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8/16/2019 La Prescri Zi One
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LA PRESCRIZIONE
Questo articolo è la continuazione del mio precedente: "Sentenza
Eternit. Quando le parole non sono pietre" pubblicato su Città
Futura, Corriereal, Appunti Alessandrini. Il reato di disastro am-
bientale doloso e permanente più grave accaduto in Italia negli ul-
timi decenni (tremila morti, per ora, a Casale soprattutto, Cava-
gnolo, Rubiera e Napoli: una strage), dopo i processi di primo
grado e di appello svoltisi a Torino, si era concluso con la con-danna dell'imputato Stephan Schmidheiny, condanna cancellata
dalla Corte di Cassazione il 19/11/14 (due ore di camera di consi-
glio!), conformemente alla richiesta del P.G. e della difesa
dell'imputato, per prescrizione senza rinvio, eliminando pertanto
la condanna a 18 anni inflitta all'imputato, i risarcimenti alle vitti-
me (30000 euro a testa) e agli Enti, l'obbligo di bonifica, il risar-
cimento di 280 milioni all'INAIL per le prestazioni ai lavoratori
colpiti. Infatti la prescrizione di 15 anni è stata fatta iniziare dal
4/6/86, quando per decreto è stata chiusa la fabbrica su istanza di
autofallimento, per cui i due processi non avrebbero dovuto nep-
pure essere celebrati. Il 23/2/15 sono state depositate le Motiva-
zioni.L'ETERNIT A CASALE
Da una parte dunque abbiamo Casale (e altri luoghi), dove per 80
anni ha funzionato l'Eternit, fabbrica di vari manufatti di amianto,
la cui inalazione produce varie tipologie di cancro al polmone, la
più grave delle quali, il mesotelioma pleurico (incurabile) ha
un'incubazione che può arrivare fino a 40 anni. L'amianto, pur
avendosi la certezza negli ambienti scientifici della sua pericolosità
fin dagli anni '50, è stato lavorato senza alcuna precauzione né
all'interno né all'esterno della fabbrica: vi giungeva dalla stazione
con un trenino scoperto; gli aspiratori pompavano la polvere dallo
stabilimento all'esterno; i sacchi di amianto venivano travasati a
mano nelle tramogge e nelle molazze; la frantumazione dell'a-
mianto era eseguita manualmente a cielo aperto nel cortile; il tra-
sporto dell'amianto dalla fabbrica ai quattro magazzini e alle disca-
riche avveniva con camion scoperti; gli operai avevano una sola
tuta che portavano a casa a lavare; nelle discariche le ruspe fran-
tumavano i manufatti inutilizzabili, alzando un'enorme quantità di
polvere; questa veniva usata dai casalesi, ignari, per coprire i sotto-
tetti e i cortili delle case e delle cascine; i filtri consumati, di 2 me-
tri per 6, venivano messi sulle tettoie; sui cumuli di polverino
ammonticchiati dovunque giocavano i bambini; l'acqua per lavare
lo stabilimento e i macchinari finiva in un canalino che sfociava
nel Po: l'amianto bagnato è innocuo, ma si depositava sulla spon-
da destra del fiume, asciugandosi; si credeva che l'amianto mesco-
lato al cemento che formava le .lastre per i tetti non fosse perico-
loso: ma dura 30 anni, poi gli agenti atmosferici lo sbriciolano e il
polverino si sparge; il vento prevalente a Casale si muove dalla
fabbrica verso il centro. Tutto questo accadeva ancora negli anni
'70 e '80, fino alla chiusura.
Prima sono morti molti operai della fabbrica, che lavoravano sen-
za nessuna protezione, 200 (minimo, perché spesso le vedove ri-
fiutavano l'autopsia); nel 1997 i morti contati erano 400; nel frat-
tempo cominciano a morire i cittadini (il 90% degli estinti: Bruno
Pesce, coordinatore dell'AFeVA) che in fabbrica non erano mai
entrati, che abitavano nei dintorni; poi altri, di Casale e dei borghi vicini. Oggi il numero accertato è 3000 morti, più quelli che ver-
ranno: si calcolano 80 nuovi malati l'anno, a salire, fino al 2025.
