Preview METHODO luglio-agosto

22
MET HODO 2 METHODO Anno 1 Numero 2 luglio-agosto 2014 - Prezzo di copertina 15 €

description

Rivista tecnico scientifica riguardante metodi, approcci, strumenti ed esperienze sullo sviluppo di nuovi prodotti e sulla loro produzione.

Transcript of Preview METHODO luglio-agosto

Page 1: Preview METHODO luglio-agosto

METHODO2

MET

HO

DO

Ann

o 1

Num

ero

2 lu

glio

-ago

sto

2014

- Pr

ezzo

di c

oper

tina

15 €

Page 2: Preview METHODO luglio-agosto
Page 3: Preview METHODO luglio-agosto

Sommariolugl io/agosto 2014

ET 1

METHODO2

MET

HO

DO

Ann

o 1

Num

ero

2 lu

glio

-ago

sto

2014

- Pr

ezzo

di c

oper

tina

15 €

Proprietà OTTOLOBI editoria e comunicazioneVia A.Caretta, 320131 - Milanot/f 02.36798297www.ottolobi.itP.IVA 03559000983N.REA: MI-2021527

Pubblicità t/f [email protected]

2

4

8

22

29

4045

58

Editoriale Le nostre Rubriche:Design Industriale a cura di G.Alito

Metodi di sviluppo prodotto a cura di N.Lippi

Metodi di produzione a cura di A.Viola

L’intervista a cura di C.Ravaioli

Project management a cura diA.Fischetti

Software a cura di S.Di Pietro

Creatività a cura di D.Donati

Ecodesign e sostenibilità a cura di Collettivo NUUP®, sustainable creativity

LCA a cura di M.Granchi eR.Bozzo

Un libro in 10 minuti (management) a cura di P.Pirone

Qualità del servizio a cura diM.Galgano

Gli autori di METHODO

64

33

50

7278

Page 4: Preview METHODO luglio-agosto

editorialeM

ETH

OD

O

ET 2

COSE E OGGETTI. LA LORO ANIMA, LA NUOVA GENESI

Qualche giorno fa sono stato catapultato nel nuovo mondo della creazione. Non so ancora bene quando, come e da dove si inizierà, ma sono sicuro che stia per cambiare il modo di sviluppare nuove idee: sto parlando dei FabLab. Da sempre sostengo che vi sia poca “creatività” nelle aziende, che i percorsi scolastici tendano a creare dei paraocchi e che vi sia poca propensione ad accettare di sbagliare e a investire sugli errori. Purtroppo la cultura delle nostre aziende è impostata sull’evitare di sbagliare e sul colpevolizzare chi sbaglia. Questo porta a non rischiare e quindi a produrre sostanzialmente poche idee a carattere innovativo. Ed Catmull, Presidente e co-fondatore di Pixar, sostiene che «innovare significa creare qualcosa che in realtà non è mai stato fatto in precedenza. Per innovare dovete aprire le vostre idee agli altri, sottoponendole al giudizio di chi dovrà favorirne lo sviluppo. Purtroppo esiste questa idea per la quale si tende a fare cose sicure per non sbagliare. La maggior parte delle persone non vuole sbagliare e in pochi saranno disposti a concederti questa possibilità. Noi siamo molto scrupolosi nel fare in modo che gli errori non vengano considerati come un male, ma come una occasione per imparare. L’unica ragione per cui si commettono errori è perché non si conosce a fondo ciò che si sta facendo, ma se si sta facendo qualcosa di nuovo, per definizione, si sta facendo qualcosa che non si conosce. Quindi se tentate di dire “beh, è molto importante non commettere errori” state dicendo “è molto importante non fare qualcosa di nuovo”. E’ molto importante che a ogni livello si lasci che le cose vadano male, con l’idea che è meglio correggere gli errori che cercare di prevenirli tutti».Nei FabLab ho trovato questa componente primordiale, la capacità di far nascere idee, gruppi di lavoro, oggetti che hanno la durata dell’idea stessa - pochi minuti - se è buona si va avanti, se non lo è la si cambia. Gli strumenti, le attrezzature non sono più un vincolo. Creo un oggetto tridimensionale, lo animo con dell’automazione open source ed ecco che il miracolo si avvera. A pochi minuti dalla generazione dell’idea nasce il prototipo. Sicuramente la rapida evoluzione delle tecnologie di stampa tridimensionale cambierà radicalmente il modo di concepire i prodotti. Diventerà più conveniente provare e sbagliare

Page 5: Preview METHODO luglio-agosto

ET 3

METH

OD

Oche progettare, calcolare e ottimizzare. La simulazione “vera”, il test fisico tornerà a vincere su molti calcoli (ovviamente non su tutti).Un palese effetto collaterale della matematica è indurre le persone a iper-ottimizzare e a fare il minimo indispensabile, causando fragilità. Basta osservare quanto il nuovo sia sempre più deteriorabile dell’antico.Non è condivisibile? Non forse è vero che la capacità di calcolo ci porta a estremizzare il dimensionamento? Se pensiamo ai romani, o comunque all’architettura in generale, almeno fino al rinascimento le conoscenze si tramandavano, era l’esperienza a dettare le linee guida, perché più robusta, accresciuta nei secoli da eventi estremi rendendola tanto efficace da farne arrivare fino a noi i frutti. Una visione estrema ma sintomatica della necessità di affiancare alle competenze tecnologiche l’esperienza positiva, quella che deriva dagli errori e dalla sperimentazione. I Fablab apriranno anche - e soprattutto - a non ingegneri le porte dello sviluppo di nuovi prodotti, si tornerà al passato quando molti degli inventori delle macchine più strabilianti erano tutt’altro che ingegneri, al limite filosofi.Questo vuol forse dire che non vi sarà più “metodo”? Certo che si, metodo è anche incoraggiare la sperimentazione, creare le condizioni per accrescere il numero di idee. Cambieranno i metodi, tutto sarà più fluido, le organizzazioni prima di tutto e il modo con il quale queste svilupperanno i loro nuovi prodotti.Prima di concludere volevo evidenziare come METHODO si stia rapidamente evolvendo. Il primo numero ha riscosso un notevole successo e colgo l’occasione per ringraziare coloro che ne hanno elogiato i contenuti o suggerito di nuovi. In questo numeo trovere tre nuove rubriche: la prima sullo sviluppo del Software, con contenuti pungenti e chiari anche per i non addetti ai lavori; la seconda prende il nome di Ecodesign e sostenibilità, dove si parlerà di materiali ma anche di “materioteche”; la terza riguarda la Qualità del servizio, dove si analizzerà la “Tecnica dei 5 perché” per scoprire le cause di un servizio scadente.Vi lascio quindi in balia di cose e oggetti, della loro anima e della loro genesi.Buona lettura. Nicola Lippi

