La questione della lingua nella letteratura italiana da Dante a Manzoni 4. Il Cinquecento.

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La questione della lingua nella letteratura italiana da Dante a Manzoni 4. Il Cinquecento

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La questione della lingua

nella letteratura italiana

da Dante a Manzoni4. Il Cinquecento

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I rari difensori del latino Ercole Strozzi in Bembo: Prose della volgar

lingua, 1525 il volgare = una lingua degradata ed imperfetta Romolo Amaseo: De linguae latinae usu

retinendo, 1529 Francesco Bellafini, 1530: linguam quae plebis

est plebi linque Francesco Florido: Apologia in Accii Plauti

aliorumque Latinae linguae scriptorum calumniatores, 1537

barbari contagiati da Unni, Longobardi e Franchi

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I difensori del volgare Alessandro Citolini: Lettera in difesa de la lingua

volgare, 1540 Valerio Marcellino: Lettera, over Discorso

intorno alla lingua volgare, 1564 Vincenzo Marostica: In lode della lingua volgare

e in biasimo della latina, ~1580 tre correnti maggiori: i cosiddetti italianisti (Giangiorgio Trissino o

Baldassare Castiglione) una soluzione evoluzionistica (Niccolò

Machiavelli; il fiorentino vivo) una soluzione rigidamente arcaizzante e

normativa (l’Accademia della Crusca, la tradizione delle Tre Corone)

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La codificazione

Giovan Francesco Fortunio: Regole grammaticali della volgar lingua, 1516

Pietro Bembo: Prose della volgar lingua, 1525 Alberto Accarigi: Vocabolario, grammatica et

orthographia de la lingua volgare, con espositio di molti luoghi di Dante, del Petrarca, et del Boccaccio, 1543

Ludovico Dolce: Osservazioni della volgar lingua, 1550

Ludovico Salviati: Avvertimenti della lingua sopra ’l Decamerone, 1584

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Pietro Bembo (1470-1548) umanista italiano Historiae Venetae, 1551 volgarizzate nel 1552 l’officina di Aldo

Manuzio Cose volgari di Messer

Francesco Petrarca, 1501

Terze rime di Dante, 1502

Erasmo da Rotterdam una leggendaria

armonia paragonabile alla

tradizione del manoscritto

le aldine

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Una produzione uniforme la prima vera

riforma ortograficadel volgare

una chiarezza del pensiero

una grafia capace di trasmetterequesto pensiero

l’apostrofo per indicare l’elisione –Ariosto: Orlandofurioso, 1516

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La riforma ortografica le regole della critica

testuale dicto, facto, tecto la x al posto della

doppia s (saxo) l’h etimologica (homo,

honore, hora, habbia) la combinazione latina ti

in spatio o gratia p.es. hebbe licentia la sua edizione del

Petrarca

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La critica testuale uolgare – uulgare l’edizione veneziana di Vindelino da Spira (1470) l’edizione aldina, curata dal Bembo (1501) Felice saxo chel bel uiso serra

che poi chaura ripreso il suo bel uelose fu beato chi la uide in terraOr che fia dunque a riuederla in cielo?

Felice sasso, che ’l bel uiso serra:che poi c’haura ripreso il suo bel uelo;se fu beato, chi la uide in terra;Hor che fia dunque a riuederla in cielo?

distinzione grafica tra u e v – Leon Battista Alberti

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Prose della volgar lingua Epistolae Asolani = imitazione delle Tusculanes del

Cicerone Rime De imitatione, 1512 1525 tre libri una vera grammatica del volgare letterario un dialogo a Venezia nel dicembre 1502 Giuliano de’ Medici, Federico Fregoso, Ercole

Strozzi e Carlo Bembo, fratello di Pietro un termine locale (rovaio per tramontana) il latino scritto in mezzo ai volgari parlati

