo il percorso. Ippomene segue le indicazioni divine; Atalanta, che si ferma a raccogliere i frutti preziosi, perde tempo e la gara viene vinta da Ippomene.

In tempi molto più recenti, Cesare Pavese, nella sua prima opera narrativa lunga Paesi tuoi, utilizza la mela come immagine metaforica per esplicitare la carica sessuale del personaggio femminile di Gisella.

L’accostamento Gisella/mela viene motivato spiegando che “…quando nasce una figlia, si pianta un albero affinché cresca con essa...”. Alla nascita di Gisella era stato piantato un melo, ed ora “ella pareva fatta di frutta”. Al momento della pubblicazione, anno 1941, il neorealismo di Pavese

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suscitò scandalo in chi lo osteggiava e entusiasmo in chi lo sosteneva. Al di là dei giudizi formulati in merito, i temi trattati (la solitudine, il forte legame con le proprie radici, il rapporto tra città e campagna), squisitamente pavesiani, influenzarono, per la loro carica narrativa, intere generazioni di scrittori.

E per finire, come non ricordare la mela di Biancaneve, forse la più conosciuta perché è quella di cui ci “nutriamo” fin da bambini. Biancaneve e i sette nani è una fiaba popolare europea di cui esistono molte versioni, la più famosa delle quali è quella elaborata dai fratelli Grimm. E’ tutta incentrata sulla bellezza femminile ed il suo indispensabile corollario: il tempo.

Protagonista è Biancaneve, una fanciulla inconsapevole della sua bellezza, una donna allo stato nascente. L’antagonista è la regina, matrigna di Biancaneve, donna bellissima, malvagia e dotata di poteri magici, grazie ai quali periodicamente interroga uno specchio che la rassicura sul fatto che lei è la donna più bella del reame. Ma essendo la bellezza effimera, perché sottoposta alla legge del tempo, un giorno la regina apprende dallo specchio di non avere più il primato. Decide quindi di avvelenare una mela e offrirla alla rivale per eliminarla dalla competizione.

LA MELA DEL FUTURO: APPLE

“Dip the apple in the brew

Let the Sleeping Death seep through”.

("Immergi la mela nell’infuso

Lascia che vi si insinui il sonno di morte").

Tutto inizia così, con una filastrocca canticchiata in un giorno lontano del 1931 da Alan Turing (1912-1954), uno dei più grandi geni del Ventesimo secolo, che fin da piccolo amava particolarmente la storia di Biancaneve. E’ considerato uno dei padri della moderna informatica e fu un matematico fuori dal comune.

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Durante la Seconda guerra mondiale (1939 – 1945), egli mise le sue straordinarie capacità al servizio dell’Inghilterra, entrando a far parte di Bletchley Park, la località top secret della principale unità di crittoanalisi del Regno Unito, e contribuì in modo decisivo alla decifrazione di Enigma, la complessa macchina realizzata dai tedeschi per criptare le proprie comunicazioni, ribaltando così le sorti del conflitto. Ma la sua fu anche un’esistenza tormentata. Perseguitato per la sua omosessualità, fu condannato alla castrazione chimica. Umiliato e frustrato, a soli 41 anni, si suicidò in circostanze misteriose, morsicando una mela avvelenata con cianuro, da lui stesso realizzata. Solo nel 2003, la Regina Elisabetta gli ha “concesso” l’assoluzione reale.

