News MAGAZINE n. 20 - Dipartimenti · 2015-05-28 · catalizzatore e di connettore – promuove a...

13
Gruppo Dipartimento di Sociologia Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano Interstizi & Intersezioni NewsMAGAZINE n. 20 Then came, at a predetermined moment, a moment in time and of time (…) A moment in time but time was made through that moment: for without the meaning there is no time, and the moment of time gave the meaning. (T.S. Eliot) Cari destinatari, il numero 20 del Newsmagazine che state accingendovi a leggere è come vedrete un numero speciale. Esso contiene una riflessione a più voci sul significato odierno e i possibili sviluppi dell’idea di Interstizi che – insieme alle Intersezioni – è alla base della nostra impresa; a questo Forum fanno seguito, data la contingenza temporale, una serie di brevi scritti ispirati al Natale, ad opera di autori che hanno da 15 anni in su. Concludono un pezzo davvero eccezionale sulla Mecca, una città che è quasi impossibile visitare per un non-islamico ma a cui ha potuto accedere un antropologo nostro corrispondente, e una serie di fotografie interstiziali. La comunicazione si alimenta del circolo virtuoso tra chi la emette e chi la riceve: noi confidiamo che questo possa avvenire sempre più anche per la nostra pubblicazione on-line. Con i migliori saluti e auguri. Gianni Gasparini e il Gruppo ‘Interstizi & Intersezioni’ S S O O M M M M A A R R I I O O 1. Forum su “Perché gli Interstizi e le Intersezioni?”, a cura di Cristina Pasqualini (Cristina Pasqualini, Gianni Gasparini, Francesca Rigotti, Frédéric Lesemann, Giampaolo Azzoni) 2 Mini-racconti e Mini-scritti sul Natale (Gianni Gasparini, E.N. Anci, Giovanna Salvioni, Laura Bosio, Serena Introini Salvi) 3. Rubrica “Le città interstiziali” - Ugo E. M. Fabietti, Alla Mecca 4. Rubrica “Le foto interstiziali” (Foto di: Silvia Cortellazzi, Gianni Gasparini, Ciro Viscotti) Pubblicazioni recenti neXus Numero speciale Natale 2010

Transcript of News MAGAZINE n. 20 - Dipartimenti · 2015-05-28 · catalizzatore e di connettore – promuove a...

Page 1: News MAGAZINE n. 20 - Dipartimenti · 2015-05-28 · catalizzatore e di connettore – promuove a sua volta degli argomenti per definizione interstiziali e interdisciplinari su cui

Gruppo Dipartimento di Sociologia Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano Interstizi & Intersezioni

NewsMAGAZINE n. 20

Then came, at a predetermined moment, a moment in time and of time (…)

A moment in time but time was made through that moment:

for without the meaning there is no time, and the moment of time gave the meaning.

(T.S. Eliot)

Cari destinatari, il numero 20 del Newsmagazine che state accingendovi a leggere è come vedrete un numero

speciale. Esso contiene una riflessione a più voci sul significato odierno e i possibili sviluppi

dell’idea di Interstizi che – insieme alle Intersezioni – è alla base della nostra impresa; a questo

Forum fanno seguito, data la contingenza temporale, una serie di brevi scritti ispirati al Natale,

ad opera di autori che hanno da 15 anni in su. Concludono un pezzo davvero eccezionale sulla

Mecca, una città che è quasi impossibile visitare per un non-islamico ma a cui ha potuto

accedere un antropologo nostro corrispondente, e una serie di fotografie interstiziali.

La comunicazione si alimenta del circolo virtuoso tra chi la emette e chi la riceve: noi

confidiamo che questo possa avvenire sempre più anche per la nostra pubblicazione on-line. Con

i migliori saluti e auguri. Gianni Gasparini e il Gruppo ‘Interstizi & Intersezioni’

SSSOOOMMMMMMAAARRRIIIOOO

1. Forum su “Perché gli Interstizi e le Intersezioni?”, a cura di Cristina Pasqualini (Cristina Pasqualini, Gianni Gasparini, Francesca Rigotti, Frédéric Lesemann, Giampaolo Azzoni)

2 Mini-racconti e Mini-scritti sul Natale (Gianni Gasparini, E.N. Anci, Giovanna Salvioni, Laura Bosio, Serena Introini Salvi)

3. Rubrica “Le città interstiziali” - Ugo E. M. Fabietti, Alla Mecca

4. Rubrica “Le foto interstiziali” (Foto di: Silvia Cortellazzi, Gianni Gasparini, Ciro Viscotti)

Pubblicazioni recenti

neXXXXus

Numero speciale Natale 2010

Page 2: News MAGAZINE n. 20 - Dipartimenti · 2015-05-28 · catalizzatore e di connettore – promuove a sua volta degli argomenti per definizione interstiziali e interdisciplinari su cui

2

1. Forum su “Perché gli Interstizi e le Intersezioni?” a cura di Cristina Pasqualini, Università

Cattolica, Milano Di tempo ne è passato – direi più di sette anni – da quando sulla scorta dei lavori di Gianni Gasparini un piccolo Gruppo – i cosiddetti “interstiziali” – ha iniziato con coraggio e passione a riflettere e coltivare i temi degli Interstizi & delle Intersezioni. Un Gruppo piuttosto atipico, dai confini volutamente porosi, un gruppo aperto, per utilizzare il linguaggio della sociologia, che si è nutrito in questi anni di collaborazioni e contaminazioni provenienti da corrispondenti e simpatizzanti afferenti a discipline differenti, ovvero non delle scienze umane e sociali tout court. Per il Gruppo, l’idea delle Intersezioni è centrale, oltre a quella degli Interstizi, ovviamente. Ma come viene concretamente portata avanti nel Gruppo questa aspirazione di “connessione delle conoscenze” attorno ad alcuni grandi temi di indagine? In primo luogo, la scommessa è quella di far convergere i risultati delle ricerche personali – elaborate su temi, oggetti, con linguaggi, con paradigmi di riferimento e attraverso visioni del mondo differenti – all’interno del Gruppo, considerando la differenza un valore piuttosto che un limite. In secondo luogo, il Gruppo – esercitando una dichiarata funzione di catalizzatore e di connettore – promuove a sua volta degli argomenti per definizione interstiziali e interdisciplinari su cui ciascuno può dare un contributo, a partire proprio dai propri ambiti di interesse, che trovano, in questi momenti di confronto, una importante occasione di crescita intellettuale e umana. A partire da “Le piccole cose”, passando per “La scrittura” e “Il Tempo e Ritmo”, il Gruppo intende – questa vuole essere una anticipazione – cimentarsi prossimamente su un tema di cui si fa un gran parlare di questi tempi, ovvero “La creatività”. Da parte mia, ho avuto il privilegio di esserci quando il Gruppo si è costituito, di aver sostenuto questa idea e di essermi impegnata nella realizzazione delle iniziative culturali (convegni, seminari, pubblicazioni), oltre che nella redazione del NewsMagazine. Proprio di quest’ultimo vorrei brevemente dire qualcosa. Avendo curato, assieme a Gasparini, tutti i numeri sin dal primo, credo di poter ricostruire e testimoniare una crescita costante registrata negli anni non solo di entusiasmo ma anche del numero dei

