Orwell (13.10.2012)

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    I LI L FF U T U RU T U R OO H AH A R A DR A D I CI C II A N T I C H EA N T I C H E

    www.pubblicogiornale.it SABATO 13 OTTOBRE 20 1 2DIRETTORE LUCA TELESE - A CURA DI CHRISTIAN RAIMO

    diGIUSEPPE GENNA

    Arbasino: Non occorre esser vati per accorgersiche una societ si sf ascia: sivede. Euna percezione diffusa, come per i cambiamenti clim atici. Non pi soloun sentimento civile. Questo scorcio di Paesaggi italiani con zombirisale aquindici anni fa: lItalia era gi allo sfascio? allo sfascio da sempre per il discorsoche lo scrittore pronuncia. Quale discorso pu fare oggi sullItalia uno scrittore?Egli ne eseguir uno sospetto, ne va della sua tradizione: si lamenta.Oggi il carattere nazionale fuori uso, armamentario che la retorica patriottar-da si mangiata, sprecando una chance educativa che giunge sino alla mia ge-nerazione (i nati prima del 1975). La sinistra e i cattolici manute ngono una solidaconcordia dei piccoliitaliani circa i valori dellunite dellantifascismo, tuttavianon prevedono quanto Enrico Berlinguer mutuava dal radicale f rancese Ser-vant Schreiber. Nel suo La sfida americanaveniva preconizzata laccele razioneverso unsistema cibernetico di network, omogeneo al sistemadistributivo di

    qualunque merce o valore distribuzione destinata a mutarela natura stessadella merceo del valore (mettiamo, per esempio, il valore della nazionalit).Anzich preparare a un futuro imminente e tanto diverso, le maestre elementa-ri fanno spremere gli inconsci agli scolari dellamia generazione sullaBombaAtomica - che non esploder - e su un fotomontaggio di Robert Capa - anzichportare gli allievi dal vivo in Val dOssola. Inizia proprio dalla celebrazione astrat-ta del miliziano spagnolo la demitizazzione delleroe resistente, che deflagraquando annichilito lo humus culturale su cui fare crescere qualunque mitolo-gia: dagli Ottantain poi. Si volta pagina, ma non secondo le aspettative di Gio-vanniPellegrino, gi presidentedella Commissione parlamentaresu stragi eterrorismo:Abbiamo vissutoin unasituazione diguerracivilerimasta alungoqui esciente, e poi riaccesa di colpo nello scontro sociale che infiamm gli anniSettanta. Prendiamone atto, voltiamo pagina. una lettura semplice, se nonsemplicistica.Per i passisono statidiversi, aldi ldel fantasmadellaguerracivile mai sopita. Trentanni dopo il suo rapimento, il 68% degli studenti non sachi sia Aldo Moro forse eraun pittore. Oggigiorno non c filtro a separare iquadranti ideologici,dunque, si vive in uno spensierato revisionismo a cui sa-rebbero gli intellettuali adovere resistere ma gli intellettuali resistentinonhanno pi facolt di discorso. stata la narrazione stessa a levare loro questafacolt. Anzitutto la narrazione berlusconiana dellItalia, che ha equalizzato tut-ta la realt in uno spettacolo inverosimile. lamnio in cui cresce lindifferenza al

    potere della verit delle parole, degli atti, delle relazioni. Ilfascismo televisivonon altro che una tappa adatta a fare s che si depositino fenom eni irrazionaliscambiati perrealt effervescentie del tuttoverisimili, a uso e consumo dellementi italianea venire. Si vissuta la comparsa di lucciole g eneticam entemodificate, il che vanifica e verifica al contempo lanalisi antropologica di Paso-lini. (SEGUE A PAGINA II)

    UN PAESE ALLO SFASCIO

    Italia zombi

    Q U A N DERAVAMO STRONZI

    151 anni neri

    Site specific_VENEZIA 09 dalla serie site specific_03 12 cm 111x146,1 stampa inkjet ai pigmenti su carta cotone

    di ALESSANDRO LEOGRANDE

    Ci sono delle vecchie immagini girate da Luca Comerio,

    uno dei pionieri del documentarismo italiano, nella Piazza

    del Pane a Tripoli nel 1911. La camera indugia sul via vaidei nostri militari in divisa che si affollano lungo la strada,

    poi l'inquadratura si allarga ed entra in scena un patibolo.

    SEGUE A PAGINA II

    BUSI MEGLIO DELLI TALI A

    Il gran rimosso

    di NICOLA LAGIOIA

    Ogni volta che il nome di Aldo Busi conquista l'onore dellecronache (ultima: la restituzione di 200mila euro a Giuntiper la risoluzione di un contratto chiesta dallo scrittore per"manifesta incompatibilit manageriale e fattuale e pro-mozionale tra le parti"; quindi laccordo con Dalai)...

    SEGUE A PAGINA IV

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    IIS A B AT O

    13 OTTOBRE 2012

    GLI ECCESSI DEL CONTEMPORANEISMO

    Possiamo sbarazzarci

    dei classici italiani?

