PSICHIATRIA LE DOMANDE SENZA ANCORA UNA RISPOSTA · nia è unanimemente accettato. In maniera più...

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XII CONGRESSO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI PSICOPATOLOGIA PSICHIATRIA LE DOMANDE SENZA ANCORA UNA RISPOSTA

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  • XII CONGRESSO NAZIONALEDELLA SOCIETÀ ITALIANA DI PSICOPATOLOGIA

    PSICHIATRIALE DOMANDE SENZA ANCORA UNA RISPOSTA

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  • GIORNALE ITALIANO DI

    PSICOPATOLOGIAItalian Journal of Psychopathology

    Volume March Supplement

    Organo Ufficiale della Società Italiana di PsicopatologiaOfficial Journal of the Italian Society of Psychopathology

    Fondatori: Giovanni B. Cassano, Paolo Pancheri

    Cited in EMBASE Excerpta Medica Database

    Editor-in-chief: Paolo Pancheri

    XII Congresso Nazionaledella Società Italiana di Psicopatologia

    PSICHIATRIALE DOMANDE SENZA ANCORA UNA RISPOSTA

    Roma, 19-23 Febbraio 2008

    ABSTRACT BOOK

  • CoordinatoreRoberto Brugnoli

    Coordinatore dei Corsi ECMRoberto Delle Chiaie

    Segreteria ScientificaMaria Caredda

    Francesca PacittiAdalgisa Palma

    Segreteria Organizzativa MGA srl - Roma

    Sede del Congresso Roma - Hotel Hilton Cavalieri

    Sito del Congressowww.sopsi.it

    XII CONGRESSO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI PSICOPATOLOGIA

    SOCIETÀ ITALIANA DI PSICOPATOLOGIA

    Presidente Pro-tempore Mario Maj

    SegretarioFilippo Bogetto

    TesoriereGian Franco Placidi

    Consiglieri Alfredo C. Altamura

    Amato AmatiMassimo Biondi

    Massimo CasacchiaPaolo CastrogiovanniGiovanni Muscettola

    Alessandro Rossi

    Consigliere OnorarioLuigi Ravizza

    Immagine di copertina: immagini liberamente tratte da: I Faraoni (ed. Bompiani), Carlo (ed. Marsilio).

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  • Le Sessioni plenarie

    a cura diAdalgisa Palma

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    GIORN ITAL PSICOPAT 2008; 14 (SUPPL. AL N. 1): 7-17

    MARTEDÌ 19 FEBBRAIO 2008 - ORE 17.30-19.30SALA CAVALIERI 1

    Sessione InauguraleMODERATORE

    M. Maj (Napoli)

    La sfida del DSM-V: quali risposte per lapsichiatria clinica e per la ricerca

    D.J. Kupfer Department of Psychiatry, University of Pittsburgh Schoolof Medicine, Western Psychiatric Institute and Clinic,Pittsburgh, USA

    Our current paradigms for psychiatric diagnosis have notyet fully embraced many scientific and methodological ad-vances made in the last two decades. In order to facilitatetheir inclusion in the next nomenclature, a research agendadeveloped in concert with the American Psychiatric Asso-ciation (APA), National Institute of Health (NIH), andWorld Health Organization (WHO) is providing new ap-proaches and stimulating the empirical research towardthat end. The goals of this effort include: 1) ensuringgreater clinical utility and relevance; 2) utilizing a deve-lopmental approach across the life span; 3) incorporating

    new knowledge from the neurosciences and the behavioralsciences in eludicating risk factors and prodromal featuresof disorders; and 4) adopting methodological strategies uti-lizing both dimensional and categorical approaches. Theseactivities began in 1999. In this presentation, a brief reviewof the recommendations developed from the twelve inter-national planning conferences held between 2003 and 2007will be provided. As the Task Force for Diagnostic and Sta-tistical Manual for Mental Disorders (DSM) and specificdisorder work groups begin their activities, specific cross-cutting issues will be addressed. These issues include thefollowing topics: 1) life span developmental approaches; 2)diagnostic spectra; 3) psychiatric/general medical inter-face; and 4) gender and cross-cultural expression. Otherimportant concepts and strategies for alignment with Inter-national Classification of Diseases-II (ICD-II) activitieswill also be discussed that seek to promote internationalcollaboration among members of the scientific and clinicalcommunities.

    MERCOLEDÌ 20 FEBBRAIO 2008 - ORE 9.15-12.00SALA CAVALIERI 1

    ORE 9.15-10.00

    Lettura introduttivaMODERATORE

    G.B. Cassano (Pisa)

    Clozapine

    J.P. McEvoyClinical Research Service, John Umstead Hospital, Butner,North Carolina, USA

    Clozapine is the most efficacious antipsychotic medication.Clozapine has proved to be superior to other antipsychoticmedications for reducing psychopathology in treatment-re-sistant psychoses, chronic schizophrenia, first-episode psy-chosis, and early-onset (childhood) schizophrenia. Clozapine blood levels offer guidance for optimal dose se-lection.

    Clozapine also appears to differentially reduce violence,suicidal behaviors, smoking, substance use, and compul-sive water drinking, more than other antipsychotic medica-tions. Insight and treatment compliance may be better onclozapine than on other antipsychotic medications.Patients starting treatment with clozapine must be closelymonitored, especially early in treatment, for acutely life-threatening side effects (agranulocytosis, myocarditis).Strategies to reduce long-term weight gain and metabolicabnormalities are currently under investigation. Nuisanceside effects (enuresis, hypersalivation) must be managed tosupport acceptability of clozapine.

  • MERCOLEDÌ 20 FEBBRAIO 2008 - ORE 10.15-12.00 SALA CAVALIERI 1

    Sessione plenaria - Farmacoterapia psichiatrica ungrande futuro dietro le spalle

    MODERATORIE. Sacchetti (Brescia), E. Smeraldi (Milano)

    SESSIONI PLENARIE

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    I farmaci come personaggi della iconapsichiatrica

    R. RossiProfessore Ordinario di Psichiatria, Dipartimento diNeuroscienze, Università di Genova, Psicoanalista

    Si parte dall’assunto di considerare lo psicofarmaco comeun personaggio della scena (character) che si va svolgen-do tra paziente e curante.Ne consegue che il curante, che è in questo caso anche unesperto, o se si vuole, un tecnico della relazione, deve po-ter valutare e prevedere in quali termini o secondo quali pa-rametri il farmaco entrerà in gioco nella relazione.È chiaro che, trattandosi di situazioni psichiche, il concet-to di compliance viene ad essere del tutto inapplicabile neipazienti psichiatrici, e deve essere sostituito dal concetto direlazione. Si profila l’ipotesi di una patologia prima, quel-la della malattia, di una patologia seconda, quella della di-pendenza da farmaco, fino alla dipendenza della personacome fase conclusiva.Ne derivano alcune considerazioni sulle modalità di sommi-nistrazione farmacologia che potremmo definire nevrotica,con il collasso della razionalità e delle conoscenze mediche(somministrazione vorticosa, ripetitiva, per apposizione,etc.) a seconda dei meccanismi di difesa operate dal medico,fino ad alcuni aspetti magici ed irrazionali. Uno di questi po-trebbe essere in alcuni casi il prevalente appiattimento sulleindicazioni ed i controlled trials, trascurando la clinica.Alcuni casi clinici vengono portati ad esempio, con alcunisogni di cui il farmaco è protagonista.

    Ricerca e sviluppo in psicofarmacologia:“the long and winding road”

    L. PaniIstituto di Tecnologie Biomediche Consiglio Nazionaledelle Ricerche, Milano & PharmaNess Scarl, Cagliari

    L’obiettivo centrale nello sviluppo di nuovi psicofarmaci èquello di scoprire sostanze innovative che possano curare oalmeno contenere la sintomatologia dei disturbi psichici. Inquesto senso si intende la scoperta non di molecole con unanuova struttura chimica, quanto strutture che utilizzano unmeccanismo d’azione del tutto, o parzialmente, nuovo. Laneurochimica ha fornito non solo le basi fisiopatologicheche mettono in relazione le alterazioni di determinate viebiochimiche, e più recentemente genetiche, con la fenome-nologia dei disturbi, ma ha anche indicato quali bersagli

    cellulari e molecolari potevano essere utilizzati per scopri-re nuovi farmaci. La ricerca di nuovi psicofarmaci su scalamondiale diviene ogni anno sempre più impegnativa e co-stosa. Una sola molecola ogni diecimila composti sintetiz-zati raggiunge il mercato dopo circa 13 anni e con un costoglobale che eccede i 500 milioni di euro.La presenza di un’importante (ancorché non assoluta) com-ponente genetica nell’eziologia di numerosi disturbi psi-chici suggerisce che la ricerca e sviluppo di nuovi psico-farmaci dovrà in effetti, nel prossimo futuro, tenere contodelle basi genetiche delle malattie e ciò si rifletterà neces-sariamente sull’attività clinica (vedi farmacogenetica e far-macogenomica). L’entusiasmo dei primi anni per questoapproccio soprattutto tecnologico è stato raffreddato dallaconstatazione che la conoscenza delle funzioni e del con-trollo delle funzioni dei 25.000-30.000 geni che rappresen-tano il patrimonio genetico umano, appare estremamentecomplessa e che, di conseguenza, saranno necessari diver-si decenni per trasferire alla farmacologia clinica le sco-perte della genetica fondamentale. Sono complessi, per li-mitarsi solo ad alcuni esempi, la precisa comprensione del-la genetica e dell’epigenetica delle popolazioni, i risultatidella manipolazione delle linee germinali nei modelli ani-mali, gli effetti dei knock-out ed il controllo dell’espressio-ne differenziale dei geni che controllano una determinatafunzione psichica normale o patologica. Diversi risultatiindicano che sarà necessario rimettere al centro dello svi-luppo di nuovi psicofarmaci la fisiopatologia e che sarà al-trettanto importante che in una stretta collaborazione, i far-macologi si confrontino con i clinici, affinché la tradizio-nale fenomenologia che ha consentito sinora di classificarei disturbi psichici si possa trasformare in una nosografiabasata su genotipi i più omogenei tra loro al fine di offrireal chimico farmaceutico il razionale per l’identificazione dimeccanismi d’azione e quindi di punti d’attacco per la sin-tesi di nuove entità chimiche (NEC) che siano realmenteinnovative.

    Il problema del trattamento dei deficitcognitivi

    A. RossiUniversità de L’Aquila

    … È probabile che in futuro altri metodi d’indagine ci met-tano in grado di individuare una demenza primaria dietroquella secondaria … ( E. Bleuler, 1911)

    L’osservazione che un’alterazione delle funzioni cognitiveabbia un ruolo centrale nella patofisiologia della schizofre-

  • nia è unanimemente accettato. In maniera più pragmatica laricerca tende oggi a definire delle possibilità che tale di-sturbo possa essere oggetto di trattamento sia farmacologi-co che non farmacologico.Per quanto riguarda il trattamento farmacologico un primomodello segue l’ipotesi dopaminergica per cui l’ottimizza-zione del trattamento con antipsicotici (tipici o atipici) po-trebbe avere un effetto positivo sui deficit cognitivi.Un’ipotesi parzialmente alternativa è quella di un tratta-mento “mirato” sul deficit cognitivo indipendente dal trat-tamento con farmaci antipsicotici.È verosimile che i dati relativi alle modificazioni delle fun-zioni cognitive possano portare ad una ridefinizione dellostesso concetto di farmaco antipsicotico.Vista la natura e la valutazione del deficit cognitivo che in-dica una compromissione delle funzioni mnesiche, attenti-ve e di flessibilità cognitiva, una serie di metodiche, com-

    plessivamente descrivibili come “rimedio cognitivo”, sonostate proposte come interventi non farmacologici miranti amantenere/ripristinare il miglior livello di funzionamentocognitivo possibile.L’esame critico di tali approcci non consente attualmentedi indicare utili modalità di trattamento dei deficit cogni-tivi. Sembra quindi auspicabile una revisione dei paradig-mi che hanno guidato lo sviluppo delle terapie del distur-bo come una possibilità di meglio comprendere sia la na-tura stessa del deficit sia le sue realistiche possibilità ditrattamento.

