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Bologna, luglio 2019:un modello 3Drelativo al processodi attivazione neuronalegenerato da MARCONI,supercomputer delcentro di supercalcolointeruniversitario CINECAdedicato al progettoHuman Brain.

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SALUTE

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E BENESSERE

SCOPERTADEL

CERVELLODopo polemiche e false partenze, il grande progetto europeo Human BrainProject sta ottenendo i primi risultati, svelando i segreti della nostra mente.

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Pavia, febbraio 2019:una ricercatricedello Human BrainProject partecipavolontariamente aduna seduta di risonanzamagnetica del cervellocon l'apparecchiomesso a disposizionedel progettodall'Università di Pavia.

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DI GIOVANNI SABATOFOTOGRAFIE DI MASSIMO BERRUTI

APURE LE MALATTIE della mente e del cervello.E trovare le cure più in fretta, spendendomeno e riducendo drasticamente il bisognodi sperimentarle sugli animali. Poi crearecomputer ispirati al funzionamento dellamente umana, progettare neurorobot versatilie autonomi, e ancora tante altre ambizioni.Ma soprattutto, più di tutto, il santo Graal:creare una vera simulazione computerizzatadel nostro cervello. Un cervello umano in si-licio che ne riproduca il funzionamento in

ogni dettaglio, dalle molecole che formano i neuroni agli im-pulsi elettrici che scorrono nel tessuto nervoso, fino a visionie suoni, emozioni e pensieri che animano la nostra mente.Sono le promesse che nel 2013 hanno convinto la Commis-

sione Europea a premiare col finanziamento record di un mi-liardo di euro in dieci anni lo Human Brain Project (HBP), unprogetto di proporzioni mai viste prima nelle neuroscienze.«Oggi i trionfatori non sono due, ma 500 milioni», cioè tuttii cittadini europei, dichiarava all'annuncio il vicepresidentedella Commissione, Neelie Kroes.Cinquecento milioni meno qualcuno, si è presto scoperto.

Non tutti i neuroscienziati d'Europa erano entusiasti dell'idea,e men che meno dell'ideatore e leader del progetto: Henry Mar-kram, dell'École Polytechnique Fédérale di Losanna (EPFL).Il visionario Markram, che aveva abbandonato la psichiatriaperché a suo dire classificava i malati senza chiedersi comefunziona il cervello, ma sentiva stretta anche la ricerca neu-roscientifica che gli fruttava pubblicazioni e prestigio, senzaperò una vera comprensione. «Continuando ad accumularelavori slegati, non capiremo mai come funziona il cervello.Dobbiamo costruire uno strumento che integri tutte le cono-scenze», diceva.

L'affascinante, carismatico Markram, aveva venduto que-st'idea alla Commissione Europea a suon di dichiarazionidel tipo: «Se lo costruiamo bene, questo cervello sapràfare tutto». Ma anche il contraddittorio Markram, che ungiorno assicurava spavaldo: «Datemi i mezzi e in dieci annisimuleremo il cervello», mentre quello successivo frenava:«Possiamo farne uno scheletro, non certo la simulazionecompleta». O, ancora, Markram l'accentratore, l'uomo solo al

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Roma, novembre2019: questotopolino sembraavere un'espressioneperplessa mentreviene sottoposto a untest comportamentalenei laboratori dellaFondazione EBRI(European BrainResearch Institute),partner HBP. Uno degliobiettivi del progettoè proprio riuscirea ridurre la necessitàdi ricorrere allasperimentazionesugli animali.

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comando che bolla come «stupide affermazioni»le soluzioni dei concorrenti e non lascia spazioad altri nella gestione del progetto.

Perciò, dopo neanche un anno, scoppiava la ri-volta. Quasi 800 neuroscienziati del continente, inuna lettera aperta, criticavano la stessa idea por-tante del progetto, che la meta principale potesseessere una simulazione completa del cervello, edenunciavano la gestione dispotica di Markram,impensabile per un progetto pubblico di questeproporzioni.La Commissione li ha ascoltati e nel 2015 ha

riorganizzato tutto. La gestione è divenuta piùcollegiale e l'ambizione scientifica più realistica.Meno ossessionata dal ricostruire al computer uncervello umano, ora punta a creare il "Google Mapsdel cervello": un centro di calcolo distribuito perle neuroscienze europee, che metta a disposizionedatabase e software per raccogliere e organizzaredati di ogni genere sul cervello, analizzarli e co-struirne modelli, dando ai ricercatori informazionie strumenti per condurre studi molto più appro-fonditi di quanto potrebbero fare in proprio.«Ad aprile 2020 finirà la fase 2 del progetto, volta

a creare l'infrastruttura su cui costruire i modellidel sistema nervoso e le componenti fondamen-tali di questi modelli», dice Egidio D'Angelo, cheall'Università di Pavia lavora sul cervelletto deltopo ed è tra i promotori della prima ora di HBP.