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Utile lingua di cultura ? Così è – disse il Magnifico – senza fallo alcuno,

messer Ercole, come il Bembo dice; e questo ancora più oltre, che a noi la volgar lingua non solamente vicina si dee dire che ella sia, ma natìa e propria, e la latina straniera. Che sì come i Romani due lingue aveano, una propria e naturale, e questa era la latina, l’altra straniera, e quella era la greca, così noi due favelle possediamo altresì, l’una propria e naturale e domestica, che è la volgare, istrana e non naturale l’altra, che è la latina.

il latino lingua straniera il volgare idioma nato da questa lingua madre

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Evoluzione naturale una forma autonoma Del come, non si può errare a dire che, essendo la

romana lingua e quelle de’ Barbari tra sé lontanissime, essi a poco a poco della nostra ora une ora altre voci, e queste troncamente e imperfettamente pigliando, e noi apprendendo similmente delle loro, se ne formasse in processo di tempo e nascessene una nuova, la quale alcuno odore e dell’una e dell’altra ritenesse, che questa volgare è, che ora usiamo. [...] e ora questi Barbari la loro lingua ci hanno recata, ora quegli altri, in maniera che ad alcuna delle loro grandemente rassomigliarsi la nuova nata lingua non ha potuto.

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I volgari d’Italia il pensiero di Dante Era per tutto il Ponente la favella provenzale

ne’ tempi, ne’ quali ella fiorì, in prezzo e in istima molta, e tra tutti gli altri idiomi di quelle parti di gran lunga primiera; [...]

Bembo: traditore originario di una zona della lingua cortigiana

E perciò che tanto sono le lingue belle e buone più o meno l’una dell’altra, quanto elle più o meno hanno illustri e onorati scrittori, sicuramente dire si può, messer Ercole, la fiorentina lingua essere non solamente della mia, che senza contesa la si mette innanzi, ma ancora di tutte l’altre volgari, che a nostro conoscimento pervengono, di gran lunga primiera.

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Gli illustri e onorati scrittori il latino marginalizzato e gli altri dialetti sottomessi Giuliano de’ Medici: il fiorentino attuale Carlo Bembo: una nuova vitalità di sviluppo e di

perfezione La lingua delle scritture, Giuliano, non dee a quella

del popolo accostarsi, se non in quanto, accostandovisi, non perde gravità, non perde grandezza; che altramente ella discostare se ne dee e dilungare, quanto le basta a mantenersi in vago e in gentile stato. Il che aviene per ciò, che appunto non debbono gli scrittori por cura di piacere alle genti solamente, che sono in vita quando essi scrivono, come voi dite, ma a quelle ancora, e per aventura molto più, che sono a vivere dopo loro: con ciò sia cosa che ciascuno la eternità alle sue fatiche più ama, che un brieve tempo.

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Una continua attività letteraria

Vennero appresso a Dante, anzi pure con esso lui, ma allui sopravissero, messer Cino, vago e gentil poeta e sopra tutto amoroso e dolce, ma nel vero di molto minore spirito, e Dino Frescobaldi, poeta a quel tempo assai famoso ancora egli, e Iacopo Alaghieri, figliuol di Dante, molto, non solamente del padre, ma ancora di costui minore e men chiaro. Seguì a costoro il Petrarca, nel quale uno tutte le grazie della volgar poesia raccolte si veggono. Furono altresì molti prosatori tra quelli tempi, de’ quali tutti Giovan Villani, che al tempo di Dante fu e la istoria fiorentina scrisse, non è da sprezzare; e molto meno Pietro Crescenzo bolognese, di costui più antico, a nome del quale dodici libri delle bisogne del contado, in volgare fiorentino scritti, per mano si tengono. E alcuni di quelli ancora che in verso scrissero, medesimamente scrissero in prosa, sì come fu Guido Giudice di Messina, e Dante istesso e degli altri. Ma ciascun di loro vinto e superato fu dal Boccaccio, e questi medesimo da sé stesso; con ciò sia cosa che tra molte composizioni sue tanto ciascuna fu migliore, quanto ella nacque dalla fanciullezza di lui più lontana.