    Bibliografia

    Hagan JJ, Jones DNC. Predicting Drug efficacy for cognitivedeficits in schizophrenia. Schizophrenia Bulletin 2005;31:830-53.

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    SESSIONI PLENARIE

    GIOVEDÌ 21 FEBBRAIO 2008 - ORE 9.15-12.00SALA CAVALIERI 1

    ORE 9.15-10.00

    Lettura introduttivaMODERATORI

    F. Bogetto (Torino)

    Effectiveness of antipsychotic drugs in first-episode Schizophrenia and Schizophreniform disorder

    W.W. FleischhackerDepartment of Biological Psychiatry, Medical UniversityInnsbruck, Innsbruck, Austria

    Second generation antipsychotics have been introducedover a decade ago for the treatment of schizophrenia.However, their purported clinical superiority is still a matterof debate since most efficacy studies had a short durationand included highly selected patients. Furthermore, moststudies used a double-blind design, which does not reflectclinical practice, and treatment response was mostly basedon reductions in psychosis rating scales, capturing only one,and arguably not the most relevant, outcome measure.Finally, too high doses of the older comparator drug wouldhave been used and studies included chronic samples withlimited generalisability to the treatment of first-episodepatients. We concluded that there is a dire need for studiesin first-episode patients that meet these concerns. In 14participating countries with 50 sites, 498 first-episode

    patients with minimal prior antipsychotic treatment wererandomized to haloperidol (1-4 mg/d; n = 103), amisulpride(200-800; 104), olanzapine (5-20; 105), quetiapine (200-750; 104), or ziprasidone (40-160; 82). We used broadinclusion criteria for patients, low doses of haloperidol, anopen-treatment design, one-year follow-up, and Loss ofRetention (i.e. discontinuation of treatment for any reason)as the primary outcome. Secondary outcomes werepsychopathology, severity of illness, and measures of safetyand tolerability. Of the 498 patients enrolled, 40% werefemale 40% had schizophreniform disorder, and 33% wereantipsychotic naive at randomization. The mean daily dosesused were 3.0 mg for haloperidol, 451 mg for amisulpride,12.6 mg for olanzapine, 499 mg for quetiapine, 107 mg forziprasidone. 70% of patients completed the one year study,38% of the sample met Loss of Retention criteria. Moredetailed results on the primary and secondary outcomes willbe presented during the meeting and discussed in thecontext of similar large pragmatic clinical trials such asCATIE (Clinical Antipsychotic Trials of InterventionEffectiveness), CAFE (Comparison of Atypicals for First-Episode Psychosis) and CUTLASS (Cost Utility of theLatest Antipsychotic Drugs in Schizophrenia Study).

  • SESSIONI PLENARIE

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    GIOVEDÌ 21 FEBBRAIO 2008 SALA CAVALIERI 1

    ORE 10.15-12.00

    Sessione plenaria - Patofisiologia psichiatrica:l’anello mancante

    MODERATORIA. Amati (Catanzaro), G. Muscettola (Napoli)

    Smontare e rimontare le sindromipsichiatriche: ci serve un manualed’istruzioni

    A. TroisiDipartimento di Neuroscienze, Università di Roma TorVergata

    L’attuale classificazione dei disturbi mentali non facilita laricerca nel campo delle neuroscienze e rende difficile l’in-terpretazione dei dati neurobiologici che vengono raccoltinegli studi condotti su persone con diagnosi psichiatriche.Ciò non sorprende se si tiene conto del fatto che la classi-ficazione dei disturbi psichiatrici è ancora oggi basata sulcriterio sindromico, criterio che nella storia della medicinaè stato progressivamente sostituito da quello patogeneticoed eziologico. Molti autori hanno proposto di abbandonarel’uso delle categorie diagnostiche oggi in uso nella clinicae di focalizzare invece la ricerca neurobiologica su entitàdiverse come i sintomi, le dimensioni psicopatologiche egli endofenotipi.Scopo di questa relazione è di analizzare criticamente iprocessi metodologici che possono condurre ad una scom-posizione delle attuali sindromi psichiatriche in elementicostituenti di provata validità scientifica. A tale scopo sa-ranno presi in esami i dati empirici a favore e contro le li-nee di ricerca che hanno utilizzato singoli sintomi, dimen-sioni psicopatologiche ed endofenotipi. Si discuterà poi ilproblema della necessità di conciliare le esigenze della ri-cerca neurobiologica con quelle della clinica nella formu-lazione di una nuova classificazione psichiatrica, con parti-colare riferimento alla prognosi e alla terapia. Il concettoevoluzionistico di “sistema comportamentale” sarà intro-dotto nella discussione per illustrare come l’approccio fun-zionale al comportamento umano possa contribuire alla re-visione della classificazione dei disturbi psichiatrici.

    Bibliografia essenziale

    Gottesman II, Gould TD. The endophenotype concept in psychia-try: etymology and strategic intentions. Am J Psychiatry2003;160:636-45.

    McGuire MT, Troisi A. Darwinian psychiatry. New York: OxfordUniversity Press 1998.

    Stahl SM. Deconstructing psychiatric disorders. Part I. Geno-types, symptom phenotypes, and endophenotypes. J Clin Psychi-atry 2003;64:982-3.

    Stahl SM. Deconstructing psychiatric disorders. Part II. Anemerging, neurobiologically based therapeutic strategy for themodern psychopharmacologist. J Clin Psychiatry2003;64:1145-6.

    Troisi A, D’Amato FR. Deficits in affiliative reward: an endopheno-type for psychiatric disorders? Behav Brain Sci 2005;28:365-6.

    La genetica in psichiatria: anello mancantetra mente e cervello?

    A. Serretti Istituto di Psichiatria, Università di Bologna

    La genetica, particolarmente in psichiatria, evoca alternati-vamente sensazioni di trionfo, timore e delusione. Trionfoquando appaiono annunci tipo “è stato sequenziato il geno-ma” oppure “scoperto il gene della schizofrenia, depressio-ne, etc.” e pensiamo che l’anello mancante tra mente e cer-vello sia stato identificato. Timore quando si riflette sulleconseguenze di una diagnosi genetica preclinica. Delusio-ne quando poi a tali annunci non segue nulla di applicabilealla pratica clinica 1.La realtà è che ci sono ancora molte aree sconosciute. L’i-dea che variazioni nei nostri geni producano proteine (lie-vemente) differenti e responsabili delle differenze in termi-ni di carattere o suscettibilità a disturbi psichiatrici è pur-troppo ingenua e vera solo in rari casi.Non sappiamo (bene) come viene controllata l’espressio-ne dei geni, non sappiamo come viene poi modulata l’e-spressione fino alla codifica della proteina. Non sappia-mo (bene) come le proteine interagiscono tra loro nei si-stemi metabolici, non sappiamo infine (quasi per nulla)come i vari sistemi metabolici cerebrali determininopensiero, affetti, disturbi psichiatrici, risposta a psicofar-maci.Quindi? Sarebbe più opportuno arrendersi e proseguirecon un approccio solamente “empirico” in psichiatria ri-nunciando ad una conoscenza eziopatogenetica? La rispo-sta è no. Perché ci sono evidenze che è possibile arrivaread una comprensione eziopatogenetica completa di certiprocessi. Ad esempio il gene che codifica per il trasportatore dellaserotonina. Questo gene è polimorfico e una parte della po-polazione ne possiede una variante che esprime un numeroinferiore di trasportatori nella sinapsi serotoninergica. Que-ste persone sono state caratterizzate come tendenzialmentepiù ansiose, meno resistenti agli stressors, suscettibili a di-sturbi dell’umore e alcolismo, meno responsivi alle terapieantidepressive, possibilmente tramite un ridotto volume ip-pocampale, ma anche più attenti ai valori familiari, lavora-tivi e più longevi 2.Appare perciò utile proseguire nella ricerca genetica accet-tando che la parte predeterminata (genetica) influenza in

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    SESSIONI PLENARIE

    modo sfumato e multiforme (ma concreto) il comporta-mento umano, accettando che gli effetti sono molto piùcomplessi ed intricati del previsto, accettando che la stradadella ricerca è complessa ma necessaria.

    Bibliografia essenziale

    1 Kendler KS. Reflections on the relationship between psychiatricgenetics and psychiatric nosology. Am J Psychiatry2006;163:1138-46.

    2 Serretti A, Calati R, Mandelli L, De Ronchi D. Serotonin trans-porter gene variants and behaviour: a comprehensive review.Current Drug Targets 2006;7:1659-69.

    Fisiopatologia dei disturbi psichiatrici: verso una iconoclastia molecolare

    A. de BartolomeisLaboratorio di Psichiatria Molecolare e Psicofarmacote-rapia, Sezione di Psichiatria, Dipartimento di Neuroscien-ze, Università di Napoli “Federico II”

    1. Studi preclinici e clinici di isomorfismo fisiopatologicoe farmacologico della schizofrenia sono stati prospostinel tempo con correlati comportamentali, neuroanatomo-funzionali e molecolari complessi. Tuttavia la validitàstrutturale, l’omologia, la capacità predittiva e il realeimpatto sulla comprensione dei meccanismi molecolaripotenzialmente implicati nella suscettibilità alla schizo-frenia rappresentano un aspetto critico e spesso contro-verso di tale approccio che, di fatto, costituisce una stra-tegia ampiamente codificata in altri ambiti della ricercamedica (Adriani et al., 2004; de Bartolomeis and Iasevo-li, 2003 Lipska, 2004).

    2. Quantunque multipli modelli molecolari sono stati invo-cati per spiegare le basi fisiopatologiche dei sintomi psi-cotici e cognitivi della schizofrenia, la disregolazionedell’interazione dopamino-glutammatergica sottocorti-cale appare necessaria e forse sufficiente per l’emergen-za di tali sintomi.

    3. Il modeling di perturbazioni dei sistemi dopaminergicie/o glutammatergici si fonda sulle molteplici evidenzesperimentali di tipo clinico (imaging con “probe” dopa-minergici, quali anfetamina, o glutammatergici come laketamina), di studi post-mortem (modificazioni signifi-cative in tessuto cerebrale di pazienti schizofrenici diproteine adattatrici dei recettori dopaminergici, comead esempio calcyon, e dei recettori NMDA, come PSD95), e di farmacoterapia (augmetation di antipsicoticicon farmaci modulatori del sistema glutammatergicocome D-cicloserina) indicanti un disregolazione reci-proca dei due sistemi trasmettitoriali.