COSA FANNOMa cosa fanno, in pratica, i 500 scienziati, inge-gneri, informatici impegnati direttamente su HBPe le migliaia di altri che partecipano ai suoi pro-getti? Innanzitutto raccolgono montagne di datisperimentali, li mettono insieme e costruisconomodelli delle varie componenti del cervello. Peresempio studiano le membrane dei neuroni, lemolecole che le formano e gli impulsi elettrici chele percorrono. Da questi dati ricavano equazioniche descrivono come la membrana trasmettel'impulso elettrico. Con queste equazioni creanoquindi modelli matematici del neurone, che ci di-cono come reagisce a ciascuno stimolo. Poi, comeè ovvio, controllano che il modello descriva beneil comportamento del neurone reale. Altrimentilo correggono e riprovano, in un continuo andi-rivieni tra misure e modellistica.Lo stesso avviene ai livelli organizzativi supe-

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rioni: dalle proprietà dei neuroni ricostruisconoquelle dei microcircuiti che riuniscono più neu-roni per una certa funzione, da qui le reti neuro-nali più estese, e via via fino alla genesi nella no-stra testa di immagini e suoni, emozioni e cogni-zioni, decisioni e comportamenti. Dalle molecolealla mente, insomma.

Nella pratica, il lavoro procede in parallelo atutti i livelli, raccogliendo dati che poi, man mano,vengono integrati. «Al di là dei singoli modelli,la cosa essenziale è che stiamo costruendo l'in-frastruttura in cui inserirli», precisa D'Angelo. «Ilmodello di un neurone può cambiare, domani unnuovo laboratorio potrà proporne uno migliore.L'importante è avere un'infrastruttura che sappiaaccoglierlo, secondo formati condivisi prestabiliti,per integrarlo con tutti gli altri».

L'orizzonte finale resta pur sempre quello diassemblare tutti i componenti in un'impalca-tura dell'intero cervello. Per il topo la meta ini-zia a essere in vista, sotto la direzione anche diPavia; l'impalcatura è già stata realizzata per ilcervelletto, e ora si lavora al resto del cervello.«L'avventura nuova, che si completerà nella fase3, sarà farlo per il cervello umano», dice D'Angelo.

Il PAZIENTE VIRTUALEMentre le ricerche fervono e dati e modelli si accu-mulano, alcuni risultati iniziano ad arrivare. Peresempio a Marsiglia Viktor Jirsa, fisico all'Institutde Neurosciences des Systèmes dell'Universitéd'Aix-Marseille, ha creato il "paziente epiletticovirtuale": un modello che, misurando l'attivitàdel cervello durante una crisi epilettica, permettedi individuare da quali circuiti nasce la crisi inquella persona, così da guidare con precisione ineurochirurghi che, nei pazienti che non rispon-dono ai farmaci, cercano di asportare il focolaioepilettico senza danneggiare il tessuto cerebralesano. Se funziona, lo sapremo al termine dellasperimentazione clinica in corso.Tra i risultati più basilari, ma non meno impor-

tanti, ci sono tanti nuovi strumenti per indagarel'attività del cervello anche a livello di circuiti,cosa difficile pochi anni fa. O la costruzione delmodello di vari tipi di neuroni, come il neuronedi Purkinie del cervelletto, che ci aiuta a regolarei movimenti. «E la cellula più complessa del cer-vello, e il modello funziona: non c'è una carat-

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Pavia, dicembre 2018: una ricercatrice si prepara a registrare l'attività neuronale dal cervelletto dì untopo, utile a creare modelli da trasferire sulla piattaforma per la simulazione del cervello umano.

teristica nota del neurone che non sia simulata,dice D'Angelo. Per dare qualche numero, questomodello è formato da 75 mila equazioni e descrive1.600 compartimenti della cellula con proprietàelettriche distinte, oltre io tipi di canali che fannoentrare e uscire gli ioni carichi conducendo l'im-pulso nervoso, e circa too mila sinapsi di collega-mento agli altri neuroni.Un altro risultato eclatante, e parallelo, riguarda

il complicato problema di semplificare i neuroni:«Abbiamo sviluppato metodi per ridurre drastica-mente la dimensione dei modelli senza perdere lacapacità di simulare il comportamento della cel-lula», spiega D'Angelo. Così, se si vuole studiare ilsingolo neurone se ne ha una riproduzione ad altafedeltà, ma se si vuole collegarne tanti per studiarei circuiti si può usare una versione semplificata,per non creare «un pachiderma computazionale».Questi due traguardi possono suonare astratti

finché non si vede in azione il robot Nao, control-lato dal modello che simula il cervelletto svilup-pato al Nearlab del Politecnico di Milano dallasquadra della docente di bioingegneria Alessan-dra Pedrocchi.