    IL NOSTRO COLONIALISMO

    Italiani brutta gente

    (segue dalla copertina)Almeno venti arabi, tutti uomini, pendono irrigiditi con un cappio al collo.Sono stati da poco impiccati. Chi ha mai visto queste immagini di Comerio(riprodotte per pochi seco ndi in un vecchio film di Cecilia Mangini, Lino DelFra e Lino Miccich, All'armi siam fascisti!, recentemente ripresentato indvd da Raro Video)? Quanti studenti di storia contemporanea sanno a co-sa rimandano? Immagino pochissimi. La loro rimozione dalla memoriacollettiva direttamente proporzionale alla rimozione del colonialismo inAfrica e nei Balcani. Un inspieg abile, lungo buio. Un lento, carsico lavorioche via via ha espunto le pagine nere d ella nostra storia recente, e creato ilmito infondato degli italiani brava gente. Boris Pahor ne ha scritto a lun-go nella sua recente autobiografia, Figlio di nessuno (Rizzoli). Il totalitari-smo fascista, direttamente o indirettamente (tramite, ad esempio, il ducecroato Ante Pavelic), ha mietuto per molti anni migliaia di vittime: uomini,

    donne, bambini,

    serbi, zingari, musulmani, ebrei, e oppositori al regimedegli ustascia. stata una mattan za che avuto i suoi burocrati, i suoi ge-rarchi, i suoi esecutori. Una mattanza non inferiore alle nefandezze dei na-zisti, senza la quale impossibile comprendere le recrudescenze del con -fine orientale in anni successivi. Senza trovare una risposta plausibile,Pahor ritiene inammissibile che nella letteratura postbellica italiana nonsi accenni alla vera importanza del fascismo nell'Europa della Secondaguerra mondiale, cercando invece di minimizzare il ruolo.Perch tanto silenzio? Perch tanto silenzio non riguarda solo la Jugosla-via o l'Albania, ma anche l'Africa italiana? Come per il confine orienta-le, anche per la riva sud del Mediterraneo so no rari i libri come quelli diAngelo Del Boca (I gas di M ussolini, A un passo dalla forca, La guerra d'E-t iopia, Italiani brava gente?) in cui si raccontano le nostre im pres e perci che sono state, cio veri e propri atti di genocidio: bombardamenti diquartieri civili, uso di armi chimiche, deportazio ni di massa, creazione dicampi di concentramento. E allora non sorprende che nell'Italia del 2012sia passato sotto silenzio la costruzion e, con soldi pubblici, di un mausoleoin onore di Rodolfo Graziani, il governatore generale di Libia, il vicer diE ti opi a, pi noto presso gli arabi come il macellaio del Fezzan, e che adaccorgersene e a indignarsi siano sta ti solo in pochi. Cos come non sor-prende che il film di Mustafa Akkad sulla vita del leader anti-colonialistalibico Omar al-Mukhtr, Il leone del deserto (con Anthony Quinn come

    protagonista), sia rimasto vittima di censura per circa trent'anni perchlesivo dell'onore dell'esercito italiano. Per la cronaca, la censura caddesolo dopo la celebre visita di Gh eddafi a Roma nel 2009, quella in cui piaz-z la sua tenda a Villa Pamphili: per l'occasione venne proiettato su Sky.Sembra passato un secolo...Questo negazionismo strisciante, oltre a creare una memoria del Nove-cento del tutto edulcorata, ci impedisce di cogliere le forme di neocolonia-lismo che ritornano, alimentando per giunta il nostro innato provincialismo.

    ALESSANDRO LEOGRANDE

    diMATTEO DI GES

    Un classico un libro che non ha mai finito di dire quel che hada dire. Ogni tanto accade l'incresciosa evenienza per cui la ci-tazione di circostanza, che dovrebbe ratificare una tesi, servapiuttosto a negarne i presupposti, ribaltandola e rivelando lafondatezza del suo contrario. Probabilmente la celebre senten-za calviniana, che, come un meccanismo a molla, scatta ineso-rabile a suffragio di qualche ciarla mondana sull'irrinunciabilenecessit di leggere (di rileggere, ci mancherebbe) i classici,rientra in questa casistica. possibile, insomma, che invece iclassici, specie quelli italiani, abbiano finito di dire quello cheavevano da dire, quantomeno per ora.Sembrerebbero perpetuarsi, a dispetto dei tempi e dei costumi,e le notizie editoriali parrebbero confermarlo: una sontuosa rac-colta Utet fresca di stampa, curata magistralmente da CarloOssola, Letteratura italiana. Canone dei classici, per la libreriadel salotto; una collana Bur di classici italiani, edita in collabora-

