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ISBN 978-88-7140-712-8

© Roma 2016, Edizioni Quasar di Severino Tognon srlvia Ajaccio 43 - 00198 Roma, tel. 0685358444 fax 0685833591e-mail: [email protected] – www.edizioniquasar.it

In copertina: Prospetto ricostruttivo del versante occidentale della valle del Colosseo e della pendice nord-orientale del Palatino visto da Sud (disegno di M. Fano). Progetto grafico di F. Zaccuri

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Edizioni Quasar

a cura diAntonio F. Ferrandes e Giacomo Pardini

LE REGOLEDEL GIOCOTRACCE ARCHEOLOGI

RACCONTISTUDI IN ONOREDI CLEMENTINAPANELLA

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1. La revisione dei frammenti pertinenti al frontone in terracotta di via S. Gregorio curata da L. Ferrea e la sua nuova proposta di ricostruzione (fig. 1) hanno restituito una grande rappresentazione pubblica della cerimonia sacrificale cruenta nella Roma tardo-repubblicana1. L’altorilievo recuperato ha acceso un dibattito concentrato soprattutto sul problema del monumento di appartenenza, sul destinatario divino del tempio e sulla sua ubicazione topografica2. Una minore attenzione è stata rivolta al soggetto stesso dell’altorilievo, appunto il sacrificio. Esso merita, forse, un approfondimento maggiore, anche riguardo al sistema comples-sivo delle rappresentazioni sacrificali cruente nel periodo compreso tra il II secolo a.C. e l’età giulio-claudia, quando il tema mostra un’ampia diffusione nella comunicazione per immagini.

Momenti diversi della processione con gli animali, l’arrivo all’altare e le operazioni connesse costitui-scono un elemento figurativo topico nella monumentalizzazione di spazi di rilevanza sacra, venendo preferiti ad altre soluzioni possibili, come la semplice epifania delle divinità o le evocazioni mitiche. Nello sviluppo

* Sapienza - Università di Roma.1 Ferrea 2002 presenta in maniera dettagliata il lavoro di recupero dei frammenti e di ricomposizione della raffigurazione; l’interven-to condotto ha restituito molti nuovi elementi rispetto alla bibliografia precedente, basata solo sui reperti noti del frontone; per le pre-cedenti edizioni, in particolare: Andrén 1940, pp. 350-360; Anselmino et al. 1991; Anselmino - Strazzulla 1995. Il restauro condotto e l’analisi collegata, complessiva e delle singole parti dell’altorilievo, rappresentano una delle più importanti acquisizioni archeologiche sulla cultura figurativa di Roma nel II secolo a.C., come sottolinea Torelli 2004, permettendo lo sviluppo di una proficua discussione sui problemi posti dal monumento.2 Osservazioni e analisi in Strazzulla 1993; Strazzulla 2006; Torelli 2004-05; Coarelli 2012, pp. 200-219, connesse alla ricomposi-zione del frontone e soprattutto al tema topografico e al culto palatino di Fortuna Respiciens, che nella bibliografia sul monumento ha assunto un ruolo centrale.

Il sacrificio ‘rappresentato’. Iconografia e rituale nel frontone di via San Gregorio

Enzo Lippolis*

Fig. 1 - Frontone di via di S. Gregorio, ricostruzione (da Ferrea 2002).

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della rappresentazione ‘storica’ romana, il soggetto in esame riveste senza dubbio un ruolo centrale3 e in età tardo-repubblicana e proto-imperiale, in particolare, questa espressione di sacralità ‘fattuale’4 viene utilizzata come modello iconografico privilegiato in ambito pubblico e privato; il frontone di via di San Gregorio, al momento, ne rappresenta, inoltre, la prima testimonianza5.

2. Le immagini del sacrificio e la frequenza con cui si manifestano a Roma non trovano confronto nel repertorio greco ed etrusco, sia nelle fasi cronologiche precedenti, sia in quelle coeve. Il soggetto, natural-mente, non manca in tali contesti culturali ma è documentato in maniera più occasionale o con connotazioni meno definite, che non possono essere confrontate con le testimonianze romane.

Nel mondo greco la rappresentazione del sacrificio cruento è connessa soprattutto al trasporto degli animali e alla loro presenza presso l’altare ma appare marginale, complementare o spesso assente dalle forme espressive pubbliche6. Trova uno spazio relativamente ampio solo nella produzione dei rilievi votivi7 e nella ceramografia8; anche in quest’ultimo caso resta comunque una delle possibili scelte narrative, in una posizio-ne sempre collaterale rispetto ad altri generi. La preferenza per la raffigurazione mitica o per altre immagini emblematiche della paideia sociale, come per esempio il settore atletico e ginnasiale, hanno una frequenza maggiore, allineandosi in maniera significativa alle altre espressioni iconografiche note. Nel tempo si può ri-scontrare, peraltro, una tendenza recessiva dei soggetti legati alla rappresentazione del rito, tra i quali si prefe-risce un generico riferimento alla gestualità delle spondai e all’offerta della libagione, indicata espressamente o ricordata da attributi tipici (come la phiale o l’oinochoe).

La rappresentazione del sacrificio cruento, come si è detto, è più frequente nella produzione dei rilie-vi votivi privati, ben attestati soprattutto in Attica9. Queste dediche in marmo fanno certamente parte di un repertorio più ampio, prodotto in materiali diversi, in cui forse prevaleva l’uso del legno, scomparso per il suo carattere deperibile, ad eccezione di pochi esempi. Nei reperti editi, gli offerenti, rappresentati presso l’altare o presso le immagini della divinità, appaiono schierati con un’attenta osservanza del formato ridot-to dei mortali rispetto alle figure divine, ambigue nel loro statuto intermedio tra la presenza effettiva e la statua di culto; i fedeli, disposti in genere secondo il ruolo rivestito all’interno del gruppo o della famiglia, avanzano verso l’altare con strumenti e offerte, comprese quelle relative al sacrificio cruento, senza che si possa riconoscere l’elaborazione di un canone rappresentativo particolarmente definito. Se si prescinde da questo settore, la raffigurazione degli animali destinati all’altare decresce in maniera sensibile e anche nella sfera, altrettanto privata, della cerimonialità e dell’apparato figurativo funerario, per esempio, non ne

3 Una presentazione organica del rilievo storico romano in Torelli 1992; ulteriore bibliografia nella sintesi in Moede 2007; per la cultura artistica romana di età repubblicana, La Rocca 1990; Coarelli 1996; il panorama etrusco-italico, invece, è trattato in Pairault-Massa 1985; Pairault-Massa 1992; una sintesi recente, con bibliografia complessiva, in Strazzulla 2010.4 Si rimanda, in questo caso, al concetto di ‘fattualità’ attribuito al comportamento religioso collettivo romano proposto in Scheid 1983, 2007 e 2011; osservazioni più specifiche sul sacrificio animale in Scheid 2012.5 Come sottolinea opportunamente Strazzulla 2010, p. 88.6 Manca un’analisi recente sulle testimonianze iconografiche del sacrificio nelle poleis greche; cfr. Van Straten 1995; in generale sul tema del sacrificio in Grecia: Hagg - Alroth 2005; Georgoudi et al. 2005; Bremmer 2010; Faraone - Naiden 2012; Naiden 2012; sul sacrificio per gli eroi in particolare, ma con osservazioni complessive: Ekroth 2002; cfr. anche Frère et al. 2006.7 Sui rilievi votivi, per es., Hausmann 1960; da ultimo: Comella 2002.8 Lissarrague 1984; Leyge - Lissarague 1987; Van Straten 1995; Lissarrague 1999.9 Mitropoulou 1977; Güntner 1994; Comella 2002, pp. 13-21, 31-33, 37-77, 99-139.

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appare alcuna testimonianza, mentre vengono privilegiati soggetti mitici, semplicemente rappresentativi o di carattere allegorico10.

Anche nella tradizione iconografica dell’Italia preromana, dominata dalla produzione figurativa delle città etrusche, la rappresentazione del sacrificio cruento assume un ruolo del tutto marginale. Lo ha dimo-strato una sintesi delle testimonianze disponibili, curata da L. Hugot11, condotta proprio con il fine di studiare il carattere della pratica sacrificale etrusca attraverso la documentazione figurata12. Su tutto il lungo periodo della produzione iconografica etrusca e nelle diverse categorie di materiali restituiti dalla ricerca archeologi-ca, il soggetto esaminato non rappresenta una scelta primaria e l’impressione di una scarsa frequenza aumen-ta se si considera la distribuzione delle testimonianze raccolte in un periodo di circa sette secoli. Il risultato dell’indagine, quindi, permette di verificare solo in maniera limitata modalità e comportamenti rituali, che appaiono in sostanza abbastanza simili a quelli del mondo ellenico. Si riconosce una maggiore frequenza del sacrificio di caprini rispetto a quello di suini, bovini e ovini ma la presenza di questi animali, comunque, ritorna in contesti in qualche modo connessi sempre con la sfera dionisiaca, per la quale è consueto questo tipo di vittima. Soprattutto, si rivela sistematicamente una semplicità rappresentativa, priva (come avviene anche nelle aree di cultura greca) di una codifica e della rigorosa sintassi operativa messa in scena nelle rap-presentazioni romane.

3. La restituzione del frontone proposta da L. Ferrea permette di leggere in maniera abbastanza certa lo svolgimento della scena. Anche se in alcuni casi si possono discutere soluzioni di montaggio diverse13, una serie di elementi è sicura: l’altezza e la sequenza delle figure, la collocazione dei tre personaggi principali e il movimento delle azioni svolte determinano il carattere obbligato dello schema compositivo.

La costruzione dell’altorilievo, come in altri casi, si muove su un piano di simmetria bilaterale14: al cen-tro la divinità armata stante, identificabile con Marte (fig. 2), costituisce il punto di riferimento e di conver-genza delle azioni descritte nelle due metà del timpano; a destra e a sinistra del dio sono state collocate due figure femminili abbastanza simili nell’abbigliamento, ma diverse nella posa. Una di esse, conservata solo

10 Sui rilievi funerari, in particolare attici, Conze 1893-1922; Curtius 1920; Schmaltz 1983; Clairmont 1993; Himmelmann 1999; da ultimo, Grossman 2001.11 Frère et al. 2006; Hugot 2006; Hugot 2008.12 Hugot 2008, p. 338, contributo che anticipa i risultati di un lavoro di dottorato dello stesso Autore: Hugot 2003.13 A questo proposito, le considerazioni più rilevanti in Strazzulla 2006; Coarelli 2012, pp. 205-207 ne accoglie le osservazioni e conferma che le due figure potessero essere entrambe sedute e disposte in maniera invertita tra destra e sinistra; che nella disposi-zione degli animali il bovide precedesse il capride, che vi fossero due altari (uno sarebbe il pilastrino attribuito a una delle due figure femminili in Ferrea 2002), oltre ad alcune proposte di modifica relative al lato destro. Per quanto concerne la sequenza degli animali, il suggerimento di un’inversione che porta il bovide in testa non è obbligatoria, considerando che anche nel suovetaurile la successione canonica sembra porlo a conclusione della teoria delle vittime: Scheid 2011, p. 49, n. 11, ma Strazzulla 2006 fa notare opportunamen-te che non è attestato in una posizione mediana: Strazzulla 2006, pp. 250-251; l’uso di vittime giovani, come in questo caso, è attestato nel culto di Marte, per es. nella lustrazione rurale: Scheid 2011, pp. 127-131; una presentazione introduttiva al tema degli animali nella pratica religiosa antica in Prieur 1988; per osservazioni sui vittimari: Strazzulla 2006, pp. 250-252. 14 I soggetti narrativi nelle rappresentazioni figurate adottano sistematicamente principi di simmetria, che nel caso dei frontoni assu-mono un ordine bilaterale; la cultura degli schemi figurativi si afferma probabilmente nella tecnica disegnativa e forse si diffonde in un secondo momento nei rilievi plastici, articolandosi in soluzioni diverse. Nei frontoni greci, pur nella difficoltà di definire spesso l’esatto ordine delle figure, sembra sistematicamente adottato e anche in ambito romano la composizione utilizza gli stessi criteri, uniformandosi a una tradizione ormai consolidata. In questo caso la stessa lettura delle scene rivela uno stretto rapporto tra sequenze e logica rappresentativa, come mette in evidenza, per es., Torelli 1992.

