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Riccardo Ciani & Giusy Crea 15/08/2010 Mission … is possible! © Riccardo Ciani e Giusy Crea

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Riccardo Ciani & Giusy Crea

15/08/2010

Mission … is possible!

© Riccardo Ciani e Giusy Crea

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Sommario Premessa ..................................................................................................................... 3

Il perché di una “missione” ......................................................................................... 4

Alcune note … .......................................................................................................... 5

In viaggio ..................................................................................................................... 6

Arrivo .......................................................................................................................... 9

La dimensione religiosa al Foyer … ......................................................................... 9

Vita quotidiana ........................................................................................................... 11

La casa .................................................................................................................... 11

L‟energia elettrica ................................................................................................... 11

L‟acqua .................................................................................................................... 11

La prima cena … .....................................................................................................12

… e la prima notte ...................................................................................................12

Si comincia! ................................................................................................................ 13

Il team .....................................................................................................................14

La domenica ...........................................................................................................16

L‟arrivo di Marco 2 e di “Lio” … ............................................................................. 17

Alcuni momenti degni di particolare ricordo............................................................. 17

Il compleanno di Giusy ........................................................................................... 17

Preparativi .......................................................................................................... 17

Compleanno “benedetto” … dal vescovo e dal cielo ........................................... 18

La festa ................................................................................................................19

Un gruppo di bambini torna a casa per le “vacanze” estive ...................................19

I volontari vanno a fare una gita al mare .............................................................. 20

Le difficoltà nel parlare ai bambini .................................................................... 22

La pasta col tonno … .......................................................................................... 23

Il carico di aiuti dall‟Italia ..................................................................................... 24

In visita a Port-de-Paix .......................................................................................... 25

Il momento del distacco ............................................................................................ 26

Il “Nutella party” ................................................................................................... 27

Inizia il viaggio di ritorno .......................................................................................... 27

Verso la capitale ..................................................................................................... 27

In visita ai luoghi del terremoto ............................................................................ 29

Suor Anna e suor Marcella .................................................................................... 30

Il rientro .................................................................................................................... 33

Conclusioni ................................................................................................................ 35

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A tutti i bambini del Foyer di Port-de-Paix

ed in particolare a Jamesley e Joshue,

entrati di forza nel nostro cuore e che mai potranno uscirne

Premessa Queste che seguono non vogliono essere né un racconto di viaggio né un resoconto

cronologico o un diario di bordo …

Sono solo una parte dei fatti, degli eventi, delle impressioni che hanno fatto la no-

stra vita per quindici indimenticabili giorni e che, proprio perché abbiamo avuto modo

di toccare con mano una realtà che nemmeno immaginavamo, entrambi desideriamo

condividere con amici, parenti e con tutte le persone che potranno, se vorranno, aiutar-

ci in futuro per continuare a far crescere la piccola pianta il cui seme abbiamo inde-

gnamente gettato.

Con l‟aiuto di Dio, ed una mano dagli uomini, ci auguriamo che così i bambini di

Port-de-Paix possano ancora, in futuro, continuare a guardarci con quegli occhioni con

cui guardavano noi, avendo una speranza nel cuore per un futuro migliore e degno di

essere vissuto con letizia.

Nessuna pretesa quindi ma solo l‟auspicio che ciò che si è iniziato non finisca qui.

Il mondo è purtroppo pieno di Port-de-Paix, lo sappiamo bene anche noi! E sap-

piamo anche che la nostra può essere considerata solo una goccia nel mare …

Ma il mare, forse, non è fatto di tante piccole gocce?

Buona lettura

Riccardo e Giusy

Port-de-Paix (Haiti), 15-30 luglio 2010

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Il perché di una “missione” Ed eccoci qui, io e Giusy, appena tornati da Port-de-Paix (Haiti)!

La nostra breve (12 giorni) permanenza - presso il “Foyer d’accueil Lasallien pour

enfants” che ospita, dal marzo scorso, oltre 100 fra

bambini e bambine di età compresa fra i 12 mesi (al-

lora) ed i 12 anni circa - si è conclusa lo scorso 28 lu-

glio.

Come certo molti sapranno la lodevole iniziativa,

cui io e Giusy abbiamo aderito, è nata dalla collabora-

zione fra l‟A.N.P.I.L.1 e la società in cui io lavoro Edi-

power SpA2.

L‟azienda – in sinergia con Edison, mag-

giore azionista della società - a seguito del

terremoto che il 13 gennaio scorso ha colpito

Haiti, ha deciso di offrire un contributo eco-

nomico per il mantenimento di circa 100 or-

fani haitiani e di offrire, ai propri dipendenti

che lo avessero voluto (eventualmente ac-

compagnati da un famigliare), la possibilità di

svolgere un breve periodo di volontariato,

completamente spesati (voli, alberghi, il con-

tributo giornaliero di 30$ per il soggiorno da

versare alle suore, ecc.) e in permesso retri-

buito!

L‟impressione e la commozione, che in

noi avevano suscitato le immagini del disa-

stro che per l‟ennesima volta aveva colpito

quelle martoriate popolazioni, non ci avevano

abbandonato una volta sparite le notizie dalla

prima pagina dei giornali!

Al desiderio di poter adottare, se fosse

stato possibile, uno di quei bambini rimasti orfani a vagabondare per la città, si è sosti-

1 A.N.P.I.L. – Amici Nella Promozione Internazionale Lasalliana. L‟Associazione A.N.P.I.L. è legalmente costituita

in Italia dal 1998. E‟ una associazione senza scopo di lucro regolarmente iscritta al Registro del Volontariato e „O.N.L.U.S.‟ (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale) di diritto.

Tra le principali finalità, vi è quella di svolgere attività di cooperazione finalizzate allo sviluppo in favore dei Paesi del Terzo e Quarto Mondo.

L‟A.N.P.I.L. ha iniziato ad operare nel 1991 dapprima come gruppo informale e, dal 1998, come associazione costi-tuita. L'Associazione nasce all'interno dell'Istituto Gonzaga di Milano, opera educativa della Congregazione Religiosa dei Fratelli delle Scuole Cristiane, fondata nel 1680 da San Giovanni Battista de La Salle, Patrono degli Educatori. E' proprio alla vita e all'opera del Santo che l'associazione si ispira e si identifica, rivolgendosi con particolare attenzione all'infanzia disagiata e abbandonata, promuovendo processi di alfabetizzazione e scolarizzazione, importanti per la cre-scita umana. L'associazione ha sede proprio all'interno dell'Istituto Gonzaga. L'ispirazione è cattolica, ma l'associazione rimane aperta a tutti coloro che vogliono “mettersi in gioco”per cercare di aiutare chi è meno fortunato, al di là di tutte le divisioni ideologiche, religiose e politiche.

Il Nome: è una parola che ricorda la prima missione in Haiti. Fu trovato ANPIL, vocabolo haitiano che significa "molte cose". Molte sono infatti le cose che l‟associazione vuole realizzare a vantaggio dei più bisognosi.

Il Logo: rappresenta un bambino stilizzato che abbraccia il mondo. I colori sono BLU e ROSSO, gli stessi della ban-diera Haitiana.

Il Motto: "Non è mai troppo tardi per regalare una infanzia ad un bambino", è una frase di Kofi Annan e ben rap-presenta la finalità dell‟associazione: restituire a molti bambini l'infanzia rubata.

Sito web: http://www.anpil.org 2 Vedasi il sito web: http://www.edipower.it

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tuita la volontà di poter, anche se per poco, alleviare la loro solitudine e la loro tristezza

andandoli a trovare direttamente sul posto.

Ed è per questo che io e Giusy non abbiamo avuto dubbi nell‟aderire alla possibilità

che ci veniva offerta! E quindi, con qualche minima esitazione ed un po‟ di paura per le

incognite che il viaggio poteva riservarci (e forse anche un po‟ di incoscienza, lo ammet-

to!), siamo partiti alla volta di Haiti.

La trasferta si preannunciava, già sul piano logistico, alquanto problematica; non

essendo Haiti una terra di vacanze rinomate o ricca di petrolio, non esistono con essa

collegamenti diretti con l‟Italia: occorre fare scali intermedi, o a Miami o alla Martinica

(a seconda della convenienza economica dei voli disponibili), e poi, con altri voli locali,

andare a Port-au-Prince e, da qui, alla nostra destinazione finale, Port-de-Paix.

Infatti, la cittadina dove dovevamo andare noi, che si trova nel nord-ovest di Haiti, è

collegata alla capitale da una rotabile in pessime condizioni che può richiedere anche 12

ore di viaggio per percorrere poco più di 200 km, con mezzi di trasporto antidiluviani!

Alcune note … Quello della povertà generalizzata, che si manifesta in ogni aspetto della vita quoti-

diana, è certamente il problema principale di Haiti3.

3 Haiti è una nazione situata nel Mar dei Caraibi. Un tempo colonia francese, è stata - dopo gli Stati Uniti - una del-

le prime nazioni delle Americhe a dichiarare la propria indipendenza. Il territorio haitiano copre la parte occidentale dell'isola di Hispaniola e confina a est con la Repubblica Dominicana.

Con una superficie, per lo più montagnosa, di quasi 28.000 kmq ed una popolazione poco oltre gli 8 milioni di indi-vidui, di cui quasi 2 milioni vivevano nella capitale Port-au-Prince (tanto per farsi un‟idea: è estesa e popolosa all‟incirca come Lazio ed Abruzzo messi insieme).

Haiti è il paese meno sviluppato dell'emisfero settentrionale e uno dei più poveri al mondo. Gli indicatori economici e sociali mostrano come Haiti, a partire dagli anni '80, abbia accumulato il divario rispetto ad altri paesi in via di svilup-

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Decenni di malgoverno – da parte delle varie feroci dittature che si sono succedute

fin dalla nascita dello stato, nel 1804 – e di sfruttamento da parte delle grandi potenze

mondiali, USA e Francia in primis, nonché l‟embargo economico internazionale - le cui

conseguenze la popolazione ha dovuto subire per colpa dei suoi governanti - hanno ri-

dotto questo paese allo stremo!

I periodici disastri naturali – inondazioni, tornado, terremoti - cui è periodicamente

sottoposto non fanno che esasperare una situazione già grave di per sé.

Le costanti lotte fratricide, di origine politica ed economica, aggravate dalla crimi-

nalità (traffico di droga e di armi, contrabbando, sequestri di persona, ecc. costituisco-

no purtroppo una piaga endemica della società haitiana, cui la presenza armata

dell‟ONU, con il contingente multinazionale MINUSTAH4, non è riuscita in tanti anni

a porre un rimedio), sono una tragica ed ulteriore calamità che si aggiunge a quelle na-

turali.

In viaggio Detto ciò, veniamo alla nostra esperienza: dopo il viaggio dall‟Italia (partenza da

Malpensa con arrivo a Miami dopo circa 10 ore di volo Alitalia e 6 fusi orari all‟indietro;

parti alle 12 ed arrivi alle 16, circa), sosta per la notte in albergo e poi si riparte per Haiti

la mattina successiva, di buonora.5

L‟arrivo all‟aeroporto della capitale Port-au-Prince viene subito contrassegnato dal

brusco passaggio dalla moderna aerostazione - prontamente ricostruita, con tanto di

tunnel di sbarco, sala d‟attesa climatizzata (per le partenze, come scopriremo poi) – ad

una specie di hangar, caldissimo, afoso, in cui le centinaia di passeggeri che arrivano

vengono costrette, per oltre un‟ora, in un‟attesa snervante del visto di ingresso da parte

delle autorità doganali haitiane.

Superato questo sbarramento “ufficiale”, occorre passare quello che viene frapposto

dalle decine di individui che si affollano all‟uscita, offrendo i propri servigi: facchi-

po con livelli di reddito molto bassi. Si pensi che il flusso di riserve dall'estero, almeno per gli ultimi cinque anni, è rap-presentato soprattutto dalle rimesse della consistente comunità haitiana espatriata e dalle tasse sulle telefonate dall'e-stero!

4 La Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti (MINUSTAH dal francese Missions des Nationes U-

nies pour Stabilisation en Haïti) è una missione di peacekeeping dell'ONU stabilita dal Consiglio di Sicurezza il 30 aprile 2004 con la risoluzione 1542.

La missione, che è operativa dal maggio 2004, si rese necessaria dopo la destituzione del presidente Jean-Bertrand Aristide, da parte di truppe di ribelli, per garantire al paese una transizione democratica del paese.

Il mandato della MINUSTAH è di aiutare il governo di transizione nazionale nel mantenere l'ordine e la legge nel paese, nel garantire libere e democratiche elezioni, e di proteggere il personale delle Nazioni Unite impegnato in progetti umanitari.