    zione con l'Associazione degli Italianisti, con nuovi commenti eapparati aggiornati, per lo zainetto. Libri che per permangonosullo scaffale come un complemento d'arredamento o duranoin borsa il tempo di preparare l'esame di Letteratura italiana I.Sarebbe pure un fenomeno collaterale, nel lento collasso dellanazione, ma resta il fatto che la nazione stessa abbia contrattocon la propria tradizione letteraria un debito fondativo: se l'Italia un'invenzione letteraria, la marginalizzazione della sua let-teratura dovrebbe riguardare una cerchia pi estesa degli ultimiclienti della rateale Einaudi.L'ultima apertura al pubblico del Sacrario della Letteratura Na-zionale, in occasione del Centocinquantenario, d'altro canto, haavuto i caratteri di una cerimonia memoriale funebre, piuttostoche quelli di una riscoperta vivificante. Questa voga monumen-talizzante (proprio nel senso di pietrificare e rendere inertequalcosa di mobile e accessibile),tipically italian, sembrerebberimandare a una delle cause s toriche di questo processo, ovve-ro alla micidiale attitudine accademica a m useificare i testi dellatradizione, rendendoli inaccessibili direttamente e contemplan-done soltanto una ricezione parcellizzata e mediata dall'autoritpreposta, quella del professore sciamano. Si tratta di un discor-

    so del sapere le cui dinamiche di potere sono evidenti e non ri-chiedono supplementi di indagine in questa sede. Tuttavia, peruna volta, non il caso di prendersela con l'accademia (se nonmagari per deprecare la sciatteria deprimente della routine uni-versitaria, speculare, e analoga negli esiti mortiferi, al culto pergli iniziati): troppo facile, specie di questi tem pi. Anzi, a dirla tut-ta, molte delle interpretazioni meno conformiste e pi innovati-ve delle opere canoniche italiane le hanno elaborate propriocorrucciati professori universitari, confezionandole in robusti eminacciosi saggi accademici: possiamo pure trovare intrigante

    la lettura degli Appunti queer sui Promessi sposi, recente-mente pubblicati, col titolo Aria di braveria, da Tommaso Giarto-sio sul blog Le parole e le cose , giusto per fare un esempio; maandr ricordato che a restituirci un Manzoni assai diverso daquello compitato svogliatamente al liceo avevano gi provve-duto tempo Ezio Raimondi e Salvatore Silvano Nigro, tanto perdire. O si pensi ancora a una recentissima Introduzione alla Divi -na Commedia, sempre di Ossola, che si legge come una passeg-giata attraverso dieci secoli di letteratura occidentale. Comearia nuova circola finalmente in alcuni manuali di italianistica (lacollana diretta da Battistini per Il Mulino, per dire). E non valeneppure avviare la solita tirata sulla scuola che ammazza la let-tura: per quanti professori di lettere necrotici e necrofori affolli-no le aule cimiteriali italiane (scrivendo magari nel tempo liberoappassionati pamphlet contro lo stolido studio della poesia inclasse), ce ne sono altrettanti che spacciano Leopardi originali,senza tagliarli con l'anfetamina del cazzeggio paratelevisivo,con grande competenza e qualche successo didattico.

    Ecco, a proposito di televisione et similia, ci sarebbe da chieder-si, semmai, se quell'antico, esiziale, ruolo del professore-sacer-dote non sia stato devoluto, mutandosi in una versione pop maconservandone inalterate le logiche di trasmissione autoritarie,agli intrattenitori da festival letterari e letture di massa. Se, in al-tre parole, a dispetto della qualit degli show letterari e delle ot-time intenzioni delle operazioni di divulgazione spettacolare, ilpubblico-lettore non preferisca delegare il Benigni di turno aleggere e a comprendere al posto suo, come faceva un tempocon l'austero docente.Poi ci sarebbe la questione della lingua: ogni tanto qualcuno tirafuori questa storia della necessit di tradurre le opere del cano-ne italiano, per agevolare gli italofoni del ventunesimo secolo:un pretesto per piallare la prosa di Machiavelli e Alfieri, fino afarla aderire a quella del Bruno Vespa saggista. Finalmente,spezzato il giogo dei tiranni parrucconi, il Carofiglio di turno nondovr pi imitare Petrarca: sar semmai questo che dovr ade-guarsi a quello (un discorso diverso andrebbe fatto per il Busitr a dutto re di Boccaccio e Ruzante, nonch per le imperdibiliNovelle stralunate dopo Boccaccio, curate per Quodlibet da Eli-sabetta Menetti e riscritte, tra gli altri, da C elati e Cavazzoni). E

    se, interpellati da Nuovi argomentia proposito del loro senti-mento identitario nazionale, gli scrittori italiani sentenziano chela loro patria solo la lingua, nondimeno i classici italiani non di-cono pi nulla alla gran parte di loro, specie agli autori dell'ultimagenerazione, che ne ignorano proprio la lingua, oltre che storia etradizione. bastato un ventennio di bulimia contemporaneisti-ca e di sovradosaggi di best seller anglosassoni per far dimenti-care, tra le altre cose, che proprio il nostro Novecento una inin-terrotta rivisitazione del canone n azionale. Calvino lo sapevabene, ma ormai nemmeno lui lo si legge pi: un classico.

