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UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET ASSOCIATION INTERNATIONALE SANS BUT LUCRATIF
BRUXELLES - BELGIQUE
THESE FINALE EN “COUNSELLING SCOLASTIQUE”
LA NARRAZIONE CREATIVA DI SE’
La tecnica narrativa come strumento di crescita
Relatore: D.ssa Roberta Frison
Specializzanda: D.ssa Daniela Vecchi Matr. 2414
Bruxelles, Octobre 2010
ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES DANIELA VECCHI - SST EN COUNSELLING (3° anno) A.A. 2009/2010
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INDICE DEGLI ARGOMENTI
Introduzione………………………………………………………………........5
Una premessa artistica: la pittura come racconto di sé……………………….11
1. Lo scambio tra esseri umani dà vita a storie, narrazioni…………………..13
2. Le risorse del Counsellor: il sentire e l’agire………………………………19
2.1 La prima risorsa: cosa significa empatia?...................................................19
2.2 Nel contesto scolastico……………………………………………………21
2.3 La seconda risorsa: non si può non comunicare…………………….…….26
2.4 Torniamo a scuola. Qualità e ruolo del Counsellor…………………….….31
3. La narrazione creativa……………………………………………………...35
3.1 Anatomia del racconto……………………………………………………37
3.2 La narrazione nel contesto educativo……………………………………..40
3.3 Educare a pensare…………………………………………………………44
4. Che la storia abbia inizio!.............................................................................47
4.1 Raccontare per conoscersi………………………………………………...48
4.2 Raccontare per conservare la memoria delle antiche tradizioni……… ….55
4.3 Raccontare per stimolare la fantasia e l’immaginazione…………… ……59
4.4 Raccontare i distacchi……………………………………………….…….60
4.5 Gli adulti si raccontano. La narrazione autobiografica……………….…..79
5. Conclusioni………………………………………………………………...89
Bibliografia…………………………………………………………………...95
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INTRODUZIONE
Scrivendo questo studio sul Counselling scolastico mi sono chiesta quale doveva
essere un compito importante, fra i tanti che la scuola ha, sul quale investire le
maggiori risorse ed energie; quale utile strumento, che non finisse nella soffitta
delle cose dimenticate, poteva fornire per accompagnare nel corso della vita i
propri studenti. La risposta che ho trovato è questa: una buona educazione
affettiva ed emozionale che aiuti i ragazzi ad affrontare le tappe della vita in modo
consapevole e maturo, che li porti a diventare individui responsabili nei confronti
di se stessi e degli altri.
Compito sicuramente non facile considerando la crisi globale che sta vivendo
l’uomo contemporaneo: crisi di valori, di credenze, di ideali, di relazioni, ma
proprio per questo, forse, anche l’unico punto fermo che veramente conta per
ritrovare la propria identità. Laddove le relazioni si intensificano, le possibilità di
comunicazione diventano ipertrofiche e l’intero universo sembra collegarsi in rete,
l’uomo, per contro, pare involvere in una dimensione di profonda solitudine,
avvinto in una morsa di falsa sicurezza, dominato da un sentimento di Paura
dell’Altro, sentimento che, nel suo accompagnare fedelmente il cammino
dell’uomo nei diversi cicli storici, lo sta ora conducendo verso l’isolamento e
l’estraniamento, in primo luogo da sé.
La strada del ritorno a casa, a mio avviso, la si può rinvenire innanzitutto nella
riscoperta della propria interiorità e individualità che necessariamente passa da
una solida educazione alla conoscenza delle proprie emozioni, dal saperle
riconoscere, accogliere e gestire per riuscire a navigare con sicurezza nel grande
mare dei rapporti umani. E il passo successivo consiste, dotati di questo solido
bagaglio, nell’aprirsi all’altro, alla Relazione, riconoscendo che la vita dell’uomo
come individuo acquista significato solo nella consapevolezza della totale
interconnessione tra tutti gli elementi di un sistema, nel mutuo integrarsi di una
parte all’altra, nella perenne ricorsività dello scambio.
Occorre maturare una visione ecologica dell’esistenza che conduca a superare le
barriere di quell’individualismo solipsistico che oggi risulta essere un approccio al
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mondo che limita e restringe l’orizzonte della crescita umana. L’uomo, che ha
nutrito le sue radici con la conoscenza di sé e lo sviluppo delle proprie risorse
interiori, può generare frutti che sono impregnati di responsabilità e altruismo,
inteso come propensione all’altro, all’ambiente che lo circonda.
Ma come si può raggiungere questa meta? Quali strategie può adottare il
professionista alle Relazioni d’Aiuto, Counsellor o Arteterapeuta che sia, per
facilitare e stimolare questo importante processo di crescita?
Tante sono le possibili risposte, l’Arte è una di queste. Essa, per sua natura, tende
la mano al nuovo, consente di intrecciare relazioni al di fuori dell’ottica globale
imperante, allarga la visione su infiniti mondi possibili, suggerendo, così, una
concreta possibilità di cambiamento.
L’arte si coniuga in infinite forme e abbraccia tutti i campi della sensorialità e
della cognizione; l’uso, spesso anche miscelato, di tutti questi linguaggi
costituisce, a mio avviso, lo strumento del mestiere privilegiato di colui che opera
all’interno delle Relazioni d’aiuto, sia in ambito educativo che terapeutico. E
proprio da questo assunto di partenza, sostenuto anche dalla mia prevalente
formazione arte terapeutica, prende le mosse lo studio presentato in questa tesi,
che si propone di indagare le possibilità di operare all’interno delle relazioni
umane combinando, (ma potrei dire meglio: contaminando) le risorse canoniche
del Counsellor con gli strumenti espressivi grafico-pittorici, ritenendo
estremamente efficace e indissolubile questo connubio.
In particolare, l’attenzione si è concentrata su una metodica di grande fascino e
duttilità, che il Counsellor-Arteterapeuta può applicare nel contesto scolastico: la
narrazione.
Il metodo narrativo è molto efficace e ha diverse valenze: nella scuola stimola i
ragazzi al racconto, alla conoscenza delle proprie emozioni, all’ascolto dei
racconti altrui.
Nell’adulto è il pretesto per fare il punto della situazione, per tirare le fila riguardo
a nodi che sono presenti e che, nel riattualizzarli, possono essere compresi e
sciolti.
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La narrazione è forse un mezzo elettivo di cui dispone l’uomo per affrontare la
vita, il difficile cammino per conoscere, per superare i propri limiti. Essa è
tradizione popolare, è un sapere molto antico e spontaneo che nel progredire della
Storia è cresciuto e si è evoluto insieme all’uomo. È un mezzo per dare un nome e
rendere comprensibile ciò che è sconosciuto, che spaventa, che perturba: se è
raccontabile viene ad essere ricompreso nell’universo umano. Ha inoltre un
grande potere catartico e trasformativo: nel racconto i ricordi e le memorie si
fondono con l’immaginazione e la creatività, il passato scivola nel futuro, nel
regno del possibile e appaiono soluzioni fino a quel momento ignorate, forse
nemmeno considerate e che, immerse nella fantasia progettuale della nostra
immaginazione narrativa, diventano plausibili e talvolta risolutive. Il passato
diventa un libro le cui pagine mutano continuamente non tanto nell’oggettività di
eventi o azioni accadute quanto nel significato che essi assumono nel nostro
percorso di oggi, nell’essere immersi in una realtà che appare plasmabile, fluida,
forse modificabile per accogliere i nostri bisogni, lenire le nostre ferite, dare un
senso a vissuti che ancora rimangono enigmi irrisolti. Il racconto rende possibile il
dialogo tra ciò è consolidato e ciò che è solo immaginato, potenziale.
Le esperienze che quotidianamente viviamo ci sottopongono ad ogni genere di
prove: non sempre il carico esistenziale è sopportabile, talvolta è necessario
accantonare qualcosa, chiudere delle porte per impedire di perdere totalmente
l’orientamento. Ma come non è possibile progredire in una nuova conoscenza se
prima non si è appreso il passaggio logico precedente, così occorre integrare ogni
esperienza per riconnettere tutte le tessere del puzzle esistenziale e rendere ogni
giorno più consapevole la propria essenza di “persona”.
Raccontare storie serve proprio a questo. Certamente non è l’unico modo e anzi,
ritengo indispensabile e utile la contaminazione dei diversi saperi siano essi
artistici, narrativi, espressivi, come è sostenuto ampiamente in questa tesi. Ma in
qualche modo la narrazione è il metodo più immediato, quello che in modo più o
meno consapevole tutti usiamo ogni giorno per esprimerci, spiegare, dissertare,
sognare, dirigere, ecc; è lo strumento principale per la comprensione e
comunicazione dei significati.
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L’obiettivo di questa tesi, quindi, è di mostrare la straordinaria portata di questo
strumento, quanto sia imbevuto nella vita di ognuno di noi e quanto sia necessario
studiarlo, comprenderlo, svilupparlo, promuoverlo affinché ogni individuo,
bambino o adulto, ne possa conoscere i segreti e i meccanismi per utilizzarlo con
cognizione di causa nella propria vita per crescere, per evolvere, per diventare
migliori, per stare meglio con se stessi e gli altri o in ultima analisi, come meglio
esprime Bruner: “…studiare la narrativa consiste nel comprenderla per meglio
coltivare le sue illusioni di realtà, nel ‘congiuntivizzare’ gli ovvii indicativi della
vita di tutti i giorni”1
Si cercherà inoltre di evidenziare come le forme del narrare siano tante e molto
diverse fra loro; esse possono utilizzare il linguaggio verbale o non verbale e
interessare talvolta diversi canali sensoriali, ma tutte sono accomunate
dall’obiettivo di esplicitare e rendere comprensibile fatti, eventi, vissuti,
esperienze, sciogliere nodi, educare, intrecciare relazioni; in altre parole, rendere
comprensibile e accettabile l’immensa e complessa trama della Vita.
In modo particolare nelle esperienze di seguito presentate, si è privilegiato l’uso
della narrazione espressiva, vale a dire il racconto di storie in cui il linguaggio
verbale è integrato, quando non sostituito, dal linguaggio espressivo pittorico.
Soprattutto nelle attività svolte all’interno della Scuola, questo si è rivelato un
metodo di grande efficacia, grazie anche al potere di mediazione del canale
espressivo.
Dopo aver esposto le linee di orientamento che hanno sostenuto il mio pensiero
nell’elaborazione di questo studio, di seguito indicherò brevemente i contenuti dei
diversi capitoli.
Il primo capitolo propone una riflessione sul significato e l’importanza della
Relazione nella vita dell’uomo poiché ritengo che debba essere l’assunto di
partenza dal quale origina qualunque discorso o intervento che ha come obiettivo
la persona. L’intreccio delle relazioni costituisce il tessuto connettivo della vita
1 Bruner, J., La fabbrica delle storie, Laterza, Roma-Bari, 2002, p.12
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sociale. Si delinea, pertanto, la cornice epistemologica che dà significato alle
proposte progettuali e di attività presentate nella tesi.
Il secondo capitolo traccia il profilo della figura del Counsellor, quali compiti ha,
quali le conoscenze che deve avere, di quali strumenti deve disporre per svolgere
al meglio il suo ruolo di attivatore di processi trasformativi. In particolare ci si
sofferma sulla Comunicazione e l’Empatia che vengono indicati come gli
elementi fondamentali della professione del Counsellor, elementi che giocano un
ruolo da protagonista sia nella sua formazione che nell’esercizio della professione;
di essi vengono forniti altresì alcuni approfondimenti teorici per meglio orientare
il lettore nella necessaria connessione con il pensiero degli autori cui si fa
riferimento in questo lavoro. Viene poi analizzato il contesto scolastico che
rappresenta l’ambito applicativo principale dei laboratori proposti in questa tesi in
cui ha operato il Counsellor-Arteterapeuta.
Il terzo capitolo introduce al tema della Narrazione, lo strumento che, fra i tanti a
disposizione del Counsellor, viene scelto come preferenziale per individuare
possibili percorsi educativi da applicare nei diversi contesti a partire da quello
scolastico. L’autore cui ci si è maggiormente ispirati per questa trattazione è
Jerome Bruner, padre fondatore del metodo narrativo, di cui si propone una sintesi
del pensiero.
Infine nel capitolo quarto si descrivono alcune esperienze di interventi fatti
all’interno delle scuole dove è stato applicato il metodo narrativo declinato in
varie modalità in funzione degli obiettivi da raggiungere. Si conclude il capitolo
con la descrizione anche di un’esperienza extra scolastica fatta con adulti,
utilizzando sempre le tecniche narrative espressive.
Si è inteso dimostrare la grande flessibilità di questa metodologia e come sia utile
ed interessante la combinazione con altre metodologie espressive, in particolare
disegno e pittura.
Una breve nota finale trae le conclusioni e indica i possibili sviluppi di questo
lavoro.
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UNA PREMESSA ARTISTICA: LA PITTURA COME RACCONTO DI SÉ.
“Ci si può raccontare in tanti modi, e ben lo dimostrano gli artisti contemporanei
[…]: l’impronta del corpo, la gestualità, il movimento, la fotografia, la
manipolazione della materia”.
(Astrid Veleck, pedagogista)
L’Arte offre strumenti d’eccezione per raccontare storie: ogni artista è una sorta di
Cantastorie che guidandoci attraverso le immagini che rappresentano il filo rosso
delle sue emozioni, ci conduce nel meraviglioso mondo della narrazione…
Molti grandi artisti hanno scelto di raccontare gli episodi della propria vita, le
emozioni, le sofferenze attraverso l’arte; fra questi Frida Kahlo, pittrice
messicana, ne è un esempio molto significativo. La sua vita fu segnata da eventi
che ne mutarono profondamente il corso. Colpita da poliomielite nell’infanzia, fu
vittima di un grave incidente stradale in giovane età che le fratturò il bacino e la
colonna vertebrale costringendola a lunghi periodi di immobilità, a cure e
interventi spesso dolorosi. Fu in quel periodo che decise di affidare l’espressione
del suo vissuto alla pittura che meglio di qualunque altra forma ha consentito di
documentare in modo efficace e diretto i pensieri, i sentimenti, le frustrazioni che
hanno accompagnato la sua esistenza. Da allora la pittura diventò il suo specchio,
il “diario visivo” che rappresentò il suo personale modo di fare autobiografia.
Se la pittura è un modo così efficace di narrazione anche la pratica arteterapeutica
attinge a questa possibilità. In diverse situazioni il ricorso all’espressione grafica o
pittorica consente di accedere a stati d’animo, sentimenti che non sono definibili
in altro modo. Spesso le parole non sono adeguate, o sono insufficienti o
semplicemente il livello del “sentire” non è sintonizzato con l’espressione verbale.
Accade così che la magia del colore o della forma grafica permette di liberare i
contenuti nascosti, portandoli alla coscienza e di poterli conoscere al fine di agire
in senso trasformativo su di loro.
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Capitolo 1
LO SCAMBIO TRA ESSERI UMANI DÀ VITA A STORIE,
NARRAZIONI.
La relazione non è interna alla singola persona. È un non senso parlare di
“dipendenza” o di “aggressività” o di “orgoglio”, e così via. Tutte queste parole
hanno le loro radici in quel che accade tra persone e non in qualcosa che sta
dentro la persona…la relazione viene per prima, precede”(Bateson)2
Gregory Bateson, scienziato epistemologo vissuto nel secolo scorso, segna una
tappa importante nella storia della conoscenza. Egli, in contrasto con la visione
meccanicistica che identifica la Realtà come una concatenazione di causa-effetto,
propone una lettura olistica del mondo, in cui ogni parte trova la sua ragione di
esistere nell’essere indissolubilmente legata ad un Tutto attraverso una fitta “rete”
di relazioni che diventano l’oggetto principale della conoscenza. L’elemento
focale per comprendere la Realtà si posa ora su questa trama di relazioni, sulla
struttura che connette ogni elemento all’altro, conferendo senso e significato alle
esperienze di ogni singola parte.
Tutto il pensiero filosofico, sociale, antropologico viene investito da questo
epocale cambio di paradigma nel sistema della conoscenza che, abbandonato il
dualismo cartesiano si orienta verso una visione complessa, fatta di relazioni,
connessioni, contesti che danno vita ad un sistema integrato e vasto in cui gli
eventi e le esperienze acquistano significato proprio perché inseriti e collegati fra
di loro, nel suo interno.
La Relazione diventa l’oggetto di studio principale; è il veicolo attraverso il quale
si attivano tutti gli scambi fra esseri umani. È all’interno di essa che prendono
forma le dinamiche comportamentali fra individui; essa è la generatrice delle
singole storie; le storie in cui ci riconosciamo, che scegliamo per esprimere i
nostri vissuti attimo per attimo e che compongono il tessuto connettivo
2 Bateson, G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 2007
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dell’umanità, le trame esistenziali che danno forma ai nostri bisogni, desideri,
emozioni… Dove non si instaura relazione non c’è storia, differenza, confronto,
non c’è crescita: è dal confronto con i propri simili che origina la differenza, lo
stimolo principale all’evoluzione. L’interazione tra individui comporta una
continua modifica del sistema di appartenenza essendo essi stessi parte integrante
di quel sistema; ogni informazione che passa attraverso la rete è un trasferimento
di notizie ed esperienze attinte dal proprio bagaglio conoscitivo in grado di
modificare il sistema stesso.
