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CRIMEN et DELICTUM – n. XI, April 2016 International Journal of Criminological and Investigative Sciences 43 FDE Institute Press® - Mantova – Italy. ISSN 2039-5671 Luoghi di culto e fattore religioso. Considerazioni criminologiche sulla L.R. Lombardia n. 2/2015 Received: 30-05-2015 Accepted: 16-01-2016 Published: 30-04-2016 M a u r o B a r d i FDE Istituto di Criminologia di Mantova Abstract (italiano) Un esame criminologicamente orientato circa la Legge regionale della Lombardia, n. 2, 3 febbraio 2015 - Modifiche alla Legge regionale 11 marzo 2005, n. 12, presenta aspetti di notevole interesse; e ciò anche dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 63/2016. Come del resto una disamina – sempre condotta sulla base della impostazione delle discipline criminologiche – del fattore religioso, offre l’occasione per porre in evidenza alcuni peculiari aspetti teoretici: segnatamente quelli legati ad un approccio culturalistico e conflittualistico, come evolutosi dagli anni ’30 del secolo scorso. La norma sopra citata, al di là degli argomenti tecnico edilizi, e di quelli legati alle discipline ecclesiasticistiche, presentava tratti notevoli per le prescrizioni previste e contenute. In particolare si segnalava lo strisciante senso di sospetto e di larvato pregiudizio che il legislatore regionale riservava nei confronti di alcune confessioni religiose di minoranza. Proprio da tale atteggiamento sospettoso ed orientato alla prevenzione che possono trarsi considerazioni che possono farsi risalire anche ad impostazioni di politica criminale sviluppata in sede amministrativa e locale. Parole chiave: L.R. Lombardia n. 2/2015, minoranza, religione, devianza, controllo religioso.

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Luoghi di culto e fattore religioso.

Considerazioni criminologiche sulla L.R.

Lombardia n. 2/2015

Received: 30-05-2015 Accepted: 16-01-2016 Published: 30-04-2016

M a u r o B a r d i

FDE Istituto di Criminologia di Mantova

Abstract (italiano)

Un esame criminologicamente orientato circa la Legge

regionale della Lombardia, n. 2, 3 febbraio 2015 - Modifiche alla Legge regionale 11 marzo 2005, n. 12, presenta aspetti di notevole interesse; e ciò anche dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 63/2016. Come del resto una disamina – sempre condotta sulla base della impostazione delle discipline criminologiche – del fattore religioso, offre l’occasione per porre in evidenza alcuni peculiari aspetti teoretici: segnatamente quelli legati ad un approccio culturalistico e conflittualistico, come evolutosi dagli anni ’30 del secolo scorso. La norma sopra citata, al di là degli argomenti tecnico edilizi, e di quelli legati alle discipline ecclesiasticistiche, presentava tratti notevoli per le prescrizioni previste e contenute. In particolare si segnalava lo strisciante senso di sospetto e di larvato pregiudizio che il legislatore regionale riservava nei confronti di alcune confessioni religiose di minoranza. Proprio da tale atteggiamento sospettoso ed orientato alla prevenzione che possono trarsi considerazioni che possono farsi risalire anche ad impostazioni di politica criminale sviluppata in sede amministrativa e locale.

Parole chiave: L.R. Lombardia n. 2/2015, minoranza, religione, devianza,

controllo religioso.

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Abstract (english)

A criminological examination-oriented about the Regional Law of Lombardy, n. 2, February 3, 2015 - Changes to Regional Law 11 March 2005, n. 12, has aspects of considerable interest; and that even after the Constitutional Court judgment no. 63/2016. As is an examination - always conducted on the basis of the setting of the criminological disciplines - the religious factor, it offers the opportunity to highlight some peculiar theoretical aspects: namely those related to a culturalistic and conflittualistic approach, as evolved from the 30s of last century. The above standard, beyond the building technical topics, and those related to ecclesiasticistic disciplines, contained significant traits to the requirements laid down and contained. In particular, it pointed out the creeping sense of suspicion and veiled prejudice that the regional legislature reserved against some minority religious confessions. It is from this attitude of suspicion and towards the prevention that can be drawn conclusions that can also be traced to criminal policy settings developed in administrative and local.

Keywords: Lombardy Law no. 2/2015, Minority, Religion, Deviance, Religious

control.

Premessa

La criminologia contemporanea si presenta come una disciplina

aperta. Parlare di apertura non significa necessariamente abbandonare il campo di studio ad un destino di indeterminazione, ma piuttosto conferire al suo interprete spazi di libertà di indagine, immaginandolo come all'interno (ma non al centro) di una rete relazionale di discorsi, sapienze, narrazioni1; senza necessariamente seguire schemi concettuali pre-determinati e rinvii a norme e modelli oggettivi. Lo stesso riferimento normativo, che rappresenta una delle basi ineludibili per la costruzione di un discorso criminologico, dovrà – a nostro avviso – essere operato sulla base di un avvicinamento di carattere generale e comprensivo. In questo senso dovrà essere

1 U. ECO, Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee, Bompiani, Milano, 2013, pp. 35 ss.

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investigata non solo la norma penale (e punitiva), ma lo dovranno essere anche tutti quei dispositivi legali che possono aver a che fare, anche indirettamente, con i costrutti della devianza e della sicurezza. Oltretutto: un approccio criminologico nei confronti del dato legale che si limiti al suo lato oggettivo rischia di disvelarsi sempre meno adeguato e più incompleto. La norma è sempre meno un dato in sé (astratto, puro, privo di sviluppo e irrelato, inconsapevole), ma è per sé, ossia un fattore concreto, mediato da altri fattori, esplicito, attuale, effettuale, relazionato e consapevole. Sotto questo profilo la legge deve essere riguardata anche sulla base del profilo degli effetti (non solo materiali, ma anche simbolici) che è in grado di dispiegare: e questi effetti dovranno tenere in conto le tre coordinate fondamentali che coincidono con i tre sguardi e le tre prospettive possibili: quello del nomoteta, quello del gruppo dei destinatari più o meno diretti della norma e quello del gruppo non coinvolto che osserva2. Il disposto legale può essere valutato alla stregua di un testo e pertanto sottoposto a diverse prospettive di esame – non contraddittorie – integrabili tra loro:

a) quella del soggetto dell'emittente del testo (caratterizzata da intenzionialità – e da implicature nella intenzione);

b) quella dell'ambiente (del contesto) cognitivo entro il quale il testo viene inserito, e che contribuisce a costruire il codice interpretativo;

c) quella del destinatario: sia egli indifferente alla norma, sia egli coinvolto dalla medesima3.

Questo tipo di impostazione e queste connotazioni di apertura emergono sulla base di diverse considerazioni, ed hanno riguardo alla tradizionale multidimensionalità del metodo della criminologia e, in particolare, alla varietà di aspetti e fenomeni della vita che prende in considerazione. Il concetto di criminologia rinvia – anzi deve necessariamente rinviare – ad un insieme di argomenti molto diversi tra loro, con una diversità di fatti da investigare, di metodi da utilizzare, di impostazioni di partenza e di vedute e considerazione dei problemi. Lo stesso dato unitario di fondo da mantenere, il fatto che la criminologia attiene ai comportamenti sociali, non sembra poter fornire una soddisfacente base di partenza. I comportamenti, infatti, se considerati in senso puramente esteriore e materiale, rischiano di porre in evidenza la sola dimensione descrittiva esteriore ed oggettiva,

2 S. ALEO, Criminologia e Sistema penale, CEDAM, Padova, 2006, pp. 115-161, 167-199, 299 ss. 3 V. PISANTY, A, ZIJNO, Semiotica, Mc Graw, Hill, Milano, 2008, pp. 26 ss.

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e lasciare sullo sfondo quella di orientamento più strettamente fenomenologico4; non dobbiamo chiederci soltanto come si siano svolti i fatti o quali siano i contenuti concreti delle norme, ma anche interrogarci su come i fatti siano interpretati dai loro autori e dai loro osservatori; e quali siano i presupposti culturali che sono sottesi alle norme e le reazioni dei loro destinatari. Dobbiamo intraprendere un percorso di pensabilità e rinnovamento della nostra disciplina, che sia organizzato sulla base di coordinate complesse e dinamiche, in grado di cogliere la diversità degli aspetti dell'agire umano anche sulla base dei loro diversi presupposti culturali. Una disciplina in grado di interagire con le strutture normative presenti e de iure condendo e che possa porsi nei confronti delle stesse con un atteggiamento critico5. In particolare, l'approccio normativo dovrà esaminare il disposto legale da un punto di vista formale, dal punto di vista dei suoi contenuti, sia espliciti, che impliciti. Ai fini della nostra ricerca, infatti, dobbiamo tenere presente che lo sguardo sulla norma non è solo di carattere strettamente tecnico, ma si rivolgere nei confronti degli aspetti ideologici e di sistema. Ma non solo: dobbiamo essere in grado di rilevare come l'evoluzione della produzione giuridica vada orientandosi in modo marcato nella direzione della prevenzione. Ciò comporta un deciso orientamento da parte del diritto che, da un lato si avventura a disciplinare territori non necessariamente di carattere penale (quindi maggiormente capillari) e, d'altro canto, tende fatalmente ad intervenire fornendo definizioni rispetto a: sicurezza e rischio, individuando soggettività, creando stereotipi6 e, fatalmente, creando fratture nella trama sociale. Un approccio di carattere normativo, poi, non deve trascurare quegli aspetti più ampi che trascendono il comune dato giuridico e formale, ma che prendono in considerazione7 le relazioni tra ordini normativi concorrenti o conflittuali tra loro. In questa direzione lo studio criminologico si rivela interessante anche per quanto concerne i rapporti tra i comandi contenuti nelle norme positive e quelli che

4 U. GALIMBERTI, Dizionario di Psicologia, UTET, Torino, 2006, pp. 397, 398. 5 D. MELOSSI, Stato, controllo sociale, devianza: teorie criminologiche e società tra Europa e Stati

Uniti, Bruno Mondadori, Milano, 2002, pp. 21 ss. 6 D. CHAPMAN, Lo stereotipo del criminale, Einaudi, Torino 1971, pp. 30 ss. T. PITCH, La società della prevenzione, Roma, 2006, pp. 54 SS., 122. A. SBRACCIA, F. VIANELLO, Sociologia della devianza e della criminalità, Il Mulino, Bologna, 2010, pp. VII ss. 7 V. FERRARI, Diritto e società. Elementi di sociologia del diritto, Laterza, Roma, Bari, 2011, pp. 55 ss.

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scaturiscono dalla appartenenza formale o sostanziale a gruppi che propugnano orientamenti normativi di direzione contraria, poiché, ad esempio, fondati su presupposti culturali differenti8. Si è parlato di crisi della criminologia e si è voluto considerare questa congiuntura con toni pessimistici9; e proprio questi toni pessimistici non rappresentano altro che la presa d'atto di una disciplina che spesso non è stata in grado di delimitare e chiarire le proprie definizioni. Una crisi che concerne anche i singoli istituti: si consideri il caso della pericolosità (o in termini più avanzati la rischiosità) che, da concetto teorico solido e strumento di carattere operativo, diventa una definizione problematica e dai confini incerti10, che si espande sino a coinvolgere non solo singoli soggetti nell'ambito clinico, ma si estende a gruppi interni, gruppi di confine, gruppi ed etnie che provengono dall'esterno. La pericolosità non riguarda più solo la definizione di soggettività, ma fatalmente giunge a caratterizzare i luoghi, le cose e le scansioni temporali.

Il fattore culturale e religioso e la sua evoluzione rispetto

all'assetto istituzionale

Uno dei fattori che hanno a che fare con la convivenza civile è indubbiamente costituito dal fenomeno religioso. E questo sia come fattore individuale, che come fattore sociale11, da approcciare e conoscere nel suo confronto e nella sua evoluzione con i processi politici e della modernizzazione12. Ma non solo: lo stesso fattore è da investigare nel suo atteggiarsi come elemento di struttura e consenso o di eventuale conflitto13; e nel suo essere produttore di precetti.

8 H. MANNHEIM, Trattato di criminologia comparata, v. II, Einaudi, Torino, 1975, P. 625. F. BASILE, Localismo e non-neutralità culturale del diritto penale ‘sotto tensione’ per effetto dell’immigrazione, Stato, Chiese e pluralismo confessionale, www.statoechiese.it, Settembre 2008, p. 5. A.D. RENTELN, The Cultural Defense, Oxford University Press, Oxford, 2004. F.P. WILLIAMS, M.D. MC SHANE, Devianza e criminalità, Il Mulino, Bologna 1999, pp. 63 ss. M. BARBAGLI, A. COLOMBO, E. SAVONA, Sociologia della devianza, Il Mulino, Bologna 2003, pp. 31 ss. M. BARBAGLI, Immigrazione e sicurezza in Italia, Il Mulino, Bologna 2008, 13. S. CECCANTI, S. MANCINI, Come reagiscono gli ordinamenti giuridici alle culture altre?, in Multiculturalismo. Ideologie e sfide, a cura di C. GALLI, Il Mulino, Bologna 2006, pp. 167 ss. 9 M. PORTIGLIATTI BARBOS, Criminologia, in Digesto delle Discipline Penalistiche, v. XV, UTET, Torino, 1999, pp. 254 ss. 10 M. PORTIGLIATTI BARBOS, Criminologia, cit., pp. 255 ss. 11 W. EMBER, E. EMBER, Antropologia Culturale, cit., pp. 298 ss. J.C. ALEXANDER, K. THOMPSON, Sociologia, Il Mulino, Bologna 2010, P. 389. 12 J.C. ALEXANDER, K. THOMPSON, Sociologia, cit. p. 394. 13 N.J. SMELSER, Manuale di Sociologia, Il Mulino, Bologna, 2011, p. 278 ss.