    4. Pertanto una plausibile strategia è rappresentata dalla“riproduzione” più che dalla “creazione” nell’animale daesperimento di meccanismi fisiopatologici discreti chealmeno in parte siano speculari di quelli esplorati nel-l’uomo. Tale strategia può essere perseguita attraverso lacreazione di animali knock-out ( con “eliminazione” fun-

    zionale” per esempio del recettore glutammatergico NM-DA, o del trasportatore della dopamina ); con manipola-zioni di tipo neuroanatomofunzionale (lesioni cortico-sottocorticali delle vie dopaminergiche e/o glutammater-giche); con la somministrazione di composti in grado dimodificare la normale trasmissione dopaminergica (adesempio amfetamina o cocaina) e/o quella glutammater-gica (blocco del recettore NMDA con fenciclidina o ke-tamina) (Seeman et al., 2005).

    5. Una strategia di recente introduzione specificamenterivolta a valutare la possibile suscettibilità all’emer-genza d’alterazioni della fisiopatologia dei sistemi do-pamino-glutammatergici è rappresentata dalla creazio-ne di stati prodromali di sensitizzazione (abnorme pro-gressiva risposta a dopamino-mimetici) dell’animaleda esperimento che possano mimare le ipotizzate alte-razioni neuroanatomofunzionali e neurotrasmettitoria-li prodromiche del disturbo schizofrenico (Tenn et al.,2005).

    6. La possibilità di monitorare il “peso” di specifici geninel contribuire all’emergenza di alterazioni fisiopato-logiche dell’interazione dopamino-glutammatergica èsubordinata all’individuazione, in modelli animali enella possibile verifica nell’uomo, di geni i cui corri-spondenti trascritti e proteine siano particolarmenteresponsivi alle modificazioni ambientali e alla modifi-cazioni della plasticità sinaptica: un esempio in talsenso è rappresentato dalla recente scoperta di geni co-dificanti per “adattatori” della funzione recettoriale.Tra questi le proteine della famiglia Homer, appaionosuggestivi candidati nella disregolazione dell’intera-zione dopamino-glutammatergica e una possibile rile-vanza per la fisiopatologia della schizofrenia è stataper tali geni recentemente indicata (de Bartolomeis etal., 2002; de Bartolomeis e Fiore, 2004; Szumlinski etal., 2005).

    7. Infine da sottolineare che l’applicazione di nuove tecno-logie di bioinformatica e System Biology in modelli ani-mali indica nuove strategie per l’identificazione di genidi suscettibilità e per la predizione di nuovi geni con fun-zione di modulare l’espressione di geni di suscettibilitàcorrelati all’emergenza di alterazioni fisiopatologiche ri-levanti per il disturbo schizofrenico.

    Bibliografia

    Adriani W, Laviola G. Windows of vulnerability to psychopathol-ogy and therapeutic strategy in the adolescent rodent model.Behav Pharmacol 2004;15:341-52.

    de Bartolomeis A, Iasevoli F. The Homer family and the signaltransduction system at glutamatergic postsynaptic density: po-tential role in behavior and pharmacotherapy. Psychopharma-col Bull 2003;37:51-83.

    de Bartolomeis A, Fiore G. Postsynaptic density scaffolding pro-teins at excitatory synapse and disorders of synaptic plasticity:implications for human behavior pathologies. Int Rev Neurobi-ol 2004;59:221-54.

    Lipska BK.Using animal models to test a neurodevelopmentalhypothesis of schizophrenia. J Psychiatry Neurosci2004;29:282-6.

  • SESSIONI PLENARIE

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    “Biologia della psicoterapia” nello studiodegli esiti e del processo terapeutico

    M. BiondiU.O.C. Psichiatria e Psicofarmacologia Clinica, Diparti-mento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica,Sapienza Università di Roma

    La letteratura tradizionalmente considera la relazione con ilpaziente e la psicoterapia secondo un approccio pressochéesclusivamente psicologico ed umanistico. Questo è dovu-to sia a motivi storici che indubbiamente anche al contenu-to primo dell’intervento. Tuttavia, la psicoterapia applicataa persone che soffrono a causa di un disturbo è un inter-vento terapeutico e come tale – vi è ormai ampio consensotra gli addetti ai lavori su questo – necessita di studi di ef-ficacia, esito, nonché di processo. Questo significa aggiungere alle tradizionali procedurequali la formazione teorico-pratica attraverso l’esperienza;la pratica della supervisione; la discussione di casi clinici;l’indagine sulle variabili di processo ovvero sui meccani-smi che portano al cambiamento; la misura e valutazionedegli esiti secondo diversi criteri quali sintomatologico, difunzionamento, clinimetrico, infine forse in futuro con va-lutazione di parametri biologici; il confronto tra gruppi ditrattamento, l’indagine sulla specificità di diverse tecnicheper diverse indicazioni o pazienti.Biologia delle emozioni e della relazione terapeutica: laricerca nel campo delle neuroscienze e in psicosomatica hadocumentato con sempre più ampie evidenze i correlatibiologici delle emozioni e dei processi cognitivi. Questaevidenza può essere applicata per sviluppare una psicobio-logia della relazione terapeutica, che vede coinvolto sia ilpaziente che il terapeuta. Essa spazia dallo studio dei di-versi circuiti neurotrasmettitoriali (5HT, NA, GABA, DA),all’indagine sul ruolo di circuiti che includono tra gli altriamigdala, corteccia dell’insula e cingolo, asse ipotalamo-ipofisi, nonché centri del tronco cerebrale, ai correlati psi-coneuroendocrini – cortisolo, ACTH, prolattina, ossitocina,oppioidi, etc. – neurovegetativi – come attività elettroder-mica, frequenza cardiaca, ecc. –, neuromuscolari e al livel-lo finale della periferia somatica incluso il sistema immu-nitario. Il concetto della depressione come malattia psico-somatica, che applicava il concetto di stress alla patogene-si della depressione, è stato antesignano (Reda & Pancheri1979). La depressione indotta da perdita può essere presacome modello psicobiologico che prova come eventi psi-cologici vengano trasdotti in modificazioni neurochimiche.Vari studi hanno provato che le depressioni indotte da per-dita hanno correlati centrali e periferici, neuroendocrini edimmunitari, suggerendo come la contrapposizione tra spie-gazioni biologiche (“la causa della depressione è un’altera-zione della serotonina”) contrapposte a spiegazioni pura-mente psicologiche (“la causa della depressione risiede infattori psichici”) è prodotto di concezioni rigide e ormai su-perata (Biondi e Picardi, 1996). Un’altra naturale conse-guenza di questa visione è l’apertura verso lo studio deicorrelati biologici di guarigioni prodotte in alcune depres-sioni mediante psicoterapia o cambiamenti spontanei dellavita (Biondi, 1995). Questo rinnovamento della prospettiva – essenziale sia inambito scientifico che nel sistema assistenziale privato o

    pubblico – implica un armamentario, un bagaglio di cono-scenze e metodi ulteriori rispetto alla pratica della psicote-rapia esclusivamente sulla parola, sul “lettino” o sulla “pol-trona”, essenziale ma non più sufficiente a comprenderemeccanismi terapeutici complessi sia in disturbi psicopato-logici che somatici – si pensi ai numerosi casi di disturbi fi-sici stress dipendenti, ad interventi in patologie quali iper-tensione essenziale, patologie immuno-infiammatorie, ecc.Anni addietro venne rilevato come un elemento fondantedel cosiddetto effetto placebo fosse proprio l’attivazioneemozionale con il complesso dei suoi correlati biologiciprodottisi all’interno della relazione terapeutica (Pancheri& Pancheri, 1984).Psicobiologia della psicoterapia: alcuni studi già anni ad-dietro avevano invero rilevato una psicobiologia della re-lazione e del processo psicoterapico, ad esempio obietti-vando e misurando l’attività elettrodermica (GSR), elettro-miografica, della frequenza cardiaca o della temperaturacutanea – tutti sensibili marcatori dell’attivazione emozio-nale fasica – sia nel paziente che nel terapeuta nel corso delcolloquio. Durante sedute di psicoterapia è comune osser-vare modificazioni dell’attività elettrodermica parallela amomenti critici, ad alta emozionalità, nel colloquio, quailrelativi a discussione di conflitti, situazioni di crisi, riela-borazioni, tensioni emozionali, ricordi carichi di dolore.Modificazioni biologiche elettrodermiche son riscontrabilianche nello psicoterapeuta, e sono interpretabili comespecchio della tensione emozionale e della densità di unaseduta. Venne rilevata con analisi delle serie storiche altacorrelazione tra attivazione elettrodermica del paziente equella del terapeuta durante sedute di psicoterapia (Biondi,dati non pubblicati). In alcune situazioni cliniche alcuni in-dici come l’attività elettrodermica erano impiegati comemarcatori oggettivi, biologici, del miglioramento cliniconella cura delle fobie. Frederikson (1998) ha mostrato co-me le modificazioni GSR siano precedute dall’attivazionedella corteccia frontale controlaterale. Al tempo stesso, tecniche di rilassamento che a partire daistruzioni verbali nella relazione terapeutica risultano favo-revoli in diverse patologie, producono oltre alle modifica-zioni soggettive anche cambiamenti a livello cerebrale eneuroendocrino (Pancheri et al., 1981) distinguendo anchedifferenze neuroendocrine quail livelli plasmatici di ACTHe prolattina tra pazienti migliorati e non migliorati (Biondiet al. 1986). Altri studi evidenziarono come la comunicazione supporti-va in una situazione sperimentale di stress da frustrazionepotesse produrre effetti biologici protettivi quali bloccarel’elevazione del cortisolo plasmatico e la attivazione adre-nergica, rispetto ad una comunicazione fredda, non suppor-tiva, suggerendo come la parola potesse trasformarsi inmodulazione dei circuiti neuroendocrini centrali dellostress (Biondi et al., 1986; Delle Chiaie et al., 1991).Verso nuovi metodi di studio di esito: attualmente uncambiamento di prospettiva decisivo si sta avendo grazieagli studi di visualizzazione cerebrale che evidenziano lemodificazioni successive a trattamenti psicoterapici. Stu-di sperimentali con diverse tecniche di visualizzazionecerebrale (es. risonanza magnetica funzionale) hanno do-cumentato che ansia, paura, rabbia, tristezza e in generela maggior parte delle reazioni emozionali intense sonoaccompagnate da correlati biologici centrali. Vi è ragio-

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    SESSIONI PLENARIE

    ne di pensare che questo accada costantemente nelle co-muni situazioni di vita, nonché nel setting psicoterapico.In questo senso la psicoterapia può essere considerata co-me una vera e propria terapia “biologica”, dove agendoattraverso contenuti mentali ed affettivi possono essereprodotte fini rimodulazioni di specifici circuiti centrali emodificazioni della “chimica della mente” (Biondi,1995). Vi sono già alcuni primi studi che hanno docu-mentato in campioni di soggetti con disturbi psichiatricimodificazioni a livello cerebrale dopo psicoterapia, para-

    gonabili in vari casi a quelle associate a trattamenti psi-cofarmacologici. Queste metodiche di visualizzazione cerebrale e di misura-zione obiettiva del processo psicoterapeutico hanno dupli-ce significato: da un lato permettono sul piano teorico unaffascinante ampliamento e un’innovazione delle cono-scenze rispetto ad anni addietro; dall’altro stanno aprendonuove prospettive quali strumenti e metodi per valutare ef-ficacia, indicazioni ed esiti delle psicoterapie con cui, ve-rosimilmente, nei prossimi anni ci si dovrà confrontare

