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ABCompos - 3B2 v. 11.0.3108/W Unicode-x64 (Dec 17 2013) - {AAAAA_FISCALE}0105_17-GTRI01/00135027_2017_01_SOMMARIO.3d

Giurisprudenza delle Sezioni UniteIVAL’omessa dichiarazione IVA non esclude l’iscrizione a ruolo per il recuperodell’imposta detrattaCassazione, SS.UU., Sent. 8 settembre 2016, n. 17758 5commento di Alberto Comelli 9

ConsorziRibaltamento dei costi e ricavi tra consorzi e societa consorziateCassazione, SS.UU., Sent. 14 giugno 2016, n. 12191 15commento di Andrea Venegoni 15

Rassegnaa cura di Cesare Glendi 24

Giurisprudenza di legittimitàImposte indiretteTassazione fissa per il trust autodichiaratoCassazione, Sez. trib., Sent. 26 ottobre 2016, n. 21614 31commento di Dario Stevanato 34

Redditi di capitalePresunzione di onerosita per i versamenti socio-societaCassazione, Sez. trib., Sent. 9 settembre 2016, n. 17839 42commento di Matteo Fanni 43

Processo tributarioQuestioni aperte sull’impugnabilita del diniego di autotutelaCassazione, Sez. trib., Sent. 9 agosto 2016, n. 16769 48Commissione tributaria provinciale di Chieti, Sez. IV, Ord. 18 luglio 2016, n. 454 48commento di Graziella Glendi 49

AgevolazioniIncentivi occupazionali: recupero ‘‘lungo’’ per crediti frazionatiCassazione, Sez. trib., Sent. 22 luglio 2016, n. 15190 58commento di Sarah Eusepi 60

Imposta di registroLa cessione ‘‘isolata’’ di beni funzionali all’esercizio d’impresa e sempre cessionedi aziendaCassazione, Sez. trib., Sent. 22 luglio 2016, n. 15175 67commento di Filippo Dami e Diletta Mazzoni 72

Giurisprudenza di meritoFiscalita internazionaleI vizi formali non fanno perdere la qualifica di beneficiario effettivo prevista dalla nor-mativa europeaCommissione tributaria provinciale di Milano, Sez. I, Sent. 3 novembre 2016, n. 8303 76commento di Franco Roccatagliata 79

GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017 3

1SommarioGennaio 2017

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Redditi di lavoro autonomoDeducibile (in parte) il vestiario utilizzato per trasmissioni televisiveCommissione tributaria provinciale di Milano, Sez. XL, Sent. 22 luglio 2016, n. 6443 85commento di Mauro Beghin 87

IndiciAutori, Cronologico, Repertorio della giurisprudenza per materia e Sistematico 95

Direzione scientifica Cesare Glendi

Editrice Wolters Kluwer Italia s.r.l. - Strada 1, Palazzo F6 - 20090 Milanofiori Assago (MI) - http://www.ipsoa.it

Direttore responsabile Giulietta Lemmi

Redazione Paola Boniardi, Valentina Cazzaniga, Marcello Gervasio

Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 537 del 27 novembre 1993Tariffa R.O.C.: Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento Postale -D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004, n. 46) art. 1, comma 1, DCB MilanoIscritta nel Registro Nazionale della Stampa con il n. 3353 vol. 34 foglio 417 in data31 luglio 1991

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SommarioGennaio 2017

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IVA

L’omessa dichiarazione IVAnon esclude l’iscrizione a ruoloper il recupero dell’imposta detrattaCassazione, SS.UU., Sent. 8 settembre 2016 (21 giugno 2016), n. 17758 - Pres. Rordorf - Rel.Cirillo (stralcio)

IVA - Dichiarazioni - Omessa presentazione della dichiarazione annuale - Iscrizione a ruolo dell’imposta de-tratta - Legittimità - Successiva emissione della cartella di pagamento - Legittimità

Nella fattispecie di omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA, è consentita l’iscrizionea ruolo dell’imposta detratta e la consequenziale emissione della cartella di pagamento, ben poten-do il Fisco operare, con procedure automatizzate, un controllo formale che non tocchi la posizionesostanziale della parte contribuente e sia scevro da profili valutativi e/o estimativi e da atti di inda-gine diversi dal mero raffronto con dati ed elementi in possesso dell’anagrafe tributaria, ai sensidegli artt. 54-bis e 60, D.P.R. n. 633/1972. Resta salva, nel successivo giudizio di impugnazione dellacartella, l’eventuale dimostrazione, a cura del contribuente, che la deduzione di imposta eseguitaentro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successi-vo a quello in cui il diritto è sorto riguardi acquisti fatti da un soggetto passivo di imposta, assog-gettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili.

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza dell’8 novembre 2011 la Commissio-ne tributaria regionale della Calabria ha accolto l’ap-pello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confron-ti del Comune di San Nicola da Crissa e, riformandola decisione della Commissione tributaria provincialedi Vibo Valentia, ha confermato la cartella di paga-mento emessa a seguito di controllo automatizzatodella dichiarazione IVA per l’anno 2004, dove l’entelocale aveva esposto un credito d’imposta riportatodall’annualità precedente, rispetto alla quale, dall’in-terrogazione dell’anagrafe tributaria, la dichiarazioneIVA risultava essere stata omessa.2. Il giudice d’appello, premesso che un credito d’im-posta non esposto nella dichiarazione annuale IVAnon poteva essere portato in detrazione nella dichia-razione per l’anno successivo dovendo essere invecerichiesto con domanda di rimborso, ha osservato cheil Comune non ha affatto contrastato le risultanzedell’anagrafe tributaria circa l’omissione della dichia-razione IVA e si è limitato a sostenere la legittimitàdel credito d’imposta invocando documentazione insuo possesso ma nei fatti mai prodotta in giudizio.Ha, pertanto, concluso per la correttezza dell’iscrizio-

ne a ruolo effettuata dal Fisco avvalendosi dei poteririconosciutigli dall’art. 54-bis, comma 2, del D.P.R.26 ottobre 1972, n. 633.3. Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quat-tro motivi e memorie, l’ente locale; l’Agenzia delleentrate ha resistito con controricorso mentre l’inti-mata Equitalia non ha spiegato alcuna attività difen-siva. La causa, rimessa all’udienza pubblica a seguitodi ordinanza emessa della Sottosezione tributaria del-la sesta Sezione civile all’esito dell’adunanza cameraledel 16 aprile 2014, è pervenuta dinanzi alle SezioniUnite a seguito di ordinanza interlocutoria dellaquinta Sezione civile n. 22902/2014. L’ente locale sidifende con ulteriore memoria.

Considerato in diritto

(Omissis)Con il quarto e ultimo motivo di ricorso, denuncian-do vizi motivazionali e plurime violazioni di normedi diritto (artt. 36-bis del D.P.R. 29 settembre 1973,n. 600, e 54-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633),la parte ricorrente formula due censure.In primo luogo, si duole del fatto che il giudice d’ap-pello ha motivato la propria decisione sul rilievo che

GiurisprudenzaSezioni Unite

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la somma oggetto della cartella corrispondeva a uncredito d’imposta irritualmente portato in detrazione,senza però enucleare gli elementi di fatto da cui ave-va tratto detto convincimento.In secondo luogo si duole del fatto che il giudiced’appello, sul rilievo che la somma oggetto della car-tella corrispondeva a un credito d’imposta irritual-mente portato in detrazione, abbia trascurato chequello compiuto dal Fisco non era stato quel merocontrollo cartolare, unico ad essere consentito dal-l’art. 54-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, a pe-na d’illegittimità della procedura adottata.4.1. Il primo profilo di censura è manifestamente in-fondato atteso che la Commissione tributaria regio-nale ha opportunamente considerato che era pacificonel dibattito processuale che il fondamento dell’iscri-zione a ruolo era dato dall’asserita irritualità della de-trazione del credito d’imposta a causa della mancanzadella dichiarazione per l’anno di precedente matura-zione.4.2. Il secondo profilo è, invece, meritevole di appro-fondimento ed è oggetto dell’ordinanza interlocutorian. 22902/2014.Sul punto osserva la quinta Sezione che nella giuri-sprudenza tributaria della Corte di cassazione si rin-vengono due diversi indirizzi interpretativi. Il primoorientamento - riferibile in via esemplificativa alledecisioni del 22 aprile 2009, n. 9564, e del 4 maggio2010, n. 10674, sui limiti operativi dell’art. 54-bis delD.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 - ritiene che “allor-quando il credito portato in detrazione non risultidalla dichiarazione annuale, sia perché diverso sia,più radicalmente, perché la stessa non è stata presen-tata, è pienamente legittimo il ricorso alla procedurade qua” (cfr. implicitamente anche Cass., 16 ottobre2012, n. 17754).Il secondo orientamento - riferibile, sullo stesso tema,alla decisione del 3 aprile 2012, n. 5318, nonché aquella del 15 febbraio 2013, n. 3755 (con rinvii a:Corte cost., 7 aprile 1988, n. 430; Cass., 27 maggio2011, n. 11712; Cass., 21 aprile 2011, n. 9224; Cass.,23 luglio 2010, n. 27396; Cass., 8 maggio 2007, n.13591) - ritiene che “la negazione della detrazionenell’anno in verifica di un credito dell’anno prece-dente, per il quale la dichiarazione è stata omessa,non può essere ricondotta al mero controllo cartola-re, in quanto implica verifiche e valutazioni giuridi-che, dovendo ritenersi che il disconoscimento deicrediti e l’iscrizione della conseguente maggiore im-posta dovevano, pertanto, avvenire previa emissionedi motivato avviso di rettifica”.

5. Questo secondo indirizzo, nel delineare il perime-tro da assegnare al procedimento di controllo auto-matizzato nonché ai poteri conferiti al Fisco in senoed in esito a questo, rileva che l’iscrizione a ruolo èconsentita soltanto allorquando sia rilevato un erroremateriale o di calcolo manifestamente evidente, ov-vero risultino vizi di forma nella compilazione delladichiarazione o, ancora, emergano indicazioni ogget-tivamente contraddittorie, qualora, peraltro, tali vizied irregolarità siano intrinseci alla dichiarazione delcontribuente.5.1. Per l’orientamento in esame non può l’Ammini-strazione procedere all’iscrizione desumendo aliunde iparametri della verifica, né può pervenire alla corre-zione dei vizi o delle irregolarità riscontrate sulla basedi una diversa valutazione qualitativa o quantitativadel presupposto di imposta.5.2. La mancanza della dichiarazione annuale con-cernente l’esercizio in cui il credito d’imposta si assu-me maturato non consentirebbe di svolgere quel me-ro riscontro cartolare che la legge richiede. Di qui lanecessità di procedere ad autonomo accertamento,presidiato dalle ordinarie garanzie difensive; non sa-rebbe prospettabile, in questo caso, una mera attivitàesecutiva con la quale l’Ufficio finanziario si limiti adare attuazione alla dichiarazione sottoscritta dalcontribuente, come espressamente stabilito dalla leg-ge allorquando dispone che “i dati contabili risultantidalla liquidazione prevista dal presente articolo siconsiderano, a tutti gli effetti come dichiarati dalcontribuente e dal sostituto di imposta”.6. Riguardo al contrapposto e condivisibile primo in-dirizzo, favorevole alla posizione del Fisco, si osservache - sulla base dei dati indicati nella dichiarazioneovvero in possesso dell’anagrafe tributaria - l’art. 54-bis, comma 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ri-conosce in capo all’Amministrazione finanziaria ilpotere di: a) correggere gli errori materiali e di calco-lo commessi dal dichiarante riguardo alla determina-zione del volume d’affari e alla liquidazione dell’im-posta; b) correggere gli errori materiali riscontrati nelriporto delle eccedenze d’imposta derivanti da prece-denti dichiarazioni; c) controllare la tempestività deiversamenti dell’imposta (acconto, conguaglio, liqui-dazione periodica) e la loro coerenza con le risultanzedella dichiarazione annuale.Si tratta, dunque, di controllo formale che avvieneattraverso quelle procedure automatizzate che noncomportano alcuna verifica della posizione sostanzia-le della parte contribuente. Perciò si è detto in dot-trina che il controllo formale attraverso procedure“automatizzate” attiene a questioni liquidative del-

GiurisprudenzaSezioni Unite

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l’imposta sulla scorta di quanto dichiarato dal contri-buente, di talché il controllo resta appunto “formale”,non contrapponendosi una diversa ricostruzione so-stanziale dei dati da parte dell’Amministrazione fi-nanziaria.Nella giurisprudenza di legittimità si è pure dettoche, nel momento in cui il Fisco procede a una verae propria interpretazione e valutazione dei dati indi-cati in dichiarazione, non si può più parlare di con-trollo automatizzato della dichiarazione, bensì di au-tentico accertamento (Cass., 6 agosto 2008, n.21176; Cass., 26 gennaio 2007, n. 1721; Cass., 16settembre 2005, n. 18415; Cass., 17 marzo 2000, n.3119); sicché, in questi casi, la relativa pretesa del-l’Amministrazione finanziaria dovrebbe essere fattavalere con l’emanazione di avviso, quale atto imposi-tivo, e non con la diretta iscrizione a ruolo seguita dacartella di pagamento.6.1. In proposito, la Relazione accompagnatoria alD.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, che ha definito il peri-metro degli omologhi controlli automatizzati discipli-nati dagli artt. 36-bis del D.P.R. 29 settembre 1973,n. 600, e 54-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633,chiarisce che si tratta di una procedura che “tende arimuovere gli errori e le inesattezze risultanti in modoobiettivo dalla dichiarazione e che non comportanogiudizi di valutazione ed estimazione delle compo-nenti positive e negative del reddito”.Orbene entrambe le disposizioni introdotte dalD.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, stabiliscono che, “avva-lendosi di procedure automatizzate”, l’Amministrazio-ne provvede “sulla base dei dati e degli elementi di-rettamente desumibili dalle dichiarazioni fiscali pre-sentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributa-ria”.Il senso di una normativa di tal genere non può cheessere quello di un controllo fatto grazie all’utilizzo diquei mezzi informatici che consentono di correlare idati esposti nelle dichiarazioni e le informazioni sulcontribuente reperibili nell’anagrafe tributaria (rego-lata dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605 e dalD.P.R. 2 novembre 1976, n. 784). Si tratta di un si-stema informativo nel quale sono immagazzinateprincipalmente quelle notizie essenziali risultanti dal-le dichiarazioni fiscali. Nella mancata presentazionedi una dichiarazione annuale IVA può ben ravvisarsiuna di quelle notizie che rilevano come mero datostorico dal quale derivano conseguenze giuridiche.Sicché non vi sarebbe ragione di non consentire lalavorazione con procedura automatizzata di un datoomissivo, dovendo l’Amministrazione provvedere,appunto, “sulla base dei dati e degli elementi diretta-

mente desumibili dalle dichiarazioni fiscali presentatee di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria”.6.2. È vero che la Corte costituzionale, nell’ordinan-za del 7 aprile 1988, n. 430, afferma che la liquidazio-ne ex art. 36-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n.600, è operata sulla base delle dichiarazioni presenta-te mediante un mero riscontro cartolare, nei casi ec-cezionali e tassativamente indicati dalla legge, ver-tenti su errori materiali e di calcolo immediatamenterilevabili, senza la necessità quindi di alcuna istrutto-ria; ma all’epoca di tale pronuncia il testo vigentedell’art. 36-bis non faceva cenno al potere per l’Am-ministrazione di provvedere con procedura automa-tizzata “sulla base dei dati ... in possesso dell’anagrafetributaria”.6.3. Nel caso specifico il controllo automatizzato deldato della detrazione per pregresso credito d’impostainserito nella dichiarazione annuale IVA non puòche essere fatto in correlazione con il dato presentenell’anagrafe tributaria sulla presentazione o menodella dichiarazione annuale IVA nell’anno di matura-zione del ridetto credito d’imposta ed è uno dei casipiù tipici e semplici di controllo meramente formale,atteso che esso non tocca la posizione sostanziale del-la parte contribuente ed è scevro da profili valutativie/o estimativi e da atti d’indagine diversi da quel me-ro raffronto tra la dichiarazione fiscale e l’anagrafetributaria esplicitamente consentito dall’art. 54-bisdel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (conf. Cass.,SS.UU., ud. 21 giugno 2016, Fall. LTS).6.4. Né rileva che ciò comporta l’applicazione dinorme giuridiche, quali quelle derivanti dal combina-to disposto degli artt. 30 e 55 del D.P.R. 26 ottobre1972, n. 633.Il tema dell’applicazione diretta e immediata di nor-me giuridiche in sede di controllo automatizzato èstato approfondito dalla Corte di cassazione in mate-ria di oneri, affermandosi - ad esempio - che il recu-pero degli oneri non contemplati dall’art. 10 delD.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, è consentito quan-do sia desumibile ictu oculi, dal controllo formale del-la dichiarazione e dell’allegata documentazione, cheil titolo è diverso da quello previsto dalla lettera dellalegge, e non anche quando tale indeducibilità sia ri-cavabile dall’interpretazione di detta documentazioneo della norma giuridica (Cass., 15 giugno 2007, n.14019; conf. Cass., 8 luglio 1996, n. 6193; Cass., 29febbraio 2008, n. 5460). Dunque, se manca una di-versa valutazione nell’an o nel quantum del presuppo-sto impositivo ovvero una diversa valutazione dellaesistenza di crediti o oneri, l’Amministrazione può li-quidare quanto rilevato nel controllo formale ed ef-

GiurisprudenzaSezioni Unite

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fettuare l’iscrizione a ruolo e la notifica della cartella,senza necessariamente dover emettere un previo av-viso di accertamento in rettifica (Cass., 21 aprile2011, n. 9224).6.5. Da qui deriva, in materia di IVA (artt. 30 e 55del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), la correttezzadella tesi giurisprudenziale secondo cui “allorquandoil credito portato in detrazione non risulti dalla di-chiarazione annuale, sia perché diverso sia, più radi-calmente, perché la stessa non è stata presentata, èpienamente legittimo il ricorso alla procedura de qua”(così Cass., 2 aprile 2009, n. 9564).Si tratta, seguendo la logica dell’indirizzo in esame,di mera attività esecutiva con la quale l’Ufficio finan-ziario si limita a dare attuazione al precetto legale ri-spetto ai dati di dichiarazione, come chiaramenteevidenziato dall’art. 54-bis, comma 4, del D.P.R. 26ottobre 1972, n. 633, secondo cui “i dati contabili ri-sultanti dalla liquidazione prevista dal presente arti-colo si considerano, a tutti gli effetti come dichiaratidal contribuente”. Quest’ultimo, sulla base del princi-pio dell’onere e della prossimità della prova, potrebbepoi esercitare il proprio diritto di difesa, documentan-do in giudizio l’avvenuta presentazione della dichia-razione annuale ritenuta omessa dal Fisco sulla scortadell’anagrafe tributaria.6.6. Il procedimento di controllo automatizzato deidati è eseguito senza alcun intervento diretto degli Uf-fici e in forza dell’art. 54-bis può essere attivato nei ca-si di mancata considerazione dei pagamenti effettuati,errata o incompleta trasmissione e\o ricezione dei datidella dichiarazione, errori di compilazione della di-chiarazione da parte del contribuente sanabili e facil-mente riconoscibili, errata individuazione del contri-buente, incoerenza della dichiarazione, eccedenze diimposta non completamente confermate dal sistemainformativo (circolare n. 100/E e n. 143/E/2000; circo-lare n. 34/E/2012 e n. 21/E/2013). La procedura siconclude con un atto liquidatorio ai fini dell’iscrizionea ruolo a titolo definitivo ai sensi del comma 3 del-l’art. 54-bis e del comma 6 dell’art. 60.6.7. Si tratta, con altre parole, d’intervenire su errorie/o omissioni del contribuente, con la proceduraautomatizzata prevista dall’art. 54-bis che comportadi per sé stessa lo “scarto” e la “ripresa” delle posizio-ni fiscali formalmente irregolari alla luce delle risul-tanze dell’anagrafe tributaria (Cass., SS.UU., ud. 21giugno 2016, Fall. LTS). Tale procedura può ben co-stituire innesco iniziale dell’azione del Fisco, restandoin disparte il rilievo che il diritto di detrazione nonpuò essere negato nel giudizio d’impugnazione dellacartella emessa dal Fisco a seguito di controllo forma-

le automatizzato, laddove, pur non avendo il contri-buente presentato la dichiarazione annuale per il pe-riodo di maturazione, sia dimostrato in concreto - ov-vero non controverso - che si tratti di acquisti fattida un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVAe finalizzati a operazioni imponibili e di deduzioneeseguita entro il termine previsto per la presentazionedella dichiarazione relativa al secondo anno successi-vo a quello in cui il diritto è sorto (conf. Cass.,SS.UU., ud. 21 giugno 2016, Fall. LTS). Ciò tuttavianon rileva nella specie, non essendo tale diversa que-stione oggetto specifico di alcun motivo di ricorso(rispetto al negativo accertamento di fatto compiutodal giudice d’appello).6.8. In conclusione, nel rigettare anche la secondacensura del quarto motivo di ricorso, deve essereenunciato il seguente principio di diritto: “In fatti-specie di omessa presentazione della dichiarazioneannuale IVA, è consentita l’iscrizione a ruolo del-l’imposta detratta e la consequenziale emissione dicartella di pagamento, ben potendo il Fisco operare,con procedure automatizzate, un controllo formaleche non tocchi la posizione sostanziale della partecontribuente e sia scevro da profili valutativi e/o esti-mativi e da atti d’indagine diversi da mero raffrontocon dati ed elementi in possesso dell’anagrafe tributa-ria, ai sensi degli artt. 54-bis e 60 del D.P.R. 26 otto-bre 1972, n. 633 (fatta salva, nel successivo giudiziod’impugnazione della cartella, l’eventuale dimostra-zione a cura del contribuente che la deduzione d’im-posta, eseguita entro il termine previsto per la pre-sentazione della dichiarazione relativa al secondo an-no successivo a quello in cui il diritto è sorto, riguar-di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, as-soggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibi-li)”.7. La complessità e l’incertezza delle questioni giuri-diche che hanno richiesto l’intervento nomofilatticodelle Sezioni Unite costituiscono giustificati motiviper la compensazione delle spese del giudizio di legit-timità tra le parti costituite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamentecompensate tra le parti costituite le spese del giudiziodi legittimità.

Il testo integrale della sentenzapuò essere richiesto [email protected]

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Disconoscimento formale del credito IVAin caso di omessa dichiarazione

relativa all’anno d’imposta precedentedi Alberto Comelli (*)

La sentenza resa dalle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 17758/2016 afferma la legittimitàdell’iscrizione a ruolo e della consequenziale notifica della cartella di pagamento, ai fini dell’IVA,per effetto del controllo formale automatizzato ed in assenza dell’emissione di un avviso di ac-certamento, in corrispondenza del credito derivante dall’esercizio del diritto di detrazione, sortocon riferimento all’anno d’imposta precedente, per il quale la dichiarazione annuale sia stataomessa. Tuttavia, l’arresto non sembra prendere in considerazione, e, dunque, inspiegabilmentesvaluta, la comunicazione al contribuente dell’esito della liquidazione dell’imposta, al fine diconsentire a quest’ultimo di fornire i chiarimenti necessari all’Ufficio tributario, prima dell’iscri-zione a ruolo, entro i trenta giorni successivi al ricevimento della stessa comunicazione.

La sentenza in esame risolve una questioneparticolarmente delicata e controversa nellastessa giurisprudenza della Corte di cassazione,laddove si contrapponevano, negli indirizzi in-terpretativi della quinta Sezione civile, dueorientamenti diametralmente opposti, pur inpresenza degli stessi profili fattuali. La sentenzain esame, pertanto, è non poco importante, siain apicibus, sia sul piano concreto e operativo,in quanto consente di sciogliere positivamentealcuni nodi, sotto il profilo interpretativo, purcon le opportune considerazioni critiche pro-poste all’attenzione del lettore in questa brevenota.

I fatti di causa

Procedendo con ordine, l’arresto in esame sca-turisce da una vicenda che trae origine dall’im-pugnazione di una cartella di pagamento, con-fezionata a seguito di un controllo automatizza-to della dichiarazione annuale ai fini dell’IVA,per l’anno d’imposta 2004, nei confronti di unComune che aveva riportato un credito d’im-posta dall’annualità precedente, per la quale,tuttavia, risultava omessa la relativa dichiara-zione, sulla base dei dati forniti dall’anagrafetributaria.Secondo quanto si può desumere dalla sinteti-ca descrizione in punto di fatto, contenuta nel-

l’arresto in esame, la Commissione tributariaprovinciale di Vibo Valentia accoglieva il ri-corso, in quanto l’iscrizione a ruolo e la confe-zione della relativa cartella di pagamento sicollocavano al di fuori del perimetro indivi-d u a t o d a l l ’ a r t . 5 4 - b i s d e l D . P .R . n .633/1972 (1). Questa disposizione, infatti, pre-cisamente individua(va) le ipotesi in relazionealle quali può essere espletato il controllo auto-matizzato, circoscritto “ai soli casi di errori ma-teriali o di calcolo ovvero alle ipotesi di omessio intempestivi versamenti emergenti dalla stes-sa dichiarazione fiscale del contribuente”.Nell’appello, l’Ufficio dell’Agenzia delle entra-te sosteneva che, in presenza di un’omessa di-chiarazione annuale, il credito d’imposta nonpuò essere portato in detrazione nell’anno suc-cessivo, ma può essere esclusivamente richiestomediante la presentazione di un’istanza di rim-borso ed impugnava la sentenza di prime curenella parte in cui negava la legittimità dell’e-spletamento della procedura automatizzata inassenza, nella specie (secondo il giudice di pri-mo grado), di un errore materiale o di calcolo.La Commissione tributaria regionale Calabriaaccoglieva l’appello e sottolineava, per quantoqui interessa, “che un credito d’imposta nonesposto nella dichiarazione annuale IVA nonpoteva essere portato in detrazione nella di-chiarazione per l’anno successivo dovendo es-

(*) Professore di Diritto tributario presso l’Università di Parma- Avvocato cassazionista con studio in Roma

(1) L’art. 54-bis del D.P.R. n. 633/1972 è stato introdotto dal-l’art. 14, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 241/1997.

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sere invece richiesto con domanda di rimbor-so”. Aggiungeva, inoltre, che il Comune nonaveva contestato l’omissione della presentazio-ne della dichiarazione annuale ai fini dell’IVAe si era limitato a sostenere la legittimità delcredito d’imposta, pur senza produrre in giudi-zio la documentazione in suo possesso che po-tesse giustificare tale assunto. Il giudice delgravame, pertanto, concludeva nel senso chel’Ufficio dell’Agenzia delle entrate aveva ope-rato correttamente iscrivendo a ruolo l’importocorrispondente al credito d’imposta derivantedall’anno precedente, in applicazione dei pote-ri previsti dall’art. 54-bis, comma 2, del D.P.R.n. 633/1972.L’ente locale proponeva ricorso per cassazione,articolato in quattro motivi, al quale replicaval’Agenzia delle entrate mediante un controri-corso, mentre Equitalia, pur intimata, non sicostituiva in giudizio. La Corte giudica talicensure infondate e rigetta il ricorso, compen-sando interamente tra le parti le spese del giu-dizio di legittimità.

Il contenuto della sentenzadel Giudice di legittimità

Mentre il primo profilo del quarto motivo ègiudicato manifestamente infondato, il secon-do profilo dello stesso motivo è quello ritenutomeritevole di approfondimento, in seguito al-l’ordinanza interlocutoria della quinta Sezionecivile n. 22902/2014 (2), preceduta dalla pub-blica udienza per effetto dell’ordinanza emessadalla Sottosezione tributaria della sesta Sezionecivile, all’esito dell’adunanza camerale.Passando ai motivi dell’arresto, per quanto quiinteressa, la Corte scolpisce alcune argomenta-zioni, solo parzialmente condivisibili. In primis,essa “osserva che la detrazione dell’imposta pa-gata per l’acquisizione di beni o servizi inerentiall’esercizio dell’impresa è subordinata, in casodi contestazione da parte dell’Ufficio, alla rela-

tiva prova, che dev’essere fornita dal contri-buente mediante la produzione delle fatture edel registro in cui vanno annotate e delle di-chiarazioni periodiche in base ai criteri genera-li di riparto dell’onere della prova previsti dal-l’art. 2697 c.c. ed alle specifiche disposizionidel Decreto IVA e della Sesta Direttiva, cheregolano la materia della deducibilità dell’im-posta assolta”. Questa statuizione si colloca nelsolco interpretativo tracciato dalla sentenzadelle medesime Sezioni Unite depositata lostesso giorno rispetto a quella che qui si com-menta, n. 17757/2016 ed avente lo stesso Pre-sidente (Dott. Rordorf) e lo stesso giudice rela-tore (Dott. Cirillo) (3).Passando all’altra tematica, con questa stretta-mente connessa, la Corte esamina sintetica-mente i due diversi orientamenti, emersi nellagiurisprudenza della quinta Sezione civile, chehanno pienamente giustificato il giudizio delleSezioni Unite, suscettibile di uniformare, invia interpretativa, i futuri arresti in parte quadei giudici di merito e della stessa quinta Se-zione civile.Alla stregua del primo orientamento, in casodi omissione della presentazione della dichiara-zione annuale, il credito derivante dalla detra-zione dell’IVA, sorto in tale annualità e ripor-tato nella dichiarazione annuale relativa all’an-no successivo, consente l’espletamento dellaprocedura di cui all’art. 54-bis del D.P.R. n.633/1972, che prevede il controllo automatiz-zato (4). Secondo un diverso orientamento, in-vece, il disconoscimento della detrazione del-l’imposta, collegato esclusivamente all’omessapresentazione della dichiarazione annuale (perl’annualità precedente), non può ricondursi adun mero controllo cartolare, laddove presuppo-ne verifiche e valutazioni giuridiche che postu-lano la necessaria adozione e notificazione diun avviso di rettifica (5). In virtù di quest’ulti-mo indirizzo, l’iscrizione a ruolo sarebbe con-

(2) In Corr. Trib., n. 4/2015, pag. 285 ss., con commento diM. Basilavecchia, “Conseguenze dell’omissione della dichiara-zione IVA sul riporto del credito alle annualità successive”, ilquale esprime un giudizio positivo sulla rimessione alle SezioniUnite della questione, che richiede, secondo l’Autore, un inter-vento nomofilattico ai massimi livelli.

(3) La sentenza è pubblicata in Corr. Trib., n. 41/2016, pag.

3133 ss., con nota di P. Centore, “La dichiarazione IVA con ef-ficacia formale e sostanziale”, il quale commenta (a titolo diconfronto e di completamento) anche l’arresto della CGE, 28luglio 2016, nella causa C-332/15.

(4) Inter alia, Cass., 22 aprile 2009, n. 9564; Id., 4 maggio2010, n. 10674; Id., 16 ottobre 2012, n. 17754.

(5) In tal senso, tra le tante, cfr. Cass., 3 aprile 2012, n.

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sentita esclusivamente in presenza di un erroremateriale o di calcolo manifestamente eviden-te, oppure qualora risultino vizi di forma nellacompilazione della dichiarazione, ovvero que-st’ultima faccia emergere indicazioni oggettiva-mente contraddittorie, sempre che questi “vizied irregolarità siano intrinseci alla dichiarazio-ne del contribuente”. Sarebbe da escludere l’i-scrizione a ruolo, in virtù del controllo auto-matizzato, qualora si realizzi la correzione deivizi o delle irregolarità riscontrate medianteuna diversa valutazione qualitativa o quantita-tiva del presupposto dell’imposta. In questaprospettiva, l’omissione della dichiarazione an-nuale non consentirebbe di espletare il meroriscontro cartolare che la legge richiede, do-vendosi in tale ipotesi confezionare un autono-mo atto impositivo, non surrogabile dalla(iscrizione a ruolo e dalla) cartella di pagamen-to (6).L’arresto che qui si commenta aderisce al pri-mo indirizzo, favorevole ad un orientamentointerpretativo del più volte citato art. 54-bis,suscettibile di comprendere nel suo alveo an-che il controllo automatizzato nella prospettatafattispecie, senza che sia indispensabile l’emis-sione e la notificazione di un avviso di rettifi-ca.La giustificazione di questa scelta (favorevoleall’Agenzia delle entrate), da parte della Cortedi cassazione, scaturisce da un’interpretazioneletterale dell’art. 54-bis, comma 2, dalla qualeemerge che il controllo formale “avviene attra-verso quelle procedure automatizzate che noncomportano alcuna verifica della posizione so-stanziale della parte contribuente”. In altre pa-role, “sulla base dei dati e degli elementi diret-tamente desumibili dalle dichiarazioni presen-tate e di quelli in possesso dell’anagrafe tribu-taria” (7), si tratta di una liquidazione collegatadirettamente ed esclusivamente a quanto di-chiarato dal contribuente, senza contrapporreuna diversa ricostruzione di tipo sostanziale, daparte dell’Ufficio tributario.

Se si realizza questa verifica della posizione so-stanziale del contribuente, mediante una diver-sa interpretazione e/o valutazione dei dati di-chiarati, l’attività amministrativa espletata sicolloca al di fuori del perimetro del controlloautomatizzato e postula l’emissione e la notifi-cazione di un avviso di rettifica. In tale fatti-specie, sarebbe del tutto illegittima l’iscrizionea ruolo e la notifica della correlativa cartella dipagamento e, in caso di (rituale) impugnazio-ne, quest’ultima dovrebbe essere interamenteannullata dal giudice tributario.In altre parole, l’iter logico-giuridico della sen-tenza in esame ruota intorno al concetto dicontrollo automatizzato del soggetto sottopostoalla liquidazione dell’imposta dovuta in basealla dichiarazione, che non modifica in alcunmodo la posizione sostanziale dello stesso. So-no assenti, nel caso di specie, profili di valuta-zione e/o di estimazione, in relazione ad un raf-fronto tra le risultanze della dichiarazione an-nuale ai fini dell’IVA e gli elementi risultantidall’anagrafe tributaria, che trova il suo fonda-mento giuridico nell’art. 54-bis del D.P.R. n.633/1972.L’irregolarità riscontrata in sede di controlloformale, pertanto, deve poter emergere ictuoculi, a prescindere sia dall’interpretazione del-la documentazione, ovvero della norma giuri-dica applicata nel caso concreto, sia da un di-verso apprezzamento del presupposto impositi-vo (nell’an o nel quantum), o dell’esistenza dicrediti (od oneri). E la conclusione del “proce-dimento di controllo automatizzato”, secondotale approccio, non potrebbe essere altro chel’emissione di “un atto liquidatorio ai fini del-l’iscrizione a ruolo a titolo definitivo ai sensidel terzo comma dell’art. 54-bis e del sestocomma dell’art. 60” del D.P.R. n. 633/1972.Aggiunge l’arresto in esame che il contribuen-te, “sulla base del principio dell’onere dellaprova e della prossimità della prova, potrebbepoi esercitare il proprio diritto di difesa, docu-mentando in giudizio l’avvenuta presentazionedella dichiarazione annuale ritenuta omessa

5318; Id., 31 maggio 2016, n. 11292.(6) In senso conforme, cfr. Comm. trib. reg. Puglia, Sez.

staccata di Lecce, 13 febbraio 2014, n. 359.

(7) Così dispone l’art. 54-bis, comma 2, del D.P.R. n.633/1972.

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dal Fisco sulla scorta dell’anagrafe tributaria”.Nuovamente con una proiezione nella dimen-sione processuale (8), la sentenza afferma (9)che (in tale sede) non può essere negato il di-ritto di detrazione, pur in caso di omessa pre-sentazione della dichiarazione annuale relativaal periodo in cui è sorto, qualora il contribuen-te dimostri (ovvero sia non contestato) “che sitratti di acquisti fatti da un soggetto passivod’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati aoperazioni imponibili e di deduzione eseguitaentro il termine previsto per la presentazionedella dichiarazione relativa al secondo annosuccessivo a quello in cui il diritto è sorto”.In questa prospettiva ricostruttiva, le SezioniUnite giungono ad affermare la piena legitti-mità dell’applicazione del disposto del più vol-te citato art. 54-bis, in caso di omessa presenta-zione della dichiarazione annuale ai fini dell’I-VA e di riporto del credito d’imposta sorto intale annualità nella dichiarazione presentataper l’anno successivo. In altre parole, è consen-tita in tale fattispecie l’iscrizione a ruolo del-l’imposta detratta e l’emissione e la notificazio-ne della relativa cartella di pagamento, trat-tandosi di un controllo formale da espletaremediante una procedura meramente automatiz-zata, suscettibile di prescindere da profili di ti-po valutativo e/o estimativo e dalla posizionesostanziale del contribuente.

Apprezzamenti valutativi

Se questa è la conclusione alla quale è perve-nuta la sentenza che qui si commenta, occorreformulare alcune considerazioni in parte adesi-ve ed in parte (non poco) critiche. La discipli-na che ne occupa prevede la legittimità dell’i-scrizione a ruolo, senza previa notifica di unavviso di rettifica, dell’imposta (o della mag-giore imposta) che scaturisce da talune irrego-larità, tassativamente predeterminate dall’art.54-bis e non estensibili in via interpretativa,

direttamente desumibili dalle dichiarazionipresentate, ovvero da altri elementi in possessodell’anagrafe tributaria (10). Si tratta di uncontrollo generalizzato e relativamente tempe-stivo (11) che viene espletato senza alcun pre-giudizio rispetto all’ordinaria azione accertatri-ce, la quale può essere esercitata entro il termi-ne stabilito, a pena di decadenza, ai fini dellanotificazione dell’atto impositivo (rectius: im-poesattivo). La liquidazione dell’imposta dovu-ta in base alle dichiarazioni presentate dai con-tribuenti postula che gli Uffici tributari proce-dano, con l’ausilio di procedure automatizzate,ad una rettifica non poco limitata, quanto alsuo grado di intensità ed in relazione esclusiva-mente ai dati ed agli elementi direttamente de-sumibili alla stregua delle stesse dichiarazioni,ovvero dei dati e degli elementi in possessodell’anagrafe tributaria. In virtù dell’art. 54-bis,comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, agli Ufficidell’Agenzia delle entrate è consentito quantosegue:a) correggere gli errori materiali o di calcolocommessi nella determinazione del volumed’affari e delle imposte o nel riporto delle ecce-denze di imposta risultanti dalle precedenti di-chiarazioni;b) controllare la rispondenza con la dichiara-zione e la tempestività dei versamenti dell’im-posta risultante dalla dichiarazione annuale, atitolo di acconto e di conguaglio.I dati contabili che scaturiscono da queste ope-razioni di liquidazione “si considerano, a tuttigli effetti, come dichiarati dal contribuente”,ai sensi dell’art. 54-bis, ultimo comma.Alla luce della ricostruzione dell’istituto cosìoperata, è condivisibile la conclusione alla qualeè pervenuta la sentenza in rassegna, sotto il pro-filo della non necessaria emissione di un avvisoimpoesattivo di rettifica, nell’ipotesi ivi esami-nata. Tuttavia, lo stesso arresto inspiegabilmen-te lascia sullo sfondo, anzi sembra totalmenteignorare, il disposto del comma 3 dell’art. 54-bis,

(8) Vale a dire, nel giudizio di impugnazione della cartella dipagamento confezionata in seguito al controllo formale auto-matizzato, di cui all’art. 54-bis.

(9) Ancora nel solco tracciato dalla sentenza resa dalle Se-zioni unite n. 1775/2016, cit.

(10) Cfr. A. Comelli, Poteri e atti nell’imposizione tributaria,

Padova, 2012, pag. 390 ss. e, in particolare, 391 e 392.(11) La liquidazione dell’imposta dev’essere espletata dal-

l’Ufficio tributario “entro l’inizio del periodo di presentazionedelle dichiarazioni relative all’anno successivo”, ai sensi del-l’art. 54-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972.

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laddove al soggetto sottoposto alla liquidazionedell’imposta dev’essere comunicato l’esito diquesta, se diverso da quello evidenziato nella di-chiarazione presentata, nella prospettiva di “evi-tare la reiterazione di errori e per consentire laregolarizzazione degli aspetti formali”.Il contribuente, entro trenta giorni dal ricevi-mento della comunicazione, può fornire all’Uf-ficio dell’Agenzia delle entrate “i chiarimentinecessari”, nell’ottica di consentire a quest’ul-timo di considerare “eventuali dati o elementi”non valutati o erroneamente valutati. Sola-mente in assenza (in tutto o in parte) di per-suasivi “chiarimenti” e/o di “dati o elementi”in precedenza non considerati, oppure erronea-mente valutati, l’Ufficio procede all’iscrizionea ruolo a titolo definitivo, sempre che il sog-getto sottoposto alla liquidazione dell’imposta,prima della formazione del ruolo, non versi lasomma risultante dalla comunicazione, even-tualmente ridotta per effetto dei chiarimenti,dei dati e/o degli elementi forniti all’Ufficiostesso. Peraltro, l’invio della comunicazione alcontribuente non è meramente facoltativo e lasua omissione realizza un vizio che inficia l’in-tera procedura liquidativa ed è suscettibile direndere illegittima sia l’iscrizione a ruolo, sia larelativa cartella di pagamento, ancorché ritual-mente notificata e succintamente motivata.Alla medesima conclusione, peraltro, si giungequalora si consideri il disposto dell’art. 6, com-ma 5, dello Statuto del contribuente, secondoil quale “prima di procedere alle iscrizioni aruolo derivanti dalla liquidazione di tributi ri-sultanti da dichiarazioni, qualora sussistano in-certezze su aspetti rilevanti della dichiarazione,l’Amministrazione finanziaria deve invitare ilcontribuente, a mezzo del servizio postale ocon mezzi telematici, a fornire i chiarimentinecessari o a produrre i documenti mancantientro un termine congruo e comunque non in-feriore a trenta giorni dalla ricezione della ri-

chiesta” (12). E aggiunge l’ultimo periodo delcomma stesso che “sono nulli i provvedimentiemessi in violazione delle disposizioni del pre-sente comma” (13).

Profili critici

Queste osservazioni consentono di mettere inevidenza che l’impostazione dell’arresto in ras-segna è corretta sotto il profilo della non ob-bligatoria emissione, nel caso di specie, dell’at-to impoesattivo di rettifica, ma incontra unpreciso limite laddove omette totalmente diconsiderare la necessaria interlocuzione tral’Ufficio dell’Agenzia delle entrate ed il contri-buente qualora emerga, in esito al controlloformale, “un risultato diverso rispetto a quelloindicato nella dichiarazione”. In altre parole,l’arresto in esame presuppone che il processodi impugnazione della cartella di pagamentosia l’unica sede nella quale il contribuente pos-sa dimostrare, “sulla base del principio dell’o-nere della prova e della prossimità alla prova”,l’avvenuta presentazione della dichiarazione(asseritamente omessa), ovvero che l’eserciziodel diritto di detrazione dell’imposta è statocorrettamente esercitato.Più esattamente, tale diritto dev’essere espleta-to entro il termine previsto per la presentazio-ne della dichiarazione annuale relativa al se-condo anno successivo a quello in cui il dirittoè sorto e deve riflettere, inoltre, il triplice re-quisito secondo cui (a) si deve trattare di ac-quisti espletati da un soggetto passivo d’impo-sta, (b) che siano assoggettati ad IVA e (c) sia-no finalizzati all’effettuazione di operazioni im-ponibili. Questo riscontro, tuttavia, dovrebbeessere effettuato (almeno in prima battuta) insede amministrativa, per effetto dell’invio dellacomunicazione al contribuente, in presenza di“un risultato diverso rispetto a quello indicatonella dichiarazione”, in virtù dell’art. 54-bis,comma 3 (14).

(12) La sussistenza (o meno) del credito d’imposta derivantedall’esercizio del diritto di detrazione dell’IVA, nell’anno in cuila dichiarazione annuale è stata omessa e riportato nell’annosuccessivo, costituisce certamente un aspetto rilevante delladichiarazione sottoposta a controllo formale, ai sensi dell’art.54-bis del D.P.R. n. 633/1972.

(13) È esclusa l’applicazione dell’art. 6, comma 5, dello Sta-

tuto “nell’ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi per i quali il con-tribuente non è tenuto ad effettuare il versamento diretto”, aisensi del penultimo periodo del medesimo comma 5.

(14) Cfr. S. Zagà, “Le discipline del contraddittorio nei pro-cedimenti di ‘controllo cartolare’ delle dichiarazioni”, in Dir.prat. trib., 2015, I, pag. 845 ss.

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La motivazione della sentenza in rassegna, per-tanto, incontra un preciso limite laddove sva-luta questa interlocuzione. Essa, al contrario,dovrebbe essere uno strumento efficace, inun’ottica amministrativa, al fine di chiarire lasussistenza degli elementi che, in concreto, do-vrebbero consentire al contribuente che nonabbia presentato la dichiarazione annuale rela-tiva all’anno precedente, di riportare il creditod’imposta nell’anno immediatamente successi-vo, in presenza dei tre requisiti sostanziali chelegittimano il soggetto passivo ad esercitare ildiritto di detrazione dell’imposta. Questo va-glio in sede amministrativa dovrebbe rappre-sentare un efficace filtro preprocessuale rispet-to a liti che ben potrebbero essere evitate, acondizione che esso si svolga concretamente inmodo imparziale e senza pregiudizi.Se il processo che scaturisce dall’impugnazionedell’iscrizione a ruolo e della relativa cartelladi pagamento, derivante dal controllo formaleautomatizzato, fosse considerato solamente co-me una mera “valvola di sfogo” di una interlo-

cuzione tra l’Ufficio accertatore ed il contri-buente che non si è celebrata, ovvero si è svol-ta in modo formalistico (e, in fondo, apparen-te), “scaricando” sul giudice il riscontro incontraddittorio tra le parti che dovrebbe svol-gersi più correttamente in sede amministrativa,si tratterebbe di un abuso della strumentazioneprocessuale.In tale ipotesi, dovrebbe essere sanzionata laparte pubblica, con la condanna alla rifusionedelle spese del giudizio da parte del giudice,sempre che il contribuente abbia già fornito al-l’Amministrazione finanziaria, in sede di rispo-sta tempestiva alla comunicazione dell’esitodel controllo automatizzato, tutti gli elementisuscettibili di dimostrare il corretto e tempesti-vo esercizio del diritto di detrazione dell’impo-sta ed abbia, successivamente, prodotto in giu-dizio nuovamente tutta la relativa documenta-zione, dalla quale si evinca chiaramente la sus-sistenza dei tre requisiti previsti per l’eserciziodel diritto di detrazione, ut supra evidenziati.

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Consorzi

Ribaltamento dei costi e ricavitra consorzi e società consorziateCassazione, SS.UU., Sent. 14 giugno 2016 (19 aprile 2016), n. 12191 - Pres. Rordorf - Rel. Ia-cobellis

Consorzi - Prestazioni di servizi - Prestazioni rese da consorzio - Attività commerciale con scopo di lucro -Ammissibilità - Differenza tra quanto fatturato dal consorzio al terzo committente e quanto fatturato dal con-sorziato al consorzio - Problematica configurabilità quali ricavi non fatturati - Natura dei rapporti tra consorzioe consorziati tra di essi e nei confronti dei committenti - Rilevanza

La causa consortile non è ostativa allo svolgimento, da parte della società consortile, di una distin-ta attività commerciale con scopo di lucro. Costituisce questione di merito l’accertamento in ordineai rapporti intercorsi tra la società consortile e la consorziata nell’assegnazione dei lavori o serviziai singoli consorziati e nella esecuzione delle commesse, che debbano essere oggetto di valutazio-ne caso per caso.

Il testo integrale della sentenzapuò essere richiesto [email protected]

www.edicolaprofessionale.com/gt

La finalità mutualistica dei consorzinon è incompatibile con il fine di lucro

ma il trattamento fiscale dipende dalla situazione di fattodi Andrea Venegoni (*)

È sempre più frequente la prassi per cui i consorzi o, meglio ancora, le società consortili, nontrasferiscono più integralmente costi e ricavi delle commesse alle società consorziate (il c.d. ri-baltamento), ma trattengono una quota di utili. Tale prassi, che a prima vista potrebbe apparirein contraddizione con la natura mutualistica dei consorzi, fa anche sorgere dubbi sul trattamen-to fiscale di tale operazione. Il Supremo Collegio esamina le relative questioni che vengono in ri-lievo in una serie di sentenze “gemelle” complesse, nn. 12190, 12191, 12192, 12193 e 12194del 2016, altamente tecniche, nelle quali si affermano alcuni principi di diritto importanti, qualequello della piena compatibilità tra finalità mutualistica dei consorzi e scopo di lucro, evidenzian-do, nel contempo, la presa di coscienza delle modalità operative dei grandi consorzi di oggi, chespesso assumono ed eseguono lavori in proprio, senza il contributo delle imprese consorziate.La necessità del ribaltamento dei costi e ricavi dipende, allora, anche dalle specifiche modalitàoperative del caso concreto, che devono essere esaminate dal giudice di merito, ma, ai fini fi-scali, non può prescindere dalla qualificazione del rapporto tra consorzio e consorziate. Solo selo stesso si configura in termini di mandato senza rappresentanza, la normativa fiscale sembranecessariamente richiedere il ribaltamento, a meno che la differenza di importi fatturati non co-

(*) Magistrato dell’ufficio del Massimario e del Ruolo dellaCorte di Cassazione

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stituisca la provvigione. Sorge, allora, un problema di onere della prova sulla qualificazione del-l’importo non trasferito.

Con una serie di recenti decisioni (1) le Sezio-ni Unite della Corte di cassazione si sono oc-cupate di un problema dall’ampia portata prati-ca e dal rilevante significato giuridico in temadi rapporti tra consorzi, o meglio società con-sortili, e società consorziate, ed, in particolare,dei riflessi fiscali della questione.In estrema sintesi, il problema, derivante dauna serie di accertamenti, è quello del c.d. ri-baltamento dei costi e dei ricavi alle singolesocietà consorziate.

I casi in questione

Nei casi in questione, tutti riconducibili allostesso consorzio, l’Agenzia aveva accertato neiconfronti delle singole consorziate maggiorioperazioni imponibili ed omesso versamentoIVA, in conseguenza dei rapporti tra le stesseed il consorzio di cui facevano parte. Quest’ul-timo, una società consortile per azioni, operavasulla base di un mandato senza rappresentanza,in virtù del quale (art. 1705 c.c.) agiva nell’in-teresse, e non nel nome, dei consorziati, acqui-siva commesse da terzi, le quali venivano poieseguite o dai singoli consorziati, o dal consor-zio stesso (che aveva una sua autonoma strut-tura), o in alcuni casi con un sistema misto,cioè in parte dal consorzio e in parte dai con-sorziati. Secondo l’Agenzia il consorzio, purpotendo operare come società commerciale,non avrebbe dovuto avere scopo di lucro, invirtù della sua stessa natura mutualistica e sullabase del principio generale desumibile dall’art.2602 c.c., per cui avrebbe dovuto “ribaltare” icomponenti attivi e passivi delle operazioni suisingoli consorziati con obbligo a carico di cia-scuna di esse di fatturazione dell’intero impor-to, naturalmente pro-quota.Invece, l’importo complessivo fatturato dalleconsorziate al consorzio era inferiore a quellofatturato da quest’ultimo ai terzi committenti,

cosicché la somma che il consorzio trasferivaal singolo consorziato, e che quest’ultimo fattu-rava al consorzio (sulla base di quanto ricevevaeffettivamente) non rappresentava l’intero am-montare della propria quota della commessa,ma una cifra inferiore, trattenendo il consorziola differenza (e giustificando ciò prevalente-mente a titolo di contributo delle consorziateai costi generali di gestione del consorzio, masenza che, in tal caso, vi fosse alcuna raffigura-zione contabile di tale imputazione degli im-porti).Sulla base di questi riscontri a carico del con-sorzio, l’Amministrazione finanziaria procedevaconseguentemente all’accertamento anche neiconfronti di queste ultime, non solo ai fini del-le imposte dirette, ma anche dell’IVA.Sia la Commissione tributaria provinciale chela Commissione tributaria regionale riteneva-no, però, legittima la modalità operativa sopradescritta. Per questo, l’Agenzia ricorreva inCassazione.La questione veniva, poi, rimessa alle SezioniUnite perché la Sezione tributaria osservavache, mentre esiste un filone giurisprudenzialesecondo cui il consorzio deve sempre ribaltaretutti gli utili e i costi sulle consorziate (Cass.,n. 13293/2011, n. 13294/2011, n. 13295/2011,n. 14780/2011, n. 20778/2013) in virtù dellasua funzione mutualistica, dall’altro esiste unorientamento basato sull’autonoma soggettivitàgiuridica e fiscale del consorzio rispetto alleimprese consorziate, per cui lo stesso può svol-gere attività commerciale e conseguire utili. Intale visione, lo scopo di lucro è inteso comeeconomicità della gestione dell’attività svoltadal consorzio, e non è in contraddizione con loscopo di mutualità, ravvisabile in una migliorerazionalizzazione dei costi generali di gestioneche va a beneficio delle singole imprese con-sorziate (Cass., n. 24014/2013).