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conservata solo nella parte superiore, per L. Ferrea si appoggia a un pilastrino ed è stante (fig. 3)15, l’altra è certamente seduta su un altare (fig. 4). Queste si rivolgono nella stessa direzione ma, mentre la prima guarda lo spazio alla sua sinistra, lato verso il quale è orientata con una rappresentazione di tre quarti, la seconda, invece, è retrospicente e quindi volta il capo in senso opposto a quello del corpo. Questa specifica attitudine è alla base dell’interessante proposta di riconoscere in essa l’immagine di Fortuna Respiciens, titolare di un tempio sul Palatino, in un’area non particolarmente distante dal luogo di rinvenimento dei resti fittili del frontone (fig. 5)16.

La parte centrale della composizione, quindi, si articola su tre personaggi, chiaramente riconosciuti in bibliografia per il loro statuto non umano, la divinità maschile e le due figure femminili, entrambe dotate di un diadema lunato, che appaiono anch’esse chiaramente come divinità o rappresentazioni allegoriche17. Il gruppo ha un ruolo dominante nella scena, costituendo in qualche modo l’elemento esplicativo delle azioni svolte nelle due estremità del timpano. Queste sono occupate da due diverse processioni rituali che consisto-no ognuna nel trasporto di tre vittime, in movimento dal margine estremo verso il centro. In una posizione intermedia, tra le due processioni delle vittime e le divinità al centro del frontone, si pongono, inoltre, due personaggi maschili, di altezza inferiore a quella delle figure divine, l’una vestita di toga ma non capite vela-to, l’altra, invece, provvista di tunica e mantello allacciato sulla spalla destra, purtroppo entrambe mancanti del capo e molto lacunose, in particolare la seconda. Gli animali, infine, disposti in fila, sono accompagnati

15 Ferrea 2002, pp. 39-41, n. 15 p. 81.16 Strazzulla 1993; Strazzulla 2006; Torelli 1993; Torelli 2004-05; l’ipotesi viene accolta e ulteriormente motivata in Coarelli 2012, pp. 200-219; sulla probabile area del santuario Anselmino 2006.17 Cfr., per es., Torelli 2004-05, p. 135.

Fig. 4 - Frontone di via di S. Gregorio, di-vinità femminile seduta (da Ferrea 2002).

Fig. 3 - Frontone di via di S. Gregorio, di-vinità femminile stante (da Ferrea 2002).

Fig. 2 - Frontone di via di S. Gregorio, Marte (da Ferrea 2002).

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da personaggi minori coinvolti nell’azio-ne cultuale, riconoscibili come victimarii (fig. 6)18. L’altorilievo, quindi, rappresenta in maniera evidente lo svolgimento di un sacrificio cruento o piuttosto di due diversi sacrifici, in cui le vittime, delle medesime specie (bovino, caprone e ovino), potreb-bero essere tutte maschili19.

Dal punto di vista compositivo, la simi-larità delle due processioni e la distribuzione speculare delle figure è indubitabile: a destra e a sinistra di Marte, centrale, è tutto redupli-cato nello stesso modo (fig. 7): una divinità femminile, un magistrato o un sacerdote, infi-ne le tre vittime accompagnate dai victimarii. Le due metà, quindi, sono occupate da due scene analoghe, una comprendente la figura togata e una delle dee (nella ricostruzione Ferrea quella stante), l’altra la seconda divi-nità femminile (nella ricostruzione Ferrea quella seduta sull’altare) e l’uomo clamidato. È evidente che anche la lettura dell’azione rappresentata deve tenere presente questa ripartizione simmetrica. Il carattere maschile di alcune delle vittime (o di tutte) richiede un

18 Sulle figure ausiliari della gestione rituale più in generale Rüpke 2004, p. 246 e passim; sul personale ausiliare, Horster 2007, con bibliografia relativa.19 È solo uno dei caproni a essere meglio definibile nel suo genere, negli altri casi, invece, si tratta di una probabilità, tanto che per al-cuni di essi esistono valutazioni differenti, come per il vitello riconosciuto in Ferrea 2002, p. 29, n. 5-6, p. 77, che potrebbe essere una giovenca per Strazzulla 2006, p. 250-251. Torelli 2004, 135-157 ricostruisce a sinistra pecora, piccola giovenca e hircus, attribuendole a una divinità di tipo verginale, a destra, invece, pecora, capra, vacca, considerati propri di una dea matronale, protettrice della sfera riproduttiva e matrimoniale. Strazzulla 2006, p. 262 propone che vi siano vittime maschili a destra, femminili a sinistra. Sul lato destro, in effetti, gli animali dovevano essere di sesso maschile, certamente per il capro, al centro della teoria, e quasi certa-mente per il bovide, di cui si conservano frammenti della gamba destra posteriore che non mostrano traccia delle mammelle; inoltre, l’animale è caratterizzato da una spessa formazione di pliche cutanee del collo esterno, aspetto marcato appunto negli individui ma-schi. Mancano, invece, elementi per l’ovino, anche del quale, però, si conserva la zampa posteriore destra che non mostra tracce di mammelle, suggerendo la possibilità che si tratti di un ariete. Più difficile la restituzione del sesso dei tre animali nella metà sinistra, di cui rimane poco e nessun elemento chiaramente decisivo; in questo caso appare evidente, però, una marcata differenza nell’età degli animali, che appaiono più giovani: sembrerebbe probabile, quindi, che le due processioni abbiano rappresentato animali maschili di due fasce di età diverse, forse entro un anno di età a sinistra e tra uno e quattro anni a destra. In ogni caso, se l’altare è unico e unico il referente centrale, come si discuterà più avanti, i caratteri formali e la necessaria omogeneità delle vittime dal punto di vista del genere confermerebbero la possibilità che si tratti di vittime maschili.

Fig. 5 - Roma, via di S. Gregorio, area di rinvenimen-to dei frammenti e strutture connesse (Ferrea 2002).

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destinatario divino maschile, aspetto confermato dalla posizione di Marte, centrale ed esterna ai due meccanismi di azione; egli è il tributario dell’offerta cruenta, unico per entrambi i casi, come unico è anche l’altare20.

Le due figure femminili, invece, devono costituire necessariamente due immagini divine complemen-tari, con una funzione rappresentativa o intermediaria tra Marte e i sacrificanti, correlandosi in maniera evi-dente ai due atti di offerta che occupano i due corni simmetrici del frontone. La diversa iconografia delle due dee doveva certamente contribuire a definire meglio il loro ruolo: quella che si rivolge indietro era seduta sull’altare, mentre l’altra presentava uno schema più generico; per Ferrea e M. Torelli21 è stante e appoggiata a un pilastrino, come si è detto, mentre seduta su un altare per M.J. Strazzulla, sempre con un atteggiamento legato all’introduzione della processione rituale22, e seduta su un trono per Coarelli23.

20 L’omogeneità di genere tra divinità e vittime è una costante normativa sia nel mondo greco sia in quello romano; per quest’ultimo ambito, per es., cfr. Scheid 2007, p. 264, che ricorda come le divinità maschili ricevano vittime maschili castrate, ad eccezione di Marte, Nettuno, Giano e il Genio, ai quali si immolavano vittime maschili non castrate, mentre per le divinità femminili si sacrificavano animali femminili; Scheid 2011, pp. 51-52 considera per es. anche il caso di Sive Deus sive Dea, per cui è attestata l’ambivalenza sessuale delle vittime, in relazione all’incertezza sessuale della stessa divinità. Per quanto concerne l’altare, solo Strazzulla 2006, p. 254 propone che possano esservi tracce di un secondo altare, ipotesi che non è stata seguita in Coarelli 2012, pp. 200-219 e che presenta difficoltà ricostruttive per cui vd. nota 46.21 Ferrea 2002, n. 30-31, pp. 84-86; Torelli 2004-05, pp. 140-147.22 Strazzulla 2006, pp. 253-254.23 Coarelli 2011, p. 210 ritiene che l’attributo dell’altare debba essere riservato alla divinità titolare che riconosce in Fortuna Re-spiciens, per cui non ritiene opportuno attribuirlo anche all’altra figura femminile che, se seduta, sarebbe quindi posta su un altro supporto e in particolare su un trono.

Fig. 6 - Frontone di via di S. Gregorio, vittimario (da Ferrea 2002).

Fig. 7 - Frontone di via di S. Gregorio, a. processione sacrificale della metà sinistra; b. pro-cessione sacrificale della metà destra (da Ferrea 2002).

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Il frontone mostra, quindi, due sacrifici; due sacrificatori che l’abbigliamento connota in maniera di-versa, l’uno togato, l’altro, clamidato; due ‘rappresentanti’ divine e infine una divinità centrale, Marte, fuoco compositivo e referente sacro primario dell’intera narrazione frontonale.

4. La lettura di un documento complesso come il frontone di San Gregorio, all’interno del gruppo di te-stimonianze collegabili, almeno dal punto di vista del soggetto rappresentato – quello del sacrificio – riman-da da un lato al tema della formazione di una specifica tradizione figurativa romana e dall’altro al problema dell’interpretazione delle forme e dei significati del sacro nello stesso ambiente culturale.

Nel primo caso, le ricerche condotte da M. Torelli sulle motivazioni del patrimonio rappresentativo tipicamente romano, qualificato in maniera convenzionale come ‘storico’, hanno cercato di rendere evidenti gli aspetti strutturali della cultura che esprime24. Le forme definite in età repubblicana risponderebbero a una complessa mentalità comportamentale e celebrativa i cui segni possono essere riconosciuti sin dalle fasi costitutive più antiche della comunità romana, rivelando una tradizione legata a uno specifico sistema sociale e in particolare alla sua classe dirigente, quella aristocratica, che si identifica nel gruppo senatoriale. Nono-stante le diverse condizioni storiche e culturali, il peso del confronto con il mondo esterno e l’assunzione, in momenti diversi, di linguaggi e forme figurative provenienti dal mondo greco, un’unità concettuale di base sembra condizionare le diverse manifestazioni note, proprie di una comunità in cui gli aspetti della ritualizza-zione sociale sono funzionali all’affermazione di ruoli e prerogative.