Attualmente il contingente militare è proveniente da: Argentina, Bolivia, Brasile, Canada, Cile, Ecuador, Fran-cia, Guatemala, India, Giappone, Giordania, Nepal, Paraguay, Perù, Filippine, della Corea, Sri Lanka, Stati Uniti e Uru-guay; il personale di polizia invece è fornito da: Argentina, Bangladesh, Benin, Brasile, Burkina Faso, Burundi, Ca-merun, Canada, Repubblica Centrafricana, Ciad, Cile, Cina, Colombia, Costa d'Avorio, Croazia, Egitto, El Salvador, Francia, Grenada, Guinea, Guinea-Bissau, India, Italia, Giamaica, Giordania, Lituania, Madagascar, Mali, Nepal, Niger, Nigeria, Pakistan, Filippine, Romania, Russia, Ruanda, Senegal, Serbia, Spagna, Sri Lanka, Svezia, Thailandia, Togo, Turchia, Stati Uniti, Uruguay e Yemen.

Al 30 maggio 2010 (dati ufficiali) la consistenza è di: 11.578 totale personale in divisa suddivisi in 8.609 soldati e2.969 polizia, oltre a 473 civili internazionali, 1.235 agenti locali civili, 208 Volontari delle Nazioni Unite.

Solo un‟osservazione: il costo stimato, per il solo secondo semestre 2010, è di circa 380 milioni di dol-lari!

Maggiori informazioni su: http://minustah.org/ e http://www.un.org/en/peacekeeping/missions/minustah/ 5 Per onestà di racconto: io e Giusy siamo partiti tre giorni prima dell‟orario ufficiale previsto, approfittando del vi-

aggio, per gironzolare un po‟ a Miami, ovviamente a spese nostre! Ma questo è un altro film …

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ni”autorizzati” e non, autisti di improbabili taxi, questuanti, ecc.; una folla di poveri in-

dividui, che cercano di guadagnarsi qualcosa con le mance che i passeggeri lasceranno

loro per il trasporto dei bagagli o per essere condotti a destinazione.

Solo la “navigata” esperienza di chi ci accompagna ad Haiti – i volontari di ANPIL

Max e Guido – ci riesce a “salvare” ed a guidare verso il “sicuro” rifugio dei nostri mezzi

di trasporto: un paio di fuoristrada a noleggio che ci trasferiranno all‟aerostazione dei

voli interni haitiani, situata all‟estremità opposta della pista di volo.

Arrivati qua ci attende un‟altra faticosa tappa della nostra travagliata giornata: il

check-in della compagnia regionale Tortug’Air, che opera una parte dei voli interni con

alcuni piccoli bimotori (di costruzione cecoslovacca e britannica come scoprirò al mio

ritorno in Italia).

Ad accoglierci, oltre al consueto stuolo di

facchini, un incaricato della compagnia che,

evidentemente, deve essere uno dei tanti

punti di appoggio di cui Max, in questi anni,

si è “dotato” …: egli ci aiuta nel disbrigo del-

le procedure, nell‟invio dei bagagli (garan-

tendoci che arriveranno a destinazione tutti

insieme, ma così non potrà essere come spe-

rimenterò anche in prima persona …).

Fatto ciò non occorre altro che attendere, “molto” pazientemente, che passino le

quasi cinque ore che ci separano dalla nuova partenza per la destinazione finale.

Questo, di norma, non comporterebbe particolari problemi in una qualsiasi aerosta-

zione: ma qui, in un posto del tutto privo di qualsiasi tipo di confort, l‟attesa si trasfor-

merà presto in una sottile “tortura” per le stanche membra di un occidentale già poco

avvezzo alle fatiche anche in terra nostrana; il clima è afoso - e non è possibile mitigar-

lo, né aprendo le finestre (sono bloccate perché pericolanti …), né avviando i pochi ven-

tilatori (sembra che siano guasti) - ed è reso ancor più pesante dalla concomitante pre-

senza di decine di persone in attesa di imbarcarsi per le varie cittadine dell‟interno.

Le (costosissime) bottigliette di acqua o di bibita - che vengono vendute in un im-

probabile bar, peraltro posto all‟esterno del fabbricato, ed il cui uso ci costringe, quindi,

a rieffettuare il “controllo di sicurezza” per rientrare nell‟aerostazione! - riescono solo

parzialmente a mitigare l‟arsura che ben presto ci attanaglia.

La fame invece ce la dobbiamo tenere, in quanto non ci si riesce a procurare nulla di

più di qualche pacchettino di biscotti confezionati, made in India!, a meno di non voler

rischiare da subito con qualche piatto “cucinato” in loco, non si sa come e non si sa da

chi …

Chi mi legge non creda che stia esage-

rando: il clima che si viveva era davvero da

ultima frontiera, soprattutto per quella per-

cezione di caos generalizzato che si vedeva e

toccava: almeno in certe nostrane città [del

sud … e non solo] il caos sembra assumere

un che di “ordinato”; qui invece viene percepito proprio allo stato puro, essenziale!

Intanto si cerca di passare il tempo in tutti i modi: leggendo, facendo foto, cammi-

nando, dormendo …

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Finalmente, poco prima delle 15, con una decina di minuti di anticipo sull‟orario, ci

fanno imbarcare in tutta fretta sull‟aereo e, quando siamo a bordo, capiamo il perché: si

stava scatenando un violento acquazzone e, probabilmente, il pilota voleva partire pri-

ma che diventasse impossibile qualsiasi manovra sulla pista.

In qualche modo si parte, si vola – senza

pressurizzazione, e quindi con le orecchie che si

tappano fastidiosamente nonostante tutti gli ac-

corgimenti – e, dopo circa 35 minuti, si atterra su

una pista sterrata che, con somma sorpresa e

preoccupazione, è percorsa con noncuranza an-

che da animali al pascolo e viandanti di ogni ge-

nere!

Una volta parcheggiato l‟aereo viene in tutta

fretta svuotato dai nostri bagagli e, dopo aver ve-

locemente imbarcato un‟altra comitiva di viaggiatori, riparte per la capitale.

I pochi poliziotti di servizio ci guardano distrattamente, seduti sulle loro poltroncine

all‟aperto: noi ci dirigiamo quindi per ritirare borse e valigie nella minuscola “aerosta-

zione”, più simile ad una stazione di posta dei film western che ad una struttura degna

di tal nome. E qui scopro che, malauguratamente, due delle nostre valigie, non sono ar-

rivate: e, ahimè, una era quella in cui avevo videocamera, biancheria, ecc. (l‟altra era di

Max, colma di articoli vari per la casa)! Mi assicurano comunque che verranno “rego-

larmente” recapitate il giorno successivo (e così sarà, infatti, ad onor del vero).

Uscendo troviamo ad accoglierci, con un fuoristrada Toyota che ha visto tempi mi-

gliori, uno dei “fratelli” della locale comu-

nità dei Lasalliani (i Fratelli delle Scuole

Cristiane, F.E.C. in francese), che sono

presenti a Port-de-Paix con varie strutture

e scuole.

La cittadina di Port-de-Paix6 ci risulta-

va essere una zona, dal punto di vista si-

smico, relativamente tranquilla; il terre-

moto, seppur avvertito il 13 gennaio, ci

venne detto che non aveva provocato dan-

ni; solo qualche piccola scossa periodica-

mente veniva ancora percepita (anche da noi, nelle prime due notti …), ma nulla più.

Ci stipiamo, con valigie e borse che letteralmente ci sommergono, nel fuoristrada e

percorrendo pochi chilometri di strade cittadine che, come subito scopriamo, sono più

simili a piste nel deserto che a vie urbane, arriviamo, dopo circa venti minuti di sballot-

tamenti e scossoni, alla casa delle suore.

6 Port-de-Paix, in creolo haitiano Pòdpè, è un comune di Haiti, capoluogo dell'arrondissement omonimo e del

dipartimento del Nord-Ovest. È stato il maggior centro di esportazione di banane e caffè. Alla zona intorno alla città fu dato il nome di "Valparaíso" da Cristoforo Colombo dopo che vi approdò il 6 dicembre

1492, ed ancora presenta vari luoghi e spiagge che possono costituire un'attrattiva. Un traghetto la collega all'isola di Tortuga.

La città fu fondata nel 1665 da filibustieri francesi, spinti via dall'isola di Tortuga dagli occupanti inglesi. Nel 1679 la città vide la prima rivolta di schiavi neri. La zona visse un periodo florido durante il XIX secolo, ma nel 1902 la città fu quasi interamente distrutta da un incendio e non ritornò più allo stato originale.

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Arrivo E qui abbiamo il primo commovente impatto con i nostri bambini: tutti impettiti,

(quasi) “ordinatamente” in piedi sulla scalinata di accesso alla casa, vestiti con le loro

belle divise, ci accolgono con una dolcissima canzone che, seppur incomprensibile,

sembrava, cantata da loro con così tanta calda cordialità, quasi angelica.

Qualche prima lacrimuccia cerca di af-

facciarsi sul nostro viso, ma si nasconde fra

le gocce, più numerose, di sudore. Inoltre la

necessità di sistemare i bagagli e di fare co-

noscenza con le suore, i bambini, la casa,

non lascia il tempo a troppi sentimentalismi

(anche se si vorrebbe …).

Salgo faticosamente quelle scale che, nei

giorni successivi, non solo daranno qualche

problemino alle mie stanche ginocchia, poco

avvezze a simili fatiche, ma che – perlomeno - contribuiranno a farmi perdere qualcuno

dei quasi cinque chili in meno con i quali tornerò in Italia.

Sistemati velocemente i bagagli nella spartanissima ma accogliente stanzetta (dota-

ta di servizi igienici) che ci è stata assegnata, e sulla cui porta fa bella mostra di sé il

commovente cartello scritto a computer “Benvenuti Ricardo e Giussepina (sic!) ”,

scendiamo in cortile per fare una prima conoscenza diretta con i bambini della casa.

Sono molto simpatici, tantissimi veramente belli, tutti comunque con occhioni dallo

sguardo dolcissimo! Alcuni si dimostrano da subito curiosi ed affettuosi, altri, forse giu-

stamente, si mantengono un attimino sulle loro, per misurarci …

Insieme alle suore alcuni di noi fanno un rapido giro della casa, alla scoperta dei va-

ri locali: dormitori maschile e femminile, refettorio, cucina, lavanderia, magazzini … e

cappellina.

La dimensione religiosa al Foyer … Per me, quella della cappellina, si è trattata di una piacevole “scoperta”: speravo che

ci fosse, trattandosi della casa di una comunità religiosa, ma non avevo avuto notizie

certe in merito, prima della partenza.

Inoltre, dulcis in fundo, scoprire che

c‟era anche il tabernacolo che ospitava il SS.

Sacramento è stato veramente bello!

Un piccolo inciso nella narrazione: per

me, e Giusy, questo soggiorno ad Haiti sa-

rebbe stato alquanto “arido” e privo di sen-

so se si fosse limitato ad un generico “fare

qualcosa”, ad una beneficienza fine a sé

stessa. Non poteva essere un appello al “vo-

lemose bene” e basta.

Tutto quanto aveva un senso SOLO se

veniva fatto in nome di Cristo, in modo che tutto quanto acquistasse un significato

all‟interno del Suo disegno su di noi!

1 - la cappellina del Foyer

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Per questo ho cercato, approfittando del-

le varie occasioni di preghiera offertemi

dall‟essere nella casa della piccola comunità

religiosa delle “Serve Lasalliane di Gesù”, di

dare anche una dimensione di fede a questa

permanenza, con la personale frequenza

quotidiana non solo alla Santa Messa ed alle

lodi – celebrate, ogni mattina feriale alle 6,

nella cappella della casa principale dei F.E.C.

di Port-de-Paix dal vescovo S.E. Mons.

Pierre-Antoine Paulo7, O.M.I. - ma anche

alla recita di Angelus ed Ora media, nonché

di quella dei Vespri (alla domenica questi ultimi completati dall‟esposizione ed adora-

zione del SS. Sacramento nella cappellina della casa!).

Sono stati momenti importanti, per me e per

Giusy, che ci hanno sostenuto nei momenti di

fatica e che ci hanno consentito di vedere, in o-

gnuno dei bambini della casa, la presenza di Ge-

sù.

In occasione della prima sera abbiamo avuto

anche l‟opportunità di conoscere altre due suore,

suor Beatrice (senegalese) e suor Abigail (messi-

cana), - dell‟ordine francese delle Suore di Nostra

Signora dell’Immacolata Concezione di Castres 8

– in visita ad Haiti ed al Foyer per acquisire in-

formazioni e conoscenze utili all‟avvio di una fu-

tura iniziativa del loro ordine in favore della po-

polazione Haitiana.