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Il passato glorioso il pluristilismo di Dante la lingua cortigiana: i suoi scrittori „senza

legge alcuna scrivono, senza avvertimento“ con „una folla e vana licenza“

Niccolò Liburnio: Le vulgari elegantie, 1521 Le tre fontane sopra la grammatica, et

eloquenza di Dante, Petrarcha et Boccaccio, 1526

Agnolo Firenzuola: Prima giornata dei suoi Ragionamenti, 1525

Claudio Tolomei (1491-1555) Francesco Maria Molza (1489-1544)

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Gli scrittori attuali Questo vi confesserò io bene: che nello

scrivere o prosa o versi, dove fa di bisogno avere una grande avvertenza di scegliere quelle parole e quei modi di parlare che sieno accomodati alle composizioni, alle persone, alle clausule e alla materia della quale si parla, e or prendere i gravi ora i leggeri, testé i bassi poco di poi gli alti, quando i mediocri, quando i dolci, quando i rozi, e talor l’uno e talor l’altro, come ognun sa sanza che io lo dica; allora sì che eglin si debbono imitare i buoni scrittori, come è il Boccaccio, come il Petrarca, come saranno il Molza e ’l Tolommeo, quando e’ si degneranno farci partecipe delle loro composizioni; a quelli si debbe ricorrere, quelli si deveno tòr per guida e per maestri; [...]

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Il terzo libro delle Prose tutti i fenomeni linguistici del volgare illustre una completa grammatica Federigo Fregoso: un’analisi fonetica quelli troppo acuti come la i o troppo cupi come la u quelli assai pieni e gravi come la a e la o Perché volendo il Boccaccio render grave, quanto si

potea il più, quel principio delle sue novelle, che io testé vi recitai, poscia che egli per alquante voci ebbe la gravità con gli accenti e con la maniera delle vocali solamente cercata: Umana cosa è l’avere; sì la cercò egli per alquante altre eziandio, con le consonanti riempiendo e rinforzando le sillabe: Compassione agli afflitti. Il che fece medesimamente il Petrarca, pure nel medesimo principio delle canzoni, Voi ch’ascoltate, non solamente con altre vocali, ma ancora con quantità di vocali e di consonanti, acquistando alle voci gravità e grandezza.

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Tutte le parti del discorso E per incominciar dal Nome, dico che, sì come nella

maggior parte delle altre lingue della Italia, così eziandio in quella della città mia, i nomi in alcuna delle vocali terminano e finiscono sempre; sì come naturalmente fanno ancora tutte le toscane voci, da alcune pochissime in fuori. E questi nomi altro che di due generi non sono: del maschio e della femina. Quello che da’ Latini neutro è detto, ella partitamente non ha; [...]

Ma passisi a dire del verbo, nel quale la licenza de’ poeti e la libertà medesima della lingua v’hanno più di malagevolezza portata, che mestier non fa a doverlovi in poche parole far chiaro. Il qual verbo, tutto che di quattro maniere si veda essere così nella nostra lingua come egli è nella latina, con ciò sia cosa che egli in alquante voci così termina come quello fa, ché Amare Valere Leggere Sentire da noi medesimamente si dice, non perciò usa sempre una medesima regola con esso lui.

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Gli sceltissimi esempi invitare all’imitazione Sono Unqua e Mai quello stesso; le quali non

niegano, se non si dà loro la particella acconcia a ciò fare. Anzi è alle volte che due particelle in vece d’una se ne le danno, più per un cotal modo di dire, che per altro; sì come diede il Boccaccio: Né giamai non m’avenne, che io perciò altro che bene albergassi.

il valore pratico del trattato Ludovico Ariosto: Orlando furioso, 1516, 1521 e 1532 1532: l’estensione da 40 a 46 canti 1531: Io sono per finir di riveder il mio Furioso: poi

verrò a Padova per conferir con Vostra Signoria, e imparare da lei quello che per me non son atto a conoscere.

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Un bellissimo elogio il dittongo e / ie: mei → miei, bancheri → banchieri,

cavaller → cavallier, dece → dieci,forasteri → forastieri, guerrer → guerrier

il dittongo o / uo: boi → buoi, soi → suoi, toi → tuoi incertezze morfologiche: il scudo → lo scudo, in la → ne la / nella una grammatica autorevole Là Bernardo Capel, là veggo Pietro

Bembo, che ’l puro e dolce idioma nostro,levato fuor del volgare uso tetro,quale esser dee, ci ha col suo esempio mostro.