Una città distrutta: aggiungiamo il dolore dei familiari e il terrore
continuo di tutti gli abitanti di ammalarsi.
Quanto sopra esposto è tratto da un importante libro, che racco-
glie le testimonianze di operai, familiari, medici, sindacalisti,
membri dell'AFeVA (MORIRE D'AMIANTO, a c. di Mirco
Volpedo e Davide Leporati, La Clessidra Editore, Genova, 1997),
e racconta e documenta vent'anni di lotta sostenuta per ottenere
via via le ispezioni dell'Ispettorato del Lavoro (87 ore di sciopero
nel '76 per chiedere un'indagine ambientale in fabbrica, eseguita
l'anno successivo) e un adeguato controllo sanitario dei lavoratori;la perizia del geniale prof. Salvini di Pavia il quale, vedendo la
fabbrica per l'occasione tirata a lucido, trovò dovunque tracce di
polvere d'amianto usando un pennello; la lunga vertenza affinché
l'INAIL riconoscesse il mesotelioma come malattia professionale;
il censimento dei siti promosso dal compianto e benemerito sin-
daco Riccardo Coppo, che emise persino due ordinanze nell'87 e
nell'89 vietando l'impiego di manufatti d'amianto nell'edilizia, e
precorrendo così l''ottenimento della legge del 27/3/92, che vieta
la produzione e il commercio dell'amianto in tutta l'Italia. I giudi-
ci della Corte di Cassazione avranno sicuramente letto il libro.
L'IMPUTATO
Dall'altra parte abbiamo l'imputato Stephan Schnidheiny, mem-bro di una secolare miliardaria dinastia svizzera di industriali, che
diventa, trentenne, definitivamente, l'erede dell'Eternit nel 1977
(l'Eternit faceva già parte del gruppo svizzero dal 1939, insieme a
un gruppo belga, il cui proprietario, coimputato, è morto
novantaduenne durante il processo. Non si sa se prima di obbe-
dire al padre, il rampollo abbia visitato la fabbrica di Casale, che si
trovava in uno stato disastroso. E' certo invece che a giugno del
'76 aveva organizzato una conferenza di industriali a Neuss, in cui
riferiva all'uditorio che l'amianto blu (crocidolite, il più pericolo-
so) era stato vietato in molti paesi perché induceva tumori, in par-
ticolare il mesotelioma pleurico: i lavoratori svizzeri dell'Eternit
vennero informati immediatamente del rischio del cancro e del
mesotelioma; quelli italiani vennero mendacemente rassicurati
(prova del dolo diretto e consapevole?). In Svizzera la produzione
dell'amianto fu abbandonata dall'Eternit nel 1978 (La Stampa
6/3/13). Nonostante ciò, Schmidheiny ometteva di adottare le
misure di sicurezza obbligatorie nello stabilimento di Casale, quel-
le elencate a p. 4-5 delle Motivazioni della Sentenza della Corte di
Cassazione (reato estinto per prescrizione già al primo processo),
e seguite dall'elenco numerico dei 2215 morti e dei 665 malati. Il
P.G. della Cassazione Iacoviello nella sua requisitoria lo definisce
"un criminale miliardario che non ha neppure un segno di umani-
tà e prima ancora di rispetto per le sue vittime" (Diritto Penale
Contemporaneo 21/11/2014).
L'ART. 434 C.P.
In mezzo c'è l'art.434 del Codice Penale, in virtù del quale
Schmidheiny è stato condannato in primo e secondo grado dal
tribunale di Torino per danno ambientale doloso permanente.
