INFORMATION COMMUNICATION TECHNOLOGY PER UN PROGETTO URBANO SOSTENIBILE (Antonio Caperna)

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INFORMATION COMMUNICATION TECHNOLOGY PER UN PROGETTO URBANO SOSTENIBILE Antonio Caperna

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A partire dalla fine degli anni ’80, si è cominciato aparlare prima di società dell’informazione e quindi,negli anni ’90 con l’avvento della tecnologia digitale,di network society. Partendo da questi presupposti, l’autore ha inteso fornire un contributo sulla sostenibilità attraverso due piani paralleli di lettura che si intrecciano ed influenzano reciprocamente: quello della quello della sostenibilità ambientale del territorio e quello della componente strumentale legata alla ICT

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INFORMATION COMMUNICATION TECHNOLOGY

PER UN PROGETTO URBANO SOSTENIBILE

Antonio Caperna

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Information Communication Technology per un progetto urbano sostenibile

Informazione e comunicazione digitale nei processi di conoscenza e di governo sostenibile del territorio

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Società Internazionale di Biourbanistica http://www.biourbanism.oeg [email protected]

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Ringraziamenti Innanzitutto vorrei ringraziare Elena Mortola, per il suo contributo sia in termini dialettici

e di critica costruttiva che di “supporto logistico” durante i miei spostamenti all’estero.

Un particolare ringraziamento va all’Arch. Giovanni Biallo, per avermi consentito di

partecipare alle attività formative, relativamente alle tematiche legate ai sistemi GIS,

presso il Laboratorio di MondoGIS. Un altro grazie va al Prof. Kees Doevendans e ai

Proff. Theo Arentze e Aloys Borgers dell’Urban Planning Group della Technical

University of Eindhoven (TU/e), i quali, oltre a fornirmi utili consigli per il mio lavoro, mi

hanno reso partecipe della loro attività accademica e di ricerca. Ancora un grazie al

Prof. Nikos Salingaros - Department of Applied Mathematics, University of Texas at

San Antonio - per avermi fornito utili consigli e materiale relativamente ai suoi studi di

matematica applicata all’architettura e all’urbanistica. Infine, un grazie ai Proff. Petter

Pilesjö e Jean Nicolas Poussart, rispettivamente direttore e docente del GIS Centre

della Lund University (Svezia), per la stima e l’apprezzamento che hanno dimostrato

nei miei confronti e verso il mio lavoro.

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I N D I C E

Ringraziamenti….………………………………………………………………………… I

Indice………………………………………………………………………………………. III

Capitolo 1 - Introduzione 1.1 Oggetto, obiettivi ed approccio…………………………………………………… 3 1.2 Un quadro di sintesi della contemporaneità ……………………………………. 5

1.2.1 Introduzione…………………………………………………………………… 5 1.2.2 Il dualismo tra la cultura razional-cartesiana e quella organica…………. 6 1.2.3 L’interazione tra filosofia, città e tecnologia nella modernità…………….. 8

1.3 Organizzazione della tesi…………………………………………………………. 11

Parte I: contesto generale. Sviluppo sostenibile e città come entità complessa

Capitolo 2: Sviluppo sostenibile nei processi politico-economici contemporanei 2.1 Introduzione: umanesimo, modernità e post-modernità………………………. 15 2.2 Cosa si intende per sviluppo sostenibile?………………………………………. 16 2.3 Rapporto tra ambiente ed economia: dal mondo moderno al mondo contemporaneo…………………………………………………………. 17

2.3.1 Assetto politico-ideologico nel mondo contemporaneo…………………… 17 2.3.2 I differenti approcci verso un’economia sostenibile………………….. 19

2.3.2.1 Funzionalisti……………………………………………………………….. 21 2.3.2.2 Environmental economics……………………………………………….. 21 2.3.2.3 Gli economisti "umanisti"………………………………………………… 21 2.3.2.4 Dagli economisti umanisti alla bioeconomia…………………………… 22 2.3.2.5 Alcune critiche alla teoria bioeconomica ………………………………. 24 2.3.2.6 I territorialisti ………………………………………………………………. 25

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2.4 Lo sviluppo sostenibile attraverso i documenti internazionali per una nuova politica urbana……………………………………….…………… 27

2.4.1 Una possibile definizione di sviluppo sostenibile……………………….. 27 2.4.2 L’Agenda 21…………………………………………………………………. 28 2.4.3 Partecipazione pubblica ed indicatori nel processo di Agenda 21…….. 30 2.4.4 Il ruolo della comunicazione nei processi partecipativi…………………. 31 2.4.5 Dalla Dichiarazione di Istanbul al protocollo di Kyoto…………………… 32 2.4.6 Aspetti nella politica locale…………………………………………………. 34

2.5 Conclusioni…………………………………………………………………………. 37

Capitolo 3: sviluppo urbano sostenibile nella città contemporanea 3.1 Introduzione………………………………………………………………………… 41 3.2 La città nel mondo contemporaneo…………………………………………….. 41

3.2.1 La città nei processi economico-finanziari del mondo contemporaneo…. 41 3.2.2 Il processo di urbanizzazione nel mondo contemporaneo……………….. 44

3.3 Sostenibilità, complessità ed ambienti urbani…………………………………. 46 3.3.1 Il paradigma della complessità nella cultura contemporanea……………. 46 3.3.2 Significati ed approcci metodologici della complessità……………………. 52 3.3.3 La sostenibilità in termini ecologici………………………………………….. 55 3.3.4 Lo sviluppo sostenibile in termini sistemici…………………………………. 55 3.3.5 La città come eco-sistema……………………………………………………. 60

3.4 Conclusioni……………………………………………………………………….. 62

Parte II: Informazione ed ICT per un progetto sostenibile

Capitolo 4: Indicatori di sostenibilità 4.1 Introduzione……………………………………………………………………. 65

4.2 E’ possibile misurare la sostenibilità?……………………………………….. 65 4.3 Definizione e ruoli degli indicatori……………………………………………. 66 4.4 Tipologie di indicatori…………………………………………………………. 69 4.5 Frameworks teorici sui quali si costruiscono set di indicatori…………….. 72

4.5.1 Base politica……………………………………………………………….. 72 4.5.2 Base tematica……………………………………………………………... 73 4.5.3 Base sistemica……………………………………………………………. 74

4.6 Criteri generali di selezione e di valutazione degli indicatori…………….. 75

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4.7 Un processo partecipativo per la definizione di un sistema di indicatori… 77 4.8 Gli indicatori di sostenibilità ambientali nei documenti internazionali…………………………………………………………………… 79

4.8.1 “Il Core set di indicatori ambientali dell’O.E.C.D………………………. 81 4.8.2 Come scegliere gli indicatori ambientali all’interno del framework PSR…………………………………………………………… 85 4.8.3 Gli indicatori del Global Urban Observatory (UNCHS, United Nations Centre for Human Settlements - Habitat)……………………. 87 4.8.4 Indicatori ambientali della Commission on Sustainable Development (CSD) delle Nazioni Unite………………………………. 91 4.8.5 Gli indicatori per la salute del WHO……………………………………. 93

4.9 Il contesto europeo…………………………………………………………… 95 4.9.1 Introduzione………………………………………………………………. 95 4.9.2 Indicatori Comuni Europei (European Common Indicators – ECI)…. 96

4.10 Gli indicatori di sostenibilità locale ed urbana nel contesto italiano…….. 98 4.11 Informazione digitale ed indicatori…………………………………………… 99 4.12 Conclusioni…………………………………………………………………….. 100

Capitolo 5: ICT e sue le componenti costitutive 5.1 Introduzione……………………………………………………………………. 105 5.2 cos’è la ICT…………………………………………………………………….. 105 5.3 Tipologie di ICT……………………………………………………………….. 108

5.3.1 Data-base technologies ……………………………………………….. 108 5.3.2 Decision Support System (DSS) e Spatial Decision Support System (SDSS)………………………………..……………... 114 5.3.3 Networking Technology……………………………………………….. 118 5.3.4 Multimedia technology…………………………………………………. 121 5.3.5 Identification technology ……………………………….……………… 122

5.4 Gli elementi costitutivi della ICT: infrastruttur elettroniche, contenuti ed accesso…………………………………………………………………….. 122 5.5 Gli elementi costitutivi dell’ICT in ambito locale……………….…………… 124

5.5.1 e-Access………………………………………………………………… 124 5.5.2 e-content………………………………………………………………… 125 5.5.3 Rete infrastrutturale locale…….………………………………………. 128

5.6 Interazioni e dinamiche tra e-Access, e-content e Rete infrastrutturale…………………………………………………………… 128 5.7 Possibili ruoli della ICT nei processi di cambiamento……………………... 129

5.7.1 Efficiency improving……………………………………………………. 131 5.7.2 Trasparency enhancing…………………………………………………132 5.7.3 Control enhacing………………………………………………………... 132

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5.7.4 Innovation enhacing …………………………………………………… 133 5.7.5 Network enhacing………………………………………………………. 133

6. I processi ideologici e politici nell’era della ICT 6.1 Introduzione……………………………………………………………….…… 136 6.2 Le trasformazioni nella società: dalla società razionalista alla network society………………………………………………………………… 137 6.3 La democrazia nell’era della rete……………………………………………. 140

6.3.1 Dall’utopia alla cyber-utopia…………………………………………… 140 6.3.2 Verso la cyber-democracy? Città digitale ed e-democracy………… 142 6.3.3 Obiettivi per una politica di e-democracy……………………………. 145 6.4 ICT nelle politiche dell’Unione Europea e dell’Italia per una società dell’informazione………………………………………………………………. 147

6.4.1 Introduzione…………………………………………………………….. 147 6.4.2 Le politiche dell’Unione Europea per lo sviluppo della ICT………… 149

6.4.3 Il modello italiano di e-Government………………………………….. 154 6.5 Conclusioni. Dalla forma di governo tradizionale all’e-governance:

prospettive e dinamiche……………………………………………………… 159

7. Sviluppo Sostenibile e ICT 7.1 Introduzione……………………………………………………………………. 166 7.2 La ricerca di un possibile framework per un uso sostenibile della ICT 169

7.2.1 Democrazia …………………………………………………………….. 170 7.2.2 Economia…………………………………………………………………173 7.2.3 Principi per un uso sostenibile della ICT…………………………….. 174 7.2.4 Aree strategiche………………………………………………………… 175

7.3 Processi partecipativi e ICT………………………………………………….. 178 7.3.1 I principali approcci emergenti a livello internazionale……………… 179 7.3.2 La partecipazione dei cittadini ai processi decisionali locali ………. 182 7.3.3 Un esempio di metodologia partecipativa: European Awareness Scenario Workshop (EASW)…………………………….. 186

7.4 Conclusioni…………………………………………………………………….. 188

8. Sistemi Informativi per il governo dell’informazione 8.1 Introduzione………………………………………………………………….. 192 8.2 Dall’informazione ai sistemi informativi………………………………… 193 8.3 L’informazione per la conoscenza del territorio: informazione

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spaziale e territoriale………………………………………………………….. 196 8.4 L’informazione nei sistemi informativi territoriali (SIT)…………………….. 199 8.5 Le modalità di rappresentazione digitale dei dati geografici: raster e vector………………………………………………………………… 201 8.6 Tecniche per l’acquisizione dei dati geografici……………………………. 205 8.7 Modalità di gestione ed amministrazione dei dati: i database…………… 208 8.8 Tecnologie informatiche per sistemi informativi: i GIS……………………. 209

8.8.1 Elementi costitutivi di un GIS……………………………………………. 212 8.8.2 Funzioni e capacità di un GIS…………………………………………… 215 8.8.3 Applicazioni in ambito web………………………………………………. 217

8.9 Elementi base per un progetto concettuale di un sistema informativo ambientale per una Pubblica Amministrazione……………… 223

8.9.1 Principi generali……………...……………………………………………. 223 8.9.2 La visione strategica e l’interdisciplinarità nella formulazione dei principi progettuali……………………………………………………. 227

Parte III: casi di studio e progetto di un network territoriale

9. Il ruolo della ICT nelle politiche locali: applicazioni e casi di studio 9.1 Introduzione……………………………………………………………………. 232 9.2 La percezione del ruolo della ICT in rapporto alle politiche locali: l’esperienza olandese…………………………………………………. 232 9.3 Le applicazioni della ICT in alcune città europee………………………….. 237

9.3.1 Eindhoven e L’Aja………………………………………………………... ... 237 9.3.2 L’esperienza di Manchester ed Helsinky…………………………………. 239

9.4 Sintesi tra le diverse esperienze europee………………………………….. 241 9.5 La percezione del ruolo della ICT in rapporto alle politiche locali nel contesto della “rete città strategiche”……………………………..243 9.6 L’esperienza italiana di Reggio Emilia……………………….……………. 249

9.6.1 Quadro generale……………………………………………………………. 249 9.6.2 Gli indicatori messi a sistema……………………………………………. 250 9.6.3 Il sistema informativo del Comune di Reggio Emilia ed il progetto S.I.S.Te.R…………………………………………………………. 257

Capitolo 10. Un modello per la realizzazione di un network territoriale 10.1 Obiettivi generali…..………………………………………………………….. 262 10.2 Background generale per sviluppo del framework……………………….. 265 10.3 Attori coinvolti e ruoli.……………………………………………………….. 266

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10.4 Pre-requisiti politico-tecnici per lo sviluppo di un modello di governo dell’informazione sostenibile…………………………………… 268 10.5 Struttura generale del framework ……………………………...………… 270

10.5.1 Punto a.: modellazione del sistema………………………………… 271 10.5.2 Punto b): sub-sistema informativo degli indicatori……………….. 274 10.5.3 Punto c): Sub-sistema di analisi ed accesso alla base dati (Environmental Data-flow Analysis and Visualizing Information – EDAVI)………………………………………………. 283

10.6 Progetti 285 10.6.1 Introduzione: i progetti avviati dall’Agenzia Regionale per i Parchi (ARP)……………………………………………………. 285 10.6.2 Il network territoriale..……………………………………………….. 287 10.6.3 Attività del LabTer di Montorio Romano (RM)……………………. 288 10.6.4 Progetto e-portal: cultura dell'e-learning e rete territoriale……..… 290 10.6.5 Il concetto di rete nella scuola dell'autonomia…………………….. 295 10.6.6 Progetto piazze telematiche (digital points)……………………….. 295

11. Glossario dei termini più usati nella ICT………………………………………….. 299

12. Bibliografia…………………………………………………………………………… 311

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Non entri alcuno che ignori la Geometria (Platone)

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CAPITOLO 1

Introduzione

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1.1 Oggetto, obiettivi ed approccio Sono trascorsi oltre trent’anni dalla prima conferenza O.N.U. “sull’ambiente umano” tenutasi a Stoccolma nel 1972 e dall’uscita del libro “Limits to Growth” (sempre del 1972). In questo arco temporale vi sono state altre conferenze internazionali e si è assistito, parallelamente, ad una rapida crescita dell’interesse del mondo accademico per le tematiche legate alla sostenibilità e al significato da attribuirgli. Ed è proprio su queste due componenti, politica la prima e paradigmatica la seconda che poggia il presente lavoro nei suoi aspetti generali. Vediamo in dettaglio cosa intendo dire.

Componente socio-politica. Da questo punto di vista, come già accennato sopra, vi sono stati grandi cambiamenti che hanno indotto profonde trasformazioni. A partire dalla fine degli anni ’80, si è cominciato a parlare prima di società dell’informazione (Castells, 1989) e quindi, negli anni ’90 con l’avvento della tecnologia digitale, di network society (Castells, 1996) ovvero dell’affermazione di un sistema socio-economico e finanziario non più caratterizzato da una produzione di massa ed uniforme, ma bensì su modelli di produzioni flessibili e strutturati attorno ad un economia e ad un sistema finanziario globale e a rete. Queste trasformazioni hanno richiesto e tutt’ora richiedono un grande sforzo politico, soprattutto in termini di programmi ed idee capaci di gestire e governare, secondo approcci sostenibili, processi e modelli divenuti via via più complessi. E’, quindi, su queste necessità di governo della complessità che sono stati elaborati differenti documenti politici che, più di ogni altra cosa, individuano nelle basi informative e nei processi di comunicazione (in particolare quelli strutturati attorno alla ICT) le basi sulle quali individuare possibili modelli di sostenibilità. In termini politici quindi, il percorso verso la sostenibilità diventa un concetto unificante che riunisce in sé sia principi decisionali democratici che principi di gestione ambientale ai differenti livelli della gerarchia decisionale. In particolare, gli elementi sui quali l’opzione politica deve e dovrà sempre più puntare sono:

democrazia: ovvero processi decisionali democratici e condivisi sia per mezzo dei propri rappresentanti politici, sia con la possibilità di associarsi per esprimere le proprie opinioni;

sussidiarietà: ovvero le decisioni devono essere prese al livello più vicino possibile ai soggetti coinvolti;

responsabilità: la responsabilità delle decisioni deve essere chiaramente definita, sia che competa agli organi di governo locale sia che venga demandata ad apposite commissioni tecniche con funzioni e poteri specifici;

trasparenza: il processo decisionale deve essere chiaro, pubblico ed esplicito; partecipazione pubblica: la partecipazione va ulteriormente integrata con la

formazione, la sensibilizzazione, l'educazione, in modo che le scelte e gli interventi vengano elaborati in maniera più consapevole.

Paradigma della complessità1. Si tratta di un paradigma che ha indotto profondi rivolgimenti, tanto sul piano teorico che su quello filosofico, e che si qualifica per un

1 Come vedremo meglio nei capitoli successivi, per paradigma si intende “l’insieme delle conquiste scientifiche universalmente riconosciute e che, per un certo arco di tempo, forniscono un modello di problemi e soluzioni accettabili a coloro che praticano un certo campo di ricerca” . (la definizione è di Kuhn citato da Oldroyd D., The arch of Knoledge. An introduction study of the histiry of the Philosophy and Methodology of Science, Methuen, New York, 1986.

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approccio scientifico caratterizzato da una forte interdisciplinarità dovuta alla possibilità di applicare concetti matematici a differenti aree della ricerca. In tali modelli emerge il fatto che le diverse unità che lo compongono sono, per mezzo di processi di interazione, in reciproca relazione “scambiandosi informazioni”, il che equivale a dire cercare di “organizzarsi” scegliendo una tra le infinite possibilità disponibili e tale da permettere una interazione armonica e non conflittuale tra le parti che lo compongono. E’, quindi, da questa capacità di interdisciplinarità del paradigma della complessità, nonché dalle sue caratteristiche matematiche che andiamo a rappresentare gli ambienti (urbani e non) in forma sistemica.

E’, quindi, sulla base di queste due componenti, politico-analitica l’una e metodologica l’altra, che poggia l’oggetto cui mira il presente lavoro: ovvero quale ruolo può giocare la ICT nei processi di innovazione e trasformazione sostenibile della città e del territorio. Più in dettaglio, il lavoro svolto, oltre a fornire un quadro di analisi strutturato su più livelli, cercherà di fornire possibili soluzioni sostenibili in ordine alle seguenti tematiche:

ruolo dell’informazione e della comunicazione come componenti essenziali per favorire dinamiche virtuose di sviluppo locale e sostenibile del territorio. In tal senso si analizzerà il valore delle basi informative (quale informazione, per chi, per che cosa e come produrre informazione) e dei processi di comunicazione strutturati attorno alla ICT. In particolare, per quest’ultima si identificherà un possibile modello sostenibile e tale da mitigarne gli aspetti negativi; e-democracy ed e-government: ovvero il nuovo rapporto che si è instaurato

tra potere pubblico e individuo per effetto delle nuove tecnologie; sistemi informativi territoriali interattivi come strumenti non solo per

permettere un governo efficace ed efficiente del territorio, ma anche come metodologie da integrare in processi di pianificazione partecipata e di valutazione ambientale strategica.

Siamo, quindi, in presenza di un’analisi valutativa dell’efficacia di modellare lo sviluppo sostenibile di un territorio attorno al concetto di sistema e di gestione di questa complessità attraverso strutture informative digitali. In particolare quest’ultima componente sta aprendo nuovi ed ancora inesplorati scenari in cui il connubio tra information technology e communication technology configura non solo una serie di nuove possibilità in termini di maggiore efficienza, tanto nei processi di comunicazione che di decision making, ma anche nuovi scenari socio-politici ed economici fino a pochi anni orsono inimmaginabili.

Viceversa, il termine sistema fu usato per la prima volta dal biochimico Lawrence Henderson, e ciò per indicare sia gli organismi viventi che i sistemi sociali. Il significato originario della parola sistema, deriva dal greco synestanai, cioè porre insieme. In tal senso, sistema è da intendersi come un tutto integrato le cui proprietà essenziali derivano dalle relazioni tra le sue parti. In tal senso il pensiero sistemico definisce la comprensione di un fenomeno nel contesto di un insieme più ampio, cioè porle in un contesto, stabilire la natura delle loro relazioni.

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La figura sopra fornisce una rappresentazione generale dell’organizzazione della tesi. In nero è rappresentata la base metodologica (scientifica e politica) sulla quale si sono successivamente costruiti ed analizzati gli strumenti ed i possibili modelli che essi potevano esprime e capaci di fornire un contributo verso la sostenibilità.

1.2 Un quadro di sintesi della contemporaneità

1.2.1 Introduzione Il presente paragrafo intende delineare un profilo storico-filosofico della moderna società. Ritengo indispensabile operare, seppure in modo conciso, tale analisi perché attraverso di essa verranno dimostrati i limiti culturali e conseguenzialmente quelli di natura politico-economica del nostro mondo e della nostra società. Tale processo di analisi trova la sua ragion d’essere in due motivi:

1. perché è indispensabile comprendere i processi di crescita materiale della nostra società al fine di poterne valutare gli effetti sull’ambiente;

2. tali processi di crescita sono, oramai, divenuti modelli planetari, per cui si assiste, per la prima volta nella storia, alla globalizzazione di una struttura

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Capitolo 1: Introduzione _____________________________________________________________________________________________________________

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politico-economica e, per conseguenza, di quella filosofica, seppure in forme ibride.

E’ altresì ovvio che questi concetti verranno esaminati attraverso una analisi che, sebbene dovrà essere per forza di cose concisa in quanto l’obiettivo della tesi è di altra natura, permetterà di comprendere, mi auguro in modo chiaro, la struttura sulla quale poggio le mie asserzioni e le conseguenze che tale struttura avrà nel rapporto tra uomo ed ambiente urbano e quindi attraverso di questo del concetto di sostenibilità.

1.2.2 Il dualismo tra la cultura razional-cartesiana e quella organica Credo che la nostra civiltà si trovi in un momento estremamente delicato della sua storia. I rivolgimenti politici, a partire dai primi anni ’90 e fino alle ultime manifestazioni, lasciano trasparire gli embrioni di un qualcosa di nuovo che potrebbe portare ad una rottura ideologica con il sistema politico che noi conosciamo. Seppure questi aspetti possano apparire lontani dal tema della sostenibilità, essi sono espressione della struttura dinamica del mondo e della storia. Volendo delineare, attraverso un quadro di sentesi, la configurazione del modello occidentale credo sia necessario analizzarne alcune componenti essenziali, quali:

la struttura filosofica della nostra società, ovvero il modo in cui ci rapportiamo con noi stessi e con il mondo circostante. E in tal senso l’epoca industriale ha dato origine ad un salto culturale, passando da una concezione “organica” del mondo ad una di tipo “meccanicistico”; il ruolo della città, attraverso tutte le sue componenti, tanto quelle fisiche che

quelle ideologiche; la crescita tecnologica dell’uomo e la conseguente crescita esponenziale

dell’impatto sull’ambiente.

Queste tre componenti, oltre ad una chiave di lettura ampia e generale, permettono di porsi, da un punto di vista urbanistico-architettonico, due domande:

a) esiste o è esistita la capacità di generare una forma di linguaggio architettonico in grado di essere in comunione con l’ambiente? Un linguaggio, quindi non più distruttivo e di soffocamento, ma capace di convivere con l’ambiente stesso dando vita ad un connubio vivo?

b) Oggi, attraverso le nostre conoscenze e alla luce del nostro potenziale culturale e tecnologico, in che modo possiamo intervenire sulle città affinché si possa ottenere un “rapporto sostenibile” con l’ambiente?

Cercare una risposta a questi quesiti vuol dire cercare di comprendere, attraverso un tentativo di sintesi, i processi storici non solo attraverso la lente illuministico-razionalistica, ma anche attraverso quelle espressioni di pensiero che, seppure siano risultate minoritarie e perdenti nella cultura occidentale del Novecento, possono fornirci, attraverso nuovi approcci metodologici, altre chiavi di lettura dei fenomeni e, quindi, non solo una lettura in termini tecnici o scientifici, ma anche secondo una

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modalità organica. Come detto, il tentativo è quello di staccarsi dalla cultura dominante, legata morbosamente al pensiero illuminista e razionalista, la quale vuole leggere ogni espressione della vita solo attraverso atteggiamenti deterministici di “causa - effetto”. Credo che un tale atteggiamento, oltre a denotare assoluta mancanza di spiritualità, denoti notevoli limiti intellettuali e in taluni casi deviazioni ed esasperazioni che rasentano il fondamentalismo. A proposito di questa ambizione razional-computante, vorrei citare ciò che scrive Konrad Lorenz nel libro “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà”: “Credere che faccia parte del patrimonio stabile dell'umanità soltanto ciò che comprensibile per via razionale, o addirittura soltanto ciò che scientificamente dimostrabile, è un errore che comporta conseguenze disastrose [...] che induce a gettare a mare l'ingente tesoro di conoscenze e di saggezza contenuto nelle tradizioni di tutte le antiche culture e nelle dottrine delle grandi religioni universali [e a] vivere nella convinzione che la scienza sia in grado di dar vita dal nulla, unicamente per via razionale, a una intera cultura, con tutto ciò che essa comporta”.

Ebbene a questa logica di interpretazione del mondo, Spengler contrappone una “logica del tempo”, ovvero un elemento legato ad una necessità organica, la quale compenetra il pensiero mitologico, religioso ed artistico. Sono queste due componenti che originano due approcci filosofici che, se letti ciascuno per suo conto, risultano completamente differenti, traducendosi poi, in chiave socio-politica, in due atteggiamenti che interpretano il senso ultimo delle cose e dei fatti o in chiave naturalistico-meccanicistica o in quella storico-organica; “ognuno per sé, i due ordini abbracciano il mondo intero. Solo che l’occhio, in cui e per cui questo mondo prende forma, è diverso.” (Spengler, 1978).

Cerchiamo ora di meglio comprendere questi due atteggiamenti, di confrontarli e di desumerne indicazioni per il nostro presente. Credo sia cosa appurata che con la modernità si è sempre più affermata la struttura filosofica in chiave naturalistico-meccanicistica, la quale attraverso un’ideologia tutta rivolta verso un progresso sottomesso alla verifica del comando scientifico, ha finito con il frantumare il sapere in mille rivoli al solo scopo di ottenere per ciascun “micro-ambito” il massimo, sia in termini tecnici che di ricadute economiche. Si è assistito, così, ad un radicale cambiamento sul valore ultimo e sul senso da dare non solo alle scoperte scientifiche ma anche alla stessa esistenza. La modernità, intesa come civilizzazione, può concepire la realtà solo attraverso il filtro delle conoscenze tecnico-scientifiche. Questa esaltazione dell’anima tecnica, che rinnega tutti quegli atteggiamenti e quelle manifestazioni legate al “senso mistico” e di amore cosmico, “ha cambiato il sentimento faustiano della natura in conoscenza concettuale e le figure di una fede originaria nelle forme meccaniche di una scienza esatta”. Questo atteggiamento di superiorità, se da un lato ha fornito all’Uomo nuovi strumenti per affermare sempre di più la propria forza sul Creato, dall’altro ha finito per rendere l’uomo stesso schiavo della macchina, schiavitù che trova la sua espressione viva nell’olocausto della terra attraverso i processi economici. A questo mondo inteso come puro meccanismo razionale può essere contrapposto un mondo con una diversa gerarchia, dove la necessità meccanica è subordinata alla necessità organica, in quanto è quest’ultima ad essere fondamento della prima perché depositaria di forza creatrice, mentre la prima definisce solo i limiti e le regole. Questi due atteggiamenti culturali sono profondamente contrapposti: da un lato il pensiero illuministico-razionalista che vede il susseguirsi degli avvenimenti in un ottica spiegabile in termini puramente oggettivi. E dall’altro lato la struttura organica, il cui pensiero non è solo una

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pura contrapposizione al pensiero illuministico-razionalista, di cui è pienamente consapevole della intrinseca necessità che lo accompagna, ma anche un tentativo di interpretazione simbolica delle civiltà che sono apparse sulla terra attraverso quelle espressioni simboliche divenute arte, religione, scienza e linguaggio. Il pensiero organico percepisce le civiltà come “corpo vivo”, che nascono, crescono per poi, un giorno, morire e rigenerarsi in un qualcosa di nuovo. All’interno di questo processo ciclico, definito da Spengler di “successione organica”, una “civiltà”, una volta che ha raggiunto tutte le sue potenzialità espressive, sia in termini ideologici, religiosi, che artistici e scientifici decade, affievolisce le sue potenzialità, esaurisce le sue forze divenendo “civilizzazione”. Questo processo, che caratterizza ed è destino di ogni civiltà “rappresenta un termine, irrevocabile ma sempre raggiunto secondo una necessità interna a qualsiasi civiltà”. (Spengler, 1978). Ma che cosa significa tutto questo? Ed in che modo queste strutture filosofiche possono aiutarci a capire ed interpretare la natura degli eventi? In tal senso vorrei sottolineare due cose:

a) la struttura organica non rinnega quella razionale, ma concepisce, come ho detto sopra, quest’ultima come necessità intrinseca di un certo momento storico;

b) non possiamo né dobbiamo rinnegare il salto culturale rappresentato dall’esperienza illuministico-razionalista, seppure ritengo che essa abbia esaurito la sua forza e deviato profondamente il rapporto uomo/ambiente.

Allora capire queste due momenti della storia della nostra cultura, vuol dire non porsi in termini di contrapposizione strutturale tra le due, ma leggerle secondo gerarchie differenti. Solo in questo modo potremo strutturare una morfologia della storia in grado di fornirci una chiara analisi dell’evoluzione della nostra cultura, in modo tale da attribuire ad ogni evento il suo senso, comprendendone il perché e le necessità intrinseche che lo hanno generato. In tal senso quando parliamo del sorgere della cultura industriale, ad esempio, ci apparrà chiaro il senso di scelte quali l’adozione del metro come unità di misura al posto delle tradizionali unità legate al corpo umano – piede, pollice, etc. – o il differente approccio verso l’animo umano e la spiritualità così come appare negli scritti di Göethe, che sono chiaramente organici, da quelli razionalisti di un Laclos – nelle Liaisons dangereuses del 1782 – o di Julien Lamettrie in L’uomo macchina. La comprensione di una struttura morfologica non più solo in termini causa-effetto potrà permetterci di guardare verso il nostro destino con occhi nuovi, perché “se si vuole sapere in che forma il destino della civiltà occidentale si compirà nel futuro, bisogna prima sapere che cosa sia una civiltà, in che rapporto essa sta con la storia visibile, con la vita, con l’anima, con la natura con lo spirito, in quali forme essa si manifesta e in che misura queste forme (che sono popoli, lingue ed epoche, battaglie e idee, Stati e dèi, arti e opere d’arte, scienze diritti, forme architettoniche e visioni del mondo, grandi personalità e grandi avvenimenti) abbiano valore di simboli e come tali vadano interpretate” (Spengler, 1978).

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1.2.3 L’interazione tra filosofia, città e tecnologia nella modernità Ad un certo punto della storia dell’uomo la città diviene non più solo una esigenza fisica ma un qualcosa di intimamente legato ad esso, tanto e in tal maniera che “il carattere proprio della storia mondiale, sta nel fatto che tutte le grandi civiltà sono state civiltà cittadine. Le nazioni, gli Stati, la politica e la religione, tutte le arti, tutte le scienze si basano su quest’unico fenomeno elementare dell’esistenza umana, costituito dalla città”. (Spengler O., 1978), Anzi, è possibile dire, almeno da un punto di vista occidentale, che non vi sia creazione umana che incarni la continuità storica in modo più tipico e con forme più tangibili che non il fatto urbano. La storia degli ultimi tre secoli, ha segnato un grande passaggio nella cultura europea. Con l’avvento della città industriale e le trasformazioni politiche, economiche e sociali che con essa si sono intrecciate, hanno segnato un profondo cambiamento nei tradizionali assetti culturali. Le vicende che hanno caratterizzato questo passaggio epocale sono così raggruppate da Benevolo: (Benevolo L., 1993)

a) i meccanismi della rivoluzione industriale – aumento della popolazione, l’aumento della produzione industriale e la meccanizzazione dei sistemi produttivi – cambiano le quantità e le qualità in gioco nel sistema insediativo europeo;

b) la revisione del patrimonio culturale europeo avviene sotto il lume della ragione, che riconosce in ogni genere di realtà un proprio ordine oggettivo, e mette in crisi il loro equilibrio nel sistema tradizionale;

c) la coerenza della progettazione architettonica e paesistica riposa sui meccanismi istituzionali, che vengono contestati dalla critica illuministica e dalle rivoluzioni politiche del tardo ‘700;

d) il progresso tecnico e lo spirito imprenditoriale, che dominano questo periodo, tengono viva intanto l’esigenza della riorganizzazione.

Tutte queste componenti provocano un profondo cambiamento nel mondo fisico e in quello intellettuale. E in tutti questi avvenimenti vi una costante: la città. Con l’avvento della società industriale “la città, con il carico dei suoi problemi, sta al centro degli avvenimenti in un modo affatto nuovo: non come simbolo del potere costituito, per il legame fra corti e capitali stabilito nei secoli passati, ma come sorgente oscura e temibile del potere stesso, nel momento di trapasso“. (Benevolo L., 1993) Così la città diviene il perno di un nuovo sistema che proietta la sua forza tanto verso l’interno – l’assetto delle città diventa uno dei problemi dei nuovi governi usciti dalle lotte del 1848 – che verso l’esterno, dove essa comincia la sua contrapposizione al paesaggio, e a palesare una volontà a “voler essere qualcosa di diverso, di superiore” e dove “la metropoli gigantesca, la città concepita come mondo vicino al quale non deve esistere un diverso mondo, inizia la sua distruzione sull’immagine del paesaggio”. Per cui, se “prima la città si era abbandonata al paesaggio, ora vuole farlo simile a se” (Splenger 1978), Questa trasformazione, accompagnata all’iperbolico sviluppo tecnologico e al processo di globalizzazione delle economie, ha generato uno scontro tra i processi naturali e quelli politico-economici, oramai posti su basi strutturali completamente discordanti. La natura, con i suoi ritmi e i suoi tempi estremamente dilatati e, per contro, processi economici sempre più vorticosi e dove si è enfatizzato un modello economico che ha sempre trascurato la dimensione sociale dell’individuo (Dalay e Cobb, 1990; Fusco Girard, 1997) e dove, addirittura, nell’ultimo decennio dello scorso secolo si è assistito ad una profonda trasformazione sul concetto di denaro, che ha

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Capitolo 1: Introduzione _____________________________________________________________________________________________________________

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finito per acquisire un proprio ed autonomo sviluppo, indipendente dalle classiche forme di scambi puramente commerciali. Questo processo di trasformazione, che secondo Spengler caratterizzano il passaggio tra civiltà e civilizzazione, induce dei profondi cambiamenti culturali, che se risultarono astratti allorquando furono formulati dal filosofo tedesco, appaiono in tutta la loro fisicità oggi che ci troviamo di fronte a fenomeni divenuti oramai globali. In particolare mi riferisco al ruolo economico e politico di quelle città che Sassen chiama città globali o primarziali. Come vedremo più dettagliatamente nei prossimi paragrafi, queste città sono qualcosa di nuovo per la nostra cultura, giacché esse diventano “metropoli, che hanno assorbito tutto il contenuto della storia e di fronte alle quali l’intero paesaggio di una civiltà scende al rango di una provincia avente solo da nutrire la metropoli coi residui di una umanità superiore. (Spengler, 1978). Questo passaggio si traduce in un radicale cambiamento nell’uomo perché l’uomo di questo periodo storico ha perso ogni legame con la “madre Terra”, sono svaniti “i fondamenti tradizionali delle idee filosofiche e religiose” e “il contatto diretto con la natura sono stati in gran parte sostituiti dall’abitudine a concetti rarefatti, soprattutto nel vendere e nel comprare”. (Arnheim R.,1977). La città diviene sede di un particolare modo di vivere e di essere, e l’uomo “civilizzato, nomade intellettuale” (Spengler, 1978) è profondamente radicato alla città, parla una “lingua” nuova e totalmente diversa da quella della cultura contadina “per cui il cittadino è facilmente riconoscibile di fronte a chi non lo è” (Spengler, 1978). Nell’ultimo scorcio del XX secolo abbiamo sempre più assistito a brutali eccessi progettuali, a forme espressive che si sono succedute nel lasso di qualche anno. Tali forme espressive non sono state capaci di attecchire nella società perché rinchiuse in ambiti culturali ristretti. Credo che si possa parlare come di rappresentazioni del malessere o delle angosce di una ristretta cerchia di architetti, i quali, però, non hanno saputo dare risposte nelle loro rappresentazioni né il vuoto né all’impoverimento urbano e sociale della società occidentale. Si pensi, ad esempio a quelle architetture che attraverso una forma espressiva “tecnocratica” e rivolta verso “l’era spaziale” hanno rappresentato scenari urbani dove lo spazio della città era fondamentalmente ostile all’uomo, quasi espressione e raffigurazione di presagi di morte. O, ancora, espressioni di silenziose utopie colme di ottimismo tecnologico, che addirittura in alcune proposte evocano immagini metafisiche, effimere e criptiche, alcune delle quali sono votate all’autodistruzione. Queste architetture sono solo la rappresentazione fisica di un malessere presente nella nostra società. Apprezzo di talune di esse non l’aspetto architettonico ma quello pittorico, quindi puramente speculativo attribuendogli una espressività conchiusa in se stessa e per se stessa. Il problema, come più volte verrà sottolineato nel presente lavoro, è strutturale, ovvero i profondi rivolgimenti che hanno segnato il crollo di confini esterni, fisici, geografici, economici ed epidemiologici dovuti ai processi economico-politici e sociali, hanno prodotto o indotto anche, per così dire, un crollo di quei limiti interni di carattere etico; ciò se da un lato ha prodotto come effetto grandi successi della scienza e della tecnica, dall’altro ha creato grandi vuoti etico-morali e politici. La ricostruzione del mondo operata dalla razionalità scientifica e dall'efficienza tecnologica ha aperto prospettive grandiose, di fronte alle quali cadono uno dopo l'altro i limiti, i tabù e gli scrupoli tradizionali. Nascono così i miti dell'onniscienza, dell'onnipotenza e dell'immortalità, che incarnano aspirazioni umane vecchie come il mondo. Vorrei concludere dicendo che “… niente di ciò che è bello è separabile dalla vita; e la vita è ciò che muore” (Velery P., 1990).

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1.3 Organizzazione del testo Il testo è stato strutturato in tre parti, così organizzate:

I. la prima parte della tesi opera un’analisi generale sui cambiamenti culturali, sociali ed economici che hanno investito la nostra società, nonché sul significato che è stato attribuito allo sviluppo sostenibile.

Sulla scorta di tale struttura sono stati sviluppati i seguenti capitoli:

capitolo secondo, dove si è cercato di capire quale significato è possibileattribuire allo sviluppo sostenibile alla luce tanto dei processi politici edeconomici che di quelli politici del mondo contemporaneo;capitolo terzo, dove si tratterà dello sviluppo sostenibile con riferimento aisistemi urbani. In tale ottica verrà sviluppato un percorso che attraverso lateoria della complessità porterà ad un’analisi della città in termini di eco-sistema, con tutte le implicazioni di ordine metodologico e politico-economicoche ne seguono.

II. La seconda parte, che costituisce il cuore del presente lavoro, andrà asoffermarsi più dettagliatamente sul ruolo degli indicatori di sostenibilità e dellaInformation Communication Technology (ICT), cercando di capire il ruolo didetti sistemi in una prospettiva di attuazione di politiche volte alla sostenibilità.

Sulla scorta di tale struttura sono stati sviluppati i seguenti capitoli:

quarto capitolo, dove si cercherà di capire cosa si intende per indicatore disostenibilità, le differenti chiavi di lettura che essi permettono, nonché idifferenti frameworks sulla scorta dei quali strutturare obiettivi volti allasostenibilità;quinto capitolo, tratterà della ICT e delle sue componenti costitutive. Si, cioè,di capire cos’è la ICT, quali componenti la caratterizzano, sia a scalanazionale che su scala locale, nonché le interazioni e le dinamiche tra questecomponenti nonché sui possibili ruoli della ICT nei processi di cambiamento;sesto capitolo tratterà dei processi ideologici e politici legati all’introduzionedella ICT nella società contemporanea. In particolare si analizzeranno sia ilcambiamento strutturale della società, sia i nuovi processi di ridefinizione delconcetto di democrazia in atto nei paesi tecnologicamente avanzati. La partefinale del capitolo fornirà un quadro sulle politiche dell’Unione Europea edell’Italia nella società dell’informazione ma anche le prospettive e ledinamiche che caratterizzano processi attuativi della e-democracy e dell’e-Government;il settimo capitolo tratterà della interazione tra processi sostenibili e la ICT. Intale capitolo si forniranno una serie di indicazioni e spunti metodologici al finedi definire un possibile framework per un uso sostenibile della ICT;

l’ottavo capitolo permetterà una sintesi tra la componente informativa e quellacomunicativa al fine di permettere tanto operazioni di governo dellacomplessità che di attuazione di conoscenza condivisa, soffermandosi, inparticolare, sul passaggio tra informazione e sistema informativo.

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III. La terza parte, infine, fornirà un quadro delle esperienze internazionalicaratterizzate dal connubio ICT e sostenibilità e da un possibile modello attuativodel percorso definito nel presente lavoro.

Il capitolo nove illustra casi studio relativamente all’uso della ICT nellepolitiche locali relativamente alle città di Eindhoven, L’Aja, Helsinky,Manchester e Reggio Emilia. Inoltre verrà illustrato, attraverso unacomparazione, quale sia la percezione della ICT in rapporto alle politichelocali relativamente all’esperienza olandese e quella italiana della rete dellecittà strategiche;Infine, il capitolo dieci fornirà un modello attuativo del quadro delineato nelpresente lavoro realizzando un possibile modello di network territorialeincentrato sulla ICT

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PARTE I Contesto generale

Sviluppo sostenibile e città come entità complessa

“There is enough in the world for everybody’s need, but not enough for anybody’s greed.” (Gandhi)

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CAPITOLO 2

Lo sviluppo sostenibile nei processi politici ed economici della contemporaneità

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2.1 Introduzione: umanesimo, modernità e post-modernità (come fine dell’umanesimo?) Cercare di dare una definizione univoca di sviluppo sostenibile ritengo sia, sul piano della ricerca, estremamente riduttivo. All’interno di queste due parole vi deve essere un modo nuovo di intendere il rapporto con l’ambiente, soprattutto in termini di “credo”. A tal fine i paragrafi che seguono proporranno un’analisi del concetto di sostenibilità che, partendo da una base in termini ecologici, attraverserà trasversalmente aspetti economici e politici della nostra società, cercando di produrre una visione a trecentosessanta gradi di questo concetto. Un elemento che credo sia apparso chiaro sin dal primo capitolo del presente lavoro, è la necessità per la nostra società di liberarsi da quel convincimento, che nella sua radice è ipocrita ed egoistico, che vede le nostre verità – quelle Occidentali, razional-meccanicistiche – delle verità assolute ed universali, tralasciando o ignorando coscientemente che queste verità sono solo espressioni di un’esistenza particolare e soltanto di essa. Questo è un limite intrinseco ad ogni civiltà e ad ogni momento storico; e in tale ottica il nostro mondo, malgrado il suo potenziale tecnologico e culturale, non è da meno. Le forme di credo, talune volte espresse in atteggiamenti integralistici, danno vita a scorie difficili da smaltire. E’ necessario un atteggiamento aperto e attento al nuovo. E ciò non per accettare quest’ultimo come verità assoluta, tutt’altro. Ma per intraprendere con i nuovi paradigmi una dialettica costruttiva e protesa verso un futuro migliore per tutto il pianeta. Credo che da questo punto di vista sia importante ristrutturare e rimodellare non solo il paradigma scientifico, fondato sui modelli classici, quale quello newtoniano, ma anche quello politico-economico su qui poggia la nostra cultura (Spengler, 1978; Vattimo, 1991). Sul piano scientifico, come accennavo poc’anzi, la base per comprendere i fenomeni naturali è stata essenzialmente strutturata in funzione dell’ideale meccanicistico, ovvero fornire una rappresentazione razional-maccanicistica di un certo sistema con l’ipotesi che le variabili dello stesso riflettano la tassonomia dello stesso e con l’ulteriore ipotesi che esso tenda verso posizioni o modelli in equilibrio. Su questi modelli si basano le scelte della nostra società; ad esempio se si pensa alle attività di gestione dei flussi di traffico, ci si rende conto che l’idea di fondo, quando si affronta il problema, è quella di definire politiche che in un futuro prossimo possano permettere una modello di sviluppo che tenda verso l’equilibrio, il tutto senza tener conto di possibili variabili che, come quasi sempre accade, modificano continuamente il progetto iniziale e il tentativo di previsione fatto da questo. Il limite intrinseco in tale paradigma deve quindi portarci alla valutazione di nuovi metodi e nuovi approcci, che possano permettere un aiuto nei processi decisionali e garantire una tendenza verso un futuro migliore.

Da un punto di vista generale, ovvero di approccio filosofico, il problema della crisi dell’umanesimo è caratterizzato da una “perdita della soggettività umana nei meccanismi dell’oggettività scientifica e poi tecnologica” (Vattimo, 1991). Molti filosofi hanno espresso in termini chiari questa crisi, anche se ognuno di essi ha caratterizzato taluni aspetti. Vogliamo ricordare, ad esempio, il lavoro di Spengler, Der Untergang des Abendlandes del 1918, dove la crisi della cultura umanistica la si vede legata ad una concezione organica della filosofia della storia, nel senso che l’aspetto umanistico legato alla creazione artistica o di pensiero, è essenzialmente legato alle fasi giovanili di una civiltà, mentre le fasi terminali della stessa sono caratterizzate da processi nei quali prevalgono forme di organizzazione tecnico-scientifico-economica del mondo, con un culmine politico che l’autore lega ad eventi fenomenologici di tipo cesariano. Invece Heidegger considera la crisi della cultura umanistica in termini di verwindung,

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ovvero di oltrepassamento, di crisi della metafisica (Vattimo, 1991). Quindi in Heidegger la cultura tecnica è un compimento della metafisica, cioè essa rappresenta il massimo dispiego di quest’ultima in quanto, volendo la tecnica concatenare tutti gli enti in legami causali prevedibili e dominabili, rappresenta il massimo dispiego della metafisica. Quindi vi è una visione dell’umanesimo come parte della metafisica in cui l’uomo e subiectum, mentre la crisi di questo, e quindi la cultura tecnica, non è vista staccata da questo ma ad esso legata in termini di verwindung, ovvero di superamento, evoluzione (Vattimo, 1991). Da questo breve accenno emerge, talune volte latente, altre volte evidente, una crisi della cultura umanistica. Forse un elemento comune a queste differenti posizioni è costituito da una percezione della tecnica in termini di sovrastruttura, ovvero di un elemento comunque esterno all’uomo. Aperto appare, invece, il dibattito sulle distorsioni nel meccanismo generale della nostra cultura.

2.2 Cosa si intende per sviluppo sostenibile? Oggi molti autori propongono la definizione di sviluppo sostenibile data dal rapporto Bruntland, ovvero esso "non è uno stato di armonia prefissato, ma piuttosto un processo di cambiamento in cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti ed i cambiamenti istituzionali vengono resi compatibili con i bisogni futuri, oltre che con quelli presenti". (WCED 1987) Come è logico che sia, la definizione fornita è una definizione che individua princìpi generali a cui soggetti istituzionali e non dovranno fare riferimento. Appare, quindi, necessario fornire quella base conoscitiva affinché, ogni lettore possa formulare una idea più dettagliata e precisa del significato della sostenibilità. Ma prima di addentrarci nei paragrafi successivi vorrei soffermarmi su alcuni punti base che caratterizzano la ricerca di un senso compiuto del significato di sostenibilità. Possiamo mostrare essenzialmente due anime. Una prima che considera improponibile ed impensabile uno sviluppo sostenibile all’interno dell’attuale culturale occidentale poiché il termine sviluppo, inteso nel senso attribuitogli dalla rivoluzione industriale in avanti, racchiude un contenuto caratterizzato essenzialmente da processi di crescita economica e di accumulo di capitale ai danni della natura. Esso si fonda su aspetti divenuti pregnanti della nostra cultura e legati a valori quali l’universalismo, il dominio sulla natura e la razionalità. La critica teorica a questo sistema è portata avanti da uno sparuto gruppo di filosofi che vede proprio in questa forma di sviluppo, che ha caratterizzato tanto il mondo capitalista che quello ex socialista, la causa dei problemi sociali ed ambientali. All’interno di questo paradigma non c’è posto né per il rispetto della natura né tantomeno per quello dell’essere umano. Dunque non ha senso parlare di sviluppo sostenibile perché le due parole sono in contrapposizione e non in sinergia. E lo stesso vale per le nuove forme verbali, quali ad esempio sviluppi partecipativi, equi, comunitari. Tutte forme di rinnovamento di idee obsolete che “non potendo cambiare le cose cambiano le parole”1. Tale posizione, certamente radicale, ha comunque

1 Interessante è l’articolo di Latouche S., Sviluppo una parola da cancellare, in Le Monde Diplomatique, 4 maggio 2001

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evidenziato tante scomode verità che, nel bene e nel male, hanno caratterizzato la nostra cultura e che, ancor di più oggi dove si assiste al fenomeno della globalizzazione e conseguente occidentalizzazione del pianeta, rappresentano problematiche ineludibili nel lungo periodo e con le quali prima o poi dovremo confrontarci. E’ però da dire che, se da un lato appare chiara l’analisi filosofica, è altrettanto chiaro che un tale rivolgimento strutturale, soprattutto filosofico, richiederebbe una totale revisione degli assetti di un intera cultura e con essi degli assetti sociali, politici ed economici. E , in termini realistici, ci appare improbabile attuare una “politica” che vada in tale direzione, almeno non nel breve periodo e non alla luce dei recenti rivolgimenti politici planetari. Dall’altro lato vi è una visione più pragmatica, fondata su approcci che cercano di coniugare la sostenibilità con forme di sviluppo efficienti, quindi attraverso un razionale uso dell’energia, forme di democrazia partecipata e, soprattutto un uso intelligente degli strumenti informativi. In questo capitolo verranno illustrati in dettaglio vari tipologie di approccio alla sostenibilità. Al momento vogliamo richiamare l’attenzione del lettore su un elemento essenziale sul quale si concentrerà la seconda parte del presente testo: ovvero il ruolo della tecnologia nel contesto della sostenibilità. In tale ottica si cercherà di capire, in particolare, il ruolo di una adeguata base informativa e delle moderne tecniche strutturate sull’uso della ICT, come analisi, organizzazione e gestione di questi flussi sia in rapporto alla città che al territorio, intesi come entità altamente complesse.