Il soggetto del sacrificio non solo conferma questo sistema espressivo ma ne costituisce, a quanto sem-bra, la sua espressione più specifica. In questo caso, infatti, si riscontra una situazione diversa rispetto ad altri temi, per i quali si possono individuare prototipi formali e concettuali esterni, distinguendone anche fasi di elaborazione differenti, in un lungo processo di ricezione degli originari modelli greci. Invece, come si è avuto modo di notare in precedenza, il sacrificio cruento, anche se non ne mancano precedenti attestazioni sia nel mondo greco sia in quello etrusco, mostra una peculiarità che appare fortemente identitaria nel contesto ro-mano, soprattutto tra la tarda repubblica e il primo impero. In assenza di attestazioni anteriori al II secolo a.C. e non potendo trovarne precedenti concreti nelle tradizioni centro-italiche ed ellenistiche, non si può fare a meno di registrare che si tratta di un’elaborazione originale e specifica affermatasi nel clima storico successivo alla seconda guerra punica. Essa esprime il formalismo rappresentativo documentato a Roma e ben analizza-to in bibliografia e lo applica a un soggetto già noto in altre culture ma senza la stessa carica semantica. Rilievi e gruppi con scene di sacrificio nel mondo romano, invece, sono così frequenti, sia come tema peculiare, sia in stretto collegamento con altri aspetti, da mostrare in maniera evidente come tale azione rituale abbia assunto un valore normativo e identificativo per eccellenza.

La rappresentazione del sacrificio cruento si realizza all’interno della prospettiva ‘fattuale’ del culto ro-mano25, comportando una descrizione dettagliata degli attori sociali coinvolti, all’interno della loro specifica condizione giuridica e di status, dell’attrezzatura necessaria, della sequenza operativa e processionale, delle specifiche scelte operative e rituali di volta in volta messe in scena. Le testimonianze note mostrano uno schema rappresentativo già completamente definito e quindi dipendono da elaborazioni precedenti, che evi-dentemente hanno avuto la funzione di archetipi; la tecnica narrativa, invece, interviene a caratterizzare le singole rappresentazioni attraverso elementi specifici, distinguendo all’interno delle diverse pratiche rituali o proponendo atti sacrificali svolti nel presente come nel passato mitico; questi ultimi vengono descritti con

24 Torelli 1992; Torelli 1997, in part. pp. 175-194.25 Scheid 1983; Scheid 2007, 2011, 2012.

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la cura dell’erudizione antiquaria, come nel pannello augusteo del sacrificio di Enea nell’Ara Pacis26. Il sacri-ficio cruento viene proposto, in ogni caso, come il segno centrale di un contratto con la divinità, evento che giustifica scelte, radicamenti territoriali, fondazioni, in ogni caso enuclea l’elemento costitutivo di una serie di fatti storicamente determinati.

Su un altro verso, la ricerca sulla religione romana condotta da J. Scheid ha messo chiaramente in evi-denza l’importanza e la specificità della pratica sacrificale cruenta, legata alla rappresentazione sociale e alla consumazione collettiva, considerando soprattutto testimonianze epigrafiche relative alla fase imperiale27. In effetti, la mancanza di una documentazione scritta sufficiente, conservata in misura inferiore a quella restitui-ta dal mondo greco, rende particolarmente complessa la ricostruzione della stessa prassi operativa. Le attesta-zioni figurate, come in altri casi, possono contribuire anche a definire meglio forme, funzioni e significati del sacrificio cruento negli ultimi due secoli della repubblica. La scelta di concentrarsi proprio su questo rituale è stata esplicitamente spiegata da parte di Scheid, proprio per il fatto di essere la pratica forse più attestata anche nelle fonti scritte disponibili28. Questa visibilità centrale e preminente corrisponde, quindi, a quanto emerge dalla documentazione iconografica, confermando, nei due ambiti (letterario-epigrafico da un lato e iconografico dall’altro), la condizione privilegiata del sacrificio cruento nell’immaginario sociale romano.

5. Per lo spettatore romano, di conseguenza, la rappresentazione di queste cerimonie acquistava facil-mente significato, costituendo pratica quotidiana e tema rappresentativo diffuso e privilegiato. La compren-sione del nucleo narrativo dipendeva dal sistema rituale descritto, che attraverso le sue diverse formulazioni permetteva, evidentemente, di specificare i contesti narrativi e indirizzare verso il senso corretto dell’azione raffigurata. Un eventuale rapporto con la collocazione topografica dei luoghi di culto non sembra aver rap-presentato, invece, una chiave interpretativa altrettanto determinante: la compresenza di divinità è legata al senso dell’azione messa in scena e al significato più che alla vicinanza dei rispettivi santuari. La tecnica della rappresentazione ‘topografica’ dei culti all’interno di una composizione figurativa, comunque, è anch’essa attestata nella produzione antica, ma in situazioni specifiche. Un caso esemplificativo può essere quello del rilievo attico di Neoptolemos, preso in esame da G. Despinis, che rappresenta un momento centrale del mito di Creusa e del piccolo Ione, ambientandolo nella grotta in cui avviene la nascita del bambino, il santuario effettivamente esistente alle pendici nord dell’Acropoli di Atene29. Intorno a questo gruppo, una serie di divi-nità che assistono alla scena richiama i culti praticati nell’area, anche attraverso la loro disposizione, come se si trattasse di una mappa simbolica. In questo caso, come in altri, comunque, le divinità assistono alla scena e non ne sono partecipi, formando un contorno rappresentativo che contestualizza l’azione.

Bisogna chiedersi, quindi, se nel frontone di via S. Gregorio possano essere stati adottati schemi simili, raggruppando le tre divinità centrali per esplicitare un nesso topografico, come è stato proposto30, oppure se si può immaginare una diversa articolazione della logica rappresentativa. Per entrare nel merito del meccani-smo narrativo è necessario partire da un’analisi che restituisca il sistema e il dettaglio delle componenti icono-

26 Torelli 1992, pp. 27-61. 27 Una discussione in questo senso, soprattutto sui sacrifici dei Fratres Arvali, in Scheid 2011, pp. 5-70 con bibliografia precedente.28 Scheid 2011, p. VI.29 Despinis 2009.30 Per es. Coarelli 20012, pp. 200-219; in questa lettura, però, non viene definito il ruolo ‘topografico’ di Marte, che resterebbe, per-tanto, divinità di riferimento dell’azione rappresentata; Strazzulla 2006, p. 258, invece, spiega la presenza di Marte in quanto divinità centrale del Palatino (anche in assenza, comunque, di aree cultuali di riferimento).

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grafiche messe in scena, in particolare a proposito delle due figure femminili. La comprensione del soggetto, infatti, non può prescindere dall’interpretazione attribuibile ai diversi schemata utilizzati, ognuno dei quali riveste uno specifico significato, come se fossero singole parti di un linguaggio.

In questa direzione, la figura più interessante, su cui si è tradizionalmente concentrata l’attenzione, è quella femminile seduta sull’altare (fig. 4). Il suo statuto divino o allegorico è stato generalmente riconosciu-to e l’aspetto che è stato maggiormente valorizzato è quello del rivolgere indietro la testa. Il collegamento con attitudini rituali romane e in particolare con Fortuna Respiciens è stato approfondito da M.J. Strazzulla, che ha recuperato e valorizzato un importante aspetto della tradizione religiosa locale31. Resta da vedere, però, se è possibile intendere l’iconografia del frontone di via S. Gregorio come un riferimento al tipo della Respiciens, oppure se l’atto di rivolgere indietro lo sguardo in questo caso serva solo a rendere comprensibile un semplice collegamento tra due figure poste di seguito, secondo un sistema compositivo ampiamente attestato.

Un aspetto che è stato meno considerato, però, è la stessa posa adottata, quella del sedersi sull’altare e su questo si ritiene opportuna una riflessione più approfondita. Infatti, è stato generalmente dato per scontato che il binomio ‘divinità - altare’ di per se fornisca un rapporto di pertinenza, nel senso di una dichiarazione dell’attribuzione dell’altare alla figura che vi siede sopra32. Ancora una volta, si tratterebbe di un’indicazione di pertinenza topografica: esplicitazione di un luogo di culto ben preciso, di una divinità ‘proprietaria’ dello stesso edificio e del suo altare, in questo caso la dea alla quale evidentemente sarebbe rivolta almeno una parte della cerimonia sacrificale.

La lettura proposta, però, non ha preso in considerazione il significato in genere attribuito allo schema della figura seduta sull’altare. Tale iconografia, ampiamente utilizzata, ha sempre un valore univoco e ben preciso, quello della richiesta d’asilo, della supplica e del soccorso33. Chi si siede sull’altare, infatti, si offre alla

31 La comprensione del culto di Fortuna Respiciens, indipendentemente dall’attribuzione del tempo di via S. Gregorio, costituisce un risultato importante della ricerca condotta dalla studiosa: M.J. Strazzulla, in Anselmino et al. 1990-91; Strazzulla 1993; Strazzulla 1995; Ead 2006; Ead 2010; sull’attribuzione, cfr. anche Torelli 1993, p. 282.32 Coarelli 2012, p. 210, ritiene che si tratti di un attributo riservato alla divinità titolare, cioè Fortuna Respiciens, tanto che nel caso della seconda figura, anch’essa per l’A. da ricostruire seduta, si suggerisce un’iconografia diversa, ponendola su un seggio o su un trono, per evitare la possibilità di un fraintendimento interpretativo. In realtà, la disposizione su trono o su seggio si addirebbe co-munque a una divinità venerata e quindi difficilmente potrebbe essere assunta come elemento discriminante. Nella tesi che prefe-risce vedere entrambe le figure femminili sedute (sia su trono sia su altare), pertanto, si verrebbe a determinare proprio la difficoltà interpretativa indicata dallo stesso Coarelli, di una incertezza di riconoscimento della titolare del tempio tra le due figure femminili.33 Si potrebbero citare molti esempi della tipologia esaminata, che presenta numerose varianti e che non è ancora stata oggetto di un’analisi specifica; se ne citano solo alcune testimonianze tratte dalla ceramografia attica e italiota, iniziando da quelle con soggetti maschili, come il cratere a campana di Würzburg, Martin von Wagner Museum inv. H 5697, dello Schiller P.; il cratere a campana di Parigi, Louvre inv. K 710, dell’Eumenides P.; il cratere a calice di S. Pietroburgo, Hermitage inv. 349; il cratere a campana di Berlino, Antikensammlung inv. VI 4565 dello Hearst P.; il cratere a calice di Berlino, Antikensammlung inv. VI 3974; il cratere a volute della collezione H.A. di Milano inv. 239, dello Hearst P.; la pelike di Policoro, Museo Nazionale della Siritide inv. 35302, vicina al Karneia P. Per i soggetti femminili, che riguardano più da vicino il caso in esame: il cratere a calice della Geddess Collection di Melbourne inv. A: 58, vicino al De Schultness P., il cratere a volute di Napoli, Museo Archeologico Nazionale inv. 82113 dell’Ilioupersis P.; il cratere a calice di Boston, Museum of Fine Arts inv. 1989-100, del Darius P., il cratere a volute di Princeton, University Art Museum inv. 1989.40, dell’Ilioupersis P. e il cratere a volute di Ginevra, Musée d’Art et d’Histoire 24692, del P. of Bari inv. 12061 (gli esempi sono stati scelti tra i reperti presentati in Taplin 2007, proprio per la loro correlazione con le fonti letterarie connesse alla tragedia, ma l’elenco potrebbe ampliarsi sensibilmente). Questi ultimi due casi sono i più vicini all’iconografia presentata nel frontone romano e, in particolare, il cratere a volute di Princeton mostra una figura femminile seduta sull’altare con la testa rivolta indietro e la mano destra posata sulla superficie dell’ara, nello stesso gesto di afferrarne il bordo, altro dettaglio tipico del supplice sull’altare. Il rivolgersi parzialmente indietro rispetto all’orientamento del corpo risponde a un’esigenza di collegamento sintattico con le figure poste in