Ancora Bateson: “tra noi e le cose come sono c’è sempre un filtro creativo”3
La nostra conoscenza del mondo è inevitabilmente intrecciata con la trama
narrativa che caratterizza la nostra esistenza; fra le infinite possibilità scegliamo
quella che meglio ci rappresenta, che contiene ciò che più conosciamo o ri-
conosciamo; ogni evento che noi costruiamo della vita è colorato da ciò che fa
parte del nostro bagaglio esperienziale e ambientale. Se è così, le nuove narrazioni
che andremo a fare, saranno sempre influenzate da questo scenario di fondo? O
sarà possibile deviare e modificare questo canovaccio che ci accompagna? Se è
vera l’affermazione di Bateson, allora è proprio lì che troviamo la risposta: la
creatività rappresenta la chiave di volta, lo strumento che consente di sfuggire alla
logica razionale, al meccanismo di causa-effetto che imprigiona le relazioni in uno
schema meccanico per sortire una strada nuova, inesplorata, imprevista che
consenta di individuare la traccia per una nuova possibile narrazione.
“Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili”4;
intesa in questo senso essa è una risorsa strategica, intrinseca e innata in ogni
individuo, che permette di affinare le proprie capacità intuitive e finalizzarle alla
crescita e allo sviluppo personale per il conseguimento degli obiettivi prefissati; è
la strada che conduce alla dimensione interiore in cui risiedono tutte le
potenzialità inespresse o non sufficientemente conosciute di cui ogni uomo
3 Bateson, G., ibidem 4 Definizione di Henri Poincarè, matematico e fisico vissuto nel secolo scorso.
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dispone e che rappresentano il veicolo di crescita e di liberazione delle energie
individuali.
Coltivare il giardino delle creatività vuol dire, inoltre, accedere ad una dimensione
estetica della vita, delle relazioni e di ogni tipo di esperienza; significa osservare
la vita da un punto di vista nuovo ed estremamente ricco e fertile di nuove
soluzioni che sfuggono alla logica lineare dei rituali quotidiani in cui siamo
perennemente immersi e che spesso addormentano la nostra capacità recettiva.
La creatività ci tiene continuamente in stato d’allerta, uno stato di costante
sintonizzazione con il flusso cosmico che attraversa il mondo in cui siamo parte,
che fa si che attingiamo a questa sorgente inesauribile che tutto contiene.
Osservare, essere testimoni della propria vita vuol dire riuscire a vivere la propria
narrazione esistenziale come una delle tante possibili e sapere di avere la
possibilità consapevole di intervenire e modificare in ogni momento la trama degli
eventi.
Vuol dire avere quel sufficiente distacco utile a percepire le infinite possibilità che
abbiamo a disposizione per modificare il corso delle cose; avere la lucidità dello
sguardo dall’alto che consente di avere una visione complessiva di tutto ciò in cui
siamo immersi.
Il trauma, il dolore, l’evento inaspettato sono spesso la variabile che innesca il
detonatore della vita, che fa si che la narrazione in cui si è immersi subisca un
brusco cambio di scena: allora non serve cercare fuori di sé, perché nell’uomo
sono insite le capacità di comprensione e di guarigione…basta solo scoprirle,
riconnettersi ad esse; sono talenti naturali che ci sono stati affidati e che vanno
utilizzati al momento opportuno. La creatività rappresenta il veicolo guidato da
una sapienza innata che ci consente di percorrere i territori interiori alla ricerca
dei talenti nascosti; una risorsa che l’uomo nel corso della storia ha
progressivamente trascurato a favore di assiomi tecnico-scientifici che solo
apparentemente offrono soluzioni sicure. La presa in carico di se stessi comporta
il riprendere su di sé i fili della propria esistenza, gestirli con la sicurezza che
nasce dalla consapevolezza di sé; intrecciarli nella relazione con altri individui,
dare vita a meravigliose trame che altro non sono che il tessuto connettivo del
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mondo: “deve esserci un fondo su cui poter “cucire” queste complesse relazioni,
ma la trapunta a riquadri non è la storia dei vari pezzi di stoffa di cui è fatta. È la
loro combinazione in nuovo tessuto che da colore e calore”5
Quando la vita mette a dura prova l’uomo, quando si verifica un evento
traumatico, doloroso, la strada si apre a due possibilità: da un lato la caduta verso
la patologia, il ripiegamento sulla sofferenza e dall’altro la possibilità di uscita
rappresentata dalla creatività che apre alla possibilità di vedere soluzioni nuove e
inaspettate. E’ il concetto di trasformazione: riuscire a modificare un sistema “da
uno stato individuato da certe condizioni ad un altro in cui almeno una di esse sia
cambiata”6; laddove si presenta un vincolo o un ostacolo, si può operare un
cambiamento di livello e trasformare l’ostacolo in opportunità. Tale operazione è
possibile grazie all’intervento delle risorse creative che aprono la visione su
opportunità spesso inesplorate e non presenti a livello della coscienza ma tuttavia
concrete e operanti “dal di dentro”, che fanno si che l’individuo riesca a volgere a
proprio vantaggio, in un contesto di deuteroapprendimento, situazioni che
apparentemente non offrivano possibilità di soluzioni diverse. Un intervento
metacognitivo che, grazie al distanziamento autoriflessivo messo in atto sulle
proprie dinamiche mentali e comportamentali, consente di indirizzare al meglio i
processi di apprendimento.
Citando ancora Bateson: “Per altri più creativi la soluzione dei contrari rivela un
mondo in cui l’identità personale si fonde con tutti i processi di relazione,
formando una vasta ecologia o estetica di interazione cosmica”7
L’unione di mente e corpo, l’individuazione di sé percepita ed esperita in modo
diretto consentono di connettersi, attraverso l’esperienza della relazione, al mondo
vivente, in cui ogni entità, ogni creatura, interagisce formando un tessuto
connettivo che lega ogni cosa. L’esperienza della relazione, vissuta nella sua
5 Bateson, G., Bateson, M.C., Dove gli angeli esitano. Verso un’epistemologia del sacro, Adelphi, Milano, 1989 6 Bassoli F., Frison R., L’arte del corago. Un modello sistemico-relazionale per la riabilitazione psichiatrica, Franco Angeli, Milano, 1998 7 Bateson, G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 2007, p.353
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dimensione estetica, consente di integrarsi in questo scenario cosmico senza
ricorrere a classificazioni meccanicistiche ma con un approccio progettuale in cui
la creatività, ancora una volta, trova ampio campo d’azione.
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Capitolo 2
LE RISORSE DEL COUNSELLOR: IL SENTIRE E L’AGIRE
Il Counsellor interviene all’interno della relazione allo scopo di evidenziare e
valorizzare le potenzialità dei singoli individui affinchè ognuno possa esprimere il
meglio di se stesso partendo dalle proprie risorse personali. I suoi obiettivi si
rintracciano nel facilitare i processi trasformativi degli individui, nel rinforzare i
percorsi evolutivi individuali al fine di elevare la qualità di vita. Egli svolge il suo
compito utilizzando gli strumenti della comunicazione e la capacità di entrare in
contatto empatico con le persone per comprendere non solo il linguaggio esplicito
ma anche il sistema complesso e profondo del linguaggio analogico, di grande
importanza per interagire con il mondo interiore delle persone.
2.1 La prima risorsa: cosa significa empatia?
Il termine empatia origina dall’antico greco empatheia dove stava ad indicare
emozione, sentimento. Nel linguaggio comune empatia identifica una situazione in
cui vi è compartecipazione di un’emozione altrui, comprendendola e vivendola
nello stesso modo.
Nel corso del secolo passato, sono stati elaborati diversi modelli per definire
l’empatia, quali meccanismi ne regolano il suo funzionamento, quali
caratteristiche presenta.
Una prima definizione in ambito psicologico ha messo in evidenza l’esistenza di
due differenti componenti: una di tipo affettivo e un’altra di tipo prevalentemente
cognitivo. Nel primo caso provare empatia verso qualcuno significa partecipare
dell’emozione da lui vissuta al punto da viverla in prima persona ma in modo
vicario. Nel secondo caso la dimensione affettiva, pur rimanendo presente,
assume una posizione secondaria rispetto alla capacità di comprendere e capire
cognitivamente l’emozione provata da un individuo, percependola dal suo stesso
punto di vista. A partire dagli anni ottanta, i due livelli confluiscono in una visione
unitaria, per cui la risposta empatica viene attivata nel momento in cui i processi
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cognitivi di comprensione della situazione dell’altro e la risonanza/condivisione
emozionale sono entrambi presenti: si parla di modelli multidimensionali
dell’empatia in contrapposizione ai modelli precedenti che privilegiavano l’una o
l’altra componente.8 In altre parole, l’empatia consiste nello sperimentare una
totale risonanza emotiva con l’altro ma con la conoscenza consapevole che tale
stato appartiene all’altro, condizione che deriva dal riconoscere pienamente quale
emozione egli prova. Tale concetto si è poi arricchito di un altro aspetto
fondamentale: l’idea di evoluzione. Con l’affinarsi, nel corso della vita, dei
processi cognitivi che mediano le manifestazioni empatiche, cambiano anche le
risposte, differenziandosi in funzione dei contesti e delle situazioni in cui
avvengono (Hoffman).
Un recente studio di Vreeke e Van Der Mark9 ha indicato un altro elemento che
condiziona l’evolversi della risposta empatica: il contesto comunicativo entro il
quale avviene. Si sostiene, pertanto, che l’empatia si manifesta come risposta alla
domanda emotiva avanzata da un individuo, ovvero nel capire i bisogni affettivi
che egli esprime e fornirgli così una risposta adeguata. Questa modalità di risposta
centra l’attenzione sui bisogni altrui anziché sui propri, pertanto genera un
comportamento prosociale: si cerca di accogliere e capire le richieste dell’altro, di
condividere le sue sofferenze e di fornirgli l’aiuto di cui necessita.
Sono molte le variabili che entrano in campo nel momento in cui si attiva una
manifestazione empatica di questo tipo: fattori di personalità, relazionali, il
sistema di giudizio e la sfera emotiva. Possiamo dire che questa è la risposta
empatica più responsabile ed evoluta.
L’empatia ha anche una base di tipo neurofisiologico e in questo ambito un
grande contributo è arrivato in tempi recenti dagli studi delle neuroscienze. La
capacità di provare empatia non è patrimonio esclusivo della specie umana ma è
presente anche in parecchie specie animali, seppur con modalità diverse. Proprio
dalle ricerche condotte su alcuni primati è nata la rivoluzionaria scoperta dei
8 Albiero, P., Matricardi G., Che cos’è l’empatia, Carocci, Roma, 2006. 9 Vreeke G., Van Der Mark I., Empathy, an Integrative Model, in “New Ideas in Psycholoy, 21, citato in: Albiero P., Mattricardi G., Che cos’è l’empatia, Carocci, Roma, 2006.
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neuroni specchi, ossia particolari tipologie di neuroni che si attivano non solo
quando un individuo sta compiendo determinate azioni ma anche quando la stessa
persona osserva un altro mentre le compie. In altre parole, chi osserva è in grado
di comprendere e sperimentare emotivamente le stesse azioni altrui anche se
“fisicamente” non compie alcun movimento. L’importanza di questa scoperta ha
notevoli ricadute anche per quanto riguarda il comportamento sociale: riconoscere
e comprendere le azioni dell’altro sono la base degli scambi relazionali. Tuttavia,
allo stato attuale delle cose, le ricerche sui neuroni specchio, pur aprendo lo
scenario a prospettive estremamente interessanti, non sono ancora in grado di
spiegare completamente i meccanismi empatici se non per quanto riguarda la
componente affettiva, non riuscendo ancora a fornire dati esaustivi anche sulle
altre componenti che ne determinano il manifestarsi.
Risulta chiaro che sviluppare le abilità empatiche nelle persone porta al
miglioramento delle relazioni sociali e interpersonali in genere. L’empatia, inoltre,
risulta essere collegata al concetto di sé, cioè la rappresentazione che un individuo
ha di sé stesso nei suoi rapporti col mondo che si forma a partire dalle prime
interazioni sociali con la madre e l’ambiente di vita. Un buon concetto di sé può
indurre i bambini a sviluppare migliori qualità empatiche. Può, inoltre, contribuire
a moderare le condotte aggressive e i comportamenti antisociali (es. il bullismo)
agendo sia sulle componenti affettive che su quelle cognitive. Nel caso specifico
del bullismo, le ricerche condotte hanno evidenziato che il bullo è un individuo
con scarse capacità empatiche: raramente si attiva in lui quella risonanza emotiva
ed affettiva con la persona oggetto delle sue offese tale da inibire la carica
aggressiva.
2.2 Nel contesto scolastico
L’empatia gioca un ruolo importante nello sviluppo dei comportamenti prosociali,
ossia tutti quei comportamenti rivolti ad accrescere il benessere di altre persone,
facendo leva principalmente sulla sua dimensione emotiva. Sempre più negli
ultimi tempi si è posto l’accento su quelle qualità personali che riguardano la
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capacità di modulare la propria risposta emotiva al fine di intrattenere migliori
rapporti sociali e relazionali e di gestione dei conflitti, non solo nella sfera privata
ma anche in quella pubblica e lavorativa. Tutti questi concetti rientrano nella
definizione di intelligenza emotiva, trattata per la prima volta da Goleman.
Quindi, lo sviluppo delle risposte empatiche nelle persone va di pari passo con
l’evoluzione dell’individuo in termini di crescita della sfera affettiva e delle
capacità cognitive; il luogo privilegiato in cui ciò avviene, la “palestra” in cui
sperimentare la propria crescita personale è la relazione con l’altro e con
l’ambiente esterno.
Uno dei contesti relazionali ed educativi più importanti per il bambino, dopo la
famiglia, è la scuola. E’ ormai comunemente accettato che un clima positivo e
aperto all’interno di una classe facilita l’apprendimento, la cooperazione tra alunni
e migliora il dialogo tra i diversi sistemi, alunni e insegnanti.
Numerosi studi sono stati condotti in proposito e i risultati emersi confermano che
un insegnante empatico condiziona lo sviluppo delle stesse qualità nell’alunno,
favorendone le capacità di condividere emozioni e idee con gli altri e stimolando
così i comportamenti prosociali. Nello specifico i vantaggi sono riconoscibili nei
seguenti ambiti:10
il rendimento scolastico – aumenta la motivazione e migliorano i risultati
la valutazione degli alunni – gli insegnanti più empatici sono
effettivamente più seguiti dagli alunni
lo sviluppo individuale – un insegnante empatico aumenta la percezione
positiva del sé nell’alunno
la modulazione delle condotte sociali – diminuiscono i comportamenti
aggressivi a favore di quelli prosociali
Il comportamento di un insegnante che manifesta caratteristiche di risonanza
empatica induce ad “imitare” lo stesso modo di agire nei confronti dei compagni.
Tuttavia la possibilità di esprimere al meglio queste doti è spesso condizionata
dalle problematiche che il contesto scolastico esprime, in particolare la necessità
di dover aderire ad una programmazione scolastica ben precisa comporta la
10 Albiero, P., Matricardi, G., Che cos’è l’empatia, Carocci, Roma, 2006
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limitazione dello spazio dedicato agli approfondimenti e al dialogo; anche la
consistenza numerica delle classi e le caratteristiche personali dei singoli allievi
all’interno di un gruppo rappresentano un grosso freno.
Tali aspetti possono contrastare la relazione che si instaura tra professori e alunni
creando difficoltà allo sviluppo delle risposte empatiche.
Risulta evidente come la figura di un Counsellor all’interno della scuola possa
facilitare la creazione di momenti di confronto, di dialogo di gestione e soluzione
delle problematiche relazionali mantenendo desta l’attenzione sull’educazione
emotiva degli alunni. Il suo compito è di riconoscere le problematiche degli
alunni, aiutarli ad attivare l’esplorazione di sé al fine di facilitare il
riconoscimento delle loro motivazioni stimolando il dialogo e il confronto.
Sul finire degli anni 80, si è cominciato ad avvertire la necessità di adeguare i
programmi di insegnamento ed educazione scolastica alle necessità espresse dalla
società, in particolare attivare strategie preventive per limitare la diffusione di
comportamenti antisociali nei giovani.