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L’italianità interregionale la corte pontificia di Roma Vincenzo Colli detto il Calmeta (1460-1508):

Della volgar poesia libri IX un compromesso tra la tradizione delle Tre

Corone toscane e lo stile curiale di Roma lingua toscana in calamo romano Baldassare Castiglione (1478-1529): Il libro

del cortegiano rifiuta l’uso del toscano il lessico del Trecento non più compreso molte espressioni derivate erroneamente dal

latino la tradizione linguistica delle altre regioni

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La conclusione del Castiglione Perciò, se io non ho voluto scrivendo usare le

parole del Boccaccio che più non s’usano in Toscana, né sottopormi alla legge di coloro, che stimano che non sia licito usar quelle che non usano li Toscani d’oggidì, parmi meritare escusazione. Penso adunque, e nella materia del libro e nella lingua, per quanto una lingua po aiutar l’altra, aver imitato autori tanto degni di laude quanto è il Boccaccio; né credo che mi si debba imputare per errore lo aver eletto di farmi più tosto conoscere per lombardo parlando lombardo, che per non toscano parlando troppo toscano; [...]

l’edizione del 1528 a Venezia corretta nel senso della tradizione toscana da Piero Valeriano (1477-1558)

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1525 la battaglia di Pavia Valeriano: Dialogo della volgar lingua una lingua nazionale prodotto della latinità comune uno sfondo linguistico comune Petrarca in fiorentino Virgilio o Tito Livio in veneziano Petrarca: non impiega la forma fiorentina lodare, ma

laudare la lingua comune meno corrotta Trissino: Adunque l’italica commune sarà miglior della

toscana, perché è manco guasta; e quanto più l’omo s’avvicina nel parlar suo al latino, purché fugga la pedanteria e l’affettazione, tanto più elegantemente parlerà.

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Giangiorgio Trissino (1478-1550) una visione antitoscana De vulgari 1529 in una

traduzione Grammatichetta, 1529 Epistola de le lettere

nuovamente aggiunte, 1524

una riforma dell’ortografia

la distinzione fra e e o aperte e chiuse

fra z sorda e sonora fra i e u con valore di

vocale e con valore di consonante

senza l’eliminazione di segni superflui

senza la normalizzazione (il doppio suono di c o g)

senza segni particolari per le combinazioni gl e gn

l’h etimologica, la x, la y i latinismi come et e -ti-

al posto di -zi- distinguere la s sorda

dalla sonora

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La riforma di Trissino la delusione un prezioso documento delle differenze nella

pronuncia tra toscano e lingua cortigiana numerosi esempi La Sofonisba, la prima tragedia classica della

letteratura moderna il lessico = le parole intese in tutta l’Italia Dialogo intitulato il Castellano nel quale si

tratta de la lingua italiana, 1529 l’aggettivo italiano il nome generale della nazione i forestieri: lingua italiana e non toscana o

fiorentina

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Trissino: Il Castellano Dicω prima, ch’iω nωn so pensare per qual cagiωne la lingua tωſcana