Anche con queste suore, nel corso del breve

periodo di comune vita nella casa, è nato – per

quel che mi riguarda - un bel rapporto di ami-

cizia, cresciuto nella comune preghiera quotidiana e nei piccoli momenti di vita di ogni

giorno, che mi auguro potrà continuare, anche se solo epistolarmente, in futuro (ma

nella vita mai dire mai!)

7 S.E. Mons. Pierre-Antoine Paulo, O.M.I., è nato a Camp-Perrin, nella diocesi di Les Cayes, il 23 marzo 1944.

Entrato nella Congregazione degli Oblati di Maria Immacolata, nel cui "Juniorato" ha compiuto gli studi classici tra gli anni 1956-1962, ha fatto la prima professione religiosa il 2 agosto 1963 e quella perpetua l‟8 settembre 1966. Ha prose-guito i corsi filosofici e teologici a Roma, presso la Pontificia Università San Tommaso (1966-1970), ottenendo la Licenza sia in filosofia che in teologia. Dal 1976 al 1979 ha nuovamente soggiornato a Roma, conseguendo la Laurea in Teologia Biblica, presso la medesima Università San Tommaso. È stato ordinato sacerdote il 20 dicembre 1969. Dopo la sua ordi-nazione ha ricoperto i seguenti incarichi: Vice-parroco a Ouanaminthe, nell‟attuale diocesi di Fort-Liberté (1970-1971); Vice-parroco a Port-à-Piment, nella diocesi di Les Cayes (1971-1976); maestro dei Novizi (1975-1976); Maestro dei Novi-zi a Port-au-Prince e Professore di Sacra Scrittura al Seminario Maggiore di Port-au-Prince (1979-1983); Superiore dello Scolasticato O.M.I. a Port-au-Prince (1983-1986); Provinciale e Presidente della Conferenza Haitiana dei Religiosi (1987-1993); Superiore della Missione degli Oblati di Maria Immacolata in Colombia e Professore di Sacra Scrittura al Seminario maggiore di Cartagena (1994-2001).

Eletto Vescovo Coadiutore di Port-de-Paix il 7 luglio 2001, ha ricevuto l‟Ordinazione episcopale il 14 ottobre succes-sivo.

Succede nel governo della diocesi il 31.3.2008 a S.E. Mons. Frantz Colimon, S.M.M. 8 (ordine fondato dalla Beata Emilie de Villeneuve nel 1836, soprannominate «suore blu» a causa dell‟abito blu che

indossano) Per maggiori dettagli si veda il sito www.cic-castres.org

3 - insieme a S.E. Mons. Vescovo

2 . la cappella dei F.E.C.

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Vita quotidiana Torniamo al racconto del primo giorno nella casa.

Il tramonto, che in genere scende fra le 18 e le 18:30, arriva velocemente e ci fa sco-

prire, bruscamente, una delle realtà di questo posto: cioè il buio completo in cui la città

precipita, a causa dell‟assoluta mancanza di qualsiasi forma di illuminazione pubblica,

almeno nella zona dove siamo noi.

La casa è, per fortuna, dotata di un potente (fin troppo!) generatore autonomo che

però, proprio per questo motivo, viene avviato solo per circa tre ore al giorno, dalle

18:30 alle 21:30 circa, per economizzare il combustibile. Nelle altre ore non vi è alcuna

forma di energia elettrica (tranne alcune batterie, alimentate in tampone da due pan-

nelli fotovoltaici posti sul solarium, e che, collegate ad un convertitore, servono per le

emergenze, principalmente per garantire le comunicazioni satellitari e una debole illu-

minazione in ufficio direzione, in cappella ed in cucina/refettorio).

La casa La casa è stata costruita negli anni scorsi da ANPIL, con il concorso di volontari ita-

liani e personale locale, a seguito di un progetto che per anni ha impegnato

l‟associazione al fine di dare degna sistemazione all‟opera che le suore svolgevano per i

ragazzi di strada. È in funzione dal 2007.

L’energia elettrica Un inciso: la mancanza di energia elettrica, nella casa così come nella città e in tutta

la nazione, è una delle cause principali di povertà e di difficoltà di progresso; senza di

essa, ormai, nulla è fattibile.

Manca la possibilità di qualsiasi forma di conservazione dei cibi, che quindi vanno

consumati in brevissimo tempo, non ci sono – e non ci possono essere - industrie o bot-

teghe artigiane, ecc.

Chi ne ha bisogno deve auto-prodursela, con gruppi elettrogeni, impianti fotovoltai-

co, generatori eolici, ecc. Eppure Haiti ha due preziose inesauribili risorse energetiche:

sole e vento!

Nel “nostro” (di volontari di questo gruppo intendo) piccolo, si è quindi pensato di

redigere un progettino per poter dotare, in un prossimo futuro, la casa delle suore di un

adeguato elettro-generatore eolico, così da poter produrre, a costo praticamente nullo,

l‟energia che abbisogna alla casa (per frigoriferi, lavatrici, ecc.) e consentire magari an-

che una limitata distribuzione alle povere abitazioni private che affiancano la casa.

Il progettino verrà redatto dai tecnici che facevano parte del nostro gruppo di volon-

tari (ben tre o quattro ingegneri c‟erano!) e sottoposti alle nostre aziende (Edison ed

Edipower) per l‟auspicabile finanziamento e la realizzazione.

Speriamo bene! Sarebbe veramente un piccolo inizio di cambiamento per la casa dei

bambini.

L’acqua Un altro grosso problema è poi quello dell‟acqua: non esistono, almeno nella zona

della città dove eravamo noi, né un sistema fognario né tantomeno un acquedotto che

raggiungano le singole abitazioni. Le fogne sono, di fatto, quasi a cielo aperto o comun-

que non idonee e l‟acqua sbuca, qui e là, da qualche fontanella, alimentata non so come,

cui la gente si reca per riempire taniche, canestri e secchi per gli usi quotidiani.

12

Quella da bere viene venduta in “boccioni”, da riempirsi poi in appositi punti vendi-

ta, od in bottiglie sigillate di plastica, od in sacchettini monodose.

La casa non si sottrae a questa situazione, purtroppo: l‟acqua per usi domestici e sa-

nitari viene conservata in una cisterna di calcestruzzo da 150.ooo litri, scavata nel corti-

le, che raccoglie l‟acqua piovana dai pluviali oppure, in caso di necessità, viene riempita

con autobotti (come è successo durante il nostro soggiorno, quando l‟acqua è

all‟improvviso finita). Una piccola elettropompa provvede poi a riempire, quando ogni

sera è disponibile l‟energia elettrica, alcuni serbatoi di stoccaggio posti sul tetto che ga-

rantiscono il normale fabbisogno quotidiano in quantità e pressione.

La prima cena … Venne infine – dopo quasi 24 ore di digiuno, visto che al mezzogiorno il pranzo a

Port-au-Prince era saltato ed a Miami la colazione non la si era praticamente fatta - il

momento della prima cena: in verità è stata, come ogni pasto, assai fornita di ogni ge-

nere di vivande, dal riso (che non mancherà mai, sia semplice, come accompagnamen-

to, sia condito in vario modo) alle verdure lessate (carote e una sorta di cavolo/cipolla

che mi sembra si chiami “zufolo”), alla carne fritta, alle banane fritte (quante ne ha

mangiate la Giusy, alla faccia della “dieta a zona”…), alla frutta fresca (manghi e banane

a volontà, e a volte anche papaya e cocco!).

Ai bambini alla sera invece veniva data

una tazza di fiocchi di avena o di cereali con

una sorta di semolino fatto da proteine liofi-

lizzate reidratate (nei giorni successivi ci è

stato poi spiegato che la sera non si “esage-

rava” con il mangiare ai bambini perché, es-

sendo la loro permanenza al centro “tempo-

ranea”, non li si voleva abituare ad un regi-

me di eccessiva alimentazione che poi, una

volta tornati alle proprie famiglie, non a-

vrebbero probabilmente potuto mantenere).

Un particolare degno di nota: prima di cena tutti i bambini venivano radunati al

primo piano, nello spazio comune antistante alle camerate, per recitare una decina del

S. Rosario, come segno di ringraziamento per la giornata trascorsa.

Dopo cena, per quel che mi riguarda almeno, a letto presto, visto che le giornate sa-

rebbero state scandite dal sorgere del sole e, quindi la sveglia avrebbe “suonato” presto,

alle 5:00 circa!

… e la prima notte La prima notte fu accompagnata da un sottofondo – che sarebbe diventato abitudi-

ne, ahimè! – di rumori della più vasta collezione: motori di gruppi elettrogeni, rane

(quando pioveva), cani che abbaiavano, asini che ragliavano (e qualche volta anche una

predicatrice di una comunità religiosa vicina alla nostra, mi sembra fosse una setta pro-

testante, che in piena notte girava urlando per convertire la popolazione!).

A tutto ciò si aggiunga il fatto che nella casa i rumori di ogni genere (e di notte par-

liamo di russamenti, ecc.: fra me ed il Marco si poteva mettere su una segheria …) si

diffondono con estrema facilità a causa di un particolare costruttivo, probabilmente

comune in quelle zone: quello di avere la sommità delle pareti che non raggiunge il sof-

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fitto, creando un‟apertura di circa 10 cm che serve per facilitare la circolazione dell‟aria

e mitigare quindi il caldo.

Per fortuna che un amico mi aveva preavvisato e così mi ero dotato di tappi di cera!

Si comincia! La mattina successiva, essendo sabato, la giornata prevedeva alle 6:00 la ginnastica

PER TUTTI – guidata dalle suore! - nel campo della scuola (che però non vide me e

Giusy partecipi, stante la nostra risaputa avversione per gli sforzi, soprattutto sporti-

vi …).

Quindi la colazione: ai bambini veniva dato un succo di frutto allungato con acqua

insieme ad un pezzo di pane fresco, una specie di focaccia.

Per noi volontari: pane fresco, accompagnato a volte da burro di arachidi, altre volte

da marmellata, frutta fresca, latte condensato (quello fresco o UHT non esiste; comun-

que il condensato era in realtà una mistura, made in Perù, di latte in polvere con aromi

e conservanti …), the e caffè (per fortuna c‟era quello portato dall‟Italia, dato che quello

haitiano aveva, per il nostro gusto, un aroma pessimo,

come di bruciato).

Qui ci colpì subito un particolare della vita della casa:

prima di ogni pasto i bambini cantavano una preghierina

di benedizione e ringraziamento per il cibo che si appre-

stavano a mangiare (non vi dico la tenerezza che mi face-

vano i vani tentativi dei più piccoli di segnarsi con un cor-

retto segno della croce, che spesso assomigliava di più ad

una scacciata di mosche …). E così pure, sempre in coro, il

ringraziamento, dopo il pasto, per le suore e le cuoche.

Dopo colazione il sabato i bambini più grandi venivano

di solito accompagnati al mare, che distava una ventina di

minuti a piedi dalla casa.

Io e Giusy abbiamo preferito lasciare ai nostri più gio-

vani colleghi la “gioiosa” incombenza di accompagnare i bambini al mare e siamo rima-

sti per badare ai più piccoli (che comunque erano un bel numero!).

E qui ci accorgemmo della prima difficoltà: la lingua. Nessuno di noi, ovviamente,

parlava il creolo haitiano e solo qualcuno intendeva un po‟ di francese: personalmente,

io e Giusy, nulla di tutto ciò.

Per questo, un po‟ a gesti, un po‟ con l‟aiuto prezioso di un giovane di 26 anni che

parlava discretamente l‟italiano, Widny, ci si riusciva un po‟ ad intendere coi bambini:

per il resto si usava un po‟ di francese, peraltro (il mio e di Giusy) piuttosto “macchero-

nico” (io non l‟ho mai studiato, Giusy lo ha fatto “qualche” anno fa …).

Qualche canzoncina, un po‟ di disegni da colorare od a mano libera, qualche giochi-

no con la palla, ed il tempo passava. Peraltro i bambini hanno manifestato, per tutto il

periodo, una certa difficoltà al saper giocare in gruppo, rispettando sia le regole del gio-

care sia quelle di uno stare insieme che non fosse allo puro stato brado. Mi spiego:

spesso si rubavano i giochi gli uni con gli altri, oppure se la propria “squadra” perdeva

tendevano ad abbandonare il gioco, litigavano per un nulla, il più grande se la prendeva

col più piccolo, ecc.

14

Purtroppo, come ebbi occasione di far notare ben presto in una riunione dei volon-

tari, a tutta la struttura mancava ancora un‟adeguata organizzazione per “gestire” i vari

gruppi di bambini: i più grandi tendevano a sopraffare i piccoli, che non potevano ov-

viamente fare le stesse attività di chi li sopravanzava in statura ed età.

