PER IL PANCREAS SERVE UN MODELLO - Cancer … · L’adroterapia usa protoni o ioni pesanti: le...

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Numero 5 - dicembre 2014 - Anno XLII - AIRC Editore - Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 LO/MI - ISSN 2035-4479 ANIMALI Un esperimento dimostra che i cani annusano la malattia del padrone DIAGNOSI PRECOCE C’è chi chiede più test genetici nel cancro del seno Elisa Giovannetti, a ogni tumore la sua cura PER IL PANCREAS SERVE UN MODELLO PREVENZIONE Il test per la ricerca dell’HPV affianca ma non sostituisce il classico Pap-test

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ANIMALIUn esperimento

dimostra che i caniannusano la malattia

del padrone

DIAGNOSI PRECOCEC’è chi chiede

più test geneticinel cancro del seno

Elisa Giovannetti, a ogni tumore la sua cura PER IL PANCREAS SERVE UN MODELLO

PREVENZIONEIl test per la ricercadell’HPV affianca ma non sostituisce il classico Pap-test

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SOMMARIO

In questo numero:FONDAMENTALE dicembre 2014

Per il cancrodel pancreas il futuro ènella miglioreclassificazionedella malattia

04 VITA DI RICERCATOREPer combattere il cancro del pancreas servono nuovi strumenti

07 ATTUALITÀI cani da fiuto al servizio della diagnosi

10 NOTIZIE FLASHDal mondo

12 PREVENZIONE La ricerca del virus diventa routine

15 VIVERE SANOAlimenti: frutti di bosco

16 NUOVE TECNOLOGIE La radioterapia pesante che risparmia i tessuti sani

19 RUBRICHE Domande e risposte

20 SCREENINGIl gene della discordia divide gli esperti

22 PROFESSIONI PER LA RICERCA Conoscenze tecniche e psicologia per il consulente dei geni

24 THE FUTURE OF SCIENCE Il cibo benzina per le cellule, anche per quelle tumorali

26 RUBRICHE I progressi della ricerca AIRC

27 INIZIATIVE Bomboniere solidali

28 IFOM Tra Milano e Singapore si studia la cellula in movimento

30 IL MICROSCOPIOUn raccolto di qualità

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Il consulente genetico, tra biologia e psicologia

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Come si muovono lecellule? Lo studia IFOMnel suo lab di Singapore

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L’adroterapiausa protoni o ioni pesanti: le prove di efficaciaesistono soloper alcunitumori ma la tecnica è promettente

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FONDAMENTALEAnno XLII - Numero 5Dicembre 2014 - AIRC Editore

DIREZIONE E REDAZIONE: Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancrosede legale: via Corridoni, 7 - 20122 Milano sede operativa: via San Vito, 7 - 20123 Milanotel. 02 7797.1 - www.airc.it - [email protected] fiscale 80051890152Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 128del 22 marzo 1973. Stampa N.I.I.A.G. SpA BergamoDIRETTORE RESPONSABILENiccolò Contucci

CONSULENZA EDITORIALEDaniela Ovadia (Agenzia Zoe)

COORDINAMENTO EDITORIALEGiulia Cauda, Cristina Zorzoli

REDAZIONEPaola Dottor, Martina Perotti,Cristina Ferrario (Agenzia Zoe)

PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONEUmberto Galli

TESTIAgnese Codignola, Paola Dottor, Cristina Ferrario, Daniela Ovadia, Fabio Turone, Cristina Zorzoli

FOTOGRAFIEAnnachiara Lodi (copertina e servizio a p. 4), Corbis, Thinkstock, Istockphoto

Fondamentale è stampato su carta GraphoCrystal certificata e proveniente da foreste gestite in maniera corretta eresponsabile secondo rigorosi standardambientali, sociali ed economici.

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DICEMBRE 2014 | FONDAMENTALE | 3

EDITORIALE

TANTI MODI PER AIUTARE LA RICERCA.• con conto corrente

postale n. 307272;• con carta di credito,

telefonando al numero verde 800 350 350, in funzione tutti i giorni 24 ore su 24 o collegandosi al sito www.airc.it;

• con un piccolo lascito nel suo testamento; per informazioni, www.fondazionefirc.it oppure tel. 02 794 707;

• in banca: Intesa SanpaoloIBAN IT14 H030 6909 4001 0000 0103 528;Banca Monte dei Paschi di SienaIBAN IT 87 E 01030 01656 000001030151;Unicredit PB SPAIBAN IT96 P020 0809 4230 0000 4349 176;

• con un ordine di addebito automatico in banca o su carta di credito (informazioni al numero verde 800 350 350)

AIRC haricevutodall’Istitutoitaliano delladonazione il marchio

di eccellenza per le organizzazioninon profit che forniscono elementidi garanzia sull’assolutatrasparenza ed efficacia nellagestione dei fondi raccolti.

Presidente AIRCPier Giuseppe Torrani

Sono le persone a fare la differenza

In questi primi mesi della mia attività di presidente di AIRC ho scoperto una real-tà viva e dedita con tutto il cuore alla sua causa, la ricerca sul cancro. La veraforza dell’Associazione è però nascosta nell’ampia base di volontariato sullaquale può contare: 20.000 persone operano nelle piazze durante le campagne di

raccolta fondi. Sono loro a distribuire le arance nelle fredde giornate di gennaio, leazalee in occasione della Festa della mamma, i cioccolatini in corrispondenza deiGiorni della Ricerca, a novembre. Non solo. Sono sempre loro, grazie al coordina-mento e all’opera dei 17 Comitati regionali, a sostenere la vita locale di AIRC lungotutto il calendario annuale, attraverso l’organizzazione di incontri, conferenze, feste,eventi e raccolte fondi. Grazie a loro AIRC distribuisce il proprio materiale informati-vo e aiuta l’intero Paese a prendere consapevolezza non solo dell’esistenza della ma-lattia e del suo impatto, ma anche dell’importanza della prevenzione e dei correttistili di vita.

Il volontariato è l’anima della coesione sociale. Fornisce speranze concrete acoloro che hanno bisogno di sapere, negli incontri nelle piazze. Vi sono poi volonta-ri un po’ più speciali degli altri: sono i testimonial di AIRC che, grazie alle cure,hanno sconfitto il cancro. La loro presenza al nostro fianco a sostegno dell’attivitàdi ricerca esalta il patto di fiducia che implicitamente i donatori hanno sottoscrittonel sostenere AIRC.

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a cura di FABIO TURONE

E’nata e cresciuta a Pisa inuna famiglia di inse-gnanti e che non sia undettaglio da poco lo si ca-pisce quasi subito, quan-

do con un accento inconfondibile dice,con semplicità: “Io sono quella che hadirazzato. Si dice, in italiano, ‘dirazza-to’?” Sarà lei stessa, a intervista conclu-sa, a precisare via e-mail che sì, il dizio-nario conferma che il verbo dirazzareesiste, e significa “cambiare, in meglioo in peggio, le caratteristiche della pro-pria indole o della propria cultura ri-spetto a quelle della famiglia da cui sidiscende”.

Manualità e teoria Elisa Giovannetti ha dirazzato, sì,

ma fino a un certo punto: la mammaPaola, oggi in pensione, insegnava ita-liano alle superiori ed è evidente che leha trasmesso il piacere di scegliere concura i termini e di mantenere vivo l’usodi espressioni e parole che fuori dellaToscana suonano oggi strampalate: “Miè capitato spesso, anche all’estero, disuscitare occhiate stralunate da parte dicolleghi e amici con alcuni miei modidi dire, che a loro suonavano strani odialettali, finché andavamo a consulta-re il dizionario Devoto-Oli” raccontacon un sorriso orgoglioso. “Noi toscaniabbiamo sempre ragione, come dissebene Curzio Malaparte in Maledetti To-scani”.

D’altra parte sembra aver presomolto anche dal padre Alberto, che peranni al liceo ha insegnato fisica, anchese non ha seguito esattamente le sueorme come ha fatto il fratello France-sco, di tre anni più grande di lei: “Miofratello, che oggi insegna matematica efisica, è un teorico, mentre mio padreera uno sperimentale: io oggi ho capito

che nel mio lavoro devo essere ingrado di mettere insieme una

buona manualità e tantateoria”.

L’obiettivo delle sue ri-cerche, nel laboratorio

Per combattere il cancro del pancreas servono nuovi strumentiLa giovane ricercatrice pisana che ha vinto uno Start-up grant di AIRC sta mettendo a punto una metodologia per capire come risponderà il singolopaziente alle cure previste

VITA DI RICERCATOREElisa Giovannetti

In questo articolo:ricercacancro del pancreasterapie innovative

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che ha appena allestito presso l’Ospeda-le universitario di Pisa grazie a unoStart-up grant AIRC, è la messa a puntodi terapie più efficaci contro il carcino-ma del pancreas, uno dei tumori più ag-gressivi, lo stesso che pochi anni fa hacolpito suo papà Alberto. “Quando siammalò io ero già laureata in medicinae avevo già da tempo iniziato a occu-parmi di questo tumore. A lui facevapiacere sapere che mi occupavo di que-sto, anche se sapeva perfettamente chesi trattava, e si tratta, di studi che po-trebbero richiedere tempi lunghi primadi avere effetti sulla salute dei malati”.

L’esperienzaall’estero

La tesi con cui si è laureata nel 2000 –sui farmaci pro-apoptotici, con cui all’e-poca si sperava di riuscire a favorire l’a-poptosi, cioè la morte programmatadelle cellule tumorali – le era valsa ilmassimo dei voti, con la lode e la “digni-tà di stampa”, confermata sul campo dauna pubblicazione su una rivista inter-nazionale: “Alla fine del liceo scientificopensavo che all’università avrei studiatochimica, ma in estate lessi Il caso e la ne-cessità di Jacques Monod e decisi di fare iltest di ammissione a medicina”. Poi è se-guita la scuola di specialità in farmaco-logia clinica, sempre all’Università diPisa e sempre conclusa con la lode, nel2004, con una ricerca sperimentale pro-prio sul tumore del pancreas. Avrebbepoi approfondito quella ricerca duranteil dottorato che nel 2006 l’ha portata atrascorrere un anno all’Università Libe-ra di Amsterdam, la più importante d’O-landa, e a pubblicare come autore prin-cipale sulla prestigiosa rivista Cancer Re-search, un articolo che da allora è statocitato quasi 200 volte nella letteraturamedica.

Nella capitale olan-dese ha vissuto in di-versi periodi, accom-pagnata da Fabrizio,conosciuto neglianni dell’università ediventato suo marito nel 2011: “Lui è in-gegnere delle telecomunicazioni e tuttie due siamo tipi da turismo culturalefrenetico: siamo figli dell’InterRail, lagenerazione Erasmus” spiega, riferendo-

si al biglietto chepermetteva ai giova-ni di girare in trenotutta l’Europa e al

programma europeo per favorire i sog-giorni di studio all’estero. “Ad Amster-dam abbiamo traslocato varie volte inbicicletta e riuscivamo ad avere unabuona vita sociale, soprattutto con altristranieri. Spesso frequentavamo ancheun cineclub italiano, con proiezione edibattito”.

Ordine vs creatività Dopo lo shock iniziale, la diversità

di abitudini è diventata un vantaggioin laboratorio: “In Olanda tendono acominciare la giornata prestissimo, pertornare a casa al più tardi alle cinquedel pomeriggio. Io però non ce la face-vo a essere operativa alle sette del mat-tino, per cui ben presto ci siamo orga-

nizzati in modo dalavorare con orarisfasati, il che mi ga-rantiva di arrivare inuniversità con orariitaliani e di averel ’ultimo turno per

usare le apparecchiature. Così potevoutilizzarle fino a ora di cena e uscire fa-cendo partire un esperimento che po-teva andare avanti fino al mattinodopo. Dopo le cinque l’università si

trasformava, con una sorta di “effettoCenerentola”: in assenza degli olandesiquasi tutti altissimi e biondi con gliocchi azzurri, ci trovavamo a divideregli spazi con studenti italiani, spagnoli,greci, sudamericani, iraniani, egizia-ni…” rievoca divertita. “In generale honotato che gli olandesi hanno la ten-denza a pianificare tutto con largo an-ticipo nei minimi dettagli e sono orga-nizzatissimi, mentre noi europei delSud siamo molto più pronti a superaregli intoppi, per esempio cambiando ra-pidamente qualche parametro se unesperimento non funziona o consul-tando subito la letteratura per capire seil reagente che è finito e non è ancorastato rifornito può essere sostituito ef-ficacemente da uno di quelli disponibi-li”.