    VENERDÌ 22 FEBBRAIO 2008 - ORE 9.15-12.00SALA CAVALIERI 1

    ORE 9.15-10.00

    Lettura introduttivaMODERATORI

    A.C. Altamura (Milano)

    Do antipsychotic medications haveneurocognitive effects beyond practice in patients with Schizophrenia and firstepisode psychosis? Answers from CATIE and other recent studies

    R.S. KeefePsychiatry and Behavioral Sciences, Duke UniversityMedical Center Durham, North Carolina, USA

    Neurocognition is severely impaired in schizophrenia, anddeficits on tests of attention, memory, motor functions, andexecutive functions are more strongly correlated with out-come than any other aspect of the illness. Cognitive im-pairment has become so central to our understanding of the

    disorder that the criteria for schizophrenia in the latest ver-sions of the Diagnostic and Statistical Manual (DSM) andthe International Classification of Diseases (ICD) may in-clude cognitive impairment. Results from 1331 patientswith chronic schizophrenia in the NIMH CATIE Trial sug-gest that the amount of cognitive improvement associatedwith second-generation antipsychotic treatment in chronicschizophrenia is minimal, and may not exceed the amountof improvement that would be expected from placebo orpractice effects. Recent studies of first episode psychosishave had similar results, however those patients who diddemonstrate improvement with treatment may demonstratefunctional improvements. Clearly, additional pharmaco-logic and behavioral treatments are needed to improve co-gnition in schizophrenia.

    VENERDÌ 22 FEBBRAIO 2008 ORE 10.15-12.00SALA CAVALIERI 1

    Sessione plenaria - Premiazione posterMODERATORI

    G.F. Placidi (Pisa), L. Ravizza (Torino)

  • SABATO 23 FEBBRAIO 2008 - ORE 9.15-12.00SALA CAVALIERI 1

    ORE 9.15-10.00

    Lettura introduttivaMODERATORI

    C. Faravelli (Firenze)

    SESSIONI PLENARIE

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    Research, practice, policy and politics:atypical antipsychotics revisited

    R.A. RosenheckYale Department of Psychiatry, New Haven, Connecticut,USA

    Recent independent governmental research such as CATIE(Clinical Antipsychotic Trials of Intervention Effective-ness) and CUTLASS (Cost Utility of the Latest Antipsy-chotic Drugs in Schizophrenia Study) suggest that SecondGeneration Antipsychotics (SGAs) other than clozapinemay offer little, if any, net advantage over First GenerationAntipsychotics (FGAs), especially intermediate potencyFGAs; and are thus not likely to generate sufficient benefitto justify their $11.5 billion (US) annual costs (2005). Overhalf of of SGA use is “off-label” for non-approved uses.Health care const containment is an increasingly prominentgoal for the US economy and perhaps other countries as

    well. Prescription cost-containment policies could improvethe cost-effectiveness of overall antipsychotic practice byencouraging more selective use of SGAs, i.e. only when in-dicated. However such policies are blunt instruments sinceit is difficult to know which patients have an optimal re-sponse to any given treatment (i.e. such that they would notrespond better to an alternative). However, restrictions oneither drug availability or physician choice are subject tovigorous political opposition by professional and consumeradvocacy groups as well as by industry, and extremely re-strictive approaches could unintentionally reduce access toneeded treatments. Interventions that directly reduce SGAprices would increase access for consumers but are incon-sistent with broad opposition to government price regula-tion in the US. High expenditures on SGAs are thus likelyto continue and grow without concomitant improvement inpublic health. “Soft touch” that pose no absolute restric-tions may be feasible in some health care systems and arebeing tested.

    SABATO 23 FEBBRAIO 2008SALA CAVALIERI 1

    ORE 10.15-12.00

    Sessione plenaria - I cangianti criteri diagnosticie nosografici

    MODERATORIP. Castrogiovanni (Siena), A. Siracusano (Roma)

    Chi l’avrebbe mai detto? Il mondo cambia.Psychodinamic Diagnostic Manual (PDM)una classificazione con criteri psicodinamici

    R. RossiProfessore Ordinario di Psichiatria, Dipartimento diNeuroscienze, Università di Genova, Psicoanalista

    Viene presentato, commentato e chiosato il Manuale Dia-gnostico Psicodinamico (Psychodinamic Diagnostic Ma-nual – PDM), che si presenta come il simmetrico del DSMIV TR in campo psicodinamico.Esso è stato approntato nel 2006 dalla convergenza di nu-merose istituzioni e associazioni psicoanalitiche america-ne, tanto che può essere inteso come il manuale ufficialedegli psicoanalisti, allo stesso modo come il DSM IV TR lo

    è degli psichiatri. Lo scopo è quello di avvicinare la prati-ca e la ricerca psicoanalitica, per quanto possibile, ai crite-ri di relazione con le evidence, con criteri di comunicabilitàconvenzionale tra i ricercatori, e di assicurare un’agevoletrasmissione di dati e di valutazione dei risultati.In questo senso, la sua importanza è grande e viene a rap-presentare una grande svolta nell’impostazione degli anali-sti che vengono a spostare l’interesse dalla metapsicologiaalle dimensioni più empiriche: si discutono i motivi di que-sta svolta e le ragioni, alcune concrete, altre più teoriche,che hanno portato a questa iniziativa. Si nota come il PDMsi muove su tre assi, l’asse P, l’asse M e l’asse S, che espri-mono aree e dimensioni diverse, rispettivamente la perso-nalità, il funzionamento mentale, ed i sintomi. Come si ve-de l’impostazione assiale del DSM IV TR è mantenuta maprofondamente stravolta.

  • Continuum fenomenologico-patogeneticodei sintomi di I rango di Schneider. Il modello dei sintomi di base

    C. MagginiDipartimento di Neuroscienze, Sezione di Psichiatria,Università di Parma

    Il modello dei Sintomi di base rappresenta un esempio diintegrazione equilibrata di psicopatologia soggettiva e og-gettiva : in esso al metodo fenomenologico (il modello simuove nel solco della fondazione jaspersiana e schneide-riana della psicopatologia) si affiancano quelli propri dellescienze naturalistiche (metodi psicologico-sperimentali,metodi neurochimici, neurofisiologici, tecniche di neuro-imaging) per lo studio dei correlati somatici dei disturbitransfenomenici e prefenomenici che sottendono i sintomidi base.Diversamente dai sintomi che si manifestano con fenome-ni comportamentali, osservabili e identificabili indipenden-temente dal riscontro soggettivo e dalla comunicazioneverbale, i sintomi di base per essere rilevati e valutati pre-suppongono da parte dell’intervistatore un approccio feno-menologico o meglio una attitudine fenomenologica.Questo modello senza perdersi nell’illusione di compren-dere l’esistenza malata nella sua totalità (propria delle psi-copatologia fenomenologico-antropologica-eidetica), haconsentito di restringere l’incomprensibilità delle manife-stazioni patologiche tradizionalmente attribuite a processibiologici, di esprimerle in una terminologia meno esotericadi quella degli antropofenomenologi e renderle accessibilialla verifica sperimentale. Con uno “slittamento di para-digma conoscitivo”, uno spostamento di attenzione dai sin-tomi convenzionali ai fenomeni primari da cui essi scaturi-scono, il modello ha reso evidente che i sintomi psicotici(sintomi di I rango di Schneider) non sono manifestazionidirette di un disturbo della funzione cerebrale, ma il pro-dotto della mediazione antropologica e dell’amalgama per-sonologico di disturbi elementari e acaratteristici, i sintomidi base che costituiscono i fenomeni ultimi, più vicini alsubstrato, il novum che segnala l’entrata nel registro psico-patologico e che rinvia ad una causalità biologica.

    Rituali, taboo, paure: normalità delle nevrosi e la ricerca di validatori per le diagnosi dei disturbi d’ansia

    S. Pallanti Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche,Università di Firenze; Department of Psychiatry MountSinai School of Medicine, New York

    L’imponente gruppo di lavoro messo in moto dalla APA perla proposta del nuovo sistema classificativo pur muoven-dosi ed impiegando descrizioni dei cosiddetti disturbimentali già in uso nelle precedenti versioni, si muove se-condo una metodologia diversa.Infatti seppure i disturbi inclusi nella nuova classificazionesono molto spesso gli stessi e la loro descrizione rimaneprevalentemente sindromica, le differenze sembrano ri-guardare particolarmente la organizzazione delle classi, edin alcuni casi la definizione di nuove classi di categorie. Inoltre, anche in virtù della prevalenza riportata da tutti glistudi di popolazione di elevata comorbidità associata alladimostrazione di efficacia in categorie diverse degli stessifarmaci (SSRI, NL nuova generazione) è largamente intro-dotto il criterio descrittivo della dimensionalità.Altri obbiettivi dichiarati della task force sono la ricerca diuna convergenza con la classificazione proposta dallaWPA con ICD, da un lato e dall’altro quello di individuareuna base neurofunzionale, prevalentemente descritta comespecifici circuiti funzionali.Quindi il tentativo intrapreso dalla Apa anche in collabora-zione con la WHO è quello di rendere “universali” le ca-tegorie,anche con il contributo dell’approccio transcultura-le (Pallanti, 2008), ed insieme di dare un fondamento neu-roscientifico ad una costruzione che era inizialmente basa-ta su alcuni concetti filosofico-ideologici “validati” sol-tanto attraverso un ampio accordo tra i diversi valutatori.Ed è questa la novità vera, la più ambiziosa e dichiaratanella “Reserach Agenda for DMS V” (Kupfer et al., 2005).Si tenta quindi di passare da una definizione dei disturbibasta sull’“Inter-rater agreenment” e sulle convenzioni aduna definizione neuroscientificamente basata di disfunzio-ni del comportamento e della vita mentale.

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    SESSIONI PLENARIE

  • I Simposi tematici

    a cura diFrancesca Pacitti

  • fgaghdh

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    GIORN ITAL PSICOPAT 2008; 14 (SUPPL. AL N. 1): 19-225

    MERCOLEDÌ 20 FEBBRAIO 2008 - ORE 14.15-15.45SALA CAVALIERI 1

    S1 - Stati misti maniacali/ipomaniacali/depressiviMODERATORI

    F. Benazzi, M. Biondi

    Mixed states or missed bipolarity

    H. AkiskalUniversity of California at San Diego, La Jolla, CA (USA)

    Although mixed states have been known since at least Krae-pelin, they are still often missed both in official nosologysuch as DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual forMental Disorders-IV ed.) and ICD-10 (International Classi-fication of Diseases-10 ed.) and clinical practice. Officially,what is formally recognized is the concept of dysphoric ma-nia, which involves full-fledged coexisting depression andmania. There is an extensive data-based literature which in-dicates that the most common expressions of mixed maniainclude “mixity”, i.e. subthreshold depression intruding in-to mania. These usually arise from a background of depres-sive, irritable or cyclothymic temperaments. Moreover, theentire category of depressive mixed states, which involvethe intrusion of irritable hypomanic symptoms into majordepressive episodes in the form of flight of ideas or agita-tion, is completely ignored in official nosology. Apart fromtheir conceptual, theoretical and pathophysiological signifi-cance, missing mixed state diagnosis has relevant therapeu-tic and public health consequences, in that inappropriatetreatment is often provided to the sufferers. Current data in-dicate that all types of mixed states represent a substrate ofsuicidality. Fortunately, new pharmacological trials have in-cluded mixed states as one of the arms of placebo controlledstudies and extensive data indicate that quick resolution ofmixed states can be achieved.