Tuttavia l'art.434 risale al Codice Zanardelli (1889), ripreso dal
Codice Rocco (1930), e parla di "disastro innominato" e di "altro
disastro", formule obsolete e indeterminate, in quanto non defini-
scono cosa si intenda per altro disastro e tanto meno cosa signifi-
chi innominato. E così questo articolo, già fumoso, laconico e in-
sensato di suo, è stato utilizzato dopo più di cent'anni, e dilatato,
in mancanza di altro, per giudicare eventi spaventosi dei nostrigiorni: Seveso, Porto Marghera, Ilva di Taranto, Enichem Monte
Sant'Andrea, terra dei fuochi, Eternit, ecc., suscitando interpreta-
zioni diverse e pronunciamenti diversi della Cassazione (Elisabet-
ta Vinci, Il disastro ambientale. EXEO 27/5/2014).
Al cittadino ignaro di diritto penale desta sorpresa il fatto che nel-
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la sentenza Eternit i morti siano scomparsi: non ci sono. Lo am-
mette il Comunicato stampa della Cassazione il giorno successivo
alla sentenza: "Oggetto del giudizio era esclusivamente il disastro
ambientale, la cui sussistenza è stata affermata dalla Corte, che ha
dovuto però prendere atto dell'avvenuta prescrizione del reato.
Non erano quindi oggetto del giudizio i singoli episodi di morti e
patologia sopravvenute, dei quali la Corte non si è occupata"
(DPC 21/11/14). Infatti nel reato di disastro ambientale i morti
non sono contemplati: anche se costituiscono nel caso Eternit la
conseguenza più grave di esso. Per usare un paradosso privo di valore giuridico, i morti hanno sbagliato: avrebbero dovuto morire
dentro la fabbrica prima che ne fosse decretata la chiusura.
DIRITTO E GIUSTIZIA
Nel giustificare la sua richiesta di applicare la prescrizione, e forse
per motivare l'enormità di aver dovuto accantonare 3000 tra morti
e malati, pur elencati con nome e cognome negli Allegati delle
Motivazioni, il P.G. Iacoviello ha affermato: "L' imputato è re-
sponsabile di tutte le condotte che gli sono state ascritte, ma il
giudice sottoposto alla legge, tra diritto e giustizia deve sempre
scegliere il diritto. La prescrizione non risponde a esigenze di
giustizia, ma ci sono momenti in cui diritto e giustizia vanno da
parti opposte" (Il Sole 24 ore 24/11/149).Tale "filosofia" è stata rispettosamente criticata da Zagrebelsky: "E'
però lecito chiedersi se non c'era davanti ai giudici una scelta ra-
gionata e seriamente documentabile che mettesse d'accordo dirit-
to e giustizia. Alla nostra Cassazione è mancata la capacità di af-
fermare un diritto che non oltraggia la giustizia (La Stampa
20/11/14). Analogamente Renato Balduzzi: " Opporre giustizia a
diritto o diritto a giustizia mi è sempre parso poco saggio, non
consono a uno Stato Costituzionale di diritto. L'applicazione della
prescrizione al caso dell'amianto configura un vero e proprio di-
niego di giustizia (La Stampa 20/11/14). Carlo Federico Grosso
commenta: " Se per effetto del disastro si verifica la morte o la ma-
lattia di qualcuno, con il delitto di disastro concorrono quelli diomicidio e di lesioni personali tanti quante sono le persone uccise
o comunque offese; il disastro si consuma finché gli effetti del di-
sastro si siano esauriti, fino all'ultimo decesso "(Corriere della sera
21/11/14), in altri termini: la prescrizione non era applicabile.
Gian Carlo Caselli osserva: " E' difficile liberarsi dalla brutta sen-
sazione che i magistrati della Cassazione abbiano deciso asettica-
mente, burocraticamente, soltanto sulle carte. Oltre le carte c'è la
realtà di tutti questi morti, del dolore, delle vite spezzate (Il Fatto
Quotidiano 21/11/14).