L’esperienza è stata positiva sottotutti i punti di vista e anche lei ha la-sciato evidentemente un ottimo ricor-do: “Sono molto contenta di aver crea-to legami professionali molto stretti,importanti per continuare a condurrericerche con collaborazioni di livellointernazionale”.

Alla ricerca del farmaco giusto

Nel laboratorio messo in piedi gra-zie ad AIRC sta studiando i meccani-

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L’Olanda le ha insegnato

l’utilità di programmare

Elisa Giovannetti, al centro con i suoicollaboratori

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smi di azione, la tossicità e l’efficaciadi alcuni agenti anticancro usando ilmodello animale per riprodurre un tu-more del pancreas proveniente dai pa-zienti esattamente nella posizione incui si sviluppa e da cui si diffonde nel-l’organismo umano. Le ricerche sonocondotte con il biologo Niccola Funele con la tesista Edwige Pugliesi, tra l’I-stituto di nanoscienze del CNR di Pisae l’Ospedale universitario di Cisanello,in stretta collaborazione con il repartodi chirurgia generale e dei trapianti di-retto da Ugo Boggi, che è centro di rife-rimento per la chirurgia del tumoredel pancreas e per il trapianto di pan-creas e rene.

La ricerca che ha appena pubblicatosu un’importante rivista ha individua-to alcune caratteristiche genetiche deltumore del pancreas che forniscono in-dicazioni utili a prevedere l’efficaciadei diversi farmaci su ciascun paziente.La strada per le applicazioni clinichenon è breve, ma l’obiettivo è sempreben chiaro in mente: “Uno degli ultimilibri che ho letto, oltre ai romanzi diCamilleri che amo molto, si intitolaCon cura. Diario di un medico deciso a faremeglio di Atul Gawande. Mi è piaciuto:anche se io sono un medico che fa ri-cerca e non interagisce direttamentecoi pazienti credo sia importante sotto-lineare che ci sono comunque sempre ipazienti al centro del nostro lavoro edei nostri pensieri”.

Anche questo cerca di trasmettereagli studenti che si formano con lei:“Insegnare è molto impegnativo e perme il rapporto con gli studenti in labo-ratorio è importantissimo, anche per-ché spesso serve una domanda compli-cata, cui ti accorgi di non saper rispon-dere, a farti vedere diversamente lecose e a farti crescere” spiega. E ribadi-sce la profonda stima per chi si dedicacon tanto impegno alla scuola citandodalla Lettera ad una Professoressa dellascuola di Barbiana di Don Milani: "Ilmaestro dà al ragazzo tutto quello checrede, ama, spera. Il ragazzo crescendoci aggiunge qualche cosa e così l'uma-nità va avanti".

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VITA DI RICERCATOREElisa Giovannetti

“UNA TOSCANA NEL PAESE DEI MULINI A VENTO”Se è cosa difficile essere italiano,

difficilissima cosa è l'esseretoscano: molto più che

abruzzese, lombardo, romano,piemontese, napoletano o francese,tedesco, spagnolo, inglese. E non giàperché noi toscani siamo migliori opeggiori degli altri, italiani ostranieri, ma perché, grazie a Dio,siamo diversi da ogni altra nazione:per qualcosa che è in noi, nellanostra profonda natura, qualcosa didiverso da quel che gli altri hannodentro”. Inizia così l’opera MaledettiToscani di Curzio Malaparte, che aElisa Giovannetti capita di citare nelledispute linguistiche. Dalla suaesperienza professionale in Olanda,però, ha avuto la conferma che alcunitratti caratteriali accomunano un po’tutti i Paesi mediterranei: “Nel 2006arrivai per la prima volta comestudentessa di dottorato al centrooncologico dell’Università diAmsterdam, dove a un certo punto illaboratorio dovette traslocare in unastruttura non lontana, già attrezzata”racconta. “Tutto era stato pianificatocon estrema cura, in ogni dettaglio, in

modo che gli esperimenti fosserointerrotti solo per un weekend e lostaff potesse ricominciare il lunedìmattina nei locali nuovi con tutto inordine. Ogni singolo oggetto eraetichettato e ognuno sapeva che cosafare, tranne noi studenti stranieriarrivati da poco, anche da Spagna eGrecia. Il capo del laboratorio, chesapeva come mettere a frutto lecaratteristiche di ciascuno, capì cheavremmo potuto aiutare ben poco e,in compenso, eravamo ben contentidi proseguire i nostri esperimentimentre attorno a noi regnava il caosdel trasloco, con le apparecchiaturetutte per noi”.

Con quell’affermato gruppo diricerca ha poi continuato a lavorareportando avanti a partire dal 2011 unprogetto di ricerca grazie a unaprestigiosa borsa di studioAIRC/Marie Curie cofinanziata daAIRC e Commissione Europea: “AdAmsterdam ho trovato un ambientescientifico di assoluto livello e strettilegami di collaborazione con gli StatiUniti, in un contesto che assicuraun’alta qualità della vita europea”.

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a cura di FABIO TURONE

Sono sempre più numerosi iracconti di proprietari dicani che hanno visto il pro-prio fidato compagno aquattro zampe cominciare

a comportarsi in modo strano più omeno in concomitanza con la diagno-si di tumore; come se, grazie al pro-prio sofisticato e sensibilissimo olfat-to, avesse capito tutto prima ancoradei medici.

Per quanto possano sembrare stra-vaganti, molte di queste testimonian-ze relative al potere diagnostico deicani (che sembrano in grado anche dianticipare attacchi epilettici o crisiipoglicemiche nei diabetici) appaionodecisamente credibili e non sono spie-gabili solo con l’autosuggestione: lodimostrano anche gli studi scientificisempre più numerosi, e progressiva-mente più rigorosi, che hanno affron-tato l’argomento, anche in Italia.

Prime dimostrazioniÈ risaputo che l’olfatto dei cani è

molto più sviluppato di quello umano:se noi disponiamo di circa cinque mi-lioni di cellule olfattive, loro ne hanno

circa 200 milioni, ovvero 40 voltetante. Non a caso, i segugi addestratisono da molto tempo impiegati dalleforze di polizia e dai militari in compitidelicati, come l’individuazione di ma-teriale esplosivo e di droga, e la ricercadelle persone scomparse.

È stato proprio uno studio condottoin Italia a suscitare l’interesse della co-munità scientifica internazionalequando i risultati preliminari, ottenutisulla diagnosi del tumore della prosta-ta, sono stati presentati al congressoannuale dell’Associazione degli urolo-gi americani, che si è svolto a Orlando,in Florida, prima di essere pubblicati asettembre sul prestigioso Journal ofUrology. L’ampio studio diretto daGianluigi Taverna, dell’IRCCS Istitutoclinico Humanitas di Rozzano, inprovincia di Milano,ha infatticonclu-so cheè

possibile sottoporre a uno specifico ad-destramento i cani già impiegati dall’e-sercito, insegnando loro a riconoscerela caratteristica traccia olfattiva del tu-more con una precisione stupefacente.

“Quando ho iniziato questa ricerca,circa quattro anni fa, c’era chi mi pren-deva per pazzo” spiega Taverna che,con l’Unità operativa di urologia dell’I-stituto Clinico Humanitas, diretta daPierpaolo Graziotti, ha chiesto e otte-nuto la collaborazione del Ministerodella difesa e del Centro militare vete-rinario di Grosseto (Cemivet), dove la-vora un’équipe specializzata. “È solograzie al lavoro congiunto di tanti pro-fessionisti competenti – il responsabileveterinario tenente colonnello Loren-zo Tidu, il capo addestratore Giampie-ro Cocciolone, i due conducenti cinofi-li Paolo Sardella e Giuseppe La Torre, ilricercatore biologo di HumanitasFabio Grizzi – che in circa sei mesisiamo riusciti a insegnare a due cani,già selezionati e addestrati per il ritro-vamento di mine durante le missionidi pace, a individuare l’odore che con-traddistingue il tumore della prostata”.

L’attenzione a ogni possibile fattoreconfondente, unito all’ampiezza del

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I cani da fiuto al serviziodella diagnosiSono passati 25 anni dalla segnalazione del primocaso di animale che sembrava in grado di individuare una lesione potenzialmente pericolosasul corpo del padrone. Ora studi più seri e controllatidimostrano che gli animali annusano in anticipoqualcosa che non va

ATTUALITÀNasi sensibili

In questo articolo:diagnosi precocetumore prostaticocani da fiuto

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campione, ha permesso un notevolepasso avanti rispetto alle precedenti ri-cerche, più piccole e meno rigorose.

Nonostante ciò, i ricercatori sannobene che non sarà affatto facile passaredai suggestivi racconti aneddotici e daiprimi studi di fattibilità – condotti fi-nora su melanoma, cancro del pol-mone, dell’ovaio e della prostata –all’impiego clinico, perché i nodidelicati da sciogliere sono tanti, ma sitratta senz’altro di un filone di ricercainteressante, che potrebbe aiutare a in-dividuare strumenti diagnostici menoinvasivi di quelli in uso, garantendoforse una precisione persino superioreal test del PSA, oggi assai diffuso nelloscreening del cancro della prostata mamolto spesso gravato da risultati falsa-mente positivi.

Il caso storicoApparve esattamente 25 anni fa,

sulla rivista Lancet, il primo reso-conto scientifico di una qua-rantaquattrenne con un me-lanoma maligno allagamba sinistra messa inallarme dal comporta-mento della cagna dicasa: “La paziente sirese conto per laprima volta dellalesione perché lasua cagna (unincrocio traun bordercollie e und o b e r -mann)

ATTUALITÀNasi sensibili

“ IL FUTURO È NEL NASOELETTRONICO”Se i cani possono essereaddestrati a riconoscere unatraccia olfattiva associata allacrescita di un tumore, perché nondovrebbe riuscirci ancheun’apparecchiatura elettronica, conmaggiori garanzie di ripetibilità eminori problemi logistici? Perquanto possa sembrare retorica, ladomanda – sollevata appena sicominciò a ipotizzare che alcunicani fossero in grado di fiutare ilcancro – ha trovato una risposta

solo quest’estate, quando uno studiopubblicato sul Journal of Urology hafornito la prima dimostrazione difattibilità per il cancro dellaprostata. Un gruppo di ricercatoridiretti da Niku Oksala,dell’Università di Tampere, ha infattivalutato le capacità diagnostiche diun “naso elettronico” messo a puntoin Finlandia, nel distinguere lacomposizione delle sostanze volatilirilasciate nell’aria dai campioni diurina di un gruppo di malati con

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continuava ad annusarla in quelpunto. Non mostrava alcun interesseper gli altri nei presenti sul corpodella donna, ma spesso si metteva perlunghi minuti ad annusare con impe-gno la lesione, anche attraverso i pan-taloni. Di conseguenza la paziente èdiventata sempre più sospettosa” scri-vevano in una lettera al direttore idue dermatologi londinesi HywelWilliams e Andres Pembroke. “Il ri-tuale è proseguito per alcuni mesi,culminando nel tentativo della cagnadi strappare il neo a morsi quando ladonna indossava pantaloncini corti.Questo ha spinto la paziente a consul-tare un medico”.

Dopo quella prima segnalazione,che invitava a indagare su questo tipodi “diagnosi precoce” del melanoma adir poco non convenzionale, negli ul-timi anni sono stati pubblicati nume-rosi studi, tutti però preliminari oaneddotici, ossia svolti su un numeromolto limitato di pazienti, e quindiinsufficienti per fornire un verdettodefinitivo.

Ricerchemultidisciplinari

L’approccio seguito da GianluigiTaverna e dai suoi colleghi è stato in-vece molto rigoroso: ogni aspetto

dello studio è stato valutato con figu-re specializzate, così da minimizzareil rischio di errore e rendere possibilead altri la ripetizione dell’esperienza:“Il nostro lavoro è stato pensato inmodo che i risultatipossano in futuro esse-re riproducibili ovun-que, purché in maniestremamente profes-sionali ed esperte. È in-fatti inimmaginabilepensare che si possa prendere uncane qualunque e addestrarlo a talescopo da zero” spiega l’oncologo. “Ilnostro intento è stato di valutare conil massimo rigore metodologico se idati preliminari presenti in letteratu-ra scientifica potessero essere confer-mati”.