dεbbia avere questω speciale εt amplω privilegiω di prεndere i vωcabωli de l’altre lingue d’Italia ε farli suoi; ε che le altre lingue d’Italia poi nωn debbianω avere questa medesima libertà di prendere i vωcabωli di essa ε farli lωrω. Né so rinvenire per che cauſa le parole che ella piglia de l’altre lingue d’Italia nωn dεbbianω ritenere il nωme de la propria lωrω lingua, da la quale sωnω tolte, ma dεbbianω perderle ε chiamarsi tωſcane. Né mi può anchωra cadere ne l’animω che i vωcabωli che sωnω a tutte le lingue d’Italia cωmuni, cωme è Diω, amωre, ciεlω, tεrra, acqua, aere, fuogω, sωle, luna, stelle, homω, peςce, arbωre, hεrba εt altri quaſi infiniti, dεbbianω più tostω chiamarsi de la lingua tωſcana che de l’altre che parimente gli hannω; i quali senza dubbiω di niuna lingua d’Italia sωnω proprii, ma sωnω cωmuni di tutte. Perciò che i vωcabωli in una lingua, che sia specie d’un’altra lingua, si sogliωnω cωnsiderare cωsì: che alcuni di lωrω sωnω proprii, altri cωmuni, εt altri fωrestieri. Proprii sωnω quelli i quali si uſanω sωlamente in una tεrra, pωniamω in Fiωrenza, cωme è testé, guata, hotta, sutω ε simili; cωmuni, quelli che in mωlte terre d’Italia si uſanω, cωme è Diω, Amωre, Speranza ε simili; fωrestieri poi quelli che in qualche altra città si uſanω, ε nωn in Fiωrenza, cωme è sωvente, menzωnare, adessω ε simili.

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Contro Petrarca Vedut adunque quali parole frestiεre possan divenir tſcane

ε quali no, εt a che mod, per mεgli cnscere poi la lingua di Dante ε del Petrarca, pigliam i lr scritti in man ε veggiam se i vcabli di quelli sn tutti firentini o no; e chiaramente vederem che nn sarann tutti firentini, perciò che εt haggi ε faraggi ε disser ε scrisser ε molti simili, che sn frmazini siciliane, ε pria ε diria ε mlti simili, che sn lmbarde, ε guidardne, alma, salma, despitt, respitt, strale, craggi, menznare, scempiare, dlzre, slia, cria, scaltr, quadrella, mo, adess, svente ε mltissimi altri vi si leggn, che nn snw firentini.

Et i mi ricrd una vlta cn M. Arrig d’Oria qui haver preſ il Petrarca in man ε senza alcuna parzialità haver scelt i vcabli firentini ε tscani di ess, da quelli che sn di altre regini d’Italia ε da quelli che sn quaſi a tutta Italia cmuni, εt in verità vi trvai assai men de la decima parte di vcabli nostri proprii firentini, perciò che tutti gli altri eran cmuni ε frestiεri; [...]

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Il carattere nazionale del volgare Sperone Speroni (1500-88): Dialogo delle lingue, ~1530 manoscritti ~1537, Venezia 1542 Joachim du Bellay, 1549 traduzione di Claude Gruget, Parigi 1551 l’Inquisizione 1574 Lazzaro Bonamico, lettore di greco e latino allo Studio di

Padova Lazaro: A me pare, quando vi guardo, che tale sia la

volgar toscana per rispetto alla lingua latina quale la feccia al vino; peroché la volgare non è altro che la latina guasta et corrotta oggimai dalla lunghezza del tempo o dalla forza de’ barbari o dalla nostra viltà. Per la qual cosa gl’Italiani, li quali allo studio della lingua latina la volgare antepongono, o sono senza giudicio, non discernendo tra quel ch’è buono e non buono, o privi in tutto d’ingegno non son possenti di possedere il migliore.

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Speroni: Dialogo delle lingue Bonamico: volgare = forma corrotta del latino Lazaro: Quando egli avverrà che la lingua

volgare abbia i suoi Ciceroni, i suoi Virgilii, i suoi Omeri e i suoi Demosteni, allora consiglierò che ella sia cosa da imparare come è ora la latina e la greca. Ma questo mai non sarà; conciosia cosa che la lingua non lo patisce per esser barbara, sì come ella è, e non capace né di numero, né di ornamento.

il Cortegiano = Castiglione Cortegiano: A me pare, messer Lazaro, che le

vostre ragioni persuadano altrui a non parlar mai volgarmente; la qual cosa non si può fare, salvo se non si fabricasse una nuova città, la quale abitassero i litterati, ove non si parlasse se non latino.