    La storia italiana moderna si consuma per scenari decennali. In un

    generale sentimento del progresso che rimane costante fino a

    oggi questi scenari costituiscono degli universi di riferimento, che

    hanno dettato fasi distinte di nostalgie: nei Cinquanta la ricostru-zione e leducazione politica di massa; nei Sessanta il boom e il ca-

    pitalismo nazionale accanto alla maturazione politica e allespl o-sione dei movimenti; nei Settanta limporsi di telecomunicazioni e

    cibernetica che mette in mora i movimenti politici; negli Ottanta il

    trionfo del broadcast e della finanziarizzazione, della deideologiz-

    zazione; nei Novanta lazzeramento dellidea di rappresentanza e

    lo sfogo concesso al qualunquismo microfascista che la cifra ge-

    netica dellitalianit: questa capacit di essere giacobini in assenzadi rivoluzione, lautoritarismo pi dei Cesaroni che dei Cesari,

    schierato contro i valori umanistici e contro chi li incarna, unau-

    tentica specialit italiana.

    Da Mike Buongiorno al Drive In a Capitan Ventosa, uno sturacessi

    vivente che vorrebbe fare le veci del servizio pubblico, per la risata

    grassa e codina della nazione. La metafora televisiva, la moraleno. Il discorso del potere, dagli Ottanta in poi, diviene un invito alla

    lotta tra generazioni in sostituzione di quella di classe. Futuro: ze-

    ro. Si ha limpressione che in Italia tutto accada in letteratura, co-

    me nellAffaire Moro per Sciascia: per via di quellastrarsi dei fatti

    in una dimensione fantastica, da cui ridonda una costante, tenace

    amb i gu i t . O ancora, in Arbasino: Lideologia italiana. Mai badare

    minimamente ai dati che la contraddicono. Rimuovere i fatti: ecancellarli come inopportuni e contraddittori in un discorso. Stia-

    mo del resto parlando di un Paese che passato da un modello di

    sovranit segretamente limitata a un modello di sovranit palese-

    mente limitata senza colpo ferire, senza mobilitazione. Il tessuto

    sociale non si strappa: continua a fare da rete allacrobata che in-canta il pubblico, cio ci che fu la gente, cio ci che fu la nazione.

    GIUSEPPE GENNA

    SEGUE DALLA COPERTINA

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    IIIS A B AT O

    13 OTTOBRE 2012

    MORRICONE PI POP DI RAMAZZOTTI

    Lo spaghetti sound che

    ha conquistato il mondo

    LIBRI ITALIANI NEL MONDO

    Li m m agi n a ri apatria degliedonisti infelicidi CRISTIANO DE MAJO

    Sul Corriere della Sera dell 8 ottobre, un articolo di Ranieri Polese, ri-portando dati e chiacchiere con agenti letterari ed esperti del settorealla vigilia della Buchmesse, attestava una sorta di spread alla rove-scia di dimensioni molto pi ridotte in realt nel rapporto tra au-tori italiani di narrativa tradotti in Germania e autori tedeschi di narra-tiva tradotti in Italia. Le ragioni di questo successo del, direbbe Mon-tezemolo, romanzo made in Italysono, a sentire gli intervistati: lele-

    mento folklorico, pasta, un bel paesaggio, un intreccio giallo, magariun thriller fra i vigneti del Chianti con un ispettore simpatico e unmorto con un coltello nella schiena, oppure un immaginario arcaicofemminile, la Sardegna. Per un po di anni anche mafia camorra endrangheta hanno funzionato bene. Insomma un grande amore perle storie che non tradiscono l immagine del Belpaese vagheggiata dainordeuropei (una mescola di tradizioni, crudelt, passione e gioia divivere), anche se, in verit, in questi anni l editoria tedesca, comequella francese, non stata del tutto disattenta alla nostra letteratu-ra cosiddetta di ricerca. ancora pi difficile farsi unidea di quali siano le logiche che guidanola pubblicazione di romanzi italiani in lingua inglese, un mercato stori-camente poco attento alla narrativa straniera, e forse per abbondan-za di prodotto interno oltre che di sciovinismo letterario. Su Ama-zon.com si trovano edizioni in inglese di Piperno, Ammaniti, Veronesi,Avallone, Giordano; c una notevole invasione di crime novel nellapatria del crime novel (Camilleri, Carofiglio, Carlotto); ma sono ancheannunciate per il 2013 di due romanzi compl essi, non proprio dei best-seller,Storia della mia purezza(Pacifico) e Il tempo materiale (Vas ta ) ;mentre sono del tutto assenti i nomi considerati pi alti e influentidella nostra letteratura contemporanea: Siti, Moresco, Nove, Trevi;Tommaso Pincio che, forse superficialmente, potrebbe sembrare lo