Due pastori tedeschi femmina,Zoe e Liù, sono state sottoposte a unlungo addestramento progressivo, altermine del quale hanno annusatooltre 900 campioni di urine apparte-nenti a due gruppi di persone: malaticon un tumore della prostata già dia-gnosticato (in vari stadi di gravità) epersone sane o con tumori in altresedi. Per evitare qualsiasi possibilitàdi influenzare anche inconsapevol-mente i cani, nessuno dei partecipan-ti al test sapeva a chi appartenesseroi campioni: “Nel nostro studio Zoe eLiù hanno individuato il tumore con

un’accuratezza media del 97 percento, quindi con pochissimi falsipositivi e falsi negativi. Alla conclu-sione della prima fase dello studiopossiamo perciò dire che le urine dei

malati di tumore dellaprostata contengonoun composto volatileche i nostri cani adde-strati sono in grado diindividuare con un’ac-curatezza notevole,

teoricamente superiore a quella at-tualmente a disposizione con i presi-di diagnostici tradizionali PSA (anti-gene prostatico-specifico) e biopsiache tuttavia rimangono, a oggi, lostandard in tale ambito” spiega Ta-verna, che è il primo a invitare allacautela riguardo ai possibili impie-ghi futuri. “Stiamo conducendo ulte-riori studi di conferma, che sono ne-cessari a garantire al massimo i pa-zienti sull’attendibilità del test”.

Il passo successivo consisterà nelcercare di capire quali sono i biomar-catori del tumore tra i molti compostiorganici volatili che contribuiscono acreare la traccia olfattiva riconosciutadai cani, anche per provare a distin-guere le forme tumorali più aggressi-ve e pericolose. A quel punto, i canipotranno con tutta probabilità lascia-re il lavoro alle apparecchiature elet-troniche.

L’approcciorigoroso

garantiscela serietà

accompagnato la pubblicazionedello studio, tuttavia, ha rilevatoalcune importanti limitazioni legateall’imperfetta selezione delcampione e invitato ad attendereulteriori studi.

Nel frattempo numerosi gruppiin tutto il mondo stanno lavorandoanche a “nasi elettronici” cheanalizzano l’odore del sudore el’alito, per esempio per individuaretracce precoci di tumore delpolmone. In questa fase, tuttavia,gli esperti immaginano un impiegocomplementare rispetto aglistrumenti diagnostici in uso, cherimarranno a lungo l’unicoriferimento affidabile.

cancro della prostata da quellepresenti nei campioni di chi è affettosolo da ipertrofia benigna.

Il campione studiato era dimodeste dimensioni e il risultatonon proprio entusiasmante, con unasensibilità (ovvero la capacità disegnalare il tumore quando èpresente) del 78 per cento e unaspecificità (ovvero la capacità di nonallarmare a sproposito quando iltumore non è presente) del 67 percento, ma i ricercatori sonoottimisti: “Abbiamo scoperto che inun tumore ci sono circa 30 compostimolto odorosi e quindi facili daannusare” ha affermato Oksala.L’articolo di commento che ha

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NOTIZIE FLASH

Dal mondo Energiaper il cancro

La capacità di dare metastasi è anche unaquestione di metabolismo: una cellula tumoraleche si sposta per raggiungere organi lontani habisogno, infatti, di una quantità di energia diversada quella di una cellula cancerosa che resta fermanella sede originale. Lo scrivono sulle pagine diNature Cell Biology i ricercatori guidati da ValerieLeBleu del MD Anderson Cancer Centerdell’Università del Texas, negli Stati Uniti. “Lacapacità di colonizzare altri organi e daremetastasi è una delle principali caratteristiche cherende un cancro letale e comprendere cosadetermina tale abilità potrebbe salvare molte vite”spiegano gli autori. In particolare, i ricercatori astelle e strisce si sono concentrati su una proteinachiamata PGC-1alfa coinvolta nel metabolismocellulare: le cellule tumorali la usano perstimolare la crescita di nuovi mitocondri – lecentrali energetiche della cellula – e procurarsiquindi l’energia necessaria per crescere. In alcunicasi poi, grazie a quella che gli esperti chiamanorespirazione cellulare, alcune cellule del tumoreriescono a procurarsi l’energia sufficiente peraffrontare il lungo e difficile viaggio attraverso itessuti e i vasi sanguigni fino ad arrivare al nuovoorgano. Trovare il modo per impedire alla cellulatumorale di procurarsi questo “cibo” potrebbequindi bloccarne la capacità di allontanarsi dallasede di origine.

Il momento giusto per smettere di fumare

I giorniimmediatamentesuccessivi alledimissioni dall’ospedalepotrebberorappresentare un buonperiodo per diredefinitivamente addioalle sigarette. Lo diconoi ricercatori statunitensiguidati da Nancy Rigotti,del MassachusettsGeneral Hospital diBoston, che hannoanalizzato nel loro studiocirca 400 persone di etàmedia pari a 53 anniappena dimessedall’ospedale. Tutte lepersone coinvolte nellaricerca avevano dichiaratodi voler dare un taglionetto al fumo dopo ilricovero e per lo studiosono state suddivise in duegruppi: uno coinvolto inuno specifico programmaper smettere di fumare el’altro semplicementedimesso. Dopo sei mesi,come afferma lo studiopubblicato su JAMA, il 26per cento dei partecipanti algruppo che aveva seguito ilprogramma specifico aveva

buttato le sigarette, contro il15 per cento dell’altro gruppo. I giorni

trascorsi in ospedale, dicono gliesperti, fanno riflettere sui legami tra

fumo e salute e questo semplice programma porta buonirisultati a costi relativamente ridotti, poiché si basasull’offerta di farmaci per smettere e su un semplicesupporto telefonico.

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Secondo uno studio norvegesepubblicato sul New England Journal ofMedicine, le colonscopie di controlloeffettuate dopo la rimozione di unpolipo al colon potrebbero non esseresempre necessarie. “Per alcunepersone il rischio di morire per untumore del colon dopo la rimozionedel polipo è addirittura inferiore aquello della popolazione generale”spiega Magnus Loberg, dell’Universitàdi Oslo e principale autore dellaricerca che sottolinea la differenza trai tipi di polipi asportati. Come emergedallo studio che ha coinvolto 41.000norvegesi ai quali era stato asportato

Polipi al colon, il rischio cambia

un polipo nel corso della colonscopiatra il 1993 e il 2007, se il poliporimosso era uno solo e di piccoledimensioni (meno di un centimetro) laprobabilità di morire per colpa di untumore del colon era del 25 per centoinferiore a quella della popolazionegenerale. Diverso il discorso nei casiin cui durante la colonscopia venivanorimossi polipi multipli o di grandidimensioni: la probabilità aumentavadel 16 per cento rispetto al livellogenerale. “Questi risultati devonoessere letti con attenzione” spiegal’autore, “si tratta di dati ottenuti sullapopolazione norvegese che

potrebbero non corrispondere a quellidi altre nazioni diverse dal punto divista etnico”. Se però si riuscisse adefinire con certezza quali controllisono davvero necessari e quali inveceevitabili, sarebbe possibile garantirela salute dei cittadini evitando esamiinutili.

Test delle urineper scovare l’hpv

Una semplice analisidelle urine per mettere inluce la presenza del virusHPV – il papillomavirusumano – responsabile digran parte dei tumori dellacervice uterina e di altri tipi dicancro: è quanto proposto dauna ricerca pubblicata sul BritishMedical Journal. L’esame non èattualmente disponibile per lapopolazione ed è utilizzato solo a livellosperimentale, ma è molto promettente e potrebbemigliorare i risultati ottenuti con gli screening diprevenzione che oggi vedono un’adesione ancora troppobassa. Avere a disposizione un test più semplice daeseguire e altrettanto efficace è secondo gli esperti lachiave per far arrivare la prevenzione anche alle personeche per motivi culturali o personali faticano a sottoporsialla visita ginecologica oggi necessaria se si vuoledeterminare la presenza del virus. “Pap test e ricerca delDNA di HPV – i test oggi utilizzati dai ginecologi –prevedono infatti il prelievo di alcune cellule della cervicedurante la visita” spiegano i ricercatori inglesi guidati daNeha Pathak che hanno analizzato i risultati di ben 14studi sull’efficacia del test delle urine. Il nuovo test haidentificato la presenza del virus nell’87 per cento dei casi,e dà risultati falsamente positivi nel 6 per cento deicampioni in realtà esenti da infezione.

Sì agli screeningnegli anziani,senza esagerare

Gli screening oncologici, disponibili anche nelnostro Paese, sono molto importanti ai fini diriconoscere per tempo alcune neoplasie ma nelcaso di persone anziane e con un’aspettativa di vitanon particolarmente alta devono essere effettuaticon criterio, tenendo conto del rapporto rischio-beneficio. “In questi casi, gli screening possonorisultare addirittura dannosi” spiega Ronald Chendella University of North Carolina (USA) e autore diuno studio recentemente pubblicato sulla rivistaJAMA Internal Medicine. “È vero che i pazienti siaspettano di essere sottoposti agli esami discreening e può essere difficile per il medico dibase spiegare il perché tali esami non sononecessari, ma è pure vero che bisogna educareanche i medici” aggiunge l’autore che, assieme aisuoi colleghi, ha analizzato i dati di screeningstatunitensi nel periodo 2000-2010 (su oltre 27.000uomini e donne con più di 65 anni). Un altro studiopubblicato sulla stessa rivista da Frank van Heesdell’Erasmus University Medical Center diRotterdam, in Olanda, sottolinea che molte personesi sottopongono a esami di screening oncologicopiù frequentemente di quanto raccomandato dallelinee guida. Attenzione a non fraintendere: non sitratta di escludere a priori gli anziani daiprogrammi di screening, ma di eseguire solo gliesami davvero necessari evitando di creare dannied eccessi terapeutici (biopsie, interventi eccetera).

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La ricerca del virusdiventa routineDopo anni di sperimentazione, arriva il via libera all’uso del test per la ricercadel virus HPV come test di screening,con qualche accorgimento a seconda dei risultati ottenuti

PREVENZIONEIl test HPV

a cura di CRISTINA FERRARIO

La conseguenzarara di un’infezio-ne comune: così èstato definito ilcarcinoma della

cervice uterina che è legato,nella quasi totalità dei casi,alla presenza del papilloma-virus umano (HPV). I dati in-ternazionali confermano chel’infezione da HPV è moltocomune tanto che, secondole stime, il 70-80 per centodelle donne sessualmente at-tive incontra il virus almenouna volta nella vita e nellamaggior parte dei casi l’infe-zione si risolve spontanea-

mente senza provocaredanni. Ma ci sono anche casinei quali l’infezione rimanee riesce a trasformare le cel-lule cervicali fino a dare ori-gine a un tumore. La buonanotizia è che già da diversianni esistono strumentimolto efficaci per diagnosti-care queste trasformazioniprima che diventino perico-lose, primo fra tutti il Pap-test al quale oggi si affiancaanche il test HPV, frutto deicontinui progressi medici etecnologici.

UN ALLEATO SENSIBILE Il test HPV è un test mole-

colare che ha l’obiettivo di

andare a cercare sequenze diDNA del virus all’interno dicellule e tessuti. Le celluleanalizzate sono le stesse chesi utilizzano anche per ilPap-test e quindi anche lemodalità di prelievo sono lestesse: con un’apposita spato-

lina si prelevano le celluledella cervice dell’utero, inparticolare quelle dell’areadefinita giunzione squamo-colonnare, il punto di pas-saggio tra i due tipi di celluleche compongono la cervice.“Ciò che cambia è come que-

STRATEGIE DI INTERVENTO

UNO SCREENING BEN ORGANIZZATOProtocolli condivisi, indicatori e controlli di qualità,

operatori qualificati e dedicati: la prevenzione deltumore della cervice uterina dovrebbe passare attraversogli screening organizzati (definiti a livello nazionale egestiti dalle Regioni) che in Italia riguardano le donne dietà compresa tra i 25 e i 64 anni. I dati internazionali sonochiari: uno screening come quello italiano, che invitaattivamente la popolazione, sollecita le donne che nonrispondono e che prevede controlli definiti e di qualità, è ingrado di fornire una protezione più elevata di un test fattospontaneamente anche ogni anno. Eppure sono ancoramolte le donne che anziché aderire allo screeningorganizzato si rivolgono al proprio ginecologo per il Pap-test o il test HPV. Se queste donne si affidassero alprogramma di screening organizzato per la prevenzionedel tumore cervicale, di certo potrebbero ricevere unaprevenzione migliore e un’informazione più omogenea.