Oltretutto, fino al giorno precedente il nostro arrivo, una parte dei bambini frequen-

tava la locale scuola primaria gestita dalle nostre suore e, quindi, in qualche modo tra-

scorreva parte della giornata in una struttura ben definita. Ora invece, essendo finito il

periodo scolastico, tutti gli oltre cento bambini si ritrovavano a trascorrere il loro tem-

po nei pochi spazi disponibili della casa. Di

norma ad accudire ai bambini provvedono,

oltre alle sorelle della comunità, delle donne

– alcune sono mamme dei bambini ospiti

della casa - che li sorvegliano, li controllano

nei dormitori, ecc., ma che non si occupano

specificatamente di far svolgere alcun tipo di

attività ricreativa o di altro genere.

Ed è qui che “entrano in gioco” i volonta-

ri come noi: il nostro scopo principale dove-

va essere proprio quello di intrattenere i

bambini durante la giornata con giochi, canti, ed altro.

Tutto ciò poteva, e doveva secondo me, essere fatto nell‟ottica principale di contri-

buire anche ad educare i bambini alla civile convivenza, a crescere come uomini – nel

senso di cittadini del loro paese e del mondo -, iniziando ad acquisire, per quanto pos-

sibile, un senso di civile convivenza reciproca.

La mancanza di un preciso piano educativo, inteso in senso lato, rischia invece di

causare un procedere “alla giornata”, secondo le singole ispirazioni del momento e sen-

za un coordinamento degno di tal nome.

Ma tant‟è: in poco tempo un po‟ tutti ci si è autoregolati e, ciascuno secondo le pro-

prie attitudini e le proprie capacità, si è cercato di stare al meglio con i bambini, dando

loro innanzitutto affetto e vicinanza fisica, ed aiutandoli a giocare e ad esprimersi il

meglio possibile.

Il team L‟affiatamento e l‟amicizia personale, fra noi volontari, sono andati crescendo ogni

giorno di più: se io e Giusy eravamo un po‟ i “vecchi” della situazione, il Guido, la Bea-

trice e l‟ultimo arrivato, Vittorio, erano un po‟ i “giovani”, mentre con una … “età di

mezzo” c‟erano i due Marco, Emanuele, Chiara, Lio (un volontario “puro”, cioè non era

come gli altri un dipendente del gruppo Edison - Edipower, così come anche Vittorio

del resto). Questo è stato sicuramente un buon risultato, considerando che nessuno di

noi si conosceva prima (a parte io e Giusy ovviamente!) o che, al massimo, si aveva una

superficiale conoscenza lavorativa (io ed Emanuele). È chiaro che la comunanza di in-

tenti ed il desiderio di fare “qualcosa di bene” aiutava.

Personalmente mi dispiace solo che, con molti altri membri del team, non ci sia po-

tuta essere una maggiore affinità anche sul piano della fede, considerando che ci si tro-

vava in una casa di religiose e che anche l‟attività caritativa che vi svolgeva aveva

un‟ispirazione cristiana, pur essendo aperta alla collaborazione di chiunque. Una co-

mune preghiera, e la partecipazione alla messa quotidiana, avrebbero secondo me sicu-

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ramente dato più forza ed una valenza diversa alle nostre fatiche, donando maggiore

completezza alla missione. Questo, non mi si fraintenda!, è ovviamente solo

l‟espressione di un desiderio, rimasto tale, che era in me e che non deve per nulla essere

scambiata per un giudizio sulle persone! Sono felice di come sono andate le cose e ho

sempre ringraziato il Signore per averci sorretto in questa fatica, aiutandoci tutti e con-

fortando quelli che, nel periodo, hanno avuto qualche momento di affanno.

Autonomamente venivano poi alla luce le specifiche qualità di ciascuno nel risolvere

alcuni piccoli problemi di vita quotidiana. Solo a titolo di esempio:

Marco, tecnico esperto nella manutenzione di grossi impianti industriali, si

dedicò umilmente ed efficacemente a piccoli lavori di “minuto mantenimen-

to” (come veniva chiamato a militare …), sostituendo scaldabagni, sisteman-

do impianti elettrici, riportando alla normalità il funzionamento della pom-

pa del serbatoio dell‟acqua, realizzando l‟installazione di due cesti per palla-

canestro, ecc. .

Emanuele invece riuscì, insieme a Guido, a far funzionare nuovamente il col-

legamento internet satellitare di cui erano dotate le suore e che si era inter-

rotto da alcune settimane. È un sistema un po‟ caro ma l‟unico disponibile,

purtroppo, in quella zona. (vani sono stati, infatti, i tentativi fatti per connet-

tersi ad internet con qualsiasi altro tipo di chiavetta portatile di cui eravamo

dotati!). Inoltre sistemò due vecchi computer, ricavandone uno più “decen-

te”, assemblando le parti migliori dei due originali.

Beatrice fece un po‟ da segretaria

del gruppo, redigendo anche

scrupolosamente il “diario di

bordo” e collaborando con Chiara

e Giusy sia nella fase iniziale del

corso di italiano per le suore

(proseguito poi da Marco 2), sia

nell‟organizzazione di alcune

specifiche attività “femminili” per

le bambine (es. la “giornata di

trucco”), mentre la riservata

Chiara, solo apparentemente più

defilata, cercava di interessare le bambine alla pallavolo.

Guido, invece, (che, fra l‟altro, si sarebbe fermato ad Haiti fino agli inizi di

settembre) si era assunto un po‟ il ruolo di general manager, programmando

le attività giornaliere ed organizzando ed animando i momenti principali dei

giochi.

Marco 2, peraltro rimasto con noi solo pochi giorni, oltre al ruolo “ufficiale”

di interprete (era l‟unico di noi che parlava fluentemente il francese), entrò

subito in sintonia con i bambini, riuscendo - con innata autorevolezza - ad

attirare e conservare la loro attenzione.

Tutti noi, inoltre, in qualsiasi momento, ci scatenavamo nel fare centinaia di foto-

grafie, che suscitavano la gioia dei bambini i quali, non solo immediatamente volevano

rivedersi sui piccoli schermi delle fotocamere, ma spesso pretendevano, ed ottenevano,

di poter essere loro stessi a scattare delle foto a noi ed ai loro amici. (e molte volte, a di-

re il vero, ci riuscivano con grande abilità, come se l‟avessero sempre fatto).

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Col passare del tempo, ed aumentando naturalmente la reciproca confidenza, si in-

tavolarono tante piacevoli conversazioni inerenti alla realtà che stavamo toccando: ne

nacquero tante idee, alcune da tradursi in iniziative concrete, e tante considerazioni di

vita e, un poco, anche sociologiche.

La domenica La domenica i bambini più grandi venivano accompagnati alla S. Messa presso il

centro “Fatima” dei F.E.C., sede anche di una scuola tecnica superiore.

La messa, ovviamente celebrata in lingua creola, era molto affollata e partecipata ed

animata dal coro con frequenti canti accompagnati con il ritmo dei tamburi.

Tutti quanti indossavano il “vestito ele-

gante” (probabilmente l‟unico posseduto da

molti) e le bambine, in particolar modo, e-

rano quasi tutte graziosamente abbigliate

con vestitini, fiocchetti nei capelli e calzine

eleganti, tutto del medesimo colore. Uno

spettacolo veramente!

La strada fra la casa e la chiesa era, natu-

ralmente, percorsa a piedi, di buona lena,

lungo viuzze sterrate e alquanto disastrate,

caratteristica questa purtroppo comune ad entrambe le città da noi visitate.

La povertà cronica di questo paese non consente evidentemente alle pubbliche isti-

tuzioni di provvedere alla benché minima cura delle infrastrutture viarie, in buona par-

te probabilmente eredità della dominazione coloniale e dell‟occupazione USA degli anni

1915-1934.9

Al ritorno dalla messa, la domenica, dopo la colazione, ci si dedicava alle normali at-

tività quotidiane: giochi, ecc.

Le giornate, in effetti, trascorrevano so-

stanzialmente con il medesimo orario: le u-

niche varianti erano i tipi di attività che si

svolgevano con i bambini. Dalle “olimpiadi”

(una serie di giochi variamente organizzati),

alle canzoncine, ai disegni, ai palloncini da

gonfiare, a qualche partita di calcio per i

maschietti più grandicelli.

9 Nel corso del XIX secolo, il paese fu guidato da una serie di presidenti, la maggioranza dei quali rimase in carica

solo per un breve periodo. Nel frattempo, l'economia finiva col venire sempre di più controllata dalle potenze straniere (la Germania in particolare). Preoccupati dall'influenza tedesca e dall'impiccagione del presidente Guillaume Sam per mano della folla inferocita, gli Stati Uniti decisero di intervenire occupando Haiti nel 1915.

Gli statunitensi imposero una costituzione (scritta dal futuro presidente americano Franklin Delano Roosevelt) e introdussero il vecchio sistema delle corvée, applicato a tutta la popolazione (mentre, in passato, esso gravava solo sulla maggioranza nera). L'occupazione ebbe effetti durevoli nel tempo: per volere degli statunitensi vennero costruiti ospeda-li, scuole e strade e fu lanciata una campagna che cancellò la febbre gialla dall'isola. L'occupazione tuttavia determinò un forte processo di centralizzazione del potere politico ed economico dalle province alla capitale: ne derivò la distruzione del tessuto socio-economico delle campagne, con un conseguente esodo verso la capitale. Posti di fronte a questa situa-zione, alcuni ribelli, detti Cacos, diedero vita ad una lunga guerriglia, condotta da Charlemagne Péralte prima e da Do-minique Batraviolle poi. Il governo haitiano controllato dagli Stati Uniti reagì creando una Guardia Nazionale, divenuta nei decenni successivi l'Armée d'Haiti, la quale si macchiò di molte atrocità perpetrate ai danni della popolazione civile.

L'occupazione statunitense terminò nel 1934.

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L’arrivo di Marco 2 e di “Lio” … L‟amico Lionello, “Lio” per tutti, da anni impegnato in varie opere di volontariato e

che, come scoprimmo alcuni giorni dopo, era co-autore di un libro sull‟amicizia10, ci

raggiunse dopo qualche giorno.

Così pure fece il nostro amico Marco (un

altro …) – in servizio alla sede Edison di

Bruxelles, dove si occupa principalmente di

mantenere i “contatti” aziendali con le isti-

tuzioni comunitarie – che, dopo aver fatto

con noi il viaggio da Miami ad Haiti, si era

trattenuto nella capitale haitiana con Mas-

similiano “Max”, il responsabile di ANPIL,

per alcuni incontri “istituzionali”.

Entrambi, stante le loro particolari doti e

capacità nelle relazioni umane, si inserirono perfettamente ed immediatamente in tutto

il contesto, sia dei bambini sia dei volontari.

Alcuni momenti degni di particolare ricordo Ci sono stati comunque alcuni avvenimenti degni di particolare ricordo che hanno

un po‟ “movimentato” il tran tran quotidiano:

la festa di compleanno di Giusy,

la partenza per la capitale di alcuni bambini,

la gita al mare di una parte dei volontari,

l‟arrivo dei camion con gli aiuti dall‟Italia.

Il compleanno di Giusy

Preparativi

Il 21 luglio ricorreva il 50° compleanno di Giusy: mi sembrava giusto festeggiarlo

con tutti quanti, adulti e bambini, con una tradizionale torta.

Con Giusy ne ho parlato con la superiora suor Majorie che, dando il suo assenso

all‟iniziativa, mi diceva che però occorreva che noi provvedessimo, ovviamente,

all‟acquisto di tutto quanto necessario. Avuta quindi la “lista della spesa” dalla cuoca

(madame Emmanuelle che, insieme alla vice

cuoca madame Eduard e ad un‟inserviente,

cucinava i pasti per tutti, coadiuvata anche

da altre persone della casa) Giusy, il giorno

prima, accompagnata da Marco 1 e da Bea,

nonché da un autista e da Widny (indispen-

sabile interprete e conoscitore del Mache), si

recò a comprare quanto necessario: farina,

zucchero, uova, bombola del gas, ecc.. Il tut-

to a carissimo prezzo, considerando che

quasi tutte le merci, ad Haiti, devono essere

10 “Con tutto il cuore” , vedi http://www.contuttoilcuore.it/

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importate dall‟estero e poi distribuite, come già detto su strade spesso disastrate,

all‟interno del paese.

Così, già dal pomeriggio del 20, sette od otto persone hanno cominciato ad impasta-

re gli ingredienti, ovviamente tutto a mano, mancando l‟energia elettrica per far fun-

zionare qualsiasi elettrodomestico (peraltro mancante)!

Il giorno successivo erano state fatte, e cotte al forno, oltre 20 torte! Ma non finisce

qui: dopo avermi chiesto quale fosse il colore preferito di Giusy, suore e ragazze comin-

ciarono ad addobbare il refettorio con tende, palloncini e nastrini verdi!

Da non so dove spuntava un trespolo per torte, a cinque piani, che veniva anch‟esso

addobbato in verde. Pure alcune torte, quelle per gli adulti, sono state decorate con

glassa bianca e verde, all‟aroma di frutta!