    scrittore pi in sintonia con quellimmaginario, presente, e per moti-vi credo pi musicali che letterari, con Un amore dellaltro mondo ebasta. Se ne potrebbe trarre la conclusione che la forma romanzocompiuta abbia maggiori garanzie di riscuotere attenzione e che losperimentalismo sia visto con diffidenza, con le eccezioni di Pacifico eVasta, che per scrivono di due temi molto sentiti in America: il pro-blema dellidentit religiosa e il terrorismo.Un altro dato interessante viene dal Premio Alassio 100 libri, che ognianno incorona un libro per lEuro pa a opera di una giuria compostada italianisti stranieri. Vincitrice di questanno Valeria Parrella, che se-gue Michela Murgia, Margaret Mazzantini. Tutte a vario titolo rappre-sentanti di una letteratura che verrebbe da definire mainstream senon normale.Qualche giorno fa invece si poteva leggere sulla Los Angeles Reviewof Books un lungo articolo su una edizione bi lingue dei Cantidi Leo-pardi curata da Jonathan Galassi, celebrato traduttore di Montale, ol-tre che poeta e presidente di Farrar, Strauss & Giroux. Alan William-son, lautore della recensione, si soffermava sulla difficolt di tradurreLeopardi, citando Calvino oltre i confini dellItalia, Leopardi nonesi ste e, attraverso qualche esempio, riconosceva a Galassi labuona riuscita in unimpresa cos difficile. La parte finale del pezzo era

    dedicata, invece, a un ragionamento interessante sull immagine degliitaliani. Per quale ragione, si chiedeva lautore, gli italiani, percepiti danordeuropei e americani come un popolo caldo, amichevole ed edo-nista, hanno nel loro pantheon letterario s crittori cupi come Leopardi,Montale, Pavese?Le risposte che ipotizzava Williams on non convincono del tutto: unpassato troppo pi glorioso del presente (pessimismo storico); condi-zioni di vita estremamente dure fi no al Ventesimo secolo. Ci vorrebbeforse una maggiore conoscenza dellidentit italiana e della sua lette-ratura per concludere che la profonda cupezza di cui parla Williamson un elemento tuttora presente nei nostri venerabili ma estri letterari,e anche una caratteristica rimossa nella nostra autorappresentazio-ne. In quanto a cupezza, proviamo a tracciare una linea che unisca ipuntini Leopardi e Pavese, appunto, fino a Pasolini e M oresco Se vero che la nazione italiana una costruzione letteraria prima chegeografica (Carducci, Volponi) tema tra laltro approfondito neLItalia letterariadi Stefano Jossa, uscito qualche anno fa per Il Mulino bisognerebbe forse abbandonarsi alla letteratura per scoprire qual-cosa di pi su noi stessi; la cupezza dei nostri classici potrebbe indic a-re che il modo in cui amiamo rappresentarci e odiamo essere rappre-sentati sia una falsa pis ta, che sole pizza e mandolino siano spec-

    chietti per le allodole per dissimulare un antropologico mal di vivere.Nelle Lezione americane Italo Calvino d una definizione magnifica diLeopardi dipingendolo come un edonista infelice. Ed bizzarro co-me questa stessa definizione si possa appl icare a molti prototipi diarci-italiano, veri o solo scritti, dai personaggi di Alberto Sordi a SilvioBerlusconi. Leopardi, a ben vedere, non sarebbe come vuole il luogocomune, il mostro, lalterit, lanticorpo, ma lincarnazione di un ele-mento ben presente nel nostro DNA. La cupezza i n noi e nel nostrospirito, sotto la maschera di Pulcinella.

    Site specific_ROMA 04 dalla serie site specific_03 12 cm 111x151 stampa inkjet ai pigmenti su carta cotone

    di VALERIO MATTIOLI

    Qualche anno fa la Societ Dante Alighieri lanci un sondaggioper scoprire quale fosse la canzone italiana pi famosa nelm o n do. VinseAzzu rr o, scalzando a sorpresaNel Blu Dipinto diBlu. Ancora pi a sorpresa,OSole Mionon riusc ad andare oltrela quarta posizione, superata da (uh) lEros Ramazzotti di Mu s ica. Risultati e modalit del sondaggio restano quantomeno so-spetti, ma viene da chiedersi perch nella lista non comparisseun altro brano che per decenni ha significatomusica italiananel mondo. Daccordo, un brano che ha il difetto di non essereuna vera e propriacanzone, e che per di pi sconta il peccato dinon essere stato concepito per il mercato discografico in quantotale, ma che resta nondimeno un miracolo di musica pop. Quelbrano il tema di apertura diIl buono, il brutto e il cattivo, film diSergio Leone del 1966. Colonna sonora, naturalmente, di EnnioMorricone: lantenato, se mai ce ne dovesse essere uno, dello

    ma s, chiamiamolospaghetti sound. Praticamente lunico, realecontributo dellItalia alle fortune e alle miserie della storia delpop. Internazionale, si intende. A meno che non crediate sul se-rio che di l dalle AlpiAzzu rr oabbia avuto lo stesso impatto di,non so,She Loves You. almeno un paio danni che, tra Inghilterra e Stati Uniti, gli ag-giornatissimi mogul della musica indipendente pi elitaria e aconti fatti modaiola (lunica che conta, a quanto pare) vanno co-struendo a nostra insaputa una versione della storia del pop ita-liano drasticamente alternativa a quella che dalle nostre parti siriduce perlopi alla diatriba cantautori vs. Sanremo. Esistono deiprecedenti, chiaro: gi nel 1985 John Zorn incise un intero al-bum-omaggio proprio a Morricone. E sempre Morricone sta-volta quello delle colonne sonore per Dario Argento e dei dischiassieme al Gruppo dImprovvisazione Nuova Consonanza fuoggetto di una pregevole operazione di recupero intitolata Cri -me and Dissonancee curata da Mike Patton. Sullaltro versante,il ricercatissimo produttore ed ex membro a tempo perso deiSonic Youth Jim ORourke, sono anni che sbandiera la sua pas-sione per il Battiato degli anni 70 e per i suoi ai pi oscuri col-laboratori quali Roberto Cacciapaglia e Lino Capra Vaccina. An-