corrispondenti così come della qualità dei contributi ospitati. Abbiamo iniziato a produrre nel 2003 una Newsletter, che è diventata nel 2010 un NewsMagazine e stiamo pensando che forse potrebbe diventare qualcos’altro ancora…Per poter realizzare questo ambizioso progetto occorrono in primis risorse umane, oltre che economiche; ovvero, è necessario, a mio avviso, che un gruppo sempre più folto di lettori e di studiosi si appassioni a questi temi, all’“euristica” degli interstizi – direbbe Gianni Gasparini – e alla epistemologia della complessità – aggiungerebbe Edgar Morin, non a caso nostro autorevole corrispondente e riferimento intellettuale. In tal senso, può essere utile allora provare a tracciare un primo bilancio di questo “progetto culturale”, interrogando direttamente alcuni testimoni privilegiati, i quali potranno aiutarci a comprendere concretamente l’utilità di continuare a riflettere in termini teorici e metodologici sui fenomeni interstiziali e sulle intersezioni tra scienze sociali, scienze umane e letteratura. Attraverso le loro narrazioni, potremo ripercorrere assieme, all’interno della loro esperienza di analisi e di ricerca, i fenomeni interstiziali su cui hanno riflettuto e su cui pensano valga la pena di ragione in futuro, anche in termini interdisciplinari. A questi interrogativi hanno provato a rispondere Gianni Gasparini – “padre fondatore” ☺ e coordinatore del Gruppo, – Francesca Rigotti – autorevole filosofo e affezionata corrispondente del NewsMagazine –, Frédéric Lesemann – corrispondente non solo interstiziale ma anche internazionale – e Giampaolo Azzoni – corrispondente “storico” e “colto” estimatore dei temi interstiziali. Per riassumere, la domanda di senso che ha dato origine a questo forum è la seguente: “Perché gli Interstizi e le Intersezioni?”. C.P. � Venti numeri on-line

La nostra pubblicazione on-line…ha vent’anni stavo per dire: no, mi correggo, ha venti numeri. Il nostro NewsMagazine è giovane ma non è un infante: cammina, parla, stabilisce contatti a tutto campo (neXus è diventato il suo logo e motto), organizza forum e laboratori, promuove pubblicazioni scientifiche. L’idea nata da un volume del 1998 dal titolo improbabile (Sociologia degli interstizi, Bruno Mondadori), rilanciata da un workshop del 2003 suggellato da una pubblicazione transdisciplinare a più voci (Le piccole cose. Interstizi della vita quotidiana, Guerini 2004), ha trovato stabile espressione nel Gruppo di ricerca e riflessione “Interstizi &

Page 3: News MAGAZINE n. 20 - Dipartimenti · 2015-05-28 · catalizzatore e di connettore – promuove a sua volta degli argomenti per definizione interstiziali e interdisciplinari su cui

3

Intersezioni”. Dal 2004 esso pubblica regolarmente una Newsletter ora NewsMagazine, che conta una rete internazionale di eccellenza rappresentata da 40 corrispondenti di settori disciplinari assai diversi operanti in Istituzioni accademiche e di ricerca italiane e straniere. La Newsletter/Newsmagazine ha voluto e intende essere uno strumento atto ad esercitare un occhio e un “pensiero interstiziale”, nella forma sintetica e puntuale consentita dalle dimensioni brevi dei pezzi pubblicati (20/30 righe di solito). Certo non abbiamo la pretesa di osservare e riproporre tutto ciò che si potrebbe registrare, ma di fare un lavoro di cernita, segnalazione e commento di ciò che è apparentemente marginale e spesso silenzioso, trascurato il più delle volte dai media: per questo abbiamo alimentato quattro sezioni (Incontri, Libri & Scritti, Arte & Comunicazione, Vita quotidiana) e alcune rubriche, tra cui quella della “Città interstiziali” ha già avuto modo di illustrare 20 città del mondo. I pezzi pubblicati finora sono circa 260, ad opera di ben 120 autori diversi, tra i quali prevalgono docenti e ricercatori universitari ma non mancano artisti e scrittori, oltre che operatori culturali, dottorandi, studenti e persino scolari della scuola dell’obbligo. E’ prevista nel 2011 la pubblicazione di un Index-Thesaurus per dare conto dell’insieme di questa produzione, così come dei lavori scientifici e saggistici che in questi anni hanno visto la luce sulla tematica degli Interstizi della vita quotidiana e delle Intersezioni ai margini tra le discipline. Nel lavoro di organizzazione dell’attività culturale si è cercato di aprire e suggerire piste, di esplorare aree significative e innovative nel campo delle scienze sociali e umane, talvolta con ampliamenti anche ad altri ambiti e spesso alla letteratura. Tra le problematiche affrontate cito le seguenti: il tempo anche nell’accezione poco esplorata del ritmo; la scrittura nel confronto tra scienze sociali, letteratura e filosofia; la vita quotidiana, tra socio-antropologia ed etica/spiritualità; il rapporto tra natura e cultura; in progetto, il tema della creatività a tutto campo. Se potessi sintetizzare in pochissimi pensieri l’idea e la “filosofia” degli interstizi e intersezioni, direi tre cose. La prima: ciò che conta non è la contrapposizione piccolo/grande, o tra comunicazione di nicchia/di massa, ma tra ciò che è qualitativamente valido e porteur d’avenir, come si dice in francese, e ciò che non lo è. La seconda: l’orientamento che anima l’idea è quello di una Sociologia e di una Scienza sociale umanistica, che senza venir meno ai caratteri della Wertfreiheit sia sensibile, presente, parlante e nient’affatto neutrale rispetto ai grandi valori e

disvalori in gioco nei sistemi sociali contemporanei – specialmente in Italia e in Europa - e in particolare nei fenomeni della vita quotidiana. La terza: la gratuità è un indicatore concreto dell’idea e della sua dimensione umanistica. Gratuità della pubblicazione, del non lieve impegno redazionale e delle collaborazioni, della diffusione, ma soprattutto dello spirito e del modo con cui sono scritti i pezzi. Chi scrive sa che i contributi non servono per costituire titoli scientifici, anche se il desiderio di contribuire al dibattito delle scienze sociali e umane non è certo estraneo o secondario. Chi scrive lo fa perché ritiene che ne valga la pena alla luce dell’idea degli interstizi e intersezioni: ritiene che sia bello scrivere e comunicare in questa logica. Gianni Gasparini, Università Cattolica – Milano

� Sì, gli interstizi Con gli interstizi ebbi, già parecchi anni fa, un incontro «folgorante». Stavo a Lugano, nella cui università insegno, un venerdì sera, nella mia stanzetta d'albergo, e guardavo la televisione svizzera, ovviamente un programma culturale (Millefogli), come giustamente fanno gli intellettuali. Si presentava un libro: il suo autore, un professore di sociologia magro, coi dei baffi sottili e lo sguardo un po' spiritato, stava seduto sulla panchina di una stazione ferroviaria ticinese, un'edicola di giornali alle sue spalle, e parlava degli interstizi e del libro che ci aveva scritto sopra. Uno dei casi presentati era proprio l'attesa come fenomeno interstiziale, l'attesa del treno per esempio, da cui quella curiosa quanto efficace istallazione scenografica. Se l'evento è il viaggio in treno, il tempo dell'attesa è l'interstizio, spiegava il professore, e via con esempi e teorie. Sì, gli interstizi. Tenni a mente il cognome dell'autore con uno dei miei soliti trucchi di mnemotecnica: era uguale a quello del padre di una compagna di classe di mia figlia dotato di un magnifico paio di baffi a manubrio: bicicletta, manubrio, baffi, Gasparini, interstizi. Trovai il libro, lo lessi, poi a un certo punto l'ideatore della teoria degli interstizi in persona, quello con lo stesso cognome del padre della compagna di scuola coi baffi a manubrio, mi mandò una mail – alla quale potei rispondere dicendo al suo sbalordito mittente: «Ma io la conosco, l'ho vista alla televisione svizzera...». Sì, gli interstizi. Avevo riflettuto sugli interstizi senza saperlo, fino a quel momento, perché quando ne sentii parlare da Gasparini, non li conobbi bensì li ri-conobbi. Cominciai da allora a lavorarci sopra

Page 4: News MAGAZINE n. 20 - Dipartimenti · 2015-05-28 · catalizzatore e di connettore – promuove a sua volta degli argomenti per definizione interstiziali e interdisciplinari su cui