Page 6: Preview METHODO luglio-agosto

ET 4

Muovendoci verso l’obiettivo - il centro della spirale del nostro ideale percorso - continuiamo nella definizione del “che cosa”. Si tratta ancora di ragionamenti teorici che assumeranno funzione pratica solo quando il quadro - per ora apparentemente governato dal caos - prenderà forma.Mi scuso in anticipo con i lettori delusi che speravano di trovare, in una rubrica dedicata al design industriale, “inchiostro” speso per l’adulazione del dato (solito) oggetto di design della data (solita) azienda che forse non esiste neanche più, esposto nel dato (solito) museo del design. Purtroppo è stato detto tutto e forse anche di più.

In precedenza abbiamo circoscr i t to nell’eccellenza la macro area di pertinenza più adatta alle imprese del nostro Paese. Tale scelta risulta obbligata causa le caratteristiche delle nostre aziende. Piccole - anche quelle che chiamiamo medie - per competere nei mercati di massa e sovradimensionate sul lato del know-how ideativo oltre che produttivo per concepire e creare prodotti competitivi (là dove la competizione fa leva esclusivamente sui prezzi di cessione). Questi i due aspetti fondamentali che le mettono ai margini nella sfida competitiva nella zona entry-level dei mercati.Ma nella pratica, cosa significa fare prodotti di eccellenza? Nell’immaginario collettivo il termine eccellenza rimanda quasi sempre al lusso, relegando prodotti e consumatori in una nicchia tanto più piccola quanto più alto è il valore percepito del bene e del brand. Niente di più sbagliato! Il prodotto

di eccellenza può essere presente in tutte le fasce di mercato e addirittura in quasi tutte le fasce di prezzo, eccezion fatta per l’entry-level. Sfuggiamo, quindi, dall’effetto “pendolo” che obbliga i più a pensare che è destinato all’eccellenza solo chi fa Ferrari o abiti di alta moda mentre il resto delle imprese è condannato al “vile” proletariato produttivo.

COSE e OGGETTIRu

brica

Design

Ind

ustriale

a cura di Giuseppe Alito

Page 7: Preview METHODO luglio-agosto

COSE e OGGETTIET 8ET

Rubr

ica

Metod

i di S

vilupp

o Prod

otto

a cura di Nicola Lippi

IL RUOLO DELL’ARCHITETTURADI PRODOTTONel primo numero avevamo ampiamente descritto le modalità per giungere a una esaustiva e corretta definizione delle specifiche di prodotto. Ricordo che, in questa pubblicazione, parlare di prodotto o di servizio è indifferente in fatto di contenuti, le modalità e gli obiettivi sono sostanzialmente gli stessi. Abbiamo sottolineato la necessità di separare bene la fase di definizione dei requisiti da quella delle scelte tecnologiche, questo per non vincolare la soddisfazione dei bisogni che il mercato esprime alle tecnologie oggi conosciute. La scelta delle soluzioni operative va fatta, infatti, solo dopo aver fissato l’asticella numerica.

Se immaginiamo di essere i progettisti di un forno, non ci preoccuperemo di rispondere al bisogno di aumentare la temperatura individuando fin da subito una risposta tecnologica che preveda, ad esempio, l’utilizzo di resistenze elettriche, piuttosto che le microonde; sappiamo infatti che esistono diversi principi fisici che possono portarci allo stesso obiettivo. Ci si dovrà piuttosto concentrare su chiarire, oltre alle temperature massime di esercizio, le velocità con le quali riscaldare un corpo di una data massa, oltre che porsi un obiettivo di efficienza, o ancora chiedersi quali siano le esigenze manutentive e quindi di OEE (Overall Equipment Effectiveness – Efficienza globale delle apparecchiature). Solo a questo punto si potrà scegliere quale soluzione possa meglio soddisfare il mix di requisiti e di costo, non prima. Quando si sono decise quali funzioni e con

quali obiettivi numerici sviluppare il prodotto, il secondo passo logico sarebbe quello di iniziare attraverso pre-studi - indagini preliminari - a definire quali saranno i componenti del sistema che si prenderanno cura di realizzare tali funzioni. Anche se non esiste una regola ferrea, infatti molti ignorano questo passaggio, il suggerimento logico - di metodo appunto - è quello di curare, prima di ogni altro aspetto “concreto”, l’architettura del sistema che andremo a progettare (vedi figura 1). La scelta dell’architettura è infatti strategica e può segnare la vita stessa di un prodotto dal punto di vista delle prestazioni, dei costi, dello sviluppo futuro sul piano innovativo e su molti altri aspetti che si chiariranno in seguito.