Compleanno “benedetto” … dal vescovo e dal cielo

La mattina, per rendere grazie al Signore di questi primi 50 anni di vita, Giusy mi

accompagnava a Messa insieme alle suore. Qualcun altro dei nostri amici aveva detto

che sarebbe venuto ed, infatti, dietro di noi, ha fatto poi capolino il buon Emanuele.

Appena usciti dalla casa, percorsi poche decine di metri, iniziava a piovere, dappri-

ma adagio e poi sempre più forte, diluviando.

Ovviamente non eravamo preparati ed attrezzati per un simile evento ed allora … ci

bagnammo, come pulcini! Arrivammo in cappella grondanti e Giusy sembrava la vinci-

trice del concorso di Miss Maglietta Bagnata !...

Alla fine della messa ho presentato Giusy a S.E. il vescovo, che avevo già conosciuto

nei giorni precedenti, ed egli ci ha intrattenuto amabilmente per alcuni minuti.

Mentre spiegavo il motivo dell‟inconsueta presenza di Giusy, che di norma non mi

accompagnava (ahi ahi la salita quanto pesa sulle stanche ginocchia della mia sposa!),

egli ci ha chiesto se avevamo figli (“certo, tre!”, abbiamo risposto quasi all‟unisono,

“due di 23 ed una di 21 anni”) … e da quanto eravamo sposati (ahi ahi! ...).

Alla nostra imprevedibile risposta (“cinque anni”) il suo volto ha disegnato un im-

percettibile moto di sorpresa, che però con

ieratica compostezza il vescovo controllava

immediatamente.

Siamo stati ovviamente costretti a spie-

gare la nostra “situazione” (che io, successi-

vamente, ho pensato avesse in realtà già col-

to, notando forse che non facevo mai la co-

munione, unico nella variegata assemblea di

laici e religiose che partecipavano alla Mes-

sa): egli si mostrava comprensivo verso di

noi e, paternamente, ci incoraggiava a segui-

re con fede e costanza quanto papa Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI avevano

sempre riaffermato riguardo ai divorziati risposati. Dopo averci benedetto, come da noi

richiesto, ci accompagnava con un “arrivederci!” (e così pure farà poi con me quando,

l‟ultimo giorno che ho partecipato alla Messa, lo ho salutato; infatti, consegnandogli

come ricordo un santino del mio patrono S. Riccardo Pampuri, che lui riponeva imme-

diatamente con cura nel suo breviario, gli chiedevo di ricordarci vicendevolmente nella

preghiera ed egli, assicurandomelo, mi salutava con un “arrivederci al prossimo an-

no”!).

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La festa

La sera, all‟ora di cena, siamo stati “trascinati” in salone, adeguatamente preparato

con panche e poltroncine per tutti quanti gli abitanti della casa: veniva dato inizio ad un

bellissimo spettacolo musicale, con tanto di presentatrice, a cui contribuivano, con can-

ti, balletti, ecc., praticamen-

te tutti i bambini e le bam-

bine “grandi”, alcune ma-

man e (non credevamo ai

nostri occhi!) persino le

suore, che si esibivano in

un canto tradizionale di

Haiti vestite in abito reli-

gioso “etnico”!

Uno spettacolo indi-

menticabile, non solo per la

sua intrinseca bellezza (ve-

dere i balletti o sentire le

canzoncine è stato assolu-

tamente fantastico!) ma so-

prattutto per quello che ci

stava dietro: una metodica

preparazione - fatta nasco-

stamente, in sotterfugio, con gli “artisti” che avevano cercato di sfuggire sia me sia la

Giusy durante le “prove” … – ed il tutto per una persona conosciuta da appena quattro

giorni!

Evidentemente Giusy aveva da subito conquistato,

con il suo dolce modo di fare “materno” ed affabile, il

cuore non solo dei bambini ma anche delle suore!

E per non parlare poi del regalo che la Comunità

della casa ha voluto fare a Giusy: una bellissima tova-

glia, ricamata a mano (che il giorno prima avevamo

visto esposta in un piccolo banchetto di articoli di ar-

tigianato che le suore avevano allestito per “tirare su” qualche soldo per la casa, e che

alla Giusy era piaciuta molto).

Insomma: c‟erano tutti gli ingredienti – compreso lo spumante offerto a sorpresa,

come gentile pensiero, dai nostri amici volontari! – per poter consentire una notevole

commozione per tutti ma soprattutto per la Giusy che, come ha poi continuato a ripete-

re in ogni occasione, non aveva mai ricevuto una festa così bella in nessuna delle occa-

sioni importanti della sua vita!

Un gruppo di bambini torna a casa per le “vacanze” estive Il successivo venerdì 23 un gruppo di 29 bambini è stato riportato a Port-au-Prince,

per poter passare un periodo di tempo con le proprie famiglie: vacanze? Non lo so se

sarà così, ma tant‟è … Non dimentichiamoci che, fin dall‟inizio dell‟operazione,

l‟assegnazione di TUTTI i bambini alla casa delle suore è stata di natura temporanea,

prevedendo quindi che essi fossero, prima o poi, riassegnati alle loro o ad altre famiglie.

4 Da sin.: suor Linda, Souvanie, Nerlande e suor Majorie

20

I bimbi sono stati accompagnati non solo da due autisti, ma anche da alcune ma-

man - fra cui la vera mamma del più piccolo dei bimbi, Sami, arrivata con il camion da

Port-au-Prince, e la mamma di Gustav, che già da diversi giorni era da noi per trovare il

figlio - e dalle due suore Beatrice ed Abigail, che dovevano tornare alla capitale per poi

rientrare successivamente alle loro sedi di appartenenza (la prima a Roma e la seconda

in Messico)11.

Il viaggio avveniva tramite un autocarro chiuso (!!!), con delle piccole grate a rete,

poste nella parte superiore delle pareti laterali del cassone, per consentire una minima

aereazione, e con l‟interno attrezzato con panchette in metallo e legno sui fianchi ed al

centro, come nei camion militari.

Alla mia domanda sui motivi che avesse-

ro spinto alla scelta di un simile mezzo veni-

va risposto che, oltre alla probabile scarsità

di alternative, uno dei motivi era probabil-

mente la sicurezza: occorreva evitare che si

sapesse che esso trasportava “bambini” (po-

tenziali obiettivi della criminalità organizza-

ta per i turpi commerci, di organi e di corpi,

che purtroppo sono tristemente noti …); del

resto, come noto, molte zone del paese sono, di fatto, predominio di bande organizzate

di malfattori armati e, quindi, il rischio non era certamente aleatorio …

Per cercare di rendere un pochino più confortevole il viaggio dei bambini si è prov-

viduto, anche su consiglio di Giusy, ad “imbottire” le panche con delle coperte arrotola-

te strette su sostegni e tavolacci, nonché a mettere qualche coperta sul pavimento.

La mattina del 23 quindi, poco dopo l‟alba, il camion veniva caricato con i suoi pas-

seggeri, i bagagli, qualche scorta di acqua e cibo ed è partito, accompagnato non solo

dalle lacrime di chi partiva e di chi veniva lasciato ma anche dal timore per i pericoli del

viaggio; da subito in tanti abbiamo elevato assidue preghiere a N.S. del Perpetuo Soc-

corso, patrona di Haiti, affinché vegliasse su di loro. Solo nel pomeriggio la notizia che

tutto era andato bene ci sollevava dalla preoccupazione.

Contemporaneamente ai bambini partivano anche, su un fuoristrada pick-up colmo

di bagagli, suor Majorie e sua cugina Nerlande, insieme ad un‟altra ragazza ed

all‟autista, per andare a Cap-Haïtien a trovare le proprie famiglie per alcuni giorni.

I volontari vanno a fare una gita al mare Nei due gruppi di volontari precedenti al nostro era nata la “tradizione” di andare

un giorno al mare, da soli senza bambini, per “staccare un po‟ ”…

Anche il nostro gruppo decideva di fare la gita – esclusi io e Giusy, dato che preferi-

vamo restare insieme ai bambini – e così, con l‟aiuto delle suore che procurarono il

mezzo di trasporto con autista, si organizzava il tutto per la domenica 25.

Si sono preparate le vivande e le bevande per mangiare al sacco e, all‟incirca all‟ora

concordata, dopo colazione, arrivava il mezzo di trasporto: uno scassatissimo pick-up,

con il cassone di carico attrezzato a trasporto di persone tramite delle panche (alla fine

del nostro soggiorno, durante la breve sosta nella capitale, ne avremmo poi visti a deci-

11 Alcun interessanti note sul loro viaggio (in francese) sono leggibili sul sito della loro congregazione.

21

ne di simili mezzi, sostanzialmente gli “unici” che esistano per il trasporto delle perso-

ne!).

Ma sorgeva subito un problema: avendo dovuto spegnere il motore per attendere

che venissero completati tutti i preparativi prima della partenza, quando fu il momento

di riavviarlo non ci fu verso, dal momento che la batteria non riusciva a fare il suo dove-

re …

Dopo molti, inutili, tentativi di avviamento a spinta, alla fine il furgone ripartiva ma,

a questo punto, sono state le suore che, probabilmente

per non rischiare di trovarsi con un gruppo di italiani

sperduto nella foresta da dover recuperare (con l‟aiuto di

chi? Degli elicotteri dei marines americani che quasi

quotidianamente sorvolavano la città, avendo come pun-

to di appoggio la portaelicotteri che incrociava nel canale

della Tortuga12? …), congedavano i proprietari del mezzo

che se ne andavano, sgommando, non proprio felici (an-

zi, direi proprio che imprecavano come … turchi!).

Nemmeno un altro mezzo, chiamato successivamente, otteneva dalle suore l‟ok di

“idoneità” al viaggio (che, in effetti, non era di poco conto, considerando che, stante le

condizioni delle strade, sarebbe dovuto durare circa due ore all‟andata ed altrettante al

ritorno). Quindi: gita rinviata a data da destinarsi!

A questo punto alcuni dei nostri amici decidevano di

riconvertire la giornata, portando al mare il gruppetto dei

bambini più grandi, che ovviamente furono ben felici del

cambio di programma!

Io e Giusy, anche questa volta, non andavamo, sia per

poter restare con i più piccoli, sia perché, in sincerità, sa-

pendo come erano il tratto di spiaggia ed il mare in questione (a fianco di una vera e

propria discarica, forse una parte insabbiata di ciò che in passato poteva essere stato un

porticciolo) la voglia proprio non ci veniva!

Il giorno successivo però i nostri amici ritentavano il viaggio, utilizzando questa vol-

ta il fuoristrada delle suore, opportunamente riparato

il pomeriggio prima da un paio degli uomini che lavo-

rano nella casa.

Il gruppo partiva regolarmente come previsto, con

l‟aiuto di un autista di fiducia che conosceva sia le

strade sia le “modalità di guida” locali …, indispensa-

bili per districarsi negli imprevisti dell‟accidentato

percorso, con tanto di guado di un fiume, ecc.

La giornata, per me e Giusy rimasti soli a casa con

tutti i bambini, almeno una sessantina, si preannun-

ciava alquanto problematica: ricorrendo a tutti i mezzi disponibili per tenere viva

l‟attenzione dei bambini abbiamo cercato, sia con l‟esecuzione dei disegni, sia con il

gioco della “bandiera” – che il sottoscritto è riuscito ad insegnare abbastanza bene, no-

12 Al mio ritorno in Italia scoprii trattarsi della portaelicotteri d‟assalto USS Iwo Jima (LHD-7), che stava svolgen-

do una crociera umanitaria ad Haiti – proprio a Port-de-Paix - con a bordo aiuti medici e di vario genere e personale USA, canadese e tedesco, sia militare sia di ONG.

Vedasi i links: http://www.facebook.com/album.php?aid=196611&id=62690599685 e http://haiti.usembassy.gov/

22

nostante le difficoltà linguistiche, anche per la buona intuizione e perspicacia di molti

dei grandicelli, maschi e femmine, nel capire le regole principali che cercavo di insegna-

re – e, non ultimo, con giochi con il pallone (“palla avvelenata”, ecc.).

Nonostante ciò una manciata consistente di bambini, come di consueto, sfuggiva al

controllo e si disperdeva in camerate, anfratti, cortili, ecc.

Del resto non era possibile fare diversamente, soprattutto perché la mancata cono-

scenza della loro lingua ci impediva di inventare qualsiasi tipo di intrattenimento che

prevedesse un pur minimo colloquio reciproco.

Mi sono inventato, in questa ed in altre occasioni, anche una sorta di “gioco della

matematica”, dove chiedevo ai bambini di rispondere a semplici quesiti (le famigerate

“tabelline”): se c‟erano quelli che manifestavano difficoltà anche per quelle più sempli-

ci, mi sono ritrovato anche con qualche “genietta” che, al volo!, rispondeva perfino alla

tabellina del 13 (una delle più antipatiche direi) quasi prima che io finissi di porre la

domanda!