    cora pi significativo lo status conquistato all

    estero dalla co-siddetta italodisco, il synthpop ballerino nato tra Bologna e Mi-lano nel periodo fine 70/inizi 80: vuole la leggenda che fu a que-sti materiali che si ispir Juan Atkins, luomo che quasi da solo hainventato la techno, il che farebbe dellItalia la culla involontariadel pi tellurico sommovimento che la musica pop abbia maiconosciuto negli ultimi trentanni. In tempi pi recenti, ci hannopensato etichette la page come Not Not Fun e produttori elet-tronici come Demdike Stare a inventarsi un bizzarro guazzabu-glio che mescola senza soluzione di continuit sonorizzazioni

    morriconiane, italoprog primi 70, Goblin, Battiato, Area e repertiBaby Records dimenticati dalla Storia. Solo questestate, le ri-stampe di materiali italiani ad opera di etichette inglesi, ameri-cane, persino australiane, praticamente non si contavano.Il fenomeno interessante: per questi musicisti parrebbe esi-stere una specie di s paghet t i-con t in u um che va dalla met deglianni 60 ai primi anni 80, cos musicalmente peculiare da farescuola a s anche rispetto ai pi blasonati nomi angloamericani.In cosa consista tale unicit, presto detto: atmosfere melo-drammatiche (siamo in Italia dopotutto) ma minacciose, medi-terranee (qualsiasi cosa voglia dire) ma inquietanti, e un misto disperimentazione e melodismo esasperato che produce quel ti-pico clima dasun & violenceche suona al tempo stesso grave elascivo. Al di l del fatto che il come ci vedono gli altri quasisempre istruttivo, a colpire larco temporale delle ispirazioni: lospaghetti sound praticamente il suono degli anni di piombo edel periodo di massima turbolenza di una nazione la cui storia

    turbolenta quasi per definizione, il che confermerebbe la tesi diMassimo Ilardi che nel suoPossibilmente Freddi Come lIt aliaesportava cultura(1964-1980)lasciava intendere che lItalia, perprodurre materiali capaci di conquistarsi un ruolo centrale neldibattito culturale i nternazionale, avesse necessariamente bi-sogno di conflitti e pistolettate.Pi prosaicamente, il fenomeno ricorda l imponente operazionedi recupero che nellultimo ventennio ha portato la crema dellascena pop angloamericana a riscoprire prima il rock tedesco de-gli anni 70 e poi quello giapponese dello stesso periodo. Il primosi conquistato un posto nella storia col nome di kraut ro ck. Ilsecondo, scoppiato e delirante, chiamiamolo sushi noise. Cheprima o poi toccasse allItalia era insomma inevitabile: di fatto,lo spaghetti sound lultimo atto di un novello Patto Roma-Ber-lino-Tokio tanto musicale quanto (ohib) culinario.

    CHI SIAMO E CHI SAREMMO

    Grazie a tutta la redazione, a C. Mazza Galanti e jumpin-

    shark. Le fotografie del numero - a cura di A. Imbriaco e F.Severo - sono di Olivo Barbieri, dalla serie Site Specific, un

    progetto di immagini e video sui paesaggi urbani in tutto il

    mondo. Le sue opere sono ora al Fotografia Festival Inter-

    nazionale di Roma al Macro e a novembre Site SpecificLONDON 12 alla Ronchini Gallery di Londra. Tra i suoi molti

    libri segnaliamo il recente Flippers 1977-1978, testo di

    Francesco Zanot, Danilo Montanari Editore Ravenna.

    Orwell anche su facebook e su twitter @orwellp.

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    IVS A B AT O

    13 OTTOBRE 2012

    PERCH ALDO BUSI IL GRANDE RIMOSSO

    La mancata Riforma

    della lingua italiana

    CO S LITALIAN THEORY

    Gi GiordanoBruno era uncervello in fugadi ROBERTO CICCARELLI

    A differenza di altri paesi europei, la Spagna, l'Inghilterra o laFrancia, e poi la Germania, la filosofia italiana non ha accompa-gnato la creazione di uno Stato nazionale. Non ne ha costruitol'apologo, n celebrato la fine. La politica, come la storia, sonostate pensate da Machiavelli e Bruno, Vico o Leopardi al di ldella costituzione di uno Stato, radicandosi in una dimensioneprestatale che ha alimentato una critica contro l'autorit politica,