Gli anni in cui Turing opera sono anche gli anni in cui nasce l’Intelligenza Artificiale, la disciplina che studia se e in che modo si possano riprodurre i processi mentali più complessi mediante l'uso di un computer. L’obiettivo fondamentale che tale scienza si propone è quello di individuare un criterio oggettivo che consenta di distinguere il pensiero “umano” da una sua imitazione meccanica. In un articolo del 1950, Turing espone in maniera informale, chiarissima e provocatoria, il suo pensiero, basandosi su una prova comportamentistica di tipo dialogico: “Propongo di considerare la domanda, «Possono le macchine pensare?». Bisognerebbe cominciare con le definizioni di cosa significhino ‘macchina’ e ‘pensare’, ma invece di tentare tale definizione, sostituirò la domanda con un’altra, che è strettamente connessa e si può esprimere con parole relativamente non ambigue. La nuova forma del problema si può esprimere nei termini di un gioco. Lo chiameremo gioco dell’imitazione”. In cosa consiste questo gioco? Il gioco dell'imitazione prevede uno scambio linguistico cui partecipano tre persone: un uomo A, una donna B e un terzo individuo C, il giudice o esaminatore, il cui sesso è irrilevante. C, che è isolato dagli altri due, può porre ad A e B domande di qualunque tipo e natura e, basandosi soltanto sulle risposte ricevute, deve stabilire se A è l’uomo e B la donna o viceversa. Gli indizi che A e B forniranno saranno trasmessi a C attraverso una telescrivente o un mezzo “neutro”. Turing immaginò di modificare l’esperimento, sostituendo ad A una macchina, e si chiese se, in queste condizioni, l’esaminatore C avrebbe sbagliato con la stessa frequenza con cui

sbagliava nella versione classica del gioco. C sbaglia quando ritiene che l’essere umano sia A e non B; in tal caso la macchina vince, e viene dichiarata capace di pensare. Questo test, conosciuto come “Test di Turing”, ha suscitato negli anni, e ancora suscita, molte discussioni, sia per la vaghezza della formulazione originale sia in relazione ai progressi che nel tempo si sono compiuti nel settore dell’Intelligenza Artificiale.

Ad Alan Turing spetta anche il merito di aver riscoperto il calcolo binario, proponendolo come linguaggio di base nelle calcolatrici meccaniche moderne.

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Probabilmente la storia della morte del matematico e crittografo ispirò Steve Jobs per il logo della nota azienda statunitense, numero uno al mondo nella produzione di sistemi operativi, computer e dispositivi multimediali: la Apple, nata nel 1976 a Cupertino, in California, dove è situata ancora attualmente. C’è chi smentisce tale origine, ma è lampante la connessione. Steve Jobs non fu solo un grande informatico, ma anche una persona di alti sentimenti. Il 12 giugno 2005 tenne un celebre discorso di auguri ai laureandi di Stanford, una delle più famose e prestigiose università al mondo. Il suo intervento è una sorta di testamento spirituale e ripercorre attraverso tre storie separate la sua vita. Nella prima i suoi inizi e studi, nella seconda l’amore e il successo, nella terza una riflessione sulla morte e lo scorrere del tempo, in relazione alla malattia con cui conviveva da un anno, al momento del discorso. Celebre è l’espressione che sottolinea l’importanza di saper sfruttare fino alla fine il tempo che ognuno di noi ha a disposizione : “ [...] Il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro […] Siate affamati. Siate folli.”

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BIBLIOGRAFIA

Søren Aabye Kierkegaard, Il concetto dell’angoscia, Biblioteca Sansoni, Firenze, 1965 Bram Stoker, Dracula, Arnoldo Mondadori, 2005 Cesare Pavese, Paesi tuoi, Luigi Einaudi, Torino, 2001 Walter Isaacson, Steve Jobs, Arnoldo Mondadori, Milano, 2011 Andrew Hodges, Alan Turing. Storia di un enigma, Bollati Boringhieri, Torino, 2014 Apuleio, Le metamorfosi o l’asino d’oro, Giulio Einaudi, Torino, 2010 La Bibbia, Edizioni San Paolo,Cinisello Balsamo, 2014

SITOGRAFIA

Test di Turing: http://docplayer.it/6589957-Il-test-di-turing-storia-e-significato.html consultato il 21.05.2016

FILM

Jobs, Joshua Michael Stern, 2013 The imitation games, Morten Tyldum, 2014 Steve Jobs, Danny Boyle, 2015