Proprio per questi motivi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ritenuto
indispensabile integrare la programmazione curricolare con l’inserimento di
moduli volti a sviluppare l’educazione affettiva per apprendere competenze utili al
benessere personale e sociale, comprendendo fra le abilità di base anche lo
sviluppo dell’empatia e nel 1993 pubblica il documento “Life skills education in
schools”. Al suo interno sono enunciate tutte le competenze, le qualità che gli
alunni devono sviluppare per migliorare la qualità delle relazioni sociali, per
crescere come individui più consapevoli nei rapporti con gli altri, la famiglia, la
scuola, la società; per migliorare l’autostima, rafforzare il senso di sé. Il mancato
sviluppo di questi skills viene riconosciuto come portatore di disagio, stress e
comportamenti negativi. L’idea che fa da sfondo a questo documento è il concetto
della salute inteso come stato di benessere psico-fisico- sociale dell’individuo.
Il testo dell’OMS così recita:
1. Decision making (capacità di prendere decisioni): competenza che aiuta
ad affrontare in maniera costruttiva le decisioni nei vari momenti della
vita. La capacità di elaborare attivamente il processo decisionale,
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valutando le differenti opzioni e le conseguenze delle scelte possibili, può
avere effetti positivi sul piano della salute, intesa nella sua eccezione più
ampia.
2. Problem solving (capacità di risolvere i problemi): questa capacità,
permette di affrontare i problemi della vita in modo costruttivo.
3. Pensiero creativo: agisce in modo sinergico rispetto alle due competenze
sopracitate, mettendo in grado di esplorare le alternative possibili e le
conseguenze che derivano dal fare e dal non fare determinate azioni. Aiuta
a guardare oltre le esperienze dirette, può aiutare a rispondere in maniera
adattiva e flessibile alle situazioni di vita quotidiana.
4. Pensiero critico: è l’abilità ad analizzare le informazioni e le esperienze in
maniera obiettiva. Può contribuire alla promozione della salute, aiutando a
riconoscere e valutare i fattori che influenzano gli atteggiamenti e i
comportamenti.
5. Comunicazione efficace: sapersi esprimere, sia sul piano verbale che non
verbale , con modalità appropriate rispetto alla cultura e alle situazioni.
Questo significa essere capaci di manifestare opinioni e desideri, bisogni e
paure, esser capaci, in caso di necessità, di chiedere consiglio e aiuto.
6. Capacità di relazioni interpersonali: aiuta a mettersi in relazione e a
interagire con gli altri in maniera positiva, per riuscire a creare e
mantenere relazioni amichevoli che possono avere forte rilievo sul
benessere mentale e sociale. Tale capacità può esprimersi sul piano delle
relazioni con i membri della propria famiglia, favorendo il mantenimento
di una importante fonte di sostegno sociale; può inoltre voler dire essere
capaci, se opportuno, di porre fine alle relazioni in maniera costruttiva.
7. Autoconsapevolezza: ovvero riconoscimento di sé, del proprio carattere,
delle proprie forze e debolezze, dei propri desideri e delle proprie
insofferenze. Sviluppare l’autoconsapevolezza può aiutare a riconoscere
quando si è stressati o quando ci si sente sotto pressione. Si tratta di un
pre-requisito di base per la comunicazione efficace, per instaurare
relazioni interpersonali, per sviluppare empatia nei confronti degli altri.
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8. Empatia: è la capacità di immaginare come possa essere la vita per
un’altra persona anche in situazioni con le quali non si ha familiarità.
Provare empatia può aiutare a capire e accettare i “diversi”; questo può
aiutare a migliorare le interazioni sociali, per esempio, in situazioni di
differenze culturali o etniche. La capacità empatica può inoltre essere di
sensibile aiuto per offrire sostegno alle persone che hanno bisogno di cure
e di assistenza, o di tolleranza, come nel caso dei sofferenti di AIDS, o di
disordini mentali.
9. Gestione delle emozioni: implica il riconoscimento delle emozioni in noi
stessi e negli altri; la consapevolezza di quanto le emozioni influenzino il
comportamento e la capacità di rispondere alle medesime in maniera
appropriata.
10. Gestione dello stress: consiste nel riconoscere le fonti di stress nella vita
quotidiana, nel comprendere l’influenza che hanno su di noi e nell’agire in
modo da controllare i diversi livelli di stress.
Nelle linee guida indicate nel documento (pubblicato nel 1993) per sviluppare
questi percorsi formativi si evidenziano alcuni punti fondamentali:11
la metodologia di insegnamento – si incentiva un metodo di
apprendimento interattivo tra allievo e insegnante, basato su approcci
esperienziali che prevedono esercizi quali il brainstorming e il role playing
competenze del formatore – chi conduce questi momenti formativi deve
avere competenze relazionali e di comunicazione, deve saper mediare i
conflitti e discussioni di gruppo e saper essere accogliente e responsivo nei
confronti della classe
la rete progettuale – sono necessarie professionalità diverse per gestire
programmi di educazione affettiva, dotato di regole condivise e supporti
didattici adeguati
11 Marmocchi, Dall’Aglio, Tannini citato in: Albiero, P., Matricardi, G., op.cit, 2006
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valutazione di gradimento – sono richiesti dati di analisi sugli obiettivi
raggiunti e sul gradimento mostrato dai soggetti cui è destinata la
formazione.
I risultati ottenuti dalle indagini sulle prime sperimentazioni hanno confermato la
validità e l’efficacia di tali progetti; si parla di miglioramento delle relazioni fra
alunni, insegnanti e genitori, nel rendimento scolastico complessivo, una
diminuzione delle condotte aggressive e antisociali.
All’interno del contesto scolastico, lo sviluppo dell’empatia e della
consapevolezza emotiva in generale, diventano un obiettivo prioritario per venire
incontro ai profondi cambiamenti in corso attualmente nella società, primo fra
tutti il tema dell’integrazione razziale. Riuscire ad accettare l’altro, a socializzare
con persone di altre etnie, imparare a convivere e dialogare con culture diverse
stanno diventando esigenze primarie per una convivenza armoniosa degli
individui nella società.
La scuola ha un ruolo educativo primario che non può assolutamente disattendere.
2.3 La seconda risorsa: Non si può non comunicare
Dal primo assioma della comunicazione definito da Watzlawick deduciamo il
grande compito che assolve la comunicazione all’interno dei rapporti fra
individui; essa è la base fondante delle relazioni, è essa stessa Relazione, in
quanto ogni tipo di interazione, azione, intervento passa attraverso i processi
comunicativi, elementi indiscutibili di trasmissione delle conoscenze, della
comprensione e di ogni elemento in grado di produrre trasformazione e
cambiamento.
Comportamento e comunicazione per Watzlawick sono termini sinonimi poiché
non si tratta soltanto di linguaggio verbale ma anche di linguaggio non verbale,
espressione del corpo, atteggiamenti, osservati all’interno del contesto in cui
hanno luogo e, soprattutto, non sono oggetto di osservazione soltanto gli effetti
che si verificano tra trasmettitore e ricevente ma anche viceversa.
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La scienza cibernetica ha influenzato profondamente il campo di studio della
comunicazione; si è infatti compreso che per comprendere meglio le relazioni
umane gli schemi di tipo lineare, di causa-effetto sono insufficienti.
L’introduzione del concetto di feedback o retroazione, ha aperto nuovi scenari
alla conoscenza, mostrando come i processi comunicativi fra persone possano
essere descritti seguendo uno schema di circolarità in cui gli scambi fra individui
sono al contempo causa ed effetto di altri comportamenti. I messaggi comunicati
producono effetti su chi ascolta, a sua volta la risposta che egli rimanda al suo
interlocutore genera altri effetti; tutto ciò consente di avere un controllo
sull’andamento della comunicazione grazie alla valutazione di quanto appreso
tramite il feed back. Analogamente, nelle relazioni fra persone, si riscontra questo
andamento circolare per cui in ogni sistema composto da più individui i
comportamenti si influenzano reciprocamente.
Watzlawick definisce in tal modo gli aspetti pragmatici della comunicazione,
ossia l’influenza che la comunicazione determina sul comportamento. Nel
contesto della sua ricerca, ha individuato alcune regole fondamentali, o assiomi,
secondo cui si svolge la comunicazione fra individui e da cui si desumono alcuni
aspetti essenziali per comprendere le interazioni fra individui e quali dinamiche
intervengono.12
Nel momento in cui le regole della comunicazione non si realizzano nella corretta
modalità, si verificano distorsioni che originano forme di comunicazione
patologica che possono sfociare in gravi psicopatologie individuali.
Le forme più evidenti, che si riscontrano con grande frequenza nel caso di
distorsioni sono:
il rifiuto-accettazione (sottrarsi in vario modo alla comunicazione o, al contrario,
accettarla subendola); la squalifica (il cambiare argomento, fraintendere, deviare
l’attenzione su aspetti non significativi, contraddirsi); la disconferma (il negare
l’esistenza dell’interlocutore, ignorandolo); infine, nella situazione più
compromessa, la creazione del sintomo che altro non è se non una sorta di
12 Watzlawick, P., Helmick Beavin, J., Jackson, D.D., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971
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messaggio non verbale cui ricorre la persona incapace di gestire la
comunicazione-relazione in modo diverso.
La comunicazione, come già evidenziato sopra, può avvenire mediante diversi
sistemi13, il sistema linguistico che riguarda l’uso della parola e i sistemi non
linguistici che comprendono le diverse modalità di espressione non verbale o
analogiche. Questi ultimi acquistano grande rilevanza nella relazione poiché
completano e arricchiscono la comunicazione di molteplici, importanti significati.
È evidente quale primaria importanza rivesta per il Counsellor la padronanza e
conoscenza di tutto ciò che riguarda la comunicazione, quali meccanismi attiva e
quali effetti si producono nell’intreccio delle relazioni per cogliere aspetti
essenziali utili a formulare le ipotesi progettuali operative.
Per giungere a questo egli si avvale di momenti di colloquio professionale in cui,
utilizzando particolari tipologie di domande e specifiche strategie, cercherà di
acquisire informazioni sulle quali strutturare ipotesi di lavoro e ricercare possibili
soluzioni e, soprattutto, indagherà le differenze di significato che le diverse
persone coinvolte attribuiscono alle esperienze.
K.Tomm14 ha individuato alcune linee guida per orientare il terapeuta nella
gestione di un colloquio efficace, partendo dal presupposto che qualunque tipo di
intervento che egli mette in atto è destinato ad essere terapeutico. Egli deve saper
dosare con attenzione domande e affermazioni, valutando gli effetti che
producono sul cliente.
Secondo K.Tomm15 le domande nel colloquio terapeutico si differenziano
secondo due dimensioni di base:
- da una parte l’asse in cui si colloca l’attenzione rivolta ad individuare il
destinatario del cambiamento; ad un estremo di questo asse si trova l’intento
orientante per cambiare se stessi, espresso nelle domande volte ad acquisire le
informazioni utili al Counsellor per formulare il suo intervento; all’altro estremo
dell’asse si trova l’intento influenzante il cui obiettivo è produrre una
13 Frison, R., Psicologia della comunicazione, dispensa Istituto Meme, Modena, A.A. 2005-06 14 Frison, R., Interventive interviewing, Distillato teorico, Istituto Meme, Modena, 2008 15 Frison, R., Interventive interviewing, Distillato teorico, Istituto Meme, Modena, 2008
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cambiamento terapeutico si esprime nelle domande finalizzate a stimolare la
comprensione da parte del sistema.
- l’altra dimensione riguarda i processi mentali all’interno della relazione con il
cliente e le premesse su cui essi si fondano, che sono la trama, talvolta inconscia,
nella quale il Counsellor ordisce il suo intervento. Tali premesse sono da un lato
le premesse lineari (causa-effetto, determinismo causale, approcci strategici e
giudicanti) e dall’altro le premesse circolari ( atteggiamenti neutrali, l’approccio
sistemico, olismo).
Le due dimensioni si compenetrano fra di loro formando quattro quadranti che
definiscono le domande.
Le domande hanno finalità diverse; all’esordio di un colloquio si prediligono le
domande con intento orientante volte all’acquisizione di informazioni necessarie
per comprendere la situazione problematica e collocarla all’interno di un quadro
ipotetico.
Domande lineari
Sono basate su premesse cognitive di tipo lineare, ossia che fanno riferimento a
comportamenti normativi, e hanno lo scopo di consentire al Counsellor di
indagare la storia del cliente per acquisire informazioni relative all’ambiente in cui
vive, alla situazione vissuta così come egli la descrive, quali spiegazioni e
interpretazioni offre. Sono inoltre utili per conoscere la successione cronologica
dei fatti.
Domande circolari
Fanno riferimento ad un approccio conoscitivo di tipo sistemico in cui prevale la
visione olistica degli eventi. Anch’esse vengono poste per orientare il Counsellor
sulla situazione del cliente ma con uno sguardo a più ampio raggio che va ad
investire anche il sistema in cui l’individuo è inserito evidenziandone la struttura
di connessione che lega persone, idee, situazioni, eventi, contesti fra loro. Questo
tipo di domande favorisce l’esplorazione del “contorno”, l’emergere di situazioni,
comportamenti, abitudini ricorsivi e significativi per aggiungere elementi alla
storia conoscitiva del cliente, mantenendo un clima non giudicante ma piuttosto
investigativo sulle diverse possibilità di interazione fra eventi. Esse consentono di
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mettere in luce i diversi punti di vista delle persone coinvolte, mostrando a tutti la
possibilità di letture diverse della medesima situazione. Sono utili per far
emergere le differenti percezioni che ogni individuo ha in relazione a quanto sta
avvenendo e di condividerle con gli altri.
Nel momento in cui il Counsellor ritiene opportuno cambiare registro al proprio
intervento passando da una fase più esplorativa ad una più direttiva, utilizzerà
domande che hanno carattere influenzante sui comportamenti. Lo scopo è quello
di introdurre elementi di trasformazione che possano influenzare l’agire e il
sentire delle persone, coinvolgendole in modo attivo nel dialogo anziché ricorrere
ad affermazioni. Possono stimolare la capacità di cambiare le storie delle persone,
modificandone la trama narrativa al fine di migliorare la propria situazione.
Domande strategiche
Il Counsellor, dopo aver indagato ed analizzato la vicenda, ipotizza che qualcosa
è sbagliato nel sistema del cliente e “forza” la situazione in modo strategico al fine
di stimolare un cambiamento. In questo tipo di domande si tende ad imporre il
proprio punto di vista, anche se non in maniera esplicita in quanto le indicazioni
sono date in forma di domanda. Tuttavia i contenuti, il tono delle domande stesse
esprimono la volontà direttiva del Counsellor che mette in atto questa strategia per
ottenere una smobilitazione di qualcosa che egli ipotizza essersi cristallizzato
nella storia del cliente. L’effetto prodotto è di tipo vincolante, volto ad influenzare
le credenze delle persone senza utilizzare le affermazioni, con l’unico rischio che
il cliente provi vergogna per il comportamento manifestato e non collabori.
Domande riflessive
Hanno lo scopo di influenzare anch’esse il cliente al fine di modificarne gli
schemi comportamentali cristallizzati ma, basandosi su premesse di ragionamento
di tipo circolare, lo mettono in atto in modo implicito e meno invasivo,
rispettandone l’autonomia d’azione. Esse cercano di stimolare l’atteggiamento
auto riflessivo per facilitare l’individuo a trovare la propria soluzione ed evolvere
più liberamente e spontaneamente. Sono strumenti di grande importanza in quanto
inducono il cliente a fare appello alle proprie risorse individuali, ad aumentare la
consapevolezza di sé e di quanto avviene nel sistema; lo stimolano a promuovere
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la propria crescita personale individuando le soluzioni più idonee, ad allargare la
sua visione del mondo. Hanno un effetto di tipo generativo, per favorire l’apertura
autonoma verso nuove prospettive.
L’uso proprio delle domande, quindi, può consentire al Counsellor di coinvolgere
esplicitamente il cliente, stimolandolo a concentrare maggiormente l’attenzione su
di sé, ad esplicitare le proprie premesse di partenza e le aspettative, e a metterle in
condivisione con il terapeuta.
2.4 Torniamo a scuola. Qualità e ruolo del Counsellor scolastico
In ogni contesto, a partire da quello scolastico, è fondamentale sviluppare la
capacità di comunicare e di relazionarsi con l’altro. Nella nostra società assai
frequentemente queste abilità sono trascurate, non sono riconosciute come veicoli
di apprendimento e crescita indispensabili per un armonioso sviluppo
dell’individuo. La scuola in modo particolare privilegia la trasmissione di sapere
basata sulla capacità cognitive, tecniche e scientifiche ma non offre sufficiente
spazio ad una formazione di tipo emozionale e relazionale che vada a potenziare e
valorizzare le risorse personali, utili e inestimabili strumenti per formare l’uomo
di domani; un uomo che sia in grado di riconoscere i cambiamenti, le emozioni;
che sappia affrontare le proprie crisi, accettando di riconoscere anche tutto ciò che
è distorto, non desiderato, diverso. Solo riaprendo il dialogo con se stesso può
incamminarsi verso la conquista della maturità e libertà interiore. Imparare a
comunicare con la propria intimità conduce ad accrescere l’autostima, a saper
contare sulle proprie risorse per affrontare le prove della vita.