IL ROBOT NAO«Noi non siamo membri di HBP, ma un partnerassociato: HBP non ci dà un euro, ma ci dà accessoa molte infrastrutture e alla collaborazione concolleghi di altissimo livello. Quindi la partnershipè molto utile», dice Pedrocchi. Questo rispondein parte a un'altra perplessità iniziale: il timoreche fare delle neuroscienze una big science, inve-stendo tanto su una sola iniziativa, lasci a secco ilresto del settore. In realtà, almeno per chi riescea inserire i suoi temi nel filone di HBP, non è così.«Noi lavoriamo in stretta collaborazione con il la-boratorio di D'Angelo a Pavia. Da loro riceviamoi modelli dei neuroni del cervelletto, insieme lisemplifichiamo, li mettiamo in rete e creiamo cosìil cervelletto simulato che dirige i movimenti diNao», prosegue Pedrocchi.Per capire come le reti di neuroni spiegano i

comportamenti, una strategia consiste nel darea questi circuiti modellizzati un corpo e dei proto-colli. Vale a dire metterli al comando di un robot,

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Pisa, novembre 2019:l'esemplare di robotandroide iCubin dotazione alla Scuolasuperiore Sant'Anna èconnesso al computerneuromorfico chiamatoSpiNNaker (SpikingNeural NetworkArchitecture),sviluppato dalla Scuoladi scienze informatichedi Manchester comecomponente basedella piattaformasu cui verrà simulatoil cervello umano.

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con sensori che inviano informazioni al cervellosimulato e motori che ne sono controllati comefossero muscoli; e dargli un obiettivo, cioè un mo-vimento da compiere.

«In clinica esistono protocolli specifici per valu-tare il funzionamento del cervelletto: chi ha lesionicerebellari non riesce a eseguire questi test. Nel ro-bot, con questi test, posso verificare come si com-porta il cervelletto simulato», spiega Pedrocchi.«Per esempio, alcuni protocolli sono di apprendi-mento. Poniamo che Nao debba fare un cerchio colbraccio. A un certo punto gli mettiamo al braccioun peso di io chili. All'inizio ovviamente il brac-cio parte per compiere il movimento circolare macasca subito giù. Ma pian piano, provando e ripro-vando, corregge il movimento. Questo cambia-mento è realizzato dal cervelletto in modo analogoal lento apprendimento con cui noi impariamo aregolare il sollevamento di una valigia. Il circuitodi controllo del robot ha esattamente le cellule delcervelletto, e le stesse regole con cui i circuiti dineuroni si adattano per apprendere un compito.Ma a differenza che nell'uomo, in cui vedo l'esitodell'apprendimento dal comportamento ma nonso bene che cosa è successo nel cervello, nel ro-bot posso vedere esattamente com'è cambiato ilfunzionamento dei circuiti mentre imparava».Quindi un primo obiettivo è di scienza di base:capire come il cervelletto apprende.A lungo termine, la sfida è riuscire a sfruttare

le capacità di elaborazione del cervello per realiz-zare sistemi di controllo dei robot più sofisticatidi quelli attuali e ottenere in prospettiva «robotmolto più versatili e autonomi», dice Pedrocchi.Infine, queste simulazioni possono aiutare a

studiare le malattie. «Nel cervelletto simulatointroduciamo una lesione, e facciamo sì che ilmodello si comporti come le persone con quellalesione. Poi guardiamo come è cambiato il fun-zionamento della rete neuronale. E magari sco-priamo che, per compensare il danno, si sonoattivati meccanismi che coinvolgono altre strut-ture del cervelletto. Per esempio si è potenziatal'attività di un'altra popolazione di neuroni. Que-sto ha potenzialità riabilitative enormi, perché ciindica su quali regioni far leva per compensare ildanno, sviluppando esercizi riabilitativi ad hocper stimolare queste regioni».Molto oggi, ricorda Pedrocchi, si fa attraverso

esperimenti con i roditori, che per alcuni mec-canismi dell'apprendimento sono abbastanzasimili all'uomo, ma hanno pur sempre i loro li-miti. «Mettere insieme al cervelletto anche tante

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altre aree della corteccia cerebrale, e realizzaremodelli umani, sono le due sfide della fase fi-nale di HBP», conclude la ricercatrice.