Le difficoltà nel parlare ai bambini

Ma la mancanza del prezioso aiuto di Widny - che dopo pochi giorni dal nostro arri-

vo veniva chiamato da Max ad aiutarlo a Port-au-Prince nell‟altro progetto che si stava

sviluppando là - fu per noi una vera e propria mazzata!

Nessuno della casa, infatti, parlava italiano: solo le

suore, Majorie e Linda, (ed anche la novizia, Nerlande,

e la postulante, Souvanie) stavano seguendo un picco-

lo corso di italiano - iniziato con il primo gruppo e te-

nuto circa tre volte la settimana, per un paio d‟ore, da

qualcuno dei volontari - utilizzando un semplice testo

adottato anche in Italia nei corsi di italiano per stra-

nieri.

Anche a Widny, che l‟italiano già lo parlava molto

bene, veniva fatto una sorta di corso “avanzato” per

aiutarlo a migliorare le sue conoscenze.

Ciononostante il nostro rapporto con i bambini

cresceva di giorno in giorno, sia per me e Giusy sia per

gli altri volontari. Personalmente mi trovavo un po‟

spiazzato dal dover fare il saltimbanco od il giocoliere,

cantando canzoncine a volte un po‟ demenziali (quella delle “due sardine che si inventa-

rono un modo per entrare in una scarpa” divenne un vero e proprio tormentone kitsch

…), ma cercavo di adeguarmi, per quanto possibile. Più di tutto cercavo però di privile-

giare un rapporto personale, autonomo, che mi caratterizzasse confacendosi al mio

modo di essere, quasi a fare in modo che, una volta andatomene via, i bambini si ricor-

dassero di me, per una mia qualsiasi particolarità (a parte la pancia … che peraltro al-

cuni di loro, nel farci alcuni disegni che poi abbiamo portato con noi in Italia, eviden-

ziarono alquanto … eh eh).

In effetti in parte sono riuscito nel mio scopo: chi mi cominciò a chiamare Scara-

mouche 2 (perché nel turno precedente un volontario, Aldo, che faceva il clown da o-

spedale, si chiamava Scaramouche, ed un po‟ mi assomigliava fisicamente); chi invece

5 - insieme a Widny

23

semplicemente veniva a vedermi e toccarmi il pizzetto od i capelli tagliati a zero come i

loro.

In breve nasceva con alcuni un‟affezione particolare che, senza farmi trascurare tutti

gli altri, instaurava un particolare feeling con alcune bambine e bambini (e pensare che

in Italia, se mi avessero visto abbracciarmi e

coccolarmi tutti quei bimbi, come minimo

avrebbero chiamato la polizia con l‟accusa

di molestie pedofile …): in particolare però è

stato uno, Jamesley, 9 anni, ad attaccarsi a

me, cercandomi in ogni occasione, abbrac-

ciandomi e baciandomi ogni volta che mi in-

contrava, pretendendo a volte un‟attenzione

esclusiva (si ingelosiva quasi, se vedeva che

dedicavo pari attenzioni anche ad altri).

Oltretutto era un bambino non solo bel-

lo ma anche molto intelligente (quando ab-

biamo visto la sua pagella ho scoperto che aveva la media dell‟otto, con il massimo dei

voti in matematica). Il mio cuore di vecchio arcigno genitore, ormai poco avvezzo a si-

mili manifestazioni, non poteva non sciogliersi di fronte a tale spontanea e disinteressa-

ta dimostrazione di affetto; il suo desiderio di poter venire con me in Italia, più volte ri-

velatomi, non poteva non essere un segno di ciò: a me, e non ad altri (mi risulta) lo ave-

va chiesto (a meno che ad ogni turno non ci provasse con quello a cui si affezionava, ma

sarebbe al vero comprensibile …).

Anche per Giusy è stata la stessa cosa, con alcune bambine e bambini, perfino con la

piccola Stefanie, di 16 mesi, che dopo alcuni giorni di diffidenza accettò di essere presa

in braccio e, addirittura, in alcune occasioni, andava a cercarla finché non la trovava.

La pasta col tonno …

Mentre si svolgeva la gita al mare dei miei colleghi, io mi davo da fare per eseguire

un compito importante e delicato che mi era stato affidato (una volta che erano state

scoperte le mie alte capacità culinarie): preparare il sugo col tonno per cucinare gli spa-

ghetti “italiani” portati da Marco (insieme al tonno ed all‟olio d‟oliva).

Sebbene poco abituato a cucinare in grandi quantità, con la supervisione della Giusy

(io e lei abbiamo due varianti di sugo al ton-

no ed ella ci teneva a sorvegliarmi che io se-

guissi la SUA ricetta! …), ho preparato il su-

go in un‟enorme casseruola, utilizzando del-

la conserva di pomodoro di produzione loca-

le ed i capperi che erano stati comprati (da

Marco) al mercato.

Nel corso della preparazione, per la quale

mi sono rivestito con uno dei grembiuli che

le cuoche usavano in cucina (per la verità di

qualche taglia di meno rispetto alle mie ne-

cessità), suscitavo la continua ilarità della vice cuoca e dell‟aiutante (“Monsieur le cuci-

niere”, continuavano a dire, ridendo a crepapelle): evidentemente – ho pensato io – per

nulla abituate a vedere un uomo che cucina!

6 - Stefanie balla la "macarena"

24

Inoltre la cuoca, vedendo come preparavo il sugo, mi sembrava che mi dicesse che

lo voleva fare anche per i bambini, quella sera.

In effetti, gli ingredienti c‟erano (il tonno però era colombiano, non italiano, in olio

di … “boh”) e quindi ho messo sul fuoco un‟altra pignatta, con altro sugo (ma senza i

capperi che erano finiti); dovendo andare a recitare i Vespri, ho lasciato (o almeno così

pensavo io) la consegna alle cuoche di sorvegliare la cottura del secondo sugo, dato che

il primo era pronto (al ritorno ho scoperto che se lo erano di fatto dimenticate sul fuoco

e che era diventato un po‟ “molto” cotto …).

Comunque doveva essere la serata dei malintesi: infatti, il sugo per i bambini non è

stato usato, e il giorno dopo veniva servito un‟altra volta a noi, con spaghetti made in

Santo Domingo!

Il carico di aiuti dall’Italia Come molti sapranno, verso la metà di giugno erano partiti dall‟Italia due container

colmi di materiale per aiutare principalmente il Foyer, ma anche altre realtà assisten-

ziali della capitale da tempo oggetto del soccorso da parte di ANPIL.

L‟arrivo ad Haiti era previsto per circa il

15 luglio ma alcune difficoltà incontrate

lungo il viaggio lo hanno ritardato di diversi

giorni.

Quindi fra operazioni di sdoganamento,

carico a mano su alcuni camion, viaggio (14

ore per circa 200 km!) dalla capitale a Port-

de-Paix, il carico arrivava al Foyer nel pri-

mo mattino del giorno 27. Ad aiutarci nelle

operazioni di scarico c‟erano alcuni operai

locali, ben diretti da Marco (il “primo”, per-

ché l‟altro nel frattempo era già rientrato alla capitale per i suoi impegni a livello istitu-

zionale).

In poche ore tutto è stato scaricato ed accatastato, usando tutti gli spazi disponibili:

scatoloni di vestiti, alimentari, sementi, giochi per bambini, una libreria, legname da

costruzione necessario per erigere due nuovi

magazzini, e perfino due potabilizzatori per

poter consentire, finalmente, un‟autonomia

idrica alla casa.

L‟attività ha occupato gran parte della

mattinata, per proseguire quindi con la sud-

divisione della maggior parte del materiale.

Mentre Marco portava quello pesante nel

magazzino insieme ai suoi operai, io Bea e

Giusy ci siamo occupati dello smistamento

degli alimentari nella dispensa principale ed

in quella ausiliaria (realizzata da chi scrive in cucina, spostandovi pochi giorni prima lo

scaffale che, precedentemente, al secondo piano, conteneva la biblioteca e destinato ad

essere sostituito con quello nuovo arrivato – ahimè in parte distrutto – dall‟Italia). Nel

frattempo gli altri provvedevano a montare, nel campetto adiacente alla scuola, i vari

giochi da giardino (scivolo, altalena, ecc.) che subito hanno riscosso il più ampio gra-

25

dimento da parte di tutti i bambini (ed anche di qualche

adulto … che non aveva perfettamente capito a chi erano

destinati).

Ah, se li avessimo avuti prima quei giochi! Sarebbero

stati un‟ottima valvola di sfogo per quando, con le nor-

mali attività, non si riuscivano più a tenere i bambini!

Ma pazienza, se li “godranno” i volontari che verranno

dopo di noi!

In visita a Port-de-Paix Durante la mia permanenza si può dire che avevo visto solo una parte di alcune

strade del rione in cui noi ci trovavamo e nulla più. Era quindi ovvio che nutrissi il de-

siderio di poter vedere direttamente qualco-

sa di più della città che ci ospitava.

Per questo ho chiesto a suor Majorie di

farmi fare – pagando il dovuto - un giro in

macchina, guidato da un autista locale, per

vedere qualcosa della città. Ella ha accondi-

sceso di buon grado – e quando mai mi a-

vrebbe detto di no quella dolce suora? – e

così, seguito inaspettatamente dal mio “fi-

glioccio” Jamesley (che, saputo del mio giro,

aveva autonomamente chiesto alla suora se

poteva accompagnarmi, ottenendone l‟ok so-

lo dopo che essa ottenne il mio ad essere “scortato”), siamo andati per un paio d‟ore per

Port-de-Paix.

Ne abbiamo approfittato per fare alcune piccole commissioni, che mi hanno consen-

tito di vedere usanze e costumi del luogo, ahimè non proprio confortanti rispetto agli

standard cui siamo abituati noi.

Il pane era sostanzialmente una specie di focaccia o di panetto morbido, conservato

rigorosamente in sacchetti di plastica (per alimenti? Mah …) e venduto, come tutte le

altre derrate alimentari, senza il rispetto di alcun criterio igienico o di corretta conser-

vazione. (ma del resto, mi si disse poi, è un uso

simile a quello di certi paesi mediterranei

dell‟Europa Unita …).

Abbiamo compiuto un giro nelle zone princi-

pali della città, percorrendo strade piene di buche

- spesso grandi come voragini, spesso colme

dell‟acqua lasciata dalle piogge del giorno prima –

e percorse da un traffico caotico ed indescrivibile

di pedoni, motorini, fuoristrada, camion pesanti

(anche militari), dove l‟unica regola di circolazio-

ne vigente è quella del più forte e del più grande

(e dove, peraltro, non ho mai visto un incidente!

Mah!).

Lungo le strade una congerie di venditori di

ogni genere di merce, dalla frutta (banane e manghi 7 - Jamesley

26

soprattutto), alle bibite, a piatti di riso cucinato sul posto, a piccoli oggetti di ogni gene-

re e tipo, nuovi ed usati. Ed una quantità impressionante sia di venditori di ricariche te-

lefoniche per cellulari sia di posti telefonici mobili: del resto, tranne qualche anziano,

tutti quelli che ho incontrato sotto i 40 anni avevano il loro bravo cellulare a disposi-

zione (e lo usavano).

Con mia sorpresa notavo che anche Jamesley guardava tutto con estremo stupore

ed attenzione: nemmeno lui era mai stato in giro per la città! Ad un certo punto l‟autista

si è fermato in un cortile e ci ha invitato a scendere dall‟auto, facendoci entrare in un

mini-market all‟occidentale, perfettamente rinfrescato dall‟aria condizionata e con gli

scaffali ben forniti di ogni genere di merce di prima

necessità: alimentari confezionati, bibite, prodotti per

l‟igiene, ecc.

Ho invitato il mio “figlioccio” a scegliere qualcosa

per sé, suo fratello ed i suoi due cuginetti ma, dopo

una palese esitazione mista ad imbarazzo che gli im-

pediva di scegliere, gli prendevo io alcuni sacchetti di

snack da condividere con gli altri.

Siamo andati poi al “negozietto dell‟acqua”: qui con

l‟acqua potabilizzata (speriamo!) con un sistema ad

osmosi inversa venivano riempiti i “boccioni” (da cin-

que galloni, circa 20 litri) portati da noi (senza però

alcuna forma di risciacquo, lavaggio o verifica preven-

tiva, ci mancherebbe altro! C‟era quindi solo da spera-

re che, una volta vuotati dell‟acqua, nessuno li avesse poi utilizzati per altri liquidi …).