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coinvolto oltre 95.000 donneseguite per più di 10 anni) ein altri Paesi europei comeOlanda, Svezia e Inghilterra,che hanno dimostrato che iltest HPV ha caratteristicheche lo rendono sotto moltipunti di vista migliore delvecchio – e pur sempre effi-cace – Pap-test. “Innanzitut-to, il test HPV è molto piùsensibile del Pap-test” spiegaDel Mistro, “trova più preco-cemente campanelli d’allar-me che consentono di indivi-duarele lesioni della cervice

uterina equindi è piùp r o t e t t i v o .Un altro van-taggio nonindifferente,sia dal punto

di vista delle donne sia daquello delle autorità sanita-rie, è che grazie alla maggio-re sensibilità e alla precocitàdi individuare le lesioni, inpresenza di un risultato ne-gativo al test HPV utilizzatocome screening primario, ilcontrollo successivo vieneeffettuato dopo cinque annie non dopo tre anni comesuccede dopo un Pap-test ne-

solo i test che garantisconocon un sufficiente marginedi sicurezza di trovare ilvirus laddove c’è e di nontrovarlo per sbaglio se nonc’è (dando quindi un risulta-to falsamente positivo).

HPV TEST O PAP-TEST? Fino al 2012, in Italia l’u-

nico test di screening per iltumore della cervice uterinaera il Pap-test e il test HPVveniva utilizzato solo in pro-getti pilota, ma oggi la situa-zione è cambiata. “Il Ministe-ro ha inviatouna nota atutte le Re-gioni dicen-do che en-trambi i testsono utilizza-bili per lo screening prima-rio in donne che hanno com-piuto i 30 anni” afferma DelMistro “e molte Regioni sonogià passate o stanno passan-do a questo nuovo strumen-to”.

Il merito del cambio dirotta è da attribuire anche airisultati di grandi studi con-dotti in Italia (il più impor-tante è il Trial NTCC che ha

ste cellule vengono poi con-servate e trattate: per il Pap-test vengono posizionate suvetrini per essere osservate almicroscopio, mentre per iltest HPV vengono messe inun mezzo apposito – diversoa seconda del test utilizzato –

per essere poi analizzate inlaboratorio” spiega AnnarosaDel Mistro, responsabiledella struttura semplice Stu-dio del papilloma virus inoncologia, prevenzione e dia-gnosi dell’Istituto oncologi-co veneto di Padova. Del Mi-stro è stata anche tra i coor-dinatori del gruppo di lavoroche ha valutato quali dovreb-bero essere i test di primo li-vello (cioè quelli disponibiliper tutti) all’interno delGruppo italiano screeningdel cervicocarcinoma(GISCI), che ha riunito tuttigli esperti del settore. Oggisono disponibili sul mercatoquasi 200 test per identifica-re la presenza di HPV, ma,come precisa l’oncologa, soloalcuni sono stati convalidatiper essere utilizzati nelloscreening. “Quelli approvatiper questo uso hanno parti-colari caratteristiche, defini-te dagli esperti sulla base deirisultati degli studi clinici ein particolare vanno a cerca-re solo i tipi HPV ad alto ri-schio, con adeguata sensibili-tà e specificità clinica”. In pa-role più semplici, sono uti-lizzabili a scopo preventivo

Un cambiodi rotta

dovuto a studiitaliani

In questo articolo:screeningHPVcervice uterina

IL VIRUS GIUSTO

CHE TIPO SEI? Quando si parla di HPV non si

parla di un unico virus ma diuna grande famiglia checomprende più di 100 tipi diversidi virus. Tra questi, molti noncausano lesioni e non aumentanoil rischio di tumore della cervice.Ce ne sono 12 attualmentedefiniti come cancerogeni e sonoHPV 16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51,52, 56, 58, 59. Da non dimenticareche nel 70 per cento dei casi dicarcinoma della cervice i tipicoinvolti sono il 16 e il 18 (la cuiinfezione può essere prevenutacon i vaccini anti-HPVattualmente disponibili e utilizzatinelle campagne a invito delleragazze dodicenni).

... per saperne di più: www.airc.it/hpvtest

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14 | FONDAMENTALE | DICEMBRE 2014

PREVENZIONEIl test HPV

gativo. “Questo permette alledonne di avere un’efficaceprevenzione con un numeroinferiore di controlli e aglioperatori dei programmi discreening di dedicare le ri-sorse e il tempo risparmiatiper migliorare l’adesione aglistessi e per compiere passiavanti nella ricerca” dice DelMistro. Il Pap-test resta co-munque ancora il test piùspecifico e riesce a identifica-re le lesioni che davvero ri-schiano di progredire in tu-more e che dovranno essereseguite con maggiore atten-zione. La conclusione è che,

nonostante i dati abbiano di-mostrato una grande affida-bilità del test HPV, il Pap-testnon può ancora essere messoin soffitta, ma rimane un al-leato importante anche se siusa il test HPV.

E SE IL TEST È POSITIVO? Interpretare i risultati di

un test e scegliere come agirein seguito richiede protocollicondivisi basati su provescientifiche. Nel caso del testHPV bisogna innanzituttodistinguere tre differenti si-tuazioni in cui è dimostratala sua utilità clinica: come

test primario nello scree-ning, come test di triage (unasorta di ulteriore classifica-zione) dopo uno screeninginiziale basato sul Pap-test, einfine come test di controllodopo un intervento di rimo-zione di una lesione di altogrado (dette CIN2, CIN3 ocarcinoma in situ).

“Quando il test HPV uti-lizzato nello screening pri-mario dà un risultato positi-vo, viene letto anche il vetri-no del Pap-test” spiega DelMistro. Se il Pap test è positi-vo, si procede con la colpo-scopia e poi con le racco-mandazioni e i percorsi se-condo i protocolli in uso,mentre se il Pap-test è negati-vo, la donna viene invitata aripetere il test HPV dopo unanno. Si tratta infatti didonne che hanno contrattol’infezione senza che vi sianostate alterazioni cellulari e,nella maggioranza dei casi, cisi attende che tali infezionisi risolvano spontaneamen-te. “Se questo secondo testHPV è positivo si va alla col-poscopia indipendentemen-te dal risultato del Pap-test,mentre in caso di test HPVnegativo si torna agli inter-valli di screening standard”chiarisce l’esperta.

Nel caso in cui lo scree-ning primario sia basato sulPap-test, il test HPV ha unruolo come esame di triage.“Quando l’operatore che haanalizzato il vetrino trova al-terazioni delle cellule di si-gnificato non determinato(identificate con la siglaASC-US sul referto), il testHPV si rivela molto utile perselezionare le donne che ne-cessitano di approfondimen-ti”. In particolare, un testHPV positivo indica unamaggiore probabilità che ci

sia una lesione sfuggita alPap-test, mentre un test HPVnegativo indica che la donnaè a bassissimo rischio e puòsottoporsi ai controlli stan-dard.

Infine, nel caso di donnegià sottoposte a interventoper eliminare una lesione,un test HPV positivo a 6-12mesi dall’intervento identifi-ca con elevata probabilità ledonne a maggior rischio direcidiva che necessitano di

c o n t r o l l ipiù frequen-ti, mentreun test ne-gativo unitoa un Pap-test negati-vo permettedi tornare aintervalli dic o n t r o l l omeno fre-quenti sep-pure semprepersonaliz-zati.

Il testHPV non è

indicato per le donne conmeno di 30 anni. Questo per-ché la maggior parte delle in-fezioni da HPV nella popola-zione femminile si verificaall’inizio dell’attività sessua-le, poi il sistema immunita-rio impara a riconoscere ilvirus e a reagire. Con unesame sensibile come il testHPV, la probabilità di trovareun’infezione in una donnagiovane è molto alta, ma pro-prio queste donne vanno in-contro facilmente alla risolu-zione spontanea dell’infezio-ne e delle lesioni. Sottopo-nendo al test le donne piùgiovani si rischia quindi diandare incontro a diagnosiscorrette e a eccessi di tratta-mento.

UN RISCHIO GENERALIZZATO

OLTRE IL TUMORE DELLA CERVICEIl virus HPV può essere coinvolto anche nello sviluppo di

tumori in altri organi, con percentuali differenti. Circa il40 per cento dei casi tumori dell’area genitale – vagina,vulva e pene – è correlato alla presenza di HPV. Neitumori dell’ano la percentuale arriva anche all’80-90 percento, mentre nei tumori della regione testa-collo, inparticolare quello dell’orofaringe, in Italia si arriva al 25per cento. E in tali tumori il virus coinvolto è quasisempre il tipo 16, trasmesso attraverso i rapportisessuali orali. Al momento non ci sono screening basatisulla ricerca dell’HPV per questi tumori, ma per quantoriguarda il tumore dell’orofaringe c’è grande interessesul legame HPV-cancro. La presenza del virus sembradare a questo tumore una prognosi migliore, anche se leterapie sono le stesse nei tumori positivi e negativi altest HPV.

GeorgePapanicolau,l’inventoredel test che porta il suo nome

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VIVERE SANO

Alimenti:frutti di boscoa cura della REDAZIONE

Con il termine “frutti di bosco” vengono indicatediverse bacche che crescono soprattutto nelclima umido del sottobosco: tra i più noti, mirtil-

li neri e rossi, lamponi, ribes (anche nero), more, frago-line di bosco e uvaspina. Molte varietà crescono comearbusti spontanei nelle regioni settentrionali – peresempio l’Europa del Nord, il Canada e gli Stati Uniti,ma anche nel nostro Settentrione – ma non mancanovarietà che arrivano anche da regioni più calde.

Gustose pillole di salute e benessere

Vengono a volte chiamati anche “piccoli frutti” o“frutti minori”, ma le loro proprietà sono interessanti.Ne sapevano qualcosa già nel Medioevo, quando i mir-tilli venivano utilizzati per curare la dissenteria ederano apprezzati per le loro proprietà astringenti, toni-che e depurative. Inoltre, i mirtilli e gli altri frutti dibosco sono anche ottimi alleati nella cura di infezioni eallergie, sono un sostegno per la buona vista e hannoeffetti protettivi su cuore e vasi, migliorando la micro-circolazione che, se mal funzionante, è tra i principaliresponsabili, per esempio, del gonfiore e della pesantez-za delle gambe. E oggi i ricercatori sono in grado dispiegare gran parte di questi effetti positivi per la salu-te: i frutti di bosco sono infatti ricchi di fibre, vitaminaA, vitamina C, vitamina E e minerali come calcio, sele-nio e manganese. Ma la vera forza di questi gustosi frut-ti sono i cosiddetti composti fitochimici, in particolarei polifenoli molto importanti per il loro ruolo antiossi-dante. Pur in proporzioni diverse, tutti i frutti di boscocontengono per esempio antocianine (una classe di fla-vonoidi che danno alle bacche il loro caratteristico co-lore) ed ellagitannini (fonte di acido ellagico), oltre adaltri fenoli come quercetina e acido ferulico. E per con-vincere anche i più scettici a consumare i frutti dibosco, basta ricordare la loro capacità di influenzare l’e-spressione di geni coinvolti nell’infiammazione e nellacrescita delle cellule tumorali. I risultati di decine dianni di studi parlano chiaro. Grazie all’azione combina-ta dei loro componenti, i frutti rossi possono essered’aiuto nella prevenzione di diversi tipi di cancro: eso-fago, stomaco, colon, laringe, faringe, bocca e anchemammella.

LA RICETTAAlcuni esperti suggeriscono di consumarequattro porzioni di frutti di bosco a settimana. E dal momento che queste preziose bacchehanno proprietà benefiche per l’organismo, che variano a seconda della specie, la strategiamigliore è di consumarli tutti, magari in macedonia o in una gustosa mousse.

MOUSSE DI MIRTILLI E LAMPONI

Ingredienti per 4 persone100 gr di ricotta light50 gr di mirtilli50 gr di lamponi4 biscotti secchi grandi (meglio se integrali)

PreparazioneLavare e asciugare i frutti di bosco. Lavorare inuna ciotola la ricotta, aggiungere metà di ogni tipodi frutto e frullare il tutto. Coprire un vassoio conun foglio di cartaforno, appoggiarvi i biscotti eporre su di essi il composto. Coprire i dolcetti concartaforno e con le dita premere leggermente sulcomposto per modellarlo. Mettere in freezer percirca 1 ora e servire decorando con i frutti rimasti.

L’ARMA SEGRETA DEI PILOTI INGLESI

Durante la Seconda guerra mondiale i piloti inglesidella Royal Air Force consumavano grandi quantitàdi mirtilli prima delle missioni, soprattutto dopo iltramonto, convinti che questa piccola bacca fosse in grado di migliorare la vista in condizioni di lucescarsa. Anche se l’effetto non è così immediato, allabase di questo comportamento c’è una spiegazionescientifica: il mirtillo, ricco di vitamina A eantociani, ha un effetto positivo sul flusso di sanguea livello della retina e protegge i capillari, moltonumerosi in questa parte dell’occhio.