Figura 1 - Concept di Architettura

Page 8: Preview METHODO luglio-agosto

ET 22

Pensare di poter essere efficaci e - proprio per questo - anche efficienti può sembrare un paradosso. In realtà non lo è. Anzi, è risaputo che aziende eccellenti nel servizio al cliente e nella qualità del prodotto (cioè efficaci) sono anche competitive in termini di costi (quindi efficienti).

Prendiamo, ad esempio, il tema della qualità: abbiamo già visto nello scorso numero che i costi della non qualità del prodotto rappresentano la punta di un iceberg dei reali costi della non qualità del processo produttivo. Prodotti difettosi sono l’effetto di processi produttivi difettosi e quindi inefficienti.

Se pensiamo poi al servizio al cliente, direttamente correlato ai tempi di consegna - e quindi alla velocità di attraversamento del processo produttivo - la domanda da porsi è la seguente: in contesti produttivi inefficienti è possibile avere tempi di attraversamento brevi? Può un processo difettoso essere veloce? Ovviamente no e ovviamente non possiamo pensare di essere veloci con le quotidiane attività di “expediting” che favoriscono la consegna di un prodotto a discapito di altri, generando inoltre costi non necessari.

Tre semplici principi operativi di riferimentoNello scorso numero abbiamo visto che, per il modello “lean production”, l’obiettivo di riferimento è quello di ridurre gli sprechi e la variabilità del processo produttivo.

In estrema sintesi, si può dire che la riduzione degli sprechi e della variabilità è il perché si deve implementare il modello.Definito l’obiettivo, nasce spontanea la domanda del cosa fare per poterlo raggiungere.Nel modello “lean” cosa fare è rappresentato da tre principi operativi di riferimento, dai nomi strani ma di semplice comprensione.Il primo di questi principi è il Takt Time. Il Takt Time è un numero e indica molto semplicemente la frequenza con la quale iclienti richiedono un’unità di prodotto: se, ad esempio, i clienti richiedono 40 unità di prodotto alla settimana e il processo produttivo è attivo per 8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana, il Takt Time è pari a 1 ora.Il Takt Time è quindi il rapporto tra il tempo

CONIUGARE EFFICACIA ED EFFICIENZADEL PROCESSO PRODUTTIVO CON I PRINCIPI OPERATIVIDEL MODELLO “LEAN PRODUCTION”

Rubr

ica

Metod

i di P

rodu

zion

ea cura di Alberto Viola

Page 9: Preview METHODO luglio-agosto

ET 29ET

Rub

rica

Inte

rvis

ta

a cura di Corrado Ravaioli

Metodo, organizzazione e aggiornamento sono alcuni dei principi che guidano i suoi passi, quotidianamente. Claudio Zanelli, 43 anni, factory manager presso la Marini Bomag-Fayat group di Ravenna ci racconta la sua storia professionale, caratterizzata da una grande determinazione e dalla ricerca costante di nuove competenze.

Prima di tutto, chi è Claudio Zanelli?Nella vita ho tre passioni: i miei tre figli, la formazione professionale e culturale e lo sport. Sono perito meccanico, non ho potuto frequentare l’Università ma ho sempre avuto una grande curiosità e il desiderio di acquisire nuove professionalità: la mia crescita è anche merito dei tanti stakeholders con cui ho condiviso momenti importanti del mio percorso lavorativo. Nel tempo libero sono impegnato attivamente nelle scuole dei miei figli, dove seguo alcuni progetti in tema di cultura dell’infanzia.

Quali sono le tappe principali della sua carriera?Ho trascorso undici anni alla Cefla, una delle più importanti realtà Cooperative del territorio imolese, dove ho trovato persone disposte a scommettere su di me. Ho lavorato in molte delle funzioni dell’area operation, maturando una esperienza significativa nella Supply Chain, diventando Planning and Production Manager nella Divisione Arredamento, settore banchi cassa per supermercati con la responsabilità di oltre 70 persone.

Dal 2005 al 2008, motivato da un forte desiderio di crescita professionale, ho ricoperto il ruolo di Operation Manager presso Medal PMI Bolognese, società specializzata nella costruzione e vendita di componenti per serramenti e zanzariere con funzioni di direzione della produzione, acquisti e di stabilimento. Infine sei anni fa sono sbarcato alla Marini-Bomag-Fayat group di Ravenna, un’azienda che vanta oltre 100 anni di storia caratterizzati in buona parte dalla visione industriale della famiglia Marini, capace di evolversi dalla costruzione di biciclette e motori verso macchine per la realizzazione e manutenzione delle strade. Circa 25 anni fa è entrata a far parte della multinazionale Fayat, uno dei primi quattro gruppi industriali francesi nelle costruzioni e lavori pubblici. Un colosso da 18mila dipendenti e 100 filiali nel mondo. Marini è l’unico stabilimento italiano.

Di cosa vi occupate?La divisione macchine stradali ha come capogruppo la Bomag, leader mondiale nelle tecnologie di compattazione. Nello stabilimento di Alfonsine (Ra) vengono prodotte frese a freddo; macchine di grandi dimensioni che asportano il manto stradale grazie a un rullo fresatore e le finitrici; macchine che hanno una complessa tecnologia oleodinamica ed elettronica operanti nel comparto delle manutenzioni stradali. Il mercato di riferimento è quello europeo per qualità e tecnologia. Bomag hauna rete vendite e clienti in tutto il mondo.

LA RICERCA DEL MIGLIORAMENTO CONTINUO, METODI E MODELLI ORGANIZZATIVI.UNA FILOSOFIA DI VITA

Page 10: Preview METHODO luglio-agosto

ET 33

Rub

rica

Proj

ect m

anag

emen

ta cura di Alberto Fischetti

Il successo di un progetto si basa su tre fattori principali: una buona metodologia di tecniche di progettazione, l’uso di comprovate e conosciute tecnologie e soprattutto il cosiddetto “fattore umano”, ossia le capacità e l’impegno delle persone che devono eseguire il progetto.