(1) Cass., SS.UU., 19 aprile 2016, nn. 12190, 12191, 12192,12193 e 12194.

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Va detto subito che la conclusione delleSS.UU., in linea con quelli che sembrano esse-re gli orientamenti più recenti della dottrinache si è occupata specificamente di un argo-mento così settoriale, afferma l’importanteprincipio di diritto per cui la causa mutualisti-ca non osta allo svolgimento, da parte della so-cietà consortile, di una distinta attività conscopo di lucro, ed appare poi tenere conto del-la modernità e complessità di oggi nei rapportitra consorzi e società consorziate, tale per cuila disciplina fiscale non può prescindere daun’analisi di fatto di ciascuna situazione, e,proprio per questo, la sentenza rinvia nuova-mente gli atti al giudice di merito per un esa-me della questione sotto tale punto di vista.Per arrivare a ciò, però, le sentenze danno con-to di un percorso a tappe progressive che coin-volge necessariamente una serie di questioninon solo di diritto tributario.In particolare, le questioni riguardano:a) se un consorzio possa ritenersi dotato di pro-pria soggettività ai fini prima civilistici e poifiscali;b) se, ammesso ciò, la finalità mutualistica chelo caratterizza sia compatibile con lo svolgi-mento di attività aventi scopo di lucro;c) come si configuri, nella realtà odierna ed intermini giuridici, il rapporto tra consorzio e so-cietà consortili;d) quali siano le conseguenze dal punto di vi-sta fiscale.

Soggettività dei consorzi

Sul primo punto, dopo alcuni dubbi, è certa-mente ormai acquisito il concetto secondo cuiil consorzio abbia propria personalità civilisti-ca, distinta rispetto alle società consorziate (2).I dubbi sulla soggettività civilistica e fiscale sisono, a maggior ragione, diradati dopo l’intro-duzione della possibilità per i consorzi di assu-mere forma societaria ed integrare una società

consortile, figura prevista nel nostro ordina-mento a partire dalla Legge 10 maggio 1976,n. 377 (3) che ha introdotto l’art. 2615-terc.c. (4).La Corte di cassazione, in varie decisioni, hapiù volte ha posto in luce l’autonomia della so-cietà consortile rispetto alle società consorzia-te, e la sua specificità anche rispetto ai consor-zi non in forma societaria, autonomia che si ri-flette nell’enunciazione di alcuni principi inderoga a quelli generali e dalla quale si puòtrarre la conseguenza della soggettività non so-lo ai fini civilistici, ma anche fiscali. Nellasentenza n. 18113/2003 (5), in particolare, laCorte si è occupata per la prima volta del pro-blema, ai fini esclusivamente civilistici, dellaresponsabilità dei soci (che nella specie eranoa loro volta delle società) verso terzi per obbli-gazioni assunte dalla società consortile, affer-mando che la forma societaria prevale sullenorme che disciplinano la responsabilità deiconsorzi, ed in particolare l’art. 2615 c.c., se-condo cui per le obbligazioni assunte dagli or-gani del consorzio per conto dei singoli consor-ziati rispondono questi ultimi solidalmente colfondo consortile. In sostanza, ha affermato laSuprema Corte, quando il consorzio ha formadi società di capitali, la responsabilità dei socinon è regolata dall’art. 2615 c.c., ma prevalgo-no le regole del tipo societario, per cui i socinon rispondono in proprio delle obbligazionidella società consortile di capitali.

Finalità mutualistica e scopo di lucro

Chiarito, dunque, che la società consortile,specie se di capitali, ha piena soggettività giu-ridica, si tratta di compiere un passo ulteriorenell’analisi. Si tratta, cioè, di valutare se unasocietà consortile sia sempre caratterizzata dafinalità mutualistica e se, allora, questa siacompatibile con lo scopo di lucro. Se così nonfosse, infatti, i ricavi ed i costi dell’attività,

(2) Per una panoramica anche storica sull’evoluzione dellasoggettività anche tributaria dei consorzi esterni si veda M. In-terdonato, Il regime fiscale dei consorzi tra imprenditori, Milano,2004, pag. 35 ss.

(3) Che ha modificato anche altre disposizioni in materia diconsorzi; in generale si veda A. Frignani, “Le nuove norme suiconsorzi”, in Giur. Comm., 1976, pag. 587.

(4) Art. 2615-ter c.c.1. Le società previste nei capi III e seguenti del titolo V pos-

sono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’art.2602 c.c.

2. In tal caso l’atto costitutivo può stabilire l’obbligo dei socidi versare contributi in denaro.

(5) Sez. I, n. 18113/2003, RV 568493 e 568494.

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condotta con causa mutualistica, dovrebberoessere riferiti direttamente alle singole societàconsorziate. Ora, la dottrina commerciale mag-gioritaria ritiene che la causa consortile, intesacome finalità sociale ed economica del con-tratto di consorzio, abbia natura mutualisti-ca (6). La mutualità consortile consisterebbenello svolgimento o nella disciplina in comunedi una o più fasi delle imprese consorziate alloscopo di conseguire direttamente nelle econo-mie di queste ultime un vantaggio di naturaeconomica il quale potrà normalmente tradursiin maggiori entrate o minori spese per le con-sorziate. In base a ciò, la società consortile do-vrebbe essere caratterizzata dall’assenza di sco-po di lucro. Spesso, gli stessi consorzi, anche informa di società consortile, si definiscono neipropri statuti come enti che non perseguonoscopo di lucro. Tuttavia, le analisi dottrinalispecifiche sull’argomento evidenziano che lesocietà consortili, proprio in quanto societàanche di capitali, e quindi soggetti che svolgo-no attività commerciale e dotate di propriapersonalità giuridica, svolgono sempre più atti-vità complesse, anche avvalendosi di una pro-pria autonoma struttura, e non limitandosi adoperare tramite le consorziate. Non si limitano,così, ad aggiudicarsi appalti che poi distribui-scono per l’esecuzione alle imprese consorziate,ma, in alcuni casi, entrano in contatto con iterzi anche in proprio ed a tale titolo eseguonoi lavori anche tramite proprio personale; in al-tri casi ancora ciò avviene anche congiunta-mente alle società consorziate. In tale situazio-ne, la dottrina ritiene che il profitto che derivada tali attività possa costituire utile della socie-tà consortile (7). Questo pone però il problema

della compatibilità con la finalità mutualistica.Secondo la stessa dottrina, in realtà propriodalla legge può ricavarsi la non incompatibilitàdi scopo di lucro e finalità consortile; dal com-plesso delle disposizioni della Legge 21 maggio1981, n. 240, ed in particolare dagli artt. 1 e 4,infatti, si deduce che la normativa concedeagevolazioni alle società consortili i cui statutiescludano la distribuzione di utili, circostanzada cui dovrebbe dedursi, a contrario, la possibi-lità per le società consortili in generale di con-seguire e distribuire utili (8).Scopo di lucro e finalità mutualistica nelle so-cietà consortili, in particolare di capitali, ten-dono quindi oggi a non essere più consideratiincompatibili, in particolare nel momento incui si fa riferimento al concetto di “lucro og-gettivo” (cioè lo svolgimento di un’attivitàcommerciale secondo criteri economici) anzi-ché a quello di “lucro soggettivo” (cioè il con-seguimento di un’utilità economica personalein capo ai singoli partecipanti alla persona giu-ridica) (9). Anche su questo argomento la giu-risprudenza della Corte viene in soccorso. Aproposito di società cooperative, per esempio,la Corte ha generalmente riconosciuto la possi-bilità di fallimento, proprio perché, nonostantela finalità mutualistica, le stesse possono svol-gere attività commerciale, atteso che per laqualificazione di un’impresa come commercialerileva il perseguimento del lucro oggettivo,cioè il rispetto dei criteri di economicità dellagestione; la società cooperativa, quindi, puòavere scopo di lucro, ed ugualmente la societàconsortile (10).Piuttosto si può porre un problema di propor-zione tra le due finalità, nel senso che in una

(6) Si veda M. Interdonato, Il regime fiscale dei consorzi, cit.,pag. 172, A. Borgioli, “Consorzi e società consortili”, in Cicu -Messineo (diretto da), Trattato di diritto civile e commerciale,Milano, 1985, pag. 95 ss., G. Volpe Putzolu, “I consorzi per ilcoordinamento della produzione e dello scambio”, in Galgano(diretto da), Trattato di diritto commerciale e diritto pubblicoeconomico, Padova, 1981, G. Minervini, “La nuova disciplinadei consorzi”, in Giur. Comm., 1982, I, pag. 873.

(7) Si veda al riguardo A. Propersi - G. Rossi, “I consorzi”, inI manuali di Guida al Diritto, Gruppo 24 Ore, 21a edizione,2010, pag. 55, nonché G. Cottino, Diritto commerciale, Vol. I,tomo 2, CEDAM, 1987, pag. 63.

(8) A. Propersi - G. Rossi, cit.; A. Borgioli, Consorzi e societàconsortili, Milano, 1985, pag. 137; R. Rordorf, “Finalità consor-tili e società di capitali”, in Impresa, n. 3/1983, pag. 1202, inve-

ce, la interpreta come norma che conferma la deroga nelle so-cietà consortili ai principi generali in materia societaria.

(9) Si veda A. Giovannini, “Impresa commerciale e lucro nel-le imposte dirette e nell’IVA”, in Riv. dir. trib., n. 5/2012, pag.467.

(10) Sez. I, n. 6835 del 24 marzo 2014. Si vedano ancheSez. I, n. 9513 dell’8 settembre 1999, Sez. V, n. 13423 del 9 ot-tobre 2000, Sez. V, n. 5839 del 16 maggio 1992, e Sez. V, n.13854/2004, secondo cui a proposito dell’attività di un consor-zio “È appena il caso di sottolineare che, ai fini della commer-cialità dell’attività, è sufficiente che questa sia svolta secondointenti di economicità, cioè che sia diretta all’equilibrio gestio-nale (a nulla rilevando che non si persegua un profitto o co-munque un fine di lucro, in sé non essenziali per l’esercizio diun’attività commerciale)”.

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società consortile lo scopo di lucro non do-vrebbe essere prevalente, ma strumentale ri-spetto a quello mutualistico (11), sebbene poinella pratica possa non essere sempre semplicestabilire quando una finalità prevalga sull’altra;la questione, peraltro, non è irrilevante perchése, infatti, lo scopo di lucro fosse prevalente suquello mutualistico, non si dovrebbe più parla-re di società consortile, ma di società lucrativaordinaria che persegue, in via secondaria, an-che uno scopo mutualistico, con tutte le con-seguenze, per esempio, in termini di norme ap-plicabili alla struttura, organizzazione e gestio-ne della società.Va anche aggiunto che, naturalmente, la que-stione della compatibilità della forma di socie-tà consortile con lo scopo di lucro va conside-rata in concreto, analizzando il merito dell’atti-vità posta in essere dalla stessa società, doven-dosi valutare il tipo di operazioni che la stessarealizza.In conclusione, scopo di lucro e finalità mu-tualistica non sono tra loro incompatibili.

Qualificazione del rapportotra consorzio e consorziate

Posto, quindi, che i consorzi e soprattutto lesocietà consortili sono dotati di una propriasoggettività anche tributaria, che possono svol-gere attività commerciale e che scopo mutuali-stico e fine di lucro non sono necessariamentein conflitto e possono coesistere soprattutto inrelazione a determinate modalità operative delconsorzio, si tratta di vedere se ulteriori ele-menti per l’analisi della questione del ribalta-mento dei costi e ricavi possano dedursi dallatipologia di rapporto che si instaura tra societàconsorziate e società consortile, quando la stes-sa svolge attività esterna ed assume lavori daterzi.In passato si è spesso fatto ricorso ad istituti didiritto privato per inquadrare tale rapporto,quali il mandato, la commissione o l’agenzia, ilsubappalto.

La differenza tra gli importi delle fatturazioni,infatti, in via teorica, si potrebbe giustificareanche in quanto provvigione nell’ambito di unrapporto di mandato, oppure semplicementeinquadrando il rapporto tra consorzio e consor-ziate come subappalto, per cui la differenzarappresenterebbe un ricarico applicato dal su-bappaltante (il consorzio) nell’affidamento deilavori ai subappaltatori (le società).Se il consorzio operasse quale mandatario conrappresentanza (art. 1704 c.c.), non solo perconto, ma anche in nome delle società consor-ziate, in capo alle quali si verificheranno gli ef-fetti del negozio, le imputazioni civilistiche efiscali dovrebbero fare capo direttamente alleimprese consorziate. Il ribaltamento integraledei costi e ricavi è quindi, in tal caso, quasiuna naturale conseguenza dello schema giuridi-co posto in essere.Tuttavia, il rapporto tra società consorziate econsorzio è per lo più inquadrato in termini dimandato senza rappresentanza, di cui all’art.1705 c.c., in quanto caratterizzato dalla assun-zione diretta da parte del mandatario (la socie-tà consortile) del vincolo negoziale nei con-fronti dei terzi, con esclusione di un rapportodiretto tra terzi e mandanti (le società consor-ziate). Tale qualificazione, invece, sulla solabase dei principi civilistici, non è risolutiva perstabilire se essa comporti necessariamente il ri-baltamento dei costi e ricavi tra il consorzio ele consorziate.In merito, poi, all’inquadramento del rapportotra consorzio e consorziate come subappalto,va osservato che quando il consorzio trasferiscel’onere della esecuzione delle commesse sulleconsorziate, assume le stesse già per conto diqueste ultime, mentre non sembra potersi so-stenere che in un rapporto di appalto e subap-palto l’appaltatore operi per conto delle subap-paltatrici. Del resto la giurisprudenza ammini-strativa in materia di opere pubbliche haespressamente statuito che “gli affidamenti daparte del consorzio ai consorziati non costitui-scono in nessun caso subappalto” (12), mentre

(11)M. Spolidoro, Le società consortili, Milano, 1984, pag.130.

(12) Cons. Stato, Sez. VI, n. 8720 del 24 dicembre 2009.

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non è escluso che il consorzio possa procederea subappalti a terzi diversi dai consorziati.Anche un dato normativo soccorre a sostenerela tesi della non inquadrabilità del rapportonella figura del subappalto, in quanto l’art. 141del D.P.R. n. 554/1999, in materia di esecuzio-ne di opere pubbliche, afferma espressamenteche “l’affidamento dei lavori da parte dei sog-getti di cui all’art. 10, comma 1, lett. b) e c) aipropri consorziati non costituisce subappalto”,e i soggetti cui fa riferimento la norma richia-mata sono esattamente i consorzi fra societàcooperative di produzione e lavoro, i consorzitra imprese artigiane, i consorzi stabili costitui-ti anche in forma di società consortili ai sensidell’art. 2615-ter c.c.

Aspetti fiscali del mandatosenza rappresentanza

La qualificazione giuridica più frequente, an-che se non esclusiva, del rapporto tra consorzioe consorziate è, quindi, quello del mandatosenza rappresentanza. A questo proposito, unulteriore elemento di riflessione sulla questionedeve essere introdotto. Occorre, infatti, verifi-care la disciplina fiscale del mandato senza rap-presentanza, poiché le norme fiscali su questotipo di negozio determinano degli interrogativisulla possibilità di non ribaltare integralmentei ricavi. In particolare, si opporrebbero al man-cato ribaltamento, in qualità di mandatariosenza rappresentanza, proprio le norme fiscalisull’IVA, ed in particolare l’art. 3, comma 3,del D.P.R. n. 633/1972 (13) e l’art. 6, paragrafo

4, della VI Direttiva IVA del Consiglio dell’U-nione 77/388 che, in sostanza, prevedono lastessa base imponibile per la tassazione sia del-la prestazioni tra mandatario e terzo che diquella tra mandatario e mandante (14). Ai finiIVA, cioè, nel mandato senza rappresentanzauna differenza patrimoniale tra le due presta-zioni non sarebbe ammissibile, a meno chenon si tratti esplicitamente della provvigionedel mandatario (art. 13, comma 2, D.P.R. n.633/1972), ma in tal caso la circostanza do-vrebbe essere manifestamente dichiarata sindall’inizio e trovare riscontro nelle scritturecontabili (15).Peraltro, al di là dell’aspetto della provvigione,invece, anche all’analisi del problema specificodella giustificazione di una differenza di impor-ti fatturati tra consorzio e consorziate nell’am-bito del mandato non è estranea la modalitàoperativa del consorzio, perché la dottrina chesi è occupata specificamente dell’argomen-to (16) ha evidenziato che la teoria che sostie-ne che tra consorzio e consorziate deve semprerealizzarsi l’integrale ribaltamento dei costi eprofitti non tiene conto della diversità di fatti-specie con cui può operare il consorzio ed im-pone il ribaltamento formale ed integrale an-che per quelle situazioni, verificatesi anche nelconsorzio, in cui lo stesso opera in proprio, conpropria organizzazione di mezzi e personale.Anche in tal caso, quindi, la questione va ana-lizzata alla luce dell’attività concreta posta inessere dal consorzio ed in particolare tenendoben distinte situazioni tra loro diverse.

(13) La disciplina sull’IVA prevede all’art. 3, comma 3, delD.P.R. 633/1972, che “le prestazioni di servizi rese o ricevutedal mandatario senza rappresentanza sono considerate presta-zioni di servizi anche nei rapporti tra il mandante ed il manda-tario”. Ai fini IVA, con una fictio iuris, l’operazione viene dupli-cata e considerata come se fossero due distinte operazioni:una tra il mandatario e il terzo, l’altra tra il committente ed ilmandatario. L’art. 13, comma 2, lett. b), del D.P.R. n.633/1972, prevede che nelle operazioni tra il mandante ed ilmandatario la base imponibile venga quantificata nel prezzopattuito dal mandatario con il terzo, aumentato o diminuitodell’eventuale provvigione spettante al mandatario, e l’art. 3,comma 4, lett. h), del D.P.R. n. 633/1972, esclude che le pre-stazioni dei mandatari di cui all’art. 13 possano considerarsiprestazioni di servizi. Per L. Castaldi, “Le operazioni imponibi-li”, in Tesauro (diretta da), Giurisprudenza sistematica di dirittotributario - L’imposta sul valore aggiunto, Torino, 2001, pag. 63,tale configurazione metterebbe in rilievo l’esatto inquadramen-to giuridico dei rapporti tra mandante-mandatario e mandata-

rio-terzo sotto il versante sostanziale, al contempo escludendol’autonoma rilevanza impositiva alle prestazioni di servizio resedal mandatario. Per un commento all’art. 13, D.P.R. 633/1972si vedano G. Zizzo, “Art. 13 (Commento)”, in Centore (a curadi), Codice IVA nazionale ed internazionale, 2010, pag. 447; G.Stancati, “Art. 13 (Commento)”, in Falsitta - Fantozzi - Maron-giu - Moschetti, Commentario breve alle leggi tributarie - IVA eimposte sui trasferimenti, 2011, IV, pag. 173; G. Mandò - D.Mandò, Manuale dell’imposta sul valore aggiunto, 2010, pag.326-327.

(14) Si veda Sez. V, n. 27321/2014, RV 634120, che richiamaanche CGE, 14 luglio 2011, in causa C-464/10, risoluzione Mi-nistero delle Finanze 27 settembre 1999, n. 146.

(15)Nel senso che la provvigione debba essere esclusa dal-la base imponibile IVA si veda risoluzione Agenzia delle entra-te, Dir. Centrale Normativa e Contenzioso, 30 luglio 2002, n.250.

(16)M. Interdonato, Il ribaltamento obbligatorio di costi e ri-cavi, pag. 523 ss.

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Quando i lavori sono svolti integralmente dal-le consorziate che ne sostengono anche i costi,mentre il consorzio svolge solo opera di coordi-namento, lo schema del mandato è compatibi-le con tale situazione, ed in effetti la normati-va IVA, scindendo il rapporto in due prestazio-ni (tra mandante e mandatario e mandatario eterzo) ed affermando che la base imponibileper entrambe le prestazioni è data dal prezzodella prestazione pattuito tra mandatario e ter-zo, richiede che tra le stesse vi sia equivalenza,restando a carico del consorzio solo i costi nonimputabili a commessa, da coprire con il siste-ma dei contributi dei consorziati. In tale situa-zione, le singole imprese fattureranno al con-sorzio, ciascuna per la propria parte, il corri-spettivo di quanto eseguito fino a raggiungereil prezzo finale del contratto tra consorzio ecommittente, ed il consorzio addebiterà pro-quota i costi per l’attività di coordinamento efatturerà al terzo committente l’importo del-l’appalto.Anche nel caso in cui il consorzio ponga in es-sere solo una parte del processo produttivo, èancora ravvisabile la compatibilità con lo sche-ma del mandato senza rappresentanza.Ma sempre più frequentemente si verificanoanche casi in cui alcune commesse sono assun-te dal consorzio in proprio, senza alcun legamecon l’attività consortile, e le prestazioni sonoeseguite interamente dal consorzio con proprimezzi e una propria struttura, senza interventodelle società consorziate.In tal caso, diventa difficile inquadrare i rap-porti tra società consorziate e società consortilenei termini del mandato e questo, secondo glistudiosi, dovrebbe condurre a rivalutare la ne-cessità del ribaltamento integrale.Oltretutto, osserva la dottrina (17), anche ildato letterale della legge non sembra richiede-re necessariamente tale modalità, poiché gliartt. 2602 ss. c.c. non imporrebbero necessaria-mente il ribaltamento tecnico integrale di costie ricavi, potendo l’assunzione di rischi da partedelle consorziate, nei casi in cui il consorzio

svolge l’intera attività, avvenire anche concompensazioni, purché il risultato economicoemerga nelle economie delle consorziate e siazzeri o riduca nella stessa misura in capo alconsorzio.Tale affermazione non è in contrasto col prin-cipio, più volte richiamato dalla Cassazionenelle sentenze in cui ha sancito l’obbligo di ri-baltamento, secondo cui la società consortileper sua natura e funzione, oltre che per scopo,non ha un proprio interesse economico né pro-duce un reddito proprio. Resta, infatti, incon-testabile che l’attività principale del consorzio(denominata così anche l’ipotesi di societàconsortile) non può che essere mutualistica,escludendo con ciò il perseguimento di un in-teresse economico/lucrativo in via principale.Tuttavia, per la dottrina, tale interesse può es-sere perseguito in via marginale e secondaria.In questi casi, in cui lo scopo mutualistico èfortemente attenuato se non assente, la dottri-na sostiene che il ribaltamento formale ed in-tegrale dei costi e ricavi sarebbe veramente po-co giustificato e oltretutto la sua assenza nongenera di per se’ sola un salto di imposta (18).Certo, altra dottrina ha messo in luce che, inrelazione all’ipotesi di appalto eseguito intera-mente dal consorzio, si potrebbero sollevaredubbi sulla reale attività mutualistica del con-sorzio, ed anche ipotizzare “una sorta di abu-so” (19) dell’utilizzo di tale strumento. In talicasi, infatti, il consorzio non svolgerebbe unservizio per conto delle consorziate, ma porreb-be in essere un’attività completa, della qualesostiene costi e spese, e ciò determinerebbel’imputazione in capo solo al consorzio anzichéalle consorziate del risultato economico diquella specifica attività svolta, concetto cheperò, secondo tale dottrina, non appare in li-nea con il principio di cui all’art. 2615 c.c. se-condo cui il rischio di impresa deve comunquegravare anche sulle società consorziate. Inoltre,sempre la dottrina, ha messo in luce come nonesista una norma che imponga ai consorzi dichiudere in pareggio i loro bilanci, ma il pareg-

(17)M. Interdonato, Il ribaltamento obbligatorio, cit., pag.532.

(18)M. Interdonato, Il ribaltamento obbligatorio, cit., pag.

533.(19) P. Ladisa, Il regime tributario, cit., pag. 566.

GiurisprudenzaSezioni Unite

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gio di bilancio è la conclusione logica che de-riva dallo scopo mutualistico e dal fatto che ilconsorzio opera per conto dei consorziati. Uneventuale utile maturato in capo al consorzioandrebbe a scapito delle consorziate e, per taledottrina, non sarebbe confacente con la finali-tà mutualistica del consorzio (20).Peraltro, si è già evidenziato in precedenza co-me anche la giurisprudenza della Corte abbiaritenuto il principio di responsabilità solidaledei soci, di cui all’art. 2615 c.c., non applicabi-le interamente alle società consortili, per cuitale norma non deve necessariamente esserepresa come riferimento per sostenere che, poi-ché la responsabilità grava sui soci, ad essi de-vono anche essere imputati integralmente costie ricavi del consorzio, potendo i primi esserecoperti anche da utilità prodotte autonoma-mente dal consorzio in maniera marginale.Per l’attività marginale che il consorzio svolgein proprio, svicolata dalla finalità mutualistica,quindi, secondo la dottrina non può neppurepiù parlarsi di uno svolgimento di mandato e,conseguentemente, neppure di provvigio-ne (21). Nel caso di attività svolte marginal-mente o occasionalmente dal consorzio inautonomia, senza l’impiego delle consorziate,pertanto, ci si troverebbe al di fuori dell’ambi-to di operatività degli art. 3 e 13 del D.P.R. n.633/1972, venendo il servizio reso autonoma-mente dal consorzio (22).Questo dovrebbe comportare il superamentodel principio dell’equivalenza tra la prestazionetra mandante e mandatario e quella tra manda-tario e terzo, e quindi le norme sul mandatonon costituirebbero più un ostacolo all’esisten-za di una differenza negli importi fatturati,semplicemente perché per tale parte di attivitànon si è in presenza di un rapporto di manda-to (23).

Peraltro, tutto ciò potrebbe spiegare la diffe-renza di importi fatturati sul complesso delleoperazioni poste in essere nel corso di una an-nualità, ma non sulla singola commessa assun-ta per conto delle consorziate. Per queste, allo-ra, la differenza potrebbe essere ammessa, nel-l’ambito del mandato, unicamente a titolo diprovvigione, quando ne ricorrano i presuppostie a condizione che la stessa sia espressamenteevidenziata (24).In realtà, però, la dottrina che ha analizzatospecificamente la questione tende sempre più aporre in luce la complessità del rapporto sud-detto e la difficile inquadrabilità del rapportotra società consorziate e consorzio nel manda-to, ritenendo che il rapporto debba essere in-quadrato autonomamente nella figura che èstata definita (25) “vincolo consortile”, analo-go a quello societario; va notato al riguardoche esistono precedenti giurisprudenziali se-condo cui mentre l’associazione temporanea diimprese si caratterizza per il rapporto di man-dato, la società consortile si caratterizza perl’applicazione delle norme codicistiche consor-tili e societarie che rafforzano ancora di più ilrapporto associativo che il consorzio di per sécomporta, cosicché l’adozione all’interno delfenomeno consortile del modello organizzativosocietario comporta necessariamente una sceltasul piano strutturale tra gli istituti di riferimen-to che sono il contratto di mandato e quello disocietà, le cui discipline non sono promiscua-mente applicabili. Conseguentemente, se an-che al consorzio nella sua forma più semplice èpossibile applicare il modello giuridico delmandato, al pari dell’associazione temporaneadi imprese, nel momento in cui contratta con iterzi quel modello si appalesa impraticabile afronte della formula societaria prescelta, checon il mandato non ha alcuna affinità (26).

(20) P. Ladisa, Il regime tributario, cit., pag. 567.(21) Si veda risoluzione Ministero delle Finanze 30 aprile

1998, n. 31.(22) Peraltro Sez. V, n. 26480 del 17 dicembre 2014, ha rite-

nuto necessario il ribaltamento integrale anche rispetto a so-cietà del consorzio che nell’anno in questione non avevanopartecipato all’esecuzione di lavori, e quindi per profitti e costiper lavori estranei alla società consorziata.

(23) Si veda anche S. Cerato - G. Popolizio, “La disciplina

IVA del mandato senza rappresentanza”, in il fisco, n. 43/2007,pag. 6237.

(24)G. Cascardo, “Il ribaltamento di costi e ricavi tra consor-zio e consorziate”, in Cooperative e consorzi, n. 12/2011, pag.13.

(25)M. Interdonato, Il regime fiscale dei consorzi, cit., pag.197.

(26) Sez. I, n. 77/2001.

GiurisprudenzaSezioni Unite

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Considerazioni conclusive

In conclusione, in linea con quanto, in sintesi,affermano le stesse Sezioni Unite, le varie mo-dalità operative del consorzio dovrebbero esse-re tenute distinte.Per le operazioni che il consorzio effettua inautonomia, per le quali la dottrina ipotizza cheil ribaltamento non sia necessario, si deve rite-nere che ci si trovi al di fuori di operazioni at-tinenti al rapporto consorzio\società consor-ziata.Per i casi in cui invece il consorzio opera perconto delle consorziate, e secondo lo schemapiù comune del mandato senza rappresentanza,al di là del principio della equivalenza delleprestazioni di cui all’art. 3, D.P.R. n. 633/1972,occorre anche tenere presenti le regole com-plessive sulla liquidazione e assolvimento del-l’imposta per valutare se il meccanismo dimancato ribaltamento non produca qualche ri-sultato diverso da quello che si otterrebbe, in-vece, con il meccanismo di ribaltamento inte-grale; si pensi, per esempio, alle regole sulla de-traibilità dell’imposta, sulle quali possono esi-stere delle differenze soggettive tra mandante emandatario, oppure oggettive.Come è stato messo in luce dalla dottrina, in-fatti, è ben possibile che il mancato ribalta-mento permetta di conseguire un risparmio fi-scale indebito (27). Si porta ad esempio il casoin cui il mancato ribaltamento di costi generalicoperti attraverso il parziale ribaltamento di

corrispettivi nell’ambito dell’attività mutuali-stica comporti che il consorzio, anziché le con-sorziate, detragga l’IVA sugli acquisti afferentitale attività. Se le consorziate fossero soggettea limiti al diritto alla detrazione, il mancato ri-baltamento potrebbe, in assenza di ragioni eco-nomiche, costituire un aggiramento degli ob-blighi di fatturazione e delle norme sul dirittoalla detrazione con vantaggio in termini di ri-duzione del carico tributario. Questo aspetto èstato sviluppato nelle analisi anche con specifi-co riferimento al rapporto di mandato (28), ri-tenendosi che le regole sulla indetraibilità og-gettiva dell’IVA sugli acquisti, nei casi di cuiall’art. 19-bis1 del D.P.R. n. 633/1972, all’in-terno del rapporto di mandato senza rappresen-tanza non si applichino al mandatario, per cuisull’acquisto di un bene, mentre il mandatariopotrebbe portare in detrazione tutta l’IVA, lostesso potrebbe non avvenire per il mandante(la società consorziata). Con il meccanismo inquestione quindi, si è visto come la dottrinaipotizzi che sulla base del complesso delle rego-le per la liquidazione dell’imposta vi possonoessere situazioni potenziali in cui l’applicazionedel meccanismo posto in essere nella speciepotrebbe portare a risultati diversi da quelliche si produrrebbero col meccanismo del ribal-tamento integrale.Questi elementi dovranno ora essere rivalutatidal giudice del merito sulla base della situazio-ne concreta dei casi oggetto di analisi.

(27)M. Interdonato, Il ribaltamento obbligatorio di costi e ri-cavi, cit., pag. 541.

(28) G. Rebecca - E. Zanetti, “Mandato senza rappresentan-za: aspetti contabili e fiscali”, in Lex24, n. 10, settembre 2003,pag. 962, circolare Agenzia delle entrate, 18 giugno 2001, n.

58 (risposta 5.2); risoluzione Agenzia delle entrate, 4 giugno2002, n. 168; risoluzione Agenzia delle entrate, 28 gennaio2005, n. 10, in materia di indetraibilità dell’IVA sull’acquistodei servizi di telefonia mobile.

GiurisprudenzaSezioni Unite

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Rassegnadi Cesare Glendi

PROCESSO TRIBUTARIO

GIURISDIZIONE

Cass., SS.UU., Sent. 31 maggio 2016 (3 maggio2016), n. 11379 - Pres. Rordorf - Rel. De Stefa-no

Domanda risarcitoria per illecita iscrizione d’ipoteca- Fattispecie anteriore all’entrata in vigore del D.L.n. 223/2006 - Giurisdizione del giudice ordinario -Sussistenza

In tema di riscossione tributaria, la domanda ri-sarcitoria proposta verso il concessionario per il-lecita iscrizione d’ipoteca esattoriale in fattispe-cie anteriore all’entrata in vigore dell’art. 35,comma 26-quinquies, del D.L. n. 223/2006, nonpuò essere respinta dal giudice ordinario a ragio-ne della devoluzione al giudice tributario dellapretesa a cautela della quale l’ipoteca è stataiscritta, poiché tale pretesa è solo il presuppostodi legittimità della condotta dell’agente della ri-scossione e riguarda una questione pregiudizialeconoscibile dal giudice ordinario, cui è devolutala domanda principale risarcitoria.

NOTARichiamando i propri precedenti sul punto (Cass.,SS.UU., n. 14506, retro, n. 10/2013, pag. 761; Id.,n. 15593/2014, retro, n. 2/2015, pag. 109; Id., n.23835/2015, retro, n. 2/2016, pag. 127), le SezioniUnite hanno ritenuto sussistere la giurisdizionedell’a.g.o. a fronte di una domanda di risarcimentodanni proposta da un contribuente nei confronti diEquitalia per illegittima iscrizione d’ipoteca a suocarico, basata, da una parte, sull’avvenuta estin-zione della pretesa impositiva (a seguito, in variaguisa, di già effettuati pagamenti, intervenuto con-dono, e giudicato tributario anteriormente forma-tosi) e sull’insussistenza, dall’altra parte, dei pre-supposti cautelari e sulla “sproporzione della misu-ra cautelare adottata”, anche “in relazione al suostato patrimoniale e reddituale”, fondando la deci-sione, sia sull’essere stata la controversia propostaanteriormente “alla riforma introdotta dall’art. 35,comma 26-quinquies, del D.L. 4 luglio 2006, n.

223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4agosto 2006, n. 248, che ha ampliato la categoriadegli atti impugnabili dinanzi alle Commissioni tri-butarie, ad esse devolvendo espressamente anchele controversie aventi ad oggetto l’impugnazionedel provvedimento d’iscrizione di ipoteca sugli im-mobili, al quale l’Amministrazione finanziaria puòricorrere in sede di riscossione delle imposte suiredditi, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n.602, art. 77”, e sia perché, in generale, “qualora ladomanda di risarcimento dei danni sia basata sucomportamenti illeciti tenuti dall’Amministrazionefinanziaria dello Stato o di altri enti impositori, lacontroversia, avendo ad oggetto una posizione so-stanziale di diritto soggettivo del tutto indipenden-te dal rapporto tributario, è devoluta alla cognizio-ne dell’Autorità giudiziaria ordinaria, non potendosussumersi in una delle fattispecie tipizzate che, aisensi del D.Lgs. n. 546/1992, art. 2, rientrano nellagiurisdizione esclusiva delle Commissioni tributa-rie; infatti, anche nel campo tributario, l’attivitàdella P.A. deve svolgersi nei limiti posti, non solodalla legge, ma anche dalla norma primaria del ne-minem laedere, per cui è consentito al giudice or-dinario - al quale è pur sempre vietato stabilire seil potere discrezionale sia stato, o meno, opportu-namente esercitato - accertare se vi sia stato, daparte dell’Amministrazione, un comportamentocolposo tale che, in violazione della suindicata nor-ma primaria, abbia determinato la violazione di undiritto soggettivo”, così come specificamente sta-tuito dalle stesse Sezioni Unite con la pronuncia n.15/2007, espressamente ricordata anche nei pre-cedenti ultimamente citati, con l’ulteriore precisa-zione che, nel caso “invalido è il rigetto della do-manda fondato sulla reputata carenza di giurisdi-zione del giudice ordinario, per essere l’oggettoimmediato di quella una pretesa risarcitoria e de-gradando la pretesa tributaria a mero presuppostodella prima, resa oggetto di una questione inciden-tale di natura pregiudiziale, sulla quale pienamentesussiste la giurisdizione del giudice ordinario in ra-gione dell’oggetto della domanda principale e deltempo in cui essa è stata proposta (anteriore allanovella del 2006, dopo la quale, invece, ogni con-troversia è devoluta al giudice tributario)”.

RassegnaSezioni Unite

24 GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017

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IMPUGNAZIONI

Cass., SS.UU., Sent. 31 maggio 2016 (24 mag-gio 2016), n. 11383 - Pres. Canzio - Rel. Giusti

Procedimento di cassazione - Comunicazione daparte del cancelliere dei documenti tramite depositoin cancelleria - Trasmissione via pec e fax non anda-ta a buon fine - Necessità

Nel procedimento di cassazione, ai sensi degliartt. 136 e 366 c.p.c., in virtù di un’interpretazio-ne orientata all’effettività del diritto di difesa ealla ragionevole durata del processo, il cancel-liere può eseguire la comunicazione dei provve-dimenti tramite deposito in cancelleria (sempreche il difensore non abbia eletto domicilio inRoma) solo se non è andata a buon fine la tra-smissione a mezzo posta elettronica certificata,né quella via fax.

NOTABenché non riguardi specificamente la materia tri-butaria, questa pronuncia merita di essere segnala-ta per aver fornito un importante chiarimento no-mofilattico in tema di comunicazioni di atti da partedella Cancelleria della Corte di cassazione, in gene-rale, e quindi anche per gli atti che attengono aigiudizi di legittimità su sentenze tributarie, alla stre-gua della normativa vigente ratione temporis (prima,cioè, della disciplina introdotta con l’art. 16 del D.L.n. 179/2012, convertito con modificazioni dalla leg-ge n. 221/2012, in vigore dal 15 febbraio 2016, che,tanto per le notificazioni, quanto per le comunica-zioni, ha decretato l’obbligatorietà della trasmissio-ne via pec, prevedendo solo per i casi d’impossibili-tà di siffatto strumento, l’impiego degli artt. 136, 3°comma, e 137 ss. c.p.c., a seconda che l’impossibi-le accesso alla posta elettronica sia dovuto a causeimputabili o non imputabili al destinatario).La questione, oggetto di contrastanti decisioni a li-vello di Sezioni semplici, riguardava specificamen-te l’inammissibilità o meno della rinnovazione dellanotifica del ricorso, effettuata nel termine fissatocon ordinanza interlocutoria, a seconda che dettotermine dovesse ritenersi decorrere dalla comuni-cazione dell’ordinanza mediante deposito pressola Cancelleria della Suprema Corte (secondo quan-to previsto dal combinato disposto degli artt. 366e 136 c.p.c.) ovvero dalla sua comunicazione suc-cessivamente effettuata a mezzo telefax da partedella stessa cancelleria.

Le SS.UU., dopo aver esposto le contrastanti presedi posizione assunte in precedenti pronunce da par-te delle Sezioni semplici, hanno ritenuto affetta danullità la prima comunicazione (mediante depositoin cancelleria), giudicando quindi tempestivamenteeffettuata la rinnovazione della notifica del ricorsoentro il termine prestabilito a decorrere dalla secon-da comunicazione (via telefax), sulla base di unacompiuta esegesi dei dati normativi vigenti, che, allastregua degli artt. 366 e 136 c.p.c. nonché dei prin-cipi costituzionali, vólti a soddisfare, non solo esi-genze di semplificazione e di risparmio per l’Ufficio,ma anche impellenti necessità di migliori garanzied’informazione per le parti, impongono di “ricorrere,prima alla posta elettronica certificata, poi al telefax,e, infine, alla rimessione del biglietto all’Ufficiale giu-diziario per la notifica, la quale avverrà, ove il ricor-rente o il controricorrente non abbia eletto domicilioin Roma, con il deposito presso la cancelleria”.

GIURISDIZIONE

Cass., SS.UU., Ord. 8 giugno 2016 (24 maggio2016), n. 11709 - Pres. Canzio - Rel. Petitti

Opposizione avverso ordinanza-ingiunzione dell’A-genzia delle entrate a carico di privato conferenteincarico non autorizzato a dipendente pubblico -Giurisdizione del giudice ordinario - Sussistenza

L’opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzioneemessa dall’Agenzia delle entrate a carico del pri-vato che abbia conferito un incarico retribuito aun dipendente pubblico, in violazione dell’art. 53del D.Lgs. n. 165/2001, rientra nella giurisdizionedel giudice ordinario e non in quella del giudicetributario, poiché la sanzione, anche se irrogatada un Ufficio finanziario, inerisce al rapporto dipubblico impiego e non ad un rapporto tributario.

NOTAA seguito di ordinanza-ingiunzione emessa per san-zioni conseguenti all’accertato conferimento di inca-rico retribuito a pubblico dipendente senza la previaautorizzazione prescritta dall’art. 53, comma 9, delD.Lgs. n. 156/2001, nel testo vigente ratione tempo-ris, il destinatario ricorreva al giudice di pace, che siriteneva giurisdizionalmente incompetente. La Com-missione tributaria, presso la quale la causa venivatempestivamente riassunta, ritenendosi a sua voltanon munita di giurisdizione, ex art. 59 del D.Lgs. n.69/2009, denunziava il conflitto negativo di giurisdi-zione, che le SS.UU., con l’ordinanza annotata, han-

RassegnaSezioni Unite

GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017 25

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no de plano risolto, assegnando la causa al giudiceordinario, in sintonia con quanto statuito con l’ivi ri-chiamata ordinanza n. 3039/2013, retro, n. 7/2013,pag. 570, e con la parimenti richiamata ordinanza n.14302/2013, retro, n. 10/2013, pag. 760, sulla basedi quanto statuito dalla Corte costituzionale, con lasentenza n. 130/2008, che ha dichiarato illegittimol’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, così come sostituitodall’art. 12, comma 2, della legge n. 448/2001, nellaparte in cui aveva attribuito alla giurisdizione tributa-ria le controversie relative a tutte le sanzioni irrogateda Uffici finanziari, quand’anche quando correlatealla violazione di disposizioni non aventi natura fisca-le, facendo a tal fine specificamente rilevare che, nelcaso, se pur dal citato art. 53, nei commi successivial comma 9, “si evince che la disciplina in questioneè finalizzata anche al controllo dei compensi perce-piti dai pubblici dipendenti ai fini dell’assoggetta-mento degli stessi a imposizione, ciò non di meno laprevisione dell’obbligo dell’autorizzazione dell’Ammi-nistrazione di appartenenza per il conferimento di unincarico retribuito ad un pubblico dipendente ineri-sce strettamente allo svolgimento del rapporto dipubblico impiego e non è certamente riconducibilead un rapporto tributario”.

IMPUGNAZIONI

Cass., SS.UU., Sent. 9 giugno 2016 (5 aprile2016), n. 11844 - Pres. Rordorf - Rel. Ambrosio

Cassazione con rinvio al giudice di primo ed unicogrado - Giudizio “prosecutorio” - Sentenza - Ricorri-bilità per cassazione - Necessità - Modifica, nellemore, del regime di impugnazione della decisionecassata - Irrilevanza

Nell’ipotesi di cassazione con rinvio innanzi algiudice di primo ed unico grado, la sentenza delgiudice di rinvio (salvo il caso di rinvio cd. resti-tutorio) è impugnabile in via ordinaria solo conricorso per cassazione, senza che rilevi l’inter-venuta modifica, sopravvenuta nelle more, delregime di impugnabilità della decisione cassata,atteso che il giudizio di rinvio conseguente acassazione, pur dotato di autonomia, non dàluogo ad un nuovo procedimento, ma rappre-senta una fase ulteriore di quello originario.

NOTAIl collegamento con la materia tributaria è mera-mente occasionale.

Ma le importanti enunciazioni fatte circa la naturadel giudizio di rinvio dopo la pronuncia della Su-prema Corte di cassazione, anche per quanto at-tiene alla disciplina intertemporale, debbono tener-si in conto pure per il processo tributario.Il caso di specie riguardava l’opposizione ad un attodi precetto per il recupero dell’IVA, oltre che di altriaccessori, dovuti a seguito di sentenza di condannacon liquidazione delle relative spese giudiziali.Avverso la decisione dell’adito giudice di pace erastato proposto ricorso per cassazione, a cui avevafatto poi seguito il giudizio di rinvio davanti ad al-tro giudice di pace, nel corso del quale era interve-nuto (in data 4 luglio 2009, ex artt. 49, comma 2 e58, comma 2, della legge n. 69/2009) un nuovo re-gime d’impugnazione (appello), rispetto a quello(cassazione) precedentemente in vigore dal 1°marzo 2006 (ex lege n. 52/2006), per le sentenze inprimo grado relative a siffatte opposizioni. Controla sentenza emessa dal giudice di rinvio, la partesoccombente aveva proposto ulteriore ricorso percassazione, ma l’altra parte, controricorrente, ave-va eccepito l’inammissibilità dell’impugnazione(assumendo che, in base alla normativa sopravve-nuta, avrebbe dovuto essere, invece, proposto ap-pello). Rimessa la questione alle SS.UU., questeultime, con ampia ed articolata motivazione, han-no tuttavia ritenuto perfettamente ammissibile il ri-corso per cassazione. A questa conclusione la Cor-te è pervenuta addentrandosi in un un’approfondi-ta disamina del giudizio di rinvio, nelle sue diversespecie, di rinvio restitutorio (ex art. 383, comma 3,c.p.c.) o prosecutorio (ex art. 384, 2° comma,c.p.c.), affermando che, in quest’ultimo tipo di giu-dizio di rinvio (denominato anche rinvio “proprio”),la fase del processo non può essere equiparata aquella svoltasi in primo grado, stante l’inframmet-tenza del principio di diritto emesso dalla SupremaCorte, che instaura “una sorta di dialogo esclusi-vo” tra la stessa Suprema Corte e il giudice del rin-vio, così che detta fase non è configurabile “comeun grado del giudizio”, tanto meno come un nuo-vo primo grado, costituendo, per l’appunto, solo“una fase (rescissoria) del giudizio di cassazione”,così da rendere inapplicabile, nel caso, l’intervenu-ta modificazione normativa circa il regime d’impu-gnazione (appello anziché ricorso per cassazione)delle sentenze pronunciate nei giudizi di opposizio-ne all’esecuzione a precetto, rendendo così neces-sitato e pienamente giustificato il solo rimedioesperibile mediante accesso per cassazione avver-so la sentenza del giudice di rinvio.

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26 GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017

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IMPUGNAZIONI

Cass., SS.UU., Sent. 13 giugno 2016 (12 gen-naio 2016), n. 12084 - Pres. Rordorf - Rel. D’A-scola

Appello - Notifica di un secondo appello anteriorealla declaratoria di inammissibilità o improcedibilitàdel primo - Osservanza del termine breve decorren-te dal primo appello - Necessità

La notifica dell’appello dimostra la conoscenzalegale della sentenza da parte dell’appellante,sicché la notifica da parte sua di un nuovo ap-pello anteriore alla declaratoria di inammissibi-lità o improcedibilità del primo deve risultaretempestiva in relazione al termine breve decor-rente dalla data di notifica del primo appello.

NOTAQuanto deciso in questa importante, e ben motiva-ta, decisione vale tal quale anche per il processotributario, pur essendo stato enunciato nell’ambitodi una causa civile davanti al giudice ordinario.L’istituto della consunzione (o consumazione) delpotere d’impugnazione, espresso dall’art. 358c.p.c., al quale fa propriamente riferimento la deci-sione in commento, coincide, infatti, con quelloprevisto dall’art. 60 del D.Lgs. n. 546/1992 (man-cando qui soltanto il richiamo all’improcedibilitàdel gravame, in quanto non prevista per l’appellodelle sentenze delle Commissioni tributarie).La questione che si pone in utroque è dunque que-sta.Di fronte ad un atto d’appello inammissibile, primache sia dichiarato tale, è possibile riproporloemendato dal vizio dell’appello precedentementeproposto. Ma entro quale termine? Entro il termine“breve”, decorrente dalla notifica del primo appel-lo, o anche dopo, nel maggior termine “lungo”,eventualmente disponibile?Le SS.UU. confermano la propria giurisprudenza(sent. n. 21864/2007), ancorché ripetutamenteosteggiata dalla dottrina, ribadendo che la rinnova-zione dell’appello inammissibile dev’essere comun-que fatta entro il termine breve decorrente dalla no-tifica dell’appello originariamente proposto. Vengo-no passate diligentemente in rassegna e accurata-mente criticate le opinioni dottrinali contrarie, richia-mandosi, a livello esegetico, le argomentazioni a so-stegno tratte dall’art. 285 (sulla c.d. efficacia bilate-rale della notifica della sentenza) e dall’art. 326, 2°comma, c.p.c. (che, per il caso d’impugnazione con-

tro una parte scindibile della sentenza prevede perl’impugnativa anche delle altre parti il rispetto dellostesso termine), ma, più in generale, precisandosi(con novità di rilievo) la ragione giustificativa dell’in-terpretazione seguita (da qualificarsi come “estensi-va”, più che “analogica”), circa la portata dell’art.326, 1° comma, c.p.c. (nel senso di equiparare lanotifica dell’appello inammissibile alla notifica dellesentenze alla controparte presso il suo difensore),non tanto nella conoscenza, comunque avvenuta,della sentenza, quanto nell’“impulso acceleratorio,impresso al processo con la proposizione del grava-me”, ritenuto (ma non ancora dichiarato) inammissi-bile, che “innesca una dinamica processuale che fatrascendere il processo in un’orbita impugnatoria,dalla quale non può regredire per rientrare in una fa-se di stasi meditativa”, essendo già stata espressa,con la proposizione del gravame antecedente, una“volontà di accelerare la fine del processo, scanden-do il passaggio irretrattabile alla fase dell’impugna-zione, con la conseguenza che la ripetizione dell’at-to, ammessa nei limiti di cui all’art. 358 c.p.c., nonpuò che essere temporalmente limitata entro il ter-mine breve”.In tale specifico rilievo è stata anche trovata la ra-gione dell’altrimenti inspiegabile assunto della vi-ceversa ribadita irrilevanza, ai fini della decorrenzadel termine breve, della notifica della sentenzaquale titolo esecutivo, dato che, per l’appunto, inquest’ultimo caso, si ha certamente conoscenzadella sentenza, ma difetta l’ingresso in ambito im-pugnatorio, che si ha invece con la notifica dell’ap-pello inammissibile (che, per l’appunto, ripetesi,secondo le SS.UU., costituirebbe la specifica ratiogiustificativa del contenimento della rinnovazionedell’appello inammissibile entro il termine brevedecorrente dalla notifica dell’appello stesso, esclu-dendo ogni possibilità di rinnovazione dopo talescadenza, non ostante l’eventuale maggior termi-ne lungo astrattamente ancora praticabile).Nell’ultima parte della decisione, a chiusura delcontesto motivazionale, le SS.UU. segnalano laconformità del proprio, così rivisitato, ma nuova-mente ribadito, insegnamento nomofilattico ai prin-cipi costituzionali (della parità fra le parti, della ra-gionevole durata del processo e della certezza deldiritto), osservando, infine, come la legge proces-suale, per quanto possibile, debba essere “interpre-tata con rassicurante costanza, senza scarti innova-tivi che non siano giustificati da mutamenti del qua-dro normativo o da evidenze risolutive”, tenuto se-gnatamente conto dell’esigenza dell’affidamento edel dimensionamento “della coesistenza, necessa-

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ria e possibile, con i fattori evolutivi del sistema pro-cessuale”, attraverso il sapiente ed oculato utilizzo“della dottrina del c.d. prospective overruling”.