Iacoviello ha applicato il sistema binario di Leibniz, ignorando la
dialettica di Hegel: nella dicotomia diritto-giustizia il primo rap-
presenterebbe il vero, il reale, il concreto, mentre la seconda l'u-
topico, l'irreale, l'astratto. Invece si tratta del contrario: il diritto è
fatto di parole, manipolabili a piacere come facevano i sofisti
all'epoca di Socrate (parole non eterne, perché la lingua è prodot-
ta dalla società e cambia col passare del tempo), la giustizia è fatta
di vita. La realtà sono i morti, non l'insulso art. 434 del c.p.
Memorabile e attuale il monito di Piero Calamandrei: " Le leggi
sono vive perché dentro queste formule bisogna far circolare il
pensiero del nostro tempo, lasciarvi entrare l'aria che respiriamo,
mettervi dentro i nostri propositi, le nostre speranze, il nostro
sangue e il nostro pianto. Altrimenti le leggi non restano che
formule vuote, pregevoli giochi da legulei; affinché diventino san-
te, vanno riempite con la nostra volontà" (Arringa al Tribunale di
Palermo in difesa di Danilo Dolci, 30/3/1956).
IL REATO E GLI EFFETTI DEL REATO
L'affermazione più forte della Cassazione per applicare la prescri-
zione e cancellare i 3000 morti, come sottolineato da tutti i giorna-
li, è stata: " Il Tribunale ha confuso la permanenza del reato con
la permanenza degli effetti del reato; la Corte di appello ha inopi-
natamente aggiunto all'evento costitutivo del disastro eventi rispet-
to ad esso estranei ed ulteriori, quali quelli delle malattie e delle
morti, costitutivi semmai di differenti delitti di lesioni e di omici-
dio (Motivazioni p.77). A parte il cinismo involontario di quell'
"inopinatamente", sfugge la netta separazione tra reato e effetti del
reato. Se un'industria farmaceutica vende un farmaco letale, deve
pagarne le conseguenze anche a distanza di anni; se un automobi-
lista dolosamente investe un pedone che muore successivamente,il suo reato passa da lesioni a omicidio colposo; se il proprietario
di un fondo lascia un pozzo scoperto e un bambino vi cade den-
tro, ne deve rispondere penalmente. Bruno Pesce cita i morti do-
po molto tempo a causa della radiazioni di Hiroshima e Nagasaki.
Per la Cassazione invece il reato è cessato quando l'imputato ha
chiuso la fabbrica, applicando pertanto la prescrizione, essendo
trascorsi i 15 anni previsti dalla Legge ex Cirielli. Riguardo ai
morti, la Cassazione tralascia l'epidemia, dimostrata dall'escalation
dei decessi: da 200 a 3000 in quarant'anni, che continua inesora-
bile. Non è un'epidemia di formiche o di morbillo: si tratta di me-
sotelioma provocato dall' amianto che ha ricoperto per decenni
una città. Oltretutto, quando l'imputato ha chiuso la fabbrica, l'haabbandonata senza precauzioni con vetri rotti, tonnellate di a-
mianto sparse per ogni dove, in balia di tutti i venti. Solo nel 2001
è iniziata la bonifica, a spese degli Enti Locali. L'abbandono sen-
za misure cautelari non è condotta punibile come reato perma-
nente? (Claudio Debetto in DPC 24/11/14).
LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA
Passo ora ad esaminare le Motivazioni della sentenza della Cassa-
zione, depositate il 23/2/2015: alcune parti soltanto, inevitabil-
mente; la cosa migliore sarebbe tradurla in italiano dall'antilingua
in cui è scritta, ma è un'impresa superiore alle mie forze.