4

consapevolmente e da allora ritengo importante, oltre che utile, continuare a pensarci in termini teorici e metodologici, non soltanto, ma anche studiandoli in sé, studiando gli interstizi «in carne e ossa», per così dire. Ritengo importante pensarci non soltanto interpretando i fenomeni nei loro aspetti e nelle loro funzioni interstiziali oppure stimolando le intersezioni tra le varie discipline; ma anche – ed è questa la parte sulla quale personalmente ho riflettuto di più – individuandone alcuni per seguirne il senso, la storia, la fortuna, l'incidenza e la ricezione, proprio come si fa con le metafore e i topoi. Sì, gli interstizi. Il loro senso e la loro storia, come quelli dell'attesa. Sempre si aspetta, un treno, un figlio, se poi il figlio è supposto divino il tempo dell'attesa si chiama avvento e sale di grado e di prestigio. Il treno arriva, il figlio nasce, termina l'avvento e inizia l'evento e tutti fotografano il bambino, il nuovo, il bello, il vero. E gli interstizi? Francesca Rigotti, Università di Lugano �Interstices et informalité Une réflexion sur les interstices et sur les intersections entre les sciences sociales et humaines est d’une grande actualité théorique et méthodologique. Je poursuis depuis quelques années une réflexion comparable à partir de la notion d’informalité qui me semble concentrer à elle seule toute la puissance et l’échec des sciences sociales, telles que nous les avons conçues et enseignées dans les pays du Nord depuis une soixantaine d’années. En effet, celles-ci ont été étroitement associées à l’action de l’État sur la société, particulièrement à cette forme d’État que l’on qualifie, dans les pays du Nord, depuis plus d’un demi-siècle, de «providence», en vertu de ses objectifs de protection, et plus récemment de «partenaire» en vertu de ses prétentions à conduire le développement, en partenariat avec les entreprises et les organisations citoyennes. Or, cette forme m’apparaît aujourd’hui en voie d’épuisement. Je m’explique: depuis plus d’une dizaine d’années, je me rends régulièrement en Amérique latine, et particulièrement au Mexique, dans le cadre d’activités et d’échanges professionnels. J’ai beaucoup lu sur ces sociétés et j’ai aussi beaucoup échangé avec mes collègues. C’est là que j’ai «découvert» la notion d’«informalité», que ce soit dans les domaines du travail, de l’habitat ou du petit commerce et des trafics divers. Cette réflexion s’est amplifiée et élargie ces dernières années grâce à ma participation au Réseau continental de recherche sur l’informalité dans les

métropoles (RECIM), créé en 2008 et qui regroupe des collègues du Canada, des États-Unis et du Mexique. La notion d’«informalité», d’essentiellement descriptive qu’elle était d’abord pour moi, et associée à des phénomènes principalement propres aux sociétés du Sud, est devenue aujourd’hui à mes yeux une notion analytique pertinente et heuristique, non seulement pour les sociétés du Sud, mais pour les sociétés du Nord également. À travers elle, je suis amené à repenser les rapports entre État et société. En effet, ce qui frappe dans les sociétés du Sud, c’est l’ampleur et la fonctionnalité des secteurs d’activité informels et, vu du Nord, l’impuissance de l’État à les réduire ou à les réguler. Ces sociétés demeurent «fonctionnelles» grâce à l’importance des secteurs «informels», quand on sait, par exemple, qu’au Mexique, 70% de la main d’œuvre active se retrouve dans le secteur «informel», que l’habitat est largement constitué de quartiers auto-construits, que le commerce informel est une source d’approvisionnement et de survie matérielle pour une majorité de la population ou encore que prévalent divers types de trafics: de drogues, d’armes et de personnes, incluant l’immigration clandestine. Or, à partir du moment où l’on est sensible aux manifestations de l’«informalité» - j’ajouterais: à partir du moment où l’on porte son attention sur les interstices -, on les découvre à l’œuvre dans les sociétés du Nord également, quoique apparemment avec moins d’ampleur, dans les domaines du travail des soins aux personnes, de l’entretien ménager, de la restauration, des transports, de la construction, sans parler des trafics internationaux d’alcool, de cigarettes, de médicaments, de drogues, de documents d’identité, ou encore de l’évasion fiscale, du blanchiment d’argent, etc. À partir de cette «clé» de lecture de la réalité, on peut interpréter la construction historique des États providence du Nord, d’un droit civil et d’une fiscalité comme un énorme effort de rationalisation de l’informalité et de lutte contre ses manifestations dans les sociétés. Ceci, grâce, d’une part à l’imposition d’une territorialisation de l’activité étatique qui lui permet de se déployer dans le cadre d’un espace et donc de frontières légitimes et, d’autre part, à la création de sociétés salariales et de l’instauration d’une salarisation des travailleurs, associée à des mécanismes assurantiels de protection sociale. Nos sociétés du Nord se sont constituées historiquement, au cours du 20e siècle, et particulièrement après la Deuxième guerre, sur ce double processus de territorialisation et de

Page 5: News MAGAZINE n. 20 - Dipartimenti · 2015-05-28 · catalizzatore e di connettore – promuove a sua volta degli argomenti per definizione interstiziali e interdisciplinari su cui

5

rationalisation du travail et des institutions du travail, sur un droit civil et un droit du travail, mis en œuvre par une action publique rationalisatrice et bureaucratique, appuyée par des corps de professionnels (civil servants), jugée jusqu’à récemment efficace au plan de la production de cohésion sociale, mais aussi de la réduction des pratiques informelles. Ce sont ces deux grands processus de rationalisation que mettent en cause aujourd’hui les processus de globalisation puisqu’ils entraînent à la fois un affaiblissement de la capacité des États à contrôler leur territoire et leurs frontières, et un affaiblissement de l’idéal d’une société salariale appuyée par des mesures de protection sociale efficaces et universelles, sur une base territoriale. Émerge désormais l’évidence des limites des efforts de formalisation des conduites humaines, et en contrepartie, celle de la croissance et de la vitalité des conduites informelles dans tous les domaines: éclatement des frontières, incapacité des États de maîtriser les courants migratoires, rôle croissant des diasporas dans les économies nationales, et bien sûr délocalisation de la production, pour ne mentionner que ces quelques éléments qui illustrent la puissance des processus de déterritorialisation. Par ailleurs, la croissance démontrée du travail informel, du commerce informel, de l’immigration informelle, etc. dans les sociétés du Nord, signale les limites des efforts de rationalisation de ces sociétés qui semblent avoir pu fonctionner sur cet idéal bureaucratique jusqu’aux années 1980, mais qui aujourd’hui se découvrent impuissantes à réguler la précarisation croissante des conditions de travail, les nouveaux risques sociaux, environnementaux, etc. Le processus institutionnel qui consiste à traduire nombre de «besoins et problèmes sociaux» en autant de programmes, de politiques et d’institutions dotées de corps professionnels spécialisés pour y répondre a aujourd’hui atteint ses limites. La notion d’informalité - comme celle d’interstice - offre une hypothèse de travail heuristique: les manifestations de l’«informalité» dans les sociétés du Sud seraient, dans une perspective comparative, potentiellement riches d’enseignements pour les sociétés du Nord confrontées à l’épuisement de leur modèle de développement fondé, certes sur le marché, mais aussi sur un État à la fois providentiel et partenarial. Riches d’enseignements sur les limites du projet de rationalisation des sociétés, du rôle que les sciences sociales ont joué jusqu’ici dans ce processus, mais riches d’enseignements aussi sur

les risques sociaux et politiques associés à cette croissance de l’«informalité». Je développe ces idées dans divers articles et chapitres de livres: [email protected] Frédéric Lesemann, Professeur-chercheur,