CONSORZI

PRESTAZIONI DI SERVIZI

Cass., SS.UU., Sentt. 14 giugno 2016 (19 aprile2016), nn. 12190, 12191, 12192, 12193 e12194 - Pres. Rordorf - Rel. Iacobellis

Prestazioni rese da consorzio - Attività commercialecon scopo di lucro - Ammissibilità - Differenza traquanto fatturato dal consorzio al terzo committentee quanto fatturato dal consorziato al consorzio - Pro-blematica configurabilità quali ricavi non fatturati -Natura dei rapporti tra consorzio e consorziati tra diessi e nei confronti dei committenti - Rilevanza

La causa consortile non è ostativa allo svolgi-mento, da parte della società consortile, di unadistinta attività commerciale con scopo di lu-cro. Costituisce questione di merito l’accerta-mento in ordine ai rapporti intercorsi tra la so-cietà consortile e la consorziata nell’assegna-zione dei lavori o servizi ai singoli consorziati enella esecuzione delle commesse, che debbanoessere oggetto di valutazione caso per caso.

NOTAIn questo gruppo di cinque sentenze, tutte riguar-danti alcuni dei partecipanti all’ormai celebre “Con-sorzio Manital”, le SS.UU. della Suprema Corte, difronte al contrasto manifestatosi all’interno dellaSezione tributaria, in specie fra la sentenza n.13293/2011, favorevole all’Agenzia delle Entrate, ela sentenza n. 24014/2013, favorevole al contri-buente, hanno riesaminato a fondo la complessaproblematica della natura giuridica dei Consorzi arilevanza esterna, dei rapporti tra Consorzio, con-sorziati e terzi committenti, e del ribaltamento omeno, totale o parziale, dei costi del Consorzio suiconsorziati, tanto sotto il profilo civilistico, quanto,e soprattutto, ai fini tributari, specie in tema di IVA[tenuto conto di quanto disposto dall’art. 3, comma3, e dall’art. 13, comma 2, lett. b), del D.P.R. n.633/1972, nonché dei principi eurounitari, ed in par-ticolare di quanto disposto dall’art. 17, par. 2, dellaVI direttiva circa la deducibilità dei costi per la de-terminazione del tributo], giungendo, in linea di

massima, a queste principali conclusioni: a) che il fi-ne e l’attività di lucro non sono incompatibili con lanatura giuridica e la funzione mutualistica dei con-sorzi; b) che i rapporti tra consorziati e consorziopossono essere inquadrati in termini di mandatosenza rappresentanza, ma possono anche atteg-giarsi in forme tutt’affatto diverse, come quelle del-la vera e propria rappresentanza, ovvero del subap-palto; c) che, di conseguenza, anche ai fini del rico-noscimento totale o parziale del ribaltamento deicosti occorre scendere nel concreto di ogni singolocaso, con l’esame delle modalità d’esecuzione deilavori, delle fatturazioni effettuate, delle eventualidifferenze tra fatturazioni effettuate dal Consorzio edai consorziati, e così via.Si fa presente che alcune di queste decisioni han-no già formato oggetto di approfonditi commenti.Così, in particolare, la sentenza n. 12191/2016 èstata pubblicata in Le Società, n. 11/2016, pag.1193 ss., con nota di M.S. Spolidoro, “Societàconsortili: disciplina, mutualità spuria e ribalta-mento dei costi e dei ricavi”, e in questo stessonumero della Rivista, pag. 15, con il commento diA. Venegoni, “La finalità mutualistica dei consorzinon è incompatibile con il fine di lucro, ma il tratta-mento fiscale dipende dalla situazione di fatto”. Aquesti commenti si rinvia per ogni più approfondi-ta trattazione. In via di complemento informativoqui preme ancora far notare come le tre primesentenze (nn. 12190 - 12191 - 12192), di fronte apronunce del giudice del merito in cui il rapportotra Consorzio e società veniva incontestabilmenteinquadrato in fatto nell’ambito di un mandato sen-za rappresentanza, mentre le decisioni in iure era-no state nel senso dell’esclusione in radice di qual-siasi ribaltamento dei costi, ai fini IVA, si sianoconcluse con l’accoglimento dei ricorsi per cassa-zione proposti dall’Agenzia delle Entrate e nellacassazione con rinvio delle decisioni di merito,mentre, nelle altre due sentenze (nn. 12193 –12194), le SS.UU. hanno dichiarato inammissibili iricorsi proposti dall’Agenzia delle Entrate nei con-fronti delle pronunce dei giudici di merito, in quan-to in esse era emerso che il risultato dei calcoli in-duttivi fatti dall’organo investigativo ai fini delle im-poste dirette, “riferito a una massa indistinta dioperazioni, non permette la quantificazione delleoperazioni in odore di evasione attribuibile ai sin-goli partecipanti al Consorzio per cui l’assegnazio-ne di maggiori ricavi”, ad un singolo consorziato,“in base alla quota consortile, desunti dalla verificafiscale alla Manital, non presenta alcun requisito dicertezza", e, “d’altro canto, l’Ufficio non ha fornito,

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a sostegno dei maggiori ricavi accertati, alcunaprova desumibile dalla contabilità e dalla relativadocumentazione del contribuente", così che “l’ac-certamento dell’Ufficio basato sull’estrapolazionedi dati non direttamente e certamente riferibili al ri-corrente risulta infondato”.

DICHIARAZIONI

IMPOSTE SUI REDDITI

Cass., SS.UU., Sent. 30 giugno 2016 (7 giugno2016), n. 13378 - Pres. Rordorf - Rel. Iacobellis

Dichiarazione integrativa “a favore” - Termine dipresentazione della dichiarazione dei redditi relativaal periodo d’imposta successivo - Sussistenza -Emendabilità in sede contenziosa non oltre i terminiper l’azione accertatrice - Ammissibilità - Rimborsodei versamenti diretti - Termine di decadenza di 48mesi dalla data di versamento - Sussistenza - Termi-ni e modalità della dichiarazione integrativa - Irrile-vanza - Opposizione, in sede contenziosa, dellamaggiore pretesa tributaria - Ammissibilità

La possibilità di emendare la dichiarazione deiredditi, per correggere errori od omissioni cheabbiano determinato l’indicazione di un mag-gior reddito, o, comunque, di un maggior debi-to d’imposta, o di un minor credito, mediante ladichiarazione integrativa, è esercitabile non ol-tre il termine prescritto per la presentazionedella dichiarazione relativa al periodo d’impostasuccessivo, con compensazione del creditoeventualmente risultante. La possibilità diemendare la dichiarazione dei redditi conse-guente ad errori od omissioni in grado di deter-minare un danno per l’Amministrazione finan-ziaria è esercitabile non oltre i termini stabilitiper l’espletamento dell’azione accertatrice. Ilrimborso dei versamenti diretti può essere do-mandato, invece, entro il termine di decadenzadi quarantotto mesi dalla data del versamento,indipendentemente dai termini e dalle modalitàdella dichiarazione integrativa. Il contribuente,tuttavia, in sede contenziosa può sempre op-porsi alla maggiore pretesa tributaria dell’Am-ministrazione finanziaria, allegando errori, difatto o di diritto, commessi nella redazione del-la dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tri-butaria.

NOTAL’intervento delle SS.UU. avrebbe dovuto fornireun plausibile assetto sistematico alla caotica disci-plina normativa e alle incertezze giurisprudenzialimanifestatesi al vertice circa il concreto operaredella riconosciuta emendabilità della dichiarazionefiscale (Cass., SS.UU., n. 15063/2002). In realtà,com’è stato puntualmente rimarcato in dottrina (v.in particolare i commenti di D. Stevanato, in Corr.Trib., nn. 32-33/2016, pag. 2481 e di M. Nussi, inquesta Rivista, n.12/2016, pag. 936), l’interpreta-zione (restrittiva) elargita dalle Sezioni Unite (conquesta pronuncia) non può dirsi esemplare, pre-sentando, infatti, vistose lacune, sulle quali, peral-tro, non è neppure più il caso d’indugiare, stantela nuova disciplina legislativamente introdotta conl’art. 5 del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito,con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016,n. 225, che ormai consente la presentazione inte-grativa della dichiarazione “a favore” del contri-buente entro il termine prescritto per la presenta-zione della dichiarazione relativa al periodo d’im-posta successivo, mettendo così implicitamentefuori gioco la disciplina di cui all’art. 2, comma 8bis, del D.P.R. n. 600/1973, sulla quale è per l’ap-punto incentrata la decisione delle Sezioni Unite inesame.

PROCESSO TRIBUTARIO

GIURISDIZIONE

Cass., SS.UU., Ord. 30 giugno 2016 (7 giugno2016), n. 13380 - Pres. Rordorf - Rel. Iacobellis

Controversie in tema di fermo e iscrizione ipotecaria- Violazioni extrafiscali (violazione del codice dellastrada o sanzioni per omessi versamenti di contributiprevidenziali) - Giurisdizione del giudice ordinario -Sussistenza

In materia di fermo, la giurisdizione si ripartiscetra giudice ordinario e tributario a seconda del-la natura del credito azionato, con la conse-guenza che, qualora l’impugnativa attenga aduna violazione del Codice della strada o a san-zioni per omesso versamento di contributi pre-videnziali, va dichiarata la giurisdizione del giu-dice ordinario, attesa la natura extratributariadel credito azionato. Tale principio va riafferma-

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to anche con riferimento alla iscrizione ipoteca-ria, stante l’analogo carattere cautelare.

NOTAA fronte di un’iscrizione ipotecaria effettuata exart. 77 del D.P.R. n. 602/1973 dall’agente della ri-scossione, a seguito di cartella di pagamento percrediti di natura non erariale (multe per infrazionedel codice della strada e omessi versamenti dicontributi previdenziali), veniva proposta opposi-zione ex art. 617 c.p.c. davanti al Tribunale, che,tuttavia, declinava la propria giurisdizione, rimet-tendo quindi la causa davanti alla Commissionetributaria provinciale, la quale, peraltro, ritenendo-si, a sua volta, carente di giurisdizione, sollevavaconflitto e trasmetteva gli atti alle Sezioni Unitedella Suprema Corte, che hanno di bel nuovo ri-messo la parti davanti allo stesso Tribunale per ladecisione nel merito. Nell’ordinanza vengono se-gnatamente richiamate le pronunce n. 10147/2012(retro n. 10/2012, pag. 744) e n. 23113/2015 (retron. 2/2016, pag. 126). In realtà, sembrerebbero an-cor più appropriati i riferimenti alle pronunce n.641/2015, retro n. 7/2015, pag. 558, per le liti ipo-tecarie, e alle pronunce n. 14831/2008, retro n.10/2008, pag. 859, e n. 15425/2014, retro n.2/2015, pag. 107, per le controversie in tema difermo di beni mobili registrati ex art. 86 del D.P.R.n. 602/1973.

GIURISDIZIONE

Cass., SS.UU., Sent. 8 luglio 2016 (22 settem-bre 2015), n. 14038 - Pres. Rovelli - Rel. Greco

Controversie sull’iscrizione di ipoteca per crediti nontributari - Giurisdizione del giudice ordinario - Sussi-stenza

Le controversie aventi ad oggetto l’impugnazio-ne del provvedimento d’iscrizione di ipoteca su-gli immobili per crediti di natura non tributariasono devolute alla giurisdizione del giudice or-dinario, trattandosi di provvedimento preordi-nato all’espropriazione forzata, in relazione alquale la tutela giurisdizionale, esperibile nelle

forme dell’opposizione all’esecuzione o agli attiesecutivi, non può realizzarsi, né dinanzi al giu-dice amministrativo, mancando l’esercizio di unpotere di supremazia in materia di pubblici ser-vizi, né dinanzi al giudice tributario.

NOTAGiudicando in terzo grado di un giudizio attivatodavanti al giudice tributario prima dell’entrata in vi-gore della legge Bersani - Visco (D. L. n. 223/2006,conv. in L. n. 248/2006) contro un’iscrizione ipote-caria per debiti, solo in parte, fiscali, le SS.UU., do-po aver richiamato il proprio risalente orientamen-to che all’epoca ravvisava nel giudice ordinario tut-te le controversie di questo tipo, individuando nel-l’iscrizione ipotecaria un “provvedimento preordi-nato all’espropriazione forzata”, per cui ogni formadi tutela giurisdizionale non si sarebbe potuta chesvolgere sub specie di opposizione all’esecuzioneo agli atti esecutivi affidata all’a.g.o., dovendo co-munque ora prendere atto dell’attrazione nell’am-bito del processo tributario operata dal legislatoredel 2006 per tutte queste controversie, hanno rico-nosciuto la permanenza della sopravvenuta com-petenza giurisdizionale dei giudici tributari ex art. 5c.p.c., quanto alle liti fiscali, assegnando, invece,al giudice ordinario le controversie riguardanti l’i-scrizione ipotecaria per crediti extrafiscali (multeper violazione del codice della strada e mancativersamenti contributivi).Nella motivazione della sentenza viene anche defi-nitivamente avallata la più recente giurisprudenzadelle Sezioni semplici della Corte regolatrice, cheesclude la necessità della previa notifica dell’inti-mazione di pagamento ex art. 50 del D.P.R. n.602/1973 ai fini della legittima iscrizione ipoteca-ria, che può dunque aver luogo a prescindere dasiffatta preventiva notificazione pur se sia già de-corso un anno dalla notifica della cartella di paga-mento, considerando così l’iscrizione ipotecaria,non più un atto prodromico all’esecuzione forzata,“bensì un atto riferito ad una procedura alternativaall’esecuzione forzata vera e propria” (Cass.,SS.UU., 18 settembre 2014, n. 19667, retro, n.2/2015, pag. 111).

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Imposte indirette

Tassazione fissaper il trust autodichiaratoCassazione, Sez. trib., Sent. 26 ottobre 2016 (5 ottobre 2016), n. 21614 - Pres. Chindemi - Rel.Bruschetta

Imposte indirette - Imposte ipotecarie e catastali - Istituzione di trust “autodichiarato” - Applicazione delleimposte in misura fissa - Legittimità

L’istituzione di un trust c.d. autodichiarato, riguardante immobili e partecipazioni sociali, con dura-ta predeterminata o fino alla morte del disponente-trustee, aventi quali beneficiari i discendenti diquest’ultimo, deve scontare l’imposta ipotecaria e quella catastale in misura fissa e non proporzio-nale, perché la fattispecie si inquadra in quella di una donazione indiretta, cui è funzionale la segre-gazione quale effetto naturale del vincolo di destinazione. Da tale segregazione non deriva, dun-que, alcun reale trasferimento di beni e arricchimento di persone, i quali dovranno invece realizzar-si a favore dei beneficiari, che saranno pertanto nel caso successivamente tenuti al pagamento del-l’imposta in misura proporzionale.

Fatto

Pronunciando sull’appello proposto dall’Agenzia delleentrate avverso la decisione n. 201/07/12 della Com-missione tributaria provinciale di Perugia che avevaannullato l’avviso di liquidazione n. (omissis) con ilquale venivano recuperate nei confronti del notaiorogante D.F. imposte ipotecaria e catastale in misuraproporzionale con aliquote rispettivamente del 2% e1% base imponibile euro 624.000,00 relativamente aun atto di costituzione di un trust c.d. autodichiaratodenominato “(omissis)” registrato il 17 dicembre 2012in esenzione d’imposta sulle successioni e donazioniperché rientrante nella “franchigia” - e nel quale era-no stati conferiti immobili e quote sociali fino al 31dicembre 2032 o fino alla morte del disponente e tru-stee (omissis) con successivo trasferimento ai benefi-ciati discendenti dello stesso - la Commissione tribu-taria regionale dell’Umbria con l’impugnata sentenzan. 239/01/14 depositata il 26 febbraio 2014 ritenevaconformemente al primo giudice che l’atto dovessescontare la tassazione in misura fissa poiché “nel casodi specie nessun trasferimento di beni che dovesse es-sere soggetto alle imposte ipotecarie e catastali erastato ancora posto in essere, anche in considerazionedella natura di trust autodichiarato del trust (omissis)nel quale il disponente e il trustee coincidevano conla medesima persona” e mentre invece in parziale ri-

forma dichiarava “l’improcedibilità/inammissibilitàdel ricorso proposto dal trust (omissis)”.L’Ufficio proponeva ricorso per cassazione affidato aun solo motivo, cui resistevano il notaio e il trust inpersona del suo trustee, i quali preliminarmente ecce-pivano l’inammissibilità dell’impugnazione ex adverso.I contribuenti si avvalevano della facoltà di deposita-re memoria.

Diritto

1. Poiché la declaratoria della CTR di “improcedibi-lità/inammissibilità” del ricorso promosso dal trust(omissis) in persona del suo trustee non è stata impu-gnata (statuizione peraltro conforme alla giurispru-denza di questa Corte, v. Cass. , Sez. trib., n.25478/2015; Cass., Sez. 1^, n. 3456/2015; che hannoconsolidato il principio per cui il trust manca di per-sonalità giuridica poiché trattasi di un “insieme di be-ni e rapporti destinati ad un fine determinato e for-malmente intestati al trustee, che è l’unico soggettodi riferimento nei rapporti con i terzi non quale lega-le rappresentante, ma come colui che dispone del di-ritto”), la stessa è passata in giudicato da rilevarsid’ufficio in ogni stato e grado (Cass., Sez. I, n.17261/2013; Cass., Sez. lav., n. 20427/2012), con laconseguenza che sono inammissibili sia il ricorso percassazione promosso dall’Ufficio nei confronti del ri-detto trust e sia il controricorso di quest’ultimo.

GiurisprudenzaLegittimità

GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017 31

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2. Come anticipato in narrativa del presente, il con-tribuente notaio ha eccepito l’inammissibilità dell’av-versario ricorso per cassazione sia per difetto di auto-sufficienza perché nello stesso non sarebbero stati ri-prodotti tutti gli atti e i documenti richiamati e siaperché l’impugnazione sarebbe in realtà intesa a otte-nere dalla Corte un proibito “riesame nel merito del-la questione” circa la definizione del trust “come vin-colo di destinazione o meno” e oltreché circa la “va-lutazione di merito inerente il momento in cui si vie-ne a verificare il trasferimento di beni che deve esse-re oggetto di tassazione”.Le eccezioni sono entrambe infondate.La prima eccezione deve essere rigettata perché comenoto gli atti e i documenti debbono essere indicati eriprodotti nella misura in cui gli stessi siano indispen-sabili, esigenza che manca invece nella concreta fat-tispecie in cui i fatti sono inter partes del tutto pacificianche perché senza contestazioni riportati nell’impu-gnata sentenza (Cass., Sez. lav., n. 14561/2012; Cass.,Sez. 2^, n. 26234/2005). La seconda eccezione è pari-menti da rigettarsi perché nella concreta fattispecie ifatti sono incontroversi, in particolare non sono indiscussione la caratteristica per es. “autodichiarata”del trust (omissis) o il conferimento di immobili equote ecc. oppure che i beni debbano essere trasferitiai discendenti alla morte del disponente-trustee o inalternativa trascorso il più lungo termine previsto,bensì quella che deve essere stabilita è la disciplinafiscale dell’atto costitutivo del ridetto trust (omissis) equindi soltanto una questione di diritto.3. Con l’unico motivo di ricorso rubricato “Violazio-ne e falsa applicazione del D.L. n. 262/2006, art. 2,comma 47, 48 e 49, convertito in Legge n. 286/2006,nonché del D.Lgs. n. 347/1990, artt. 2 e 10, e del-l’art. 1 Tariffa allegata, in relazione all’art. 360 c.p.c.,comma 1, n. 3)”, l’Ufficio deduceva che con il D.L. 3ottobre 2006, n. 262, art. 2, comma 47 ss., conv. conmodif. in Legge 24 novembre 2006, n. 286, era stata“reintrodotta nell’ordinamento giuridico l’impostasulle successioni e donazioni estendendone l’ambitodi applicazione alla costituzione di vincoli di destina-zione”, ai quali doveva ricondursi anche la costituzio-ne del trust “autodichiarato” oggetto di controversiaatteso che con lo stesso erano stati conferiti beni a ti-tolo gratuito al trustee da immettere in trust con effi-cacia “segregante”, così come in effetti previsto dalD.L. n. 262 cit., art. 2, comma 47 ss., che espressa-mente assoggettava all’imposta sulle successioni e do-nazioni ex D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, gli atti dicostituzione dei “vincoli di destinazione”, con la con-seguenza che la CTR avrebbe errato a ritenere che

anche in considerazione del carattere “autodichiara-to” del trust (omissis) gli immobili e le quote conferitinello stesso non erano stati realmente trasferiti inquanto rimasti nella sostanza nella gestione del dispo-nente-trustee e con l’ulteriore errata illazione secondocui le imposte ipotecaria e catastale avrebbero dovutoessere assolte in misura fissa e non proporzionale.Il motivo è infondato.Quanto prospettato dall’Ufficio segue in buona so-stanza il contenuto della circolare n. 48/E del 6 ago-sto 2007 - nonché quello della circolare n. 3/E del 22gennaio 2008 - che nel loro “combinato disposto” so-no nel senso di affermare che gli “effetti segreganti”del trust “autodichiarato” o meno danno luogo ad untrasferimento dei beni conferiti che deve assoggettarsia tassazione secondo le regole di cui alla reintrodottalegge sulle successioni e donazioni ex D.Lgs. 31 otto-bre 1999, n. 346. E ciò, secondo l’Amministrazione,in ragione del D.L. n. 262 cit., art. 2, comma 47 ss.,che prevede “l’istituzione” dell’imposta sulle succes-sioni e sulle donazioni anche “sulla costituzione deivincoli di destinazione” e nei quali si afferma debbo-no farsi pacificamente rientrare anche i trust “autodi-chiarati” o no. Tanto è vero che in assenza di confe-rimento di beni sono le stesse circolari n. 48/E e n.3/E cit. a dire che il trust debba scontare soltantol’imposta di registro in misura fissa atteso che in que-sto caso è mancante qualsiasi trasferimento di ric-chezza, con la conseguenza che l’atto di costituzionedel trust non accompagnato da alcun conferimentonon andrebbe assoggettato all’imposta di successionee donazione proprio perché quest’ultima non è un’im-posta d’atto e bensì un’imposta che tassa il trasferi-mento di ricchezza liberale.Come noto con numerose ordinanze questa Corte,Sez. 6^ è giunta a diverse più radicali conclusioni -appunto disattendendo l’idea dell’Amministrazioneappena veduta secondo cui in mancanza di conferi-mento di beni l’atto di costituzione di trust “autodi-chiarato” o meno non dovrebbe essere assoggettatoall’imposta sulle successioni e donazioni ex D.Lgs. n.346 cit., per la ragione che in ipotesi nessuna ricchez-za potrebbe dirsi trasferita - ritenendo invece che ilD.L. n. 262 cit., art. 2, comma 47 ss., abbia istituitoun’autonoma generale imposta “sulla costituzione deivincoli di indisponibilità” la cui disciplina sarebbestata indicata per relationem nelle regole contenutenel D.Lgs. n. 346 cit., “concernenti l’imposta sullesuccessioni e donazioni”. Sarebbe in thesi un tributoche perciò prescinderebbe dal trasferimento di ric-chezza discendente dal conferimento di beni e cheper tal motivo troverebbe il suo presupposto impositi-

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32 GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017

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vo nella semplice costituzione di “vincoli d’indisponi-bilità” e includendovi tra questi ultimi il trust (Cass.,Sez. n. 4482/2016; Cass., Sez. 6^, n. 5322/2015;Cass., Sez. 6^, n. 3886/2015; Cass., Sez. 6^, n.3737/2015; Cass., Sez. 6^, n. 3735/2015). L’interpre-tazione in parola è per l’essenziale ricavata in via let-terale dal D.L. n. 262 cit., art. 2, comma 47, laddovesi stabilisce che è “istituita l’imposta sulle successionie donazioni” tra l’altro anche “sulla costituzione deivincoli di destinazione” secondo quelle che erano giàle disposizioni dell’abrogato D.Lgs. n. 346 cit., e chesarebbe da leggersi nel senso che oltre alla reintrodu-zione dell’imposta sulle liberalità sarebbe stata ancheex novo introdotta una nuova autonoma generale im-posta “sulla costituzione dei vincoli di destinazione”ed entrambe disciplinate mediante rinvio alle normedi cui al D.Lgs. n. 346 cit. che prima della sua abro-gazione dettava esclusivamente la disciplina fiscalesulle successioni e sulle donazioni.Anche a prescindere dalle gravi incertezze cui le dueriassunte interpretazioni danno ingresso - per es. nonè dalla legge individuato il soggetto passivo d’impostaecc. - le stesse non appaiono condivisibili.Come invero già evidenziato da questa Corte il tipodi trust “autodichiarato” pervenuto all’esame costitui-sce una forma di donazione indiretta, nel senso cheper suo mezzo il disponente provvederà a beneficiarei suoi discendenti non direttamente e bensì a mezzodel trustee in esecuzione di un diverso programma ne-goziale (Cass., Sez. trib., n. 25478 cit.). Ed invero lacostituzione del trust - come è normale che avvengaper “i vincoli di destinazione” - produce soltanto effi-cacia “segregante” i beni eventualmente in esso con-feriti e questo sia perché degli stessi il trustee non èproprietario bensì amministratore e sia perché i ridet-ti beni non possono che essere trasferiti ai beneficiariin esecuzione del programma negoziale stabilito perla donazione indiretta (artt. 2 e 11 Convenzione deL’Aja del 1° luglio 1985, recepita in Legge 16 ottobre1989, n. 364). L’appena veduta osservazione è fonda-mentale perché consente di comprendere l’inconsi-stenza della censura denunciata dall’Ufficio che - purriconoscendo anche nelle sue circolari che quella ap-plicabile al trust è l’imposta sulle donazioni e sullesuccessioni che ha come presupposto l’arricchimentopatrimoniale a titolo di liberalità, tanto che la stessanon può applicarsi se il trust è stato costituito senzaconferimento, scontando in questo caso soltantol’imposta fissa di registro - sostiene l’erroneo convin-cimento che il conferimento di beni nel trust dia luo-go a un reale trasferimento imponibile. Un reale tra-sferimento che è invece all’evidenza impossibile per-

ché del tutto contrario al programma negoziale di do-nazione indiretta per cui è stato predisposto e che -come si ripete - prevede la temporanea preservazionedel patrimonio a mezzo della sua “segregazione” finoal trasferimento vero e proprio a favore dei beneficia-ri. Per l’applicazione dell’imposta sulle successioni esulle donazioni manca quindi il presupposto impositi-vo della liberalità alla quale può dar luogo soltantoun reale arricchimento mediante un reale trasferi-mento di beni e diritti (D.Lgs. n. 346 cit., art. 1).Nemmeno - come anticipato - può condividersi l’in-terpretazione letterale del D.L. n. 262 cit., art. 2,comma 47 ss., adottata dalle rammentate ordinanzedi questa Corte, Sez. 6^ al cui avviso sarebbe stataistituita un’autonoma imposta “sulla costituzione deivincoli di destinazione” disciplinata merce il rinvioalle regole contenute nel D.Lgs. n. 346 cit., e aventecome presupposto la loro mera costituzione. In veritàneanche il dato letterale autorizza una tale conclusio-ne, giacché ex art. 12 preleggi, comma 1, “il significa-to proprio delle parole secondo la connessione di es-se” è proprio invece nel diverso senso che l’unica im-posta espressamente istituita è stata la reintrodottaimposta sulle successioni e sulle donazioni alla qualeper ulteriore espressa disposizione debbono andareanche assoggettati i “vincoli di destinazione”, con lascontata conseguenza che il presupposto dell’impostarimane quello stabilito dal D.Lgs. n. 346 cit., art. 1,del reale trasferimento di beni o diritti e quindi delreale arricchimento dei beneficiari. Quella che in ve-rità emerge chiara dal D.L. n. 262 cit., art. 2, comma47 e ss., è la preoccupazione - nei più esatti terminidi cui all’art. 12, comma 1, prel. sarebbe “l’intenzionedel legislatore” - di evitare che un’interpretazione re-strittiva della istituita nuova legge sulle successioni edonazioni disciplinata mediante richiamo al già abro-gato D.Lgs. n. 346 cit. potesse dar luogo a nessunaimposizione anche in caso di reale trasferimento dibeni e diritti ai beneficiari quando lo stesso fosse sta-to collocato all’interno di una fattispecie tutto som-mato di “recente” introduzione come quella dei “vin-coli di destinazione” e quindi per niente affatto presain diretta considerazione dal ridetto “vecchio” D.Lgs.n. 346 cit. Questa sembra essere l’interpretazionenon solo logicamente più corretta, ma anche quellache appare essere l’unica costituzionalmente orienta-ta. E ciò atteso che l’art. 53 Cost., non pare poter tol-lerare un’imposta, a meno che non sia un’impostasemplicemente d’atto come per l’essenziale è per es.quella di registro, senza relazione alcuna con un’ido-nea capacità contributiva.

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4. Il principio di diritto da affermarsi è quindi il se-guente: “L’istituzione di un trust c.d. autodichiarato,con conferimento di immobili e partecipazioni socia-li, con durata predeterminata o fino alla morte del di-sponente-trustee, con beneficiari i discendenti di que-st’ultimo, deve scontare l’imposta ipotecaria e quellacatastale in misura fissa e non proporzionale, perchéla fattispecie si inquadra in quella di una donazioneindiretta cui è funzionale la ‘segregazione’ quale effet-to naturale del vincolo di destinazione, una ‘segrega-zione’ da cui non deriva quindi alcun reale trasferi-mento di beni e arricchimento di persone, trasferi-mento e arricchimento che dovrà invece realizzarsi afavore dei beneficiari, i quali saranno perciò nel casosuccessivamente tenuti al pagamento dell’imposta inmisura proporzionale”.

5. Nell’evidenziato contrasto giurisprudenziale deb-bono farsi consistere le ragioni che inducono la Cortea compensare integralmente le spese di ogni fase egrado.6. La soccombente, che è una Pubblica amministra-zione, non è tenuta al pagamento dell’ulteriore im-porto stabilito dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,art. 13, comma 1-bis e quater, (Cass., Sez. 6^, n.1778/2016; Cass., Sez. 3^, n. 5955/2014).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso propostodall’Ufficio contro il trust, nonché il controricorso diquest’ultimo; rigetta ricorso proposto dall’Ufficiocontro il contribuente notaio; compensa integral-mente le spese di ogni fase e grado.

Il new deal della Suprema Cortesull’imposizione indiretta del trust:

giù il sipario sull’imposta sui vincoli di destinazione?di Dario Stevanato (*)

La sentenza della Suprema Corte n. 21614/2016, relativa a un trust autodichiarato, contiene, aldi là di alcune imprecisioni, una condivisibile ricostruzione del fenomeno del trust (liberale) quale“donazione indiretta”, in cui l’arricchimento del beneficiario che giustifica l’applicazione delleimposte proporzionali (sulle successioni e donazioni, nonché ipotecarie e catastali) si realizzasoltanto con il trasferimento finale del trust fund, e non già all’atto del mero conferimento di be-ni in trust, integrante il “vincolo di destinazione”. I giudici hanno così finalmente colto l’occasio-ne, recependo le diffuse obiezioni che erano state mosse dalla dottrina, per riconsiderare la po-sizione, espressa dalla Corte in alcune ordinanze del 2015, sull’imposta sui vincoli di destinazio-ne, rilevandone la contrarietà all’ordinamento e l’incompatibilità con il principio costituzionale dicapacità contributiva.

La sentenza in esame si segnala anzitutto per-ché in essa trova ulteriore conferma, presso laSuprema Corte, la visione del trust alla streguadi una “donazione indiretta”, con conseguentepostergazione del momento impositivo alla de-stinazione finale del patrimonio segregato aibeneficiari.Già questo approdo è da salutare con grandesoddisfazione, che tuttavia raggiunge l’apiceladdove i giudici, operando un atteso revire-ment, riconoscono l’inesistenza di un’impostaautonoma sui vincoli di destinazione, coglien-

done l’impossibilità e la contrarietà all’art. 53Cost.

L’antefatto: l’imposta sui vincolidi destinazione nella precedentegiurisprudenza della Sezione tributaria

La Corte di cassazione si è come noto espressa,nel corso del 2015, per l’applicabilità dell’im-posta proporzionale ad atti di trust autodichia-rati o ritenuti addirittura nulli e privi di effetti,risolvendola in senso affermativo sulla base di

(*) Professore ordinario di Diritto tributario presso l’Universitàdi Trieste - Avvocato e Dottore commercialista in Venezia

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una assai discutibile premessa: ovvero che l’art.2, comma 47, del D.L. n. 262/2006 (converti-to, con modificazioni, in Legge n. 286/2006)avrebbe istituito un’imposta sulla costituzionedi vincoli di destinazione, autonoma rispetto altributo sulle successioni e donazioni.In tal modo la Corte era riuscita ad “aggirare”e rendere irrilevanti, nel tentativo di attrarre atassazione meri fenomeni destinatori, i presup-posti indefettibili per l’applicabilità del tributosugli atti liberali, ovvero il trasferimento di be-ni o diritti mortis causa o per atto di liberalitàtra vivi, e l’arricchimento di una sfera altrui,diversa da quella del testatore o donante.Sennonché, l’imposta (sulla costituzione deivincoli), così concepita, finiva per risultare in-sostenibile, alla luce delle basilari logiche dellatassazione. Non si comprende infatti come untributo del genere possa prescindere da un in-dice di forza economica qualificata; e invero,in mancanza di un trasferimento a terzi e un’e-spansione dell’altrui sfera patrimoniale (checonnota il tributo sugli atti liberali), l’impostasui vincoli di destinazione avrebbe finito percolpire un “impoverimento”, dato dalla dimi-nuzione del valore dei beni assoggettati al vin-colo dal loro proprietario.Inoltre, nella legge che ha reistituito l’impostasulle successioni e donazioni, manca qualsivo-glia indicazione in ordine agli altri elementifondamentali dell’ipotizzato tributo sui vincolidi destinazione, quali i soggetti passivi, la baseimponibile, le aliquote, le regole di territoriali-tà, e così via.In effetti, nelle norme che secondo la SupremaCorte avrebbero dato vita all’imposta sulla co-stituzione di vincoli di destinazione con un rin-vio alla disciplina del D.Lgs. n. 346/1990, man-cano prima di tutto gli obbligati, i soggetti pas-sivi: la legge contempla infatti soltanto gli eredio i beneficiari di una liberalità, categorie inap-plicabili al tributo sui “vincoli”, tanto è veroche la Corte ha in alcune occasioni individuatoil soggetto passivo nel disponente, altre volte

nel beneficiario finale dell’utilità economicaconnessa all’istituzione del vincolo, e altre volteancora ha lasciato la questione in una sfera diindeterminatezza e ambiguità. Il tutto, si ripete,in assenza di una qualsivoglia indicazione nor-mativa (e in una materia che, non è forse su-perfluo ricordare, è coperta da riserva di legge).Se poi ciò non bastasse, si osservi che non sitrovano indicazioni normative, né con riguar-do alla base imponibile (che non può certocoincidere con il “valore pieno” dei beni o di-ritti su cui è apposto il vincolo, e andrebbesemmai riferita al valore del vincolo stesso,tentando un’operazione ermeneutica assaicomplessa nella sua realizzazione pratica e ine-vitabilmente arbitraria, nel silenzio della leg-ge), né con riferimento alle aliquote applicabili(nell’imposta disciplinata dal D.L. n. 262/2006e dal D.Lgs. n. 346/1990, le aliquote sono in-fatti stabilite in funzione del rapporto di paren-tela tra il disponente e il beneficiario di una li-beralità, mentre nella fantomatica imposta suivincoli di destinazione manca quella dualitàsoggettiva che costituisce l’indefettibile presup-posto di tutto l’impianto normativo di riferi-mento).Senza contare, poi, che la Corte ha irragione-volmente individuato l’aliquota applicabile al-l’apposizione di vincoli in quella più elevata(8%), motivando questa scelta con la sua sup-posta natura “residuale”, così penalizzando pro-prio le “attribuzioni” (che in realtà non sono ta-li, vista la natura non traslativa dei vincoli dicui discute la Corte) in cui è in un certo sensopiù stretto il rapporto con il disponente, giac-ché tutto avviene nella sua sfera soggettiva.Appare infatti illogico ipotizzare che una fatti-specie con effetti meramente destinatori, attua-ta nel patrimonio del proprietario e in assenzadi trasferimenti a terzi e di liberalità a loro favo-re, sconti un’aliquota più elevata di quelle riser-vate alle liberalità all’interno della famiglia.Senza dilungarci ulteriormente su questioniampiamente esaminate in altre sedi (1), si

(1) Cfr. D. Stevanato, “La ‘nuova’ imposta su ‘trust’ e vincolidi destinazione nell’interpretazione creativa della Cassazione”,in questa Rivista, 2015, pag. 400 ss.; Id., “Imposta sui vincolidi destinazione e giudice-legislatore: errare è umano, perseve-

rare diabolico”, in questa Rivista, 2016, pag. 398 ss. Si vedainoltre, tra gli altri, T. Tassani, “Sono sempre applicabili le im-poste di successione e donazione sui vincoli di destinazione”,in il fisco, 2015, pag. 1957 ss.; G. Bizioli, “La creazione, irrazio-

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può dunque sul punto sintetizzare come se-gue: era a tutti abbastanza evidente, nono-stante l’improvvida giurisprudenza della Se-zione tributaria, che nell’impianto normativosul tributo successorio e gli atti liberali il ri-ferimento ai “vincoli di destinazione” doves-se essere necessariamente armonizzato conl’oggetto dell’unico tributo disciplinato dallalegge, che intende tassare l’arricchimento ri-cevuto da un determinato soggetto, per effet-to di uno spostamento patrimoniale motivatoda intenti liberali, su una base imponibilepari al valore dei beni trasferiti, con aliquotefissate in relazione al rapporto di parentelatra disponente e beneficiario, secondo regoleterritoriali che combinano la residenza deisoggetti in questione, il luogo di localizzazio-ne dei beni e quello di stipula degli atti do-nativi.E gli unici vincoli di destinazione assoggettabi-li all’imposta (all’unica imposta prevista dallalegge) sono quelli che si armonizzano con ilcontesto testé delineato, ovvero che determi-nano un concreto ed attuale arricchimento diuna sfera patrimoniale diversa da quella delsoggetto che appone un vincolo al proprio pa-trimonio.Nell’interpretazione fornita dalla SupremaCorte nelle ordinanze precedentemente ri-cordate, invece, l’imposta sui vincoli di de-stinazione diventava un corpo estraneo ri-spetto a fondamentali principi della tassazio-ne; si poteva perciò pronosticare che, primao poi, una tale interpretazione avrebbe origi-nato una “crisi di rigetto” ordinamentale, icui prodromi si erano già manifestati a livellodi commissioni di merito, e che ora è defla-grata presso la stessa giurisprudenza di legitti-mità con la sentenza che ci si accinge a com-mentare.

L’inquadramento del trustcome “donazione indiretta”

Nella pronuncia n. 21614/2016, qui annotata,la Cassazione ha operato l’auspicato revirementrispetto al precedente orientamento, poc’anziricordato, che aveva postulato la sussistenza diun’imposta sulla costituzione dei vincoli di de-stinazione, avente presupposti del tutto auto-nomi rispetto a quelli del tributo sulle succes-sioni e donazioni.La Corte si è trovata a decidere su un ricorsoper cassazione proposto dall’Amministrazionefinanziaria in una vicenda concernente un trustautodichiarato, avverso una sentenza di appel-lo che aveva ritenuto non dovute le imposteipotecarie e catastali, sul rilievo che la naturadi trust autodichiarato, in cui disponente e tru-stee coincidevano nella medesima persona,escludeva ogni ipotesi di trasferimento di benida assoggettare al tributo proporzionale.Orbene, nel ricorso per cassazione l’Ammini-strazione finanziaria aveva dedotto proprio apartire dall’art. 2, comma 47, del già citatoD.L. n. 262/2006, con il quale era stata “rein-trodotta nell’ordinamento giuridico l’impostasulle successioni e donazioni estendendonel’ambito di applicazione alla costituzione divincoli di destinazione”, ai quali doveva ricon-dursi anche la costituzione del trust autodichia-rato oggetto della controversia, idoneo a darluogo agli effetti “segregativi” connessi al con-ferimento dei beni in trust.L’Amministrazione, in tal modo, aveva dunqueper certi aspetti precorso l’indirizzo giurispru-denziale su richiamato, pur senza giungere alleestreme conclusioni delle ordinanze emesse nel2015, del pari sopra ricordate.La sentenza in esame così si esprime sull’indi-rizzo precedente: “come noto con numerose or-dinanze questa Corte, Sez. VI, è giunta a diver-se più radicali conclusioni - appunto disatten-dendo l’idea dell’Amministrazione appena ve-

nalmente estensiva, di un tributo autonomo”, in Dialoghi Tribu-tari, 2015, pag. 108 ss.; A. Contrino, “Sulla nuova (ma in realtàinesistente) imposta sui vincoli di destinazione, ‘creata’ dallaSuprema Corte: osservazioni critiche”, in Rass. trib., 2016,pag. 30 ss.; G. Corasaniti, “Vincoli di destinazione, trust e im-posta sulle successioni e donazioni: la (criticabile) tesi interpre-

tativa della Corte di cassazione e le conseguenze applicative”,in Dir. prat. trib., 2015, II, pag. 688 ss.; A. Busani - R. A. Papot-ti, “L’imposizione indiretta dei ‘trust’: luci e ombre delle recentipronunce della Corte di Cassazione”, in Corr. Trib., 2015, pag.1203 ss.; Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 132-2015/T.

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duta secondo cui in mancanza di conferimentodi beni l’atto di costituzione di trust autodi-chiarato o meno non dovrebbe essere assogget-tato all’imposta sulle successioni e donazioni ...per la ragione che in ipotesi nessuna ricchezzapotrebbe dirsi trasferita - ritenendo invece chel’art. 2, comma 47, D.L. n. 262 cit., abbia isti-tuito un’autonoma generale imposta ‘sulla co-stituzione dei vincoli di indisponibilità’ ... Sa-rebbe in thesi un tributo che perciò prescinde-rebbe dal trasferimento di ricchezza”.La Corte, a questo punto, dimostrando di avercolto il senso delle critiche della dottrina al-l’indirizzo giurisprudenziale ricordato (ad esem-pio la mancanza nella legge di elementi fonda-mentali del presunto tributo “sui vincoli”, co-me l’individuazione dei soggetti passivi, unsensato indice di forza economica cui riferire iltributo, e così via), se ne discosta nettamenteseguendo un percorso in linea di massima con-divisibile (pur con alcune riserve di cui diremotra breve): da un lato, accogliendo una visionedel particolare trust in oggetto in termini didonazione indiretta (si trattava da quel che sicomprende di un classico “trust di famiglia”, fi-nalizzato a far giungere ai discendenti del di-sponente i beni segretati in trust); dall’altro la-to, negando cittadinanza alla tesi secondo cuisarebbe stata introdotta dal legislatore un’im-posta sui vincoli di destinazione, autonoma edistinta da quella sulle successioni e donazioni.Sotto il primo profilo, la sentenza annotata ri-badisce quanto affermato dalla stessa Corte inuna precedente occasione. Già con la sentenzan. 25478/2015 (2) la Corte aveva infatti sposa-to la visione unificante dei diversi trasferimen-ti sottesi da un trust liberale, considerandolouna particolare ipotesi di donazione indiretta,con il conseguente rinvio della tassazione pro-porzionale al momento della devoluzione finaledei beni e dell’effettivo arricchimento che lostesso determina nella sfera patrimoniale deibeneficiari. E con l’ulteriore conseguenza che

“la costituzione del vincolo di destinazionenon è in grado, in sé, di determinare il presup-posto dell’obbligazione tributaria, dovendo l’ef-fetto di trasferimento essere proiettato nellasfera giuridica di un soggetto diverso dal tru-stee, fin dall’inizio determinato dal disponente,nominatim ovvero in base a un criterio generaledi individuazione” (3).A queste stesse conclusioni si è sostanzialmen-te conformata la sentenza qui annotata, nel ri-levare quanto segue: “Come invero già eviden-ziato da questa Corte il tipo di trust ‘autodi-chiarato’ pervenuto all’esame costituisce unaforma di donazione indiretta, nel senso che persuo mezzo il disponente provvederà a benefi-ciare i suoi discendenti non direttamente ebensì a mezzo del trustee in esecuzione di undiverso programma negoziale (Cass., Sez. trib.,n. 25478 cit.). Ed invero la costituzione deltrust - come è normale che avvenga per i vin-coli di destinazione - produce soltanto efficacia‘segregante’ i beni eventualmente in esso con-feriti e questo sia perché degli stessi il trusteenon è proprietario bensì amministratore e siaperché i ridetti beni non possono che esseretrasferiti ai beneficiari in esecuzione del pro-gramma negoziale stabilito per la donazione in-diretta ... L’appena veduta osservazione è fon-damentale perché consente di comprenderel’inconsistenza della censura denunciata dal-l’Ufficio che ... sostiene l’erroneo convinci-mento che il conferimento di beni in trust dialuogo a un reale trasferimento imponibile. Unreale trasferimento che è invece impossibileperché del tutto contrario al programma nego-ziale di donazione indiretta per cui è stato pre-disposto e che - come si ripete - prevede latemporanea preservazione del patrimonio amezzo della sua segregazione fino al trasferi-mento vero e proprio a favore dei beneficiari.Per l’applicazione dell’imposta sulle successionie donazioni manca quindi il presupposto impo-sitivo della liberalità alla quale può dar luogo

(2) In Corr. Trib., 2016, pag. 676 ss., con nota di D. Stevana-to, “‘Trust’ liberali e imposizione indiretta, uno sguardo al pas-sato rivolto al futuro?”.

(3) Concludevano dunque i giudici che “la costituzione di untrust va considerata estranea al presupposto dell’imposta indi-

retta sui trasferimenti in misura proporzionale, sia essa l’impo-sta di registro… sia essa l’imposta ipotecaria o l’imposta cata-stale, mancando l’elemento fondamentale dell’attribuzione de-finitiva dei beni al soggetto beneficiario”.

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soltanto un reale arricchimento mediante unreale trasferimento di beni e diritti (art. 1,D.Lgs. n. 346 cit.).

Alcune annotazioni parzialmente critichesul percorso motivazionaleseguito dalla Corte

Con riguardo a questa parte della sentenza, oc-corre formulare alcune riflessioni ulteriori.Appare come detto condivisibile ricondurre iltrust (si intende, non tutti, soltanto quelliaventi uno scopo di famiglia, successorio e/o li-berale) (4) nell’ambito delle donazioni indiret-te; non sembra invece altrettanto corretto rite-nere che la costituzione del trust produca sem-pre e soltanto efficacia segregante sui beni con-feriti e non anche un trasferimento della pro-prietà degli stessi (“il trustee non è proprietariobensì amministratore ...”). In realtà, il trusteediventa proprietario dei beni conferiti dal di-sponente, ancorché tali beni vadano ad ali-mentare un patrimonio separato da quello deltrustee, essendo asserviti al programma negozia-le delineato nel trust deed. Nel conferimento dibeni in trust, insomma, si verifica sia un trasfe-rimento della proprietà (nei confronti del tru-stee, che diventa proprietario oltre che “ammi-nistratore” dei beni) che un effetto segregativo(i beni entrano a far parte di un patrimonio se-parato, e sono vincolati nella destinazione).Del resto, atteso che il disponente perde pacifi-camente la titolarità dei beni che conferiscenel trust, ciò è il segno che questi beni sonostati trasferiti. E il fatto che quella del trusteesia una legal ownership, limitata nelle possibilidestinazioni e facoltà di utilizzo dal beneficialinterest spettante ai beneficiari del trust, nonmuta queste conclusioni.La mancanza di effetti traslativi connota inve-ce i trust c.d. autodichiarati, in cui la figura deldisponente e quella del trustee coincidono: inquesto caso i beni rimangono di proprietà deldisponente-trustee, mentre si produce l’effettosegregativo e il vincolo di destinazione, con la

creazione di un patrimonio separato in capo aldisponente.L’inapplicabilità dell’imposta sulle successionie donazioni, con riguardo ai beni conferiti intrust, non dipende dunque dalla mancanza diun formale trasferimento a terzi (i beni, conl’eccezione del trust autodichiarato, sono in ef-fetti trasferiti al trustee, sia pure in un regimedi segregazione patrimoniale), quanto dall’averassunto una visione (non già atomistica bensì)unitaria del trust come donazione indiretta, incui l’arricchimento dei beneficiari finali deltrust si realizza soltanto alla fine, col definitivotrasferimento del trust fund a questi ultimi, enon invece con il mero conferimento dei beniin trust e con l’attribuzione della titolarità for-male degli stessi al trustee.Sotto questo aspetto, la sentenza è correttanella sua parte dispositiva (inapplicabilità del-l’imposta sulle successioni e donazioni agli attidi dotazione del trust), mentre è più discutibileo comunque problematica nella sua parte moti-va, a meno di non riferire le affermazioni ivicontenute ai soli trust autodichiarati, in cui ineffetti non si verifica alcun trasferimento deibeni ma soltanto un effetto segregativo nel pa-trimonio del disponente.Quanto alla inapplicabilità delle imposte ipo-tecarie e catastali, questa andrebbe affermatanon già osservando l’inesistenza di un trasferi-mento (che invece nei trust non autodichiaratiha luogo), ma semmai accogliendo quelle tesisecondo cui il presupposto dei particolari tribu-ti non è la trascrizione o la voltura catastale,bensì la stessa fattispecie alla base dell’impostadi registro o del tributo sulle successioni e do-nazioni. Seguendo questa tesi, “parrebbe dun-que logico ritenere che l’applicazione delle im-poste in considerazione possa essere effettuata,in misura proporzionale, solo all’atto del trasfe-rimento ‘finale’ tramite il quale si realizza ilpresupposto del tributo. Anche per l’applica-zione delle imposte ipotecaria e catastale, in-fatti, è necessario che il presupposto d’impostasia manifestativo di capacità contributiva, tal-

(4) I trust onerosi o comunque non liberali (di garanzia, d’im-presa, costituti per far fronte a esigenze concorsuali, per la ge-

stione di situazioni di crisi da sovraindebitamento, ecc.) nonsottendono evidentemente alcuna donazione indiretta.

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ché si comprende come in ipotesi di trasferi-mento di beni dal disponente al trustee l’arric-chimento, che è presupposto del tributo fin quiconsiderato e, conseguentemente, anche delleimposte ipotecaria e catastale, difetti e chepertanto non appaia appropriata una imposi-zione della vicenda traslativa con ricorso ai cri-teri impositivi in misura proporzionale” (5).