Vi troviamo, riassunti: i giudizi di merito, la storia dell'Eternit, la
sentenza di primo grado e quella di appello (pp. 4-22) esposti initaliano di registro alto ma comprensibile. Poi l'antilingua dei ri-
corsi degli avvocati dell'imputato e delle società coinvolte (pp.22-
52 e 57-59), consistenti in asserite violazioni di diritti di difesa, di-
storsioni, violazioni di legge, illegittimità, inosservanze, censure,
doglianze, in parte respinte dalla Corte, a cominciare dalla richie-
sta di rigetto (immancabile) della competenza del Tribunale di
Torino. in quanto condizionato dalle pressioni emotive (lo credo:
2215 morti e 665 moribondi). La difesa dell'imputato si impegna
soprattutto a demolire le indagini epidemiologiche (lo credo: l'e-
pidemia con dolo diretto prevede l'ergastolo, art.438 c.p.); poi a
fare un' inestricabile deliberata confusione sulle date in cui l'impu-
tato è diventato proprietario o "effettivo gestore"(p.33) dello stabi-
limento; denuncia torti subiti come le dilazioni rifiutate dal Tri-
bunale di Torino, il quale ha rigettato la richiesta della difesa di
sentire le testimonianze delle 6300 parti civili (DPC 13/2/12), e
quella di rinvio per la traduzione di 400 documenti in lingua tede-
sca (p.27).
Afferma ancora la difesa che la situazione degli stabilimenti italia-
ni era catastrofica (p.37); ma allora perché Schmidheiny non li ha
chiusi, come ha fatto con la fabbrica svizzera? Evidentemente ha
sopravvalutato la robustezza dei polmoni degli operai e dei citta-
dini casalesi. Però la difesa tace sul caso della giornalista casalese,
ora radiata dall'Ordine, che dal 1984 al 2005, fingendosi attivista
dell' AFeVA, spiava le mosse degli avvocati di parte civile. Al
processo di Torino è risultato che riceveva un compenso mensile
da un'agenzia ingaggiata dall'imputato per carpire informazioni; la
domanda è: chi le utilizzava? (La Stampa 5/12/14).
LA SENTENZA
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La parte che meglio risponde alla caratteristiche dell'antilingua
giuridica deprecate da Bice Garavelli Mortara, è la sentenza vera e
propria (pp. 60-86, meno di quelle dedicate alla difesa). Ci sono
tutte, applicate con coerenza e rigore. Spiccano i periodi lunghis-
simi irti di subordinate, sintassi contorta, abuso di tecnicismi e di
tecnicismi collaterali. Lo scopo principale di queste 26 pagine
mira a giustificare non la scelta, per la Cassazione ovvia, di appli-
care la prescrizione (pur trattandosi, a parere di don Luigi Ciotti,
di una vera e propria "strage" (Libera nov.1914); (certo non in
senso giuridico perché manca "il fine di uccidere" previstodall.art.422 c.p.), bensì la data della decorrenza della prescrizione,
individuata nel giorno di chiusura della fabbrica, della quale
Schmidheiny cessa di essere "l'effettivo gestore".
La lettura delle pagg.62-72 mi ha prodotto una strana sensazione:
esse consistono, pur con i doverosi e complessi distinguo, una li-
sta di accuse all'imputato: l'epidemia causalità collettiva e non in-
dividuale, il disastro interno (alla fabbrica) ed esterno (la popola-
zione) (p.62); lo spostamento in avanti della consumazione del re-
ato, disastro ancora in atto contro la pubblica incolumità (p.64);
nel disastro innominato possono essere ricondotti eventi che pos-
sono realizzarsi in un arco di tempo anche molto prolungato; le
immissioni tossiche incidono sull'aria respirabile: l'effetto è un'a-zione realizzata mediante violenza (p.66, con tagli); il processo
produttivo che libera sostanze tossiche è violenza; reato aggravato
dall'evento (p.67).