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Il fattore religioso può essere preso in considerazione sulla base della sua evoluzione nella società italiana14 e all'interno dei processi politici ed istituzionali. Per essere brevi e schematici possiamo fissare le seguenti fasi:

a) quella del para-confessionismo: ove il diritto della confessione religiosa più diffusa (che esprimeva ed esprime lo Ius canonicum) ha, avuto riguardo alle res mixtae (matrimonio, uffici, ruoli, azioni, luoghi e tempi), prevalentemente contribuito ad integrare la rete normativa statuale in materia religiosa. In questo periodo il problema delle devianze da un certo conformismo e da una uniformità religiosa era rappresentato da quei rari attori sociali che, sulla base di istanze fondate sui diritti individuali e sulla libertà religiosa, rivendicavano spazi di non conformismo spirituale. In questa circostanza, il deviante, era un soggetto che proveniva dalla stessa comunità che aderiva al culto di maggioranza; e chi si trovava stigmatizzato lo era perché esprimeva posizioni difformi da quelle ortodosse. Sul punto, oltretutto, non possiamo scordare l'uso sbilanciato che si era fatto delle norme penali in materia di Vilipendo della religione che costituivano uno sbarramento che impediva il libero confronto e dibattito in materia spirituale15;

b) quella delle Intese: attraverso le quali si è data attuazione al disposto dell'art. 8 Cost. allo scopo di creare un reticolo normativo che fosse in grado di mediare tra l'ordinamento comune e le esigenze particolari dei culti16. Si è trattato di una fase orientata indubbiamente ad una apertura nei confronti delle diversità religiose (e culturali) e di alcune peculiarità espresse dalle rispettive confessioni;

c) quella del periodo della transizione tra il paradigma del pluralismo religioso verso un modello più fluido definibile come multireligioso o multiculturalista17.

14 S. FERLITO, Le religioni, il giurista e l'antropologo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006, pp. 87 ss. 15 V. DEL GIUDICE, Manuale di Diritto Ecclesiastico, Giuffrè, Milano, 1970, pp. 162 ss. L.

SPINELLI, Diritto ecclesiastico: parte generale, UTET, Torino, 1976, pp. 322 ss. F. FINOCCHIARO,

Confessioni religiose e libertà religiosa nella Costituzione, art. 7-8-19-20, Zanichelli, Bologna, 1983,

pp. 495 ss. S. LARICCIA, Diritto Ecclesiastico, CEDAM, Padova, 1986, p. 440. 16G. CASUSCELLI, Postconfessionismo e transizione. I problemi del diritto ecclesiastico nell'attuale

esperienza giuridica, Giuffrè, Milano 1984, pp. 243 ss. 17 P. DONATI, Oltre il multiculturalismo. La ragione relazionale per un mondo comune, Laterza,

Roma, Bari, 2008, pp. 8 ss. E. CECCHERINI, Multiculturalismo, in Digesto Discipline Pubblicistiche,

Agg. II, UTET, Torino 2008, p. 481. M. AMBROSINI, Multiculturalismo e cittadinanza, in Processi e

trasformazioni sociali. La società europea dagli anni Sessanta a oggi, a cura di L. SCIOLLA, Laterza,

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In questa fase caratterizzata da frammentazione, dall’ abbandono dei modelli operativi pattizi, e dall’ingresso in uno scenario complesso, è possibile affermare che le relazioni tra lo Stato ed il fenomeno religioso si siano presentate talvolta caotiche e conflittuali. Il dato confessionale tende a scolorarsi ed assumere una connotazione di carattere culturale; se si introduce la cultura, fatalmente, si osserva l’emersione di un orizzonte di contrapposizione; e la contrapposizione – posizione questa che interessa al criminologo – fa scattare dispositivi di carattere tendenzialmente difensivo e preventivo. E’ necessario comprendere che il passaggio da un confronto tra potere statuale e le religioni, ad un confronto tra lo stesso potere e il fattore culturale, rappresenta un salto di qualità notevole. Se il primo presupponeva l’interazione con gruppi religiosi ‘altri’ da quello maggioritario, ma pur sempre conosciuti e presenti da secoli in Italia; il secondo chiama in scena confronti anche con i gruppi religiosi estranei veicolati dalle recenti migrazioni. Il confronto con lo straniero diventa fatalmente problematico: la sua ambivalenza e volatilità sociale lo rende soggetto che, nel suo essere extraneus, deve trovare riconoscimento attraverso uno statuto sempre difficoltoso18, e talvolta penalizzante e sbilanciato. Egli infatti non è visto solo quale portatore di una spiritualità diversa, ma la sua alterità spirituale sottende una diversità e alienità di presupposti culturali ed una lontananza che, paradossalmente diventa anche prossimità minacciosa e inquietante. Se la nomogenesi è tradizionalmente impostata sul principio di laicità, che impone che la formulazione delle fattispecie (specialmente quelle punitive) sia organizzata sulla base di un criterio generale di neutralità19; non ci si può esimere dal rilevare come la recente

Roma, Bari, 2009, pp. 233, 234. J. HABERMAS, C. TAYLOR, Multiculturalismo. Lotte per il

riconoscimento, Feltrinelli, Milano 2008, pp. 63 ss. 18 G. SIMMEL, Sociologia, Edizioni di Comunità, Milano, 1998, PP. 580 SS. M.C. LOCCHI, I diritti degli stranieri, Carocci, Roma, 2011, pp. 25 ss. 19 A. VERZA, La neutralità impossibile. Uno studio sulle teorie liberali contemporanee, Giuffrè, Milano, 2000, pp. 8 ss. D. PULITANO’, Laicità e diritto penale, Laicità e stato di diritto, Atti del IV Convegno di falcoltà, Università di Milano-Bicocca, a cura di A. CERETTI e L. GARLATI, Giuffrè, Milano, 2007, pp. 281 ss. E. DOLCINI, Da quale pulpito… Laicità “sana laicità” e diritto penale, in Laicità vista dai laici, a cura di E. D’ORAZIO, Università Bocconi Editore, Milano, 2009, PP. 175

SS. 24 G. JACKOBS, Diritto penale del nemico, in Diritto Penale del nemico. Un dibattito internazionale, a cura di M. DONINI e M. PAPA, Giuffrè, Milano 2007, pp. 13 ss. S. CANESTRARI, L. CORNACCHIA, G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale, parte generale, Il Mulino, Bologna, 2008, pp. 223 ss. M. CANCIO MELIA’, “Diritto penale” del nemico?, in Diritto Penale del nemico. Un dibattito internazionale, a cura di M. DONINI e M. PAPA cit., pp. 94 ss. R. PASTOR, Diritto penale del nemico e potere punitivo internazionale, in Diritto Penale del nemico. Un dibattito internazionale, a cura di M. DONINI e M. PAPA, cit., pp. 195, ss. A.

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produzione legislativa – in modo più o meno marcato – presenti fattispecie che, al contrario, tendono al recepimento di alcuni principî che possono allontanare l’ordinamento da un carattere di equidistanza. In ambito punitivo (ma non solo) si assiste all’affacciarsi del “diritto penale del nemico” (o del nemico interno ed insidioso), concetto che si riferisce ad una nomopoiesi che si attua nella introduzione di nuove fattispecie punitive, più o meno espressamente rivolte nei confronti di particolari soggetti che fanno parte di gruppi ritenuti estranei o nemici; o rivolta nei confronti di particolari condotte che possono essere riferite sempre a gruppi che vengono giudicati sulla base della loro estraneità alla maggioranza20. Il nemico, in questo caso, è colui che, al di là dell'atto criminale che compie, si rammostra e appare come pericoloso perché è difforme dalla maggioranza, perché ha uno stile di vita anticonvenzionale, perché è portatore di principi culturali o religiosi esotici e perturbanti. E non si può del resto sottacere che gli elementi che potrebbero realizzare l'immagine di pericolosità e alterità, saranno facilmente rinvenuti in quel mare indistinto fatto di culture e religioni aliene.

Le “ricadute“, secondo un pensiero criminologico teoretico del

fattore culturale e religioso

Il problema del rilievo del fattore religioso non è nuovo nell'ambito della dottrina criminologica: una trattazione datata, ma ancora autorevole21, si occupava del problema dei conflitti non economici (e di classe); ed all'interno di essi evidenziava proprio quelli generati dalle differenze religiose e culturali che vengono a contatto tra loro. Si tratta della individuazione di quei conflitti fondati anche sulle dissonanze di senso e della attribuzione di significati da conferire al dato trascendente.

BERNARDI, B. PASTORE, A. PUGIOTTO, Legalità penale. Tre atti di una crisi, in Legalità penale e crisi del diritto oggi, a cura di BERNARDI A., PASTORE B., PUGIOTTO A., Giuffrè, Milano, 2008, pp. 21, 22. L. FERRAJOLI, Il diritto penale del nemico: abdicazione della ragione, in Legalità penale e crisi del diritto, oggi; Un percorso interdisciplinare, cit., Milano, 2008, pp. 108, 109. G. DEMURO, Diritto penale del nemico e diritti fondamentali, in Legalità penale e crisi del diritto, oggi; Un percorso interdisciplinare, cit., pp. 151 ss.

21 H. MANNHEIM, Trattato di criminologia comparata, v. II, cit., p. 625.

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In questa direzione possono essere riconosciuti alcuni livelli, ai fini della comprensione di quanto andremo a trattare successivamente. In particolare:

a) un livello che potremmo definire intrapsichico (forse meglio intrapersonale), ove il fattore religioso e culturale diventano elementi che possono contribuire alla formazione ed allo sviluppo dei motivi all'agire relazionale22; e quindi anche dei motivi che spingono al crimine23. Non si può negare infatti che la spinta all´agire deviante possa essere riferibile alle interrelazioni tra autore ed ambiente sociale; ed in particolare che il comportamento possa trovare anche origine al termine di un processo che prende anche in considerazione le pressioni ed i modelli ambientali. In questo caso, i motivi individuali, possono farsi risalire sia ad un sistema di culto organizzato che presenta anche relazioni formali significative con il diritto dello Stato; ma anche ad un gruppo confessionalmente connotato, ma non sufficientemente strutturato e presente; e persino a convinzioni di carattere trascendente esclusivamente personali e non organizzate in modo adeguato.

In tutti i casi esposti è possibile trovare un aggancio al sapere criminologico: i motivi di carattere religioso o confessionale possono infatti fornire occasioni di conflitto con le norme positive. Sia che un culto conosca una certa integrazione o sovrapponibilità con i principi che informano le norme, sia che esso non presenti caratteri di particolare adattamento, vi possono sempre essere momenti di divergenza; momenti che indubbiamente trovano motivi e rinvii alla nostra ricerca.

In relazione a quanto stiamo descrivendo, il pensiero criminologico aveva individuato il conflitto che si instaura tra i codici normativi e comportamentali24 sottesi alla normativa positiva e quelli promananti dai contenuti delle intimazioni di carattere culturale, identitario – ed in questo senso anche religioso.

22 L. GALLINO, Dizionario di sociologia, UTET, Torino, 2006, p. 553. 23 A. MALINVERNI, Capacità a delinquere, Enc. d. Dir., VI, Giuffrè, Milano 1960, 125, p. 126. A. MALINVERNI, Motivi (dir. pen.), Enc. d. Dir., XXVII, Giuffrè, Milano 1977, pp. 307 ss. 24 F. PARISI, Cultura dell’”altro” e diritto penale. Itinerari di diritto penale. Collana diretta da G. FIANDACA, E. MUSCO, T. PADOVANI, F. PALAZZO, Giappichelli, Torino 2010, p. 61. G. MAROTTA, Straniero e devianza. Saggio di sociologia criminale, CEDAM, Padova, 2003.

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Si tratta di una dinamica estremamente interessante che inizia con un conflitto interno al soggetto, il quale vive dentro di sé una contrapposizione di modelli cultural-normativi opposti25. E´ una condizione peculiare che conduce ad una sorta di dissonanza cognitiva in grado di portarlo ad orientarsi in senso difforme alla legge positiva per sfuggire al disagio esperito26.