Il new deal della Suprema Cortein materia di (non) imposizionedei meri vincoli di destinazione

La sentenza in esame affronta poi la spinosaquestione dell’autonoma imposta sulla costitu-zione di vincoli di destinazione, affermata nelleordinanze del 2015, giungendo a conclusionidel tutto condivisibili.Secondo la sentenza annotata, in specie, nonpuò condividersi l’interpretazione dell’art. 2,comma 47, cit., secondo cui sarebbe stata isti-tuita un’autonoma imposta sulla “costituzionedi vincoli di destinazione”, avente come pre-supposto la loro mera costituzione. E ciò, inprimo luogo, per ragioni letterali (“neanche ildato letterale autorizza una tale conclusione,giacché ... l’unica imposta espressamente isti-tuita è stata la reintrodotta imposta sulle suc-cessioni e sulle donazioni alla quale per ulterio-re espressa disposizione debbono andare ancheassoggettati i ‘vincoli di destinazione’”), da cuideriva la necessità, ai fini della nascita del pre-supposto impositivo, “del reale trasferimento dibeni o diritti e quindi del reale arricchimentodei beneficiari”.I giudici hanno così finalmente colto il presup-posto giuridico ed economico del tributo sullesuccessioni e sugli atti di liberalità tra vivi, el’inesistenza di un autonomo e diverso tributosulla mera costituzione di “vincoli di destina-zione”, la cui menzione risponde semmai aun’esigenza di completezza della fattispecie ri-spetto a una figura di recente introduzione(per i giudici emerge “la preoccupazione ... dievitare che un’interpretazione restrittiva dellaistituita nuova legge sulle successioni e dona-

zioni disciplinata mediante richiamo al giàabrogato D.Lgs. n. 346 cit. potesse dar luogo anessuna imposizione anche in caso di reale tra-sferimento di beni e diritti ai beneficiari quan-do lo stesso fosse stato collocato all’interno diuna fattispecie tutto sommato di recente intro-duzione come quella dei ‘vincoli di destinazio-ne’ e quindi niente affatto presa in diretta con-siderazione dal ridetto ‘vecchio’ D.Lgs. n. 346cit.”). Resta dunque ferma l’irrilevanza dei vin-coli di destinazione non traslativi, o che nonproducono arricchimenti, provocati da un in-tento liberale del disponente, di altrui sfere pa-trimoniali.Per la Corte, “questa sembra essere l’interpre-tazione non solo logicamente più corretta, maanche quella che appare essere l’unica costitu-zionalmente orientata. E ciò atteso che l’art.53 Cost. non pare poter tollerare un’imposta, ameno che non sia un’imposta semplicemented’atto come per l’essenziale è per es. quella diregistro, senza relazione alcuna con un’idoneacapacità contributiva”.Si potrebbe peraltro discutere se nell’impostaproporzionale di registro - ancorché “impostad’atto” - manchi effettivamente un indice di“forza economica”, ben potendo la stessa essereconsiderata un tributo di stampo patrimonialeapplicato al momento del trasferimento di benie diritti a titolo oneroso, con trasformazionedella ricchezza in una ricchezza di altro tipo.Resta però sicuramente vero che nel fantoma-tico tributo sulla costituzione dei “vincoli didestinazione”, ideato nella pregressa giurispru-denza della Corte, mancavano - a tacer d’altro- i requisiti minimi per la compatibilità conl’art. 53 Cost., giacché l’apposizione di un vin-colo su una parte del patrimonio di un sogget-to non denota alcuna peculiare forza economi-ca differenziale, essendo anzi il sintomo di unimpoverimento, legato alle diminuite potenzia-lità di utilizzo e sfruttamento del bene sottopo-sto a vincolo.Semmai, un vincolo di destinazione posto di-rettamente a favore di terzi rileverebbe positi-

(5) Così il Consiglio Nazionale del Notariato, Studio Tributa-rio n. 58-2010/T.

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vamente nella sfera di questi ultimi, ma perpoterli considerare “soggetti passivi” di un tri-buto sull’arricchimento provocato dal vincolooccorrerebbe che quest’ultimo si concretizzassenel trasferimento di beni e diritti a loro favore,misurabile economicamente, tornando ancheper questa via al tema della compatibilità conl’art. 53 Cost. sotto il profilo dell’attualità edeffettività della capacità contributiva. Nonsembra invece che si possa affermare la tassabi-lità di generiche utilità non idonee a incre-mentare il patrimonio del beneficiario (adesempio la possibilità di godere dei servizi diun’abitazione o di un’imbarcazione); altrimentidovrebbe scontare l’imposta sugli atti liberalianche la concessione di un bene in comodatogratuito, la messa a disposizione di una casaper le vacanze, la facoltà di accedere gratuita-mente a un impianto sportivo, e così via, chedeterminano un risparmio di spesa ma ancoranon incrementano il patrimonio del beneficia-rio.Il punto è che un bene segregato in trust e vin-colato al soddisfacimento degli interessi dei be-neficiari, se può preludere a un arricchimentoche si realizzerà con la devoluzione finale deltrust fund (che concretizzerà quel “trasferimen-to di beni e diritti” richiesto per l’applicazionedel tributo sugli atti liberali), non è ancoraidoneo a fondare una pretesa impositiva: pertassare tale arricchimento occorrerà appuntoattendere che lo stesso produca i suoi effettinella sfera giuridica dei beneficiari, incremen-tando il loro patrimonio.Diversamente, la costituzione di un vincolo didestinazione slegato da ogni intento liberale(si pensi alla segregazione di beni in un trust agaranzia dei creditori, o a un trust cui venganoconferite partecipazioni societarie con l’intento“parasociale” di imprimere un indirizzo unitarionel diritto di voto) sarà al di fuori di ogni - an-corché prospettica - possibilità di tassazione,per la non inquadrabilità del fenomeno all’in-terno del tributo sulle successioni e donazionio di altri tributi putativi come quello sui “vin-coli di destinazione”.La precedente giurisprudenza della SupremaCorte aveva dunque l’insuperabile difetto di

postulare un’imposta sulla mera costituzione divincoli di destinazione, finendo per colpirequalsivoglia ipotesi destinatoria, dunque anchequei vincoli estranei ad un assetto di interessiliberale e comunque, nel caso in questo fosseravvisabile, non (ancora) espressivi di capacitàcontributiva, data per l’appunto dall’arricchi-mento della sfera patrimoniale dei beneficiari.L’insussistenza di un’imposta sulla mera costi-tuzione di vincoli di destinazione appare alloradel tutto coerente rispetto alla ricostruzionedel trust liberale come particolare ipotesi di do-nazione indiretta, cioè quale strumento in gra-do di produrre, con la devoluzione finale deibeni conferiti al trust, il programmato arricchi-mento dei beneficiari. Si noti che in questomodo la liberalità indiretta non sfugge alla tas-sazione, essendo soltanto - correttamente - po-stergata al momento in cui la stessa realizzerà isuoi effetti nella sfera del beneficiario, senzadunque costringere quest’ultimo a una antici-pazione di imposte su beni non di sua proprie-tà, e che potrebbe anche non ricevere mai (sipensi all’ipotesi in cui il trust non abbia ancoradei beneficiari determinati, al perimento deibeni in trust o alla diminuzione del loro valore,all’ipotesi di revoca del trust, e via discorren-do).Appare dunque corretto, ed estensibile ad ogniimposta (non solo quelle ipotecarie e catastali,ma altresì il tributo sulle successioni e donazio-ni) e ad ogni ipotesi di trust liberale (e non so-lo a quello autodichiarato), il principio di di-ritto affermato dalla Corte, secondo cui in oc-casione degli atti di dotazione non deve trova-re applicazione l’imposta proporzionale perché“la fattispecie si inquadra in quella di una do-nazione indiretta cui è funzionale la ‘segrega-zione’ quale effetto naturale del vincolo di de-stinazione, una ‘segregazione’ da cui non derivaquindi alcun reale trasferimento di beni e ar-ricchimento di persone, trasferimento e arric-chimento che dovrà invece realizzarsi a favoredei beneficiari, i quali saranno perciò nel casosuccessivamente tenuti al pagamento dell’im-posta in misura proporzionale”.Come si vede, seguendo questa condivisibileprospettazione, non vi è alcuna sottrazione agli

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obblighi tributari insiti negli esiti del program-ma negoziale del trust liberale, ma soltanto ilgiusto riconoscimento che le imposte dovran-no essere applicate solamente quando si realiz-zerà in concreto l’arricchimento a favore dei

beneficiari finali, all’atto della devoluzione deltrust fund.Si spera che, con questa pronuncia, sia davverocalato il sipario sull’ineffabile e incostituziona-le imposta sui vincoli di destinazione!

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Redditi di capitale

Presunzione di onerositàper i versamenti socio-societàCassazione, Sez. trib., Sent. 9 settembre 2016 (12 maggio 2016), n. 17839 - Pres. Cappabianca- Rel. Cricenti

Redditi di capitale - Determinazione - Versamenti dei soci alla società - Presunzione di onerosità - Sussisten-za - Prova contraria a carico del contribuente - Ammissibilità - Dimostrazione dell’iscrizione in bilancio delversamento a titolo diverso dal mutuo - Necessità

I versamenti dei soci alla società si presumono, ex lege, onerosi. In caso di mancato superamentodella presunzione legale, gli interessi attivi, al pari di quelli prodotti da qualsiasi finanziamento aterzi, concorrono a formare il reddito prodotto dall’impresa (individuale o collettiva). La presunzio-ne di onerosità del prestito è superabile soltanto nei modi e nelle forme tassativamente stabilitedalla legge, in particolare dimostrando che i bilanci allegati alle dichiarazioni dei redditi della socie-tà contemplano un versamento fatto a titolo diverso dal mutuo.

Ritenuto in fatto

A seguito di verifica presso la società B., la Guardiadi Finanza appurava che la società era partecipata dasoli due soci, padre e figlio, e amministrata da altroparente; che dal 1994 al 2000 era stato convenutoche i soci non incassassero gli utili realizzati, lascian-doli nella disponibilità della società.Da tale verifica l’Agenzia ha dedotto che la rinunciaalla riscossione degli utili costituisse per i soci un fi-nanziamento a favore della società, che dunque erada presumere avesse corrisposto gli interessi ai finan-ziatori.Nei confronti di questi ultimi dunque il Fisco ha ope-rato rettifica del reddito e rideterminazione delle im-poste.La Commissione provinciale ha accolto il conseguen-te ricorso dei soci e della società, con decisione con-fermata dalla Commissione regionale.Su ricorso dell’Agenzia questa Corte con sentenza n.10031/2009 ha cassato la decisione di appello conrinvio.La Commissione regionale, in diversa composizione,ha dunque nuovamente deciso escludendo che lamancata riscossione degli utili potesse configurare unfinanziamento fruttifero a favore della società.Avverso tale decisione propone ricorso per cassazionel’Agenzia, proponendo due motivi di censura.Resistono con controricorso la società ed i soci.

Motivi della decisione

La decisione impugnata, nell’attenersi al principio didiritto affermato dalla precedente decisione di questaCorte, ha ribadito la presunzione legale (art. 43, oraD.P.R. n. 917/1986, art. 46) di mutualità ed onerositàdel lascito a favore della società. Ha ritenuto, però,questa presunzione superata dal fatto che la sommanon era iscritta a bilancio come mutuo ricevuto daisoci; che non vi fossero esigenze finanziarie della so-cietà, tali da richiedere un mutuo ai soci; che le som-me sono state poi reinvestite in obbligazioni fruttifere.1. - Con il primo motivo l’Agenzia denuncia viola-zione dell’art. 384 c.p.c. Sostiene che questa Corteaveva cassato la precedente sentenza di merito affer-mando il principio di diritto per cui l’assenza di inde-bitamento della società non era da sola sufficiente asmentire la presunzione che quest’ultima avesse rice-vuto dai soci un finanziamento.Il motivo è fondato.In sostanza la Corte, con la precedente sentenza, ave-va cassato la decisione di appello, ritenendo insuffi-ciente il solo dato dell’assenza di bisogni finanziaridella società, elemento che era stato addotto a dimo-strazione del fatto che non si trattasse di un finanzia-mento; ed aveva chiesto ai giudici di rinvio di cerca-re altri ed ulteriori elementi.A fronte di tale principio di diritto, occorreva addur-re elementi sufficienti a smentire la presunzione dilegge.

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È infatti regola affermata da questa Corte che i versa-menti dei soci alla società si presumono onerosi, enon fa differenza che siano fatti dal socio persona fisi-ca o dal socio imprenditore, “non facendo la normacenno alcuno ad una pretesa natura di persona solofisica” dei soci destinatari della presunzione ed essen-do tale limitazione, in carenza di qualsivoglia concre-to elemento di differenziazione, contraria ad una in-terpretazione normativa coerente con i precetti det-tati dagli artt. 3 e 53 Cost., in quanto finirebbe pertrattare diversamente situazioni economiche identi-che”. L’onerosità del versamento è dunque presunta:“ne consegue che, in caso di mancato superamentodella presunzione legale, gli interessi attivi, al pari diquelli prodotti da qualsiasi finanziamento a terzi,concorrono a formare il reddito prodotto dall’impresa(individuale o collettiva), come espressamente previ-sto dal D.P.R. n. 917 cit., art. 45, e confermato dal-l’art. 95, nella parte in cui considera il reddito com-plessivo delle società quale reddito d’impresa “daqualsiasi fonte provenga” (Sez. 5, n. 12251/2010).Ciò detto, la presunzione di onerosità del prestitonon è vincibile con ogni mezzo, “ma soltanto nei mo-di e nelle forme tassativamente stabilite dalla legge,in particolare dimostrando che i bilanci allegati alle

dichiarazioni dei redditi della società contemplavanoun versamento fatto a titolo diverso dal mutuo”.(Sez. 5, n. 16445/2009).Conseguentemente, da un lato è irrilevante, per su-perare la presunzione, che le somme siano state util-mente investite, circostanza che non può di certo si-gnificare che sono state gratuitamente elargite dai so-ci; dall’altro la presunzione può essere vinta, come siè detto, solo in ragione di precisi elementi, ossia for-nendo la dimostrazione richiesta della iscrizione inbilancio del versamento come fatta a titolo diversodal mutuo.L’accoglimento di questo primo motivo assorbe l’esa-me di quello successivo. Il ricorso va pertanto accoltoe la sentenza cassata con rinvio ad altro collegio dellaCommissione tributaria che si atterrà al principio didiritto sopra enunciato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impu-gnata e rinvia alla Commissione tributaria di secondogrado di Trento, in diversa composizione, che prov-vederà anche in ordine alle spese.

La Cassazione torna, con piglio creativo, sulla vexata quaestiodella presunzione di fruttuosità dei mutui socio/società

di Matteo Fanni (*)

La Suprema Corte torna, ancora una volta, con sentenza n. 17839/2016, su una tematica già af-frontata in numerose occasioni nell’ultimo quinquennio. Dopo una serie di pronunce che, final-mente, sembravano aver “aggiustato il tiro”, la sentenza rievoca una visione distorta del rappor-to tra le presunzioni riferite al titolo dei trasferimenti di denaro dal socio alla società e quelle re-lative all’onerosità dei finanziamenti. A differenza di quanto avvenuto finora, la sentenza non silimita ad affermare - sbagliando - che la presunzione di onerosità del mutuo può essere vinta so-lo attraverso una espressa indicazione contraria contenuta nei bilanci della mutuataria, ma giun-ge addirittura a stabilire - senza alcuna base giuridica - che la stessa gratuità dell’erogazione delsocio potrebbe essere provata solo dimostrando che la dazione è avvenuta a titolo diverso dalmutuo. La sentenza giunge così ad affermare, implicitamente, che, in presenza di un mutuo, lasua fruttuosità sarebbe assistita da una presunzione assoluta, non superabile dal contribuente.

In precedenti occasioni (1), si è già avuto mo-do di esaminare l’inspiegabile orientamento as-

sunto dalla Suprema Corte in merito alle pre-sunzioni relative al titolo del trasferimento di

(*) Avvocato in Milano, Bonelli Erede, Managing associate -Dottore di ricerca in Diritto tributario presso l’Università di Mila-no Bicocca

(1) Cfr. M. Fanni, “La presunzione legale di onerosità deimutui tra prova contraria libera (di fonte normativa) e vincolata(di fonte giurisprudenziale)”, in Rass. trib., 2011, pag. 170 ss.,

“La Cassazione rivaluta i propri precedenti su presunzione dionerosità e ‘transfer pricing’ in una pronuncia sui finanziamen-ti infragruppo”, in questa Rivista, 2015, pag. 322 ss. e, da ulti-mo, “Presunzione legale di onerosità dei mutui socio/società:la prova contraria è libera”, in Corr. Trib., 2015, pag. 3902 ss.

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somme di denaro dal socio in favore della so-cietà, alla fruttuosità del mutuo e, infine, altempo e alla misura degli interessi.L’esame della problematica presuppone un bre-ve richiamo alle norme di riferimento che, co-me si vedrà, sembrano essere state, ancora unavolta, non adeguatamente interpretate dallaCassazione.

Presunzioni relative al trasferimentodi denaro dai soci alla società

Rileva, in primo luogo, l’art. 46 T.U.I.R., ilquale dispone che le somme versate dai soci opartecipanti alle società commerciali e agli en-ti di cui all’art. 73, comma 1, lett. b), delT.U.I.R. “si considerano date a mutuo se daibilanci o rendiconti di tali soggetti non risultache il versamento è stato fatto ad altro titolo”.La norma menzionata introduce dunque unapresunzione legale relativa al “titolo” del “ver-samento dei soci” (che si presume essere il mu-tuo), e prevede che tale presunzione possa es-sere superata solo fornendo una specifica provacontraria (espressa indicazione, nel bilanciodella mutuataria, che il versamento è stato fat-to a titolo diverso dal mutuo). La presunzionein esame è riconducibile alla categoria dellec.d. presunzioni legali miste (2) o “a provacontraria vincolata”.La seconda norma da prendere in considerazio-ne è l’art. 1815 c.c., ove si stabilisce che, “sal-vo diversa volontà delle parti, il mutuatariodeve corrispondere gli interessi al mutuante.Per la determinazione degli interessi si osserva-no le disposizioni dell’art. 1284 c.c.” (3). Lanorma civilistica appena citata prevede unapresunzione legale relativa di fruttuosità deimutui. In assenza di diversa indicazione nor-mativa, la prova contraria attraverso cui puòessere superata tale presunzione è libera. L’uni-

co parametro di valutazione, affidato al giudi-ce, è la capacità dimostrativa del mezzo di pro-va offerto.Infine, per quanto riguarda il momento di per-cezione degli interessi e la loro misura vigonole presunzioni recate dagli artt. 1284 c.c. e 45del T.U.I.R., anch’esse a prova contraria libe-ra.Nonostante l’estrema linearità del “menù” e lapresenza - tutto sommato - di ingredienti assaisemplici, la combinazione di tali ingredienti èstata spesso trasformata dalla Cassazione inuna “pietanza” spiacevole per i contribuenti,nella quale si sono persi totalmente il senso eil gusto del “piatto” originario. Ed infatti, inpiù occasioni, la Corte ha deciso fattispecie in-centrate sulla tematica della gratuità/fruttuosi-tà del mutuo verificando se, agli atti, fosse pre-sente il bilancio della società e se quest’ultimoindicasse espressamente la non onerosità delmutuo. Peccato che, come si è visto, tale “pro-va contraria vincolata” sia prevista dall’art. 46del T.U.I.R. unicamente al fine di vincere lapresunzione inerente al “titolo” della dazionedelle somme da parte del socio in favore dellasocietà: presunzione, questa, diversa e logica-mente antecedente alla presunzione di fruttuo-sità del mutuo, che può invece essere vintacon prova contraria libera.Tale errore, reiterato dal giudice di legittimità,ha determinato la decisione pro Fisco di nume-rose controversie, nelle quali, assai spesso, nonera neanche in discussione il titolo della eroga-zione (che le parti individuavano nel mutuo),bensì, unicamente, la fruttuosità/gratuità dellastessa. Si è così susseguita una serie di pronun-ce che confermavano la ripresa a tassazione dipresunti interessi attivi in capo al socio mu-tuante o la mancata applicazione di ritenute sutali interessi da parte della società finanziata,perché la gratuità del mutuo, spesso conferma-

(2) Per una distinzione tra le diverse tipologie di presunzionee le modalità di superamento cfr. M. Fanni, “I poteri istruttori ela prova nel processo tributario”, par. 12 “Le presunzioni”, inTesauro (a cura di), Codice commentato del processo tributario,UTET, 2016, II edizione, pag. 134 ss.

(3) Sul versante civilistico, l’art. 1284 c.c. stabilisce - in sin-tesi - che gli interessi si computano al saggio legale, salvo chele parti abbiano pattuito una diversa misura.

Su quello fiscale, con un maggior grado di dettaglio, l’art.

45 del T.U.I.R. (“Determinazione del reddito di capitale”) stabi-lisce, al comma 2, che “per i capitali dati a mutuo gli interessi,salvo prova contraria, si presumono percepiti alle scadenze enella misura pattuite per iscritto. Se le scadenze non sono pat-tuite per iscritto gli interessi si presumono percepiti nell’am-montare maturato nel periodo d’imposta. Se la misura non èdeterminata per iscritto gli interessi si computano al saggio le-gale”.

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ta da altre evidenze (non ultima la contabilitàdel mutuante chiamato in giudizio o l’esistenzadi lettere commerciali), non risultava espressa-mente indicata nei bilanci della società mutua-taria. O, più semplicemente, perché i bilancinon risultavano prodotti agli atti, sicché nonvi era prova dell’eventuale qualificazione delmutuo (4) in tali documenti.L’orientamento suindicato sembrava essere sta-to superato da alcune recenti pronunce che, ri-pristinando la corretta interpretazione dei pre-cetti normativi che regolano la materia, riaffer-mavano la “libertà” di prova contraria - ex art.1815 c.c. - rispetto alla presunzione di fruttuo-sità dei mutui. In particolare, la sentenza del19 dicembre 2014, n. 27087, dopo una lungasequenza di sentenze contrarie, riconosceva ildiritto del mutuante - una società di capitali -di fornire adeguata prova contraria - senza li-mite alcuno - della statuita gratuità del finan-ziamento erogato alla propria controllata.La suindicata libertà di prova contraria venivariaffermata, poco dopo, dalla sentenza del 4febbraio 2015, n. 1976. Partendo dal presuppo-sto, innegabile, dell’esistenza di una presunzio-ne di onerosità del mutuo socio/società, la sen-tenza osservava che la stessa “può essere supe-rata da una specifica prova da parte del contri-buente di una diversa pattuizione tra le parti,nel senso di una gratuità della prestazione”.Nessun riferimento, dunque, ad una “provacontraria vincolata” - come nei precedenti ne-gativi già evocati - ed ai limiti così surrettizia-mente imposti ai contribuenti (5).

Presunzione assoluta di fruttuositàdei mutui socio/società?

La sentenza in esame, non soltanto riproponel’indigesta ricetta scaturita dalla non correttamescolanza delle disposizioni sopra esaminate,ma la “radicalizza” ancor più e la fa inoltre pre-cedere da una velenosa entrée, consistente nel-l’assimilazione della mancata distribuzione deidividendi ad un finanziamento.

La fattispecie decisa dalla Corte vedeva coin-volta una S.r.l. a ristretta base societaria. Dal“fatto” si evince che i due soci avevano stabili-to, di comune accordo, e per un certo numerodi anni, di non riscuotere l’utile prodotto affin-ché fosse reinvestito nella società. Le somme,dunque, restavano nella sfera sociale, senzamai entrare nella disponibilità dei soci.Nonostante non vi fosse alcuna fuoriuscita disomme dalla sfera sociale, l’Agenzia ipotizzavache il patto stipulato tra i soci dissimulasse, difatto, un finanziamento alla società, da ritener-si - ça va sans dire - fruttifero. Per l’effetto, lasocietà avrebbe dovuto operare delle ritenute -ovviamente non effettuate - sul presunto reddi-to che s’ipotizzava spettante ai soci a titolod’interessi.A quanto è dato comprendere, il giudice di se-condo grado, accettata l’entrée appena descrit-ta, aveva rimandato in cucina il piatto princi-pale, riconoscendo che, nonostante l’astrattaapplicabilità al caso in esame della presunzionelegale inerente al “titolo” (mutuo) e di quellainerente alla fruttuosità dello stesso, quest’ulti-ma poteva ritenersi superata dalla considerazio-ne che la somma non era iscritta nel bilanciodella società come mutuo ricevuto dai soci;che non vi fossero esigenze finanziarie della so-cietà a corroborare la tesi dell’Ufficio; che lesomme erano state effettivamente reinvestitedalla S.r.l. in obbligazioni fruttifere.Al di là dell’esistenza di forti perplessità in or-dine al contenuto del motivo di ricorso propo-sto dall’Avvocatura (che parrebbe, a leggere lasentenza, manifestamente inconferente rispettoal contenuto della decisione di seconde curecome richiamata dalla stessa Corte), la Cassa-zione accoglie il suindicato ricorso e rimette leparti davanti al giudice di merito sulla base deiseguenti presupposti: i) “è regola affermata daquesta Corte che i versamenti dei soci alla so-cietà si presumono onerosi, e non fa differenzache siano fatti dal socio persona fisica o dal so-cio imprenditore”; ii) “l’onerosità del versa-

(4) Per una critica più approfondita di tale posizione giuri-sprudenziale, sia dato rinviare al primo scritto citato alla nota1.

(5) Sono da ascrivere al filone favorevole - perché, in negati-

vo, non menzionano la necessità di opporre una “prova con-traria vincolata” alla presunzione di fruttuosità del mutuo - an-che Cass., 26 giugno 2015, n. 13270 e Id., 7 ottobre 2015, n.20035.

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mento è presunta: ne consegue che, in caso dimancato superamento della presunzione legale,gli interessi attivi, al pari di quelli prodotti daqualsiasi finanziamento a terzi, concorrono aformare il reddito prodotto dall’impresa (indi-viduale o collettiva), come espressamente pre-visto dal D.P.R. n. 917/1986”; iii) “la presun-zione di onerosità del prestito non è vincibilecon ogni mezzo, ma soltanto nei modi e nelleforme tassativamente stabilite dalla legge, inparticolare dimostrando che i bilanci allegatialle dichiarazioni dei redditi della società con-templavano un versamento fatto a titolo diver-so dal mutuo (Sez. 5, n. 16445/2009)”.Come facilmente intuibile, è un crescendo adesito del quale il contribuente viene sorpresodall’elaborazione di un nuovo principio di di-ritto totalmente avulso rispetto alle poche nor-me che regolano la materia. La Corte conclu-de, infatti, che “la presunzione [di onerosità,N.d.R.] può essere vinta, come si è detto, soloin ragione di precisi elementi, ossia fornendola dimostrazione richiesta della iscrizione in bi-lancio del versamento come fatta a titolo di-verso dal mutuo”.La confusione, con la sentenza in commento,sembra avere raggiunto il suo punto più alto.A leggere la terza affermazione riportata (iii),ripresa anche dalla conclusione, l’onerosità delmutuo parrebbe infatti trasformarsi addiritturain una presunzione assoluta (iuris et de iure),“aggirabile” solo dimostrando che le sommestesse sono state trasferite a “titolo” diverso dalfinanziamento.Poiché il “titolo” è assistito, come già indicato,da una “presunzione legale mista” (o a “provacontraria vincolata”), seguendo tale imposta-zione, il risultato finale è che tutti i trasferi-menti di denaro da parte del socio in favoredella società sarebbero da ritenersi “a titolo dimutuo” e, conseguentemente, “onerosi”, salvoche il bilancio della società che riceve il dena-ro non indichi che il versamento fu operato atitolo diverso dal mutuo (6) (in via meramente

esemplificativa, di aumento di capitale, versa-mento a fondo perduto etc.). O è mutuo, onon è mutuo. Se è tale, non può che esserefruttifero (!). La sentenza cancella dunque -con due affermazioni convergenti, che replica-no il concetto - l’ipotesi stessa della esistenzadi un mutuo non fruttifero.Niente di più lontano, dunque, dalla sempliceesegesi delle norme rilevanti con la quale si èaperto il presente scritto.

Equiparazione della mancata riscossionedei dividendi a un finanziamento

La sentenza, a ben vedere, contiene un altro,meno evidente, elemento di rilievo.Il casus belli non nasce, infatti, da un classicofinanziamento socio-società, poiché le sommeche l’Agenzia delle entrate ha ritenuto produt-tive di interessi a favore dei soci erano, ab ori-gine, in possesso della società. Si trattava, in-fatti, di utili societari che, in base a uno speci-fico accordo, non erano stati riscossi dai duesoci della s.r.l. a ristretta base societaria.Nella ricostruzione in “fatto”, la sentenza men-ziona, dapprima, la circostanza che “dal 1994al 2000 era stato convenuto che i soci non in-cassassero gli utili realizzati, lasciandoli nelladisponibilità della società”. Nella frase succes-siva si richiama la deduzione dell’Agenzia inbase alla quale “la rinuncia alla riscossione de-gli utili costituiva per i soci un finanziamentoa favore della società”.Sarebbe stato rilevante chiarire se dell’utileprodotto dalla società fosse stata, comunque,anno per anno, deliberata la distribuzione. So-lo in questo caso, infatti, l’assimilazione ad unfinanziamento - benché discutibile, soprattuttoalla luce delle conseguenze che l’Agenzia ne fadiscendere - sarebbe - a determinate condizioni- accettabile. L’idea è che le somme di cui si èdeliberata la distribuzione “escano” dal patri-monio giuridico della società e che, per mezzodella temporanea rinuncia alla riscossione, virientrino sotto forma di finanziamento, con ac-

(6) Le diverse possibili cause giustificative del trasferimentosono dettagliatamente esaminate da Cass., n. 27087/2014, inquesta Rivista, n. 4/2015, pag. 322 ss., con commento di M.Fanni. La stessa sentenza individua l’essenza del mutuo nella

circostanza che il socio mutuante vanta un diritto soggettivo dicredito alla restituzione della somma nei confronti della socie-tà, obbligata ad adempiere indipendentemente dalle vicendedel rapporto sociale e dallo scioglimento dell’ente collettivo.

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censione - in bilancio - di una voce di debitonei confronti dei soci (7).In assenza di una delibera di distribuzione, alcontrario, l’ipotesi di assimilazione diventa giu-ridicamente insostenibile. L’utile della societàresterebbe infatti tale, senza alcun mutamentodella titolarità giuridica del sottostante. Inquest’ultima ipotesi è impossibile ravvisare unfinanziamento socio-società, poiché non si puòtrasferire qualcosa di cui non si dispone in sen-so giuridico. Laddove la decisione sia nel sensodi non distribuire l’utile sociale e di reinvestir-lo, i soci beneficeranno - al più - di un accre-scimento del valore della società e, se l’investi-mento darà i suoi frutti, circostanza nient’affat-to scontata, di maggiori utili futuri.Come anticipato, la Corte non chiarisce indettaglio la ricostruzione del fatto e non con-sente, dunque, di valutare la legittimità dellepremesse (l’entrée) di tale assimilazione.

Considerazioni conclusive

Si era recentemente salutato, con favore, l’ap-parente revirement operato dalla Corte in meri-to alla tematica, più volte trattata, delle pre-sunzioni relative al titolo del trasferimento del-le somme socio-società, e alla gratuità-fruttuo-sità dei finanziamenti tra gli stessi intercorsi.Riletto il testo delle due norme che regolanola materia - l’art. 46 del T.U.I.R. e l’art. 1815c.c. -, il giudice di legittimità sembrava averefinalmente distinto la presunzione che necessi-ta di una prova contraria vincolata (relativa al“titolo” di dazione delle somme) dalla presun-

zione che, invece, è superabile con qualsiasimezzo di prova (relativa alla fruttuosità delmutuo). La sentenza in esame non soltanto ciriporta al periodo in cui la Corte confondeva,inspiegabilmente, quale fosse il reale oggettodella prova contraria vincolata e, per contro, diquella libera, ma giunge addirittura ad afferma-re - in una sorta di paradosso in cui i “principidi diritto” prescindono dal diritto - che l’unicomodo per dimostrare la natura gratuita del fi-nanziamento sarebbe provare che ... non si èin presenza di un finanziamento!Tornando al lessico e all’immaginario culinariogià più volte evocati nel presente scritto, lasensazione è che la Corte si comporti, a volte,come uno di quei cuochi molecolari che sicompiace nel trasformare la materia prima (inspecie il diritto) in qualcosa di irriconoscibilee non necessariamente migliore rispetto agliingredienti di partenza.L’unica speranza, a questo punto, è che la pro-nuncia resti isolata. Che il menù, entrée com-presa, non sia più riproposto e che la Cassazio-ne - come già, peraltro, precedentemente avve-nuto - recuperi il significato letterale delle nor-me rilevanti - l’art. 46 del T.U.I.R. e l’art.1815 c.c. - e ne sappia riproporre il significatoautentico, lasciando che siano le parti ed i giu-dici - secondo le prove disponibili ed il lorogrado di rilevanza - a decidere se una determi-nata erogazione, scientemente effettuata a tito-lo di mutuo, debba ritenersi gratuita od onero-sa, con tutti i conseguenti effetti di legge.

(7) Diverso sarebbe laddove la rinuncia fosse definitiva. Inquel caso mancherebbe, infatti, l’obbligo di restituzione deltantundem e la scelta sarebbe assimilabile - a seconda delle

circostanze - ad un versamento in conto capitale, a fondo per-duto, ecc.

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GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017 47

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Processo tributario

Questioni aperte sull’impugnabilitàdel diniego di autotutelaCassazione, Sez. trib., Sent. 9 agosto 2016 (6 giugno 2016), n. 16769 - Pres. Bielli - Rel. Trico-mi

Processo tributario - Atti impugnabili - Diniego di autotutela parziale - Impugnabilità - Sussistenza - Ragionidi rilevante interesse generale prospettate dal ricorrente - Necessità

Il diniego di autotutela parziale è impugnabile, ma il relativo giudizio non riguarda la fondatezzadella pretesa manifestata con l’atto impositivo divenuto definitivo (nel caso, una cartella di paga-mento emessa a seguito di controllo automatizzato), il cui esame deve ritenersi definitivamenteprecluso, quanto, piuttosto, la legittimità del rifiuto in ragione dell’esistenza di un interesse gene-rale alla rimozione dell’atto che giustifica l’esercizio del potere di autotutela. In particolare, nel giu-dizio instaurato contro il diniego di sgravio in autotutela, il sindacato giurisdizionale può esercitarsisoltanto sulla legittimità del diniego stesso da parte dell’Amministrazione finanziaria, in relazionealle ragioni di rilevante interesse generale, che vanno specificamente prospettate dal ricorrente.

Il testo della sentenzapuò essere richiesto [email protected]

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Commissione tributaria provinciale di Chieti, Sez. IV, Ord. 1° luglio 2016 (5 aprile 2016), n. 454- Pres. Marsella - Rel. Gialloreto

Processo tributario - Autotutela - Istanza - Obbligo dell’Amministrazione finanziaria di adozione di un provve-dimento amministrativo espresso - Inesistenza - Questione di legittimità costituzionale - Rilevanza e non ma-nifesta infondatezza - Impugnabilità del silenzio-rifiuto dell’Amministrazione finanziaria - Mancata previsione- Questione di legittimità costituzionale - Rilevanza e non manifesta infondatezza

È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2-quater, rubricato “Autotutela”, comma 1, del D.L. n. 564/1994, per contrasto con gli artt. 53, 23, 3,24, 113 e 97 della Costituzione, nella parte in cui non prevede, né l’obbligo dell’Amministrazione fi-nanziaria di adottare un provvedimento amministrativo espresso sull’istanza di autotutela propo-sta dal contribuente, né l’impugnabilità - da parte di questi - del silenzio tacito su tale istanza. È, al-tresì, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.19, rubricato “Atti impugnabili e oggetto del ricorso”, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992, per contra-sto con gli artt. 24, 113, 53, 23 e 3 Cost., nella parte in cui non prevede l’impugnabilità, da parte delcontribuente, del rifiuto tacito dell’Amministrazione finanziaria sull’istanza di autotutela propostadal medesimo.

Il testo dell’ordinanzapuò essere richiesto [email protected]

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Incertezze sui rimedi esperibiliavverso il diniego parziale e tacito di autotutela

di Graziella Glendi (*)

Con la sentenza n. 16769/2016, la Suprema Corte, riconoscendo l’impugnabilità del diniego par-ziale di autotutela, si è posta in contrasto con le precedenti pronunce che l’avevano negata.Benché la decisione in commento non ne faccia cenno, va rilevato che il legislatore, con l’art.11 del D.Lgs. n. 159/2015, è intervenuto sull’art. 2-quater del D.L. n. 564/1994, in tema di auto-tutela, inserendovi il comma 1-octies, secondo cui l’annullamento o la revoca parziale dell’attoimpositivo disposti in autotutela non sono impugnabili. Inoltre, con l’ordinanza n. 454/2016, laCommissione tributaria provinciale di Chieti ha sollevato questione di legittimità costituzionaledel suddetto art. 2-quater, nella parte in cui non prevede l’obbligo dell’Amministrazione finanzia-ria di adottare un provvedimento espresso, a fronte dell’istanza di autotutela presentata dal con-tribuente, oltre che del medesimo articolo, unitamente all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, nellaparte in cui essi non prevedono l’impugnabilità del diniego tacito. Permangono, dunque, incer-tezze in materia, sia con riguardo all’impugnativa del diniego parziale, sia con riguardo all’impu-gnabilità del diniego di autotutela in generale.

L’itinerario seguito nell’ultimo decennio dal-la Suprema Corte sulla questione dell’auto-noma impugnabilità o meno del provvedi-mento di diniego di autotutela in materia tri-butaria è piuttosto singolare e merita di esse-re ripercorso, sia per il corollario cui ha datoorigine, costituito dalla creazione della cate-goria degli atti autonomamente impugnabiliin via facoltativa, sia per l’individuazionedell’effettiva tutela che il contribuente si pos-sa vedere riconosciuta dall’affermata impu-gnabilità, alla luce dei principi costituzionalidi effettività e proporzionalità del prelievo fi-scale, di buon andamento e imparzialità del-l’Amministrazione, oltre che del diritto di di-fesa del cittadino. Tenuto conto, sotto que-st’ultimo profilo, che, ora, il legislatore dele-gato, con l’art. 11 del D.Lgs. n. 159/2015, si èchiaramente manifestato per la non impugna-bilità dei provvedimenti di annullamento orevoca parziali dell’atto impositivo adottatiin autotutela.

Il primo riconoscimento dell’impugnabilitàdel diniego di autotutela

All’inizio di questo iter evolutivo sta la senten-za, a Sezioni Unite, del 10 agosto 2005, n.16776 (1), con la quale la Suprema Corte ave-va riconosciuto la giurisdizione del giudice tri-butario anche in ordine alle impugnazioni pro-poste avverso il diniego, espresso o tacito, del-l’Amministrazione di procedere ad autotutela.A fondamento di detta statuizione, le SezioniUnite avevano assunto che la riforma del2001, sull’allargamento della giurisdizione tri-bu ta r i a d i cu i a l l ’a r t . 2 de l D .Lg s . n .546/1992 (2), avrebbe “necessariamente com-portato” una modifica della lettura dell’art. 19del medesimo Decreto legislativo, in quantol’aver consentito l’accesso al contenzioso tribu-tario per ogni controversia avente ad oggettotributi, avrebbe consentito una interpretazioneestensiva dell’elencazione in esso contenuta,proprio al fine di individuare altri atti che ilcontribuente avrebbe avuto interesse a conte-stare ai sensi dell’art. 100 c.p.c.

(*) Avvocato in Genova(1) Pubblicata in questa Rivista, n. 11/2005, pag. 1005, con

commento di F. Cerioni, “Procedimento di autotutela, doveredi riesame e tutela giurisdizionale in ambito tributario”, e inRass. giur., n. 5/2005, pag. 1732, con nota di S. Donatelli, “Os-servazioni critiche in tema di ammissibilità dell’impugnazione

del diniego di autotutela innanzi le Commissioni tributarie”.(2) Generalizzazione della giurisdizione tributaria a tutti i tri-

buti di ogni genere e specie, comunque denominati, effettuatacon la modifica dell’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, tramite l’art.12, comma 2, della Legge n. 448/2001, e, poi, completata conla Legge n. 248/2005.

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Nonostante sia evidente, come da più Autoririlevato (3), che la questione della giurisdizio-ne, finalizzata a delimitare i confini di operati-vità della materia tributaria, rispetto a quellaamministrativa e ordinaria, fosse, e tutt’ora sia,ben diversa dalla questione relativa alla moda-lità di accesso al giudice, all’interno della giuri-sdizione tributaria, strutturata, con l’art. 19 delD.Lgs. n. 546/1992, tramite la predetermina-zione normativa di atti di cui il legislatore siera riservato la valutazione della sussistenzadell’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., questadecisione delle Sezioni Unite, come è noto,aveva fornito lo spunto per quella che è l’or-mai consolidata prospettazione giurisprudenzia-le di una nuova singolare categoria di attiautonomamente impugnabili, ossia degli attiimpugnabili in via facoltativa (4).Per quanto riguarda specificamente l’autotute-la, le Sezioni Unite, con la successiva sentenza27 marzo 2007, n. 7388 (5), avevano riconfer-mato la giurisdizione del giudice tributario,piuttosto che del giudice amministrativo, allor-quando si trattasse di tributi, evidenziando, co-munque, come il sindacato sul provvedimentodi rigetto in autotutela dovesse riguardareesclusivamente la verifica del corretto eserciziodel potere discrezionale dell’Amministrazione,nei limiti e nei modi in cui è consentita, nonpotendo mai il giudice sostituirsi all’Ammini-strazione medesima, emettendo esso stesso l’at-to di autotutela. Si aggiungeva, inoltre, che,qualora il giudice avesse verificato l’illegittimi-tà del rifiuto, confermativo dell’originaria pre-tesa, l’Amministrazione avrebbe dovuto ade-guarvisi e, in difetto, il ricorrente avrebbe po-tuto esperire il rimedio dell’ottemperanza. Va,peraltro, sottolineato come l’affermata sindaca-

bilità e, conseguente, possibile annullamentodel diniego di autotutela fossero stati ricostruitia fronte di un provvedimento espresso. Inoltre,non veniva chiarito, dandolo, piuttosto, perscontato, in quale modo detto atto potesse es-sere inserito nell’elencazione contenuta nel-l’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.Poiché, peraltro, la ricostruzione della catego-ria degli atti facoltativamente impugnabili erastata definita solo a far data dalla sentenza del-la Suprema Corte dell ’8 ottobre 2007, n.21045 (6), il sindacato sul provvedimento didiniego di autotutela, riconosciuto mesi prima,non poteva che leggersi nel senso di sindacatosu atto impugnabile tipico.A tale proposito, va evidenziato come, in effet-ti, il provvedimento di diniego di autotutelanon abbia nulla a che fare con gli atti autono-mamente impugnabili in via facoltativa. Que-sti ultimi, come ricostruiti dalla Suprema Cor-te, sono, infatti, caratterizzati dalla circostanzadi manifestare al contribuente una ben indivi-duata pretesa tributaria, per cui, secondo la va-lutazione fattane dal giudice, sorge nel destina-tario, fin dal momento della recezione dellanotizia, l’interesse ex art. 100 c.p.c. a ricorrerein giudizio, senza che sia necessario attendereche la pretesa si vesta della forma autoritativadi uno degli atti espressamente dichiarati im-pugnabili dal legislatore. Trattandosi, sempre adire della Suprema Corte, di una previsione diimpugnabilità a favore del contribuente, ilmancato esercizio di detta facoltà non dà luogoa preclusione alcuna, per cui il contribuentepotrà pur sempre sindacare l’atto autoritativotipico, di cui quello atipico aveva preannun-ciato la pretesa, una volta che gli venga notifi-cato.

(3) Si rinvia, in proposito, alle pregnanti osservazioni di L.Ferlazzo Natoli, “Considerazioni critiche sull’impugnazione fa-coltativa”, Postilla allo scritto di G. Ingrao, “Prime riflessionisull’impugnazione facoltativa nel processo tributario (a propo-sito di impugnabilità di avvisi di pagamento, comunicazioni diirregolarità, preavvisi di fermo di beni immobili e fatture)”, inRiv. dir. trib., n. 12/2007, segnatamente, a pag. 1114, nonchéa C. Glendi, “Impugnazione del diniego di autotutela e oggettodel processo tributario”, in questa Rivista, n. 6/2009, pag. 473.

(4) Sulla genesi e sui limiti della ricostruzione della categoriadegli atti facoltativamente impugnabili, si rimanda a G. Glendi,“I giudici di merito (e non solo) si ‘ribellano’ alle ‘ultime parole’delle Sezioni Unite sul contraddittorio”, in Corr. Trib., n.

20/2016, in particolare, alle pagg. 1573 e 1574.(5) Pubblicata in questa Rivista, n. 6/2007, pag. 479, con il

commento di A. Vozza, “Il diniego di autotutela può impugnar-si solo per eventi sorti dopo la notifica dell’atto impositivo”, inGiur. it., n. 12/2007, pag. 2883, con nota di M. Turchi, “La pro-blematica impugnabilità del diniego di autotutela in materia tri-butaria nuovamente all’esame delle Sezioni Unite”, e in Boll.trib., n. 14/2007, pag. 1223, con il commento di F. Cerioni, “Ilsindacato sulla legittimità del diniego di autotutela spetta sem-pre ai giudici tributari”.

(6) In questa Rivista, n. 6/2008, pag. 507, con nota critica diG. Tabet, “Verso la fine del principio di tipicità degli atti impu-gnabili?”.

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Il provvedimento di diniego di autotutela, alcontrario, non anticipa nulla, ma, anzi, seguela manifestazione della pretesa, già realizzataattraverso la notifica dell’atto impositivo tipi-co, limitandosi a confermarla, in tutto o inparte, sicché, se sindacabile davanti al giudice,non può che venire inquadrato quale atto im-pugnabile tipico, non essendo prospettabile al-tro rimedio alla sua eliminazione.Come rilevato in dottrina, la collocazione nel-l’ambito dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 po-teva, dunque, essere ricondotta alla previsionedella lett. i), riguardante “ogni altro atto per ilquale la legge ne preveda l’autonoma impugna-bilità davanti alle Commissioni tributarie”,traendo dalla disciplina in tema di autotutelatributaria, ovvero dall’art. 2-quater, in partico-lare, al comma 1-quinquies , del D.L. n.564/1994, e dalle disposizioni del D.M. n.37/1997, elementi atti ad indicare una voluntaslegis in tal senso (7).

L’ambito e i limiti del sindacatosul diniego di autotutela

Di seguito, nel 2009, sono intervenute altre trepronunce delle Sezioni Unite, la n. 2870 (8),la n. 3698, e la n. 9669 (9), ingenerando uncerto contrasto interpretativo. Pur ribadendola giurisdizione del giudice tributario, infatti, leprime due avevano ritenuto non esperibile

un’autonoma tutela giurisdizionale nei riguardidel diniego di autotutela, sia per la discreziona-lità propria di questa attività, sia perché, diver-samente opinando, si sarebbe dato ingresso adun riesame sulla legittimità di un atto impositi-vo divenuto definitivo. La terza, invece, avevadichiarato improponibile la domanda, solo per-ché il ricorrente non aveva dedotto vizi di le-gittimità del diniego, ma si era limitato a chie-dere l’annullamento degli atti impositivi nonimpugnati, allineandosi, dunque, al già esami-nato percorso intrapreso dalle Sezioni Unitesulla sindacabilità davanti al giudice del dinie-go di autotutela, tuttavia, esclusivamente cir-coscritta al profilo della sua legittimità, con ri-guardo all’interesse pubblico all’annullamento.Quindi, la giurisprudenza della Suprema Cortesi era assestata su questa via, ritenendo sinda-cabile il diniego di autotutela, nei precisi limitidi una censura di profili di illegittimità del di-niego stesso, anche in caso di inerzia (10), sen-za che sia consentito al giudice scendere all’e-same del merito sulla fondatezza della pretesaazionata, posto che il giudice non può sosti-tuirsi all’Amministrazione finanziaria nell’eser-cizio del potere di autotutela, rendendo, così,di fatto, detto strumento scarsamente efficacecon riguardo all’atto impositivo in cui la prete-sa si era estrinsecata (11).

(7) V., al riguardo, C. Glendi, Impugnazione del diniego diautotutela e oggetto del processo tributario, loc. cit., pagg. 476e 477, e, adesivamente, F. Cerioni, “L’autotutela tra ‘dirittomorente’ e ‘diritto vivente”, in questa Rivista, n. 7/2009, allapag. 592.

(8) Pubblicata in questa Rivista, n. 6/2009, pag. 501, con ilcommento di F. Cerioni, “Il sindacato sull’esercizio del poteredi autotutela non può avere effetti sull’atto impositivo divenutodefinitivo”, in Corr. Trib., n. 15/2009, pag. 1230, con nota di M.Basilavecchia, “Torna l’incertezza sul diniego di autotutela”; inDialoghi Trib., n. 2/2009, pag. 154, ed ivi i commenti di R. Lupi,“Autotutela: una motivazione sconcertante per una soluzionecorretta” e di D. Stevanato, “Definitività dell’atto impositivo einsindacabilità del potere di autotutela: un nuovo Leviatano?”,nonché in Boll. trib., n. 7/2009, pag. 547, con nota di S. Mu-scarà, “La Cassazione chiude (apparentemente) le porte allatutela giurisdizionale in tema di diniego di autotutela”. Va sot-tolineato che, nella specie, si trattava di diniego di autotutelarelativamente ad atto di accertamento impugnato tramite ri-corso dichiarato inammissibile dal giudice, con sentenza pas-sata in giudicato, e le Sezioni Unite non avevano consideratoche il limite del giudicato, ai fini di escludere l’operatività del-l’autotutela, ai sensi dell’art. 2, comma 2, del D.M. n. 37/1997,è costituito solo dal giudicato sul merito, e non in rito. Il detta-to del comma 2, infatti, fa preciso riferimento ai “motivi sui

quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevoleall’amministrazione”, che sottendono, appunto, l’esame delmerito da parte del giudice. In tal senso si è chiaramente pro-nunciata la stessa Amministrazione, con le circolari n.195/E/1997 e n. 198/S/1998, oltre che la Direzione regionaleEntrate della Lombardia, con la nota n. 3/82993/1999, e la Di-rezione regionale della Toscana, con la Direttiva prot.72483/99/T1/2000.

(9) In G.T. - Riv. giur trib., n. 7/2009, pag. 585, con il com-mento di F. Cerioni, “L’autotutela tra ‘diritto morente’ e ‘dirittovivente’”, cit.

(10) Cass.., Sez. trib., 29 dicembre 2010, n. 26313, per l’ap-punto, in caso di mancata risposta dell’Amministrazione, co-me, più di recente, ribadito da Id., 30 ottobre 2015, n. 22253,che ha precisato come l’impugnabilità del diniego di autotuteladavanti alle Commissioni tributarie riguardi anche l’eventualesilenzio-rifiuto formatosi sull’istanza.

(11) Va ricordata, in proposito, anche la funzione del Garan-te del contribuente, che, ai sensi dell’art. 13, comma 6, delloStatuto dei diritti del contribuente, può attivare le procedure diautotutela. Anche questa attribuzione, però, si risolve in unmero invito, non potendo il Garante emettere atti di autotutelain sostituzione dell’ente, come ben rimarcato da S. Capolupo,“Garante del contribuente ed atti degli enti locali”, in il fisco, n.23/2005, pag. 3467.

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Per parte loro, i giudici tributari di merito ave-vano tentato di trovare una soluzione operati-va a tutela del contribuente, facendo derivare,come conseguenza dell’annullamento del di-niego, in presenza di accertati vizi di legittimi-tà, quali, ad esempio, quelli elencati all’art. 2,comma 1, del D.M. n. 37/1997, l’obbligo del-l’Amministrazione di riesaminare la richiesta ele ragioni addotte dal contribuente a sostegnodell’istanza (12). Inoltre, sotto diverso profilo,alcune Commissioni tributarie avevano pro-nunciato la condanna dell’Amministrazione,non solo alle spese di lite, ma al risarcimentoex art. 96, comma 3, c.p.c. (13), mentre alcunigiudici ordinari si erano indotti a disporre il ri-sarcimento dei danni (14), allorquando l’opera-to dell’ente impositore si era dispiegato in vio-lazione delle regole di imparzialità, correttezzae buon andamento, come, per l’appunto, in ca-so di ingiustificato ritardo nell’accoglimentodell’istanza e nell’emissione del provvedimentodi sgravio.