MENO ANIMALIUn'altra prospettiva importante è ridurre le spe-rimentazioni sugli animali. Il principio è quellodei crash test automobilistici: si fa un modello alcomputer dell'auto, che riproduce la resistenza allesollecitazioni di ogni componente, dalle viti allelamiere. Si simula l'impatto, si valutano i danni,e si modificano le componenti e le loro proprietàfino a ottenere la robustezza desiderata. Poi si fail test finale su un modello materiale, avendo peròrisparmiato un sacco di tempo e di soldi.Per il cervello l'idea è la stessa: si inserisce nel

modello un farmaco e si vede che effetti produce,e cosa cambia se si modifica la molecola, o la viadi somministrazione, o altri dettagli. Poi è chiaroche le sostanze promettenti vanno sperimentatedal vero: ma serviranno molte meno prove, conrisparmio di tempi, costi e animali.

LA COMPUTA/IONEL'altro grande pilastro di HBP sono i centri dicalcolo che ne ospitano i dati e i modelli, tra cuiil CINECA di Bologna, il centro di supercalcolointeruniversitario. «Lavoriamo per lo più su dueattività», spiega Sanzio Bassini, direttore delDipartimento HPc (High Performance Compu-ting). «Abbiamo innanzitutto la responsabilità disviluppare un'infrastruttura integrata. Con altriquattro centri di supercalcolo europei abbiamocreato il consorzio Fenix per fondere una serie diservizi, così che gli scienziati possano accederecon un unico account a tutti i dati e alle applica-zioni, e usare i software dell'uno per elaborare idati di un altro. È un grosso passo avanti, perchéevita le inerzie del trasferire terabyte di dati daun centro all'altro. Lo consideriamo un modellodi riferimento per altre iniziative in preparazionecome EuroHPc, un centro di supercalcolo perlascienza e l'industria europee». Anche sul versantedel calcolo, HBP fa quindi da apripista.

L'altro fronte di attività è il supporto allo svi-

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Pavia, dicembre 2018: un'immagine al microscopio di una sezione di cervelletto di topo, dalla qualeviene effettuata, nel laboratorio di elettrofisiologia, la registrazione dell'attività neuronale.

luppo dei software per le simulazioni. «Non solosviluppiamo hardware per ottenere l'enorme po-tenza di calcolo necessaria senza consumi elettricieccessivi, ma traduciamo gli algoritmi che descri-vono il funzionamento del cervello nei softwarepiù adeguati a sfruttare queste macchine», spiegaBassini. Non si tratta solo di creare macchine po-tenti, quindi, ma un sistema integrato di hardwaree software che funzioni al meglio.Più a lungo termine, altri centri lavorano a una

soluzione ancora più ardita: sfruttare quantostiamo imparando sul cervello per progettarecomputer bioispirati, i computer neuromorfici,che imitino alcune funzioni di neuroni e sinapsiper emulare la straordinaria capacità del tessutonervoso di elaborare i dati con poca energia.HBP, insomma, è un grande progetto corale

che sta portando nelle neuroscienze molte altrecompetenze, come l'ingegneria, l'informatica ela scienza dei materiali, in un continuo rimpallofra settori che si fertilizzano a vicenda. «C'è unacommistione straordinaria, è implicita nel nostrolavoro», osserva D'Angelo.Da aprile 2020 HBP inizierà la fase conclusiva,

fino al completamento nell'aprile 2023. La sfidacomunque non finirà lì: la Commissione Europeaintende continuare a far fruttare gli investimentifatti e sta studiando come protrarre il lavoro.

Nella fase finale, HBP continuerà a svilupparei modelli del topo e a lavorare di più su quelliumani. «I modelli del topo sono la rampa di lancioper quelli umani, che certo sono molto più grandi,più complicati e più problematici da ricavare, main principio sono strutturati allo stesso modo»,dice D'Angelo.Ormai è chiaro che nessuno pensa di avere fra

tre anni una simulazione del cervello umano.«Avremo l'impalcatura generale, con molti vuotiche per decenni continueranno a essere rimpol-pati dai risultati degli studi. E, molto in là neltempo, anche questa diverrà una simulazione»,precisa D'Angelo. Nel frattempo, anche se nonavremo capito il cervello umano, saremo immen-samente più attrezzati per studiarlo. ❑

Giovanni Sabato, giornalista scientificofreelance, è al suo primo articolo per NationalGeographic Italia. Il fotografo Massimo Berrutiè alla sua seconda collaborazione con NG Italia.

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Bologna, luglio 2019:una responsabiledel consorziointeruniversitarioCINECA impegnatanella verifica delfunzionamentodi alcuni serverdel supercomputerche rappresentala frazione italianadella piattaformainternazionale onlineche porterà, nel 2023,alla simulazione finaledel cervello umano.

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