Siamo di fronte ad una prospettiva che chiama in causa due temi cruciali per la nostra trattazione: *) quello della appartenenza ad un gruppo e del mantenimento della fedeltà ai suoi principî; *) quello della scelta tra due opzioni di comportamento: da un lato un'obbedienza al richiamo della propria cerchia sociale e spirituale, dall'altro una trasgressione nei confronti del precetto formale e percepito come estraneo e in ogni caso non vincolante;

b) vi è un secondo livello che ha a che fare con la considerazione di un ambito intra-gruppale; in altre parole: quello delle relazioni tra i componenti dei gruppi culturalmente o religiosamente connotati. Le interazioni, all'interno di questi gruppi possono assumere caratteri conflittuali, magari in occasione del confronto/scontro tra membri conformisti e membri innovatori o devianti. E in questo caso si instaura una situazione peculiare: sullo sfondo si trova la normativa positiva dello Stato, ed all'interno del gruppo si muovono ed agiscono forze di sottogruppi in contrapposizione. Gli stessi, di volta in volta, possono assumere atteggiamenti e posizioni volte alla azione conforme ai principi originari (e quindi magari contrarie all'ordinamento), oppure un atteggiamento di maggior rispetto per le norme giuridiche con conseguente modificazione dei succitati principi in direzione più conforme alla legge;

c) il terzo aspetto riguarda le relazioni che potrebbero essere definite come intergruppali: ossìa quelle che hanno occasione di intercorrere tra le diverse organizzazioni culturalmente o religiosamente connotate. E anche qui può ravvisarsi un interesse di carattere criminologico: tali relazioni possono assumere due direzioni. La prima avente un carattere, diremmo, neutrale integra un caso di realizzazione del pluralismo, in cui i culti (e le culture) interagiscono e partecipano in modo armonico

25 C. DE MAGLIE, Culture e diritto penale, premesse metodologiche, Riv. It. Dir. e Proc. Pen., 2008, C. DE MAGLIE, I reati culturalmente orientati. Ideologie e modelli penali, ETS, Pisa, 2010. 26 A. ZAMPERINI, I. TESTONI, Psicologia Sociale, Einaudi, Torino, 2002, 77. U. GALIMBERTI, Dizionario di Psicologia, cit., p. 297.

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alla vita sociale ed istituzionale. Il concetto di pluralismo evoca principalmente un progetto istituzionale che deve tradursi in un assetto societario caratterizzato da una molteplicità di posizioni, voci e visioni, poste all'interno di un ambito sociale e istituzionale riconosciuto come contenitore e regolatore comune27. L'affacciarsi del pluralismo rappresenta un dato di estremo interesse per il nostro ambito di studio, giacché dà luogo al ritrarsi di un certo monismo statale, civile e culturale; e ravvisa l'apertura ad un assetto sociale complesso e strutturato in segmenti che si presentano portatori di interessi variegati e di appartenenze ed origini multiformi28. Questo porta indubbiamente con sé uno sfondo sociale connotato dalla presenza di posizioni etiche e culturali diverse tra loro, ma non induce a quella anomia (o, al contrario, polinomia) che rappresenta, sotto un certo modo di concepire la società e il suo equilibrio, il momento di passaggio verso una diversificazione di rappresentazioni che conduce alla devianza. La seconda direzione, indubbiamente più disincantata e realista, vede i gruppi culturali (e nel nostro caso i culti e le confessioni) in una condizione di confronto che transita verso una competizione. Un’apertura multiculturale rappresenta un quid pluris rispetto al pluralismo; e porta con sé una molteplicità di posizioni ed azioni che trovano la propria origine in diversi ambiti culturali estranei tra loro e, talvolta, sempre meno propensi a riconoscersi in principî comuni. Da qui, forse, la possibilità di poter iniziare a configurare uno scenario anomico (o polinomico), nel quale le differenti posizioni presenti e agenti nella società, sono sempre meno propense a ravvisare obiettivi comuni e a riconoscere i propri limiti reciproci. Sulla base di una prospettazione che proviene dal pensiero criminologico, il funzionamento delle istituzioni è organizzato anche sulla interazione tra gruppi portatori di interessi (anche culturali o religiosi), i quali concorrono per dirigere ed orientare il processo decisionale e nomogenetico, e per ottenere maggior

27 G. CASUSCELLI, Dal pluralismo confessionale alla multireligiosità, in Multireligiosità e reazione giuridica, a cura di A. FUCCILLO, Giappichelli, Torino 2008, pp. 66, 67. M.L. GHEZZI, Diversità e pluralismo. La sociologia del diritto penale nello studio di devianza e criminalità, Raffaello Cortina Editore, 1996, pp. 99 ss. 28 J.W. MṺLLER, L’enigma democrazia. Le idee politiche nell’Europa del novecento, Einaudi, Torino, 2012, pp. 65 ss.

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visibilità e minori limiti all'esercizio delle pratiche culturali o confessionali29. In questa direzione può accadere che talune organizzazioni di culto siano, in via legislativa, ammesse a godere di maggiori prerogative rispetto ad altre. Quindi una relazione conflittuale tra gruppi si può tradurre in una azione di pressione degli stessi nei confronti delle istituzioni che hanno il potere di fornire definizioni circa ciò che costituisce o meno illecito; e che per conseguenza possono stabilire deroghe o trattamenti preferenziali30;

d) la quarta prospettiva chiama in causa non più le relazioni orizzontali tra gruppi diversi, ma quelle verticali con le istituzioni.

Si tratta, sotto certi aspetti, della fase cruciale del processo di azione sociale dei gruppi (anche religiosamente orientati): la prospettiva criminologica è quella che riguarda le interazioni reciproche tra l'Autorità e i gruppi: la prima concede o nega per decisione normativa, amministrativa o giudiziaria spazi di azione ai secondi; i secondi non si limitano a subire queste decisioni, ma tendono a presentarsi nei confronti del detentore del Potere, di volta in volta, con differenti atteggiamenti e strutturazioni. In questa direzione31, la considerazione del fatto che un gruppo culturale o confessionale conosca una certa organizzazione può portare con sé una relazione conflittuale con le Istituzioni. Al contrario, un gruppo non compatto o scarsamente strutturato sarà più difficilmente in grado di manifestare una contrapposizione con l'Autorità – ed al più potrà esprimere episodi isolati di devianza magari attribuibili esclusivamente ai singoli autori. In questo contesto, per organisation32 si intende un certo livello di complessità del gruppo, all'interno del quale i comportamenti che i singoli sono portati a tenere si rispecchiano in un sistema generale di valori e di norme espressi dal medesimo gruppo.

29 G. VOLD, T.J. BERNARD, J.B. SNIPES, A.L. GEROULD, Theoretical criminology, Oxford University Press, New York, Oxford, 2010, 247 ss. C. DE MAGLIE, I reati culturalmente orientati. Ideologie e modelli penali, cit., p. 13. 30 C. DE MAGLIE, I reati culturalmente orientati. Ideologie e modelli penali, cit., pp. 14, 15. 31 A.T. TURK, Criminality and Legal Order, Rand, Mc Nally, Chicago, 1969, p. 54. 32 A.T. TURK, Criminality and Legal Order, cit., p. 58. R.G. GREELEAF, L. LANZA-KADUCE, Sophistication, organisation, and Authority-Subject conflict: rediscovering and unravelling Turk's theory of norm resistance, Criminology, 33, N. 4, 1995, P. 570.

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Al di là del conflitto, i gruppi sono in grado di porsi in relazione costruttiva con le Istituzioni per ottenere in via pacifica e negoziale maggiori spazi di espressione e maggior autonomia. Più gli stessi presentano un adeguato grado di sophistication (da intendersi qui come capacità di interagire in modo congruo senza suscitare inquietudini), più potranno porsi nella condizione di ottenere statuti e soggettività migliori rispetto ad altre organizzazioni concorrenti. La definizione di sophistication (traducibile in termini evocativi come sofisticatezza), apre la strada ad un ventaglio semantico di notevole interesse e potenzialità applicative: e generalmente viene intesa come la abilità da parte dei gruppi – potenzialmente antagonisti – a porre in essere relazioni, anche con la Autorità decidente, senza suscitare sospetti e conflitti; ma attraverso la mediazione e la trattativa consensualmente orientata33. Trasferendo il modello nell'ambito vigente in Italia in materia di relazione tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla Cattolica (Art. 8 Cost.), possiamo rilevare che i culti acattolici che hanno stretto una Intesa risultano essere proprio quelli che, oltreché organizzati e caratterizzati da una struttura unitaria, sono stati in grado di presentarsi e di fornire alla controparte pubblica le maggiori garanzie di adattamento all'ordinamento dello Stato;

e) possiamo aggiungere una quinta prospettiva in questa materia, che non ha a che fare principalmente con un fattore di carattere relazionale, ma si incentra su un dato tendenzialmente statico quale è quello normativo.

Con una semplificazione si può sostenere che, con le dovute sfumature intermedie, esistono ordinamenti giuridici tendenzialmente legati all’espressione di principî e valori culturali ed etici. E al contempo, sono presenti ordinamenti giuridici, i quali, si presentano caratterizzati da una maggior neutralità – intesa come minor aggancio e riferimento a contenuti di carattere extra-giuridico e maggior indifferenza e proceduralità. Se all'interno di ordinamenti giuridici del primo tipo l'azione dei gruppi culturali e religiosi di minoranza (e difformi), conoscerà minori spazi concessi dalle norme ed un regime amministrativo più restrittivo e controllante; nell'ambito di sistemi giuridici del secondo tipo, i gruppi sopra-considerati

33 A.T. TURK, Criminality and Legal Order, cit., pp. 58, 59.

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dovrebbero godere di ambiti di azione, di riconoscimento ed ufficialità maggiori. Pertanto, un ordinamento definibile come caldo presenterà un regime, quanto alle minoranze dissenzienti e potenzialmente conflittuali, orientato alla non concessione ed al controllo; un ordinamento definibile come freddo, invece, si mostrerà inclinato a riconoscere nei loro confronti una maggiore tolleranza e spazio. Ciò naturalmente in linea di massima; è necessario tenere presente infatti alcune variabili che possono affinare il nostro criterio di ricerca ed il nostro ragionamento. Da un certo punto di vista, infatti, è difficile – se non impossibile – ipotizzare l'esistenza di un ordinamento esclusivamente fondato sulla proceduralità e che non contenga valori e principî. Caposaldi d'ordine, quale ad esempio l’indifferenza di genere, in base alla prospettiva dalla quale vengono riguardati, possono assumere differenti direzioni e significati. Potrebbero essere indice sia di un ordinamento freddo, neutrale e indifferenziato quanto alla sostanza, ma anche rappresentare un valore in sé e una precisa direzione assiologica34.

Sotto un altro profilo sono da tenere presenti altre circostanze: a) la complessità del diritto contemporaneo e delle materie da esso

regolate, e specie il venir meno di un rigoso principio di gerarchia delle fonti – con conseguente conflitto al loro interno;

b) il venir meno dell’accentramento del poter normante in un solo soggetto che ha dato luogo ad una pluralità di fonti le quali, nel loro tópos apicale, possono mostrarsi dotate di una certa neutralità ed una relativa apertura al pluralismo confessionale e culturale; e nella loro fase intermedia sono caratterizzate da marcatori che indicano rivendicazioni localistiche ed orientate verso il recupero di istanze di carattere identitario. Sebbene le norme apicali, quelle che sono in grado di mostrare un maggior spazio di neutralità e senso d’inclusività nei confronti delle manifestazioni del difforme, costituiscano il sistema portante dell’ordinamento, molto spesso vengono poste

34 K. POLLIT, La cultura di chi?, in S. MOLLER OKIN, Diritti delle donne e multiculturalismo,

Raffaello Cortina Editore Milano, 2007, pp. 25 ss. S. RIONDATO, Diritto penale tra globalizzazione

e multiculturalismo. Recenti novità legislative in tema di opinione, religione, discriminazione razziale,

mutilazione genitale femminile, personalità dello Stato, http:/www.penale.it. C. DE MAGLIE, Culture

e diritto penale, premesse metodologiche, cit., p. 1092.

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in secondo piano da norme di rango inferiore che dimostrano una capacità operativa più diretta ed efficace e si palesano come portatrici di principî, anche antitetici, ma più concreti a facilmente comprensibili dalla pubblica opinione.

Fenomenologia delle conseguenze criminali e devianti del

fattore culturale e religioso

Quanto considerato induce lo studioso di criminologia a ritenere che il fattore religioso e culturale non sia da ritenersi neutrale per la propria disciplina. Da un punto di vista che potremmo definire utilitaristico non possiamo negare che la religione possa svolgere un ruolo importante nell'ambito del controllo sociale informale: la religione e i suoi segmenti di carattere dottrinale possono agire come strumento di mantenimento di un certo tono morale della collettività o dei gruppi di fedeli. L'insegnamento religioso infatti, oltre alle narrazioni riguardanti il trascendente e l'escatologia, porta con sé norme etiche e di comportamento pro-sociale (rispetto dell'uomo, compassione, carità e solidarietà sociale) che agiscono e fanno sentire il loro funzionamento non in forza di sanzioni o di privazioni materiali, ma in virtù della interiorizzazione dei precetti e del disagio morale e sociale in caso di loro violazione. Non si tratta di utilizzare la religione come instrumentum regni, e neppure reintrodurre politiche di stampo neo-giurisdizionalistico che la utilizzano per scopi di governo o di potere, ma – realisticamente – prendere atto che la medesima può svolgere una funzione apprezzabile, proprio nella direzione di costruire un fattore di contenimento verso le spinte devianti ed aggressive.

Qui ci riferiamo ad un modello di religiosità in senso maturo: la pratica religiosa esclusivamente ritualistica, formale e puramente esteriore, al contrario, non sembra rappresentare35 un efficace fattore di protezione contro la devianza, l’isolamento sociale ed il crimine. Come del resto non costituiscono fattore di protezione quelle forme di adesione acritica e rigida nei confronti dei precetti di culti non adattivi ed eccessivamente integralisti. Potremmo discutere su ciò che possiamo intendere per culti rigidi e non integrati e integralisti:

35 F. MANTOVANI, Il problema della criminalità. Collana di scienze criminali diretta da Canepa G., Mantovani F., CEDAM, Padova 1984, pp. 204, 205.