L'inconfigurabilità del diniego di autotutelaquale atto facoltativamente impugnabile

Da ultimo, la Suprema Corte si è discostata daquesta via e ha intrapreso nuovi itinerari. Inparticolare, con la sentenza 8 luglio 2015, n.14243, la Corte di cassazione ha introdottouna prospettazione diversa per ammettere l’im-pugnabilità del rifiuto di autotutela, fondatasul la pronuncia del le Sez ioni Unite n.1667/2005, che, come sopra si è visto, rappre-senta il punto di partenza, sia per il consentitoaccesso al sindacato del diniego di autotuteladavanti al giudice tributario, sia per la ricostru-zione della categoria degli atti facoltativamen-te impugnabili. Si è, infatti, affermato che, incaso di annullamento parziale in autotutela diun atto impositivo, non può essere negato al

contribuente di impugnare il diniego, “privan-dosi altrimenti il contribuente della possibilitàdi difesa relativamente a tale atto, ancorché ri-duttivo dell’originaria pretesa”, proprio in forzadella “possibilità” di ricorrere avverso tutti gliatti adottati dall’ente impositore “contenentila manifestazione di una compiuta e definitapretesa tributaria, come nel caso di provvedi-mento di autotutela”, quali, appunto, sono gliatti facoltativamente impugnabili. Con questadecisione sembrerebbe, allora, che anche il di-niego parziale di autotutela venga ricondottoad atto facoltativamente impugnabile. Tutta-via, la stessa Suprema Corte, allorquando hariconosciuto, per rafforzarne la ritenuta impu-gnabilità, che a detto provvedimento non con-segue altro atto impositivo, avverso cui il con-tribuente possa far valere le sue ragioni, paremostrare una certa confusione circa il discrimentra gli atti autonomamente impugnabili tipicie quelli in via facoltativa. Infatti, questi ultimisono, piuttosto, anticipatori della pretesa cheverrà, poi, rivestita dell’assetto autoritativo ti-pico, mentre quelli che, se non impugnati, di-ventano definitivi, senza che il destinatariopossa più esperire alcun rimedio, sono soltantoi primi.Il prospettato inserimento del diniego di auto-tutela parziale nella categoria degli atti facolta-tivamente impugnabili, in ragione dell’asseritamanifestazione compiuta e definita della prete-sa impositiva per la parte che viene conferma-ta, ha, quindi, provocato un ulteriore orienta-mento, questa volta di segno restrittivo, in ter-mini di non impugnabilità.Con le sentenze 15 aprile 2016, n. 7511 (15) e6 luglio 2016, n. 13757, infatti, la Corte dicassazione, richiamandosi all’orientamentoespresso con le decisioni delle Sezioni Unite n.2870/2009 e n. 3698/2009, che, come detto,

(12) V., in tal senso, Comm. trib. prov. di Savona, Sez. IV, 20gennaio 2009, n. 4, in questa Rivista, n. 7/2009, pag. 586, connota di F. Cerioni, “L’autotutela tra ‘diritto morente’ e ‘dirittovivente’“, cit., loc. cit.; Id., Sez. II, 13 giugno 2011, n. 114; Id.,Sez. V, 23 marzo 2012, n. 30; Comm. trib. prov. di Taranto,Sez. VI, 25 marzo 2009, n. 144; Comm. trib. II grado Trentino-Alto Adige, Sez. I, 26 febbraio 2015, n. 34; Comm. trib. reg. Si-cilia, Sez. XVII, 15 luglio 2015, n. 3177, nella quale si individuaspecificamente in che termini l’Amministrazione avrebbe do-vuto provvedere.

(13) Comm. trib. reg. Puglia, Sez. VII, 11 gennaio 2011, n.11; Comm. trib. prov. di Campobasso, Sez. I, 16 giugno 2014,n. 195; Comm. trib. reg. Lombardia, Sez. XXXVIII, 19 maggio2015, n. 2088.

(14) Cass., Sez. III civ., 3 marzo 2011, n. 5120, in questa Ri-vista, n. 5/2011, pag. 392, con nota di A. Marcheselli, “Il Fiscoche non ritiri in autotutela gli atti illegittimi risarcisce i dannidavanti al giudice tributario?”.

(15) Pubblicata in il fisco, n. 20/2016, pag. 1978, con com-mento di A. Borgoglio.

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era stato precedentemente abbandonato, a fa-vore del riconoscimento di una sindacabilitàesclusivamente circoscritta al profilo della le-gittimità del diniego di autotutela, nettamenteseparato dal merito dell’imposizione, ha espres-samente disatteso le conclusioni cui la senten-za n. 14243/2015 era pervenuta focalizzandosi,invece, sulla manifestazione della pretesa. Si è,infatti, rilevato che, in caso di annullamentoparziale in autotutela, non vi è manifestazionedi alcuna nuova diversa pretesa lesiva degli in-teressi del contribuente, rispetto a quella giàesternata con l’atto autoritativo tipico divenu-to definitivo, tale da legittimare l’impugnazio-ne davanti al giudice, essendo stata, anzi, ri-dotta quella originaria, mentre questo potrebbeverificarsi solo se la pretesa fosse stata accre-sciuta.Come appare evidente, la ritenuta non impu-gnabilità del diniego parziale discende, allora,direttamente dall’errata prospettazione dell’im-pugnazione del diniego in termini di atto fa-coltativamente impugnabile, ad ulteriore ripro-va di come questa categoria di atti, elaboratadalla Suprema Corte, sia foriera di ingenerareconfusione ed incertezze.Naturalmente, se, invece, il provvedimento didiniego di autotutela viene inquadrato qualeatto impugnabile ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs.n. 546/1992, e, segnatamente, nell’ambito del-la lett. i), in ragione delle disposizioni norma-tive che disciplinano il relativo potere, è deltutto irrilevante che vi sia conferma o meno diparte dell’originaria pretesa, perché quello cherileva, ai fini dell’impugnabilità, sono i vizi re-lativi all’esercizio di detto potere, che possonoben sussistere, tanto nel caso di diniego totale,quanto nell’ipotesi di diniego parziale. In altritermini, per configurare l’impugnabilità di undiniego dell’Amministrazione di annullare to-talmente o parzialmente l’atto impositivo, oc-corre svincolarsi radicalmente dal sindacatosulla pretesa, che, secondo la Corte di cassazio-ne, giustificherebbe la “facoltà” di impugnare,perché esso, o è riservato al giudizio instaurato

avverso l’atto impositivo che l’Amministrazio-ne rifiuti di annullare, o è irrimediabilmenteprecluso dalla sua subentrata definitività.Con la sentenza in commento, la SupremaCorte è, dunque, ritornata sui suoi passi. Infat-ti, verificato che il ricorrente aveva impugnatoil provvedimento di annullamento parziale del-la cartella di pagamento, ha cassato la sentenzaimpugnata perché il giudice di merito non ave-va statuito sul provvedimento di diniego, maera andato ad esaminare il contenuto della ri-chiesta azionata con la cartella di pagamento,valutandone l’infondatezza e pronunciando ildiritto allo sgravio totale. Nel contempo laCorte di cassazione ha ribadito l’impugnabilitàdel diniego parziale sotto il profilo dell’illegitti-mità del rifiuto, in relazione a rilevanti ragionidi interesse generale alla rimozione dell’atto,che, ai sensi dell ’art. 2-quater del D.L. n.564/1994, e delle disposizioni del D.M. n.37/1997, giustificano l’annullamento in auto-tutela e vanno specificamente prospettate dalricorrente.Quindi, l’approdo del giudice di legittimitàparrebbe, allo stato, quello dell’impugnabilitàdel diniego di autotutela, sia pure parziale, qua-le atto impugnabile tipico, nei limiti sopra vi-sti.

L’intervento del legislatore

Sta di fatto che, nel frattempo, è intervenutoil legislatore, il quale, con l’art. 11 del D.Lgs.n. 159/2015, ha aggiunto, all’art. 2-quater delD.L. n. 564/1994, i commi da 1-sexies a 1-oc-ties, disponendo, con quest’ultimo comma, che“l’annullamento o la revoca parziali non sonoimpugnabili autonomamente”.Nella Relazione illustrativa si legge che dettaprevisione deriva dal fatto che l’autotutela par-ziale costituisce “una rettifica dell’originariapretesa impositiva” e non si estrinseca, quindi,in un nuovo atto, sostitutivo del precedenteannullato, che, invece, risulta impugnabile aisensi del comma 1-quinquies del medesimo arti-colo (16).

(16) Il comma 1-quinquies dell’art. 2-quater del D.L. n.564/1994 statuisce che la sospensione degli effetti dell’atto

impositivo, disposta dall’Amministrazione, nell’esercizio delpotere di autotutela, prima della scadenza dei termini per la

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Ad un primo esame sorgono diverse questioni.In primo luogo, quale significato dare al fattoche il legislatore menziona solo il diniego par-ziale e non il diniego tout court, ai fini di esclu-derne l’impugnabilità?Sicuramente il comma 1-octies va letto in col-legamento con i due precedenti, che riguarda-no la possibilità di definizione agevolata dellesanzioni, proprio in caso di annullamento o re-voca parziali dell’atto impositivo, intervenutiquando è pendente il relativo giudizio (17).Tuttavia, se non è ammissibile ricorrere avver-so il diniego parziale, in quanto, a differenzadell’autotutela sostitutiva, non vi è alcun nuo-vo atto, ma la mera parziale conferma di quellogià impugnato, o di cui non è ancora scadutoil termine (18), evidentemente, ne deriva chenon è ammissibile neppure l’impugnazione av-verso il diniego totale di annullamento, perchéinteramente confermativo dell’atto originario.Inoltre, va evidenziato come, a differenza delprecedente comma 1-septies, il comma 1-octies,nell’escludere l’impugnabilità del diniego par-ziale, non richiama specificatamente la disci-plina agevolativa di cui al comma 1-sexies,che, come detto, riguarda l’ipotesi che sia statoproposto ricorso avverso l’atto impositivo o siapossibile proporlo, per cui pare ricomprendereanche il caso in cui il ricorso non sia stato pro-posto nel termine, e, in definitiva, escludere inradice questo provvedimento dal novero degliatti impugnabili.In secondo luogo, si osserva che, spesso, non ècosì evidente, proprio in caso di annullamentoparziale, individuare quando si tratti di mera

rettifica di parte dell’atto o, invece, di unanuova valutazione, che si estrinseca in un nuo-vo atto, sostitutivo di quello originario, vice-versa, impugnabile ai sensi del comma 1 quin-quies dell’art. 2-quater del D.L. n. 564/1994.Tanto è vero che, nella fattispecie esaminatadalla sentenza della Suprema Corte in com-mento, il giudice di merito aveva ritenuto cheil diniego parziale di sgravio della cartella fosse“frutto di una attività cognitiva nuova posta inessere dall’Amministrazione ed intesa a rivalu-tare gli elementi di fatto e di diritto che aveva-no dato origine all’emissione dell’atto” (19).Come visto, però, per la giurisprudenza dellaSuprema Corte, da ultimo confermata con lasentenza in esame, l’impugnabilità del diniegodi autotutela non si fonda sul fatto che l’Am-ministrazione abbia o meno effettuato unanuova valutazione, ovvero, se si sia trattato diuna nuova manifestazione di pretesa, piuttostoche di mera rettifica, totale o parziale, di quellagià manifestata, bensì sulla sussistenza, e relati-va sindacabilità, dei vizi di legittimità del di-niego stesso.Sorge, quindi, il dubbio se sia conforme al det-tato costituzionale una norma che sottragga alcontrollo giurisdizionale l’operato dell’Ammi-nistrazione, anche solo sotto il limitato profilodella sua legittimità, con riguardo alle disposi-zioni che ne regolano l’esercizio, e in ragionedi un interesse generale alla rimozione dell’at-to, in riferimento ai parametri degli art. 3, 53,97 e 24 e 113 della Costituzione. Soprattuttoquando gli artt. 21-octies e 21-nonies della Leg-ge n. 241/1990, prevedono, per i provvedimen-

proposizione del ricorso, cessa con l’esercizio della c.d. auto-tutela sostitutiva, che si estrinseca tramite la notificazione daparte dello stesso ente di un nuovo atto, modificativo o confer-mativo di quello sospeso, che il contribuente può impugnare,come può impugnare quello originario, unitamente al nuovo.

(17) Su cui v., per un primo commento, P. Stella Manfredini,“Autotutela, annullamento parziale e definizione delle sanzio-ni”, in il fisco, n. 39/2016, pag. 3757.

(18) Come ritenuto al punto 19.2.1. della circolare n.12/E/2016.

(19) Anche nel caso sia notificato un nuovo atto, secondo laSuprema Corte, non si è sempre in presenza di autotutela so-stitutiva, occorrendo verificare se l’Amministrazione, con quel-l’atto, non si sia, piuttosto, limitata ad una mera rettifica par-ziale dell’originaria pretesa. In tal senso si è, infatti, pronuncia-ta la Corte di cassazione, Sez. VI, con la sentenza 8 giugno2016, n. 11699, disattendendo la censura del contribuente cir-ca la sopravvenuta decadenza dell’Agenzia delle entrate dal

potere impositivo, posto che, mentre la notifica del nuovo attodi autotutela sostitutiva deve intervenire entro detto termine,questo non vale per il caso di mera parziale conferma dell’ori-ginaria pretesa. Si segnala, in proposito, che secondo laComm. trib. prov. di Arezzo, 31 marzo 2016, n. 89, vi sarebbesempre un obbligo dell’Amministrazione di rinotificare l’attocontenete l’intimazione ad adempiere per le somme mantenu-te in autotutela parziale. Vedila, in il fisco, n. 28/2016, pag.2784, con commento favorevole di A. Giovannini, pur rilevan-do l’A. che la decisione non ha tenuto conto delle modificheapportate all’art. 29, comma 1, lett. a), del D.L. n. 78/2010,con l’art. 7, comma 2, del D.L. n. 70/2011, e in questa Rivista,n. 12/2016, pag. 991, con nota di M. Bruzzone, “Atto impoe-sattivo ‘secondario’, affidamento in carico e intimazione di pa-gamento: profili differenziali”, che fa discendere la necessità dinotifica dell’atto rideterminativo proprio dall’introdotta non im-pugnabilità del diniego di autotutela parziale.

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ti amministrativi, l’annullamento, anche d’uffi-cio, quando siano stati adottati in violazione dilegge, o viziati per eccesso di potere o da in-competenza, sussistendone le ragioni di inte-resse pubblico.

Le questioni di legittimità costituzionalesollevate dalla CTP di Chieti

Questioni di legittimità costituzionale dell’art.2-quater del D.L. n. 564/1994 e dell’art 19 delD.Lgs. n. 546/1992, sono state, dunque, solle-vate dalla Commissione tributaria provincialedi Chieti con l’ordinanza in commento, purnon attenendo direttamente all’impugnabilitàdel diniego parziale di autotutela, come oraescluso dalla norma, ma al profilo della manca-ta previsione in capo all’Amministrazione diun obbligo di risposta all’istanza di autotutela ea quello della mancata previsione dell’impu-gnabilità del diniego tacito.Quanto al primo aspetto, va ricordato come lagiurisprudenza del Consiglio di Stato sia fermanell’escludere qualsivoglia obbligo dell’Ammi-nistrazione di attivarsi e riconoscere la sussi-stenza o meno di un interesse pubblico chegiustifichi la rimozione in autotutela di un at-to, trattandosi di un potere tipicamente discre-zionale (20).Va, però, altresì, ricordato come, in ambito tri-butario, fin dalla primissima vigenza delle rego-le sull’autotutela, di cui al D.M. n. 37/1997, ilMinistero delle Finanze, con la circolare 5 ago-sto 1998, n. 198/S, avesse sollecitato gli Ufficia procedere effettivamente nell’esame delle do-glianze dei contribuenti, affermando che, “se, aseguito di tale verifica la pretesa tributaria ri-sulta infondata in tutto o in parte, essa va riti-rata, ovvero opportunamente ridotta”. Pur ri-marcandosi che l’Amministrazione ha il pote-

re, ma non il dovere giuridico, di ritirare l’attoviziato, si aggiungeva che “l’Ufficio stesso nonpossiede un potere discrezionale di decidere asuo piacimento se correggere o meno i proprierrori”, con rilevanti effetti, in caso contrario,quali la condanna alle spese, se l’atto è sub iu-dice, e la valutazione dell’attività del funziona-rio, ai fini di una sua responsabilità disciplinaree professionale (21).La Suprema Corte, poi, con diverse decisioni,pubblicate il 20 aprile 2012, numerate da6283 (22) a 6292, aveva affermato che nonpuò ritenersi “il carattere facoltativo dello sgra-vio in sede di autotutela”, perché in contrastocon il “dovere della PA di conformarsi alle re-gole di imparzialità e, correttezza e buona am-ministrazione”, riconoscendo la risarcibilità deldanno a carico dell’Amministrazione finanzia-ria, quando dette regole abbia disatteso.Quanto al secondo profilo, invece, va osserva-to che, a parte la posizione assunta nella sen-tenza n. 21045/2007, la Suprema Corte, in al-tre decisioni, anche recenti (23), non ha affat-to escluso l’impugnabilità del silenzio-rifiuto,in contrapposizione al diniego espresso, comeinterpretativamente desumibile ai sensi del-l’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, che, per altra ti-pologia di atti impugnabili, la prevede espres-samente.Il problema è, se mai, individuare quale sia ilvizio di legittimità del silenzio, che, a ben ve-dere, in tema di autotutela, non può risolversiin altro che nel silenzio stesso, non apparendoconforme ad un buon andamento dell’Ammi-nistrazione quello di ignorare l’istanza del con-tribuente, come evidenziato, sia nella circolaren. 198/S/1998, che nelle summenzionate pro-nunce della Suprema Corte del 2012.

(20) Tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, n. 4308/2010; Id.,Sez. V, n. 5199/2012.

(21) La già citata Direttiva prot. 72483/00/T1/2000 della DREToscana parla, infatti, di “potere-dovere” dell’Amministrazioneall’esercizio dell’autotutela.

(22) Pubblicata in questa Rivista, n. 10/2012, pag. 777, connota di R. Baboro, “La responsabilità aquiliana dell’A.F. in casodi mancato o ritardato esercizio dell’autotutela che abbia arre-cato danno al contribuente”. Nel caso, il risarcimento non erastato riconosciuto per mancanza di prova del danno. Aggiun-gesi che la già menzionata Comm. trib. di II grado Trentino-Al-

to Adige, n. 34/2015, significativamente ricordando, sia la cir-colare n. 198/1998, che l’orientamento della Suprema Corte,sulla riconoscibilità di risarcimento danni a carico dell’Ammini-strazione, quando non si sia attenuta alle regole di imparzialità,correttezza e buona amministrazione, costituzionalmente ga-rantite, aveva annullato il diniego di autotutela, ritenendole,nel caso, non osservate, proprio perché era “configurabile unaindubbia lesione dei surrichiamati principi di livello costituzio-nale”.

(23) Sopra ricordate a nota 10.

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Se così è, dunque, appare senz’altro interessan-te e rilevante la prima questione di costituzio-nalità, circa un qualche obbligo, sotto questoprofilo, dell’Amministrazione di fornire la ri-sposta (24).

Considerazioni conclusive

La Commissione tributaria di Chieti, nella suaordinanza, mostra, invero, di aver chiara la dif-ferenza tra la problematica dell’impugnabilitàdel silenzio-rifiuto e la diversa, e inconferente,questione della non impugnabilità dell’atto im-positivo divenuto definitivo, su cui è ormaipreclusa la riapertura del giudizio, aderendo,quindi, alla prospettazione dell’impugnabilitàsolo sotto la limitata angolatura del vizio di le-gittimità del silenzio, in riferimento ai parame-tri normativi propri dell’autotutela tributaria.Tuttavia, l’intervento del legislatore, allorchéha disposto la non impugnabilità del diniegoparziale, quindi, espresso, in quanto mera retti-fica dell’atto originario, che, per una parte,viene confermato, escludendola tout court, an-che in riferimento ad eventuali vizi di legitti-mità, sembra rilevare anche con riguardo allastessa impugnabilità del silenzio, che si risolvepur sempre in conferma totale dell’atto.

Pertanto, il vero, e principale, dato normativoda sindacare sotto il profilo di non conformitàal dettato costituzionale pare proprio quello in-trodotto dal comma 1-octies dell’art. 2-quaterdel D.L. n. 564/1994, di cui, peraltro, la stessaordinanza di rimessione fa menzione, pur nonsollevando specifiche considerazioni in propo-sito.Certo è, che, comunque, se anche la Corte co-stituzionale si pronunciasse in senso favorevolealla prospettazione dell’impugnabilità del di-niego di autotutela, nei limiti di un esame suiprofili di illegittimità dell’operato dell’Ammi-nistrazione, rispetto alle regole normativamen-te imposte per l’esercizio di detto potere, il ri-sultato pratico per il contribuente rimane ol-tremodo limitato. Infatti, non vi è dubbio chel’esercizio del potere di autotutela da parte del-l’Ufficio non sia un mezzo di tutela per il con-tribuente, sicché, alla fine, la pronuncia delgiudice di annullamento del diniego, totale oparziale, espresso o tacito, che sia, non costi-tuendo pronuncia di condanna, suscettibile delgiudizio di ottemperanza, sarà solo utile presup-posto per azionare una domanda di risarcimen-to danni, qualora l’Amministrazione non in-tenda tenerne conto.

(24) Come rimarcato da C. Glendi, Impugnazione del diniegodi autotutela e oggetto del processo tributario, cit., loc. cit.,pagg. 477 e 478, nel diritto tributario, il legislatore ha vincolatol’esercizio del potere di autotutela, con l’art. 2-quater del D.L.n. 564/1994 e con le disposizioni del D.M. n. 37/1997, “ad unaserie di parametri predeterminati che ne veicolano l’eserciziolungo un percorso ormai largamente condizionato”, sicché ilmargine di discrezionalità in capo all’Amministrazione non de-ve superare il rigoroso rispetto di detti parametri. Ne consegueche, se vengono disattesi, pare non potersi negare la possibili-tà di un controllo giurisdizionale sull’esercizio dell’autotutela,come ora, invece, disposto dal comma 1-octies del medesimoart. 2-quater, pena la lesione dei principi costituzionali di effet-tività e proporzionalità del prelievo fiscale, del buon andamen-to e imparzialità dell’Amministrazione, e del diritto di difesa delcittadino. A maggior ragione in caso di silenzio, che, di per sé,impedisce il controllo a che i parametri normativi vengano ri-spettati, e, pertanto, costituisce esso stesso un comportamen-to dell’Amministrazione ad essi contrario. Va, al proposito, sot-

tolineato che già il legislatore si è in qualche modo indirizzatoin tal senso, facendo conseguire al silenzio da parte dell’entecreditore sulla richiesta di cui al procedimento previsto daicommi 537-544 dell’art. 1, Legge n. 228/2012, l’annullamentodelle somme iscritte a ruolo o affidate, nei rigorosi limiti delleragioni previste dal comma 538, come modificato dall’art. 1,comma 1, lett. a), n. 2, del D.Lgs. n. 159/2015. Nel senso di unvero e proprio obbligo dell’Amministrazione finanziaria di ri-spondere, stante la specifica disciplina sull’autotutela in ambi-to tributario, oltre che alla luce dei canoni desumibili dall’art. 2della Legge n. 241/1990, sul dovere di fornire riscontro motiva-to alle istanze, v. F. Tundo, “L’Amministrazione finanziaria nonpuò trincerarsi nel silenzio in caso di istanza di autotutela”, inCorr. Trib., n. 16/2012, segnatamente alle pagg. 1211 - 1214,nonché S. Muscarà, “Gli inusuali ambiti dell’autotutela in ma-teria tributaria”, in Riv. dir. trib., I, 2005, pag. 93 e F. Tesauro“Riesame degli atti impositivi e tutela del contribuente”, inGiust. trib., 2008, pag. 17.

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L’avviso di recupero, da emanarsi entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui èstata presentata la dichiarazione (termine prorogato ad otto anni dall’art. 27, commi da 16 a 20, delD.L. n. 185/2008), può essere emesso, non solo per recuperare la somma corrispondente all’utilizzodel credito d’imposta per gli investimenti nelle aree svantaggiate oltre la percentuale consentita,ma anche per il recupero di crediti opposti in compensazione ritenuti inesistenti, quand’anche iltermine sia scaduto in relazione a periodi di imposta pregressi ove il credito è stato utilizzato perla percentuale consentita.

Esposizione delle ragioni in fatto ed in dirittodella decisione

1. La societa Sicily by Car s.p.a. impugnava l’avvisodi recupero, notificato il 5.4.2007, emesso ai sensidella L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 421, con cuiera stato recuperato a tassazione un credito d’impostaL. n. 388 del 2000, ex art. 8 maturato nel 2001, indi-cato nella dichiarazione dei redditi 2002 ed utilizzatoin compensazione negli anni 2002 e 2005. La Com-missione Tributaria Provinciale di Palermo respinge-va il ricorso. Proposto appello da parte della contri-buente, la Commissione Tributaria Regionale dellaSicilia lo accoglieva sul rilievo che l’ufficio era incor-so in decadenza in quanto aveva notificato l’avvisodi recupero il 5 aprile 2007, oltre il termine di quat-tro anni, previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43,decorrente dal 31 dicembre 2002, anno in cui il cre-dito era stato esposto in dichiarazione.2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorsoper cassazione l’Agenzia delle entrate affidato ad unmotivo. Resiste con controricorso, illustrato con me-moria, la contribuente.3. Con l’unico motivo la ricorrente deduce violazio-ne di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n.3, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43,comma 1, al D.L. n. 185 del 2008, art. 27, commi da16 a 20, convertito dalla L. n. 2 del 2009. Sostiene laricorrente che il credito recuperato a tassazione erastato esposto anche nella dichiarazione dei redditi

presentata nel 2003 per il periodo di imposta 2002 el’ammontare residuo era stato poi riportato negli annisuccessivi, compreso il 2005. Ne derivava che i quat-tro anni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43,comma 1, dovevano essere computati a partire dal-l’anno di presentazione della dichiarazione in cui erastato indicato il credito indebitamente utilizzato e,nel caso di specie, il credito utilizzato in compensa-zione a mezzo del modello F 24 del 16 gennaio 2002era stato indicato nella dichiarazione presentata nel-l’anno 2003.4. Osserva la Corte che il ricorso è fondato. Inveroin materia di agevolazioni per gli investimenti nellearee svantaggiate di cui alla L. 23 dicembre 2000, n.388, art. 8, l’utilizzo dei contributi riconosciuti dalloStato avviene nella forma di crediti di imposta. La L.23 dicembre 2000, n. 388, art. 8, comma 5, prevede:“Il credito d’imposta è determinato con riguardo ainuovi investimenti eseguiti in ciascun periodo di im-posta e va indicato nella relativa dichiarazione deiredditi. Esso non concorre alla formazione del redditodella base imponibile dell’imposta regionale sulle at-tività produttive, non rileva ai fini del rapporto dicui all’art. 63 del testo unico delle imposte sui reddi-ti, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917,ed è utilizzabile esclusivamente in compensazione, aisensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, a decorreredalla data di sostenimento dei costi”. Il successivocomma 7 prevede: “Se i beni oggetto dell’agevolazio-ne non entrano in funzione entro il secondo periodo

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d’imposta successivo a quello della loro acquisizioneo ultimazione, il credito d’imposta è rideterminatoescludendo dagli investimenti agevolati il costo deibeni non entrati in funzione. Se entro il quinto pe-riodo d’imposta successivo a quello nel quale sonoentrati in funzione i beni sono dismessi, ceduti a ter-zi, destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impre-sa ovvero destinati a strutture produttive diverse daquelle che hanno dato diritto all’agevolazione, il cre-dito d’imposta è rideterminato escludendo dagli inve-stimenti agevolati il costo dei beni anzidetti; se nelperiodo di imposta in cui si verifica una delle predet-te ipotesi vengono acquisiti beni della stessa catego-ria di quelli agevolati, il credito d’imposta è rideter-minato escludendo il costo non ammortizzato degliinvestimenti agevolati per la parte che eccede i costidelle nuove acquisizioni. Per i beni acquisiti in loca-zione finanziaria le disposizioni precedenti si applica-no anche se non viene esercitato il riscatto. Il minorecredito d’imposta che deriva dall’applicazione delpresente comma è versato entro il termine per il ver-samento a saldo dell’imposta sui redditi dovuta per ilperiodo di imposta in cui si verificano le ipotesi iviindicate”.Ora, l’avviso di recupero, da emanarsi a norma delD.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 entro il 31 dicembredel quarto anno successivo a quello in cui è stata pre-sentata la dichiarazione (termine prorogato ad ottoanni dal D.L. n. 185 del 2008, art. 27, commi da 16a 20, convertito dalla L. n. 2 del 2009), può essereemesso non solo per recuperare la somma corrispon-dente all’utilizzo del credito oltre la percentuale con-sentita ma anche per la ritenuta inesistenza dei credi-ti opposti in compensazione, anche qualora, in rela-zione a diverse annualità ove il credito è stato utiliz-zato, detto controllo non ha avuto luogo. Ciò che as-sume rilievo ai fini fiscali, invero, è l’utilizzazione delcredito da parte del contribuente, che può essere ef-fettuata in tutto od in parte solo in alcuni periodi diimposta a scelta del contribuente medesimo, purchénei limiti della percentuale consentita. Ne deriva cheil controllo sulla spettanza del contributo, che l’Am-ministrazione è tenuta ad effettuare a pena di deca-denza entro il termine stabilito, va effettuato in rela-zione a ciascun periodo di imposta in relazione alquale il contribuente ha utilizzato il credito.Siffatta lettura della norma è supportata dalla letteradelle disposizioni che si sono succedute nel tempo inmateria di riscossione dei crediti indebitamente uti-lizzati, ove la facoltà di controllo degli importi a cre-dito non è limitata al tempo ed alla percentuale difruibilità, ma si estende all’esistenza stessa del credito.

Basti considerare che la L. 30 dicembre 2004, n. 311,art. 1, comma 421, prevede “... per la riscossione deicrediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte,anche in compensazione ai sensi del D.Lgs. 9 luglio1997, n. 241, art. 17, e successive modificazioni, l’A-genzia delle entrate può emanare apposito atto di re-cupero motivato da notificare al contribuente con lemodalità previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60citato”. E il D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 16,convertito dalla legge numero 2/2009 prevede “... l’atto di cui alla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1,comma 421, emesso a seguito del controllo degli im-porti a credito indicati nei modelli di pagamento uni-ficato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzatiin compensazione ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n.241, art. 17, deve essere notificato, a pena di deca-denza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successi-vo a quello del relativo utilizzo”. Infine il successivocomma 17 prevede “La disposizione di cui al comma16 si applica a decorrere dalla data di presentazionedel modello di pagamento unificato nel quale sonoindicati crediti inesistenti utilizzati in compensazionein anni con riferimento ai quali alla data di entratain vigore della presente legge siano ancora pendenti itermini di cui al primo comma del D.P.R. 29 settem-bre 1973, n. 600, art. 43, e del D.P.R. 26 ottobre1972, n. 633, art. 57”.Va, dunque, affermato il seguente principio di diritto“L’avviso di recupero, da emanarsi a norma delD.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, entro il 31 dicembredel quarto anno successivo a quello in cui è stata pre-sentata la dichiarazione (termine prorogato ad ottoanni dal D.L. n. 185 del 2008, art. 27, commi da 16a 20, convertito dalla L. n. 2 del 2009), può essereemesso non solo per recuperare la somma corrispon-dente all’utilizzo del credito oltre la percentuale con-sentita ma anche per il recupero di crediti opposti incompensazione ritenuti inesistenti, quand’anche iltermine sia scaduto in relazione a periodi di impostapregressi ove il credito è stato utilizzato per la percen-tuale consentita”.Occorre, poi, precisare che, giusta la L. n. 388 del2000, art. 8, comma 7, il contribuente che non pongain funzione i beni entro il secondo periodo d’impostasuccessivo a quello della loro acquisizione o ultima-zione o dismetta i beni acquisiti entro il quinto perio-do d’imposta successivo a quello nel quale sono en-trati in funzione i beni stessi è tenuto a rideterminareil credito di imposta in relazione agli eventi verifica-tisi ed a versare l’imposta indebitamente portata incompensazione entro il termine per il versamento asaldo dell’imposta sui redditi dovuta per il periodo in

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cui si verificano tali ipotesi, termine dal quale decor-re il potere accertativo dell’Ufficio relativamente al-l’adempimento di tale obbligo.Il ricorso va, dunque, accolto e l’impugnata decisioneva cassata con rinvio ad altra sezione della Commis-sione Tributaria Regionale della Sicilia, che, ade-guandosi ai principi esposti, procederà alle necessarie

verifiche e deciderà nel merito oltre che sulle spesedi questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia Entrate, cas-sa l’impugnata decisione e rinvia ad altra sezione del-la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia.

L’efficacia retroattiva ed ultrannuale degli avvisi di recupero:riflessioni sull’inesistenza dei “crediti da non indebito”

di Sarah Eusepi (*)

Con la sentenza n. 15190/2016 la Suprema Corte ha ritenuto che l’avviso di recupero dei creditid’imposta per gli investimenti effettuati nelle aree svantaggiate possa essere emesso, nei casidi utilizzo frazionato, finché i crediti medesimi vengano utilizzati in compensazione dal contri-buente, investendo anche annualità in relazione alle quali siano già decorsi gli ordinari termini didecadenza. Ed invero, l’unico limite temporale sarebbe rappresentato, in tali ipotesi, dal termine“lungo” di decadenza introdotto dall’art. 27, comma 16, del D.L. n. 185/2008. La pronuncia, puravendo il pregio di fornire delle chiare direttive operative, sopperendo alla lacunosità della disci-plina legislativa, ha contribuito ad infittire la trama problematica sottesa all’agevolazione. Aggi-rate le pressanti problematiche di ordine definitorio connesse al binomio crediti inesistenti-credi-ti non spettanti, la Suprema Corte ha, infatti, riferito all’avviso di recupero una singolare valenza“retroattiva” ed “ultrannuale”, che solleva nuovi e consistenti interrogativi di ordine sistematicoe teorico-generale.

Un quadro normativo “mobile”

La Legge del 23 dicembre 2000, n. 388 ha isti-tuito una serie di agevolazioni volte a favorirel’occupazione e gli investimenti effettuati nellearee svantaggiate del territorio nazionale. Inparticolare, l’art. 8 attribuiva ai titolari di red-dito d’impresa (1), che nel periodo compresotra il 31 dicembre 2000 ed il 31 dicembre 2006avessero effettuato nuovi investimenti (2) nelleRegioni della Basilicata, Campania, Puglia,Calabria, Sardegna e Sicilia, Abruzzo e Moli-

se (3) un credito d’imposta entro la misuramassima consentita dalla normativa sovrana-zionale (4).Il credito, determinato con riguardo al costosostenuto per i nuovi investimenti eseguiti inciascun periodo d’imposta, era utilizzabileesclusivamente in compensazione ai sensi del-l’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 (5), a decorreredalla data di sostenimento dei costi.Una volta effettuato l’investimento, l’integralecompensazione del credito era subordinata alrispetto, da parte del beneficiario, delle c.d.

(*) Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto dell’Economia edell’Impresa

(1) Ad esclusione degli enti non commerciali.(2) Ovvero, avessero acquistato nuovi beni strumentali ex

artt. 67 e 68 T.U.I.R., esclusi i mobili e macchine ordinarie diufficio destinati a strutture produttive già esistenti ovvero im-piantate nelle aree territoriali rilevanti per la parte del loro co-sto complessivo eccedente le cessioni e le dismissioni effet-tuate nonché gli ammortamenti dedotti nel periodo d’imposta,relativi a beni d’investimento della stessa struttura produttiva.Sono esclusi gli ammortamenti dei beni che formano oggettodell’investimento agevolato effettuati nel periodo d’impostadella loro entrata in funzione (comma 2, art. 8 cit.).

(3) Quali aree territoriali individuate dalla Commissione eu-ropea come destinatarie degli aiuti a finalità regionale (art.107, par. 3, T.F.U.E., ex art. 87, par. 3, T.C.E.).

(4) Tenuto conto, in particolare, dei criteri e dei limiti d’inten-sità d’aiuto fissati dalla Commissione europea.

(5) La norma, introdotta nel quadro della c.d. semplificazio-ne degli adempimenti tributari, ha introdotto per la prima voltala possibilità - inizialmente riservata ai titolari di partita IVA edestesa a tutti i contribuenti dal successivo D.Lgs. n. 422/1999- di utilizzare una nuova modulistica (il Mod. F24, “Modello dipagamento Fisco, INPS, Regioni”) per effettuare, contestual-mente, i versamenti fiscali e contributivi dovuti.

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condizioni antielusive, analiticamente indivi-duate dal comma 7 dell’art. 8 cit. (6), al ricor-rere delle quali il contribuente avrebbe dovutoprocedere autonomamente alla rideterminazio-ne del credito d’imposta e alla restituzione delbeneficio fruito in eccedenza entro il termineper il saldo dell’imposta sui redditi relativo al-l’annualità in cui la condizione antielusiva siera verificata.Negli anni successivi la disciplina è stata og-getto di ripetuti interventi legislativi, che nehanno profondamente ridisegnato l’ambito diapplicazione e le modalità di erogazione. Lamobilità del quadro normativo, connotato dal-la progressiva stratificazione di discipline tran-sitorie, ha comportato l’emersione ed applica-zione di regimi largamente differenziati, ancor-ché accorpati sotto la comune denominazionedi “incentivi per gli investimenti nelle areesvantaggiate”.Particolarmente incisiva la rimodulazione deirequisiti soggettivi ed oggettivi per la fruizionedel beneficio operata, con decorrenza dall’8 lu-glio 2002, dall’art. 10 del D.L. n. 138/2002 (7).L’individuazione di criteri di ammissione piùstringenti è stata assistita, a livello procedi-mentale, da una coerente formalizzazione dellemodalità di fruizione del credito.E così, mentre la disciplina originaria collegavala spettanza dell’agevolazione (e, dunque, lacompensazione del credito) alla semplice rea-lizzazione dell’investimento, il D.L. n. 138/

2002 (8), ne ha successivamente collegato lafruizione (9) alla presentazione in via telemati-ca di un’istanza preventiva al Centro Operati-vo di Pescara (10).Tale adempimento è stato introdotto al fine digarantire il rispetto del “nuovo” principio gene-rale sancito dall’art. 5 del medesimo D.L. aisensi del quale i soggetti interessati hanno dirit-to di fruire dei crediti d’imposta vigenti soltantofino all’esaurimento delle disponibilità finanzia-rie appositamente stanziate per ciascuno di essi.

L’assenza di una specifica disciplinadei poteri di controllo

Il retroterra normativo del nodo operativo chela Suprema Corte ha inteso sciogliere con lasentenza in commento si connota per la spic-cata lacunosità della disciplina dei profili at-tuativi del beneficio.La Legge n. 388/2000, infatti, nulla stabiliva inordine ai poteri di controllo dell’Amministra-zione finanziaria, all’eventuale recupero deicrediti indebitamente fruiti, né approntava, atali fini, uno specifico regime sanzionatorio. Ilsistema originario risultava integralmente fon-dato, anche nell’eventuale fase “patologica”(avveramento di una delle condizioni di deca-denza) sull’attività di autoliquidazione benefi-ciario, il quale, al verificarsi di una delle con-dizioni antielusive, avrebbe dovuto autonoma-mente procedere alla rideterminazione del cre-

(6) Trattasi di comportamenti sintomatici di un utilizzo fitti-zio, simulato o, comunque, scorretto del credito, la cui attua-zione implicava la revoca parziale o totale del credito globaleoriginariamente individuato. In particolare, qualora i beni og-getto dell’agevolazione non fossero entrati in funzione entro ilsecondo periodo d’imposta successivo a quello della loro ac-quisizione o ultimazione, il credito d’imposta avrebbe dovutoessere rideterminato escludendo dagli investimenti agevolati ilcosto dei beni non entrati in funzione. Se entro il quinto perio-do d’imposta successivo a quello nel quale sono entrati in fun-zione i beni fossero stati dismessi, ceduti a terzi, destinati a fi-nalità estranee all’esercizio dell’impresa ovvero destinati astrutture produttive diverse da quelle che hanno dato diritto al-l’agevolazione, il credito d’imposta avrebbe dovuto essere ri-determinato escludendo dagli investimenti agevolati il costodei beni anzidetti; qualora, infine, nel periodo di imposta in cuisi verifica una delle predette ipotesi vengono acquisiti beni del-la stessa categoria di quelli agevolati, il credito d’impostaavrebbe dovuto essere rideterminato escludendo il costo nonammortizzato degli investimenti agevolati per la parte che ec-cede i costi delle nuove acquisizioni. Per i beni acquisiti in lo-cazione finanziaria le disposizioni precedenti si applicano an-

che se non viene esercitato il riscatto.(7) Convertito dalla Legge n. 178/2002. In particolare, la

norma ha esteso ai Comuni del Centro Nord l’ambito territoria-le d’operatività dell’agevolazione. La norma ha, contestual-mente, ridefinito anche l’ambito soggettivo dei destinatari del-l’agevolazione, eliminando l’esclusione degli enti non commer-ciali ed individuando con maggiore chiarezza i settori di attivitàagevolati (settori estrattivo e manifatturiero, dei servizi, del tu-rismo, del commercio, delle costruzioni, della produzione e di-stribuzione di energia elettrica, vapore ed acqua calda e dellatrasformazione dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura).

(8) Art. 10 cit.(9) A far data dal 25 luglio 2002.(10) L’istanza doveva recare l’indicazione degli elementi

identificativi dell’impresa, dell’ammontare complessivo deinuovi investimenti e della ripartizione regionale degli stessi, daavviarsi successivamente alla data di presentazione della me-desima istanza e comunque entro sei mesi dalla predetta data.Decorsi 30 giorni dalla presentazione senza che l’Agenzia delleEntrate avesse comunicato il proprio diniego, il beneficioavrebbe dovuto intendersi concesso.

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dito e alla liquidazione delle maggiori imposteconseguentemente dovute.Tali lacune, in parte giustificate dalla naturasquisitamente agevolativa del credito d’imposta(infra), sono state gradualmente colmate nelquadro dell’azione di contrasto all’utilizzo elusi-vo dell’agevolazione.Collateralmente al monitoraggio delle comuni-cazioni presentate (11) è stata avviata una ge-neralizzata attività di controllo mirato sui sog-getti beneficiari dell’agevolazione (12).Nell’ambito di tale iniziativa, si è ritenuto chel’indebito utilizzo del credito d’imposta potesseessere evidenziato attraverso l’emissione deic.d. atti di recupero introdotti dall’art. 1, com-ma 421, Legge n. 311/2005, specificamente fi-nalizzati alla “riscossione dei crediti indebita-mente utilizzati in tutto o in parte, anche incompensazione, ai sensi dell’art. 17 del Decretolegislativo 9 luglio 1997, n. 241”, da notificarsial contribuente con le modalità previste dal-l’art. 60 del D.P.R. n. 600/1973.Lo strumento, approntato ai fini del recuperodi crediti d’imposta di matrice propriamentetributaria (derivanti dalle somme versate in ec-cedenza dal contribuente mediante ritenuted’acconto, versamenti d’acconto e versamentidiretti) è stato, dunque, estensivamente prepo-sto al recupero di sovvenzioni.Ne è dipesa una unificazione della disciplinadell’accertamento dei crediti d’imposta che, seb-bene positivamente valutabile sul piano dellasemplificazione e dell’economia procedimentale,poggia su un assunto non condivisibile sul pianoideologico e sistematico: la piena assimilazionedelle sovvenzioni erogate sotto forma di creditid’imposta (c.d. crediti da non indebito) (13),

fattispecie di ausilio finanziario, ai crediti d’im-posta tout court, fattispecie da indebito (14).L’esercizio delle prime, infatti, non incide,contrariamente a quello dei secondi, sull’esi-stenza del presupposto (e, dunque, sull’an dellapretesa), interagendo con il regime impositivoordinario della fattispecie unicamente sotto ilprofilo quantitativo, determinando un’attenua-zione del debito d’imposta in capo al beneficia-rio (15).Nel caso di specie, in particolare, poiché il cre-dito d’imposta non concorre, per espressa pre-visione della legge istitutiva, alla formazionedella base imponibile IRES ed IRAP, rilevandounicamente in sede di compensazione, il suc-cessivo riscontro dell’inesistenza o della nonspettanza del medesimo rileverà unicamentesotto il profilo del corretto adempimento degliobblighi di versamento (omesso o insufficienteversamento conseguente all’indebita compen-sazione). Oggetto dell’avviso di recupero sarà,pertanto, la constatazione del sopravvenutoavveramento di una condizione antielusiva,ovvero, del carattere puramente fittizio del cre-dito, con contestuale liquidazione dei maggioriimporti dovuti in ragione della rideterminazio-ne del credito o della revoca del medesimo.L’atto di recupero costituisce, dunque, al di làdelle consonanze formali, un provvedimentosostanzialmente e funzionalmente distinto dal-l’avviso di accertamento, il quale ha ad oggettola formulazione della pretesa impositiva conse-guente alla rettifica in aumento del reddito di-chiarato o alla sua determinazione d’ufficio,ovvero, al disconoscimento di detrazioni odagevolazioni incidenti sull’entità del tributo(art. 42 del D.P.R. n. 600/1973).

(11) Al fine di assicurare una corretta applicazione dellanuova disciplina e di favorire la prevenzione di comportamentielusivi, l’art. 1 del D.L. n. 253/2002 ha successivamente indivi-duato ai fini della fruizione dell’agevolazione, due categorie disoggetti: la prima, composta dai soggetti (automaticamente)ammessi al beneficio prima dell’8 luglio 2002, avrebbe dovutocomunicare all’Agenzia delle entrate, a pena di decadenza, idati occorrenti per la ricognizione degli investimenti realizzaticon un apposito modello, denominato CVS; la seconda, com-posta dai soggetti (espressamente) ammessi al beneficio dopol’8 luglio 2002, una volta conseguito l’assenso dell’Agenzia,avrebbero dovuto effettuare la medesima comunicazione con

il modello, denominato CTS.(12) Preconizzata dalla circolare dell’Agenzia delle entrate

14 agosto 2002, n. 72/E.(13) L’efficace denominazione è tratta da Ingrosso, voce

“Credito d’imposta”, in Enc. giur. Treccani, Roma, X, pag. 2. Sisostanziano nell’attribuzione ex lege di un diritto di credito incapo al contribuente (credito d’imposta), nel perseguimento diinteressi di politica economica costituzionalmente rilevanti.

(14) Ingrosso, op. loc. ult. cit.(15) Ingrosso, Il credito d’imposta, Milano, 1984, pag. 84

ss.; La Rosa, Eguaglianza tributaria ed esenzioni fiscali, Milano,1968, pag. 199 ss.

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Nondimeno, tali atti, superate alcune inizialiperplessità (16), sono stati equiparati agli avvi-si di accertamento (17). Tale equiparazione,tuttavia, risulta fondata su rilievi di ordine pre-valentemente formale ed esigenze di tutela giu-risdizionale (identità degli elementi strutturali,necessità di assicurare l’impugnazione del prov-vedimento dinnanzi agli organi della giustiziatributaria) (18). Di contro, sotto il profilo so-stanziale, non può non considerarsi come,mentre l’attività di controllo culminante nel-l’emissione dell’avviso di recupero abbia ad og-getto un atto tipico della riscossione (il model-lo di versamento unificato), l’accertamento tri-butario sia ordinamentalmente deputato alcontrollo di atti dichiarativi (il modello di di-chiarazione) (19).Occorre, inoltre, considerare come tale assimi-lazione abbia indotto a ritenere la generalizzataoperatività dei termini decadenziali previsti aifini dell’accertamento delle imposte sui redditi(art. 43 del D.P.R. n. 600/1973).Questa impostazione è stata, in seguito, impli-citamente confermata dal legislatore, che, conl’art. 27, comma 16, del D.L. n. 185/2008(convertito dalla Legge n. 2/2009), ha intro-dotto uno specifico termine “lungo” di deca-denza (otto anni) ai fini dell’emanazione del-l’atto di recupero dei crediti inesistenti utilizza-ti in compensazione.Definitivamente offuscata la matrice sovventi-va delle misure in discorso, non sorprende cheil nuovo termine di decadenza (20) sia stato ri-

tenuto pacificamente applicabile ai fini del re-cupero dei crediti de quo.

Il caso concreto

La controversia sottoposta all’esame della Su-prema Corte aveva ad oggetto un avviso di re-cupero emesso, nel 2007, per la ripetizione diun credito d’imposta ex art. 8 della Legge n.388/2000. Il credito, maturato nel 2001, rego-larmente indicato nella dichiarazione dei red-diti 2002, era stato portato in compensazionedalla Società contribuente, sia in quest’ultimaannualità, che nella successiva annualità 2005.Raggiunta dall’avviso ed impugnatolo dinnanzialla Commissione tributaria competente, laSocietà deduceva l’intervenuta decadenza del-l’Ufficio dal potere di accertamento. L’eccezio-ne, respinta dal Collegio di primo grado, trova-va, invece, accoglimento in sede d’appello.Avverso la pronuncia di secondo grado propo-neva, quindi, ricorso per Cassazione l’Ufficiosoccombente, deducendo la violazione dell’art.43 del D.P.R. n. 600/1973, e dell’art. 27, com-mi 16-20, del D.L. n. 185/2008, convertito dal-la Legge n. 2/2009.La Corte, rilevata l’operatività del termine“lungo” di decadenza individuato da tali dispo-sizioni, riteneva che l’eventuale utilizzo “frazio-nato” del credito da parte del contribuente(espressamente consentito dalla legge istituti-va) trovasse il proprio necessario pendant ac-certativo nel potere dell’Amministrazione fi-nanziaria di accertare, entro tale termine, la

(16) Era stata inizialmente prospettata una equiparazionedell’atto di recupero alla comunicazione trasmessa all’esito delcontrollo formale di cui all’art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973(determinazione dei “crediti d’imposta spettanti in base ai datirisultanti dalle dichiarazioni e ai documenti richiesti ai contri-buenti”). L’impostazione è stata successivamente superata inconsiderazione del carattere essenzialmente statico dell’attivitàistruttoria svolta nell’ambito dei controlli formali, circoscritta alraffronto tra i dati dichiarati ed i documenti di supporto atte-stanti le deduzioni, le detrazioni, le ritenute, i crediti d’imposta.L’emanazione dell’atto di recupero è, al contrario, precedutada un’attività istruttoria diretta presso il contribuente (accessobreve), che si conclude con la redazione di apposito processoverbale riportante le risultanze dei controlli espletati e con lasuccessiva notifica al contribuente (circolare Agenzia delle en-trate 8 luglio 2003, n. 35/E)

(17) Per tutte, Cass., 15 febbraio 2013, n. 3838, che ha rite-nuto applicabile alle somme richieste tramite avvisi di recupe-ro la disciplina della riscossione frazionata (art. 15, D.P.R. n.

602/1973), trattandosi di atti che “contribuiscono a definire, at-traverso il disconoscimento dei crediti d’imposta indebitamen-te utilizzati, l’entità della somma concretamente dovuta dalcontribuente, cosicché anche tali avvisi implicano accertamen-to della debenza del tributo”.