Il fattore umano è citato molto spesso nella letteratura: si va dal genere “spy story”, nella quale eccelle il romanzo “The human factor” del grande scrittore Graham Greene, ai testi di management, dei quali possiamo citare il bellissimo classico di McGregor.Può sembrare quasi ovvio e banale che io citi il fattore umano come l’elemento d’importanza principale in un progetto: lo sanno tutti che il successo di un’impresa dipende in grande misura dalle capacità e dalla motivazione di chi deve realizzarla. Io però vorrei un po’ concretizzare questi indiscussi principi riportandoli ad alcune considerazioni di livello più pratico, indicando

in quest’articolo alcune cose sulle quali è bene fissare l’attenzione. Non sempre, infatti, riusciamo a trasformare la nostra visione e le nostre intuizioni in comportamenti concreti e - come si suol dire - pur animati dalle migliori intenzioni, a volte perdiamo di vista il modo con cui dovremmo procedere “day by day”.Parlando più specificatamente di progetti da svolgere, vorrei distinguerli in due grandi categorie, ognuna con le sue problematiche specifiche:• i progetti individuali;• i progetti in team.

La seconda categoria è certamente molto più complessa, anche perché in essa ricadono i progetti più grandi. Partiamo però dalle cose più semplici, e cioè dalla prima categoria, che comunque presenta anch’essa la necessità di attenzione.

IL FATTORE UMANO DEI PROGETTI INDIVIDUALI

L’esecuzione dei progetti individuali, ossia progetti che non richiedono un lavoro di squadra con altre persone ma sono affidati esclusivamente a noi stessi, ha bisogno di alcune attenzioni che a volte sono trascurate. In particolare, vorrei elencare brevemente le secche nelle quali rischiamo di incagliare la nostra imbarcazione nella navigazione di cui solo noi siamo i responsabili.La prima - e forse la più pericolosa tendenza - è quella di dare più peso all’urgenza che non all’importanza, retaggio atavico delle situazioni di pericolo in cui viene attivato il “circuito breve” del sistema nervoso.

IL FATTORE UMANO NEL PROJECT MANAGEMENT

Page 11: Preview METHODO luglio-agosto

ET 40ET

Rub

rica

Softw

are

a cura di Silvestro Di Pietro

La scrittura di programmi - lo sviluppo di codice per computer - oggi é un fatto che coinvolge letteralmente tutti gli ambiti della nostra giornata. Dietro questo importante aspetto della nostra vita quotidiana c’é l’oscuro lavoro dei progettisti, analisti, programmatori, “testers”, installatori, sistemisti. Creare un prodotto informatico era - ed é - un impegno che richiede molte ore di lavoro ma, almeno nella buona parte del codice prodotto in Italia, non é passato dalla fase artigianale a quella industriale. Senza voler essere generalista, il motivo che tutt’ora rende questo passaggio difficile, può essere tranquillamente individuato nella mancanza di cultura informatica di base e quindi dalla carenza di metodo nello sviluppo del “software”.

Una software house in Italia, escludendo poche eccellenze, sviluppa personalizzazioni per un parco ristretto di clienti che, inevitabilmente, ha un notevole potere contrattuale verso il fornitore di adattamenti. D’altra parte la politica di questa diffusissima schiera di “software houses” si basa principalmente sul mantenere alto il costo che pagherebbe il cliente in un eventuale cambio di fornitore. Questa politica si esplica nella ristretta, se non assente, produzione della documentazione.

Vediamo un caso alquanto comune: un validissimo e zelante sviluppatore della “artigiani del codice” riceve una chiamata dalla responsabile del magazzino della

società “cliente analista” che richiede una variazione di una procedura nella gestione del magazzino. Il valente programmatore studia il problema e intuisce una buona soluzione: si collega in remoto - molto probabilmente in “screen sharing” - con il server del cliente e applica con successo la soluzione che ha escogitato, quindi telefona al responsabile della “cliente analista” comunicandogli che la questione é risolta e di verificare. Il cliente é soddisfatto e riceve quasi con piacere la nota del costo dell’intervento effettuato così efficacemente. In quanti si riconoscono in questo quadretto? Molti. In quanti invece capiscono quante sono le cose che in questo quadretto non vanno bene e perché? Sfortunatamente meno, molti meno. Per capire quanto sia importante il metodo nella produzione di codice é necessario analizzare gli scenari di un possibile futuro rapporto professionale tra “software house” e “cliente”. Il valente programmatore, proprio perché valente, accetta la proposta di lavoro della “industrie del codice” lasciando la “artigiani del codice”. Dopo qualche tempo c’é un problema relativo a una delle mille variazioni suggerite dal “cliente analista” al nostro fortunato e appena perso sviluppatore. Ovviamente la “artigiani del codice” ha sostituito l’elemento perso. Il neo assunto sviluppatore alla “artigiani del codice”, dopo qualche ora passata a recuperare le modalità di accesso tramite “remote desktop” al sistema del cliente, comincia a cercare di trovare cosa non

IL METODO VIENE PRIMA DEL CODICE

Page 12: Preview METHODO luglio-agosto

ET 45

Rub

rica

Cre

ativ

itàa cura di Daniela Donati

Immaginiamo di aver scoperto, leggendo il primo numero di questa rubrica o approfondendo altrove l’argomento, che siamo tutti potenzialmente creativi. Immaginiamo che facendo una rapida rassegna delle nostre attitudini e approcci alla risoluzione di un problema ci venga il dubbio che il nostro potenziale non si sia ancora del tutto espresso. Immaginiamo che sorga in noi il desiderio di scoprire fino a che punto potremmo utilizzare il nostro potenziale e a quali risultati potremmo infine giungere. Se la decisione è presa, non resta che trovare una strada. Eccone una: installare in noi un nuovo set mentale che si traduca in un vero e proprio “riflesso creativo”, un modo nuovo di reagire alle diverse situazioni che ci capita di affrontare e per le quali solitamente fatichiamo a trovare facilmente un’idea o una soluzione.