Nella scuola, inoltre, si impara a confrontarsi con l’altro, a stabilire rapporti con le
persone e l’ambiente circostante per incrementare il senso di appartenenza ad una
comunità di persone.
Il Conselling all’interno della scuola acquista un ruolo strategico, sia in termini di
sviluppo delle capacità relazionali sia in termini di prevenzione dei conflitti e dei
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disagi nei rapporti interpersonali. In particolare il ruolo Counsellor può essere
sinteticamente così definito:16
è un facilitatore dei meccanismi che si generano all’interno dei gruppi
volti a risolvere conflitti, mediare situazioni problematiche tra i diversi
componenti. Ha il compito di favorire la creazione di uno stato di
equilibrio e di benessere nel gruppo
sa essere attivatore di abilità di tipo relazionale, comunicativo, affettivo ed
emozionale. Egli è un vero talent-scouts per quanto riguarda la ricerca e
l’espressione delle potenzialità personali delle persone nei diversi contesti
esistenziali a partire dall’esperienza scolastica
è un abile consulente per aiutare a chiarire stati di disagio individuali e di
gruppo e problematiche generali che possono interferire con lo stato di
benessere
Il Counsellor scolastico si rivela di grande importanza nella mediazione di
conflitti, spesso legati alle difficoltà di comunicazione, che emergono nelle
relazioni tra genitori e figli, insegnanti e allievi e tra insegnanti e genitori. In tali
situazioni egli si attiva per promuovere un tavolo di confronto e discussione
condiviso in cui farsi garante che l’ascolto reciproco e l’espressione delle proprie
convinzioni avvengano in un clima collaborativo accogliente. La sua competenza
viene spesa principalmente nel riuscire a mettere in comunicazione i diversi
sistemi coinvolgendoli in un confronto in cui la condivisione del problema genera
una nuova visione co-costruita con l’apporto e le competenze di ognuno.
All’interno della scuola è un obiettivo prioritario quello di valorizzare il gruppo,
evidenziandone le maggiori potenzialità rispetto all’individualismo imperante che
rende estranee le persone fra di loro. Le risorse del gruppo offrono sbocchi
inaspettati; esse consentono di valorizzare la solidarietà, la cooperazione e
l’attenzione reciproca migliorando la qualità della propria vita sia nel tempo speso
in classe, con conseguenti migliori risultati formativi, che nella vita fuori.
16 M.C.Nardini, Il ruolo del Counsellor scolastico dalla teoria alla pratica, in Counselling scolastico, rivista semestrale a cura ASPIC scuola, Roma, anno 2006, n.0
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Il gruppo è una risorsa che va costruita, non nasce spontaneamente e il Counsellor
trova ampio spazio di manovra in questo ambito. Infatti, compito suo e degli
insegnanti-counsellor è proprio quello di attivare tutte le strategie e competenze
per favorire la crescita del gruppo in cui ogni individuo può certamente coltivare
la propria individualità ma ricompresa e intrecciata a quella di tutti gli altri, per
costituire insieme un potenziale di risorse educative e didattiche assolutamente
più grande e potente del singolo individuo.
Gli ingredienti necessari per realizzare ciò sono innanzitutto l’ascolto attivo che
comporta il disporsi ad un ascolto attento e profondo di tutto ciò che l’altro sta
comunicando non solo con le parole ma recependo anche i segnali del linguaggio
corporeo ed analogico; non è una condizione di ricezione passiva ma comporta
l’immedesimarsi nella situazione dell’altro, ponendolo al centro di tutte le
attenzioni, utilizzando ogni tipo di risorsa personale, dal contatto visivo e gestuale
alla condivisione emotiva. È una partecipazione attiva al racconto che prevede
talvolta la riformulazione dei contenuti esposti per accertarsi di avere ben
compreso il messaggio e porre così l’interlocutore in una condizione di
accettazione empatica, senza il timore di essere giudicato.
Occorre poi fare molta attenzione al feedback, funzione complementare ad un
buon ascolto. Poiché, come già detto in precedenza, la comunicazione non è un
processo lineare bensì un’interazione continua tra i soggetti che comunicano e
assume un andamento circolare, ricorsivo, senza fine, l’analisi del feedback
consente di capire se il messaggio è stato recepito, in che modo, quali reazione ha
suscitato e, qualora si renda necessario, di effettuare correzioni di rotta. Abituare i
componenti di un gruppo a comunicare ponendo attenzione a questi elementi fa si
che assumano un comportamento riflessivo e critico in termini di crescita,
abituandoli ad osservare e descrivere ciò che avviene, rimanendo solidamente
ancorati al qui e ora, tralasciando gli atteggiamenti giudicanti.
Dal punto di vista pratico, per stimolare e animare il gruppo il Counsellor può
proporre l’utilizzo di esercizi-giochi di grande efficacia che, in un clima
accogliente e ludico, favoriscono lo sviluppo delle competenze relazionali e
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affettive e ne migliorano la coesione e l’aggregazione. Fra questi, ad esempio, il
circle time, una tecnica di discussione guidata, di grande efficacia per lo sviluppo
delle qualità sociali e relazionali in cui i partecipanti si dispongono in cerchio e,
seguendo le indicazioni del conduttore/Counsellor che è esso stesso parte del
gruppo, affrontano l’argomento in precedenza presentato con interventi personali
brevi e concisi, rispettando scrupolosamente i turni senza interrompere chi sta
parlando e consentendo ogni volta un momento di feedback. Questo esercizio
favorisce la comunicazione circolare, la libera espressione delle proprie opinioni,
emozioni, vissuti; consente di esprimersi liberamente amplificando la
condivisione senza essere giudicati. Promuove l’ascolto e l’abilità di espressione.
Un'altra attività è il Role playing che ha lo scopo di mettere in scena una
situazione reale in cui le persone partecipanti possano sperimentare in prima
persona i diversi ruoli presenti al suo interno. I giochi di ruolo consentono di fare
esperienza su una particolare situazione senza che questa abbia effettive
conseguenze sulla vita reale trattandosi di una simulazione. All’interno di un
gruppo sviluppa il senso di responsabilità nei confronti di sé e degli altri; consente
di acquisire un modo di vedere più allargato che prenda in considerazione anche il
punto di vista altrui oltre che il proprio, migliora la capacità di ascolto e permette,
in tal modo, di rafforzare la cooperazione e la solidarietà reciproca.
Sviluppa, inoltre, la comunicazione rendendola più assertiva, la gestione delle
relazioni interpersonali e le doti di mediazione.
Infine altre proposte sono: il brainstorming (consiste nell’affrontare un argomento
o un problema lasciando uscire a ruota libera e in modo immediato affermazioni,
definizioni, idee da parte di tutti i partecipanti); il focus group (metodologia di
lavoro che coinvolge i componenti di un gruppo per approfondire l’elaborazione
di un argomento attraverso la libera discussione); esercizi vari di espressività
corporea in cui il corpo, la voce, il movimento diventano strumenti di
comunicazione molto efficaci per esprimere emozioni e stati d’animo in modo
diverso rispetto al linguaggio verbale.
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Capitolo 3
LA NARRAZIONE CREATIVA
La narrazione è un’attività fondamentale dell’uomo, la forma espressiva più
utilizzata la cui finalità è quella di attribuire significati soggettivi, al di là delle
norme condivise, a tutto ciò che ci circonda, alle esperienze vissute. Quando
all’interno di un racconto si interrompe la sequenza lineare di eventi e si verifica
un avvenimento eccezionale che perturba la canonicità della trama, ecco che
nascono storie diverse, nuove situazioni si delineano e appaiono tanti mondi
possibili,17 tante possibili trame che, proprio dal quel fatto accidentale,
manifestano la loro presenza, dipanando infinite matasse esistenziali. Questa
portentosa alchimia consente di riorganizzare la realtà alla luce di tutte le
esperienze, i sentimenti e i vissuti interiori di ogni individuo; essa ha a che fare
con l’intenzionalità e la soggettività delle persone. La narrazione è uno strumento
di interpretazione della realtà per interagire con il mondo sociale nel quale gli
uomini vivono; è, infine, un modo per comprendere tutto quanto ci circonda e per
trasmetterlo agli altri.
“In principio è il racconto”
L’affermazione di Paul Ricoeur, filosofo al quale Bruner si è ispirato, sta a
significare che il raccontare accompagna l’uomo fin dalle sue origini, è il
contenitore che dà forma alle esperienze vissute.
La conoscenza del mondo avviene secondo Jerome Bruner in due differenti
modalità: una utilizza il pensiero logico-scientifico e l’altra il pensiero
narrativo.18 Entrambi fondamentali, pur essendo di segno totalmente diverso,
sono complementari nel funzionamento complesso del pensiero umano.
Il pensiero logico-scientifico o paradigmatico sottende una modalità di ragionare
di tipo lineare, basata sulla definizione di categorie al fine di semplificare la
17 Goodman, N., I linguaggi dell’arte, Milano, Il Saggiatore, 2008. 18 Bruner, J., La mente a più dimensioni, Roma-Bari, Laterza, 1988
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comprensione degli eventi. Usa un procedimento di tipo dimostrativo ed
obbedisce al principio della non contraddizione. Il suo procedere è strutturato su
un piano verticale, cronologico, gerarchico. Attraverso di esso si formulano teorie
e studi analitici.
Il pensiero narrativo o sintagmatico esprime le intenzioni che stanno alla base dei
comportamenti umani, cerca di spiegare il mondo al di là delle regole logiche che
lo categorizzano, entrando nella quotidianità della vita. Ha un’organizzazione di
linguaggio di tipo diacronico, ossia mette in connessione su un piano orizzontale
tutte le diverse possibilità esistenti per fornire la spiegazione degli eventi e delle
azioni di cui si occupa, considerando anche i contesti. Con il pensiero narrativo si
costruiscono racconti, storie, autobiografie; è il linguaggio delle interazioni
sociali.
Ogni individuo utilizza entrambe le forme nell’espressione di sé; fino ai 3 anni
circa le due modalità sono presenti in modo piuttosto distinto caratterizzando
quindi il comportamento del bambino in un senso piuttosto che nell’altro. Solo
successivamente le due modalità diventeranno sempre più intrise l’una dell’altra e
la riconoscibilità di uno stile rispetto all’altro sarà riscontrabile poi solo nei tratti
della personalità.
Se per il pensiero paradigmatico il riferimento culturale si trova nella grammatica
e nella scienza, il pensiero sintagmatico si può assimilare ai modelli letterari,
offrendo così la possibilità di individuare regole che definiscano uno schema di
pensiero narrativo. Bruner identifica come modelli il genere e la trama. In questa
sede non interessa trattare approfonditamente questo punto per il quale si rimanda
a studi specifici,19 quanto sottolineare come il racconto, genere di grande
diffusione nella letteratura attuale, contenga tutti gli ingredienti per capire la
valenza del pensiero narrativo e le sue modalità di funzionamento.
19 Groppo, M., Ornaghi, V., Grazzani, I., Carubba, L, La psicologia culturale di Bruner, Milano, Raffaello Cortina, 1999
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3.1 Anatomia del racconto20
Perché esista una fabula, ossia il tema che costituisce il nucleo di un racconto,
occorrono tre elementi: una situazione, dei personaggi, il fatto che i personaggi
presenti abbiano un grado di consapevolezza della situazione diversa fra loro. La
combinazione di questi diversi ingredienti origina la struttura del racconto.
Il linguaggio del racconto così come quello della poesia è evocativo, non
necessariamente utilizza referenze chiare e verificabili nelle sue espressioni;
predilige l’uso della metafora. E’ un tipo di linguaggio che coinvolge il lettore
rendendolo partecipe dell’intreccio degli eventi e gli lascia spazio sia nella
costruzione che nella comprensione del significato del testo. Il racconto in tal
modo offre la possibilità di ricercare fra i molteplici significati possibili, quello
più consono al lettore in quel momento, di viverlo e “rappresentarlo” nel suo
immaginario. Per facilitare questo processo il testo deve rispondere ad alcuni
requisiti: la presenza di spunti non esplicitamente definiti, l’amplificazione del
punto di vista soggettivo dei personaggi, una visuale in più prospettive che mostra
vari aspetti del mondo. In questo modo si delinea quello che Bruner definisce un
mondo al congiuntivo che esprime l’universo delle possibilità umane, aperto a
pensieri, desideri, mutamenti e parallelo al mondo delle certezze immutabili. Nella
lettura del testo narrativo ogni individuo coglie un elemento, un tema che fa
sorgere in lui una possibile interpretazione del tutto soggettiva degli eventi narrati,
la sua personale chiave di lettura, funzionale al suo particolare modo di vedere la
realtà. La capacità straordinaria propria dell’uomo di costruire ipotesi verosimili
su qualunque tipo di evento e di credere in esse, abitando quella realtà fittizia fino
a che decide di farlo, consente di aprire una molteplicità di prospettive su
altrettanti mondi possibili in cui quelle potenzialità possono trovare compimento.
Nell’approccio narrativo si dà importanza alle vicende interpersonali, al processo
in atto nel quale esse sono inserite; le esperienze passate vengono rilette ogni
volta ricontestualizzandone il significato nel presente dinamico e soggettivo
20 Questa parte è tratta da: Vecchi, D., Ebbro d’Amor. Un percorso di trasformazione creativa all’interno di un Club di Alcolisti in trattamento, tesi II anno AT, Istituto Meme, Modena, 2009.
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senza fissare punti critici oggettivi, o determinare classificazioni di eventi in
funzione di una prospettiva storica.
Nel momento in cui un individuo racconta se stesso, si propone agli altri nelle
vesti che egli ritiene più idonee per quella particolare situazione; egli costruisce
un’immagine del proprio Sé in relazione al contesto in cui si trova e lo fa
scambiando informazioni e comportamenti con l’altro. Secondo Bruner, il Sé non
è solo una pertinenza individuale ma interagisce e intrattiene rapporti con il
mondo esterno, contribuendo così a co-costruire la realtà esterna in un processo
dinamico circolare che coinvolge l’individuo e il sistema in cui vive,
condividendo e negoziando significati. In altre parole, l’individuo cresce e forma
se stesso in relazione al contesto socio-culturale di cui fa parte e viceversa; questo
patrimonio di conoscenze e significati non appartiene al singolo ma è in completa
condivisione e forma le basi fondanti della cultura, ossia l’insieme di credenze,
significati, esperienze che accomunano gruppi di individui. Ne deduciamo,
pertanto, che la forma narrativa genera cultura ma ne è al contempo il prodotto.
Con Bruner sono definitivamente gettate le basi della psicologia culturale che ha
come obiettivo prioritario lo studio dei comportamenti, pensieri, azioni, emozioni
dell’uomo e come grazie a questi gli individui danno significato alla propria vita e
al mondo in cui si trovano. In questa visione la mente, abbandonata la metafora
che la assimilava ad un computer, è nuovamente studiata come elemento di
mediazione tra l’uomo e il mondo esterno. Il pensiero ispiratore ha una matrice
costruttivista in quanto è l’uomo che costruisce con le sue azioni il mondo ma
anche il mondo esterno contribuisce a realizzare e costruire il Sé individuale.
Come già Goodman prima di lui, anche Bruner sostiene l’idea che il mondo in cui
viviamo non è unico e aprioristico bensì costruito dalle complesse e molteplici
attività delle menti di tutti gli individui, i cui scambi avvengono attraverso il
linguaggio sia verbale che simbolico come è, ad esempio, quello artistico. Con la
psicologia culturale egli intende indagare come questi mondi si interfacciano,
come avvengono gli scambi di significati che danno senso a questi e agli infiniti
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mondi possibili. Lo strumento a disposizione che permette scambi e connessioni è
la narrazione.
Nel racconto in particolar modo quando questo diventa autobiografico, avviene
l’incontro tra pensiero narrativo e Sé, ed è lì, in quel contesto che avviene la
creazione del Sè. Il protagonista del racconto autobiografico, che coincide con il
narratore, rivive nel tempo presente avvenimenti e fatti successi in un tempo
passato. La rivisitazione della sua storia personale gli consente di interpretare nel
qui e ora eventi precedenti, di attribuire loro un nuovo significato alla luce della
consapevolezza attuale. La Vita diventa così un testo da riscrivere ogni volta che
diventa necessario ridefinire la propria identità; ogni rilettura presuppone una
nuova interpretazione: non sono gli eventi a cambiare, ma il significato che ad essi
si attribuisce.
Sempre citando il pensiero di Bruner, la forma che caratterizza il racconto
autobiografico non è un elemento da trascurare sia per l’autore che per il lettore:
“…ciò che accade in un processo autobiografico è la ricostruzione di una vita
attraverso la costruzione di un testo. Per comprendere una vita dobbiamo dunque
rivolgerci direttamente al suo testo e analizzare come esso sia stato scritto o
raccontato”21
Quindi la scelta del genere offre gli spunti per collocare il significato delle
esperienze narrate, per riflettere su quali fatti vengono selezionati e quali no.