(18) Individuata la portata essenziale dell’art. 1, comma 421,cit., nell’individuazione dell’atto di recupero come ulteriorepossibile titolo per la successiva riscossione coattiva tale attoè stato assimilato, sotto il profilo dalla impugnabilità, all’avvisodi accertamento.

(19) Come osservato da Basilavecchia, “Avvisi di recuperoper indebite compensazioni e affidamento del contribuente”,in Corr. Trib., n. 30/2012, pag. 2322.

(20) Il termine trova applicazione a partire dalle compensa-zioni con crediti inesistenti effettuati in anni per i quali, alla da-ta di entrata in vigore del medesimo D.L. n. 185/2008, eranopendenti i termini di cui all’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973, e al-l’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972.

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non spettanza, ovvero, l’inesistenza del creditoe di disporne l’integrale recupero, quand’ancherispetto ad alcune delle annualità interessatedalla compensazione risultassero decorsi gli or-dinari termini di decadenza.

Una tesi controversa

Il principio di diritto enunciato dalla SupremaCorte è certamente destinato a produrre conse-guenze significative sul piano operativo. Da unlato, infatti, la Corte ha istituito un ineditoparallelo tra esercizio “frazionato” del creditoed attività di accertamento degli Uffici, in for-za del quale l’esistenza del credito può essere(retroattivamente) revocata in dubbio fintantoche il credito medesimo viene utilizzato incompensazione dal contribuente; dall’altro, haaffermato l’applicabilità del termine “lungo” didecadenza anche rispetto alle ipotesi in cuidalla successiva attività di verifica emerga unmero utilizzo “sopra soglia” del credito d’impo-sta, equiparato alle ipotesi di inesistenza delcredito.Aggirate, sul piano procedurale, le pressantiproblematiche di ordine definitorio connesseal binomio crediti inesistenti-crediti non spet-tanti (21), i giudici di legittimità ne hannopersino ampliato la rilevanza sotto il profilo so-stanziale, riferendo all’avviso di recupero unasingolare valenza “retroattiva” ed “ultrannua-le”, che solleva nuovi e consistenti interrogati-vi di ordine sistematico e teorico-generale.

Le perplessità irrisolte

A seguito dell’introduzione del nuovo terminedecadenziale “lungo” per l’emanazione degliavvisi di recupero (supra) la distinzione tra cre-diti inesistenti e crediti non spettanti, la cui ri-levanza era, sino a tale momento, rimasta cir-coscritta al versante sanzionatorio, ha assunto

una indubbia centralità anche sul piano so-stanziale.Si è infatti reso necessario chiarire se la totali-tà delle ipotesi di indebita compensazione pos-sa essere ricondotta alla categoria dei “creditiinesistenti”, ovvero, se da quest’ultima esulinole ipotesi connotate dall’assenza di dolo in ca-po al contribuente (ad es. utilizzo sopra soglia),da ricondursi alla autonoma categoria dei “cre-diti non spettanti”. In questo secondo sensodepone, tra l’altro, la relazione di accompagna-mento al D.L. n. 185/2008, che - nel giustifica-re l’estensione dei termini decadenziali allastregua dell’esigenza di contrastare i “compor-tamenti connotati da aspetti fraudolenti” - in-duce ad escludere dal novero dei crediti inesi-stenti, sia le compensazioni eseguite in eccessorispetto ai limiti massimi annuali di legge, siaquelle aventi ad oggetto crediti più elevati del-l’importo risultante dalla dichiarazione (22).Ricorrerebbe, invece, la compensazione di uncredito inesistente nelle ipotesi in cui, al veri-ficarsi di una delle condizioni antielusive pre-viste dalla Legge n. 388/2000, il contribuentenon abbia dato luogo alla rideterminazioneprescritta.

L’infittirsi della trama problematica

Il quadro speculativo ed operativo appena de-scritto è risultato, da ultimo, ulteriormente de-stabilizzato dall’inedito parallelo tra esercizio“frazionato” del credito ed attività di accerta-mento degli Uffici istituito dalla pronuncia incommento e dalla conseguente rottura dell’or-dinario regime di preclusioni procedimentali.Se è pur vero che, in presenza di un esercizio“frazionato” del credito, non avrebbe pregio,né rigore, sostenere, in relazione ai periodi an-cora accertabili, l’impossibilità di riscontrarel’inesistenza del credito compensato e che tale

(21) La distinzione tra le due fattispecie, originariamente ri-levante nella sola prospettiva sanzionatoria (reato di indebitacompensazione), ha acquisito rilievo sul piano sostanziale a se-guito dell’introduzione del termine “lungo” di decadenza (in-fra). Configurano “crediti inesistenti”, sia gli importi artificiosa-mente rappresentati in sede contabile o di dichiarazione tribu-taria, sia quelli ritenuti erroneamente esistenti per fatto impu-tabile, anche a titolo di colpa, all'autore della violazione; confi-

gurano, invece, “crediti non spettanti” gli importi effettivamen-te esistenti, ma non utilizzabili in compensazione. In ordine atali categorie, si rinvia, per un approfondimento a Logozzo,“Gli incerti confini dell’indebita compensazione dei crediti ine-sistenti”, in Corr. Trib., n. 33/2011, pag. 2661 ss.

(22) L’impostazione sembrerebbe suffragata dalla letteradell’art. 10-quater della Legge n. 74/2000 (indebita compensa-zione di “crediti non spettanti o inesistenti”).

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accertamento, quantomeno sul piano logico,non può non revocare in dubbio la fondatezzadelle compensazioni “frazionate” operate in pe-riodi precedenti (ancorché non più accertabi-li), è altrettanto vero che l’integrale (coerente)ripetizione del credito comporta una sostanzia-le “riapertura” dei termini di accertamento e lasurrettizia rimozione dei limiti giuridici ed ope-rativi sottesi ai termini decadenziali.La potestà dell’Amministrazione finanziaria diprocedere ad accertamenti e rettifiche è, infat-ti, notoriamente soggetta a termini di decaden-za, stabiliti, quanto alle imposte sui redditi,dall’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973. Trovanopiena applicazione, a tale livello, i principisanciti, a livello generale (23), dalle disposizio-ni del Codice civile ed, in particolare, dall’art.2966 c.c., ai sensi del quale la decadenza non èimpedita se non dal compimento dell’atto pre-visto dalla legge (24).In tale prospettiva, mentre il recupero “retroat-tivo” e “ultrannuale” dei crediti inesistenti èespressamente consentito dal comma 16 del-l’art. 27 del D.L. n. 185/2008, appare del tuttoimpropria l’estensione del termine decadenzia-le lungo fissato dalla norma al recupero deicrediti non spettanti ed, in particolare, al recu-pero dei crediti utilizzati sopra soglia.L’assimilazione delle due fattispecie (creditiinesistenti-crediti non spettanti) - lungi dalpoter essere pianamente dichiarata - avrebbe,dunque, richiesto un ulteriore sforzo esplicati-vo da parte della Suprema Corte, consideratal’assenza di una nozione normativa e l’esistenzadi un ampio retroterra speculativo (supra).

Anche con riferimento ai crediti inesistenti,del resto, l’applicazione del termine decaden-ziale “lungo” - quantunque positivamente san-cita - desta alcune perplessità sotto il profilo si-stematico.La tesi della funzione accertativa dell’avviso direcupero e la conseguente individuazione di untermine di decadenza ai fini della relativaemissione appaiono, invero, difficilmente co-niugabili con la matrice squisitamente sovven-tiva del credito d’imposta, offuscata dalla suc-cessiva stratificazione legislativa.Nel caso considerato, infatti, il successivo di-sconoscimento dell’agevolazione non comportaun ampliamento (sopravvenuto) della base im-ponibile del quale si imponga l’accertamento,configurandosi il credito d’imposta come uncontributo in conto esercizio (25), irrilevanteai fini IRES ed IRAP (26). Conseguentemente,in caso di successivo disconoscimento, il decre-mento della voce “altri ricavi e proventi” risul-terà neutralizzato dal corrispondente decre-mento registrato nelle variazioni in diminuzio-ne apportate in sede di dichiarazione dell’utiledi esercizio (27).In tale prospettiva, è la stessa previsione di ter-mini di decadenza ad apparire inconciliabilecon l’irrilevanza fiscale del contributo.I termini di decadenza sono, infatti, come no-to, fissati in relazione all’accertamento del “de-bito” del contribuente a tutela del relativo in-teresse alla certezza e stabilità della propria po-sizione fiscale, non rilevando, invece, ai finidel disconoscimento di eventuali crediti vanta-

(23) Nel senso che gli artt. 2964 ss. c.c. contribuiscano al-l’interpretazione organica delle numerose disposizioni di legge,anche estranee alla materia civilistica, disciplinanti le attivitàsottoposte a termine, Roselli, voce “Decadenza. I) Diritto civi-le”, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, pag. 1.

(24) Cogliati Dezza, voce “Decadenza. VI) Diritto tributario”,in Enc. giur Treccani, Roma, 1988, pag. 2.

(25) Le sovvenzioni pubbliche erogate a favore delle impre-se rilevano, dal punto di vista contabile, o come contributi inconto esercizio o come contributi in conto capitale. I contributiin conto esercizio vengono erogati allo scopo di integrare i ri-cavi dell’azienda ovvero, come nell’ipotesi considerata, di ri-durre i costi d’esercizio che le imprese sostengono per esigen-ze legate all’attività produttiva (costi per l’acquisto di fattoriproduttivi). A tale livello, il modulo attuativo più ricorrente è di-venuto quello della concessione di un credito d’imposta (c.d.bonus fiscale) da utilizzare a riduzione delle imposte dovute

dall’impresa.(26) Circolare Agenzia delle entrate 31 gennaio 2001, n. 1/E.

La disciplina fiscale relativa ai contributi in conto esercizio èfissata dall’art. 85, comma 1, lett. g) e h), del T.U.I.R., ove si af-ferma che sono considerati ricavi, rispettivamente: i) i contri-buti in denaro, o il valore normale dei beni in natura spettanti,sotto qualsiasi denominazione, in base a contratto (quindi, inaltri termini, possono rientrare in tale previsione sia i contributiin conto esercizio, sia altre tipologie di contributi, purché risul-tino contrattualmente dovuti); ii) i contributi spettanti esclusi-vamente in conto esercizio a norma di legge (prescindendo,quindi, dalla natura del soggetto erogante, che può esserepubblico o privato).

(27) Zamaro, “Avvisi di recupero degli incentivi erogati perl’incremento occupazionale”, in Corr. Trib., n. 40/2004, pag.3150 ss.

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ti dal medesimo nei confronti dell’Ammini-strazione finanziaria (28).Pertanto, mentre l’accertamento dell’esistenzadi debiti tributari (situazione giuridica attivadell’Amministrazione) deve essere attuato nelrispetto di precisi termini (di decadenza), l’ine-sistenza dei crediti opposti in compensazione(situazione giuridica passiva dell’Amministra-zione) può essere oggetto di dimostrazione daparte dell’Amministrazione (debitrice) fintantoche il contribuente (creditore) seguiti, attra-verso l’utilizzo in compensazione, ad esercitareil proprio diritto. Trattandosi di un diritto, chela stessa Amministrazione ha attribuito al con-tribuente (in sede di ammissione al beneficio),tale dimostrazione si accompagnerà alla conte-stuale revoca del credito d’imposta (provvedi-mento naturalmente retroattivo) (29).Né può trascurarsi come la natura accertativadegli avvisi di recupero, mai espressamente af-fermata dal legislatore, sia stata solo implicita-mente confermata dall’art. 27 cit., la cui ema-nazione è stata giustificata alla stregua delledifficoltà operative indotte dal disallineamentostrategico tra il dato dichiarativo e gli elementiesposti nel Mod. UNICO (infedele) (30).Mentre, dunque, rispetto ai crediti da indebito,l’applicazione del termine di decadenza “lungo”(ed, in generale, di termini di decadenza) risul-ta coerente, sia con la matrice tributaria della

situazione soggettiva vantata dal contribuente,che con l’oggetto della violazione (il creditotrae origine, in tal caso, dalla erronea o infede-le rappresentazione in sede dichiaritiva) (31),rispetto ai crediti da non indebito, la cui rile-vanza fiscale sia, come nel caso di specie, rigi-damente circoscritta al momento del versa-mento, non appare validamente sostenibile, néla natura accertativa dell’avviso, né il relativoassoggettamento a termini di decadenza (“bre-vi” o “lunghi” che siano).In tali ipotesi, invero, l’avviso di recupero, purpromanando da un soggetto pubblico, appareorientato a contrapporre al diritto di creditoesercitato dal contribuente il sopravvenuto ri-scontro (in sede istruttoria) di circostanzeestintive o modificative del credito medesimo,cui consegue la richiesta di restituzione diquanto indebitamente corrisposto (attraversol’abbattimento fiscale precedentemente accor-dato). Tale provvedimento assolve, dunque,una funzione ricognitiva della posizione passivadell’Amministrazione, più che di accertamentodella posizione fiscale del contribuente, sicchéla relativa emissione dovrebbe ritenersi sottrat-ta alle ordinarie logiche e tempistiche accerta-tive, risultando vincolata al solo rispetto deitermini di prescrizione e del principio del legit-timo affidamento (32).

(28) . In tale occasione la Corte ha rilevato come il condonoelida unicamente il debito fiscale, non investendo in alcun mo-do i crediti del contribuente (nella specie, un credito IVA), iquali restano soggetti all’eventuale contestazione del Fisco.Cass., 9 giugno 2010, n. 13858, con nota di Basilavecchia,“Credito ‘riportato’ ma inesistente: rilevanza penale dell’utiliz-zo”, in Corr. Trib., n. 3/2011, pag. 212 ss.

(29) Eusepi, “Riconoscimento, revoca, recupero del creditod’imposta: dispiegamento ‘continuato’ della funzione impositi-va ed asimmetrie relazionali”, in questa Rivista, n. 4/2016, pag.289 ss.

(30) Cfr. relazione illustrativa.(31) In questi casi l’accertamento dell’inesistenza implica

una rideterminazione ‘‘a monte’’ della pretesa tributaria.(32) La diversità del recupero del credito d’imposta rispetto

all’azione di accertamento ed il relativo assoggettamento alsolo termine ordinario di prescrizione decennale è stata evi-denziata in talune occasioni dalla stessa Amministrazione fi-nanziaria. Tale impostazione, tuttavia, non è stata avallata dallagiurisprudenza di legittimità, che muovendo dalla sostanzialeequiparazione tra avviso di recupero ed avviso di accertamen-to ha ritenuto che il potere di recupero del credito di impostasia soggetto, al pari del potere di accertamento, ad un terminedi decadenza (in tal senso, da ultimo, Cass., 22 luglio 2016, n.15186, la quale peraltro ha adottato, sul punto, un’impostazio-ne divergente rispetto alla sentenza in commento ritenendoapplicabile, non il termine “lungo” di decadenza introdotto dal-l’art. 27, comma 16, del D.L. n. 185/2008, ma il termine ordi-nario previsto dall’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973).

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Imposta di registro

La cessione “isolata” di benifunzionali all’esercizio d’impresaè sempre cessione di aziendaCassazione, Sez. trib., Sent. 22 luglio 2016 (30 giugno 2016), n. 15175 - Pres. Canzio - Rel. Cri-scuolo

Imposta di registro - Applicazione dell’imposta - Causa reale ed effettiva regolamentazione degli interessi -Rilevanza - Cessione di beni funzionali all’esercizio dell’impresa - Cessione d’azienda - Configurabilità - Im-posta di registro - Applicabilità - Cessione di singoli beni non idonei all’esercizio dell’impresa - IVA - Applica-bilità

Ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, e di riflesso anche ai fini dell’imposizione IVA, deveattribuirsi rilievo preminente alla causa reale ed alla effettiva regolamentazione degli interessi real-mente perseguita dai contraenti. A tal uopo, è legittima la configurazione della cessione di aziendatutte le volte in cui la relativa convenzione negoziale abbia avuto ad oggetto il trasferimento di be-ni organizzati in un contesto produttivo, anche solo potenziale, dall’imprenditore per l’attività diimpresa. Di conseguenza, laddove sussista una cessione di beni strumentali, atti, nel loro comples-so e nella loro interdipendenza, all’esercizio di impresa, si deve ravvisare una cessione di aziendasoggetta ad imposta di registro, mentre la cessione di singoli beni, inidonei di per sé ad integrarela potenzialità produttiva propria dell’impresa, deve essere assoggettata ad IVA.

Svolgimento del processo

All’esito di una verifica fiscale effettuata nei confron-ti della Officine R. di R. E. & C. S.n.c., avente adoggetto una serie di contrati di cessione di beni perfe-zionati tra la detta società e la M.A.C. MetallurgicaAssemblaggi Carpenterie S.p.A., società incorporantela MDM Meccanica S.p.A., l’Agenzia delle entratedi Pontedera, previa riqualificazione dei rapporti con-trattuali intercorsi tra le parti in termini di cessionedi azienda ovvero di ramo di azienda, emetteva avvisidi accertamento ai fini dell’imposta di registro, ai finidelle imposte dirette ed ai fini IVA nei confronti del-le due società, in vista del recupero delle imposte ef-fettivamente dovute, alla luce della nuova qualifica-zione giuridica dell’operazione intercorsa.Gli avvisi erano impugnati dalle contribuenti, le qua-li ribadivano che in realtà erano state convenute del-le semplici cessioni di beni strumentali, non potendoaccedersi alla tesi dell’Ufficio secondo cui l’oggettodella cessione era un’azienda ovvero un ramo d’azien-da.La CTP di Pisa con le sentenze nn. 35/02/06 e36/02/06, relative al ricorso proposto dalle Officine

R., e con la sentenza n. 34/02/06, relativa al ricorsoproposto dalla MDM, accoglieva le opposizioni edavverso entrambe le sentenze proponeva appello l’A-genzia delle entrate.La CTR di Firenze, con la sentenza n. 93/18/08 del27/11/08, riuniti i giudizi, rigettava gli appelli.Osservava in primo luogo che mancava la contesta-zione nei confronti della MDM, poi trasformata inMAC, dell’annullamento del contratto di vendita inmaniera tale da permettere alle Officine R. di avereil diritto al rimborso dell’IVA pagata, ed alla stessaMDM di recuperare l’IVA incassata e versata.Nel merito osservava che nella fattispecie si trattavadi un’ipotesi di cessione di macchinari da parte di unasocietà che aveva deciso di cessare la propria attività eche quindi metteva in liquidazione i propri beni.Nel caso concreto le presse e gli altri macchinari ac-quistati dalla Officine R. erano di così specifico uti-lizzo da avere una scarsa platea di interessati, in ra-gione della peculiare attività imprenditoriale allaquale erano preordinati e del loro rilevante prezzo.Inoltre, i beni erano stati inseriti in una preesistenteattività dell’acquirente, previa costruzione di un ca-pannone nuovo e di una nuova linea produttiva.

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Ancora, era stato trascurato il fatto che la maggiorparte dei beni erano stati acquistati in leasing, senzache nella vicenda fosse stata coinvolta anche la so-cietà concedente, così che a fronte della detrazionedi imposta effettuata nei confronti della Officine R.,in considerazione del fatto che la cessione d’aziendaè esente dall’IVA, l’altra parte del contratto si era vi-sta mantenere in vita il contratto di leasing con ilconseguente pagamento dell’IVA. Pertanto essendoin contestazione solo la vendita di beni del valore dieuro 80.000,00, a fronte della concessione in leasingdi beni del valore di euro 1.700.000,00, si trattava diuna vendita esigua che escludeva la fondatezza dellatesi dell’Ufficio.Ha chiesto la cassazione di tale sentenza l’Agenziadelle entrate sulla base di tre motivi.La Officine R. S.p.A. (già Officine R. di R. E. e C.S.n.c.) e la M.A.C. Metallurgica Assemblaggi Car-penterie S.p.A. (incorporante la MDM MeccanicaS.p.A.) hanno resistito con controricorso, depositan-do altresì memorie ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, corredato anchedi quesito di diritto, si denunzia la violazione e falsaapplicazione del D.P.R. n. 131/1986, artt. 2, 20, 52 e53.La sentenza impugnata avrebbe infatti affermato chenel caso concreto non era stata contestata l’invaliditàdel contratto di vendita in maniera tale da permette-re alle due società di recuperare, alle Officine R., l’I-VA pagata, ed alla MAC, l’IVA incassata e versata.A detta della ricorrente si tratta di un’affermazionepoco comprensibile che non tiene conto del dispostodi cui al D.P.R. n. 131/1986, art. 20, che appuntoprevede che l’imposta debba essere applicata in ragio-ne dell’intrinseca natura e degli effetti giuridici degliatti presentati alla registrazione.Non occorre quindi alcuna contestazione di annulla-mento del contratto, vertendosi solo in merito al po-tere di riqualificazione giuridica della fattispecie adopera dell’Ufficio.Con il secondo motivo, anche in tal caso corredatodi quesito di diritto, si lamenta la violazione e falsaapplicazione del D.P.R. n. 633/1972, art. 2, comma3, lett. b), e art. 19, del D.P.R. n. 131/1986, art. 40,e dell’art. 2555 c.c.Rileva la ricorrente che la riqualificazione dei rappor-ti contrattuali intervenuti tra le parti in termini dicessione di ramo d’azienda, anziché come cessione dibeni strumentali, trovava il proprio fondamento nella

stessa documentazione acquisita, e puntualmente ri-chiamata nell’avviso impugnato.In primo luogo la cessione prevedeva l’acquisto daparte della Officine R., in pane direttamente, ed inpane tramite società di leasing, di presse, macchinaried attrezzature, per lo svolgimento di attività di stam-paggio lamiere, grassaggio, impacchettamento sfridied assemblaggio di componenti stampati. Inoltre siprevedeva che l’acquirente avrebbe provveduto alleoperazioni di smontaggio, imballo e trasferimentodelle presse dallo stabilimento industriale della ce-dente ai locali siti in (omissis).Ancora, era stato concluso un contratto di fornituraper effetto del quale la MDM, richiamando il preesi-stente contratto di fornitura concluso con la Piaggio& C. S.p.A. relativo a prodotti realizzati tramite lepresse cedute, commissionava alle Officine R. la rea-lizzazione dei prodotti necessari per adempiere al rap-porto di fornitura con la Piaggio, secondo le condi-zioni contrattuali specificamente concordate.La volontà di acquisire il ramo d’azienda da parte del-la Officine R. trovava conferma anche nel fatto che,in epoca anteriore alla conclusione dei contratti divendita e di fornitura, la società aveva già trasferitole presse presso il nuovo capannone, ottenuto in lea-sing, e già in precedenza modificato, con la realizza-zione di vasche in c.a., onde accogliere i macchinariacquistati.La cessionaria si era resa altresì acquirente del magaz-zino delle materie prime e semilavorati, mentre dal-l’esame del libro matricole emergeva che la detta so-cietà aveva assunto alle proprie dipendenze con qua-lifiche operaie, 14 ex dipendenti della MDM. Assumequindi la ricorrente che, ancorché per effetto di unaserie complessa di attività negoziali e di comporta-menti, si era data attuazione ad un disegno unitariofinalizzato a permettere alle Officine R. di acquisireun ramo d’azienda della cedente, avendo quindi ac-quisito un complesso organico, anche solo parziale, dibeni legati da un rapporto di complementarietà in vi-sta della loro destinazione all’attività produttiva, sen-za che a ciò sia di ostacolo la mancata inclusione nel-la cessione anche dell’avviamento, ovvero il fattoche i beni vengano destinati ad altro settore produtti-vo.A fronte di tali rilievi puntualmente evidenziati sianei provvedimenti impugnati che nelle deduzioni di-fensive svolte in primo grado e nei motivi di appello,la CTR nella sentenza impugnata aveva ricondottola fattispecie ad una semplice cessione di beni stru-mentali, ritenendo ostativo alla diversa tesi prospet-tata dall’Ufficio, il fatto che i beni erano stati inseriti

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nella preesistente attività produttiva della cessiona-ria, previa costruzione di un capannone nuovo e diuna nuova linea produttiva.Trattasi di soluzione, a detta dell’Ufficio, che peròcontravviene ai consolidati principi elaborati dallagiurisprudenza in tema di cessione di azienda ovverodi ramo di azienda, occorrendo infatti accedersi, pro-prio alla luce delle circostanze fattuali emergenti daidocumenti contrattuali e dalle altre prove acquisite,alla conclusione che le parti avevano in realtà datovita ad una vicenda riconducibile alla previsione dicui all’art. 2555 c.c.Con il terzo motivo di ricorso si lamenta l’insufficien-te motivazione su di un fatto controverso e decisivoper il giudizio.Ed, infatti riprendendosi gli argomenti già esplicitatinell’illustrazione del secondo motivo di ricorso, cosìcome puntualmente riportati negli avvisi di liquida-zione e di accertamento, assume la ricorrente che laCTR si sarebbe soffermata solo sull’inserimento deibeni nel complesso produttivo della cessionaria, senzaperò esaminare le pattuizioni contrattuali dalle qualiinvece emergeva che le parti stesse intendevano rea-lizzare un disegno unitario teso a permettere alle Offi-cine Ristori di poter continuare la produzione dei be-ni che la MDM aveva in ricevuto in commessa dallaPiaggio. A tal fine la cessione non riguardava solosingoli beni, ma un complesso organizzato di beniidoneo a permettere la prosecuzione dell’identica at-tività produttiva svolta dalla cedente.A fronte di elementi documentali chiaramente ido-nei a comprovare tale assunto, la decisione impugna-ta si era fondata su due profili del tutto irrilevantiquali la costruzione di un nuovo capannone e l’inseri-mento dei beni in una nuova linea produttiva.Così come del pari illogica appare la motivazione del-la sentenza impugnata nella parte in cui ha valorizza-to il fatto che le presse di maggior valore erano stateacquisite dalla cessionaria mediante la conclusione diun contratto di leasing, laddove tale strumento giuri-dico era stato utilizzato al solo fine di ottenere un fi-nanziamento parziale dell’operazione negoziale, senzaperò intervenire sulla natura giuridica della medesi-ma.2. Il primo motivo è inammissibile, in quanto indiriz-zato nei confronti di una affermazione contenuta nel-la sentenza impugnata inidonea a configurarsi allastregua di un’autonoma ratio decidendi, tale da sorreg-gere la validità della decisione stessa.Ed, infatti, anche la ricorrente dubita che le afferma-zioni con le quali la CTR ha sostenuto che manche-rebbe la contestazione dell’annullamento del contrat-

to di vendita, in maniera tale da permettere alle so-cietà interessate il rimborso dell’IVA pagata ed il re-cupero dell’IVA incassata e versata, costituiscanouna effettiva ragione della decisione, e tale dubbioappare effettivamente confortato dal fatto che, anchea voler sorvolare circa l’imprecisione della sentenza,nella parte, in luogo di far riferimento alla correttanecessità di addivenire ad una riqualificazione dellafattispecie giuridica ai fini fiscali, richiama il diversoistituto dell’annullamento, trattasi in realtà di argo-mento che mira a ribadire la necessità che, una voltaritenuta la natura di cessione d’azienda per il contrat-to intercorso tra le parti, se ne sarebbero dovute trar-re anche le ulteriori conseguenze in tema di recuperoe rimborso dell’IVA, attenendosi non più alla qualifi-cazione operata dalle parti, ma a quella in concretoindividuata dall’Ufficio.Dalla lettura della motivazione, emerge che la con-ferma dell’accoglimento del ricorso delle società sifonda sulla non condivisione della diversa qualifica-zione giuridica dell’operazione posta in essere, senzache il detto rilievo circa la contestazione dell’annul-lamento anche ai fini dell’IVA, abbia assunto un’au-tonoma rilevanza ai fini del decidere.Pertanto trattandosi a ben vedere di argomentazionesvolta ad abundantiam, la censura rivolta avverso lastessa è inammissibile per difetto di interesse, inquanto priva di effetti giuridici, e non determina al-cuna influenza sul dispositivo della decisione (cfr.Cass., n. 22380/2014; Cass., n. 23635/2010).3. I restanti due motivi, attesa la loro connessione lo-gica, ed essendo nel complesso mirati a contestare lacorrettezza della qualificazione giuridica del contrattointercorso tra le parti in termini di cessione di beni,in luogo di quella, auspicata dall’Ufficio, di cessionedi ramo d’azienda, devono essere esaminati congiun-tamente.Preliminarmente devono essere disattese le contesta-zioni di parte controricorrente circa la loro ammissi-bilità formale, occorrendo rilevare che i motivi ap-paiono corredati, il secondo, del quesito di diritto, edil terzo, del quesito di sintesi, così come imposto daldettato dell’art. 366-bis c.p.c., applicabile al procedi-mento in esame ratione temporis.Del pari va disattesa la deduzione di aspecificità delquesito di diritto, posto che lo stesso evidenzia conprecisione quali siano le norme di diritto che si assu-me essere state violate da parte del giudice di appello,non ostando a tale conclusione la circostanza chenell’estrinsecazione del quesito si faccia riferimentoanche a precedenti giurisprudenziali, posto che pro-prio mediante l’interpretazione giurisprudenziale si

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GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017 69

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perviene alla corretta interpretazione delle norme didiritto, potendosi per l’effetto trarre anche il conte-nuto del precetto che si assume violato o malamenteapplicato dalla sentenza gravata.Così come del pari deve essere disattesa la contesta-zione circa la corretta formulazione del quesito di sin-tesi, in relazione al terzo motivo di ricorso, avendochiaramente evidenziato la ricorrente come il fattocontroverso relativamente al quale si contesta il viziomotivazionale, sia rappresentato proprio dalla noncorretta valutazione delle intese e degli accordi inter-venuti tra le parti, assumendosi che, per escludere lanatura di cessione di ramo d’azienda, la CTR avrebbevalorizzato alcuni elementi secondari, trascurando deltutto la reale configurazione dell’operazione giuridi-co-economica voluta dai contraenti.Reputa il Collegio che i motivi siano fondati e chepertanto debbano essere accolti.A tal fine deve essere ribadito il principio più volteaffermato da questa Sezione secondo cui, ai fini del-l’applicazione dell’imposta di registro, e di riflesso an-che ai fini dell’imposizione IVA, deve attribuirsi ri-lievo preminente alla sua causa reale ad alla effettivaregolamentazione degli interessi realmente perseguitadai contraenti (Cass., 7 luglio 2003, n. 10660; Cass.,25 febbraio 2002, n. 2713). Particolarmente “in ma-teria di imposta sugli atti”, questa Corte (Cass., 23novembre 2001, n. 14900) ha precisato (e ribaditonelle successive decisioni n. 11457 del 30 maggio2005, n. 2713 del 25 febbraio 2002 e n. 10660 del 7luglio 2003, pure di questa Sezione) che “la scelta le-gislativa di privilegiare, nella contrapposizione fra ‘laintrinseca natura e gli effetti giuridici’ ed ‘il titolo ola forma apparente’ di essi, il primo termine, unitaria-mente considerato” assume un “rilievo di fondo” edimplica che “gli stessi concetti privatistici sull’auto-nomia negoziale regrediscano a semplici elementidella fattispecie tributaria” per cui, “anche se non po-trà prescindersi dall’interpretazione della volontà ne-goziale secondo i canoni generali (...)”, “nella indivi-duazione della materia imponibile dovrà darsi promi-nenza assoluta alla causa reale sull’assetto cartolare,con conseguente tangibilità, sul piano fiscale, delleforme negoziali”.Il tema dell’indagine non consiste nell’accertare cosale parti hanno scritto ma cosa le stesse hanno effetti-vamente realizzato con il regolamento negoziale adot-tato.In tale prospettiva, ed ai fini che qui rilevano, il ca-rattere precipuo dell’azienda, secondo la nozione civi-listica nazionale dell’istituto, è dato dall’organizzazio-ne dei beni finalizzata all’esercizio dell’impresa intesa

come opera unificatrice dell’imprenditore funzionalealla realizzazione di un rapporto di complementarietàstrumentale tra beni destinati alla produzione per cui(Cass., 28 aprile 1998, n. 4319) è legittima la confi-gurazione, da parte del giudice di merito, della fatti-specie della cessione di azienda tutte le volte in cuila relativa convenzione negoziale abbia avuto ad og-getto il trasferimento di beni organizzati in un conte-sto produttivo (anche solo potenziale) dall’imprendi-tore per l’attività d’impresa. Di conseguenza ove sus-sista una cessione di beni strumentali, atti, nel lorocomplesso e nella loro interdipendenza, all’eserciziodi impresa, ai deve ravvisare (Cass., n. 897/2002,Cass., n. 11457/2005) una cessione di azienda sogget-ta ad imposta di registro, mentre la cessione di singolibeni, inidonei di per sé ad integrare la potenzialitàproduttiva propria dell’impresa, deve essere assogget-tata ad IVA. A questi fini, poi, non si richiede chel’esercizio dell’impresa sia attuale, essendo sufficientel’attitudine potenziale all’utilizzo per un’attività d’im-presa, né è esclusa la cessione d’azienda per il fattoche non risultino cedute anche le relazioni finanzia-r ie , commercial i e personali (conf. Cass . , n.11457/2005; Cass . , n. 10273/2007; Cass . , n .23857/2007).Né appare ostativa alla configurabilità di una cessio-ne di azienda la circostanza che il trasferimento con-testuale sia compiuto attraverso negozi formalmentedistinti, laddove i beni siano però idonei nel lorocomplesso e nella loro interdipendenza all’eserciziodell’impresa (Cass., n. 1405/2013), né rileva (Cass.,n. 10740/2013) che per l’esercizio dell’impresa si sia-no rese delle integrazioni ad opera del cessionario.Come ben illustrato da Cass., n. 1955/2015, la neces-sità di guardare all’intrinseca natura ed agli effettigiuridici degli atti comporta che, nell’imposizione diun negozio, deve attribuirsi rilievo preminente allasua causa reale e alla regolamentazione degli interessieffettivamente perseguita dai contraenti, anche semediante una pluralità di pattuizioni non contestuali.Non rileva quindi ciò che le parti hanno scritto, macosa esse hanno effettivamente realizzato col com-plessivo regolamento negoziale adottato, anche indi-pendentemente dal contenuto delle dichiarazioni re-se.Ne discende che l’imposizione deve riferirsi al risulta-to di un comportamento sostanzialmente unitario, ri-spetto ai risultati parziali e strumentali di una molte-plicità di comportamenti formali.Tonando al caso di specie reputa il Collegio che ladecisione impugnata non si sia attenuta ai suddettiprincipi, avendo pur a fronte di una compiuta serie

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70 GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017

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di elementi documentali, attribuito rilevanza, ai finidell’esclusione della cessione di azienda, a circostanzeche, proprio alla luce di quanto sopra esposto, nonassumono rilevanza decisiva.Ed, invero, risulta in primo luogo la conclusione diun contratto nel complesso finalizzato all’acquistodelle presse, per le quali si specifica l’attività in vistadella quale sono destinate ad essere utilizzate, manife-standosi chiaramente l’intento della cessionaria di ot-tenere la disponibilità di tutte le presse ivi richiamatenegli allegati, sebbene solo per alcune ne fosse previ-sto l’acquisto diretto, essendosi contemplato il ricorsoad un contratto di leasing per il conseguimento delladisponibilità di quelle di cui all’allegato B) del con-tratto (e precisamente per quelle di valore decisa-mente superiore rispetto a quelle oggetto di acquistodiretto).Risulta quindi evidente l’intimo collegamento nego-ziale tra le diverse modalità di acquisizione della di-sponibilità dei macchinari, di tal ché non potrebbevalutarsi l’acquisto diretto delle presse separatamentedalle vicende del contratto di leasing. Ma ancor piùconfortante circa la correttezza della riqualificazionedella vicenda negoziale, così come operata dall’Uffi-cio, è la lettura del contratto di fornitura per effettodel quale la Ristori si impegnava a fornire alla MDMi prodotti individuati nell’Allegato A) del contratto,e cioè dei medesimi prodotti che a sua volta la MDMsi era impegnata a fornire alla Piaggio & C. S.p.A.per effetto del contratto del 28 maggio 1998.Nella premessa dell’atto in esame, infatti si specificaespressamente che la ragione dell’accordo risiedevanel fatto che la MDM aveva ceduto a R. “le presse,le attrezzature ed i macchinari necessari per la realiz-zazione della quasi totalità dei prodotti da consegnarea Piaggio”, aggiungendosi poco dopo che R., ancheper effetto della predetta cessione, disporrà in tempoutile delle risorse, del personale e delle conoscenzetecniche e tecnologiche necessarie e sufficienti perprovvedere al soddisfacimento delle esigenze di Piag-gio & C. S.p.A.La lettura combinata di tali previsioni con l’accordofinalizzato ad assicurare il trasferimento dei macchi-nari, depone in maniera evidente per la conclusioneche le presse e gli altri macchinari venduti appariva-no sostanzialmente idonei ad assicurare il trasferi-mento di un ramo di azienda munito di autonomapotenzialità produttiva, in maniera tale da consenti-re, una volta trasferiti i macchinari nel capannonefatto predisporre dalla cessionaria allo specifico finedi alloggiare tali manufatti, la prosecuzione dell’atti-vità produttiva già in precedenza svolta dalla MDM,

e senza una sostanziale soluzione di continuità (attesoche il trasporto ed il montaggio delle presse risale aduna data anteriore alla formale conclusione dei con-tratti di vendita).In tal senso non deve trascurarsi, come si evince dal-la lettura del contratto, che i diritti di proprietà indu-striale ed intellettuale sugli stampi forniti in comoda-to dalla cedente alla cessionaria, così come sugli stes-si prodotti, siano appartenenti alla Piaggio (art. 2.5del contratto di fornitura), di guisa che anche il rap-porto intercorso tra la cedente e la committentePiaggio appare riconducibile ad una ipotesi sostanzia-le di subfornitura, essendo la produzione della primadestinata esclusivamente alla seconda, e realizzataconformemente e rigorosamente attenendosi alle spe-cifiche tecniche dettate da quest’ultima.Trattasi di considerazione che incide anche sull’argo-mento speso dalle controricorrenti circa la mancatamenzione negli accordi intervenuti tra cedente e ces-sionaria, anche dell’avviamento, essendo evidenteche in una situazione connotata da tali modalità disvolgimento del rapporto, il valore dell’avviamentorisulta pressoché nullo.A completare il quadro degli elementi fattuali si ponepoi l’acquisizione ad opera della R. del magazzino ma-terie prime e semilavorati della MDM, la cui conse-gna in maniera frazionata avviene contestualmentealla cessione delle presse, nonché l’assunzione da par-te della cessionaria di ben 14 ex dipendenti dellaMDM. In presenza di tale complessivo quadro istrut-torio, l’accoglimento del ricorso delle contribuenti ri-sulta effettivamente idoneo a violare le suesposte pre-scrizioni normative, essendosi del tutto trascurata lanozione di azienda (ovvero di ramo d’azienda), qualeevincibile, con specifico riferimento alla materia tri-butaria, dai precedenti giurisprudenziali sopra riporta-ti, ed essendosi avvalsa la CTR, al fine di contrastarel’operato dell’Ufficio di elementi in parte non signifi-cativi o decisivi (come ad esempio la costruzione diun capannone nuovo per alloggiare le presse ed imacchinari, elemento questo che trascura il fatto chenon immutano la qualificazione giuridica in terminidi cessione di azienda l’eventuale ingerenza del ces-sionario ovvero le modifiche di carattere secondarioapportate all’organizzazione dei mezzi di impresa uni-tariamente considerati - cfr. in tal senso, ed anche aldi fuori della materia tributaria, Cass., n. 27286/2005- né che il ramo di azienda riceva una diversa localiz-zazione), ed in parte irrilevanti (come ad esempio lacircostanza che l’acquisto della maggior parte dellepresse sia avvenuta mediante la coeva conclusione diun contratto di leasing, costituendo il ricorso a tale

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GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017 71

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strumento giuridico, l’utilizzo di una valida modalitàdi finanziamento della cessione, onde procurarsi laprovvista per far fronte all’obbligo di pagamento delprezzo della cessione).Alla cassazione della sentenza consegue il rinvio perun nuovo esame alla CTR di Firenze in diversa com-posizione, la quale provvederà anche sulle spese delpresente giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo, ac-coglie i restanti motivi e cassa la sentenza impugnatacon rinvio ad altra Sezione della CTR di Firenze, cheprovvederà anche sulle spese del presente giudizio.

La riqualificazione degli assetti negozialinella prospettiva dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986

di Filippo Dami (*) e Diletta Mazzoni (**)

La Corte di cassazione, con sentenza n. 15175/2016, ribadisce che la cessione di beni strumen-tali che si rivelino idonei, nel loro complesso e nella loro interdipendenza, all’esercizio dell’impre-sa deve riqualificarsi ai fini impositivi come una cessione di azienda. Questa conclusione vieneraggiunta sullo sfondo di una ricostruzione sistematica che conferma come, ai fini dell’applica-zione dell’imposizione indiretta, debba attribuirsi rilievo preminente alla causa reale ed alla effet-tiva regolamentazione degli interessi realmente perseguita dai contraenti con il loro assetto ne-goziale, del quale quindi ed in ultima analisi vanno sempre apprezzati i reali effetti giuridici. Sene trae la conferma nel fatto che l’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 non ha nulla a che vedere nécon l’elusione, né con l’abuso del diritto. Resta semmai da domandarsi come possano superarsile difficoltà di apprezzamento di una fattispecie tanto complessa ed articolata come la cessioned’azienda. In questa prospettiva, mancando (ancora?) l’affermazione di un generalizzato princi-pio del contraddittorio preventivo, l’unica forma di efficiente compliance che il contribuente do-vrà attentamente valutare è quella sottesa alla presentazione del c.d. interpello qualificatorioprevisto dal “nuovo” art. 11 della Legge n. 212/2000.

Il caso affrontato nella sentenza in commentomuove dalla contestazione (ormai “classica”)di riqualificazione in cessione di ramo d’azien-da di una serie di separate pattuizioni negoziali,attraverso le quali una società aveva ceduto adun’altra alcuni macchinari ed il proprio magaz-zino, nel contesto di un più ampio accordofunzionale ad assicurarne l’utilizzo in chiaveimprenditoriale.Segnatamente, nel caso di specie, i cespiti og-getto di (autonoma e separata) alienazione era-no costituiti da “presse, macchinari ed attrezza-ture, per lo svolgimento di attività di stampag-gio lamiere, grassaggio, impacchettamento sfri-di ed assemblaggio di componenti stampati”che erano impiegati in un fabbricato industria-le già di proprietà dell’acquirente e, a tale ces-

sione, erano conseguiti una serie di ulterioriaccordi tra le parti che, di fatto, avevano per-messo all’acquirente medesima di proseguire lafornitura dei beni prodotti nei confronti di unprimario cliente della cedente, una parte deicui dipendenti risultavano reimpiegati qualeforza lavoro della nuova realtà industriale.All’esito del giudizio di merito, conclusosi inentrambi i gradi a favore della parte privata,l’Agenzia delle entrate aveva proposto ricorsoper Cassazione sostenendo, in particolare e perquanto qui interessa, la violazione delle normedi cui agli “artt. 2, comma 3, lett. b) e 19 delD.P.R. n. 633/1972, (. . .) 40 del D.P.R.131/1986 e (...) 2555 c.c.”, siccome i concretieffetti verificatisi nel caso di specie sarebberostati, per l’appunto quelli di una cessione di

(*) Professore Aggregato di Diritto Tributario presso l’Univer-sità degli Studi di Siena

(**) Avvocato in Empoli

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72 GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017

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azienda e non di singoli beni, con conseguenteintegrazione dei relativi presupposti ai fini im-positivi.La Corte ha, infine, accolto (cassando con rin-vio la sentenza impugnata) le doglianze del-l’Amministrazione finanziaria richiamando al-cuni principi (già) consolidatisi in una serie disue precedenti pronunce (puntualmente richia-mate in quella in commento) secondo i quali:a) “ai fini dell’applicazione dell’imposta di re-gistro (...) deve attribuirsi rilievo preminentealla causa reale ed alla effettiva regolamenta-zione degli interessi realmente perseguita daicontraenti”, talché “gli stessi concetti privati-stici sull’autonomia negoziale regrediscono asemplici elementi della fattispecie tributaria”,per cui “anche se non potrà prescindersi dal-l’interpretazione della volontà generale secon-do i canoni generali”, “nella individuazionedella materia imponibile dovrà darsi prominen-za assoluta alla causa reale sull’assetto cartolarecon conseguente tangibilità, sul piano fiscale,delle forme negoziali”. “Il tema dell’indaginenon consiste nell’accertare cosa le parti hannoscritto ma cosa le stesse hanno effettivamenterealizzato con il regolamento negoziale adotta-to”;b) deve, quindi, ritenersi configurata una ces-sione di azienda “tutte le volte in cui la relati-va convenzione negoziale abbia avuto ad og-getto il trasferimento di beni organizzati in uncontesto produttivo (anche solo potenziale)dall’imprenditore per l’attività di impresa” ditalché tale fattispecie ricorre “ove sussista unacessione di beni strumentali atti, nel loro com-plesso e nella loro interdipendenza all’eserciziodell’impresa” che, invero, e sempre per quantoi giudici indicano, potrebbe anche non essereattuale bastando a tal fine la sussistenza di unamera idoneità per tale utilizzo.

Riqualificazione degli assetti negoziali

La (condivisibile) conclusione ora sintetizzatapermette di tornare a riflettere sul tema, maisopito ed anzi oggetto di costanti spunti di rin-novato interesse, della possibile riqualificazio-ne degli assetti negoziali definiti dai contri-buenti ai fini della (corretta) sottoposizionedei medesimi all’imposizione indiretta che, in-vero, trova nell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986il proprio tradizionale referente normativo (1).La sentenza in commento sembra, peraltro,confermare l’impostazione che vuole ricondot-ta tale norma al proprio alveo naturale, di pre-visione che legittima l’Amministrazione finan-ziaria a tassare gli atti sottoposti a registrazioneprescindendo dal loro nomen, ed avendo piut-tosto riguardo agli effetti giuridici che l’assettonegoziale infine determina. Si tratta, con ognievidenza, di una lettura pertinente della volon-tà legislativa che esprime la necessità di valo-rizzare, ai fini del tributo in esame, l’assettoreale che con le loro pattuizioni le parti inten-devano configurare.Ma proprio considerando tale profilo emergel’elemento qualificante della pronuncia che neoccupa: se, infatti, il citato art. 20 ha la funzio-ne di indicare il “criterio” di tassazione, la“modalità” con la quale la (corretta) fattispecieimponibile viene individuata non può che es-sere quella imposta dal riferimento alle ordina-rie regole civilistiche in punto di interpretazio-ne dei contratti (i.e., l’art. 1362 c.c.) (2) cui,inevitabilmente, l’Ufficio dovrà quindi far ri-corso nella propria attività istruttoria e dellequali dovrà dar conto per motivare adeguata-mente gli atti impositivi che, infine, si deter-mini ad emettere.Prende, insomma (e opportunamente), semprepiù campo anche in giurisprudenza (3) la tesiper cui l’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 non hanulla a che vedere con l’elusione e con l’abuso

(1) Cfr., anche per ulteriori riferimenti alla dottrina che si èoccupata di questo tema, F. Dami, “Conferimento di azienda ecessione delle partecipazioni: siamo alla svolta?”, in questa Ri-vista, n. 10/2016, pag. 795.

(2) Si veda, per maggiore completezza sotto questo profilo,E. Della Valle, “Profili elusivi/abusivi della circolazione indirettadel complesso aziendale”, in il fisco, n. 35/2014, pag. 3409 ss.

(3) Cfr., Cass., n. 5877 o, più di recente, n. 1955/2015, che

recepiscono il consolidato orientamento dottrinale di impossi-bilità di riferire natura antiabusiva all’art. 20, D.P.R. n.131/1986. Si veda sul punto, ad es., G. Marongiu, “L’abusodel diritto nella legge del registro tra principi veri e principi as-seriti”, in Dir. prat. trib., n. 1/2013, pag. 361 ss., o G. Tabet,“L’art. 20 della legge di registro e la dottrina della metempsi-cosi”, in questa Rivista, n. 7/2016, pag. 588.

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GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017 73

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di diritto, così superandosi il (discutibile prece-dente) orientamento il quale, nell’attribuirvisiffatta funzione (4), valorizzava detta normacome referente giuridico di rettifiche che, perla fattispecie che qui interessa, qualificavano lecessioni aziendali indirette come operazioni,per l’appunto, abusive (5).Di qui, il correlato ridimensionamento dellaportata applicativa di tale norma che è da au-spicare sia ormai chiaro che può essere impie-gata esclusivamente nella valutazione dell’attosottoposto a registrazione in senso strettamente“cartolare” (6), senza esorbitare al di fuori diesso involgendo operazioni civilistiche e com-merciali ivi non rappresentate (7).

Cessione (isolata) di benio (unitaria) di azienda?

Sullo sfondo delle condivisibili conclusioni diordine sistematico cui si è ora fatto riferimen-to, resta da riflettere brevemente sui parametriper valutare quando una serie di isolate cessio-ni di beni possa riqualificarsi, nel senso indica-to, come una cessione di azienda o, ovviamen-te (e nello stesso senso), come ramo di essa.Rispetto a tale profilo la sentenza in commen-to non segna alcun profilo innovativo, limitan-dosi a richiamare principi che possiamo ritene-re del tutto pacifici. Come inizialmente indica-to, i giudici di legittimità nel caso di specie,tornano infatti a ricordare tutti quei precedentinei quali è stato chiarito che, a tal fine, debbaguardarsi al risultato finale che la complessivaconvenzione negoziale ha determinato, di fattoverificando se quei beni oggetto delle singole

cessioni abbiano o meno mantenuto, anchepresso il loro acquirente, quel rapporto di com-binazione organizzata idonea a supportare l’e-sercizio di una attività imprenditoriale che, in-vero, costituisce il cuore della definizione stes-sa di azienda secondo l’art. 2555 del Codice ci-vile.In tal senso, non sarà quindi sufficiente unamera valutazione astratta, ma la concreta veri-fica di questa circostanza la quale non potràprescindere dalle concrete condizioni fattualinelle quali l’assetto negoziale si è materializza-to.Affidandosi ad uno dei tanti possibili esempi, èchiaro che se un imprenditore acquista da unaltro alcuni macchinari al solo scopo di com-pletare o rinnovare il proprio apparato produt-tivo non sta acquistando un’azienda, ma altret-tanto chiaro è che, se al contrario tale acquisi-zione implica (come sembra si fosse verificatonel caso di specie) l’integrazione di una attivitàpur correlata a quella condotta ma prima nonesercitata (o esercitata in termini organizzatividiversi) quanto acquistato è certamente un’a-zienda.Si tratta, evidentemente, di questioni contro-verse (e controvertibili) che, invero, scontanol’incertezza tipica della qualificazione in chiavegiuridica di fenomeni complessi ed articolati laquale è spesso condizionata dalla sensibilità dichi proceda alla relativa osservazione. Ed inve-ro è questa una delle ipotesi che disvelano lastretta necessità di una adeguata fase contrad-dittoria nel momento in cui l’istruttoria del-l’Ufficio venga avviata. Il confronto con il

(4) Cfr., sul punto, Cass., n. 3481/2014 dove si legge che:“in materia tributaria costituisce condotta abusiva l’operazioneeconomica cha abbia quale suo elemento predominante edassorbente lo scopo elusivo del Fisco, sicché il divieto di siffat-te operazioni non opera ove esse possano spiegarsi altrimentiche con il mero conseguimento di risparmi di imposta (v.Cass., SS.UU., n. 19234/2012, n. 21782/2011). Peraltro il prin-cipio secondo cui, in forza del diritto comunitario, non sonoopponibili all’Amministrazione finanziaria quegli atti posti in es-sere dal contribuente che costituiscono abuso del diritto, cioèche si traducono in operazioni compiute essenzialmente per ilconseguimento di un vantaggio fiscale, deve estendersi a tuttii settori dell’ordinamento tributario, e dunque anche all’ambitodelle imposte indirette, essendo sufficiente anche la prova pre-suntiva, come nella specie. Pertanto, incombe sul contribuentela prova della esistenza di ragioni economiche alternative oconcorrenti con carattere non meramente marginale o teorico,

come nel caso in esame (cfr., anche Cass., SS.UU., n.8772/2008)”.