    ma anche l'opposto: una radicale diffidenza rispetto ad ogni for-ma di vincolo politico statale a beneficio dei legami comunitari omunicipalisti. In entrambi i casi l'atto iniziale del pensiero politicoin Italia risuona nell'universale, e contraddittoria, assenza del ter-ritorio e di un'autorit. L'apolidia della filosofia cos diventatal'oggetto stesso della riflessione, il suo reale contenuto politico.C' una tradizione che ha sottolineato i limiti di questa anomaliache ha impedito la formazione di una cultura condivisa. De San-ctis, Croce, Gramsci e Garin hanno battuto un argomento ancoraattuale: in Italia i pensatori, come gli intellettuali, sono stati orfa-ni di un'autorit, maturando l'aspirazione fallace di governare gliaffari dello dello Stato, oppure condizionarli. Salvo poi confessa-re, loro stessi, il sogno degenerato dell'autonomia rispetto alloStato che oggi si diffuso in maniera uniforme in tutta la socie-t sotto forma del desiderio di familismo e cooptazione.Ma questo aspetto degenerativo dell'intellettuale italiano non l'unico, n quello determinante, nell'Italian Theory. L'assenzadi una vocazione nazionale del pensiero non rappresenta pi ilsintomo di una condizione cosmopolita, espressione con laquale Gramsci stigmatizzava l'intellettuale distaccato dalla politi-ca delle masse, ma l'insorgenza di un materialismo radicale. Unrovesciamento che sarebbe avvenuto dopo la fine della guerra

    fredda, facendo emergere un tratto della filosofia italiana larga-mente trascurato visto che la figura del pensatore, come quelladello scrittore o poeta, stata presa in considerazione solo perla sua individualit. un retaggio della cultura storicista, affascinata pi da singolari-t esemplari che dalle storie politiche di cui esse erano l'espres-sione. Un limite che, paradossalmente, torna anche nell'ItalianTheory quando sottolinea la risonanza internazionale riscontra-ta dai libri di Giorgio Agamben, di Toni Negri o Roberto Esposito.Questa diffusione stata possibile perch nelle filosofie italia-ne - il plurale obbligatorio considerata la diversit degli ap-procci e delle prospettive - risuona favorevolmente un contestopolitico sensibile alla radicalit del pensiero e alla ricerca delconflitto contro le politiche dell'austerit imposte dal neoliberi-smo. Una situazione simile si afferm nel periodo fondativo delladifferenza italiana tra il XVI e il XVII secolo. Se Giordano Bru-no ad esempio pass buona parte della sua vita vagandoper le corti, le universit o le prigioni europee, lo fece perchseguiva le rotte dell'emigrazione intellettuale di una strana, epericolosa, generazione. In quegli anni Hobbes sosteneva nelBehemoth che il vero pericolo sociale per la corte d'Inghilterra,

    come per tutte quelle europee, si annidava nelle bettole dove ichierici vaganti sobillavano onesti artigiani e lavoranti di bottegaal libero esercizio del pensiero e all'insurrezione contro i regnan-ti. Da bravo uomo d'ordine consigliava al Re inglese di arrestarlitutti. Il suggerimento venne accolto, ma non imped a questa fiu-mana di ingrossare la corrente tra la fine del XVI secolo fino allaRivoluzione Francese. L'Europa era attraversata da una moltitu-dine di t r icks t er, picari, pirati di terra alla ricerca del porto sicurodi un ingaggio quotidiano. C'erano gli attori della Commedia del-l'arte, i pittori e architetti del Rinascimento italiano al serviziodell'Ancien Rgime, da Madrid a Pietroburgo: da Tiziano a Pira-nesi, solo per restare alla Repubblica di Venezia, esistono decinedi storie che raccontano l'imponenza di una fuga dei cervellidalle ristrettezze economiche in cui papi e cardinali, nobili e dogitenevano le intelligenze che lavoravano al loro servizio. Questa anche la storia della filosofia italiana. Una volta considerato que-sta prospettiva, il canone dell'identit nazionale non sar pi lostesso. L'italiano in s non esiste, non perch sia evaporatonella nuvola delle sue tipologie dialettali, ma perch la sua iden-tit scaturita da un nomadismo che si difeso dalle pretesepredatorie delle autorit, dedicandosi alla creazione di una nuova

    forma di vita individuale e collettiva. Ovunque si trovi.Poi, per chi volesse farsi unidea di tutto questo:Roberto Esposito, Pensiero Vivente. Origine e attualit della filo-sofia italiana, EinaudiDario Gentili, Italian Theory, Dall'operaismo alla biopolitica, Il Mu-linoPaolo Virno, Michael Hardt, Radical Thought in Italy: a PotentialPo litics, Minneapolis.Londra, University of Minnesota PressL. Chiesa-A. Toscano, The Italian Difference between Nihilismand Biopolitics, re.Press, Melbourne

    (segue dalla copertina)