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divinità proprietaria e ai suoi gestori umani come una vittima potenziale, che mette nelle loro mani il pro-prio destino, riconoscendo l’impossibilità a difendersi, da motivazioni e da cause diverse. Supplici sull’altare sono i troiani assaliti nella notte dell’Ilioupersis, gli eroi in cerca di una salvezza, di una purificazione o di un riconoscimento, come Oreste o lo stesso Eracle, con la possibilità di un esito positivo o negativo (come nel caso di Laocoonte che cerca invano rifugio presso l’altare e muore come una vittima sacrificale), soprattutto donne che chiedono riparo da minacce e accuse, sedute da sole o in coppia (fig. 8). Il motivo è largamente attestato in forme diverse nella scultura, nel rilievo e nella ceramografia, documentando chiaramente il signi-ficato univoco dello schema. Anche il particolare del gesto di afferrare il bordo dell’altare viene impiegato per sottolineare visivamente la volontà di non abbandonare il rifugio sacro senza la garanzia di un esito positivo della supplica. Non solo il soggetto è diffuso in maniera estesa ma risponde anche a un topos letterario ben noto nella commedia e nella tragedia34 e costituisce parte di un patrimonio iconografico comune, che il mon-do italico e romano condivide con quello greco e percepisce in maniera analoga. Al contrario, nel caso del rapporto di pertinenza tra altare e divinità di riferimento, mancano del tutto testimonianze: la divinità non siede mai sul suo altare come esplicitazione di proprietà35.

Anche nel caso del frontone di San Gregorio la figura seduta sull’altare, che ne afferra il bordo, dif-ficilmente identifica qualcosa di diverso da una supplice, rispondendo in questo caso alla logica rappre-sentativa più comune, la lectio facilior, dalla quale non è possibile prescindere se si parte dalla percezione emica dello schema. Se la posizione della figura fosse quella restituita nel montaggio proposto da Ferrea, il rivolgersi della testa verso sinistra, cioè verso il centro della rappresentazione, sarebbe l’indicazione di un chiaro rapporto con la divinità che deve concedere la protezione, Marte, appunto, certamente il destina-tario delle vittime sacrificali (almeno di quelle identificabili come maschili) e quindi anche il proprietario dell’altare. In questo caso si avrebbe una composizione che in qualche modo richiama quella del cd. altare di Domizio Enobarbo36, con l’immagine della divinità stante e il suo altare vicino, verso cui si dirige la processione sacrificale, rispondendo a un modello abbastanza canonico (divinità - altare - vittime sacrifi-cali). Se la collocazione della figura fosse differente, ponendosi alla destra di Marte37, non cambierebbe il

quella direzione, analogamente alla situazione del frontone di S. Gregorio, dove la figura femminile su altare può essere rivolta verso Marte, se si presenta nella veste di supplice. La documentazione potrebbe essere accresciuta anche con altre testimonianze, come i rilievi: per es. Aellen et al. 1986, fig. p. 283, da Taranto a Princeton, The Art Museum; o la coroplastica: per es. Tanagra 2003, n. 166-167, pp. 226-227.34 Sul tema, cfr., in part., Taplin 2007.35 Anche in questo caso si dispone quasi esclusivamente della documentazione relativa all’ambito greco e magno-greco: soprattutto la ceramografia attesta il significato e le diverse modalità rappresentative della figura sull’altare; per il mondo romano, invece, se mancano attestazioni, la medesima tradizione è ampiamente attestata nella letteratura, confermando l’univocità del significato attri-buito allo schema; l’unico esempio che potrebbe essere citato in senso contrario è rappresentato da un cratere apulo del Darius P. a Basilea, Antikenmuseum e coll. Ludwig inv. S34, attribuito al mito di Rhodope: ma proprio Taplin 2007, pp. 245-246 sottolinea come in questo caso la posa di Artemis, seduta nella tipologia della Bendis sul suo altare, possa rappresentarne proprio la connotazione come supplice, per marcare la sua esigenza di riparazione di un’offesa subita; di conseguenza, non si tratterebbe di una indicazione topografica o di proprietà (pertinenza del santuario alla dea) ma di una scelta iconografica legata all’azione narrativa messa in scena. In effetti, J.M. Strazzulla per spiegare il rapporto tra divinità e altare in Anselmino et al. 1990-91, p. 320 e in Strazzulla 1993 si fonda solo sulla base di riferimenti esclusivamente letterari: Ovid. Met. 9, 310-311, Iuv. 13, 36; Hier. Ep. 92, 2, che, però, propongono una relazione del tutto generica.36 Torelli 1992, pp. 5-16; sul monumento in quanto preda bellica: Lippolis 2004.37 Come si propone in Strazzulla 2006, p. 258, spostando la figura rispetto alla ricostruzione Ferrea, per porla in posizione ‘favore-vole’ a destra di Marte.

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carattere fondamentale della scena, ma dovrebbe essere diversamente spiegato l’atto del rivolgersi indietro della figura, in questo caso meno legato a un’esigenza di sintassi narrativa, divenendo invece attributo iconografico stesso della figura, come ha proposto M.J. Strazzulla. Ma lo schema stesso della figura femmi-nile supplice seduta sull’altare e con la testa rivolta all’indietro è chiaramente attestato (fig. 9)38. Un altro carattere, che non è stato ancora adeguatamente sottolineato nelle analisi condotte, è il fatto che la figura presenta i capelli sciolti sulle spalle, di cui restano diversi elementi; anche in questo caso, l’iconografia si oppone a quella della figura velata sul lato opposto, accentuando elementi che potrebbero essere propri di una supplice, come appunto la capigliatura sciolta.

La composizione di scene in cui anche le divinità possono essere rappresentate nella qualità di sup-plici è testimoniata anche dalle fonti letterarie e in particolare si può ricordare il caso di un monumento votivo dedicato dai cittadini di Apollonia a Olimpia già verso la metà del V sec. a.C. Sulla scorta di Pau-sania39 è possibile riconoscere anche parte della base semicircolare originaria sulla quale le figure erano disposte con una simmetria bilaterale. Il gruppo centrale era composto da Zeus, asse mediano e divinità di riferimento, che aveva ai lati Teti ed Emera (o piuttosto Eos) supplici a favore dei figli; le estremità era-

38 Cfr. il cratere a volute di Princeton, University Art Museum 1989.40, dell’Ilioupersis P., già citato alla nota 33.39 Pausania V. 22. 2-3.

Fig. 8 - a. Princeton, University Art Museum inv. 1989-29, loutrophoros apula; b. San Pie-troburgo, Hermitage inv. 1705, amphora apula; c. Ginevra, Musée d’art et d’histoire, inv. 24692, cratere a volute apulo; d. Melbourne, Coll. Geddes inv. A:58, cratere a volute apulo.

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no occupate, rispettivamente, da Achei e Troiani, impersonati da alcune figure disposte in due metà antitetiche40. In questo caso si tratta di un’opposi-zione, come nel frontone orientale di Olimpia, dove Zeus al centro separa i due gruppi pronti all’agone che costerà la vita a Enomao. Ma la struttura sim-metrica e la composizione con le tre figure centrali, la divinità che decide e le due dee che personifi-cano i due aspetti della narrazione messa in scena rispondono, evidentemente, a un modello cono-sciuto e utilizzabile anche per differenti contesti. Il frontone romano è senza dubbio costruito secondo modelli compositivi ormai da tempo sperimentati, che educano a una sintassi definita da soluzioni e regole espressive semplici e ben evidenti, denotate anche dal meccanismo organizzativo della rappresentazione. Un’altra testimonianza interessante a questo proposito è la scena sul cratere eponimo del Pittore di Dario (Napoli, Museo Archeologico Nazionale, inv. H 3253) con Hellas e Asia, la prima stante e accompagnata da Atena presso Zeus, la seconda seduta come supplice su un altare e preceduta da Apate (fig. 10), personaggi riconoscibili per le iscrizioni, in una composizione in cui si giocano personificazioni e ruoli, con l’opposizione, ancora una volta, tra Hellas liberata e accolta dalle divinità e Asia seduta sull’ara41. In maniera indipendente dalla complessa interpre-tazione di questo soggetto, che è stato spiegato in maniera diversa, interessa sottolineare ancora una volta il carattere polare tra le due figure, l’uso dell’altare come rifugio e luogo sicuro, l’allegoria resa attraverso personificazioni, la narrazione politica rappresentata per immagini evocative, con una duplicità di registro, che riguarda le figure divine e quelle umane, poste, nel cratere, su un livello immediatamente inferiore, in un rapporto ben sintetizzato da C. Aellen: ‘les personnifications Hellas et Asia sont la transposition, sur un plan divin, de ce qui passe sur le plan humain…’42.

6. Nella parte sinistra del frontone invece, la ricostruzione Ferrea pone l’altra figura femminile (vd. fig. 3), che presenta maggiori problemi interpretativi a causa della completa mancanza della parte inferiore43. Letta come figura stante appoggiata a un pilastrino dalla Ferrea44 e identificata da Torelli con una variante

40 Si veda anche Maddoli - Saladino 1995, nel relativo commento al libro V, 321-323. Per gli aspetti archeologici, Eckstein 1969, pp. 15-22; Piccinini 2011.41 Aellen 1994, pp. 21, 98-99, 109-117, tavv. 5, 7.42 Aellen 1994, p. 111; anche un’altra testimonianza mostra un’allegoria politica seduta su un altare, in questo caso Hellas, su un fr. apulo della collezione Hamilton, in un contesto in cui veniva rappresentato uno scontro tra Greci e barbari: Aellen 1994, p. 115; come si è ricordato supra, nota 35, analoga potrebbe essere il ruolo di Artemide, supplice su un altare nel cratere apulo del Darius P. a Basilea, Antikenmuseum e coll. Ludwig inv. S34.43 La possibilità di invertire la disposizione delle due figure femminili è stata proposta da Strazzulla 2006 e sostenuta da Coarelli 2012, p. 207, dove si ritiene che questo rovesciamento sia obbligato, in quanto accentuerebbe il carattere simmetrico ai lati dell’im-magine centrale di Marte; anche nella soluzione proposta in Ferrea 2002, però, si otterrebbe il medesimo effetto.44 Ferrea 2002, n. 15-17, p. 81; pilastrino di appoggio n. 18-20, p. 82.