(5) Per maggiore completezza sull’aspetto in argomento, siveda M. Beghin, “La cessione di azienda tra qualificazione giu-ridica del fatto, interpretazione dell’atto e ridimensionamentodell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986”, in Corr. Trib., n. 40/2016,pag. 3037.

(6) Come si comprende, in via dirimente, dal passaggio del-la sentenza in rassegna ove si legge che: “nella individuazionedella materia imponibile dovrà darsi prominenza assoluta allacausa reale sull’assetto cartolare, con conseguente tangibilità,sul piano fiscale, delle forme negoziali”.

(7) L’impostazione appena descritta restituisce d’altra partecoerenza alla norma anche sotto il profilo sistematico essendola stessa collocata nel contesto di un tributo tradizionalmentequalificato tradizionalmente come “imposta d’atto”.

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74 GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017

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contribuente sembra, infatti, decisivo per lavalutazione di elementi che la successiva fasegiudiziale (come ci mostra anche il caso sottesoalla decisione in commento) non sembra ingrado di riuscire a far affiorare con il dovutoapprofondimento.Ma è proprio ragionando su questo profilo cheemerge un possibile limite dell’inquadramentosistematico della disciplina di riferimento sullaquale ci si è prima soffermati. Se, infatti, l’art.20 del D.P.R. n. 131/1986 non è una normaantielusiva, è chiaro che la stessa non scontale garanzie procedimentali (proprio in chiavedi preventivo confronto tra Fisco e parte priva-ta) che tipicamente riguardano queste ipotesi eche oggi sono nel nostro ordinamento ribaditenell’assetto definito dall’art. 10-bis della Leggen. 212/2000.Manca d’altra parte - almeno per il momento enell’attesa che si formi al riguardo un orienta-mento interpretativo consolidato e condiviso -l’affermazione nel nostro ordinamento di ungeneralizzato diritto (per il contribuente) e do-vere (per l’Amministrazione finanziaria) alcontraddittorio preventivo che preceda (in viageneralizzata) l’emissione dell’atto impositi-vo (8).

Applicazione dell’interpello qualificatorio

In questa prospettiva, l’utile forma di complian-ce al momento “disponibile” è allora (solo)quella che si rinviene nella nuova disciplinadegli interpelli attuata con il D.Lgs. 24 settem-bre 2015, n. 156 (9) e che, nella modifica reca-ta all’art. 11 della stessa Legge n. 212/2000, haprevisto che è consentito al contribuente solle-citare l’Amministrazione finanziaria a rendergli

un parere motivato su un caso concreto e per-sonale, non solo per elidere le obiettive condi-zioni di incertezza che connotino l’interpreta-zione di una norma tributaria che egli si troviad applicare (c.d. interpello ordinario interpre-tativo, che ricalca esattamente l’istituto con-templato nel pregresso art. 11 del medesimoStatuto dei diritti del contribuente), ma ancheper la qualificazione di una fattispecie la cui(corretta) individuazione sia necessaria per ap-plicare, non applicare o applicare in modo di-verso un determinato precetto impositivo. Sitratta, invero, del c.d. interpello ordinario qua-lificatorio che, secondo le indicazioni della re-lazione di accompagnamento al provvedimentodi riforma, ricorre, tra le altre ipotesi, proprioper valutare la sussistenza di un’azienda nelmomento in cui sia dubbio che se ne stia con-figurando il trasferimento.Ebbene, simile riferimento, se da un lato dimo-stra una sensibilità del legislatore nel compren-dere la delicatezza e l’incertezza che caratteriz-zano l’ipotesi di cui stiamo trattando, dall’altrodovrà necessariamente sollecitare l’attenzionedei contribuenti, non solo nella prospettiva diassicurarsi (attraverso questo “dialogo” preven-tivo) la certezza circa la correttezza dei propricomportamenti (quale tratto rilevante allorchési discuta, come in questo caso, di fenomeni diriorganizzazione imprenditoriale), ma ancheperché la mancata attivazione di tale (pur fa-coltativo) strumento potrà poi rivelarsi unosvantaggio nell’eventuale fase accertativa egiudiziale, potendo ingenerare anche un (nega-tivo) apprezzamento verso un contegno di scar-sa trasparenza nei rapporti con l’Amministra-zione finanziaria.

(8) Il riferimento è, ovviamente, al noto dibattito suscitato alriguardo dal succedersi delle pronunce delle Sezioni Unite del-la Corte di cassazione (prima con la sentenza n. 1869/2014,poi smentita con la successiva sentenza n. 24823/2015) e dellaremissione della questione riguardante la portata applicativadell’art. 12, comma 7, della Legge n. 212/2000 alla Corte costi-tuzionale operata dalla Comm. trib. reg. Toscana con l’ordinan-za n. 736/1/15. Si tratta di un tema che esula i limiti del pre-sente lavoro e sul quale non è quindi utile (né possibile) soffer-marsi se non per ribadire che quella in esame è una della fatti-specie che deporrebbe per il ritenere di stretta utilità, in chiavedi efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa prima an-cora che di garanzia del diritto di difesa del contribuente, l’af-fermazione di un generalizzato obbligo del contraddittorio pre-

ventivo. Al riguardo, tra i molti e limitatamente a taluni deicontributi più recenti, cfr. E. De Mita, “Sul contraddittorio leSezioni unite scelgono una soluzione ‘politica’”, in Dir. prat.trib., 2016, pag. 20241; A. Lovisolo, “Il contraddittorio preven-tivo tra speranze (deluse), rassegnazione e prospettive”, ivi,2016, pag. 719; F. Tundo, “La riaffermazione del contradditto-rio anteriore al provvedimento accertativo”, in Corr. Trib.,2016, pag. 1878, G. Glendi, “I giudici di merito (e non solo) si‘ribellano’ alle ‘ultime parole’ delle Sezioni Unite sul contraddit-torio”, ivi, 2016, pag. 1569.

(9) Sulla quale si vedano, da ultimo, i commenti di G. Glendiin C. Glendi - C. Consolo - A. Contrino, Abuso del diritto e novi-tà sul processo tributario, IPSOA, 2016, pag. 89 ss.

GiurisprudenzaLegittimità

GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017 75

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Fiscalità internazionale

I vizi formali non fanno perderela qualifica di beneficiario effettivoprevista dalla normativa europeaCommissione tributaria provinciale di Milano, Sez. I, Sent. 3 novembre 2016 (18 ottobre2016), n. 8303 - Pres. Roggero - Rel. Chiametti

Fiscalità internazionale - Direttive - Direttiva “interessi e canoni’’ - Diritti riconosciuti dalla normativa europea- Soddisfacimento dei requisiti sostanziali - Necessità - Requisiti formali - Irrilevanza

I diritti riconosciuti dalla normativa dell’Unione Europea (nel caso in specie, la Direttiva “interessi ecanoni”), qualora siano soddisfatti i relativi requisiti sostanziali che consentono di beneficiarne,non possono essere disconosciuti per il mancato rispetto di requisiti puramente formali, nonespressamente previsti dalla normativa europea.

Fatto e diritto

La società ricorrente A. S.r.l. impugnava l’avviso inepigrafe con ricorso depositato il 27 aprile 2016. Lacontroversia traeva origine dal PVC con il qualel’Ufficio delle entrate contestava alla società ricor-rente, l’omessa applicazione di ritenute (12,50%) suinteressi corrisposti nel 2010, al socio francese A.E.S.A., in violazione dell’art. 26-quater del D.P.R. n.600/1973. Dava evidenza che, anche per i periodid’imposta 2008 e 2009 nei quali erano state sollevatesimili contestazioni, in data 16 marzo 2015 era statadepositata al Ministero dell’Economia e della Finanzaa Roma, istanza per l’applicazione della proceduraamichevole (MAP) secondo l’art. 26 della Conven-zione contro le doppie imposizioni tra Italia e Fran-cia.La contestazione sollevata dall’Ufficio atteneva allainidoneità della documentazione prodotta dalla so-cietà, in ordine alta mancanza di una data certa checomprovasse la consegna della documentazione, dicui all’articolo in parola, prima del momento di pa-gamento degli interessi. La società ricorrente eccepi-va che la stessa godeva di tutti i requisiti previsti dalcitato art. 26-quater e che, tale circostanza, era statariconosciuta anche dai verificatori. Dunque la verifi-cata società riteneva che l’avviso in questione erastato spiccato solo per il difetto della data certa sulladocumentazione comprovante la sussistenza dei re-quisiti. All’uopo evidenziava come l’interpretazionedella norma in parola fornita dall’Ufficio era erro-

nea, infatti, tale norma non comminava la nullitàdella documentazione per il solo fatto che la stessanon veniva presentata, in ipotesi, oltre il termineprevisto. Affermava poi, che l’esenzione da ritenutaspetti in presenza dei requisiti di legge e che taleesenzione non poteva essere disconosciuta per il mo-tivo che la documentazione attestante i requisiti ve-niva non già omessa, ma solo tardivamente presen-tata. Sul punto citava la sentenza n. 9819/1/2015della stessa CTP adita che, in accoglimento delle ra-gioni del contribuente, statuiva che per la provadella qualifica del beneficiario effettivo, del soggettopercipiente, era sufficiente produrre la certificazionedi residenza nello Stato comunitario e che, eventua-li oneri aggiuntivi richiesti dall’A.F. non potevanoessere ritenuti obbligatori, inclusi la prova della datacerta. Citava dell’altra giurisprudenza di merito e dilegittimità oltre che documenti di prassi che affer-mavano che in presenza dei requisiti sostanziali, perla fruizione dell’agevolazione, delle mere carenzeformali, quali la data certa mancante non potevanomai portare alla disapplicazione di un regime di fa-vore come quello contemplato dall’art. 26-quater delD.P.R. n. 600/1973. Aggiungeva altresì, che una sif-fatta interpretazione dell’art. 26-quater del Decretopresidenziale da ultimo citato era in aperto conflittocon la giurisprudenza di matrice Europea laddove in-dicava che era vietato subordinare il diritto all’esen-zione d’imposta al mero rispetto di obblighi formali.Con riferimento al calcolo delle sanzioni evidenzia-

GiurisprudenzaMerito

76 GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017

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va come, a suo dire, l’Ufficio aveva violato l’art. 12del D.Lgs. n. 472/1997 sul c.d. cumulo giuridico,giacché, trattandosi di violazione di diverse disposi-zioni di legge la sanzione applicabile sarebbe dovutaessere la minore tra quella risultante dalla sommamateriale delle singole violazioni e quella risultantedal calcolo incrementale basato sulla sanzione piùgrave. Seguitava poi nell’esposizione di calcoli suoipropri e concludeva per la totale illegittimità dellasanzione pretesa. Come ultimo motivo di doglianzaevidenziava che, nel caso in cui la data certa assu-messe valore probante, che l’aliquota applicabile al-la ritenuta non era quella del 12,50% come pretesodall’Ufficio, bensì quella del 10%, quale ritenutaconvenzionale, così come stabilito all’interno delTrattato contro le doppie imposizioni tra Italia eFrancia, all’art. 11, comma 2. Chiedeva la declarato-ria di invalidità dell’avviso di accertamento impu-gnato. In data 18 luglio 2016, l’Ufficio si costituivain giudizio. Evidenziava sin da subito che, dalla sem-plice lettura della norma era perspicuo che la pre-sentazione della dichiarazione, attestante il possessodei requisiti di legge, da parte del beneficiario effet-tivo, doveva essere presentata entro la data di paga-mento degli interessi passivi. Seguitava nel ritenere,al contrario di quanto affermato da parte avversache, l’indicazione della data certa aveva natura so-stanziale in quanto impediva l’espletamento dell’at-tività di controllo da parte degli Uffici. Sul punto ri-teneva pienamente legittimo il proprio operato. Sul-la doglianza relativa all’applicazione dell’aliquotaconvenzionale del 10% in luogo di quella domesticadel 12,50%, l’Ufficio, partendo dalla lettura dell’art.11 della Convenzione contro le doppie imposizioniItalia Francia, concludeva affermando che, visto ilcomma 6 dell’articolo in questione e la piena opera-tività dello stesso per la società verificata - il cui ca-pitale era posseduto al 100% dalla francese - qualifi-cava l’italiana al pari di una stabile organizzazionesvolgente attività commerciale/industriale e, inquanto tale, non poteva non trovare applicazionel’art. 26 del D.P.R. n. 600/1973 il quale prevede l’a-liquota del 12,50% di ritenuta a titolo d’imposta.Sulle sanzioni l’Ufficio rilevava l’esistenza di un er-rore materiale nel calcolo, pertanto la sanzione cor-retta da irrogare era pari a euro 201.291,00, ovveroil 150% dell’importo delle ritenute non operate.Concludeva nel resto, specificando la corretta appli-cazione del cumulo materiale. Chiedeva il rigettodel ricorso.Presenti all’udienza le parti che hanno insistito nelleloro richieste ed eccezioni.

Il Collegio giudicante così decide.Sulla problematica dell’esenzione dalle imposte sugliinteressi e sui canoni corrisposti a soggetti residentiin Stati membri dell’Unità Europea, questo giudiceosserva quanto segue. Nel caso specifico la società siè comportata in modo lineare e in conformità ai re-quisiti sostanziali richiesti dalla norma con la conse-guenza che le contestazioni dell’Ufficio non sonocondivise da questo Collegio giudicante.Come già dettagliatamente indicato in parte narrati-va, la società ricorrente ha omesso l’effettuazione del-la ritenuta d’imposta prevista dall’art. 26-quater delD.P.R. n. 600/1973, sugli interessi passivi e canoniche ha corrisposto alla società A.E. SA, a fronte diprestiti ricevuti da quest’ultima.Nel caso de quo, l’Ufficio contestava la non applica-zione della ritenuta in quanto la documentazione esi-bita dalla società, a supporto dell’esenzione non risul-tava conforme, da un punto di vista formale, a quan-to disposto dal comma 6 dell’articolo sopra richiama-to.Tuttavia, con riferimento alla qualificazione del be-neficiario effettivo, la più recente giurisprudenza hasostenuto che “il beneficiario effettivo per essere qua-lificato tale è necessario che:- il reddito venga ad esso imputato secondo la leggefiscale dello stato in cui esso risiede;- il soggetto cui il reddito è imputato non deve averealcun obbligo, legale o contrattuale, di trasferire ilreddito ad altro soggetto, sulla base di una obbligazio-ne originariamente collegata al reddito ricevuto.Va però detto che mentre la prima circostanza puòfacilmente essere accertata mediante la ricezione delcertificato di residenza convenzionale rilasciato dal-le autorità fiscali dello stato di residenza del suppo-sto beneficiario effettivo, la seconda circostanza de-ve essere oggetto di separata verifica che non devecompetere al sostituto di imposta ... Deve ritenersipertanto corretto il comportamento della contri-buente che ha assunto la certificazione fiscale rila-sciata dal Paese estero che ha dichiarato la sussisten-za in capo al soggetto estero dei requisiti richiestiper beneficiare di regimi fiscali di favore . . .”(Comm. reg. Lombardia, Sez. staccata Brescia, 29giugno 2015, n. 2897).Quanto precede evidenzia come il requisito sostanzia-le della residenza ai fini fiscali del soggetto percipien-te, caratterizzato dalla soggezione del reddito percepi-to alla legge fiscale dello stato di residenza, assume ri-levanza apicale nella qualificazione del soggetto per-cipiente, quale beneficiario effettivo di tale reddito.

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A tal riguardo si ricorda che, secondo la ormai pacifi-ca posizione della giurisprudenza di merito, i certifi-cati emessi dalle autorità fiscali straniere hanno va-lenza probatoria vincolante (Comm. trib. reg. Abruz-zo, Sez. staccata Pescara, sez. X, 2 dicembre 2006, n.250; Comm. trib. reg. Abruzzo, Sez. staccata Pescara,sez. X, 27 settembre 2007, n. 305; Comm. trib. reg.Abruzzo, Sez. staccata Pescara, sez. IX, 30 giugno2009, n. 154).In effetti, le certificazioni possono contenere l’atte-stazione di alcuni fatti ed in parte alcune considera-zioni espresse dagli organi fiscali; ebbene quando nel-le predette certificazioni, viene confermata la presen-za dei requisiti per l’applicazione della Convenzione,“... l’Ufficio non può mettere in discussione l’autenti-cità dell’attestazione e se intendesse farlo, dovrebbein primo luogo chiedere chiarimenti al corrisponden-te organo (del Fisco straniero)” (Comm. trib. reg.Abruzzo, Sez. staccata Pescara, sez. IX, 22 dicembre2010, n. 228).In senso analogo si sono pronunciati i giudici dellaCommissione tributaria regionale del Piemonte. Se-condo tali giudici “... il soggetto italiano può limitarsiad assumere la certificazione fiscale rilasciata dal Pae-se estero quale valido elemento di prova della sussi-stenza in capo al soggetto estero dei requisiti richiestidalle medesime disposizioni convenzionali per benefi-ciare di regimi fiscali di favore” (Comm. trib. reg.Piemonte, Sez. XII, 4 maggio 2012, n. 28).L’orientamento delle corti di merito è stato avallatodalla Cassazione la quale, in un caso di presunta este-rovestizione di una società olandese, ha sottolineatocome il giudice di secondo grado aveva correttamen-te annullato l’avviso di accertamento basandosi sulcertificato emesso dalle autorità fiscali olandesi cheattestava la residenza in Olanda della società ed ilsuo assoggettamento alla locale imposta sulle società(Cass., Sez. trib., 3 febbraio 2012, n. 1553).Altresì, questo Consesso si riporta all’orientamentoconsolidato della Suprema Corte di Giustizia CE, se-condo cui i diritti riconosciuti dalla normativa del-l’Unione Europea, qualora siano soddisfatti i relativirequisiti sostanziali, non possono essere disconosciutiper il mancato rispetto dei requisiti puramente forma-li. Pertanto, quando sia stato assodato che siano statisoddisfatti i requisiti sostanziali, l’Amministrazione fi-nanziaria non può subordinare la fruizione di tali di-ritti al rispetto di ulteriori requisiti formali. Ebbene,il certificato in esame evidenzia a chiare lettere chela società, per l’anno in esame, vale a dire 2010, pos-sedeva tutti i requisiti sostanziali stabiliti dalla legge.Giustappunto, il requisito formale sollevato dall’Uffi-

cio, vale a dire l’assenza di una data certa, non puòprevaricare il requisito sostanziale per l’accesso al re-gime invocato. Quindi è la sostanza che prevale sullaforma. Tenuto conto di ciò, l’operato dell’Ufficio de-cade tout court.Alla luce di quanto sopra il ricorso viene accolto intoto ed annullato l’atto impugnato. Le spese di lite se-guono la soccombenza, come da dispositivo.Il Collegio giudicante

P.Q.M.

annulla l’atto impugnato. Condanna l’Ufficio allespese liquidate in euro 3.000,00 oltre esborsi e acces-sori di legge.

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78 GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017

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Il possesso dei requisiti sostanziali previsti dalla Direttiva“interessi e royalties” è condizione necessaria e sufficiente

per fruire dei relativi benefici fiscali?di Franco Roccatagliata (*)

L’esegesi della norma comunitaria (Direttiva 2003/49/CE) e l’analisi comparata del suo recepi-mento negli altri Stati membri confermano (pur con qualche eccezione) la stringata motivazionedei giudici della Commissione tributaria provinciale di Milano nella sentenza n. 8303/2016: laqualifica certificata di “beneficiario effettivo”, ai sensi della Direttiva, consente di fruire dell’age-volazione prevista dalla norma europea anche qualora sia acquisita ad avvenuto pagamento de-gli interessi o canoni.

Nella sentenza in commento, la Prima sezionedella Commissione tributaria provinciale diMilano, si è pronunciata, ancora una volta,sulle modalità applicative delle disposizioni didiritto interno e convenzionali che regolamen-tano le ritenute alla fonte sui flussi di capitaletransfrontalieri. La decisione dei giudici di pri-ma istanza ha, in sostanza, ribadito quanto giàaffermato in precedenza dalla stessa CTP diMilano (1), e cioè, che l’Amministrazione fi-nanziaria, qualora siano soddisfatti i requisitisostanziali di legge, non può subordinare lafruizione di diritti riconosciuti da una normati-va dell’Unione Europea - nel caso in questio-ne, la Direttiva “interessi e royalties” (2) - alpedissequo rispetto di requisiti puramente for-mali.

La fattispecie e questioni correlative

Il procedimento contenzioso in esame trovavaorigine nella contestazione di un avviso d’ac-certamento per l’anno 2010, in cui l’Ufficiodelle imposte aveva rilevato la violazione delledisposizioni del D.P.R. n. 600/1973, per l’o-messa applicazione della ritenuta alla fonte suinteressi passivi versati da una controllata ita-liana alla propria società-madre non-residente,a fronte di prestiti da questa ricevuti.Va rilevato che, nel caso in questione, la ma-dre non era la classica holding finanziaria situa-

ta in un Paese a fiscalità agevolata o utilizzatacome stepping-stone per indirizzare i flussi finan-ziari fuori dall’Unione Europea, ma la capo-fila(quotata in Borsa) del ramo chimico di un no-to gruppo petrolifero transalpino, proprietaria -direttamente o attraverso la controllata italia-na - di un importante stabilimento nel polopetrolchimico di Porto Marghera e di altri in-sediamenti industriali ubicati nel nostro Paese.Nel corso di una verifica fiscale, gli ispettoriavevano constatato che le attestazioni, richie-ste dal comma 6 dell’art. 26-quater del D.P.R.n. 600/1973, per poter fruire dell’esenzione dal-la ritenuta alla fonte sugli interessi corrispostia soggetti residenti nell’Unione Europea, eranostate regolarmente prodotte, ma evidenziavanouna data posteriore a quella dell’effettivo paga-mento degli interessi alla casa-madre estera.Per l’Amministrazione finanziaria “l’indicazio-ne della data certa aveva natura sostanziale inquanto impediva l’espletamento dell’attività dicontrollo da parte degli Uffici”. Di conseguen-za, attribuita una valenza essenziale a tale re-quisito formale, aveva ritenuto inapplicabilel’esenzione della ritenuta prevista dall’art. 26-quater - la norma con la quale l’ordinamentotributario italiano ha recepito la Direttiva “in-teressi e royalties”.Inoltre, dato che la società madre era anche ilsocio unico della società controllata (S.r.l.)

(*) Professore a contratto di Diritto tributario europeo al Colle-ge of Europe, Bruges (Belgio) e membro del Tax Institute del-l’Ulg - Università di Liegi (Belgio)

(1) Comm. trib. prov. di Milano, Sez. I, 2 dicembre 2015, n.9819, in questa Rivista, n. 4/2016, pag. 343 ss, con commento

di F. Roccatagliata.(2) Direttiva 2003/49/CE del Consiglio del 3 giugno 2003,

concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamentidi interessi e di canoni fra società consociate di Stati membridiversi; in G.U.U.E. n. L 157 del 26 giugno 2003, pag. 49 ss.

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italiana, per l’Amministrazione finanziaria, ilsuo trattamento fiscale non poteva differire daquello di una stabile organizzazione in Italiadella società madre. Di conseguenza - secondol’interpretazione data dal Fisco della Conven-zione italo-francese contro le doppie imposizio-ni (3) - a fronte del pagamento di interessitransfrontalieri, non sarebbe stato possibile ap-plicare neppure l’aliquota ridotta convenziona-le prevista dall’art. 11 della predetta Conven-zione bilaterale.Di ben altro parere la Commissione tributariaprovinciale di Milano che, ricalcando la moti-vazione già formulata nella citata decisione del5 dicembre 2015 (4), ha accolto il ricorso con-tro l’avviso d’accertamento, annullandolo. Peri giudici di prima istanza, l’elemento rilevanteper beneficiare dell’esenzione impositiva è laqualifica del soggetto percipiente quale “bene-ficiario effettivo’’. Ovverosia, il possesso del re-quisito sostanziale della residenza fiscale inuno Stato membro dell’Unione e la soggezionedel reddito percepito alla legislazione fiscale ditale Stato, in qualità di beneficiario finale. Unrequisito accertabile grazie alla certificazionerilasciata dall’Amministrazione fiscale estera.Tale certificazione - almeno per quel che ri-guarda l’attestazione della residenza fiscale aifini dell’applicazione delle convenzioni controle doppie imposizioni - ha “valenza probatoriavincolante’’: una affermazione che trova solidoconforto in una copiosa giurisprudenza di meri-to (5).

Come è stato correttamente osservato (6), sarà,eventualmente, cura dell’Amministrazione fi-nanziaria verificare, attraverso i canali esistentidi cooperazione amministrativa, l’autenticitàdell’attestazione. Ai sostituti d’imposta nonpuò essere domandato che di prestare l’ordina-ria attenzione richiesta nella prassi commercia-le, ma certamente non compete loro appurarela veridicità sostanziale di quanto attestato dalpercipiente. Per esempio, non è compito delsostituto d’imposta accertarsi che il soggettocui il reddito è imputato sia effettivamente il“beneficiario finale” (7), cioè, non abbia “alcunobbligo legale o contrattuale di trasferire il red-dito ad altro soggetto” (8).La decisione dei giudici di prima istanza è nel-la sostanza condivisibile ma, come già osserva-to in precedenti note (9), alcuni passaggi dellasentenza - e in particolare il diritto europeo in-vocato - proprio perché decisivi nel determina-re l’esito del procedimento contenzioso, avreb-bero meritato un migliore dettaglio.

Tematica europea e normativa italiana

Nel presente commento ci si limiterà ad appro-fondire uno soltanto degli aspetti legati alla te-matica europea, tra quelli evocati nel litigio:l’interpretazione delle disposizioni normativeitaliane di recepimento nel nostro ordinamen-to tributario della Direttiva “interessi e royal-ties” alla luce della normativa comunitaria edella sua esegesi (10).L’art. 26-quater del D.P.R. n. 600/1973, la nor-ma che ha recepito la citata normativa comu-

(3) Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed ilGoverno della Repubblica francese per evitare le doppie impo-sizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e perprevenire l’evasione e la frode fiscali, con protocollo e scambiodi lettere, fatta a Venezia il 5 ottobre 1989; ratificata con Legge7 gennaio 1992, n. 20, in G.U. 23 gennaio 1992, n. 18.

(4) V. nota 1.(5) Comm. trib. reg. Lombardia, Sez. LXV, 29 giugno 2015,

n. 2897; Comm. trib. reg. Piemonte, Sez. XII, 4 maggio 2012,n. 28, oltre a Comm. trib. reg. Abruzzo, Sez. IX, 30 giugno2009, n. 154, già citate nella sentenza in commento. Nel casoin questione, in realtà, non è messa in discussione la valenzaprobatoria delle attestazioni rilasciate dalle competenti Autori-tà fiscali estere, per cui il riferimento giurisprudenziale dome-stico, per quanto interessante, non sembra del tutto appropria-to ai fini della corretta risoluzione del litigio.

(6) E. A. Palmitessa, “Beneficiario effettivo: la certificazioneestera è congrua a qualificarne lo status anche ai fini del dirittointerno’’, in DB dirittobancario.it dell’8 febbraio 2016.

(7) Direttiva 2003/49/CE, art. 1, comma 4.(8) Comm. trib. reg. Lombardia, 29 giugno 2015, cit. In que-

sto senso anche la sentenza in commento, rifacendosi a pre-gressa giurisprudenza di merito.

(9) F. Roccatagliata, “Nelle transazioni finanziarie ‘cross-bor-der’ l’approccio sostanziale prevale e può operare in favore delcontribuente” in questa Rivista, n. 4/2016, pag. 349; nello stes-so senso, B. Izzo, “Sul momento di produzione della documen-tazione necessaria per l’esenzione prevista dalla Direttiva inte-ressi e royalties”, in Riv. dir. trib. - supplemento on line del 24luglio 2016.

(10) Se la giurisprudenza in commento si affermerà comeprevalente, non mancheranno in seguito le occasioni per un al-tro utile approfondimento di diritto europeo: l’esame approfon-dito di quello che, in sentenza (in fine), è definito un “orienta-mento consolidato della suprema Corte di Giustizia CE” che,per assicurare una piena fruizione dei diritti accordati dal dirit-to dell’Unione, attribuirebbe valore prevalente alla sostanza ri-spetto alla forma.

GiurisprudenzaMerito

80 GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017

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nitaria, al comma 6 recita: “Ai fini dell’appli-cazione dell’esenzione di cui al comma 1 [cioè,sugli interessi e canoni pagati a società non re-sidenti aventi i requisiti previsti dalla normati-va in esame] ... deve essere prodotta un’attesta-zione dalla quale risulti la residenza del benefi-ciario effettivo ... rilasciata dalle competentiAutorità fiscali dello Stato in cui la società be-neficiaria è residente ai fini fiscali ... nonchéuna dichiarazione dello stesso beneficiario ef-fettivo che attesti la sussistenza dei requisiti in-dicati nei commi 2 e 4 [cioè - in riferimento alcaso in esame e in estrema sintesi - la deten-zione per almeno un anno di una partecipazio-ne qualificata nella società che effettua il paga-mento; il suo status di beneficiario effettivo fi-nale e l’effettivo assoggettamento alle impostein uno Stato membro dell’UE]. La suddetta do-cumentazione va presentata ... entro la datadel pagamento degli interessi o dei canoni ...”.I giudici di prima istanza, nella sentenza incommento, sembrano aver dato un valore se-condario alla disposizione prevista dall’ultimocapoverso della norma sopra citata. È quindiopportuno verificare se la prevalenza dei requi-siti sostanziali sul tenore letterale della norma- per il vero, piuttosto chiaro (“la documenta-zione va presentata entro la data del pagamen-to”) - trovi giustificazione attraverso un’inter-pretazione teleologica o sistematica della stes-sa.Per procedere a tale analisi si comparerà la di-sposizione dell’ordinamento italiano con lanorma comunitaria che ne è all’origine e con ilavori preparatori di quest’ultima. Si cercherà,altresì, di vedere come la stessa norma del di-ritto dell’Unione Europea sia stata recepita ointerpretata nell’ordinamento di altri Statimembri.Com’è noto, in materia di fiscalità diretta, gliinterventi armonizzativi dell’UE hanno naturamarginale e trovano giustificazione esclusiva-mente nel caso in cui un ravvicinamento delledisposizioni legislative degli Stati membri sirenda necessario per assicurare il buon funzio-

namento del Mercato unico e il risultato nonsia altrimenti conseguibile (11). È altresì evi-dente che un recepimento (un’interpretazioneo un’applicazione pratica) divergente - in mo-do ingiustificato - della normativa europea neisingoli Stati membri rischia di vanificare taleprocesso di ravvicinamento e, in ultima analisi,potrebbe ostacolare il funzionamento dellostesso mercato interno, obiettivo fondamentaledell’Unione Europea.Che cosa prevede la normativa europea in me-rito ai requisiti e le attestazioni necessarie perpoter beneficiare dell’eliminazione della doppiaimposizione su interessi e canoni infragruppo?L’art. 1 della Direttiva 2003/49/CE, che deli-mita l’ambito d’applicazione e la proceduradello strumento armonizzativo comunitario, alcomma 11, precisa che uno Stato membro pos-sa esigere “che il soddisfacimento dei requisiti... sia comprovato da un certificato al momen-to del pagamento di interessi e canoni”. Sitratterebbe quindi di un requisito formale lacui obbligatorietà sarebbe lasciata all’apprezza-mento discrezionale dei singoli Stati membri almomento della trasposizione.La Direttiva prevede inoltre che qualora il sod-disfacimento dei requisiti stabiliti dalla normacomunitaria non sia comprovato al momentodel pagamento, lo Stato membro “ha facoltà diesigere una ritenuta alla fonte”. Il successivocomma 12 dell’art. 1 della Direttiva prevedeanche che l’esenzione dalla ritenuta alla fontepossa essere subordinata “all’emanazione diuna decisione” dell’Amministrazione finanzia-ria competente (che deve comunque essereadottata entro tre mesi dalla richiesta), basatasul predetto certificato e sulle “informazioni asostegno che lo Stato d’origine può ragionevol-mente richiedere” (12). Infine, il comma 13indica, in dettaglio, le informazioni che il cer-tificato può contenere, qualora richiesto dallo“Stato d’origine”, cioè dallo Stato membro dacui proviene il pagamento.Per comprendere la ratio della disposizione eu-ropea, l’inabituale flessibilità concessa agli Sta-

(11) Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea(T.F.U.E.), art. 115.

(12)Direttiva 2003/49/CE, cit., G.U.U.E n. L 157, pag. 50.

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GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017 81

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ti membri in sede di trasposizione e le sue fina-lità, sia dal punto di vista tecnico che - soprat-tutto - sul piano politico, occorre contestualiz-zarla, e fare un lungo passo indietro, fino aglianni ‘90 del secolo scorso.Una Direttiva che contribuisse all’eliminazionedella doppia imposizione sui flussi di redditi dacapitale tra società collegate - un processo giàiniziato nel 1990, con l’adozione della Diretti-va “madre-figlia” (13) - era, da tempo, unapressante richiesta di alcuni Paesi dell’UnioneEuropea, come i Paesi Bassi e il Lussemburgo,sedi abituali di holding e servizi di tesoreria in-fragruppo di multinazionali europee (14).Nel 1997, gli Stati membri dell’UE raggiunseroun compromesso su un “pacchetto” di propostefiscali controbilanciate che, da un lato, conte-neva misure di natura essenzialmente anti-elu-siva come la proposta di Direttiva sulla “tassa-zione del risparmio” (15) ed il “codice di con-dotta sulla tassazione delle imprese” (16), mache, dall’altro - come da richiesta del Consi-glio Ecofin nelle sue Conclusioni del 1° dicem-bre 1997 - includeva altresì una nuova propo-sta di Direttiva “interessi e royalties” (17), unacontropartita ritenuta indispensabile dagli Sta-ti membri meno interessati (per gli orienta-menti di politica fiscale assunti nel proprio or-dinamento) alla riduzione della c.d. concorren-za fiscale dannosa, per poter dare il loro “via li-

bera” alle proposte anti-elusive contenute nel“pacchetto fiscale”.Se però si esamina la proposta presentata dallaCommissione europea nel 1998, si può notarecome i commi da 11 a 13 dell’art. 1 della Di-rettiva (18) non fossero inclusi nel testo origi-nario della proposta. L’obiettivo iniziale dellaproposta della Commissione era quello di ri-durre al minimo gli oneri amministrativi per leimprese. Per tal ragione non era stato previstodi attestare il rientro nel campo d’applicazionedella Direttiva attraverso il rilascio di uno spe-cifico certificato (19).Quella parte della vigente Direttiva è apparsasolo più tardi, introdotta da un “testo di com-promesso” della Presidenza di turno, a seguitodi lunghe discussioni tenutesi in sede di Consi-glio dell’Unione Europea (20), e in sincroniacon le Conclusioni del Consiglio Ecofin del 25maggio 1999 (21) che fissavano tutta una seriedi questioni chiave inerenti alla proposta. Inquell’occasione il Consiglio statuiva che leprocedure amministrative nei singoli Statimembri per la riduzione/eliminazione delle ri-tenute alla fonte, vigenti al momento dell’ado-zione della normativa comunitaria, dovevanoessere comunque rispettate, legittimando in talmodo un’eventuale applicazione asimmetricadella Direttiva per quel che riguarda la proce-dura di certificazione dei requisiti sostanziali

(13) Direttiva del Consiglio 90/435/CEE del 23 luglio 1990,concernente il regime fiscale comune applicabile alle societàmadri e figlie di Stati membri diversi; in G.U.C.E. n. L 225 del20 agosto 1990, pag. 6.

(14)Una proposta analoga era già stata presentata alla finedel 1990 (e poi ritirata nel 1994); COM(90)571 del 6 dicembre1990, in G.U.C.E. n. C 53 del 28 febbraio 1991, pag. 26. Taleproposta - come d’altronde la successiva del 1998 - non con-teneva disposizioni sulle certificazioni comprovanti il possessodei requisiti richiesti per beneficiare dei vantaggi fiscali dellanormativa. Per un’ampia panoramica delle diverse posizioniassunte in quegli anni dagli Stati membri e dalla Commissioneeuropea sull’imposizione alla fonte degli interessi intragruppo,si rinvia, rispettivamente, a V. Ceriani, “Armonización del trata-miento fiscal de los ingresos provenientes de activos financierosen los países de la Comunidad Europea”, in Monetaria, n.1/1991, pag. 95 e A. Widow “To Withhold or Not to Withhold:Comments on Mr Boon’s Article”, in European Taxation, n.9/1994, pag. 293; si veda altresì C. Monfregola, “Regime fisca-le europeo interessi e canoni infragruppo”, in Informatore Piro-la, n. 5/1991, pag. 466; S. Mayr, “Nuove proposte di DirettiveCEE nel campo dell’imposizione diretta”, in Corr. Trib., n.41/1991, pag. 3051; B. Gangemi, “I progetti di armonizzazioneall’esame del Consiglio CEE”, in Riv. dir. trib., n. 7-8/1993, pag.829; e, infine, l’interessante analisi storica fatta da P. Troiano,

“The EU Interest and Royalty Directive: The Italian Perspective”,in Intertax, n. 6-7/2004, pag. 325.

(15) Proposta di Direttiva intesa a garantire un’imposizioneminima effettiva sui redditi da risparmio sotto forma di interes-si all’interno della Comunità; COM(1998)295 del 20 maggio1998.

(16) Risoluzione del Consiglio del 1° dicembre 1997, su uncodice di condotta in materia di tassazione delle imprese; inG.U.C.E. n. C 2 del 6 gennaio 1998, pag. 2.

(17) Proposta di Direttiva del Consiglio concernente il regi-me fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di di-r i t t i f ra soc ietà consoc iate d i Stat i membr i d ivers i ;COM(1998)67 del 4 marzo 1998, in G.U.U.E. n. C 123 del 22aprile 1998, pag. 9.

(18) Relativi - come si è visto sopra - all’attestazione del pos-sesso dei requisiti formali per poter beneficiare dell’esenzioneimpositiva.

(19) Consiglio dell’Unione Europea, “Nota della Presidenzaal Gruppo problemi finanziari”; doc. 11841/99 (FISC 215) del31 ottobre 1999.

(20) Nell’ambito delle riunioni in consiglio del Gruppo di la-voro ad alto livello sui problemi fiscali (fiscalità diretta).

(21) Consiglio dell’Unione Europea, “Progetto di Conclusionidel Consiglio Ecofin del 25 maggio 1999”; doc. 8085/1/99(FISC 111) del 21 maggio 1999.

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82 GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017

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per beneficiare dell’esenzione impositiva. Inol-tre, le Conclusioni sopra citate legavano politi-camente - in modo inscindibile - l’adozionedella proposta di Direttiva “interessi e royalties”alla simultanea accettazione da parte di tuttigli Stati membri dell’integralità del “pacchettofiscale” proposto dal Commissario alla fiscalitàpro tempore (Mario Monti).Com’è noto, per mere ragioni strategiche -forzare alcuni Stati membri a rinunciare al se-greto bancario, principale ostacolo all’adozio-ne di un altro importante elemento del “pac-chetto”, la Direttiva sulla tassazione del ri-sparmio - la proposta è rimasta a lungo “ostag-gio” del veto di alcuni Stati membri (tra cuil’Italia). Inoltre, la consapevolezza delle perdi-te di gettito erariale che, inevitabilmente, l’e-liminazione della doppia imposizione avrebbecomportato, spingeva molti Stati membri anon facilitare eccessivamente la fruizione deivantaggi fiscali della norma comunitaria, rad-doppiando le cautele finalizzate ad evitare gliabusi e lasciandosi ampi margini di applicazio-ne discrezionale qualora i pagamenti fosseroeffettuati a favore di beneficiari residenti inStati membri che non applicavano aliquoteimpositive comparabili a quelle vigenti nelloStato d’origine. In quest’ottica va interpretatasia l’inclusione della procedura di certificazio-ne nella proposta modificata in sede di Consi-glio (22), sia, ad esempio, le richieste (accoltenell’art. 6 della Direttiva) di norme transito-rie, avanzate da Grecia, Spagna e Portogalloper ragioni di gettito.

Prassi e giurisprudenza di Belgio e Italiaa confronto

Va poi notato che l’interpretazione (letterale)della norma seguita dalla nostra Amministra-zione finanziaria nella sua applicazione non èaffatto sorprendente; soprattutto se si tieneconto che è stata proprio l’Italia l’ultima dele-gazione a esprimere il proprio accordo sull’ap-plicazione soltanto opzionale del comma 11,relativo all’esigenza, da parte dello Stato mem-bro d’origine, di un certificato comprovante ilsoddisfacimento dei requisiti richiesti dalla Di-rettiva (23).Passando, infine, a un rapido confronto con lanormativa che ha trasposto la Direttiva nell’or-dinamento tributario degli altri Stati mem-bri (24), questi sembrerebbe suggerire, ancheper l’Italia, un’interpretazione più elastica delladisposizione, privilegiando gli aspetti sostanzia-li su quelli formali, al fine di evitare un’inutileframmentazione del mercato interno.Occorre tuttavia segnalare un’importante ecce-zione.In Belgio la normativa è, per molti versi, simi-le a quella italiana (25), anzi, per quel che ri-guarda il momento in cui occorra ricevere ladocumentazione attestante il possesso dei re-quisiti sostanziali, il testo legislativo belga sem-bra offrire margini interpretativi più ampi diquello italiano (“la renonciation à la perceptiondu précompte mobilier ... est subordonnée à lacondition que le débiteur des revenus soit mis enpossession d’une attestation par laquelle il est certi-fié ... que ...’’). Sulla base di un’interpretazioneassai elastica della norma, la prassi amministra-

(22) Non tutti i documenti di lavoro del Consiglio sono inte-gralmente pubblici. Tra quelli resi disponibili si segnalano: laproposta di compromesso della Presidenza tedesca, doc.7302/99 (FISC 86) del 14 aprile 1999; le osservazioni e riservesu vari aspetti della procedura di certificazione avanzate daSpagna, Austria e Commissione europea; doc. 9383/99 (FISC145) del 18 giugno 1999; e Italia, doc. 10801/99 (FISC 186) del14 settembre 1999.

(23) Consiglio dell’Unione Europea, “Risultati dei lavori delGruppo problemi finanziari”; doc. 12561/99 (FISC 239) dell’8novembre 1999 e “Nota della Presidenza sullo stato dei lavo-ri”, doc. 12876/99 (FISC 251) del 23 novembre 1999.

(24) Soprattutto se si tiene conto del fatto che in alcuni Statimembri non sono previste specifiche esigenze certificative e inaltri Stati membri l’esenzione è subordinata a una decisioneamministrativa. Si veda, ad esempio, per l’Irlanda, Statutory In-struments, n. 721/2003 - European Communities (Abolition of

Withholding Tax on Certain Interest & Royalties) Regulations2003, che ha introdotto il Chapter 6 nella Part VIII (Annual Pay-ments, Charges and Interest) del Taxes Consolidation Act 1997(No. 39 of 1997); per il Regno Unito, 2004 No. 2622 IncomeTax - The Exemption From Tax For Certain Interest PaymentsRegulations 2004, in particolare, punto 3 (Request for and issueof an exemption notice) e punto 4 (Information to be provided inthe certificate).

(25)Arrêté royal del 23 dicembre 2003, modifiant l’AR/CIR92 en vue de renoncer à la perception du précompte mobiliersur les intérêts et les redevances alloués ou mis en paiement àdes sociétés associées, Moniteur belge, 31 dicembre 2003. Sulrecepimento della Direttiva in Belgio, v. B. Springael, “Imple-mentation of the Interest and Royalties Directive”, in Derivativesand Financial Instruments, n. 6/2004, pag. 279, in particolarepunto 3.8. (Administrative requirements), pag. 287.

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tiva è sempre stata abbastanza generosa e, ap-purata la presenza dei requisiti sostanziali, nonsi è soffermata sugli aspetti formali legati alladata della certificazione. Almeno fino a pocotempo fa. Infatti, in una recente decisioneemessa dall’Hof van beroep (Corte d’Appello)di Gand (26), tale prassi è stata rigettata.Il giudice d’appello fiammingo ha stabilito che,anche in presenza di un certificato che conten-ga gli elementi richiesti dalla legge, se tale at-testazione è datata posteriormente al momentoin cui la ritenuta alla fonte sugli interessiavrebbe dovuto essere effettuata, i vantaggi fi-scali della Direttiva “interessi e royalties’’ sonoinapplicabili. Come si è detto, la legislazionebelga non è precisa quanto quella italiana sul

momento in cui l’impresa che effettua il paga-mento debba essere in possesso della certifica-zione. Il giudice, tuttavia, basandosi sul tenoreletterale del comma 11 dell’art. 1 della Diretti-va, ne deduce che, se il certificato (pur se op-zionale) è comunque una condizione essenzialeper beneficiare dell’esenzione (o del rimborsodella ritenuta eventualmente effettuata), auto-maticamente, deve esistere già al momento delpagamento degli interessi (27).Occorre sperare che i giudici italiani non tro-vino una fonte d’ispirazione in quest’ultima de-cisione belga, che, imponendo al contribuenteun’incombenza che non è esplicitamente con-tenuta nella legislazione interna, pare vada de-cisamente oltre ogni accettabile formalismo!

(26) Hof van beroep te Gent, decisione No.2014/41(2010/AR/2449) del 18 marzo 2014; per leggere l’intera senten-za (ma, purtroppo … in lingua originale olandese) v. C. Cou-dron, “Hof van beroep te Gent beslist dat geen terugbetalingvan roerende voorheffing op grond van de vrijstelling op grondvan de interest- en royaltyrichtlijn mogelijk is …’’, in Tijdschrift

voor Fiscaal Recht, n. 10/2014, pag. 789.(27) F. Mortier, “Interest and Royalties Directive (2003/49):

Court of Appeal Denies Withholding Tax Refund on Interest Dueto Lack of Attestation at Time of Payment”, in European Taxa-tion, n. 9/2014, pag. 404.

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84 GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017

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Redditi di lavoro autonomo

Deducibile (in parte)il vestiario utilizzatoper trasmissioni televisiveCommissione tributaria provinciale di Milano, Sez. XL, Sent. 22 luglio 2016 (18 luglio 2016), n.6443 - Pres. e Rel. Fugacci

Redditi di lavoro autonomo - Determinazione - Giudizio di inerenza - Svolgimento ex ante - Necessità - Atti-vità artistica - Costi sostenuti per acquisto di abiti e mobilio - Utilizzo promiscuo per esercizio della professio-ne e uso personale - Deducibilità al 50% - Legittimità

Il giudizio di inerenza non è influenzato dalla natura dei beni o dei servizi acquistati, ma dal rappor-to tra i suddetti acquisti e l’attività economica, in relazione allo scopo perseguito nel momento incui la spesa è stata sostenuta e con riguardo all’attività economica in concreto esercitata. Il giudi-zio di inerenza non va pertanto svolto ex post, con riferimento ai risultati (in concreto) ottenuti intermini di produzione del reddito, bensì ex ante. Sono per conseguenza inerenti, e, perciò stesso,deducibili nella misura forfetaria del 50%, i costi che il libero professionista abbia sostenuto inadempimento di puntuali obblighi contrattuali per l’acquisto di beni o servizi i quali, per le loro ca-ratteristiche (nella specie, abiti, vestiti, scarpe, accessori e così via), siano utilizzabili anche a titolopersonale, vale a dire al di fuori dell’attività economica.

Svolgimento del processo

Avverso l’avviso di accertamento n. (...) per l’anno2010 emesso dall’Agenzia delle entrate DirezioneProvinciale 1 di Milano, la sig.ra B.M.R., rappresen-tata e difesa disgiuntamente dai dott.ri S. R., G. M.C. e G. F., ha presentato tempestivo ricorso chieden-do l’annullamento parziale dell’atto impugnato conl’annullamento totale dei rilievi n. 3, n. 5 nonchédel rilievo relativo all’IRAP, con vittoria di spese eonorari di lite.La ricorrente insiste per l’annullamento del rilievo n.3 relativo alla totale indeducibilità dei costi per il ve-stiario e gli accessori utilizzati dall’artista per la suaattività professionale, ritenendo gli stessi inerenti al-l’attività dell’artista e considerandoli deducibili nellamisura forfettaria del 50% quali beni ad uso promi-scuo. Chiede, inoltre, l’annullamento totale del rilie-vo n. 5, relativo a spese varie per l’acquisto di mobilidestinati all’arredo della casa utilizzata promiscua-mente per l’attività professionale e la vita privata,confermando la loro deducibilità nella misura forfet-taria del 50%. Infine, insiste per l’annullamento tota-le del rilievo relativo all’IRAP, sostenendo l’inesi-stenza dei presupposti oggettivi previsti per l’applica-

zione dell’IRAP dichiarando illegittima la pretesadell’Agenzia, alla luce sia della carenza di motivazio-ne addotte sia dall’inesistenza di una struttura orga-nizzativa autonoma capace di generare un surplus direddito aggiunto a quello prodotto dal mero lavorodella ricorrente.L’Ufficio preliminarmente rileva che la ricorrente,nel proprio ricorso, si limita a contestare i rilevi: n.3, n. 5, nonché il rilievo relativo all’IRAP, pertanto,per i rilievi n. 1- sottoconto consulenza; rilievo n. 2 -sottoconto costi per corsi; rilievo n. 4, sottocontoparrucchiere e rilievo sottoconto noleggi la ricorrentenon solleva alcuna contestazione, prestando quindiacquiescenza. In relazione ai tre rilievi oggetto dicontestazione, l’Agenzia, ritenendo di aver legittima-mente operato chiede la conferma dei rilievi mossi.