    ... impossibile non ricalcare un pensiero che sentirebbe ildovere di presidiare motu proprio la coscienza di chi si oc-cupa di libri. L'autore di Seminario sulla giovent il granderimosso della letteratura italiana. Pi biasimato al di quadegli schermi televisivi che affrontato sulla pagina, e pi de-testato sul facile piano delle esternazioni che osservatonello specchio sopra cui uno scrittore si rivela (la sua ope-ra), Busi la dimostrazione di come la societ letteraria ab-bia da queste parti molto di onorato e poco di autentica-mente letterario. Busi non frequenta, non omaggia, nonpromuove, non ricambia, non firma appelli, frigge l'aria in tve non di rado manda affanculo a sproposito. Il che dovrebbeessere irrilevante al cospetto degli almeno cinque grandi li-bri da lui scritti, e di una ventina di cosiddetti minori in grado

    di portare qualunque letterato in cerca di accettabili pre-bende a diventare l'eroe dei propri (discretamente) riveriti.Eppure, ai critici questo basta per non occuparsi di ci chegli eviterebbe lo smacco di essere ricordati per aver lasciatoil compito ai colleghi delle generazioni successive. Ai giorna-listi culturali sufficiente il lato folk (di Oscar Wilde guarde-rebbero il dito che punta il girasole pur di evitare la luna inSalom) mentre per gli scrittori con la fissa dell'avanzamen-to sociale semplicemente un controsenso addentrarsi inVita standard di un venditore provvisorio di collantannu-sando sin dall'ingresso una dura aria di palestra in ogni stan-za della quale mancano garanzie e automatismi dello scattodi carriera.

    cccEppure non si tratta solo di questo. La ferita originaria. Sefosse il personaggio Busi a travisare lo scrittore nella co-scienza altrui, il problema non si sarebbe posto quando ilsuo nome era ancora sconosciuto. L'esordio sarebbe dovu-to essere un trionfo. E invece, se si vanno a leggere le primeanemiche recensioni a quella quadratura del cerchio tra mi-

    sura, libert e festa della lingua che ancora Seminario sullagio vent, si coglie tutto l'analfabetismo di ritorno che in Ita-lia non di rado aggredisce chi si occupa professionalmentedi leggere e riferire. Ma "di ritorno" da che? Dal mancato in-contro con una lingua finalmente salvata.Il pi squillante e splendido what ifche sorge dalle paginemigliori di Aldo Busi infatti: cosa sarebbe accaduto alla lin-gua italiana (cio a tutti noi) se a un certo punto avesse im-boccato la via di Boccaccio anzich quella del Petrarca, seavesse conservato la sua forza materica e la sua viva com-

    plessit, libera dalla padronalit curiale, poi leguleia, poi ac-cademica, poi ministeriale, infine televisiva e dunque nonpi la biografia del popolo che avrebbe potuto essere ma ilguaito delle plebi di ogni censo e condominio sociale? Non un caso che Busi consideri una grande occasione mancatala messa al bando della Bibbia di Diodati nel Seicento. SeLutero, con la sua traduzione, fondava la lingua tedesca, agliitaliani toccher per molto ancora il latino amministratodalla Chiesa (la Controriforma senza Riforma), cio una lin-gua padrona. L'italiano giunger irrimediabilmente borboni-co o savoiardo, fascista o democristiano, poco gramscianoe molto togliattiano di stanza all'hotel Lux. Sempre servo diqu a lcun o.Cos per Busi liberare la lingua ha significato spillarla dalleprofondit carsiche in cui continua a scorrere Boccaccio eSan Francesco e Giordano Bruno e Teofilo Folengo per non

    tacere l'anonimo metaletterario dell'Indovinello veroneseche tutti li precede... Per farlo non basta una lingua, ci vuoleun pugno di romanzi. Ci vuole un'architettura narrativa epersonaggi quali un Barbino, un Angelo Barzanovi e un Cele-stino Lometto, un'Anastasia e una Teodora, perfino un AldoSubi. Una Georgina Washington. Busi riuscito nell'impresaperch ha condotto il corpo a corpo con una lingua d'ado-zione ("a casa si parlava il bresciano. L'italiano stata la miaseconda lingua"), portando avanti la propria guerra di libera-zione dopo aver stretto un patto con gli Alleati di altre lingueche padroneggia molto bene: il francese di Laclos, l'inglesedi Sterne e delle Bront, l'americano di Melville, il tedesco diKafka e dei Tre saggi sulla teoria sessuale di Freud.

    cccQuesto non vuol dire che Busi centri sempre il colpo. Se lofacesse ingrasserebbe i suoi lettori col balsamo della prigio-nia. Invece il suo apparato retorico cos mostruosamentemesso a punto da renderci liberi (ecco lo scandalo) di se-guirne i momenti di trionfo e quelli in cui perde quota o sitradisce, lasciandoci ammirati per come si libera dalle stret-

    te di pochezza del paese in cui si muove e subito dopo so-spettosi perch che libert sarebbe quella che mostra il ge-sto di strapparsi il collare che non le stringe pi la gola? Perfinire, per, in esclusive oasi di meritata pace (qui perfino li-beri di non rivendicare nulla) come la scena in cui Barbinoschiaccia zanzare nei cessi pubblici a Parigi.Troppa grazia per la Terza Repubblica a v enire. Troppo libe-ro arbitrio, per l'italiano standard.

    NICOLA LAGIOIA

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