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ogni giudizio sconta l’inconveniente e la fallacia dell’osservatore, il quale esprime il proprio convincimento sulla base del proprio punto di vista e del proprio patrimonio culturale; e deve tenere in conto dell’atteggiamento del soggetto osservato, il quale non è statico, ma muta posizione in funzione delle modalità utilizzate dall’osservatore. L’eventuale ostilità o pregiudizio del controllante può generare irrigidimento ed allontanamento in capo al controllato. Su questo non possiamo sottacere che, specialmente in ambito criminologico, le soggettività siano delle costruzioni: il soggetto è definito in buona parte dallo sguardo esterno; e lo sguardo esterno, a sua volta, subisce un processo di costruzione ed orientamento da parte del soggetto osservato36. Così ragionando giungiamo ad assistere all’impossibilità, talvolta, di attribuire etichette che possiedano un certo fondamento oggettivo, limitandosi le stesse a soddisfare esigenze provvisorie, locali, o di maniera. Al di là di una funzione sussidiaria nell’ambito dell’esercizio del controllo sociale informale, il fattore religioso, specie tenendo in conto i livelli che sono stati sopra esaminati, può rilevare, sotto diversi aspetti, da un punto di vista giuridico, criminologico e di politica criminale.

Il primo è appunto quello dei crimini posti in essere da autori religiosamente motivati; e ciò in una varietà di fattispecie di reato o di devianze piuttosto eterogenea.

a) Possiamo registrare i casi di astensione dalle prestazioni legalmente dovute da parte di soggetti che fanno riferimento alla Pubblica Amministrazione, o soggetti chiamati a collaborare con essa e giustificati dalla obiezione di coscienza. La medesima rappresenta un caso di contrapposizione cosciente e razionale tra il comando legale ed il precetto o l’ingiunzione che provengono dai principî riferiti al culto: si tratta, in altre parole, di un modo per risolvere una dissonanza cognitiva, caratterizzata da un conflitto tra imperativo personale e imperativo legale37. Se l’obiezione di coscienza era originariamente concepita come un conflitto drammatico e aperto tra Verità da testimoniare e obbligo legale, nei tempi recenti ha subito un processo di indebolimento che l’ha degradata a mera astensione burocraticamente o abitudinariamente agita, spesso anche a

36 S. HENRY, D. MILOVANOVIC, Theoretical criminology. Beyond postmodernism, SAGE, London, Thousand Oak, Delhi, 1996, pp. 28, 29. 37 S. POLLO, Obiezione di coscienza, Dizionario di bioetica di E. LECALDANO, Laterza, Roma, Bari, 2002, p. 205.

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detrimento degli utenti di un servizio38 (si veda il caso della interruzione di gravidanza, o della somministrazione di farmaci antiannidanti dopo rapporti sessuali non protetti), od alla non collaborazione in campi aperti che riguardano la bioetica e le ingiunzioni etniche e culturali39.

b) Non possiamo trascurare i comportamenti devianti o illegali posti in essere dagli esponenti di spicco (rappresentanti) delle religioni: dai ministri di culto. La materia, originariamente relegata specialmente ai reati elettorali, si è espansa fino a comprendere fattispecie opache, e controverse. L’esercizio del Munus Docendi delle confessioni religiose, anche se assume toni inquietanti per la sensibilità comune40, è di per sé incensurabile quando si mantiene in ambito teologico; lo stesso può dar luogo a problemi quando propugna ideologie o prassi dichiaratamente illegali o presenta collegamenti con gruppi criminali o terroristici.

c) Molto spesso l’atto illegale, che lo sguardo esterno ascrive a motivazioni di carattere religioso e asseritamente imposte da principî cogenti legati al culto, può essere fatto risalire ad abitudini e pressioni di carattere culturale generico ed etnico. Spesso i regimi che prevedono relazioni familiari maltrattanti, sono erroneamente ricollegati a prescrizioni religiose, ma nella realtà possono essere fatti risalire a convinzioni, inclinazioni e costumanze di gruppo che trovano riferimenti confusi ed incerti nelle narrazioni e nei testi teologici. Ci riferiamo, ad esempio, alla convinzione della superiorità maritale rispetto alla dignità muliebre che legittimerebbe certi individui alla vessazione, alla denigrazione ed all’utilizzo di mezzi incongrui di educazione del coniuge. Queste modalità, solo sbrigativamente, possono essere attribuite ad una appartenenza religiosa, ma più adeguatamente possono farsi risalire ad arretratezza, estraniamento e deprecabili abitudini; del resto, affermare che alcune religioni prevedono una gerarchia di genere (che vede l’uomo sovraordinato alla donna) non deve condurre all’automatismo che conduce alla legittimazione dei maltrattamenti o della

38 T. PITCH, Un diritto per due. La costruzione giuridica di genere, sesso e sessualità, Il Saggiatore, Milano, 1998, p. 72. 39 V. TURCHI, Nuove forme di obiezione di coscienza, Stato, Chiese e pluralismo confessionale, www.statoechiese.it, ottobre 2010, p. 14. 40 E. PACE, Raccontare Dio, Il Mulino, Bologna, 2008, pp. 281 ss.

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misoginia41. L’ambito dei rapporti intrafamiliari, rappresenta sicuramente uno dei «nodi» fondamentali della materia di scontro cultura e religione vs diritto, in quanto comprende una serie di concetti che rimandano all’affettività, alla sessualità ed alla organizzazione di base del vivere umano (compresi i rapporti di forza e di produzione).

In ogni caso: sulla base dell’orientamento vigente si deve ritenere che il diritto al mantenimento ed alla trasmissione di una certa “identità cultural-religiosa” nell’ambito di un sistema relazionale familiare, non possa svilupparsi contro le opposizioni del singolo componente e dissidente, e possa giustificare regimi e trattamenti vessatori e umilianti.

d) Sulla base di un’altra prospettiva, la possibilità di agire il diritto al mantenimento di una identità cultural-religiosa, trova spazi di sviluppo a fronte della fattispecie di certi reati di pericolo, o nei confronti di quelle figure di reato che non si realizzano attraverso la lesione di un interesse specifico facente capo ad una parte offesa determinata. In altre parole: quanto i comportamenti culturali non trovano possibilità di essere scriminati quando vanno a ledere direttamente (fisicamente diremmo) diritti individuali altrui, tanto gli stessi presentano maggiori margini di agibilità nel caso in cui coinvolgono interessi diffusi che non hanno un preciso e determinato titolare. Ed in relazione a quanto sostenuto si può trovare qualche segno anche presso la giurisprudenza che si è mostrata propensa a riconoscere una scriminante cultural-religiosa a fronte del verificarsi di quei reati che non ledono diritti individuali e non vedono la presenza di una parte offesa. Così è avvenuto ad esempio per la liceità della detenzione di marijuana a scopo di culto; e per la liceità della detenzione di cannabis a scopo di meditazione filosofica. Interessante è quanto stabilito dal Tribunale di Cremona42, 19 febbraio 2009, che ha sancito la non punibilità del porto di un pugnale apotropaico (Kirpan) tipico dei fedeli del culto sikh. Nella fattispecie, il giudice ha riconosciuto l’operatività dell’esercizio del diritto ex art. 19 Cost. a favore del cittadino indiano appartenente alla confessione, trovato a portare con sé il

41 G. VERCELLIN, Istituzioni del mondo islamico, Einaudi, Torino, 2007, p. 153. 42 Trib. Cremona, 19 febbraio 2009, est. Vacchiano, http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2009/marzo/sent-trib-cr-simboli.html.

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pugnale che denota la appartenenza religiosa e svolge una complessa funzione cultuale.

La tendenza odierna a creare una indebita sovrapposizione tra religione e abitudine comportamentale e culturale rappresenta una scorciatoia semplificativa nella interpretazione di una realtà complessa. Questa identificazione, talvolta può presentare profili di correttezza, ma in altri casi conduce a conclusioni fallaci.

Il fattore religioso indubbiamente fa parte della più ampia classe della cultura; ma se la cultura ha in vista il riferimento ad un gruppo umano che emerge come caratterizzato da una certa unitarietà (quanto alle origini ed agli stili di vita), per contro, la religione non sempre segue il dato etnico e talvolta si atteggia come messaggio che trascende il dato particolare per introdurre tendenzialmente un Ethos universale applicabile alle genti diverse43. Non si può certamente negare che, sia la religione, che il dato culturale, presentino notevoli tratti di contiguità ed affinità. Ma se la prima può dirsi orientata verso formulazioni e definizioni che hanno a che fare con il Numinoso, con il sacro e con il destino ultraterreno dell’essere umano; la seconda ha a che fare con la generazione ed il mantenimento di rappresentazioni, idee e credenze che riguardano un gruppo umano e lo organizzano sulla base di coordinate morali, sociali e produttive. E’ chiaro che da entrambi i contesti (quello religioso e quello culturale) provengano anche segmenti di carattere valoriale e precettivo; e che gli stessi – se non adeguatamente integrati o recepiti – possono trovare occasioni di conflitto con le norme positive vigenti in un determinato ambito statuale. Però, proprio il momento conflittuale – che interessa al taglio della nostra trattazione – può presentare aspetti differenti a seconda che sia generato dal fattore religioso o culturale.

L’adesione ad un precetto religioso è vissuta ed agita spesso con maggiore consapevolezza e, quando è conflittuale, può dar luogo ad una condizione psicologica di dissonanza pienamente percepita; oltretutto, il precetto religioso, forse, ha anche occasione di trovare una reazione istituzionale e informale più indulgente, proprio in considerazione del fatto che la religione rappresenta un dato considerato con rispetto e reverenza. L’agito conflittuale conforme ad un precetto culturale sembra invece vedere come protagonista un autore meno consapevole della antinomia e della dissonanza che caratterizza il suo comportamento; e ciò presenta delle conseguenze, anche da un punto di vista normativo e criminologico.

43 M. CACCIARI, Ethos e metropoli, in MicroMega, 1/1990, pp. 39, 48.

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La tendenza a saldare strettamente cultura e religione, tipica di un tempo nel quale le contrapposizioni, l’identitarismo e il localismo sembrano prevalere sul dialogo tra gli uomini, se applicata al pensiero ed allo studio criminologico, rischia di condurre a conclusioni ed asserzioni che possono svisare la realtà e l’interpretazione di fatti e fenomeni.

Un esempio su tutti. Riportare il fenomeno delle Mutilazioni Genitali Femminili all’adempimento di un’ingiunzione religiosa, significa operare un rinvio semplificante e poco aderente alla realtà: una interpretazione, che se assunta dal criminologo, conduce ad una presa di posizione, incongrua e inadeguatamente rassicurante. Rassicurante poiché, invece di prendere atto delle complesse origini della pratica e applicarsi a comprenderla attraverso un dialogo multidisciplinare e di carattere antropologico44, giunge ad etichettare in modo semplicistico un culto che prevede precetti criminogeni. Indubbiamente la materia è fluida: la disciplina del corpo e delle sue modificazioni, segnatamente rispetto all’apparato riproduttivo, spesso non sfugge al campo delle prescrizioni religiose, ma in ogni caso può affermarsi che le modificazioni d’organo possono trovare motivazioni varie e talvolta opache: estetiche, sociali, che si legano a motivi multidisciplinari. Ad esse si annoda il concetto di cambiamento, di passaggio e di mantenimento della coesione di gruppo in presenza di una mutazione.

La Legge Regione Lombardia, n. 12 dell'11 marzo 2015 come

integrata dalla Legge Regione Lombardia n. 2 del 3 febbraio

2015 e la sentenza della Corte Costituzionale n. 63/2016

Vi è un ulteriore aspetto che possiede una fondamentale pregnanza da un punto di vista criminologico. Se quello esaminato in precedenza (l'illecito religiosamente motivato) si rifà ad un dato normativo di carattere penale o sanzionatorio; quello

44 G. VERCELLIN, Istituzioni del mondo islamico, cit., p. 217. G. DE CARLI, Tra diritto e tradizione. Riflessione sulla circoncisione femminile in Kenya, in http://www.jus.unitn.it/cardozo/Review/2007/decarli.pdf. C. COLOMBO, L’articolo 583-bis c.p. un illecito compiuto in nome della religione?, Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, III, 2, 2009, pp. 61, 62. M. FUSASCHI, I segni sul corpo. Per una antropologia delle modificazioni genitali femminili, Bollati, Boringhieri, Torino, 2009, pp. 75, 76. C. PASQUINELLI, Infibulazione, il corpo violato, Meltemi, Roma, 2007, pp. 70 ss.

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che vogliamo esaminare ora viene ad investire un campo che potremmo definire di carattere sociologico che, in via indiretta – ma non per questo meno rilevante – può dar vita ad una produzione normativa.

In questa direzione possiamo parlare del fattore religioso visto sotto il profilo della reazione sociale che è in grado di suscitare.

Davanti ad un argomento così vasto, è necessaria una precisazione.

Non stiamo riferendoci alla reazione, alla inquietudine od al panico morale che possono scatenare i reati posti in essere da alcuni Nuovi Movimenti Religiosi, reati talvolta cruenti e raccapriccianti o massicce aggressioni al patrimonio degli adepti45. Questo è un ambito che ha a che fare in modo obliquo con il problema del fattore religioso, nel quale risulta in modo rilevante l'emergenza dell'aspetto criminale – talvolta da giungere a identificare nel gruppo religioso una vera e propria associazione per delinquere.