Possiamo pensare al “riflesso creativo” come a una classica situazione azione-reazione, causa-effetto; un po’ come dal pediatra che quando eravamo piccoli batteva il martelletto sul nostro ginocchio e questo schizzava in avanti all’improvviso senza che avessimo avuto il tempo di accorgerci che qualcuno, a nostra insaputa, ne aveva dato il comando. Un po’ quell’effetto lì: la situazione ci richiede di generare delle idee e immediatamente ci vengono in soccorso tutte le migliori risorse creative offerte dal nostro potenziale.

Agli appassionati di Lean Thinking, questo discorso potrebbe far venire in mente

la teoria degli sprechi e in particolare quello che molti testi indicano come l’ottavo spreco: il mancato sfruttamento del potenziale delle persone. Fra tutti, forse, il più grave. Spreco d’idee vincenti e risolutive, sottovalutazione dei talenti, sottoutilizzo di competenze e creatività: in sintesi, una formidabile occasione sostanzialmente sprecata.

Confortati dalle scoperte delle Neuroscienze, da tempo sappiamo che installare una nuova abitudine, apprendere e replicare un nuovo comportamento fino a una sua espressione automatica e persino inconsapevole, è una sfida non solo possibile ma anche raggiungibile senza particolari sforzi, purchè alla base vi sia una buona motivazione e un’efficace autodisciplina da parte di chi la desidera acquisire. Alcune ricerche sostengono che 21 giorni è il lasso di tempo necessario per creare una nuova abitudine; la chiave del successo risiede nella ripetizione, si tratta dunque di replicare assiduamente e volontariamente la nuova abitudine da acquisire per far sì che il nostro cervello la “installi” e la interiorizzi come processo costante della nostra giornata o come modus vivendi.

L’approccio che viene di seguito presentato, il Creaflex, è stato ideato da Hubert Jaoui, allo scopo di innescare quel riflesso creativo che ci consentirà di esplorare continuamente il contesto, di scoprirne tutte le implicazioni positive (soprattutto quando queste non sembrano essere così

ARS CREANDI: TECNICHE DI CREATIVITÀ E SPUNTI PER IL CAMBIAMENTO

a cura di collettivo NUUP®, Sustainable Creativity. Illustrazioni grafiche a cura di Gloria Escobar per il collettivo NUUP®, Sustainable Creativity.

Page 13: Preview METHODO luglio-agosto

ET 50ET

Rubr

ica

Ecod

esign

e so

sten

ibilità

a cura di collettivo NUUP®, Sustainable Creativity. Illustrazioni grafiche a cura di Gloria Escobar per il collettivo NUUP®, Sustainable Creativity.

I materiali hanno bisogno di buone idee

Il materiale è ciò che ci permette di percepire un oggetto attraverso i sensi dando fisicità e forma all’idea progettuale. Possiamo capire come le idee prendono forma attraverso i materiali pensando alle dinamiche dell’informatica: l’hardware (il materiale) è reso funzionante dal software (l’idea) e solo così può diventare un prodotto fruibile e utile. Senza hardware l’idea è solamente una possibilità che potrebbe concretizzarsi, mentre senza software, l’hardware è materiale inerte. Ogni materiale ha diverse proprietà intrinseche da valutare: fisiche (meccaniche, termiche, elettriche, etc.), economiche (costi monetari e ambientali), emozionali (cromie, finiture, etc.) e molto altro. Tali caratteristiche lo definiscono anche come più o meno adatto ai diversi campi d’impiego. A questo proposito è interessante considerare il pensiero del Bauhaus il cui scopo era quello di realizzare il miglior rapporto possibile tra forma e materia, forma e funzione dell’oggetto, nonché tra forma e produzione industriale.La storia evolutiva degli esseri umani è strettamente legata, sin nelle sue origini, allo sfruttamento delle risorse naturali. A tal punto che sono state classificate le varie fasi dell’evoluzione umana con i nomi dei materiali via via utilizzati (età della pietra, età del bronzo, etc.). Fu solo a partire dalla rivoluzione industriale - e soprattutto nel periodo successivo alla seconda guerra

mondiale - che la creazione di nuovi materiali tecnologici e sintetici subì un progressivo sviluppo. Ad oggi possiamo quindi definire i materiali in due macrocategorie: quelli appartenenti alla biosfera, derivati dalla natura, e appartenenti alla tecnosfera, creati cioè attraverso tecnologie studiate dall’essere umano che utilizzano i materiali della biosfera, sottoponendoli a processi di sintesi, per creare materiali della tecnosfera, pensiamo per esempio ai polimeri derivati dal petrolio. Quasi tutti i materiali della tecnosfera (a eccezione dei biopolimeri) non sono reintegrabili nei cicli naturali, in quanto non più assimilabili dalla biosfera, per questo diventa molto importante riciclarli per reintrodurli nel ciclo produttivo che li ha generati.Biosfera e tecnosfera si distinguono anche per l’energia impiegata: ogni materiale rappresenta una forma di energia accumulata, sia essa derivata dalla natura (per es. quella solare) o quella impiegata nei processi produttivi. Se prendiamo, ad esempio, una tonnellata di alluminio, essa richiederà molta più energia di quella usata per produrre la stessa quantità di legno, ciò significa che l’energia incorporata nell’alluminio è molto più alta. I materiali con bassa energia incorporata sono in genere quelli naturali, mentre i materiali prodotti dall’uomo arrivano ad avere un’energia incorporata medio-alta. L’efficienza e la sostenibilità dell’hardware dipendono da un buon software, che deve necessariamente essere supportato dalla conoscenza delle caratteristiche dei materiali.