2.3 Rapporto tra ambiente ed economia: dal mondo moderno al contemporaneo

2.3.1 Assetto politico-ideologico nel mondo contemporaneo Come si è accennato precedentemente, il processo economico lo si deve inquadrare nel più ampio contesto di struttura generale del nostro sistema. Il grande strappo tra una economia su base agricola ed artigiana ed una di tipo industriale è avvenuto nel momento in cui l’Uomo è stato capace, attraverso il progresso tecnologico, di generare nuove “forme”, artificiali e il più delle volte con forti impatti sull’ambiente. La struttura industriale, nei suoi nuovi assetti, ha segnato un salto culturale e psicologico senza precedenti nella storia dell’umanità: non più un uomo che è parte integrante dell’ambiente e figlio della Madre Terra; ma un uomo che, attraverso la sua tecnologia, cerca di soggiogare la natura e gli elementi, sentendosi così estraneo da essa, quasi rinnegandola e ciò non solo psichicamente, ma nella concretezza del nuovo assetto economico, nel quale essa è totalmente ignorata nei computi seppure è da essa che si trae tutto il necessario. Il nuovo paradigma della modernità ha ideologizzato un mondo dominato dal progresso tecnico-scientifico, con una cultura che si è frantumata sempre di più in mille saperi, facendo perdere di vista il senso ultimo delle cose, il significato stesso dell’esistenza e quello di appartenenza. Ma in che modo le tre componenti illustrate nel primo capitolo, ovvero filosofia, tecnologia e città hanno modificato gli assetti della nostra società? E quali sono stati gli intrecci con l’economia, divenuta

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sempre più importante nel mondo capitalistico? Delineare una sintesi di tali avvenimenti non è cosa semplice, eppure essa è necessaria per poi comprendere gli intimi legami che hanno generato questo nuovo modo di porsi verso altri uomini e verso la natura. In questo momento storico la scienza e la filosofia sono alla ricerca di un sapere coerente e fecondo, non più sottoposto al pericolo di nuove crisi e nuovi capovolgimenti. E in tal senso il maggior tentativo di soddisfare tale esigenza fu rappresentato dalla filosofia di Cartesio, il quale nel suo Discorso sul metodo attaccò la cultura tradizionale, tutta incentrata su aspetti umanistico-letterari e mai rivolta allo studio diretto e razionale. Un aspetto estremamente importante, per la sua riflessione sui maggiori problemi della filosofia tradizionale, fu rappresentato dalla conseguenza del dualismo fra sostanza pensante e sostanza estesa. Per Cartesio il concetto di anima, che nella tradizione aristotelico-scolastica era legato a quello di vita per cui si parlava di vita vegetativa, sensitiva o razionale, è puro pensiero che non ha nulla a che vedere con essa (Geymonat L., Tisato R., 1986). Le conseguenze di questo dualismo sono state molteplici ed hanno investito differenti aspetti della cultura e non la sola filosofia. Se il rapporto uomo natura era legato, antecedente a Cartesio, ad aspetti, per così dire, trascendentali e di spiritualità, assegnando, come visto, alla natura e al creato una sua vita, con Cartesio svanisce questa idea spiegando la vita mediante leggi meccanico-fisiche. A tale legge non sfuggono nemmeno gli animali, i quali secondo Cartesio sono privi di anima perché privi di un “vero linguaggio” e quindi essi sono dei semplici e puri automi (Geymonat L., Tisato R., 1986). In questa visione meccanicistica che influenzerà il pensiero europeo in tutte le discipline, si inseriranno, tra gli altri, anche Newton, Locke e Smith. Se Newton continuò l’elaborazione delle teorie della meccanica classica applicate ai corpi in movimento, John Locke e Adam Smith proseguirono sulla stessa linea di principio, seppure in ambiti diversi del sapere: in quello politico Locke e in quello economico Smith. La filosofia di Locke, legata a quella di Cartesio e di Bacone, nella sua componente politica produce numerose innovazioni. In primo luogo egli afferma che la legge naturale prescrive agli uomini di crescere e svilupparsi. Ciò porta, tra l’altro, al concetto della proprietà privata: l’uomo ha, cioè, diritto, per mezzo del lavoro, a possedere le cose di cui abbisogna per affermare la propria personalità e così affermare il principio della conservazione. Tale affermazione, come è facile immaginare, avrà ripercussioni in ambito sociale e politico decisive nello sviluppo della nostra società. Il lavoro diviene un mezzo per acquisire e trasformare le cose e la moneta diviene strutturalmente quell’entità che permette, attraverso il suo scambio con oggetti, di diventare proprietari di ciò che è possibile acquistare con essa. E in tale ottica diviene palese il ruolo di subordine della natura rispetto all’uomo; essa diviene monetariamente appetibile solo quando è resa produttiva con il lavoro dell’uomo Le asserzioni di Locke hanno così dato luogo alla teorizzazione di una società materialistica ed individualistica le cui conseguenze si sono ripercosse tanto sul piano sociale, per la formazione delle disuguaglianze sociali, che su quelle più propriamente ecologiche che hanno sempre più visto l’uomo in contrapposizione con la natura. Come Locke, anche Adam Smith fonda la sua analisi dei processi economici in termini meccanicisti, con una teoria economica che riflette il paradigma newtoniano del moto e dell’obbedienza a “leggi naturali”. La sua teoria economica propone il profitto come elemento necessario per rendere possibili gli investimenti e la base di questo processo è nella innata o “naturale” propensione dell’uomo verso l’egoismo e nella presenza di una superiore legge “naturale” che governa i processi economici. Secondo Smith tali processi regoleranno le leggi del mercato e produrranno efficienza in quanto il

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soddisfacimento di singoli desideri e le aspirazioni di crescita materiale produrranno quella sovrabbondanza che si riverserà sulla intera società. Il paradigma meccanicistico era stato traslato nei differenti aspetti della cultura moderna, dimostrandosi applicabile in tutti gli aspetti della vita sia sociale che politico-economica. L’ultima e definitiva consacrazione è avvenuta con la vittoria sul comunismo, che ha dato al sistema economico-politico occidentale il monopolio nella cultura mondiale.

2.3.2 I differenti approcci verso un’economia sostenibile Molto spesso, soprattutto negli anni scorsi, gli economisti tendevano ad ignorare o quantomeno a trascurare gli aspetti economici legati all’ambiente. La falsa credenza della rilevanza dei beni ambientali ha prodotto uno scarso interesse economico verso gli stessi. Si è ritenuto che le crisi ambientali, legate sia a catastrofi colpose che al modo intrinseco dell’economia verso il bene ambientale, potessero essere superate adottando il mercato come strumento autoregolatore e attuando alcune misure correttive che potessero ridefinire le modalità di sviluppo. I valori ambientali che non possono essere ignorati a causa della loro rilevanza oggettiva vengono da essi concepiti come esternalità e risultano comprensibili e valutabili solo per quella parte che risulta monetizzabile. E’ quindi da questa scarsa importanza che molti economisti hanno attribuito all'ambiente naturale come fattore di produzione - disconoscendo di fatto l'inestimabile valore di quei beni e servizi che da esso provengono e che sono fondamentali per la sopravvivenza stessa dell'umanità – che si deve ripartire affinché si possa dare un'interpretazione del concetto di sviluppo sostenibile non più come aspetto opposto all’economia, ma come aspetto che se ben indirizzato dalla politica economica può produrre uno sviluppo capace di produrre non solo benessere ma anche preservare un bene inestimabile: la terra. Uno degli aspetti, che meglio degli altri fa comprendere il modo di intendere l’economia, come detto prima, riguarda la modalità di calcolo del P.I.L. (Prodotto Interno Lordo). Questo é un chiaro esempio di come la questione ambientale sia generalmente sottovalutata dalla scienza economica. Difatti nelle procedure di calcolo del P.I.L. non sono comprese le attività svolte nell'ambito del così detto terzo settore (volontariato per intenderci) e quelle che si riferiscono alla produzione di beni e servizi all'interno delle famiglie (lavori domestici, produzione agricola di autoconsumo, autoproduzione di oggetti personali, cura degli anziani e degli infermi, custodia dei bambini, ecc.). Tali aspetti economici vengono monetizzati allorquando sono svolti nell'ambito di strutture pubbliche o private (ospedali, asili nido, ecc.), dove, per l’appunto, hanno luogo transazioni di natura monetaria. E’ ovvio che in tale ottica il P.I.L. risulta molto più basso dove l'economia di mercato è ancora relativamente poco sviluppata e ciò accade nella stragrande maggioranza dei paesi in via di sviluppo. Ma l’aspetto più inquietante é il modo in cui vengono contabilizzate alcune voci del P.I.L., le quali costituiscono la riparazione di danni prodotti all'ambiente e alle persone. I beni ambientali in genere sono beni liberi che non essendo prodotti dall'uomo, ma forniti gratuitamente dalla natura, non sono contabilizzati se vengono rispettati. Però se in un sito si produce inquinamento o vi si gettano rifiuti e, di conseguenza, si opera, in

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un secondo tempo, una bonifica dello stesso, ecco che allora le attività legate alla bonifica e alle operazioni di disinquinamento saranno contabilizzate ed andranno ad aumentare il P.I.L. La conseguenza economica è, per così dire, algebrica: inquinare e depurare producono maggiore ricchezza rispetto ad un atteggiamento rispettoso verso l'ambiente che non produce danni e non obbliga ad effettuare attività di mercato per il suo ripristino. In altri termini, l'ambiente finisce per essere considerato un business solo quando crea attività di mercato, le cui spese relative incrementano il P.I.L. anche quando non contribuiscono ad aumentare il benessere dei cittadini. Come si diceva sopra, molte cose sono cambiate negli ultimi anni. Difatti molti economisti si sono resi conto dei limiti nel calcolo attuale del P.I.L.2; a tal fine Mercedes Bresso scrive: “l’ambiente naturale costituisce la principale fonte di materie prime e di servizi per l'uomo, e quindi la sua integrità è un fatto essenziale, non secondario: basti pensare che è grazie alla fotosintesi del mondo vegetale che si possono produrre gli alimenti e le materie prime animali e vegetali (legno, pelli, ecc.); che minerali, metalli, risorse energetiche fossili vengono estratti dalla terra; che l'aria e l'acqua entrano in tutti i processi produttivi (come diluente, refrigerante, fonte per irrigare, l'acqua; come alimento della combustione, l'aria; come ricettori di emissioni entrambe); che il suolo è il destinatario finale di tutti i rifiuti delle attività di produzione e di consumo. In sostanza, ogni attività umana è condotta in stretta simbiosi con l'ambiente e non può prescinderne. Appare quindi incomprensibile, a un osservatore, che il contributo dell'ambiente non compaia nella contabilità economica e che non si ponga attenzione al mantenimento del capitale naturale in stato di integrità. Infatti viene computato il valore della materia prima (ad esempio, fibra di cotone) coltivata; ma se nel processo di produzione la terra viene erosa e la sua capacità produttiva si riduce, non viene computato nulla per quella che rappresenta una vera e propria perdita di capitale produttivo". Lo stesso dicasi per molti paesi, i quali cominciano a rendersi conto di quanto sia importante cercare di operare delle stime, anche in termini fisici, del patrimonio naturale, operando in taluni casi, delle doppie stime, monetarie e, per l’appunto, fisiche, ottenendo, in tal modo, una integrazione del dato fisico in quello monetario al fine di redigere un quadro contabile del P.I.L. molto più completo e veritiero.

Nel paragrafo che segue andremo ad analizzare, seppure in modo conciso, come il pensiero economico ha cercato di rispondere alle tematiche dello sviluppo sostenibile. Vi sono stati nel corso degli ultimi anni diversi tentativi di inglobare tale aspetto nelle tematiche dell’economia, sia da parte di ricercatori universitari che da parte di piccoli gruppi di economisti. Tali ricerche hanno condotto a diverse metodologie di approccio economico alla tematica dello sviluppo sostenibile; in taluni casi si è assunto un aspetto radicale, in altri, invece, si è cercato di omogeneizzare gli aspetti dell’economia “classica” tradizionale con quelli di uno sviluppo che possa arrecare il minimo danno possibile al contesto ambientale.

2 Vorrei sottolineare che dal 1975 in poi, nei paesi industrializzati, il PIL è cresciuto mentre ISEW è calato. Questo implica, per quanto detto alla nota (1), un abbassamento della qualità della vita.

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2.3.2.1 Funzionalisti Cominciamo con l’analizzare quello che è chiamato approccio Funzionalista. Tale approccio non prescinde dal considerare il progresso e la crescita economica come elemento essenziale e primario. Il funzionalismo pone quindi la sua fiducia nella possibilità offerta dalla tecnica e dalla forza intrinseca al capitalismo di autorigenerarsi in un capitalismo più “pulito”, ciò anche attraverso principi di regolamentazione dei processi produttivi. Tale approccio ha i propri limiti proprio in questa fiducia di autoregolamentazione del mercato, il quale, difatti, considera il territorio come puro supporto all’insediamento artificiale e lega la sostenibilità alla possibilità di carico sopportabile dal sistema territoriale secondo analisi economico-scientifiche, che, come sappiamo, il più delle volte prescindono da una attenta valutazione dell’ambiente. Altro elemento che ne denota la limitatezza è quello di considerare la difesa dell’ambiente attraverso il disinquinamento, quindi continuando ad operare in una mera ottica economica in cui da una parte si inquina e dall’altra, lo stesso sistema per darsi ulteriore linfa, opera il disinquinamento, dimenticando che anche i processi di disinquinamento assorbono energia e comunque generano residui.

2.3.2.2 Environmental Economics

Un approccio meno intriso dal pensiero economico e quello dell’Environmental Economics, il quale pone grande fiducia nel progresso tecnologico, come elemento in grado di fornire alla nostra civiltà quelle conoscenze tecnico-scientifiche tali da permetterci di ridurre gli impatti ambientali all’interno di una soglia di tranquillità per il nostro sviluppo economico e sociale, nonché di permettere un uso più razionale delle materie prime ed in genere delle risorse del pianeta. Questa scuola di pensiero ha operato una strategia di analisi economica che tiene conto di parametri che seppure non ben quantificabili (come ad esempio per l’equilibrio degli ecosistemi) devono indurre il sistema economico a porsi dei limiti, a darsi delle correzioni che altrimenti il mercato da solo non sarebbe capace di darsi. Inoltre l’attività economica deve restare all’interno di quello che è il massimo carico sopportabile dal sistema terra. Su posizioni più radicali si pongono gli ultimi due orientamenti: l’Ecological Economics e l’approccio Territorialista. Prima di introdurre l’ecological economy vorrei ripercorrere alcuni aspetti di impostazione metodologica che sono alla base, o che comunque, hanno fornito humus a questo approccio teorico.

2.3.2.3 Gli economisti "umanisti" Come suggeriscono Pearce e Turner (D.W.Pearce, R. K. Turner, 1991), le basi su cui si fonderanno molti tentativi di unire scienza economica e scienze fisiche, di cui la bioeconomia di Georgescu-Roegen è un esempio, possono essere ricondotte ad alcuni

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dubbi e ad alcune questioni teoriche messe in luce dagli studi portati avanti dal filone dei cosiddetti economisti "umanisti". Il movimento in questione si sviluppò nel XIX secolo, partendo dalla contestazione di alcuni cardini della teoria economica neoclassica, alla luce delle nuove teorie marxiste. L'opposizione principale avanzata da questi economisti nei confronti del paradigma neoclassico riguarda, in particolare, il concetto di agente economico razionale. Gli umanisti sostenevano, infatti, che i gusti e le scelte dell'essere umano non possono essere attribuiti unicamente ed in modo troppo semplicistico al suo comportamento razionale, ma che tali scelte e tali comportamenti sono mutevoli. Le azioni umane sono infatti il risultato di processi sociali e culturali che, quindi, possono anche essere influenzati da fattori non razionali, quali, ad esempio, l'altruismo e la gratificazione personale. È evidente come queste caratteristiche della psiche umana siano di difficile, se non impossibile, interpretazione in un'ottica puramente razionale ed egoista. L'introduzione di aspetti non direttamente riconducibili alla sfera razionale, all'interno della teoria economica, comportò un ampliamento della gamma delle eventuali motivazioni che possono determinare le azioni e le scelte umane anche nel campo della produzione e dello scambio dei beni. Tale insieme di motivazioni prende il nome di "razionalità estesa" e comprende al suo interno molti bisogni degli esseri umani, tra cui quello di vivere in un ambiente naturale il più possibile integro. Questa necessità si pone in evidente contraddizione con lo scopo razionale di massimizzare il profitto dell'attività economica, almeno in apparenza. Per esigenze di semplicità i modelli economici precedenti avevano infatti escluso questi fattori, in quanto espressione di una gamma di bisogni difficilmente quantificabili in termini monetari e difficilmente comprensibili in termini di comportamenti razionali. Agli umanisti va dunque il merito di aver ricondotto la scienza economica entro confini "più umani" e meno rigidi, aprendo nuove porte verso elementi prima estranei al mondo economico come, ad esempio, le scienze naturali e fisiche e le loro leggi.

2.3.2.4 Dagli economisti "umanisti" alla bioeconomia

La teoria economica dei fisiocratici (da physis= natura e cratos= potere) si sviluppa in Francia, nella seconda metà del XVIII secolo, ad opera, soprattutto, di François Quesnay (1694-1774) e di alcuni suoi seguaci. Questi autori dedicarono grande attenzione alla natura in generale e al settore agricolo in particolare, in polemica con il nascente sviluppo industriale che si stava verificando, in quello stesso periodo, in Inghilterra. Il sistema economico veniva infatti presentato, nei loro scritti, come diviso in diversi settori produttivi, di cui l'agricoltura era l'unico in grado di generare un surplus, o, per usare la terminologia dello stesso Quesnay, un "prodotto netto". A loro avviso, dunque, quello agricolo era l' unico settore in grado di fornire il nutrimento necessario per lo sviluppo delle altre attività di produzione. L'industria, che si stava sviluppando proprio in quel periodo, era vista dai fisiocratici, di conseguenza, come un'attività sterile perché non in grado di aggiungere nulla al totale della ricchezza della società, che è qui chiaramente da interpretarsi in senso puramente fisico. Mercedes Presso (M. Bresso, 1987;1993) ha recentemente ripreso il concetto espresso da Quesnay, dando al "prodotto netto", derivante dall'attività agricola, una connotazione che lo ha avvicinato al mondo delle discipline fisico-biologiche. Tale

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rilettura, alla luce soprattutto delle moderne teorie termodinamiche, porta a considerare il "prodotto netto" dei fisiocratici come un sinonimo di quello che sarà poi chiamato "differenziale energetico", cioè come vero e proprio atto di creazione, da parte dell'attività agricola, di energia. Questa energia che origina dall'agricoltura verrà, in seguito a tale atto produttivo, trasferita all'uomo, il che equivale a dire che essa è destinata a passare dalla natura al mondo animale. Parallelamente, l'attività di consumo del prodotto derivante dall'agricoltura da parte dell'uomo viene vista come processo di degradazione dell'energia che necessita così di essere ricreata, dando avvio ad un nuovo ciclo di produzione di altra energia, cioè ad un nuovo ciclo agricolo. L'interpretazione dei fisiocratici operata da Mercedes Bresso disegna un primo ipotetico filo rosso tra le teorie di Quesnay e dei suoi seguaci, le teorie degli economisti "umanisti" dello scorso secolo e le recenti teorie di Nicholas Georgescu-Roegen,3 promotore del primo tentativo di sviluppo bioeconomico. Di particolare interesse ed originalità sono le sue teorie che analizzano i processi economici attraverso la lente della fisica. In particolare egli trasla i principi della termodinamica al mondo economico. In particolare i due principi della termodinamica e il concetto di entropia. Tali principi dicono, rispettivamente, che:

• “l'uomo non può né creare né distruggere energia"; • "la materia che entra nel sistema (ad esempio l'energia proveniente dal sole) è in

uno stato di bassa entropia, mentre quella che ne esce è in uno stato di alta entropia".

Il primo principio è interpretato da Georgescu come impossibilità da parte del genere umano a produrre nuova energia. Possiamo solo trasformare quella che già esiste in natura. Il secondo principio è, invece, più complesso e viene spiegato da Georgescu-Roegen utilizzando i concetti di energia "libera", in riferimento allo stato iniziale di bassa entropia e di energia "legata", in riferimento allo stato finale di alta entropia. L'energia "libera" è così definita perché è utilizzabile direttamente dall'uomo; quella "legata", viceversa, non è più utilizzabile, semplicemente perché è già stata utilizzata in precedenza. Ciò significa che l'energia utilizzabile, cioè a bassa entropia, è rara perché può essere utilizzata dall'uomo una sola volta. L'unica fonte di energia illimitata è il sole che trasmette la sua energia ai pianeti del sistema solare sotto forma di flusso infinito. Le altre fonti, cioè le materie prime presenti sul nostro pianeta, sono soggette ad esaurimento, in quanto parte di stock presenti sulla terra in quantità finite. Per fare un esempio di materia prima presente sulla terra sotto forma di stock, possiamo pensare ai combustibili fossili come il carbone o il petrolio. Quest'ultimo, estratto e opportunamente trasformato, costituisce energia libera, in quanto utilizzabile immediatamente dall'uomo, sotto forma di benzina o di altro combustibile, in grado di bruciare e produrre energia meccanica o termica. Il petrolio utilizzato costituisce invece energia legata, in quanto disperso nell'ambiente sotto forma di fumi e gas di scarico che non saranno più recuperabili ed utilizzabili per la produzione di nuova energia. Come si vede, quindi, sotto accusa è tutto l’attuale sistema produttivo, che continuando con i suoi ritmi porterà ad un collasso del sistema, non solo in termini economici ma anche in termini socio-politici poiché gli attuali forsennati ritmi di consumo energetico

3 Nel suo celebre libro The Entropy Law and the Economic Process del 1971, Georgescu formula in particolare la quarta legge della termodinamica che rifiuta il dogma energetico secondo cui solo l'energia conta senza riguardo alcuno alla materia.

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produrranno, nel prossimo futuro, non solo una scarsità di fonti di energia, ma anche una conseguente scarsità di beni strumentali e di prodotti agricoli. A differenza dei cicli biologici, che riciclano tutte le scorie vegetali ed animali, che diventano materie per la propagazione della vita, gli attuali cicli risultano sempre più aperti, per cui al fianco di una crescente quantità di beni materiali e merci, vi è la “produzione” di grandi quantità di scorie di ogni tipo e con le quali prima o poi dovremo fare i conti. A questa forma obsoleta di economia non basterà neanche il progresso tecnologico. Le soluzioni proposte da Georgescu-Roegen per il futuro non possono, quindi, che essere drastiche ed univoche. Non vi sono infatti, all'interno della bioeconomia, vie di uscita che presentino prospettive differenti per il futuro. Per Georgescu-Roegen, il nostro pianeta è semplicemente un sistema chiuso alle cui regole bisogna sottostare. In sintesi, le principali soluzioni proposte da questo autore sono, dunque, le seguenti:

• trovare il modo di sfruttare l'energia solare come fonte primaria al posto dell'energia fossile;

• diminuire la popolazione per arrivare al massimo al numero di abitanti che un'agricoltura organica può sostenere;

• progettare prodotti il più possibile durevoli per massimizzare l'utilizzo di energia necessaria per la produzione e minimizzare lo spreco di risorse per la sostituzione di tali prodotti.

Queste proposte evidenziano chiaramente la funzione centrale dell'agricoltura che diviene il vero perno su cui si basa la teoria bioeconomica, in quanto a questo settore è dato il potere di dettare i criteri di sostenibilità massima che dovrebbero regolare la crescita della popolazione. Quest'ultima affermazione ci permette di chiudere il cerchio e di confermare la correttezza del legame istituito da Mercedes Bresso tra fisiocrazia e bioeconomia, nonostante i due secoli che separano i modelli di pensiero in questione.

2.3.2.5 Alcune critiche alla teoria bioeconomica L'affascinante costruzione teorica dei fondatori della bioeconomia ha molti pregi. Innanzi tutto ad essa si deve un grande lavoro di integrazione multidisciplinare di concetti provenienti da discipline diverse e apparentemente senza nulla in comune tra di loro, come l'economia, la fisica e la biologia. Inoltre, questo legame tra le discipline ha permesso di valutare le scelte economiche, non solamente in termini di costi e benefici monetari, ma di allargare la visione ad un'ottica di più lungo periodo e con considerazioni di natura sociale e culturale. Recentemente però, queste teorie sono state attaccate per vizi di fondo. In particolare, Gerelli (E. Gerelli, 1995) sostiene che la teoria bioeconomica potrebbe rivelarsi valida solamente se la Terra fosse un sistema chiuso. Ma poiché essa riceve energia dal sole, per Gerelli siamo in presenza di un sistema aperto. Ciò significa che non possiamo parlare di scarsità assoluta delle risorse in quanto l'esperienza ha dimostrato che seppure esistano delle scarsità relative ad alcune risorse perché più sfruttate di altre, questo non è vero in assoluto in determinati momenti storici, ma non delle scarsità generali che riguarderebbero, cioè, tutte le risorse nello stesso momento. Gerelli ricorda inoltre che i dati empirici confermano che, a partire da un dato livello di sviluppo, al crescere della curva della crescita economica si rileva sistematicamente un calo della curva delle emissioni

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inquinanti, come confermato dai dati relativi al percorso seguito dalla maggior parte dei paesi industrializzati. Questo fenomeno di diminuzione delle emissioni inquinanti è noto come deinquinamento e sembra confermare la tendenza alla progressiva dematerializzazione delle attività produttive e alla riduzione dell'impatto ambientale come caratteristica dello sviluppo industriale contemporaneo e futuro. A questa analisi si potrebbe però obiettare che questi dati non sono purtroppo relativi alla totalità dei paesi del pianeta, ma che riguardano per ora solamente i paesi a più alto tenore di crescita economica, come avremo modo di vedere meglio in seguito.

2.3.2.6 I territorialisti L’Approccio Territorialista4 è l’ultimo nato in ordine di tempo. Sviluppato in Italia nel corso degli anni novanta è questo un approccio che più di ogni altro fin qui visto, pone l’attenzione su uno sviluppo che parta da una matrice culturale storico-ambientale che pone l’uomo e il suo intorno al centro dell’analisi. In tale ottica il territorio è visto nelle sue molteplici componenti: ambientali, storiche, urbane e sociali. E’ sicuramente un approccio che risulta “illeggibile” agli occhi degli economisti canonici, poiché vi sono parametri che “non hanno senso” negli attuali processi di analisi economica. Con l’avvento della società moderna e di una tecnologia che non sempre ha saputo nè voluto armonizzarsi con il territorio, lo sviluppo ha prodotto enormi lacerazioni sia nel tessuto sociale che in quello geologico: si pensi agli stravolgimenti urbanistici subiti da porzioni più o meno grosse del nostro paese in nome di una industrializzazione il più delle volte selvaggia non solo nei suoi aspetti per così dire tecnici, ma finanche negli aspetti storici e geografici (di geografia umana e fisica). Ecco allora la nascita di veri e propri mostri, rappresentazioni fisica che sono inni alla morte; si pensi alla localizzazione di alcuni poli petrolchimici o acciaierie, localizzati in luoghi dove gli “antichi” avevano saputo creare se non un rapporto armonico quanto meno una forma di equilibrio con la natura (è il caso della laguna veneziana o della ex Italsider di Pozzuoli-Miseno, per citarne solo alcuni). Un’altra manifestazione di questo disagio in cui si dibatte la nostra società è la sopravvivenza di quei valori centenari che, soprattutto in Italia, hanno saputo dare una dignità a produzioni artigiane che in molte occasioni hanno assunto una vera e propria veste artistica. La forza di queste strutture sociali, che il modernismo sta risucchiando nel vortice della massificazione, si è sempre identificata essenzialmente nella comunità locale: rappresentazione dello spirito di una cultura. Ed è proprio verso questo soggetto che l’approccio territorialista pone la sua attenzione, sviluppando proposte estremamente interessanti. Essi pongono l’accento affinché si abbia una comunità locale forte, tale da divenire portatrice di uno sviluppo sostenibile, perché è proprio nella comunità locale che può generarsi quel processo virtuoso di equilibrio tra l’uomo e il suo ambiente; è nella comunità locale che ognuno può sentirsi parte di un “corpo”, con una propria cultura e una propria identità sociale. Ciò, però, non deve indurre a ritenere le comunità locali

4 La scuola territorialista è nata all'inizio degli anni 90 in Italia per opera di alcuni docenti e ricercatori di urbanistica e di sociologia che hanno deciso di coordinare la loro attività di ricerca in ambito universitario e CNR: A. Magnaghi (Università di Firenze), G. Ferraresi (Politecnico di Milano), A. Peano (Politecnico di Torino), E. Trevisiol (IUAV), A. Tarozzi (Università di Bologna), E. Scandurra (Università di Roma La Sapienzaí), A. Giangrande (Università Roma Tre), D. Borri (Università di Bari) e B. Rossi Doria (Università di Palermo).

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soggetti con una economia autarchica; tutt’altro. La comunità che aspira all’autosostenibilità deve riappropriarsi di quell’equilibrio che la modernità gli ha portato via. Per fare ciò è necessario avere comunità “culturalmente” forti, cioè comunità non massificate, ma che siano consapevoli della loro matrice di appartenenza ad un “corpo” unico per storia e ambiente. E’ solo da una comunità locale forte culturalmente che può generarsi un processo di autosostenibilità attraverso la “produzione sociale del piano5”, intesa come strumento che permette uno sviluppo simbiotico tra l’ambiente sociale e quello territoriale. Forse tutto ciò può essere relegato nell’ambito dell’utopia, malgrado tutti noi ci si renda conto che il nostro sistema oltre che irrazionale è profondamente ingiusto. Il problema è che il “sistema” è riuscito a creare una sorta di gene maligno che tende a monetizzare il nostro tempo. Allora tutto deve essere fatto nel modo più veloce possibile, senza pensare e senza l’atto creativo. Oggi si rincorre il tempo non perché abbiamo fame di sapere, ma perché la nostra mente scorre in un interminabile moto inerziale privo di passione e di amore. Il tempo è danaro e il danaro è il motore della nostra civiltà, oggi più che mai. A questo infimo modus vivendi si è unito anche il mondo della scienza, che costituisce, oramai, una articolazione del mondo economico affinché la ricerca possa creare nuovi profitti attraverso le sue scoperte e le conseguenti innovazioni. Si pensi alle aberrazioni che l’ingegneria genetica, sotto il controllo delle grosse multinazionali, sta producendo nel campo della ricerca di entità viventi modificate se non addirittura entità viventi ex novo. E’ ovvio che tali ricerche possono e devono avere anche ricadute positive per l’umanità; il problema è etico oltre che politico perché se tali ricerche sono finanziate solo con danaro privato e con un sistema legislativo e di controlli che fa acqua da tutte le parti… allora la cosa mi spaventa. Non si può lasciare l’industria del profitto in un far west privo di regole; sicuramente è un problema etico-politico da affrontare, presto e bene, perché già adesso vi sono Paesi che permettono di brevettare nuove entità viventi (è il caso degli U.S.A., i quali, difatti, vista la forza delle lobby economiche nel campo della ricerca, non hanno firmato il trattato sulla biodiversità). E’ sicuramente antistorico voler far rivivere un mondo ghöetiano nei suoi aspetti poetici; ma è altrettanto vero che la nostra società deve attingere dalla sua memoria storica evitando gli errori passati e rinnovando in modo intelligente ciò che di buono si è prodotto nel corso dei secoli.

5 Per produzione sociale del piano si vuole intendere un mezzo con il quale gruppi sociali “progettano” il proprio ambiente pervenendo a decisioni collettive applicabili a tutti i suoi membri.

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2.4 Lo sviluppo sostenibile attraverso i documenti internazionali per una nuova politica urbana

2.4.1 Una possibile definizione di Sviluppo sostenibile Andiamo adesso ad analizzare il percorso politico connesso all’evoluzione del significato di “sviluppo sostenibile” alla luce dei documenti internazionali. Ci sembra giusto ed opportuno operare tale analisi nell’ambito di quelli che sono i principali documenti prodotti dall'ONU nel corso degli ultimi due decenni, soprattutto in ambito U.N.E.P. (United Nation Environmental Programme). Una prima definizione di sviluppo sostenibile la troviamo nel 1980, allorquando nel World Conservation Strategy si precisa, per la prima volta, tale concetto, definito come "mantenimento dei processi ecologici essenziali per la produzione di alimenti; salvaguardia della diversità genetica nel mondo animale e vegetale; sviluppo degli ecosistemi". Sebbene da alcuni critici il rapporto venga considerato carente sotto il profilo della trattazione degli aspetti politico-sociali della conservazione ambientale è pur sempre un tentativo, quanto meno un inizio, verso la direzione giusta. Difatti, se da un lato la protezione della natura viene assunta come priorità, dall'altro tale principio è visto come un applicabile a prescindere dalle ineguaglianze e dalle strutture di potere presenti nei diversi contesti locali. Nel 1987 fu redatto il Rapporto Bruntland, nel quale il concetto di sviluppo sostenibile venne definito in termini precisi e prefigurando una politica mondiale atta a perseguirlo. Secondo tale documento "lo sviluppo sostenibile non è uno stato di armonia prefissato, ma piuttosto un processo di cambiamento in cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti ed i cambiamenti istituzionali vengono resi compatibili con i bisogni futuri, oltre che con quelli presenti". A tal fine l'umanità dovrà impegnarsi per uno sviluppo sostenibile, assicurando il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente e senza compromettere le possibilità di sviluppo delle generazioni future. Nel rapporto Bruntland il concetto di sviluppo sostenibile implica dei limiti non assoluti, cioè lo sviluppo deve essere “commisurato” al presente stato dell'organizzazione tecnologica e sociale in modo tale da garantire una sorta di equilibrio nell'uso delle risorse ambientali e della capacità della biosfera di assorbire gli effetti delle attività umane. Secondo il rapporto i paesi ricchi dovranno adottare degli stili di vita "compatibili con le risorse ecologiche del pianeta", mentre quelli in via di Sviluppo (PVS) dovranno mantenere la crescita della popolazione e dell'economia in armonia con il potenziale produttivo dell'ecosistema terrestre. Per contrastare la tendenza all'aumento della pressione sull'ambiente naturale e sulle risorse (energia, minerali, etc.) dovuta alla crescita, il rapporto punta sullo sviluppo di attività agricole e forestali compatibili, sulla riduzione dell'intensità nell'uso dei materiali e dell'energia nei processi produttivi.

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Tabella 2-1. Gli indirizzi e gli impegni per lo sviluppo sostenibile a livello mondiale (Fonte: APAT, Agenda 21 Locale 2003)

Argomento Soggetto promotore Cosa

Sviluppo sostenibile

Assemblea Generale delle Nazioni Unite - Commissione Mondiale su ambiente e sviluppo (detta Commissione Brundtland)

Rapporto “Our common future” Stoccolma, 1987 (ha definito, per la prima volta, lo sviluppo sostenibile e ha promosso la creazione di una dichiarazione universale sulla tutela dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile)

Nazioni Unite

“Conferenza mondiale su ambiente e sviluppo” UNCED. Rio de Janeiro, 1992 (Viene sottoscritta l’Agenda 21)

“Summit Mondiale sullo Sviluppo sostenibile”, WSSD, Johannesburg, 2002 (Rio+10: dall’Agenda all’Azione)

Earth Charter Commission Carta della terra, Parigi, 2000

Città sostenibili

Nazioni Unite

Seconda Conferenza delle Nazioni Unite sugli insediamenti umani Habitat II, Istanbul 1996. (Si conferma l’importanza dell’Agenda 21 locale e viene redatta l’Agenda habitat)

Nazioni Unite - United nations environment programme (UNEP) division of technology, industry and economics

Melbourne principles for sustainable cities, Melbourne 2002

2.4.2 L’Agenda 21 Nel corso del 1992 si tenne la Conferenza Mondiale su Ambiente e Sviluppo a Rio de Janeiro; in tale ambito furono prodotti i documenti che di seguito verranno brevemente illustrati. Innanzitutto fu redatto il documento denominato Agenda 21. Trattasi di un piano d’azione delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile nel XXI secolo, che individua nella tutela dell’ambiente l’elemento fondante della futura società e che può essere realizzato attraverso politiche decise tanto a livello globale che pianificando programmi di azione su scala locale. Nella sua struttura generale il documento risulta suddiviso in quattro parti:

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a. la dimensione sociale ed economica. In tale contesto fu elaborato un programma diretto a realizzare: nei paesi poveri una crescita economica non distruttiva dell'ambiente naturale operando, nel contempo una lotta alla povertà, al controllo demografico e, più in generale, ad un miglioramento delle condizioni di salute delle popolazioni; viceversa nei paesi ricchi si sarebbe dovuto apportare una modifica ai consumi, al fine di ridurre la forbice esistente e che con il tempo tende sempre di più a dilatarsi.

b. la conservazione e la gestione delle risorse al fine dello sviluppo. É questo un documento tecnico che contiene il vero e proprio programma ambientale, con indicazioni circa i mezzi tecnici e finanziari necessari per realizzarlo (protezione dell'atmosfera, gestione integrata dell'agricoltura, lotta alla deforestazione, gestione degli ecosistemi fragili, lotta alla desertificazione e alla siccità, preservazione della diversità biologica, gestione delle biotecnologie, protezione degli oceani e delle acque dolci, gestione delle sostanze tossiche, dei rifiuti solidi urbani (RSU) e dei rifiuti radioattivi, gestione ecologica delle acque di scarico). Questa parte è stata in parte contestata principalmente a causa del rifiuto dei paesi ricchi di farsi carico degli impegni finanziari necessari per aiutare i PVS a realizzare i loro programmi.

c. Il ruolo dei principali gruppi Documento estremamente interessante come scelta politica; esso, difatti, individua il ruolo di alcuni specifici gruppi sociali nel perseguimento dello sviluppo sostenibile attribuendo, per la prima volta, un ruolo preminente ai cittadini (donne, giovani, anziani, sindacati, ONG, settori produttivi, comunità scientifica) come soggetti capaci di farsi portatori di innovazione

d. I mezzi di esecuzione del programma 21 In questa parte del documento si opera un’analisi della strumentazione necessaria a perseguire le azioni individuate nei punti (a) e (b) del documento: ovvero strumenti scientifici, formazione, informazione, cooperazione internazionale, strumenti finanziari, strumenti giuridici.

Come si evince dalla lettura del documento, l’Agenda XXI locale rappresenta un possibile strumento affinché le comunità locali possano mettere a punto strategie di sviluppo e programmi concreti di intervento, specifici delle singole realtà. Tale iniziativa può e deve essere condotta principalmente dalle autorità locali, le quali devono essere in grado di coordinare un processo che coinvolge tutti i cittadini e tutti i settori di attività. I principi del coinvolgimento locale e della gestione ambientale diretta sono alla base del percorso delineato nel programma generale di Agenda 21, dove l’autorità locale dovrebbe innanzitutto verificare l’opportunità di istituire un forum ambientale al fine di consentire la più ampia partecipazione pubblica alle diverse fasi di definizione, attuazione, valutazione e revisione del piano di azione ambientale. Tale forum dovrebbe riunire i rappresentanti di tutti i settori della comunità locale: cittadini, forze politiche e sindacali, amministrazioni, organizzazioni non governative, associazioni ambientaliste, agenzie di protezione ambientale, imprenditori, commercianti, studenti, altri livelli di governo locale e regionale. Il processo si avvia con l’individuazione di una serie di principi democratici di azione ambientale, da tradurre in una visione condivisa sul futuro della comunità locale. Con la successiva analisi dei problemi ambientali e delle relative cause, si acquisisce la base informativa necessaria per definire gli obiettivi generali dell’azione ambientale, ma anche per stabilire l’ordine di priorità dei

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problemi da affrontare. Seguono l’analisi e la valutazione delle opzioni attuative e la coerente fissazione di obiettivi specifici e misurabili dell’azione ambientale (i target). Le opzioni individuate e i target stabiliti vengono ripresi e dettagliati all’interno di specifici programmi attuativi, verificando che l’insieme delle azioni tenda al raggiungimento della visione condivisa (che era stata in precedenza definita) senza scontare inefficienze o mancanze o determinare effetti avversi. Il piano d’azione ambientale, che riunisce i programmi tematici, viene poi discusso e adottato. La sua attuazione è sottoposta a un continuo monitoraggio per misurarne e valutarne i risultati. Il processo è destinato a proseguire fino al raggiungimento della sostenibilità – condizione peraltro dinamica – mediante continui aggiustamenti, in risposta non solo ai successi e ai fallimenti, ma anche ai cambiamenti delle condizioni ambientali e al miglioramento del livello di conoscenza e di capacità tecnica. . Volendo riassumere possiamo, quindi, dire che tale modello prevede:

• il coinvolgimento di tutte le parti sociali coinvolte attraverso l’attivazione di un forum permanente;

• l’identificazione delle priorità ambientali della comunità; • la programmazione di azioni ed interventi a garanzia di uno sviluppo sostenibile; • il monitoraggio continuo dei risultati.

2.4.3 Partecipazione pubblica ed indicatori nel processo di Agenda 21 Due elementi fondamentali che emergono dal processo di Agenda 21 riguardano la partecipazione attiva della cittadinanza e l’uso di appropriati indicatori. Il primo aspetto, ovvero la partecipazione pubblica ed il coinvolgimento attivo e diretto dei cittadini nei processi decisionali che riguardano la comunità locale può essere alquanto complesso. E lo è ancora di più allorquando si opera in ambienti dove è mancata del tutto o quasi una azione democratica. Dare realmente al cittadino la possibilità di incidere sulle decisioni che influenzano maggiormente la vita dei singoli è un obiettivo primario nell’attuazione di una politica rivolta alla sostenibilità. Il coinvolgimento della popolazione locale è un processo di lungo periodo, particolarmente importante nella gestione ambientale dove è essenziale sviluppare, attraverso azioni di formazione ed educazione la sensibilizzazione ambientale, in modo tale da rendere possibile l’esercizio di scelte più sostenibili favorendo concretamente il cambiamento nello stile di vita. Inoltre, la consapevolezza e la facoltà di scelta portano a comportamenti sostenibili solo se gli individui ritengono tali comportamenti più semplici, più economici o più aderenti ai propri ideali. In ogni caso, i soggetti sufficientemente informati per compiere scelte sostenibili, che si trovino nell’impossibilità materiale di esercitare tali scelte, devono essere coinvolti nel processo decisionale locale. Gli interessi di cui sono portatori possono così diventare argomento di generale riflessione e discussione, eventualmente allargata ad altre

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persone e ad altri gruppi sociali che si accorgessero di condividere gli stessi bisogni e le stesse aspettative. Allo stesso modo l’adozione di indicatori di performance risulta essere un elemento essenziale per l’attuazione e la gestione di una politica di Agenda 21. Dopo avere sommariamente individuato i problemi ambientali, diviene necessario costituire un organico supporto informativo, basato sulla misura e sulla registrazione di dati riferiti alle condizioni dell’ambiente locale. Questa fase del processo implica la selezione di opportuni indicatori per ciascun problema ambientale. Tali indicatori, oggettivi o soggettivi, devono essere in qualche modo misurabili, diversamente non risulterebbe possibile la valutazione dei miglioramenti o dei peggioramenti intervenuti (né il confronto con altre zone) e decadrebbe la stessa funzione degli indicatori. Le misure riferite agli indicatori devono poi essere confrontate con adeguati standard. Si ottengono così informazioni di più facile lettura e di maggior interesse per i cittadini, risultando le condizioni dell’ambiente locale espresse in relazione ad altri ambiti territoriali, a limiti di legge o alle indicazioni di organismi internazionali. Questa impostazione funziona molto bene in alcuni casi e meno bene in altri; non si tratta pertanto di una regola rigida, ma di un principio che richiede necessariamente degli adattamenti riferiti alla scala locale. Per esempio il confronto indicatori/standard è un utile accorgimento per illustrare la presenza di inquinanti e la loro concentrazione o per descrivere le variabili economiche, sociali e demografiche, mentre può risultare fuorviante per alcune dotazioni naturali e paesaggistiche. In conclusione possiamo dire che al fine di monitorare e gestire il percorso progettuale è necessario costruire una procedura, strutturata su indicatori, la quale, attraverso un flusso continuo e dinamico di informazioni, fornisca tutte le indicazioni che permettono di capire l’effettivo percorso che il progetto sta facendo. A tal fine diviene necessario l’utilizzo della ICT come strumento necessario a raccogliere i differenti flussi informativi, ad immagazzinarle e gestirle detto flusso, ma anche a rendere la comunicazione tra i differenti soggetti più efficiente e rapida.

2.4.4 Il ruolo della comunicazione nei processi partecipativi Come abbiamo visto un punto essenziale di applicazione ed attuazione del processo di Agenda 21 Locale (A21L) è la partecipazione della popolazione locale alle decisioni sul futuro della propria comunità. Perché ciò avvenga è necessario che i cittadini siano sensibilizzati sulle tematiche della sostenibilità e conoscano le caratteristiche, le potenzialità e le opportunità che offre il processo di A21L nell’ambito del governo locale. Ecco che in una tale ottica, i processi inerenti la comunicazione diventano non solo uno strumento di supporto per la realizzazione di programmi ed azioni, bensì un elemento integrante ed essenziale alla programmazione. Si riportano qui di seguito, proprio perché ritenuti importanti al successo dell’A21L, i tratti distintivi di una comunicazione ambientale orientata allo sviluppo sostenibile:

comunicazione programmata che serva anche come auditing costante dell’efficacia delle azioni;

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comunicazione come ascolto che utilizzi interazioni retroattive (feedback); comunicazione continua e preventiva e non episodica; corresponsabilizzazione e coinvolgimento dei soggetti attivi nella informazione; credibilità e attendibilità delle fonti; comunicazione propositiva per la diffusione di buone pratiche; comunicazione integrata e trasversale, che comunichi non la lettura

semplificata dei problemi ma anche l’insieme complesso di cause ed effetti; adozione di una pluralità di linguaggi volto a conciliare rigore scientifico e

approccio divulgativo; adozione di strumenti interattivi; comunicazione adatta al lavoro in rete; comunicazione più sostenibile e “a basso impatto ambientale”.

Gli strumenti di comunicazione, sensibilizzazione e promozione sono molteplici e vanno adeguati alle specificità di ogni singola realtà. In particolare si ricorda:

produzione di brochure/depliant posters e cartoline informativi/divulgativi con slogan promozionali (“Cos’è A21?”, “Perché A21?”, etc.);

produzione di una newsletter sia cartacea (all’inizio) che elettronica, a cadenza periodica;

predisposizione di un forum on-line, dove il cittadino può porre quesiti e formulare commenti e suggerimenti pertinenti al tema della sostenibilità;

pubblicazione di annunci su quotidiani locali; pubblicazione di un’inserzione che riporti: obiettivi, spiegazioni dell’iniziativa,

soggetti promotori,invito a partecipare rivolto a tutta la cittadinanza, vantaggi che si potrebbero trarre dalla partecipazione attiva di tutti i portatori d’interesse;

impostazione di un sito web, che contiene: i documenti di riferimento internazionali, il processo avviato a livello locale, il calendario degli incontri, i report degli incontri, l’agenda degli appuntamenti seminariali a livello locale (convegni, corsi, seminari, ecc.) e i link ai siti principali di Agenda 21 e sostenibilità e delle organizzazioni internazionali.

2.4.5 Dalla Dichiarazione di Istanbul al protocollo di Kyoto Nel 1996 venne firmata la Dichiarazione di Istanbul e l'Agenda Habitat II. Nell’ambito di tale incontro si sono affrontati tematiche atte a promuovere uno sviluppo sostenibile degli insediamenti umani in un mondo urbanizzato e come garantire una casa adeguata per tutti. Questi temi sono stati sviluppati in dettaglio nell'Agenda Habitat II, il documento cardine della conferenza. In particolare si trattò delle problematiche inerenti l'eccessiva concentrazione di popolazione negli agglomerati

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urbani, soprattutto nelle megalopoli/baraccopoli del terzo mondo, con conseguenze non solo sociali ma anche di vulnerabilità ai disastri naturali. In tal senso si sono messi in discussione gli attuali modelli economici, i quali generano disuguaglianza tra i paesi ricchi e quelli poveri e, attraverso il fenomeno della globalizzazione dell'economia mondiale, notevoli fenomeni di instabilità sociale e politica. Tabella 2-2. Gli indirizzi e gli impegni per lo sviluppo sostenibile a livello Europeo (Fonte: APAT, Agenda 21 Locale 2003)

Argomento Soggetto promotore Iniziative Unione Europea Trattato di Amsterdam 1999

Consiglio Europeo

Strategia a lungo termine dell’Unione europea per lo Sviluppo sostenibile (2001). Documento d’impegno sui target del WSSD (2002) “The local Agenda 21 Planning Guide” ICLEI (1996) Premio europeo città sostenibili Conferenze sulle città sostenibili (1994-2000) Documenti: Carta di Äalborg, Carta di Lisbona, Appello di Hannover

Sviluppo sostenibile e Agenda 21

Governi Locali

Le 10 riflessioni politiche chiave di Kolding (2003) Quinto programma d’azione “per uno sviluppo durevole e sostenibile” (1998)

Ambiente Unione europea Sesto programma comunitario di azione

in materia ambientale “Il nostro futuro, la nostra scelta” (2002) Libro bianco sulla Governance (2002) Partecipazione e

informazione Unione europea Convenzione di Aarhus (1998)

Pianificazione Unione Europea Direttiva EU 42/2001 CE sulla Valutazione Ambientale Strategica (2001)

Monitoraggio e reporting

Commissione europea EEA Gruppo d’esperti

sull’ambiente urbano Campagna europea città sostenibili

European Common Indicators - ECI (2000)

Finanziamenti Unione europea Community framework for cooperation to promote sustainable Urban development

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L'attenzione dell'Agenda si è concentrata su tematiche sociali, poiché attraverso la promozione dell’individuo si può promuovere una politica di sviluppo sostenibile. Da qui l'esigenza di assicurare condizioni ambientali di maggiore vivibilità per tutti, assieme alla promozione della piena partecipazione di tutti gli uomini, di tutte le donne e di tutti i giovani alla vita politica, economica e sociale. Per migliorare la qualità della vita negli insediamenti umani, tutti coloro che hanno sottoscritto la Dichiarazione si sono impegnati a sostenere modelli di produzione, consumo, trasporto e crescita secondo un'ottica che tenga conto della capacità di carico degli ecosistemi naturali, nonché della necessità di garantire pari opportunità anche alle future generazioni. Anche in questo documento le amministrazioni locali sono riconosciute come i più stretti ed importanti partner ai fini dell'attuazione dei principi di Habitat II. Inoltre viene riconosciuta la necessità di promuovere, a livello legislativo, il decentramento dei poteri statali per rafforzare le risorse finanziarie ed istituzionali delle Amministrazioni locali, assicurando al tempo stesso la trasparenza delle decisioni e la loro rispondenza ai bisogni delle popolazioni. Altro elemento emerso nella Dichiarazione è quello inerente le best practices, cioè sull'adozione di pratiche progettuali e costruttive atte a perseguire la sostenibilità attraverso il risparmio energetico nelle abitazioni e negli altri edifici, la gestione integrata dei cicli (consistente nella riduzione dell'uso di materie prime, nel riciclaggio dei materiali e nel riutilizzo diretto dei materiali da costruzione già presenti nel contesto), l'attenzione alla qualità, ovverosia la riduzione dell'impatto ambientale generato dagli edifici al loro stesso interno e nel loro immediato intorno. In conclusione vogliamo ricordare, tra gli altri, l'adozione del protocollo di Kyoto, ovvero l’accordo che dovrebbe condurre ad una riduzione, rispetto ai livelli del 1990, dei gas serra (oltre che per le emissione di CO2, anche per metano, protossido di azoto, idrofluorocaburi, perifluorocarburi, esafluoruro di zolfo. Relativamente a tale azione vi sonoancora notevoli problematiche, soprattutto per la non adesione al trattato da parte degli USA, i quali da solo rappresentano circa il 25% delle emissioni di gas.

2.4.6 Aspetti nella politica locale Gli anni successivi al summit di Rio hanno visto fiorire numerose iniziative soprattutto ad opera delle amministrazioni locali più attive, specialmente nel nord d'Europa, che hanno predisposto ed attuato con successo alcuni progetti diretti a migliorare la qualità dell'ambiente. Le iniziative più interessanti sono state condotte (e sono tuttora in corso) nell'ambito delle cosiddette Agende 21 Locali, nelle quali l'attenzione è rivolta maggiormente al consumo piuttosto che alla produzione, essendo quest'ultima oggetto di maggiore attenzione da parte dei governi nazionali. I promotori delle Agende Locali hanno focalizzato in particolare la loro attenzione sulle componenti del sistema di pianificazione e progettazione che sono rilevanti per la sostenibilità della città e del territorio: gestione degli usi del suolo, protezione delle risorse naturali e storico-culturali, modalità di progettazione e costruzione di edifici,

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infrastrutture e sistemi di trasporto, ecc. E' nell'ambito di queste esperienze che la partecipazione degli abitanti alla salvaguardia e alla trasformazione della città e del territorio ha finito per assumere un'importanza sempre maggiore: il rilievo dato dall'Agenda Habitat II ai processi di partecipazione è anche una conseguenza dell'accresciuta consapevolezza della sua importanza, maturata nelle prime esperienze di Agenda 21 Locale. Di grande rilevanza, in tal senso, è l’iniziativa che ha portato gli amministratori di 80 città europee e circa 250 rappresentanti di organizzazioni internazionali a partecipare, nel 1994, ad Äalborg, in Danimarca, alla prima Conferenza Europea delle Città Sostenibili. Da tale conferenza è scaturita la così detta Carta di Äalborg, sottoscritta dai rappresentanti politici delle città e che impegna questi ultimi a:

1. rispettare i piani territoriali e finanziari esistenti e futuri; 2. favorire l'individuazione dei problemi e delle loro cause mediante frequenti

consultazioni pubbliche; 3. identificare i compiti prioritari per risolvere i problemi individuati; 4. creare scenari di futuri sostenibili attivando un processo di partecipazione e di

coinvolgimento di tutti i settori della popolazione; 5. prendere in considerazione e valutare opzioni strategiche alternative; 6. definire un piano di azione locale a lungo termine diretto a migliorare la

sostenibilità della comunità locale; 7. attuare il suddetto piano secondo precise scadenze temporali e assegnare a ogni

partner specifiche responsabilità; 8. mettere in atto sistemi e procedure di monitoraggio e di verifica dei risultati

conseguiti dal piano.