Da parte nostra, invece, vorremmo investigare e chiarire in che modo la presenza (o la non presenza) del dato religioso possa indurre reazione ed anche preoccupazione; per presenza intendiamo riferirci al dato materiale rappresentato ed emergente dai manufatti umani. La religiosità, se non intesa come pura disposizione interiore ed individuale, ha indubbiamente bisogno di luoghi fisici ove praticare i culti collettivi. Ma al di là del culto, che rappresenta solo uno dei momenti di carattere confessionale, la religiosità tende ad occupare gli spazi, connotare tempi e luoghi con i propri segni e i propri manufatti. In particolare tende a portare il sacro nell’ambito delle scansioni temporali e ad interrompere la geografia profana inserendo segni e simboli nell’orizzonte visivo, non solo dei fedeli.

Per chiarire brevemente: i significanti (cose, segni, epifanie, funzioni, processi) aventi una connotazione di carattere religioso possono essere distinti in: a) individuali; b) generali; c) pubblici.

Per quanto concerne quelli individuali possiamo operare il rinvio a quanto considerato supra in tema ad esempio di porto del pugnale Kirpan da parte dei fedeli Sikh – argomento già risolto in sede penale; ma anche a tutti i significanti che rinviano ad un credo religioso e che risultano evidenti e in grado di creare una significativa interazione e reazione con coloro che osservano: copricapi, abiti, suppellettili e monili.

45 C. CARDIA, Religione (libertà di), Enc. d. Dir., Agg. II, Giuffrè, Milano 1998, pp. 934 ss.

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In quelli di carattere generale possono essere classificati gli edifici e le funzioni di carattere collettivo; i primi possono essere fabbricati neutrali e non emergere da un punto di vista della appartenenza religiosa, oppure, per foggia o pertinenze, presentare un più o meno esplicito richiamo di carattere confessionale. E qui possono, come vedremo infra, sorgere problemi e asperità.

Quelli pubblici possiedono una particolare caratteristica: oltre a rifarsi ad un dato iconico di carattere religioso, non sono posti o portati per iniziativa dei fedeli della singola confessione, ma vengono introdotti nello spazio istituzionale, per iniziativa dello Stato. Si tratta di un caso estremamente delicato che potrebbe condurre l’osservatore che non appartiene alla confessione rappresentata dal segno ad una percezione di identificazione dello spazio (scuola, ufficio pubblico) con la fede che il dato iconico esprime.

Al di là di quanto sopra considerato vi è un altro aspetto; quali attori sociali che sono in grado di esercitare un’azione rilevante (e talvolta utile) i gruppi che si rifanno ad un fattore di culto, tradizionalmente, sono soliti avanzare richieste nei confronti dei poteri dello Stato, volte ad ottenere spazi e visibilità46. Le rivendicazioni operate dalle confessioni nei confronti dello Stato riguardano specialmente la possibilità di allestire luoghi di culto.

L'occasione per poter eseguire una analisi che sia in grado di raccogliere parte delle considerazioni generali svolte nella parte precedente è rappresentata dalla Legge Regionale della Lombardia, n. 2, 3 febbraio 2015, che ha costituito una breve, ma intensa e sostanziosa novella, rispetto a quanto stabilito dalla Legge Regionale, n. 12 dell'11 marzo 2005 (Legge per il governo del territorio). L'intervento normativo riguarda i Principi per la pianificazione delle attrezzature per servizi religiosi: nella sostanza si tratta di una mini-riforma che riguarda i requisiti richiesti alle confessioni religiose per ottenere l'autorizzazione ad erigere luoghi di culto.

A questo punto è necessario un inciso, che si appalesa rilevante per la nostra trattazione. Le riflessioni che stiamo presentando sono state redatte alla fine del 2015. Ci era noto che la Legge Regionale della Lombardia, n. 62 del 27 gennaio 2015, fosse stata impugnata avanti alla Consulta da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri che aveva censurato:

46 L. MANCINI, Simboli religiosi e conflitti nelle società muticulturali, in Simboli religiosi tra diritto e culture, a cura di F. DIENI, S. FERRARI e V. PACILLO, Giuffrè, Milano, 2006, 3 ss.

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- gli artt. 70, commi 2, 2-bis, 2-ter e 2-quater, e 72, commi 4, 5 e 7, lettere e) e g), della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), come modificati dall’art. 1, comma 1, lettere b) e c), della legge della Regione Lombardia 3 febbraio 2015, n. 2, recante «Modifiche alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) – Principi per la pianificazione delle attrezzature per servizi religiosi». La nostra trattazione non si svolge in via diretta ad esaminare gli

aspetti formali e giuridici della legge regionale, ma un cenno alla sentenza n. 63 (Pres. ed Est. Cartabia) che è stata emessa dal Giudice delle Leggi il 24 marzo 2016 a seguito della impugnativa sopra accennata, è quasi obbligato per due motivi:

a) sia per poter presentare e trattare il testo e l'assetto aggiornati della norma, come emergenti a seguito dell'intervento della Corte;

b) sia per poter, alla luce degli stessi interventi formali della Corte, valutare gli aspetti più problematici e critici che sono emersi dalla impostazione originariamente confezionata dal legislatore regionale. Si trattava di aspetti che andando al di là del fattore relativo alla pianificazione territoriale, si ricollegavano in modo neppure troppo nascosto a concezioni di fondo rispetto all' 'altro diversificato' ed alle minoranze che suscitano inquietudine.

Riportiamo il dispositivo della sentenza n. 6347.

47 1) dichiara inammissibile l’intervento dell’Associazione VOX – Osservatorio italiano sui Diritti, nel giudizio promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe; 2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 70, commi 2-bis, limitatamente alle parole «che presentano i seguenti requisiti:» e alle lettere a) e b), e 2-quater, della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), introdotti dall’art. 1, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lombardia 3 febbraio 2015, n. 2, recante «Modifiche alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) – Principi per la pianificazione delle attrezzature per servizi religiosi»; 3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 72, commi 4 e 7, lettera e), della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, introdotti dall’art. 1, comma 1, lettera c), della legge reg. Lombardia n. 2 del 2015; 4) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 70, comma 2-ter, ultimo periodo, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera b), della legge reg. Lombardia n. 2 del 2015, promossa, in riferimento all’art. 19

della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe;

5) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 70, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, introdotti dall’art. 1, comma 1, lettera b), della legge reg. Lombardia n. 2 del 2015, promossa – in riferimento all’art. 117, commi primo e secondo, lettera a), Cost., in relazione agli artt. 10, 17 e 19 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, agli artt. 10, 21 e 22 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007) ed all’art. 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 25 ottobre 1977, n. 881) – dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe;

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I punti salienti, ovvero gli interventi della Corte (le dichiarazioni di illegittimità costituzionale), si evidenziano quindi in:

- illegittimità costituzionale dell’art. 70, commi 2-bis, limitatamente alle parole «che presentano i seguenti requisiti:» e alle lettere a) e b), e 2-quater, della legge

- illegittimità costituzionale dell’art. 72, commi 4 e 7, lettera e). La complessa materia (la materia relativa alla edilizia religiosa)

è regolata da una molteplicità di fonti, ma trova una delle sue fondamentali basi nell'articolato previsto dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il quale, all’art. 2, I comma, stabilisce che: Le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico.

L’erezione o la destinazione di edifici di culto, comprese le attrezzature per fini religiosi, è in ogni caso, da un punto di vista normativo, argomento che trova le sue radici nell’ambito della disciplina generale concernente la libertà religiosa (Artt. 8 e 19 Cost.). Si tratta di materia di carattere fondamentale e che gode di una particolare resistenza costituzionale48.

Molto spesso l'attenzione dello studioso di criminologia è focalizzata sulla approvazione di leggi penali o di carattere sanzionatorio, nel caso che ci occupa ci troviamo di fronte invece ad una norma, di rilievo locale e che riguarda una materia di carattere edilizio – quindi amministrativo. In ogni caso, il nostro interesse potrà trovare occasione di essere soddisfatto giacché un primo, e necessariamente breve esame della norma in parola, ci fornirà l'occasione di porre in evidenza i nodi problematici (attinenti alla

6) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 72, comma 4, ultimo periodo, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera c), della legge reg. Lombardia n. 2 del 2015, promossa, in riferimento all’art. 19 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe; 7) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 72, comma 7, lettera g), della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera c), della legge reg. Lombardia n. 2 del 2015, promossa, in riferimento agli artt. 3, 8 e 19 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe; 8) dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 72, comma 5, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera c), della legge reg. Lombardia n. 2 del 2015, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe. 48 V. TOZZI, Diritto civile e religioni, a cura di G. MACRI’, M. PARISI, V. TOZZI, Laterza, Roma, Bari, 2013, pp. 245 ss. PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, UFFICIO DEL SEGRETARIO

GENERALE, UFFICIO STUDI E RAPPORTI ISTITUZIONALI, L’esercizio della libertà religiosa in Italia, http://www.governo.it/Presidenza/USRI/confessioni/Esercizio_liberta_religiosa_italia.pdf.

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sociologia della devianza) che sono emersi e sono stati trattati in precedenza.

La legge regionale (composta di soli due articoli, che si inseriscono nell'ambito della L.R. 11 marzo 2005, n. 12) può essere considerata sulla base di alcune direttrici interpretative che hanno la funzione di rivelare, nel particolare, quanto abbiamo tentato di sviluppare in premessa, e si mostrava caratterizzata da numerosi aspetti, anche problematici.

Le considerazioni che seguono sono anteriori all'intervento della Consulta; ed in parte si riferiscono a tratti della norma che sono stati espunti dalla sentenza n. 63. L'esposizione delle considerazioni, comunque, non è irrilevante poiché, indipendentemente dalla loro elisione dall'orizzonte del diritto positivo, si è trattato di norme e disposizioni che si erano poste come espressione di un modo di sentire. Ma anche un certo orientamento impresso alla risoluzione dei problemi del controllo sociale e della prevenzione.

Il primo rilievo è quello delle soggettività previste e coinvolte: a) da un lato l'Autorità amministrativa locale (soggetto titolare

della potestà di decidere); b) dall'altro il soggetto (i soggetti istanti) che chiede la decisione;

soggetto determinato e configurato in modo preciso. Lo squilibrio tra le due polarità è innanzitutto evidenziato dal

fatto che l'Autorità era chiamata a stabilire con quali operatori della scena religiosa porsi in relazione, lasciandone altri sullo sfondo incerto dell’irrilevanza.

L'aspetto soggettivo che la norma ci presentava non si limitava alla diade sopra segnalata e giungerà a riprodurre una dinamica relazionale che potrà registrare la presenza di altri protagonisti aventi una funzione genericamente consultiva; come avremo modo di approfondire in seguito si trattava di un potere consultivo distribuito tra più soggetti diversi e che poteva in essere in grado di incidere, o perlomeno di orientare in modo rilevante, sul procedimento di carattere autorizzativo.

Vediamolo in dettaglio. Il punto b) dell'art. 1 si occupava di definire i soggetti religiosi

che intendono accedere alla procedura edilizia nei seguenti termini: “2. Le disposizioni del presente capo si applicano anche agli enti delle altre confessioni religiose con le quali lo Stato ha già approvato con legge la relativa intesa ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione.

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2 bis. Le disposizioni del presente capo si applicano altresì agli enti delle altre confessioni religiose che presentano i seguenti requisiti:

a) presenza diffusa, organizzata e consistente a livello territoriale e un significativo insediamento nell'ambito del comune nel quale vengono effettuati gli interventi disciplinati dal presente capo;

b) i relativi statuti esprimono il carattere religioso delle loro finalità istituzionali e il rispetto dei principi e dei valori della Costituzione.

2 ter. Ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente capo gli enti delle confessioni religiose di cui ai commi 2 e 2 bis devono stipulare una convenzione a fini urbanistici con il comune interessato. Le convenzioni prevedono espressamente la possibilità della risoluzione o della revoca, in caso di accertamento da parte del comune di attività non previste nella convenzione. 2 quater. Per consentire ai comuni la corretta applicazione delle disposizioni di cui al presente capo, viene istituita e nominata con provvedimento di Giunta regionale, che stabilisce anche composizione e modalità di funzionamento, una consulta regionale per il rilascio di parere preventivo e obbligatorio sulla sussistenza dei requisiti di cui al comma 2 bis. La consulta opera senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio regionale”.

Tenendo presente che le definizioni rappresentano in realtà delle delimitazioni, e quindi si occupano di assegnare uno spazio di rilevanza ad alcuni soggetti e di escluderne altri, non possiamo non rilevare come i soggetti religiosi che erano ammessi al procedimento per l’autorizzazione ad erigere luoghi di culto fossero distinguibili in due categorie:

a) la prima è rappresentata dagli enti delle altre confessioni religiose con le quali lo Stato ha già approvato con legge la relativa intesa ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione.

b) la seconda (comma 2 bis) contiene gli enti religiosi e le confessioni “altre”, ossia quelle che non hanno concluso alcuna intesa sulla base del dettato costituzionale. La prima conseguenza di carattere strettamente giuridico che si

può trarre è quella in base alla quale le confessioni religiose della seconda categoria sarebbero state regolate dal quadro predisposto dal Diritto Ecclesiastico comune, mentre quelle della prima categoria avrebbero potuto fruire di uno statuto giuridico proveniente dalle Intese bilaterali che, anche in relazione alla edilizia di culto ed alle

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attrezzature religiose prevede un regime indubbiamente migliore, poiché negoziato dalle parti.

Riprendendo i ragionamenti svolti in precedenza possiamo richiamare l’impostazione che Austin Turk aveva fornito in tema di interazioni tra gruppi di minoranza e Autorità decidente. L’interpretazione fornita dall’Autore affermava che l’organizzazione dei gruppi di minoranza avrebbe potuto indurre occasioni di conflitto con i detentori del potere, ma che, altrettanto, la loro sophistication avrebbe consentito ai medesimi di essere selezionati dalla Autorità per essere ammessi ad uno statuto poziore.