Motivazione

La Commissione in via preliminare rileva che la ri-corrente, nel proprio ricorso, si limita a contestare irilevi: n. 3, n. 5, nonché il rilievo relativo all’IRAP,pertanto, per i rilievi n. 1- sottoconto consulenza; ri-lievo n. 2 - sottoconto costi per corsi; rilievo n. 4,sottoconto parrucchiere e rilievo sottoconto noleggi

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GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017 85

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la ricorrente non solleva alcuna contestazione, pre-stando quindi acquiescenza.Valutate le argomentazioni addotte dalle parti in or-dine ai tre rilievi contestati, la Commissione ritieneil ricorso parzialmente fondato ed in quanto tale me-ritevole di parziale accoglimento.A parere del Collegio il concetto di deducibilità diun costo per inerenza riguarda non tanto la naturadel bene o del servizio ma il suo rapporto con l’attivi-tà professionale, in relazione allo scopo perseguito almomento in cui la spesa è stata sostenuta e con riferi-mento a tutte le attività tipiche della professionestessa e non semplicemente, ex post in relazione ai ri-sultati ottenuti in termini di produzione del reddito.Non v’è dubbio che vestiario e accessori, in alcunicasi specifici, devono essere considerati inerenti al-l’attività svolta e, pertanto, il loro costo integralmen-te deducibile (è il caso della toga per l’avvocato o, ingenerale, della divisa da indossare durante l’orario dilavoro tanto da parte dell’imprenditore quanto dai di-pendenti). In altri casi, in cui il vestiario e gli acces-sori utilizzati per la propria attività potrebbero avereanche impieghi privati (frac per il direttore d’orche-stra), si ritiene opportuno limitarne la deducibilitàapplicando percentuali forfettarie, così come previstodal comma 3 dell’art. 54 del T.U.I.R. per l’utilizzo dibeni in uso promiscuo, al fine di semplificare il calco-lo del reddito applicando una percentuale ragionevo-le e usualmente impiegata dalla normativa fiscale intutti quei casi in cui vi è la possibilità che un deter-minato bene acquistato per l’attività economica svol-ta possa avere utilità anche nella sfera privata.Gli abiti utilizzati durante le trasmissioni televisive ele interviste sono per la maggior parte dei casi acqui-stati direttamente dalla ricorrente, come risulta sianelle dichiarazioni raccolte dalla Polizia Tributaria insede di verifica (all. 6) sia dai contratti d’ingaggiodell’artista (all. 7). Infatti, come si evince dai con-tratti allegati, per le trasmissioni televisive è espressa-mente previsto che l’artista deve usare adeguato ve-stiario moderno di sua proprietà (abiti, vestiti, scarpe,accessori in genere, trucchi, ecc.). Le società televisi-ve si limitano a fornire solamente particolari abiti ocostumi da scena legati a determinate coreografie,sketch che vengono realizzati dalle sartorie delle tra-smissioni stesse. Pertanto l’inerenza e la deducibilitàforfettaria del 50% di detti costi all’attività professio-nale è oggettivamente dimostrata dai contratti televi-sivi prodotti in atti.Anche il rilievo n. 5 deve essere annullato. In effettil’abitazione della ricorrente nell’annualità di cui si di-scute veniva utilizzata ad uso promiscuo sia per l’atti-

vità professionale che per la vita privata. Di conse-guenza è ragionevole che l’acquisto di mobilio per ar-redare in modo appropriato le stanze dalla stessa uti-lizzate per rilasciare interviste, scattare foto, realizzarevideoclip, ecc. sia deducibile nella misura forfettariadel 50%. Chiaramente, il costo dei mobili e degli ar-redi deve rientrare in una certa proporzionalità tracosti affrontati per l’acquisto e i ricavi conseguiti,presupposto che nel caso di specie si ritiene rispettato(10.322,98 costi a fronte di 1.267.149,00 ricavi con-seguiti).Infine la Commissione ritiene soggetta ad IRAP l’at-tività svolta dalla ricorrente.Come è noto la Corte di Giustizia Europea con sen-tenza depositata il 03/10/2006 ha statuito che l’IRAP(che è imposta diversa dall’IVA) non è vietata dal-l’art. 33 della VI Direttiva del Consiglio 77/388 CEE.La Suprema Corte con le sentenze dal n. 3672 al n.3682, tutte depositate il 13/02/2007, ha motivata-mente e persuasivamente statuito:a) che l’IRAP è applicabile, in via astratta, alla cate-goria dei professionisti e dei lavoratori autonomi, inquanto colpisce un fatto economico diverso dal red-dito, (fatto) costituito dal valore aggiunto prodottodalle attività autonomamente organizzate;b) che l’assoggettabilità all’IRAP degli esercenti artie professioni deve essere esclusa nel caso concreto incui la loro attività professionale sia svolta in assenzadi elementi di autonoma organizzazione di capitali olavoro altrui;c) che l’IRAP può escludersi quando il risultato eco-nomico trovi ragioni esclusivamente nella autoorga-nizzazione del professionista o comunque quando l’or-ganizzazione da lui predisposta abbia incidenza margi-nale e non richieda la necessità di coordinamenti (si-tuazione che si riscontra, in genere, nella disponibili-tà di pochi arredi di ufficio o strumenti di lavoro,quali, ad esempio, fotocopiatrice, fax, cellulare, mate-riale di cancelleria, autovettura, eccetera) ovveroquando i mezzi personali e materiali di cui sia avvalsoil contribuente costituiscano un mero ausilio alla suaattività, simile a quello di cui abitualmente dispongo-no anche soggetti esclusi dall’applicazione dell’impo-sta (collaboratori continuativi e lavoratori dipenden-ti):- che costituisce onere del contribuente che chiede ilrimborso dell’imposta asseritamene non dovuta perdifetto del presupposto dell’autonoma organizzazione,proponendo ricorso contro il diniego espresso o tacitodi rimborso, fornire la prova dell’assenza delle condi-zioni che integrano l’autonoma organizzazione, comesopra indicato;

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86 GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017

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- che la mancata prova dell’assenza di tali condizioni,comporta la soccombenza in giudizio del contribuen-te.Esaminando il ricorso in oggetto alla luce di questiprincipi che la Commissione condivide, sul punto ilricorso va respinto non avendo il contribuente forni-to la prova come sopra indicata.In effetti la sig.ra R. ha dedotto costi per consulenzae supporto organizzativo per un importo pari a euro184.934,00 indicando tale importo nel quadro RE alrigo 12 della dichiarazione dei redditi Modello unicoPF 2011 quale compenso corrisposto a terzi per pre-stazioni direttamente afferenti l’attività professionaleed artistica. L’elevato valore delle consulenze soprat-tutto quelle riferite a società di management e produ-zione televisiva pari ad euro 63.813,60, Agenzia dimoda e spettacolo pari ad euro 62.500,00 e prestazio-ni professionali pari a euro 28.125,00 viene ritenutol’indicatore di una struttura che consente al direttointeressato un surplus di reddito. Inoltre, tra i com-pensi a terzi, la ricorrente nell’anno di cui si discute

ha corrisposto con frequenza mensile euro 2.500,00oltre accessori fiscali alla sig.ra B.P.B. sulla base di uncontratto stipulato nel 2009, con cui l’artista conferi-va alla predetta sig.ra l’incarico di intrattenere rap-porti con i clienti e fornitori di beni e servizi in pro-prio nome e conto. La Commissione ritiene, pertan-to, che la sig.ra R. per i consistenti compensi erogatiper servizi di supporto organizzativo, nonché per lecollaborazioni prestate dalla sig.ra B.P.B., sia soggettaad IRAP. Detti fattori evidenziano di fatto la presen-za di una struttura organizzativa che consente all’arti-sta un surplus di reddito e la sottopone all’imposizio-ne IRAP.La soccombenza parziale giustifica la compensazionedelle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Commissione in parziale accoglimento del ricorsoannulla i rilevi n. 3 e n. 5. Conferma nel resto. Spesecompensate.

Il giudizio di inerenza tra valutazioni ex ante,valutazioni ex post e obblighi contrattuali

di Mauro Beghin (*)

Partendo dalla sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano n. 6443/2016 si indugiasul giudizio di inerenza e, segnatamente, sulla sua declinazione cronologica e sostanziale. Si spie-gano le ragioni per le quali tale giudizio presenta una connotazione di stampo cartolare e le ragioniper le quali deve essere eseguito ex ante, entro i termini previsti per la presentazione della dichiara-zione tributaria. A questa regola sottostanno anche i funzionari dell’Amministrazione finanziaria, iquali dovrebbero operare con il criterio dello storico, non con il criterio del “qui e ora”.

Esborsi, costi e consumi

La sentenza in esame rappresenta un ottimopunto di partenza per ragionare sulla distinzio-ne tra “costi” e “spese” in vista della determi-nazione di quella entità monetaria che gli stu-diosi chiamano “reddito” e sulla quale, da seco-li, si applicano le imposte.Sul piano economico, ci è stato insegnato cheil reddito è l’incremento del patrimonio pro-dottosi attraverso l’esercizio di un’attività. È

centrale l’idea della “fonte”. Il concetto di red-dito presuppone, infatti, che dallo svolgimentodi un’attività (la fonte, per l’appunto) scaturi-scano ricchezze sotto forma di proventi e chetali ricchezze siano superiori a quelle che sonostate impiegate per l’acquisto e per la remune-razione dei fattori produttivi. Da qui l’idea delreddito quale entità differenziale, misurata dal-la contrapposizione tra i proventi e le spese(costi) riferibili a un determinato periodo ditempo.

(*) Professore ordinario di Diritto tributario nell’Università diPadova

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Su queste prime indicazioni si basa l’afferma-zione secondo cui le imposte sul reddito sonodi regola periodiche (1). Ed è per lo stesso mo-tivo che esistono, nella disciplina di tali impo-ste, regole sull’imputazione a periodo dei pro-venti e dei costi.Poiché di solito il reddito s’incorpora in un’en-tità monetaria, nel senso che il contribuentedispone di una certa quantità di denaro, taleentità può essere liberamente impiegata perl’acquisto di beni o servizi che nulla hanno ache vedere con lo svolgimento dell’attivitàeconomica e che si riferiscono, per contro, allasfera personale del contribuente (2).I beni ed i servizi dei quali stiamo parlandopossono manifestare una differente consistenza,pur rimanendo estranei all’attività volta allaproduzione della ricchezza.In alcuni casi si tratta di spese che declinanoin “consumi”, vale a dire in acquisti di beni oservizi nient’affatto durevoli, atti al soddisfaci-mento di bisogni ben delimitati dal punto divista della loro funzione e, soprattutto, dalpunto di vista cronologico. Ciò accade, adesempio, quando si acquistano generi alimen-tari, vestiti, scarpe, accessori, biglietti del cine-ma o del teatro e così via.In altri casi, si tratta di beni che si definisconodurevoli, perché suscettibili di essere utilizzatiin un arco temporale particolarmente ampio,come potrebbe accadere per l ’acquisto diun’auto, di un impianto stereo oppure di unquadro.

Questa distinzione, tracciata in modo approssi-mativo, s’accompagna a specifiche ricadute dalpunto di vista terminologico. Infatti, nessunodice “Ho investito nell’acquisto di un chilo dicarote” oppure “in una seduta dal pedicure”,mentre molti sono disponibili ad affermare diaver “investito nell’acquisto di una nuova casadi abitazione”.La distinzione tra spese per consumi e speseper investimenti non è sempre agevole, perchéal momento della qualificazione di tali fattieconomici possono entrare in gioco ulteriorielementi, quali, ad esempio, l’importo dell’e-sborso. Nel procedere in questa direzione, sipotrà dire, ad esempio, che l’acquisto di unapenna a sfera dal costo di un euro rappresentaun “consumo”, mentre l’acquisto di una pennadi lusso dal costo di mille euro assomiglia più aun “investimento”.Si tratta di distinzioni che possono acquisire ri-levanza nei procedimenti di ricostruzione sin-tetica del reddito complessivo del contribuen-te. Invero, nell’ambito di questi ultimi procedi-menti opera la presunzione basata sulla leggecausale secondo cui, di periodo in periodo, laspesa è finanziata dal reddito. È pertanto indi-spensabile, al fine di osteggiare gli effetti di ta-le presunzione, ragionare sulla consistenza diquella spesa, perché la ricostruzione di un red-dito a partire dai “consumi” è cosa ben diversadivergente rispetto alla ricostruzione del reddi-to incentrata sugli “investimenti” (3).

(1) Di regola, abbiamo detto, perché nel nostro ordinamentoproliferano, come funghi nel sottobosco, le fattispecie di tassa-zione mediante applicazione di imposte sostitutive o di ritenutealla fonte a titolo definitivo. In questi casi, a bene vedere, l’im-posta, pur denominata “sul reddito”, finisce per tassare unprovento lordo, senza prendere in considerazione i costi di pro-duzione. Il ragionamento ci porterebbe lontano. Ma non è que-sta la sede adatta.

(2) In uno schema di ragionamento puramente teorico, le fa-si della “produzione” e dell’“impiego” di reddito si alternano,nel senso che il contribuente dapprima crea la ricchezza e, di-poi, la consuma. Nella realtà, queste fasi si sovrappongono esi confondono, perché la ricchezza può essere spesa a mano amano che essa è generata. Parimenti, in una determinata an-nualità si possono consumare le ricchezze prodotte in quellaprecedente, mentre si procede, di pari passo, alla generazionedi altra ricchezza che sarà spesa in futuro. Insomma, le sferedella produzione della ricchezza e dell’impiego della ricchezzanon sono impermeabili, cosicché la ricchezza consumata è co-

stantemente sostituita, secondo un modello circolare, dalla ric-chezza prodotta. Inutile soffermarsi su profili economici chedovrebbero, noi crediamo, essere perfettamente noti al lettore.

(3) Nonostante nel 2010 sia stata cancellata, nel corpo del-l’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, la disposizione stando allaquale, in caso di incrementi patrimoniali, la spesa doveva con-siderarsi finanziata con redditi in parti uguali e in cinque perio-di d’imposta, v’è la concreta possibilità che tale regola possariemergere in sede giurisprudenziale.

Chi ha voluto questa abrogazione probabilmente non ricor-da che, nella prima formulazione dell’art. 38 cit., la presunzio-ne non c’era e che essa è stata inserita in un secondo momen-to, allo scopo di recuperare sul piano normativo un dato eco-nomico che ci pare insormontabile. Si tratta di quel dato in ba-se al quale, a fronte di investimenti per importi significativi, sipuò pensare che la spesa sia stata finanziata con il nascondi-mento di redditi in più annualità.

L’equazione “spesa = reddito”, pertanto, può reputarsi, afronte di spese di una certa consistenza, irragionevole.

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Su di un aspetto, peraltro, credo ci si possa tro-vare tutti d’accordo.I “costi” sono sopportati per la produzione delreddito, mentre le spese rappresentano impie-ghi di redditi già prodotti. In entrambi i casi,siamo di fronte a un contribuente che sborsadenaro o che diventa debitore nei confronti diqualcuno. L’esborso o il debito rappresentanoun dato comune. Tuttavia non basta dimostra-re l’avvenuto pagamento di beni o di serviziper affermare l’esistenza di un costo. È necessa-rio indugiare sulla funzione di quell’esborso,nel senso che è stato qui sopra descritto.Si tratta di affermazioni chiare sul piano teori-co, ma foriere di dubbi quando ci si trova difronte ad alcuni casi concreti, nei quali l’esbor-so sostenuto dal contribuente è capace di sod-disfare, ad un tempo, ambedue le esigenze: daun lato, quella di contribuire la produzione delreddito (nel caso affrontato dalla sentenza, lasoubrette o presentatrice televisiva si veste per-ché deve partecipare a questa o a quella tra-smissione); dall’altro, quella di soddisfare esi-genze personali del contribuente, che chiunquepotrebbe manifestare (nel caso affrontato dallasentenza, la soubrette si veste perché non puòuscire nuda).

Inerenza e contesto

In modo corretto, la sentenza afferma che, aifini della verifica dell’inerenza di un determi-nato esborso, non conta la natura dei beni odei servizi acquistati, ma il contesto nel qualequell’esborso si è verificato. Pertanto, il costosopportato per l’acquisto di un biglietto di in-gresso al circo equestre dovrà reputarsi privo diinerenza per un professionista che voglia passa-re due ore in tranquillità, ma sarà perfettamen-te inerente per un imprenditore che si occupi -ad esempio - della promozione di nuove attra-

zioni o della vendita di animali ammaestrati.Parimenti, il costo sostenuto per una vacanzaalle Bahamas non sarà inerente per un avvoca-to che abbia voluto dedicarsi un po’ di relax,ma perfettamente inerente qualora si dimostriche, durante il soggiorno in quelle meraviglio-se isole, si siano svolti meeting fondamentaliper l’organizzazione e il futuro svolgimento diun’attività commerciale.Il giudizio di inerenza è perciò dominato dallariflessione circa il contesto nel quale l’esborsosi colloca, non già dalla natura dei beni o deiservizi che sono stati acquistati.Reputiamo l’affermazione condivisibile su diun piano generale. È tuttavia opportuna qual-che precisazione, se non altro per rilevare co-me la natura dei beni o dei servizi acquistatipossa talvolta sovrapporsi (o, se vogliamo, av-vitarsi) alle considerazioni svolte a propositodel contesto.Ciò che stiamo cercando di dire è che tantopiù i beni ed i servizi acquistati esprimono ar-monia rispetto all’oggetto dell’attività econo-mica, tanto più fluido e lineare sarà il giudiziodi inerenza. Qui il costo esprime, infatti, un’e-levata compatibilità con le caratteristiche del-l’impresa esercitata o con quelle dell’attivitàprofessionale svolta. Per conseguenza, il giudi-zio di inerenza potrà svolgersi senza intoppi esenza particolari difficoltà (4).Movendo in questa direzione, dunque, si potràdire che l’acquisto di acciaio, gomma e olio èinerente rispetto all’attività di costruzione ecommercializzazione di auto. Del pari, l’acqui-sto di stoffe è inerente rispetto alla attività diconfezionamento e vendita di capi d’abbiglia-mento. L’acquisto di carne, a sua volta, ineren-te rispetto all’attività di produzione e venditadi insaccati. E l’acquisto di abiti “moderni”(così si legge nella sentenza) inerente rispetto

In effetti, nessuno è in grado di predeterminare, sul pianocronologico, la propensione alla spesa dell’evasore.

Possono darsi casi di evasori seriali, che sottraggono redditiall’imposizione e che, parallelamente, spendono quei redditi.Qui la presunzione “spesa = reddito” è accettabile. Ma che di-re nei casi in cui l’evasore seriale, che sottrae ogni anno ric-chezza imponibile, impiega quella ricchezza in una sola annua-

lità, attraverso un solo acquisto di importo rilevante? E che di-re, ancora, dell’evasore una tantum che spenda un po’ per vol-ta, di periodo in periodo, quella ricchezza non dichiarata, inun’unica annualità, al Fisco?

(4) Ci siamo occupati di questo argomento in Beghin, Dirittotributario per l’Università e per la preparazione delle professionieconomico-giuridiche, Padova, 2015, pag. 537 ss.

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all’attività di soubrette o di presentatrice televi-siva.Tanto più il costo si distacca, per la sua natura,dal core dell’attività economica esercitata (nonimporta se si tratti di un’attività d’impresa op-pure di un’attività libero professionale), tantopiù stringente sarà il giudizio di inerenza e tan-to maggiore la necessità di approfondire il con-testo.Ad esempio, l’acquisto di un quadro o di un bi-glietto per la Scala di Milano da parte di un ri-venditore di auto usate può reputarsi, prima fa-cie, lontano dagli ordinari schemi di svolgi-mento di quest’ultima attività. Ed è qui che sifa strada, come rilevato, il contesto. Attraversola ricostruzione del contesto, il rivenditore diauto potrà spiegare come e perché gli acquistisopra indicati hanno a che vedere con lo svol-gimento della sua attività. Non è richiesto - ela sentenza lo sottolinea - che, ai fini dell’ine-renza, il costo generi un correlato provento. Ilcosto deve semplicemente incardinarsi nel pro-gramma imprenditoriale o professionale, inuna valutazione da svolgere ex ante, non expost (5).

Inerenza ex ante e inerenza ex post

L’espressione “valutazione ex ante”, riferita algiudizio di inerenza, vuol dire che tale giudizionon viene svolto a distanza di anni dal mo-mento di sostenimento del costo, bensì nel pe-riodo in cui quel costo è stato contabilmentesopportato, vale a dire quando si è procedutoalla classificazione del componente redditualenei libri o registri dell’imprenditore e del pro-fessionista o, al più tardi, in occasione dellapredisposizione della dichiarazione. Giudizio exante, dunque, non già ex post.Le ragioni che sostengono questa affermazionesono evidenti.Poiché il giudizio di inerenza è strumentale al-la determinazione del reddito categoriale e, perquesta via, strumentale anche alla determina-

zione della base imponibile, entro il termine dipresentazione della scheda dichiarativa il con-tribuente è costretto a prendere una decisionecirca la riferibilità dei costi alla propria attivi-tà. Non può attendere i periodi d’imposta suc-cessivi, perché, quando si verte in tema di IR-PEF o IRES, egli deve determinare di anno inanno, per l’appunto, il proprio reddito e la ric-chezza da sottoporre a tassazione.Su di un piano generale, ciò significa altresìche il giudizio di inerenza non richiede un’in-dagine sul campo circa le modalità di concretoimpiego di determinati beni o di taluni serviziall’interno dell’impresa o nell’ambito dell’atti-vità professionale.Il contribuente non è tenuto a verificare, inconcreto, se il carburante acquistato sia statointeramente destinato al rifornimento del par-co automezzi, se i pezzi di ricambio acquistatisiano stati di qualche utilità oppure se il mate-riale di cancelleria sia stato impiegato, e inquale misura, presso gli uffici amministratividella società. Può darsi che, in concreto, i beniacquistati siano stati impiegati nel processoproduttivo nell’anno della loro acquisizione.Può darsi che, sempre su di un piano di con-cretezza, i beni siano stati impiegati in annuali-tà successive. Tuttavia, ai fini dell’inerenza èsufficiente un’indagine in astratto circa il lega-me tra costi sopportati e programma dell’attivi-tà economica. E tale indagine è svolta avva-lendosi essenzialmente della documentazionemediante la quale gli stessi costi sono formaliz-zati. Il che vuol dire, in termini un po’ piùstringenti (ma ci auguriamo chiari), che perstabilire se esista o meno inerenza si debbonointerpretare i documenti. Il giudizio di inerenzamanifesta, pertanto, una declinazione eminen-temente cartolare.Il lettore ci segua nello sviluppo del ragiona-mento: lo stabilire se un esborso abbia a chevedere con lo svolgimento di un’attività è que-stione di fatto, non di diritto. Ma il fatto è qui

(5) Sul giudizio di inerenza come valutazione ex ante cfr. Ti-nelli, “Il principio di inerenza nella determinazione del redditod’impresa”, in Riv. Dir. Trib., 2002, I, pag. 461. Recentemente,

nello stesso senso, Vicini Ronchetti, La clausola dell’inerenzanel reddito d’impresa, Padova, 2017, pag. 236.

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incapsulato nei documenti, nel senso che vadimostrato attraverso la lettura e l’interpreta-zione di ciò che funge da punto di partenza perla contabilizzazione del costo, non già attraver-so indagini sul campo (6).Si tratta pertanto di un giudizio che ha una de-clinazione spiccatamente cartolare, perché leprime informazioni rilevanti ai fini di stabilirel’esistenza di un collegamento tra esborso e at-tività si ricavano dalle fatture, dalle ricevute,dai cedolini-paga, dagli estratti-conto bancari,dai contratti e così via.Nel caso affrontato dalla sentenza, i contrattiprodotti in giudizio dimostravano che la sou-brette era obbligata a dotarsi di “adeguato ve-stiario moderno di sua proprietà”. La documen-tazione, dunque, deponeva addirittura nel sen-so della imprescindibilità di quei costi, perché,in mancanza di abiti dotati di quelle caratteri-stiche, anche se descritte con formulazione unpo’ naïf, si sarebbe potuto configurare un ina-dempimento contrattuale. Il tutto - come detto- sulla base di un giudizio da svolgere ex ante,non ex post.Queste regole valgono anche per l’Ammini-strazione finanziaria, quando essa proceda alcontrollo dell’inerenza di questo o di quelcomponente negativo di reddito.Il funzionario deputato al controllo non deveattualizzare il giudizio, vale a dire svolgerlo conil criterio del “qui e ora”. Deve comportarsi,invece, come lo storico. Mettersi idealmente alposto del contribuente, in quel contesto, conquei problemi aziendali o professionali e inquel periodo d’imposta nel quale il costo è sta-to dedotto, e ragionare sulla base della docu-mentazione e delle informazioni che, in quelmomento, erano a disposizione dell’imprendi-tore o del libero professionista.In effetti, l’eventuale abbandono del modellooperativo incentrato sulla valutazione dell’ine-

renza con il criterio ex ante può determinareun vero e proprio sovvertimento del giudizio,perché, a distanza di anni dal momento in cuile operazioni si sono perfezionate, aumentainevitabilmente il numero delle informazioni adisposizione. È possibile vedere, ad esempio,che un prodotto sul quale l’imprenditore ha in-vestito non ha avuto successo; che una campa-gna pubblicitaria non ha determinato l’incre-mento del fatturato che ci si aspettava; che ilmanager profumatamente retribuito non haben governato l’azienda; che il prestito con-tratto con una certa banca ha portato alla co-struzione di un capannone rimasto inutilizzato.E così via. Ma queste informazioni potevanonon trovarsi nella disponibilità del contribuen-te nel momento in cui quest’ultimo soggettoha svolto il giudizio di inerenza.Per questa ragione abbiamo scritto che il giu-dizio di inerenza svolto a distanza di anni dalsostenimento dell’esborso e con il criterio expost può in qualche misura deformare le regoledi determinazione del reddito d’impresa o dilavoro autonomo. Infatti, tale modalità opera-tiva non solo rischia di introdurre un elemen-to di attualità in un giudizio che, per le suecaratteristiche, è ammantato di storicità (vediquanto abbiamo detto sopra a proposito deltermine di presentazione della dichiarazione),ma anche perché rischia di conferire caratteredecisivo circa la deducibilità del costo ad unasemplicistica valutazione in termini di “utili-tà” dell’esborso sopportato, relegando in se-condo piano il mero - e necessariamente me-no impegnativo - collegamento tra il citatoesborso e il programma economico del contri-buente.Si profila insomma, sul fronte metodologicoche diviene, però, fronte sostanziale, il pericolodi scordarsi che sono inerenti i costi che possa-no dirsi semplicemente collegati all’attività

(6) Il ruolo delle aziende e della contabilità nella determina-zione della ricchezza è ben descritto nel volume di H. Falciani(con A. Mincuzzi), La cassaforte degli evasori, Milano, 2015,pagg. 69-70, dove si legge quanto segue: “L’attenzione dei di-pendenti è costantemente spostata dai contenuti ai processi.Per esempio, se il lavoro di un tecnico è quello di classificaredei documenti, non saranno i documenti in sé ad avere impor-

tanza per lui ma l’attività che deve svolgere, cioè la classifica-zione. Questo compito stabilirà quale sarà il suo ruolo nellabanca. Dunque il tecnico non cercherà di capire cosa sono o acosa servono quei documenti, ma solo di classificarli nel modomigliore. E non coglierà il senso delle informazioni che sta rior-dinando, anche perché ne avrà sempre una visione parziale”.

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d’impresa o libero professionale esercitata eche, per espletare siffatto giudizio, il contri-buente deve rispettare il termine di presenta-zione della dichiarazione.Quand’anche si volesse condurre il ragiona-mento sul piano della “necessarietà” o della“utilità” dei costi, si tratterebbe pur sempre diuna necessarietà e di una utilità da valutare inastratto, al momento di sostenimento dell’e-sborso, non in concreto, a distanza di tempodalla conclusione dei contratti. E non si puòcertamente sanzionare il contribuente che ab-bia manifestato scarse (se non addirittura inesi-stenti) doti di preveggenza.Non stiamo affatto dicendo che i controlli conil criterio del “qui e ora” siano inutili. È vero,invece, il contrario. Si tratta di attività istrut-toria di grande utilità nei casi in cui, a frontedi documentazione carente dal punto di vistainformativo o non particolarmente chiara, laquale non consenta di stabilire, su base perl’appunto cartolare, se il costo si riferisca o me-no all’attività economica, il contribuente abbiaciò nondimeno qualificato il relativo costo co-me inerente e lo abbia, per conseguenza, de-dotto.I controlli a distanza consentono pertanto al-l’Amministrazione finanziaria di ripercorrere ilgiudizio di inerenza svolto a suo tempo dalcontribuente, avvalendosi però delle sole infor-mazioni non desumibili per via documentalema che, nel momento in cui il costo è statosopportato, erano già nella disponibilità delcontribuente medesimo.Attraverso i suddetti controlli potrebbero al-tresì emergere situazioni di vera e propria di-strazione dei beni dal circuito dell’attivitàd’impresa o dell’attività libero professionale.Stiamo dicendo che determinati acquisti, con-

tabilizzati come costi, potrebbero rappresenta-re, in tutto o in parte, meri consumi (7). Comeè avvenuto nel caso affrontato dalla sentenza,nel quale il Fisco ha sostenuto che gli abiti egli accessori acquistati dalla soubrette o presen-tatrice televisiva avrebbero potuto essere utiliz-zati anche al di fuori dell’attività professionale.Impiegati, dunque, in modo promiscuo (8).

Acquisti di beni e serviziad uso promiscuo

Arriviamo così al cuore del nostro discorso.Gli esborsi sostenuti per taluni beni possonoassumere, ad un tempo, la configurazione del“costo” e del “consumo”, nel senso che abbia-mo rilevato all’inizio di questo breve scritto.C’è un “costo” perché gli abiti acquistati dallasoubrette sono uno strumento di esercizio dellaprofessione. C’è poi un “consumo”, perché glistessi abiti possono essere impiegati non giàper produrre reddito, ma per soddisfare esigen-ze personali, come recarsi al parco, andare alcinema o partecipare a una cena privata (il let-tore costruisca da solo, e come crede, questatessera del mosaico).In questi casi, si dovrebbe dire che, in astratto,c’è l’inerenza per la parte di esborso che si rife-risce agli impieghi professionali del bene, men-tre non c’è per la parte che si riferisce agli im-pieghi personali. Il giudizio di inerenza dovreb-be pertanto caratterizzarsi anche sul piano qua-li-quantitativo, dotandosi, a questo punto, dipiù sofisticati strumenti di misurazione degliutilizzi e degli inutilizzi dei beni (9).Ma di quali strumenti stiamo parlando? La de-riva ragioneristico-contabile ci sta forse por-tando verso l’idea di un registro cronologico ri-guardante l’utilizzo di questo o di quel vestito,oppure di questo o di quel paio di scarpe?

(7) Rinviamo i lettori maggiormente interessati a Beghin, Di-ritto tributario, cit., nel paragrafo dedicato alle intestazioni so-cietarie di comodo. Ci riferiamo ai casi nei quali una società,che deve reputarsi perfettamente operativa (ergo, non “di co-modo”), acquista questo o quel bene per poi concederlo inuso ai soci, per scopi che nulla abbiano a che vedere con losvolgimento dell’attività societaria.

(8) Il lettore che abbia voglia di ragionare ritorni su quantoabbiamo scritto nella nota n. 2). La domanda, a questo punto,

è semplice. C’è differenza tra il caso della soubrette che acqui-sta gli abiti prima della sottoscrizione dei contratti televisivi ela soubrette che procede all’acquisto soltanto dopo che i sud-detti contratti siano stati perfezionati?

(9) Qui non ci riferiamo alla quantità per segnalare l’esisten-za di costi eccessivi o abnormi, ma alla quantità che riguarda itempi e i modi di impiego del bene. La precisazione non cisembra superflua.

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Si capisce che un giudizio di inerenza cosìstrutturato presenterebbe enormi difficoltà diordine pratico, vale a dire sul piano della suagestione e dei controlli, e si tradurrebbe incomplicazioni per entrambe le parti del rappor-to d’imposta.Complicazioni per il contribuente, che, in casicome questo, non può certo contabilizzare itempi di impiego dei beni strumentali nell’atti-vità economica e al di fuori di questa attività.Complicazioni per l’Amministrazione finanzia-ria, che sarebbe pur sempre esposta al rischiodi trovarsi di fronte a registrazioni costruite adarte, ingarbugliate o comunque inadatte allosvolgimento di quel tipo di controllo.Ciò che si vuol dire è che la dimostrazione del-le modalità di utilizzo dei beni, decisiva per ilgiudizio di inerenza nei casi di impiego promi-scuo, presenta numerosi aspetti di difficoltà. Sitratta di difficoltà che emergono anche nei casiin apparenza più semplici, quando si tratti didimostrare, ad esempio, che un determinatobene è stato utilizzato “in modo esclusivo” aifini dell’attività economica. In effetti, possonoesistere beni che, sulla carta, sembrano adattar-si ad una sola forma di impiego (per esempio,le autovetture - di particolare conformazione -adibite al trasporto funebre), ma che in con-creto, con un po’ di fantasia e con una certadose di umorismo, sono utilizzabili anche per ilsoddisfacimento di esigenze personali (utilizzodel carro funebre per recarsi, muniti della ne-cessaria attrezzatura, in una nota località scii-stica).Per questa ragione, il legislatore talvolta stabi-lisce che, alla presenza di beni adibiti promi-scuamente (o che sono suscettibili, per le lorocaratteristiche, di essere adibiti promiscuamen-te) all’attività generatrice di reddito e al soddi-sfacimento di bisogni personali, la deduzioneavvenga in misura predeterminata. Può trattar-si, a seconda dei casi, di percentuali applicateal costo oppure di limiti determinati applican-do altre percentuali al volume d’affari. La rego-la sulla deduzione forfettizzata ingloba pertanto

il giudizio di inerenza, per evidenti ragioni disemplificazione.E siamo all’epilogo.Tutti i professionisti (commercialisti, avvocati,geometri, ingegneri, eccetera) potranno, a que-sto punto, dedurre in misura forfetaria i costisostenuti per l’acquisto di abiti e paletot?Riteniamo che ciò non sia possibile e crediamoesista una non trascurabile differenza tra il casodella soubrette, esaminato nella sentenza in ras-segna, e quello dei professionisti qui sopra ge-nericamente richiamati.Infatti, la soubrette è obbligata all’acquisto ditaluni abiti. Non qualsiasi abito, ma quei capie quegli accessori che rispondano alle esigenzedi spettacolo dedotte nel contratto. Si trattaperciò di beni indispensabili allo svolgimentodell’attività professionale e tale connotazionefunzionale è desumibile ex ante sulla base deidocumenti contabili (contratti e fatture), senzala necessità di accertamenti in concreto ed expost.Per gli altri professionisti questo obbligo, di re-gola, non c’è.Fatta eccezione per talune fattispecie (la togaper l’avvocato; il camice per il medico e cosìvia), si tratta di esborsi che il professionista ve-rosimilmente sosterrebbe anche se svolgesseuna attività diversa da quella in concreto eser-citata e anche se, in ipotesi, non esercitasse al-cuna attività. Si tratta, quindi, di acquisti cosìgenerici da risultare sganciati dal programmaimprenditoriale o dall’attività professionale.Si potrebbe forse configurare in capo a questiultimi professionisti un generico dovere di de-coro, sanzionabile, per esempio, sul pianodeontologico.Siamo tuttavia di fronte ad una situazione an-cora incapace di trasformare il “consumo” in“costo”, perché il dovere di decoro declina, aifini dell’accertamento, in un giudizio di valore:si tratta pertanto di una valutazione generica,dai contorni non chiaramente tratteggiati, cer-tamente avulsa da obblighi contrattuali e perquesta ragione inidonea a fornire, sul piano

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funzionale, un contributo allo svolgimento del-l’attività e alla produzione del reddito.Insomma, “l’abito non fa il monaco”.Ed è arduo sostenere che per rendere una de-terminata consulenza, per predisporre un pro-

getto immobiliare o per redigere una complessadichiarazione fiscale il professionista “deve” in-dossare un determinato abito, portare un certoorologio o calzare mocassini di pregio (10).

(10) Per i lettori più attenti segnaliamo, a questo punto, ilrapporto tra l’entità del costo e lo svolgimento di inerenza.Quando ci si trova di fronte ad acquisti per importi significativi,v’è la possibilità che gli Uffici finanziari recuperino a tassazioneil costo in quanto antieconomico. Sul punto, da ultimo, Cass.,

Sez. trib, 30 novembre 2016, n. 24379, in http://www.rivistadi-rittotributario.it/2016/12/09/sindacato-dellamministrazione-sul-la-congruita-dei-costi/, con nota di Fransoni, “Il sindacato del-l’Amministrazione sulla congruità dei costi”. Vedi anche ViciniRonchetti, La clausola dell’inerenza, cit., pag. 239 ss.

GiurisprudenzaMerito

94 GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017

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Indice degli Autori

Beghin Mauro

Il giudizio di inerenza tra valutazioni ex ante, valuta-

zioni ex post e obblighi contrattuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

Comelli Alberto

Disconoscimento formale del credito IVA in caso di

omessa dichiarazione relativa all’anno d’imposta pre-

cedente ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

Dami Filippo

La riqualificazione degli assetti negoziali nella pro-

spettiva dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 .... . . . . . . . 72

Eusepi Sarah

L’efficacia retroattiva ed ultrannuale degli avvisi di

recupero: riflessioni sull’inesistenza dei ‘‘crediti da

non indebito’’ .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60

Fanni Matteo

La Cassazione torna, con piglio creativo, sulla vexata

quaestio della presunzione di fruttuosita dei mutui

socio/societa .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

Glendi Graziella

Incertezze sui rimedi esperibili avverso il diniego par-

ziale e tacito di autotutela ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49

Mazzoni Diletta

La riqualificazione degli assetti negoziali nella pro-

spettiva dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 .... . . . . . . . 72

Roccatagliata Franco

Il possesso dei requisiti sostanziali previsti dalla Diret-

tiva ‘‘interessi e royalties’’ e condizione necessaria e

sufficiente per fruire dei relativi benefici fiscali? .. . . . . . 79

Stevanato Dario

Il new deal della Suprema Corte sull’imposizione in-

diretta del trust: giu il sipario sull’imposta sui vincoli

di destinazione? .... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

Venegoni Andrea

La finalita mutualistica dei consorzi non e incompati-

bile con il fine di lucro ma il trattamento fiscale di-

pende dalla situazione di fatto ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

Indice Cronologico

Sezioni Unite della Corte di cassazione

Cassazione, SS.UU., Sent. 31 maggio 2016, n.

11379 (�) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

Cassazione, SS.UU., Sent. 31 maggio 2016, n.

11383 (�) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

Cassazione, SS.UU., Ord. 8 giugno 2016, n. 11709

(�) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

Cassazione, SS.UU., Sent. 9 giugno 2016, n. 11844

(�) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

Cassazione, SS.UU., Sent. 13 giugno 2016, n.

12084 (�) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

Cassazione, SS.UU., Sentt. 14 giugno 2016, nn.

12190, 12191, 12192, 12193 e 12194 (�) . . . . . . . . . . . . . 28

Cassazione, SS.UU., Sent. 14 giugno 2016, n.

12191 .... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

Cassazione, SS.UU., Sent. 30 giugno 2016, n.

13378 (�) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

Cassazione, SS.UU., Ord. 30 giugno 2016, n. 13380

(�) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

Cassazione, SS.UU., Sent. 8 luglio 2016, n. 14038

(�) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

Cassazione, SS.UU., Sent. 8 settembre 2016, n.

17758 .... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

(*) Nella sezione «Rassegna di giurisprudenza».Il testo delle sentenze si puo richiedere alla redazione diGT - Rivista di giurisprudenza tributaria([email protected]).

Corte di cassazione

Cassazione, Sez. trib., Sent. 22 luglio 2016, n.

15175 .... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

Cassazione, Sez. trib., Sent. 22 luglio 2016, n.

15190 .... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58

Cassazione, Sez. trib., Sent. 9 agosto 2016, n.

16769 .... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

Cassazione, Sez. trib., Sent. 9 settembre 2016, n.

17839 .... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42

Cassazione, Sez. trib., Sent. 26 ottobre 2016, n.

21614 .... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31

Commissione tributaria provinciale

Commissione tributaria provinciale di Chieti, Sez. IV,

Ord. 18 luglio 2016, n. 454 .... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

Commissione tributaria provinciale di Milano, Sez.

XL, Sent. 22 luglio 2016, n. 6443 ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85

Commissione tributaria provinciale di Milano, Sez. I,

Sent. 3 novembre 2016, n. 8303 ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76

Repertorio

Agevolazioni

Crediti d’imposta

Incentivi per gli investimenti in aree svantaggiate -

GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017 95

Indici

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Recupero di crediti opposti in compensazione inesi-

stenti - Avviso di recupero - Ammissibilita - Scaden-

za del termine in relazione a periodi pregressi - Irrile-

vanza

(Cassazione, Sez. trib., Sent. 22 luglio 2016, n.

15190, con commento di S. Eusepi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58

Consorzi

Prestazioni di servizi

Prestazioni rese da consorzio - Attivita commerciale

con scopo di lucro - Ammissibilita - Differenza tra

quanto fatturato dal consorzio al terzo committente

e quanto fatturato dal consorziato al consorzio - Pro-

blematica configurabilita quali ricavi non fatturati -

Natura dei rapporti tra consorzio e consorziati tra di

essi e nei confronti dei committenti - Rilevanza

(Cassazione, SS.UU., Sent. 14 giugno 2016, n.

12191, con commento di A. Venegoni) . . . . . . . . . . . . . . . . 15

Fiscalita internazioale

Direttive

Direttiva ‘‘interessi e canoni - Diritti riconosciuti dalla

normativa europea - Soddisfacimento dei requisiti

sostanziali - Necessita - Requisiti formali - Irrilevanza

(Commissione tributaria provinciale di Milano, Sez. I,

Sent. 3 novembre 2016, n. 8303, con commento di

F. Roccatagliata) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76

Imposta di registro

Applicazione dell’imposta

Causa reale ed effettiva regolamentazione degli inte-

ressi - Rilevanza - Cessione di beni funzionali all’e-

sercizio dell’impresa - Cessione d’azienda - Configu-

rabilita - Imposta di registro - Applicabilita - Cessione

di singoli beni non idonei all’esercizio dell’impresa -

IVA - Applicabilita

(Cassazione, Sez. trib., Sent. 22 luglio 2016, n.

15175, con commento di F. Dami e D. Mazzoni) . . . . 67

Imposte indirette

Imposte ipotecarie e catastali

Istituzione di trust ‘‘autodichiarato’’ - Applicazione

delle imposte in misura fissa - Legittimita

(Cassazione, Sez. trib., Sent. 26 ottobre 2016, n.

21614, con commento di D. Stevanato) . . . . . . . . . . . . . . . 31

IVA

Dichiarazioni

Omessa presentazione della dichiarazione annuale -

Iscrizione a ruolo dell’imposta detratta - Legittimita -

Successiva emissione della cartella di pagamento -

Legittimita

(Cassazione, SS.UU., Sent. 8 settembre 2016, n.

17758, con commento di A. Comelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

Processo tributario

Atti impugnabili

Diniego di autotutela parziale - Impugnabilita - Sussi-

stenza - Ragioni di rilevante interesse generale pro-

spettate dal ricorrente - Necessita

(Cassazione, Sez. trib., Sent. 9 agosto 2016, n.

16769, con commento di G. Glendi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

Autotutela

Istanza - Obbligo dell’Amministrazione finanziaria di

adozione di un provvedimento amministrativo

espresso - Inesistenza - Questione di legittimita co-

stituzionale - Rilevanza e non manifesta infondatezza

- Impugnabilita del silenzio-rifiuto dell’Amministrazio-

ne finanziaria - Mancata previsione - Questione di le-

gittimita costituzionale - Rilevanza e non manifesta

infondatezza

(Commissione tributaria provinciale di Chieti, Sez.

IV, Ord. 18 luglio 2016, n. 454, con commento di G.

Glendi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

Redditi di capitale

Determinazione

Versamenti dei soci alla societa - Presunzione di

onerosita - Sussistenza - Prova contraria a carico del

contribuente - Ammissibilita - Dimostrazione dell’i-

scrizione in bilancio del versamento a titolo diverso

dal mutuo - Necessita

(Cassazione, Sez. trib., Sent. 9 settembre 2016, n.

17839, con commento di M. Fanni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42

Redditi di lavoro autonomo

Determinazione

Giudizio di inerenza - Svolgimento ex ante - Necessi-

ta - Attivita artistica - Costi sostenuti per acquisto di

abiti e mobilio - Utilizzo promiscuo per esercizio del-

la professione e uso personale - Deducibilita al 50%

- Legittimita

(Commissione tributaria provinciale di Milano, Sez.

XL, Sent. 22 luglio 2016, n. 6443, con commento di

M. Beghin) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85

Sistematico

R.D. 16 marzo 1942, n. 262

Approvazione del testo del Codice Civile

96 GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017

Indici

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ABCompos - 3B2 v. 11.0.3108/W Unicode-x64 (Dec 17 2013) - {AAAAA_FISCALE}0105_17-GTRI01/00135027_2017_01_0095.3d

Art. 1815 - Interessi

presunzione di onerosita dei mutui

- Cassazione, Sez. trib., Sent. 9 settembre 2016, n.

17839

con commento di M. Fanni .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42

Art. 2615 - Responsabilita verso i terzi

finalita mutualistica dei consorzi

- Cassazione, SS.UU., Sent. 14 giugno 2016, n.

12191

con commento di A. Venegoni .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

Art. 2615-ter - Societa consortili

finalita mutualistica dei consorzi

- Cassazione, SS.UU., Sent. 14 giugno 2016, n.

12191

con commento di A. Venegoni .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633

Istituzione e disciplina dell’imposta sul valoreaggiunto

Art. 3 - Prestazioni di servizi

finalita mutualistica dei consorzi

- Cassazione, SS.UU., Sent. 14 giugno 2016, n.

12191

con commento di A. Venegoni .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

Art. 13 - Base imponibile

finalita mutualistica dei consorzi

- Cassazione, SS.UU., Sent. 14 giugno 2016, n.

12191

con commento di A. Venegoni .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600

Disposizioni comuni in materia di accertamento delleimposte sui redditi

Art. 26-quater - Esenzione dalle imposte sugliinteressi e sui canoni corrisposti a soggetti residentiin Stati membri dell’Unione europea

agevolazioni per i beneficiari effettivi

- Commissione tributaria provinciale di Milano, Sez.

I, Sent. 3 novembre 2016, n. 8303

con commento di F. Roccatagliata .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76

D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131

Approvazione del testo unico delle disposizioniconcernenti l’imposta di registro

Art. 20 - Interpretazione degli atti

riqualificazione degli assetti negoziali

- Cassazione, Sez. trib., Sent. 22 luglio 2016, n.

15175

con commento di F. Dami e D. Mazzoni . .. . . . . . . . . . . . 67

D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917

Approvazione del testo unico delle imposte suiredditi

Art. 46 - Versamenti dei soci

presunzione di onerosita dei mutui

- Cassazione, Sez. trib., Sent. 9 settembre 2016, n.

17839

con commento di M. Fanni ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42

Art. 54 - Determinazione del reddito di lavoroautonomo

giudizio di inerenza

- Commissione tributaria provinciale di Milano, Sez.

XL, Sent. 22 luglio 2016, n. 6443

con commento di M. Beghin ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85

D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546

Disposizioni sul processo tributario in attuazionedella delega al Governo contenuta nell’art. 30 dellalegge 30 dicembre 1991, n. 413

Art. 19 - Atti impugnabili e oggetto del ricorso

impugnabilita del diniego di autotutela

- Cassazione, Sez. trib., Sent. 9 agosto 2016, n.

16769

con commento di G. Glendi .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

- Commissione tributaria provinciale di Chieti, Sez.

IV, Ord. 18 luglio 2016, n. 454

con commento di G. Glendi .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

D.L. 30 settembre 1994, n. 564

Disposizioni urgenti in materia fiscale

Art. 2-quater - Autotutela

impugnabilita del diniego di autotutela

- Cassazione, Sez. trib., Sent. 9 agosto 2016, n.

16769

con commento di G. Glendi .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

- Commissione tributaria provinciale di Chieti, Sez.

IV, Ord. 18 luglio 2016, n. 454

con commento di G. Glendi .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241

Norme di semplificazione degli adempimenti dei

GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017 97

Indici

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contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi edell’imposta sul valore aggiunto, nonche dimodernizzazione del sistema di gestione delledichiarazioni

Art. 17 - Oggetto

avvisi di recupero per crediti d’imposta

- Cassazione, Sez. trib., Sent. 22 luglio 2016, n.

15190

con commento di S. Eusepi . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58

Legge 27 luglio 2000, n. 212

Disposizioni in materia di Statuto dei diritti delcontribuente

Art. 11 - Diritto di interpello

riqualificazione degli assetti negoziali

- Cassazione, Sez. trib., Sent. 22 luglio 2016, n.

15175

con commento di F. Dami e D. Mazzoni .. . . . . . . . . . . . . 67

D.L. 3 ottobre 2006, n. 262

Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria

Art. 2 - Misure in materia di riscossione

imposta indiretta sui trust

- Cassazione, Sez. trib., Sent. 26 ottobre 2016, n.

21614

con commento di D. Stevanato .. .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31

D.L. 29 novembre 2008, n. 185

Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro,occupazione e impresa e per ridisegnare in funzioneanti-crisi il quadro strategico nazionale

Art. 27 - Accertamenti

avvisi di recupero per crediti d’imposta

- Cassazione, Sez. trib., Sent. 22 luglio 2016, n.

15190

con commento di S. Eusepi .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58

98 GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2017

Indici

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fiscalitàinternazionale

fiscalitàinternazionale

fiscalità

internazionale

internazionale

internazionale

internazionale

internazionale

elusione fiscale tasiinternazionale

tasiinternazionale

voluntary disclosure

processo tributario

fatturazione elettronica

studi di settore

job act

accertamento

dirittoiva di gruppo

impresareddito d’

accertamentoiva di gruppo

accertamentoiva di gruppo

dirittoimpresa

dirittoimpresafamiglia

famiglia

concessionifamiglia

concessionifamiglia

concessioni

concessioni

diritto civile

lavoroconcessioni

lavoroconcessioni

lavoro

lavoro

lavoro

lavoro

tributarioIPSOAtributarioIPSOAtributarioIPSOA

IPSOAbig suite

mail

libri

libri

codici

codici

e-learning

e-learning

collegio

codici

tributariocodici

tributarioquotidiano

tributarioquotidiano

tributario

IPSOA codiciquotidiano

legal & economicimpresa

legal & economicimpresa

literatureimpresa

literatureimpresa

legal & economic literature

interdisciplinare

interdisciplinare

fiscobilancio

società

società

società

corporategovernance

governance

lavorogovernance

lavorogovernancelegislazione

legislazioneconvenzioni

governanceconvenzioni

governance

denuncelegislazione

denuncelegislazione

denunce

denunce

accreditamento

accreditamento

accreditamento

contenziosocontenzioso

contenziosoliterature

contenziosoliterature

studi di librisettorestudi disettorestudi di librisettorelibri

settorelavoro

settorelavoro

settore

settore

big suite mailliterature

big suite mailliterature

e-learning

settoree-learning

settore

e-learning

societàlegal & economic

societàlegal & economic

contenziososocietà

contenzioso

processo

tributarioprocesso

tributariosettoreprocessosettore

revisioneprocedure direvisioneprocedure direvisione

penaleprocesso

processo

tributiprocedura

civile

proceduracivile

societàrevisione

fisco

fisco

enti impresaenti impresa

enti

enti processo

enti processo

enti

processo

spesometroprocesso

spesometroprocesso

spesometrovoluntary disclosure

spesometrovoluntary disclosure

spesometroconcessioni

spesometroconcessioni

unico

sanzionimailsanzionimailbilancio

bilancio

libribilancio

libri

revisione

revisionedirittointernazionaledirittointernazionale

diritto diritto

diritto

obbligazioni

obbligazioni

contratti

fallimentosicurezza

sicurezzaprocesso tributario

sicurezzaprocesso tributario

sicurezza

sicurezza

sicurezzagovernance

sicurezzagovernance

sicurezza

iva

collegio

collegiojob act

collegiojob act

sicurezzacollegiosicurezza

sindacalecollegio

sindacalecollegio

fiscalitàinternazionale

principi contabilifiscalitàprincipi contabilifiscalità

regime dei minimi

dirittoobbligazionidirittoobbligazioni

redditometro

antiriciclaggiolegislazione

antiriciclaggiolegislazione

internazionaleantiriciclaggio

internazionaleexportprincipi contabiliexportprincipi contabili

sicurezzaexport

sicurezzaexport

ivaiva

collegioprincipi contabili

collegioprincipi contabili

sindacale

locali EP.A.processo tributariolocali EP.A.processo tributario

impresalocali EP.A.

impresa

enti locali EP.A.

fallimentoCheck up

Check up

famiglia

lavoroe-learningIPSOAe-learningIPSOACheck upIPSOACheck upIPSOA

revisioneCheck up

revisioneCheck upaziendaleCheck upaziendaleCheck up

Check upaziendaleCheck upaziendaleCheck up

Check upaziendaleCheck upaziendaleCheck up

libriconcessionilavorodisclosurelavorodisclosurelavoro

voluntarydisclosure

voluntarydisclosure

Check uprevisione aziendaleprincipi contabili

aziendaleprincipi contabili

Check upaziendale

Check up

internazionale

IPSOAIPSOA

codici

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