MATERIALI E SOSTENIBILITÀ DEL PROGETTO

Page 14: Preview METHODO luglio-agosto

ET 58

IntroduzioneProseguiamo l’analisi relativa agli strumenti predisposti a livello internazionale per quantificare e comunicare i propri impatti sull’ambiente.Già abbiamo accennato alla metodologia del Life Cycle Assessment (LCA), in italiano Analisi del Ciclo Vita; lo scopo principale della metodologia LCA è dunque quello di valutare gli impatti sull’ambiente e il consumo di energia e materia di un prodotto/servizio, considerando tutte le fasi della vita del prodotto/servizio stesso.Parallelamente allo sviluppo delle metodologie del Life Cycle Assessment, negli ultimi anni si sono affacciate sul mercato numerose etichette ambientali, relativamente alla fornitura di prodotti e servizi. La presenza di una specifica etichetta ambientale su un prodotto può essere garanzia per il consumatore di prestazioni maggiormente elevate in termini di rispetto dell’ambiente, ma ciò dipende dalla tipologia di etichetta.Nel presente articolo si vuole quindi proseguire la descrizione del processo di LCA e fornire indicazioni sulle varie tipologie di etichette ambientali di prodotto presenti in europa.

LA POLITICA INTEGRATA DI PRODOTTO DELLA COMUNITÀ EUROPEA (IPP)

La Politica Integrata di Prodotto è il punto di partenza, in Europa, per lo sviluppo degli studi di LCA e delle etichette ambientali; essa è parte integrante della strategia

comunitaria per incentivare una gestione sostenibile dei prodotti e per coordinare le varie attività in materia ambientale.La Politica Integrata di Prodotto è originata da alcuni assunti fondamentali che possono essere riepilogati con l’intento prioritario nello stimolare le singole parti interessate nel ciclo di vita del prodotto (vedi figura 1) verso l’integrazione della variabile ambientale nel loro quotidiano lavoro. Ciò garantisce che il miglioramento delle prestazioni dei prodotti vada di pari passo con il miglioramento ambientale degli stessi, favorendo e incentivando la competitività a lungo termine sulla base della crescente richiesta di prodotti e servizi eco-compatibili da parte dei consumatori.Gli strumenti messi a disposizione per perseguire la “propria” Politica Integrata di Prodotto sono molti e possono essere riassunti nelle categorie elencate di seguito. Questi strumenti, che sono basati su un’ottica di intero ciclo di vita di un prodotto/servizio, possono essere volontari, informativi, economici e normativi, in funzione del tipo di obiettivo perseguito.• Incoraggiare, tramite il ricorso a misure

fiscali, la realizzazione o l’acquisto di prodotti e di metodi di produzione più ecologici.

• Tenere conto degli aspetti ambientali nell’aggiudicazione dei contratti pubblici e favorire le strategie di acquisti verdi da parte delle Pubbliche Amministrazioni (Green Public Procurement).

a cura di Massimo Granchi e Riccardo Bozzo

ETICHETTE AMBIENTALI DI PRODOTTOLIFE CYCLE ASSESSMENT E

Rubr

ica

LCA

Page 15: Preview METHODO luglio-agosto

LIFE CYCLE ASSESSMENT E ET 64ET

Rubr

ica

Un

libro

in

10 m

inuti

a cura di Pasqualina Pirone

DISORDINEARMONICO

Disordine armonico. Leadership e jazz è basato sulla musica jazz come contesto capace di offrire lezioni sorprendenti di leadership e dinamica di gruppo. E d’altra parte come potrebbe essere diversamente? Nell’odierno incessante cambiamento si sprecano le invocazioni alla flessibilità e all’improvvisazione creativa. Evitare schemi rigidi! Superare programmi troppo analitici e paralizzanti! Eliminare ruoli eccessivamente prescrittivi e decisioni altamente procedurizzate! E il jazz risulta proprio uno dei comportamenti più virtuosi per la sua grande disponibilità all’aggiustamento continuo. È un ambiente dove si riscontra sempre un atteggiamento favorevole a mettere in discussione le proprie convinzioni ascoltando il parere altrui, la voglia di conoscere empaticamente, l’interscambio di schemi cognitivi e sensoriali, la disponibilità a combinare gli input in modo nuovo e utile. È un luogo dove ci si specchia in un mirroring foriero di novità e apprezzamenti e non invece di sentimenti individualistici e invidiosi.

L’autore del libro, Frank J. Barrett, ha il privilegio di conoscere i due ambienti, essendo sia un reputato accademico di management sia un provetto pianista di jazz.

È quindi il ponte ideale per farci scoprire,

come egli sostiene, alcune sorprendenti lezioni provenienti dalle performance musicali e applicabili in azienda. Sono tali infatti i sette principi attraverso i quali Barrett ci spiega come sostenere l’improvvisazione e l’innovazione. Tutti consigli provenienti dal mondo della musica e trasferiti secondo modalità analogiche in un’azienda, come quella attuale, che ha sì bisogno di efficienza

Page 16: Preview METHODO luglio-agosto

ET 72

LA TECNICA DEI 5 PERCHÉ PER SCOPRIRE LE CAUSE DI UN SERVIZIO SCADENTE

La nostra giornata è costellata di “momenti della verità” in cui usufruiamo di un servizio: dal momento in cui accendiamo la luce al mattino, al momento in cui saltiamo su un treno o su un autobus per andare al lavoro, oppure chiamiamo un call center per chiedere una informazione. Tuttavia non sempre questa è un’esperienza positiva. In molti casi ci troviamo “vittime” di un servizio scadente e questo crea una grande frustrazione.