Qui la sofisticatezza che una confessione religiosa di minoranza può vantare nell’ambito di un rapporto bilaterale che conduce ad una Intesa con lo Stato si individua, non solo e non tanto nel suo radicamento territoriale e nella sua diffusione nazionale o locale, ma specialmente nel suo possedere caratteristiche che la rendano compatibile ed accettabile nei confronti della controparte pubblica e decidente. Il possesso di queste caratteristiche non deve necessariamente risultare come risalente e consolidato, e la capacità di adattamento può essere acquisita successivamente attraverso un processo di avvicinamento dialogico alle istituzioni e di affinamento dei principi professati.

Le considerazioni sopra svolte ci inducono a ritenere che le altre confessioni religiose, quelle che la legge raggruppava al comma 2 bis dell’art. 1 e che non hanno concluso una Intesa con lo Stato, potevano essere stimate come dotate di una minore sofisticatezza: pertanto le medesime sarebbero state sottoposte ad un regime amministrativo differenziato e composito quanto all’accesso alla procedura per l’edilizia di culto.

Questi ultimi gruppi religiosi, quindi, sembravano essere quelli da considerare – secondo lo sguardo della norma – con maggior sospetto; e ciò anche nell’ottica di una politica regionale orientata in termini securitari e che ha occasione di ritrovare una inaspettata vocazione all’esercizio del controllo sociale formale. Ma vediamo di spiegarci e di individuare i punti problematici emergenti.

Una confessione religiosa che non presenti caratteristiche di particolare sofisticatezza, che le consentono di istaurare con lo Stato una trattativa bilaterale finalizzata alla Intesa, poteva essere facilmente considerata dalla Autorità in due modi (non alternativi, ma cumulativi tra di loro):

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a) la confessione non ha ancora richiesto riconoscibilità, visibilità e presenza spazio-temporale rimane sottoposta al diritto comune dei culti ancora fondato sulla cornice generale rappresentata dalla L. 24 giugno 1929, n. 1159 (“Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi”) e dal relativo regolamento di attuazione approvato con regio decreto 28 febbraio 1930, n. 289 (“Norme per l’attuazione della legge 24 giugno 1929, n. 1159, sui culti ammessi nello Stato e per coordinamento di essa con le altre leggi dello Stato”).

b) attraverso lo sguardo della preoccupazione e del timore: prendendo spunto da quanto considerato supra rispetto ad un discorso che tratta il dato religioso unitamente alla devianza, la legge regionale sembrava far intendere che determinate confessioni religiose non hanno concluso una Intesa con lo Stato proprio a causa del loro professare principȋ e proporre precetti meno adattivi e che presentano una potenziale incompatibilità rispetto a quelli posti a base del diritto positivo.

La conseguenza, specialmente rispetto al secondo punto è quella di sottoporre la medesima confessione ad un regime restrittivo quanto all’accesso di una procedura finalizzata all’edilizia; regime articolato su due punti che si atteggiano a requisiti.

a) Quello della presenza diffusa, organizzata e consistente a livello territoriale e un significativo insediamento nell'ambito del comune nel quale si chiede che vengano effettuati gli interventi edilizi.

b) Quello della conformità dei suoi statuti ai valori della Costituzione. Il primo requisito49 non sembrava attenere ad un dato

esclusivamente numerico e geografico, relativo ad una mera distribuzione e dislocamento di carattere territoriale, quanto piuttosto poteva essere interpretato alla luce del rilievo sociale che la confessione religiosa doveva possedere. E ciò rappresentava un dato di notevole importanza: termini come presenza diffusa, organizzata e consistente a livello territoriale e significativo insediamento nell'ambito del comune, erano in grado di rimandare a qualcosa in più (da un punto di vista qualitativo) rispetto ad una valutazione di carattere statistico od anagrafico. In particolare le ridondanti (e sotto

49 Che era stabilito dal comma 2 bis a) dell’art. 70 della legge regionale 12/2005 come modificato dalla

legge regionale 2/2015.

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certi aspetti ripetitive) espressioni utilizzate sembravano aprire la strada, o perlomeno, alludere ad un contenuto analogo al radicamento; dove il concetto di radicamento si orienta verso un dato che riferisce un legame con il territorio.

Il secondo requisito faceva emergere un dato di notevole interesse50: le confessioni religiose prive di Intesa, per poter accedere ad una pratica di edilizia di culto, dovevano essere dotate di statuti esprimenti finalità religiose e non contenenti principî contrari alla Costituzione. Siamo di fronte ad una restrizione disciplinare che riconfermava il sospetto che il legislatore regionale riservava nei confronti di certi gruppi religiosi.

Precisiamo quanto al sospetto: l’espressione vorrebbe riferirsi ad una convinzione (quindi un dato di carattere interpretativo) maturata nei confronti di una circostanza che è in grado di suscitare timore o apprensione; si tratta di una definizione generalissima giacché lo stesso deve essere ricollegato a:

a) un risvolto di carattere oggettivo, legato necessariamente a dati che presentano un certa precisione;

b) un risvolto di carattere soggettivo, che rinvia alle convinzioni personali. In questo frangente, ai fini di una migliore comprensione delle

espressioni che erano state utilizzate dal legislatore regionale, è opportuno svolgere una scomposizione che prenda in esame separatamente i seguenti elementi, al fine di far emergere le difficoltà di carattere interpretativo e applicativo:

a) gli statuti; b) le finalità degli statuti; c) l’orientamento degli statuti.

Il primo elemento sembrava esprimere la necessità che, per accedere ad un programma di edilizia religiosa, la confessione dovesse essere dotata di uno statuto. Rispetto a questo punto si devono esprimere due precisazioni: da un lato, per statuto, è necessario riferirsi ad un testo che più che esprimere principî confessionali o dottrine teologiche e precettive, stabilisca le modalità di carattere organizzativo del gruppo religioso51. D’altro canto bisogna porre in

50 Che era stabilito dal comma 2 bis b) dell’art. 70 della legge regionale 12/2005 come modificato dalla

legge regionale 2/2015. 51 R. BOTTA, Manuale di diritto ecclesiastico. Valori religiosi e rivendicazioni identitarie nell’autunno dei diritti, Giappichelli, Torino, 2008, pp. 118 ss. M.RICCA, Le religioni, Laterza, Roma, Bari,

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evidenza il fatto che l’esistenza (in senso ontologico e di soggettività giuridica) di una confessione religiosa prescinde dalla fissazione di uno statuto52. La Costituzione, infatti, all’art. 8, II comma, si esprime in modo chiaro e fissa la regola in base alla quale le medesime confessioni “…possono organizzarsi secondo i propri statuti…”; e pertanto esclude l´obbligo in capo alle medesime di darsi una organizzazione.

Il secondo elemento concerneva l’esigenza che gli statuti (abbiamo visto comunque non necessari) esprimessero finalità di carattere religioso: rispetto a questo potrebbe obiettarsi che gli statuti – concernendo l’organizzazione e la struttura del gruppo – non necessariamente debbono far emergere motivazioni e principî di carattere confessionale. Ma ciò che è più importante evidenziare è il dato in base al quale è molto arduo poter esercitare un controllo formale su una finalità religiosa che magari non viene espressa, fissata ed organizzata in un testo statutario, ma che nella maggior parte dei casi, si esprime nella prassi e nella vita del gruppo.

L´espressione di finalità religiose contiene due difetti: quello di ristrettezza semantica e quello di una eccessiva genericità. Da un punto di vista, per finalità religiosa, si dovrebbe intendere una attività esclusivamente dedita alla teologia ed alla spiritualità; d´altro canto non dobbiamo scordare che la religione è un fatto anche di carattere sociale, che deve confrontarsi con il mondo ed operare nel mondo attraverso anche strumenti secolari, quali: regole pratiche, direttive, attività esterne di proselitismo, sinanco attività commerciali. E sino a quando le attività di una singola confessione non vengono a risultare congruenti o coincidenti con una occupazione estranea e profana, lecita o illecita (anche quando alcuni dei suoi membri commettano reati o si inseriscano in pratiche criminali diffuse), non è possibile eseguire sindacati da parte della Autorità Amministrativa53.

Il terzo elemento riguarda il contenuto degli statuti, che non deve emergere come caratterizzato da principi contrari alla Costituzione. Siamo di fronte ad un requisito di non facile decifrabilità e definizione; infatti: se abbiamo riguardo al testo costituzionale possiamo rilevare che il secondo comma dell’art. 8 fa espresso riferimento alla necessità che gli statuti confessionali “non contrastino

2004, pp. 179 ss. N. COLAIANNI, Confessioni religiose, Enc. d. Dir., Agg. IV, Giuffrè, Milano 2000, pp. 367 ss. 52 R. BOTTA, Manuale di diritto ecclesiastico. Valori religiosi e rivendicazioni identitarie nell’autunno dei diritti, cit., p. 120. 53 N. COLAIANNI, Confessioni religiose, cit., 374 ss.

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con l'ordinamento giuridico italiano”; e l’espressione che era stata utilizzata dal legislatore regionale rappresentava una affrettata e forse grossolana copiatura di quanto riportato in Costituzione.

La necessità espressa dall’art. 8, II comma, è da ricollegarsi alla esigenza che lo statuto non contenga elementi che si pongano in contrasto con una libertà di carattere organizzativo e con un regolato e non arbitrario funzionamento di carattere ordinamentale; accedendo ad una tale interpretazione (pacifica) possiamo stimare che quanto era stabilito nella legge regionale poteva costituire un mero richiamo – forse inutile e ridondante – al testo costituzionale. Ma se così non fosse stato, e se il legislatore lombardo avesse inteso introdurre la necessità di una non-contrarietà degli statuti ai principi supremi espressi dalla Legge Fondamentale, allora ci saremmo trovati di fronte a un nodo gravemente problematico. Il controllo della Autorità, abbiamo accennato in precedenza, è circoscritto agli aspetti procedurali degli statuti e non può estendersi ad un sindacato sui suoi eventuali contenuti.

Considerato il fatto che, non necessariamente, gli statuti prevedono principî, ma possono limitarsi ad enunciare modalità organizzative e funzionali, un controllo sui medesimi - che giocoforza uscirebbe anche dal perimetro degli statuti – si rivelerebbe come una ingerenza nei confronti della autonomia confessionale della stessa religione. L’esperienza insegna che tutte le religioni (compresa quella prevalente in Italia) possono esprimere giudizi, assumere posizioni, predicare e raccomandare atteggiamenti e comportamenti in conflitto con i principi fondamentali espressi dalla Costituzione; anche in diverse materie. Si pensi all’ambito della morale sessuale, dei rapporti coniugali, dei confini tra vita e non vita, tra vita e morte, delle attività economiche, del profitto, dell’interesse finanziario: ebbene, queste sono materie che le religioni – legittimamente – concepiscono e regolano in modo diverso da un ordinamento giuridico laico, nel quale spesso prevalgono – sempre legittimamente – ideali ispirati alla libertà sessuale, alla realizzazione personale, all’attività produttiva. Si tratta di due ordini che non necessariamente devono trovare mediazioni e che sono rivolti a due finalità differenti (la salus animae e la felicità terrena), ma che possono convivere – anche conflittualmente.

Se la legge regionale intendeva quindi introdurre un sindacato sui precetti e sui dogmi delle rispettive religioni come condizione per poter accedere ad un programma di edilizia, i saremmo trovati di fronte ad una normativa che, allo scopo di permettere l’esercizio di una prerogativa legata alla libertà di culto, si riservava di esercitare,

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nella sostanza, un sindacato generale su ogni culto. Un sindacato che giocoforza si estendeva sulla interpretazione dei dogmi religiosi, separando quelli conformi o innocui, da quelli potenzialmente devianti.

Il problema criminologico dell'impatto causato dalla edilizia

religiosa

Le successive disposizioni, sempre rispetto alla coordinata soggettiva, prevedevano la presenza di soggetti terzi rispetto alla confessione religiosa richiedente ed all’Autorità decidente.

In particolare, tornando in una prospettiva criminologica, non dobbiamo fare i conti soltanto con i due protagonisti (soggettività religiosa da giudicare e soggettività giudicante), ma dobbiamo prendere in considerazione anche lo sguardo, l’intervento, e l’interazione di soggettività altre che non solo osservano, ma possono anche dirigere e orientare il complessivo procedimento. Vediamo di esaminare il testo espunto dall’intervento della Corte: il già novellato art. 7254.