    Agitated depression

    J. AngstZurich University, Psychiatric Hospital

    Background: today agitated major depression is widelyconsidered to be a mixed state, i.e. a form of bipolar-I andbipolar-II disorder. If this were true, agitated depressionwould be more prevalent among subjects with bipolar dis-order (BP) than among those with major depressive disorder(MDD), and subjects would be characterised by a higherrate of a family history of BP. We investigated this hypoth-esis in an epidemiologcal sample.Methodology: the data come from the Zurich Study, a rep-resentative cohort of the canton of Zurich, Switzerland, in-terviewed six times from age 20/21 to 40/41. Agitation wasdefined as observable motor restlessness, retardation as ob-servable psychomotor slowness. The diagnoses of majorand minor bipolar and unipolar disorders were based on abroad concept of bipolarity 1.Results: the weighted prevalence rates of BP was 11.5% (N= 93) and of MDD 11.4% (N = 101). Agitation was present

    in 61.3% of BP and in 56.6% of MDD subjects (p < .65).Longitudinally BP subjects manifested both agitation andretardation (44.1%) more often than MDD (21.2%) where-as MDD subjects manifested pure agitation (35.4%) moreoften than BP subjects (17.2%; p < .003). Retardation alonewas present equally in BP (17.2%) and MDD (16.2%).Agender difference was found, with women manifesting psy-chomotor symptoms (agitation or retardation) more often(81.8%) than men (64.8%); this was true for major and mi-nor mood disorders.A family history of mania was significantly more present inBP than MDD subjects but was not significantly correlatedwith agitation or retardation. A family history of depressionwas more present in depressed subjects with psychomotorsymptoms than in those without. Frequent ups and downs ofmood were significantly related to BP but did not differ be-tween agitated and retarded MDE (major depressive episode).Conclusion: the data do not support the hypothesis that ag-itated depression is a mixed state of bipolar disorder.

    References

    Angst J, Gamma A, Benazzi F, Ajdacic V, Eich D, Rössler W. To-ward a re-definition of subthreshold bipolarity: epidemiologyand proposed criteria for bipolar-II, minor bipolar disorders andhypomania. J Affect Disord 2003;73:133-46.

    Nuovi criteri diagnostici per la depressioneagitata

    A. KoukopoulosCentro Lucio Bini, Roma

    La depressione agitata con agitazione motoria è la formaclassica di stato depressivo misto, descritto anche da Krae-pelin e Weygandt e la sua diagnosi non presenta difficoltà. Icriteri RDC di Spitzer e Endicott (1978) sono ampiamentesufficienti. Rimane il grave errore del DSM di non avere in-cluso tale sindrome nella sua nosografia. Consideriamo l’a-gitazione psichica importante quanto l’agitazione motoriaquale espressione di una depressione mista. Allo scopo didistinguere l’agitazione psichica della depressione agitatada altre forme di agitazione proponiamo i seguenti criteri:un episodio di depressione maggiore con agitazione psichi-ca può considerarsi un episodio di depressione agitate cioèepisodio depressivo misto se presenta almeno tre dei se-guenti sintomi: 1) Fuga o affollamento dei pensieri; 2) irri-tabilità o sentimenti di rabbia non provocati; 3) assenza disegni di rallentamento; 4) loquacità; 5) descrizione dram-matica della propria sofferenza o frequenti crisi di pianto;6) labilità dell’umore e marcata reattività emotiva; 7) in-sonnia precoce; 8) alta pressione diastolica.

  • Mixed mania/hypomania/depression and suicide risk

    Z. RihmerNational Institute for Psychiatry and Neurology

    Although full clinical recovery and good quality of life forthe patients is the ideal target in the everyday clinical prac-tice, suicidal behaviour is the most important (and most vis-ible) treatment outcome in patients with psychiatric, disor-ders. Untreated and unsuccessfully treated major majormood disorder (particularly the acute major depressiveepisode) is the main cause of attempted and completed sui-cide, particularly in the presence of comorbid Axis I/Axis IIpsychiatric disorders and other (psycho-social) suicide riskfactors. Since the majority of mood disorder patients nevercommit or attempt suicide, other clinically explorable sui-cide risk factors in major depressive episode (like high lev-el of severity, hopelessness, aggressive/impulsive personal-ity features, prior suicide attempt, family history of suicide,adverse life situations etc.) also play a contributory role.A relatively newly recognised important proximate suiciderisk factor in major depressive episode might be the depres-sive mixed state (3 or more simultaneously co-occuringnon-euphoric intra-depressive hypomanic symptoms =DMX-3) since the frequency of past suicide attempts andcurrent suicidal ideations is much higher among mixed thannonmixed unipolar and bipolar major depressives. A mostrecent study have also found a significantly higher rate ofDMX-3 among the 29 bipolar (I + II) depressive and 60unipolar depressive suicide attempters (90% vs. 62% re-spectively) than in nonsuicidal 241 bipolar (I + II) and 104unipolar major depressive outpatients (59% vs. 29% respec-tively). On the other hand, however, suicidal behaviour inbipolar patients is not exclusively restricted to depressiveepisodes since mixed (major) affective episode (meeting thefull syndromal criteria for mania and major depression inthe same time) and dysphoric mania (full mania and 3 ormore depressive symptoms) also increases the risk of at-tempted and completed suicide. The recognition of depressive mixed states as possible sui-cide risk factor has important implications for suicide pre-vention, since antidepressant monotherapy (unprotected bymood stabilizers) in depressed patients with unrecognisedbipolarity can worsen depression via augmenting mixed de-pression or generating de novo mixed states.

    References

    Balazs J, Benazzi F, Rihmer Z, Rihmer A, Akiskal KK, Akiskal HS.The close link between suicide attempts and mixed (bipolar) de-pression: implications for suicide prevention. J Affect Disord2006;91:133-8.

    Benazzi F. Suicidal ideation and depressive mixed states. Psy-chother Psychosom 2005;74:61-2.

    Benazzi F, Aksikal HS. Clinical and factor-analytic validation ofdepressive mixed states: a report from the Ravenna-San Diegocollaboration. Challenges in Contemporary Psychiatry. CurrOpin Psychiat 2003;16(Suppl. 2):71-8.

    Perugi G, Akiskal HS, Micheli C, Toni C, Madaro D. Clinical char-acterization of depressive mixed state in bipolar-I patients: Pisa-San Diego collaboration. J Affect Disord 2001;67:105-14.

    Rihmer Z. Prediction and prevention of suicide in bipolar disor-ders. Clin Neuropsychiatry 2005;2:48-54.

    Molecular biological underpinnings of suicidal behaviour

    Z. JankaUniversity of Szeged, Department of Psychiatry, Szeged,Hungary

    Etiology of suicide is regarded as multidimensional com-plex phenomenon comprising of psychological, sociologicaland biological factors. Suicidal behaviour refers to a widerspectrum including the range from the fatal completed act tothe less lethal and often help-seeking impulsive suicidal at-tempt. Neurobiological correlates for this suicide spectrumhave been found with the strongest element being the alter-ation in the brain serotonin (5-HT) system. However, otherneurotransmitter dysfunctions have also been suggested.The question arises that with the advent of the availability ofnew molecular genetic and proteomic techniques the bio-logical underpinnings of suicidal behaviour can be betterunderstood. Deriving from the neurochemical findings onthe 5-HT system (e.g. lowered end-product level in CSF, up-regulated receptors, blunted neuroendocrine challenge val-ues), genetic association studies aimed to the elements of 5-HT neurotransmitter machinery (synthetising enzyme, up-take transporter, receptors). Analysing the polymorphismsof tryptophan hydroxylase (TPH) gene has shown thatTPH1 (intron 7) A218C variation might have some role; theA allel being in association, in a dose-dependent manner,with suicidal behaviour. However, in our sample of at-tempters we could not find any significant relationship be-tween this polymorphism and the risk of suicidal behaviour,or the subscale scores of Buss-Durkee Inventory, or stratifi-cation according to gender, comorbid alcoholism, and fam-ily history of suicide. The frequency occurrence of A/Cgenotype was highest in all groups studied; the A allel beingslightly higher overall. Several research groups indicate thatthe 5-HT transporter gene promoter polymorphism (short-allel) might bear some vulnerability risk to suicidal behav-iour, although the data are not conclusive. Further, 5-HT re-ceptor (2A, 1A, 1B, 2C, 6) gene polymorphisms have alsobeen investigated recently. The results provide little evi-dence to connect these variants with the liability to suicidalbehaviour, with a possible exception of 5-HT2A receptorT102C. Variable number of tandem repeat polymorphism(30-bp) of the monoamine oxydase A gene appears not to beinvolved in suicidality and inconclusive data suggest a rolefor the catechol-O-methyltransferase Val-158-Met polymor-phism. Most studies are largely negative as regards the in-volvement of gene variants of dopamine, noradrenaline, orGABA systems in the propensity to suicide. Using DNA mi-croarray techniques, recent investigations performed large-scale gene expression analysis in post-mortem human pre-frontal cortex. Beside negative findings, some of the datasuggest a role for spermine/spermidine N-acetyltransferase(rate-limiting enzyme in the catabolism of polyamines) genein the predisposition to suicide. Studies measuring proteinand mRNA levels point to a change in the signaling path-ways (Rap-1: Ras family GTP-binding protein, B-Raf:

    SIMPOSI TEMATICI

    22

  • ERK/MAP kinase modulator) in post-mortem suicidalbrains. Further, proteomic analyses of cerebral samplesfrom suicide victims or CSF from attempters have beenstarted with results indicating e.g. an alteration in glial fib-

    rillary acidic protein and manganese superoxide dismutasein suicide samples compared to controls, thus providingnew avenues to explore molecular underpinnings of suicidalbehaviour.