Letteratura e vita attivano uno scambio continuo in cui l’uno sfocia nell’altro
alimentandosi reciprocamente: “così come la narrazione imita la vita, la vita
imita la narrazione”22. Noi siamo le nostre storie: il riportare ciò che il
protagonista-narratore ha vissuto là ed allora, contribuisce a dare significato a ciò
che avviene nel qui e ora.
21 Groppo, M., Ornaghi, V., Grazzani, I., Carubba, L., La psicologia culturale di Bruner, Raffaello Cortina, Milano, 1999 22 Bruner, J.,citato in: M.Groppo, V.Ornaghi, I.Grazzani, L.Carubba, La psicologia culturale di Bruner, Raffaello Cortina, Milano, 1999
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3.2 La narrazione nel contesto educativo
Sostiene Bruner: “Solo la narrazione consente di costruirsi una identità e di
trovare un posto nella propria cultura. Le scuole devono coltivare la propria
capacità narrativa, svilupparla, smetterla di darla per scontata”23 poiché per la
crescita dell’individuo è indispensabile individuare la propria identità culturale e
sociale. L’educazione non è qualcosa di avulso dal contesto culturale e sociale,
essa esiste e si struttura all’interno di esso. La scuola può sviluppare metodologie
in grado di fornire questi strumenti affinchè il bambino -l’adulto di domani- possa
riuscire a trovare il proprio ruolo nei molteplici contesti e possibilità che la vita
offre. Lo sviluppo della competenza narrativa va incontro a questa esigenza; saper
narrare non è una dote innata ma un’abilità che può essere coltivata. Bruner
individua due punti fondamentali da cui partire: la conoscenza che ogni bambino
deve avere relativamente alle fiabe e ai racconti tipici della propria tradizione
culturale e la convinzione che il raccontare storie sviluppa la capacità
immaginativa, offrendo così strumenti adeguati per costruire con più sicurezza gli
scenari della propria vita. Ecco perché questa capacità va esercitata, affinata,
condivisa, confrontata. Secondo Bruner, un elemento che favorisce l’uomo è la
sua tendenza all’intersoggettività, ossia la “capacità di capire attraverso il
linguaggio e i gesti o con altri mezzi, cosa hanno in mente gli altri”,24 e di
relazionare tutto quanto ad un contesto che ne specifica il significato. In virtù di
questa capacità, gli uomini riescono a negoziare i significati al di là del linguaggio
verbale. La psicologia culturale ha trovato un ottimo campo di applicazione in
ambito educativo; essa sostiene l’approccio interattivo (intersoggettivo) anche
all’interno della classe: non è l’insegnante il detentore del sapere da trasmettere
ma è nello scambio collaborativo e cooperativo tra tutti, alunni e insegnanti che si
crea l’apprendimento.
23 Bruner, J., La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano, 2001 24 Bruner, J., op. cit.
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Bruner nel suo testo25 propone una panoramica dei modelli educativi e di
apprendimento nella realtà scolastica evidenziandone i diversi aspetti; volendo
fare una sintesi si possono individuare due linee teoriche principali: una basata sul
rapporto esternalizzazione-internalizzazione, ossia l’indagine spazia dalla
modalità tradizionale di trasmettere insegnamenti dall’esterno a quella che parte
dal presupposto di verificare la prospettiva del bambino, agendo dall’interno per
capire che cosa può o vuole fare. L’altra considera la dimensione oggettività-
intersoggettività che pone l’insegnante su un piano totalmente distaccato
dall’alunno nel primo caso o lo rende esso stesso partecipe delle teorie insegnate
nel secondo caso. L’obiettivo della pedagogia moderna è di trovare un equilibrio
tra tutte queste visioni, avendo come presupposto che il bambino oltre ad avere un
buon bagaglio di conoscenze e informazioni debba possedere anche
consapevolezza dei suoi meccanismi di apprendimento, di come procede il suo
pensiero per acquisire la capacità di organizzare la sua vita di adulto.
Per offrirci un quadro di quale debba essere la natura dell’insegnamento e
dell’apprendimento, Bruner si ispira ad uno studio condotto da Ann Brown e
Joseph Campione in cui vengono evidenziate quattro idee fondamentali:
- capacità di azione (agency). La mente è intesa come agente, è orientata al
raggiungimento di obiettivi, è selettiva ed interpretativa. È nella sua attività di
scambio con altre menti che si attiva il dialogo costruttivo della realtà, negoziando
ipotesi, formulando strategie
- riflessione. L’apprendimento non è completo se non è accompagnato dalla
comprensione profonda e contestuale di ciò che si apprende; ogni materia deve
essere interpretata nel suo significato al di là della pura spiegazione scientifica.
- collaborazione. Comporta la messa in comune delle abilità e risorse, lo scambio
interrativo tra alunni e insegnanti come momento di maggior apprendimento.
Lavora in stretta sinergia con il primo punto.
- cultura. L’insieme di pensieri, usanze, credenze, comportamenti che è in
continua evoluzione e che è costantemente modificato dall’interagire degli
individui, che rappresenta il mondo in cui viviamo.
25 Bruner, J., op. cit.
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Il minimo comune denominatore di tutto quanto sopra detto si trova nella
narrazione: è coltivando questa fondamentale abilità che traggono nutrimento e
possono attecchire le quattro linee educative sopra descritte, la narrazione come
forma mentis, come struttura che organizza il corpus delle conoscenze e come
supporto alle pratiche educative scolastiche.
Bruner propone un altro concetto interessante che ha influenzato il modo di
pensare l’apprendimento e le ricerche in merito: l’idea del curriculum a spirale,
ossia il metodo più efficace per affrontare un argomento consiste nel partire da
un’idea intuitiva comprensibile e familiare all’alunno per poi procedere a
spiegazioni più formali seguendo un moto circolare crescente fino alla completa
comprensione. In altre parole: “si può insegnare qualsiasi argomento a qualsiasi
bambino a qualsiasi età, purchè ciò sia fatto in forma accettabile”; e si dovrebbe
aggiungere, non slegato dalla comprensione pratica del contesto entra il quale si
sviluppa il ragionamento. Tale concetto è applicabile ad ogni sfera della
conoscenza. La forma narrativa è quella che consente di meglio percorrere la
spirale della conoscenza.
Anche in ambito scientifico la forma narrativa consente di spiegare meglio e
comprendere in modo più intuitivo gli eventi studiati; il linguaggio matematico
offre garanzia di chiarezza e rigore logico ma è inevitabile il ricorso alla modalità
del racconto per meglio evidenziare l’insieme dei legami, gli aspetti coerenti e
quelli contradditori che permettono di capire se una teoria funziona o presenta
alcuni aspetti che necessitano di verifica. La storia offre molti esempi di come gli
scienziati siano ricorsi frequentemente, consapevolmente o in modo casuale,
all’uso di storie, metafore, immagini narrative per esprimere e definire il loro
pensiero: questo modo di procedere consente di andare oltre, al di là delle cose
così come si presentano, per afferrare quel quid di significato in più che compare
nella visione intuitiva d’insieme e che non può essere tradotto in linguaggio
scientifico.
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Quali sono gli elementi caratterizzanti il pensiero narrativo che fanno si che si
possa considerare generatore di verità universali? Secondo Bruner essi sono:
- struttura di tempo significativa. La sequenza degli eventi in un racconto non è
determinata dallo scorrere lineare del tempo bensì dal susseguirsi di vicende
significative in base alla trama. E’ il tempo degli uomini che danno significato
agli eventi che accadono all’interno della cornice cronologica.
- Particolarità generica. I generi sono i contenitori all’interno dei quali vengono
narrate le vicende umane attribuendo loro un significato universale, le lenti che
permettono di filtrare il modo in cui leggere e interpretare il mondo.
- Le azioni hanno delle ragioni. Ogni pensiero, azione, evento narrativo è mosso
da intenzionalità; esistono ragioni diverse che influenzano lo svolgimento dei fatti
che vanno ad là della “causalità” pura e semplice.
- Composizione ermeneutica. I livelli di lettura e di interpretazione di una storia
sono molteplici, ognuno con un diverso significato, coerente con le varie parti di
cui è composta la storia stessa; scopo dell’indagine ermeneutica è di verificare
l’attendibilità delle varie interpretazioni del testo.
- Canonicità implicita. Ogni storia per essere raccontata deve apportare qualcosa
di nuovo, interrompere il corso atteso (la canonicità) degli eventi. Il pensiero
narrativo consente di creare un imprevisto che altera la trama e crea un effetto
sorpresa, mantenendo viva l’attenzione di chi ascolta.
- Ambiguità di referenza. Il racconto crea la realtà nella quale avvengono i fatti
narrati rendendo impossibile stabilire uno scenario oggettivo.
- Centralità della crisi. Le storie che vengono raccontate sono quelle che nascono
da una situazione di “crisi”, vale a dire la rottura dell’equilibrio narrativo causato
da un elemento che perturba la canonicità della trama.
- Negoziabilità inerente. La verità narrata nelle storie è sempre opinabile e per tale
motivo la narrazione è un ottimo strumento di negoziazione culturale: permette la
convivenza di più storie a garanzia della necessaria flessibilità.
- La capacità di espansione storica della narrativa. Le molteplici storie che
raccontano la vita si intrecciano continuamente; una concatenazione di eventi
passati, resi coerenti fra loro, può assurgere a storia, funzionale a sostenere una
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verità di oggi. Vi sono degli elementi chiave, dei “punti di svolta”, che
determinano il passaggio da qualcosa di “vecchio” a qualcosa di “nuovo”.
La forma narrativa è talmente intrinseca e radicata nella nostra vita che talvolta
risulta difficile staccarsi dall’automatismo con cui la utilizziamo per vedere con
occhio critico e consapevole i meccanismi e le trame delle nostre storie e potere,
così, agire su di essa migliorandola. Bruner individua nel contrasto, il confronto e
la metacognizione gli strumenti per poterlo fare. Il contrasto consiste nel dare due
interpretazioni opposte ma entrambe plausibili di un medesimo fatto mentre il
confronto si realizza nel momento in cui si comprende che la propria verità
narrativa è in contraddizione con ciò che avviene successivamente, quando la
propria aspettativa viene disattesa; occorre molta attenzione per far si che tale
situazione non degeneri in conflitto aperto. Entrambi questi aspetti portano a
riflettere sulla relatività della conoscenza. La metacognizione apre le possibilità di
costruire le basi epistemologiche sulle quali fondare la propria conoscenza della
realtà; consente di conseguire gli strumenti necessari per negoziare i significati
all’interno delle relazioni anche quando essi sono diversi.
Spesso il pensiero narrativo viene accusato di non saper veicolare la presunta
verità dei fatti, competenza esclusiva del pensiero logico-razionale. Di
quest’ultimo ci si preoccupa di insegnarne i metodi di sviluppo, le tecniche, le
modalità di verifica innalzandolo a strumento di sicura trasmissione della
conoscenza, non considerando il fatto che per lo più la vita quotidiana si svolge
all’interno di un mondo che è innanzitutto scandito da narrazioni e storie. Un
compito della scuola è sicuramente quello di offrire agli alunni gli adeguati
strumenti metacognitivi per orientarsi nel complesso mondo delle narrazioni.
3.3 Educare a pensare
L’attività mentale, in ogni contesto, in ogni età, va esercitata per migliorare i
meccanismi di apprendimento: sviluppare la motivazione, avere un metodo di
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studio efficace, imparare a far ragionamenti e connessioni superando il
nozionismo sono obiettivi che la scuola in primis, ma non solo lei, deve porsi.
Partendo dalla considerazione che è fondamentale acquisire la consapevolezza
dell’esistenza dei processi mentali, di come agiscono e di come poterli utilizzare
al meglio, per arrivare a realizzare tali obiettivi educativi si può tentare di
tracciare alcune linee guida:26
- è necessario evidenziare a coloro che apprendono quali sono i meccanismi
mentali che intervengono nella risoluzione di problemi.
- Il formatore deve conoscere le modalità nelle quali si organizza il pensiero
esplicitandosi in atti cognitivi specifici in funzione dei problemi presenti; deve
saper aiutare gli alunni a riconoscere e valorizzare il proprio “stile di
apprendimento” e far riconoscere che alla base di ogni espressione umana sono
riconoscibili gli atti mentali che l’hanno guidata.
- La conoscenza e consapevolezza dei processi mentali non deve avere un
carattere episodico ma deve diventare un modello di vita
Questa tipologia di approccio si inserisce nell’ambito del modello sistemico-
relazionale soprattutto per quanto riguarda la sua visione dell’uomo intesa in
senso olistico, ossia un essere che agisce, pensa, costruisce significati non isolato
ma all’interno di un sistema di riferimento, considerato in ogni fase della sua vita,
in cui la mente non è più vista come un elemento ordinatore esterno agli eventi
bensì essa è immanente alla realtà, insita nel processo di conoscenza, in grado di
mettere in relazione fra loro immagini, emozioni, vissuti operando “da dentro”,
creando sempre nuove forme e infinite rappresentazioni. In questo modello la
conoscenza diventa uno scenario in perenne trasformazione all’interno della quale
si costruiscono relazioni, immagini e storie che suggeriscono visioni del mondo
mai statiche ma costantemente alla ricerca di significati sempre nuovi, interagenti
con i diversi ambiti dell’esperienza.27
26 Demetrio, D., Per una didattica dell’intelligenza, F.Angeli, Milano, 1995, p. 83 e segg. 27 Vecchi, D., “Ebbro d’amor”. Un percorso di trasformazione creativa all’interno di un Club di Alcolisti in trattamento, Istituto Meme, sst AT, Modena, 2009
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Inoltre, un punto molto importante rinvenibile nella visione sistemica è
l’attenzione che viene data alla storia della persona: quali meccanismi sono
sopravvenuti, quali relazioni-connessioni hanno determinato la situazione
presente, quali processi mentali si sono attivati nella risoluzioni dei problemi e dei
fatti della vita, quali sentimenti, emozioni, affetti hanno dominato il campo.
Questi ultimi non sono più considerati secondari rispetto ai processi del pensiero,
in grado di influenzarne l’azione ma al contrario assurgono essi stessi a forme
cognitive interagenti fra loro, superando quindi la tradizionale dicotomia tra
mente e cuore. Il concetto di intelligenza si amplia venendo a coincidere con
l’identità del soggetto: “essa non può non essere anche quando, con linguaggio
comune, parrebbe non abitare la mente di un individuo. La mancanza di
intelligenza non è dunque la ‘stupidità’, che comunque è un’esibizione
dell’intelletto seppur non apprezzata, è l’eclissi dell’identità”28
L’intelligenza è presente quando noi attribuiamo significati alle cose che facciamo
o che sentiamo; è nel momento in cui ci avviciniamo all’altro cercando di scoprire
quali significati egli immette nel suo relazionarsi col mondo, come anche Bruner
sostiene: “l’intelligenza è un processo incessante di ricerca di significati: quando
questi non vengono più perseguiti (…) l’intelligenza si spegne, sospende di
manifestarsi, cessa di svolgere la propria funzione che etimologicamente consiste
nel ‘leggere’ dentro le cose, smontarle e rimontarle per coglierne il loro signum,
il loro senso, in ‘quella’ circostanza.29
28 Demetrio, D., op.cit, p.87 29 Demetrio, D., op.cit, p.87
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Capitolo 4
CHE LA STORIA ABBIA INIZIO!
Nelle pagine che seguono si riporta la sintesi di alcune proposte realizzate
all’interno del contesto scolastico in cui sono stati applicati i principi del metodo
narrativo. Come già introdotto nella parte iniziale di questo lavoro, l’orientamento
che è stato seguito è prevalentemente indirizzato verso interventi di Counselling
espressivo non solo per la mia familiarità con le tecniche pittoriche ma anche
erché le immagini possono molto spesso costituire un trait d’union estremamente
efficace tra il pensiero e la parola, per facilitare quei processi di trasformazione e
di apprendimento che viaggiano su canali di comunicazione molto sottili in cui
non sempre il linguaggio verbale si dimostra adeguato ad esprimerne pienamente i
contenuti.
A volte, quando le protagoniste sono le emozioni, le parole non sempre riescono
esprimere ciò che è racchiuso nel cuore, forse neanche lo conoscono perché si cela
molto bene nelle sue recondite anse. Càpita allora, che le parole abbiano bisogno
di un veliero che le faccia scivolare lievemente su quelle trasparenti acque che
conducono negli abissi dell’interiorità: sono la fantasia e la creatività che si
assumono questo compito; esse dispongono di strumenti di navigazione molto
sensibili, in grado di captare segnali talvolta impercettibili per tradurli in segni
che le parole possano riconoscere per esprimerli e comunicarli al mondo esterno.