Institut national de la recherche scientifique

(INRS), Montréal

�La forma nel diritto come interstizio

Gli atti giuridici sono atti formali. La vendita di una casa richiede la successiva trascrizione, la celebrazione di un matrimonio deve essere preceduta dalla pubblicazione, il testamento non può essere orale, ma solo scritto. Nella storia del diritto sono ricorrenti le battaglie contro la forma, vista come inutile esteriorità, limite ad una volontà che potrebbe altrimenti attuarsi in modo più autentico e rapido (si pensi all’antiformalismo presente in gran parte del romanticismo). Ma è soprattutto nell’attuale configurazione valoriale e sociale che le forme giuridiche sono sfidate da una domanda di velocità (tempi brevi, sempre più brevi) e di semplificazione (requisiti ridotti, sempre più ridotti): il flusso delle pulsioni e degli scambi (di cui è parte preminente l’utilizzabilità degli avanzamenti tecnologici) non deve essere frenato dalle chiuse del diritto. Certamente c’è una verità anche in queste richieste: in ogni contesto si deve porre il problema di valutare l’adeguatezza teleologica delle forme giuridiche. Ma sarebbe fallace ritenere che tale adeguatezza si risolva nell’individuare la modalità apparentemente meno onerosa. La forma infatti deve garantire la realtà dell’atto giuridico: cioè la possibilità per la volontà del soggetto di realizzarsi oltre l’atto dell’enunciazione (e le sue contingenze spazio-temporali) divenendo uno stato di cose normativo, vincolante, non eludibile. Questo è il senso metastorico della regola “ex nudo pacto actio non nascitur”: uno scambio di volontà informali non ha effetto oltre il momento in cui è avvenuto. Ed è ancora icastica la metafora, introdotta dai giuristi medievali, dei vestimenta pactorum necessari per rendere giuridicamente impegnativo un nudo patto. La forma dell’atto giuridico è sempre eccedente rispetto alla manifestazione di volontà e, come tale, è sempre inutile; ma è solo attraverso questo inutile eccesso che la volontà del soggetto diviene oggettività giuridica. In questa prospettiva, una feconda ipotesi ermeneutica è quella di qualificare la forma nel diritto come un interstizio di II livello (cfr. Giovanni Gasparini, Interstizi: una

Page 6: News MAGAZINE n. 20 - Dipartimenti · 2015-05-28 · catalizzatore e di connettore – promuove a sua volta degli argomenti per definizione interstiziali e interdisciplinari su cui

6

sociologia della vita quotidiana, Roma, Carocci, 2002, p. 104). L’eccesso proprio della forma giuridica è infatti strutturalmente il medesimo che troviamo in concetti che sono tipici esempi di interstizi di II livello: il gioco (caratterizzato da disinteresse e separazione dalla vita ordinaria) in Johan Huizinga, la dépense (che va oltre il principio del pareggio dei conti) in Georges Bataille, il dono generoso (offerto con largesse) in Jean Starobinski. In tali eccessi l’eccesso è tale se misurato secondo il metro dell’utile immediato, ma acquisisce una sua profonda funzionalità se connesso alle condizioni attraverso cui l’uomo può diventare e restare tale. L’eccesso della forma nel diritto, la sua apparente diseconomia, evidenziano come il fenomeno giuridico partecipi della cultura umana e sia pertanto irriducibile alle regolarità di un sistema naturale basato sul principio del minimo sforzo: la forma dell’atto giuridico preclude la riduzione del diritto a etologia o economia. Giampaolo Azzoni, Università di Pavia

2. Mini-racconti e Mini-scritti sul Natale �Un altro racconto di Natale? Il problema che lo assillava era quello se fosse ovvero non fosse possibile scrivere sul Natale, nell’anno duemiladieci ab Incarnatione Domini. La sua formazione nella filosofia medievale e una rigidità mentale che si era consolidata con gli anni, nonostante certi luminosi sprazzi intermittenti che facevano ripartire la mente e lo spirito da zero, lo inducevano ad un fermo rigore di impostazione metodologica, epistemologica ed ermeneutica nell’affrontare i problemi, di qualunque tipo essi fossero. Gli sembrava così che prima di scrivere, eventualmente, il breve racconto di Natale che gli era stato sollecitato occorresse valutare attentamente le ragioni a favore e contro la possibilità di scriverlo oggi. E poi, come scriverlo? Come una fiction, come un racconto alimentato da una storia ritenuta inoppugnabile dai cristiani ma non dagli altri, come un esercizio di immaginazione analogo a quello dei narratori dotati di una certa sensibilità? Gli parve che l’atteggiamento preliminare più corretto fosse quello di valutare i pro e i contro, le due voci che risuonavano anche dentro di lui. Quale mezzo migliore per farlo che redigere due elenchi contrapposti? Era un metodo elaborato da un celebre semiologo e scrittore italiano, e che una fortunata trasmissione televisiva aveva rilanciato con grande soddisfazione dei “lettori di

elenchi” che si alternavano ai microfoni a leggere liste in diretta per spiegare, giustificare, proporre, influenzare, recriminare, denunciare eccetera. Si mise dunque a redigere l’elenco delle ragioni per scrivere un racconto di Natale:

1. Perchè Natale c’è, e ogni cosa che c’è si presta ad essere raccontata.

2. Perché a Natale i bambini si aspettano qualcosa di sorprendente, come un nuovo racconto.

3. Perché Natale è l’unico giorno dell’anno che abbia ispirato decine di scrittori a scrivere un racconto.

4. Perché la neve che spesso cade a Natale invita alla concentrazione e alla scrittura.

5. Perché, in termini di pari opportunità, non sarebbe equo privare i contemporanei di racconti analoghi a quelli che hanno nutrito le generazioni passate.

Ed ecco l’elenco delle ragioni per non scrivere un racconto di Natale:

1. Perché Natale è diventato un grande evento economico e di consumi.

2. Perché sulla storia di Gesù, Giuseppe e Maria a Betlemme non c’è più niente da raccontare.

3. Perché si è persa la capacità di sorprendere e sorprendersi che rendeva possibile scrivere e leggere i racconti.

4. Perché i bambini non credono più alle storie e ai racconti di Natale.

5. Perché non lo leggerebbe nessuno. Si trovava daccapo, con una perfetta equivalenza - a suo giudizio - tra le ragioni per scrivere e per non scrivere, come una bilancia i cui piatti siano esattamente in equilibrio. A quel punto gli venne in soccorso una undicesima ragione in cui si era imbattuto leggendo un’omelia natalizia di tanto tempo fa: “Dilettissimi, oggi è nato il nostro Salvatore: rallegriamoci, poiché non vi può essere tristezza nel natale della vita, e nessuno è escluso dal partecipare a questa allegrezza”. Ecco, la gioia era il motivo decisivo, una gioia per tutti. Raccontare e tramandare nonostante tutto la gioia: nonostante la tristezza e l’apatia dilagante, nonostante la violenza e la menzogna imperanti, nonostante la banalità e la distrazione del vivere. Gioia di un giorno che come un sole invitto illumina tutti gli altri giorni dell’anno. Si disse che tutto sommato valeva ancora la pena di scrivere un racconto di Natale e si accinse a farlo… Gianni Gasparini

Page 7: News MAGAZINE n. 20 - Dipartimenti · 2015-05-28 · catalizzatore e di connettore – promuove a sua volta degli argomenti per definizione interstiziali e interdisciplinari su cui