Riguardo la problema della sostenibilità, le città firmatarie della Carta riconoscono nel concetto di sviluppo sostenibile un utile riferimento per commisurare gli stili di vita alla capacità di carico della natura. Pongono tra i loro obiettivi la giustizia sociale, la stabilità del sistema economico e la sostenibilità ambientale. Inoltre la giustizia sociale dovrà necessariamente fondarsi sulla stabilità economica e sull’equità sociale, per le quali è indispensabile la sostenibilità ambientale, sostenibilità ambientale che implica la conservazione del capitale naturale. Ciò impone un consumo di risorse rinnovabili, di acqua e di energia non eccedente il tasso di rinnovo da parte dei sistemi naturali e ugualmente un consumo di risorse non rinnovabili non superiore al tasso di sostituzione con risorse alternative rinnovabili. Sostenibilità ambientale significa altresì un tasso di emissione di inquinanti non superiore alla capacità dell’aria, dell’acqua e del suolo di assorbire e di degradare tali sostanze, fino a impedirne effetti dannosi o pericolosi. Anche in ambito locale la sostenibilità diviene un processo creativo per la ricerca di un equilibrio. In tal senso le città firmatarie riconoscono che la sostenibilità non è né una prospettiva univoca né una condizione immutabile, ma un processo locale volto a raggiungere un equilibrio che abbraccia tutti i settori e tutti le decisioni locali. Un processo che richiede una continua verifica delle modalità di gestione della città, per evidenziare le attività che portano l’ecosistema urbano verso condizioni di equilibrio e le attività che, al contrario, allontanano l’ecosistema da tale equilibrio. Gestire la città in base a tali informazioni, significa riferirsi ad essa come a un insieme organico, nel quale si evidenziano con chiarezza gli effetti delle singole attività. Risulterà così

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possibile, per l’amministrazione e per i cittadini, compiere scelte oculate in favore non solo delle generazioni presenti ma anche delle generazioni future. Infine emerge la chiara volontà politica di risolvere i problemi attraverso soluzioni negoziate, ovvero senza trasferire i problemi nello spazio (cioè in un contesto ambientale più ampio) o nel tempo (cioè alle generazioni future). Ogni problema o disequilibrio urbano deve essere ricondotto a un equilibrio interno o, in alternativa, essere assorbito a livello regionale o nazionale grazie a una soluzione negoziata. L’adozione di un approccio cooperativo e negoziale lascerà libera ogni città di decidere la natura delle proprie attività. A conclusione del presente paragrafo accenniamo alla Conferenza di Lisbona (del 1996), il cui obiettivo era quello di creare le condizioni per una reale attuazione dei principi sanciti dalla Carta di Äalborg, dando avvio ed impegnandosi nel processo di attivazione delle Agende 21 locali, nonché sull’attuazione piani di sostenibilità a carattere locale. I partecipanti alla Conferenza di Lisbona hanno quindi approvato un documento, intitolato “dalla Carta all’Azione”, che intende sviluppare, tra l’altro, il settore della comunicazione tra i differenti attori locali e organi istituzionali, la programmazione sistematica delle attività al fine di agevolare il passaggio dall’analisi all’azione, un uso degli strumenti avanzati per la gestione della sostenibilità. Tabella 2-3. Gli indirizzi e gli impegni per lo sviluppo sostenibile a livello Nazionale (Fonte: APAT, Agenda 21 Locale 2003)

Argomento Soggetto promotore Cosa

Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio

Strategia d’Azione Ambientale per lo Sviluppo Sostenibile in Italia (2002)

Governo nazionale e Governi regionali

Conferenza Stato Regioni Sullo sviluppo sostenibile (2002)

Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio

Premio città a misura dei bambini e delle bambine

Sviluppo sostenibile

Sistema APAT, ARPA, APPA Documento “Nuovi strumenti per lo sviluppo sostenibile” (2001)

Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio

Bandi per il cofinanziamento di programmi di sviluppo sostenibile e attuazione dell’Ag21l (2000-2002)

APAT “Linee guida per le Agende 21 locali”- Manuale ANPA (2000)

Agenda 21 Locale

Governi Locali – Associazione A21 Italy

Indagine sullo stato di attuazione delle Ag21l in Italia (2002)

Monitoraggio e reporting Istituto sviluppo sostenibile Italia

Indicatori di sviluppo sostenibile ISSI (2002)

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2.5 Conclusioni Volendo concludere questo paragrafo possiamo dire che oggi più che mai bisogna rendersi conto degli aspetti totalizzanti che la cultura economica dell’Occidente ha indotto sul resto del pianeta. La chiara vittoria del sistema politico-economico occidentale non implica la sua assoluta validità etica. Il nostro sistema si porta dentro di se aspetti che se nelle democrazie occidentali producono danni, nell’economie e nelle strutture politico-economiche dei paesi in via di sviluppo generano lacerazioni sociali e ambientali che il più delle volte rasentano la catastrofe. Voglio ancora ribadire quanto appena detto: è necessario che la nostra politica, che ha saputo rinnovarsi dal suo interno nei suoi aspetti ideologici e sociali dando vita a forme di democrazia sempre più allargate, deve creare gli input necessari affinché questo processo di rigenerazione possa trasmettersi anche alle nazioni povere della terra. Oggi, per la prima volta nella storia, un sistema politico-economico viene assunto a “sistema planetario”, dove una civiltà si afferma ai danni delle altre, facendo di nazioni, diverse per cultura, per religione, per usi e costumi, delle brutali rappresentazione del proprio mondo. Allora è necessario rispettare delle regole, autorigenerarsi verso una forma di economia sostenibile, tale, cioè, da poter fermare la folle corsa verso l’autodistruzione del nostro ecosistema. Credo che mai come nell’inizio di questo nuovo millennio sia importante ridisegnare la struttura politico-economia della nostra società, perché “l’ambiente naturale costituisce la principale fonte di materie prime e di servizi per l’uomo, e quindi la sua integrità è di fatto essenziale, non secondaria… Appare quindi incomprensibile che il contributo dell’ambiente non compaia nella contabilità economica e che non si ponga attenzione al mantenimento del capitale naturale in stato di integrità”.6

6 Bresso M.. (1995), Per un'economia ecologica, NIS, Roma.

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CAPITOLO 3

Lo Sviluppo Urbano Sostenibile nella città contemporanea

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3.1 Introduzione L’attenzione per i problemi urbani è divenuta sempre più intensa negli ultimi decenni. Come si è visto nel precedente capitolo, si è cominciato ad affrontare politicamente il problema dello sviluppo sostenibile dalla metà degli anni ottanta ed i primi anni del 1990, allorquando con la Conferenza Mondiale su Ambiente e Sviluppo a Rio de Janeiro (1992), si segnò un decisivo giro di boa nelle politiche internazionali, e dove si mostrò in tutta la sua gravità il problema ambientale negli aspetti riguardanti gli assetti urbani. Come si è accennato precedentemente, ciò ha avuto ripercussioni e ricadute politiche sia in ambito U.E. che in ambito nazionale. E’ però da dire che, benché sono stati sempre noti i problemi delle aree urbane sia pure con caratteristiche differenti tra il nord industrializzato e il sud povero o tra metropoli e città medio-piccole, vi è sempre stata una sorta di barriera, tra la politica e la ricerca. E’ capitato e capita, che la politica ambientale attuata dalle singole amministrazioni si rivolta, il più delle volte a specifiche problematiche o, comunque, ad attuare azioni palliative che girano intorno al problema senza affondare con decisione le questioni base. Inoltre, proprio per questo agire in ordine sparso, vi è uno spreco di risorse, tanto in termini umani che monetari. Il presente capitolo vuole fornire un contributo nell’interpretazione della sostenibilità in termini scientifici per poi cercare di capire in che termini può essere intesa la sostenibilità in ambito urbano.

3.2 La città nel mondo contemporaneo

3.2.1 La città nei processi sociali ed economico-finanziari del mondo contemporaneo Abbiamo visto che ad un certo punto la storia dell’umanità si realizza e si afferma attraverso e per mezzo della città. La città diviene, sia da un punto di vista simbolico che fisico, un elemento cardine per capire differenti aspetti, non solo ideologici ed economici, ma anche di rapporti psichici tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda. Si passa, cioè da una cultura contadina legata alla vita attraverso aspetti psichici, ancestrali, o socio-culturali ad un’altra modalità, ad un’altra esistenza, cittadina e caratterizzata da aspetti economici legati al concetto di denaro. Nei precedenti paragrafi sono stati analizzati aspetti strutturalmente essenziali che hanno caratterizzato la nostra epoca moderna. E vale a dire gli albori del pensiero capitalista e il modello filosofico-scientifico che ne costituisce la struttura portante. Adesso vorrei soffermare la mia attenzione a processi che sono a noi molto vicini, ovvero ai cambiamenti che si sono verificati negli ultimi decenni dello scorso secolo, dove si è assistito ad un radicale mutamento nella struttura delle economie dei paesi Occidentali. Difatti se fino al 1950 “il principale flusso internazionale era costituito dal commercio mondiale, che aveva essenzialmente per oggetto materie prime ed altri prodotti primari” (Sassen, 1997), dagli anni ’80 in poi si è cominciato ad assistere ad una crescita sempre più forte dei flussi finanziari internazionali. Questo fenomeno, legato al rapido sviluppo dei mezzi informatici aveva lasciato ipotizzare, da parte di alcuni

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studiosi, una sorta di frammentazione su scala planetaria dell’economia e, per conseguenza, una obsolescenza della città di pietra nei confronti di quella nascente e di tipo virtuale. Tutto ciò si è dimostrato solo parzialmente vero, perché la tradizionale città ha continuato ad avere la sua centralità nei processi decisionali. L’effetto della “forte crescita dei flussi finanziari internazionali” elevando il livello di complessità delle transazioni, ha reso necessario “una infrastruttura estremamente avanzata di servizi specializzati e concentrazioni al vertice di strutture di telecomunicazioni: in tal senso le città hanno continuato ad essere i luoghi essenziali e privilegiati di entrambi questi fenomeni” (Sassen, 1994). Anzi, l’affermarsi sempre più di nuovi e potenti poteri finanziari transnazionali ha generato “nuove forme di centralizzazione territoriale delle funzioni superiori di direzione e di controllo” (Sassen, 1994) per cui alcune città hanno assunto un ruolo guida nel nuovo assetto dell’economia e della finanza globalizzata. Cosa dunque significa questo processo in termini di strutturali del sistema – intendendo in tale ambito tanto gli aspetti socio-economici che quelli politici ed ideologici – e quali nuovi meccanismi si innescano nel processo urbano? Castells nel suo An introduction to the information age ha parlato di network society, la quale è caratteristica di questo periodo dominato da una forma di capitalismo, per così dire, informazionale. La network society è, secondo Castells, il risultato di tre fattori concomitanti:

1. la rivoluzione digitale (informatica) che permette una struttura a network; 2. la profonda trasformazione del capitalismo e dello statalismo degli anni ’80 volta

al superamento delle contraddizioni di quelle politiche; 3. i movimenti sociali e culturali che caratterizzarono la fine degli anni ’60 e gli

anni ’70 che, tra le altre cose, videro l’affermazione delle prime teorie ecologiste.

Questa nuova forma di organizzazione investe tanto il campo sociale che quello politico-economico. In particolare:

in campo sociale dà vita ad una nuova forma di assetto a rete (network), particolarmente dinamica, libera e flessibile;

la forza lavoro si caratterizza sempre più da una tipologia di lavoro autonomo, outsourced e del tipo sub-appaltistico;

vi è un forte flusso di capitali attraverso i canali informatici, capitali che riescono facilmente a baipassare i tradizionali apparati di controllo e le normative nazionali;

la comunicazione diviene globale e personalizzata; acquista valore il localismo, nel senso di territorio e comunità;

Le dinamiche a network, secondo Castells, spingono questo tipo di società verso una esasperata forma di fuga dai propri vincoli e controlli da un lato, e ricostruzione e ridefinizione di modelli sociali ed istituzionali dall’altro. Interpretando il senso di quanto Castells afferma, potremmo definire questo modello come una sorta di rete magmatica, la quale spinta dalla sua forza cerca continuamente di nuovi spazi travolgendo quanto gli sta intorno. Per controllare una tale spinta Castells ritiene necessaria una forma di democrazia di tipo cosmopolita, nuovi codici culturali condivisi e nuovi significati da attribuire in campo sociale ed istituzionale. Esempi in tale direzione sono rappresentati

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dal movimentalismo che sta caratterizzando gli ultimi anni e dove è forte la richiesta di dare un nuovo senso alla struttura socio-politica della nostra società. Ebbene da un punto di vista strutturale i processi in atto hanno profondamente alterato i vecchi equilibri, passando da un piano nazionale e regionale ad uno globale. Queste trasformazioni hanno prodotto, in ambito urbano, una nuova gerarchia delle città e dei processi economico-finanziari, i quali, come detto sopra, sono divenuti globali e non più controllabili da parte dei singoli governi. Non solo. Questo processo di “crescita” ha assunto tratti estremamente sofisticati sul piano delle politiche finanziarie, dove il denaro ha assunto, da un lato una valenza senza precedenti nella storia recente, e dall’altro è divenuto quasi un’entità del tutto astratta e virtuale (si veda in tal senso il ruolo delle tecnologie digitali, che, tra le altre cose, hanno lasciato ipotizzare la creazione di denaro “puramente virtuale”). Il suo potere ha carattere e valenza di “dittatura” e, nelle sue espressioni finanziariamente più sofisticate, risulta un qualcosa di completamente “indipendente dai beni” (Spengler, 1978). Questa struttura economico-finanziaria inserita in un processo globale, come dicevo sopra, ha estromesso da tanti aspetti economici i singoli governi e, al contempo, creato nuove “relazioni fra città in funzione del denaro” (Spengler, 1978) dando così vita ad una nuova gerarchia del potere, con alcune città-metropoli guida che Sassen chiama città globali o primarziali e che identifica su di un asse virtuale composto da New York, Londra, Francoforte, Parigi, Amsterdam, Sydney, Tokyo, Hong Kong, San Paolo e Città del Messico (Sassen, 1994).

Tali città globali si caratterizzano perché sono (Sassen, 1994):

a) punti di comando nell’organizzazione dell’economia mondiale; b) localizzazioni e piazze di mercato essenziali per le industrie di punta del

periodo attuale – la finanza e i servizi specializzati alle imprese; c) le principali sedi in cui tali industrie producono, fra l’altro, innovazione.

Accanto a queste città globali ed assolute, tutto il resto diviene periferico e provinciale, finanche la forma Stato all’interno del quale queste città trovano il loro spazio fisico. (Spengler, 1978; Sassen, 1994). Nasce così una nuova geografia “della centralità e della marginalità le cui demarcazioni sono trasversali alla vecchia linea di divisione fra paesi poveri e ricchi” (Sassen, 1994). Queste città assolute, economicamente strategiche nell’economia mondiale, se da un lato danno vita ad un mercato a concorrenza globale, dall’altro tendono, il più delle volte, a “disconnettersi dalle rispettive regioni” (Sassen, 1994) Questo fenomeno, secondo Sassen, contraddice “un assunto fondamentale della teoria tradizionale dei sistemi urbani, secondo il quale questi sistemi promuovono l’integrazione territoriale delle economie regionali e nazionali” (Sassen, 1994) Ma quali conseguenze scaturiscono da questi nuovi assetti economico-finanziari? E quali conseguenze e significati si hanno nell’assetto urbano e sul piano ideologico? Sul piano economico-finanziario, si assiste ad un sistema divenuto più fragile, sia perché nelle città assolute si concentrano immense quantità di potere economico, sia perché gli strumenti informatici hanno creato una rete mondiale capace di interagire in tempo reale con tutte le possibili conseguenze (basti ricordare il danno causato dall’attentato dell’undici settembre nelle borse di tutto il mondo e alla crisi che ne è succeduta). Un’altra conseguenza, sul piano interno, è rappresentata dai nuovi assetti nelle economie urbane, caratterizzati da un sempre maggiore divario tra lavoratori

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altamente qualificati e operai tradizionali, generando, in tal modo, nuovi poveri anche tra la classe media con conseguenti problemi di conflittualità sociale. Sul piano puramente fisico degli assetti urbani, si assiste a due processi opposti: nel mondo sviluppato vi è in atto un processo di trasformazione che già da anni investe molte città europee, dove si assiste ad una trasformazione degli assetti economici con lo “spostamento verso l’area dei servizi” nonché “l’ascesa di quelli specializzati e della finanza” e “la crescente transnazionalizzazione dell’attività economica, che può operare a livello regionale, continentale o globale” (Sassen, 1994) hanno caratterizzato la dinamica urbana attraverso piani di recupero delle vecchie aree industriali e di agglomerazione delle attività attinenti, palesando ancora problematiche connesse alla mobilità, alla sicurezza e in generale alle condizioni di vita. Invece nei paesi del terzo mondo si assiste ad esplosioni demografiche senza precedenti di molte città, alcune delle quali, come visto, di tipo assoluto; questo fenomeno è innescato dalla distruzione dell’economia rurale dei piccolo proprietari a vantaggio delle multinazionali e a cui si accompagnano problemi di fragilità politico-istituzionale (Sassen 1994, Kowarick e al. 1991, Prealc 1987) Sul piano filosofico-ideologico dell’urbanistica queste megacittà sono la contrapposizione alla città organica e compatta del passato. Sono città che crescono in modo vorace divorando ciò che le sta intorno e dando vita ad un “ammucchiamento inorganico e quindi illimitato, che oltrepassa ogni orizzonte” (Spengler, 1978). La città moderna e contemporanea finisce con l’essere simbolo rappresentativo della razionalità, con il suo rigore, astratto e formale, tende verso una struttura a scacchiera che simboleggia la perdita di anima (Spengler, 1978). Quindi non più quella ricchezza nella composizione che può leggersi a differenti scale e che delinea una cooperazione organica tra i differenti livelli gerarchici (Salingaros, 2000) ma un generale impoverimento compositivo che generando “strade lunghe e dritte”, (Salingaros, 2001) o spazi alienanti dimostra tutto il suo carattere antiorganico ed antispirituale. Del resto questo aspetto psichico della modernità è, ancora una volta, chiaramente individuato da Spengler quando dice che “il ritmo cosmico si è ritirato dalla vita” dell’uomo moderno, animale cittadino talmente legato alla città da renderlo incapace di vivere in un posto che non sia quello artificiale (Spengler 1978).

3.2.2 Il processo di urbanizzazione nel mondo contemporaneo La contemporaneità è sempre più caratterizzata da un mondo urbanizzato che estende la sua influenza persino nelle aree rurali. Nel corso dello scorso secolo, e particolarmente dalla seconda metà in poi, vi sono stati profondi rivolgimenti economici, particolarmente significativi nelle aree del sud del mondo, dove una crescita economica caotica e il più delle volte socialmente iniqua, ha prodotto profonde lacerazioni nei tessuti sociali di queste nazioni, con aumento di povertà, degradazione ambientale e sconquasso politico-istituzionale. Questi processi sociali ed economici sono stati accompagnati da una rapida crescita della popolazione e da una forte concentrazione di enormi masse nelle città, costituendo un elemento cruciale da affrontare nella definizione di una politica rivolta allo sviluppo sostenibile. Se si percorre il binario della

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storia ci si renderà presto conto che non vi è stata nessuna epoca precedente alla presente che abbia visto crescite così massicce delle popolazioni urbane, in particolare per i paesi in via di sviluppo. Inoltre i rapidi tassi di crescita della popolazione urbana sottopongono ad una enorme pressione non solo i governi nazionali e le amministrazioni locali, ma soprattutto l’ecosistema dove queste persone vivono. Questa sofferenza, tanto ambientale che in termini socio-economici e politici, finisce col dare vita a modelli di sviluppo insostenibili. E, difatti, a tali stati si accompagnano numerosi problemi quali povertà, disoccupazione, inadeguatezza degli alloggi, condizioni sanitarie scadenti quando non addirittura nulle, scarsezza nelle forniture idriche, inquinamento dell'aria e dell'acqua ed altre forme di degrado ambientale, congestionamento del traffico e sovraccarico del sistema di trasporto pubblico. Come detto la grave crisi che attanaglia il sud del mondo, ha generato grandi movimenti di uomini, i quali si muovono sia all’interno dei paesi poveri, dalle campagne verso le città, sia dal sud verso il nord industriale e ricco. Negli ultimi decenni si è sempre più assistito ad una crescita della popolazione urbana, e ciò particolarmente nella aree più depresse del pianeta. In generale questi processi di crescita sono stati sempre accompagnati da crescite economiche caotiche e squilibrate, dando così origine a profondi problemi sociali e di distribuzione delle ricchezza prodotta. Ciò ha indotto milioni di persone a spostamenti alla ricerca di opportunità lavoro ed un livello di vita più elevato o quanto meno accettabile. Tutta la problematica in tema ambientale e quindi sulla definizione di nuove politiche e nuovi approcci economici e sociali, è legata essenzialmente alla città. Già oggi, pressappoco metà del genere umano vive nelle aree urbane, e la popolazione delle città sta crescendo due volte e mezzo più rapidamente di quanto non faccia quella rurale. Si prevede pertanto che entro il 2025 le aree urbane ospiteranno più di due terzi della popolazione mondiale. I senzatetto e le inadeguate condizioni degli alloggi sono il principale tra tutti questi problemi. A queste problematiche è necessario fornire politiche che cerchino di riequilibrare tanto gli assetti economici che quelli sociali. Al problema della forte urbanizzazione si è cercato di rispondere attraverso l’introduzione del concetto di urbanizzazione sostenibile, elemento necessario per poter raggiungere obiettivi di sviluppo sostenibile. L’organizzazione delle Nazioni Unite – UNCHS, nel suo Sustainable Cities Programme del 1991, ha definito la città sostenibile come "a city where achievements in social, economic and physical development are made to last", mentre Habitat Agenda suggerisce che sistemazioni umane sostenibili dovrebbero avvalersi di un uso efficiente delle risorse all'interno delle capacità di carico dell’ecosistema e dovrebbero considerare un approccio che tenga conto del principio precauzionale: “make efficient use of resources within the carrying capacity of ecosystems and take into account the precautionary principle approach, … provide all people, in particular those belonging to vulnerable and disadvantaged groups, with equal opportunities for a healthy, safe and productive life in harmony with nature and their cultural heritage and spiritual and cultural values, and … ensure.. economic and social development and environmental protection, thereby contributing to the achievement of national sustainable development goals.”1 (United Nations Human Settlements Programme (UN-HABITAT I), “Sustainable Urbanisation - Achieving Agenda 21”. 1

1 Per maggiori dettagli è possibili consultare il sito delle Nazioni Unite http://www.unhabitat.org .

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3.3 Sostenibilità, complessità ed ambienti urbani

3.3.1 Il paradigma della complessità nella cultura contemporanea Nel corso della storia della scienza vi sono state diverse rivoluzioni2, che hanno segnato il passaggio da un vecchio modello ad uno nuovo. Lo stesso può dirsi per la scienza della complessità. E’ ovvio che questi passaggi epocali non avvengono in pochi mesi o pochi anni, ma nel corso di decenni, allorché il mondo scientifico, attraverso le sue molteplici discipline, se ne appropria, dando così vita ad una transizione da un paradigma fondamentale ad un altro. Ma che cosa genera ad un certo punto una tale svolta? Possiamo dire, in generale, che la transizione si verifica, o meglio comincia a delinearsi, allorquando emergono delle “anomalie” nel vecchio paradigma, cioè situazioni nuove non più spiegabili attraverso le vecchie teorie. Questo è anche quello che è accaduto alla fine del XIX secolo, allorquando cominciarono ad emergere i limiti della fisica classica, in particolare della meccanica. Allora il paradigma di partenza consisteva nei concetti di linearità delle relazioni dinamiche e di causa, nella combinazione di determinismo e causalità forte, e nella stabilità del moto come caso generale presupposto per i sistemi dinamici. La linearità era stata disciplinata matematicamente con metodi algebrici ed analitici. Quasi tutti gli esempi che si trovano nei libri di testo di meccanica classica riguardano sistemi lineari. I fisici sapevano dell’esistenza dei sistemi non lineari; ma tutti li consideravano delle strane eccezioni alla regola, come casi che probabilmente sarebbero stati desunti alla regola generale nel corso di sviluppi futuri. Edgar Morin3 ha proposto di indicare globalmente gli assunti della proposta metodologica cartesiana sotto la denominazione di pensiero semplice, le cui caratteristiche, riduzioniste, lineari e dicotomiche, possono così essere riassunte:

• l’accumulo di conoscenza è inversamente proporzionale alla variazione dell’ignoranza;

• se un problema è troppo complesso per poter essere risolto può sempre essere suddiviso in tanti sotto problemi per i quali è possibile una spiegazione. La "sommatoria" delle micro-spiegazioni fornirà la soluzione al macro-problema di partenza;

• proprio come in matematica, il metodo deve permettere di distinguere tra questioni "valide", suscettibili di chiara definizione e dimostrazione, e idee irrimediabilmente "confuse", da rigettare nel flusso temporale del gioco delle opinioni, dei desideri e delle chimere;

• il metodo permette dunque di fissare una direzione del progresso, una "rotta" ben definita rispetto alla quale eventuali blocchi, deviazioni, ritorni e convergenze sono sempre subordinati e riassumibili nella storia globale della "strada maestra" della conoscenza.

2 A tal riguardo si veda The Structure of Scientific Revolutions, di Thomas S. Kuhn, The University of Chicago Press, III Edizione, 1996. 3 Di Morin si veda: Il metodo. Ordine, disordine, organizzazione, Feltrinelli, 1994

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Figura 3-1. Nella visione meccanicistica, il mondo è un insieme di oggetti e l’attenzione è posta su di essi più che sulle loro interrelazioni. Viceversa, nella visione sistemica (schema B) gli oggetti stessi divengono reti di relazioni, inserite all’interno di reti più grandi. Per i sistemici le relazioni hanno una importanza primaria, mentre i confini degli schemi diventano secondari

Le anomalie che si verificarono all’interno di questo paradigma consistevano, soprattutto, nella scoperta di forme completamente inattese di comportamento irregolare casuale e instabile di sistemi dinamici piuttosto semplici. Queste irregolarità, come oggi sappiamo, furono considerate anomalie solo a causa di un’insufficiente conoscenza delle implicazioni matematiche dei modelli utilizzati nelle teorie della meccanica classica. Ebbene furono proprio queste anomalie che portarono, dopo un lungo processo di sviluppo di circa settant’anni, a nuove intuizioni sul possibile comportamento dei sistemi dinamici, dando così vita alla scienza della complessità, che si caratterizza attraverso i concetti di non linearità, feedback dinamico, complessità, caos deterministico, frattali, auto-organizzazione. Questi caratteristici elementi del nuovo paradigma avevano due implicazioni, entrambe di grande rilevanza filosofica. La prima è una forma di causalità piuttosto debole: cause simili possono avere effetti totalmente differenti, cioè non conducono necessariamente a effetti simili. Il nuovo paradigma viene rappresentato dai sistemi che mostrano un comportamento dinamico il quale mostra una sorprendente sensibilità non solo al movimento ma anche una dipendenza bei confronti delle condizioni iniziali. La cosa interessante e che, tra l’altro questa sensibilità era ed è compatibile con il determinismo. La seconda implicazione è rappresentata dalla conoscenza delle condizioni iniziali e dei parametri del sistema che, qualora abbia un’inesattezza conduce, nel caso di sistemi sensibili al moto, ad una grande inesattezza relativamente al possibile comportamento del sistema. E’, comunque da dire che uno dei maggiori problemi è rappresentato proprio dalla scarsa capacità a conoscere le esatte condizioni iniziali della dinamica di un sistema per poterlo misurare. Anche il comportamento futuro di sistemi deterministici,

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se mostrano la sensibilità al moto che mostrano i sistemi caotici, è in un certo qual senso non calcolabile. Anche se il sistema è totalmente deterministico e anche se la descrizione nomologica4 del sistema e completamente conosciuta senza alcun dubbio, il futuro del sistema non è calcolabile se il sistema è caotico nella sua dinamica. Il Caos Deterministico forma un limite epistemologico per la predizione della natura. Durante gli anni settanta, il campo fu dominato dalla crescente efficacia delle nuove intuizioni nella base dei modelli delle scienze empiriche. Le nuove intuizioni sviluppatesi lentamente vennero ora assimilate rapidamente e aumentarono altrettanto rapidamente la propria sfera di influenza. Nei cinque anni tra il 1970 e il 1975 le diverse linee di sviluppo della ricerca si fusero e prese piede il fenomeno interdisciplinare che ho introdotto come scienze della complessità. Il solo 1975 vide il verificarsi di un gran numero di eventi che si rivelarono di grande importanza. Ne citerò solo due: Benoit Mandelbrot definì ciò che intendeva per "frattali": strutture geometriche con dimensioni non intere e auto-simililarità annidate all’infinito. Tien-Yien Li e James Allen Yorke applicarono l’espressione "caos" al comportamento irregolare e instabile di sistemi matematici semplici. Il nuovo campo di indagine prese forma e divenne visibile alle diverse comunità e discipline all’interno delle scienze empiriche. Gli anni tra il 1975 e il 1980 possono essere considerati come un periodo di consolidamento delle scienze della complessità favorito dal moltiplicarsi delle conferenze su questo tema. I matematici, i fisici, i chimici i biologi e persino i sociologi, si interessarono al nuovo campo di ricerca. Con l’aiuto di questi concetti, scoprirono il terreno comune alle loro discipline. Questo terreno comune aveva soprattutto il carattere di modello teorico e ora poteva essere identificato almeno parzialmente con alcuni concetti della complessità, dell’irregolarità e del caos che furono riscoperti nella dinamica dei più diversi sistemi. Si rivelarono anche di grande importanza alcune tendenze all’unificazione concettuale come quella che interessava la ricerca e il dibattito per una misura universale e, al contempo praticabile, della complessità. Tale dibattito continua ancor oggi senza aver raggiunto alcun risultato definitivo. Per i discorsi che seguiranno assume notevole importanza il concetto di sistema5.

4 Metodo nomologico o ipotetico-deduttivo: è il metodo tipico delle scienze sperimentali, prima di tutte della fisica. Mira alla individuazione delle regolarità tra i fenomeni (nomos = legge) ed è basato sul metodo descrittivo e sulla formulazione di ipotesi causali; sulla verifica sperimentale; sulla deduzione, dimostrazione e spiegazione; sulla organizzazione sistematica dei risultati, sulla esposizione delle leggi e sulla costruzione delle teorie che le comprendono. Il metodo è stato descritto da Charles Sanders Pierce come “abduzione creativa” [Bonivolo-Vidali, 1999:284], e consiste nell'adozione provvisoria di una legge come un quadro di riferimento che permette di spiegare un fenomeno curioso e sorprendente, salvo poi procedere a delle verifiche sperimentali. Solo un fenomeno inatteso richiede una spiegazione, pertanto il ragionamento abduttivo, secondo Pierce, è il procedimento comune di tutte le scienze: studiare i fatti e creare congetture teoriche che permettono di spiegarli. 5 La teoria generale dei sistemi fu proposta negli anni ’40 dello scorso secolo dal biologo ungherese Ludwig von Bertalanffye per poi essere ripresa da Ross Ashby negli anni ‘50. La teoria andava a costruire un antitetico a quell riduzionista classico, il quale si basava sul paradigma di una scomposizione di un sistema in sue componenti e attraverso l’analisi di una di queste componenti si poteva descrivere l’intero sistema. Ebbene von Bertalanffy capovolse questa teoria. Egli pensò ad un sistema come ad un’entità aperta capace di interagire con l’ambiente, ma anche in grado di acquisire nuove proprietà e di stabilire, tra le sue componenti, delle interrelazioni di tipo non lineare. Nel 1951 questa sua teoria fu estesa ai sistemi biologici, e quindi, ad opera di altri studiosi, estesa anche al nascente campo informatico. Da questo momento il termine sistema fu stato applicato in moltissime discipline, a cominciare dalla teorizzazione di nuovi concetti matematici – vedasi Masarovic e Klir – come lo sviluppo di isomorfismi tra modelli di circuiti elettrici-elettronici ed altri tipi di modelli o alle discipline mediche, come gli sviluppi in campo psicoterapeutico per arrivare ad applicazioni ecologiche e a quelle

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Per capire tale concetto partiamo dalla nozione di insieme. Il termine insieme è il corrispondente astratto usato in matematica: gli oggetti che lo costituiscono sono detti i suoi elementi o i suoi punti. Così una squadra non è altro che un insieme, i cui elementi sono i giocatori. Non è possibile definire in modo rigoroso che cos'è in insieme, in quanto nella definizione si dovrebbe fare uso di sinonimi come classe, aggregato, collezione, etc. che a loro volta dovrebbero essere definiti nell'ambito della teoria stessa e così via. E' necessario quindi assumere alcuni concetti come primitivi e definire gli altri per mezzo di essi. Assumiamo allora come primitivi i concetti di insieme, elemento ed appartenenza. Converremo di indicare gli insiemi con le lettere maiuscole A, B, mentre gli elementi verranno indicati con le lettere minuscole a, b, etc.. Per indicare che un elemento a appartiene all'insieme A si userà la scrittura:

a ∈ A In tal senso possiamo dire che gli elementi dell’insieme A sono tutti caratterizzati dall’esistenza di una relazione (vedi tabella 3.1) che li fa appartenere a quel determinato insieme. Viceversa, quando si analizzano le interazioni (si ha interazione quando il comportamento dell’uno influenza il comportamento dell’altro) tra particolari elementi introdurremo il concetto di sistema. Nella tabella 3.1 sono riportati alcuni esempi (Minati e Abram, 2003) di insiemi, insiemi con relazioni strutturali tra i loro elementi, sistemi emergenti dall’interazione tra gli elementi con indicati gli eventuali sottosistemi. economico-sociali. Difatti è noto che dalla teoria dei sistemi si è sviluppata, poi, l’analisi dei sistemi, la quale applica i principi sviluppati dalla prima per ottenere modelli atti al supporto dei decision-makers nella risoluzione di problematiche complesse e multi-obiettivi, dove necessitano azioni di ottimizzazione e controllo al fine di valutare rischi, costi e benefici. Vi sono essenzialmente due approcci allo studio dei sistemi: uno detto cross-sectional, volto allo studio in particolare delle interazioni tra due sistemi, ed un secondo, detto developmental approach, volto alla comprensione di come tali sistemi evolvono nel tempo. Per concludere possiamo brevemente analizzare gli steps necessari sia alla formulazione di un sistema, che per operazioni per intervenire sullo stesso:

costruzione di un modello matematico, vale a dire di quell’insieme di nozioni, strutturate attraverso un programma di calcolo o modelli in scala, che permettono, conosciute le cause, di arrivare a prevedere gli effetti; in genere questi modelli sono rappresentati da equazioni, in cui, attraverso una serie di approssimazioni dipendenti dal rapporto lavoro/benefici, si giunge alla forma approssimate che meglio descrive il fenomeno in esame;

stima dei parametri; in questo step si opera la valutazione e quindi la scelta dei parametri, a partire da valori misurabili sul sistema e con differenti tecniche matematiche. E’ necessario, in tale step, fornire il range entro il quale il parametro scelto si muove, e ciò per effetto di approssimazioni sia delle misure che del modello stesso;

identificazione; questo step è una sorta di prova sul campo del modello e dei parametri scelti. Può accadere, ad esempio, che il modello S definito non sia identificabile attraverso i parametri individuati, ma, invece, lo sia attraverso un modello più semplice;

stabilità; un sistema risulta instabile allorquando determinate entità che lo caratterizzano tendono ad una crescita illimitata, sia in presenza di cause esterne che in assenza di quest’ultime; risulta invece stabile in caso contrario;

controllabilità; è questa caratteristica estremamente importante, in quanto implica la possibilità che si ha di controllo del sistema in un determinato istante agendo sui comandi;

osservabilità; questa proprietà riguarda la possibilità di ottenere la stima di valori istantanea di variabili interne al sistema, in particolare le variabili di stato, senza la misura diretta delle stessa, ma deducendole attraverso il modello stesso.

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Tabella 3-1. Esempi di elementi che danno origine a insiemi, insiemi strutturati, sistemi, sottosistemi.

INSIEMI DI... INSIEMI STRUTTURATI SISTEMI SOTTO-SISTEMI

Parole Parole connesse da sintassi o in ordine alfabetico

un poema, un libro, una storia Capitoli

Cellule cellule per tipo corpo vivente Organo

Musicisti Musicisti raggruppati per lingua naturale, sesso o ordinati per età

orchestra Musicisti raggruppati per strumento musicale

Studenti Studenti in ordine alfabetico o raggruppati per sesso

scuola Classi

Soldati Plotone esercito Divisione

Lavoratori Lavoratori organizzati in una catena di montaggio azienda Reparto

Animali Animali ordinati per età, raggruppati per colore, malattia, cibo, ecc.

mandrie, sciami, stormi, branchi : fenomeni di auto-organizzazione

Singoli animali considerati per ruolo (caccia, difesa, riproduzione)

Quindi parliamo di sistema ogni qualvolta siamo in presenza di una struttura di elementi che si caratterizzano per una serie di interazioni che avvengono tanto verso l’ambiente interno al sistema, che verso l’esterno (fig.3-1). Una tale configurazione degli elementi del sistema permette, quindi, una serie di specifiche azioni, le quali, come detto, avvengono sia all’interno della stessa struttura del sistema che verso l’esterno, determinando, quindi nei fatti, una permeabilità del sistema verso l’ambiente esterno. Quest’ultima proprietà definisce tanto l’identità quanto l’autonomia del sistema steso (Bossel, 1999). Gli studiosi hanno introdotto differenti categorie di sistemi, che si caratterizzano per differenti qualità. Volendone citare alcuni, possiamo ricordare ad esempio:

i sistemi metabolici, ovvero quelli che richiedono per la loro esistenza, caratteristiche qualitative che si caratterizzano sotto forma di energia, materia o flusso informativo (ad esempio, cascate, una radio, etc.);

sistemi auto-organizzati, ovvero quelli che si caratterizzano per una struttura che si adatta alle variazioni ambientali (piante, animali, le organizzazioni sociali, etc.);

sistemi autoriproducenti (o autopoietici), ovvero quelli capaci di riprodurre ulteriori sistemi simili a essi stessi (ad esempio cellule, organizzazioni sociali o umane, strutture culturali, etc.).

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Figura 3-2. Struttura di un sistema e l’insieme delle relazioni sia interne che esterne (Fonte: Bossel H., 1999)

Tralasciando ulteriori puntualizzazioni che sarebbero fuorvianti per il presente lavoro, concludo illustrando il significato di sistema complesso inteso come un qualunque sistema che ha una struttura interna caratterizzata da molti e qualitativamente differenti processi, sub-sistemi, interconnessioni e interazioni (Bossel, 1999). Nel processo di evoluzione di un sistema complesso vi sono, poi, due caratteristiche organizzative principali: la gerarchia e la sussidiarietà. In particolare la gerarchia implica per un sistema complesso che esso non solo si componga di elementi e di processi che accadono su molteplici e differenti scale, ma anche che tutte le scale interagiscono per creare un intero costituito di parti interdipendenti. In tal senso tutte le scale maggiori dipendono dalle scale minori dando, così vita ad una sequenza scalare il cui fine è proprio un sistema complesso (M.W. Mehaffy e N.A. Salingaros6),. Riguardo alla sussidiarietà, essa implica che ogni sub-sistema deve essere “responsabile” nel tenere la propria struttura in quell’ordine che permette poi, all’intera struttura, di interagire all’interno di una situazione ottimale. Questa condizione permette 6 Per maggiori dettagli si legga lo scritto di Salingaros e Mehaffy Il fondamentalismo geometrico, sul sito www.professionearchitetto.it , trad. it. di A. Caperna, 2001.

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di dire che ogni sub-sistema contribuisce al corretto funzionamento dell’intero sistema, permettendo, poi, di parlare di sostenibilità del sistema (Bossel, 1999). L’introduzione di questi concetti è importante perché nel nostro mondo non vi sono sistemi isolati, ma ognuno dei sistemi che possiamo considerare va’ inevitabilmente ad interagire con altri sistemi. Quindi una strada che voglia promuovere uno sviluppo sostenibile non può prescindere dal rispetto dell’equilibrio del sistema totale. E’ quindi in tale ottica che diviene essenziale, come poi successivamente meglio analizzeremo, capire gli aspetti fondamentali di ogni sistema, anche attraverso le sue componenti sub-sistemiche. In questo modo sarà possibile identificare e definire un set di variabili (indicatori) che nella loro struttura analitica devono rispecchiare le caratteristiche essenziali del sistema, nonché quelle proprietà di sussidiarietà e gerarchia, tale da permetterci poi di pervenire alla descrizione, attraverso flussi informativi, degli aspetti fondamentali di ciascun sub-sistema rispecchiando al contempo la struttura gerarchica, ruolo degli indicatori dedotti da quanto detto sopra e da un approccio olistico alla problematica generale.

3.3.2 Significato e approcci metodologici della complessità L’espressione «teoria della complessità» compare per la prima volta più di vent’anni fa, in un articolo pubblicato su Scientific American (1978), ma la nascita di un “pensiero della complessità” è avvenuta molto prima, alla fine degli anni Quaranta. Sono stati gli studiosi di cibernetica (Wiener, Weaver, Ashby, von Foerster) e di teoria dell’informazione (von Neumann, Shannon, Marcus, Simon) i primi ad occuparsi di complessità; ad essi si sono aggiunti, nel corso degli anni, pensatori provenienti da tutte le discipline. Negli ultimi trent’anni dello scorso secolo, la teoria della complessità, come approccio antiriduzionalista, ha suscitato grande interesse in vari settori delle scienze naturali e sociali: si è parlato così di complessità o di sistemi complessi non soltanto in fisica o in biologia, ma anche in sociologia, economia ed ecologia e, in generale nello studio dei fenomeni in cui è riconoscibile un qualche principio di auto-organizzazione. Malgrado l’ampio uso del termine molto resta da fare nel definire, in forma univoca, il concetto di complessità. Possiamo definire la teoria della complessità come lo studio interdisciplinare dei sistemi complessi adattivi e dei fenomeni emergenti ad essi associati. La difficoltà nel pervenire ad una forma di definizione deriva anche dal fatto che il territorio di azione di questa scienza non è circoscrivibile ad ambiti specifici, anzi una sua caratteristica è proprio la sua flessibilità di applicazione in differenti discipline, sia naturali che sociali. Quindi possiamo dire che all’interno del concetto di complessità si annidano una pluralità di significati, che possono giungere anche a formulazioni apparentementi paradossali nell’interpretazione del significato, come, ad esempio, la formulazione fornita dal matematico J. Casti (1986). Casti, parte dalla formulazione di due concetti, e cioè quello di: • design complexity – ovvero CO(S) – che esprime la complessità del sistema S

così come percepita dall’osservatore O;

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• control complexity - ovvero CS(O) - che esprime la complessità di O così come percepita dal sistema S.

Se per complessità di S o di O intendiamo il numero di descrizioni non equivalenti che, rispettivamente, O ed S ne possono fornire, allora nella gestione di problemi complessi occorre considerare tanto la design complexity quanto la control complexity. In tal senso la situazione migliore si ha quando CO(S) = CS(O), ovvero per gestire un sistema complesso c’è bisogno di complessità (Casti, 1986; Bertuglia e Vaio, 1997). In generale possiamo però parlare di due tendenze principali di approccio alla complessità: il primo ritiene che siano complessi quei sistemi dei quali non si conoscono in modo sufficientemente esaustivo la struttura e le funzioni (complexity is what you don’t understand); da questo punto di vista la complessità non sarebbe nient’altro che l’indice della mancanza di informazione o conoscenza necessaria alla descrizione completa di un sistema, cioè: “…ci appare complesso ciò che non conosciamo a fondo, su cui abbiamo poche informazioni, che non ci è familiare. Il confine della complessità è quindi storicamente mobile, muta con il variare delle conoscenze” (Serra e Zanarini, 1986) Questo punto di vista, pur ammettendo la necessità di un approccio globalista, si avvicina all’atteggiamento riduzionista classico nel ritenere il sistema non complesso intrinsecamente, ma tale per un osservatore (quindi una entità–sistema esterna). Il secondo approccio ritiene invece che la complessità sia una caratteristica intrinseca ad un sistema e quindi indipendente dalla maggiore o minore conoscenza che può averne un osservatore. In tal senso è possibile che fenomeni conosciuti, come ad esempio i cellular automata, partendo da semplici regole di definizione, possano dar vita tanto a strutture semplici quanto a strutture estremamente complesse e ciò in virtù di fenomeni autoorganizzativi – proprietà, quest’ultima, che meglio analizzeremo in seguito. Il matematico J. Casti propone una variante alla definizione di complessità: cioè complessità intesa come proprietà latente di un sistema che diviene “visibile” nel momento in cui questo interagisce con un altro sistema. Se, come visto, appare ancora difficile definire il concetto di complessità, è però possibile dire che questa ha come elemento saliente la sua capacità ad assumere nuovi comportamenti, nuove strutture a priori imprevedibili (Cini, 1990; Bertuglia e Vaio, 1997). Quindi si può dire che la complessità è ciò che non è possibile esprimere in termini analitico-sintetici propri della scienza classica, che analizzava singoli componenti di un sistema senza valutarne le interazioni e da questi “spicchi” di analisi si ottenevano leggi applicabili all’intero corpo. Nell’analisi della complessità ciò è inapplicabile, cioè il passaggio tra un livello macroscopico ed uno microscopico, o viceversa, non garantisce una maggiore semplicità di lettura ed analisi del sistema. Vi è, tra i due approcci – deterministico e complesso – una profonda differenza. Se il primo, come detto, è un approccio riduzionista, ovvero generalizza i modelli sulla scorta di costanti e parametri definiti, ciò diviene inapplicabile in una logica complessa. In essa si possono distinguere differenti tipi di variabili – lente, intermedie e veloci – con differenti tempi di evoluzione; ma anche effetti di feedback, consistenti nelle interazioni tra i differenti tipi di variabili. E’ nota in tal senso la profonda trasformazione nell’analisi che si fa del moto e della posizione di una particella tra la fisica classica, sorretta da leggi deterministiche e quindi dalla possibilità di conoscere e misurare con precisione tanto la posizione quanto la velocità, dalla moderna fisica quantistica, dove queste possibilità sono negate anche per la profonda differenziazione che c’è nell’attribuzione del concetto di misurazione e quello di interazione tra ente osservato ed osservatore. In senso generale la scienza classica, con la sua struttura

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ordinata e regolare, diviene un caso particolare della scienza della complessità (ovvero caos deterministico). Queste caratteristiche della complessità, unite a quelle che tra poco illustreremo, rendono tale approccio particolarmente adatto alla descrizione di fenomenologie dei sistemi umani. Ma cerchiamo di valutare in dettaglio quali proprietà caratterizzano la complessità. Di seguito verranno definite alcune proprietà proprie dei sistemi complessi ed elaborate dal matematico J. Casti (Casti, 1986, 1994); in tali definizioni Casti ha identificato alcune caratteristiche che contraddistinguono particolarmente i sistemi umani contemporanei e, in particolare la città:

il comportamento delle strutture e dei fenomeni complessi presenta un grande valore di acasualità, ovvero l’effetto di determinati input non produce necessariamente effetti desiderati, anzi molte volte è possibile che si realizzino situazioni opposte a quelle progettate;

i fenomeni complessi sono caratterizzati da complesse combinazioni di tipo non lineare, ovvero da interazioni multiple che avvengono tra le varie componenti del sistema e da numerosi cicli di feedback e feedforward (retro-azione o feed-back. Il termine deriva dalla cibernetica ed indica l’azione "circolare" della risposta sullo stimolo e dell’effetto sulla causa. Questo conduce a processi di auto-bilanciamento ed auto-rafforzamento che sono all’origine della struttura del sistema e della capacità auto-organizzativa); tutto ciò induce nel sistema tanto variazioni strutturali che sulle variabili in gioco;

a differenza dei sistemi semplici dove vi è una univocità e riconoscibilità decisionale immediata, i sistemi complessi sono caratterizzati dalla frammentarietà dell’autorità o, per meglio dire, da una frammentazione decisionale dovuta alla presenza di molteplici componenti o soggetti; si pensi ad esempio il ruolo che giocano le forze politiche, sociali o economiche nella definizione dei piani urbanistici;

infine i sistemi complessi non sono decomponibili in parti o, se lo sono, lo sono solo in parte.

Da queste caratteristiche derivano due importanti proprietà della complessità: l’autooganizzazione e la sinergicità (Bertuglia e Vaio, 1997). Cerchiamo di capire queste due componenti, perché, come detto precedentemente, rivestono un ruolo decisivo nella definizione di nuovi paradigmi sia in architettura che in urbanistica. Autoorganizzazione e sinergicità rappresentano quella capacità dei sistemi dinamici complessi (sia fisici che socio-economici, politici, etc.) di assumere, attraverso processi di reciproca interazione interna ed esterna, attraverso processi di feedback, cioè di ritorno dell’informazione o di interazione su se stessi, nuove caratteristiche o nuove strutture ordinate, anche in presenza di situazioni di non equilibrio (Prigogine e Stengers, 1984; Nicolis e Prigogine, 1987; Bertuglia e Vaio, 1997). In particolare il processo di autoorganizzazione ha avuto notevoli applicazioni nel campo della progettazione urbana ma anche in quello di interpretazione delle regole morfologiche intrinseche nelle forme urbane. In tal senso molti studiosi hanno evidenziato il forte legame tra la complessità e la città, facendo emergere, attraverso l’applicazione delle nuove teorie e conoscenze matematiche, nuove possibilità di lettura e di supporto alla progettazione. Del resto i richiami ad una chiave di lettura che tenga conto della complessità, venuta meno se non addirittura andata perduta con l’urbanistica razionalista, si rifanno molti autori, tra i quali possiamo citare Alexander, Secchi, De Carlo, Salingaros e Donato. Il loro approccio filosofico può sintetizzarsi attraverso le

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parole di Elio Piroddi: “le città contemporanee sono frutto di un processo esplosivo e sono perciò città di frammenti; alla fase esplosiva sta seguendo una fase implosiva, che tende necessariamente ad una ricomposizione delle città; il fondamento di tale ricomposizione deve consistere nel recupero dell’idea di “tessuto”; il repertorio della progettazione urbanistica moderna, quale si è venuto formando a partire dal moderno “storico” nel concreto divenire delle città è geneticamente in antitesi con l’idea di tessuto; questa può rinascere, e in realtà sta già rinascendo, sulla base di nuove regole antinomiche non solo al moderno “storico”, ma anche ad una tradizione formalistica che permea tuttora le scuole di architettura dove si formano quei giovani”. (F. Donato, L. Lucchi Basile, 1996) Gli aspetti della complessità urbana verranno approfonditi nella seconda parte del presente lavoro, dove si cercherà di fornire un’analisi alla luce della rivoluzione informatica rappresentata dalla Information Communication Technology.

3.3.3 La sostenibilità in termini ecologici Per capire la sostenibilità intermini ecologici è necessario comprendere la “musica” della natura. In ecologia un ecosistema è un tutt’uno interagente di comunità biotiche e ambiente fisico circostante. (R. Vismara, 2001) In termini di macroscala, invece, parliamo di biosfera od ecosfera quando si considerano gli organismi viventi, il loro ambiente fisico, le loro relazioni, nonché i flussi di energia solare e la dispersione termica nello spazio. (R. Vismara, 2001) In particolare il flusso energetico rappresenta un elemento essenziale per controllare l’aumento di entropia dell’ecosistema e, quindi preservarlo dalla distruzione. Le più importanti fonti di energia, che possono essere ritrovate nel nostro ecosistema, sono rappresentate dalla luce, dal calore e dal cibo (come combustibile biologico). (R. Vismara, 2001). E’ ben noto che in termini ecologici, quando si parla di produzione ci si riferisce ai processi di fotosintesi, nei quali vi è la trasformazione dell’energia luminosa in biomassa. Questo complesso processo, dove le componenti biotiche della biosfera e quelle abiotiche dell’acqua, dell’aria e del suolo, interagiscono tra loro, avviene all’interno della componente climatologica, la quale è a sua volta soggetta, almeno in parte, a processi biogeochimici sui quali si regge il ciclo globale dell’ecosfera (Susmel, 1988, Osservatorio Città Sostenibili, 2001). Tutto questo complesso sistema, nella quale ogni componente svolge un proprio ruolo, ha permesso, nel corso del tempo geologico, la creazione di enormi quantità di sostanze fossili che oggi costituiscono la base energetica dell’attuale economia di mercato e, quindi, del nostro sistema di vita. E’, quindi, energia la parola chiave di quanto detto sino ad ora. E nel suo rapporto con essa bisogna sempre tenere a mente due cose:

a) che noi non siamo capaci di produrre energia, ma solo di convertirla da uno stato all’altro;

b) nel passaggio o nella trasformazione di questa energia vi è sempre una dissipazione, ovvero una perdita di una parte di energia stessa; questa perdita è chiamata entropia.

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Questi fondamentali principi termodinamici possono applicarsi sia alla struttura del nostro pianeta che alla struttura del nostro sistema produttivo. Se si analizza il processo di flusso di energia attraverso i livelli trofici in una catena alimentare, si vedrà come questa decrescerà dal primo elemento della catena, cioè quello solare, all’ultimo.

Figura 3-3. Il sistema ecosferico con le sue relazioni (Fonte: Osservatorio Città Sostenibili, Politecnico di Torino, 2001)

La figura 3-3 mostra, attraverso una semplice catena alimentare, in che modo si produce un aumento di entropia. Se il primo principio della termodinamica afferma che non vi può essere diminuzione di energia, il secondo principio afferma che essa si converte via via, nei suoi passaggi, in forme sempre meno disponibili, così come appare nei tre stadi illustrati in figura. Difatti nel suo primo passaggio dal sole alle piante si ha una notevole diminuzione, dovuta alla dispersione per calore e respirazione. A tali perdite vanno aggiunte, nel seguito della catena alimentare, quelle dovute ad energia non assimilata dai consumatori (NA in figura) e quella non utilizzata (immagazzinata o esportata; NU in figura). Questo vuol dire che in ogni essere vivente c’è un continuo passaggio di energia, che entra nel “sistema” ad un livello n, per poi uscirne ad un livello più degradato (Rifkin, 2000). In tal senso se è vero che anche i normali processi naturali producono un aumento dell’entropia totale del pianeta, a maggior ragione ciò sarà vero in un sistema, quale quello terrestre che è chiuso, il che significa che “l’entropia dei materiali dovrà ad un certo punto raggiungere un massimo” (Georgescu-Roegen7 N., 1977) e la velocità con cui avverrà questo processo dipenderà dalle nostre azioni, cioè dal nostro stile di vita, che potrà ritardare o accelerare questa irreversibile legge dell’universo. A questa verità il nostro modello economico ha saputo generare due risposte, due modelli razionali 7 Si veda The Steady State and Ecological Salvation, in Bioscience, aprile 1977, pag.268

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che, ciascuno secondo la propria ottica, vogliono porre un rimedio alla situazione di rischio che si è venuta a delineare negli ultimi decenni. Per cui da una parte abbiamo un modello cosiddetto di sostenibilità ecologica forte e dall’altra parte un modello di sostenibilità ecologica debole. In che cosa differiscono i due modelli? Ebbene il primo vuole operare un’azione di riequilibrio sul sistema economico in modo tale da avere un impatto sull’ambiente minimo e tale da assicurare quella equità generazionale che è presente nei documenti ufficiali, sia in ambito O.N.U. che dell’Unione Europea.

Figura 3-4. Uno schema di flusso di energia attraverso tre livelli trofici in una catena alimentare lineare. Si noti, indicato dalla freccia in basso, la perdita di energia ad ogni passaggio, partendo da un input pari a 3000 Kcal/m2 – giorno. La = luce assorbita dalle piante; Pg = produzione primaria lorda; A = assimilazione totale;NU = energia non utilizzata (immagazzinata o esportata); NA = energia non assimilata dai consumatori (eliminazione cibo senza metabolizzazione). (Fonte Odum, 1979; Vismara, 2001)

Dall’altra parte il modello debole è ancora intriso dal pensiero economico classico, nel quale il progresso tecnologico insito nella crescita economica alla fine riuscirà a riequilibrare le situazioni più difficili. Volendo esplicitare queste due posizioni esse trovano la seguente formulazione: (Van Pelt, Kuyvenhoven, Nijkamp, 1992) • per la sostenibilità forte si ha (Pearce, Barbier, Markandya, 1990):

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∆ (C) ≥ 0 ∩ ∆ (N) ≥ 0;

dove C rappresenta il capitale prodotto dall’uomo e N il capitale naturale. Questo implica che per avere uno sviluppo economico sostenibile la crescita del capitale prodotto dall’uomo deve accompagnarsi ad una crescita o quantomeno ad un mantenimento del capitale naturale ereditato dalle precedenti generazioni;

• per la sostenibilità debole si ha (Bojö, Mäler, Unemo, 1990):

∆ (C+N) ≥ 0;

in questa formulazione appare evidente il peso attribuito al capitale prodotto, il quale per compensare le perdite di capitale naturale dovrà essere inevitabilmente maggiore di zero.