Nel ritorno a casa chiedevo all‟autista di vedere il mare ed egli mi portò, molto gentil-

mente, alla spiaggia cui andavano ogni tanto i nostri bambini: e quello che ho visto non

è stato certo confortante!

All‟arrivo la mancia di compenso (concordata dalla suora) che gli avevo dato era sta-

ta certamente ben spesa, anche se ciò che avevo visto era solo un infinitesimo della real-

tà sociale e civile di quel povero e sfortunato paese!

Il momento del distacco E dopo dodici giorni di permanenza, veniva alla fine il

momento di tornare verso casa. In un primo momento

Giusy ha pensato di fermarsi per altri 15 giorni ma poi, de-

siderando compiere il viaggio di ritorno con me, ci ha ri-

pensato, stante il fatto che io, per motivi di lavoro, dovevo

assolutamente rientrare.

Nel preparare le valigie per il rientro, dovevamo sceglie-

re cosa lasciare là, oltre a quello che si era già deciso fin da

prima della partenza, cioè lenzuola e salviette da bagno.

Optavamo quindi per alcuni capi di vestiario e per alcune

calzature, oltre che per altri piccoli oggetti personali e da

toilette.

Tutto ciò ha fatto la gioia di qualcuno: dall‟orologio dato

a Jamesley al profumo dato a Jamesley, dalle ciabatte di

27

Giusy, date a due ragazze, alle mie date a Mericelet, ai vestiti, ecc. A me sembrava di of-

fenderli, regalando loro roba usata, ma forse loro erano contenti non solo per ciò che gli

si dava, ma anche per il fatto che gli si lasciava qualcosa di noi!

E questo lo penso perché, qualche giorno prima, Joshue si era tolto un Tau che ave-

va ricevuto come premio per la vittoria in un piccolo torneo di calcio e lo aveva messo al

collo di Giusy, facendole capire che lo doveva portare con sé in Italia! (è inutile descri-

vere la profonda commozione che questo semplice gesto aveva provocato in noi due, ma

in Giusy soprattutto!).

Il “Nutella party” La sera precedente la nostra partenza abbiamo organizzato un “Nutella party”, mer-

cé le due confezioni da mezzo chilo di Nutella (prodotto sconosciuto ai bambini) portate

(provvidenzialmente!) da Marco e conservate gelosamente per tutto il periodo del sog-

giorno, e sopravvissute fin quasi all‟ultimo alle tentazioni di mangiarle (in effetti, solo

una volta ne abbiamo approfittato TUTTI per una colazione mattutina … “voglia di ca-

sa”? Forse …)

Con il pane comprato durante la mia “gita” in città, le ragazze hanno riempito i pa-

nini, mentre invece gli “esperti informatici”

preparavano un video con le migliori foto

del periodo, accompagnate da un delizioso

sottofondo musicale.

Ne scaturiva un delizioso siparietto “fa-

migliare” che, durante la proiezione, ha ri-

scosso un continuo coro di “ohh”, “ah ah”,

“gade li” [“guarda lì”, in creolo] da parte dei

bambini … e degli adulti, tanto da necessita-

re di un bis!

Alla fine il timidissimo Jamesley ha reci-

tato, a nome di tutti i bambini, una sorta di poesia di saluto a tutti noi, che purtroppo

nessuno di noi ha capito, ahimè!, ma di cui è stato ugualmente colto il senso, commuo-

vendoci tutti.

Inizia il viaggio di ritorno

Verso la capitale La mattina dopo, quando ancora era buio pesto, ci siamo alzati per andare

all‟aeroporto con il Toyota delle suore, guidato dall‟autista. Per fortuna i bambini dor-

mivano tutti perché, sinceramente, mi si sarebbe straziato il cuore a doverli salutare

ancora!

Anche suor Linda ci accompagnava, per aiutarci nell‟eventuale disbrigo di compli-

canze “linguistiche” nel corso delle procedure di check-in.

Esse si sono svolte regolarmente: con mia sorpresa venivo riconosciuto da uno degli

addetti ai bagagli, che si ricordava perfettamente di me e del fatto che mi era mancata

una mia valigia quando eravamo arrivati! (ma cosa avrò di così particolare per farmi ri-

cordare, a parte il fatto di essere bianco, un pochino sovrappeso e con la barba a pizzet-

to? Secondo me si ricordava dei miei occhi azzurri …)

28

Un attimo di panico mi è venuto quando, prima dell‟imbarco, il poliziotto della do-

gana ha voluto controllarci i bagagli (alla ricerca di cosa? Di droga … o di una mancia?

Mah…); con un po‟ di tensione li ho aperti “quasi” tutti, dato che una serratura a com-

binazione non ne ha voluto sapere di scattare! Mentre cominciavo a temere di essere

fermato e trattenuto nelle locali galere per verificare che non fossi un trafficante di dro-

ga od altro, il poliziotto, ridacchiando sornione, mi ha fatto cenno di andare … Uff!,

l‟avevo scampata!

Il volo di ritorno, nel solito aeroplanino di costruzione cecoslovacca13, (in realtà un

esemplare che appariva in condizioni leggermente migliori del precedente), è stato sen-

za storia: in poco più di mezz‟ora arrivavamo a Port-au-Prince, atterrando di buon mat-

tino in una città in cui splendeva un sole stupendo!

In aerostazione, recuperati i bagagli (c‟erano tutti!) scoprivamo ahimè che non c‟era

però nessun volto conosciuto ad attenderci: dopo un paio di telefonate a Max (rimasto

alla casa, dato che sarebbe arrivato con un volo successivo) per sapere come compor-

tarci siamo usciti in strada e, trascorso un po‟ di tempo, siamo stati avvicinati da un

giovane haitiano che ci chiedeva se eravamo noi i sei italiani che lui doveva portare.

Poiché un po‟ di diffidenza non guasta, dato che eravamo gli “unici” sei italiani in gi-

ro (e chiunque poteva quindi farci quella domanda …, ed anche perché nessuno aveva

pensato di chiedere l‟indirizzo del posto dove dovevamo andare … tutti contando sul

fatto che forse qualcuno degli altri lo avesse fatto? Mah!), occorse un‟altra telefonata [a

Max] per avere l‟ok a seguirlo.

Stipati nel Toyota come un chilo di sardine in una scatoletta da 100 grammi, con va-

ligie che ci opprimevano da tutte le parti, iniziavamo il viaggio verso la casa dove a-

vremmo pernottato, in attesa dei voli di rientro del mattino successivo.

Dopo aver percorso un tratto di strada che ci parve interminabile, attraversando

tutta la città ed arrampicandosi sulle montagne che la circondano, siamo arrivati dopo

circa un‟ora in località Kenscoff , dove siamo

entrati … in un altro mondo!

Varcato il portone (sempre sorvegliato

da un guardiano, mentre di notte ci pensava

personale armato con dei bei fuciloni!) che

si apriva su una recinzione infinita, siamo

entrati in una enorme villa, con prati ben

curati, alberi d‟alto fusto, piscina, campi gio-

chi, ecc.! Sembrava di essere in un qualsiasi

bel posto in Italia!

Venivamo accolti da una bella signora,

madame Rafael, dell‟apparente età di circa

45 anni, dinamica e sportiva, e dal marito (che ci hanno poi detto essere stato un ex-

campione di calcio della nazionale haitiana e fratello di un probabile futuro candidato

alla presidenza della repubblica nelle prossime elezioni di novembre) – entrambi mu-

latti - che ci accompagnavano con cortesia nella dépendance (in cui fervevano ancora

lavori di sistemazione) che ci avrebbe ospitato quella notte (ragazzi e ragazze in due

camere separate).

13 Era un LET, modello 410 UVP-E.

29

Depositati i bagagli, abbiamo chiesto di fare una colazione, dato che eravamo anco-

ra digiuni... In poco tempo in giardino ci venne servito dell‟ottimo caffè all‟italiana! (fat-

to in maxi caffettiere da 12, come scoprii dopo “curiosando” in cucina!), mentre in una

bella sala da pranzo veniva rapidamente allestita, da personale di servizio rigorosamen-

te in divisa, una splendida colazione con uova strapazzate, burro, pane fresco, marmel-

late, burro di arachidi, succo di frutta.

In attesa di poter tornare in città, dove dovevamo incontrarci con Max al campo che

ospitava la “scuola di calcio” per i bambini delle tendopoli, io e Giusy visitavamo rapi-

damente il posto: era la villa di una famiglia facoltosa dell‟alta società di Haiti trasfor-

mata in una sorta di Bed & Breakfast (per occidentali) ed in un centro soggiorno estivo

per i figli di altre famiglie dello stesso ceto sociale. In effetti c‟era, a quell‟ora, un via vai

ininterrotto di grossi fuoristrada, molti nuovi e di lusso, che accompagnavano pargoli

ed adolescenti, belli, eleganti, ben vestiti alla moda, la maggior parte ovviamente mulat-

ti (come è in maggioranza l‟alta borghesia haitiana).

Essi venivano assistiti da giovani ragazzi e ragazze, anch‟essi belli ed elegantemente

vestiti nelle loro “divise” del centro, che si occupavano di tutti i bambini ed i ragazzi che

erano là. (c‟erano anche bimbi piccoli, di pochi anni, con le loro “tate”).

Non poteva non venire alla mente un confronto con i nostri bambini del Foyer, che

a mala pena avevano un cambio di vestitini al giorno - e spesso non avevano la bianche-

ria intima o i pigiamini per la notte! - ed un paio di ciabattini o di scarpine, di frequente

consumate fino all‟osso! E non poteva non sorgere spontaneo domandarsi il perché di

simili differenze. Si era veramente in un altro mondo, il segno tangibile che ovunque,

anche nelle zone che sembrano più derelitte, esistono due realtà, separate fra loro e de-

stinate a non comunicare! Ricchi e poveri ci sono ovunque, fianco a fianco, non c‟è nul-

la da fare!

In visita ai luoghi del terremoto Appena fu possibile siamo poi partiti, con un bellissimo pulmino nuovo di zecca

(che di norma era a disposizione del gruppo italiano che si stava occupando della scuola

calcio), ben climatizzato e confortevole, alla

volta di Port-au-Prince.

Ridiscesa la montagna (la sera, a cena,

causa la temperatura non proprio estiva,

scopriremo che la villa si trovava a circa

1000 metri di altitudine!) diretti verso la cit-

tà, avendo modo così di vedere da vicino la

realtà di quei quartieri sconvolti dal terre-

moto: case distrutte, auto schiacciate ancora

in mezzo alla strada e che nessuno aveva an-

cora rimosso, i pochi lavori fatti quasi esclu-

sivamente a mano, senza l‟ausilio di ruspe o

bulldozer!

Dopo un‟oretta siamo giunti al “campo di calcio”14: in realtà si trattava di un enorme

e bellissimo prato, in periferia, a fianco dell‟elegante sede di una concessionaria di au-

tomobili, a poca distanza dall‟ambasciata USA e dalla sede di una parte del contingente

14 Vedi anche su Facebook la pagina PROGETTO Haiti per una descrizione più dettagliata dell‟iniziativa. http://www.facebook.com/pages/progetto-Haiti/117241348324176

30

ONU ad Haiti (MINUSTAH), che il padrone aveva gratuitamente concesso in uso, a

patto che venissero realizzati i servizi igienici mobili e che non si lasciassero in giro

immondizie di alcun genere!

Era l‟ora del pranzo, in cui i bambini sia del turno del mattino sia di quello del po-

meriggio mangiavano razioni calde precotte (riso, pasta, pollo) portate da un servizio di

catering.

Durante l‟attesa, sperando di poter vedere un qualche allenamento dei bambini, in-

contrammo Widny, nel suo nuovo ruolo di “interprete” ufficiale fra i bambini e gli alle-

natori italiani di Cento (FE) che stavano gestendo l‟iniziativa in collaborazione con la

Protezione Civile dell‟Emilia Romagna e con un‟altra organizzazione umanitaria haitia-

na guidata dalla dinamica e assai determinata madame, di colore, Magalie Adolphe Ra-

cine, anch‟essa esponente dell‟elite locale (cugina di un ministro, mi sembra).

L‟attesa però si prolungava eccessivamente e, per restare nei tempi programmati

per il nostro giro per la capitale, dopo aver caricato una ventina di scatole e scatoloni

con aiuti per due suore italiane cui poi avremmo fatto visita, siamo ripartiti, non senza

aver fatto una breve sosta al campo del Nucleo di Carabinieri Italiani ad Haiti (Max, in

occasione di una sua precedente visita, si era preso “per sbaglio” il cellulare di uno di

loro, simile al suo …).