7

� La voce degli angeli “Alla mezzanotte del Natale del 2010, vi farò sentire gli angeli in persona”. Lo aveva annunciato così ben tre anni prima, in una delle sue rare e rarefatte apparizioni mediatiche durante le quali riusciva sempre a non dare comunque prove della sua esistenza reale. Un po’ per il carisma, o forse per lo strano modo di abbigliarsi, o forse ancora per quel modo silenzioso di muoversi e sgusciare come un’ombra che lo faceva sembrare niente più che un semplice simulacro. Lo aveva detto alla sua maniera, con quel tono – in lui tanto credibile – della profezia e dell’incantesimo che sta per essere lanciato. Tratti che ben giustificavano il fatto che fosse universalmente noto come “il mistagogo”. E del resto niente di terrestre in nessuna epoca poteva avvicinarsi di più all’antica idea di musica delle sfere celesti se non quella composta proprio da lui. Aveva preso tempo, in quell’occasione, il Maestro Demi Jorge. Tre anni per preparare quello che già si annunciava come l’evento del secolo. Tre anni perché per quell’evento Il Mistagogo aveva preteso l’allestimento di una location su misura. E c’era anche chi sosteneva che a quell’edificio cresciuto nel silenzio e nell’invisibilità avessero lavorato creature soprannaturali seguendo specifiche provenienti da qualche iperuranio. Prendervi parte era, come già si sarà intuito, tutt’altro che semplice. No, non si potevano acquistare biglietti. Per sperare di entrare in quel misterioso teatro era necessario inviare all’organizzazione la propria carta astrale. E personalmente il Maestro avrebbe invitato, sulla base di quella, gli eletti ritenuti più idonei. E finalmente quella notte arrivò. Quelli che ebbero la fortuna di essere convocati trovarono davanti a sé un enorme, tozzo edificio in pietra a forma di cubo, sovrastato da una struttura a tronco di piramide, anch’essa di pietra. Alle Ventitrè il concerto iniziò. Il pubblico aveva dovuto accomodarsi sui gradoni ascendenti, anch’essi di pietra, che correvano lungo tutte e quattro le pareti. L’orchestra, disposta al centro, era schierata ad anello. Per quanto esterrefatti da tutta la vicenda, i partecipanti, durante quella prima ora, non sentirono altro che la solita, celestiale, musica di Jorge. Di per sé grandiosa, ma ora quasi insufficiente a colmare le aspettative di chi per tre anni aveva vissuto nell’attesa di quel giorno. Poi, a mezzanotte precisa, l’evento si compì con la precisione stessa del moto astrale. L’anello sul quale poggiava l’orchestra iniziò a calare sotto il livello del pavimento e contemporaneamente, al posto di quello che fino a pochi secondi fa era lo

spazio circolare delimitato da quello stesso anello si aprì per lasciare spazio all’ascesa di un’enorme parallelepipedo trasparente che raggiunse la sommità del tronco di piramide, incastrandovisi alla perfezione e mettendo in moto un meccanismo che spalancò quella porzione di soffitto. Nello stesso istante una immensa pira cominciò ad ardere nel solido trasparente e il silenzio piombò tra le quattro poderose mura. Dopo i primi istanti di sbigottimento, che avevano azzittito tutti i presenti, tra il pubblico cominciò a levarsi una sorta di primordiale brusio. Alcuni si chiedevano cosa sarebbe successo di lì a poco. Altri invece si premuravano di zittire gli altri, pensando davvero alla voce degli angeli e alla sua estrema delicatezza che temevano di perdere in mezzo a tanto brusio. Ma più il tempo passava, più il silenzio cresceva in quantità e qualità, come se fosse proprio quello a irradiarsi dall’immenso falò insieme alla luce. Qualcuno, preso dalla trance dell’evento, si lasciò andare a un invasato “Li sento! Li sento!”. Ma i più capirono; e si abbandonarono in quella quiete ad un tempo naturale e innaturale, lasciandosi accarezzare dai vibranti giochi di calda luce vermiglia e nere ombre. Nel silenzio il fuoco raccontava attraverso le sue fantasmagorie e il suo crepitare. Nessuno seppe dire per quanto quella situazione si protrasse nel tempo. Chi ha avuto la fortuna di incontrare uno tra quelli che furono presenti si è sentito dire che improvvisamente si ritrovarono fuori, dapprima afflitti da un inesauribile senso di nostalgia. Ma che subito dopo furono pervasi da un irresistibile quanto composto desiderio di raccontare e raccontarsi reciprocamente. E avevano tutto lo spazio; e avevano tutto il tempo. E avevano tutta la vita. E.N. Anci, scrittore

� …e il riccio? Il presepio era stato completato, nel salotto caldo e accogliente. Tutta la famiglia finalmente dormiva. Mancavano ancora alcuni giorni al Natale, ma il presepio, si sa, è bello goderselo anche e soprattutto nell’attesa. Le pecorelle, da sempre una delle componenti più deliziose della rappresentazione, erano lì, quiete, bellissime; venivano da Napoli, e dunque erano modellate con arte e con grazia. Nella capanna, un vuoto; certo, il Bambino Gesù doveva ancora nascere. Penombra, silenzio. Eppure no, una vocina protestava: “E chi l’ha detto che un riccio non può stare davanti alla capanna di Betlemme? Chiiii?”. Risposta di un coro di vocette tremule (forse le pecorelle??!!): “Ma tutti; solo pastori e pecore, pastori e pecore!!”. “Ma dài – replicò il riccio –

Page 8: News MAGAZINE n. 20 - Dipartimenti · 2015-05-28 · catalizzatore e di connettore – promuove a sua volta degli argomenti per definizione interstiziali e interdisciplinari su cui

8

sarò pure un soprammobile di porcellana, ma lo so che il presepio è stato inventato da Francesco, e lui, luuii, amava tutte le creature, e intendo tutti gli A-N-I-M-A-L-I!”. “Non fare il filologico!” disse al riccio una pecorella dal bel musetto aggressivo; e tutte: “Pastori e pecore,solo pastori e pecore!”. Il piccolo riccio di porcellana ormai aveva sonno, ma si addormentò borbottando: “E allora i cammelli ??”. Il mattino la luce inondò il bel presepio, per la soddisfazione soprattutto del babbo che ci aveva lavorato molto, e del più piccolo, che si soffermò parecchio a considerarlo da tutte le angolature; “Papà, Gesù Bambino voleva bene alla sua mamma e al suo papà?”, “Certo, naturale, non vedi come Maria e Giuseppe gli sorridono?”. “Papà, Gesù Bambino voleva bene agli animali, vero?”, “Ma certo, a tutti, sono sue creature”. Il piccolo guarda il riccio di porcellana, solo sullo scaffale pieno di libri; “Allora vuole bene anche a lui, non vuole lasciarlo solo, lo vuole davanti alla capanna!” ; lo prende delicatamente e lo sistema proprio in prima posizione, tra varie pecorelle un po’ allibite. “Così è bello!” dice il bambino contento avviandosi a una buona colazione. Non sente il commento delle quasi impercettibili note vocette: “Beh…beh…; beeehhh!!!”. Giovanna Salvioni, Università Cattolica, Milano