Come possono interpretarsi queste due formulazioni al di là del loro valore descrittivo? Volendo andare oltre le due formulazioni, credo che esse riflettano ancora quel principio meccanicistico che separa l’uomo dalla natura e che è divenuto paradigma della nostra società, costruita su questo modello di crescita costante basato sull’espansione e sulla conquista, sia in termini economici che politico-ideologici. Entrambe le formulazioni presuppongono una sorta di “producibilità” del capitale naturale, che è chiaramente e razionalmente direi, un’idea quanto meno bizzarra. Una sostituibilità delle risorse naturali con un qualcosa prodotto dall’uomo. E questo introduce un altro argomento interessante, soprattutto in ambito paesaggistico, dove l’intervento dell’uomo è stato rilevante nel corso delle differenti epoche storiche. In tal senso noi stessi attribuiamo grande valore alla stratificazione e all’integrazione tra paesaggio ed ambiente costruito, fino a tributare a questo aspetto un valore di memoria documentale (Le Goff, 1978) sul quale si basa la nostra memoria storica e la radice culturale. Il dramma è che tutti questi ambienti sono stati costruiti in epoche precedenti la rivoluzione industriale, per cui è naturale porsi la domanda se e in che misura saremo veramente capaci, almeno nella presente ottica culturale, di generare forme ed ambienti positivi e vivibili per ogni uomo. E’ questa la sfida che ci aspetta nel prossimo futuro.

3.3.4 Lo sviluppo sostenibile in termini sistemici (complessità e sviluppo sostenibile) Nel capitolo precedente abbiamo visto ed analizzato i concetti di complessità e di sistemi complessi. Ebbene la sostenibilità può essere studiata ed analizzata attraverso questo paradigma. In tal senso il mondo che ci circonda può essere inteso come un sistema complesso composto da differenti sub-sistemi, i quali interagiscono sia su se stessi sia verso entità sistemiche esterne. Affinché si possa parlare di sviluppo sostenibile in termini sistemici, è necessario che ciascuna componente del sistema, ovvero ogni sub-sistema, risulti intrinsecamente stabile nei suoi caratteri essenziali. Da

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ciò deriva che tutto il sistema risulta sostenibile se ogni sua componente è tale. Quindi si delinea un percorso che consente una lettura della sostenibilità come stabilità di un sistema complesso, ovvero come una sorta di corridoio/dominio stabile di un sistema economico-spaziale dinamico.8

In questa ottica sembra quindi necessario, ai fini della sostenibilità del sistema città, agire o sulla resilienza – ovvero la capacità del sistema di resistere a perturbazioni, sia esse esterne od interne – o sulla riduzione delle dinamiche del sistema, ovvero ridurne la sua complessità (Reggiani, 1997). In entrambi i casi, come può dedursi, ci ritroviamo ad affrontare problematiche estremamente complesse dove l’incertezza, legata all’alto numero di variabili, diviene il nodo essenziale per affrontare tale sfida. Ed è proprio per delineare tale stato che diviene necessario capire, attraverso una accurata analisi, quali sono le componenti essenziali che caratterizzano il sistema e ciascuna delle sue componenti sub-sistemiche, in modo tale da individuare eventuali anomalie o tendenze negative del percorso che il sistema sta tracciando. Ecco allora il ruolo necessario degli indicatori come componente significativa al fine della comprensione, attraverso un flusso informativo, dello stato di stabilità di un qualunque sistema o componente sub-sistemica. E’ ovvio che la costruzione di un set di indicatori deve necessariamente presupporre una visione della città-sistema esplicabile attraverso un modello per così dire semiologico, attraverso il quale sarà possibile cogliere elementi dominanti ed essenziali, necessari alla costruzione degli indicatori. Quindi il modello di città può e deve essere un elemento qualificante il set di indicatori, adeguandolo a quelli che sono i bisogni e gli obiettivi della società, in particolare: (Bertuglia, C.S. Vaio F., 1997):

sui nuovi soggetti economici e sociali; sulle nuove forme di produzione di beni e servizi ed alle nuove relazioni

intercorrenti; attenti agli effetti indotti dalle nuove tecnologie; aperti alle nuove dimensioni della problematica urbana; adeguati nel trattamento della dimensione temporale.

In tal senso l’approccio sistemico, se da un lato presenta ancora molti territori inesplorati, dall’altro permette quella trasversalità e dinamicità che è assolutamente necessaria per l’analisi e la comprensione della città contemporanea. Voglio ricordare, in tal senso, il parallelismo che caratterizza la ricerca tanto nel campo delle scienze sociali che di quelle naturali. Difatti come osserva il fisico Wolfgang Weidlich “le analogie non sono dovute a somiglianza diretta fra i sistemi fisici e quelli sociali. Esse riflettono, invece, il fatto che, a causa dell’universale applicabilità di certi concetti matematici ai sistemi statistici a molte componenti, tutti i sistemi di tal genere manifestano una somiglianza indiretta a livello macroscopico e collettivo che è indipendente dal loro possibile confronto a livello microscopico”9 (W. Weidlich).

8 Per maggiori dettagli si veda: Beckenbach F., Pashe M., Nonlinear ecological models and economic perturbation – sustainability as a concept of stability corridors, models of sustainable development, international symposium, Paris, 1994; Reggiani A., Verso la città complessa: approcci e sperimentazioni in economia spaziale, in La città e le sue scienze, vol.4, Franco Angeli, Milano, 1997 9 Oltre al testo Phisics and social science, the approach of synergetics, Phisics reports, (1991) di W. Weidlich si consultino anche gli atti del convegno La Città e le sue Scienze, a cura dell’Associazione Italiana di Scienze Regionali, Franco Angeli Editore (1997).

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3.3.5 La città come eco-sistema Il concetto di ecosistema urbano, che tratta l’ambiente artificiale alla stregua degli ecosistemi naturali (dei quali riprende i processi caratteristici per derivarne nuovi paradigmi interpretativi), è stato introdotto negli anni Settanta (Vester, 1976). Successivamente vi sono stati diversi studi, tra i quali vanno menzionati quello di Tjallingii (1993) con la formulazione teorica di città come Ecopolis e gli studi fatti dall’università di Sheffield e in Olanda. Questo approccio, come accennato sopra, tratta la sostenibilità della città in termini ecosistemici, sviluppando la conseguente strategia di intervento soprattutto in termini di management dei flussi (dell’aria, delle acque, dei rifiuti, dell’energia, etc.). Inoltre in tale approccio si assume che l’azione antropica sul territorio è intrinsecamente limitata da parametri di ordine biotico e abiotico 10(vedi figura sotto).

Figura 3-5. Nel grafico sopra è rappresentato l’ambiente abiotico (1) che supporta sia quello biotico che i legami tra questo ed il mondo antropico con tutto il suo peso soprattutto in termini economici. 10 La definizione di ecosistema è un concetto chiave della moderna ecologia. Un ecosistema, caratterizzato da flusso di energia al fine di combattere l’aumento di entropia, è un sistema dinamico costituito da un insieme interagente di comunità biotiche e ambiente fisico circostante e da una serie di processi. Le sue componenti possono essere abiotiche (sostanze inorganiche, sostanze organiche e regime climatico) o biotiche (organismi produttori, macroconsumatori e microconsumatori. Riguardo ai processi essi riguardano i flussi di energia, le catene alimentari, la diversità tempo/spazio, i cicli nutritivi biogeochimici, lo sviluppo e l’evoluzione ed il controllo. (Fonte: R. Vismara, 2001, Protezione ambientale, Gruppo editoriale Esselibri Simone).

Ambiente abiotico

Ambiente biotico

Ambiente sociale e culturale

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Come si è già accennato in precedenza, qualsiasi sistema può essere analizzato in termini di input e output. I sistemi naturali, sostenibili, sono sistemi chiusi, nel senso che non necessitano di input se non per l’energia solare. Inoltre non producono rifiuti o, comunque, se ciò avviene ha dimensioni assolutamente limitate. In natura ogni cosa viene riciclata nella crescita e nella produzione degli anni successivi. In tal senso mantenere l’equilibrio ecosistemico implica la necessità del rispetto di quella che si chiama capacità di carico, ovvero il rispetto di quello che è il ritmo di impiego o di consumo che consente di mantenere inalterata la dotazione iniziale del capitale naturale. Superare tali limiti, così come avviene oggi, significa la distruzione di quel capitale naturale e con esso del sistema che lo sfrutta. La maggior parte dei sistemi naturali è dotata di una certa capacità di degradare, e talora di impiegare a proprio vantaggio, gli inquinanti presenti nell’ambiente. Gli organismi che vivono in un corso d’acqua, per esempio, possono utilizzare per la propria crescita parte dei nutrienti provenienti dalle acque reflue urbane e agricole o dal dilavamento dei suoli coltivati. Esistono poi trattamenti biologici dei reflui e raffinati metodi di rimozione dei contaminanti organici del suolo basati sull’impiego di batteri. Alcune piante acquatiche, infine, sono comunemente impiegate nel trattamento terziario degli scarichi civili e industriali. Come abbiamo visto l’impatto antropico sull’ambiente è cresciuto via via nel tempo fino a divenire insostenibile per l’intero pianeta. In tale situazione gran parte del carico antropico che preme sull’ambiente viene esercitato per mezzo della città. I sistemi urbani, a differenza di quelli naturali, sono sistemi aperti, ovvero utilizzano grandi quantità di materie prime provenienti da altre aree e producono ed “esportano” non solo prodotti finiti, ma anche grandi quantità di rifiuti. Agire in un tale sistema, onde ridurne l’impatto sull’ambiente implica operare uno sforzo nel tentativo se non di “chiudere” il sistema ed i suoi cicli, ma quanto meno di ridurne al minimo gli impatti, in modo che I vari sottoprodotti e rifiuti vengano reimpiegati come materie prime. Il ciclo alimentare della città, per esempio, potrebbe essere chiuso inducendo gli agricoltori, che forniscono gli alimenti, a impiegare i rifiuti organici compostati e le acque reflue depurate, nonché i relativi fanghi. Ma l’applicazione della teoria sistemica agli ambienti urbani, come accennato in precedenza, può trovare ulteriori spunti di ricerca. Un sistema complesso è caratterizzato da dinamiche interne e da variazioni dei suoi confini, ma anche da una struttura modulata su scale differenti (Salingaros Nikos A., 2001). Allo stesso modo questa sorta di corrispondenza geometrica può indurre la creazione di ambienti urbani più sostenibili in quanto più coerenti con le strutture viventi. Quindi ricomporre quei legami ecosistemici lo si fa anche attraverso la ricomposizione dei legami all’interno del sistema urbano, tra le differenti componenti ed agendo attraverso un percorso dinamico e non più strutturato su rigidi meccanismi precostituiti. Questo approccio ritiene necessario attuare politiche strategiche che abbiano chiara tutte questa dinamiche, pur nella consapevolezza che si tratta di principi la cui traduzione pratica non è di facile applicazione. Non è infatti cosa banale la delimitazione degli ecosistemi o la definizione del limite rappresentato dalla residua capacità di carico. Anche nei casi in cui sia evidente il superamento di tale limite, rimangono comunque da precisare la dimensione e la velocità del cambiamento che si rende necessario. Altri problemi pratici sono quelli legati all’estensione territoriale degli ecosistemi e al coinvolgimento di competenze facenti capo a diverse autorità o addirittura a diversi Paesi, come accade, per esempio, per alcuni sistemi fluviali o

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forestali o per determinate questioni riguardanti l’atmosfera o il cambiamento climatico. In tutti questi casi diviene indispensabile un’azione globale e una forte cooperazione a tutti i livelli (talora a scala planetaria) per un’efficace gestione dell’ecosistema.

3.4 Conclusioni A conclusione del presente paragrafo possiamo dire che, alla luce delle nuove teorie, sempre più la città viene intesa come un sistema complesso dove le differenti componenti che la caratterizzano sono soggette a continue interazioni non lineari che inducono continui dinamismi spazio-temporali. Questo salto metodologico che si caratterizza essenzialmente nel passaggio da un approccio deterministico e più o meno statico ad uno di tipo interattivo e dinamico, apre non solo ambiti intellettuali interessanti e dove molto deve ancora essere scritto, ma nuove modalità progettuali. In tal senso, la città diviene il luogo simbolo della multidimensionalità la quale, proprio per queste sue caratteristiche intrinseche, si trasforma in laboratorio dal quale produrre e rappresentare informazioni e conoscenza, soprattutto se si vogliono attuare modelli di sostenibilità in cui diviene necessario attuare modelli progettuali condivisi. Queste necessità ci introducono agli argomenti dei prossimi capitoli: gli indicatori di sostenibilità e la strumentazione (rappresentata dalla ICT) nella gestione di sistemi di informazioni. In tal senso vedremo come e quale tipo di informazione produrre, nonché come organizzarla, gestirla e veicolarla attraverso i sistemi informativi. Per concludere, vorrei riportare un frammento di Cini11 che esplica in modo efficace gli elementi essenziali dei discorsi sin qui esposti: “i secoli non finiscono mai alla scadenza precisa… Il Duemila è già cominciato, tra la seconda metà degli anni ’70 e la prima metà degli anni ’80… Il Novecento è il secolo della classe operaia e dell’elettricità… Improvvisamente comincia il Duemila… la classe operaia è scomparsa… Non c’è più il suo linguaggio, la sua ideologia, la sua visione del futuro, il suo modello di società… è il passaggio da un modo lineare di vedere le cose… alla consapevolezza che ogni parte del mondo intorno a noi è in relazione con le altre attraverso complesse catene di interazioni e retroazioni reciproche… non a caso la fine del Novecento… coincide con la detronizzazione della fisica da parte della biologia come scienza esemplare… E, naturalmente, coincide con l’esplosione dell’informatica”.

11 Cini M. (1990), Trentatrè variazioni sul tema. Soggetto dentro e fuori la scienza”, Editori Riuniti, Roma

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PARTE II Informazione ed ICT per un progetto sostenibile

"Il più bello dei mondi è un mucchio di rifiuti gettato dal caso" (Teofrasto, metafisico,III sec a.C.)

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CAPITOLO 4

Indicatori di sostenibilità e ambiente urbano

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4.1 Introduzione La necessità di stimare e valutare i percorsi verso la sostenibilità, soprattutto in ambito urbano, ha richiesto uno speciale impegno verso l’ambiente da parte degli attori locali, soprattutto politici e tecnici, attraverso la formulazione e la ricerca di indicatori che permettessero non solo il monitoraggio ma anche la valutazione strategica delle linee di sviluppo del territorio. Nel presente capitolo verranno analizzati gli indicatori di sostenibilità, i quali sempre più trovano utilizzazione sia come supporto ai processi di valutazione di un piano territoriale o di valutazione ambientale strategica o ancora come feedback. Inoltre, in considerazione della complessità e della rilevanza strategica delle problematiche ambientali, nonché della oggettiva "trasversalità" di queste tematiche, gli indicatori possono giocare un ruolo fondamentale anche per un opportuno audit interno. Non sempre infatti le politiche avviate possono risultare coerenti con gli obiettivi di sostenibilità e quindi l'opportunità di attivare un adeguato audit interno è evidente, per "mettere in rete" obiettivi e politiche derivanti da strumenti di piano e programma diversi e, in parecchi casi, già attivati. A livello internazionale si è ben compresa ormai la necessità di lasciare alle singole comunità l'autonomia di selezionare gli indicatori più adatti alla loro situazione locale, per meglio rappresentare la propria specificità ambientale e sociale e i problemi ritenuti oggettivamente e soggettivamente prioritari. Si deve per questo ritenere ormai superata la pretesa di definire "liste di indicatori" valide per tutte le situazioni; è invece importante consolidare il consenso intorno all'utilità di adottare dei quadri di riferimento concettuali e dei criteri di selezione degli indicatori il più possibile comuni e, in alcuni casi, anche degli standard omogenei, almeno per quei gruppi di indicatori utili agli organismi sovralocali per realizzare, ad esempio, il monitoraggio sull'ambiente urbano. In conclusione, è importante sottolineare il fatto che il livello di incertezza che ancora permane su alcuni aspetti della materia indicatori, in particolare dei limiti scientifici, ci deve far ricordare di non attribuire loro ruoli che non possono avere. Sono, se ben strutturati, sicuramente un ottimo strumento di supporto a processi decisionali costruiti sul consenso e la condivisione della responsabilità tra i diversi attori, ma anche un ottimo elemento di sintesi nei processi comunicativi. Gli indicatori sono prima di tutto uno strumento per le politiche ambientali e non ne costituiscono il loro fine. Nel seguito, quindi, andremo a capire cosa sono gli indicatori, come si usano, che tipo di informazione ci permettono di ottenere e su quali frameworks essi sono sviluppati.

4.2 E’ possibile misurare la sostenibilità? Uno dei maggiori problemi che si pone allorquando parliamo di sostenibilità è legato al tema della misurabilità: essa difatti non si presenta direttamente rilevabile come se si trattasse di un fenomeno naturale descrivibile o indicizzabile o diretta conseguenza della lettura di indicatori ambientali. Allo stato della ricerca non vi è un metodo univoco di analisi, né un univoco sistema di indicatori, per cui diviene essenziale capire sia l’approccio che si intende seguire, con il relativo modello semantico, e sia le differenti modalità di definizione ed utilizzo degli

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indicatori. Viceversa in questo ultimo decennio il monitoraggio ambientale e le crescenti attività di "reporting ambientale", hanno prodotto moltissimo, dotandoci ormai di un vastissimo patrimonio di indicatori ambientali, così come sono stati fatti notevoli progressi nella definizione di metodologie sui bilanci ambientali. Tutto ciò ha comportato e comporta continui tentativi verso la costruzione di percorsi di misurazione della sostenibilità ancorati su frameworks teorici strutturati, il più delle volte, sulla teoria dei sistemi. Operativamente questo può corrispondere o ad un tentativo di misura della sostenibilità urbana partendo da semplici matrici costruite sulla scorta di metodologie tecnico-scientifiche; oppure vi sono approcci, soprattutto per realtà urbane complesse, che sono basate sull’uso di strumenti informatici ad alta tecnologia. Qui di seguito vedremo queste due diverse modalità di approccio. Come sottolineato da molti studiosi il problema di fondo è di natura etica. Difatti oggi se da un lato possediamo notevoli mezzi tecnologici che ci possono aiutare nel raggiungimento di determinati obiettivi, dall’altro lato vi è una scarsa chiarezza di dove vogliamo andare per poter raggiungere uno sviluppo sostenibile. Quindi l’elemento pregnante non riguarda soltanto i mezzi da impiegare, ma, soprattutto, il fine che si intende perseguire (Zamagni, 1995; Fusco Girard, 1997) o, volendo ancor meglio esplicitare, i valori condivisi sui quali poter costruire un assetto sostenibile. Ecco che in tal senso possiamo parlare di costruzione sociale del piano (Giangrande A. e Mortola E., 1996) o volendola esprimere in termini più allargati costruzione sociale del senso (Fusco Girard, 1997).

4.3 Definizioni e ruoli degli indicatori Dalla letteratura scientifica emerge la difficoltà a fornire una univoca definizione di indicatore di sostenibilità. Un approccio soft potrebbe ricollegarsi al valore etimologico di indicatore, ovvero indicare, fornire informazioni che permettano di seguire la giusta strada. In tal senso il legame tra indicatore ed azione politica dovrebbe essere esplicito, facendo, quindi, dell’indicatore una sorta di interfaccia tra politica e dati. Molti autori si sono espressi per questa interpretazione che vede nell’indicatore un elemento che fornisce una guida, ovvero permette di acquisire una serie di informazioni atte a valutare un percorso verso un determinato obiettivo (Gallopin, 2002; B. Moldan, S. Billharz, R. Matravers, 1998). In particolare, Gallopin ha evidenziato il fatto che l’indicatore è una variabile nel senso che permette una rappresentazione, attraverso una sorta di immagine matematica, di un determinato attributo (ad esempio una particolare qualità o proprietà, etc.) relativo ad un sistema. Questa definizione è condivisa da Van Delft (1997) allorquando identifica gli indicatori come modelli che cercano di fornire rappresentazioni semplici di sistemi complessi fornendo pezzi di informazione che permettono di evidenziare ciò che tendenzialmente accade in un sistema complesso. Un elemento importante è, quindi, rappresentato dal tipo di variabile da considerare, poiché in funzione di questa verranno definiti differenti gradi di informazione/conoscenza in funzione dell’obbiettivo che ci si propone. Questo implica che possiamo considerare tanto semplici dati, scientificamente corretti e misurabili che

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indicatori puramente qualitativi e senza una misurazione scientifica. Questa forma di rappresentazione del grado di informazione è possibile rappresentarla per mezzo di una piramide informativa che Aadrianse ha strutturato partendo da puri dati scientifici e, quindi ad uso di specialisti, fino ad un dato qualitativo/informativo ad uso del pubblico.

Figura 4-1. La piramide informativa di Aadrianse. La figura va letta secondo un ottica relativa non solo alla quantità dei dati ma anche alla funzione che essi dovranno svolgere. In tal senso vi sarà una grande quantità di dati per i ricercatori per poi ridurre, attraverso una prima scrematura, tale quantità a quelli necessari per i decisori politici e, quindi, attraverso una ulteriore scrematura, passare ai dati necessari per fornire informazioni ai cittadini.

Sebbene nella pratica attuativa il più delle volte non si fa differenza tra i diversi gradi di informazione, è bene sapere che, da un punto di vista scientifico, è possibile distinguere quattro classi informative, rappresentate rispettivamente da:

dati, ovvero la base del triangolo informativo, rappresentata da elementi grezzi, cioè non elaborati; dati statistici, ovvero l’elaborazione dei dati della base, i quali il più delle volte

sono gestiti attraverso strutture tabulari, il che li rende di non facile interpretazione, necessitando, in tal senso, di analisi che e permettano una

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accurata lettura; inoltre hanno poca efficacia comunicativa non prestandosi ad efficaci forme di comunicazione allargata; indicatore in senso stretto, ovvero un parametro, o un valore derivato da

parametri, il quale descrive lo stato di un fenomeno che può essere caricato di un significato che va al di là di quello direttamente associato al valore del parametro stesso. Inoltre dovrebbe permettere forme di comparazione ed avere implicazioni a carattere politico e in taluni casi anche normativo; in due parole possiamo dire che è una sorta di informazione a valore aggiunto; indice, ovvero un insieme di parametri o di indicatori aggregati e pesati che

dovrebbero permettere la misura complessiva o i progressi fatti dal sistema che si sta studiando. Esempi di indici sono il PIL o l’HDI (Human Development Index).

Figura 4-2. Triangolo Informativo. La figura sopra mostra la classificazione relativa alle differenti classi di informazione: dal semplice dato scientifico, all’informazione ottenuta attraverso elaborazioni statistiche e, quindi, per mezzo di indici o aggregazione di questi.

Per concludere il presente paragrafo, riguardo al ruolo degli indicatori possiamo dire che lo sviluppo di un adeguato sistema di indicatori risulta essere la prima azione politica da compiere al fine di permettere (Fusco Girard, 1997):

una migliore conoscenza della realtà urbana, nelle sue molteplici dimensioni (occupazionale, ambientale, energetica, etc.); tali indicatori dovrebbero essere

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capaci di garantire un’attività non solo di monitoraggio ma anche di bilancio delle diverse componenti, quali quelle economico-finanziarie, sociali, delle risorse ambientali, etc., e ciò sia in termini qualitativi che quantitativi; un supporto per migliorare la qualità nelle decisioni politiche attraverso la

valutazione di differenti scenari; un miglioramento dei processi comunicativi tra le diverse componenti

sociali, politiche ed economiche al fine di garantire o perlomeno aiutare un’attività di cooperazione tra queste componenti. Questa componete risulta essere essenziale nell’attuazione di una politica volta alla sostenibilità, soprattutto attraverso la partecipazione dei cittadini ai vari livelli decisionali. E’ necessario, inoltre, garantire la trasparenza dei dati e la loro comprensione ad un pubblico non specialistico, attraverso l’uso di indicatori che permettano di bilanciare la scientificità con la comunicabilità.

4.4 Tipologie di indicatori L’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) ritiene necessario che ogni set di indicatori debba fare riferimento a quattro questioni base:

a. analizzare quali relazioni vi sono tra l’ambiente e i fattori antropici; b. stabilire qual’è lo stato dell’ecosistema; c. verificare e monitorare quali sono i progressi fatti; d. analizzare la situazione generale con particolare riferimento ad eventuali

miglioramenti nella situazione socio-economica.

Da queste quattro questioni basilari, nonché attraverso l’uso del framework DPSIR (che descriveremo nei prossimi paragrafi) è possibile individuare delle corrispondenti tipologie di indicatori, e cioè:

a. indicatori descrittivi, ovvero quelli che cercano di capire le relazioni tra l’ecosistema ambientale e fattori antropici, quindi sono descrittivi dell’attuale situazione con riguardo ai principali problemi ambientali (ad esempio il cambiamento climatico, contaminazioni tossiche, etc.). Molti degli indicatori appartenenti a questa categorie ed espressi da vari organismi internazionali si rifanno al modello teorico DPSIR. In tal senso la loro strutturazione viene quindi elaborata con riferimento a tale framework. Da ciò possiamo distinguere indicatori descrittivi relativi alle driving forces, ovvero descrittivi di eventi legati ad aspetti sociali, economici o demografici ed i corrispondenti cambiamenti nello stile di vita o nei modelli di consumo o di produzione. Quelli scaturiti dall’elemento pressare, ovvero descrittivi degli sviluppi in relazione all’emissione di sostanze fisiche o biologiche, all’uso di risorse o del suolo. Esempi di tali indicatori sono rappresentati dalla quantità di CO2 presente nell’atmosfera o la quantità di suolo usata per la realizzazione di infrastrutture.

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Quindi abbiamo gli indicatori descrittivi dello stato, ovvero quelli che danno valutazioni qualitative e quantitative relative a fenomeni fisici, biologici o chimici, relativamente a determinate porzioni di territorio. Indicatori di stato possono, ad esempio, descrivere l’ammontare della flora o fauna presenti in una certa regione o, ad esempio, le concentrazioni di determinati agenti chimici in fiumi o laghi. Come abbiamo visto dal modello teorico, le pressioni esercitate sull’ambiente provoca dei cambiamenti nello stato del sistema ambientale, con conseguenti cambiamenti sulla componente sociale ed economica. Ecco allora che vengono strutturati una serie di indicatori di impatto la cui funzione è proprio quella di misurare o monitorare questi cambiamenti sulle componenti sistemiche sopraccitate. E’ da tener presente che la struttura sistemica del modello comporterà anche azioni differenziate nel tempo e come gerarchia, Cioè vi saranno azioni in un certo tempo t e, successivamente, possibili azioni di feedback. Inoltre si potranno distinguere azioni gerarchicamente strutturate: ad esempio, l’inquinamento atmosferico può indurre un riscaldamento globale (effetto primario), con conseguente incremento della temperatura (effetti secondari) che può indurre, ad esempio, impatti distruttivi sulla biodiversità. Riguardo, invece agli indicatori di risposta, essi sono generalmente riferiti alle risposte sociali od individuali della società o alle azioni politiche intraprese dai governi nazionali o locali relativamente a tentativi volti a compensare situazioni di squilibrio sull’ecosistema. Esempi in tal senso sono rappresentati dal numero di veicoli a basso impatto ambientale o dalla quantità di rifiuti che una comunità è capace di riciclare;

b. gli indicatori di performance, a differenza di quelli descrittivi, operano una comparazione tra la situazione attuale e un set di specifiche condizioni di riferimento. Essi, quindi, misurano la distanza tra l’attuale situazione ambientale e la situazione ideale o, comunque, quella teorica di riferimento. In tal senso si possono distinguere essenzialmente due tipologie di obiettivi: una prima strutturata su negoziazioni politiche, la quale più che a criteri di sostenibilità guarda agli obiettivi possibili cui è possibile guardare, ed una seconda che guarda ad obiettivi di sostenibilità, anche se da raggiungere attraverso successive approssimazioni;

c. abbiamo visto come è importante rilevare, per mezzo degli indicatori, le relazioni che si manifestano tra le differenti componenti sistemiche. In tal senso risultano particolarmente importanti, da un punto di vista delle scelte politiche, quegli indicatori che permettono di relazionare le pressioni esercitate sull’ambiente alle attività antropiche. In tal senso, ovvero proprio al fine di sviluppare processi sempre più efficienti, si sono sviluppati gli indicatori di efficienza, i quali consentono di capire il grado di efficienza raggiunto dalla produzione di un dato prodotto o da un processo produttivo. L'efficienza va’ intesa in senso non solo puntuale, ma anche in termini di risorse usate, di emissioni e rifiuti generati per unità di output desiderato. All’interno di questi indicatori è possibile individuare sia indicatori ad una sola variabile che indicatori strutturati su molte variabili. Un noto esempio è rappresentato dal MIPS (Material Intensity Per Service), ovvero un indicatore che permette di misurare la quantità di energia e risorse necessarie, ad esempio, per il trasporto di una persona da un punto x ad un punto y attraverso l’uso di un determinato mezzo di trasporto (auto, aereo, treno, etc.);

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d. infine l’ultima tipologia di indicatori è riferita all’ammontare di welfare relativo ad una nazione od un territorio. Si tratta di capire se alla eventuale crescita economica corrisponde anche una crescita in termini di welfare, quindi di attenzione verso problematiche sociali, di opportunità nel mondo del lavoro e di crescita della forma democratica. Un esempio è rappresentato dall’ISEW (Index of Sustainable Economic Welfare) che è una sorta di PIL verde, strutturato su differenti indicatori riferiti non solo alla situazione economica, ma anche alla generale qualità della vita.

Figura 4-3. Andamento della quota minima nelle Alpi orientali. Gli indicatori descrittivi sono indicatori elementari che misurano quello che sta accadendo in relazione alle varie componenti ambientali: sono i tipici indicatori di base per la caratterizzazione della situazione ambientale. (Fonte: ANPA/CTN CON sulla base del catasto dei ghiacciai italiani del 1958)

Figura 4-4. Indicatori prestazionali sono quelli che misurano la distanza (“distance-to-target”) della situazione attuale rispetto a valori di riferimento, obiettivi politici, livelli di sostenibilità. La figura mostra i paesi virtuosi nel rispetto del protocollo di Kyoto.

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4.5 Frameworks teorici sui quali si costruiscono set di indicatori Da un punto di vista di approccio teorico nella definizione di frameworks atti a definire un seti di indicatori, possiamo parlare di tre principali metodologie strutturate su differenti scelte strategiche di azione, cioè: (Newton, P.W., 2001):

su base politica, ovvero rilevanti nell’attivazione di politiche; su base tematica o di indici; su base sistemica.

4.5.1 Base politica La creazione di framewoks su base politica sono essenzialmente legati a problematiche socio-economiche sviluppate a partire dagli anni ’60 dello scorso secolo e riconducibili essenzialmente a procedure di valutazione degli obiettivi che si intendono raggiungere. Da un punto di vista generale vi è, nella definizione di questa tipologia di indicatori, un approccio olistico alle problematiche, mentre nella pratica attuativa ci si riferisce ad obiettivi specifici da perseguire in materia di ambiente urbano locale.

Figura 4-5. La figura sopra mostra le relazioni funzionali tra le componenti di questo framework. Ad esempio sulla base di obiettivi programmatici che si prefiggono di migliorare la qualità della vita, si procederà ad individuare un sistema di obiettivi politici e, quindi di indicatori che misureranno gli sviluppi degli obiettivi prefissati. Sarà anche varato un action plan che operativamente gestirà una strategia il cui scopo sarà quello di permettere l’incontro tra gli obiettivi e gli indicatori.

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Altro elemento importante, come detto, è rappresentato da un modello di consultazione tra gli stakeholders al fine di stabilire quali sono le scelte migliori da attuare e quali priorità seguire. Inoltre si procederà ad integrare gli indicatori con i processi di sviluppo politico, di monitoraggio e di revisione. L’approccio cerca di rappresentare tutte le maggiori preoccupazioni, nonché i modelli di assetto sociale, dal punto di vista degli attori principali e, quindi, sviluppare indicatori che provvederanno a misurare e monitorare i progressi e l’evoluzione della società. Come è facile immaginare, il modello di indicatore che ne risulta è fortemente governato da un processo politico conflittuale, e ciò per effetto della pluralità di soggetti-attori, nonché delle molteplici fasi dello sviluppo attuativo del programma. Il vantaggio di tale modello è rappresentato dalla capacità a mettere in evidenza ogni possibile alternativa e la possibilità di associare particolari indicatori con particolari strategie.

4.5.2 Base tematica La creazione di framewoks con approcci su base tematica, sono caratterizzati da scelte su base ampia, ovvero senza la necessità di definire specifici obiettivi politici né, tantomeno, associati a particolari strategie. Le tematiche possono riguardare temi inerenti, ad esempio, il buon governo di una città o aspetti sociali od economici. In tal senso, operare una valutazione di tali temi richiede o l’utilizzo di una combinazione di indicatori o l’uso di indici attraverso i quali costruire una valutazione. Modelli sviluppati su questa metodologia riguardano, ad esempio, l’uso degli indici guida o della così detta metafora urbana. L’UNDP (United Nations Development Programme) ha sviluppato un importante indice definito Human Development Index (HDI), e strutturato sulla base di una serie di componenti (sub-indici) relative a differenti aspetti socio-economici, quali, ad esempio, reddito pro-capite, tasso di alfabetizzazione, condizioni sanitarie, etc. Ognuno di tali indici rappresenta singoli tematismi con corrispondenti valori definiti, per lo più da analisi statistiche. L’HDI raggruppa ed accorpa questi dati fornendo un indice finale che è, per l’appunto l’HDI. Per quanto attiene, invece, l’applicazione del modello strutturato su di una metafora urbana, si tratta di fornire una rappresentazione di un fenomeno complesso (come ad esempio la città) al fine di trasmettere un messaggio con forte impatto su un particolare pubblico (Silber, 1995). Forme di metafora spaziale sono state usate nell’analisi del fenomeno urbano per fornire una guida circa l’idea futura della città, attraverso una descrizione di probabili scenari riguardanti le condizioni di vita o possibili future funzioni. Ad esempio a Melbourne, in Australia, è stato sviluppato un report e un sistema di indicatori strutturato sulla definizione di metafore quali città a dimensione umana, città sostenibile, città prospera, città innovativa e città efficiente ed effettivamente gestibile.

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Tabella 4-1. Sono riportate le varie esperienze relativamente alla formulazione di possibili indicatori urbani in relazioni a specifici aspetti chiave (Fonte: Newton P.W. et

al. (1998), Environmental Indicators for National State of the Environment Reporting: Human Settlements, Environment, Australia, Canberra).

Urban Metaphors as Sources of Urban Indicators Key Issue Urban Metaphors

Environment

Ecological City (OECD 1995) Sustainable City (Newman et al. 1998) Exploding City (Devas and Rakodi 1993) Megacity (Hall 1998) Compact City (Jenks et al. 1996)

Economy

Human Innovation City (Maillat 1991) Information City (Castells 1991) Entrepreneurial City (Gaye 1996) Competitive Cities (Brotchie et al. 1995)

Social well-being

Livable City (Pressman 1981) Multicultural City (Sandercock 1998) Health City (see Appendix 1) Safe City (Oc and Tiesdell 1997) Whose City (Pahl 1975; Harvey 1973) Divided Cities (Fainstein et al. 1992) Likable City (Nasar 1998) Convivial Cities (Peattie 1998)

Governance

Designer Cities (Corden 1977) Intentional Cities (Jensen 1974; Troy 1996) Creative Cities (Hall 2000)

La tabella 4-1 opera una sintesi dei differenti modelli di metafora urbana, sviluppati attorno a particolari chiavi di lettura.

4.5.3 Base sistemica

L’ultimo approccio, ovvero quello sistemico, differisce sostanzialmente dagli altri poiché si costruisce un modello teorico rappresentativo del sistema urbano o territoriale oggetto dell’analisi, all’interno del quale, oltre a definire i diversi attori che vi operano, sono tracciate anche le correlazioni tra le differenti componenti sub-sistemiche. Tra le più note procedure strutturate su questa base metodologica ricordiamo il modello Pressure-State-Response (PSR) messo a punto dall’OECD, e del quale parleremo in dettaglio nel seguito. In conclusione va ricordato un ultimo modello sistemico, il quale ha trovato attuazione soprattutto per tentativi di analisi in ambito urbano. Si tratta del così detto Extended Urban Metabolism Model (EUMM). Sviluppato da Newman et al. (1996) questo

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modello oltre ad esplicitare la nozione di vivibilità, va a perfezionare e rinforzare l’elemento normativo per effetto di azioni che si spalmano nel tempo. Questo modello sistemico strutturato su considerazioni che fanno della città un sistema complesso, si basa sull’analisi di quelli che sono gli input, ovvero la quantità di risorse richiesta da sistema città e gli output. Questi ultimi sono strutturati in due classi, una delle quali è rappresentata dalla vivibilità dell’ambiente urbano, il quale lo si caratterizza attraverso la qualità dell’ambiente costruito, la situazione dei trasporti, il benessere sociale, etc., ed un secondo ambiente caratterizzato dai rifiuti e dalle emissioni nell’ambiente. L’obiettivo dovrà portare, per la vivibilità urbana, ad una maggiore qualità del contesto, quindi maggiore qualità per i servizi, nell’ambiente urbano, nel patrimonio culturale, etc. Per il flusso di emissioni, nelle diverse forme, si dovrà procede ad una diminuzione di queste.

Figura 4-6. Extended Urban Metabolism Model Framework. La figura mostra i rapporti relazionali tra le differenti componenti del processo rappresentato. Si noti come l’input di risorse sia in relazione con i sistemi urbani e processi sociali od economici e come questi ultimi si relazionino con le condizioni generali di vita e i fenomeni di inquinamento. (Fonte: adattato da Newman ed al., 1996).

4.6 Criteri generali di selezione e di valutazione degli indicatori Gli indicatori sono dunque strumenti che devono sintetizzare e comunicare con efficacia una grande quantità di parametri e di relazioni tra di essi, riducendo per

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quanto possibile a pochi dati significativi l’analisi e l’interpretazione di sistemi estremamente complessi. La selezione di un numero limitato ma rappresentativo di indicatori costituisce in questo senso un passaggio molto delicato all’intero di processi progettuali. Diversi enti fra quelli che hanno promosso la diffusione degli indicatori ambientali quali strumenti di reporting e valutazione dello stato dell’ambiente hanno messo a punto e proposto criteri di selezione e validazione. I tre grandi requisiti stabiliti dall'OCSE per gli indicatori - rilevanza, consistenza analitica, misurabilità - sono oramai accolti e condivisi a livello internazionale. Quindi, sulla scorta delle ricerche attuate da differenti organismi internazionali, nonché dall'evoluzione delle esperienze di reporting ambientale dalla quale sono emerse tre caratteristiche fondamentali dei sistemi di indicatori, ovvero multidimensionalità, approccio Pressione-Stato-Risposta e sviluppo di indicatori integrati, possiamo dire che per la selezione di un appropriato set di indicatori devono seguirsi le seguenti indicazioni:

a) rilevanza ai fini dell’attivazione di specifiche politiche. Ciò implica: coerenza “tecnica” (unità di misura, modalità di rilevamento, etc.) con

obiettivi adottati in ambito nazionale e/o internazionale; rappresentatività delle condizioni locali, dei fattori di pressione sulle risorse

locali e globali e delle politiche urbane di interesse nazionale; attinenza con le competenze pubbliche, nazionali e locali, in materia di

ambiente urbano e locale.

Gli indicatori, ricordiamolo sono uno strumento informativo atto a delineare un quadro il più veritiero del sistema analizzato sulla scorta di obiettivi e target quantitativi, e verifica progressivamente l’efficacia delle strategie e delle linee d’azione attivate per conseguire gli obiettivi.

b) Capacità di fornire orientamento sia nelle decisioni che per i comportamenti pubblici e privati, quindi: capacità di fornire scelte efficaci; immediatezza comunicativa.

Compatibilmente con la reperibilità e l’affidabilità dei dati, gli indicatori selezionati dovranno dunque essere immediatamente comprensibili al pubblico, con riferimento sia alla natura dei parametri utilizzati che alla forma prescelta per l’elaborazione e la restituzione dei dati. Da questo punto di vista, un criterio prioritario di selezione riguarda la relazione diretta ed immediatamente percepibile che deve instaurarsi fra indicatori, obiettivi e target, indirizzi generali e strategie.

c) Validità scientifica, ovvero: sensibilità ai mutamenti nel tempo dei fenomeni rappresentati;

sensibilità alle differenze di performance fra diversi ambiti territoriali;

adattabilità ai diversi contesti (urbanistici, geografici, socioeconomici, ecc.);

attendibilità ed affidabilità dei metodi di misura e raccolta dei dati;

comparabilità di stime e misure effettuate nel tempo.

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In quanto strumenti di indirizzo della politica ambientale e per la sostenibilità, agli indicatori si deve ovviamente richiedere un buon livello di affidabilità e coerenza interna, con riferimento sia alla definizione dell’indicatore stesso (che deve certamente tenere conto dei dati disponibili, ma deve altresì garantire l’effettiva capacità di rappresentare con la massima aderenza possibile il fenomeno indagato, le sue variazioni nel tempo, la sua distribuzione territoriale) che alla natura ed alle metodologie di misura e/o di stima dei dati necessari a costruirlo (affidabilità degli strumenti e delle procedure di misura, criteri di selezione dei punti di misura, confrontabilità dei dati rilevati in tempi e luoghi diversi, ecc.).

d) Applicabilità degli indicatori, ovvero: esistenza, reperibilità ed affidabilità dei dati necessari;

costi e tempi necessari alla elaborazione e raccolta dei dati;

disponibilità nel tempo e frequenza di aggiornamento.

Infine, ma fondamentale, i requisiti cui il sistema di indicatori deve rispondere comprendono, giocoforza, criteri di fattibilità di ogni singolo indicatore, di disponibilità e facilità di accesso dei dati necessari, di economia delle risorse necessarie a sviluppare l’intero sistema. Ciò vale in particolare nel nostro paese, dove la disponibilità di basi di dati sufficientemente attendibili ed articolate è tutt’altro che generalizzata. In questo senso, è comunque opportuno attivare tutte le sinergie possibili fra i settori e gli enti depositari di dati e/o tenuti, in forza di legge o per compiti di istituto, ad elaborare e comunicare dati relativi allo Stato dell’Ambiente e/o ai fattori di pressione.

4.7 Un processo partecipativo per la definizione di un sistema di indicatori Proprio il nesso tra il sistema di indicatori e il processo di Agenda 21 (e, più in generale, un processo di pianificazione strategica) richiede una costruzione partecipata del sistema di indicatori. Gli indicatori, soprattutto quando passano da una mera funzione descrittiva dello stato di fatto – o anche di tendenze - ad una funzione di orientamento e selezione delle scelte (fino all’allocazione delle risorse finanziarie o alla gerarchizzazione delle priorità degli interventi), acquistano un ruolo e una rilevanza tale da richiedere un coinvolgimento e un consenso degli attori sociali e istituzionali nella loro definizione. Contemporaneamente, la significatività degli indicatori è fortemente intrecciata con gli obiettivi che una determinata comunità si pone. Gli indicatori sono efficaci quando possono indicare qualcosa. L’importanza della partecipazione dei vari soggetti nel processo di costruzione degli indicatori e l’intreccio tra competenze tecniche ed opinioni sociali è ben descritto nel rapporto predisposta da Donella Meadows per il Balaton Group, un importante forum internazionale per gli indicatori di sviluppo sostenibile.

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Il processo è gestito da facilitatori imparziali, il cui ruolo consiste nel coordinare le riunioni e gli incontri, guidare e stimolare la discussione, preparare i documenti di base, sintetizzare i risultati.

Illustriamo, in forma concisa, tutte le fasi del procedimento (Meadows, 1998):

1) selezionare un piccolo gruppo di lavoro, responsabilizzato sul buon fine dell’intera operazione. Il gruppo di lavoro deve essere multidisciplinare, deve operare in stretto collegamento con la comunità e interagire con coloro cui gli indicatori sono destinati. Il gruppo di lavoro è più efficace se comprende fin dall’inizio esperti e non esperti; l’elemento critico è il mantenimento dell’impegno nel processo nel lungo termine.

2) Chiarire gli scopi cui il set di indicatori deve essere funzionale. Informare il pubblico, fornire elementi di base ai decisori politici, valutare il successo di un’iniziativa o di un piano, sono altrettanti possibili scopi per i quali si rende necessario definire un set di indicatori, ai quali corrispondono altrettanti criteri di selezione e metodi di implementazione del sistema.

3) Rendere espliciti i criteri di valutazione e le priorità percepite dalla comunità locale. Il set di indicatori deve essere coerente con i desideri e le aspirazioni dei cittadini.

4) Procedere ad una rassegna di modelli, indicatori e dati già implementati in altre esperienze. Il gruppo di lavoro analizza altri progetti simili per derivarne suggerimenti ed esemplificazioni. Il gruppo verifica inoltre quali indicatori sono già pubblicati, e quali dati sono effettivamente disponibili, in ambito locale.

5) Definire una prima proposta di set di indicatori. Sulla base delle proprie conoscenze, delle esperienze analizzate, di eventuali contributi di esperti esterni, il gruppo di lavoro procede ad elaborare una prima lista di indicatori, che passerà al vaglio di numerose revisioni prima di attivare la fase successiva. In generale, la prima lista tende ad essere eccessivamente dilatata; le successive revisioni consentono dunque di selezionare progressivamente gli indicatori di maggiore interesse per l’ambito territoriale e sociale di applicazione, e di effettiva utilizzabilità sulla base delle conoscenze e dei dati disponibili.

6) Attivare un processo di selezione partecipativo. La lista di indicatori viene presentata alla comunità per acquisire ulteriori suggerimenti e/o critiche. Tale processo è funzionale a diversi obiettivi: rappresenta un’occasione di formazione per i partecipanti, consente di raccoglierne i contributi creativi e di informazione specifica, li rende partecipi e diretti interessati (stakeolder) del successo del processo. Spesso, inoltre, è in questa occasione che si consolidano fra diversi partecipanti relazioni ed alleanze dalle quali possono a loro volta scaturire nuove iniziative e proposte di azione per fare fronte alle problematiche descritte dagli indicatori.

7) Effettuare una revisione tecnica della lista. Un team interdisciplinare riconosciuto dagli stakeolder seleziona la lista finale proposta sulla base di criteri di misurabilità, rilevanza statistica e sistemica, ecc., cercando di mantenersi aderente alle intenzioni ed alle preferenze espresse durante il processo di revisione pubblica del draft set. La revisione tecnica consente di sopperire alle carenze del sistema e risolvere i problemi tecnici, definendo un set finale di indicatori effettivamente implementabile e scientificamente significativo.

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8) Individuare e raccogliere i dati. In questa fase, gli indicatori selezionati sono generalmente soggetti ad eventuali ulteriori revisioni, suggerite dalle concrete possibilità di acquisizione ed elaborazione dei dati effettivamente disponibili e da eventuali ulteriori elementi di conoscenza e valutazione della specifica situazione ambientale e territoriale.

9) Pubblicizzare e promuovere gli indicatori. La redazione di un report finalizzato a promuovere la partecipazione del pubblico al processo di Ag. 21 richiede l’elaborazione degli indicatori e la loro restituzione in forma comprensibile e comunicativa, mediante grafici, esemplificazioni, un linguaggio chiaro. Il report deve aiutare a collegare gli indicatori con le politiche e con le driving force, a evidenziare le interrelazioni che si determinano fra gli elementi del sistema, a concentrare l’attenzione sulle azioni che possono essere attivate.

10) Aggiornare regolarmente il report. Gli indicatori hanno poco significato se non vengono aggiornati e resi pubblici periodicamente, in modo da verificarne l’evoluzione nel corso del tempo. Ciò richiede evidentemente una struttura adeguata, che sia in grado di reiterare su base regolare le azioni previste ai punti 8) e 9), e che sia eventualmente in grado di rivisitare anche le fasi precedenti, ove ciò risultasse utile e/o necessario. Ogni nuova versione del report costituisce un’occasione per rivedere gli indicatori, sviluppare nuovi metodi di ricerca, evidenziare nuove interrelazioni. Se sono stati definiti degli obiettivi di performance, questi possono essere valutati e, se necessario, adeguati. E, naturalmente, se gli obiettivi sono stati conseguiti è necessario sottolinearlo.

4.8 Gli indicatori di sostenibilità ambientali nei documenti internazionali Gli organismi internazionali hanno ormai ben compreso la necessità di lasciare alle singole comunità l’autonomia di selezionare gli indicatori più adatti alla loro situazione locale, per meglio rappresentare la loro specificità ambientale e sociale e i problemi ritenuti oggettivamente o soggettivamente prioritari. E’ quindi ormai superata la pretesa di definire “liste di indicatori” valide per tutte le situazioni, ma si consolida invece il consenso internazionale intorno all’utilità di adottare dei quadri di riferimento concettuali e dei criteri di selezione degli indicatori il più possibile comuni. Quindi si consolida il consenso internazionale intorno all’utilità di adottare dei quadri di riferimento concettuali e dei criteri di selezione degli indicatori il più possibile comuni. Inoltre cresce sempre più, anche dal basso, la domanda di definire standard omogenei, comparabili e condivisi, almeno per quei gruppi di indicatori utili agli organismi sovralocali. In tal senso i principi generali di sostenibilità che usualmente costituiscono la base per la selezione degli indicatori sono:

equità e inclusione sociale (accesso a tutti i cittadini a servizi di base adeguati: ad esempio, educazione, impiego, energia, salute, alloggi, formazione, trasporto):

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governo locale/decentramento/democrazia (partecipazione di tutti i settori della comunità locale nella pianificazione locale e nel processo decisionale); relazione locale/globale (andare incontro ai fabbisogni locali, dalla produzione

al consumo e smaltimento, localmente; andare incontro ai fabbisogni locali, che non possono essere soddisfatti localmente, in una maniera più sostenibile); economia locale (combinare gli obiettivi e i fabbisogni locali con la disponibilità

di occupazione e altri servizi, in maniera da porre il minimo trattamento delle risorse naturali e dell'ambiente); protezione ambientale (adottare un approccio ecosistemico; minimizzare l'uso

delle risorse ambientali e del territorio, la produzione di rifiuti ed emissioni di inquinanti, aumentare la biodiversità); patrimonio culturale/qualità dell'ambiente costruito (protezione, conservazione e

restauro dei valori storici, culturali e architettonici, incluso gli edifici, i monumenti, gli eventi; valorizzare e proteggere l'attrattività e la funzionalità degli spazi e degli edifici).

A livello internazionale vi sono state diverse iniziative atte a definire possibili set di indicatori specifici per l’ambiente urbano1. Tra le differenti proposte vogliamo ricordare quelle messe a punto dalla EEA (European Environmental Agency), da EUROSTAT (Statistical Office of the European Communities), dal WHO (World Health Organisation, – Organizzazione Mondiale della Sanità), dall’ICE (Campagna Indicatori Comuni Europei), dal DGXVI (Politiche Regionali) dell’UE e dal Programma Habitat delle Nazioni Unite 1996. Di seguito verranno illustrati i set più significativi proposti da differenti organismi internazionali, tra i quali:

“Core set of indicators for environmental performance reviews” del 1993 a cura dell’O.E.C.D. – Organization for Economic Cooperation on Development; “Monitoring human settlements with urban indicators”, pubblicato nel 1997

e curato dal Global Urban Observatory dell’U.N.C.H.S., ovvero United Nations Centre for Human Settlements – Habitat; “Indicators of sustainable development: framework and methodology”, a

cura della C.S.D. – Commission on Sustainable Development - dell’ONU; infine l’“European Common Indicators, Towards a local sustainability

profile”, redatto a cura di Ambiente Italia Research Institute, con supporto finanziario della Commissione Europea – Direzione Generale Ambiente, del Ministero dell’Ambiente italiano e dell’A.P.A.T. – Agenzia Protezione Ambiente e Territorio.

In conclusione è da sottolineare che tutta l’attività di riflessione e definizione degli indicatori ambientali è fortemente condizionata, il più delle volte, sia dalla scarsa cultura sulle tematiche della sostenibilità, in particolare nei processi comunicativi,

1 Per maggiori dettagli: http://www.eea.eu.int/; http://europa.eu.int/comm/eurostat; http://www.who.int/ ; http://europa.eu.int/comm/environment/urban/indicators ; DGXVI - http://europa.eu.int/comm/regional_policy/index_en.htm http://www.unhabitat.org/ ; http://europa.eu.int/comm/environment/urban/policy_initiatives.htm

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sia dalla debolezza dei sistemi informativi locali, elemento questo che è molte volte legato al primo, quindi una carenza culturale, ma anche una carenza tecnica legata al fatto che spesso i dati che servirebbero all’elaborazione degli indicatori sono carenti (mancano attività di indagine diretta, la scala di aggregazione dei dati non coincide con quella locale, il rilevamento è estemporaneo e non sistematico, etc.).

4.8.1 Il Core set di indicatori ambientali dell’O.E.C.D. (Organization for Economic Cooperation on Development) Il modello concettuale messo a punto dall’OECD è sicuramente quello che più di tutti ha avuto larga applicazione, tanto come riferimento teorico che come modello attuativo. La sua formulazione trova origine sia nella volontà politica di contribuire alla creazione di un modello generale di riferimento che potesse fornire una base condivisa sulla quale armonizzare le singole iniziative fatte dai membri dell’OECD, sia anche fornire una spinta politica volta ad incentivare programmi rivolti allo sviluppo degli indicatori ambientali tanto nelle fasi applicative che in quelle della formulazione teorica. Il modello proposto, strutturato sulle tre componenti Pressare State Response, fu sviluppato 1970 dal matematico canadese Anthony Friend e, successivamente, adottato dall’OECD nel 1993. Questo modello ha avuto un’ampia applicazione soprattutto nei reporting ambientali. Esso è stato pensato come struttura dinamica e flessibile al fine di permettere un inquadramento sistemico dei problemi ambientali, i quali sono strutturati su molteplici variabili. Quindi un framework che cerca di adattarsi tanto alla variabile temporale che a quelle ambientali e socio-politiche che mano a mano si sviluppano nella società. E’, quindi, un tentativo di sviluppare una procedura tale da permettere una lettura integrata dei fenomeni quali la pressione antropica sull’ambiente, lo stato dell’ambiente nonché la risposta, su base politica e programmatica, che può essere intrapresa per alleviare i danni causati dalle distorsioni indotte sul sistema dai fattori antropici.