Fig. 9 - Princeton, University Art Museum inv. 1989.40, cratere a volute apulo.

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iconografica attestata per la rappresentazione di Venere (il tipo cd. ‘Tiepolo’)45, anch’essa, invece, viene considera-ta dalla Strazzulla come una figura seduta, in questo caso su un altare, elemento al quale vengono attribuiti alcuni frammenti riconosciuti come sommità del pilastrino da Ferrea46. La frattura all’altezza delle anche, privandoci del-la parte inferiore, determina, infatti, una difficoltà di rico-struzione ed entrambe le soluzioni devono essere prese in considerazione con molta attenzione. L’elemento discrimi-nante per decidere tra le due possibilità viene riconosciuto nell’andamento delle pieghe del chitone sull’addome; il fatto che assumano la direzione obliqua del corpo, però, non può essere considerata la prova di una posizione se-duta, dal momento che è schema ampiamente attestato proprio nelle soluzioni iconografiche in cui è prevista una

forte inclinazione del corpo, quando, appunto, esso è appoggiato a un elemento esterno, in genere un’erma o un pilastrino47; inoltre, se il personaggio fosse seduto, nella parte conservata dovrebbe essere già visibile l’at-tacco delle gambe piegate, mentre, invece, la figura, conservata fin poco sotto l’inguine, non presenta alcuna inclinazione nelle articolazioni degli arti inferiori. Per questo motivo nella ricostruzione grafica proposta per documentare la posizione seduta48 emerge in maniera evidente l’incongruità della posa, nonostante la scala ridotta, con una inorganicità incomprensibile per la qualità dell’altorilievo.

L’analisi effettuata da Strazzulla ha messo in luce un altro aspetto, cioè la riduzione dell’aggetto della figura nella parte inferiore conservata, difforme rispetto ad altri esempi dello stesso frontone e quindi eviden-temente funzionale a una specifica resa della metà inferiore mancante. In questo caso è proprio l’iconografia a fornire una risposta al quesito: nelle ricostruzioni proposte, infatti, non è stato preso in considerazione il

45 Torelli 2004-05, p. 148.46 Strazzulla 2006, p. 254; non è, però, condivisibile la proposta di ricostruire l’elemento in questo modo; i due frammenti conser-vati, infatti, pur privi di attacco, presentano elementi del fondo e del profilo anteriore su due linee convergenti che obbligano a porli nella sequenza proposta da Ferrea. Se si allontanassero, invece (come suggerisce Strazzulla, per dare maggiore ampiezza alla struttura rappresentata, in maniera da identificarla con un altare), non ci sarebbe più la possibilità di ricostituire un profilo esterno continuo e unilineare; dello stesso parere di Strazzulla, Coarelli 2012, pp. 207-210, che ritiene il pilastrino al quale si appoggia la figura l’angolo di un secondo altare. In particolare Coarelli 2012, p. 210, propone di attribuire a questa figura seduta un frammento con un personaggio femminile in trono, già analizzato in Andrén 1940, 1, p. 357 e in Ferrea 2002, p. 108, n. 218, tav. XXII, 1 certamente non attribuibile a questo frontone per caratteristiche e dimensioni e quindi considerato pertinente ad altro frontone, di un edificio più piccolo (An-drén) o a un’antefissa (Ferrea 2002, p. 59); non si può escludere che si tratti di un acroterio.47 La tipologia trova confronti nelle numerose varianti iconografiche della figura femminile stante e appoggiata all’esterno, spesso a gambe incrociate o con una di esse fortemente avanzata e talvolta anche sollevata su un supporto inferiore, impiegata soprattutto per alcuni tipi di Afrodite/Venere; l’inclinazione della figura e la sporgenza dell’anca cambiano a seconda delle varianti, dell’intenzione artistica e della qualità della resa e del formato in cui sono realizzate le diverse attestazioni del tipo: nei casi di una sensibile inclinazio-ne del bacino le pieghe del chitone seguono sempre l’andamento obliquo del corpo, come mostrano per es. alcune repliche (Delivor-rias 1984, n. 339, 340, 342 che appartengono alla variante a gambe incrociate; Schmidt 1997, n. 65), comprese le pieghe a ‘V’ che, se oblique, Strazzulla 2006, p. 253 invece ritiene di attribuire solo a figure sedute. Al contrario, sono verticali le pieghe dell’himation, nei casi in cui questo pende dal braccio sinistro e riempie lo spazio tra figura e pilastrino, soluzione assente nel caso esaminato.48 Strazzulla 2006, fig. 8.

Fig. 10 - Napoli, Museo Archeologico Nazionale, cratere a volute apulo inv. H 3253.

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fatto che la divinità sul chitone indossa un himation, di cui si con-serva un lembo riportato, come di consueto, sulla spalla sinistra49. Esso scendeva quindi, almeno idealmente, lungo le spalle, nella parte non lavorata e riemergeva certamente nella parte inferiore del corpo, avvolgendo le gambe, secondo un modello ampiamente attestato. Lo stesso taglio sinuoso della parte inferiore della figura conservata restituisce probabilmente il profilo superiore del roto-lo di stoffa obliquo dell’himation, che dall’anca destra, dove se ne conserva l’attacco, passava trasversalmente, fermandosi sulla gamba sinistra, dove un leggero saliente del margine conservato ne mostra ancora il punto di contatto (fig. 11) (in questo, come in altri casi, la frattura avrebbe seguito, quindi, la linea di giunzione che coincide proprio con una separazione tra le lastre del montaggio; fig. 12). La stessa gamba sinistra, inoltre, era certamente avanzata forse con uno scarto laterale, come potrebbe indicare la parte conservata del-le pieghe del chitone, che suggeriscono una sensibile torsione e un avanzamento dell’arto e il frammento attribuito alla parte inferiore (fig. 13). L’assottigliamento dello spessore cui si è fatto riferimen-to, quindi, era funzionale a creare il dovuto risalto per incastrare il rotolo dello himation e l’aggetto della parte inferiore delle gambe, confermando e precisando la tipologia iconografica proposta da Ferrea e Torelli.

Sembra, quindi, che la posizione fosse stante e appena inclinata verso l’alto e verso l’esterno, secondo una disposizione consueta nella plastica frontonale, necessaria a rendere più evidenti le figure50. Un leggero sposta-mento in avanti del baricentro, infatti, non era percepibile come tale dal basso, cioè da una visuale che invece acquistava un vantaggio dalla leggera sporgenza della parte superiore delle figure. Un elemento controverso è fornito anche da un frammento di mano destra femminile attribuito alla figura, che regge una specie di bastone nodoso, variamente interpretato51; in questo caso l’ipotesi che si tratti di uno scettro, pur probabile, non può essere accertata, dal momento che contrasta con la posizione del braccio, levato troppo in alto. Bisogna notare, infine, la presenza del velo che ricopriva il capo, elemento che contribuiva a costruire un contrasto con l’altra figura femminile opposta, non solo priva di questo elemento ma rappresentata anche con i capelli sciolti.

In conclusione, nella speranza che possano essere riconosciuti altri elementi dello stesso personaggio, sembra preferibile la ricostruzione di una divinità femminile stante, con un forte sbilanciamento ponderale a sinistra, nell’iconografia riconosciuta da Torelli dell’Afrodite-Venere e questo spiega anche il collegamento al pilastrino esterno52; naturalmente, tale soluzione incide anche sul riconoscimento della rappresentazione complessiva.

49 Si conservano anche tracce di un velo nella parte posteriore del capo, ma è difficile definire se si tratti di un elemento separato dallo himation o più probabilmente un suo lembo riportato sulla testa, a giudicare dalla ricaduta sul braccio sinistro.50 Nello stesso frontone accomuna la resa delle altre figure, soprattutto nella parte inferiore: Ferrea 2002, p. 43 e E. Mitchell, ibid., p. 140 e figg. 100 e 101.51 Ferrea 2002, n. 16, p. 81; Torelli 2004 ricostruisce l’attributo come bastone o scettro dipinto a bande oblique, ipotesi accettata anche da Coarelli 2012, p. 214, che concorda considerandolo, quindi, lo scettro offerto dalla dea al trionfatore.52 L’assenza di un attacco tra figura e pilastrino è stata sottolineata, comunque, in Coarelli 2012, p. 207.

Fig. 11 - Frontone di via di S. Gregorio, divi-nità femminile stante, indicati i punti di attac-co del rotolo di pieghe superiore dell’himation avvolto alle gambe (da Ferrea 2002).

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7. Un problema più generale riguarda il rapporto tra la divinità di riferimento delle scene frontonali e la titolarità del culto dell’edificio pertinente, argomento cui si può solo accennare, in quanto merite-rebbe una trattazione specifica, che esula dallo sviluppo di questo contributo. Se nella tradizione greca, purtroppo, i casi sicuri, perché noti nelle fonti, letterarie o archeologiche, sono molto pochi, tuttavia essi segnalano sempre uno stretto legame tra la figura centrale del frontone principale e il titolare del culto: per es. Apollo nel caso del frontone delfico53; Atena nella gigantomachia o nella nascita nel caso dei templi dell’Acropoli, indipendentemente dalla loro specifica attribuzione strutturale54; sempre Atena nel

53 Per es., per la fase di IV sec. a.C., Croissant 2003, con bibliografia precedente.54 In generale per i frontoni arcaici attribuibili a templi dedicati ad Atena (Hekatompedon, Atena Polias) si veda la trattazione in Santi 2010, con bibliografia precedente; per il Partenone, per es., Palagia 1993; sulla composizione frontonale, una sintesi in Fuchs 1982, pp. 337-348; sul tema cfr. anche Marconi 2007 per le fasi più antiche.

Fig. 13 - Frontone di via di S. Gregorio, schema dello sviluppo originario della figura femminile stante attraverso un fotomon-taggio per la restituzione della parte inferiore. La proposta è solo indicativa, in quanto il profilo superiore dello himation nell’al-torilievo era certamente inflesso al centro, scendendo maggior-mente in corrispondenza dell’inguine, ma risulta comunque uti-le a rendere la prospettiva iconografica complessiva della figura (rielaborazione da Ferrea 2002).

Fig. 12 - Frontone di via di S. Gregorio, settore della figura fem-minile stante, suddivisione dell’altorilievo nelle lastre compo-nenti, indicate con le lettere A-C (da Ferrea 2002).

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tempio di Egina55; Zeus nel tempio di Olimpia56. Anche nel mondo romano è possibile attestare lo stesso collegamento: i rilievi di Villa Medici mostrano Augusto al centro del frontone di un tempio identificato con quello a lui dedicato e la sedia vuota con gli attributi della Magna Mater nel caso del suo tempio sul Palatino57. Lasciando, quindi, da parte i casi in cui si dispone di scarse indicazioni o per i quali sono state avanzate proposte di restituzione basate su disiecta membra non sempre attribuibili a un medesimo con-testo, sarebbe difficile sostenere che l’edificio del frontone di San Gregorio con la monumentale statua centrale di Marte non sia stato dedicato a questa divinità. A maggior ragione, come si è detto, tale rap-porto è sottolineato dal fatto che le due processioni sacrificali sembrano avere vittime maschili e un unico (sicuro) altare di riferimento. Si conferma, in sostanza, che la relazione tra Marte, altare e vittime è stretta e risponde a uno schema rappresentativo normalmente attestato.