54 1. Le aree che accolgono attrezzature religiose o che sono destinate alle attrezzature stesse sono specificamente individuate nel piano delle attrezzature religiose, atto separato facente parte del piano dei servizi, dove vengono dimensionate e disciplinate sulla base delle esigenze locali, valutate le istanze avanzate dagli enti delle confessioni religiose di cui all’articolo 70. 2. L’installazione di nuove attrezzature religiose presuppone il piano di cui al comma 1; senza il suddetto piano non può essere installata nessuna nuova attrezzatura religiosa da confessioni di cui all’articolo 70. 3. Il piano di cui al comma 1 è sottoposto alla medesima procedura di approvazione dei piani componenti il PGT di cui all’articolo 13. 4. Nel corso del procedimento per la predisposizione del piano di cui al comma 1 vengono acquisiti i pareri di organizzazioni, comitati di cittadini, esponenti e rappresentanti delle forze dell’ordine oltre agli uffici provinciali di questura e prefettura al fine di valutare possibili profili di sicurezza pubblica, fatta salva l’autonomia degli organi statali. Resta ferma la facoltà per i comuni di indire referendum nel rispetto delle previsioni statutarie e dell’ordinamento statale. 5. I comuni che intendono prevedere nuove attrezzature religiose sono tenuti ad adottare e approvare il piano delle attrezzature religiose entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge regionale recante “Modifiche alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) – Principi per la pianificazione delle attrezzature per servizi religiosi”. Decorso detto termine il piano è approvato unitamente al nuovo PGT. 6. Il piano delle attrezzature religiose può avere valenza sovracomunale, sulla base di una convenzione tra comuni limitrofi che individua il comune capofila. La procedura di cui all’articolo 4 deve avvenire singolarmente in ogni comune. Il provvedimento finale e conclusivo della procedura è unico e ne è responsabile il comune capofila. Il piano delle attrezzature religiose sovracomunale costituisce parte del piano dei servizi dei singoli comuni che hanno aderito alla convenzione di cui sopra. 7. Il piano delle attrezzature religiose deve prevedere tra l’altro: a) la presenza di strade di collegamento adeguatamente dimensionate o, se assenti o inadeguate, ne prevede l’esecuzione o l’adeguamento con onere a carico dei richiedenti;

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Ai nostri fini specifici interessa particolarmente il comma IV, il quale prevedeva il coinvolgimento nel procedimento amministrativo di soggetti eterogenei con funzioni anche diverse che possiamo distinguere in tre gruppi:

a) organizzazioni e comitati di cittadini; b) rappresentanti istituzionali delle Forze dell’Ordine; c) comitati referendari comunali.

Si trattava di soggetti chiamati a fornire attività consultiva nell’ambito del procedimento amministrativo; un’attività i cui contenuti erano caratterizzati da un orientamento generale di carattere securitario. Sebbene infatti questo orientamento fosse dichiarato solo rispetto alla consultazione con le Forze dell’Ordine, non ci sono motivi per dubitare che potesse essere preso in considerazione anche per quanto riguardava il parere fornito dai cittadini comuni.

Qui, proprio ricorrendo ad un filone di ragionamento di carattere criminologico, è agevole affermare che l’esame della posizione e del contributo fornito dalle Forze dell’Ordine potesse presentare profili di oggettività e neutralità, e nel contempo risultare generico perché contenente solo informazioni o rilievi non coperti dal segreto investigativo. Sarebbe incongruo infatti che gli ufficiali e i funzionari di Pubblica Sicurezza possano rilevare i risultati di indagini riservate e delicate (e non ancora concluse) per soddisfare una esigenza di carattere amministrativo edilizio.

Interessante, ai nostri fini, è invece l’esame della attività consultiva (informale) che poteva essere richiesta ai gruppi di cittadini residenti; o la promozione e svolgimento di un referendum di portata comunale.

b) la presenza di adeguate opere di urbanizzazione primaria o, se assenti o inadeguate, ne prevede l’esecuzione o l’adeguamento con onere a carico dei richiedenti; c) distanze adeguate tra le aree e gli edifici da destinare alle diverse confessioni religiose. Le distanze minime sono definite con deliberazione della Giunta regionale; d) uno spazio da destinare a parcheggio pubblico in misura non inferiore al 200 per cento della superficie lorda di pavimento dell’edificio da destinare a luogo di culto. Il piano dei servizi può prevedere in aggiunta un minimo di posteggi determinati su coefficienti di superficie convenzionali; e) la realizzazione di un impianto di videosorveglianza esterno all’edificio, con onere a carico dei richiedenti, che ne monitori ogni punto di ingresso, collegato con gli uffici della polizia locale o forze dell’ordine; f) la realizzazione di adeguati servizi igienici, nonché l’accessibilità alle strutture anche da parte di disabili; g) la congruità architettonica e dimensionale degli edifici di culto previsti con le caratteristiche generali e peculiari del paesaggio lombardo, così come individuate nel PTR. 8. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle attrezzature religiose esistenti alla entrata in vigore della legge recante“Modifiche alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) - Principi per la pianificazione delle attrezzature per servizi religiosi.”.

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L’attività operava un certo richiamo nei confronti di un fenomeno dei comitati e dei movimenti Nimby (Not In My Back Yard): con l’espressione si designa una attività comunitaria locale volta a contestare e contrastare – con azioni e pressioni sociali di diverso genere – la costruzione o la installazione di fabbricati, di insediamenti industriali o di reti infrastrutturali che possono suscitare sospetto, apprensione o timore rispetto alla integrità dell’ambiente, della salute collettiva, della qualità della vita in genere. Il cosiddetto fenomeno Nimby rappresenta sotto certi aspetti un ostacolo che rallenta, e talvolta impedisce, la realizzazione di un’opera. L’opposizione alla realizzazione di un’opera infrastrutturale è prevalentemente esercitata da parte delle comunità locali nella cui area geografica dovrà essere realizzata. Sovente questa opposizione trova spazi di consenso anche a livello nazionale, oltre che risonanza mediatica e politica. Il Nimby è un fenomeno nel quale operano dinamiche complesse, che richiedono un approccio multidisciplinare per essere studiate: dalla sociologia, alla psicologia sociale, alla scienza politica55. La conflittualità che caratterizza questa pratica – talvolta sfociante anche in episodi criminali di danneggiamento o sabotaggio – può essere attenuata attraverso un procedimento comunicativo e mediatorio da parte delle Autorità. Le stesse possono raccogliere i dossier dei contestatori Nimby e possono fornire agli stessi informazioni circa lo stato, i progressi e le caratteristiche dei lavori. La Direttiva Europea, la 2001/42/CE, 27 giugno 2001, in materia di protezione dell´ambiente, all’art. 6 stabilisce un principio consultivo con i cittadini: “I. La proposta di piano o di programma ed il rapporto ambientale redatto a norma dell'articolo 5 devono essere messi a disposizione delle autorità di cui al paragrafo 3 del presente articolo e del pubblico. 5. Gli Stati membri determinano le specifiche modalità per l'informazione e la consultazione delle autorità e del pubblico”. L’attività consultiva che proviene dalla popolazione residente come prevista dalla legge regionale, pertanto, poteva trovare contiguità con le iniziative sopra tratteggiate; ma solo di contiguità si tratta.

Vediamo di individuare i momenti che evidenziano una discrasia.

55 R. ADRIANI, Fenomenologia della sindrome Nimby. Focus paper, n. 36 – settembre 2014 Centro Studi Tocqueville-Acton, http://www.cattolici-liberali.com/pubblicazioni/PublicPolicy/focus/2014/focus-paper_36.pdf. D. DELLA PORTA, Comitati di cittadini e democrazia urbana, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004, pp. 7, 8. M. ROCCATO, S. RUSSO, Insicurezza e criminalità. Psicologia sociale della paura del crimine, Liguori, Napoli, 2012, pp. 95 ss.

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a) Le attività Nimby si concentrano prevalentemente nei confronti del contrasto alla costruzione di impianti che attingono l’ambiente, o che possono creare problemi ambientali ed ecologici.

b) La funzione consultiva che era prevista dalla legge regionale invece sembrava riguardare l’impatto in termini di generica sicurezza civile della istallazione religiosa.

Si tratta di una differenza notevole poiché i problemi di carattere ambientale possono essere suscettibili di una certa valutazione, anche scientifica e oggettiva, che sia in grado di far emergere tratti di pericolosità e di rischio; invece emerge aleatoria ogni posizione che possa ricollegare una attrezzatura religiosa ad una minaccia per la sicurezza civile.

Oltretutto: a) le attività Nimby provengono da una iniziativa di massima

spontanea, dal basso. b) la funzione consultiva che era prevista dalla legge regionale,

invece, veniva suscitata dalla Autorità Amministrativa decidente, la quale avrebbe potuto orientare – solo per il fatto di chiedere un parere – l’opinione dei residenti. Si tenga presente oltretutto che, essendo le Amministrazioni locali, spesso connotate da forti coloriture ideologiche sarebbe esistito il rischio che i cittadini potessero fornire pareri in conformità alle stesse. Non possiamo negare che la questione sicurezza possa essere

anche considerata sulla base di una presa di coscienza e di una iniziativa diffusa e popolare: vi sono forme di prevenzione comunitaria56 che prendono le mosse dalla considerazione che, un orizzonte sociale sicuro e privo di inquietudini e preoccupazioni, possa essere conseguito attraverso il rafforzamento dei legami e la valorizzazione del capitale sociale dei singoli e dei gruppi, che promuovono attività in grado di raccogliere ed unire i residenti in comunità coese e consapevoli (cfr. Progetto Europeo INNES57). E’ da ritenere infatti che un ambiente urbano più sicuro ed accogliente possa essere conseguito specialmente attraverso una implementazione ed

56 S. CIAPPI, La nuova punitività. Gestione dei conflitti e governo dell’insicurezza, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2007, pp. 54 ss. 57 www.innesproject.eu Nel corso di questo Progetto si è giunti alla elaborazione di un modello di relazionalità – quello della ‘ragnatela sociale’ – che rappresenta un paradigma avanzato rispetto a quello della ‘rete’; cfr. A. PUCCIA, G. SANDRI, M. TOSI, E. CORBARI, La Teoria della Ragnatela Sociale. Relazioni umane e solidarietà, in Crimen et Delictum, International Journal of Criminological and Investigative Sciences, Ed. 9-2015, Mantova, 2015.

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estensione delle reti relazionali e della fiducia reciproca58. Non solo: anche mediante la chiamata e il coinvolgimento di tutti i residenti all’adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà sociale59. Possiamo quindi comprendere come la paura più grande, il pavor che ci atterrisce, sia quello che deriva dalla rottura del patto sociale, dall’allentamento dei legami tra gli uomini, dal venir meno di quel dato simbolico e ideale che faceva sentire gli esseri umani coinvolti nello stesso destino60. Le considerazioni svolte ci portano a lambire il tema nodale dell’incrocio tra la sicurezza in termini percettivi, in termini amministrativi61, in termini locali ed ambientali62 e, per finire, in una prospettiva di carattere generale63. Si tratta di argomenti che, pur non riguardando in via diretta l’oggetto che stiamo trattando, si situano in una posizione di sfondo. Bisogna comprendere, infatti, che l’esigenza di regolamentare i culti di minoranza si lega, tra l’altro, alla necessità di mantenere sotto controllo determinati gruppi sociali che vengono ritenuti temibili o sospetti.

Ma torniamo al nostro argomento: le iniziative dette Nimby nulla hanno a che fare con le consultazioni che erano previste dalla norma regionale, le quali, a ben guardare, incrociavano due argomenti veramente di carattere eterogeneo: da un lato la costruzione di un edificio di culto (magari poco evidente e defilato e frequentato da una esigua comunità di fedeli), dall’altro i problemi, non tanto di sicurezza oggettiva, ma di impatto psicologico e di sicurezza intesa come percezione. E qui è necessaria una precisazione: il senso di sicurezza, e quindi la sua declinazione psicologica, emerge come un dato non esclusivamente soggettivo, ma è la risultante sia della personalità del soggetto, che delle sue convinzioni alla formazione delle quali concorrono fonti eterogenee: notizie giornalistiche non sorvegliate,

58 U. GATTI, H.M.A. SCHADE, R.E. TREMBLAY, Capitale sociale e reati contro il patrimonio. Il senso civico come fattore di prevenzione dei furti d’auto e delle rapine nelle provincie italiane, POLIS, 2002, PP. 57 SS. 59 G. SANDRI, M. BARDI, L. CARACCIOLO, L.M. GAGLIARDI, E. CORBARI, A. MORSELLI, F. SAVAZZI, I. SQUINZANI, M. TOSI, A. PUCCIA, Innes: Legami di sicurezza. Crimen et

Delictum, International Journal of Criminological and Investigative Sciences, 7(1), 10-25. 60 M. AUGE’, Le nuove paure. Cosa temiamo oggi, Bollati, Boringhieri, Torino, 2013, p. 70. 61 M. BARDI, Riflessioni di criminologia generale circa alcuni aspetti del problema della insicurezza contemporanea, in Crimen et Delictum, International Journal of Criminological and Investigative Sciences, Ed. 6-2013, Mantova, 2013. 62 G. SANDRI, Il quartiere Lunetta a Mantova: storia e mito di una metafora, in Idoli della Tribù, di S. Ciappi e C. Panseri, Lecce, 2004. 63 G. SANDRI, M. TOSI, Proposte metodologiche per una “Società Riparativa”, in Crimen et Delictum, International Journal of Criminological and Investigative Sciences, Ed. 7-2014, Mantova, 2014.

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modelli di pensiero, pregiudizi64. Con una qualche approssimazione può affermarsi quindi che, se i gruppi di residenti fossero stati consultati dalla Autorità circa un costruendo edificio di culto focalizzando i problemi della sicurezza, gli stessi gruppi avrebbero posto a disposizione un parere che avrebbe tenuto in conto in modo prevalente dei timori e delle preoccupazioni che il medesimo potrebbe suscitare; e ciò, non in modo analitico e ragionevole, ma spesso ricorrendo a registri emotivi e sbrigativi – confermando le aspettative della amministrazione consultante.