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    SIMPOSI TEMATICI

    MERCOLEDÌ 20 FEBBRAIO 2008 - ORE 14.15-15.45SALA CAVALIERI 2

    S2 - Ecce Homo: dolore somatico e dolore mentaleMODERATORI

    R. Rossi, A. de Bartolomeis

    La luce del vero: lo studio delle emozioninell’opera di Caravaggio

    C. VecchiatoS.C. di Psichiatria, Ospedale S. Croce e Carle, Cuneo;Scuola di Specializzazione di Psichiatria e Neurofisiopato-logia, Università di Genova

    Che l’opera del Caravaggio sottenda ad un progetto artisti-co, ma anche in qualche modo scientifico volto alla struttu-razione e comprensione di disorganizzate eccedenze affetti-ve, è l’ipotesi da cui parte il presente lavoro che si proponedi mettere a fuoco le istanze euristiche che accompagnano ildoloroso, ma anche eroico vissuto del Pittore.Pare di poter descrivere la “ricerca” del Caravaggio comeun tentativo reiterato di “provare”, “comprendere”, “esperi-re” le emozioni attraverso l’uso di un canale percettivo pre-ferenziale facendosi guidare dal suo vissuto. Interessante, aquesto proposito, riproporre la cornice della Gestalt Psy-chologie, nella quale sono le forme quelle che propriamen-te e primariamente cioè inderivabilmente vengono colte nel-l’atto percettivo per meglio valutare ricerche recenti sul cer-vello visivo, specificamente quella di Semir Zeki che so-stiene il ruolo primario nell’arte di quegli attributi della vi-sione (colore, forma, movimenti, volti, espressioni facciali,linguaggio del corpo) alla cui elaborazione sono preposti si-stemi cerebrali specializzati, nonché le nuove acquisizioniriguardo a mimesi ed empatia, principalmente negli studisui “neuroni mirror” (V. Gallese). Il lavoro procede attraverso: 1) la rivisitazione dei rapporti del Caravaggio con la scienza

    del suo tempo: le indagini della scienza “nuova” di cui lasua “pittura nuova” fu in qualche modo l’equivalente (A.Parrochi);

    2) lo studio dell’aspetto intenzionale della sua opera con pa-role dei critici: “alla base del suo stile una forte volontà ditradurre la percezione ottica in pittura” (L. Salerno). Non-ché la sua “ostinata deferenza al vero”;

    3)esaminando l’aspetto moderno della “visione” del Cara-vaggio secondo Longhi, l’inventore dei più meditati foto-grammi (nell’etimo descrizione della luce) come facil-mente ci si convince dalle immagini caravaggesche por-tate in film: “sembrano girate innanzi a noi su corpi veri”.

    Le conclusioni verteranno su due ambiti dell’opera di Mi-chelangelo Merisi:1. aspetto relazionale: lo sviluppo di una difficoltosa costi-

    tuzione dell’intersoggettività;2. punti di ricongiungimento tra la ricerca scientifica e quel-

    la dell’artista.

    Dolore mentale cosmico: il Cotard

    A. PrioriUniversità di Genova

    L’estremo grado di dolore mentale può essere individuatonel Delirio di Cotard. Si mette in evidenza la perdita di re-lazione emotiva coll’oggetto e il sentimento di perdita deisentimenti, che in questo caso è al massimo livello di vici-nanza all’Io, essendo rappresentato dalla negazione del cor-po, e quindi dalla perdita del sé. Si nota come la vicinanzaall’Io della negazione aumenti sempre più, nel Cotard, daglioggetti esterni (negazione della realtà esterna), agli oggettimentali (perdita della visione mentale), al proprio corpo(delirio di negazione degli organi). L’elemento di grandio-sità negatorio (riferibile allo stato misto) è espresso dall’u-nica sopravvivenza mentale, il dolore mentale, che è vissu-to come esterno e cosmico.Un caso clinico esemplifica l’assunto psicopatologico.

    Dolore somatico e dolore mentale

    R. RossiUniversità di Genova

    Il tema del dolore mentale è stato sempre, nell’ambito deivissuti psichici ed in quello specifico delle reazioni aglieventi sul piano somatico e psichico, un problema misterio-so e di difficile definizione.Non v’è dubbio che il dolore mentale è una metafora, cheprende le mosse dal dolore somatico, che è il dolore toutcourt. Il dolore ha appositi centri, apposite vie neurologiche,e funzioni specifiche: fu in Inibizione Sintomo e Angoscia(Appendice C) che Freud si pose per la prima volta il pro-

  • blema che dal dolore fisico derivava metaforicamente il do-lore mentale, come quel vissuto legato alla separazione e al-la perdita. In questa relazione si prendono le mosse dall’Ec-ce Homo di Antonello da Messina, con l’osservazione che ilpittore è riuscito in questo caso a cogliere il passaggio dallopsichico al somatico attraverso una serie di particolari, chenon possono che essere comportamentali e somatici, trat-tandosi di un dipinto. In questo caso il soma e la psiche so-no un tutt’uno, di fronte alla realtà dolorosa e avversa.Da questo si passa ad alcune considerazioni sulle illusorietàdi alcune impostazioni nosologiche o comunque tassinomi-che della psichiatria, che non riescono a cogliere il denomi-natore comune delle risposte emotive, somatopsichiche. Ilsimposio si allarga a considerazioni neurobiologiche.

    Trasformazioni del dolore

    S. MungoDipartimento di Neuroscienze, Oftalmologia e GeneticaUniversità di Genova, Sezione di Psichiatria

    “La nascita si accompagna al dolore,il decadimento è doloroso,

    la separazione da ciò che è piacevole è dolorosa, ogni desiderio insoddisfatto è doloroso”

    (Buddha, 502 a.C.)

    Il dolore rappresenta nella specie umana la più elevata for-ma d’integrazione tra dimensioni mentali e dimensioni bio-logiche. Ogni dolore fisico ha una connotazione emotiva.Ogni dolore psichico ha corrispettivi corporei. In questosenso è possibile trattare il dolore come un fenomeno unita-rio senza ulteriori distinzioniL’anestesia indotta dalla suggestione sino al fachirismo sulversante fisico e il puro dolore spirituale sul versante psico-logico, costituiscono i casi estremi delle possibilità umane.Il dolore ha un senso autonomo come esperienza fisiologicadi allarme con funzioni protettive ed autoriparative, facil-mente identificabili nel dolore somatico, apparentementemeno chiare, ma pur sempre presenti, anche nel dolore men-tale.Il dolore può superare la soglia di tolleranza individuale e/osociale; può divenire esso stesso causa di ulteriore sofferen-za, oltre quella sua propria, attraverso dinamiche di poten-ziamento psichico o amplificazioni di natura biologica. Puòessere così intollerabile da divenire esso stesso causa di ma-lattia o di morte, attraverso il suicidio diretto o indiretto, laricerca dell’eutanasia, sino alla disperazione melanconica,genitrice matrigna di ogni più grave patologia somatica.Per questo motivo l’esperienza assolutamente soggettiva diinsopportabilità della sofferenza ne comporta frequente-mente la trasformazione in dimensioni psichiche o fisiche ocomportamentali che la rendono meno pericolosa.Questi stratagemmi della mente muovono dall’integrità delfunzionamento delle difese dell’Io che, nei casi di fallimen-to o di incapacità strutturali, finiscono per comportare l’uti-

    lizzazione di meccanismi patologici, i quali, sovvertendo ilsignificato protettivo, divengono, al contrario, esperienza diulteriori, nuove e diverse patologie.La trasformazione del dolore in un’accresciuta capacità diamare, sino alle modificazioni estreme del cambiamento la-vorativo nel volontariato o nell’assistenza, implica l’utiliz-zazione sia della sublimazione sia dell’idealizzazione.La completa riuscita del mutamento e soprattutto la tenutanel tempo dipendono dall’integrità funzionale dell’Io e del-le altre capacità di difesa, che vanno dall’accresciuta tolle-ranza alla frustrazione e all’elaborazione efficace delle per-dite e separazioni, che sempre i cambiamenti di stile di vitacomportano.Le nuove gratificazioni narcisistiche sono utili, ma non in-dispensabili. La trasformazione idealistica può avvicinare alla dimensio-ne spirituale e a quella religiosa, ma può condurre anche adun misticismo meramente autoreferenziale, la cui efficaciacronologica può essere facilmente soggetta alle incrinatureproiettive (e deliranti).La pura sublimazione artistica racconta la storiografia digrandi ed immortali capolavori, crolli improvvisi (Il Gridodi Munch, 1893), o progressive cadute nella “ … spavento-sa insicurezza della (…) esistenza interiore” (Diario di F.Kafka, 3/5/1913).Difficilmente c’è dato di sapere con certezza se la convi-venza con il dolore, sino alla sua stoica accettazione, sia ef-fetto di mutamento trasformativo o adattamento etologicoalle necessità della sopravvivenza.Ogni altra trasformazione sfuma gradualmente nella patolo-gia via via più conclamata.L’utilizzazione della formazione reattiva consente di ridereal funerale dell’amico, ma può estendersi dalla dissacrazio-ne simbolica sino alla concreta azione criminosa, laddove laprogressiva estinzione del senso di colpa individuale ampli-fica il potere giuridicamente definito della punizione inflit-ta dalla società.Le trasformazioni ansiose vanno dal panico alla conversio-ne; dalla mimesi di un attacco cardiaco sino all’appropria-zione di patologie altrui. Qualche volta il meccanismo fun-ziona stabilizzandosi in una nevrosi adattativa. Le trasformazioni depressive e melanconiche sono quelleche si estendono, come nel lutto complicato, oltre il tempofisiologico dell’elaborazione della perdita e comprendono,otre a tutte le varianti psichiche e corporee della malattia,condizioni specifiche quali: l’oppressione somatica, l’aste-nia plumbea e l’inerzia stuporosa.L’utilizzazione massiccia delle difese negatorie può arre-starsi nell’assunzione di uno stile di vita opposto alla malat-tia, ma può arrivare sino alla vera e propria negazione ma-niacale Le trasformazioni deliranti che utilizzano la scissione e laproiezione possono tradursi nelle varianti: del delirio meta-bolico (il cancro come un figlio); del delirio demoniaco (lamalattia come possessione); del delirio erotomanico (l’amo-re come gioco di potere); del delirio dermatozoico (la nar-rativa del prurito).

    SIMPOSI TEMATICI

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  • MERCOLEDÌ 20 FEBBRAIO 2008 - ORE 14.15-15.45SALA ELLISSE

    S3 - Unmet needs nella Demenza di AlzheimerMODERATORI

    E. Aguglia, G. Muscettola

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    SIMPOSI TEMATICI

    Attuali linee di ricerca farmacologica per la Malattia di Alzheimer

    S. GovoniDipartimento di Farmacologia Sperimentale ed Applicata,Università di Pavia

    I progressi nella comprensione dei processi sottesi alla ma-lattia di Alzheimer hanno permesso di andare oltre la visio-ne originale della disfunzione colinergica, la cui validità nonè posta in discussione, ma che viene ora inserita in un con-testo più ampio. In particolare sono stati studiati il ruolo delcostituente delle placche senili, beta amiloide, e quello delcostituente dei gomitoli neurofibrillaril, la proteina tau. Nu-merosi studi hanno dimostrato che la formazione di un’ec-cessiva quantità di beta amiloide, a partire dal precursoreproteico ad elevato peso molecolare, l’oligomerizzazione ela successiva deposizione del peptide in placche sono even-ti precoci nel corso della malattia. Da sottolineare che i datiche si sono accumulati nel tempo dimostrano che il metabo-lismo del precursore di amiloide è modulabile farmacologi-camente e può essere controllato dai neurotrasmettitori e dadiversi farmaci tra cui gli stessi inibitori dell’acetilcolinete-rasi. L’attività neurotossica di beta amiloide è a tutt’oggiesplorata sotto vari aspetti. Il fatto, già menzionato, che ami-loide dia origine ad aggregati neurotossici ha promosso losviluppo di sostanze capaci di impedire l’aggregazione, inquesto momento in fase clinica di indagine, e di proceduredi immunizzazione attiva e passiva contro beta amiloide. Leesperienze con il vaccino hanno fornito risultati ambigui chenon permettono di trarre conclusioni definitive sull’efficaciadel trattamento. Gli interventi su beta amiloide non rappre-sentano l’unica via di intervento diversa dagli inibitori del-l’acetilcolinesterasi che è stata attuata. A livello dei trasmet-titori classici il glutammato ha acquisito rilevanza per via diuna sua potenziale azione eccitotossica cronica in paralleloo in cascata con beta-amiloide. Questo razionale ha permes-so lo sviluppo di un antagonista reversibile dei recettoriNMDA efficace in clinica. Molte altre sono le opzioni chesono state tentate nel tempo, tra cui l’uso di antiossidanti, diantinfiammatori, di estrogeni, statine ed altri. Fino ad oranon esistono prove che tali diverse vie d’intervento siano ingrado di sostituirsi all’attuale impiego degli inibitori dell’a-cetilcolinesterasi. In alcuni casi (estrogeni, anti-infiammato-ri) i trial d’intervento sono falliti. Da un punto di vista ge-nerale chi scrive ritiene che tali approcci terapeutici abbia-no significato all’interno di una strategia generale mirata al-la prevenzione cardiovascolare per limitare tale componen-te di comorbilità all’interno della patologia neurodegenera-tiva. Di rilievo, infine, dal punto di vista concettuale i tenta-tivi in corso con fattori di crescita delle cellule nervose. Perora i risultati clinici ottenuti sono stati modesti, anche se nelcomplesso i dati suggeriscono che tali fattori somministrati