8. La decodifica di un rituale rappresentato pone sempre rilevanti difficoltà, anche per le lacune de-terminate dalla perdita della letteratura antica sul tema. Le poche fonti disponibili sono spesso generiche e omettono una serie di elementi considerati ovvi, per il fatto di essere ben presenti nella comune pratica quotidiana. Ne deriva una grave incertezza nella ricostruzione degli aspetti anche più semplici, la mancanza di una casistica attendibile e di parametri utili a integrare le situazioni più lacunose.

In quest’ambito, la testimonianza più antica è rappresentata dal De agri cultura di Catone, testo conno-tato, però, da un’intenzione paideutica indirizzata in maniera specifica alla gestione dei possedimenti rurali e connessa alla pratica privata. Partendo da questo e da altri documenti, Scheid ha provato a ricostruire la sequenza principale dei gesti e delle azioni del culto, cercando un approccio non pregiudiziale al tema della comprensione del comportamento rituale romano58. Proprio il II sec. a.C., epoca alla quale appartiene la realizzazione del frontone di via San Gregorio, è connotato dalla prima registrazione attestata di forme rituali poi diffuse nei secoli successivi. È difficile stabilire se si tratta di una fase di nuova codifica della tradizione locale più antica, collegata ai fermenti socio-culturali che caratterizzano il periodo, oppure se in alcuni casi si assista a una legittimazione pubblica di comportamenti in qualche modo nuovi. L’aggiornamento religioso di tipo ‘federativo’, notato da Scheid per il III sec. a.C., indica, per esempio, che il processo di trasformazione e di ampliamento della tradizione rituale presenta origini e sviluppi anche precedenti59.

55 Da ultimo, Santi 2001.56 Per il tempio di Olimpia: da ultimo Lippolis - Vallarino 2010.57 Di particolare interesse risultano le diverse rappresentazioni frontonali presenti nei rilievi storici romani, spesso identificati pro-prio sulla base della divinità centrale, posta nel punto di massima espansione del timpano, direttamente o attraverso un simbolo: sui reperti, un’estesa bibliografia riassunta e commentata in La Rocca 1986; Tortorella 1988; Torelli 1992; Tortorella 2012; Tra i casi noti, di più difficile interpretazione il frontone rappresentato con scena di battaglia (Amazzonomachia ?) su un frammento apparte-nente a una sequenza ricomposta in Cozza 1958 e discussa nella bibliografia citata in precedenza (per la storia dell’attribuzione dei rilievi La Rocca 1999); proprio sul riconoscimento del frontone rappresentato, in maniera specifica, e sugli altri frontoni di questi rilievi Rehak 1990; quest’ultimo contributo affronta anche il problema, già valorizzato nella bibliografia, dei frontoni composti con materiale di spoglio, di cui un’importante attestazione archeologica in La Rocca 1985. Nel caso dei sempre più numerosi rinvenimen-ti di resti frontonali in territorio italico, la situazione è ancora oggetto di un’analisi di dettaglio a causa, spesso, dell’impossibilità di poter disporre di informazioni adeguate sulla titolarità dei templi e, in alcuni casi, anche per le incertezze sui soggetti rappresentati; la sintesi critica con bibliografia precedente in Strazzulla 2010; anche in questo ambito, comunque, quando sono presenti epifanie divine, si conferma il rapporto tra divinità titolare e numen rappresentato nella posizione centrale del frontone.58 Scheid 2011, p. 7 e passim.59 Scheid 1983, p. 111.

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Nel frontone di S. Gregorio gli aspetti che possono essere sottoposti a una verifica sono sostanzialmen-te due: le indicazioni relative alla strumentazione e all’abbigliamento da una parte e la scelta degli animali dall’altra. Nel primo caso, l’attenzione deve essere concentrata sui due operatori messi in scena, cioè le due fi-gure maschili che nella disposizione simmetrica si pongono tra la sfilata delle vittime e il gruppo divino delle tre figure centrali. Essi evidentemente introducono l’offerta presso gli dei e sono prossimi all’altare e al trape-ziskos con una parte dello strumentario rituale; appaiono quindi come i responsabili del sacrificio da gestire. La loro conservazione molto incompleta ne complica l’interpretazione, difficile soprattutto per uno dei due.

Vestiti in maniera diversa, quello concordemente attribuito alla metà sinistra del frontone è stante, provvisto di una toga indossata sulla tunica senza la caratteristica disposizione capite velato che contraddi-stingue il rito romano più tradizionale (fig. 14)60. La conservazione della nuca e della parte posteriore del personaggio permette di affermarlo con certezza e costringe pertanto a immaginare un sacrificio condotto graeco ritu, comportamento che rientra appunto tra quelli attestati proprio a partire dal II secolo a.C. Anche in questo caso, Scheid ha insistito sul fatto che tale rituale rappresenta comunque una pratica romana, una variazione elaborata all’interno della religione urbana e concepita come forma di compromesso con la tra-dizione ellenica esterna61. L’officiante in toga, quindi, si presenta certamente come un romano che gestisce un’operazione sacrificale graeco ritu, rispondendo a una grammatica del comportamento cultuale che appare attestata proprio dal II secolo a.C., tendenzialmente impropria per il culto di Marte.

L’altra figura, che introduce la processione di destra, è abbigliata in maniera differente ma è troppo lacu-nosa perché se ne possa proporre un’identificazione attendibile (fig. 15). Su una tunica abbastanza pesante e

60 Ronke 1987, in part. pp. 162-180; Torelli 2004-05, p. 136. 61 Scheid 2011, pp. 73-93; il sistema, noto in diverse varianti, è attestato sinora per i culti di Ercole, Apollo, Saturno, Cerere, ma riguarda anche solo alcune manifestazioni o parti di esse; per il sacrificio graeco ritu in altri casi vd. anche Scheid 2011, pp. 94-104.

Fig. 14 - Frontone di via di S. Gregorio, togato (da Ferrea 2002).

Fig. 15 - Frontone di via di S. Gregorio, clamidato (da Ferrea 2002).

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provvista di corte maniche reca un mantello fermato sulla spalla destra, lateralmente, mostrando quindi una marcata differenza rispetto al suo omologo in toga. Questa differente caratterizzazione risponde certamente a un diverso ruolo del personaggio nel contesto rappresentato, un personaggio che è stato proposto di ricono-scere in un militare con paludamentum62. L’opposizione tra le due metà del frontone consisterebbe, quindi, in due diverse cerimonie rituali, una eseguita da un operatore in veste di magistrato domi, l’altra da un operatore dotato di imperium, quindi militiae; le figure, perciò, potrebbero essere connesse a un medesimo contesto e interpretate anche come azioni di uno stesso protagonista in momenti diversi63. Nella conduzione della guerra l’immagine del sacrificio effettuato in abbigliamento paludato è effettivamente testimoniato in forme simili ma non prima del II sec. d.C., quattro secoli dopo il monumento di via San Gregorio, in un periodo in cui modi di vestire e comportamenti risultano profondamente cambiati, anche a seguito di un profondo processo di integrazione tra tradizioni culturali diverse all’interno dell’impero. Sarebbe necessario, quindi, cercare di condurre una verifica interna al patrimonio iconografico restituito dal II sec. a.C.; in questo caso l’esito non offre possibilità di confronto nella tradizione figurativa italico-romana.

All’esterno di Roma, però, in area egea l’abbigliamento dell’officiante del lato destro del frontone sa-rebbe del tutto consueto, soprattutto se rimandasse a un’ambientazione greco-macedone. Sia in Macedonia, infatti, sia nel regno attalide, tunica e clamide appuntata a destra appaiono quasi connotativi; in genere ab-binati a stivali tipo embades e inseriti in contesti figurativi del tutto perspicui, sono utilizzati per esempio nel fregio di Telefo dell’altare di Pergamo64. Anche in altri casi, personaggi mitici dell’area o dell’epopea troiana sembrano essere stati raffigurati nello stesso modo, indicando la possibilità di una connotazione di tipo etni-co, in un momento in cui la produzione artistica dell’Italia mostra un forte interesse per tematiche troiane e la ricezione di tradizioni formali pergamene65. Il fatto che possa esserci stata una precoce diffusione di questo tipo di habitus nel mondo romano per figure eccellenti di generali vittoriosi, come si potrebbe ricavare da una notizia su una statua di L. Cornelio Scipione Asiatico nell’Area Capitolina (se ne ricordano la clamide e le crepidae, ma è probabile che avesse anche una tunica corta o un chitoniskos sottostante il mantello)66, non ne esclude la pertinenza all’ambito macedone. M. Cadario ha recentemente concentrato l’attenzione sul tema, ricordando come le fonti, ancora nel I sec. a.C. sottolineassero il carattere inconsueto di questo tipo di vestire per un romano e come la scelta di Scipione potesse aver adottato un modello greco, proprio per i contatti sta-biliti con le citta greche e i re asiatici, introducendo un abbigliamento ‘alla greca’67. Il personaggio clamidato,

62 Strazzulla 2006, p. 263; Coarelli 2012, pp. 210-211.63 In questo senso, Coarelli 2012, pp. 210-211.64 Telefo 1996.65 Sul tema della produzione fittile e dei sistemi di comunicazione elaborati, Pairault Massa 1992, in part. pp. 176-247; Torelli 1993; una sintesi e una presentazione organica del fenomeno complessivo e una valorizzazione dei legami con l’area pergamena in Strazzul-la 2010, in part. pp. 90-93, con ampia bibliografia precedente (soggetti troiani per es. nei templi B e D di Cosa, ad Arezzo, Vulci, Luni; episodi del mito di Telefo nel frontone B di Luni; celtomachie a Civitalba, Arezzo, forse Bettona; gigantomachia forse a Pagliaroli di Cortino e a S. Rustico di Basciano; alla serie dei casi citati in questi contributi si potrebbe aggiungere quello del tempio di Esculapio a Fregelle forse con soggetti dalla guerra troiana legati ai figli di Asklepios, per il quale cfr. Lippolis 2009).66 Cic. Pro Rabirio, 26; Val. Max. 3, 6, 2.67 Cadario 2010 offre una presentazione critica del problema all’interno del sistema complesso dei significati identitari dell’abbiglia-mento, con ampia bibliografia di riferimento; in particolare, sul tema specifico e sulla statua dell’Asiatico, p. 117: ‘Il motivo di tanta attenzione per le vesti della statua era la loro evidente grecità… il tipo statuario doveva quindi essere quello consueto per sovrani e “ufficiali” macedoni … L’habitus di Scipione, sebbene fosse militare e perciò adatto a un generale quale egli era, sarebbe stato quindi più appropriato per un sovrano ellenistico … che per un imperator romano, ma la vittoria in Asia determinò verosimilmente la scelta

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quindi, nella fase cronologica in cui è stato realizza-to, doveva essere inteso automaticamente come gre-co-macedone, in assenza di altri elementi, e l’oppo-sizione semantica su cui è costruita la simmetria tra le due metà del frontone ne accentua tale significato, affrontandolo con il personaggio in toga, provvisto di un habitus identitario romano. In sostanza, pur es-sendo possibile che un trionfatore romano potesse essere clamidato alla greca (come forse per la prima volta Scipione Asiatico), si trattava sempre di un ab-bigliamento esterno alla tradizione locale, introdot-to insieme con altri elementi del mondo ellenistico e comunque primariamente riferito a una rappresen-tazione connotata come propria del mondo greco.