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La radioterapia pesante che risparmia i tessuti saniUtilizzando fasci di protoni o ioni carbonio e un acceleratore di particelle è possibile trattare alcuni tumori che non rispondono alla radioterapia classica o sono situati in posizioni difficili. Una tecnica ancora in partesperimentale ma nella quale l’Italia è all’avanguardia

NUOVE TECNOLOGIEAdroterapia

I PIONIERI

LA STORIA DEL CNAO Il CNAO è nato grazie alla collaborazione di numerosi enti italiani e stranieri: l’Istituto

nazionale di fisica nucleare, il CERN di Ginevra, il GSI di Darmstadt, le Università diMilano, Pavia e il Politecnico di Milano. Dopo la fase sperimentale, dalla metà del 2014ha ufficialmente aperto i battenti come centro di cura, su richiesta di oncologi e medicidi famiglia. A regime, curerà circa 2000 pazienti l’anno.

D’altronde l’adroterapia ha un padre italiano: Ugo Amaldi, fisico pavese che iniziò lasperimentazione nel 1991. Il centro vero e proprio fu poi istituito per volontàdell’oncologo Umberto Veronesi quando, nel 2001, ricoprì la carica di ministro dellaSanità.

Non tutte le speranze riposte nella nuova tecnica sono diventate realtà, ma per alcunipazienti l’adroterapia può fare davvero la differenza. Ecco perché le sperimentazioni nelsettore proseguono e nuove indicazioni potrebbero venire consolidate nei prossimi anni.

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non abbastanza innovativi,mentre sono adattissimi al-l’uso clinico. È il caso del-l’acceleratore utilizzato dal-l’Azienda Ospedaliera Can-nizzaro di Catania, che ap-

partiene aiL a b o r a t o r inazionali delSud dell’Isti-tuto nazio-nale di fisicanucleare. Nel

centro siciliano si curanoin particolare i tumori ocu-lari (tra i quali il melanomaoculare), una delle indica-zioni più solide per questotipo di trattamento. Non sitratta di una specializzazio-ne acquisita in tempi recen-ti, ma di un’esperienza cheha ormai vent’anni.

È in fase di aperturaanche un centro a Trento,che utilizzerà fasci di proto-ni e che impiegherà unmacchinario nuovo, men-tre da tempo c’è chi sostie-ne che anche i gli accelera-tori di particelle di Frascatie di Trieste, entrambi anco-ra in uso per la ricerca in fi-sica sebbene ormai piutto-sto “anziani” per questoscopo, possano essere inparte o del tutto dedicatialla cura dei malati.

nello di accelerazione e in-viati, con grande precisionee una potenza calcolata inanticipo, sul tessuto da di-struggere.

La precisione e la poten-za sono ledue caratte-ristiche cher e n d o n oquesta tera-pia diversadalla radio-terapia comune, la cui ener-gia distruttrice viene assor-bita, lungo la via per rag-giungere il tumore, anchedai tessuti sani circostanti.Con l’adroterapia ciò nondovrebbe accadere e l’ener-gia dovrebbe essere scarica-ta solo al raggiungimentodel bersaglio.

TECNOLOGIA “RICICLATA” “Per questo tipo di appli-

cazione non serve un sin-crotrone grande come quel-lo del CERN: ne basta unomolto più piccolo” spiegaErminio Borloni. Quello diPavia è stato costruito adhoc ma sono nati e stannonascendo in Italia diversicentri che “riciclano” picco-li sincrotroni che non sonopiù adatti alla ricerca in fi-sica della materia, perché

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a cura di DANIELA OVADIA

L’adroterapia ègiunta recente-mente alla ribaltadella cronacaquando una fami-

glia britannica, pur di sotto-porre a questa particolarespecie di radioterapia il pro-prio bambino consideratodai curanti ormai senza spe-ranza, ha sfidato la legge e loha portato via dall’ospedalee dal Paese, finendo poi peressere arrestata (e infine rila-sciata) sulla costa spagnola.Indipendentemente dai ri-svolti di cronaca e dalle con-siderazioni legate al casospecifico, rimane il fatto chein Gran Bretagna, contraria-mente a quanto accade inaltri Paesi, vi sono pochissi-mi centri in grado di fornirequesta cura. Per questo le in-dicazioni sono molto seletti-ve, spesso limitate, come nelcaso specifico, ai tumori del-l’occhio. In Italia, invece, l’a-droterapia è una realtàormai consolidata anche se èimportante non attribuirlecapacità di cura miracolisti-che: è uno strumento inte-ressante che va a completarel’armamentario a disposizio-ne degli oncologi ma non ècertamente adatta a tutti itumori.

PROIETTILI PESANTI “L’adroterapia consiste

nel bersagliare i tessuti ma-lati con protoni o con ionipesanti, per esempio di car-bonio, che si comportanocome proiettili intelligenti:raggiungono e distruggonole cellule malate, anche inzone profonde del corpo, ri-sparmiando le altre. Salvaretessuti delicati o importan-ti può migliorare radical-

mente la qualità della vitadei pazienti. Solo 35 centrial mondo però praticanol’adroterapia con protoni, esolo sei quella con ioni car-bonio. Uno di questi centrisi trova proprio qui a Pavia”spiega Erminio Borloni,presidente della Fondazio-ne CNAO (Centro naziona-le di adroterapia oncologi-ca) di Pavia che costituisceil luogo d’eccellenza per lasperimentazione di questanuova tecnica in Italia.

Per poter generare i fascidi protoni o di ioni usatiper colpire le cellule mala-te, l’adroterapia ha bisognodi una tecnologia che fino-ra veniva utilizzata solo daifisici della materia: un ci-clotrone o, meglio, un sin-crotrone, che ne è l’evolu-zione. Il modello più noto(e grande) di ciclotrone è ilCERN di Ginevra, dove èstato scoperto l’ormai notobosone di Higgs. È un gran-de anello all ’ interno delquale vengono fatti giraread altissima velocità, graziea speciali magneti, fasci difotoni, protoni o ioni fino aquando non raggiungonouna determinata velocità.Nel caso dell’adroterapia,vengono fatti uscire dall’a-

Una potenza maggiore,

una maggiore precisione

In questo articolo:adroterapiaradioterapiaCNAO di Pavia

LE INDICAZIONI

I TUMORI CURATI CON L’ADROTERAPIA Quelli che seguono sono i tumori per i quali il Ministero della salute ha attivato

protocolli per l’uso dell’adroterapia:• cordomi e condrosarcomi della base del cranio e del rachide;• carcinomi adenoideo-cistici delle ghiandole salivari;• adenomi pleomorfi delle ghiandole salivari;• sarcomi della testa e del collo;• sarcomi del rachide e del distretto pelvico;• melanomi maligni delle prime vie aerodigestive;• tumori della prostata;• meningiomi intracranici.

Non è al momento possibile trattare tumori metastatici o pazienti di età inferiore ai14 anni.

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NUOVE TECNOLOGIEAdroterapia

TERAPIA AMBULATORIALE Il centro di Pavia utilizza

ioni carbonio, più pesantidei protoni e per questo piùefficaci in alcune formemolto resistenti: uno ionecarbonio trasporta infattifino alla cellula da elimina-re l’energia di circa 12 pro-toni.

La seduta di adroterapianon è poi molto diversa daquella dellacomune ra-dioterapia: ilp a z i e n t eviene fattostendere suun lettino esottoposto a un fascio diparticelle puntate contro lamassa da eliminare. È aimedici e ai tecnici che spet-ta il compito più comples-so: calcolare in modo asso-lutamente preciso la traiet-toria delle particelle perchévadano a finire solo edesclusivamente laddove cisono cellule da eliminare.Per fare questo calcolo ser-vono strumenti di imaging(radiografie classiche maanche TC e risonanze ma-gnetiche), che vengono ri-elaborate al computer. Se lapreparazione può durarefino a 40 minuti, il tratta-mento è molto rapido: cin-que o sei minuti sono suffi-cienti. Il numero di seduteè variabile da paziente a pa-ziente e dipende anche dacome il tumore reagiscealla cura, ma può arrivarefino a 20-25. Come tutte leradioterapie, viene fattaambulatorialmente e nonrichiede ricovero. Anche glieffetti collaterali a livellolocale sono minori di quelliprovocati dalla radioterapiacon raggi X, perché c’è unaminore dispersione di ener-

gia nella fase in cui il fasciopenetra nel corpo.

“Al momento attualesono stati trattati con pro-toni circa 100.000 paziential mondo e circa 10.000 conioni carbonio” spiega anco-ra Borloni. “Il CNAO diPavia può trattare tra 1.000e 2.000 pazienti l’anno e sistima che 2.000 sia esatta-mente il numero di malati

italiani che,al momentoattuale, hauna patologiache potrebbem i g l i o r a r egrazie all ’a-

droterapia”.Benché i risultati siano

incoraggianti, la fase speri-mentale di questa tecnologianon può considerarsi deltutto conclusa e qualsiasinuova indicazione (o esten-sione delle stesse, come peresempio l’ampliamentoanche ai bambini, oggi trat-tati quasi esclusivamentepresso un centro della Re-pubblica Ceca) deve essereconvalidata da appropriatistudi scientifici di efficacia.

“In effetti esistono indi-cazioni consolidate che ri-guardano tumori difficiliper sede, per esempio quelliche originano nella base delcranio o il melanoma del-l'occhio. L’adroterapia conioni carbonio inoltre è l’u-nica soluzione per tumoriche non rispondono pernulla ai raggi X. Al CNAO,considerato uno dei centriall’avanguardia nel mondo,è in corso una sperimenta-zione che riguarda i tumoridella prostata in stadioavanzato, i tumori del pan-creas e del fegato, notoria-mente difficili da operare”conclude Borloni.

VANTAGGI E SVANTAGGI

LA DIFFERENZA RISPETTO ALLA RADIOTERAPIAL’adroterapia ha diversi vantaggi rispetto alla

radioterapia tradizionale. Ecco quali.

• Il rilascio di energia (e quindi la distruzione dellecellule) è selettivo quindi colpisce solo le celluletumorali. Il danno ai tessuti nel passaggio attraverso ilcorpo per raggiungere il bersaglio è relativamentemodesto e l’energia viene rilasciata solo nel momentoin cui la particella si ferma, con il vantaggio diminimizzare la distruzione dei tessuti sani emassimizzare quella dei tessuti malati.

• Il fascio di particelle utilizzato resta unito man manoche penetra nell’organismo e non si disperde comeaccade invece nella radioterapia classica, e questominimizza ulteriormente il danno ai tessuti sani.

• L’energia rilasciata dagli adroni provoca una granquantità di rotture nei legami chimici all’interno delDNA. Quest’ultimo ha la proprietà di autoripararsi, mase il numero di legami rotti è eccessivo perde la suafunzione, la cellula si inattiva e muore. Nellaradioterapia tradizionale il danno al DNA è invecemodesto. Nell’adroterapia che impiega ioni carbonio, ilgran numero di rotture permette di distruggere anchetumori resistenti alla radioterapia tradizionale.

In corso uno studio sui tumori

della prostata

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Domandee risposteIn che modo i farmaci mirati hanno cambiato la vita dei malati di cancro?

Icosiddetti farmaci mirati, molecole che colpiscono le celluletumorali in modo specifico, hanno cambiato notevolmente la vitadelle persone malate di cancro. Per esempio, hanno aumentato le

possibilità di tenere sotto controllo tumori che non rispondono alletradizionali chemioterapie o alla radioterapia e hanno permesso diridurre alcuni effetti collaterali delle terapie classiche, dovuti al fattoche anche le cellule sane venivano colpite dai trattamenti. In altreparole, il risultato finale consiste in un aumento delle possibilità dicura, assieme a un miglioramento della qualità di vita. Oggi sono molti itumori che possono essere trattati con questi farmaci. E i continuiprogressi della biologia molecolare permettono di conoscere sempremeglio la malattia tumorale e di identificare nuovi bersagli contro iquali disegnare terapie ad hoc sempre più efficaci. Lo dimostrano i datipubblicati sulle pagine della rivista Clinical Cancer Research: iricercatori hanno identificato due mutazioni che rendono il tumore delpolmone non a piccole cellule resistente al trattamento con il farmacoalectimib. E dopo aver compreso i meccanismi che hanno causato laresistenza, è stato possibile utilizzare con successo un altro farmacointelligente, il crizotinib.