La struttura generale del framework individua tre aree sistemiche per gli indicatori, rispettivamente costituite dagli indicatori di pressione ambientale (componente pressure), indicatori delle condizioni ambientali (componente state) ed indicatori di risposta sociale (componente responses). L’uso di questi indicatori permette di valutare performance ambientali, reporting sullo stato dell’ambiente, l’integrazione ambientale in politiche settoriali o riguardanti politiche economiche (fig.4-8). L’obiettivo primario è, quindi, quello di operare della valutazioni ambientali sulla scorta di una struttura sistemica che consenta, per quanto possibile, un agile ed integrata lettura dei fenomeni ambientali, con particolare attenzione a quegli eventi sistemici di feedback che spesso hanno grande valenza nell’economia totale della valutazione. E’ comunque da tener presente le possibili limitazioni derivanti dalla ancora scarsa conoscenza della teoria dei sistemi, nonché dalle approssimazioni che su tale modello si fanno (ad esempio, in taluni casi si tende a suggerire relazioni lineari nell'interazione tra attività umana ed ambiente, con le conseguenti approssimazioni) non sono tali da

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compromettere la visione strategica di problematiche complesse dove si intrecciano interazioni tra l’ambiente, la società e l’economia.

Figura 4-7. L’interazione delle tre componenti del modello Pressure-State-Response

Figura 4-8. La figura sopra mostra le tre componenti base – pressione ambientale, condizioni ambientali e risposte sociali – la cui lettura integrata permette operazioni di reporting o di aggiustamento delle politiche ambientali.

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Vediamo ora più in dettaglio le tipologie di indicatori all'interno del framework PSR:

indicatori di pressione ambientale (pressure). Essi descrivono gli effetti diretti delle diverse attività umane sull’ambiente (consumo di risorse, emissioni/rilasci inquinanti/rifiuti) con l’inclusione delle risorse naturali, sia in qualità che quantità. Una distinzione può essere disegnata tra indicatori di pressione immediata (pressioni esercitate direttamente sull'ambiente, normalmente espresse in termini di emissioni o il consumo di risorse naturali) ed indicatori di pressione indiretta (indicatori di fondo attività umane e riflettenti che conducono a pressioni ambientali ed immediate). dovrebbero avere caratteristiche tali da poter permettere delle risposte aiutando i decision makers nell’attuazione di quelle azioni tali da poter produrre effetti positivi sull’ecosistema urbano

indicatori delle condizioni ambientali (state). Essi si riferiscono al degrado delle componenti ambientali, quindi rilevano la qualità di varie componenti ambientali (ad esempio, l’inquinamento dell’aria, acqua, suolo, etc.) relativamente ad un determinato luogo. Essi, quindi, possono trovare utilità non solo come primo approccio analitico sullo stato dell’ambiente, ma anche come elemento che si interfaccia con obiettivi volti all’attuazione di politiche ambientali. Tali indicatori dovrebbero essere progettati per dare una veduta d'insieme della situazione (lo stato) dell'ambiente e le linee di tendenza di questo rispetto alla variabile tempo. Un elemento di ambiguità può essere rappresentato relativamente alla distinzione tra le condizioni ambientali e gli elementi che esercitano pressione su di esso. Ciò è dovuto essenzialmente al fatto che definire lo stato dell’ambiente è un’operazione molto complessa e costosa, per cui molte volte si racchiude tale condizione attraverso la misurazione di alcuni parametri di pressione (ad esempio CO2, inquinamento acustico, etc.).

indicatori di risposta (responses). Essi riassumono l’adeguatezza delle azioni attuate dagli organismi pubblici attraverso lo sviluppo di appropriate politiche ambientali e i comportamenti dei soggetti privati (ad esempio, stile di vita, gestione ambientale d’impresa, etc.) in termini di risposte politico-sociali. Tali indicatori, se comparati agli indicatori di pressione ambientale o a molti altri relativi alle condizioni ambientali, hanno ancora una storia relativamente breve per fornire un valido e concreto supporto. In tal senso molto resta ancora da fare, sia concettualmente che in termini di disponibilità dei dati. Inoltre è bene tener presente che la distinzione tra indicatori di pressione ambientale ed indicatori di risposta sociale si può confondere allorquando gli indicatori di risposta registrano gli effetti di feedback innescati delle risposte sociali dovute alla pressione ambientale. Ad esempio, una riduzione delle emissioni di gas serra o un miglioramento in termini di efficienza energetica possono essere interpretati sia come elemento di pressione ambientale che come un indicatore di risposta politico-sociale. Idealmente, l'indicatore di risposta dovrebbe riflettere gli sforzi della società nel combattere un particolare problema ambientale. Infine se usualmente gli indicatori di pressione sono misurati in termini quantitativi, più difficile risulta la rappresentazione di quelli inerenti risposte sociali che, in linea di massima hanno rappresentazioni essenzialmente qualitative (si pensi, ad esempio, alla eventuale ratifica di un documento internazionale) e, comunque, legate a situazioni, come ad esempio risposte in termini normativi, difficilmente misurabili con mezzi neutrali. In definitiva per gli indicatori di risposta si

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preferisce usare indicatori veloci in modo tale da permettere, in linea teorica, risposte valide ed immediate.

Figura 4-9. Sopra la rappresentazione del framework Pressuree-State-Response, così come esplicitata dall’OECD. (Fonte: “OECD core set of indicators for environmental performance reviews”, Parigi 1993).

A conclusione del paragrafo vogliamo ricordare che da questo modello sono scaturite diverse varianti tra le quali va ricordato il modello DPSIR (DrivingForce-Pressure-State-Impact-Response) adottato sia dall’UNCSD (United Nations Commission for Sustainable Development) che dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA). Proprio l’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) ha così esplicitato le due ulteriori categorie concettuali: driving force, ovvero quelle forze che descrivono gli andamenti sociali, demografici ed economici, nonché i corrispondenti cambiamenti negli stili di vita, specialmente per quanto attiene i livelli di consumo e i modelli di produzione. Dalla lettura di questi cambiamenti gli indicatori guida consentono di definire la pressione esercitata sull'ambiente. Quindi gli impatti, intesi come risultanti dell’interazione fra fattori di pressione e stato delle risorse. Rispetto allo schema PSR, il modello DPSIR introduce una più articolata rappresentazione del sistema di relazioni che intercorrono fra attività umane e stato dell’ambiente, riprendendo la relazione causa-condizione-effetto che ha, a sua volta, supportato alcune fra le più note metodologie di individuazione, analisi e valutazione degli impatti sull’ambiente.

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L’introduzione delle Driving force consente di meglio evidenziare, nel modello logico funzionale del sistema, l’opportunità di attivare politiche di risposta realmente integrate, ovvero politiche che abbiano come oggetto non solo i fattori di pressione, quanto i settori determinanti: si pensi, ad esempio, alla differenza concettuale che passa fra una politica di risposta esclusivamente orientata alla riduzione dei fattori unitari di emissione e/o di effluente, ed una politica che assuma obiettivi di breve e medio termine relativi all’intensità delle attività a più elevato impatto, alla loro distribuzione territoriale, alla loro evoluzione tendenziale.

Figura 4-10. Il modello DPSIR con il quadro delle relazioni

4.8.2 Come scegliere gli indicatori ambientali all’interno del framework PSR In via teorica i criteri base da seguire per definire un set di indicatori sono tre: rilevanza politica, rilevanza analitica (analytical soundness) e misurabilità. In particolare, riguardo alla rilevanza politica un indicatore dovrebbe:

fornire un modello rappresentativo delle condizioni ambientali, oppure di pressione ambientale o di risposta sociale;

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essere strutturato in modo da garantire una sua facile lettura e, al contempo garantire una visione corretta dei trend evolutivi del contesto misurato; permettere una lettura dei cambiamenti ambientali in relazione alle attività

umane; fornire una base comparativa su standards internazionali; essere strutturati in modo tale da avere una valenza su scala locale pur se ispirati a

principi generali; essere in grado di esprimere valori limiti riferimento relativamente a definite situazioni

(si pensi, ad esempio, ad indicatori espressi da norme di legge).

Riguardo, invece alla rilevanza analitica, un indicatore dovrebbe:

essere fondato su di una concreta base teorica e scientifica; strutturato su standards internazionali e trovare consenso riguardo alla sua

validità; essere capace di relazionare aspetti differenti del sistema ambientale al fine di

integrare questi aspetti all’interno di opportuni sistemi informativi e, quindi, fornire modelli previsionalmente validi.

Infine, per la misurabilità, i dati a supporto degli indicatori dovrebbero essere:

prontamente disponibili o resi disponibili secondo un ragionevole rapporto costi/benefici; adeguatamente documentati e di riconosciuta qualità; aggiornati ad intervalli regolari in accordo con procedure prestabilite.

E’ ovvio che nella definizione di un set di indicatori molto dipende dalle specifiche necessità che di volta in volta dovranno essere valutate. In tal senso il gruppo sullo Stato dell'Ambiente dell’EEA ha individuato quattro categorie:

misurazione della performance ambientale; l'integrazione delle preoccupazioni o aspettative ambientali nelle politiche di

settore (nel contesto definito dell’OECD, gli indicatori per integrare aspettative ambientali in politiche di settore sono rappresentati per mezzo di una serie di sub-sets specializzati atti a coprire un ampio range di settori ove è necessario operare delle decisioni); l'integrazione di processi decisionali relativi ad ambiente e processi economici

(ad esempio attraverso la contabilità ambientale); reporting sullo stato dell'ambiente.

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Tabella 4-2. Definizioni e terminologia secondo la OECD (Fonte: OECD core set of indicators for environmental performance reviews”, Parigi 1993).

Indicatore Parametro o valore derivato da parametri, il quale ha come scopo quello di fornire informazioni relativamente allo stato di un fenomeno/ambiente/area in modo da permettere una analisi anche di ciò che non è direttamente ottenibile dal parametro stesso Indice Un set, aggregato o pesato di parametri od indicatori Parametro: una proprietà misurata od osservata Indicatore delle condizioni ambientali Corrispondente all’elemento “stato” nel framework Pressure-State-Response. Essi comprendono qualità ambientale, nonché aspetti qualitativi e quantitativi di risorse naturali. Indicatori di pressione ambientale Corrispondente all’elemento "pressure" nel box PSR framework. Essi descrivono la pressione sull’ambiente causarìta dalle attività umane. Essi comprendono indicators of proximate pressure (stress indicators) e indicators of indirect pressure (background indicators). Response Iindicators (indicatori di risposta) Corrispondente all’elemento "response" box in PSR framework. Nel presente contesto la parola "response" è usata solo nel senso di risposta politico-sociale e non con riferimento all’ecosistema. Indicatori di valutazione delle performance Selezionando e/o aggregando una serie di indicatori delle condizioni ambientali, della pressione ambientale e della risposta sociale, sarà possibile valutare le performance ambientali. Indicatori Ambientali Sono costituiti da tutti gli indicatori nel framework Pressure-State-Response, ad esempio indicatori di pressione ambientale, condizioni e risposte

4.8.3 Gli indicatori del Global Urban Observatory (UNCHS, United Nations Centre for Human Settlements - Habitat) Il Global Urban Observatory (GUO), è stato istituito all’interno dell’UNCHS al fine di consentire una valutazione comparativa degli obiettivi perseguiti dai programmi Habitat Agenda II sugli insediamenti umani e sulle politiche urbane. A tal fine esso opera su due programmi, best practices e indicatori, e al fine di perseguire tali obiettivi è stato strutturato su una rete di network che partendo dal livello centrale scendono mano a mano a quello nazionale (National Urban Observatory) e a quello locale (Local Urban Observatory). Tale struttura permette un notevole scambio di informazioni ed

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esperienze a vari livelli, favorendo, in tal modo, la sperimentazione, in differenti contesti degli indicatori di sostenibilità. Il programma del GUO sugli indicatori di sostenibilità non è solo un programma che raccoglie dati, ma vuole essere una politica di sviluppo strategico volta a favorire ad ogni livello, da quello nazionale a quello locale, una cooperazione tecnica che punta a costruire in ciascun paese una politica capace di delineare le proprie linee strategiche e di usare gli indicatori come una parte essenziale di questo processo. Ecco allora l’enfasi rivolta al ruolo degli indicatori come supporto alle operazioni di decision-making, al monitoraggio dei risultati prefissati e, soprattutto, a sviluppare capacità a livello locale capaci di garantire l’efficacia di tali processi. Anche in questo modello vi sono delle caratteristiche generali a cui i set di indicatori dovrebbero attenersi, in particolare essere di facile lettura o interpretazione da parte di ciascun attore sociale, rispecchiare gli interessi di questi attori, essere facilmente disponibili tanto per la comunità locale che nazionale ed essere correlati alla politiche ed ai target che si desidera raggiungere.

Figura 4-11. Nella figura la policy development cycle inizia con il definire una strategia ed in questa fase gli indicatori misureranno il progresso di tale strategia verso gli obiettivi proposti. Quindi nelle fase di implementazione gli indicatori svolgeranno un ruolo di monitoraggio della strategia. Infine, gli indicatori verranno utilizzati nella fase di valutazione al fine di eventuali rivisitazioni delle scelte permettendo aggiustamenti politici e degli stessi indicatori (Fonte: Indicatori Global Urban Observatory – United Nations Centre for Human Settlements – Habitat - Monitoring Human Settlements with Urban Indicators, Nairobi, Kenya, 1997)

Come si vede, tra i principali obiettivi che si pone il GUO vi è quello di strutturare una serie di indicatori che possano riflettere gli interessi di tutti ed essere facilmente interpretati da tutti i cittadini, ma anche capace di coprire le aree di sviluppo socioeconomico, infrastrutturali, dei trasporti e ambientali, cercando di costituire un set minimo così come richiesto per Habitat II. In tal senso viene data grande importanza allo sviluppo di una strategia politica flessibile e dinamica, volta a delineare un progetto di sviluppo sostenibile, dal quale poi scaturiscono indicatori capaci di misurarne tanto i

MONITORING

IMPLEMEN-TATION

STRATEGY

POLICY

REVIEW

EVALUATION

POLICYDEVELOPMENT

CYCLE

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progressi quanto l’efficacia dell’azione. La filosofia di fondo è quindi rappresentata dal fatto che ogni indicatore dovrebbe essere legato ad un indirizzo politico-programmatico o a norme, ed altrettanto ogni politica dovrebbe sviluppare e monitorare i suoi progressi attraverso l’uso di appropriati indicatori attraverso un ciclo che si rinnova attraverso i progressi fatti o non fatti. In tal senso il GUO per la selezione degli indicatori ha usato i seguenti criteri base:

importanza per le politiche: gli indicatori dovrebbero essere direttamente attinenti a quelle che sono le politiche urbane misurandone direttamente le conseguenze;

chiarezza: il set di indicatori dovrebbe essere capace di offrire una veduta d'assieme ampia ed immediata per quelli che sono gli aspetti economici, della salute pubblica, sociali ed ambientali della città, ricavando tali informazioni da fonti di dati esistenti;

priorità: gli indicatori devono basarsi su due livelli di priorità. Il primo livello individua i così detti key indicators ovvero quelli ottenuti attraverso i dati immediatamente disponibili. Il secondo livello individua indicatori detti estensive e rivolti alla raccolta di dati concernenti elementi meno rilevanti o di più difficile raccolta o definizione;

semplicità di comprensione: tutti gli indicatori dovrebbero essere facilmente capiti senza che siano necessarie conoscenza specialistiche; indicatori complessi possono facilmente essere fraintesi o non compresi adeguatamente;

costi e benefici: gli indicatori dovrebbero essere capaci di raccogliere dati in modo regolare e su una base di economicità tale, comunque, da riflettere fedelmente l’obiettivo che ci si è posto. Il livello di dettaglio e capacità di comprensione dei dati deve avvenire all’interno del budget dell’agenzia che opera tale raccolta;

misurabilità: gli indicatori dovrebbero essere capaci di esporre in modo chiaro il grado di grandezza di un problema, ed essere capaci di misurare tale grandezza su una scala indipendente dal tempo;

includere la maggior parte degli svantaggi: il problema dell’equità è una preoccupazione per il GUO; molto spesso sappiamo che il valore medio non è una stima equa, per cui, al fine di ridurre tali ineguaglianze, gli indicatori dovrebbero concentrarsi più sugli svantaggiati che caratterizzano una problematica, analizzandone cioè la distribuzione, che non sul sua aspetto visto nella sua interezza;

affidabilità: ogni indicatore dovrebbero offrire una dimostrazione convincente che obiettivi prefigurati sono stai raggiunti, basandosi, in tal senso, su di una registrazione oggettiva dei dati;

sensibilità: ogni indicatore dovrebbe essere capace di avvalorare o meno il cambiamento che si vuole attuare, facendo però attenzione che un indicatore troppo sensibile risulteranno o di difficile interpretazione o di difficile raccolta;

non ambigui: ogni indicatore deve esser semplice e chiaro, senza permettere ambiguità

indipendenza: indicatori differenti devono misurare conseguenze differenti;

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Il core set degli indicatori è articolato in due categorie:

i key indicators, che costituiscono il vero e proprio nocciolo duro, rappresentando il traguardo minimo a cui tutti dovranno tendere;

gli estensive indicators, costituito da indicatori di minore rilevanza politica e che richiedono un grande sforzo politico, per l’impegno programmatico e di costi, e tecnico, per l’impegno soprattutto attraverso l’uso di sistemi informativi.

Tabella 4-3. Lista di indicatori chiave - key indicators. (Fonte: United Nations Centre for Human Settlements – Habitat - Global Urban Observatory, Monitoring Human Settlements with Urban Indicators, Nairobi, Kenya, 1997)

Background data D1: Land use D2: City population D3: Population growth rate D4: Woman headed households D5: Average household size

D6: Household formation rate D7: Income distribution D8: City product per person D9: Tenure type

1. Socioeconomic Development 1: Households below poverty line 2: Informal employment 3: Hospital beds 4: Child mortality 5: Life expectancy at birth 6: Adult literacy rate 7: School enrolment rates 8: School classrooms 9: Crime rates

2. Infrastructure 10: Household connection levels 11: Access to potable water 12: Consumption of water 13: Median price of water

3. Transport 14: Modal split 15: Travel time 16: Expenditure on road Infrastructure 17: Automobile ownership

4. Environmental Management 18: Wastewater treated 19: Solid waste generated 20: Disposal methods for solid waste 21: Regular solid-waste collection 22: Housing destroyed

5. Local Government 23: Major sources of income 24: Per-capita capital expenditure 25: Debt service charge 26: Local government employees 27: Wages in the budget 28: Contracted recurrent expenditure ratio 29: Government level providing services 30: Control by higher levels of government

6. Housing 31: House price to income ratio 32: House rent to income ratio 33: Floor area per person 34: Permanent structures 35: Housing in compliance 36: Land development multiplier 37: Infrastructure expenditure 38: Mortgage to credit ratio 39: Housing production

40: Housing investment

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4.8.4 Indicatori ambientali della Commission on Sustainable Development (CSD) delle Nazioni Unite, Dipartimento di Economia ed Affari Sociali Nell’aprile del 1995, la Commission on Sustainable Development (CSD), sulla scorta di un framework del tipo PSR, sviluppò 134 indicatori di sostenibilità, i quali tra il 1996 ed il 1999 sono stati testati a livello nazionale attraverso molteplici esperienze in varie parti del mondo, valutandone l’applicabilità effettiva nonché la validità nei processi di decision-making. E’ quindi sulla scorta delle raccomandazioni scaturite dalle varie esperienze nazionali, ma anche dalla volontà di coniugare questi indicatori con quanto stabilito nel capitolo 40 dell’Agenda 21, che è venuta fuori la struttura definitiva di tale framework organizzato attorno a quattro aree tematiche riscontrabili all’interno dell’Agenda 21, e cioè: dimensione sociale, economica, ambientale ed istituzionale. Esse rappresentano i processi dell’azione umana ed i modelli di impatto sull’ambiente, dando vita a 15 temi e 38 sub temi, i quali vogliono essere una guida sia nella valutazione delle politiche che nella salvaguardia dell’ambiente, tanto a livello nazionale che locale. Nel seguito sono state riportate le tabelle che illustrano, all’interno di ciascuna categoria, i vari temi, sub-temi e indicatori. Voglio ricordare che i numeri che appaiono tra parentesi rappresentano il tema equivalente sviluppato in Agenda 21.

Tabella 4-4. Indicatori sociali (Fonte: Commission on Sustainable Development (CSD) delle Nazioni Unite, Dipartimento di Economia ed Affari Sociali)

S O C I A L THEME SUB-THEME INDICATOR equity poverty (3) Percent of Population Living below Poverty Line gender equality (24) Gini Index of Income Inequality Unemployment Rate health (6) Nutritional Status Nutritional Status of Children Mortality Mortality Rate Under 5 Years Old Life Expectancy at Birth

Sanitation Percent of Population with Adequate Sewage Disposal Facilities

Drinking Water Population with Access to Safe Drinking Water

Healthcare Delivery Percent of Population with Access to Primary Health Care facilities

Immunization Against Infectious Childhood Diseases Contraceptive Prevalence Rate education (36) education level Secondary or Primary School Completion Ratio literacy adult literacy rate housing (7) living conditions floor area per person security crime (36, 24) number of recorded crimes per 100.000 popolation popolation (5) popolation change population growth rate population of urban formal and informal settlemnts

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Tabella 4-5. Indicatori ambientali (Fonte: Commission on Sustainable Development (CSD) delle Nazioni Unite, Dipartimento di Economia ed Affari Sociali)

E N V I R O N M E N T A L THEME SUB-THEME INDICATOR atmosphere (9) climate change emission of greenhouse gases

ozone layer depletation consumption of ozone depleting substances

air quality ambient concentration of air pollutants in urban areas land (10) Agriculture (14) Arable and Permanent Crop Land Area Use of Fertilizers Use of Agricultural Pesticides Forests (11) Forest Area as a Percent of Land Area Wood Harvesting Intensity Desertification (12) Land Affected by Desertification Urbanization (7) Area of Urban Formal and Informal Settlements Oceans, Seas and coast (17) coastal zone Algae Concentration in Coastal Waters

Percent of Total Population Living in Coastal Areas Fisheries Annual Catch by Major Species Fresh Water (18) water quantity Annual Withdrawal of Ground and Surface Water as a

Percent of Total Available Water water quality BOD in Water Bodies Concentration of Faecal Coliform in Freshwater biodiversity (15) ecosystem Area of Selected Key Ecosystems

Protected Area as a % of Total Area species Abundance of Selected Key Species Tabella 4-6. Indicatori economici (Fonte: Commission on Sustainable Development (CSD) delle Nazioni Unite, Dipartimento di Economia ed Affari Sociali)

E C O N O M I C THEME SUB-THEME INDICATOR

economic structure (2) Economic Performance GDP per capita

Investment Share in GDP Trade Balance of Trade in Goods and Services

Financial Status (33) Debt to GNP Ratio

Total ODA Given or Received as a Percent of GNP

consumption and production patterns (4)

Material Consumption Intensity of Material Use

Energy Use Annual Energy Consumption per Capita

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Share of Consumption of Renewable Energy Resources

Intensity of Energy Use

Waste Generation and Management (19-22)

Generation of Industrial and Municipal Solid Waste

Generation of Hazardous Waste Generation of Radioactive Waste Waste Recycling and Reuse

Transportation Distance Traveled per Capita by Mode of Transport

Tabella 4-7. Indicatori istituzionali (Fonte: Commission on Sustainable Development (CSD) delle Nazioni Unite, Dipartimento di Economia ed Affari Sociali)

I N S T I T U T I O N A L THEME SUB-THEME INDICATOR

institutional framework (38, 39)

strategic implementation of SD (8) national sustainable development strategy

International Cooperation Implementation of Ratified Global Agreements

institutional capacity (37) Information Access (40) Number of Internet Subscribers per 1000

Inhabitants

Communication Infrastructure (40) Main Telephone Lines per 1000 Inhabitants

Science and Technology (35)

Expenditure on Research and Development as a Percent of GDP

Disaster Preparedness and Response

Economic and Human Loss Due to Natural Disasters

4.8.5 Gli indicatori di salute e sostenibilità urbana del WHO L’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization - WHO), nell’ambito del proprio progetto internazionale “Città Sane” (Health Cities), ha messo a punto una lista di indicatori testandola su una cinquantina di città. Il sistema di indicatori proposto (Tabella xx) è particolarmente orientato a mettere in luce le relazioni tra salute, ambiente e politiche urbane. Pur con uno specifico orientamento agli aspetti

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sanitari, intreccia le diverse dimensioni della sostenibilità – sociale, economica, ambientale – cogliendone la rilevanza con la tutela della salute. Tabella 4-8. Indicatori proposti nell’ambito del progetto Città Sane (Fonte:OMS,1996)

Indicatori di salute pubblica Mortalità: tutti i casi Cause di decesso Tasso di mortalità infantile Indicatori di servizio sanitario Inventario delle organizzazioni di volontariato o non profit Programmi di supporto alle organizzazioni di volontariato o non profit Programmi di educazione sulla salute Percentuale di bambini con meno di 6 anni vaccinati Numero di abitanti per medico Numero di abitanti per infermiere Percentuale della popolazione coperta da assicurazione sulla salute Percentuale della popolazione con accesso al servizio di emergenze in 30 minuti in macchina Disponibilità di servizi medici in lingue straniere Comunicazione ed informazione sulla salute e sui servizi sanitari Numero di inchieste sulla salute esaminate dai consigli comunali annualmente Indicatori ambientali Inquinamento atmosferico - Concentrazione di SO2, NO2, O3, CO, polveri, Pb. Qualità microbiologica dell’acqua per consumo Qualità chimica dell’acqua per consumo Percentuale di inquinanti rimossi dalle acque reflue Raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani Smaltimento dei rifiuti solidi urbani Indicatore del livello di percezione dell’inquinamento dalla popolazione Consumo di acqua potabile procapite Percentuale di aree verdi nella città Aree dismesse Infrastrutture sportive e di ricreazione Zone pedonali Piste ciclabili Trasporto pubblico - numero posti su trasporti pubblici per 1000 abitanti Copertura del servizio di trasporto pubblico - Km di servizio / km di strada (città) Spazio vitale - numero di vani per abitante Comfort ed igiene - percentuale di abitazioni senza bagno Servizi di emergenza - numero di servizi per abitante Indicatori socioeconomici Metri quadri di spazio vivibili per abitante (m2/ab) Percentuale della popolazione che vive in condizioni al di sotto degli standard abitativi Stima della popolazione senza tetto Tasso di disoccupazione Tasso di assenteismo Percentuale di famiglie sotto il livello di povertà nazionale Percentuale o numero totale di occupati che lavorano nelle prime 10 imprese Percentuale di famiglie mono-componenti Percentuale di famiglie con un solo genitore

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Percentuale di popolazione che lascia la scuola dopo l’obbligo Tassi analfabetismo Percentuale del budget della municipalità destinato ad attività sociali o sanitari Tasso di criminalità Percentuale di abitazioni per anziani con impianti di emergenza Principali cause di chiamata dei servizi di emergenza Percentuale di bambini sotto l’età scolastica in lista d’attesa per servizi sanitari Età media donne primipare Tasso di aborti in rapporto alle nascite Percentuale di giovani sotto i 18 anni sotto sorveglianza della polizia Percentuale di handicappati occupati in rapporto al numero di handicappati in età lavorativa

4.9 Il contesto europeo

4.9.1 Introduzione Nel contesto europeo, l’Unione si è adoperata per recepire nella propria legislazione le indicazioni fornite nell’Agenda 21, tra le quali vi è anche quella di sviluppare un set di indicatori. Più in particolare è con la carta di Ålborg (1994), nonché con il Piano d’Azione di Lisbona (1996) che si è sempre più affermata la necessità dell’uso degli indicatori sia come mezzo di analisi e monitoraggio degli ambienti sia come mezzo per l’azione dei decision makers. In ambito UE, la comunicazione “Quadro d’azione per uno sviluppo urbano sostenibile nell’Unione europea” adottata dalla Commissione europea nel 1998, sottolinea l’importanza dell’uso di indicatori comparativi per valutare i risultati conseguiti dalle città e la necessità di studiare metodologie di monitoraggio dei progressi. In tal senso, “Verso un quadro della sostenibilità a livello locale — Indicatori comuni europei”, iniziativa elaborata con un approccio dal basso da un gruppo di lavoro del gruppo di esperti sull’ambiente urbano in stretta consultazione con gli enti locali, ha come finalità di soddisfare le necessità di cui sopra. Essa intende offrire sostegno agli enti locali nel loro impegno verso la sostenibilità e fornire dati obiettivi e comparabili sui progressi ottenuti in materia di sostenibilità in tutta Europa. Essa si basa su una serie di indicatori comuni integrati che riflettono le interazioni tra gli aspetti ambientali, economici e sociali. Il suo obiettivo è misurare l’avvicinamento o l’allontanamento dalla sostenibilità focalizzando l’attenzione sull’ampiezza del cambiamento nel tempo e sull’individuazione di tendenze e direzioni anziché su misure assolute. In tal senso li enti locali si sono impegnati a:

usare gli indicatori comuni europei per monitorare i progressi ottenuti nel campo della sostenibilità allo scopo di elaborare processi ed iniziative locali a favore della sostenibilità;

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riferire in merito a livello europeo, nella consapevolezza che i risultati saranno utilizzati accortamente allo scopo di mettere in luce i risultati ottenuti e di elaborare strumenti e politiche comunitari;

prendere parte attivamente alla fase di prova e al processo che inizierà dopo la sua adozione al fine di elaborare e contribuire alla realizzazione di questo nuovo strumento di monitoraggio sulla base dell’esperienza pratica maturata utilizzando questa prima generazione di indicatori comuni europei.

4.9.2 Indicatori Comuni Europei (European Common Indicators – ECI) L’iniziativa di monitoraggio della sostenibilità su scala europea “Verso un quadro della sostenibilità a livello locale - Indicatori comuni europei” è stata sviluppata, a partire da un approccio dal basso, da un gruppo di lavoro del gruppo di esperti2 sull’ambiente urbano di concerto con gli enti locali di tutta Europa. Il fine dell’iniziativa è stato quello di sostenere gli sforzi degli enti locali per raggiungere la sostenibilità e fornire informazioni obiettive e comparabili sui progressi conseguiti in materia in tutta Europa. Essa si basa su una serie di indicatori integrati comuni, in cui ciascun indicatore riflette le interazioni tra gli aspetti ambientali, economici e sociali. Lo scopo è misurare l’avvicinamento o l’allontanamento rispetto ad un modello sostenibile, assumendo come punto di riferimento l’entità del cambiamento nel tempo e l’individuazione di tendenze e direzioni, anziché concentrarsi su misure assolute. Alla base di questa iniziativa sta il concetto secondo cui una città sostenibile è più di una semplice città con un ambiente pulito, per cui gli indicatori della sostenibilità locale devono andare al di là dei tradizionali indicatori ambientali. Essi devono superare l’approccio settoriale in cui per “indicatori di sostenibilità” si intendono indicatori relativi a singoli aspetti ambientali, economici e sociali, senza rifletterne le reciproche connessioni. Per fare concreti passi in avanti verso nuove e migliori pratiche di monitoraggio si è pertanto ritenuto necessario individuare autentici indicatori della sostenibilità locale, ovvero indicatori integrati che riflettano l’interazione tra gli aspetti ambientali, economici e sociali. Ciò che viene comparato sono pertanto i “progressi” anziché lo “stato”. L’ipotesi è che ciascuna comunità locale possa agire per pervenire ad una maggiore sostenibilità a prescindere dal punto di partenza e che la lunghezza del cammino da percorrere sia in un certo senso irrilevante. Ciò che importa è che le azioni intraprese siano adeguate nel senso che fanno procedere la comunità locale nella direzione giusta. La nuova iniziativa di monitoraggio ha pertanto come finalità la misurazione dello spostamento verso un modello di sviluppo sostenibile fornendo uno strumento di monitoraggio che

2 Il gruppo di esperti sull’ambiente urbano è stato istituito dalla Commissione europea nel 1991 con il compito di valutare come inserire gli obiettivi ambientali nelle future strategie di pianificazione a livello urbanistico e del territorio e di fornire indicazioni alla Commissione su come sviluppare la dimensione dell’ambiente urbano all’interno della politica ambientale comunitaria. Nel 1993 il gruppo di esperti ha lanciato il progetto «Città sostenibili» assieme alla Commissione europea. Il gruppo di esperti è stato nuovamente attivato nel 1999 a seguito dell’adozione della comunicazione «Quadro d’azione per uno sviluppo urbano sostenibile nell’Unione europea» [COM(1998) 605] con il compito specifico di fornire indicazioni ed assistenza nel campo dell’elaborazione di politiche e strumenti a livello europeo in campi attinenti alla comunicazione. Attualmente la sua composizione si è ridotta e sono cambiate le modalità di funzionamento che si basano su un numero ridotto di gruppi di lavoro tematici.

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darà il suo apporto al processo decisionale e all’amministrazione locale in generale, fornendo indicazioni su come le aree urbane contribuiscano alla sostenibilità in Europa e rappresenterà un nuovo passo verso pratiche di monitoraggio e di gestione integrate. Per la selezione degli indicatori si sono considerati sei aspetti della sostenibilità che costituiscono, per l’appunto, la base per la selezione degli indicatori :

1. eguaglianza e inclusione sociale (accesso per tutti a servizi di base adeguati, ad esempio educazione, occupazione, energia, sanità, abitazione, formazione, trasporti);

2. gestione locale/capacità di controllo/democrazia (partecipazione di tutti i settori della comunità locale alla pianificazione e al processo decisionale locali);

3. relazione tra il livello locale e quello globale (soddisfare localmente le necessità locali, dalla produzione al consumo e allo smaltimento; soddisfare in maniera più sostenibile le necessità che non possono essere soddisfatte localmente);

4. economia locale (far combaciare le capacità e le necessità locali con la disponibilità di posti di lavoro ed altri servizi in modo da ridurre al minimo le minacce per le risorse naturali e l’ambiente);

5. protezione ambientale (adottare un approccio ecosistemico; ridurre al minimo l’uso delle risorse naturali e del territorio, la produzione di rifiuti e l’emissione di inquinanti, migliorare la biodiversità);

6. patrimonio culturale/qualità dell’ambiente costruito (tutela, difesa e restauro del patrimonio storico, culturale e architettonico, compresi edifici, monumenti, avvenimenti; aumentare e salvaguardare l’attrattiva e la funzionalità degli spazi e degli edifici).

Da questi principi generali sono, poi, scaturiti i seguenti indicatori comuni europei:

A INDICATORI PRINCIPALI (obbligatori)

nr Indicatore

1 Soddisfazione dei cittadini rispetto alla comunità locale Soddisfazione generale dei cittadini in relazione a diverse caratteristiche del comune

2 Contributo locale al cambiamento climatico globale Emissioni di CO2 (a lungo termine, quando sarà stata individuata una metodologia semplificata, questo indicatore si incentrerà sull’impronta ecologica)

3 Mobilità locale e trasporto passeggeri Trasporto passeggeri quotidiano: distanze e modalità

4 Disponibilità di aree verdi e servizi locali per i cittadini Accesso dei cittadini a parchi e giardini pubblici e ai servizi di base

5 Qualità dell’aria all’esterno a livello locale Numero di giorni in cui la qualità dell’aria è buona

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A INDICATORI AGGIUTIVI (facoltativi)

nr Indicatore

6 Spostamenti degli scolari verso e dalla scuola Modo di trasporto utilizzato dagli scolari per recarsi da casa a scuola e viceversa

7 Gestione sostenibile degli enti locali e delle imprese locali Percentuale degli enti pubblici e privati che adottano e usano procedure di gestione sociale e ambientale

8 Inquinamento acustico Percentuale della popolazione esposta ad inquinamento acustico dannoso

9 Uso sostenibile del territorio Sviluppo sostenibile, ripristino e tutela del territorio e dei siti appartenenti al comune

10 Prodotti che promuovono la sostenibilità Percentuale sul consumo totale di prodotti contrassegnati dal marchio ecologico, biologici o provenienti dal commercio equo e solidale

Per un’analisi più dettagliata degli ECI è possibile consultare materiale o dal sito dell’Istituto Ambiente Italia oppure da altri siti come Legambiente o l’Agenzia europea per l’Ambiente.

4.10 Gli indicatori di sostenibilità locale ed urbana nel contesto italiano In Italia il tema degli indicatori di sostenibilità è stato affrontato ancora parzialmente. Alcune città, province o regioni hanno messo a punto proprie selezioni di indicatori, rifacendosi in parte ai modelli internazionali sopra citati e adeguandoli agli specifici contesti locali. Oltre alle iniziative operate da soggetti istituzionali locali, vi sono altre proposte partite da altri soggetti come, ad esempio Legambiente, la quale dal 1994 realizza, in collaborazione con Ambiente Italia, il rapporto Ecosistema Urbano. Si tratta di una relazione con cadenza annuale, strutturata su di una ventina di indicatori (riferiti sia allo stato dell’ambiente che alla pressione esercitata su di esso da attività antropiche, che alle risposte attivate). Le esperienze locali e quelle di Ecosistema Urbano forniscono importanti elementi di verifica e valutazione circa la disponibilità di dati e le eventuali difficoltà di applicazione di sistemi di indicatori nelle realtà locali italiane. Tenendo conto delle esperienze internazionali e delle esperienze italiane sopracitate, l’ENEA nel 1998, nell’ambito della Conferenza nazionale Energia e Ambiente, ha presentato un documento (“Messa a punto di un sistema integrato di indicatori sull’ambiente urbano e progettazione di un centro nazionale di monitoraggio”), con l’obiettivo di avviare un progetto di rilevanza nazionale. La proposta di indicatori è considerata come provvisoria e da verificare anche attraverso un confronto diretto con le città italiane. Un altro modello di indicatori per le città è stato proposto da Il Sole 24 Ore, nella sua annuale classifica della qualità della vita nelle città. Indipendentemente dai criteri di

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aggregazione e ranking, questa classifica ha proposto un sistema di 36 indicatori articolati su sei aree tematiche:

1) tenore di vita; 2) affari e lavoro; 3) servizi e ambiente; 4) tempo libero; 5) popolazione; 6) criminalità.

Nel sistema di indicatori de Il Sole 24 ore gli aspetti ambientali e territoriali sono direttamente considerati solo con tre indicatori (valore dell’ecosistema urbano che è un indice derivato dal rapporto annuale di Ambiente Italia e Legambiente, il tasso di motorizzazione e la densità demografica) mentre molta enfasi è riservata agli aspetti economici e alla disponibilità di servizi “business-oriented”. Infine, va ricordato che il Coordinamento Italiano Agende 21 locali, nato nell’aprile del 1999 per iniziativa di circa cinquanta amministrazioni locali, ha istituito un gruppo di lavoro sul tema degli indicatori con l’obiettivo di operare scambi di esperienze fatte, ma anche di interloquire direttamente con gli enti che a livello nazionale ed europeo stanno mettendo a punto sistemi di indicatori.

4.11 Informazione digitale ed indicatori La rapida crescita di internet, unita alla creazione non solo di nuovi strumenti per la I.C.T., ma anche il potenziamento di quelli esistenti (si pensi all’avvento dei videotelefoni con tecnologia UMTS, i quali rappresentano nuove forme ibride che racchiudono in un solo apparecchio differenti modalità di utilizzo che va dall’essere un vero e proprio palmare a GPS) ha dato vita a nuove opportunità, non solo per la raccolta e la memorizzazione dei dati, ma anche per le operazioni di manipolazione e diffusione delle informazioni riguardanti contesti socio-economici a vari livelli di scala geografica. Questa rivoluzione sta dando vita a nuovi approcci metodologici nel trattamento delle informazioni correlate a percorsi di sostenibilità e ciò non solo nella gestione ed analisi dei dati, ma, per l’appunto, anche nel trattamento dei flussi informativi in forme sempre più sofisticate. In particolare voglio ricordare che l’apporto della tecnologia digitale può permettere:

una costruzione di databases territoriali strutturati su differenti scale geografiche. VI è, quindi la possibilità tecnica di monitorare politiche ambientali su differenti scale geografiche che da un livello urbano o regionale possono raggiungere la scala nazionale; una migliore qualità dei dati per analisi più dettagliate. La capacità di

gestire dati qualitativamente migliori (come, ad esempio, quelli provenienti da

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riprese satellitari o la creazione di semplici correlazioni tra documenti ed indicatori all’interno di strutture ipertestuali) può garantire maggiori vantaggi e potenzialità, e ciò attraverso procedure informatiche che permettono di operare analisi comparate tra differenti documenti; la creazione di portali internet strutturati in funzione degli indicatori.

Questa possibilità ha aperto nuovi e potenti scenari attraverso la possibilità di strutturare un servizio, preferibilmente pubblico, basato su differenti tipologie di intervento: analisi con sviluppo di report, sintesi analitiche scaturite da differenti tipologie di dati incrociati, possibilità di condividere i dati tra differenti enti attraverso la creazione di network, la possibilità di sviluppare procedure di partecipazione che oltre ai tradizionali mezzi usino anche la rete, etc.

Nei capitoli successivi tratteremo di queste opportunità favorite dall’avvento delle tecnologie incentrate sulla ICT, le quali permettono sempre di più una interazione sinergica tra differenti strumenti favorendo lo sviluppo di nuove metodologie tanto nei processi di analisi del territorio che in quello di comunicazione orizzontale. Tali tecnologie possono garantire la gestione di una grande mole di informazioni strutturate tanto su banche dati costituite da elementi geografici - riprese satellitari od aeree – che da dati in forma alfanumerica e relativi a dati statistici di natura socio-economica ed ambientale. E’ importante evidenziare che questi dati potranno essere analizzati attraverso appositi tools, analisi che permetteranno poi la creazione di output grafici di facile lettura e quindi dal forte impatto comunicativo anche per mezzo dell’uso della rete. In tal senso le tecnologie legate ai sistemi GIS, ad esempio, potrà permettere nelle attività di management urbano tanto la possibilità di una migliore gestione ed utilizzo degli indicatori urbani, da utilizzare tanto nelle macro-analisi che nelle operazioni riguardanti porzioni di territorio urbano che la possibilità di gestire mappe di scenario, ovvero la possibilità di immaginare come determinate scelte politiche o socio-economiche possano influenzare il processo di crescita della città attraverso la creazione di modelli virtuali.

4.12 Conclusioni Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, l’introduzione del concetto di sviluppo sostenibile all’interno di programmi di azione politico-economica e sociale ha reso necessario fornire non solo un supporto nell’azione dei decision maker ma anche azioni volte al monitoraggio delle politiche ambientali attraverso operazioni analitiche di sintesi ancorate sugli indicatori di sostenibilità. La formulazione teorica degli indicatori ha seguito molto l’evoluzione conoscitiva nel campo della teoria dei sistemi complessi, applicata oramai non più solo ad ambiti scientifici circoscritti, ma divenuta riferimento teorico anche nelle scienze sociali. Metodologicamente si è, quindi, assistito alla creazione di molti frameworks al cui interno trovano posto diversi tipi di indicatori, strutturati essenzialmente secondo un

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approccio dinamico ed adattabile alle specificità locali. E’ da dire, però, che ancora oggi le limitazioni teoriche insite nella teoria generale dei sistemi, si traducono poi in limitazioni operative che rendono gli indicatori imperfetti e non applicabili universalmente. Ciò fa’ sì che operativamente sia necessario attuare dei compromessi, poiché solo attraverso di essi è possibile raggiungere quell’equilibrio teorico-operativo capace di permettere la descrizioni dei fenomeni complessi. In tal senso, un’approssimazione di cui spesso si deve tenere conto è rappresentata dalla possibilità di usare forme qualitative a forme quantitative di indicatori. Relativamente a questa approssimazione, Gallopin (1997) ha indicato tre casi nei quali un indicatore qualitativo è da preferirsi a quello quantitativo:

quando l’informazione quantitativa non è disponibile; quando un attributo che interessa ai fini della descrizione di un fenomeno risulta

non rappresentabile in termini quantitativi; quando i costi sono sproporzionati all’obiettivo che ci si è proposto.

Dovendo, quindi, gli indicatori fornire indicazioni analitiche su strutture di dati complesse, essi sono spesso frutto del compromesso tra le differenti componenti, quali la misurabilità, il costo economico, la semplicità di lettura, etc. In tal senso è possibile definire quelli che sono gli ambiti che richiedono ancora studi approfonditi. In particolare credo siano emersi tre ambiti problematici:

1. a livello di produzione degli indicatori di sostenibilità, è da approfondire tanto la questione della validità scientifica che quella della sensibilità nel misurare determinate variabili sistemiche. In particolare la questione è legata al problema rappresentato dell’incertezza, sia da un punto di vista metodologico ed epistemologico che tecnico;

2. a livello di comunicazione è importante chiedersi in che modo e quali indicatori possono permettere il più ampio accesso della popolazione ai processi decisionali o, ancora se la comunicazione avviene in modo efficiente e, soprattutto, neutro. In particolare, l’U.E. (Commission's indicator working group) considera primario il discorso legato alla neutralità dell’informazione trasmessa, in quanto essa deve essere accettata da tutti gli attori che partecipano al processo di progettazione. Inoltre dalla neutralità dovrebbero scaturire alcune caratteristiche degli indicatori, in particolare:

dovrebbero garantire la trasparenza delle politiche urbane e contenere le informazioni necessarie;

prevedere forme di aggregazione (di indicatori o indici) tali da permettere semplificazioni nei processi di comunicazione permettendo, così, a tutti gli attori di partecipare ai processi decisionali;

permettere una immediata distinzione tra differenti tipologie di indicatori, in particolare tra quelli puramente quantitativi da quelli che sono valori obiettivo;

dovrebbero essere correlati a dati socio-economici e statistici; dovrebbero riflettere la struttura socio-politica all’interno della quale

avviene in dibattito politico.

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3. si deve rafforzare il carattere informativo (in senso pedagogico-partecipativo, ovvero attraverso una continua azione e retroazione) degli indicatori affinché si crei il giusto rapporto tra consapevolezza e aspettative nei cittadini. La struttura sistema dei nostri ambienti, così come per gli altri strumenti di verifica, dipendono largamente da questo processo di continua interazione tra le varie componenti ed in cui un cambiamento comportamentale, relativo ai consumi o alla produzione dipende largamente dall’assunzione delle "migliori" decisioni possibili. Ecco allora la necessità che le migliori decisioni devono essere caratterizzate dalla migliore integrazione possibile del flusso informativo all’interno del processo decisionale.

Raggiungere gli obiettivi di cui sopra, significa innanzitutto l’attuazione di precisi obiettivi politico-programmatici, ma anche, da un punto di vista tecnico, attuare più efficaci tecniche di analisi del territorio e di elaborazione dei dati, in modo tale da garantire quei processi comunicativi e partecipativi che sono alla base delle politiche di sostenibilità urbana. Ed è proprio in tale chiave che emerge forte la necessità, soprattutto in realtà urbane dove la complessità si esprime anche attraverso fenomeni di quali la molteplicità, l’incertezza e il conflitto, la necessità di organizzare e gestire il flusso informativo attraverso l’ uso dei sistemi informativi territoriali. Quindi un sistema informativo che funga da elemento di giunzione tra le varie componenti al fine di rendere più forte la comunicazione.

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CAPITOLO 5

ICT e sue le componenti costitutive

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5. ICT e le sue componenti costitutive

5.1 Introduzione Questo capitolo tratta essenzialmente l’aspetto tecnologico legato alla ICT e le possibili ricadute operative che si possono avere attraverso l’uso della stessa. Innanzitutto si cercherà di capire cosa esattamente si intende quando parliamo di ICT e quali sono le sue espressioni tipologiche. Quindi si passerà ad analizzare quelli che sono gli elementi costitutivi della ICT, ovvero accesso (access), infrastruttura e contenuti (contents). Questi tre elementi verranno poi ripresi in un paragrafo successivo dove verranno trattati con riferimento ai possibili apporti in un ambito più propriamente locale.

5.2 Cos’è la Information Communication Technology? Negli ultimi anni si è sempre più sentito parlare di Information Communication Technology (ICT). Ma che cosa significa esattamente ICT e quali sono gli elementi essenziali che la costituiscono? Se da un lato è possibile identificare gli elementi che costituiscono la ICT, dall’altro non risulta facile fornire una definizione univoca della ICT, poiché non esiste una generale e condivisa definizione. Per sua natura il settore della ICT è un campo estremamente dinamico ed in continua evoluzione in ambiti temporali relativamente ristretti. Molte volte più che una definizione della ICT si preferisce definirne gli ambiti dove la ICT opera. In tal senso, ad esempio, l’Istituto Nazionale di Statistica Olandese (CBS) disegna una distinzione tra ambiti operativi della ICT: un primo ambito legato ad aspetti più propriamente industriali, ed un secondo ambito legato al settore dei servizi. Questa definizione ricalca quella più generale operata dalla OECD, la quale opera una classificazione legata più che altro ai settori dove opera la ICT e, cioè:

quello manifatturiero, ad esempio la fabbricazione di macchine per ufficio o di elaboratori e sistemi informatici; oppure la fabbricazione di apparati riceventi radio TV, per registrazione e riproduzione di suoni od immagini e prodotti connessi; il settore dei beni legati ai servizi, ovvero quelli legati alla distribuzione e al

commercio all’ingrosso di macchinari per telecomunicazioni, apparati elettrici, computer etc.; il settore legato ai servizi immateriali, ovvero attività di radio e

telecomunicazione, consulenze software e hardware, database activities, servizi di telematica o robotica, etc.; il settore legato all’industria dei contenuti, ad esempio pubblicazione di libri,

supporti sonori, proiezioni cinematografiche, etc.

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Seppure tale distinzione appaia limitativa, in quanto essenzialmente legata alla produzione industriale, nel corso degli ultimi anni ha acquisito sempre più rilevanza strategica l’aspetto legato all’utilizzo della ICT come strumento atto a produrre informazioni, nuova conoscenza e nuovi contenuti.

Figura 5-1. La figura rappresenta fornisce più che una definizione della ICT, gli ambiti dove questa opera (Fonte: OECD)

Sempre nel tentativo di fornire una definizione, altri soggetti, istituzionali e non, hanno adottato differenti metodologie, che vanno da approcci legati al mondo finanziario a quello di settori legati alla new economy. I tentativi, più che fornire dei chiarimenti epistemologici, sono stati, in realtà, delle operazioni puramente tecniche e rivolte più che altro a fornire delle basi metodologiche ai rispettivi ambiti operativi. Alla luce di tale stato dell’arte, e volendo muoversi su di un terreno generale, ma che al contempo permetta di chiarire alcuni concetti basilari, possiamo dire che nella ICT si fondono differenti componenti1, quali la computer technology, le

1 Telematica: fr. télématique, ingl. telematics. Disciplina nata dalla combinazione della telecomunicazione e dell'informatica. Il termine fu pubblicato per la prima volta da Simon Nora ed Alain Minc nel 1978 (L'informatisation de la Societe - La Documentation Francaise). I due ispettori delle Finanze, incaricati del governo francese, studiarono l'impatto e le conseguenze nella società di una nuova economia basata sulla telecomunicazione ed i computer (new economy). Il termine telematica a volte viene erroneamente confuso con quello più ampio di Information Technology (IT). Rif. Bibl.: "The Computerization of Society", Nora Simon, Alain Minc, Cambridge MIT Press, 1980.

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telecomunicazioni, l’elettronica e i media (Van Rijsselt and Weijers, 1997; Van Winden, 2003). Esempi in tal senso sono rappresentati dai PC, internet, telefonia mobile, TV via cavo, sistemi di pagamento elettronico, etc. In tal senso la ICT ha finito con il legare sempre più la componente Information Technology (IT) con quella relativa alla Communication Technology (CT). In particolare quando quest’ultima ha assunto vesti nuove, cioè con l’avvento delle tecnologie a rete, l’informazione ha finito con il perdere quella caratteristica rappresentata dall’elaborazione su macchine stand alone per divenire una componente condivisa con altre macchine di una rete (sia LAN che quella globale di internet). Un elemento da rammentare è il fatto che allorquando parliamo di CT e di IT non bisogna pensare subito alle moderne tecnologie presenti oggi nella nostra quotidianità. Al contrario queste due tecnologie si sono evolute nel corso dei secoli per poi approdare, soprattutto dagli anni ’90 alle forme digitali che ne hanno sempre più sfumato i rispettivi confini. La CT, ad esempio, segue l’evoluzione della cultura umana, partendo dalle prime forme di comunicazione, rappresentate, ad esempio dal suono dei tamburi o delle campane, per poi evolversi verso forme più sofisticate, come ad esempio il telegrafo, la radio o la televisione. Una componente innovativa nei processi di CT è stato il telefono, il quale ha aperto, per la prima volta, una forma interattiva di comunicazione in tempo reale. Negli ultimi anni, l’avvento della rete ha permesso, ad un numero sempre maggiore di persone, di interagire con altre persone in una serie di processi comunicativi che potevano esprimersi nelle più disparate forme: audio, video, suoni e scambio dati. E tutto ciò a livello globale. Riguardo alla IT, essa è una forma di tecnologia che può aiutarci nella gestione di processi di immagazzinamento o amministrazione di informazioni. Essa ha subito profonde trasformazione dagli anni ’40 dello scorso secolo, allorquando furono teorizzati e costruiti i primi computer, permettendo, in tal modo, la gestione di masse sempre più grandi di informazioni. L’avvento della rivoluzione elettronica digitale, come detto, ha sfumato sempre più i confini tra le IT e la CT, permettendo la gestione di una sempre maggiore quantità di informazioni, ma anche nuove e sempre più sofisticate forme di comunicazione. Tutto ciò ha generato un forte impatto nella cultura contemporanea, aprendo nuove opportunità di sviluppo, ma anche generando nuovi interrogativi.