    in modo e in sede adeguata possono avere un effetto neuro-trofico e rallentare il processo degenerativo dei neuroni co-linergici. In sintesi il quadro generale lascia prevedere lapossibilità di individuare nuovi e diversi bersagli biologici equindi nuovi farmaci per la malattia di Alzheimer, poten-zialmente diretti alle cause o ai meccanismi molecolari daessa avviati. D’altra parte occorre anche sottolineare conforza che le nuove terapie hanno tempi di sviluppo lunghi equindi nel breve e nel medio termine non è possibile preve-dere di sostituire rapidamente i farmaci oggi approvati conmolecole capaci di modificare il corso della malattia. Oc-corre invece sfruttare al meglio quanto disponibile cercandodi realizzare la dove è possibile sinergie (anche tra terapiefarmacologiche ed approcci non farmacologici), fatto salvol’onere di provare che l’uso di interventi plurimi coordinatipermetta di raggiungere risultati migliori della monoterapia.

    Il trattamento dei disturbi non cognitivinella demenza di Alzheimer: tra evidenze e problematicità

    S. La PiaDipartimento di Salute Mentale, A.S.L. Napoli 4, Napoli

    Con l’aumento della vita media della popolazione si è assisti-to ad un parallelo incremento della prevalenza della malattiadi Alzheimer e delle altre forme di demenza. Accanto ai defi-cit cognitivi, un aspetto particolarmente rilevante del profilosintomatologico della demenza lungo l’arco del suo decorsoè costituito dalla graduale compromissione delle capacità disvolgere le attività di vita quotidiane associata alla comparsadi una eterogenea serie di sintomi psicologici e comporta-mentali, attualmente indicati con la sigla BPSD (Behavioraland Psychological Symptoms of Dementia). In quest’ambitosi comprendono raggruppamenti sintomatologici quali apatia,depressione, psicosi, agitazione, aggressività, che presentanoampie aree di sovrapposizione. I BPSD rappresentano unadelle principali cause di stress dei caregiver, di ricorso all’i-stituzionalizzazione e conseguente aumento di disabilità e co-sti sociali. Inoltre, essi esercitano un rilevante impatto negati-vo sulla qualità di vita del paziente e del prestatore di assi-stenza. Soprattutto a causa dei sintomi psicotici, dell’agita-zione e dell’aggressività, i pazienti dementi presentano spes-so emergenze comportamentali che richiedono un tempestivointervento domiciliare dove, accanto alle manovre di soste-gno ambientale e comportamentale, uno strumento fonda-mentale è costituito dall’approccio farmacologico, graduatoin base al livello di gravità del sintomo, alla sofferenza del pa-ziente e allo stress del caregiver, e rivolto ad alcuni “sintomibersaglio” attingibili con l’uso appropriato di varie classi difarmaci. Naturalmente, soprattutto in ambito domiciliare ri-sultano in primo piano le problematiche connesse all’effica-

  • cia, ma soprattutto alla tollerabilità, in acuto ed in cronico,dell’intervento faramacologico. Scopo della relazione è forni-re un aggiornamento sulle principali evidenze a sostegno del-l’utilizzo degli psicofarmaci (ansiolitici, antipsicotici, antide-pressivi, stabilizzanti dell’umore) e della stessa terapia delledisfunzioni cognitive nel trattamento dei BPSD. In particola-re, saranno affrontate le questioni derivanti dall’intervento inurgenza e dalla recente problematica riguardante il profilo ditollerabilità degli antipsicotici di nuova generazione nel trat-tamento dei BPSD.

    Comorbidtà tra deficit cognitivi e disturbidell’umore

    M. De Vanna, F. Bertossi, T. Cristante, M.L. Onor, M. Trevisiol, A. Pizzolato, E. Aguglia U.O.C. Clinica Psichiatrica, Università di Trieste

    Introduzione: l’anziano dimostra una particolare vulnera-bilità per alcune malattie, quali demenza e disturbi del tonodell’umore. I due disturbi spesso coesistono: nella depres-sione si osservano disturbi cognitivi e nella depressione puòessere presente una componente depressiva. È stato inoltreriscontrato che soggetti con diagnosi tardiva di depressionedimostrano un rischio più elevato di sviluppare una demen-za rispetto ai controlli. Questi risultati suggeriscono come ladepressione senile, un tempo denominata “pseudo-demenzadepressiva”, include pazienti con demenza in fase precoce.Metodologia: la nostra attività clinica e di ricerca si è con-centrata su un campione di pazienti con diagnosi di MCI

    ed è stata valutata su questa popolazione la presenza di co-morbidità con i disturbi della sfera affettiva. Dalla popola-zione di 1534 pazienti seguiti dall’ambulatorio dei distur-bi cognitivi dell’anziano, abbiamo selezionato 70 casi condiagnosi finale di Mild Cognitive Impairment. Questi pa-zienti sono stati testati per le funzioni cognitive con unabatteria di test caratterizzata da MMSE, Figura di Ray RIed RD, 15 Parole di Rey RI ed RD, Memoria di prosa RIed RD, Digit span, FAS,Token Test, Trial A e B, Ricono-scimento parole, Matrici attentive, CDT, Matrici di Ravened è stato richiesto a giudizio del clinico un esame di neu-roimaging (RMN, SPECT), inoltre è stata somministrata laGeriatric Depression Scale per la valutazione di un distur-bo depressivo.Risultati: i pazienti sono stati seguiti con controlli stabilitiper un periodo di almeno un anno e sono stati adeguatamen-te trattati in presenza di una sintomatologia depressiva. Si so-no così potute definire tre sottopopolazioni: una composta dapazienti che presentavano una sintomatologia depressiva al-l’esordio che ha in seguito dimostrato la presenza di un di-sturbo cognitivo iniziale, l’altra composta da pazienti conMCI che ha sviluppato in seguito un disturbo dell’umore eduna terza caratterizzata da pazienti con disturbo cognitivosenza comorbidità con disturbo dell’umore.Conclusioni: i dati emersi dalla nostro studio epidemiolo-gico sottolineano la presenza di comorbidità tra i disturbicognitivi ed i disturbi dell’umore nell’anziano ed esortanoil clinico a prestare massima attenzione di fronte alla pre-senza di tali patologie ed effettuare una valutazione globa-le che comprenda anche il possibile deterioramento men-tale.

    SIMPOSI TEMATICI

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    MERCOLEDÌ 20 FEBBRAIO 2008 - ORE 14.15-15.45SALA MONTEMARIO

    S4 - La specificità del disturbo bipolare in etàevolutiva

    MODERATORIG. Masi, G. Perugi

    Implicazione cliniche di unasottotipizzazione fenotipica

    C. Pari, G. Masi, S. Millepiedi, C. Pfanner, S. Berloffa,M. MucciIRCCS Stella Maris per la Neuropsichiatria dell’Infanzia edell’Adolescenza, Calambrone (PI)

    Recenti ricerche hanno focalizzato l’attenzione sulla sotto-tipizzazione del disturbo bipolare (DB) in età evolutiva.Sulla base di queste ricerche abbiamo voluto ricercare in uncampione naturalistico di bambini e adolescenti con maniaed episodi misti se una sottotipizzazione più utile possa es-sere basata su caratteristiche cliniche, come la suddivisionesecondo il DSM IV (DB tipo I, DB tipo II, DB non altri-

    menti specificato), l’esordio prepuberale rispetto a quelloadolescenziale, il decorso cronico rispetto a episodico, l’u-more irritabile rispetto a quello euforico e la comorbiditàcon ADHD. Abbiamo riportato alcuni dei nostri studi piùrecenti che prendono in considerazione ampi campioni(parzialmente sovrapposti) di bambini e adolescenti dia-gnosticati sulla base delle informazioni anamnestiche, diosservazioni prolungate ed una intervista clinica strutturata(K-SADS-PL). Questi studi sembrano supportare un mo-dello convergente di DB ad esordio precoce, secondo ilquale potrebbero essere grossolanamente descritti due fe-notipi ampi. Il primo fenotipo presenta le seguenti caratte-ristiche cliniche: esordio precoce, comorbidità con ADHD,decorso cronico, umore irritabile, alta comorbidità conDOP/DC, importante impairment funzionale, minore mi-

  • glioramento durante il follow-up, caratteristiche clinicheche soddisfano i criteri della definizione di DB NAS delDSM IV. Il secondo fenotipo presenta le seguenti caratteri-stiche cliniche: esordio tardivo, minore comorbidità conADHD, decorso più frequentemente episodico, minore co-morbidità esternalizzante, ma aumentata comorbidità inter-nalizzante (ansia), maggiore sensibilità ai trattamenti. Mol-ti di questi pazienti soddisfano i criteri per DB I o DB II.Una ulteriore validazione di questa distinzione richiederàstudi prospettici che esplorino se questi sottotipi rappresen-tino disturbi differenti o siano parte di un unico spettro dimalattie correlate e parzialmente sovrapposte. La stabilitàdei due fenotipi non è ancora chiara, anche se studi clinicipreliminari suggeriscono che parte dei pazienti con il primofenotipo potrebbe modificare la fenomenologia durante ildecorso del disturbo.

    BibliografiaMasi G, Toni C, Perugi G, Millepiedi S, Mucci M, Bertini N, et al.

    The clinical phenotypes of juvenile bipolar disorder: toward avalidation of the episodic-chronic distinction. Biol Psychiatry2006;59:603-10.

    Masi G, Toni C, Perugi G, Millepiedi S, Mucci M, Bertini N, et al.Attention deficit hyperactivity disorder – bipolar comorbidity inchildren and adolescents. Bipolar Disord 2006;8:373-81.

    Masi G, Perugi G, Millepiedi S, Mucci M, Toni C, Bertini N, et al.Developmental differences according to age of onset in juvenilebipolar disorder. J Child Adolesc Psychopharmacol2006;16:679-85.

    Masi G, Perugi G, Millepiedi S, Mucci M, Pari C, Pfanner C, et al.Clinical implications of DSM-IV subtyping of bipolar disordersin referred children and adolescents. J Am Acad Child AdolescPsychiatry 2007;46:1299-306.