Se si passa a esaminare le due teorie di animali (figg. 16-17), colpisce il fatto che non si tratta di un suovetaurile, composizione di vittime così consueta per il culto romano di Marte da essere considerata quasi esclusiva68. Pertanto, si deve registrare un’altra differenza rispetto alla conduzione cerimoniale con-sueta: il rituale non solo è graeco ritu ma non presenta neanche la più tipica associazione di vittime sacrifi-cali attribuita a Marte; la presenza dei capridi, al con-trario, è più consueta nella tradizione rituale greca. La variabilità nella scelta delle vittime, comunque, è strettamente connessa alla specificità dell’azione condotta e del referente divino interpellato e in alcu-ni casi è possibile mostrare che cambia nel tempo ma sempre all’interno di un medesimo registro compor-tamentale69. In mancanza di informazioni specifiche di carattere rituale, non è possibile approfondire il problema, ma colpisce la stretta somiglianza tra le due processioni: entrambe esibiscono gli stessi ani-mali, scelti, però, di pezzature differenti.

Si tratta, in sostanza, di un’offerta dello stesso tipo, con alcune differenze operative che difficilmen-

te rispondono a una distanza nel tempo, di cui una gestita con un impegno maggiore (quella di destra, con

di un costume adatto a celebrarla. Inoltre, proprio il legame con le città greche e i re asiatici (in primis Eumene II) potrebbe aver indotto Scipione a preferire un modello esplicitamente greco’.68 Per es. Scheid 2011, p. 49 e nota 11; per questo motivo Strazzulla 2006 esclude che si tratti di una scena di culto rivolta a Marte, estremizzando, però, la documentazione disponibile69 Per es., nel caso del culto dei Fratres Arvali: Scheid 2011, pp. 5-70 e passim.

Fig. 16 - Frontone di via di S. Gregorio, processione destra, vit-timario con toro (?)(da Ferrea 2002).

Fig. 17 - Frontone di via di S. Gregorio, processione destra, vit-timario con ariete (da Ferrea 2002).

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vittime più adulte). Nessun elemento, inoltre, permette di identificare nei due officianti il medesimo perso-naggio in due situazioni diverse (domi e militiae), come se fossero due scene di un unico sviluppo narrativo scandito in senso temporale (la promessa alla divinità prima e lo scioglimento del voto poi); in nessuno di questi casi sarebbe possibile spiegare in maniera adeguata la funzione delle due divinità che affiancano Marte e l’idea che una di esse potesse essere la destinataria principale dell’intera azione, maturata quando l’altori-lievo frontonale non era ancora stato ricomposto con tutti gli elementi disponibili, pur essendo scaturita da un’ipotesi molto interessante, non può più essere mantenuta dopo il recupero dello sviluppo complessivo della scena. La struttura narrativa induce a ritenere più probabile che si tratti di due gruppi sacrificali che partecipano a una stessa cerimonia, con diverse caratterizzazioni di carattere etnico, utilizzando una tipologia rituale romana che anche nel nome, come nelle manifestazioni e nella scelta delle vittime, potesse costituire un medium idoneo a un interlocutore non romano e in particolare ellenizzante.

Riassumendo, la soluzione avanzata in bibliografia sarebbe quella di distinguere nella rappresentazione due eventi non contemporanei, uno mitico (a sinistra), l’altro recente (a destra), oppure due azioni compiute dallo stesso personaggio in due momenti e in due condizioni diverse, in pace e in guerra, come suggerisce Co-arelli, oppure ancora, un’unica cerimonia legata alla dedica del tempio, più generica (Strazzulla). L’alternativa che viene proposta in questa sede, invece, è quella di riconoscere un evento storico unitario con due contra-enti, due offerte sacrificali e due diverse divinità che svolgono la funzione di rappresentare e mediare tra gli stessi contraenti e Marte, titolare del sacrificio. Nel primo caso, il gruppo delle tre divinità assumerebbe una funzione ‘topografica’, alludendo ad alcuni culti del Palatino (Fortuna Respiciens e Fortuna Praesens / Ops / Fortuna Privata70, oppure Fortuna Respiciens assimilabile a Fortuna Virgo e opposta, Fortuna Redux71; Marte, in questo caso, sarebbe presente nella qualità di paredro della prima72 oppure di divinità centrale del Palati-no73, pur occupando la parte principale della composizione). Nell’altro, invece, non si potrebbe prescindere dall’identificazione di Marte come destinatario dell’immolazione e le due divinità femminili interverrebbero quali referenti simboliche dei due gruppi di offerenti.

Le considerazioni espresse proprio su queste figure, la valutazione di quella seduta sull’altare come ico-nografia tipica della supplica, la presenza di un unico altare, il carattere particolare della cerimonia, che intro-duce modelli in parte impropri per un rito celebrato nella più tipica tradizione rituale romana (specie delle vittime, età delle stesse, cerimonia aperto capite), il principio di simmetria ampiamente attestato per identifi-care due parti diverse di un ‘confronto’ inducono a preferire la contemporaneità delle due azioni rituali. Un unico sacrificio, evidentemente, sanziona un patto tra due contraenti rappresentati dalle due figure femminili, che sembrano introdurre presso Marte, presentato quindi nella veste di testimone divino, le due diverse pro-cessioni. La memoria di un patto sugellato da una cerimonia religiosa sembra, in pratica, rispondere meglio al sistema narrativo riconoscibile, la stipula di un vincolo in cui una delle parti appare come supplice e spon-taneamente subordinata (quella della metà destra del frontone).

9. Nella prospettiva descritta, Marte sarebbe il referente unico delle due azioni messe in scena, posto al centro del frontone, nella posizione più perspicua per il titolare del culto e nella sua apparizione frontale formalmente indipendente dalla narrazione, presso il suo altare a ricevere due sacrifici condotti da due diversi

70 Coarelli 2012, p. 210.71 Coarelli 2012, p. 216.72 Torelli 2004-05, p. 138.73 Strazzulla 2006, p. 258.

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officianti. Le figure femminili sarebbero il tramite tra i due attori umani e la divinità ricevente, con una fun-zione simbolica, ognuna legata a uno dei due gruppi, e in particolare quella stante, riconoscibile come Venus, in quanto patrona della processione romana.

Se la divinità a sinistra di Marte (nella ricostruzione Ferrea) siede sull’altare, supplice, e gli si rivolge come intermediaria di un sacrificio offerto da un personaggio forse non romano, l’altra accoglie e introduce la processione sacrificale che giunge dalla destra del dio, dal lato ritualmente ‘positivo’. Il rituale alla greca e la composizione delle vittime segnalano un’azione diversa da quella di un normale sacrificio alla divinità. Questa appare piuttosto come garante tra i due gruppi, uno che richiede (identificato dalla figura femminile presentata come supplice) e l’altro che interviene. Il contesto rituale del doppio sacrificio può essere spiegato solo come atto costitutivo di un rapporto tra due contraenti, la rappresentazione di una solidarietà concessa a un richiedente; potrebbe trattarsi di una comunità che si deduce in fide, della stipula di un legame politico che non è un semplice foedus. Non si può escludere la possibilità di una deditio, che non è applicata solo a seguito di guerra, ma anche nel caso di una minaccia ‘terza’ rispetto alla quale si preferisce affidarsi ai romani74. La memoria dell’evento viene celebrata nella sua dimensione sacrale, dal momento che ‘sono iusta ac pia solo i bella che la divinità può approvare’75 e il magistrato funge da intermediario tra il populus e gli dei76. Da una parte romani, quindi, dall’altra greci o orientali ellenizzati che conducono due gruppi di offerte a suggello di un rapporto in cui Marte svolge la funzione di testimone (fig. 18).

In questo modo si recupera anche in maniera più pregnante l’uso della raffigurazione nel senso del rilie-vo storico, alla pari di altre testimonianze figurative di età tardorepubblicana. Non si tratterebbe quindi, della commemorazione del votum del tempio in una ‘…anonima, ma simbolica rappresentazione del rito…’77 ma della memoria di un atto evidentemente legato a un’esigenza militare, a un intervento bellico; il tempio che sosteneva il frontone figurato può essere stato la dedica di uno dei trionfi conseguiti, in cui si metteva in scena

74 Bederman 2001, p. 189.75 Sordi 2002, p. 3.76 Scheid 1983, p. 37.77 Strazzulla 2006, p. 263.

Fig. 18 - Frontone di via di S.  Gregorio, schema ricostrutti-vo delle tre figure centrali (riela-borazione da Ferrea 2002).

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un atto sacrificale che ne spiegava motivazione e contesto storico. Le due figure femminili rappresentavano le due comunità contraenti: Venere, a giudicare dalla tipologia iconografica adottata, in quanto particolarmente indicata come tramite tra Romani e Marte, e un’altra, la supplice, al momento attuale purtroppo priva di elementi di identificazione più specifici, di attributi che ne possano suggerire il riconoscimento. Entrambe dovevano essere chiaramente percepibili e contribuivano a spiegare il contesto generale dell’azione, nell’atto una di intercedere e l’altra di supplicare, presupposto di un salvifico intervento romano.

Ci si deve interrogare anche sulla possibilità di un rapporto tra la scena del frontone e quella minore, posta al vertice del fastigio, sugli antepagmenta (fig. 19). Questo è lo spazio assegnato alla narrazione mitica, anch’esso esito della lunga esperienza etrusco-italica di utilizzare composizioni, l’evoluzione di un modello recessivo, che viene limitato nelle proporzioni e nella collocazione. Anche in questo caso, però, colpisce che si introduca un soggetto che concerne un intervento d’aiuto: Eracle salva Esione, eroina della saga troiana, vittima della irresponsabile hybris paterna, evento che prelude alla distruzione punitiva della città effettuata dall’eroe e alla sua rifondazione nel regno di Priamo. Anche in questo caso l’azione, trasposta su un livello mitico, prevede una vittima supplice, segna un intervento bellico, si colloca nell’Egeo settentrionale e mette in scena due personaggi legati alla saga troiana, entrambi connessi alle origini di Roma, mostrando molte assonanze con il tipo di restituzione proposta per la rappresentazione ‘storica’ del frontone. Si può anche considerare la possibilità di un’opposizione: Eracle, eroe culturale e fondatore greco, salva e contribuisce a ricostruire la madrepatria troiana di Roma salvando Esione, mentre nella scena principale sono i Romani che rispondono al richiamo di una comunità supplice.

10. Le suggestioni per un collegamento tra lo schema interpretativo proposto e gli eventi del II sec. a.C. possono essere diverse, ma non è opportuno a questo punto addentrarsi oltre nel tentativo di una lettura specifica e puntuale78, in quanto l’interesse era quello di studiare il modello compositivo e i suoi elementi significanti, di valorizzare la rappresentazione rituale come centro della comunicazione messa in scena.