Telecomunicazione: (etim. gr. têle: da lontano, a distanza). Comunicazione a distanza di suoni, immagini, parole e testi (cfr. Informazione) rappresentati in forma digitale o analogica, e trasmessi attraverso conduttori elettrici (cfr. Cablaggio) o onde radio (cfr. Hertz). Le telecomunicazioni denotano la tecnologia attraverso la quale vengono inviati i segnali elettrici.

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5.3 Tipologie di ICT Il presente paragrafo si soffermerà sugli aspetti tipologici della ICT. In particolare faccio riferimento alle diverse componenti in cui possiamo suddividere la ICT (Snellen, 2002; Van Winden, 2003), ovvero:

database technologies; decision support systems; networking technologies; multimedia technologies; identification technologies.

Vediamo più in dettaglio la suddivisione operata da Snellen.

Figura 5-2. La figura mostra le componenti della ICT secondo Snellen (2002)

5.3.1 Database technologies Per comprendere appieno cos'è e su quali criteri si basa questa tecnologia, nonché quali sono i vantaggi legati al suo impiego, soprattutto nel settore gestionale, cominciamo con il cercare di dare una definizione di Database (Db). Un Database (Db) può essere definito come un insieme di dati strettamente correlati, memorizzati su un supporto di memoria di massa, costituenti un tutt'uno, che possono essere manipolati da più programmi applicativi. Un'altra possibile definizione può considerare un Database come un sistema di gestione di dati integrati, ricompilati e immagazzinati secondo precisi criteri, necessari ad una determinata attività che si deve svolgere. I programmi di gestione di Data base

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realizzano una serie di operazioni che consentono di svolgere tutta una serie di operazioni, che possono riguardare:

l’immissione e cancellazione di dati, la modifica di dati già introdotti, la ricerca di dati attraverso criteri definiti dall'utente, l’ordinamento e classificazione dei dati singolarmente o secondo vari criteri, la stampa di rapporti o relazioni.

Oggi l’uso di programmi di gestione dei Db sono divenuti sempre più familiari, e ciò per molteplici ragioni. Innanzitutto la possibilità di gestire con software “friendly” tutta una serie di procedure che prima richiedevano conoscenze estremamente dettagliate come, ad esempio, quella di linguaggi di programmazione. Quindi la capacità, da parte del programma di ridurre le ripetitività (basti pensare agli archivi cartacei delle biblioteche, in cui i volumi sono ordinati per autori e per titoli) o di permettere di relazionare i dati tra loro. In ultimo, ma non meno importante, la possibilità di ridurre i costi e garantire un elevato livello di efficienza. Senza scendere in dettagli che esulano dalla presente trattazione, possiamo distinguere diverse tipologie di database, in particolare Database gerarchici, Database reticolari, Database relazionali e Database ad oggetti. Esse si differenziano sulla scorta delle seguenti caratteristiche:

a) Database gerarchico. Trae origine dalle strutture di memoria utilizzate quando si impiegavano tecniche sequenziali. Questo modello logico rappresenta le informazioni in maniera compatta, senza differenziarle dallo loro realtà fisica. Ogni record ha infatti valore nel suo contesto. Presenta, quindi, una struttura ad albero, ove la cima della gerarchia è rappresentata dalla radice che ha uno o più elementi inferiori ad essa relazionati, senza alcuna connessione tra gli elementi della stesso livello. E’ una struttura essenzialmente inflessibile e pertanto alquanto svantaggiosa. L’impiego del modello gerarchico presenta poi qualche difficoltà allorché si debba procedere all’aggiornamento della base dei dati, o si debba invece procedere ad una sua espansione o riduzione.

b) Database reticolare. E’ un modello molto elaborato, che offre una rappresentazione molto compatta, ammettendo per ogni record strutture superiori e inferiori. E’ alquanto simile al modello gerarchico, ma presenta tuttavia una maggiore flessibilità poiché consente collegamenti anche tra elementi appartenenti allo stesso livello. In questa struttura a rete ogni elemento o gruppo di elementi simili è connesso a diversi elementi appartenenti a livelli diversi senza vincoli nel tipo di relazione. La base dei dati è dipendente dalla rappresentazione fisica delle informazioni che esprime, è agevolmente aggiornabile e ridimensionabile.

c) Database relazionale. E’ il modello più semplice e più immediato. Infatti, nell’ambito di una relazione, ogni informazione deve essere di tipo elementare. La base dei dati viene definita, in questo modello, come un insieme di relazioni normalizzate di grado diverso e variabili nel tempo. Nessun problema si pone per l’espansione o per la riduzione

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della base dei dati, né tantomeno per il suo periodico aggiornamento. In questa struttura i dati sono organizzati in tabelle dove le righe sono i record e le colonne sono i campi. In genere non vi è gerarchia di campi all’interno dei record, poiché ciascun campo può essere usato come chiave di ricerca attraverso interrogazioni interattive. I dati sono organizzati come insiemi di valori nei record e raggruppati in tabelle bidimensionali salvate ognuna come un singolo file. Attraverso gli attributi in esse contenuti si possono stabilire delle relazioni tre le diverse tabelle, ottenendo una grande flessibilità della struttura, che risulta di fatto fra le più utilizzate e diffuse.

d) Database ad oggetti E’ la struttura di più recente sperimentazione e sviluppo. In essa un qualsiasi oggetto può essere rappresentato con precisione come entità omogenea indipendente. Gli elementi costituenti questo modello sono gli oggetti e le loro classi.

Figura 5-3. La figura mostra le differenti tipologie di Db (Fonte: A.K. Yeung, 1998)

Tutti questi diversi modelli logici possono coesistere in un archivio elettronico di dati, quando la loro utilizzazione venga opportunamente armonizzata dal sistema di gestione. Appare tuttavia utile osservare che la struttura gerarchica offre il vantaggio di considerare i dati in una forma ordinata, e che la suddivisione degli oggetti in categorie, sottocategorie, etc. facilita l’elaborazione dei dati medesimi. A fronte di questo vantaggio essa comporta però maggiori difficoltà nelle operazioni di aggiornamento e correzione dei dati, e richiede inoltre un sistema di codifica molto

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articolato, capace di individuare sia gli oggetti che il loro livello gerarchico. Un inconveniente di non poco conto allorché si proceda all’acquisizione dei dati per mezzo della restituzione fotogrammetrica. La struttura relazionale presenta invece al confronto una concezione molto più semplice, come semplice risulta il sistema di codifica che talvolta si riduce soltanto all’indicazione del livello di appartenenza dell’oggetto. Aspetto tipico della struttura relazionale è infatti quello di distribuire gli oggetti in livelli, cioè in raggruppamenti, che hanno però la caratteristica di essere tra loro indipendenti, e che concettualmente ripetono il criterio di suddivisione della rappresentazione grafica su supporti tematici separati. Oggi i principali Data Base in circolazione sono di tipo relazionale, ciò perché praticamente tutti gli insiemi di dati che corrispondono a entità complesse organizzate come imprese, scuole, associazioni varie, o quanto altro si vuole organizzare, implicano collegamenti tra i vari dati. La norma fondamentale per stabilire relazioni tra tabelle, cioè tra contenitori di dati correlabili, è che il campo di collegamento non deve avere ripetizioni, ossia ogni record deve potere essere identificato in maniera univoca. Il campo che permette l'identificazione di ogni record è detto "chiave primaria" e deve essere comune alle tabelle che si intende correlare. I vantaggi offerti dai Data base di tipo relazione possono essere molteplici; in particolare:

I dati non sono duplicati; l’accesso è gestito in base a privilegi fissati dal DBMS; i vincoli di consistenza possono essere fissati all'interno del DBMS; accesso concorrente ai dati controllato dal DBMS che gestisce la mutua

esclusione dei programmi.

Molti dei concetti e definizioni legati alla tecnologia DSS risalgono alla fine degli anni ’70 e li dobbiamo alle ricerche di Corry e Morton. Essi definirono problemi decisionali di natura semistrutturata a livello strategico come unico dominio della DSS. Da ciò discende che l’obiettivo della tecnologia DSS è quello di facilitare ed aiutare i progettisti o i decisori politici nei processi decisionali, tanto in termini di efficacia che di efficienza (Arentze, 1999). In termini generali un DSS è un sistema in grado di fornire ai soggetti decisori un supporto che incrementi l’efficacia del processo di formulazione delle decisioni (Poletti, 2001). In termini operativi questi sistemi sono usati quando si operano simulazioni per la valutazione di scenari alternativi, valutazioni che verranno formulate sulla scorta di scale di valori proposte dai decisori. Da un punto di vista tecnico un DSS si fonda sul presupposto che ogni decisione o processo decisionale può essere traslato e strutturato sotto forma algoritmica. La figura 5-5 mostra le varie discipline coinvolte nel dominio di ricerca dei DSS.

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Figura 5-4. Come si evince dalla figura un DBMS può gestire, in un unico “contenitore” differenti applicazioni, a differenza del vecchio modello strutturato su file systems.

Figura 5-5. In figura le discipline di ricerca legate ai Decision Support System

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E’, difatti, proprio grazie a differenti contributi disciplinari (informatica, ricerca operativa, intelligenza artificiale, etc.) che sono stati sviluppati i DSS. Ma chi sono gli utilizzatori o i decision makers? Utilizzatori e decision makers hanno ruoli differenti e per questo possono essere rappresentati da differenti soggetti. Alter (1980) definisce gli utilizzatori come “persone che comunicano direttamente con il sistema sia in modalità on-line che offline, ricevendo da questo informazioni (output)”; viceversa i decision makers come “persone che prendono decisioni manageriali sulla base dell’output fornito dal sistema”. Sulla scorta di tale definizione e sulla base delle scelte operate nelle fasi iniziali, questi due soggetti possono o non coincidere con la stessa persona o gruppo di persone. Il più delle volte, però, questi due ruoli sono separati e vi è un facilitator che funge da elemento di raccordo tra i vari ruoli che partecipano al processo decisionale. Il facilitator è quindi un soggetto particolarmente importante nelle procedure di progettazione partecipata, il quale attraverso le sue conoscenze sia sulle procedure di analisi che sulla natura del sistema informativo, può facilitare la comunicazione. Una decisione strategica, strutturata in funzione della situazione presente e degli obiettivi di progetto, è quella possibile scelta tra le tante possibili che tende, meglio delle altre, al raggiungimento o alla riduzione tra l’obiettivo individuato e la situazione di fatto. Queste caratteristiche di un DSS comportano sia la formulazione di alternative che di analisi degli impatti e l’interpretazione e la selezione di appropriate opzioni per l’attuazione (Poletti, 2001). Le aree dove i DSS trovano applicazioni sono svariate; Sprague (1989) ne elenca alcune:

1. supporto nei processi decisionali con particolare enfasi su processi decisionali semi-strutturati (2);

2. supportare tutte le fasi che caratterizzano un processo decisionale; 3. supportare una varietà di processi decisionali senza dipendere da nessuno di

questi processi; 4. supportare, durante le fasi del processo decisionale, una partecipazione attiva

da parte degli utenti; 5. facilità nel suo utilizzo.

In conclusione possiamo dire che il primo obiettivo di un DSS è quello di assistenza nei processi decisionali. Per questo, il sistema dovrebbe supportare anche un processo di aiuto nella formulazione, non solo degli scenari risultanti da determinate scelte, ma anche nel fornire supporto al fine dell’individuazione di obiettivi strategici. E’ proprio in funzione di tale caratteristica che molti autori parlano non solo di decision making ma anche di decision search (Densham, 1991; Arentze, 1999).

2 Problema semi-strutturato: un problema si definisce semi-strutturato allorquando o vi sono incertezze e indecisione da parte dell’autorità che deve gestire il progetto, oppure riguardo agli effetti relazionali tra le varie componenti del processo progettuale (Stabell, 1979; Bosman, 1989; Arentze, 1999).

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5.3.2 Spatial Decision Support System (SDSS) Un elemento che negli ultimi dieci anni è divenuto sempre più importante nei processi di analisi delle aree urbane e non, è rappresentato dagli Spatial Decision Support System (SDSS). Esso è uno strumento informatico che attraverso la conservazione e l’elaborazione di una serie di dati strutturati fornisce un flusso informativo di supporto alle decisioni. Dentro un processo politico di pianificazione sostenibile, il ruolo principale delle architetture informatiche è quello di fornire ai differenti partecipanti, quindi cittadini ed istituzioni, un flusso informativo che permetta loro di valutare nel miglior modo possibile gli effetti delle alternative in gioco, sia di successo che di fallimento. Il processo di sviluppo di un SDSS è composto da quattro parti principali:

acquisizione e valutazione dei dati: da effettuarsi con l'uso di tecniche avanzate di visualizzazione di immagini per acquisire dati correnti e dettagliati. Già nella fase di acquisizione deve avvenire una prima valutazione dei dati in ingresso nel sistema con creazione di indicatori aggregati attraverso l'utilizzo di opportuni pesi che l'utente stesso deve decidere a seconda della propria strategia di sviluppo territoriale ed economica (applicata al territorio).

disegno e costruzione di un database: è necessario che vengano sviluppate strutture di dati relazionati perché all'utente sia chiaro su cosa deve prendere le decisioni. In questo database andranno introdotti i dati acquisiti e valutati precedentemente in maniera chiara e logica. Fondamentale è che il database abbia un'interfaccia che faciliti la rappresentazione dei dati per l'utente: bisogna che sappia rispondere adeguatamente alle queries che l'utente vuole proporre per consentire una continua riutilizzazione delle informazioni.

modellazione di previsioni spazio-temporali: è in questa parte che sta la forza dei SDSS. Il sistema è fornito di strumenti di analisi spazio-temporali applicabili ai dati disponibili e, soprattutto, attraverso modelli di previsione, rende possibile l'analisi su scenari "possibili" ipotizzati ed introdotti dall'utente. L'utilizzo di preliminari analisi di adattabilità e di proiezioni future della domanda di utilizzo del suolo, sono di supporto e di suggerimento all'utente affinché possa prefigurarsi (e proporre al software) al meglio gli scenari di ipotesi. La modellazione risponde in concerto su quali possano essere le migliori allocazioni, a seconda della situazione, di nuove infrastrutture o di nuovi servizi.

visualizzazione del risultato: mediante supporto grafico e tecniche dinamiche tridimensionali. E' necessario mostrare in modo efficace i risultati delle simulazioni generate dai modelli di previsione. Solo in questo modo l'utente potrà valutare facilmente l'impatto provocato sul territorio dalle sue decisioni.

In termini operativi possiamo dire che uno SDSS è un sistema computerizzato ed interattivo, basato sull’uso della tecnologia GIS - la quale fornisce modelli e tecniche tipici delle strutture DSS – ed il cui obiettivo è quello di supportare in modo efficace chi deve intraprendere decisioni (3) attraverso la soluzione di problemi semi-strutturati su dati spaziali (quindi georiferiti) (NCGIA, 1996) 3 Riguardo ai processi decisionali – decision-making process – Simon (1960) suggerisce che ogni processo decisionale può essere incentrato su tre fasi (figura 5-x):

- Intelligence, ovvero c’è un problema a cui è possibile dare una soluzione? - Design, ovvero, quali sono le alternative possibili? - Choice, ovvero quale alternativa è la migliore?

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Nei programmi per SDSS, l'utilizzatore del modello impara come raggiungere i suoi scopi testando iterativamente gli scenari alternativi. Tramite l'approccio iterativo l'utente ha la possibilità di modellare gli scenari e di notare gli effetti su di essi di un cambiamento nei dati in modo da migliorare ad ogni passo l'impatto sul territorio. Da un punto di vista teorico possiamo meglio comprendere quanto detto se attribuiamo ulteriore senso a quanto sopra detto, ovvero:

un processo decisionale semi-strutturato (vedasi figura 5-6) implica, tra l’altro: - accuratezza con la quale si è strutturato il problema; - ogni problema decisionale è compreso in un range che va dal

completamente strutturato al non strutturato (Simon, 1960) - i processi decisionali strutturati possono essere programmati e quindi risolti

dai computer; viceversa i processi decisionali non strutturati si presentano allorquando non è possibile strutturare il problema sulla base di una solida teoria; appare ovvio che in questo ultimo caso i decision makers non possono avvalersi del supporto delle macchine ma devono provvedere o in base alla loro esperienza o al tentativo di creare un processo decisionale semi-strutturato. Ed è per tale tipologia di problemi che sono stati introdotti i SDSS;

efficacia nel processo decisionale - il principale obiettivo del processo decisionale è quello di aumentare

l’efficacia più che l’efficienza; questo obiettivo è raggiungibile se si riesce ad incorporare nel procedimento non solo l’elemento, per così dire digitale legato alla macchina, ma anche l’elemento legato al giudizio umano;

- un altro elemento che permette una maggiore efficacia è rappresentato dalla semplicità non solo nell’uso del sistema, ma anche nella sua gestione, ovvero attraverso la creazione di “profili” operativi non estremamente complessi e quindi proprio per questo dotati di maggiore efficacia;

supporto nelle decisioni, ovvero il sistema deve aiutare l’utente nella gestione e comprensione delle problematiche e delle possibili alternative, e ciò in tutte le fasi del processo decisionale;ciò, in genere, si può caratterizzare attraverso degli output costituiti da mappe, cartine o tabelle facilmente interpretabili da parte degli utilizzatori.

Le componenti di un SDSS sono rappresentate da un Data Base Management System (DBMS), che contiene le funzioni di gestione del data base geografico, da un MBMS, ovvero un Model Base Management System contenente le funzioni di gestione del modello base; ed, infine, un DGMS, ovvero un Dialog Generation and Management System, cioè una interfaccia capace di gestire l’interazione tra l’utente ed il resto del sistema.

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Figura 5-6. La figura illustra come un sistema DSS si interfacci tra l’uomo e la macchina. E’, inoltre, visibile come la tipologia del problema, ovvero se non strutturato o strutturato, può comportare l’uso o meno del computer. (Fonte, NCGIA, http://www.ncgia.ucsb.edu/)

Figura 5-7. Le componenti del processo decisionale secondo Simon (fonte : NCGIA, http://www.ncgia.ucsb.edu/)

Figura 5-8. La figura sopra mostra le componenti di un SDSS (fonte: NCGIA, http://www.ncgia.ucsb.edu/)

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Tabella 5.1. relativa alle funzioni di un SDSS (Fonte: NCGIA, http://www.ncgia.ucsb.edu/ )

Components Functions Data Base and Management

• Types of data o locational (e.g. coordinates) o topological (e.g. points, lines, polygons and

relationships between them) o attributes (e.g. geology, elevation,

transportation network) • Logical Data Views

o relational DBMS o hierarchical DBMS o network DBMS o object-oriented DBMS

• Management of Internal and External Databases o acquisition o storage o retrieval o manipulation o directory o queries o integration

Model Base and Management

• Analysis o goal seeking o optimization o simulation o what-if

• Statistics and forecasting o exploratory spatial data analysis o confirmatory spatial data analysis o time series o geostatistics

• Modeling decision maker's preference o value structure o hierarchical structure of goals, evaluation

criteria, objectives and attributes o pairwise comparison o multiattribute value/utility o consensus modeling

• Modeling uncertainty o data uncertainty o decision rule uncertainty o sensitivity analysis o error propagation analysis

Dialog Management

• User friendliness o consistent, natural language comments o help and error messages o novice and expert mode

• Variety of dialog styles o command lines o pull-down menus o dialogue boxes o graphical user interfaces

• Graphical and tabular display o visualization in the decision space (high-

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resolution cartographic displays) o visualization in the decision outcome space

(e.g. two and three-dimensional scatter plots and graphs, tabular rapports)

I SDSS incorporano diversi tipi di informazione (per lo più sono di tipo spazio-referenziato), in particolare: utilizzano le tecnologie informatiche più avanzate:

• GIS (Geographic Information System); • sistemi esperti; • internet (World Wide Web); • software di simulazione del trend di crescita; • altri strumenti di analisi spaziale, software multimediale e appropriate

infrastrutture di dati spaziali che possono essere create o utilizzate durante lo studio di un certo problema;

prendono in considerazione un ampio range di impatti a lungo termine derivanti da un processo di politica decisionale; i SDSS simulano infatti impatti diversificati a seconda del tipo di dati in ingresso e del tipo di elaborazione.

Da un punto di vista urbanistico-territoriale, i SDSS altro non sono che un'evoluzione dei DSS, gestendo l’interazione tra tecnologie informatiche e pianificazione urbanistica-territoriale, con particolare attenzione alla ricerca sullo sviluppo di un'infrastruttura informatica adattabile alle informazioni spaziali nell'ambito urbano (presente e futuro) con l'obiettivo di cogliere la struttura spaziale urbana, ed infine sulla valutazione dell'impatto di un'emergente tecnologia informatica. L'interesse si estende oltre lo specifico calcolo tecnologico in modo da capire anche gli effetti delle informazioni spaziali digitali, investigando, ad esempio, sugli effetti di queste tecnologie sulla struttura spaziale sia urbana sia regionale e sui processi e metodi di pianificazione con cui si è soliti dare una forma e curare le aree metropolitane. Ciò è importante dal momento che l'applicazione di GIS e l'uso di tecnologie informatiche avanzate nei sistemi di supporto alle decisioni è un campo ancora giovane.

5.3.3 Networking technologies Una delle caratteristiche fondamentali del mondo contemporaneo è rappresentata da quella che Castells definisce network society. Questa caratteristica impregna la contemporaneità, nei suoi differenti e molteplici aspetti. Tralasciando gli aspetti più puramente filosofici, possiamo dire che da un punto di vista dell’approccio tecnologico

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questa trasformazione ha rappresentato un passaggio epocale caratterizzandosi attraverso alcuni nuovi elementi primo fra tutti internet, che meglio di ogni altra cosa rappresenta la nostra contemporaneità tanto in termini politico-ideologici che in termini socio-economici. Internet si caratterizza per il fatto di essere e rappresentare una sorta di connubio tra elementi fisici e virtuali e, in tal senso, è possibile delineare tre sue componenti essenziali: l’infrastruttura, l’industria legata al web e il traffico che sulla rete si svolge. Per dare corpo alle tre componenti appena illustrate vediamo la situazione in Europa facendo attenzione alla relazione tra mondo del web e ruolo primarziale di alcune città, come Londra e Parigi. A livello di net infrastrutturale europeo (attraverso dati di WorldCom) emerge chiaramente il ruolo primario di quattro città sulle altre, e cioè Londra, Parigi, Francoforte ed Amsterdam, ruolo primario non solo per la quantità di traffico ma anche per la presenza di strutture a banda larga che permettono alta qualità e quantità nella trasmissione dei dati. Riguardo, invece, alla componente industria, è innanzitutto necessario comprendere cosa si intende per industria del web4. In tal senso risulta appropriata la definizione fornita da Zook (1999) il quale ha parlato “...as enterprises involved in the creation, organization and dissemination of informational products to a global marketplace where a significant portion of the business is conducted via the Internet” quindi , la Commissione Europea ha individuato tre principali componenti rappresentate da:

società dell’informazione, ovvero tanto le famiglie che le aziende legate alla ICT; industrie della società dell’informazione, cioè le aziende capaci di

produrre contenuti per la rete; industrie dell’ICT, ovvero industrie che vendono prodotti o servizi ben

definiti.

Infine relativamente alla componente legata alla quantità di utenti che usa la rete, è questa senz’altro una delle componenti che hanno subito una crescita esponenziale nel corso degli ultimi anni sia per effetto della sempre maggiore offerta di servizi in rete da parte delle pubbliche amministrazioni che per le necessità della società civile sempre più interessata all’uso della rete per lo scambio di informazioni, musica e quanto altro. Un elemento sulla quale vorrei che il lettore si soffermasse è il fatto che, anche in questo caso, vi è un modello sistemico in cui le varie componenti che intervengono sono reciprocamente interconnesse, così come visto in precedenza.

4 Anche Castells ha dato una possible definizione dell’industria legata al web: “... it would be too narrow a vision to consider the Internet industry as made up exclusively of Internet manufactures, Internet software companies, Internet service providers, and Internet portals. The commercial Internet is not just about web companies, it is about companies in the web” (Castells, M. The Internet galaxy, reflections on the Internet, business and society, Oxford University Press, New York.2001, 213).

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Figura 5-9. La figura mostra le tre componenti legate all’industria del web.

A conclusione del presente paragrafo voglio presentare, seppure in modo conciso, alcune nuove componenti che si sono affacciate sul mercato e che sono legate alla componente, per così dire, digitale. Una di queste è senz’altro la nuova TV digitale, la quale si caratterizza dalla precedente per l’alto potenziale di interattività e di possibili servizi che gli enti pubblici o società private possono offrire tramite questa tecnologia, sia essa terrestre che satellitare. I prossimi passi della TV digitale sono quelli della creazione di una fascia ibrida dove i possessori di TV possano accedere alla rete senza la necessità di acquistare un PC.

Figura 5-10. Una pagina web via browser Figura 5-11. La stessa pagina web via webTV

Fonte: http://www.onlineplanning.org

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Un altro fondamentale sviluppo legato alla tecnologia delle reti è rappresentato dai GPS, ovvero il Global Positioning System per la localizzazione di mezzi, merci o persone su tutto il globo terrestre. Questa tecnologia si basa su di una rete satellitare posta attorno al globo terrestre che, per mezzo di triangolazioni, permette ai possessori dell’apparecchio GPS di sapere la esatta posizione. Anche in questo caso, si sono sviluppate moltissime applicazioni che vanno dal controllo di flotte di auto alla navigazione satellitare oramai applicata a tutte le auto di grossa cilindrata, per arrivare agli antifurto o alla localizzazione di servizi – LBS, localization based service. Altro settore che non va dimenticato è quello dalla telefonia mobile. E’ questo un settore che ha acquisito nell’ultimo decennio un mercato che in alcuni paesi come l’Italia copre praticamente tutta la popolazione. Le sue potenzialità sono sempre cresciute passando dai primi apparecchi con tecnologia ETAC fino ai recenti GSM e GPRS per arrivare agli apparecchi di ultima generazione, gli UMTS, che si sono trasformati in videotelefoni, ovvero una sorta di occhio aperto su un mondo infinito di informazioni.

5.3.4 Multimedia technologies La tecnologia multimediale ha la capacità di permettere di generare, gestire ed immagazzinare informazione non solo in formato testuale, ma anche in tutte le altre forme, quali audio e video. Essa si basa su supporti quali sistemi di text processing, CD-Rom, cartucce ZIP o le più recenti unità rimovibili flash per porte USB.

Figura 5-12. La figura mostra esempi di tecnologia multimediale

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5.3.5 Identification technologies Queste tecnologie permettono di stabilire sia la posizione che l’identificazione di persone o merci attraverso differenti tecniche. Ad esempio la firma digitale è un nuovo strumento che permette ad una persona di operare con lo stesso risultato giuridico di una firma fatta su carta. Per le merci vi sono nuove tecniche che permettono di seguire il prodotto durante il suo ciclo di vita e il suo cammino dal produttore al consumatore. Un esempio è fornito dai corrieri espressi, i quali attraverso una sorta di marchio elettronico fatto sul prodotto – in genere trattasi di un codice a barre - operano una tracciatura della merce, cioè possono in ogni momento sapere dove essa si trova. Questa possibilità può permettere una quantificazione dei tempi di attesa per i clienti. Negli ultimi anni si sta sempre più diffondendo la tecnologia GPS (Global Positioning System). Questa tecnologia, nata da scopi militari, permette di capire dove si trova una persona o gruppo di persone o un mezzo attraverso l’uso di un dispositivo comunicante con una rete di satelliti geostazionari ruotanti attorno alla terra. Il segnale inviato dall’apparecchio da terra viene elaborato da tre satelliti, per cui attraverso una semplice triangolazione si può stabilire dove un mezzo o una persona si trovi in un determinato istante fornendo le coordinate esatte del punto.

5.4 Elementi costitutivi la ICT: infrastrutture elettroniche, contenuti ed accesso Si sono descritte, precedentemente, differenti tecnologie inerenti la ICT. In questo paragrafo verranno descritti alcuni elementi essenziali sui quali si andrà a strutturare il seguito. In particolare faccio riferimento ad una ulteriore distinzione fatta da Van der Meer e Van Winden (2003) che, al fine di una migliore comprensione dell’impatto delle nuove tecnologie, opera una distinzione tra infrastruttura elettronica, contenuto elettronico e accesso elettronico. Queste tre caratteristiche verranno descritte e permetteranno una migliore comprensione di aspetti legati alla ricaduta che la ICT ha sia in campo economico che sociale e, quindi, indirettamente nelle politiche della città. L’infrastruttura elettronica è, per così dire, la spina dorsale hardware della ICT. Essa consiste della parte fisica del sistema della ICT, quindi costituita tanto da server, PC o telefoni mobili, che dalla parte più propriamente costituita dagli apparati infrastrutturali costituiti dal cavi, antenne, fibre ottiche, etc. Il contenuto elettronico è rappresentato dalle informazioni prodotte, immagazzinate, distribuite o ricevute attraverso l’uso della ICT. Consiste, quindi, in ogni tipo di informazioni ottenute attraverso websites, pubblicazioni elettroniche o databases. Ognuna di queste tecnologie ha una propria tipologia di contenuto e, quindi, anche un possibile target di utenza. La telefonia mobile, ad esempio, ha nella comunicazione vocale il suo obiettivo principale, ricordando anche le ulteriori possibilità informative offerte dagli operatori via SMS. Ma chi può produrre informazioni? Ebbene, potenzialmente tutti, dal singolo utente fino ad arrivare alla grande industria o ad enti o strutture dello Stato.

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Figura 5.13. Le tre componenti della ICT: infrastruttura, accesso e contenuti (Van der Meer and Van Winden (2003)

Infine abbiamo l’accesso elettronico. Esso è la capacità fornita a ciascun individuo, organizzazione, azienda o enti ad eccedere a queste tecnologie. E’ ovvio che lo sviluppo di ciascuna tecnologia dipende fortemente dalle capacità di accesso alla stessa. Van der Meer e Van Winden (2003) attribuiscono all’accesso due dimensioni: possesso e gestione della tecnologia e conoscenza e capacità nell’uso della tecnologia. L’uso di internet, ad esempio, può fornire molteplici benefici, sia in ambito sociale che economico. Quindi l’accesso alla rete permetterebbe di accedere a moltissime banche dati e quindi informazioni. Ed è proprio in tale ottica che l’accesso alla ICT, ed in particolare alla rete, diviene motivo di dibattito, soprattutto per il ruolo che lo Stato dovrebbe svolgere nel promuove l’accesso. Successivamente verrà trattato tale aspetto, sia con riferimento alla politica nazionale dell’Italia che nel contesto della politica locale. Molto interessante è l’aspetto di interazione tra le tre componenti, le quali sembrano rafforzarsi l’un l’altra. Ad esempio, in molti casi troviamo un forte legame tra l’accesso e l’infrastruttura, e ciò risulta particolarmente vero nei sistemi a rete, quali internet e la telefonia. Difatti Shapiro e Varian (1999) hanno dimostrato che l’utilità della tecnologia a reti risulta essere una funzione quadratica del numero di utenti.

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5.5 Gli elementi costitutivi della ICT in ambito locale Sulla scorta di quanto visto ed analizzato nel precedente paragrafo, andremo ora trattare degli elementi costitutivi della ICT in ambito locale.

5.5.1 e-Access

E’ questo uno degli aspetti base della ICT a livello locale, ovvero la capacità, da parte degli attori locali, ad accedere a queste tecnologie non solo come accesso fisico ad una rete, ma anche la capacità ad usare le stesse e di avere accesso ad internet (Mitchell, 1999a). I livelli di accesso sono differenti e si caratterizzano in funzione della scala geografica. Se su scala globale vi è una forbice tra i paesi economicamente sviluppati e quelli del terzo mondo, nel quale questi ultimi sono fortemente penalizzati in questi processi di crescita tecnologica. Non solo, un fenomeno analogo di frattura e differenza nell’accesso è presente tra le aree urbane e quelle rurali sia nei paesi del terzo mondo che, sebbene in misura minore, tra gli stessi paesi industrializzati (DTI, 2000)5. Allo stesso modo in molte città vi sono sostanziali differenze tra le aree con forte presenza di società o aziende ed aree residenziali con categorie svantaggiate (Graham, 2000), dove motivi economici e il connubio tra domanda ed offerta crea delle esclusioni sociali ai danni dei meno abbienti. Quest’ultimo elemento fa emergere il rapporto tra la possibilità, da parte di tutti i cittadini ad accedere alla ICT, e alcuni tratti per un possibile sviluppo urbano sostenibile. In particolare van Winden (2003) distingue quattro caratteri, che se ben guidati da intelligenti politiche urbane possono produrre sostanziali vantaggi per i cittadini:

1. nuove opportunità economiche per la città; 2. una maggiore coesione sociale; 3. maggiori possibilità di monitorare la mobilità urbana; 4. una maggiore qualità della vita.

Come abbiamo detto in precedenza, già di per se il settore della ICT presenta tratti fortemente sfumati, dove differenti campi del sapere si intrecciano ripercuotendosi sia sugli assetti sociali che su quelli economici. E ciò e ancora più vero quando non vi sono chiari indirizzi politici e programmatici. Ad esempio le opportunità di crescita economica offerte da alti livelli di accesso alla ICT devono necessariamente andare di pari passo con una crescita culturale della comunità, favorendo, attraverso la creazione di centri universitari di eccellenza, la formazione di nuove professionalità. Questo instaurerà un circolo virtuoso come avvenuto in molte città, le quali hanno puntato sull’innovazione attraverso un’azione sinergica tra programmazione politica, nuovi centri di ricerca e società private, dando così vita ad un effetto domino positivo di rincorsa tra le diverse componenti, le quali, oltre a generare nuove opportunità di crescita economica della comunità locale attraverso l’e-bussiness o l’e-commerce, hanno indotto i fornitori di servizi di ICT a potenziare le loro infrastrutture, fornendo così nuove opportunità tanto per la comunità scientifica che per quella economica e sociale (si pensi, ad esempio ai vantaggi offerti dalla telemedicina o alle teleconferenze). Allo 5 Closing the digital divide: information and communication technologies in deprived areas, a report by Policy Action Team 15. Department of Trade and Industry, London)

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stesso modo l’apporto della ICT può aiutare sia nel ridurre alcune disuguaglianze sociali che favorire una migliore monitoraggio della mobilità urbana. Se per il secondo aspetto vi sono pochi dubbi sull’efficacia di intelligenti sistemi di monitoraggio, sulla scorta dei quali potranno svilupparsi politiche di assetto cinematico del territorio, l’aspetto sociale è senza dubbio più intricato poiché il potenziamento e l’attuazione di accessi alla ICT è un aiuto che deve supportare aspetti legati a politiche di malfare e di etica sociale. In tal senso, ovvero tecnicamente, una maggiore capacità di accesso può favorire, ad esempio, i disabili, in modo tale da garantire sempre maggiore autonomia ed indipendenza a questi cittadini, ma anche avere la capacità di fornire nuove chances sul mercato del lavoro e nuove vie per garantire l’accesso all’informazione politica dei cittadini e la loro partecipazione nei processi di progettazione (tratteremo in seguito l’aspetto molto interessante della partecipazione).

L’ultimo punto, ovvero quello della qualità della vita, può essere visto come momento di sintesi di differenti azioni, come, ad esempio, la capacità di incrementare la qualità di alcuni servizi essenziali per tutti i cittadini. Ciò implica una capacità di dare maggiore qualità al servizio sanitario e di assistenza, la possibilità di accedere, tramite tecnologie ICT, ai servizi offerti dagli enti pubblici o privati (ad esempio servizi di prenotazioni on-line, possibilità di accedere ad informazioni sugli uffici pubblici se non addirittura a ricevere documentazione in formato digitale, etc.). Tutte queste azioni creeranno una maggiore efficienza del servizio, garantendo non solo una riduzione dei costi per le amministrazioni pubbliche, ma anche una crescita dei processi decisionali partecipativi nella vita della comunità (quella che in gergo e detta e-democracy).

5.5.2 E-content Questo secondo aspetto della information society a livello locale è rappresentato dalla disponibilità di informazione o servizi interattivi a livello locale, come ad esempio un giornale locale sul web o siti che trattano di informazioni turistiche, del traffico, eventi, servizi offerti dalla pubblica amministrazione ai cittadini Van Winden (2003). All’interno di questi contenuti possono inserirsi anche siti web relativi ad aziende che servono il mercato locale, organizzazioni sociali, istituti scolastici, etc. Questi contenuti possono essere considerati da un duplice punto di vista: quello inerente la domanda e quello inerente l’offerta (Van Winden, 2003). Da un punto d vista della domanda di contenuti richiesti a livello locale, possono essere individuate quattro categorie di fruitori: i cittadini residenti, i visitatori, le aziende e, infine, gli enti locali. Ognuna di queste categorie esprimerà delle richieste corrispondenti a quelle che sono le rispettive esigenze. In tal senso, ad esempio, i cittadini domanderanno informazioni relative a servizi offerti soprattutto dalle strutture pubbliche locali, come ad esempio servizi sanitari, notizie di cronaca o di eventi, etc. Viceversa, chi visiterà la comunità locale richiederà una differente tipologia di informazioni, in particolare sarà interessata ad alberghi, eventi culturali, mappe, siti di interesse turistico e così via. Riguardo invece alle aziende, esse saranno sicuramente interessate a conoscere tutte quelle informazioni concernenti l’attività economica, e, quindi, ad informazioni sul mercato del lavoro, alla legislazione locale e nazionale, la situazione sulla mobilità e in generale sui trasporti, etc.. Infine, gli enti locali avranno bisogno di informazioni generali sul territorio da essi amministrato; quindi tutta una serie di dati che riguardano

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sia a composizione economica e sociale del territorio che dati sulla struttura fisica e geografica dello stesso. Da un punto di vista dell’offerta questa riguarderà, in generale, tre delle categorie sopra esposte, ovvero, enti locali, cittadini e aziende, più una categoria costituita da associazioni o gruppi che operano nel territorio. In questo ambito un ruolo notevole potrà essere svolto dagli enti locali, dove in molteplici città hanno svolto addirittura un ruolo di volano per uno sviluppo ad alti contenuti tecnologici. Il ruolo degli enti locali quindi, può rappresentare, da un punto di vista dell’offerta di servizi, un notevole apporto sia in termini di efficienza della struttura amministrativa che in termini di democrazia allargata e di crescita socio-economica del territorio. Abbiamo già accennato ad alcuni di questi servizi che i cittadini potrebbero fruire on-line con grossi risparmi di tempo per la cittadinanza, maggiore efficienza per l’amministrazione, riduzione dei costi e una maggiore trasparenza amministrativa. Le altre categorie daranno contributi in differenti settori.

Figura 5-14. La domanda di contenuti in ambito locale è rappresentata dai cittadini, aziende, governo locale e visitatori. Queste quattro classi hanno poi ulteriori ambiti – segment – relativi a particolari segmenti.

Le aziende, ad esempio, potranno non solo operare sul mercato locale ma, per mezzo di siti web, ampliare il loro bacino di potenziali clienti. Viceversa i gruppi o associazioni che operano sul territorio possono offrire il loro contributo culturale o di conoscenza del territorio nelle sue molteplici vesti, archeologica, fisica, storica, etc.. Riguardo, invece, all’offerta prodotta dai singoli cittadini, essa può riguardare tanto aspetti culturali, con

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contributi nei più svariati settori, che possono riguardare, ad esempio, la partecipazione a giornali locali o nella condivisione di informazioni o di interessi. Tutte queste informazioni, potenzialmente proficue per una crescita della comunità, hanno però una necessità: devono, cioè, poter essere organizzate e strutturate in modo tale da sfruttare al massimo il loro potenziale. Come si è visto in precedenza, le informazioni possono, anzi giungono da differenti fonti; allo stesso modo vi è una richiesta differente che dipende dalla natura del richiedente. Tutto ciò rende necessaria una strutturazione delle informazioni, la quale può essere fatte in differenti modi. Un modo sicuramente efficace per organizzare tutto il materiale è quello che sfrutta un portale locale6, il quale se strutturato in funzione della domanda, quindi capire chi lo utilizzerà e per cercare cosa, potrà fornire informazioni in modo strutturato e più mirato. La riuscita di tale operazione richiederà la partecipazione di tutti gli attori locali, dai cittadini, agli enti locali, le aziende e le associazioni. In conclusione possiamo dire che anche per l’e-content in ambito locale una buona qualità può essere sicuramente un apporto per una sviluppo sostenibile. In particolare un e-content ben strutturato e, ripetiamo supportato da un progetto politico condiviso, può ingenerare effetti benefici tanto sullo sviluppo economico che nel fornire opportunità per i cittadini svantaggiati. Un elemento qualificante tale processo verso la sostenibilità urbana è rappresentato dal ruolo del governo locale, il quale attraverso operazioni di e-government può fornire un grosso contributo all’efficienza della struttura amministrativa e, quindi alla qualità della vità per i cittadini.

6 Il termine “portale” può considerarsi come una classe particolare di siti web dotata di specifiche caratteristiche contenutistiche e funzionali, ovvero è un prodotto editoriale on-line che svolge la funzione di punto privilegiato di accesso al Web per gli utenti e che fornisce loro risorse informative, servizi di comunicazione personale, e strumenti con cui localizzare e raggiungere i contenuti e i servizi on-line di cui hanno comunemente bisogno.

Distinguiamo due tipologie di portali: ra portali orizzontali e portali verticali (o vortal, da vertical portal). portali orizzontali, o portali generalisti, sono i portali nel senso classico, i 'mega-siti' di accesso

alla rete che offrono strumenti di ricerca, contenuti e servizi ad ampio spettro tematico. Si tratta di prodotti che si rivolgono esplicitamente a una utenza indifferenziata e, in un certo senso, rappresentano la versione telematica della televisione generalista. Esempi di questo genere di portali sono Yahoo!, Lycos, Microsoft Network o, per citarne alcuni italiani, Virgilio, Kataweb, Libero.

portali verticali (o vortal, da vertical portal; detti anche portali tematici o di nicchia), per contro, sono siti che offrono contenuti, servizi e (non sempre) strumenti di ricerca dedicati a particolari domini tematici (sport, cinema, informatica, finanza, cultura, gastronomia, ecc.) o rivolti a ben definiti gruppi sociali e comunità (caratterizzati dal punto di vista etnico, religioso, economico, culturale, sessuale, ecc.).

(Fonte: Calvo M., Ciotti F., Roncaglia G., Zela A. M., Internet 2004, Laterza, 2004)

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5.5.3 Rete infrastrutturale locale Questo terzo aspetto è contraddistinto da quella che è la struttura fisica della ICT, ovvero cavi, linee coassiali, wireless network, fibre ottiche, etc.; può quindi essere considerato come il mezzo di trasporto dell’informazione digitale. I forti cambiamenti avvenuti nel panorama cittadino nell’ultimo decennio credo siano sotto gli occhi di tutti, a cominciare dalle antenne per cellulari fino alle parabole per tv satellitare. Da un punto di vista della qualità delle infrastrutture, abbiamo già accennato in precedenza che questa è in funzione delle politiche economiche, per cui vi sono grosse differenze tra nazione e nazione e tra città e città. Anzi, talvolta vi sono differenze all’interno della stessa città. Questa forbice tecnologica è parte integrante di un quadro politico-economico che ha visto l’affermazione di alcune città su altre (come si è visto nel primo capitolo). Questa differenza di peso politico-economico ha indotto in queste città primarziali un ciclo tecnologico virtuoso, con la creazione di infrastrutture di primissimo ordine (Graham, 1998), come, ad esempio, la city di Londra, la quale ha una qualità infrastrutturale superiore a qualunque altra parte della stessa Londra, ma anche di altre città. Questa situazione crea un movimento ciclico dove innovazione tecnologica e processi economico-finanziari si rincorrono vicendevolemente, per cui a nuove richieste dei mercati finanziari rispondono nuove offerte dell’industria tecnologica e, viceversa, queste città divengono anche i luoghi privilegiati dove si applicano e si sviluppano nuove tecnologie. Come visto l’elemento qualificante in tale processo, in particolare per il livello globale, è rappresentato da fattori geopolitici ed economico-finanziari. Ma un chiaro impulso, almeno per una qualificazione tecnologica a carattere regionale o continentale, può e deve essere fatta per mezzo di politiche nazionali tendenti a sviluppare questi settori innovativi. Paesi come l’Olanda, la Finlandia e la Svezia hanno investito notevoli capitali, sia pubblici che privati, nella ricerca ed innovazione tecnologica, ed oggi ne raccolgono i frutti con economie solide, un ottimo walfare ed una migliore qualità dei servizi.

5.6 Interazioni e dinamiche tra e-Access, e-content e Rete infrastrutturale La domanda a cui si vuole rispondere è se vi sono dinamismi tra le tre componente sopra viste e, nel caso affermativo vedere che tipo di dinamismo è possibile riscontrare. Ebbene numerosi studi hanno mostrato che effettivamente tra le tre componenti della ICT vi sono interdipendenze che molte volte si rafforzano mutuamente.

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Figura 5-15. La figura sopra mostra, in chiara chiave sistemica, le possibili interazioni che si creano tra le tre principali componenti della ICT. Se, ad esempio, la capacità di accesso è sviluppata, ovvero se vi sono molti utilizzatori, è molto probabile che ciò fungerà da volano sia per lo sviluppo di un e-bussiness che di nuovi servizi offerti da enti locali od associazioni, con conseguente sviluppo della componente rappresentata dai contenuti. Lo stesso dicasi nel senso opposto, cioè ovvero un ambito locale ove vari soggetti, sia pubblici che privati, siano in grado di offrire servizi on-line, potrebbe invogliare molti cittadini ad utilizzare tali servizi, con notevoli risparmi sia in termini economici che di tempo. Questa interdipendenza tra la possibilità ad accedere ed i contenuti si rivela molto importante, soprattutto quando si tratta di fruire di informazioni o servizi.

5.7 Possibili ruoli della ICT nei processi di cambiamento Ognuna delle ICT menzionate precedentemente ha una propria funzione o funzionalità. Come accennato precedentemente tali tecnologie risultano avere un ruolo sia in ambito sociale che economico. Ma quali sono questi ruoli e quale il loro impatto? Ebbene in tal senso sono stati individuati cinque possibili ruoli (Van der Meer e Van Winden, 2003):

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efficiency improving; transparency enhancing; control enhancing; network enhancing; innovation enhancing.

Definiti i possibili ruoli della ICT, risulta interessante analizzarne i contenuti e vedere quale possibile impatto possono avere tali elementi sullo sviluppo urbano sostenibile. Tale tentativo di analisi risulta estremamente difficoltoso poiché non è facile caratterizzare ed isolare gli sviluppi direttamente correlati alla ICT. E’ questo un terreno complesso e che si caratterizza per la forte interconnessione tra molteplici variabili, le quali il più delle volte hanno, per così dire, valori sfumati e non facilmente individuabili. Ciò, quindi, spiega la difficoltà delle ricerche empiriche sugli impatti della ICT su altre componenti dei processi socio-economici e politici. La distinzione sopra accennata e relativa ai ruoli della ICT vuole essere un tentativo, attraverso questa semplificazione metodologica, di capire il ruolo della ICT nei processi di politica urbana. Un elemento che intendo sottolineare prima di proseguire con la descrizione di questi cinque elementi è che essi hanno un forte potenziale, che affinché produca un valore aggiunto positivo non solo in senso economico ma anche sociale, il progetto politico deve essere elemento essenziale in questo processo. Purtroppo sempre più oggi il profilo politico della classe dirigente italiana è mediocre, il che porta alla cattiva gestione delle potenzialità di tali tecnologie.

Figura 5-16. Il ruolo della ICT sullo sviluppo urbano può rappresentarsi come un sistema complesso ove le interazioni tra le differenti componenti produrranno effetti sulla città. (Fonte: Van der Meer and Van Winden, 2003).

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5.7.1 Efficiency improving Un corretto ed ottimale uso della ICT può incrementare significativamente l’efficienza in differenti settori, economici e sociali. Ad esempio attività che richiedono una forte routine, o la produzione e distribuzione di prodotti possono trarre grandi benefici dall’applicazione della ICT. In tal senso studi di Caincross (1997) e Nakamoto (2003) hanno mostrato come un intelligente uso della ICT abbiano indotto una diminuzione dei costi e un aumento di efficienza. Ma la situazione appare più definita per studi relativi ad organizzazioni sia medio-piccole che grandi, molto è da fare per ciò che concerne l’impatto che la ICT ha su un livello macro-economico. E ciò per due ragioni: primo, c’è bisogno di tempo per comprendere quali impatti ha la rivoluzione digitale nei processi produttivi macro-economici; secondo, una tecnologia innovativa è preceduta da fenomeni di stabilizzazione della produttività più che episodi di crescita (Van der Meer e Van Winden, 2003). Come detto gli studi a livello macro-economico sono ancora contraddittori sul ruolo giocato dalle nuove tecnologie. Romer (1990), ad esempio, asserisce la ICT essendo una tecnologia completamente differenti da quelle che l’hanno preceduta ha indotto non solo una forte innovazione, ma anche un aumento generale della produttività. Sulla stessa linea si pone Van Ark (2000), il quale asserisce che studi empirici mostrano in modo inequivocabile l’impatto positivo sulla crescita economica della ICT. Gordon (2000), invece, attribuisce i fenomeni di crescita economica come manifestazioni di ciclicità che si hanno nei processi economici e, quindi, non correlati direttamente alla crescita dell’industria della ICT. Un’analisi più equilibrata è quella svolta da Gelauff e Bijl (2000), i quali sottolineano che l’attuale fase economica è fortemente caratterizzata da un poderoso rinnovamento strutturale e dove si manifestano crescite sostanziali nel settore dell’alta tecnologia e delle industrie impegnate nel settore della ICT, con la conseguente richiesta di personale ad alto profilo educativo. Quali conseguenza può avere sull’assetto urbano questa potenziale maggiore efficienza? E’ questa certamente una delle domande chiave sul ruolo che giocano e possono giocare le tecnologie legate alla ICT. Molti studiosi stanno cercando di delineare nuovi profili degli assetti socio-economici correlati all’avvento della ICT. In tal senso si è assistito, nei paesi industrializzati, ad una rapida diminuzione di richiesta di mano d’opera a basso contenuto educativo e legata alle forme classiche di industria del tipo fordista, come ad esempio nell’industria manifatturiera. Oggi le economie avanzate sono fortemente caratterizzate dal terziario, dove, in particolare, emergono forti crescite per i settori a forte contenuto tecnologico e quelli dove l’informazione è divenuta una nuova materia oggetto di compravendita. Tutto ciò, come accennato prima, penalizza i lavoratori con basso profilo educativo, dando così vita a fenomeni di perdita del lavoro e difficoltà nel reinserimento dello stesso, con conseguenti problemi di tensioni sociali. L’altro verso della medaglia legato alle potenzialità di efficienza della ICT possono esprimersi in principal modo attraverso un aumento di efficienza nei servizi offerti, in particolare dal settore pubblico. Questa potenzialità insita nella ICT richiede, però, un alto contenuto nella programmazione politica e nella preparazione del ceto dirigente. Questa potenzialità della ICT può permettere non solo la fornitura di servizi ad altissimo profilo sociale (vedi ad esempio la telemedicina), ma anche caratterizzati da un sostanziale contenuto economico rappresentato dall’abbattimento dei costi legati ad una modalità tradizionale di fare e di gestire il welfare, la cultura o il semplice divertimento.

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5.7.2 Transparency enhancing Questa caratteristica è sicuramente una delle più interessanti, in quanto il suo potenziale apporto lo si può estendere in differenti ambiti. Nel settore economico, ad esempio, una maggiore trasparenza dei mercati e delle merci, attraverso una tracciabilità dei prodotti o delle merci, può sicuramente aiutare i consumatori nella scelta del prodotto che maggiormente soddisfa le proprie esigenze, garantendo ed incrementando, al contempo, la qualità delle merci. Inoltre per mezzo dell’accesso alla rete ogni consumatore potrebbe avere la possibilità di accedere ad informazioni altrimenti irraggiungibili. Tale possibilità potrebbe dare ai cittadini la possibilità di fare comparazioni sulla qualità e sul costo di prodotti o servizi inducendo così le aziende ad attuare una maggiore trasparenza in favore della qualità complessiva. In questa ottica di trasparenza dei mercati l’informazione svolge un ruolo essenziale, garantendo così un sostanziale guadagno anche in termini sociali (Gelauff e Bijl, 2000).

5.7.3 Control enhancing (migliore capacità di controllo) Una delle caratteristiche chiave della ICT è rappresentata dalla sua forza di control enhancing, ovvero la capacità di monitorare in tempo reale eventi o variabili in modo da poter permettere risposte adeguate. Diversi autori hanno studiato differenti aspetti afferenti questa capacità di maggiore controllo. In particolare alcuni hanno sottolineato come, ad esempio, internet ha indotto profonde trasformazioni nel rapporto tra azienda e cliente, favorendo, in particolare, rapporti ove vi è molta attenzione per l’informazione e una maggiore possibilità di controllo del cliente sulla politica aziendale (Useem, 2000). E’ ovvio che questa enorme capacità di controllo è altrettanto usata dalle aziende, le quali possono costruire delle reti tali da permettere una guida dei processi produttivi da un punto qualsiasi del pianeta permettendo, così, non solo una capacità transnazionale alla portata anche di aziende medie (Warf, 1995), ma anche di gestire una produzione altamente flessibile e capace di adeguarsi alle esigenze dei consumatori (Van Klink e De Langen, 1999). A livello di politiche urbane il ruolo di questa caratteristica della ICT è stato sottolineato in precedenza, allorquando si è parlato di città primarziali (Sassen, 1997). Abbiamo visto che alcune metropoli hanno assunto un ruolo guida nel processo di rinnovamento basato sul digitale. Queste città, attraverso la presenza e la forza politica di centri di potere economico e finanziario, possono assumere un ruolo che travalica i confini nazionali per divenire elemento di controllo nell’economia globale (Castells, 1996; Sassen, 1997), e quindi con enorme forza e potere sulle politiche della città. Molti ricercatori hanno sottolineato sia i possibili aspetti di ineguaglianze sociali dovuti dall’avvento della ICT (Castells, 1999; Hall, 1998; Handy, 1994; Sassen, 1994) sia possibili dicotomie tra il centro cittadino e la periferia (Graham, 1998; Swyngedouw, 1993). Come più volte sottolineato in questo lavoro, credo che un aspetto essenziale sia legato alle politiche locali e alla loro capacità di fornire adeguati progetti su solide basi strutturali. Solo in tal modo diventa fortemente positiva questa caratteristica della ICT, favorendo sistemi capaci di controllare e monitorare aspetti fondamentali della vita della città, come, ad esempio, i flussi di traffico, l’accessibilità, lotta al crimine, etc..