���� Il Bambino dei pittori

Guardo riproduzioni di Natività dipinte, fantasie, soprassalti, intuizioni di artisti diversi e distanti tra loro, almeno nella nostra concezione limitata dello spazio e del tempo. Il Bambino del Beato Angelico, magnifico tra i pittori, è nudo e solo sul pavimento, appena cosparso di pallida paglia, della capanna, le braccia sollevate verso la madre, bisognose forse, e già adulte, la testa aureolata. Lo contemplano quattro figure silenziose, con un’aureola più modesta intorno al capo, mentre quattro angeli, quasi speculari, riproducono la scena sopra il tetto di legno, muti. Il bue e l’asino allungano il collo verso la mangiatoia, occhieggiando da una quinta, con discrezione. Per Botticelli il Bambino, non aureolato, si protende verso una madre intenerita, con il mantello azzurro come il vestito del vecchio padre che osserva il figlio stando seduto alle sue spalle, anzi, accasciato. In alto, in basso, ai lati, danze e abbracci di angeli esultanti, come primavere, mentre il bue e l’asino si intromettono curiosi. Una folla di personaggi ammirano il Bambino nudissimo e piccolissimo di Robert Campin, stupiti, perplessi, commossi, nitidi nella luce chiara: la bella madre fiamminga dai sottili capelli rossi, preziosi come l’abito con il lungo strascico,

bordato d’oro; il padre dalla barba bianca e dal vestito rosso, gli occhi stanchi, la fronte pensosa; le donne dalle vesti colorate e dai copricapo importanti; gli angeli che spargono cartigli; i pastori con le zampogne e il cappello in mano; il sorridente bue nella capanna in rovina. Tra le riproduzioni trovo una cartolina che qualcuno mi aveva spedito dall’abbazia di Tamié. Ingrandisce un particolare di una terracotta, ingenua si direbbe. C’è un Bambino orizzontale, le braccia contro il corpo, addormentato sull’aureola bianca che gli fa da cuscino, e c’è la faccia di un asino, con un orecchio che si piega verso una stella. Ma quello che colpisce è lo spettacolo degli occhi dei presenti, compreso quello della pecora di profilo in braccio a un pastore barbuto e baffuto. Occhi sgranati, spalancati, stupefatti. Ripenso alle parole di Giovanni Testori sul presepio di Gaudenzio Ferrari nel Sacro Monte di Varallo, avvolto di calma notturnale. Le cerco. Scriveva, sul “Corriere della Sera”, nel 1975: “Così, davanti alla cappella della Natività e a quella della Visita dei pastori, noi ci chiediamo attoniti come i visitatori potessero scorger qualcosa… Vien da pensare che si ricorresse alle lucerne appositamente collocate; quando non si voglia addirittura ipotizzare che le visite, atteso il loro carattere pio e processionale, avvenissero al lume di torce; o di candele. Allora dentro la grotta, dentro la stalla, è ben facile immaginare il crearsi, il muoversi, lo stendersi, l’allungarsi e il ritrarsi continuo dell’ombre; e i visi dei fedeli, i loro occhi, tendersi a scrutare dietro le grate; e il rivelarsi ora di questo, ora di quel particolare; proprio come se il teatro fosse lì, lì per accadere…”. La favola di una nascita che dismette ogni sfarzo e torna a essere quella di un essere umano come tanti, come tutti alla fin fine, senza averi se non gli affetti primi, il calore delle bestie amiche, qualche visitatore dagli occhi attenti. Laura Bosio, scrittrice

Page 9: News MAGAZINE n. 20 - Dipartimenti · 2015-05-28 · catalizzatore e di connettore – promuove a sua volta degli argomenti per definizione interstiziali e interdisciplinari su cui

9

�La felicità del Natale non sta nelle cose Questa storia parla di un Natale passato non molto tempo fa, di un Natale dove c’era la neve, di un Natale per qualcuno diverso da tutti gli altri…Era il giorno della vigilia e in una casa normalissima viveva una normalissima ragazza di quindici anni di nome Serena. In quell’anno per Serena era un giorno speciale perché sarebbe uscita con il suo fidanzato ed era la prima volta che avrebbe festeggiato la vigilia e il Natale non in famiglia. Infatti si era alzata di mattino presto per scegliere vestiti, trucco, borse, e accessori vari; ma il buffo è che dovevano trovarsi davanti alla Chiesa alle nove di sera. Serena per tutte quelle ore aveva pensato solo a sé e al suo aspetto e oltre a non aver pranzato e cenato non aveva nemmeno acceso il telefono per fare gli auguri di Natale alla sua famiglia, anzi lo aveva tenuto spento per evitare che la disturbassero mentre lei doveva scegliere cosa indossare. Serena però con il cellulare spento aveva paura che il suo fidanzato la chiamasse e allora se ne era comprato un altro di nascosto. Alle otto di sera il suo fidanzato le scrisse un sms per dirle se dopo aver fatto un giro, voleva andare insieme a lui al concerto di Natale di mezzanotte. Lei ovviamente gli rispose di sì ed era al settimo cielo, anche perché non era mai andata a un concerto. Alle otto e mezza di sera uscì di casa con trucco, borsetta e regalo di Natale in mano e si avviò verso la Chiesa. Arrivò alle nove in punto ma il suo fidanzato non era ancora arrivato e un po’ inquieta si mise ad aspettarlo. Passarono i minuti e non era ancora arrivato, alle nove e quattro decise di chiamarlo ma eccolo che lui arrivò e ovviamente si scusò per il ritardo. Subito dopo si salutarono e si scambiarono i regali. Alle undici di sera, mentre passeggiavano, entrarono in una via a Serena sconosciuta: in fondo ad essa c’era una ragazza appoggiata a cavalcioni su un muretto, che nel vederli si mise in piedi e fece qualche passo in avanti. Quando arrivarono a pochi metri di distanza dalla sconosciuta, il suo fidanzato si fermò, guardò Serena negli occhi, e in poche parole la lasciò e se ne andò via con la sconosciuta lasciandola lì da sola. Serena rimase ferma a guardarli, finché scomparvero nella nebbia, poi rimase ancora lì ferma come paralizzata per quindici minuti esatti, poi si mosse e si mise a camminare senza sapere dove stesse andando, con una sola certezza: stava andando dritta, da sola, senza più nessuno accanto. A un certo punto si fermò e si buttò in mezzo alla neve: non aveva nessuna sensazione, nemmeno di solitudine, si sentiva morta; la sua unica convinzione era che intorno a lei non ci fosse nessuno. Ma a un tratto sentì la campana

della Chiesa suonare dietro di lei, e in quel suono Serena oltre a capire che era mezzanotte, e dove si trovava, si svegliò e si sentì come rinata perché in quel momento capì che la felicità non è nelle cose che si hanno ma nelle persone che ci vogliono bene, come i familiari. Capì che il Natale non è possedere, avere i regali a tutti i costi ma donare e non solo facendo gli auguri ai familiari ma donando qualcosa anche agli altri, soprattutto a chi ne ha bisogno. E finalmente si ricordò perché il Natale era un giorno speciale: perché è il giorno in cui nasce Gesù Cristo il Salvatore e non perché si festeggia un giorno di festa. Appena finì il suono della campana, Serena si guardò intorno e vide che il concerto era proprio lì vicino alla Chiesa, ma prima di andarci decise di correre verso casa, accese il cellulare e mandò gli auguri di Natale a tutti i suoi familiari e alla fine, prese tutti i regali che le avevano mandato via posta, li mise in un sacco, uscì di casa con un sorriso che era da tempo che non ne faceva uno così bello e radioso e si mise a distribuire i suoi regali a tutti i bambini poveri che non potevano entrare al concerto, ma che lo ascoltavano felici all’esterno. Serena da quel giorno si sente più felice e realizzata perché ha capito che il Natale non si festeggia avendo solo un bell’aspetto esteriore, ma con quello interiore; e da quel giorno, ogni anno a Natale Serena si ripete quello che ha capito quella notte: “La felicità del Natale non sta nelle cose”. Serena Introini Salvi, studentessa, 15 anni,

Romano di Lombardia (BG)

3. Rubrica “Le città interstiziali” � Alla Mecca Esporrò qui in maniera coincisa alcune riflessioni a seguito di un viaggio compiuto recentemente in Arabia Saudita in occasione dell’ultimo “grande pellegrinaggio” musulmano (hajj) alla Mecca (novembre 2010). Per me il viaggio alla Mecca non è stato (in quanto non musulmano) un pellegrinaggio, ma una”visita”, certamente un po’ fuori dall’ordinario, che ho potuto compiere in quanto componente di un team dell’Università di Milano Bicocca incaricato di studiare i flussi dei pellegrini che ogni anno, in questa occasione, confluiscono verso questa città in numero di circa tre milioni nello spazio di una sola settimana. Preciso che per me l’Arabia non era “terra incognita”, avendo soggiornato lì trenta anni fa (1978-1980), quando vi giunsi per studiare “sul campo” alcune comunità di beduini nomadi. Ad ogni modo il mio viaggio alla Mecca ha rappresentato la straordinaria opportunità di assistere, sebbene non in tutte le sue fasi, a un