Suor Anna e suor Marcella E via, verso la Casa di suor Anna. Questa è una suora italiana, salesiana, ad Haiti da

circa 50 anni, che ha costruito un centro per l‟aiuto alle ragazze di strada ed una sorta

di scuola per infermiere. Dopo il terremoto,

che per fortuna danneggiò solo lievemente

la sua struttura (al nostro arrivo i lavori di

riparazione erano in via di completamento),

i terreni vicini alla casa vennero letteral-

mente invasi da uno stuolo di senzatetto,

con le loro tende “provvisorie”: suor Anna e

le sue consorelle si sono prodigate al mas-

simo per aiutarli, ma gli aiuti non sono mai

abba-

stan-

za.

Consegnatole quanto avevamo per lei e fatte le

presentazioni, nel chiacchierare un po‟ ecco la

prima grande sorpresa; sentendomi dire che sono

originario di Piacenza mi ha subito bloccato: “io

ho degli amici di Castel S. Giovanni [una cittadina

in provincia di Piacenza]!”.

Istantaneamente, come un lampo, mi veniva

in mente il collegamento: “Ma sono i P., Piero e

Antonietta!” le ho detto; ed ella mi ha risposto:

“Ma certo! Il primo bambino che io ho fatto adottare, tanti anni fa, è proprio stato uno

dei loro figli!” (infatti, suor Anna, come attività “accessoria”, si occupa anche di adozio-

ne internazionale di bambini haitiani abbandonati! …).

8 - suor Anna

31

Dopo averle accennato alla lunga conoscenza (che data da quando io ero bambino,

essendo essi amici dei miei genitori) che ho con questa splendida famiglia di Piacenza,

ed averle raccontato che anche nella mia famiglia c‟erano state diverse suore (zie di mia

madre), partendo la ho salutata come sono uso fare con sacerdoti o religiose che incon-

tro per la prima volta (dato con gli altri lo do per scontato, evidentemente …): “ricor-

diamoci nella preghiera!”. Lei, come stupita da un simile saluto, evidentemente non

proprio frequente, purtroppo, mi ha guardato con sguardo materno (ha un anno meno

della mia mamma) e disse, prendendo in mano il crocifisso che portava al collo: “Se

non ci fosse Lui tutto, in questi anni, sarebbe stato inutile! Tutto ha un senso solo in

Lui! È Lui il mio unico sostegno nei momenti di fatica!”. Ci siamo salutati abbraccian-

doci con calore.

Quindi siamo tutti ripartiti alla volta dell‟altro campo profughi dove si trovava suor

Marcella. Arrivativi abbiamo lasciato all‟ingresso, nella tenda sanitaria – dove era

all‟opera un medico volontario messicano – una serie di scatoloni di aiuti e, saputo che

la suora non era lì, siamo proseguiti alla volta della parte più interna del campo.

Abbiamo attraversato una serie allucinante di baracche di lamiera, costruite in mo-

do approssimativo, uno spettacolo che non si

riesce a rendere con le parole! Purtroppo

scoprimmo che suor Marcella non era lì, ma

era andata al “campo della scuola di calcio”

dove aveva accompagnato i bambini della

sua tendopoli che partecipavano

all‟iniziativa!

Pazienza! Abbiamo allora deciso, man-

cando le condizioni per un “agevole” ingres-

so nel campo, di ritornare indietro, anche

per non risultare sgraditi ai poveri abitanti

di quel posto che avrebbero anche potuto non capire una visita “para-turistica” non mo-

tivata da alcunché …

Ripercorrendo la strada per cui eravamo venuti, passavamo accanto ad una serie di

piccole e semplici casupole in costruzione; erano quelle che la dinamica suora, per

combattere l‟inerzia delle autorità, trovatasi da sola i finanziamenti necessari, stava fa-

cendo costruire per i suoi profughi: due pic-

coli locali per famiglia, ma in muratura! Spe-

riamo che ce la faccia prima della stagione

delle piogge! Peraltro ci è stato detto, da chi

l‟aveva conosciuta, che essa, fino a poche set-

timane prima, aveva dormito nelle tende, in-

sieme alla sua gente! Solo dietro le insistenze

di chi aveva in timore la sua sicurezza e la

sua salute, aveva accettato di trasferirsi, per

la notte, nei locali del seminario cittadino

(mi sembra che la casa dove stava prima sia stata distrutta dal terremoto, ma non sono

sicuro).

Siamo ritornati quindi verso la città, per dirigerci alla nostra residenza “di lusso”,

dove avremmo pernottato. In effetti, abbiamo fatto un giro “lungo”, passando per la co-

siddetta “zona rossa”, quella dove maggiori erano stati i danni del terremoto: Piazza

9 - i ruderi della cattedrale

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Italia (sede del tribunale e del municipio, mi sembra), il palazzo presidenziale, la catte-

drale, ed altre strade dove vedemmo case accartocciate, schiacciate su se stesse, cumuli

di macerie che indicavano l‟esistenza un tempo di fabbricati civili o industriali.

Ed in mezzo a ciò (a volte letteralmente, proprio dentro i palazzi pericolanti!) la vita

di ogni giorno cercava, con fatica, di continuare; ovunque gente che camminava, che fa-

ceva piccoli commerci, vendendo e comprando di tutto, dagli alimenti ad ogni altro ge-

nere di cose che servono in casa: abiti appesi ai muri e ad ogni sostegno possibile, casa-

linghi, detersivi, elettrodomestici, ecc. .

Il tutto in mezzo ad un caos indescrivibile ma, allo stesso tempo, quasi “ordinato”,

in cui la gente sembrava abituata a muoversi, come assuefatta ad una vita che non po-

teva essere fatta diversamente! Nel senso che io, se dovessi stare in una situazione del

genere - lontana miliardi di anni luce dalle pur minime condizioni di vita che sarei di-

sposto ad accettare in Italia – forse non riuscirei a sopravvivere! Ed invece loro non di-

co che ci si trovassero bene, ma sembravano perfettamente padroni della situazione,

come rassegnati al fatto che nulla di meglio potevano aspettarsi!

Ad un certo punto abbiamo dovuto fermarci: ci viene detto che il pulmino su cui e-

ravamo noi aveva cominciato ad accusare problemi ai freni (forse si era danneggiato

sulle strade dissestate in cui era passato

prima nell‟andare alle tendopoli?) e che oc-

correva portarlo immediatamente in offici-

na. In attesa che arrivasse un mezzo sostitu-

tivo, chi di noi lo desiderava poteva fare un

po‟ di shopping di articoli di artigianato loca-

le in un mache vicino a dove eravamo in so-

sta. Anch‟io ne ho approfittato, acquistando

qualche ricordo in legno.

La sosta ha causato un problema logisti-

co al gruppo degli allenatori della scuola di calcio che hanno dovuto adattarsi a tornare

al B&B con un altro mezzo (che, come poi ci hanno raccontato a cena, era un “tantino”

meno comodo dell‟originale guastatosi …). Giusto il tempo di terminare gli acquisti e è

giunto un monovolume, molto confortevole, più piccolo del bus precedente, che si è di-

retto verso casa. Appena prima di arrivare a

destinazione ci siamo fermati in uno dei più

eleganti hotel della città per un piccolo

“happy hour” dall‟alto della sua terrazza

belvedere, in un confortevole bar

all‟occidentale simile ad uno qualsiasi dei

nostri.

Ordinando le consumazioni notavo che

avevano dei prezzi per noi assolutamente

accessibili ed linea con quelli italiani ma

che, per un haitiano, erano assolutamente

proibitivi! Scattate un po‟ di foto ricordo, ci

siamo riposati un po‟, avendo modo di conoscere, all‟atto di pagare il conto (una volta

tanto potei offrire io!), che la bella direttrice del locale parlava italiano molto bene, es-

sendo stata a Milano per alcuni mesi a studiare (ma non mi ha detto cosa).

33

Finalmente riprendevamo il cammino, arrivando ormai in pieno buio a destinazio-

ne. Giusto il tempo di una rinfrescata e si è andati a tavola: menù non eccessivamente

ricco ma gustoso.

Dopo cena, sopraffatto rapidamente dalla stanchezza me ne sono andato a letto: la

mattina dopo, sebbene il volo per Miami fosse alle 12 circa, occorreva scendere per

tempo in città, anche perché era meglio arrivare con un certo anticipo stante la mole di

controlli che occorre fare sui voli per gli USA. E comunque eravamo in piedi dalle 4 del

mattino!

Il rientro La mattina dopo, svegliatomi all‟alba (ormai ero abituato!) e fatta la doccia, recato-

mi nel giardino vidi che, nonostante l‟orario (erano appena le 6!), la cucina era già in

servizio ed il personale (che avevo lasciato la sera prima alle 22 circa ancora all‟opera)

già al lavoro! (mi sono chiesto allora se alloggiasse all‟interno della struttura, cosa che

mi auguro; diversamente non oso immaginare il tour de force cui doveva sottoporsi,

considerando la precarietà dei mezzi di trasporto).

Ne ho approfittato per fare subito cola-

zione, intanto che non c‟era quasi nessuno in

giro (che potesse “rubare” le mie porzioni …

eh eh).

Con molta calma, oltre un‟ora dopo, ho

visto arrivare la mia “dolce metà”, che aveva

dormito nella stanza delle ragazze, proprio

mentre io stavo tornando a prendere le vali-

gie dalle camere per portarle al luogo da cui

poi saremmo partiti. Ho avuto così modo di

vedere che a quell‟ora - così come il giorno precedente quando eravamo arrivati

dall‟aeroporto - c‟era il via vai di macchine che portavano al centro estivo i bambini

“ricchi” …

Finalmente partivamo verso la capitale e, dopo un‟oretta, arrivavamo all‟aeroporto

dove, da “veterani” ormai avvezzi a queste

incombenze, sbrigavamo celermente le

formalità: check-in bagagli, controllo di si-

curezza, controllo doganale in uscita (dopo

che, per un attimo, ho temuto di aver sba-

gliato coda e di essermi messo in quella che

mi faceva “rientrare” nel paese …) e, final-

mente, sala d‟attesa e bar, per fortuna ade-

guatamente rinfrescati e climatizzati (fin

troppo!).

Fatti alcuni ultimi acquisti (un po‟ di delizioso rhum haitiano non potevo non com-

prarlo!), è arrivata l‟ora di imbarcarsi sul volo per Miami, affollatissimo come quello

dell‟andata (“ma chi prenderà mai un volo da Miami ad Haiti?” semplice: centinaia di

emigranti che ritornano per le vacanze e centinaia di volontari occidentali di ogni razza,

nazionalità, religione e ONG di appartenenza …).

34

Il resto è solo storia di normali transiti per aeroporti internazionali, dogane USA

piene di sospettosissimi ed inflessibili poliziotti, viaggi in scomodissimi aerei Alitalia,

ecc.

Anzi no, un intermezzo curioso: mentre ero in coda per l‟imbarco a Miami, mi sono

imbattuto in una mia vecchia amica di Piacenza – la sorella di una nota cantante italia-

na, piacentina – che non vedevo da molti anni e che stava accompagnando la propria

figlia, minorenne, che stava per tornare da sola in Italia!

Quando si dice il destino: il mondo, ormai, è davvero diventato proprio piccolo!

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Conclusioni È difficile tirarne, anche perché molto si è già detto nella premessa.

L‟unica cosa che penso si possa dire, alla

fine di questo racconto, è che esso non potrà

mai rendere ciò che nel cuore e nell‟animo

abbiamo provato laggiù, in mezzo a quei

bambini che ogni giorno ci circondavano a

gruppi, ci toccavano, ci abbracciavano; e che

la sera prima che partissimo, quando ci sia-

mo salutati, piangendo insieme a noi ci chie-

devano: “non partire!”, “portami con te in I-

talia!”.

Magari avessimo potuto! Ma le leggi, giu-

stamente severe per evitare abusi abominevoli, non permettono scelte del genere, fatte

in quattro e quattr‟otto.

Un impegno in tal senso comunque c‟è,

da parte mia e di Giusy, e se il Buon Dio lo

vorrà chissà che questo reciproco sogno –

nostro e dei bambini – non possa alfine avve-

rarsi, magari in forme o modalità che nem-

meno ora riusciamo ad immaginarci.

A voi tutti, grazie per averci letto pazien-

temente fin qui.

Se in qualsiasi modo volete aiutare i no-

stri bambini rivolgetevi pure a noi e parlia-

mone: siamo ovviamente anche disponibili

ad andare a raccontare la nostra umile espe-

rienza, laddove e qualora ci venisse chiesto di

farlo.

P.S. Una serie completa di immagini sul nostro soggiorno haitiano è visibile ai se-

guenti link:

http://picasaweb.google.it/riccardociani/Haiti2010?feat=directlink

http://picasaweb.google.it/riccardociani/HAITI2010FotoDaAmici?feat=directlink

Il blog su questa “Missione”, su cui poter trovare eventuali aggiornamenti è:

http://riccardociani.myblog.it/

su cui ci sono anche tutti i riferimenti per eventualmente contattarci.