Se vi è un metus, questo potrà essere, ad esempio, ritenuto derivante dalla presenza e dalla azione di un determinato gruppo religioso. E qui la prospettiva di una causalità è lineare: il gruppo religioso strano, esotico e temibile può dar vita a timore in capo ai residenti di un determinato territorio, i quali esprimeranno parere contrario al suo insediamento in termini di presenza di un edificio di culto.

Una rappresentazione del genere rischia di arenarsi nel semplicismo. La relazione tra un culto ed il timore che è in grado di suscitare pecca specialmente di ingenua astrattezza se non si prendono in considerazione le concrete circostanze che hanno dato luogo ad un tale processo generativo. Infatti: sullo sfondo si delinea l’opinione maturata dalla popolazione residente rispetto ad una confessione (o a un gruppo in generale); questa opinione nasce e si consolida non in modo osservativo ed esperienziale, ma sulla base di orientamenti e nozioni che provengono dall’esterno ai cittadini e che, sovente, vengono recepiti ed interiorizzati in modo passivo e acritico.

Una legge che si occupa di formalizzare la pericolosità o la temibilità degli appartenenti al gruppo (che può essere anche etnicamente o religiosamente connotato) non è necessariamente successiva al formarsi della opinione negativa di cui sopra, ma può essere concomitante e anch’essa contribuire al suo consolidarsi. Potremmo chiederci se il nostro compito consista nell’indagare se le norme corrispondano ai fatti – anche ai fatti, agli oggetti, di origine nuova – o se, per converso, i fatti debbano corrispondere ad esse; cioè se le strutture normative siano tese alla creazione dei medesimi fenomeni ed alla loro successiva convalida attraverso la loro applicazione. In altre parole: se determinati fatti, se certi accadimenti nuovi specialmente legati alla sicurezza ed al pericolo, possano

64 G. DE LEO, P. PATRIZI, Psicologia giuridica, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 215. P. PATRIZI, Psicologia della devianza e della criminalità, Carocci, Roma, 2011, pp. 168 ss.

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assumere una particolare direzione, una connotazione solo per il fatto di essere previsti da una norma giuridica che li riconosce.

L’altra attività che era prevista dalla norma regionale, la facoltà per i comuni di indire referendum per conoscere la posizione dei residenti rispetto ad un costruendo edificio di culto, presentava notevoli spunti di discussione e di interessante sviluppo anche di carattere comparativo.

Da un lato l’istituto referendario rimanda al concetto del rilievo di una maggioranza decidente: si tratta senz’altro di un esperimento di democrazia, ma la cui applicazione deve sempre tenere conto del clima, delle materie coinvolte e degli effetti che può produrre il risultato. In particolare: ipotizzare che uno dei contenuti dell’esercizio di un diritto costituzionalmente rilevante quale è quello del culto, anche organizzato, possa essere influenzato (addirittura eliso) dal parere di una maggioranza locale sembra esorbitare da ogni ragionevolezza. Accedere ad una tale posizione significa conferire proprio alla major pars quello statuto di melior et sanior pars che, con una finzione, sembra assurgere a volontà unanime e totale65, e porsi in grado di annullare le voci dissenzienti ed inibire le iniziative di gruppi di minoranza. Ma non solo, è necessario svolgere anche una breve considerazione di carattere sociologico che ci ponga nella condizione di valutare attraverso quali modalità la major pars si sia potuta costituire, prendere coscienza di sé ed esprimersi con un voto referendario. Se per deliberare è necessario conoscere, possiamo avanzare seri dubbi circa il fatto che i cittadini di un comune possano formarsi una opinione seria e scevra da condizionamenti e pregiudizi – specie rispetto a un dato che riallaccia la sicurezza alla apparizione di un fenomeno religioso poco noto. Non può negarsi che l’approfondimento criminologico contemporaneo debba confrontarsi con i problemi del senso, della percezione e della reazione da parte della collettività66, intesi come fenomeni che, nonostante tutto, saranno in grado di contribuire alla costruzione, anche culturale, del fenomeno criminale e della sicurezza67. In questa direzione si rende necessaria una integrazione tra il piano materiale della realtà sociale (con i propri accadimenti oggettivi) ed un angolo visuale che tenga

65 E. RUFFINI, Il principio maggioritario. Profilo storico, Adelphi, Milano, 1987, pp. 28 ss. 66 G. PISAPIA, Contributo ad una analisi socio-criminologica della devianza, CEDAM, Padova, 1978, pp. 9, 10, 27 ss. M. LYNCH, Percezione del reato da parte del pubblico, in Trattato di criminologia, medicina criminologica e psichiatria forense, a cura di F. FERRACUTI, v. 4, Giuffrè, Milano, 1987, p. 199. 67 G.M. SYKES, Il futuro della criminalità, in Trattato di criminologia, medicina criminologica e psichiatria forense, cit., v. 1, p. 323.

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conto dei punti di vista soggettivi, in specie quelli dominanti ed imposti68.

L’aspetto comparativo al quale abbiamo fatto cenno è rappresentato da un precedente che, al di là dell’esito, dovrebbe costituire occasione di riflessione.

Si tratta del referendum tenutosi nel novembre del 2009 in Terra Elvetica per conseguire il bando alla costruzione di minareti69. Non si trattava quindi di decidere circa l’edificazione di moschee, ma di regolamentare (nel senso di proibire) un dato di carattere prettamente ambientale e paesaggistico, ossia la presenza della tipica torre che accede al luogo di culto islamico; e ciò tenendo presente che in Svizzera, a fronte di un numero rilevante di moschee risultavano per contro edificati solo quattro minareti70.

Sebbene si trattasse di decidere su una questione di scenario del territorio, la campagna referendaria ha assunto toni e si è caricata di motivi che andavano ben al di là del quesito formale, e si è caratterizzata sostanzialmente come una propaganda anti-islamica che ha posto in evidenza, anche con artifici figurativi che rappresentavano il minareto come un minaccioso ordigno missilistico sulla rampa di lancio, la generale pericolosità e nocività per la tranquillità e la sicurezza della vita della presenza musulmana71.

Il c. 7 del novellato art. 72 introdotto dalla legge regionale stabilisce due punti che sono in grado di suscitare il nostro interesse. Il punto e), riguardava la necessità di istallare un impianto di videosorveglianza esterno all’edificio che potesse riprendere visivamente gli accessi all’edificio. Non possiamo passare sotto silenzio che la contemporanea Società del Controllo funziona affidandosi a sguardi meccanici ed elettronici, considerati più efficienti e asettici rispetto allo sguardo umano, e in grado di impostare ed orientare una sorveglianza fredda e inesorabile che si traduce nella continua produzione di dati statistici sulla conformità, sulla devianza e sugli stili di vita72.

68 A. BARATTA, Problemi sociali e percezione della criminalità, in Trattato di criminologia, medicina criminologica e psichiatria forense, cit., v. 4, pp. 259 ss. 69 S.F. REGASTO, SVIZZERA: Lo svolazzo referendario degli elvetici sui Minareti, www.forumcostituzionale.it/wordpress/images/.../0013_regasto.pdf 70 L. TERLIZZI, Referendum in Svizzera: vittoria del «no» ai minareti, http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2009/11/svizzera-referendum-no-minareti.shtml. 71 M. NUSSBAUM, La nuova intolleranza. Superare la paura dell’islam e vivere in un società più libera, Il Saggiatore, Milano, 2012, pp. 54 ss. 72 M. RIEGER, Lo sguardo statistico: l’adattamento dell’occhio umano alla società della sorveglianza, in Studi sulla questione criminale, anno V, n. 2, 2010, pp. 101 ss.

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Il problema, al di là di tutto, può essere individuato in un nodo fondamentale.

Il dispositivo panottico che non sembrava essere posto a sorveglianza del luogo di culto, quanto piuttosto volto a controllare gli accessi da parte dei fedeli. Se questa disposizione era in grado di suscitare problemi rispetto all’art. 4 del D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, nella parte in cui definisce i dati personali sensibili “d) dati sensibili, i dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”73; poteva altrettanto contribuire a creare o rafforzare la convinzione che gli appartenenti ad una certa confessione religiosa, in quanto meritevoli di controllo nella entrata e nella uscita dal tempio, potessero in vario modo essere considerati pericolosi o temibili.

Il punto g), del comma 7 della disposizione novellata (sfuggito all’intervento della Corte, quindi ancora in vigore), ci riporta ad alcuni aspetti già sfiorati dal referendum elvetico sulla erezione dei minareti: il piano di costruzione dell’immobile adibito al culto, si afferma, deve possedere peculiarità architettoniche e dimensionali che si pongano in continuità con il paesaggio lombardo.

A parte la considerazione in base alla quale una tale disposizione, così vaga e generica, difficilmente potrà sostenere, ad uno scrutinio giudiziario, la ragionevolezza di un diniego amministrativo fondato sulla norma. E’ realisticamente arduo parlare di paesaggio lombardo, tenendo conto che la Lombardia conosce scenari ambientali che vanno da un panorama alpino e lacustre, ad un panorama agricolo e pianeggiante, fino a comprendere un anonimo e deprimente panorama industriale ed urbano, composto da angoscianti «non luoghi».

Il citato punto g) sottende un remoto retroterra di pensiero che

rimanda ad un atteggiamento difensivo a fronte di un immaginario

conflitto; si tratta della emersione della necessità di tutelare un

paesaggio lombardo (spesso deturpato da indecenti istallazioni

commerciali o di svago) dalla presenza di luoghi di culto considerati

estranei, e quindi minacciosi. Siamo ben al di là di considerazioni di

criminologia ambientale, per le quali una adeguata imago loci e

disposizione e distribuzione di fabbricati, di quartieri, di strade, di

73 P. CONSORTI, Diritto e religione, Laterza, Roma, Bari, 2010, pp. 93 ss.

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parchi e giardini, di esercizi commerciali, può ragionevolmente

contribuire a contenere ed allontanare gli episodi di devianza e

mantenere un clima sereno74. Nel nostro caso, la legge regionale,

giunge ad assumere una prospettiva di netta contrapposizione tra una

situazione ambientale e visiva e l’avanzata di realtà materiali e

simboliche estranee che pretendono di imporre la loro presenza. Non

è casuale il richiamo che operiamo allo spirito del referendum elvetico:

come nella circostanza dei minareti in terra Svizzera, anche qui il

fattore religioso, sotto il profilo edilizio, viene svisato e inteso come

incipiente apparizione aliena, irruzione della differenza e del

perturbante: un Unheimlich che deve restare nascosto e che invece si

affaccia interrogante75, in uno scenario che si assume, di per sé,

incontaminato e originario (la Heimatland). E’ il caso di accennare

all’eterno ritorno ideale della dicotomia puro/impuro: ove ciò che ha

a che fare con il noi appartiene alla prima categoria, e deve essere

preservato dalle influenze e dalle contaminazioni fisiche (anche

visive) estranee76. Di questo passo (e per conseguenza) si comprende

come possano essere anche perturbanti, inquietanti e forieri di

preoccupazioni anche gli abiti, i corpi, i monili, i simboli, il cibo, le

ritualità ed il parlato che si rifanno a religiosità estranee.

Non è più un problema quindi di Diritto della libertà Religiosa,

di trattamento ed inquadramento giuridico e sociale (anche di

controllo) del fenomeno religioso; qui siamo di fronte ad una larvata

applicazione di una forma di diritto di matrice etno-culturale che non

è in grado di uscire dalla convinzione che determinati culti trovino le

loro radici, non in una visione originale e sincera della trascendenza,

in una ricerca del Numinoso, ma in una decisa alterità minacciosa.

Un giudizio di fondo sulla legge regionale, al di là dei problemi

di compatibilità costituzionale impostato sulla base di coordinate

criminologiche, deve tener conto, non solo dei rilievi formulati a

riguardo di alcuni suoi aspetti, magari marginali e di dettaglio, e

sottendenti problemi rilevanti; ma anche delle considerazioni di

74 G. MAROTTA, Prevenzione della criminalità attraverso le strutture urbanistiche, in Trattato di criminologia, medicina criminologica e psichiatria forense, cit., v. 4, pp. 179 ss. G. MAROTTA, Criminologia, in Digesto delle discipline penalistiche, Agg. 5, UTET, Torino, 2010, pp. 220, 221. S. CIAPPI, La nuova punitività. Gestione dei conflitti e governo dell’insicurezza, cit., pp. 73 ss. 75 F.W.J. SCHELLING, Filosofia della mitologia (1846), a cura di L. PROCESI, Mursia, Milano, 1990, p. 474. 76 M. NUSSBAUM, Disagio e umanità. L’orientamento sessuale di fronte alla legge, Il Saggiatore, Milano, 2011, pp. 75 ss.

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carattere generale formulate in tema di relazioni tra fattore religioso,

devianza preoccupazione e sicurezza. In definitiva: la medesima

norma sembrava pertanto impostata nella netta direzione della

diffidenza, della chiusura e del sospetto: elementi che si traducevano

nel superamento di un ragionevole Principio Cautelare, e trovavano

origine in una perniciosa confusione tra cultura e religione ed in un

procedimento euristico che valutava la possibilità di accadimenti

indesiderati e pericolosi sulla base di informazioni e pregiudizi spesso

non verificati, ma emergenti solo per il loro impatto emotivo77.

Non vi sono dubbi oltretutto che il regime restrittivo che era

fissato dalla norma sarebbe stato in grado di incrementare contenziosi

giudiziari; e favorire l’istallazione di luoghi di culto nella

clandestinità, con tutte le reali conseguenze per la sicurezza e per

l’effettiva controllabilità delle relazioni sociali.

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