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5.7.4 Innovation enhancing E’ sotto gli occhi di tutti la iperbolica crescita di conoscenza e di informazioni legata alla affermazione della ICT. Oggi è possibile diffondere informazioni o conoscenza in modo veloce ed immediato, favorendo, in questo modo, la crescita di questa informazione, la quale se trattata in modo adeguato può dare origine a nuova informazione e nuova fonte di conoscenza. Quest’ultimo punto è divenuto elemento essenziale nella e-economy. Difatti nelle economie avanzate sono emerse nuove professionalità soprattutto attinenti la selezione e l’interpretazione dell’informazione (Castells, 2001). Essa è divenuta un valore aggiunto nel processo economico, una nuova e preziosa merce di scambio tra differenti soggetti, sia pubblici che privati. Da questa nuova fase le città possono aspettarsi molto, soprattutto in termini di cambiamento, e a patto che esse siano aperte e pronte, soprattutto in termini di infrastrutture e di politiche, ad accogliere questa nuova sfida. Se a guidare questo processo vi è una valida politica, allora potranno crearsi nuove opportunità di crescita economica e di equità sociale. In tal senso se da un lato si potranno innescare processi di crescita basati su un terziario avanzato dove informazione e conoscenza, opportunamente trattate, danno vita a nuove conoscenze e nuove informazioni, dall’altro lato risulta particolarmente alto il rischio di creare squilibri economico-sociali, particolarmente forti per quei lavoratori a basso profilo di studio. Negli ultimi anni si assiste ad una rapida trasformazione delle strutture economiche dei paesi avanzati dove i lavori meno qualificanti, in genere quelli legati all’economia del tipo fordista, tendono a spostarsi verso quei paesi emergenti del terzo mondo dove la manodopera ha un costo enormemente più basso di quello dei paesi sviluppati.

5.7.5 Network enhancing Questo è un aspetto particolarmente importante e che va letto da diverse angolazioni, tanto legate all’aspetto tecnico che a più generali caratteri di approccio filosofico-scientifico. È quindi essenziale, da parte di chi legge, cercare di raggruppare quanto detto nei differenti capitoli, dove ho cercato di delinearne soprattutto i tratti legati ai cambiamenti strutturali nel campo della ricerca, in quello economico-finanziario ed in quello sociale. In questa parte dello scritto possiamo fare più che altro riferimento ad un dato, per così dire, puramente tecnico.

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CAPITOLO 6

Processi ideologici e politici nell’era della ICT

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6.1 Introduzione Negli ultimi anni molto è stato scritto sul ruolo della ICT nelle politiche urbane. Alcuni dei primi scritti ipotizzavano un collasso della città di pietra in favore di quella virtuale, andando così ad ipotizzare nuovi e inimmaginabili scenari dominati da un mondo completamente dematerializzato. La complessa relazione tra nuove tecnologie e città è stata caratterizzata, lungo gli anni, da differenti metafore, le quali hanno espresso la città in differenti modi.

Figura 6-1. Le metafore per rappresentare la città.

La figura 6-1 mostra questo processo che, come è facilmente visibile, ha visto sempre più ridursi gli spazi temporali tra una metafora e la successiva, fino a quasi assumere una cadenza biennale. Se su molte cose vi è disaccordo, sia tra progettisti e ricercatori da un lato e politici dall’altro, vi è, però, un elemento che più degli altri sembra incontrovertibile: la perdurante forza che la città di pietra continua ad avere nei processi socio-economici e culturali del mondo contemporaneo. Anzi, alcune città, come visto nel primo capitolo, hanno assunto un ruolo guida divenendo centri globali, centri che possono competere, in termini di crescita tecnologica, economica e di tendenze sociali, con intere nazioni. Ma negli ultimi anni si è affermato un nuovo elemento che sta trasformando profondamente non solo i tradizionali rapporti economici, ma anche quelli politici e sociali. Nel presente capitolo tratteremo essenzialmente della parte politica del fenomeno legato alla ICT. In particolare

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inizieremo da un’analisi generale sulla grande rivoluzione culturale che sta attraversando la nostra società per introdurre le nuove utopie legate alla ICT e, quindi, i concetti di e-democracy ed e-government. Successivamente si procederà ad una lettura della politica dell’Unione Europea volta a potenziare, per mezzo della ICT, non solo la struttura economica, ma anche quella dell’esclusione sociale e della ricerca scientifica. Il penultimo punto riguarderà gli obiettivi programmatici del governo italiano nell’attuazione di una politica di e-Government. In conclusione andremo ad operare un’analisi critica di queste esperienze alla luce dalla questione legata alla sostenibilità ambientale ed, in particolare, per la presente analisi, degli ambienti urbani.

6.2 Le trasformazioni nella società: dalla società razionalista alla network society Abbiamo visto nel primo capitolo alcuni degli aspetti essenziali legati all’evoluzione del pensiero scientifico, cercando di capire come ed in che modo si stia affermando il nuovo paradigma sistemico ai danni di quello meccanicistico. In tal senso si è anche visto che la tensione fondamentale è rappresentata da un cambiamento di approccio tra quelle che sono le parti di una struttura e il tutto. Il meccanicismo dà risalto alle parti, cioè ritiene che ogni corpo possa essere analizzato secondo le caratteristiche delle sue parti, e per tale motivo è stato anche chiamato riduzionismo o atomismo. Il pensiero sistemico invece, esalta il tutto e per tale motivo è anche conosciuto come approccio olistico, organicistico o ecologico. Si è quindi assistito ad un cambio di paradigma con una conseguente inversione della relazione tra le parti e il tutto. Questa profonda trasformazione è stata applicata anche ai sistemi viventi comportando che lo studio di detti sistemi non poteva comprendersi per mezzo di analisi, in quanto le proprietà delle parti non sono proprietà intrinseche, ma si possono comprendere solo nel contesto di un insieme più ampio…e poiché spiegare le cose nei termini del loro contesto significa spiegarle nei termini del loro ambiente, possiamo anche affermare che tutto il pensiero sistemico è pensiero ambientale” (Capra F., 1996). L’impostazione razional-meccanicistica si è dimostrata insufficiente e riduttiva quando ha preteso di analizzare i corpi attraverso le sue parti, e ciò è stato chiaramente messo in luce dalla fisica quantistica, la quale ha mostrato che non esistono affatto parti, ma solo schemi in una fitta trama di relazioni (Capra, 1996). Questa nuova visione non considera più il mondo come un insieme di oggetti in cui le relazioni tra gli stessi hanno scarsa importanza, bensì gli oggetti stessi diventano reti di relazioni, inserite all’interno di reti più grandi (Capra, 1996). Per i pensatori sistemici, quindi, non solo la realtà è percepita come una rete di relazioni, ma fin anche la descrizione che ne diamo forma una fitta rete di concetti e modelli interconnessi, tanto da delineare questo nuovo approccio che Capra (1996) definisce “pensiero a rete”. In tale approccio la visione dell’universo e quella della cultura assumono un valore nuovo, dove non vi sono fondamenta, non vi sono materie o porzioni di scienza più importanti di altre. Lo stesso universo è visto e

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trattato come una trama dinamica di eventi interdipendenti e dove nessuna delle proprietà delle parti risulta essere fondamentale; ogni cosa deriva le sue proprietà dalle altre parti e la coerenza globale delle relazioni reciproche determina la strutture dell’intera trama. Come si vede, dunque, l’approccio sistemico, a differenza di quello cartesiano basato su una fede nella conoscenza scientifica, implica un paradigma che considera la conoscenza come un qualcosa di approssimato e dove la scienza non potrà mai fornire alcuna comprensione completa e definitiva (Capra, 1996). Le ricerche di fisici, matematici o informatici, sono state adottate anche in discipline non propriamente legate alla matematica pura. Una di queste è senz’altro quella degli studi sociali, dove molte delle teorie sistemiche sono state adottate per definire nuovi i modelli di assetti sociali della contemporaneità. Uno dei massimi studiosi in tale analisi è, senza dubbio, Castells, il quale nel suo noto libro The Information Age: Economy, Society, and Culture (1996) evidenzia quelle che sono le caratteristiche della network society, e cioè:

1. informational economy, ovvero una strutturazione dei processi economico-finanziari dove la conoscenza, l’informazione e la tecnologia assumono un ruolo chiave, anche in quei settori più tradizionali come l’agricoltura e l’industria manifatturiera. Per la sua forza, è però insito in tale modello una tendenza all’esclusione, molto di più che nei processi economici industriali. A tal fine è necessario una dimensione politica e normativa che guidi i processi;

2. processi economici globali, ovvero dipendenza delle economie nazionali o regionali da processi e dinamiche su scala planetaria;

3. il network rappresenta una nuova forma di organizzazione che caratterizza le attività economiche e che sta estendendo la sua logica anche ad altri domini;

4. la trasformazione del mercato del lavoro e dei lavoratori. Malgrado i paesi occidentali abbiano trassi di disoccupazione relativamente bassi, il mondo del lavoro è sempre più attraversato da situazioni di ansia e di insoddisfazione causate dalle nuove forma di contratti (vedi part-time, lavoro temporaneo, etc.) e dalla flessibilità. Inoltre c’è stata negli ultimi anni una profonda revisione delle relazioni all’interno dei mercati, con una forte crescita, in termini di influenza nel mondo del lavoro, del capitale sugli altri aspetti della produzione;

5. polarizzazione sociale ed esclusione; il processo di globalizzazione e la rete economico-finanziaria globale, nonché la frammentazione del lavoro hanno fortemente indebolito le associazioni sindacali, con notevoli conseguenze in campo sociale;

6. la cultura della realtà virtuale, ovvero l’emergere di nuovi modelli, nuovi simbolismi della cultura organizzati attorno alle nuove tecnologie. La nuova forza dei media, molto spesso estremamente diversa e mirata rispetto alle precedenti modalità di comunicazione, hanno indotto una nuova forma culturale basata sulla virtualità, ovvero una forma di comunicazione in cui le espressioni simboliche sono racchiuse e strutturate in una forma flessibile ed ipertestuale e, nel quale ambiente ogni giorno sempre più persone vi si immergono. Quindi, una forma di virtualità che è, nella realtà dei fatti, un ambiente reale nel quale comunichiamo e ci “muoviamo” sempre di più;

7. la politica deve avere la capacità di non farsi emarginare da questo mondo mediatico. Essa ha sempre più bisogno dei media, e della televisione in particolare. Sono necessari nuove modalità espressive.

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8. relatività temporale, ovvero tempo e spazio sono relativi in una società che per la sua natura e per il senso che da questa viene dato alle sue manifestazioni evolve attraverso la storia e le differenti culture. E’ questa una società strutturata su differenti valori attribuiti allo spazio e al tempo: relatività temporale – timeless time - e flusso nello spazio virtuale (space of flows);

9. the space of flows è questo nuovo ambito della vita che si muove tra l’irreale o virtuale e la realtà materiale; è un flusso di informazioni e conoscenza che caratterizza sempre più la società contemporanea, inducendo profonde trasformazioni tanto in termini socio-economici che politici e di rapporti con la realtà quotidiana.

Tutte queste trasformazioni, caratterizzate da una accentuata forma di multidimensionalità, hanno dato vita alla "informational city" (Castells 1989). Sebbene lo spazio reale continui ad essere predominante nella nostra esperienza, nella network society vi sarà sempre più una forma di dominio sociale rappresentato dalla prevalenza di una logica strutturata secondo the space of flows rispetto allo spazio reale. Questo nuovo aspetto, per dirla in termini sociologici, induce una forma di dualismo tipico della metropoli contemporanea, con conseguenti forme di esclusione sociali e territoriali che interessano tanto soggetti sociali che luoghi fisici. L’avvento della ICT e delle sue capacità di gestire, monitorare ed integrare strutture estremamente complesse ha, secondo Castells (2001) aiutato questo passaggio da un modello gerarchico ad uno di tipo a rete. Questo passaggio metodologico è avvenuto in modo rapido a partire dai settori che presentano un alto tasso di informatizzazione ed ha investito gli altri settori economici fino ad influenzare le politiche urbane. Castells esplicita molto bene questi concetti quando dice che “the circuits of electronic impulses is the material foundation of the information age just as the city in the merchant society and the region in the industrial society...information is the key ingredient of our social organisation...it is the beginning of a new existence...marked by the autonomy of culture vis-à-vis the material basis”... (Castells, 1996) Per concludere possiamo dire che tutte queste trasformazioni, caratterizzate da una accentuata forma di multidimensionalità, non sono solo l’espressione della rivoluzione digitale, quanto, di profondi rivolgimenti strutturali che investono la cultura occidentale e che si muovono all’interno di dinamiche nuove a cui, il più delle volte, non sappiamo ancora fornire risposte appropriate.

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6.3 La democrazia nell’era della rete

6.3.1 Dall’utopia alla Cyber-utopia Come si vede il discorso della promozione della ICT nei processi democratici ha riscosso, almeno sul piano teorico, molteplici contributi, alcuni dei quali hanno addirittura immaginato delle cyber-utopie, ovvero forme di democrazia dove l’uso della ICT sostituisce le attuali e classiche forme istituzionali che regolano i processi democratici. Internet, nella visione dei cyber-utopisti, diviene una sorta di medium per dare vita a forme di democrazia partecipativa, nella quale i cittadini possono autogovernarsi senza interferenze burocratiche o legislative. Ma, è bene ricordare che la questione dell’uso della ICT nell’attuazione di nuovi modelli istituzionali non è cosa facile da definire. Vi sono aperte molte questioni quali, ad esempio, quella sulla salvaguardia dei dati personali e, quindi, della sicurezza e della privacy dei cittadini. Oppure la questione sul tipo di democrazia che può scaturire dall’uso della rete; od ancora dare un nuovo senso e differenziazione tra ciò che ha un carattere pubblico da ciò che ricade nella sfera del privato. Come si vede vi sono in gioco questioni di fondamentale importanza per il nostro futuro. Nel seguito, per meglio comprendere questo fenomeno, ne delineeremo, attraverso un excursus storico, i tratti salienti al fine di fornire quelle informazioni capaci di supportare un tentativo di analisi critica al fine, poi, di valutarne gli effetti sulla scena urbana. Uno dei più noti cyber-utopista è Howard Rheingold, autore del testo The Virtual Community del 1993. L’idea di Rheingold sulla democrazia nell’era della rete è basata su due concetti:

la nozione di ciò che è parte della sfera pubblica (derivata dalle teorie di Habermas); ed il ruolo centrale che la comunità della rete svolge nell’attività democratica.

Queste due asserzioni hanno fornito il background culturale sulla quale poi molti dei cyber-utopisti si sono appoggiati al fine di tentare la formulazione di nuove architetture istituzionali e tentativi di cyber-democrazia. Per poter capire il senso delle asserzioni di Rheingold e dell’ambito culturale nella quale questi movimenti si muovono è necessario fornire una chiara comprensione sull’evoluzione sociologica e politica di alcuni concetti, quali la nozione di sfera pubblica e quella di società civile, in contesti dove l’immaterialità o virtual reality hanno acquisito significati impensabili fino a pochi decenni fa. Nell’escursus che segue cercherò di fornire una lettura chiara dell’evoluzione del fenomeno. Nelle rappresentazioni teoriche di molti cyber-utopisti si fa riferimento alle teorie sviluppate da Habermas a partire dagli anni ’60 dello scorso secolo con l’opera “The structural Transformation of the public sphere” del 1962, concernente il ruolo della sfera pubblica nella società contemporanea e con “The theory of the communication action” del 1987 e “Between the fact and norms” del 1992. Queste opere, la cui attenzione è incentrata sulle relazioni che intercorrono tra i processi comunicativi all’interno della società contemporanea e la base politico-ideologica dalla quale essi scaturiscono, sono considerate la base filosofica dalla quale molti cyber-utopisti hanno

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tratto spunto per le loro teorie sulle nuove forme di democrazia. L’idea generale di Habermas è quella di sviluppare una teoria dell’azione comunicativa che comporti anche dei valori etici. Per fare ciò egli imposta il suo lavoro di ricerca su due questioni essenziali e fortemente intercorrelate:

la capacità di comunicazione degli attori sociali; l’ambiente politico dove queste comunicazioni avvengono.

Nello sviluppo della sua teoria egli introduce una forma particolare di razionalità, cioè una razionalità capace di permettere il rispetto dei diritti umani, garantire le libertà e l’uguaglianza di tutti i cittadini. Questa nuova forma di razionalità è da Habermas chiamata razionalità comunicativa. A differenza di Max Weber, che vedeva nella ragione uno degli strumenti dell’apparato burocratico ed istituzionale atto a promuovere politiche di dominio e controllo sulla società, Habermas cerca una base logica per credere nella ragione, e, in tal senso, egli notò che oltre ad una ragione strumentale e ad una ragione funzionale vi è una ragione comunicativa, una ragione, cioè, capace di provvedere a fornire un terreno critico per le libertà di tutti gli individui. Nella sua analisi Habermas identifica la ragione strumentale come quella che guida tutte quelle azioni necessarie al raggiungimento di un determinato fine, mentre la ragione funzionale, seppure abbia una similarità con la strumentale nel senso del raggiungimento di predeterminati fini, essa è il soggetto guida dei sistemi burocratico ed amministrativo, i quali esercitano un controllo su differenti sfere della vita sociale. L’aspetto negativo è racchiuso nel fatto che questi sistemi anziché essere guidati da un etica di giustizia sociale sono, il più delle volte, guidati dai processi economici o da quelli di influenza politica. Porre un freno a tali devianze secondo Habermas è possibile attraverso la ragione comunicativa. Quest’ultima è in un rapporto di immanenza con l’azione comunicativa, cioè vi sono delle radici storico-culturali che permetterebbero, in una situazione libera da vincoli politico-economici, una forma di comunicazione ideale, e, quindi, una interazione positiva, sincera ed egalitaria. Altri elementi essenziali e che costituiscono un corpus filosofico di base riguardano i concetti di sfera pubblica, sfera pubblica politica e società civile. La nozione data da Habermas sul significato di sfera pubblica è essenzialmente un tentativo di voler offrire, ad ogni cittadino, un dominio della vita sociale nel quale ognuno potesse esprimere e formarsi una propria opinione senza interferenze coercitive da parte dei poteri forti. In linea di principio questo dominio è aperto a tutti i cittadini e si distingue da quello della sfera politica pubblica dove, invece, i discorsi sono incentrati sulla politica (Habermas, 1989, in Mc Afee, 2000). Elemento importante è che la sfera politica pubblica non è sempre un luogo fisico, ma esso prende forma nel momento in cui due o più persone discutono di politica. In tal senso, quindi, la sfera pubblica non è né un dominio del singolo cittadino, né parte di una struttura istituzionale, ma diviene essenzialmente uno spazio ibrido, una sorta di terzo dominio a metà strada tra pubblico e privato (Walzer, 1991 in McAfee, N., 2000). Questo terzo spazio,territorio di mezzo tra lo spazio individuale e quello pubblico, è stato da Walzer definito società civile, ovvero uno spazio libero privo di qualsivoglia forma di coercizione e dove ogni forma di associazionismo (per fede, ideologia, etc.) può trovare accoglienza. Una società civile, quindi, come network di tutte quelle forme associative non legate alla sfera politica o economica, ma capace di sviluppare idee e

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capacità critiche tali da influenzare l’azione politica e frenare i poteri forti della società contemporanea (Walzer, 1991 in McAfee, N., 2000). Il passaggio tra queste teorie e lo strumento informatico è breve. Difatti abbiamo visto come Habermas ha definito la sfera pubblica come una sorta di spazio ibrido non necessariamente caratterizzato dalla fisicità di un luogo. Inoltre abbiamo visto che la sua rappresentazione di democrazia deve caratterizzarsi per la libertà degli individui dalle forme di pressione esercitate dall’ambiente politico ed economico. E’ una forma che assomiglia, o che comunque getta le basi, alle successive formulazioni di democrazia partecipativa strutturata sui network elettronici e capace di spezzare le barriere fisiche e la libertà di acceso all’informazione. Quindi una forma di democrazia dove la materialità perde la sua forza portante in favore dell’immaterialità digitale. I cyber-utopisti credono che questa immaterialità possa abbattere le barriere sociali od economiche e dare vita ad una sfera pubblica capace di delineare uno spazio politico fatto di diritti e giustizia sociale, nella quale non vi sono quelle barriere fisico-sociali che producono esclusione ed emarginazione. Quindi trasferire questa ideale forma discorsiva (quella che Habermas chiama ideal speech situation) nel mondo digitale implica la possibilità di una maggiore democratizzazione che meglio può rappresentare i cittadini e gli interessi delle comunità (Gaynor, 1996). Sulla stessa linea Hagen (1996) elenca tre ragioni che spiegano del perché si renda necessaria l’introduzione di reti di computer per un processo democratico più rappresentativo. La prima spiegazione è che i network di computer permettono la creazione di ulteriori canali di comunicazioni tra i vari attori sociali. La seconda ragione è rappresentata dalla capacità di fornire maggiore forza all’azione politica per mezzo di comunità virtuali. Terza ed ultima ragione, l’uso dei network di computer può facilitare ed incrementare la partecipazione dei cittadini rafforzando, in tal modo, il sistema democratico. Come è facile immaginare la chiave per attuare tali idee è internet. Esso, difatti, può fornire quel supporto capace di ridare slancio alla sfera pubblica senza, per questo, sovrapporsi ai tradizionali mass media, e ciò perché internet è essenzialmente uno strumento interattivo ed una struttura anarchica se paragonata ai tradizionali mass media, i quali sono gerarchizzati e fisicamente definiti. Mentre i tradizionali mezzi di comunicazione hanno esaurito le forze per creare nuovi assetti socio-politici, la rete ha la capacità e la forza per sovvertire l’ordine economico e sociale delle nostre società (Gaynor, 1996). Inoltre la maggiore partecipazione democratica dei cittadini può influire sul potere legislativo e sull’apparato burocratico (Gaynor, 1996).

6.3.2 Verso la cyber-democracy? Città digitale ed e-democracy In questo paragrafo ci occuperemo delle varie formulazioni legate al concetto di democrazia nell’era elettronica, facendo riferimento ad un contesto generale e alle varie definizioni che si sono succedute nel tempo. Un elemento importante da tenere presente è che gli ambiti disciplinari in cui ci muoviamo sono relativamente giovani e, quindi, in continua evoluzione. Questo implica il doversi muovere in territori, per così dire, magmatici, dove i medesimi concetti trovano formulazioni e denominazioni talvolta anche differenti. Ecco allora che si parla di digital democracy (Fineman, 1995) o Cyber

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democracy (Ogden, 1994; Poster, 1995), o ancora Virtual democracy o information age democracy (Sinder, 1994). Molto si è scritto e detto riguardo alle tematiche legate al ruolo che le nuove tecnologie possono svolgere nel processo democratico della nostra società. Ricordiamo alcune tra le opere più conosciute sull’argomento: Howard Rheingold (Virtual Community), William Mitchel (City of Bits, E-topia), Nicolas Negroponte (Being Digital), Scott London (Electronic Democracy), Neil Postman (Technopoly: The surrender of Culture to Technology), James Fishkin (Democracy and Deliberation), Douglas Schuler (New Community Networks), Manuel Castells (The Rise of the Network Society). In tale ottica, una delle tematiche più interessanti e con notevoli implicazioni sugli assetti politico-istituzzionali della nostra società, riguarda i rapporti tra le nuove tecnologie con i processi politici legati tanto al concetto di e-democracy o democrazia digitale, che al governo del territorio. Abbiamo visto che già da molti anni molte amministrazioni hanno avviato politiche per la creazione di quelle infrastrutture necessarie ai processi di connessione alla rete mondiale di comunicazioni, inaugurando quei processi di ammodernamento che hanno fatto parlare di un nuovo modello di città: la città digitale. La città digitale può essere interpretata in differenti modi: o come una semplice ma nuova tipologia di infrastruttura informativa locale, che provvede a fornire, sia alla comunità locale che ai potenziali visitatori, informazioni sulla città reale; od anche come una sorta medium comunicativo, che può fornire aiuto nei processi di comunicazione all’interno della società civile. Ma essa può anche essere un nuovo mezzo per incrementare la democrazia e la partecipazione dei cittadini nella politica. Ed è proprio quest’ultima capacità della ICT che è alla base del concetto di e-democracy. Possiamo parlare allora di e-democracy in senso stretto, ovvero come semplice strumento attuativo di determinate procedure burocratico-amministrative (ad esempio procedure elettroniche di archiviazione di dati), oppure in senso ampio con riferimento non solo alle procedure del precedente punto, ma anche all’attuazione di politiche atte a migliorare e potenziare i canali di comunicazione e la partecipazione attiva dei cittadini alla vita politico-amministrativa della comunità (Gisler, M., 2001).

Nell’interpretazione di Hagen (1996) e-democracy va intesa come processo in cui un sistema politico democratico usa reti di computer al fine di supportare processi cruciali nel processo democratico come la comunicazione, l’informazione, l’aggregazione e i processi di decision making, sia in termini deliberativi che di voto. Questo processo è strutturato sulla base di quattro concetti:

riferimento a precisi obiettivi tecnologici (ad esempio la ICT); tipo di forma democratica preferita (diretta o rappresentativa); dimensione politica della partecipazione (informazioni, discussioni, votazioni,

azioni politiche); agenda politica perseguita (liberale, conservativa, comunitaria, etc.).

Volendo ancora seguire il percorso di Hagen egli va ad individuare tre forme di e-democracy: teledemocracy, cyber democracy ed electronic democratization. La tabella sotto illustra le tre forme di e-democracy, con l’indicazione dell’origine, degli autori, dei gruppi sociali dove ha riscosso maggiore successo, nonché le questioni più rilevanti, la forma politica di partecipazione e la forma democratica preferita.

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Tabella 6-1. Nella tabella sono illustrate le varie caratterizzazione di democrazia digitale, con i principali autori ed esponenti, gruppi sociali di riferimento ed obiettivi programmatici. (Tabella basata sul lavoro di Hagen).

Concept Teledemocracy Cyber democracy Electronic democratisation

Origins

Developed in late 1970s, by the use of cable TV

Developed in the late 1980s by the use of Computer networks

Developed in 1990s by the sprawl of computer networks

Main authors

Ted Becker, Christofer Arterton, Christa Daryl Slaton, Amatai Etzoni, Alvin Toffler, John Naisbitt, Benjamin Barber, Robert Dahl

Variant 1 Conservative and libertarian: Progress and Freedom Foundation (PFF) - Alvin Toffler, James Keyworth, Ester Dyson, George Gilder. Variant 2 communitarian: Howard Rheingold, Morino Institute, Doheny-Farina.

Abramson/Arterton/Orren, Bonchek

Social group where it most applies

Grassroots activists, political scientists, sociologists, futurologists

Mixture between hippie and yuppie-cultures in the American west, a new “virtual class”

Members of Congress, White House officials, political scientists and journalists from “well known” institutions

Main issues

CMC can bridge timeand space and make forms of political participation long believed impractable possible; traditional forms of representative democracy cannot deal with complexity of the information age, local forms of democracy and empowerment of the individuals are necessary and via CMC and cable Tv possible; democratic uses of media are necessary as a counter-balance to abuses of media due to commercial

creation of both virtual and material communities is central task of 21st century democracy; information is prime economic resource, business and individuals can better maximize their own good via CMC; CMC enables decentralizes, self government forms of government, thus guarding effectively against state abuses of authority (such as censorship, invasion of privacy etc.)

CMC-based political information systems allow more and freer access to crucial government information; electronic town meetings can create much needed links between public and their elected representatives to deliberate political issues and create a new sense of community among the electorate; because interest groups can lower transaction and organisation costs, civil society is straightened via CMC

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objectives

Forms of political participation

information; discussion; voting

discussion; political activity

information; discussion

Preferred forms of democracy

less direct, more as a supplement to existing

direct

improvement of representative democracy

*CMC = computer mediated communication

6.3.3 Obiettivi per una politica di e-democracy Nella letteratura corrente prevale il concetto di e-democracy nella sua accezione più ampia, quindi l’attuazione di progetti e politiche atte a garantire:

l'inclusione sociale, pre-condizione essenziale, che nel caso specifico dell'e-democracy si traduce in inclusione nella società dell'informazione e nel contrasto del digital divide; l'accesso all'informazione, con particolare riferimento a quella prodotta dai

soggetti pubblici (ad esempio trasparenza dei processi decisionali politici in democrazia e, quindi, alla possibilità di esprimere un consenso informato e di esercitare un controllo democratico sull'operato delle istituzioni); l'accesso alla sfera pubblica, quindi l'effettiva possibilità di produrre

informazione e partecipare alla formazione delle opinioni, di dialogare fra cittadini e con le istituzioni, in un confronto aperto fra attori sociali, politici e istituzionali; la dimensione elettorale, quindi l'elettorato passivo ed attivo, i processi elettorali

di selezione della classe politica e di formazione dei governi e/o delle assemblee rappresentative, con particolare attenzione al processo di voto, meccanismo di scelta alla base del modello di democrazia rappresentativa; sono in questo ambito possibili innovazioni riguardanti le modalità di selezione delle candidature e di formazione delle liste elettorali, le modalità tecniche della votazione (voto a distanza, noto come e-vote o voto elettronico), le modalità di voto (voto graduato/ordinato per liste e candidati, voto segmentato per ambito di policy, ecc.); la dimensione dell'iniziativa diretta da parte dei cittadini, laddove sono previsti

istituti giuridici specifici (ad esempio referendum, proposte di iniziativa popolare, ecc.), e forme spontanee rappresentate da petizioni, appelli, costituzione di gruppi informali e associazioni; la dimensione del coinvolgimento dei cittadini e delle loro forme associative in

specifici processi decisionali (ad esempio tavoli locali di concertazione delle politiche di sviluppo locale, Agenda 21, patti territoriali, urbanistica partecipata,

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bilancio partecipativo, piano dei tempi, piano del traffico, piano dei rifiuti, piano sanitario, ecc.).

L’obiettivo delle politiche di e-democracy, almeno nelle sue formulazioni teoriche, è dunque rivolto a favorire ed incrementare la partecipazione dei cittadini alla vita delle istituzioni democratiche (accesso all'informazione, inclusione sociale, elettorato passivo ed attivo, iniziativa diretta), passando attraverso varie forme di consultazione nel corso dei processi di decisione, fino al coinvolgimento nella fase finale dei processi decisionali. In tale ottica le nuove tecnologie possono dare un significativo contributo ai processi democratici andandosi ad integrare nelle forme tradizionali di partecipazione, tenendo, quindi, ben presente alcuni concetti fondamentali:

l'ICT non pretende di sostituire, ma piuttosto serve a sostenere, rafforzare, estendere ed innovare gli ambiti e le modalità della partecipazione attivata attraverso i canali e le sedi tradizionali; le politiche per la promozione della partecipazione dei cittadini attraverso l'ICT

possono diventare uno strumento rilevante per avvicinare alla vita delle istituzioni soggetti tendenzialmente più distanti, per cultura o perché socialmente esclusi o a rischio di esclusione sociale; naturalmente, a condizione che si prevedano misure adeguate a sostegno di questa nuova partecipazione (misure specifiche verso gruppi target, adeguata promozione, ecc.); per l'e-democracy, così come per l'e-government, la sfida dell'adozione dell'ICT

riguarda soprattutto le culture organizzative (amministrative e di governo); su questo piano è necessario un grande sforzo degli attori locali, presso i quali si registrano i primi segnali di una crescita di consapevolezza nel senso auspicato.

Ma per l’attuazione di un efficace progetto politico volta alla realizzazione di progetti di e-democracy, si rendono necessarie alcune azioni volte all’eliminazione di tutti quei vincoli che, purtroppo, molte volte tendono ad ostacolare o rallentare i processi di innovazione. In particolare saranno necessarie azioni volte a favorire:

una cultura di governo, ovvero comprensione, da parte del personale politico, sia delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie che dei vantaggi etici e politici derivanti dall’ascolto dalla partecipazione dei cittadini; una cultura organizzativa delle strutture amministrative; questo significa avere

le idee chiare sulla scorta di un progetto di ingegneria amministrativa; ciò favorirà un uso razionale delle risorse finanziarie ed umane, e ridurrà al minimo i deficit comunicativi sia tra le varie branche dell’amministrazione e tra queste ultime ed i cittadini; interventi nell’ambito delle politiche per l’accesso, tanto in termini

infrastrutturali che di conoscenza (skills digitali). In tal senso è importante un’azione sinergica tra soggetti pubblici, soggetti privati ed associazionismo; attivazione, nei processi di democrazia partecipata, anche dei tradizionali

canali di comunicazione. In tal modo si potrà avere una platea allargata e strutturata tanto su una dimensione virtuale che su quella face to face, incrementando le relazioni fra i cittadini e fra cittadini e istituzioni.

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Come si vede l’attuazione di una seria politica di e-democracy deve poter coniugare strutture organizzative che agiscono su piani differenti. E’ quindi necessaria un’azione che abbia ben chiaro il disegno complessivo, dovendo agire tanto sull’apparato burocratico-amministrativo che in quello dei rapporti tra istituzioni e cittadinanza. Molte volte, purtroppo, si assiste ad azioni orfane di un qualsivoglia progetto; quindi azioni che producono sperpero di danaro pubblico e con benefici quasi nulli per i cittadini. E’ necessario, quindi, attuare un intervento di acculturamento della classe dirigente, in quanto è compito della politica fungere da catalizzatore tra differenti attività e i vari attori sociali. Si deve quindi passare da una cultura di governo ad una cultura di e-government.

6.4 ICT nelle politiche dell’Unione Europea e dell’Italia per una società dell’informazione

6.4.1 Introduzione Le politiche per agevolare il processo di riorganizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni, che va sotto il nome di e-government, si stanno sviluppando in tutti i paesi dell’Unione, con l'obiettivo di promuovere una società dell'informazione inclusiva, i cui benefici sociali ed economici possano essere allargati a tutti. Molti analisti hanno dimostrato che la caratteristica comune tra le economie che hanno avuto le migliori performance negli ultimi anni è stata l’intensità e la pervasività dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT). Queste tecnologie permeano ormai un numero molto ampio e crescente di attività economiche e ne rappresentano il veicolo di innovazione. Vi è ormai un grande consenso nell’attribuire la crescita di produttività degli Stati Uniti e la debolezza di alcune economie europee alla crescita e rispettivamente alla insufficienza degli investimenti in ICT. Studi recenti hanno stimato che negli Stati Uniti gli investimenti in ICT hanno contribuito per un punto percentuale alla crescita del PIL nella seconda metà degli anni ‘90. Le stesse stime per l’Europa indicano un contributo di circa 0,5 punti percentuali. Nello stesso periodo gli investimenti in ICT negli Stati Uniti sono stati circa doppi di quelli dell’Unione Europea (Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie). Anche gli investimenti nella formazione di capitale umano e in ricerca e sviluppo rappresentano un fattore sempre più rilevante nell’economia. La quota di valore aggiunto e di occupazione dei settori basati sulla conoscenza continua a salire e questo è indice che la conoscenza sta acquisendo sempre più importanza nell’ambito dell’attività produttiva, manifatturiera e di servizi. La forte crescita delle tecnologie ICT è stata anche accelerata da diversi fattori; in particolare, dalla continua diminuzione dei costi unitari dell’hardware, dall’avvento di Internet e gli alti rendimenti avuti dalle aziende del mondo informatico hanno reso

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disponibili risorse che alimenteranno la crescita dell’alta tecnologia. Queste tecnologie permettono un’accelerazione del processo innovativo, consentono una più rapida diffusione di conoscenza codificata e di idee e rendono la ricerca scientifica più efficiente ma anche più legata all’industria. L’innovazione non si basa solo sull’attività di ricerca e di sviluppo, ma spesso richiede investimenti complementari in altre aree riguardanti, ad esempio, la formazione del capitale umano o la ristrutturazione dei processi produttivi. In tal senso il nostro Paese ha carenze strutturali pesanti e che non sarà facile recuperare se si vuole rimanere tra i Paesi più avanzati. Manca una politica seria di investimenti nella ricerca, e ciò non solo per il settore pubblico ma anche per l’industria privata. I sistemi più evoluti sono quelli che si adattano ai nuovi modelli di innovazione, che rafforzano le interazioni fra settore pubblico e settore privato, e che, in generale, creano le condizioni migliori per lo sviluppo di innovazioni. In questo scenario economico si colloca l’iniziativa dell’Unione Europea volta a perseguire una politica di sviluppo della ICT per il prossimo decennio. In particolare l’azione ha come obiettivo la definizione di quelle pre-condizioni generali - economico-politiche - atte a definire un processo di sviluppo sostenibile anche attraverso l’uso della ICT. In tal senso si è puntato su politiche economiche più equilibrate e processi democratici bottom-up, cioè volti ad assicurare la partecipazione dei cittadini alla società dell'informazione e a contrastare i fenomeni di esclusione o di emarginazione sociale (ad esempio digital divide). In tale ottica, emerge la necessità per le istituzioni politiche di rispondere non solo alle sfide dell'efficienza amministrativa, ma anche a quelle generate dall’insufficienza dei canali tradizionali della mediazione della domanda politica. Ciò avviene in coincidenza con l'affermarsi di una nuova dimensione del governo democratico, la governance, che prevede l'intensificarsi delle relazioni, di confronto e cooperazione, fra attori pubblici e privati. Una partecipazione dei cittadini, in veste di attori individuali ed associativi, culturali, sociali e produttivi, più ampia (per bacino di soggetti coinvolti) ed estesa (per tematiche ed estensione temporale) ai processi decisionali, costituisce uno dei quattro pilastri del modello di governance democratica europea. Prima di concludere è bene ricordare ancora una volta, che vi sono due piani di attuazione di politiche della ICT; ovvero uno legato all'applicazione dell'ICT ai processi produttivi della pubblica amministrazione (in questo caso si parlerà di e-government avanzato, o di processi di interactive e-government) ed un secondo piano riguardante l'applicazione dell'ICT a sostegno della partecipazione dei cittadini ai processi democratici più propriamente politici (e-democracy in senso lato), quindi di partecipazione alla determinazione delle scelte pubbliche (dalla costituzione di associazioni e soggetti politici, alla scelta delle assemblee rappresentative, alla scelta degli esecutivi a livello locale, agli istituti di partecipazione diretta, quali i referendum, alle varie forme di consultazione e di iniziativa diretta). Infine, bisogna essere consapevoli che, con la diffusione delle nuove tecnologie della comunicazione, emergono opportunità nuove, ma anche vincoli specifici. Nel contesto della società dell'informazione, sotto entrambi i profili evidenziati (l'e-government avanzato e l'e-democracy), le condizioni di esclusione dall'accesso all'ICT costituiscono per i cittadini, come utilizzatori di servizi della PA da un lato, e come depositari di diritti politici dall'altro, un grave ostacolo all’esercizio della nuova cittadinanza.

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6.4.2 Le politiche dell’Unione Europea per lo sviluppo della ICT1 Il Consiglio Europeo di Lisbona di marzo 2000 fissò per il successivo decennio un ambizioso obiettivo strategico per l’Europa: diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. In questo contesto si evidenzia ancora una volta il ruolo centrale delle tecnologie ICT per lo sviluppo dell’innovazione al servizio del raggiungimento degli obiettivi di sviluppo dell’economia e della società. Per raggiungere tale obiettivo, i capi di Stato e di governo hanno invitato il Consiglio e la Commissione ad elaborare un piano d'azione globale strutturato attraverso il coordinamento delle varie iniziative nazionali ed in sinergia con la recente iniziativa

1 Il presente paragrafo è tratto dal documento “Una società dell’informazione per tutti”, curato dal Consiglio dell’Unione Europea Commissione delle Comunità Europee, Bruxelles, 2000.

Figura. 6-2 – Rapporto tra investimenti in IT e competitività di alcuni Paesi

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Fonte: Net Consulting

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della Commissione denominata e-Europe. Quest’ultima iniziativa ha come obiettivo lo sviluppo di una forte politica nel settore dell’informazione a livello globale, in particolare promuovendo l’approccio europeo in sedi come il G8, l’OECD e l’OMC. L’Europa vuole svolgere un ruolo attivo nello sviluppo di una società dell'informazione più equa, che offra giuste opportunità di inserimento a tutti i paesi in modo tale da ridurre il divario digitale tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo. Inoltre ci si muoverà anche per quanto riguarda il contesto del commercio elettronico, dove si darà priorità alla cooperazione a livello mondiale tra governi e settore privato, particolarmente nello sviluppo della coregolamentazione.

Figura 6-3. Principali esperienze europee sulla Società dell’Informazione

Inizialmente l'iniziativa e-Europe aveva individuato dieci settori per i quali un intervento a livello europeo avrebbe generato un valore aggiunto. Da ciò risulta un raggruppamento delle azioni intorno a tre obiettivi principali:

1. Accesso più economico, più rapido e più sicuro ad Internet, da ottenersi mediante:

a) un accesso più economico e rapido ad Internet per mezzo di una forte politica di riduzione dei costi;

a) accesso più rapido ad Internet per ricercatori e studenti; una maggiore rapidità di accesso ad Internet introduce un nuovo concetto nel mondo dell'informatica: l'elaborazione distribuita sulle reti. Tale nozione trova la sua espressione concettuale nell'immagine del cosiddetto “World Wide Grid” o WWG. L'idea consiste nel facilitare la cooperazione tra gruppi geograficamente distanti appartenenti a tutte le discipline scientifiche e a tutti i settori industriali, consentendo loro di condividere i dati e le infrastrutture informatiche e di collaborare in tempo reale. Le nuove attività di sviluppo, integrazione e

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l'omologazione delle tecnologie legate al WWG consentiranno di creare un sistema perfettamente unificato di reti, computer, terminali e sistemi di memorizzazione dei dati.

c) reti e carte intelligenti più sicure. L'esistenza di reti sicure e l'accesso sicuro attraverso le carte intelligenti rappresentano degli elementi fondamentali per promuovere la fiducia nel commercio elettronico tra gli utenti. La tutela della sicurezza deve essere altamente prioritaria, ma può risultare onerosa e rallentare la velocità della rete. Dal momento che non si possono imporre soluzione arbitrarie, spetta al mercato definire, per quanto possibile, il livello di sicurezza necessario per salvaguardare le esigenze degli utenti.

2. Investire nelle risorse umane e nella formazione, da ottenersi mediante:

a) giovani d'Europa nell'era digitale, ovvero attuare tutte quelle azioni per quanto riguarda il collegamento delle scuole ad Internet. Sono richiesti tuttavia ulteriori sforzi e in particolare:

è necessario garantire un numero sufficiente di computer e un collegamento rapido ad Internet; le attrezzature installate ed il software, i contenuti e i servizi disponibili

devono corrispondere alle esigenze didattiche; è necessario garantire l'utilizzo effettivo di questi nuovi strumenti mediante

la presenza di docenti altamente qualificati e attraverso l'adeguamento dei curricula degli insegnanti e degli studenti.

b) Lavorare nell'economia basata sulla conoscenza. A Lisbona è stato indicato chiaramente che, per raggiungere la piena occupazione, è necessario operare una trasformazione radicale dell'economia e delle competenze per cogliere appieno le opportunità generate dalla nuova economia. La prima sfida riguarda l'istruzione e la formazione. L'“alfabetizzazione digitale” è un elemento essenziale da cui dipendono l'adattabilità dei lavoratori e le prospettive di occupazione di tutti i cittadini. In questo contesto, la responsabilità delle imprese per quanto riguarda la formazione “sul posto di lavoro” sarà di capitale importanza per la formazione permanente. Si potrebbe prevedere un premio per le imprese che abbiano avuto un particolare successo nello sviluppo delle risorse umane. La seconda sfida consiste nel portare il tasso di occupazione il più vicino possibile al 70% entro il 2010. La terza sfida riguarda la modernizzazione dell'organizzazione del lavoro. Una maggiore flessibilità genera dei vantaggi di tipo tecnologico in termini di variabilità dell'orario e della sede di lavoro. Le parti sociali dovrebbero essere incoraggiate a dare il loro contributo promuovendo la flessibilità sul lavoro a vantaggio dei datori di lavoro e dei lavoratori.

c) Partecipazione di tutti all'economia basata sulla conoscenza Stando alle conclusioni formulate a Lisbona, l'iniziativa eEurope dovrebbe ampliare la portata dell'azione denominata ePartecipation, ovvero rendere accessibili on-line i servizi delle amministrazioni centrali e le informazioni di

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carattere pubblico. Il fatto di consentire a tutti i cittadini di accedere ai siti web delle pubbliche autorità è altrettanto importante quanto garantire l'accesso agli edifici pubblici.

3. Promuovere l'utilizzo di Internet attraverso:

a) il commercio elettronico; quindi non solo il commercio elettronico nel settore degli scambi tra imprese (il cosiddetto "business-to-business"), ma favorire ance la crescita del commercio elettronico tra imprese e consumatori ("business-to-consumer"): A tal fine, però, c’è da rimuovere alcuni problemi a livello normativo, e cioè:

le discrepanze sul piano giuridico che impediscono alle imprese di operare in tutta l'Unione europea; rafforzare la fiducia dei consumatori.

b) Amministrazioni on-line: accesso elettronico ai servizi pubblici Le tecnologie digitali facilitano l'accesso al patrimonio di informazioni del settore pubblico e il riutilizzo delle stesse. L'iniziativa amministrazioni on-line potrebbe contribuire a trasformare le vecchie strutture del settore pubblico creando servizi più rapidi ed efficienti, con conseguente aumento della funzionalità, riduzione dei costi, aumento della trasparenza ed accelerazione delle normali procedure amministrative cui devono ricorrere i cittadini e le imprese.

c) Assistenza sanitaria on-line, ovvero sviluppare un'infrastruttura composta da sistemi di facile impiego, convalidati ed interoperabili nel campo dell'educazione sanitaria, della prevenzione delle malattie e dell'assistenza medica.

d) Contenuti digitali per reti globali

Le industrie dei contenuti rappresentano un settore in forte espansione nell'ambito dell'economia europea. L'Europa dispone di una solida base sulla quale può sviluppare un'industria dei contenuti digitali dinamica: una lunga tradizione nel campo della stampa e dell'editoria, un vasto patrimonio culturale, una grande diversità linguistica dalle enormi potenzialità ed un'importante industria audiovisiva in forte crescita.

e) Trasporti intelligenti La sfida principale per l'Europa consiste nel soddisfare la crescente domanda di mobilità attraverso una rete di trasporti di dimensioni limitate. I problemi che affliggono le reti di trasporto sono generalmente tre: la congestione, la sicurezza e la mancanza di nuovi servizi. La congestione rappresenta uno dei principali problemi del trasporto stradale e aereo. I ritardi nel traffico aereo sono dovuti in parte alle inefficienze strutturali del sistema (gestione dello spazio aereo), ma anche alla presenza di sistemi eterogenei di gestione del traffico aereo, i quali non sempre tengono il passo con gli sviluppi nel campo tecnologico. Oltre a dotare i controllori del traffico aereo di strumenti di automazione, è necessario introdurre dei sistemi per il trasferimento delle informazioni mediante collegamento dei dati (datalink). La congestione del traffico stradale è particolarmente evidente nelle zone urbane e nei corridoi transeuropei e produce effetti negativi per l'ambiente. I sistemi intelligenti ed i servizi per il trasporto stradale possono ridurre queste

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"strozzature", come pure l’inquinamento: tuttavia, essi spesso presentano un'eccessiva frammentazione e i servizi vengono forniti con eccessivo ritardo all'utenza finale. Identificazione delle automobili e trasmissione elettronica di dati tra il veicolo e i fornitori di servizi (p. es. gli enti preposti al traffico) sono elementi chiave di un’infrastruttura intelligente dei trasporti.

Figura 6-4. Disponibilità servizi governativi on line nei paesi dell’Unione Europea

Figura 6-5. Indice sintetico di innovazione

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6.4.3 Il modello italiano di E-Government Il modello che il Governo intende implementare è quello di una Pubblica Amministrazione orientata all'utente, cittadino ed impresa, fornitrice di moderni servizi, creatrice di valore "pubblico", con cui sia facile operare. Una Pubblica Amministrazione efficiente e trasparente nei suoi compiti e nel suo grande patrimonio informativo, è anche e soprattutto un fattore di innovazione e di competitività per il Paese. La realizzazione di un tale modello di e-government poggia su moderne infrastrutture "abilitanti" che ne assicurano in modo efficiente e sicuro alcune funzionalità di base. Un sistema di e-government nei suoi sviluppi più avanzati rappresenterà anche un potente strumento di coinvolgimento e partecipazione dei cittadini ai processi decisionali, evolvendo verso modelli innovativi di e-Democracy. Un tale cammino non può essere fatto che agendo in modo coordinato su tutte le componenti: normative, finanziarie, organizzative, procedurali e soprattutto sulle risorse umane, discriminante di ogni grande trasformazione. All'interno di tale modello, l'e-government rappresenta un passaggio innovativo fondamentale, che si inserisce nel processo di profonda trasformazione che tutti gli enti pubblici stanno affrontando per servire i cittadini e le imprese come "clienti" da gestire con la massima attenzione. Il concetto di cliente non significa che le Amministrazioni operano in un'ottica di profitto, ma più semplicemente che il loro obiettivo diventa quello di erogare servizi in linea con le esigenze di chi ne usufruisce e la soddisfazione del ricettore del servizio è strumento fondamentale di verifica della sua qualità. E' opportuno sottolineare che tra i cittadini "clienti" debbono figurare a pieno titolo e con pari opportunità i cittadini italiani all'estero, e per questo specifico obiettivo le tecnologie svolgono un ruolo insostituibile. Per realizzare concretamente questo concetto il Dipartimento ha sviluppato il seguente modello di riferimento strategico dell'e-government. Il modello è composto da sei elementi chiave:

1. erogazione servizi - Un insieme di servizi che dovranno essere resi disponibili attraverso modalità innovative e ad un livello di qualità elevato a utenti-clienti (cittadini ed imprese). Per focalizzare gli sforzi di sviluppo, sono stati individuati alcuni servizi prioritari dal punto di vista degli utenti-clienti, che saranno considerati nelle iniziative di digitalizzazione. Questi servizi saranno forniti con un unico punto di accesso anche se implicano l'intervento di più Amministrazioni. Le complessità interne alla Pubblica Amministrazione verranno cioè mascherate all'utente/cliente.

2. riconoscimento digitale - Modalità di riconoscimento dell'utente e di firma sicura attraverso la Carta di Identità Elettronica, la Carta Nazionale dei Servizi e la firma digitale

3. canali di accesso - Una pluralità di canali innovativi attraverso cui l'utente accede ai servizi offerti: Internet, call centre, cellulare, reti di terzi, etc

4. enti eroganti - Un back office efficiente ed economicamente ottimizzato dei diversi enti eroganti

5. interoperabilità e cooperazione - Standard di interfaccia tra le Amministrazioni che consentano comunicazioni efficienti e trasparenza verso l'esterno

6. infrastruttura di comunicazione – Una infrastruttura di comunicazione che colleghi tutte le Amministrazioni.

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Per realizzare concretamente questo concetto il Dipartimento ha sviluppato il seguente modello di riferimento strategico dell’eGovernment.

In aggiunta a queste componenti, le tecnologie oggi disponibili sono utilizzabili anche per migliorare l'efficienza dei processi interni della Amministrazione pubblica (es. acquisti di beni e servizi della PA) e per valorizzare le risorse umane interne, aumentandone le competenze ed il know-how. Per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione centrale, le iniziative prioritarie atte a realizzare il “modello di riferimento” e a sfruttare pienamente i vantaggi derivanti dalle nuove tecnologie, sono state tradotte nei 10 obiettivi di legislatura approvati il 13 febbraio del 2002 dal Comitato dei Ministri per la Società dell’Informazione. Relativamente ai 10 obiettivi di Governo, i dati salienti della programmazione delle Amministrazioni sono:

Cittadini Imprese

Riconoscimento digitale Carta Nazionale Servizi, Carta Identità ElettronicaCarta Nazionale Servizi, Carta Identità Elettronica

Canali d’accessoWeb (Portali P.A.)