Perché oltre alla chirurgia e alla

chemio, talvolta serveanche la radioterapia?

Sono molte le ragioni che portano il medico aprescrivere la radioterapia eventualmente incombinazione con altri trattamenti. Le cellule

resistenti ai farmaci usati possono essere sensibilialla radioterapia. La radioterapia adiuvante viene peresempio utilizzata dopo chirurgia o chemioterapia pereliminare eventuali cellule tumorali rimaste, mentrela radioterapia neoadiuvante viene utilizzata primadell’intervento chirurgico per ridurne le dimensioni erenderlo quindi più facile da asportare. Inoltre,aggiungere alla chemioterapia anche la radioterapiariduce in alcuni casi il rischio che la malattia ritorni. Èquanto dimostrato anche molto recentemente da unostudio pubblicato sulla rivista The Lancet: in aggiuntaalla chemio, la radioterapia al torace ha permesso diridurre le recidive e ha migliorato la sopravvivenza inun gruppo di pazienti colpiti da tumore al polmone instadio avanzato.

L’agopuntura può essere utilizzata neltrattamento del cancro?

L’agopuntura fa parte delle cosiddette “terapiecomplementari”, che si aggiungono quindi aitrattamenti della medicina classica ma non li

sostituiscono. Nonostante gli studi sull’argomento, fi-nora non disponiamo di prove scientifiche certe chequesta antica pratica della medicina cinese sia effica-ce nel curare il cancro, anche se ipotizziamo che possaaiutare a ridurre alcuni sintomi legati al tumore e alsuo trattamento. Si è dimostrata utile, per esempio,per contrastare il vomito legato alla chemioterapia oper ridurre il dolore o l’edema (l’accumulo di liquido) ealcuni studi suggeriscono che potrebbe anche ridurrela secchezza delle fauci legata ai danni alle ghiandole

salivari causati dalla radioterapia. Oggi inItalia esistono diversi centri neiquali è possibile sottoporsi a tratta-menti di agopuntura – in alcuni casianche in convenzione con il Sistemasanitario nazionale – che si rivelano ingenere sicuri, a patto che vengano ef-fettuati da personale medico esperto ein centri specializzati.

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a cura di AGNESE CODIGNOLA

Ipremi erogati dalla Albert andMary Lasker Foundation sonochiamati anche i Nobel america-ni della medicina. Quest’anno èstato attribuito a Marie-Clare

King della Washington University diSeattle, colei che ha identificato il geneBRCA1 e che più di ogni altra ha con-tribuito a mettere a punto il test gene-tico che ne rileva le mutazioni. Questogene, col suo omologo BRCA2, è diven-tato noto anche ai meno esperti daquando l’attrice Angelina Jolie, positi-va per la forma legata al cancro dellamammella e dell’ovaio ereditario, hadeciso di farsi asportare entrambi i seniper evitare di ammalarsi.

Approfittando della ribalta offertadal premio, King ha chiesto di amplia-re il numero di persone sottoposte altest genetico, offrendolo a tutte ledonne americane sopra i 30 anni, indi-pendentemente dal gruppo etnico diappartenenza (alcune etnie sono più arischio di altre) e dalla familiarità per ilcancro del seno, due elementi ritenutifino a oggi indispensabili per sottopor-re qualcuno allo screening.

Tutte le linee guida attuali specifi-cano infatti che vanno testate solo ledonne nate in una famiglia dove è pre-sente la malattia in forma ereditaria.

Il gene della discordiadivide gli espertiMarie-Clare King, scopritrice del gene BRCA1, ha approfittato del prestigioso premio Lasker per chiedereche lo screening genetico sia esteso a tutte le americanesopra i 30 anni. Tra gli esperti c’è chi è d’accordo, ma la realtà italiana è ben diversa

SCREENINGTest per BRCA

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Piani di interventoLa scoperta dell’associazione tra le

forme familiari di carcinoma mamma-rio e ovarico e mutazioni dei due geniBRCA, detti 1 e 2, risale a una ventinadi anni fa; da allora, tutti i centri onco-logici principali hanno organizzatoservizi per gli esami genetici e per laconsulenza e la gestione della situazio-ne in caso di esito positivo. Si trattasempre di piani di diagnosi precoce epoi di intervento terapeutico articolati,personalizzati e duraturi, dal momen-to che le donne (ma anche gli uomini)portatrici della mutazione restano a ri-schio per tutta la vita e vanno control-late strettamente, anche in caso decida-no, come Angelina Jolie, di procederealla mastectomia preventiva.

L’iter, grossomodo identico ovun-que, prevede che le persone che rispon-dono a determinati criteri siano sotto-poste ai test genetici specifici. In caso diesito positivo, le strade principali sonodue: la sorveglianza, cioè il controlloserrato, una o più volteall’anno, con strumentidiversi (mammografia,ecografia, risonanza) aseconda dell’età e dellasituazione, a partire daivent’anni circa oppure,sempre una volta raggiunta l’età adul-ta, l’asportazione preventiva dellemammelle e delle ovaie, che abbassadrasticamente il rischio (anche se nonlo annulla mai del tutto).

La scelta è della donna, la quale puòavere reazioni molto diverse, comespiega Claudia Borreani, responsabiledell’Unità di psicologia clinica dell’Isti-tuto nazionale tumori di Milano: “Ledonne che scoprono di avere la muta-zione di BRCA sono quasi sempre cre-sciute in famiglie segnate dalla malat-tia, elaborata da costoro in modo diffe-rente. Ci sono donne che rifiutano difare i test, altre che lo fanno e non riti-rano i risultati, lasciandoli alla fami-glia o nei laboratori in caso dovesseroservire in un secondo tempo, e altreche vogliono sapere. Anche per quanto

riguarda l’intervento, poi, l’atteggia-mento è differenziato: per alcune rap-presenta una sorta di via d’uscita dallostatus di potenziale malata a vita,anche se non lo è del tutto, mentre peraltre è considerato una mutilazionecui preferiscono non sottoporsi, finchénon vi sia una reale necessità. Oltrealle mammelle l’intervento completocoinvolge anche le ovaie, e con esse lapossibilità di avere dei figli, con tuttociò che questo comporta”.

Più diffusa la sorveglianza

Va detto – sottolinea la psicologa –che da quando la chirurgia plastica èdiventata così avanzata e in grado dioffrire soluzioni molto soddisfacentiper la ricostruzione, la mastectomiaviene affrontata con maggiore serenitàdalle donne, che possono ricorrervisenza dover affrontare il cambiamentodrammatico della propria immaginecorporea. Ma l’intervento resta unapratica invasiva, le cui conseguenzenon devono essere sottovalutate e ri-spetto al quale la sorveglianza può rap-presentare (e di fatto ha rappresentato

negli ultimi anni) unapratica più che accetta-bile. Anzi: il sistema,come è strutturato oggiin Europa, spinge versola sorveglianza, mentrenegli Stati Uniti, dove la

salute delle persone dipende dalla lorosituazione assicurativa, si propende unpo’ di più per l’intervento.

Per ora non sono in molti a conside-rare realistica la prospettiva delloscreening genetico su tutte le donneconsigliato dalla King anche se, secon-do le stime fatte dagli esperti USA,porterebbe, in quel Paese, all’identifi-cazione di un numero variabile tra250.000 e 400.000 donne con la muta-zione, tutte donne che ora non sannodi essere a rischio. “La mutazione faaumentare molto il rischio, ma non dàla certezza di avere un tumore” spiegaBorreani. “E le soluzioni possibili, perora, sono molto impegnative dalpunto di vista gestionale, economico epsicologico (quelle farmacologichenon sono ancora proponibili come al-

ternative realmente efficaci). In futu-ro, quando la ricerca avrà compiutoaltri passi avanti e potremo offrire alledonne positive per il test una rispostaalla portata di tutti e definitiva, po-trebbe diventare un esame di routine,ma oggi mi sembra prematuro pensar-lo”. La vicenda di Angelina Jolie, peresempio, ha segnato uno spartiacqueanche in Italia: secondo l’esperta vi èstato un aumento consistente di do-mande di test di BRCA anche in situa-zioni che non rientrano in quelle pre-viste e i centri genetici hanno difficol-tà a rispondere adeguatamente e aspiegare perché non va fatto il testquando non è il caso. In definitiva, lastoria di BRCA riflette le contraddizio-ni della medicina moderna: grandi po-tenzialità, ma anche pericolo di ecces-si, distorsioni e semplificazioni le cuiconseguenze ricadono su chi dovreb-be trarne beneficio.

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In questo articolo:BRCAcancro della mammellaprevenzione

La reazioneè personalee non esisteuna regola

“QUANDOFARE IL TEST”L’American Society for Clinical Oncologyraccomanda l’esecuzione del test quandovi sia almeno una delle seguenticondizioni:• famiglia con più di due casi di carcinoma

mammario e uno o più casi di tumoreovarico diagnosticati a qualsiasi età;

• famiglia con più di tre casi di carcinomamammario diagnosticato prima dei 50anni;

• due sorelle con i seguenti tumoridiagnosticati prima dei 50 anni:- due tumori mammari;- due tumori ovarici;- sia tumore mammario sia tumore

ovarico.

Marie-Clare King, la scienziata che ha scoperto BRCA

... per saperne di più: www.airc.it/testbrca

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a cura di CRISTINA FERRARIO

Gli anglofoni lo chiamanogenetic counselling, in Italiasi chiama consulenza on-cogenetica, ma è difficiledefinire con un solo termi-

ne il complesso percorso che va dallavalutazione del rischio oncologico allaeventuale gestione di tale rischio. Figu-ra centrale in questo percorso, unasorta di Virgilio che guida il paziente, èil genetista. “Il rischio di familiarità o

anche di ereditarietà vera e propria nelcancro esiste, ma solo in una minoran-za di casi” afferma Siranoush Manou-kian, medico genetista responsabiledella Struttura semplice Dipartimenta-le di genetica medica dell’Istituto na-zionale dei tumori di Milano, che quo-tidianamente svolge consulenze gene-tiche oncologiche. “I tumori ereditarirappresentano solo il 5-10 per cento ditutti i tumori e prima di parlare di pre-disposizione genetica è necessaria una

valutazione approfondita, che puòcomprendere anche l’esecuzione dianalisi genetiche, e andrebbe riservatasolo ai casi in cui esistano elementi chela fanno sospettare”.

Un albero genealogico“In alcune famiglie è possibile ipo-

tizzare che esista una componente ere-ditaria allo sviluppo di un determinatotumore” spiega Manoukian. “È il caso ,solo per fare un esempio, di una fami-glia nella quale ci sono più personecon tumore del seno e dell’ovaio, tutteparenti strette e che più frequentemen-te si sono ammalate in giovane età”. Seesiste questo sospetto è possibile, dopoaver consultato il proprio medico dibase o lo specialista, pensare di far ri-corso alla consulenza oncogenetica percercare di capire se davvero il rischio disviluppare quel particolare tumore èpiù alto perché legato a un’alterazionescritta nel DNA.

“Il primo incontro è molto impor-tante per diversi aspetti, anche psicolo-gici” spiega Bernardo Bonanni, diretto-re della Divisione di prevenzione e ge-netica oncologica dell’Istituto europeodi oncologia di Milano. “È lì che si fa laprima vera valutazione del rischio per-sonale andando ad analizzare la storiaclinica personale e familiare di chi siha di fronte”. E una volta stabilito chein effetti ci potrebbe essere una com-ponente ereditaria nella malattia,viene offerto il test genetico per la ri-cerca di eventuali mutazioni, cioè alte-razioni del DNA.

“Oggi esistono alcuni test che pos-sono aiutarci a comprendere se un tu-more è ereditario ma è davvero fonda-mentale che questi esami vengano pre-scritti solo quando c’è un sospetto diereditarietà e che i risultati venganoletti e commentati da persone espertecapaci di spiegare al paziente i risultatidegli esami e le strategie di prevenzio-ne possibili” commenta Manoukian,mettendo in guardia anche dai tantitest oggi eseguiti indiscriminatamentee al di fuori di un percorso di consulen-za oncogenetica, anche perché nonsempre gli esami sono in grado di for-nire risposte chiare e conclusive.