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4.1 RACCONTARE PER CONOSCERSI
Progetto CONTINUITA’ – Laboratorio “LE EMOZIONI DEL COLORE”
Destinatari: Bambini dell’ultimo anno della Scuola dell’Infanzia e delle classi 1°
della Scuola Primaria
Premessa
La richiesta nasce dall’attenzione e sensibilità manifestata da un gruppo di
insegnanti e genitori di alcune scuole del Comune di (…) per preparare i bambini
di 5 anni della Scuola dell’Infanzia al passaggio che andranno a fare l’anno
successivo alla Scuola elementare, momento importante in cui il bambino inizia il
suo percorso educativo e formativo, una sorta di “rito di passaggio” che segna una
delle tappe significative della crescita.
Per accogliere questa richiesta si è pensato di proporre un’esperienza “sul campo”,
ossia un’uscita tutti insieme a visitare il Parco Comunale con un percorso guidato
di scoperta dei colori e della magia della natura in alcune stagioni dell’anno
seguito poi da un momento di racconto creativo dell’esperienza vissuta attraverso
un laboratorio espressivo da fare a scuola.
Con la scelta della visita al Parco si è voluto trasmettere il messaggio che anche in
un contesto ludico come questo si può fare attività educativa; condividere
momenti significativi alla scoperta del mondo esterno crea un senso di unione e di
appartenenza al gruppo dei pari molto intenso; inoltre si impara a riconoscere e
apprezzare i valori estetici della vita che sono dati anche semplicemente dal
piacere di stare insieme a giocare e fare scoperte nella natura. Ritrovarsi poi in un
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secondo momento e ricordare la visita creando insieme un racconto di quella
giornata, rinforza le emozioni e le sensazioni provate.
L’esperienza
L’idea era di condurre i bambini in un percorso alla scoperta della magia della
luce, delle forme, dei colori. La luce permette di “vedere” e “riconoscere” le
forme degli oggetti e delle persone; la luce colora il mondo di mille sfumature
regalando emozioni sempre nuove. L’attività didattica ha avuto come obiettivo
quello di sviluppare e approfondire l’approccio multisensoriale nei confronti della
realtà e dei suoi colori: i partecipanti attraverso la vista, l’udito, il tatto e l’olfatto
hanno vissuto un’esperienza sinestesica che si è conclusa poi nel Laboratorio
pittorico finale.
Il progetto nel suo complesso si articola in due momenti: uno fatto in Autunno,
che è l’esperienza descritta, e un altro che è stato organizzato per la Primavera.
ANALISI DEL PERCORSO DIDATTICO
Prima fase: la visita al Parco
Durata: h.1,30 circa
Di seguito le diverse tappe della visita; sono indicate alcune suggestioni e
domande fatte dai conduttori ai bambini per stimolare l’osservazione e la
descrizione narrativa. Si sottolinea particolarmente l’esplorazione multisensoriale
per cercare di allargare l’esperienza percettiva su più canali.
Il setting di questa prima fase è rappresentato dall’incontro nel Parco in cui i
bambini si salutano e si conoscono, condividendo le motivazioni della scelta:
esploriamo il Parco alla scoperta dei cambiamenti della Natura.
Dove siamo? In che stagione siamo? L’AUTUNNO… prova ora a descrivere
questa stagione:
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- Individuazione dei colori del Parco: di che colore sono le foglie? Quanti gialli ci
sono? E gli arancioni? … Sono colori tristi o allegri? Che emozione ti dà il parco
in autunno?
- L’albero come suggeritore di emozioni:
l’albero cresce e si innalza col tempo verso
l’alto. Proviamo a misurarlo…. Quanti abbracci
di bimbi occorrono per misurare la sua
circonferenza? E per raggiungere la sua chioma?
Analizziamo ora la pelle del legno, la corteccia: è liscia, ruvida, porosa…ogni
stagione dà una pelle al legno. Alcuni tronchi sono lucidi, altri opachi. …
Ora i bambini vengono invitati ad accarezzarsi le proprie mani e il viso. Sentiamo
la nostra pelle. Com’è?
- Analisi delle forme
Nel parco si possono trovare tante cose a terra…pezzetti di legno, rametti, foglie
cadute, sassolini…
- Perché gli alberi in autunno perdono le foglie?
(Spiegazione del ciclo di vita delle piante)
1° tappa: sosta accanto all’albero ombrello
Notiamo la forma delle foglie, i colori, i rami come sono? Sono come braccia
sempre più strette a mano a mano ci si avvicina al cielo… il cielo si vede? Di che
colore è?
Toccare la corteccia. E’ liscia o ruvida?
Conosciamo i vari alberi: il frassino, la quercia, il cedro del libano, ecc.
2° tappa: la grande quercia secolare
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La osserviamo in contrasto con gli alberi più piccoli…È un albero grande pieno di
fascino esprime forza e coraggio…(varie notizie sulla quercia anche per quanto
riguarda la sua simbologia)
3° tappa: l’albero in mezzo al parco di fronte alla biblioteca
La scoperta del maestoso Cedro del Libano
4° tappa: il grande pino sempreverde
Assomiglia… ad un panettone gigante? Perché alcuni alberi in inverno restano
verdi? La differenza tra sempreverdi e alberi a foglia caduca. Apprendere le
differenze.
5° tappa: gli alberi “foresta”- il carpino
le cortecce si uniscono e salgono al cielo e sembra di entrare in una foresta
magica…
La raccolta del materiale: l’esplorazione del parco alla
ricerca di oggetti. Raccogliamo alcune cose che si
trovano nel Parco facendo già una prima classificazione
del materiale: foglie – rami – sassi. … Nel Parco sono
stati sistemati 3 scatoloni: uno con la scritta FOGLIE,
uno con la scritta SASSI, uno con la scritta RAMETTI E
CORTECCE.
I bambini porteranno in classe il materiale raccolto che
servirà poi in laboratorio.
Seconda fase: in laboratorio
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Durata: 2 ore circa
Trascorsi alcuni giorni dalla visita al Parco, ci si è dato appuntamento presso la
Scuola Elementare nella grande sala del Teatro dove, presenti anche i bimbi della
Materna, è stato organizzato un Laboratorio didattico che consentisse di ricordare
l’esperienza precedente nel Parco, facendo tutti insieme un lavoro di gruppo. Il
laboratorio ha previsto diversi momenti:
- A tutti i bimbi, sia i più piccoli che i più grandicelli, sono state fatte rivedere le
fotografie scattate durante la visita al Parco per richiamare alla memoria i
momenti dell’esperienza e consentire così di rivivere nel presente, attraverso i loro
racconti opportunamente stimolati dalle domande e osservazioni dei conduttori,
tutto ciò che era avvenuto: la conoscenza delle piante, l’osservazione dei colori, la
raccolta dei materiali, le emozioni provate…
- A seguire, sono state proiettate
alcune immagini di pittori che hanno
rappresentato l’autunno secondo
modi e sensibilità diverse,
evidenziando come la fantasia e la
creatività possano esprimersi in
molteplici modi e forme. La
presentazione è stata fatta in modo
interattivo: i bambini venivano coinvolti in prima persona nel descrivere i
soggetti, facendo cogliere loro gli elementi significativi sia pittorici che narrativi
delle immagini proposte
- I bambini sono poi stati organizzati in
sottogruppi ognuno composto da 2 bimbi
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della 1° elementare e 2 bimbi della Scuola dell’Infanzia affinchè lavorassero in
modo interattivo. Ad ogni gruppo è stato dato un cartoncino bristol bianco 100x70
e i piattini con le tempere relative ai quattro colori dell’Autunno: rosso, giallo,
marrone e verde; pennelli, colla e i materiali naturali raccolti e riportati per
l’occasione.
Alcuni momenti del laboratorio
I bambini, collaborando e aiutandosi reciprocamente, hanno realizzato con
entusiasmo i loro dipinti nel foglio comune. Poi, su invito dei conduttori, hanno
ritagliato dai cartoncini le immagini più significative per riportarle in un grande
foglio comune dove, una volta posizionate e incollate,
avrebbero dato vita ad un’unica composizione che rappresentava il Parco creato
da tutti i bimbi che avevano lavorato insieme.
- Come ultimo momento, tutti seduti intorno, osservando il prodotto ottenuto, si
sono ripercorsi i momenti salienti dell’esperienza riletti attraverso il racconto
visivo da loro realizzato, le emozioni provate, la gioia del gioco insieme e, infine,
di è dato un titolo al disegno.
- Al termine, il commiato con tutti i bimbi riuniti nel teatro della scuola che si
sono salutati dandosi appuntamento alla successiva uscita in Primavera.
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“Il Parco” “Il Parco dei pittori”
Considerazioni conclusive
L’esperienza ha prodotto buoni risultati dal punto di vista del coinvolgimento
relazionale e di scambio. Per i più piccoli l’essere accolti con la spontaneità che i
bambini sanno dimostrare può significare aumentare la sicurezza e la fiducia
nell’affrontare i cambiamenti. Per i più “grandi”, lavorare insieme ai piccoli
aiutandoli nelle fasi più complicate del laboratorio ha permesso di mettere
l’accento sulla comprensione e accettazione dell’altro. In generale si sono
veicolati valori educativi quali il rispetto per l’altro, la cooperazione, la capacità di
dialogo e ascolto.
La stimolazione sensoriale è stata molto apprezzata e ricordata nei diversi
momenti del laboratorio.
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4.2 RACCONTARE PER CONSERVARE LA MEMORIA DELLA
TRADIZIONE
Il Comune di (…) nell’ambito dell’attività didattica promossa dal proprio Centro
Culturale ha attivato alcuni Laboratori finalizzati alla diffusione della cultura e
della sensibilità artistica ottenuta attraverso la promozione di un’educazione che
cerca di stimolare la capacità espressiva e narrativa degli alunni delle scuole di
ogni ordine e grado. A tale proposito, in occasione di una recente mostra dedicata
al lavoro femminile sono stati proposti alcuni interessanti laboratori.
Laboratorio “FILI, CHICCHI E FANTASIA…”
Destinatari: Bambini dell’ultimo anno della Scuola dell’Infanzia e Classi 1°, 2°,
3°, 4° della Scuola Primaria
Premessa
Facilitare l’apprendimento di mestieri, tradizioni e conoscenze non più attuali;
prendere contatto con una cultura che è ormai lontana dalla vita di tutti i giorni ma
che crea e alimenta le nostre radici. Ogni individuo ha una sua storia e tutti gli
individui insieme costruiscono la Storia.
Attraverso le immagini pittoriche e gli oggetti presentati si intendeva stimolare la
capacità narrativa degli alunni, trasmettere la conoscenza della matrice culturale
storica legata al territorio, interessarli ad osservare strumenti e oggetti ora non più
presenti nelle attività lavorative degli uomini.
Il Percorso
La prima parte dell’attività prevedeva una visita
guidata ai quadri della mostra dove si
illustravano i temi e i principali contenuti
rappresentati. La formula privilegiata in questa
fase è stato il coinvolgimento diretto con i
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bambini, con la modalità del dialogo interattivo per cui ognuno di loro partecipava
nella descrizione delle immagini, stimolando in tal modo la capacità narrativa.
Grazie a questa modalità, inoltre, gli alunni imparavano a parlare a turno,
rispettando i tempi dei compagni e creando così le basi per un’educazione al
rispetto e all’ascolto dell’altro.
Terminata questa fase, il percorso prevedeva un momento di approfondimento
visivo e tattile con gli oggetti e gli strumenti osservati nei quadri, oggetti perlopiù
sconosciuti che rappresentano e “parlano” di antichi mestieri, molti dei quali
ormai non più attuali. Di grande importanza è stata per i bambini la possibilità di
toccare con mano, annusare, osservare da vicino tali strumenti e materiali,
testimonianze di consuetudini e tradizioni passate.
Gli oggetti sono i testimoni materiali dello scorrere della Storia; manipolarli,
toccarli, consente di avvicinarli da un punto di
vista cognitivo ma anche di prendere contatto
con le emozioni, le fatiche, le sofferenze, che
hanno caratterizzato la cultura lavorativa
contadina e artigiana del tempo passato. Gli
oggetti raccontano storie e stimolano la fantasia
a creare nuove storie in cui essi stessi sono i
protagonisti. Prendendo spunto da questa riflessione i bambini hanno poi
partecipato al Laboratorio in cui, immaginando di rivestire i panni di un artigiano
del passato, dovevano riprodurre un manufatto utilizzando colori, materiali
pittorici e tanta fantasia.
I materiali utilizzati
Cartoncini colorati, pastelli, gessetti, pennarelli, stoffe e decorazioni, materiali di
recupero, forbici, colla.
Il tavolo degli oggetti
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Alcune immagini di un laboratorio di modiste….
L’obbiettivo era quello di realizzare un cappello utilizzando materiali diversi a
disposizione
Al termine la condivisione tutti insieme dell’esperienza fatta. I bambini si sono
radunati e ognuno ha sfilato presentando il proprio cappello e raccontando agli
altri che cosa rappresentava, che personaggio lo portava, cosa faceva, ecc.,
attingendo alle proprie inesauribili risorse immaginative.
Favorire l’attenzione e il rispetto dell’altro ascoltandolo e condividendo il suo
“momento di gloria” è uno dei risultati riscontrati.
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4.3 RACCONTARE PER STIMOLARE LA FANTASIA E
L’IMMAGINAZIONE…
Laboratorio “QUANDO IL QUADRO RACCONTA…”
Destinatari
Percorso A: Classi 5° della Scuola
Primaria e Scuola Secondaria di primo
grado
Percorso B: Scuola secondaria di secondo
grado
Premessa
Sviluppare le abilità cognitive dei ragazzi stimolandone la capacità narrativa
attraverso la lettura e l’interpretazione delle opere d’arte della mostra; favorire la
comunicazione utilizzando i mezzi espressivi; stimolare la capacità di ascolto.
Il percorso A: la narrazione espressiva
I ragazzi sono stati condotti a visitare la mostra utilizzando la modalità interattiva,
ossia coinvolgendoli nella descrizione delle immagini e nell’analisi dei contenuti
stilistici e narrativi dei quadri. Al termine della visita sono state distribuite alcune
schede con riportate le riproduzioni di alcuni dipinti. Sulla suggestione delle
immagini presentate, i ragazzi dovevano immaginare una situazione nuova e
raccontarla attraverso un disegno o collage.
Il percorso B: il racconto
Per i ragazzi della Scuola Superiore il racconto doveva essere in forma scritta.
In entrambi i casi, al termine gli alunni raggruppati in cerchio, hanno raccontato ai
compagni la loro storia e condiviso in gruppo le emozioni provate
Di seguito si allega una scheda-tipo utilizzata per il laboratorio narrativo del
percorso B.
A.Tettamanti Mondine
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Quando il quadro racconta…
Le “modiste” erano le donne che per mestiere si dedicavano a
cucire, disegnare e realizzare cappelli e altri capi
d’abbigliamento.
Oggi abbiamo gli stilisti che disegnano i modelli affidando ad
altri il compito di realizzarli. I negozi di sartoria sono molto
rari.
I quadri ci invitano a immaginare un racconto: l’istante che l’artista ferma sulla
tela potrebbe essere l’inizio o la fine di una storia…
Dopo aver osservato il dipinto prova ora a raccontare il prima o il dopo che
questa scena ti ispira…
………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………............
....................................................................................................................................
..........................……………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………
Tra i dipinti che hai osservato in mostra, quale ha attirato maggiormente la
tua attenzione? Perché? Cosa ti ha colpito di più?
………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………
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4.4 RACCONTARE I DISTACCHI
- Dall’altra parte del cielo! Sono entrata!
È proprio questo che ti volevo raccontare.
Papà, sai cosa c’era dall’altra parte del cielo?
- No, dimmelo.
Dimmi subito, amore mio, che cosa c’è dall’altra parte del cielo.
Siamo in molti a farci questa domanda.
- Io sono molto seria, papà. Guardami negli occhi.
- Ti guardo.
- Guardami meglio!
- Ecco, mia seriosissima.
- Mi crederai?
- Ti credo già.
(D.Pennac)
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Laboratorio: RACCONTIAMO IL CIELO
Destinatari: Scuola dell’Infanzia (…) di Parma – 28 bambini di 5 anni.
Raccontare ai bambini il distacco, il lutto, non è cosa semplice, non tanto perché
non abbiano in sé le risorse per affrontare queste prove ma principalmente perché
il mondo degli adulti si trova spesso impreparato ad offrire ai propri figli gli
strumenti adeguati per farlo. La morte, la sofferenza nella nostra società sono temi
negati, non vengono più vissuti alla luce del sole bensì relegati nel chiuso degli
ospedali, passati sotto silenzio, cancellati quasi dagli eventi della nostra vita.
Occultare la morte significa non elaborarla, non integrarla nella propria esperienza
negando all’individuo la possibilità di trasformare un evento doloroso in
un’occasione di crescita. L’apertura mentale delle educatrici della Scuola
dell’Infanzia in cui si è svolta questa esperienza ha consentito di iniziare ad
affrontare un tema così delicato, ma di grande portata per la salute emotiva dei
bambini, utilizzando i canali espressivi. Tale iniziativa è stata pensata soprattutto
in considerazione del fatto che nella scuola era morta di recente una delle maestre.