Il mondo dei servizi è pervasivo e gioca un impatto fondamentale sulla qualità della nostra vita; pensiamo solo alla scuola o al mondo della sanità. Dal punto di vista occupazionale il settore dei servizi può fornire grandi opportunità di crescita e generare personale qualificato, pensiamo al settore del turismo. Migliorare la qualità del servizio - generando un’economia di servizi evoluta - è un aspetto importante per la crescita economica e sociale del nostro Paese. Esiste tuttavia un gap culturale importante che deve essere colmato. Diventa importante passare da un approccio “artigianale” all’organizzazione delle realtà di servizi a uno che potremmo definire industriale. Questo non significa rendere freddo e impersonale il processo di erogazione del servizio, quanto piuttosto saper combinare la cura e l’attenzione con processi snelli e ben organizzati. Solo attraverso un’organizzazione “robusta” - che parta dalle reali esigenze del cliente

- è possibile garantire con continuità di servizi di qualità elevata e in progressivo miglioramento.

Obiettivo di questa rubrica è fornire spunti metodologici, stimolare riflessioni costruttive e concrete per soddisfare sempre meglio i propri clienti attraverso qualità e innovazione. C’è grande bisogno di questo in Italia. Prima occorre colmare il gap culturale per poi passare all’analisi delle cause profonde che generano servizi di scarsa qualità. Per fare questo utilizzeremo una tecnica semplice ma potente, la Tecnica dei 5 Perché, molto utilizzata da aziende che perseguono elevati livelli di eccellenza attraverso l’applicazione del metodo Toyota.

UNA DEFINIZIONE SEMPLICE DI QUALITA’

Partiamo da una definizione di qualità semplice e ormai nota, sulla quale non ci soffermeremo, rimandando quest’approfondimento a un momento successivo. La qualità è la “piena soddisfazione del cliente”. Questa definizione, che anni fa cambiò profondamente la percezione del management circa l’importanza strategica della qualità, fa assumere al termine una dimensione calda, riportando al centro il cliente. La qualità diviene anche un termine onnicomprensivo che racchiude molteplici dimensioni, non ultima quella di efficienza e rapidità.

Rubr

ica

Qua

lità

del se

rvizio

a cura di Mariacristina Galgano

Page 17: Preview METHODO luglio-agosto
Page 18: Preview METHODO luglio-agosto

ET 78

gli autori di METHODO

NICOLA LIPPI

Ingegnere, consulente di direzione, dopo diversi anni trascorsi in aziende multinazionali di primaria importanza nelle aree di Ricerca e Sviluppo, collabora stabilmente con Galgano & Associati, storica società di consulenza italiana, occupandosi con passione e professionalità dei temi dello Sviluppo di Nuovi prodotti. Nell’ambito della professione ha contribuito con numerosi interventi in azienda a organizzare e migliorare la capacità di sviluppare prodotti, aumentandone i contenuti in termini di innovazione, di rapporto tra costi e prestazioni nel rigido rispetto dei tempi. Metodo, visione sistemica, spirito imprenditoriale e capacità di sintesi sono i suoi principali fattori distintivi.Esprime con ironia e leggerezza il suo libero pensiero sui temi dello sviluppo prodotto nel blog personale www.sviluppoprodotto.com

ALBERTO VIOLA

È partner della Galgano & Associati Consulting srl, società di consulenza italiana che nel 2012 ha consolidato la sua leadership con 50 anni di attività: da quasi 15 opera nel campo della Consulenza di Direzione. Direttore della Divisione Industria, ha maturato in questi ultimi 15 anni numerose esperienze in Italia e all’estero in aziende industriali di diversi settori e dimensioni. Esperto di “lean organization” e di miglioramento continuo (kaizen) ha utilizzato in queste aziende le tecniche, gli strumenti e gli approcci specifici del Lean Production System. Relatore di numerosi seminari aziendali e interaziendali sulla “lean organization” nel 2005 e 2006 è stato docente del MIP Politecnico di Milano su queste tematiche. Nel 2012 ha pubblicato il libro “A Gemba! Guida operativa per la produzione snella”.

CORRADO RAVAIOLI

36 anni da Forlì. Giornalista professionista, lavora per un’emittente televisiva privata e collabora con testate locali e magazine on line. Si occupa di politica, economia, costume e società. Saltuariamente sviluppa contenuti per il web o redazionali industriali. E’ appassionato di cinema, musica, letteratura e nuovi media.

GIUSEPPE ALITO

Dopo la laurea in Disegno Industriale e un Master in Design Management, nel 1998 entra in Baleri Italia, azienda di prodotti di arredamento alta gamma, come Direttore tecnico del centro ricerche e dello sviluppo prodotti. Un anno dopo è in Ferrari come “design techniter” dove si occupa dello sviluppo delle postazioni di rilevamento telemetrico (muretto) utilizzate poi per i campionati del mondo F1 dal 2002 al 2004. Nel 2001 entra in Grand Soleil, azienda di prodotti di arredamento per esterni e di giocattoli mass market come engineering manager e con la responsabilità dello sviluppo prodotti per diventarne, due anni dopo, Responsabile R&S. All’attività professionale affianca la docenza di Design Management ai Master di Car Design e Industrial Design della Scuola Politecnica di Design SPD di Milano. Nel 2005 entra in Gio’Style Lifestyle come Responsabile Ricerca & Sviluppo.