Conoscenze tecniche e psicologia per il consulente dei geniAlcuni tumori possono essere familiari, altrifrancamente ereditari. In alcuni casi, oggi è possibilescoprirlo con un test genetico che però non forniscerisposte univoche. Ecco perché servono genetistiesperti in counselling oncologico, per aiutare il pazientein un percorso di scelte complesse

PROFESSIONI PER LA RICERCAGenetista oncologo

In questo articolo:geneticaereditarietàcounselling

COME SI DIVENTA… CONSULENTE GENETISTA

Oggi in Italia le consulenze genetiche possono essere fornite, in genere al-l’interno di ospedali o di istituti oncologici, da diverse figure professionali.“È importante che chi si occupa di consulenza sul rischio oncologico abbia

a disposizione tutti gli strumenti per poter svolgere al meglio questo delicatocompito” spiega Manoukian, sottolineando come siano importanti la formazioneclinica e genetica.

Un potenziale percorso di formazione è rappresentato dalla laurea in medici-na seguita dalla specializzazione in genetica medica (oggi presente in molti ate-nei italiani), ma questa specializzazione, di per sé non basta:“Un bravo genetista che per tutta la vita si è occupato didiagnosi prenatale magari non è in grado di gestire il ri-schio oncologico che non conosce a fondo”.

Esistono inoltre figure che possono acquisire una com-petenza in genetica medica e affiancare il medico geneti-sta, attraverso master specifici sul counselling e corsi diapprofondimento dedicati. La Società italiana di genetica

umana (http://www.sigu.net/) – che ha istituito anche ungruppo di lavoro in genetica oncologica – mette a dispo-

sizione informazioni sull’argomento.

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Solo scelteconsapevoli

Una consulen-za oncogenetica èmolto diversa dauna classica visitadi controllo. Saperedi avere una mutazio-ne che aumenta il rischiodi sviluppare un tu-more è un’informa-zione delicata dagestire con cura,ed è per questomotivo che unodei principalicompiti di chisi occupa dellaconsulenza è for-nire informazionichiare ed esaurienti chepermettano al paziente discegliere al meglio. E perpoter far questo sononecessarie competenzein genetica oncologicama anche attenzionealla persona. “Tra i nostripazienti c’è anche chi decidedi non voler sapere di più e quindi dinon sottoporsi al test” conferma la ge-netista, che sottolinea quanto sia im-portante non imporre mai nulla, maaiutare e accompagnare ogni singolapersona nel percorso di scelta. Ed eccoallora che, anche in caso di un risultatopositivo che indica un rischio alto,deve essere il paziente a scegliere. Leopzioni sono diverse, dall’interventochirurgico per rimuovere a scopo pre-ventivo un organo che potrebbe am-malarsi (seno, ovaio eccetera) alla scel-ta di seguire un programma di control-li ravvicinati nel tempo. “E diverse pos-sono essere le scelte, legate all’età, alleaspettative e ai progetti di vita, al vissu-to familiare e a tante altre ragioni pro-prie” chiarisce Manoukian. “Ma comeemerge dagli studi, se la scelta è consa-

pevole, dif-ficilmente unapersona se nepente”. L’importante èche il genetista trasmettaun messaggio chiaro: non sieredita il tumore, ma solo, even-tualmente, un maggior rischio disvilupparlo. “Sapere di essere predi-sposti non significa che sicuramente cisi ammalerà di un tumore del seno odell’ovaio, bensì che davanti a un ri-schio più alto di ammalarsi si possonoavere degli strumenti per proteggersi”conclude Manoukian.

... l’articolo continua su: www.airc.it/genetistaoncologo

Preparazionescientifica

e competenzein psicologia

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Il cibo benzina per le cellule, anche per quelle tumoraliGli alimenti che portiamo in tavola ogni giorno influenzano il metabolismo generale dell’organismo e, più in dettaglio, quello delle celluletumorali con modificazioni anche a livellodel DNA. Lo ha spiegato Antonio Moschettadurante la AIRC lecture a Venezia

THE FUTURE OF SCIENCEAlimentazione e cancro

a cura diCRISTINA FERRARIO

Un incontro percercare di stimo-lare la curiositàscientifica che èalla base di tutte

le più grandi scoperte, inclusequelle che ci stanno aiutandoa rendere il cancro una malat-tia sempre più curabile. CosìAntonio Moschetta ha defini-to il suo intervento in occasio-ne della AIRC lecture che si ètenuta nell’ambito della X edi-zione della conferenza “TheFuture of Science”, a Venezia.E a giudicare dalle reazionidei tanti studenti presenti, ilricercatore – professore asso-ciato di Medicina internapresso l’Università Aldo Morodi Bari – è riuscito a raggiun-gere il suo obiettivo, parlando

in maniera precisa ma sempli-ce di un argomento tantocomplesso come il metaboli-smo tumorale e in particolaredel legame della malattia conobesità, ormoni, nutrienti,geni e metabolismo.

DAL PIATTO ALLA CELLULA“I nutrienti entrano in noi,

agganciano il nostro DNA eci cambiano dall’interno”.Parte da questa frase la descri-zione del legame tra alimen-tazione e sviluppo dei tumo-ri, focalizzata su una partico-lare famiglia di molecole, ifattori di trascrizione definiti"recettori nucleari", proteine“appoggiate” sul DNA secon-do codici precisi e che rap-presentano una sorta di in-terruttore capace di accende-re e spegnere i geni. È l’epige-

netica, una nuova disciplinanata proprio in anni recentiper analizzare la relazione trageni e ambiente, che si occu-pa di studiare questi mecca-nismi di regolazione.

“Il primo di questi inter-ruttori fu il recettore dei glu-cocorticoidi, scoperto nel1985, e da allora sono staticompiuti enormi passi avantiin questo campo, tanto cheoggi conosciamo nel detta-glio qualigeni sonoin grado dir e g o l a r em o l t edelle so-stanze cheassumiamo attraverso il cibo,per esempio la vitamina D,gli acidi grassi eccetera” spie-ga il ricercatore.

Studiare il metabolismotumorale significa proprio ca-pire quali sono gli interrutto-ri dei geni, quale energiausano le cellule per crescere echi porta loro questa energia;significa studiare anche il mi-croambiente che circonda iltumore e capire cosa lo rendefavorevole o sfavorevole allosviluppo della malattia. Alcentro di questo complesso si-stema si colloca l’adipocita, la

cellula adi-posa, e inparticolarequella chesta all’in-terno delnostro or-

ganismo e va a formare il co-siddetto grasso viscerale, di-verso sotto tanti punti divista da quello più superficia-

In questo articolo:obesitàcancro epigenetica

Oggi conosciamonel dettaglio

i geni regolatoridella nutrizione

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Date queste premesse, èpiù semplice comprendere ilconsiglio degli esperti cheraccomandano di scegliere icibi giusti (frutta, verdura,cibi poco raffinati eccetera)e di fare movimento. Manon basta. Bisogna fare at-

t e n z i o n eanche all’o-rologio, dalm o m e n t oche i cibi adalto conte-nuto di zuc-

cheri consumati la seraprima di andare a dormire,quando il metabolismo è piùlento e non è previsto ungrosso consumo di energia,non sono utilizzati dai mu-scoli ma vanno al fegato,dove si trasformano in grassiche aumentano il giro vita.Come spiega Moschetta: “Percena è meglio portare in ta-vola proteine vegetali efibre, lasciando i carboidratiper il pranzo”.

sono particolarmente ghiotte.“Quando mangiamo cibimolto ricchi di zucchero e chealzano la glicemia – per esem-pio tutti i cibi troppo raffinati– il tumore fa il pieno di ben-zina. Assumendo questi cibi,che in genere hanno un altoindice glice-mico, spin-giamo il no-stro pan-creas a pro-durre insu-lina, unamolecola che serve a mante-nere sotto controllo il livellodi glucosio ma che quando ètroppo alta rappresenta unfattore di crescita per il tumo-re” spiega il ricercatore pu-gliese. “L'insulina inoltre in-duce la trasformazione di glu-cosio in grassi e partecipa allacrescita del tessuto adiposocon l'aumento delle molecolepro-infiammatorie, che rap-presentano un’ulteriore rega-lo al tumore”.

DICEMBRE 2014 | FONDAMENTALE | 25

le – e in un certo senso più pe-ricoloso. “Gli adipociti hannoun ruolo importantissimonell’indurre modifiche a livel-lo del metabolismo dei grassi,degli ormoni – in particolaredegli estrogeni – e delle mole-cole pro-infiammatorie” spie-ga Moschetta, che sottolineacome l’obiettivo finale deglistudi sul metabolismo del tu-more sia l’identificazione dinuovi bersagli contro i qualicostruire terapie mirate.“Credo che non ci libereremomai dal rischio di sviluppareun tumore” afferma il ricerca-tore, “ma sono certo che arri-veremo a convivere con esso,a diagnosticarlo in tempo, aprevenirlo e a curarlo comeavviene già in molti casi. Lanutrizione da sola non basta araggiungere questi ambiziosi

traguardi, ma di certo ha unruolo fondamentale insiemealle terapie strumentali e far-macologiche”.

ATTENZIONE A ZUCCHERI, INSULINA E…ALL’OROLOGIO

Come si traducono in pra-tica gli studi sul metabolismotumorale? Oggi è noto chetutte le fasi della malattia tu-morale dipendono in misurapiù o meno ampia da ciò chemangiamo. Gli attori protago-nisti sono sempre lo zucchero(glucosio in termini più tecni-ci) e l’insulina. “Se mangiamomale, offriamo al cancro lapossibilità di crescere più ve-locemente perché gli fornia-mo la benzina di cui ha biso-gno: glucosio per produrreenergia e insulina per prolife-rare” dice Moschetta. Il tumo-re ha bisogno di energia percrescere e questa energia la ri-cava soprattutto dallo zucche-ro di cui le cellule tumorali

RICHARD E. WEITZMAN MEMORIAL AWARD

UN PREMIO A STELLE E STRISCE ALL’ECCELLENZA ITALIANA Ancora una volta la comunità scientifica

internazionale ha premiato la ricercaitaliana. La Società di endocrinologiastatunitense lo scorso giugno ha infattiassegnato proprio ad Antonio Moschetta ilprestigioso Richard E. Weitzman MemorialAward, un premio che – come si legge sul sitoufficiale della società endocrinologica USA –viene conferito a “un giovane ricercatoreeccezionalmente promettente”.

“Sono davvero molto felice di aver ottenutoquesto riconoscimento per il mio lavoro in uncampo ancora tutto da esplorare, ma di certofondamentale per comprendere i meccanismiche regolano lo sviluppo e la crescita del cancro” afferma il ricercatore. “E sono particolarmente orgoglioso di aver avutola possibilità di portare avanti i miei progetti nel mio Paese, soprattutto grazie alla fiducia e alle opportunità che AIRC mi ha offerto”.

Anche il tumoreha bisogno di energia

per crescere

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NOTIZIE FLASH della ricerca AIRC

Tumori delle vie biliari,partiamo dai geni

Un team di scienziati, guidati da Aldo Scarpa eGiampaolo Tortora dell’Università degli studi di Verona, haidentificato i geni la cui mutazione è responsabiledell’insorgenza di gran parte dei tumori delle vie biliari. Lascoperta potrà consentire di classificarli meglio e distudiare possibili terapie mirate.

Fonte: Nature Genetics

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Progressi

Tutte le vie di Myc C’è un gene, chiamato Myc, che produce una

proteina coinvolta nella regolazione di altri geni, inparticolare nelle cellule tumorali. Il ruolo di Myc nelrendere i tumori più aggressivi è noto da anni, ma nonera chiaro quale fosse il meccanismo attraverso cui ciòaccade. Uno studio pubblicato sulla rivista Nature, una delle più prestigiose, e condotto da ungruppo di ricercatori dell’IIT di Genova edell’IEO di Milano, guidati da Bruno Amati,direttore del Centro di scienze genomichedell’IIT, ha potuto seguire l’evoluzionedella malattia e le sue basi molecolariin un modello animale in un modo che non sarebbe stato possibilenell’uomo. I dati raccolti apriranno lastrada alla messa apunto di nuoveterapie.

Fonte: Nature

Un nuovo gene da tenere d’occhio

Ad aumentare il rischio di ammalarsi di tumoreal seno non sono solo i geni BRCA 1 e 2, i più noti eindagati, ma anche il gene PALB2. Lo dice uno studiointernazionale a cui hanno contribuito sia l’INT sial’IFOM di Milano, sotto la supervisione rispettiva diPaolo Radice e di Paolo Peterlongo. Studiandofamiglie con alta prevalenza di questo tumore, iricercatori hanno scoperto che la presenza dimutazioni in PALB2 porta, sotto i 40 anni, a un rischiorelativo di ammalarsi otto-nove volte maggiorerispetto al resto della popolazione e di sei-otto voltetra i 40 e i 60 anni. Oltre questa età il rischio scende,ma è pur sempre cinque volte superiore a quellodella popolazione generale. La presenza del gene nonsignifica certezza di ammalarsi ma potrebbe essereutile per prescrivere controlli più serrati.