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Speroni: Dialogo delle lingue Pietro Pomponazzi (1462-1525): anni persi per

le vere scienze Per la qual cosa, così come senza mutarsi di

costume o di nazione il francioso e l’inglese, non pur il greco e il romano, si può dare a filosofare; così credo che la sua lingua natia possa altrui compitamente comunicare la sua dottrina.

la funzione scientifica e comunicativa del volgare

due soluzioni: il toscano letterario la lingua materna la lingua dell’arte letteraria uno semplice strumento di comunicazione

generale

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Speroni: Dialogo delle lingue la tesi italiana → le esigenze della comunicazione la tradizione letteraria fiorentina → il dominio

estetico Per che, posto che vera sia la sua oppenione, e così

bene potesse filosofare il contadino come il gentiluomo e il Lombardo come il Romano, non è però che in ogni lingua egualmente si possa poetare e orare; conciosia cosa che fra loro l’una sia più e meno dotata degli ornamenti della prosa e del verso che l’altra non è. La qual cosa fu tra noi disputata da prima, senza far parola delle dottrine; e come allora vi dissi così vi dico di nuovo che, se voglia vi verrà mai di comporre o canzoni o novelle al modo vostro, cioè in lingua che sia diversa dalla toscana e senza imitare il Petrarca o il Boccaccio, per aventura voi sarete buon cortigiano, ma poeta o oratore non mai.

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Girolamo Muzio (1496-1575) Per la difesa della volgar lingua, dopo il 1533 Battaglie in difesa dell’italica lingua, 1582 esser nato fiorentino = uno svantaggio per chi

vuole scrivere in italiano Bembo: modestamente che non era di molto

vantaggio di nascer fiorentino Muzio: ma io, che liberamente parlo, tengo,

per quello, che sia anzi disavantaggio la nazionalità e l’italianità della lingua scritta un culto veramente nazionale delle Tre Corone

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L’elaborazione letteraria Claudio Tolomei: Il Cesano de la lingua

toscana, 1555 la natura sociale e istituzionale della

lingua la sua qualità letteraria la lingua d’arte la lingua toscana un’apoteosi dei fiorentini trecenteschi un compromesso appoggiato da tutte le

istituzioni culturali importanti

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Il fiorentino attuale Niccolò Machiavelli

(1469-1527): La Mandragola Dell’arte della guerra Istorie Fiorentine Il Principe Discorso o Dialogo

intorno alla nostra lingua, 1518

il fiorentino vivo e parlato dei suoi contemporanei

Giambattista Gelli (1498-1563): Quarto Ragionamento dei Capricci del bottaio, 1546

Pier Francesco Giambullari (1495-1555): De la lingua che si parla et si scrive in Firenze, 1551

un’ origine aramaica o etrusca del fiorentino

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Carlo Lenzoni (1501-55) In difesa della lingua fiorentina e di Dante, con le

regole da far bella e numerosa la prosa, 1556 Ma io vo’ dire che ella si chiama volgare italiano non

perché ogni volgo d’ogni città d’Italia nasca e parli con essa, come è cosa manifestissima, ma perché di tutte le lingue italiane questa non è solamente la più bella, più graziosa, più ricca, più varia di pronunzia, più dolce di parole, ma più intesa che nessuna altra e più atta ad essere imparata, se non esattamente almeno universalmente, mediante la integrità delle voci e i buoni ordini delle costruzzioni. Chiamasi ancora volgare italiano forse per eccellenzia, quasi che nissuna altra lingua d’Italia meriti di essere imparata o letta come questa, che per lo studio vien comune a’ gentiluomini e capi delle città d’Italia, che soli vengono in considerazione, essendo assai pochi per città coloro che ragionevolmente parlano e scrivono.

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Il fiorentino vivo la maestria del Boccaccio nel Decamerone Lenzoni: con parole tutte intese e usate da

ciascun fiorentino, [...] e quello vanno imitando sempre, quanto però comporta l’uso moderno

la versificazione di Dante e del Petrarca Benedetto Varchi (1503-65): L’Ercolano, Dialogo

nel qual si ragiona generalmente delle lingue e in particolare della toscana e della fiorentina, 1570

Annibal Caro (1507-66): Venite all’ombra de’ gran Gigli d’oro, 1553

in onore di Alessandro Farnese Ludovico Castelvetro (1505-71): Ragione d’alcune

cose segnate nella Canzone d’Annibal Caro, 1559

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Varchi uso nativo uso letterato uso imparato Un Fiorentino, data la parità dell’altre cose,

cioè posto che sia d’eguale ingegno da natura, d’eguale dottrina per istudio, e d’eguale esercitazione, me diante l’industria, non arà disavvantaggio nessuno, ma bene alcun vantaggio da uno che fiorentino non sia, nel fiorentinamente comporre; e questa è cosa tanto conta, e manifesta per sé, che io non so come alcuno se ne possa, o debba dubitare.