Page 10: News MAGAZINE n. 20 - Dipartimenti · 2015-05-28 · catalizzatore e di connettore – promuove a sua volta degli argomenti per definizione interstiziali e interdisciplinari su cui

10

evento che, di norma, non contempla la presenza di non musulmani. Chi, tra questi ultimi, vi si recò in passato lo fece a suo rischio e pericolo, e alcuni di loro ci hanno lasciato descrizioni notevoli e avventurose. Oggi imprese del genere sarebbero impensabili, non soltanto perché quel clima di “mistero” che circondava la Mecca e il rito stesso del pellegrinaggio è in gran parte svanito grazie ai media (la televisione saudita trasmette l’evento per tutta la sua durata in diretta, sette giorni su sette, 24 ore su 24), ma anche perché il pellegrinaggio comporta un dispiegamento di mezzi davvero notevole. Accanto ai giganteschi ingorghi di autobus multicolori carichi di pellegrini provenienti da tutte le regioni del mondo musulmano “storico” (dal Marocco all’Indonesia) convivono sofisticati sistemi tecnologici di controllo. I pellegrini provenienti dall’estero sono tutti registrati attraverso un codice a barre che portano su un badge appeso al collo. Ovunque essi vadano sono immediatamente identificabili dalla polizia o dal personale addetto. Telecamere, radiotrasmittenti, telefoni cellulari, elicotteri, tengono costantemente sotto osservazione milioni di persone. Il governo è particolarmente orgoglioso di ospitare questo evento annuale che mette l’Arabia Saudita al centro dell’attenzione del mondo musulmano, e non solo, conferendo prestigio alla dinastia regnante e al Paese nel suo insieme. Ma il governo saudita è anche estremamente preoccupato per gli incidenti che si verificano spesso per l’affollamento in certi punti obbligati di passaggio delle folle dei pellegrini, e che hanno fatto negli ultimi anni centinaia di vittime. Il numero dei pellegrini si è infatti moltiplicato a dismisura negli ultimi quaranta anni (si è passati dai 250.000 del 1970 ai quasi tre milioni del 2010). Le ragioni di questo incremento di visitatori vengono ricondotte di solito, in primo luogo, allo sviluppo dei trasporti aerei grazie ai quali la Mecca è diventata facilmente raggiungibile (l’aeroporto di Jeddah, sul Mar Rosso, dista circa 80 km). Nello spazio di neanche mezzo secolo la facilità degli spostamenti ha cambiato un viaggio che poteva durare anche settimane – o ancor prima addirittura dei mesi - in un balzo di poche ore. Lo sviluppo dei trasporti non spiega tuttavia, da solo, la straordinaria evoluzione del pellegrinaggio nel corso degli ultimi quattro decenni. Infatti i pellegrini, provenienti ormai in numero rilevante da tutto il mondo musulmano, hanno cominciato ad affluire da paesi oggi più ricchi che in passato, come per esempio quelli del Sudest asiatico (Indonesia e Malesia), o come l’India. Inoltre, le migrazioni degli ultimi decenni hanno portato molti

musulmani in Europa e in Nordamerica. Dai paesi occidentali, dove hanno raggiunto a volte posizioni di tranquillità economica, essi possono affrontare le spese di un viaggio che, nonostante gli incentivi del ricchissimo governo saudita, rimane pur sempre costoso, soprattutto se a recarsi in pellegrinaggio sono intere famiglie. Gli stessi convertiti all’islam, d’altronde, sono in aumento. Non va poi sottovalutato il ruolo dei media. Questi ultimi (la televisione in particolare) ne rilanciano ormai da almeno trent’anni le immagini in tutto il mondo, sollecitando l’immaginario di persone che mai avrebbero pensato di affrontare un simile viaggio. I media hanno certamente suscitato spinte soggettive verso l’adempimento di uno dei “doveri di base” del musulmano (recarsi almeno un volta nella vita in visita alla Mecca), ma hanno anche contribuito all’isorgenza, in un mondo percorso da “crisi identitarie” particolarmente marcate, di un desiderio di “restaurazione” di una umma (comunità musulmana) che si alimenta, oggi come oggi, di un clima ideologico particolarmente propenso a operare sovrapposizioni tanto semplificatrici quanto imprudenti tra dimensione identitaria, culturale, politica da un lato e religiosa dall’altro. Vi è poi l’interesse economico e politico dei sauditi nell’incentivare la partecipazione a questo grande rito collettivo. L’interesse economico consiste nel fatto che attorno al pellegrinaggio, come del resto già ai tempi di Maometto e dei Quraish (la tribù del Profeta che dal VI secolo controllava la gestione del santuario meccano, la Ka’ba), ruotano molti interessi: commerciali e logistici. Una volta erano la gestione delle carovane di pellegrini, l’alloggio dei pellegrini medesimi e il bestiame destinato al “sacrificio” nell’ultimo giorno del pellegrinaggio; oggi si tratta della costruzione di linee ferroviarie per facilitare il trasporto dei pellegrini da un luogo santo all’altro, di svincoli stradali, di alberghi e di infrastrutture dei servizi per i pellegrini. In queste attività la Bin Laden Constructor ha un ruolo di primo piano. Le prospettive nel campo dell’edilizia sono enormi. Ho avuto la possibilità di osservare lo schizzo di quelle che di qui a qualche anno dovrebbero essere le strutture di accoglienza dei pellegrini: sette milioni di persone alloggiate in torri gigantesche (qualcuno mi ha detto ancora più alte di quelle di Singapore, oggi le più alte del mondo) disposte tutt’intorno alla Ka’ba. Il piano è impressionante.

Page 11: News MAGAZINE n. 20 - Dipartimenti · 2015-05-28 · catalizzatore e di connettore – promuove a sua volta degli argomenti per definizione interstiziali e interdisciplinari su cui

11

La Ka’ba si riduce a un punto nero al centro della grande moschea circondata da torri secondo un piano che prevede lo smantellamento definitivo di quella che era la Mecca “storica”. La demolizione degli edifici antichi che circondavano la moschea dove si trova la Ka’ba (un edificio approssimativamente cubico con lati di 10-12 mt.) è del resto iniziato da decenni. Può stupire la mancanza di riguardi per quello che era il paesaggio della città santa fino a un’epoca recente. Non si devono tuttavia dimenticare due fattori. Il primo è certamente costituito da una diversa sensibilità nei confronti del passato (una sensibilità che, da questo punto di vista, accosta i sauditi più agli americani che agli europei). Il secondo fattore è strettamente legato alla particolare visione che i sauditi hanno dello spazio sacro e che riflette a sua volta un’interpretazione rigorista della religione. Nessun santuario, all’infuori di della ka’ba; nessuna figura santa; nessun tipo di “mediazione” nel rapporto univoco e diretto che lega il singolo essere umano a Dio nella forma della sottomissione del primo a al secondo. La ka’ba è un centro, e tutto ciò che la circonda è “simbolicamente inutile”, e di conseguenza rimovibile. La tendenza a concepire lo spazio sacro come “unico” riflette certamente il rigorismo saudita dell’interpretazione coranica (risalente alla metà del XVIII secolo). Ma non è neppure esente da una connotazione di tipo politico. Quest’ultimo corrisponde al proselitismo dell’islam saudita un po’ in tutto il mondo contemporaneo, oltre che alla volontà della famiglia regnante di proporsi come “custode dei luoghi santi”: un titolo che essa si autoattribuì dopo la conquista della Mecca (1924), e che mira a conservare e a diffondere presso una comunità musulmana mondiale sempre più in espansione. Nonostante questi aspetti economici, politici e tecnici che rischiano per certi versi di sovrastarlo, e di “oscurare” così il significato religioso dell’evento, il pellegrinaggio annuale alla Mecca resta un elemento essenziale della spiritualità

musulmana. Ho osservato i pellegrini arrivare speranzosi e ripartire rasserenati da questa grande esperienza. La visione dei luoghi della fede, dei simboli, e del punto stesso in cui tutto ebbe inizio parecchi secoli fa (tutte cose ormai pensate nella forma di un “mito senza tempo”), oltre all’immersione in una folla sterminata di individui di cui si sente di condividere le speranze, le gioie e i dolori è, come ogni rito religioso partecipato, un evento da cui gli esseri umani escono “rinnovati” e “più certi” di ciò in cui essi credono. Ugo E. M. Fabietti, Università di Milano