Fonte: New England Journal of Medicine

Il punto debole del cancro del colon

Tra le cause genetiche del tumore al colon c'è lamutazione di un gene, chiamato APC. Il modo in cuiquesto difetto scateni la trasformazione tumorale nonera finora conosciuto. La questione si è chiarita grazie airisultati della ricerca condotta da un gruppo di scienziatidell'Università di Padova guidato da Stefano Piccolo. Al cuore di tali meccanismi, due geni, YAP e TAZ, chevengono attivati quando viene mutato APC, insieme adaltre complesse interazioni molecolari. Moltitrattamenti anticancro falliscono non perché sianoinefficaci, ma perché comportano livelli inaccettabili ditossicità. L'importanza di questo studio consiste nellascoperta di un possibile marcatore, vero e proprioTallone d’Achille del cancro del colon, che non è invecepresente nelle cellule sane.

Fonte: Cell

... altre ricerche su: www.airc.it/ricerche-airc

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a cura della REDAZIONE

La fine dell’anno è il momen-to per fare i nostri bilanci,ma è anche l’occasione perguardare al futuro e iniziarea organizzarsi per le prossi-

me tappe, i prossimi traguardi.Molti di voi staranno già pensando

a eventi fondamentali come il matri-monio, la nascita di un nuovo arrivato,la laurea, un anniversario, una ricor-renza speciale. Così come hanno giàfatto Matteo e Sara che per il loro ma-trimonio hanno scelto le bombonieresolidali in modo da coniugare il tradi-zionale cadeau al fine di sostenere la ri-cerca sul cancro. Ora che hanno avutoil piccolo Alessandro, i due neogenito-ri pensano di ripetere il gesto per il suobattesimo.

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28 | FONDAMENTALE | DICEMBRE 2014

Tra Milano e Singapore si studia la cellula in movimentoUna ricerca interdisciplinare, che coniugala biologia di base, la microscopia etecniche di microingegneria, ha permessodi scoprire un gene chiave nellaregolazione del movimento delle cellule:un processo essenziale per le metastasi e per le cellule staminali

IFOM - ISTITUTO FIRC DI ONCOLOGIA MOLECOLARECollaborazioni internazionali

a cura della REDAZIONE

All'origine dellam i g r a z i o n edelle cellule edelle strategieche esse adotta-

no per proteggere l'integri-tà del genoma c'è una qua-lità specifica: la plasticitàcellulare.

I meccanismi molecolarialla base della plasticitàdelle cellule sono ancora ingran parte misteriosi, mafondamentali per la com-

prensione del cancro, datoche senza movimento cel-lulare i tumori non potreb-bero diffondersi nell’orga-nismo.

Una ricerca interdiscipli-nare condotta da IFOM, l’I-stituto FIRC di oncologiamolecolare di Milano, e dal-l’Università degli Studi diMilano, in collaborazionecon la National Universityof Singapore e con il DanishCancer Society ResearchCenter di Copenaghen, ha

individuato in ATR – ungene che funge da sensoreper la difesa del DNA e che èanche oncosoppressore(cioè capace di bloccare imeccanismi di degenerazio-ne tumorale) – il motoredella plasticità della cellula,cioè della sua capacità diavere una struttura suffi-cientemente elastica da per-mettere la migrazione. Unruolo del tutto inatteso cheha portato auna pubbli-c a z i o n esulla presti-giosa rivistaCell. La sco-perta è frut-to di un’attività davveromultidisciplinare, ottenutanei laboratori di IFOM gra-zie all’abbinamento di unatecnica avanzata di micro-scopia, di applicazioni di in-gegneria meccanica e dielettrofisiologia.

UN RUOLO INEDITO ATR ha un ruolo essen-

ziale: avverte il danno alDNA e attiva P53, il genedefinito “guardiano del ge-noma” proprio perché pre-serva la stabilità del nostropatrimonio genetico attra-verso la prevenzione dellemutazioni, e quindi dei tu-mori.

La ricerca pubblicata suCell mette però in luce un

ruolo deltutto ineditodi ATR: “La-vorando suATR damolti annia v e v a m o

sempre l’impressione cheavesse una qualche funzio-ne nella cellula anche incondizioni normali, anchesenza danno al DNA. Appli-cando quindi tecniche diingegneria, abbiamo notatoche ogni volta che le nostre

L’obiettivo è bloccare

le passeggiatedelle cellule

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Studi di Milano, e mecca-nobiologi, come G.V. Shi-vashankar, responsabiledel nuovo gruppo di ricer-ca che abbiamo avviato incollaborazione con la Na-tional University of Singa-pore. Il risultato è quindi ilfrutto di una reale intera-zione fra diverse discipline,di cui IFOM è fautore daanni” conclude Foiani.

Lo studio, durato seianni, è stato possibile gra-zie al sostegno, tra gli altri,anche di AIRC.

vengono attivate.Questo è l’aspetto speri-

mentalmente innovativodella ricerca e per realizzar-lo abbiamo coinvolto, oltrea J ir i Bartek del DanishCancer Society ResearchCentre di Copenaghen,esperto di cancro, alcunepersone con competenzeapparentemente lontanedalla nostra, costituendoun team realmente interdi-sciplinare con elettrofisio-logi, come Michele Maz-zanti dell’Università degli

cellule subiscono unostress meccanico, prove-niente dal nucleo o dall’e-sterno della membrana,ATR è capace di avvertirecome un diapason questevibrazioni e si attiva imme-diatamente posizionandosisulle mem-brane nu-cleari e ren-dendo plasti-ca la cellulaper tutelarladallo stress”spiega Marco Foiani , re-sponsabile del Programmadi stabilità genomica diIFOM e coordinatore dellaricerca.

LE RISPOSTEALLO STRESS MECCANICO

Questo gene, e la relati-va proteina, avrebberoquindi un ruolo chiave nelmodulare la plasticità dellacellula, caratteristica rile-vante sia durante lo stressmeccanico sia durante ilprocesso di migrazione,come nel caso delle meta-stasi.

Per invadere i tessutianche distanti la cellula tu-morale adotta varie strate-gie, ad esempio deforman-dosi tutta, nucleo incluso,per passare attraverso gliinterstizi più stretti. Que-sta capacità dipende pro-prio da ATR, che potrebberivestire paradossalmenteil doppio ruolo di protetto-re della cellula e, al tempostesso, di motore della dif-fusione tumorale, agevo-lando le metastasi.

Ma non è tutto. Dalla ri-cerca emerge un altroaspetto inatteso, che po-trebbe avere delle implica-zioni sempre nell’ambito

della ricerca sul cancro: sisa che le cellule staminalisono molto plastiche e di-ventano sempre più rigideman mano che si differen-ziano. Si sa anche che ilgene ATR è, in queste cellu-le, molto attivo e potrebbe

essere all’o-rigine dellerecidive chec o m p a i o n odopo le curecon chemio-terapici. “Il

nostro studio mette in luceun probabile rapporto dicausa-effetto tra il grado diattivazione di ATR e la pla-sticità delle cellule stami-nali. Approfondiremo que-sto aspetto studiando anco-ra ATR nell’ambito del co-siddetto differenziamentocellulare” spiega Foiani.

METODI DI INDAGINEINNOVATIVI

Alla base dello studio viè stato un cambiamento diprospettiva nel metodo diindagine: “Ci siamo postiuna domanda insolita: nonsolo il ‘cosa’, il ‘perché’ e il‘quando’ del processo mo-lecolare controllato daATR, ma soprattutto i l‘quanto’, concentrandocisulla quantificazione deiprocessi biologici e misu-rando le forze che in essi

In questo articolo:motilità cellulareSingaporeinterdisciplinarietà

La scoperta è frutto

di un cambio di prospettiva

IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare che svolge attività scientificad’avanguardia a beneficio dei pazienti oncologici è sostenuto da FIRC, Fon-dazione italiana per la ricerca sul cancro, attraverso lasciti testamentari.

“UN NUOVO LAB A SINGAPORE”Nel maggio del 2014 è nata una nuovacollaborazione tra l’Istituto FIRC dioncologia molecolare (IFOM) di Milano e ilMechanobiology Institute (MBI) dellaNational University of Singapore che hapermesso la nascita di un laboratoriocongiunto sotto la direzione di G.V.Shivashankar, vicedirettore dell’MBI.L’obiettivo è di sviluppare un approccio

interdisciplinare nella ricerca sul cancro,attraverso il potenziamento della biologiamolecolare con tecnologie e metodisviluppati in campi come la matematica, la fisica, l’ingegneria e la biologiacomputazionale. Il laboratorio siconcentrerà sulla comprensione deimeccanismi molecolari che guidano la formazione e lo sviluppo dei tumori.

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IL MICROSCOPIO

Un raccolto di qualitàché i fondi non sono sufficienti. Forse daquell’idea poteva scaturire la soluzione giu-sta per alcuni pazienti ancora in attesa diuna cura.

I nostri finanziamenti offrono anche di-verse opportunità ai ricercatori che voglionorientrare in Italia dopo una preziosa espe-rienza all’estero, al termine della qualespesso ricevono eccellenti proposte per re-stare. Non pochi motivano la decisione di-cendo che si sentono in dovere di dare uncontributo allo sviluppo scientifico del loroPaese che ha dato loro la possibilità di for-marsi.

Per questo siamo così attenti ai giudiziche i nostri revisori danno a ciascun proget-to e sottoponiamo quelli che hanno ricevutopareri discordanti a una seconda tornata divalutazione. Se due revisori su tre hannodato un giudizio ottimo e il terzo ha sollevatodelle perplessità è possibile che la minoran-za si sbagli, ma è anche possibile che il giu-dice più severo sia stato l’unico a riscontrareun errore o una valutazione eccessivamenteottimistica. A dirimere questi casi (per fortu-na piuttosto rari) è un “arbitro” che si occu-pa di tirare le fila dei giudizi e di capire ilperché delle differenze.

L’impegno dei nostri donatori da un lato eil nostro impegno per far sempre prevalerela meritocrazia dall’altro – che si tratti delgiovane che applica per uno Start-up grant,per un My first AIRC grant oppure di un ri-cercatore ormai consolidato che richiede unInvestigator grant – sono gli ingredienti cheportano al successo. E al raccolto di AIRC:non vini pregiati, ma terapie e strumenti didiagnosi precoce per allungare la vita di chisi è ammalato di cancro.

L’autunno è tempo di vendemmia enoi che ci occupiamo della vigna diAIRC tiriamo le somme sugli oltremille progetti di ricerca, in parte già

in corso e in parte nuovi, che hanno bisognodi un finanziamento. Dal severo processo divalutazione meritocratico a cui vengono sot-toposti i progetti nuovi, ogni anno emergonoi migliori.

È accaduto anche quest’anno e possiamogià trarre un primo bilancio. Ogni nuovo pro-getto proposto è stato valutato da un trio diesperti di livello internazionale. Ogni valuta-tore ha dato il suo punteggio, la cui sommaha permesso di classificare le domande incategorie: ottimo, eccellente e molto buonosono le tre migliori, che meriterebbero diessere tutte finanziate sia pure con prioritàdiverse. Purtroppo non è stato possibile: ilnumero di ricerche meritevoli supera le ca-pacità di finanziamento di AIRC e ciò mal-grado il grande sforzo di donatori e sosteni-tori che non è venuto a mancare anche inquesti tempi difficili per tutti.

È paradossale, ma forse è anche un frut-to delle strategie di AIRC e di tutti voi che nesostenete la missione: in questi anni abbia-mo contribuito in modo consistente a finan-ziare la ricerca oncologica in Italia e ciò hafavorito lo sviluppo di una classe di scienziatisempre più bravi, esperti e competitivi a li-vello internazionale. La scuola oncologicaitaliana è cresciuta e ha prodotto giovani ri-cercatori pieni di entusiasmo, preparazionee intuizione.

Ma tutto ciò ha un prezzo: sostenere imeritevoli richiede ancora più sforzi. Nienteè più difficile per noi che dire di no a un ri-cercatore che ha avuto una buona idea, per-

direttore scientifico AIRCMaria Ines Colnaghi

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I SUOI AUGURI ARRIVANO DRITTI AL CUORE. ANCHE DELLA RICERCA.Questo Natale scelga i biglietti e le e-card della nostra Associazione: tante idee originali per inviare ai suoi cari un augurio che va oltre il semplice pensiero, perché aiuta la ricerca a rendere il cancro sempre più curabile.

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