Page 19: Preview METHODO luglio-agosto

ALBERTO FISCHETTI

Laureato in Ingegneria, nel corso di una carriera di oltre trent’anni in grandi industrie multinazionali dei settori della metalmeccanica, ingegneria, cosmesi e farmaceutica, ha maturato significative esperienze manageriali fino a far parte dell’alta direzione aziendale. Fra le varie responsabilità ricoperte è stato Project Manager in importanti progetti a livello di affiliata italiana e di gruppo europeo. Dal 2005 collabora nei settori della formazione, consulenza e coaching professionale con la Change Project. E’ autore di libri su project management, creatività e problem solving, coaching e gestione delle risorse umane.

ET 79

SILVESTRO DI PIETRO

Silvestro Di Pietro ha iniziato a lavorare, appena ventenne, per alcune realta’ regionali quali la TreEmmePi spa di Rimini e la Cedaf informatica di Forli’ scrivendo piccoli programmi, integrando i primi sistemi CAD ma soprattutto facendo reverse engineering e disassemblando codice macchina.Trasferitosi a Milano unisce lo studio in Economia e Commercio al lavoro, operando come analista finanziario dal 1987 al 1995. In questo periodo dirige un mensile di finanza - borsaTime - scrive un innovativo CTS (computerized trading system) in grado di operare autonomamente sul mercato dei derivati e realizza una rubrica di finanza televisiva. Nel 1997 diventa responsabile IT del dipartimento di Ricerca dello IEO di Milano, dove coniuga il lavoro informatico - che spazia dallo sviluppo di algoritmi per l’analisi DNA alla integrazione del sistema gestionale passando dal realizzare programmi per la gestione degli strumenti scientifici - alla sua innata curiosità scientifica.Attualmente coordina il team di sviluppo software all’IFOM (istituto Firc per l’Onocologia Molecolare).www.tntvillage.scambioetico.org (http://www.tntvillage.scambioetico.org/) e’ stato il suo contributo alla libera diffusione di opere e idee. Oggi tra i primi 8000 siti al mondo. Attivamente coinvolto con Pro-test Italia (http://www.pro-test.it/), associazione attiva contro la disinformazione sulla sperimentazione animale.

METHODO

DANIELA DONATI

Life & Corporate Coach, Trainer & Consultant, esperta nei Processi di innovazione attraverso l’applicazione delle tecniche di Creatività ai processi di miglioramento e allo sviluppo di nuovi prodotti e servizi; opera dal 1998 nell’ambito della consulenza aziendale per grandi e piccole-medie imprese, pubbliche e private. Tra le sue esperienze più significative, ha effettuato progetti di innovazione in Aprilia, Arena, Barilla, Fiat, Granarolo, Moto Guzzi, Natuzzi, Telecom Italia.

→continua

Page 20: Preview METHODO luglio-agosto

ET 80

PASQUALINA PIRONE

Laureata in economia aziendale, analista crediti presso una nota banca ma soprattutto appassionata di economia in particolare della gestione di impresa sotto il profilo finanziario e sotto il profilo umano con forte interesse per le moderne teorie e le “rivoluzionarie “ visioni in ottica motivazionale della più strategica delle risorse aziendali, le Persone.

COLLETTIVO NUUP

NUUP®, Sustainable Creativity è un collettivo di designer e professionisti creativi che ha lo scopo di divulgare e promuovere comportamenti e oggetti sostenibili, basando il metodo progettuale sull’Analisi del Ciclo di Vita.Fanno parte del Collettivo Nuup: Barbara Pollini, Luca Pastore, Francesca Maccagnan, Federico Freddi, Serena Vinciguerra, Camilo Martinez, Gloria Escobar e Jared Jiménez.www.nuup.it

MASSIMO GRANCHI

Massimo Granchi ha conseguito la laurea in Ingegneria presso il Politecnico di Milano nel 1993 e nel 2003 il titolo di Master in Business Administration presso la SDA Bocconi di Milano (Chartered Master in Direzione Aziendale ex lege 4/2013).Dopo una brillante esperienza presso una multinazionale nel settore metalmeccanico nell’anno 2000 ha fondato la società mtm consulting s.r.l. che offre servizi di consulenza organizzati su quattro linee di prodotto che coprono tutti gli aspetti di sicurezza e ambiente: dai servizi per la marcatura CE agli studi del ciclo di vita (LCA).Nell’anno 2013 ha ideata, creato e avviato GreenNess, divisione di mtm consulting s.r.l., che propone servizi per lo sviluppo sostenibile non più solamente al settore industriale/metalmeccanico, ma anche al settore del commercio attraverso lo sviluppo di una piattaforma proprietaria che, utilizzando le tecnologie di ultima generazione, consente a ogni tipologia di impresa commerciale di offrire ai propri clienti non più solo prodotti, servizi o sconti, ma una vera e propria esperienza di acquisto sostenibile come leva di fidelizzazione.

gli autori di METHODO

MARIACRISTINA GALGANO

Mariacristina Galgano è amministratore delegato e responsabile della Business Unit Servizi del Gruppo Galgano - una delle più affermate realtà italiane di consulenza di direzione al servizio dell’economia nazionale, con forte orientamento ai risultati - nonché della Scuola di Formazione.Profonda conoscitrice del Toyota Production System, ha sviluppato numerosi progetti Lean Six Sigma presso aziende di servizi italiane finalizzati a migliorare qualità ed efficienza. È anche autrice di numerosi libri. La sua ultima pubblicazione è “Il Movimento della Qualità in Italia. Racconti di aziende pioniere” e ha recentemente curato la traduzione italiana del libro “A3 Thinking, il segreto dell’approccio manageriale Toyota” di Durward K. Sobek II e Art Smalley, entrambi i volumi editi da Guerini e Associati.

Page 21: Preview METHODO luglio-agosto
Page 22: Preview METHODO luglio-agosto