Poi però la Corte introduce una distinzione fra primo e secondo
comma dell'art.434, per cui non si può parlare di epidemia per-
ché mancano "i germi" (p.67: letterale!); affermando che il dolo è
intenzionale rispetto al disastro ed eventuale rispetto alla pubblica
incolumità (p.68): già qui si intuisce dove vuole arrivare. A p.72,
infatti, la Corte di Cassazione conclude il paragrafo: "la realizza-
zione dell'evento disastro funge da elemento aggravatore, ma la
data di consumazione del reato comunque coincide con il mo-
mento in cui l'evento si è realizzato". Tutto l'inghippo sta nel "ma"e nel "comunque" che sono connettivi : parole, perlopiù congiun-
zioni o avverbi, che uniscono con legame logico o sintattico due
frasi; il loro numero è ovviamente maggiore nell'ipotassi (periodi
lunghi con tante subordinate), dunque frequenti nel linguaggio
giuridico (li ha studiati a lungo Bice Mortara Garavelli, Le parole
e la giustizia, Torino, Einaudi, 2001). I connettivi possono diven-
tare pericolosi quando esprimono causalità, spacciando per vero
ciò che talvolta è solo opinabile. Se leggo " Il tram aveva un sedile
bagnato perciò è deragliato", chiunque capisce che "perciò" non ha
senso. Ma se leggo: " Il legislatore ha inteso delineare una fatti-
specie a consumazione anticipata, sottraendola alle regole generali
della disciplina del tentativo, così rendendo, tra l'altro, irrilevanti
le evenienze del 3° e 4° comma dell'art.56 e strutturando quindi
alla stregua di fattispecie aggravata l'ipotesi dell'evento realizza-
to"(p.69), come faccio a capire se i due connettivi "così" e "quindi"
sono usati correttamente? La sentenza della Cassazione è quasi
tutta scritta in questo modo, alla faccia di Sabino Cassese che rac-
comandava "per la composizione della frase, si adotti lo schema
semplice soggetto, verbo, complemento" (ancora Bice Garavelli
Mortara, op. cit. p.86).
La Cassazione propone poi una serie di distinguo tra commissio-
ne, perfezione e consumazione del reato. A tale proposito mi
sembra decisivo l'editoriale di Luca Santa Maria "Il diritto non
giusto non è diritto ma il suo contrario" (Rivista Diritto Penale
Contemporaneo n.1,2015), perché si immerge nella Sentenza,
confutandola. Questo editoriale andrebbe letto integralmente;
provo a coglierne il nocciolo, semplificando e inevitabilmente im-
poverendolo. Luca Santa Maria nega che la prescrizione fosse l'e-
sito scontato, perché la Corte muove dalla distinzione - di origine
puramente dottrinale - tra "perfezione" e "consumazione" del rea-
to, dove la consumazione coinciderebbe con il momento in cui si
chiude la fabbrica, perché la massima gravità si avrebbe al verifi-
carsi dell'evento: quando cessa l'immissione delle fibre di amianto
non c'è più. Ma questa è una mera congettura. Il punto debole sta
nell'aver considerato come evento di disastro l'abbancamento
dell'amianto nelle aree esterne, e non nella dispersione dell'a-
mianto dovunque per interi decenni. Eppure la stessa Corte aveva
correttamente riconosciuto l'evento del disastro proprio nell'im-mutatio loci (alterazione dello stato dei luoghi, delle cose, delle
persone: la devastazione del territorio), provocata dalla contami-
nazione dell'aria quando gli impianti erano attivi. Questa conce-
zione dell'evento di disastro ambientale accolta nella prima parte
della Sentenza, avrebbe dovuto fissare il calcolo della prescrizione
molti anni dopo la chiusura degli stabilimenti, dal momento che
l'abbandono degli impianti aveva ancora aumentato la quantità di
amianto dispersa nell'aria. Inoltre la tesi della Corte secondo cui
il momento consumativo sarebbe segnato dal massimo aggrava-
mento dell'evento, è priva di riscontri normativi e del tutto immo-
tivata. Finché l'evento è in divenire, prosegue quell'immutatio loci
nella quale la stessa Corte identifica l'evento del delitto.Se l'analisi di Luca Santa Maria è ineccepibile, va respinta l'affer-
mazione della Corte che il Tribunale ha sbagliato nel determinare
lo spostamento della consumazione del reato sino alla cessazione
degli effetti oggettivi dell'evento stesso (p.75): non dimentichiamo
che questi "effetti oggettivi" sono 3000 morti; non stanno senten-
ziando della distruzione di un fienile.