    Predittori di risposta nel disturbo bipolarein età evolutiva

    M. Mucci, G. Masi, S. Millepiedi, C. Pfanner, S. Berlof-fa, C. PariIRCCS Stella Maris, Istituto di Neuropsichiatria dell’Infan-zia e dell’Adolescenza, Calambrone (PI)

    La terapia farmacologica di prima scelta nel disturbo bipola-re in età evolutiva è rappresentata dagli stabilizzatori dell’u-more, in particolare acido valproico e litio, e nelle forme re-sistenti dagli antipsicotici atipici. Scopo di questa presenta-zione è quella di presentare i dati relativi a possibili preditto-ri di risposta al trattamento nella mania in età pediatrica. Verrano riportati i dati relativi ad una ampia casistica di 266pazienti consecutivi (158 maschi e 108 femmine, età media13,8 ± 2,8 anni) trattati inizialmente con monoterapia conacido valproico (VPA) (n = 158, 59,4%), o litio (n = 90,33,8%) o antipsicotici atipici (n = 18, 6,8%). Successiva-mente, sulla base della necessità clinica, i non responderhanno ricevuto una terapia con i due stabilizzatori, o conuno stabilizzatore ed un atipico. Il 59,5% dei pazienti inizialmente trattati con VPA ed il47,8% dei pazienti trattati con litio sono restati in monote-rapia. Verranno descritte le caratteristiche dei pazienti chehanno risposto alla monoterapia rispetto a coloro che hannonecessitato di una politerapia, per ciascuno dei gruppi ditrattamento. Verranno infine descritte le caratteristiche dei soggetti che altermine del follow-up sono risultati responders o non re-sponders alle mono-e poli-terapie, ed i fattori associati allaresistenza al trattamento (in particolare età di esordio, de-corso cronico o episodico, specifiche comorbidità).

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    SIMPOSI TEMATICI

    MERCOLEDÌ 20 FEBBRAIO 2008 - ORE 14.15-15.45SALA LEONARDO

    S5 - Gli attuali modelli di intervento psicoterapicoe il trattamento dei disturbi di personalità

    MODERATORIS. Bellino, D. De Ronchi

    Interventi di crisi e alleanza terapeutica

    L. Pavan, M. Marini

    Dipartimento di Neuroscienze Sezione Psichiatrica, Univer-sità di Padova

    Introduzione: tra i fattori terapeutici legati all’esito dellaterapia vi sono variabili legate sia al paziente che al tera-peuta. Tra le più importanti atte a determinare l’evoluzioneè l’esito della terapia vi sono certamente le caratteristichecollegate alla diagnosi e alla gravità del paziente, al tipo di“modalità” relazionale prevalente che fa riferimento a trattio specifiche “coloriture” di personalità.

    Metodologia: nell’ambito dell’intervento di crisi, si è cen-trata l’attenzione sui fattori predittivi dell’evoluzione delrapporto terapeutico di coppia, alla luce dello sviluppo di unclima di alleanza di lavoro volta a perseguire gli scopi tera-peutici della cura. In questo senso la personalità ha un ruo-lo importante come fattore predittivo del rischio di interru-zione concordata del trattamento.Risultati: il momento specifico di impasse che caratterizzala crisi emozionale sembra predisporre anche i pazienti connotevoli componenti disfunzionali e disadattative all’ingag-gio e alla sottoscrizione collaborativa di un clima favorevo-le allo sviluppo di un’alleanza di lavoro. Il momento di cri-si risulta interessante dal punto di vista della potenziale di-

  • SIMPOSI TEMATICI

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    sponibilità verso l’apertura relazionale di affidamento chenormalmente viene ostacolata dalle caratteristiche stesse dipersonalità che connotano la natura spesso altamente con-flittuale delle relazioni interpersonali. Allo stesso temposembra che in alcuni quadri di personalità un recupero “ti-mico” possa predisporre ad una riattivazione delle modalitàrelazionali caratteristiche che possono determinare anchel’interruzione non concordata del trattamento. Sembra an-che che molta importanza possa essere attribuita alla previ-sta interruzione prestabilita del trattamento che viene maltollerata e spesso agita in termini di late drop-out.Conclusioni: l’intervento di crisi sembra permettere un ac-cesso vantaggioso alla relazione terapeutica collaborativache definisce lo stabilirsi dell’alleanza terapeutica anche inquei casi in cui l’ingaggio risulta spesso ostacolato dalle ca-ratteristiche correlate alla personalità. L’evoluzione del trat-tamento, che sembra quindi offrire un valido ausilio al recu-pero del livello di funzionamento precedente, viene però in-fluenzato dalle ri-attivate modalità relazionali che determi-nano spesso la sua evoluzione.

    Psicoterapia Cognitiva nei Disturbi di Personalità: il punto su problemi clinici

    M. Biondi, M. PennisiDipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicolo-gica, Sapienza Università di Roma, U.O.C. di “Psichiatriae Psicofarmacologia Clinica”, Policlinico Umberto I

    I meccanismi deputati alle varie operazioni mentali di cui lapersonalità è la risultante, possono essere disfunzionali etoccare intere e vaste aree di vita sociale e interiore, assu-mendo la forma dei Disturbi di Personalità. È indubbio cheil mondo di questi disturbi sia molto complesso. Attraverso interrogativi, argomentazioni, confutazioni di es-se ed un’attenta analisi dei dati sperimentali, obiettivo diquesto lavoro è di stimolare, quanto meno, delle riflessionirelativamente ai Disturbi di Personalità. Nel lavoro che pre-sentiamo saranno discussi in particolare tre punti rilevantiper l’approccio psicoterapico cognitivo. Il primo è relativo al problema diagnostico: gli attuali siste-mi di classificazione, infatti, basati su definizione categoria-le e non dimensionale, psicopatologica descrittiva e nonfunzionale, hanno reso la diagnosi più precisa ma riduzioni-sta. Il secondo, in un continuum con il primo punto, riguar-da le frequenti comorbidità tra stessi disturbi di asse II, chenon pochi problemi suscita nella programmazione degli in-terventi e valutazione degli esiti. Ad esempio, in vari casiclinici può divenire arduo definire quale disturbo risponde aquale trattamento. Il terzo si riferisce ai dati di efficacia, esi-stenti in Letteratura, sulla psicoterapia cognitiva o più psi-coterapie messe a confronto, rispetto al cambiamento relati-vamente allo stato psichico (es. schemi disfunzionali) e aitratti di personalità sottostanti. Nonostante ci siano ancora evidenti problemi metodologiciche riguardano i primi due punti trattati, rispetto al terzopunto possiamo concludere che una revisione della lettera-tura mostra l’efficacia della psicoterapia nei disturbi di per-sonalità.

    I risultati della psicoterapia interpersonalenel trattamento del disturbo borderline di personalità

    S. BellinoSezione di Psichiatria, Dipartimento di Neuroscienze, Uni-versità di Torino

    Le linee guida dell’American Psychiatric Association per iltrattamento del disturbo borderline di personalità (DBP)(APA, 2001) e il successivo aggiornamento (Watch, 2005)suggeriscono un approccio di tipo combinato, nel quale laterapia farmacologica trova indicazione per trattare i sinto-mi di stato negli scompensi acuti e le vulnerabilità di tratto,mentre la psicoterapia è finalizzata al rimodellamento del-l’assetto personologico del paziente, intervenendo suglischemi cognitivi e sui modelli interpersonali disfunzionali,con conseguente miglioramento del funzionamento globalee della qualità di vita. Tra le psicoterapie individuali indica-te nel trattamento del DBP, quella cognitiva (CT) e quellainterpersonale (IPT) sono state inizialmente proposte cometrattamenti specifici per la depressione maggiore e sono sta-te successivamente applicate con buoni risultati anche nelDBP. Si tratta di un aspetto particolarmente rilevante, poi-ché è noto dagli studi epidemiologici e dalla pratica clinicache il disturbo depressivo maggiore è la più frequente co-diagnosi di Asse I in pazienti borderline, con valori lifetime> 50%.Presso la Struttura Complessa di Psichiatria dell’Univer-sità di Torino ci siamo occupati di indagare l’efficacia del-la terapia combinata di pazienti con DBP che hanno svi-luppato un episodio depressivo maggiore non psicotico enon bipolare. I nostri studi si sono articolati in tre indagi-ni successive.Nella prima indagine ci siamo proposti di valutare la terapiacombinata con IPT, 1 seduta settimanale, associata ad unSSRI (fluoxetina, 20-40 mg/die) in confronto alla sola far-macoterapia in un gruppo di 39 pazienti borderline che ma-nifestavano un episodio depressivo maggiore. I 32 pazientiche hanno completato le 24 settimane di trattamento sonostati valutati attraverso un’intervista semistrutturata per lecaratteristiche demografiche e cliniche, la Clinical GlobalImpression scale (CGI), le scale di Hamilton per depressio-ne e ansia (HAM-D, HAM-A), il Satisfaction Profile (SAT-P) per la qualità di vita e l’Inventory of Interpersonal Pro-blems a 64 item (IIP-64) per le aree problematiche interper-sonali. L’analisi statistica è stata condotta con l’analisi GLMunivariata per calcolare l’effetto dei fattori tempo e tratta-mento. In sostanziale accordo con precedenti indagini di-sponibili in letteratura, il trattamento combinato si è rivela-to più efficace per quanto riguarda la sintomatologia de-pressiva (HAM-D), la qualità di vita in termini di funziona-lità sociale (SAT-P) e alcuni problemi delle relazioni inter-personale (domini “vendicativo/autocentrato”, “freddo/di-stante” e “intrusivo/richiedente” dell’IIP).In una successiva indagine abbiamo indagato l’efficacia del-la terapia combinata (SSRI e IPT) in pazienti con depres-sione maggiore e DBP in confronto a pazienti depressi conaltri disturbi di personalità. I 56 pazienti arruolati sono stativalutati con le stesse scale dello studio precedente. Si sonoverificati 8 drop-out. L’analisi GLM univariata è stata ap-plicata per misurare l’effetto dei fattori tempo e diagnosi di

  • Asse II. Al termine dei 6 mesi di trattamento si è riscontra-to il miglioramento della maggior parte delle scale sintoma-tologiche e funzionali in entrambi i gruppi. Si è tuttavia os-servata nel gruppo dei pazienti depressi con DBP una rispo-sta meno soddisfacente per quanto riguarda CGI, funziona-lità psicologica del SAT-P ed i domini “dominante/control-lante” e “freddo/distante” dell’IIP. Si può quindi concludereche la terapia combinata è complessivamente efficace neltrattamento della depressione anche in pazienti borderline,che tuttavia risultano meno responsivi secondo alcuni para-metri clinici e funzionali.Infine, abbiamo confrontato, in un gruppo di 32 pazienti condiagnosi di DBP ed episodio depressivo maggiore, l’effica-cia della terapia combinata con fluoxetina, 20-40 mg/die edue diversi interventi psicoterapici: psicoterapia interperso-nale (IPT) e psicoterapia cognitiva (CT), entrambe con se-dute settimanali. La terapia combinata è stata proseguita per6 mesi. La valutazione dei pazienti è stata la medesima del-le indagini precedenti, con l’aggiunta del Beck DepressionInventory (