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L’Accademia Fiorentina il fiorentino classico della tradizione

letteraria quello vivo ed attuale Accademia degli Umidi, 1540 il duca Cosimo I° de’ Medici 1541, Accademia Fiorentina la perfezione del fiorentino letterario l’egemonia della lingua fiorentina la divisione tra lingua d’arte e strumento di

comunicazione il culto di Dante, poeta fondatore

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L’Accademia della Crusca il 25 gennaio 1583 Bastiano de’ Rossi volgarizzatore dell’Agricoltura di

Piero de’ Crescenzi L’Inferigno Lionardo Salviati (1539-89), detto

L’Infarinato Orazione nella quale si dimostra

essere la fiorentina favella e i fiorentini autori superiori a tutte le altre lingue, sì dell’antichità che moderne, e tutti gli altri autori, 1564

Salviati: non pure la dolcezza del presente linguaggio, ma l’eccellenza dei fiorentini Autori di sua autorità ci assicura.

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Salviati Degli avvertimenti della lingua sopra ’l

Decamerone, 1584 un programma conservatore e puristico tutte le scritture fiorentine del Trecento Da chi si debbano, e per iscrivere e per

favellare, raccor le regole e prender le parole nelle lingue che si favellano e che sono atte a scriversi; e spezialmente nel volgar nostro

Come si conosca e si pruovi che in Firenze si parla oggi manco bene che non si parlava nel tempo del Boccaccio

la soluzione esclusiva del Trecento l’autorità degli autori immacolati

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Salviati Perché conchiuderemo senza più avanti parlar

dell’altre lingue, le regole del volgar nostro doversi prendere da’ nostri vecchi Autori, cioè da quelli che scrissero dall’anno mille trecento, fino al mille quattrocento: perciocché innanzi non era ancor venuto al colmo del suo più bel fiore il linguaggio: e dopo, senza alcun dubbio, subitamente diede principio a sfiorire. Anzi, direm più oltre, che con la nascita del Boccaccio, o poco spazio davanti, parve che cominciasse subito la sua perfezione, e con la morte del medesimo immantinente principio avesse la sua declinazione. Perocché, è cosa da non credersi di leggieri, la differenza, la quale si scorge tra gli scrittori, che rasentaron l’anno milletrecentottanta, e quelli, che cominciaron incontanente passato il quattrocento: sicuramente di gran lunga maggiore, che ne’ cento anni addietro non si riconosce tra le scritture.

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Perfetto e puro in sé e per sé Commedia, 1595 Decameron, Passavanti e i Villani Bembo, Ariosto, Della Casa VOCABOLARIO| DEGLI| ACCADEMICI| DELLA|

CRVSCA.| CON TRE INDICI DELLE VOCI,| locuzioni, e prouerbi Latini, e Greci, posti per entro l’Opera.| CON PRIVILEGIO DEL SOMMO PONTEFICE,| Del Re Cattolico, della Serenissima Repubblica di Venezia, e degli| altri Principi, e Potentati d’Italia,| E FVOR D’ITALIA DELLA MAESTA CESAREA,| Del Re Cristianißimo, e del Sereniss. Arciduca Alberto.| #| IN VENEZIA MDCXII. -| Appresso Giouanni Alberti 1612.

Galilei per le voci scientifiche

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Il Vocabolario profonde avversioni e

innumerevoli polemiche

uno strumento indispensabile agli scrittori

la laboriosa unificazione linguistica e politica del paese

contro Torquato Tasso ed i suoi sostenitori