Guglielmo Passacantando rileva che il momento causativo del di-
sastro non può consistere nella cessazione della condotta (la chiu-
sura della fabbrica), bensì al protrarsi nel tempo dell'evento di
danno che, essendo certamente ricollegabile alla condotta volon-
taria e consapevole dell'agente (l'imputato), non può considerarsi
un semplice effetto permanente di un reato già causato (DPC11/12/14).
Altra affermazione incredibile della Corte è che il disastro inno-
minato si fonda sulla pericolosità, la quale è "soltanto un giudizio
quantitativo di probabilità o possibilità che ad un fatto ne segua un
altro" e non può protrarsi oltre la cessazione del pericolo (pp.76-
77), probabilmente identificandola nella chiusura della fabbrica,
"perché non si deve confondere il pericolo con gli effetti che ne
sono derivati". Forse ai magistrati della Cassazione sarebbe stata
utile una visita guidata a Casale e agli archivi dell'AFeVA: la verità
sta nella vita non nelle carte. Disse Molière ai notabili della sua
epoca: "Avete fatto della legge morale un elastico, che ciascuno
tira dove vuole" (dall'omonimo film di Ariane Mnouchkine del
1978).
Un'altra affermazione mi lascia perplesso: la mancata bonifica dei
siti non è una condotta omissiva, perché tale obbligo non esiste, e
trasformerebbe un reato istantaneo in un reato permanente
(p.78). Qui intravedo uno strano sillogismo: 1. La mancata boni-
fica ha provocato altri morti 2. L'imputato non era obbligato alla
bonifica 3. L'imputato non è responsabile dei morti.
Segue un implicito rimprovero ai Tribunali di Torino di non aver
contestato all'imputato anziché l'art.434 i reati di lesioni e omicidi.
Quello commesso a Casale e in altri luoghi è un reato di disastro
ambientale doloso e permanente, e la contestazione dei morti è
presente laddove si citano le indagini epidemiologiche: che quella
in corso a Casale sia un'epidemia provocata dall'inalazione delle
polveri di amianto è un dato statistico, la cui enorme evidenza
non richiede dimostrazione; basti pensare alla spaventosa escala-
tion, che coinvolge tuttora la popolazione.
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Ma immaginiamo invece un altro processo, per omicidio colposo,
dove i periti del P.M., dei difensori, delle parti civili si accapiglia-
no su ogni parola scritta nel referto di ciascuna vittima dell'I-
NAIL, contestandone la validità. Quando sarebbe terminato?
Mai. Caselli constata che quattro anni per i tre gradi di giudizio
del processo Eternit sono un miracolo di brevità. Inoltre il meso-
telioma pleurico è un tumore la cui causalità è molto complessa:
si veda a proposito l'esaustiva indagine condotta dalla Fondazione
Maugeri di Pavia nel 1997 "Mesotelioma: aspetti medico-legali", a
cui rimando. Tale complessa causalità è una manna per gli avvo-cati della difesa.
L'ultima parte della sentenza è dedicata soprattutto alla immutatio
loci e all'epidemia, tuttora in corso, da essa provocata: in effetti
questo è il punto debole che inficia, secondo l'analisi di Luca San-
ta Maria sopra riassunta, la prescrizione. Con l'epidemia i morti,
non previsti dall'art. 434, ricompaiono. La Corte accusa il Tribu-
nale di aver confuso reato permanente, reato istantaneo a condot-
ta perdurante, evento differito, effetti permanenti, perdurare della
condotta, spostamento della consumazione del reato sino alla ces-
sazione degli effetti, per cui il reato si consuma "quando la perso-
na offesa guarisce"(p.75, con tagli miei): nove tecnicismi in un solo
periodo per arrivare a una conclusione tanto volutamente para-dossale quanto macabra. Secondo la Corte l'immutatio loci con-
siste in una probabilità statistica di proiezione di rischio per la
pubblica incolumità (p.83). Non di rischio si tratta: tutti coloro a
cui viene diagnosticato il mesotelioma sanno che entro breve
tempo moriranno.