Bicocca

4. Rubrica “Le foto interstiziali” È iniziata la raccolta di foto interstiziali, che andranno a costituire un archivio gestito dal Gruppo Interstizi&Intersezioni. In questo numero ne presentiamo alcune molto interessanti, inviataci da colleghi, amici e simpatizzanti. Invitiamo tutti a scattare, segnalarci e inviarci foto con allegato un breve commento! �La banda di Gravedona nella Galleria di

Milano

Il 6 novembre 2010 la banda di Gravedona ha suonato in Galleria (!) per il centenario del Cai di Milano nella prestigiosa sede. Interstiziale il modo in cui si è arrivati all'accordo (una passeggiata in Valmalenco a luglio), avventuroso l'ottenimento dei permessi (potete suonare, ma non appoggiare niente per terra, camminare, gente), più che mai interstiziale nella storia della banda (ormai siamo sui 200 anni) la calata nella metropoli, interstiziale la nuova divisa (appena inaugurata). Interstiziale chi vi manda la foto (sono dietro, non mi vedete, più interstiziale di così!!) (Foto di Silvia Cortellazzi)

Page 12: News MAGAZINE n. 20 - Dipartimenti · 2015-05-28 · catalizzatore e di connettore – promuove a sua volta degli argomenti per definizione interstiziali e interdisciplinari su cui

12

�Onde di vento sulla neve

Il vento, elemento aereo, imprime alla neve che copre la terra, elemento solido, la sua presenza materializzata in curve, volute, parallele. La neve, elemento interstiziale tra terra ed aria e fra aria ed acqua, si lascia forgiare quasi come una massa liquida, un mare le cui onde vengano fissate in una scultura effimera, pronta a rimodellarsi appena il vento soffierà ancora sul manto candido. (Foto di Gianni Gasparini)

�L’interstizialità dell’infanzia

Mi chiamo Matteo. Non so perché il papà mi abbia fatto questa foto mentre la mamma mi faceva il bagnetto. Dicono che sia una foto originale, simbolica, “interstiziale” (?!) nel loro linguaggio. Voi mi guardate divertiti mentre io mi accontento di un po’ d’acqua per fare il mio bagno; ma sono io a guardare voi dal mio secchio, a interrogarvi, a chiedervi in che razza di mondo mi avete fatto nascere. Posso dirvi una cosa sola, per ora: ho fame di latte e di futuro. (Foto di Ciro Viscotti)

Pubblicazioni recenti

• Gianni Gasparini, Tempo di Natale.

Dieci racconti poetici, Gruppo Editoriale Viator, Milano 2010.

• Cesare Segre, Dieci prove di fantasia, Einaudi, Torino 2010.

• Renate Siebert, Sonia Floriani (a cura di), Incontri tra le righe. Letteratura e

scienze sociali, Luigi Pellegrini ed., Cosenza 2010.

• Viator, n. 11-12, Novembre – Dicembre 2010. In questo numero Gianni Gasparini – nella Rubrica “Interstizi” – ha riflettuto sul tema del “Fare festa”. Mentre Cristina Pasqualini – nella Rubrica “Giovani, impegno, socialità” – ha scritto sull’impegno sociale dei giovani, intendendo la solidarietà come un diritto verso se stessi.

Page 13: News MAGAZINE n. 20 - Dipartimenti · 2015-05-28 · catalizzatore e di connettore – promuove a sua volta degli argomenti per definizione interstiziali e interdisciplinari su cui

13

I nostri recapiti: Giovanni Gasparini (Il coordinatore) Dipartimento di Sociologia Università Cattolica del Sacro Cuore Largo A. Gemelli, 1 20123 Milano [email protected] Tel. 02.7234.2547

Cristina Pasqualini (La segreteria) Dipartimento di Sociologia Università Cattolica del Sacro Cuore Largo A. Gemelli, 1 20123 Milano [email protected] Tel. 02.7234.3976

I corrispondenti:

Maurizio Ambrosini, Università degli Studi di Milano (Relazioni interculturali); Marc Augé, École des Hautes Études en Sciences Sociales – Parigi (Antropologia); Maurice Aymard, Maison des Sciences de l’Homme – Parigi (Storia europea); Giampaolo Azzoni, Università di Pavia (Filosofia del Diritto); Laura Balbo, Università di Ferrara (Women studies); Enzo Balboni, Università Cattolica – Milano (Diritto e Istituzioni); Claudio Bernardi, Università Cattolica – Milano (Teatro); Gianantonio Borgonovo, Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – Milano (Bibbia); Laura Bosio, scrittrice (Fiction); Enrico Camanni, Torino (Montagna); François Cheng, Académie Française – Parigi; Giacomo Corna Pellegrini, Università degli Studi di Milano (Geografia); Cecilia De Carli, Università Cattolica – Milano (Arte); Roberto Diodato, Università Cattolica – Milano (Estetica); Duccio Demetrio, Università degli Studi – Bicocca, Milano (Educazione e formazione); Ugo Fabietti, Università di Milano-Bicocca (Antropologia); Maurizio Ferraris, Università di Torino (Ontologia); Enrica Galazzi, Università Cattolica – Milano (Linguistica); Hans Hoeger, Università Libera di Bolzano (Design); Philippe Jaccottet, Grignan (Poesia); Cesare Kaneklin, Università Cattolica – Milano (Psicologia); David Le Breton, Université de Strasbourg (Socio-Antropologia); Frédéric Lesemann, Université du Québec – Montréal (Culture delle Americhe); Francesca Marzotto Caotorta, Milano (Paesaggio); Elisabetta Matelli, Università Cattolica – Milano (Letterature antiche); Francesca Melzi d’Eril, Università di Bergamo (Letterature straniere); Giuseppe A. Micheli, Università di Milano-Bicocca (Demografia); Margherita Pieracci Harwell, University of Illinois – Chicago (Italian Studies); Edgar Morin, Cnrs – Parigi (Pensiero complesso); Salvatore Natoli, Università di Milano-Bicocca (Etica); Luigi L. Pasinetti, Accademia dei Lincei – Roma; Alberto Ricciuti, Milano (Medicina); Francesca Rigotti, Università della Svizzera Italiana – Lugano (Filosofia); Detlev Schild, University of Göttingen (Biologia); Cesare Segre, Accademia dei Lincei – Roma; Dan Vittorio Segre, Università della Svizzera Italiana, Lugano (Politologia); Pierangelo Sequeri, Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale – Milano (Religione); Antonio Strati, Università di Trento (Teoria dell’organizzazione); Pierpaolo Varri, Università Cattolica – Milano (Economia); Claudio Visentin, Università della Svizzera Italiana, Lugano (Viaggio); Serena Vitale (Letteratura russa). Le Newsletters precedenti sono consultabili sul sito dell’Associazione Italiana di Sociologia (www.ais-sociologia.it) e sul sito del Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano (http://www3.unicatt.it/pls/unicatt/consultazione.mostra_pagina?id_pagina=15524). Il contenuto degli articoli è

liberamente riproducibile citando la fonte.

Numero chiuso il: 21 dicembre 2010