Con il laboratorio espressivo si è potuto offrire loro l’opportunità di trasformare
questo vissuto doloroso e inesplicabile, in un’esperienza accettabile e
comprensibile.
Ancora una volta l’arte ci è venuta in aiuto: col suo linguaggio immaginativo ha
trovato una via di accesso diretta al cuore, offrendo spunti e suggestioni
simboliche per raccontare, in modo semplice, il mistero della vita. Concordando la
scelta con le maestre, si è ritenuto opportuno non affrontare in modo diretto il
tema della morte bensì suggerire riflessioni guidate attraverso la narrazione delle
immagini artistiche che potessero offrire agganci metaforici e mediati relativi a
tale argomento.
Di seguito sono proposti vari spunti tratti da alcuni incontri, dove i bambini
hanno avuto modo di partecipare insieme al racconto tratto dalle immagini e poi
di realizzare alcune opere lavorando in gruppo.
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1° INCONTRO
IL GIRO DEL CIELO
La presentazione delle immagini e il racconto
La prima operazione effettuata è stata quella di introdurre il tema ai bambini
cercando una modalità esplorativa che li coinvolgesse in forma di gioco e ci desse
l’opportunità di valutare, in base al tipo di risposte date, l’indirizzo da tenere nel
corso del laboratorio. Trattandosi di un tema assai delicato, da affrontare con
bambini piccoli, non si voleva forzare correndo il rischio di urtare la loro
sensibilità. Si è pertanto pensato di utilizzare alcune immagini e parte del testo del
libro di D.Pennac, adattandolo alla situazione.
Sono state, quindi, proiettate alcune immagini di opere pittoriche di Mirò,
leggendo ad alta voce il testo scelto.
Al termine sono state riprese le singole immagini sollecitando i bambini ad
osservarle per raccontare loro una nuova storia, stimolati da ciò che vedevano nei
dipinti. Ad ogni quadro che appariva, si offrivano nuovi spunti narrativi che
nascevano dall’invito a descrivere quello che l’immagine rappresentava;
volutamente la scelta si è soffermata su opere astratte più che figurative per non
imbrigliare la fantasia con forme e scene già definite.
Quindi, alla nostra domanda: “Bambini, cosa c’è dall’altra parte del cielo?”
ognuno ha sciolto la propria fantasia. Ecco alcune suggestioni….
È l’immagine guida che apre e
chiude questo primo incontro; il tema
evidenziato, così come si legge nel
testo di Pennac, è quello della
“cicatrice”: un segno rosso che
rappresenta una soglia da varcare per
vedere cosa c’è al di là. Così si
esprimono i bambini osservandola:
“Il cielo non finisce mai”; “Ci sono il sole e la pioggia”; “Ci sono tanti uccelli”
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“Io ci vedo un ponte che porta al
sole”
“E’ una giraffa, è notte e sta
guardando la luna”;
“…forse sta ascoltando il vento”;
“Voleva vedere le stelle”
“Vedo un occhio”;
“…una carota bianca”
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“La luna e le stelle”; “…è un po’
come l’Africa, i colori e le
case…”; “C’è un angelo”; “…un
albero e la piscina”; “Guarda!.. la
signora che lava i panni…”.
“C’è la faccia rossa di un indiano”; “Un grande occhio bianco”; “I pianeti”; “Un
vaso che sembra un lupo”; “Un castello”.
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Raccontiamo con i colori
Dopo aver raccontato tutte le
storie suscitate dalla visione delle
immagini, i bimbi hanno iniziato
il laboratorio pittorico: il compito
era rappresentare attraverso un
disegno tutto quello che loro
vedevano “dall’altra parte del
cielo”.
Al termine con tutti i bimbi in cerchio, abbiamo condiviso i loro racconti; eccone
alcuni:
“C’è la cicatrice e al di là ci sono le nuvole
e un albero”
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“C’è la cicatrice, ci sono le orme per
arrivarci e poi….di là c’è il sole!
“Di là dal cielo c’è la bambina col
papà nella casa, poi tante cose
fuori…la tartaruga, il cane che
vola, una corda….”
“Ci sono le impronte che portano
alla casa di un mio amico…”
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2° INCONTRO:
I MILLE COLORI DEL CIELO E DEL SOLE
Ad ogni incontro il tema viene introdotto con la proiezione di alcune opere
pittoriche; in questo caso sono i pittori che hanno rappresentato il cielo con
diverse modalità e colori. I mille colori del cielo stanno a rappresentare differenti
situazioni: l’alba, il tramonto, il brutto tempo... la Natura prevede e dispone colori
adatti ad ogni circostanza. Si parla inoltre del sole, del suo peregrinare nel cielo:
dove va a finire la sera quando tramonta… eccolo uscire di nuovo la mattina;
osserviamo come cambia nel corso della giornata…all’alba è rosa scuro e piccolo,
a mezzogiorno è alto nel cielo e giallo, ecc. Attraverso il linguaggio metaforico si
affrontano temi esistenziali quali la ciclicità della vita, le trasformazioni cui sono
sottoposte tutte le cose e che sono del tutto naturali per ogni essere vivente. I
bambini, stimolati dalle immagini artistiche, vengono coinvolti nella descrizione
del quadro e condotti a fare riflessioni di più ampio respiro.
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Al termine della proiezione i bambini hanno elaborato le loro immagini. La
consegna prevedeva di rappresentare il sole nei vari momenti della giornata,
quindi con diversi colori e sfumature. Ad ogni gruppo, composto da 3 bimbi, è
stato consegnato un cartoncino bristol bianco tagliato a cerchio, colori a tempera,
materiali vari: stoffe, carte colorate, legumi, lenticchie, mais, ecc. Tutti i “soli”
realizzati verranno poi appesi con fili invisibili al soffitto della scuola.
Alcune immagini del laboratorio:
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Una piccola selezione di opere:
Il sole a mezzogiorno
…al tramonto
… all’alba
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3° INCONTRO
IL CIELO DI NOTTE: LA LUNA E LE STELLE…
Di notte il cielo diventa scuro ma non fa paura perché ad illuminarlo, quando è
sereno, ci sono la luna e le stelle. La luna cambia sempre: è piena oppure a
spicchio, cresce e cala e la sua forma diventa ogni volta diversa…. Osserviamo
insieme come i pittori hanno dipinto la notte. Il tema narrativo suggerisce in
questa occasione la riflessione sullo stato d’animo: quando si è turbati o agitati la
forma pittorica riflette il nostro sentire ed esprime, attraverso la pennellata e l’uso
dei colori, le emozioni che proviamo. I bambini, guidati nell’analisi descrittiva
delle immagini, si dimostrano molto ricettivi e attenti, colgono i dettagli dei
quadri loro proposti, le diverse interpretazioni, lo spirito che sottende il significato
pittorico.
“Ma ci sono le foglie in mezzo al cielo!”
“E la luna...è piena e sta davanti alle
foglie!” “Sotto, nelle case, dormono
tutti…ma come fanno quelli che hanno
la luce accesa?” “…davanti alle case c’è
la luce della luna”
“…ma questo signore ha la luna in testa…”
“…anche le stelle!” “Guardate! Nella pancia
c’è una casa e le piante…” “Ma dietro c’è il
muro?”
Magritte
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“Ma si può tenere in mano la luna?”
“Ci voglio provare anch’io!
Con l’ultima immagine proiettata, il cielo
stellato di Van Gogh, i bimbi sono
sollecitati ad esprimere le loro emozioni
osservando questo quadro e anche
ascoltando un po’ della storia del pittore:
le sue sofferenze, la solitudine, la tristezza.
In particolare viene fatto notare lo stile
pittorico, le pennellate ampie e rotonde, il vortice che sta attorno ad ogni cosa.
Sulla suggestione suscitata da questa immagine, si dà la consegna del laboratorio:
realizzare un cielo notturno. Vengono distribuiti fogli A4 di colore nero, pastelli a
olio, materiali vari da incollare.
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Ecco alcune immagini durante il laboratorio e delle opere realizzate:
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4° INCONTRO
QUANTE NUVOLE IN CIELO… Vengono presentate immagini di pittori che hanno dipinto le nuvole in modo
fantastico, fuori dalla rappresentazione realistica: la scelta è voluta per stimolare
la capacità immaginativa dei bambini, per far si che il loro racconto sia il più
libero possibile da schemi e condizionamenti. I bambini hanno facilità a sciogliere
la fantasia ma occorre sollecitarli presentando loro immagini, suggestioni
altrimenti il rischio è la caduta nello stereotipo. Il tema di questo incontro vuole
evidenziare che quando arrivano le nuvole scompare il sole, così anche per le
persone talvolta arrivano eventi inaspettati che fanno cambiare i progetti, che
portano ombra laddove prima c’era luce. Ma il sole non sparisce per sempre e
quando la nuvola passa torna a risplendere. E anche le cose tristi passano perché
anche loro, come le nuvole, sono fatti naturali. E poi non sempre le nuvole sono
sinonimo di brutto tempo; addirittura, a ben guardarle, si possono scoprire forme
divertenti, che fanno venire in mente altre cose….
Nel laboratorio che è seguito si è voluto fare una sperimentazione sensoriale
tattile, usando materiali diversi per riprodurre le nuvole e invitare i bambini a
esprimere le loro sensazioni suscitate dal contatto con le diverse superfici.
“Guardate le nuvole!!...io ne vedo
100”
“Quella in mezzo sembra un drago”
“…e quella in alto una gallina…”
“Io vorrei vivere sulle nuvole..”
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“Sembra un ghiaccio…”
“ Quelle nuvole sembrano palle da
calcio”
“Sono a forma di ponte”
“C’è la neve che in alto sembra un
arcobaleno”
“Quella dietro sembra panna montata”
“Le nuvole sembrano lana… una
spugna”
“Le nuvole sono morbide come lo
zucchero filato”
“Il sasso grosso va sopra il mare e poi ci
cade dentro e fa tutti gli schizzi…”
“…se ci va la nuvola in mare affonda, il
sasso no…”
“La nuvola se cade nel mare si bagna!
“Sono dei signori, che forse sono
degli angeli, in cielo”
“ Stanno passeggiando dentro ad una
nuvola…volano con la fantasia”
“Sono vestiti normali” “A me fanno
venire in mente Mary Poppins”
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Il tavolo-nuvola con tutti i
materiali a disposizione dei
bambini
Le nuvole in corso di realizzazione
Un cielo con le nuvole
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5° INCONTRO
L’ARCOBALENO, IL SORRISO DEL CIELO
Le nuvole a volte portano la pioggia; allora il cielo diventa triste e piange, ma il
suo pianto fa bene alla terra perché fa crescere meglio le piante, i fiori, disseta gli
animali della foresta….e dopo per annunciare che non è più triste trasforma le
goccioline-lacrime che sono rimaste nell’aria nell’arcobaleno colorato. I bambini
hanno osservato come il pittore trasferisce nelle immagini il suo stato d’animo;
nella riflessione fatta insieme abbiamo proposto ai bimbi di parlare di sé: a volte si
diventa tristi e si piange; è importante piangere, fa bene perchè con le lacrime
vanno via tutti i pensieri grigi e dopo, quando tutto è passato, si torna a sorridere,
un po’come capita in cielo… l’arcobaleno è il sorriso del cielo.
Si è lavorato sul riconoscimento delle emozioni, la tristezza in particolare. I
bambini sono stati molto attenti al racconto delle “tristezze” dei compagni, hanno
accolto e condiviso insieme pensieri e sensazioni suscitate dalle immagini e dalle
nostre parole. Poi tutti insieme a realizzare il laboratorio dell’arcobaleno.
“La barca è fatta di acqua”
“Ci sono nuvole nere e poi…un temporale
grossissimo”
“Anch’io sono triste quando la mamma mi
sgrida”
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“ E’ tutto a quadretti”
“Ecco l’arcobaleno…è speciale
perché ci sono le case sull’acqua”
“E’ un arcobaleno di neve, dietro la
chiesa”
“Ci sono due arcobaleni”
“Se la signora è cieca allora
l’arcobaleno lo può vedere col cuore”
“Lo vede pensando…”
“Però c’è ancora un po’ di temporale”
“Un arcobaleno a forma di faccia”
“ Si è trasformato in bocca…”
“Gli occhi sembra che volano”
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Il tavolo-arcobaleno con i materiali e i
colori
Alcuni arcobaleni….
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4.5 GLI ADULTI SI RACCONTANO.
La narrazione autobiografica.
L’autobiografia è un percorso di conoscenza di se stessi che avviene utilizzando la
narrazione, è il pretesto per mettere in luce le diverse identità che si possono
rinvenire nella propria storia, i diversi ruoli vissuti e interpretati. Nello scrivere di
sé si possono esplorare parti accantonate, dimenticate, ricomporre frammenti, dare
un nuovo ordine ai fatti e alle relazioni. Non è solo un racconto privato, esso
narra di relazioni, di persone e luoghi che si sono intrecciati con il protagonista-
narratore. I livelli di scrittura-lettura sono tanti, alcuni si rivelano solo
nell’operazione autobiografica.
Di grande importanza in questo percorso è il ruolo della memoria; scrivendo di sé
si accede a quella magica soffitta che contiene tutti i ricordi, quelli presenti che
hanno lasciato tracce indelebili, quelli dimenticati ai quali si offre l’opportunità di
riemergere per arricchire di nuove tinte la tavolozza del presente.
Ecco che il metodo autobiografico diventa un eccellente strumento per ri-attivare
e rinvigorire le facoltà cognitive, fatto che lo rende insostituibile esercizio per
l’età adulta e senile ma comunque risorsa da coltivare in ogni periodo della vita.
Raccontare di sé significa “prendersi in carico”, ri-conoscere o dis-conoscere i
fatti che appaiono alla mente, accoglierli o escluderli, ridefinire, comunque, le
maglie della propria esistenza, comprendendo nel cuore un disegno complesso le
cui linee solo per quell’istante si fissano entro i limiti dati.
E se si apprendono le regole e gli ingredienti di questo metodo significa avere a
disposizione una risorsa permanente che si adatta e si plasma ogni volta alla
necessità del momento, può consentire di rimettere un ordine plausibile alle cose
quando il vento della vita le scompone e crea dolore, o di avere un filo da seguire
quando tutto si smarrisce.
Ma l’autobiografia non è solo rivisitazione di memorie, presa di distanza
liberatoria dal passato, è anche ricerca di una nuova via da percorrere avendo
chiarito quali ormeggi si hanno a disposizione che impediscono di andare alla
deriva; consente di guardare avanti grazie alla spinta che viene da dietro: “La vera
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cura di sé, il vero prendersi in carico facendo pace con le proprie memorie inizia
probabilmente quando non più il passato bensì il presente, che scorre giorno
dopo giorno aggiungendo altre esperienze (…)entra in scena. E diventa luogo
fertile per inventare o svelare altri modi di sentire, osservare, scrutare e
registrare il mondo dentro e fuori di noi.”30 Diventa uno scrivere il diario del
presente coniugando intensità e consapevolezza, che talvolta diventa saggezza, è
un viaggio formativo che conquista, giorno dopo giorno, nuovi territori alla
conoscenza.
Sono molti gli approcci che utilizzano il metodo autobiografico sia all’interno del
contesto educativo che in altri ambiti. 31 L’idea di fondo che lo sostiene è che
l’individua possa sviluppare la consapevolezza della propria formazione, del
proprio cammino esistenziale attribuendo significati peculiari e soggettivi alle
diverse situazioni che la vita propone.
Usare la pratica biografica in ambito educativo produce buoni risultati.
Innanzitutto offre l’opportunità di avere uno sguardo aperto che connette passato,
presente e futuro, che fa vedere la propria vita connessa e relazionata al mondo
esterno anziché isolata e solipsistica. Sviluppa il necessario distacco per
interpretare i fatti della propria vita, accresce il senso di responsabilità nei
confronti delle proprie azioni e scelte.
Realizza la possibilità di sperimentare una propria auto-formazione che si
confronta con le metodologie didattiche istituzionali e, inoltre, crea una situazione
di parità tra alunni e insegnanti per il fatto che il campo della soggettività, della
storia personale, non conosce gerarchie didattiche ma presuppone la
sperimentazione diretta.
Infatti, raccontare se stessi, quando non è inteso solo come strumento di raccolta
di informazioni, presuppone una buona conoscenza di sé e del mondo esterno,
significa aver fatto esperienza del mondo delle relazioni, delle emozioni; richiede
un archivio di storie e vissuti a cui attingere per rielaborare i propri significati.
30 Demetrio, D., Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina, Milano, 1996. 31 Formenti, L., Le tecniche delle ricognizione autobiografica, in: D.Demetrio (a cura di), Per una didattica dell’intelligenza, Franco Angeli, Milano, 1995
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Per tale motivo è una pratica che ben si adatta agli adulti; tuttavia, proprio perché
le capacità narrative sono insite nell’uomo, diventa un obiettivo indispensabile
esercitare questa inclinazione, offrendo opportunità nel contesto scolastico che
consentano di affinare la capacità progettuale personale e di meglio prepararsi a
percorrere la strada verso la crescita e la maturità. Gli obiettivi sono quelli di
sviluppare le capacità trasformative dei propri vissuti, imparare ad individuare e
valorizzare le proprie risorse finalizzandole ad un progetto di vita, prendere
coscienza della propria identità psicologica, emotiva e cognitiva.