COSA AVREBBE POTUTO FARE LA CORTE DI CASSA-
ZIONE (OPZIONI)
1. Dichiarare la prescrizione inapplicabile a un disastro ambienta-
le di queste proporzioni e conseguenze.
2. Spostare la data dell'inizio della prescrizione al comprovato ul-
timo decesso.
3. Disporre il rinvio al Tribunale, con una o più motivazioni ascelta; per esempio chiedendo di trasformare il reato di immuta-
tio loci e quindi di epidemia, in omicidio colposo plurimo, per il
quale l'art.589 c.p. prescrive la procedibilità d'ufficio.
4. Rinviare la decifrazione dell'art.434 alle Sezioni Riunite della
Corte di Cassazione.
5. Poiché i reati ambientali sono un tema di enorme complessità,
e le Sezioni della stessa Corte di Cassazione si sono pronunciate
in processi simili in modo diverso, chiedere l'intervento della Cor-
te Costituzionale.
La Corte giustamente lamenta la lentezza della risposta politica
sui reati ambientali e l'inadeguatezza delle norme in vigore. Dato
che la nuova auspicata legge sui reati ambientali (predisposta dal
governo dell'Ulivo nel 1999 e bloccata dai governi successivi), do-
po l'approvazione della Camera, era in discussione al Senato, in
prima lettura il 26/2/14, approvata definitivamente il 28/5/15(G.U.), la Corte stessa avrebbe potuto tenerne conto e farsi venire
qualche dubbio sulla legittimità della data di inizio dell'applicazio-
ne della prescrizione. Va sottolineato che la nuova legge raddop-
pia i tempi di prescrizione, aggrava le pene, impone la bonifica, la
cui omissione diventa un ulteriore reato, introduce il reato di e-
vento al posto del reato innominato, prevede la confisca dei beni,
punisce l'impedimento del controllo, diventa reato l'offesa alla
pubblica incolumità, prevede aggravanti ecc. In sostanza, il contra-
rio di quanto ha stabilito la Corte. In uno stato democratico le
leggi sono tuttora fatte dal Parlamento e non dalla Magistratura.
Concludo col lapidario giudizio di Bruno Pesce: "I giudici della
Cassazione non hanno voluto tenere conto che il disastro è anco-ra in essere nelle cause e negli effetti", da cui ho tratto il filo logico
del mio articolo.
Inquietante il rilievo del giudice Andrea Natale: " C'è però un pas-
saggio della Requisitoria del Procuratore Generale che non a-
vremmo voluto leggere:" per il disastro innominato occorre che
intervenga il legislatore altrimenti ci troveremmo molti imprendi-
tori in Corte d'Assise" (p.19).
"Ma quest'ultimo passaggio si rivela infelice per due motivi:
1. perché sembra tradire un risultato da perseguire con l'interpre-
tazione della legge: la protezione di un certo tipo di imputato;
2. perché nessuna norma garantisce l'immunità agli imprenditori
rispetto alle Corti di Assise"(Questione Giustizia, fascicolo 3 2015).
Elvio Bombonato
Riportiamo
qui
questi
due
articoli,
pubblicati
su
Città
Futura,
che
Elvio
Bombonato,
di
Alessandria,
cortesemente ci ha inviato e che, inoltre, ringraziamo
sentitamente.
Sono testi molto approfonditi e molto utili per
un'analisi della sentenza della Corte di Cassazione sul
processo Eternit. (AFeVA)