78 In Coarelli 2012, p. 216, il riconoscimento nel personaggio paludato di un trionfatore induce a proporre l’identificazione con Emi-lio Paolo, già considerata possibile (Strazzulla 1990-91, 1993), e ribadita in Strazzulla 2010, p. 88; egli sarebbe, quindi, responsabile

Fig. 19 - Frontone di via di S.  Gregorio, gruppo con Era-cle ed Hesione (da Ferrea 2002).

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L’identificazione topografica dell’edificio può indurre a forzare la lettura del soggetto rappresentato, cercando confronti e collegamenti che possono condizionarla. Certo, non si tratta di un problema seconda-rio, ma la giacitura dei reperti, conservati nell’interro della sistemazione successiva all’incendio neroniano, indica che le sculture in terracotta sono state smontate e sepolte secondo un sistema consueto in questo caso, connesso a un atto di devozione che sottrae i resti alla distruzione79.

In genere si ritiene che la giacitura non corrisponda al luogo in cui era eretto l’edificio, cioè che i suoi resti siano stati occultati in un’area differente da quella di esposizione. La proposta di attribuirli a un luogo di culto del Celio80 piuttosto che del Palatino81 e di condizionare, a seconda della scelta, la lettura del soggetto frontonale sulla base della topografia nota di queste aree non può essere condivisa.

Se i resti non sono stati deposti all’interno del santuario di pertinenza, è evidente che è avvenuta un’o-perazione di trasporto e di interro, una scelta dettata da motivazioni specifiche, al momento non ricostruibili. Se di trasporto da un luogo ‘altro’ rispetto a quello di rinvenimento si tratta, però, allora non è possibile uti-lizzare la vicinanza come criterio di preferenza. Bisognerebbe porsi piuttosto il problema delle modalità di consacrazione di queste ‘reliquie’ e del rispetto delle norme tradizionali nella costituzione del deposito sacro, che in qualche modo mostra i caratteri della gestione rituale.

Un elemento da non trascurare è che i resti più indicativi dell’edificio, quelli della decorazione figurata, sono stati interrati lungo il percorso delle cerimonie trionfali82, un collegamento che rimanda al carattere del-la rappresentazione, un soggetto certamente legato alla storia dei successi militari di Roma nel II sec. a.C.83. Che dopo l’incendio del 64 d.C. la riorganizzazione delle aree urbane distrutte sia stata un impegno centrale della politica neroniana è ben noto; l’evento distruttivo aveva cancellato, oltre i palazzi imperiali, anche ‘… le

di un restauro del tempio di Fortuna Respiciens, facendo riferimento alla sua duplice sorte di vincitore in guerra e sconfitto nella vita per la morte prematura dei figli, permettendo inoltre di datare il tempio al 164 a.C.79 Ferrea 2002, p. 61 in particolare; sui resti non si riconoscono tracce di incendio, ma le lastre ad altorilievo sarebbero state smontate in maniera sistematica; il loro stato frammentario, però, deve essere spiegato: o sono state danneggiate da un crollo dell’edificio oppu-re potrebbero essere state frammentate ritualmente dopo lo smontaggio, per impedirne il riuso; per quanto concerne la deposizione votiva, la soluzione dell’occultamento entro fossa non rappresenta l’unica modalità, ma è largamente attestato anche l’abbandono all’interno di interri progressivi della superficie di calpestio, con la medesima valenza sacrale (quindi non è necessario considerare il carattere del ritrovamento di via S. Gregorio una singolarità: Ferrea 2002, p. 61); sul problema ritorna brevemente anche Strazzulla 2010, p. 87, che ricorda anche il caso dell’area sacra di Largo Argentina, dove, nonostante il carattere dello scavo, si può riconoscere che ‘scarsi frustuli della precedente decorazione restavano incorporati negli interri con la nuova riedificazione’. Ma è lo scavo delle pendici del Palatino condotto da C. Panella, che sta mostrando un’ampia casistica tipologica di depositi ‘consacrati’ secondo le norme consuete nel mondo greco e in quello italico, che prevedono la frammentazione degli oggetti e la loro deposizione in percentuale, sia entro fosse, sia entro terrapieni di livellamento funzionali alla nuova fase di vita. Bisogna ricordare che sempre da contesti di deposito di forma diversa sembrano provenire anche altri rinvenimenti di fittili votivi e architettonici romani, come il contesto di statue dai pressi della Porta Latina (in questo caso occultate in un ‘pozzo’; Colonna 1991), il gruppo di altorilievi fittili dalle pendici nord del Palatino (Tomei 1992), oppure quello di materiale molto frammentario dall’Appia Nuova (Quilici Gigli 1981); sul tema, da ultimo, Strazzulla 2010, pp. 89-90.80 Ferrea 2002, pp. 61-69.81 Strazzulla 1990-91; Strazzulla 1993; Torelli 1993; Torelli 2004-05; Strazzulla 2006; Coarelli 2012; gli ultimi due contributi stig-matizzano particolarmente il problema topografico come presentato in Ferrea 2002.82 Liverani 2007; La Rocca - Tortorella 2008; sulle condizioni del rinvenimento, L. Anselmino, in Anselmino et al. 1990-91; Ferrea 2002, pp. 17-20; Anselmino 2006.83 Sullo stretto rapporto tra le figurazioni frontonali a Roma e fuori Roma e la pompa trionfale, Torelli 1993, p. 282; sull’edilizia religiosa a Roma nel periodo tardorepubblicano, Strazzulla 2010.

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case degli antichi generali, ornate delle spoglie dei nemici vinti, i templi costruiti dai re di Roma o al tempo delle guerre di Gallia e Cartagine, e tutti i più importanti monumenti dell’antica repubbli-ca’84. Anche se Tacito tramanda la notizia che con le macerie vennero in parte colmate le pa-ludi di Ostia, la scoperta del deposito di via di S. Gregorio mostra che esse in parte furono obliterate in maniera diversa. Il rinvenimento non è stato descritto con la necessaria atten-zione e all’epoca dello sterro si è provveduto solo a recuperare i vari frammenti, segnalan-do le situazioni più evidenti e rilevando alcu-ne strutture messe in luce. Più che dallo stesso interro della strada, i frammenti del frontone, insieme a quelli della sima frontonale e ad altri materiali pertinenti ad edifici analoghi, meno conservati, sembrano essere emersi tra i resti delle strutture poste sul suo limite occi-dentale, verso la pendice del Palatino, dove si apre un’estesa superficie priva di un’indagine sistematica.

Proprio le recenti acquisizioni nell’area (fig. 20), e in particolare le ricerche e le fon-damentali scoperte avvenute più a nord, nello scavo delle pendici nord-orientali del Palati-no ad opera di C. Panella e del suo gruppo di lavoro hanno mostrato la complessità della frequentazione sacra e la sua persistenza nel tempo, attraverso numerose trasformazioni a volte radicali85. Anche il recente riesame della zona un po’ più a sud del luogo di rin-venimento, dove sembra essersi sviluppato a mezza costa un importante santuario con una terrazza sostruita, segnala il rilievo cultuale di questa pendice palatina86. Sempre nello scavo di C.  Panella, il rinvenimento di importanti

84 Tac. Ann. 15, 41-43; un altro caso di distruzione per incendio e abbandono dei resti è quello del tempio di Giove Capitolino: Tac. Ann. 4, 53; cfr. anche, a questo proposito, Strazzulla 2010, p. 87.85 Panella et al. 2014 con bibliografia precedente sullo scavo e sull’area.86 Anselmino 2006; Coarelli 2012, in part. p. 202, conferma la possibilità di riconoscere nell’area il luogo di culto di Fortuna Respi-ciens, che sembrerebbe essere ubicabile proprio sul versante orientale del colle.

Fig. 20 - Roma, via di S. Gregorio, area tra Celio, valle del Colosseo e Palatino, con indicazione area di rinvenimento (4), scavi del Palatino nord-orientale con la zona della meta sudans (1) e dell’area sacra con le strutture delle pendici nello scavo di C. Panella (2-3); in grigio scuro, traccia schematica del percorso di fondo valle di età pre-neroniana.

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livelli connessi alla distruzione di aree sacre e all’obliterazione delle stesse, in più occasioni e in particolare all’epoca dell’incendio neroniano, obbliga a considerare in un’ottica diversa le ‘vecchie’ scoperte della via di S. Gregorio. La possibilità che un sistema sacrale complesso si allineasse lungo la via ad andamento irregolare che seguiva in basso la pendice palatina e che il frontone di cui si è parlato possa provenire dalla riorganiz-zazione di una di queste aree di culto non può essere affatto escluso87. Non deve essere dimenticata l’impor-tanza di un percorso come questo, legato alla cerimonia del trionfo e quindi luogo di attrazione di dediche e monumenti.

Non si può escludere, cioè, che le terrecotte possano essere state sepolte nella stessa zona in cui si ergeva l’edificio, ampio ca. 14 metri, e che le strutture rinvenute sul bordo della strada non siano che elementi perime-trali di uno spazio sacro. Inoltre, al momento, per Roma non esistono testimonianze di una dislocazione dei depositi di obliterazione in aree diverse da quelle di culto pertinenti. Così, come la complessa definizione sacrale degli spazi all’estremità nord-est del percorso trionfale emersa negli scavi di quest’ultimo decennio, anche il rinvenimento del frontone esaminato, insieme a frammenti attribuibili ad altri edifici pubblici o sacri88, attesta l’eccezionale rilievo di quest’area nella topografia religiosa e pubblica della città tardorepubblicana.

Proprio partendo da queste ultime considerazioni, dedico le mie brevi riflessioni a C. Panella; non solo per aver contribuito ad aprire un nuovo capitolo nella storia delle ricerche archeologiche a Roma, ma soprat-tutto per aver testimoniato coerenza di metodi e di pratica, valenza didattica e formativa, capacità di conside-rare lo scavo e lo studio dei monumenti antichi come un’occasione privilegiata per riscoprire lo spazio urbano e la sua stratificazione storica; per aver lavorato sempre con un impegno rivolto alla qualificazione collettiva e del presente.

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87 Strazzulla 2010, p. 87, a questo proposito, manifesta il suo scetticismo sulla possibilità che un ‘fantomatico’ tempio di Marte possa essere attestato nell’area; la mancanza di ogni riferimento letterario ed epigrafico in merito, in effetti, costituisce un problema da non sottovalutare, ma non si può neanche attribuire alle fonti non archeologiche un valore assoluto ed esclusivo, come ha mostrato la ricerca sul campo, non solo a Roma. Non si può escludere, ad esempio, la costruzione di un edificio di culto complementare con dedica specifica all’interno di un’area sacra con una titolarità diversa e comunque i due livelli di analisi, quello archeologico e quel-lo storico-letterario, possono essere messi in rapporto solo dopo aver esaminato in maniera autonoma i dati esistenti, evitando un cortocircuito di ipotesi e di influenze reciproche durante l’esame dei realia; inoltre, la mancanza del testo di Livio per la fase storica interessata ci priva di una fonte di informazione sistematica sul periodo.88 Ferrea 2002, pp. 57-59; 105-109.

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