Demetrio sostiene che l’esercizio dell’autobiografia produce effetti diversi:32
- eterostima data dal constatare che la propria storia suscita interesse negli altri,
sentirsi riconosciuto e apprezzato
- autostima ossia il riconoscere che la propria storia è interessante e degna di
essere narrata, il valorizzare la propria persona e la propria soggettività
- esostima che nasce dalla soddisfazione di aver elaborare uno scritto dotato di
significato in cui il narratore si riconosce.
Inoltre la pratica autobiografica consente al narratore di collocarsi un una
prospettiva privilegiata, di distacco temporale oltre che spaziale che gli offre
l’opportunità di essere presente sia nell’allora che nel momento attuale così pure
nel là e nel qui. È quella che viene chiamata bi-locazione cognitiva, ossia “la
capacità di ognuno nella narrazione di dividersi senza perdersi per potersi
guardare”. Tale operazione avviene anche nel ruolo dei personaggi: il narratore
nel raccontare le vicende del Sé-Protagonista vede la propria storia con occhi
diversi, come se non gli fosse mai appartenuta.
32 Portis, L., Le metodologie autobiografiche, articolo pubblicato su: www.aimcasti.it, consultazione marzo 2010
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Laboratorio espressivo-narrativo:
RACCONTARSI, CONFRONTARSI, ASCOLTARSI
Destinatari: un gruppo di adulti
Obiettivi
Quando un adulto accetta di mettersi in gioco e raccontarsi, con il solo obiettivo di
rileggere le tappe più significative della vita per far affiorare ricordi e rimembrare,
cercando nuovi significati da attribuire ai propri vissuti, intraprende un
meraviglioso viaggio alla ri-scoperta di lati di sé che spesso si rivelano portatori di
risorse e sorprese inaspettate. Il clima accogliente e affettuoso che si instaura nel
setting attiva da subito legami invisibili che intrecciano le diverse esperienze
vissute e creano un forte senso di cooperazione e rispetto. Non avere aspettative di
risultati da perseguire alleggerisce notevolmente l’atmosfera del gruppo che
ritrova in questo appuntamento periodico la leggerezza e il piacere dello stare
insieme. L’atto di confrontare i propri vissuti con le esperienze degli altri
ridimensiona il carico emotivo di certi ricordi che affiorano, talvolta in modo
doloroso, lasciando intravedere la possibilità di ridisegnarli con nuovi colori,
come dono della ricchezza che il gruppo può offrire. Parole e disegni si
intrecciano in questo laboratorio di counselling espressivo trovando ogni volta la
migliore forma per comunicare le emozioni, gli stati d’animo, i pensieri elaborati
durante il percorso.
IL PERCORSO
Gli incontri sono stati 4 in totale con cadenza trisettimanale della durata di circa 2
ore ciascuno.
Il tema da sviluppare era: la Narrazione Creativa di Sé, quindi un percorso
autobiografico svolto utilizzando varie modalità, in parte espressive e in parte
colloquiali-espressive. Ogni laboratorio era organizzato a modulo, pertanto in esso
si apriva e chiudeva un capitolo della storia. Di seguito i temi affrontati e alcuni
testimonianze dei vissuti emersi.
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1° INCONTRO: “SCIOGLIAMO UN NODO”
Obiettivo
E’ il primo incontro in cui le persone si trovano, pertanto si dà precedenza
all’accoglienza con un momento di presentazione e socializzazione. Per favorire la
creazione dell’energia vitale del gruppo, frutto della cooperazione di ogni singola
individualità, la consegna prevede un momento di introspezione e rilassamento
guidato finalizzato all’ascolto di sé e alla ricerca della propria forma espressiva-
simbolica, il personale codice linguistico-simbolico che può apparire attraverso la
visualizzazione di un’immagine o segno ricorrente.
L’attenzione poi, sempre con la modalità guidata, doveva convergere sulla
focalizzazione di un nodo problematico nella vita personale, lavorativa, affettiva e
attraverso il disegno, isolarne gli aspetti emergenti, accoglierli, osservarli e infine
parlarne al gruppo, iniziando a scrivere il primo capitolo della propria ri-
narrazione.
Ecco alcune immagini:
C. “Nutrimento”
“È una trasformazione in senso di crescita, un nutrimento affettivo che divora ma
che poi si trasforma in abbraccio…”
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S. “La chiocciola va…”
“La chiocciola può andare sia per mare che per terra…qui ci sono entrambe le
possibilità, anche se attualmente si trova nel mare. Si muove con cautela, lentezza,
ha bisogno di osservare, rendersi conto prima di sentirsi sicura….e si porta dietro
la casa…”
La cosa più tenera sono gli occhietti della chiocciola che osservano e commentano
più di ogni altra parola il racconto di S: tutti ne rimangono colpiti e li notano!
S. “Vita”
“Onde, vita, linee che potrebbero essere flutti ma anche terra, vegetazione... nel
mezzo una creatura marina; le parole esprimono il significato della vita; c’è
tensione al calore e alla tranquillità, ma anche una forza intensa che mi porta ad
essere in movimento…un moto costante.”
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L. “Montagne”
“Sono due disegni in uno: il primo è un paesaggio verde, con le colline, il
laghetto, il cielo e il sole dietro le colline, è la parte positiva, i punti di forza del
mio nodo.
Il secondo rappresenta delle montagne, con varie sfumature fino a diventare
deserto: sono gli aspetti negativi del problema.”
Il gruppo osserva che le due parti sono nettamente staccate ad un primo sguardo,
ma ci sono anche linee molto leggere che le uniscono, linee che non appaiono
subito ma vanno scoperte.
2° INCONTRO: “TRANSIZIONE”
Obiettivo
Analisi del cambiamento, evoluzione di sé. La narrazione di uno spaccato della
propria vita visto attraverso i momenti del cambiamento
Momento di accoglienza con riflessione sulla seduta precedente e riaggancio del
filo conduttore narrativo; raccoglimento e rilassamento tutti in cerchio per
“sentire” il gruppo e la sua energia. Infine la consegna che era di rappresentare tre
momenti importanti della propria vita:
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1) Qualcosa a cui si sta pensando o di cui ci si sta occupando nel presente
2) Uno stato o condizione precedente a questo
3) Come si vorrebbero cambiare le cose nel futuro
Tempo di lavoro grafico: 45 minuti ca seguito dalla fase narrativa – colloquiale.
L’incontro è stato caratterizzato da momenti di grande intensità, il tema trattato ha
toccato episodi significativi della vita dei partecipanti. Si è manifestata una grande
energia di gruppo, accoglienza e contenimento. Si nota molta attenzione nei
confronti delle storie del gruppo; maggiore libertà espressiva rispetto all’incontro
precedente, più apertura e disponibilità a parlare di sé.
M. - “Pensieri”
“Presente, Passato, Futuro sono presenti tutti insieme e sono collegati…Il Presente
è il più significativo per me: la famiglia, il lavoro, gli amici….Nel Passato i
simboli rappresentano i miei ideali che hanno poi trovato il loro collegamento- nel
presente, in se stessa. Nel Futuro ci sono i desideri…Il grande albero alla base è la
mia famiglia di origine…”
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C. – “Consapevolezza”
Nel Passato mi sono spesso sentita in gabbia, senza poter esprimere tutto quello
che avevo dentro… Il futuro è qualcosa di lontano, da definire…Il presente è un
volto di donna, con un occhio aperto sul mondo…sbarrato… un occhio che
guarda ma che ha anche paura, mentre l’altro è coperto dai capelli: forse non
vuole vedere o forse non si è ancora aperto.”
L. – “La mia vita/Incognito”
“Il Passato è qualcosa di tranquillo, con regole forse dettate più dagli altri che da
me stesso… nel presente c’è la perdita delle certezze, tutto si mette in movimento,
nessun punto fisso. Nel Futuro ci sono i desideri…il futuro è qualcosa di
incognito, da costruire con più consapevolezza”
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S. – “In bilico”
“Il Passato è anche il Presente, sono interscambiabili…ci sono aspirazioni non
realizzate, sofferenze…l’uno fluisce nell’altro e viceversa.…”
S. è molto provata da questo momento; le viene fatto notare che gli spunti per il
cambiamento in positivo ci sono, il grande punto esclamativo...
“Non so cosa mi porterà il Futuro, vedo ancora sofferenza, morte…”
Anche in questo caso l’immagine offre elementi per avviare insieme
un’operazione di trasformazione della trama narrativa: attraverso domande,
riflessioni e confronti col gruppo si riescono a contenere le forti emozioni
suscitate dal racconto del vissuto e si aiuta S. ad individuare alcuni elementi che
possono rappresentare la perturbazione che dà l’avvio ad un nuovo, diverso
racconto da iniziare insieme, nel qui e ora.
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3° INCONTRO: “IL RACCONTO AUTOBIOGRAFICO: LA METAMORFOSI
DEL CORPO E DELL’ANIMA”
Premessa
La propria vita raccontata agli altri utilizzando le fotografie, un affondo intenso
nel mare dei vissuti personali sperimentato all’interno del gruppo in un clima
sereno e di “evasione” rispetto agli impegni pressanti quotidiani. Questa
particolare condizione ha consentito di superare qualche iniziale titubanza data
proprio dall’andare a recuperare memorie lontane, sepolte nella polvere dell’oblio,
per riportarle nell’attualità del presente e condividerle; accogliere con animo
aperto sia qualche momento di tristezza che gli attimi di gioia suscitati dalle
immagini. Ciò che emoziona di più in questi momenti è cogliere i contenuti degli
sguardi che le foto hanno fissato, attimi immortalati in un passato più o meno
lontano che suggellano promesse, intenzioni, progetti e il raffrontarli con il
presente: quanto di quelle intenzioni consegnate alla Vita si è realizzato, quanto si
è perso o si è trasformato. Attraverso la lettura fotografica si possono ripercorrere
i passi della metamorfosi della propria vita e dell’anima: cosa è cambiato? Cosa
ho ri-trovato? Cosa ho ri-conosciuto? Cogliendo alcuni di questi spunti si avvia il
filo, uno dei tanti possibili, del racconto che mescola, amalgama, condensa, taglia,
ricostruisce, distrugge, ecc., gli episodi della nostra storia creando nuove trame
che sono intessute con la consapevolezza del momento presente.
Il racconto autobiografico proposto in un contesto di gruppo stimola la
condivisione e l’immedesimazione: “Il testo è un ponte che unisce narratore ed
ascoltatore su cui transita esperienza che si offre all’osservazione, alla
condivisione, all’elaborazione e all’interpretazione propria e altrui”(Franza,
1997)33
33 Citazione tratta da: Garrino, L., La narrazione come strumento di formazione e di cura in ambito socio-sanitario, pubblicato su: www.comune.collegno.to.it, consultazione marzo 2010
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Quando le foto non ci sono, il racconto si
crea ugualmente attraverso le immagini
ritagliate dai giornali come ha fatto S.
La cosa più significativa è stata che lo scarto
tra le immagini vere della sua vita e quelle
mediate del giornale le hanno consentito di
fare una narrazione ampia, completa, lucida del suo ciclo di vita, molto più di
quanto sono riusciti a fare gli altri…
4° INCONTRO: “IL GIOCO DELLA VITA”
Obiettivo
Nell’ultimo incontro si è voluto concludere l’esperienza con il gioco-esercizio
ideato da Duccio Demetrio, il Gioco della Vita. Ogni partecipante doveva
raccontare episodi della propria storia suggeriti dalla parola che si trovava nella
casella in cui stazionava il proprio segnalino. Sono state introdotte inoltre due
varianti: al numero 3 del dado il racconto doveva avvenire in forma di fiaba;
quando usciva il numero 5 si doveva accompagnare il racconto con un’immagine
disegnata.
L’avvio per alcuni è stato un po’ faticoso: l’aggancio tra la suggestione della
parola in casella e la propria vita non riusciva immediato, solo dopo alcuni tiri di
dado la narrazione è diventata spigliata. Questo esercizio che può essere molto
interessante proposto ad un gruppo classe, quando è sottoposto agli adulti può
creare qualche difficoltà, soprattutto in fase iniziale, a mio parere proprio per la
presenza di maggiori barriere che spesso ha l’adulto rispetto all’adolescente in
modo particolare nella disinvoltura del raccontare di sé. Tuttavia il clima un po’
ludico della situazione ha consentito di sciogliere quelle residue difese, creando
apertura e disponibilità al racconto.
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Considerazioni conclusive dell’esperienza
Le persone partecipanti, inizialmente un po’ timide anche se motivate dal
desiderio di intraprendere questo viaggio, si sono progressivamente aperte,
lasciando lentamente fluire il loro vissuto. Il momento di introspezione iniziale nel
primo incontro, ha contribuito fin dall’inizio a creare un clima rilassato e di
fiducia, ad isolarsi dal frastuono della quotidianità. La condivisione di gruppo ha
suggellato uno stato di benessere e serenità, da tutti ricercato come obiettivo
prioritario del percorso. I loro elaborati hanno mostrato con evidenza i sentimenti
che di volta in volta prendevano corpo in loro quando andavano a leggere,
ricordare, indagare dentro se stessi: titubanza, timore, dubbio, abbandono…
La restituzione plenaria è stata sempre molto ricca di spunti, ognuno interveniva
dando la sua lettura al lavoro dell’altro.
Le suggestioni e le immagini osservate nel lavoro altrui, pur essendo aspetti del
tutto personali di chi osserva, hanno il magico potere di creare risonanze con
l’esperienza dell’autore del disegno e quindi suggerire spunti, idee, fili inaspettati
di nuove trame narrative.
La narrazione espressiva ha dato buoni risultati, confermandosi un mezzo per
aprire varchi sulle proprie esperienze e vissuti che può essere modulato, adattato
ai diversi momenti. Dove la parola talvolta fatica a trovare significati, l’immagine
offre la sua cima di salvataggio.
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5. CONCLUSIONI
Scrivere le conclusioni di uno studio, di una ricerca che per un lasso di tempo ha
accompagnato i miei pensieri quotidiani mi risulta sempre piuttosto difficile. È un
po’ come dipingere un quadro: non c’è mai un’ultima pennellata perché il giorno
seguente e quello dopo ancora, riveleranno sempre qualcosa di diverso all’occhio
che in quel momento non si era colto o forse non c’era…
Così è anche in questo caso e lo è ancora più intensamente in quanto credo che
questo sia solo l’inizio di un percorso di grande fascino e interesse ma soprattutto
di grande efficacia per la crescita personale, sia per le persone che condivideranno
con me le future esperienze sia in termini personali. Il racconto della propria vita,
la narrazione creativa di sé, nel momento in cui diventa attività consapevole e
ricercata, rappresenta un motore evolutivo di grande portata e quindi
fondamentale per consentire all’individuo di tuffarsi nella propria interiorità e
trarne tutti gli elementi indispensabili da spendere nella vita di tutti i giorni.
Ma ancora più significativo per me è stato il constatare quanto importante sia
diffondere queste pratiche all’interno della scuola, quanto i bambini abbiano sete
di conoscere non solo un mondo fatto di pragmatismo e regole -ciò che più
frequentemente mostriamo loro- ma anche e soprattutto quello magico della
creatività, della fantasia, dell’espressività. Bastano talvolta pochi spunti per aprire
le porte del mondo infantile e lasciare che la ricchezza di colori e di umanità
presente in loro prenda il volo. Le riflessioni e i pensieri che talvolta si ascoltano
hanno un profondità da far arrossire gli adulti; coltivare queste risorse è non solo
un importante passo educativo ma lo ritengo un dovere etico cui la società degli
adulti, in primo luogo genitori e insegnanti, non possa sottrarsi, pena la perdita
definitiva dei valori personali e lo svuotamento di ogni azione educativa.
Dai bambini si impara moltissimo; chiedono di essere ascoltati, capiti, di parlare il
loro linguaggio e quando questo non è comprensibile per noi adulti, si aspettano
per lo meno il rispetto e la pazienza della ricerca di un modo per comunicare
comune e condiviso.
I bambini vanno aiutati, accompagnati alla vita e alle esperienze del mondo.
Offrire loro opportunità di farlo attraverso il gioco, l’arte, la condivisione sono gli
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obiettivi che qualunque professionista che opera in ambito educativo, quindi
anche un Counsellor-Arteterapeuta, deve conseguire.
“Giocare è una cosa seria!
I bambini di oggi sono gli adulti di domani,
aiutiamoli a crescere liberi da stereotipi,
aiutiamoli a sviluppare tutti i sensi,
aiutiamoli a diventare più sensibili.
Un bambino creativo è un bambino felice!”
(Bruno Munari, artista e designer)
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