Nazionali Locali ASL

Call center

Sportello Unico

Cellulare,palmare

Reti terze (portali Generalisti, Banche, Poste, …)

Infrastruttura di comunicazione

Sistema pubblico di connettivitàSistema pubblico di connettività

Enti eroganti Comuni Regioni PAC

Procedure integrate di interfacciamento

Uffici di back-office

Interoperabilità e cooperazione Applicativi di Notifica EventiApplicativi di Notifica Eventi

Erogazione servizi

Figura 6-6. Il modello di eGovernment della Pubblica Amministrazione (Fonte: Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie)

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servizi on line. Le Amministrazioni centrali assicurano la piena disponibilità dei servizi di propria competenza (37 in totale) compresi tra gli 80 servizi prioritari per cittadini ed imprese. Numerose Amministrazioni si pongono poi obiettivi di disponibilità in rete di altri servizi. Carta di Identità Elettronica – Carta Nazionale dei Servizi: il Ministero

dell’Interno ha fatto proprio l’obiettivo indicato. Anche altre Amministrazioni hanno programmato l’a deguamento dei propri sistemi per favorire l’accesso sicuro tramite CIE/CNS. Firma digitale. La proposta delle Amministrazioni si sviluppa su tre principali

linee di intervento: diffusione della firma digitale all’interno delle Amministrazioni stesse; intervento su applicazioni e servizi, per renderli accessibili in sicurezza tramite la firma digitale; iniziative di stimolo all’utilizzo della firma da parte di gruppi specifici di utenti esterni. e-Procurement. Il Ministero dell’Economia e Consip confermano l’obiettivo

indicato e stanno già attivamente operando per il completamento della piattaforma e degli strumenti (market-place e gare on-line) e per l’ampliamento della gamma dei beni e servizi disponibili. Posta elettronica. Tutte le Amministrazioni si sono impegnate e l’obiettivo è

quindi concretamente raggiungibile. In diversi casi l’investimento previsto comprende le necessità di completamento e potenziamento delle dotazioni necessarie, in termini di posti di lavoro e reti locali. Impegni e mandati di pagamento gestiti on-line. La diffusione delle soluzioni

approntate dalla Ragioneria Generale dello Stato è prevista nell’insieme delle Amministrazioni, portando alla piena automazione dei mandati. L’accelerazione è necessaria per la completa automazione delle procedure di impegno e l’integrazione con le procedure di contabilità economica e finanziaria. Alfabetizzazione certificata di tutti i dipendenti pubblici. La proposizione

delle Amministrazioni è pressoché completa. Particolare rilevanza assume l’obiettivo del Ministero dell’Istruzione, che prevede l’alfabetizzazione di 400.000 docenti. Formazione erogata via eLearning. Gli interventi per l’eLearning sono

evidenziati dalla grande maggioranza delle Amministrazioni: gli obiettivi sono pertanto raggiungibili e in qualche caso superabili. Data l’innovatività dell’iniziativa è particolarmente importante per quest’obiettivo una continua azione di indirizzo e verifica. Accesso on-line all’iter delle pratiche. Tutte le Amministrazioni sono

impegnate nel raggiungimento dell’obiettivo che vede in prospettiva un Pubblica Amministrazione operare su documenti digitali, con protocollo informatizzato, posta certificata e soprattutto trasparenza dell’iter burocratico verso l’esterno. Le importanti implicazioni organizzative e di semplificazione dei procedimenti amministrativi richiedono una forte azione di coordinamento e indirizzo. Qualità. Si tratta di un tema particolarmente ambizioso, anche da un punto di

vista culturale, sul quale è particolarmente necessaria la prevista azione di indirizzo da parte dei Dipartimenti dell’innovazione e delle tecnologie e della funzione pubblica. Alle previste circolari è opportuno che si affianchi un gruppo di lavoro capace di dare supporto alle Amministrazioni, specie nella fase di definizione dei programmi attuativi.

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Quindi, come si evince, tutte le più importanti aree della Pubblica Amministrazione sono interessate a profonde strategie di cambiamento, con interventi che modificheranno profondamente il ruolo, il rapporto con l’utente e l’immagine della Pubblica Amministrazione. Riportiamo, attraverso poche informazioni, gli elementi salienti dei piani specifici di alcune Amministrazioni ministeriali collegate al presente lavoro:

per il Ministero dell’Ambiente il principale obiettivo specifico è un ulteriore insieme di servizi on line, riguardante la disponibilità del patrimonio informativo cartografico in tema di ambiente, territorio e assetto idrogeologico. Altri obiettivi riguardano principalmente l’informatizzazione di uffici ancora non automatizzati (banca dati delle concessioni di derivazione d’acqua, di elettrodotti e di opere idrauliche, monitoraggio degli interventi di difesa del suolo). Inoltre è in corso il progetto volto all’attuazione di un programma di diffusione delle informazioni ambientali e territoriali georeferenziate. Il progetto ha la finalità di rendere disponibile a cittadini, professionisti, imprese e Amministrazioni pubbliche il patrimonio informativo cartografico in tema di ambiente, territorio e assetto idrogeologico. L’intervento comprende l’automazione di processi di raccolta e la diffusione di tali informazioni attraverso un portale sviluppato in coerenza con il Portale Nazionale. Al progetto è collegata un’iniziativa di e-Learning, con la previsione di formare e rendere fruibile, tramite Internet, ad una vasta platea di operatori pubblici e privati, una libreria di corsi specialistici su temi e metodiche rilevanti nello specifico settore, ad oggi particolarmente carente.

Per il Ministero dei Beni Culturali, la principale iniziativa riguarda la digitalizzazione del patrimonio culturale. Questo progetto prevede l’acquisizione di dati inventariali per 44 milioni di beni, con dati di catalogazione per 41 milioni di essi, nonché la digitalizzazione di 14 milioni di beni. I beni inventariati, catalogati e digitalizzati, organizzati come beni artistici, librari e archivistici, saranno resi disponibili attraverso un portale multilingue in grado di interessare una platea mondiale di circa due miliardi di persone e aperti allo sfruttamento multimediale e multilingue (musei virtuali, mediateche, visite virtuali dei luoghi della cultura). Quindi un servizio di automazione servizi gestionali dell'Amministrazione. Il sistema si propone di informatizzare le procedure tecnico/organizzative preposte al funzionamento della macchina amministrativa, attivando procedure di contabilità economico-patrimoniale ed analitica, di controllo di gestione e di gestione del personale.

A chiusura del presente paragrafo, riportiamo un box con le principali azioni governative per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione.

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Linee guida digitalizzazione P.A. Gli atti di indirizzo già emanati

Le «Linee guida del Governo per lo sviluppo della società dell'informazione nella legislatura», hanno fissato dieci obiettivi, da realizzare nel corso della legislatura, per la digitalizzazione delle amministrazioni statali;

la direttiva del Ministro per l'innovazione e le tecnologie in data 21 dicembre 2001, recante «Linee guida in materia di digitalizzazione dell'amministrazione» per l'anno 2002;

la direttiva del Ministro per l'innovazione e le tecnologie del 16 gennaio 2002 concernente la sicurezza informatica e delle telecomunicazioni nelle pubbliche amministrazioni;

la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 30 maggio 2002 concernente l'uso del dominio internet «.gov.it» e l'efficace interazione del portale nazionale «italia.gov.it», in particolare per quanto attiene le caratteristiche di accessibilità, usabilità, efficacia, controllo dell'accesso, privacy e sicurezza;

la direttiva del Ministro per l'innovazione e le tecnologie del 9 dicembre 2002 sulla trasparenza dell'azione amministrativa e la gestione elettronica dei flussi documentali, che specifica le implicazioni operative per le amministrazioni, finalizzate al rispetto del termine del 1° gennaio 2004 fissato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000 per l'introduzione del protocollo informatico;

la direttiva del Ministro per l'innovazione e le tecnologie in data 20 dicembre 2002, recante «Linee guida in materia di digitalizzazione dell'amministrazione» per l'anno 2003;

il decreto del Ministro per l'innovazione e le tecnologie del 14 ottobre 2003, che approva le «Linee guida per l'adozione del protocollo informatico e per il trattamento informatico dei procedimenti amministrativi»;

la direttiva del Ministro per l'innovazione e le tecnologie del 27 novembre 2003 per l'impiego della posta elettronica, che fornisce indicazioni in merito alle azioni ed alle scelte necessarie per un uso intensivo di tale mezzo nello scambio di documenti ed informazioni tra le pubbliche amministrazioni.

(Fonte: Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie)

Figura 6-7. Rapporto spesa pubblica per ICT e PIL

Figura 6-8. Percentuale di lavoratori con alfabetizzazione ICT

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6.5 Conclusioni: dalla forma di governo tradizionale all’e-governance2: prospettive e dinamiche Negli ultimi anni, soprattutto per l’impatto delle nuove tecnologie, vi sono state profonde trasformazioni e nuove aspettative sull’azione del governare, con particolare rilievo a problemi di efficienza dei servizi erogati e di partecipazione dei cittadini alla vita democratica. Ma, come si è assistito, le nuove tecnologie hanno impatti che vanno ben al di là della problematica della sola efficienza. Esse hanno notevoli impatti tanto in ambito sociale – problematiche legate alla digital divide – che problematiche legate alla ridefinizione di nuovi assetti amministrativi nei rapporti tra le amministrazioni e gli attori locali. Questo significa che l’applicazione delle nuove tecnologie non si limita ad un fatto tecnico-operativo consistente nel mettere on-line informazioni o azioni tendenti a migliorare la qualità dei servizi, ma essa costituisce un insieme di processi che producono alterazioni degli equilibri nella politica, nella società e nei processi economici. Nel corso degli anni ’90, in modo erroneo ed estremamente limitativo, si è puntato, soprattutto in ambito dell’Unione Europea, alla ICT soprattutto in un’ottica meramente economica: ovvero si è ritenuto che l’applicazione delle nuove tecnologie potesse ridurre i costi delle strutture amministrative statali e quindi permettere risparmi per le casse dello Stato. Questa visione ha mostrato, con il tempo, la sua estrema debolezza. Difatti se ciò è stato vero per alcuni settori, come ad esempio la riduzioni di alcuni costi legati alle transizioni, in generale per le strutture amministrative statali o locali, l’applicazione delle nuove tecnologie era un valore aggiunto a quanto già esistente. Questo significa che il servizio pubblico non può non tenere conto delle fasce deboli della popolazione, né può prescindere da valori etici divenuti patrimonio della cultura politica dei paesi europei. Tutto ciò, a lungo andare, ha prodotto non una diminuzione dei costi, bensì una loro lievitazione. Altre difficoltà emerse in questi anni riguardano la tutela della privacy e la tutela dei dati personali, messa fortemente in difficoltà dalla ICT. Molte delle normali operazioni che svolgiamo giornaliermente lasciano tracce elettroniche, le quali possono divenire un bersaglio per chi intende sfruttarle per fini commerciali se non addirittura per illecite azioni. Enormi banche dati, molte volte pubbliche, possono essere acquistate da

2 Vi sono differenze tra e-Governance ed e-Government. Silcock (2001), ad esempio, definisce l’e-government come l’azione operata dagli amministratori locali per favorire ed incrementare la creazione di servizi sia per le imprese che per i cittadini. Alla stessa maniera Bekker (2002) definisce l’e-government come la capacità di ridisegno dell’azione politica indirizzandola verso un potenziamento delle relazioni tra l’amministrazione pubblica e i principali attori locali attraverso l’uso della ICT creando, in tal modo, nuovo valore aggiunto e benefici per la comunità. Altri autori, come Calvo, Ciotti, Roncaglia e Zela (2004) parlano, invece di e-government, in termini di utilizzo delle tecnologie nel processo di gestione e amministrazione svolto da tutte le principali istituzioni pubbliche (dagli organi di governo a quelli legislativi, dall'amministrazione centrale alle amministrazioni locali). Il concetto di governance, sviluppato soprattutto dalla letteratura economica, si sofferma sugli aspetti relazionali, ovvero la capacità dell’amministrazione locale a farsi promotrice di processi dialettici tra i diversi attori socio-economici, in modo tale da promuovere una crescita tanto in campo economico che in termini sociali (Mistri, 1999). Anche Jessop (1997) ha fornito una definizione di governance nel senso di azione complessa tendente a coordinare, attraverso un fitto legame di interconnessioni, l’azione di vari soggetti, sia essi pubblici che privati, autonomi nella loro gestione. A conclusione del paragrafo possiamo quindi dire, in generale, che se l’e-government può intendersi nel senso di gestione informatica e telematica delle procedure e dei servizi della pubblica amministrazione, l’e-governance la si può definire come “la capacità delle amministrazioni locali ad un’azione di potenziamento della ICT, da attuare attraverso uno scambio dialettico con tutti gli attori locali, al fine di raggiungere obiettivi programmatici di politiche urbane” (Van der Meer, A. e W. van Winden, 2003; W. van Winden, 2003). E’ da sottolineare come la ICT non è fine a se stessa ma strumento per il raggiungimento degli obiettivi programmatici.

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privati, le quali possono poi gestirle in un qualsivoglia modo. Un esempio in tal senso riguarda i listati elettronici della popolazione votante. Questi possono essere acquistati per poche migliaia di euro presso un qualsiasi Comune x, per poi essere usati per fini commerciali.

Nel corso del 2003 la Commissione Europea ha finanziato una ricerca3 tesa a capire alcuni punti salienti nell’attuazione della ICT in ambito UE; i punti emersi hanno mostrato:

un significativo progresso, sebbene in fase di rallentamento, della disponibilità di servizi di e-Government in Europa. che le applicazioni rivolte alle imprese sono più rapidamente disponibili ed

evolute rispetto ai servizi orientati ai cittadini, e questo divario è in aumento. che maggiori progressi sono in corso per i servizi coordinati centralmente (ad

es. a livello nazionale) come il fisco, la ricerca di lavoro, l’IVA, le dogane, eccetera, e nei casi in cui le procedure di back-office possono essere prontamente semplificate e rese più efficienti. che c’è un disallineamento tra l’erogazione di molti servizi di e-Government e la

loro richiesta, per esempio i servizi di eTax (fisco telematico) hanno una delle maggiori disponibilità, ma anche una delle minori preferenze da parte degli utenti (v. Figura 6-9).

Figura 6-9. La figura mostra il diverso grado di preferenza di alcuni servizi ondine. Si noti il forte calo per servizi ove è richiesto fornire dati personali. (Fonte: Sibis, http://www.sibis-eu.org) In generale, l’uso di servizi di e-Government è inferiore rispetto alla possibilità di erogazione, e in alcuni casi in modo preoccupante. Questo può riflettere le questioni del digital divide (divario digitale), dei problemi di accessibilità, di mancanza di fiducia

3 Per maggiori dettagli si visiti il sito: http://www.cgey.com/news/2003/0206egov.shtml

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nella sicurezza e nella privacy, ma probabilmente è una mancanza di consapevolezza. Quando si considera l’uso di servizi on-line di e-Government, è anche importante comprendere che tali servizi non possono essere visti come separati dai canali già esistenti di erogazione non on-line, cioè:

i canali più tradizionali basati sul contatto personale, che spesso necessitano di essere mantenuti o rafforzati per garantire o incrementare la qualità del servizio (o perché il servizio non può essere effettuato on-line, o perché in tal caso se ne diminuirebbe la qualità); i canali basati sul cartaceo, che spesso necessitano di essere sostituiti dai

servizi on-line.

Il tema delle mutevoli relazioni tra servizi on-line e off-line è estremamente importante, perché i primi possono integrare questi ultimi, o anche perché altri servizi o processi elettronici possono supportare direttamente i servizi off-line. Un esempio può essere quello della tutela della salute pubblica per mezzo di supporti informatici, i quali permettono vantaggi in termini di costi, di efficienza e di valenza sociale del servizio.

Come si è accennato nel capitolo precedente, guardando la ICT sotto un aspetto della domanda (richieste dei cittadini) e dell’offerta (in termini sia di servizi che di business), l’e-government dovrebbe tendere soprattutto nella creazione di valori aggiuntivi a servizi esistenti. Quindi un’azione di governo che sia guidata dai bisogni dei cittadini e della società civile. In tal senso la figura 6-10 mostra un tentativo di definizione di possibili componenti per un’azione di governo sostenibile. Come si nota in figura, la struttura è organizzata in due componenti: quella scaturita dalla domanda e quella scaturita dall’offerta. Dal lato della domanda si vede che l’azione della ICT dovrebbe essere di supporto ai mezzi tradizionali, potenziandoli e rendendoli più efficienti. Risulta importante un’azione che non annulli il contatto interpersonale ma che ne esalti la qualità rendendolo più rispondente ai bisogni del cittadino. Dal lato dell’offerta, invece, vi un forte tentativo di ristrutturare l’azione del governo in una direzione di tipo aziendale, quindi una struttura snella, efficiente e che tenda alla riduzione dei costi (azione conosciuta come Business Process Reengineering, BPR). Se questa azione ha consensi in U.S.A., in Europa la cultura del welfare fa sì che vi siano molti oppositori ad una tale linea politica. Generalmente, nei paesi europei si ritiene che l’azione di governo debba distinguersi dalle modalità proprie del mondo imprenditoriale, soprattutto perché le amministrazioni pubbliche non devono necessariamente pensare a produrre profitto e che i consumatori non sono solo clienti, ma anche cittadini e contribuenti. In tale ottica un approccio del tipo GPR (Government Process Reengineering) può risultare più adatto in quanto se da un lato tende ad una maggiore efficienza, quindi in un ottica di tipo privatistico, dall’altro mantiene ben vivi alcune componenti base del welfare state, quali la collaborazione tra pubblico, privato e settori non-profit (MIllard J., 2003;)

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Figura 6-10. In un’azione di e-government sostenibile è necessaria una offerta di servizi che, attraverso la ICT, crei un valore aggiunto, in termini di qualità ed efficacia, nonché un ridisegno dell’architettura amministrativa in modo tale da adeguare le sue componenti ai nuovi obiettivi politici.

Tabella 6-2. La tabella rappresenta i possibili punti di vantaggio e svantaggio che le nuove tecnologie possono indurre

(POTENZIALI) VANTAGGI (POTENZIALI) RISCHI creazione di nuove professioni e nuovi

mercati; diminuzione della pressione

sull'ambiente; collegamento delle regioni periferiche

alle aree centrali di un territorio; sburocratizzazione della pubblica

amministrazione; comunicazione più efficace tra pubblica

amministrazione, cittadini e imprese; incremento della gamma e della qualità

dei servizi. possibilità di inclusione socio-economica

di categorie emarginate (es. anziani) maggiori possibilità culturali per tutti i

cittadini

mancato sfruttamento delle nuove possibilità elettroniche da parte degli utenti;

mancato adeguamento del mondo imprenditoriale e lavorativo alle

innovazioni tecnologiche e organizzative che ne conseguono;

perdita di posti di lavoro, magari a vantaggio di paesi terzi, nei quali i costi e la stessa protezione dei dati sono minori;

non uniformità di accesso alle informazioni da parte di tutti i cittadini;

le nuove conoscenze diventano uno strumento di abuso di potere. nuove tipologie di inquinamento strutture più complesse e labili

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Trasparenza e partecipazione, le conseguenze dell'e-government (Fonte: Mediamente, Rai, http://www.mediamente.rai.it/) Knut Rexed, direttore generale dell'agenzia per la pubblica amministrazione della Svezia, racconta l'esperienza svedese, un esempio felice di implementazione dell'e-government Qual è il futuro della Svezia nel campo dell'e-government? Ormai siamo online con tutti gli enti governativi e i ministeri. Il prossimo passo da fare è fornire dei servizi personalizzati. Ancora non abbiamo risolto il problema delle firme personali, ma credo che entro pochi anni la maggior parte delle nostre amministrazioni online consentiranno di firmare. Ma quali sono i fattori del successo dell'iniziativa in Svezia? Penso che ce ne siano principalmente tre. Il primo è che abbiamo una distribuzione dei redditi e dell'istruzione estremamente livellata e quindi ci sono molte persone capaci di usare le nuove tecnologie. Il secondo è che negli ultimi vent'anni abbiamo modernizzato alla base i servizi pubblici, quindi siamo pronti ad accogliere le nuove tecnologie. Il terzo è che c'è un clima di affari favorevole: solo negli ultimi anni c'è stato un forte aumento delle aziende nei vari campi delle consulenze IT e dei servizi in Rete. Ma in che cosa consiste un vero e-government? Non lo so, lo stiamo ancora costruendo. Ma posso immaginare quattro fasi nella sua realizzazione. La prima è la ristrutturazione di tutti i nostri procedimenti amministrativi. Non possono rimanere com'erano. In seconda battuta, bisognerà riorganizzare il nostro settore pubblico. Non sembrerà più lo stesso quando avremo finito. Accorperemo gli enti e li cambieremo. La terza è che dovremo concepire dei nuovi rapporti con i nostri cittadini. Stiamo cercando di coinvolgere i cittadini nell'esecuzione e nella progettazione delle politiche comuni. La quarta è l'aumento della trasparenza. La gente accede con un click a tutte le informazioni del mondo, e non accetterà di non poterle avere altrettanto facilmente dal settore pubblico. È abbastanza evidente che l'aumentata trasparenza, dando al cittadino l'accesso ai documenti delle autorità, ha un enorme potenziale nella creazione di un'amministrazione migliore. Come si vede i temi dell’e-governace e della e-democracy, hanno non solo una natura tecnica, ma soprattutto investono settori fondamentali della vita democratica ed i principi etici della nostra società. E’ pertanto necessario impegnarsi affinché il processo di “digitalizzazione” della struttura economico-sociale, venga gestito non solo dalle leggi di mercato ma da un’azione politica forte ed incisiva capace di produrre tanto un’azione di tipo normativo che azioni capaci di delineare una nuova etica di valori che sia in grado di tutelare il cittadino, di moltiplicare le su possibilità di partecipazione politica e di difesa dell’interesse della collettività.

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CAPITOLO 7

Azioni politiche per un uso sostenibile della ICT

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7.1 Introduzione Abbiamo già evidenziato in precedenza come gli eccezionali progressi compiuti nel campo della ICT negli ultimi anni siano stati accompagnati da una rapida trasformazione sia della struttura economica che sociale. Si è molto discusso ed ancora si dovrà discutere sul ruolo che le nuove tecnologie svolgono nei processi di trasformazione: sono elementi neutri di tali processi o sono artefici dei cambiamenti? Comunque si voglia rispondere a questa e ad altre legittime domande appare chiaro che, almeno da un punto di vista potenziale, i vantaggi derivanti dall’uso delle nuove tecnologie siano molteplici e considerevoli, soprattutto se indirizzati verso l’attuazione di politiche rivolte alla sostenibilità, ovvero progetti basati sul rispetto degli ecosistemi, la partecipazione dei cittadini, una equità in termini socio-economici e la capacità di assicurare un futuro alle prossime generazioni. La valorizzazione delle potenzialità delle ICT può dare un considerevole contributo al raggiungimento di ciascuno di questi obbiettivi, sia direttamente (moltiplicando, ad esempio, la disponibilità delle informazioni sanitarie, dando opportunità e voce alle categorie disagiate, ampliando l'accesso all'istruzione e alla formazione), sia indirettamente (ad esempio creando nuove opportunità economiche che facciano uscire dall’emarginazione molti soggetti, le comunità e le nazioni). In molti settori, soluzioni ICT ideate, adattate e applicate in modo appropriato hanno potenziato gli sforzi compiuti a livello locale per migliorare la qualità dei beni e dei servizi forniti dal settore pubblico e privato grazie all'automazione, allo snellimento, alla razionalizzazione e al monitoraggio dei compiti ripetitivi, nonché alla rintracciabilità e al follow-up delle prestazioni fornite. Inoltre, tali tecnologie se correttamente applicate possono non solo ridurre alcuni costi e sprechi ma anche favorire la trasparenza delle attività amministrative. Nella misura in cui le ICT hanno facilitato, fra l'altro, l'eliminazione delle barriere spazio-temporali, consentendo a comunità e villaggi remoti di connettersi direttamente (cioè con un numero minore di intermediari) all'economia globale, esse hanno contribuito ad una nuova divisione del lavoro, potenzialmente più profonda ed estesa. Nuove nicchie di mercato hanno visto la luce grazie alla ridefinizione delle strutture esistenti e alla comparsa di nuovi vantaggi e opportunità.

Le ICT non devono essere considerate solo un ennesimo settore di sviluppo economico; esse, per loro natura, sono strumenti che si adattano a differenti ambiti, avendo, in tal modo, delle potenzialità che ci permettono di parlare di rivoluzione. Strumenti, quindi, che possono fornire nuove capacità in grado di rispondere ai bisogni fondamentali dei popoli per migliorare la qualità della vita attraverso modalità completamente differenti da quelle espresse dalla società industriale e fordista. Lo sforzo che viene richiesto è uno sforzo etico-politico, cioè formulare un approccio allo sviluppo dei popoli che non risponda alle tradizionali logiche fin qui seguite. Occorrono, quindi, nuovi contributi intellettuali e nuovi atteggiamenti da parte di tutti. Questo nuovo modo di pensare deve tenere conto di molteplici esigenze, in particolare:

adottare un approccio olistico, con il coinvolgimento di una pluralità di stakeholder; valorizzare associazioni e partnership nei processi economici; attuare strategie nazionali nel campo delle ICT per favorire un approccio

bottom-up, ovvero forme di democrazia sempre più partecipativa; sfruttare le nuove tecnologie con progetti di sviluppo complessivi, dove deve

risultare chiaro il ruolo del settore pubblico e quello dei privati;

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inventare nuove forme di aiuto allo sviluppo che smorzino gli effetti devianti dovuti all’innesto delle nuove tecnologie nei processi economici (digital divide, ad esempio).

Come si vede, affinché si possa parlare di uno scenario nella direzione della sostenibilità, è necessaria una politica che sappia coordinare in modo sinergico tutte le energie positive che la società può esprimere. La figura sotto mostra due possibili scenari di impatto sull’ambiente che la nostra società esercita. Si noti che secondo gli attuali standard di “crescita” attorno al 2050 si raggiungerà il picco massimo di insostenibilità dell’attuale sistema. Questo stato di cose richiederebbe un pianeta terra 2,5 volte più grande; inoltre si nota come dopo questo massimo si ipotizza un declino con conseguenze non calcolabili, tanto sull’economia che da un punto di vista politico e sociale. Una alternativa è rappresentata dall’utilizzo della ICT, attraverso la quale si avrebbe un impatto minore e quindi maggiori possibilità per una crescita più sostenibile.

Figura 7-1. L’impatto umano sulla terra secondo due scenari: con gli attuali standard e con un uso sostenibile della ICT (Fonte: Pamlin D., “Technology and our future”, WWF, 2003)

Quando si opera una valutazione di scenario, si cerca di comprendere le possibili linee di sviluppo di una determinata questione. Nel nostro caso vengono ipotizzati scenari dove le variabili sono tante e non facilmente misurabili. E’ però indubbio che uno scenario futuro non può non tenere conto della forza della ICT, la quale può trasformarsi in opportunità per un futuro più sostenibile. In tale ottica si rende necessario, per la complessità della materia, un approccio nuovo non più strutturato sui tradizionali schemi culturali ma su approcci complessi che valutino la ricaduta dell’uso della ICT tanto sugli aspetti puramente applicativi, tanto sugli aspetti economici e politico-sociali. In tal senso, ad esempio, l’impatto della ICT nel commercio, non deve solo analizzare l’applicazione operativa relativa all’uso dei computers per fare acquisti,

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ma deve essere in grado di decifrare quelle trasformazioni strutturali che si accompagneranno ad un tale sviluppo, e quindi nuovi modelli di consumo, di produzione e trasporto delle merci, infrastrutture, etc.

Tabella 7-1. I percorsi dello sviluppo sostenibile e della Information society (Fonte: European Information Technology Observatory, 2002)

Tutto questo implica anche nuovi assetti sociali a cui la collettività dovrà adattarsi e una forza da parte delle istituzioni pubbliche, soprattutto in termini di comprensione dei fenomeni, rapidità di intervento e snellezza burocratica, al fine di influire e smorzare soprattutto quelli che sono gli effetti negativi di tali trasformazioni. E ciò non solo in termini di interventi normativi, ma anche nella capacità di definire politiche coordinate di interventi che attuino azioni verso la sostenibilità. Ed è proprio al fine di attuare una politica della sostenibilità che si rende necessario la ricerca di framework dinamici di sostenibilità, ovvero modelli dove tutti gli attori sociali possano partecipare alla

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realizzazione non solo dell’obiettivo politico, ma anche all’attuazione delle necessarie variazioni da apportare, nel tempo, al modello che si vuole attuare. Solo in tal modo si potranno strutturare modelli di sviluppo sostenibile dove l’applicazione della ICT sarà un supporto e non una parte del problema.

Figura 7-3. Come mostra la figura sopra, il ruolo della ICT può comportare possibili nuove forme di esclusone se non si posseggono le necessarie conoscenze.

7.2 La ricerca di un possibile framework per un uso sostenibile della ICT Come abbiamo già detto, attuare politiche dove la ICT sia da supporto per uno sviluppo sostenibile implica un approccio programmatico a largo spettro, dove il ruolo politico deve necessariamente assumere la guida del timone al fine di ridurre o correggere i possibili effetti negativi sulle varie componenti della società. Sulla base di quanto esposto in precedenza, tentiamo di delineare un possibile framework operativo, tale da permettere un uso sostenibile sia degli strumenti di ICT sia delle politiche che lo devono rappresentare. In tal senso individueremo un primo elemento rappresentato dalla componente etico-politica. Come rappresentato più volte in questo lavoro, la componente politica è l’elemento essenziale e perno attorno al quale sarà possibile delineare un progetto volto alla definizione di nuovi valori etico-politici da attribuire tanto alla struttura economica che alla democrazia.

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Figura 7-2. Vi sono degli elementi chiave per definire un possibile percorso sostenibile dell’ICT. Senza una strategia che tenga conto di tali elementi sarà molto difficile strutturare un percorso verso la sostenibilità.

Quindi sulla base dei valori etico-politici espressi sopra, potremo individuare dei principi guida per un uso sostenibile della ICT, in modo tale da guidarne, per quanto possibile, gli effetti tanto sul contesto sociale che su quello economico, ricordando che questa componente è, per sua natura intrinseca, altamente dinamica e reticolare, mentre la struttura politica è, molte volte, lenta e distante dalla realtà. Infine, vanno individuate delle aree strategiche dove l’uso della ICT può fornire quel valore aggiunto capace di fornire un valido supporto ad una politica di sviluppo sostenibile.

Cominciamo con l’analizzare il primo punto, ovvero i prerequisiti che nell’interazione della ICT con la democrazia e l’economia possano fornire un valore aggiunto in termini etico-politici.

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7.2.1 Democrazia Come abbiamo già detto se è facile immaginare gli impatti operativi della ICT su alcuni settori della vita è, allo stesso tempo, difficile cercare di individuare le possibili ripercussioni a lungo termine. E’ necessario capire che ciò che il nostro mondo sta vivendo non è solo una rivoluzione tecnologica, ma è soprattutto una rivoluzione in senso culturale. In tal senso riveste particolare importanza il ruolo che lo stato democratico deve svolgere al fine di delineare ed imprimere direzioni sostenibili di sviluppo. Questo della questione del senso della democrazia, delle sue trasformazioni è senza dubbio il nodo cardine di una intelligente politica di sviluppo. Abbiamo, nel precedente capitolo, delineato un quadro politico-ideologico del senso della democrazia nella contemporaneità. Ora punteremo l’attenzione su quelle che possono essere le possibili implicazioni e sfide, soprattutto a lungo termine, per la struttura dello stato democratico. In particolare voglio spendere alcune considerazioni su tre aspetti: il primo riguardante il legame tra struttura economica e quella tecnologica; il secondo afferente il ruolo dell’informazione e della conoscenza; ed infine l’ambiente culturale. Come si è visto in precedenza la sfida in termini tecnologici riguarda essenzialmente la capacità di accesso agli strumenti tecnologici, e ciò sia in termini di infrastruttura che di conoscenza. Questo aspetto presenta ancora situazioni complesse, effetto di lacerazioni economiche, e ciò sia nei paesi del nord industrializzato che nei paesi poveri. Partecipare alla crescita della ICT implica anche la possibilità di avere l’accesso alla ICT; ed oggi ciò non è possibile per la stragrande maggioranza della popolazione mondiale. Questo aspetto, legato allo sviluppo di politiche e-Government di molti paesi, sta dando origine a nuovi fenomeni di esclusione, soprattutto per ciò che concerne la partecipazione a nuove tipologie di rapporto tra stato e cittadini, nuove possibilità per questi ultimi di accedere ad informazioni prima impossibili da ricevere. Il rapido sviluppo della ICT, ma anche di altre differenti innovazioni come, ad esempio le biotecnologie, richiedono una risposta democratica rapida ed efficace. Un mondo dove vige la regola della legge del solo mercato e del profitto non riesce a generare una politica di valide scelte strategiche se non attraverso il ruolo attivo delle strutture democratiche, anche attraverso l’intervento pubblico, soprattutto in quei settori dove la ricaduta può essere più in termini di crescita sociale che dei profitti. E’ necessario, quindi, che i governi democratici sappiano fornire linee politiche di sviluppo delle tecnologie soprattutto in funzione delle necessità dei cittadini e per una politica più chiara e trasparente.

Il secondo punto che si vuole toccare riguarda il ruolo dell’informazione e della conoscenza1. Innanzitutto è bene delineare il senso delle due componenti, ovvero informazione e conoscenza, sebbene in apparenza siano simili, hanno diversi elementi che li differenziano, in particolare:

la conoscenza implica un soggetto che è detentore di un qualcosa; viceversa l’informazione è, in genere, trattata in modo neutro e più o meno autosufficiente; la conoscenza è più difficile da trattare, da gestire e da trasmettere; la conoscenza, per poter essere appresa, richiede tempi differenti

dall’informazione.

1 Per maggiori dettagli si legga Competenze e pedagogie di ICT: favorire l’occupabilità delle fasce deboli, a cura di COFIMP, 2003.

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Si può, in sintesi, dire che quando parliamo di conoscenza ci si riferisce alle persone e alle loro capacità di assimilazione, di interazione con gli altri e di uno specifico e caratteristico background culturale. Viceversa, l’informazione deve essere ritenuta sostanzialmente indifferente al contenuto ed indipendente da elementi contestuali e di soggettività2. L’affermazione della ICT ha profondamente stravolto il modo in cui queste due componenti vengono trattate, usate e diffuse. Questa caratteristica della ICT di permettere a chiunque, almeno da un punto di vista teorico, di diffondere, attraverso la rete ed indipendentemente dalla distanza e dal luogo, qualunque tipologia di informazione ha comportato una profonda trasformazione in termini di tempi di reazione a determinati eventi. Ciò che in passato richiedeva mesi oggi avviene in ore o addirittura secondi (si pensi, ad esempio, alla rapida reazione dei mercati finanziari a crisi politiche od eventi catastrofici, con un immediato effetto domino). Queste capacità di reazione rapida, unita ad una sorta di adimensionalità temporale e geografica ha come conseguenza l’attuazione di reazioni molto spesso istintive del sistema, ovvero reazioni, sia in termini sociali che politico-economico, dove prevale l’attuazione di modelli generati dallo stesso sistema e non dettati da un soppesato processo di comunicazione democratica. In termini di conoscenza le potenzialità della ICT possono fornire un valido supporto soprattutto in operazioni di apprendimento o di e-lerning. Le capacità fornite dalla ICT di attuare modelli organizzativi nuovi, dove si può tranquillamente uscire fuori dai tradizionali parametri sin qui usati, ma anche questa continua necessità, da parte di tutti, di essere continuamente all’interno di un processo di formazione induce profondi rivolgimenti in termini di organizzazione sociale. L’apprendimento diventa un elemento essenziale della vita, un processo che, anzi, dura un’intera vita – lifelong learning. Con riguardo a questo ultimo punto, oggi sono emergenti, da un punto di vista pedagogico, due elementi nuovi che delineano la società cognitiva:

passaggio verso un approccio costruttivista dell’apprendimento; passaggio dalle conoscenze alle competenze.

Nella concezione dell’apprendimento vi è un passaggio cruciale che sposta dalla centralità del docente a quella del discente, ovvero dal paradigma dell’insegnamento a quello dell’apprendimento. Secondo Bruner3 la conoscenza è un “fare il significato”, vale a dire un’operazione di interpretazione creativa che lo stesso soggetto attiva ogni volta che vuole comprendere la realtà che lo circonda. In conclusione, possiamo auspicare che l’uso della ICT e del suo aiuto nel diffondere informazioni non sia più solamente focalizzato su quelle che sono le necessità materiali, ma che sappia svilupparsi una informazione che possa permettere alla società civile il soddisfacimento non solo della materialità ma anche che permetta la costruzione dei diritti di tutti.

Il terzo ed ultimo punto, ovvero l’aspetto culturale, richiederebbe sicuramente ampio spazio abbracciando problematiche che riguardano la struttura della società nel suo complesso. Da un punto di vista generale, quindi, quando parliamo di società possiamo

2 Per maggiori dettagli si veda: Shannon C.E., Weaver W., The mathematical theory of communication, University of Illinois Press, Urbana IL, 1964; Competenze e pedagogie di ICT: favorire l’occupabilità delle fasce deboli, a cura di COFIMP, 2003 3 Bruner J., La ricerca del significato. Per una psicologia culturale, Bollati Boringhieri, Torino, 1992

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riferirci, in particolare, al modo in cui questa si rapporta con l’ambiente. In tal senso, uno degli aspetti importanti che sarà necessario affrontare riguarda la ricaduta, tanto in termini politici che socio-economici, della globalizzazione. Questo fenomeno a messo, e mette, a dura prova gli assetti politico-istituzionali attuali, i quali sono derivati dalla cultura industriale e per questo caratterizzati dagli stati nazionali e da economie prevalentemente basate su una scala nazionale o regionale. Oggi le moderne multinazionali hanno strutture, capitali ed influenza politica che travalica i confini dei singoli stati. Molte di queste multinazionali hanno la forza per influenzare le politiche non solo dei pesi poveri, ma delle stesse nazioni occidentali. Allo stesso modo, oggi moltissimi individui che lavorano per tali strutture hanno finito con l’acquisire una sorta di cultura transnazionale, ovvero una cultura non più legata alla propria nazione ma una cultura legata a quelli che sono gli obiettivi strategici della compagnia per cui si lavora e, come si sa, il più delle volte questi obiettivi sono rappresentati essenzialmente dal profitto. Lo stesso dicasi quando parliamo dell’affermazione, soprattutto negli ultimi anni, di nuovi gruppi, i quali sfruttando la ICT ed internet in particolare, hanno eroso, anche in modo involontario, molti aspetti della costruzione istituzionale e democratica senza, peraltro, riuscire a fornire valide alternative a ciò che si andava smantellando. Il discorso culturale, come ho detto sopra, è complesso e deve essere letto con un approccio multiplo. In tal senso invito il lettore a rilegge, magari attraverso una diversa prospettiva, quanto ho scritto nel primo capitolo dove, seppure in modo conciso, si è cercato di delineare un quadro del mondo contemporaneo soprattutto in senso di approccio filosofico generale.

7.2.2 Economia Abbiamo più volte detto che con gli attuali ritmi di crescita economica sono insostenibili per il nostro pianeta, avendo già superato ampiamente la capacità dello stesso. La domanda che ci si deve porre è in che modo la ICT potrà supportare una crescita verso la sostenibilità, partendo dal fatto che oggi le economie delle nazioni e delle varie aree continentali sono strettamente legate ed incorporate nella struttura economico-finanziaria generale. In tale ottica possiamo individuare due punti per una crescita sostenibile attraverso un ruolo attivo della ICT:

maggiore equilibrio tra cambi marginali e cambi strutturali nei processi economici; un ruolo flessibile per la ICT, nel senso di adattarla alle specificità delle

situazioni e, quindi, permettere di fornire contributi positivi in funzione delle vere necessità nelle differenti regioni del globo.

In riferimento al primo punto, ognuno ha sotto gli occhi le potenzialità della ICT tanto nei processi industriali, dove si assiste ad un forte processo di smaterializzazione, tanto nei processi di condivisione e di maggiore efficienza nell’analisi di problematiche e soluzione delle stesse. Ma ciò non è abbastanza per produrre uno sviluppo sostenibile. Si rende, cioè, necessario un processo di miglioramento e di maggiore

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equilibrio tra quelli che sono i cambi strutturali e i cambi marginali della struttura economico-produttiva. Questi processi devono investire tanto i paesi industrializzati che quelli in via di sviluppo, seppure con processi differenti e ciò al fine di non riprodurre nel sud del mondo gli stesi problemi che il nord industrializzato sta cercando di affrontare da anni. In tal senso il nord industrializzato ha il dovere etico di ridefinire il modello economico e di spostarlo dalla pura materialità alla equità, attraverso la definizione di indicatori di sostenibilità che possano fornire una guida ed un monitoraggio del processo di cambiamento. Inoltre, sempre i paesi più ricchi, devono divenire promotori di modelli di sviluppo nuovi per i paesi del sud del mondo. In conclusione possiamo dire che usare la ICT solo per imprimere una accelerazione agli attuali modelli di sviluppo è solo pura follia perché se nel breve potremo godere dei benefici, in una politica di lungo termine questi benefici saranno una marginalità priva di valore, in quanto immersa in un modello assolutamente insostenibile.

7.2.3 Principi per un uso sostenibile della ICT Abbiamo già detto che una società come quella dei paesi industrializzati è una struttura estremamente complessa e di non facile analisi. E, in tal senso, appare non facile definire un programma che punti alla definizione di una crescita sostenibile. Abbiamo anche detto che un tale programma di crescita sostenibile viene inteso in senso dinamico, ovvero una struttura pronta a plasmare le sue parti secondo nuovi indirizzi forniti dai cittadini. Nel seguito si definiranno alcuni possibili principi generali per un uso sostenibile della ICT:

1. attribuire maggiore attenzione sui servizi con valore (sociale) aggiunto più che sui prodotti. Ciò implica l’attenzione su due questioni: la prima riguarda la ridefinizione dell’attuale modello di crescita, il quale avendo superato ampiamente la soglia del soddisfacimento delle necessità essenziali, almeno per i paesi ricchi, ha aperto la strada verso il superfluo, con conseguenti ricadute negative sia in termini sociali che di squilibri dell’ecosistema terra. La seconda questione attiene la ricerca di un maggiore equilibrio tra il nord del mondo, che necessita di migliori servizi, ed il sud, il quale primariamente ha bisogni materiali in termini di sopravvivenza;

2. riduzione degli effetti di feedback, ovvero allorquando si introduce una nuova tecnologia in un sistema in evoluzione possono verificarsi ripercussioni inaspettate su altre parti dello stesso sistema. Abbiamo visto che la ICT è, per sua natura, una tecnologia del tipo a network il che implica che l’effetto di possibili ripercussioni su parti del sistema può essere significativo. Possiamo distinguere due tipologie di ripercussioni: una diretta, cioè dovuta a conseguenze direttamente legate all’uso di nuovi prodotti ad alta tecnologia; un'altra indiretta, ovvero dovuta agli effetti dell’utilizzo della ICT. Ma una ulteriore e più seria ripercussione potrebbe aversi a livello sistemico, cioè un effetto di ripercussione su tutto il sistema. Questo tipo di ripercussione è possibile qualora si continui a modellare la crescita della ICT secondo l’attuali modello economico assolutamente non sostenibile. Un esempio di possibile

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ripercussione potrebbe riguardare il settore dei trasporti, dove per effetto dell’aumento delle merci, si genererebbe un effetto a catena con successive ripercussioni sui consumi di carburanti, sull’uso del suolo, sull’inquinamento, etc. E’ quindi indispensabile variare l’attuale modello di crescita della nostra economia, basato sugli investimenti in ragione del solo profitto ed entro brevi tempi. E’ necessario, invece, una forza positiva ed indirizzata verso obiettivi di sostenibilità del sistema.

3. rafforzamento del sistema nei suoi tratti salienti. Abbiamo detto che modellare lo sviluppo della ICT secondo gli attuali modelli di crescita può indurre effetti non sempre positivi. Inoltre il più delle volte le ragioni che sono dietro l’utilizzo della ICT sono essenzialmente legate a fattori di efficienza produttiva, soprattutto in termini di costi e tempo, e fattori di profitto, come ad esempio la new economy. Ma solo queste considerazioni inducono un sostanziale indebolimento del sistema delle ICT. Rafforzare tale sistema richiede, essenzialmente, il tenere sempre in conto, sia nei riguardi del sistema ICT che dei suoi prodotti, non solo di una prospettiva a lungo termine, ma anche di possibili errori, tanto umani che tecnologici, che di possibili meccanismi di feedback sul sistema e che inducono eventi inaspettati anche su grosse porzioni dello stesso.

4. multidimensionalità temporale; abbiamo visto come l’economia e i mercati finanziari degli ultimi anni hanno subito profonde trasformazioni, e ciò soprattutto per effetto dell’introduzione della ICT. Sempre più spesso accade che le azioni della nostra società sono fortemente influenzate dalla componente economico-finanziaria. In particolare la struttura industriale e quella dei servizi immettono nuovi prodotti o servizi sul mercato soprattutto in funzione di analisi economiche a breve periodo. Questo, come già accennato nel primo capitolo, induce sul sistema ambientale in cui viviamo un “costo”, soprattutto in termini di condizioni di vita, che si ripercuoterà nel futuro. Ecco allora la necessità di operare in termini temporali non solo a breve termini, in modo da valutare effetti immediati, ma anche delle valutazioni su periodi a lungo termini in modo da valutare possibili effetti sulla società. Quindi potrebbe introdursi una sorta ei ecobilancio per tutti i nuovi prodotti, in modo tale da valutarne il ciclo di vita.

7.2.4 Aree strategiche Attraverso l’analisi fatta sulla scorta di quanto scritto fino ad ora, è possibile individuare alcune aree strategiche che più delle altre possono fornire un contributo allo sviluppo sostenibile. Innanzitutto i prodotti della ICT. Oggi è già sotto gli occhi di tutti i problemi causati dalla dismissione degli apparecchi tecnologici, i quali se non inseriti all’interno di meccanismi di recupero e riciclaggio possono dare vita a nuove e pericolose fonti di inquinamento. Un'altra area strategica è rappresentata dal settore mobilità, quindi le movimentazioni di cittadini e merci. E’ questo sicuramente uno dei settori dove è forte la pressione sull’ambiente, soprattutto per i trasporti, privati o commerciali, su ruota. Ma è anche vero che in questo settore il contributo della ICT può essere significativo

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se accompagnato da una intelligente politica di programmazione a differenti livelli. Ciò implica una politica che incrementi non solo gli scambi di conoscenza e di servizi più che di merci, ma anche la necessità di una politica sulla qualità dei trasporti, tanto in termini di efficienza che di impatto sull’ambiente. E’ altresì importante l’aspetto culturale. In tal senso è bene ricordare che già oggi, a pochi anni dall’introduzione della ICT, parliamo di digital divide o digital bridge, non solo tra nazioni del nord e quelle del sud, ma anche all’interno della stesse nazioni avanzate. Accade sempre più spesso che le fasce deboli dell’economia tradizionale divengano anche gli obiettivi preferiti dell’economia basata sulla ICT. Questo instaura un circolo vizioso per cui questi cittadini sono esclusi sia dal sistema economico tradizionale sia da quello della ICT, dove è richiesta sempre più spesso elevata capacità cognitiva (si è parlato, in precedenza, di formazione continua che copre tutta la vita di una persona). Anche in questo caso il ruolo delle amministrazioni pubbliche può essere essenziale per creare ponti e quindi ridurre le esclusioni, non solo dal mondo del lavoro, ma anche dalla società civile garantendo opportunità a tutti i cittadini attraverso operazioni di informazione e formazione in un contesto generale di promozione civica e sociale. Un fattore estremamente importante è quello rappresentato dagli modelli produttivi e di consumo, i quali andrebbero modificati tanto per inefficienza che per insostenibilità. In tale ambito è estremamente difficile intervenire per tutte le ragioni che abbiamo visto nei capitoli precedenti. A mio giudizio in questo settore è necessario non solo una politica verso l’uso di energie più pulite, ma anche l’uso della leva fiscale al fine di creare canali privilegiati per modelli di produzione sostenibili. Solo in questo modo sarà possibile bilanciare la concorrenza “sleale” dei prodotti insostenibili. In tale ottica la ICT può divenire un serbatoio di informazione per i cittadini, che potranno essere in grado di scegliere quei prodotti o servizi che meglio soddisfano le esigenze ambientali. Altro settore importante è quello relativo all’integrazione della ICT nel progetto urbano. In particolare può risultare fondamentale il ruolo della tecnologia nella gestione e governo del territorio, sia in termini di uso e consumo di suolo che in quello della pianificazione. Quindi è importante definire nuovi modelli semantici relativamente all’uso delle tecnologie digitali in modo tale da rendere sempre più efficace ed efficiente il loro uso.

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Tabella 7-2. Sostenibilità sociale ed ICT (Fonte: European Information Technology Observatory, 2002)

Tabella 7-3. Impatti della ICT nel mercato economico e finanziario (Fonte: European Information Technology Observatory, 2002)

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7.3 Processi partecipativi e ICT: una priorità nelle politiche per la governance in Europa Il modello europeo di governance, delineato nel Libro Bianco (EC 2001), individuando nel rafforzamento della partecipazione dei cittadini, anche attraverso forme di consultazione nel corso del processo di definizione delle politiche, uno dei pilastri fondamentali della governance europea, rappresenta un'importante dichiarazione di principi guida, stimolanti non soltanto a livello di rapporti fra Unione e Stati nazionali, ma anche, necessariamente, a livello di relazioni interne fra le istituzioni politiche di ciascun sistema nazionale, ai diversi livelli territoriali. A livello comunitario, sono state realizzate e sono in corso numerose attività di consultazione dei cittadini e delle loro associazioni, facendo ricorso al web, nel quadro dell'iniziativa comunitaria Interactive Policy Making - IPM4. Queste politiche rientrano nel progetto più complessivo di costruzione della governance europea e di innovazione e consolidamento delle istituzioni5 in un più ampio contesto di misure per l’attivazione di canali di comunicazione fra cittadini, associazioni e organi consultivi della Commissione Europea, in cui rientra anche l’attivazione di un sito specifico dedicato alle organizzazioni della società civile in Europa (CONECCS). Di seguito elenco alcune iniziative dell'Unione europea per il dialogo con i cittadini: La base dati CONECCS - Consultazione Commissione europea e società civile

(http://www.europa.eu.int/comm/civil_society/coneccs/index.htm), cui sono iscritte 678 associazioni, per ciascuna delle quali è disponibile una breve scheda descrittiva e link on line; l'archivio delle associazioni può essere consultato per ambiti di politiche di interesse. Un effetto importante che si ottiene con questo strumento è una maggior visibilità del tessuto associativo europeo.

E-vote (http://evote.eu2003.gr), il portale inaugurato dalla Presidenza greca, per la promozione di sondaggi on line su tematiche di interesse europeo; dal febbraio al giugno 2003, hanno risposto ai sondaggi 153.000 persone dei 15 paesi membri e dei nuovi 10 paesi; i questionari prevedono in prevalenza domande a risposta chiusa e uno spazio aperto per le segnalazioni dei cittadini.

Futurum, il sito che promuove il dibattito sull'Avvenire dell’Europa (http://www.europa.eu.int/futurum), a seguito della Conferenza Intergovernativa di Nizza del 2000, e in vista della prossima in programma per il 2004; sul sito sono attivi forum di discussione, spazi di interazione fra politici e cittadini, studiosi, portavoce di associazioni; è prevista la pubblicazione on web dei contributi, inviati via e-mail. Sono accettati interventi provenienti da: "ambienti politici (compresi i poteri pubblici infra-nazionali, quali regioni, città, ecc. e organizzazioni che li raggruppano), ambienti socioeconomici (comprese le parti sociali, le associazioni professionali), ambienti accademici e circoli di riflessione, altre organizzazioni della società civile, ONG, correnti di pensiero ecc.". Le discussioni avviate tra il 2002 e l'anno in corso hanno raccolto, a seconda del tema, dai 250 ai 4.400 contributi, oltre a circa 300 contributi su come migliorare il sito.

Your voice, il portale europeo per la consultazione dei cittadini in materia di normativa europea (http://europa.eu.int/yourvoice/consultations/index_it.htm). Sul sito Your voice sono presenti quattro rubriche: Consultazioni, sondaggi di opinione e invio di contributi da parte

4 IPM si collega all’iniziativa e-Commission, Reform white paper action Plan, capitolo II, punto 6, “Towards E-Commission Action 8 (b)”. 5 Altre informazioni possono essere trovate all’indirizzo: http://europa.eu.it/yourvoice/ipm/index_en.htm), attraverso il sito “Your voice” (http://europa.eu.int/yourvoice/index_en.htm ),

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dei cittadini; Discussioni, dibattiti di ampio respiro, forum più mirati, chat; Esperienze personali, un servizio finalizzato ad indirizzare i cittadini verso punti di ascolto idonei a rispondere alle problematiche segnalate; Collegamenti utili, in cui sono presenti i link ai servizi informativi e alle istituzioni europee, presso cui sono attivi canali diretti per la partecipazione dei cittadini (tra questi link, quello al sistema CONECCS). I contributi dei cittadini sono pubblicati accanto ai documenti istituzionali in discussione. E' attivo un servizio di mailing list che avvisa i cittadini sul calendario delle consultazioni e discussioni. Sono state realizzate alcune consultazioni tramite Internet con questionari strutturati. Tra queste, per esempio, la consultazione conclusa nel luglio 2003 e riguardante una proposta di normativa in materia di sostanze chimiche (sistema REACH): sono stati raccolti 938 questionari compilati via Internet, 6.300 contributi inviati tramite e-mail e posta ordinaria, provenienti da soggetti governativi, non governativi, associativi, imprenditoriali. I soggetti individuali che proponevano un contributo potevano chiedere di non pubblicare la propria identità. Tutti i contributi sono stati pubblicati sul web.

Fonte: Linee guida per la cittadinanza digitale: e-Democracy, Progetto CRC (Centri Regionali di Competenza per l’e-government e la società dell’informazione) promosso e finanziato dal Dipartimento della Funzione pubblica - DFP - di intesa con il Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie, 2004 Negli ultimi due anni, è anche cresciuta l'attenzione sul versante delle iniziative attente alla dimensione locale della partecipazione. In particolare, il Consiglio d’Europa ha promosso la Conferenza internazionale di Fuerteventura (12-14 dicembre 2002,) su “Sviluppo della cittadinanza democratica e di una leadership responsabile a livello locale”, in cui il tema delle opportunità offerte dall'ICT ha trovato ampio spazio. Questa iniziativa fa seguito alla Raccomandazione 19 (del 2001) del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulla “Partecipazione dei cittadini alla vita pubblica a livello locale”6 preparata sulla base di uno studio svolto dal Comitato Direttivo sulla Democrazia locale e regionale (CDLR), con attenzione anche ai problemi dell'allargamento ai paesi dell'Est (DG1-Affari Giuridici, Direzione della cooperazione per la democrazia locale e regionale).

7.3.1 I principali approcci emergenti a livello internazionale Sia a livello nazionale che locale, c'è un crescente interesse per le nuove forme di comunicazione digitale fra cittadini e le istituzioni, soprattutto in quei paesi dove l'uso dell'ICT è più diffuso. Tra i paesi dove si stanno sviluppando politiche sul tema della partecipazione dei cittadini alla vita delle istituzioni nazionali e locali attraverso l'ICT, vanno segnalati, in particolare, i tentativi di definire framework di orientamento generale, fatti in Finlandia, Olanda, Danimarca, Norvegia, Regno Unito e Svezia. 6 Per maggiori dettagli: http://cm.coe.int/stat/E/Public/2001/adopted_texts/recommendations/2001r19.htm

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Purtuttavia il panorama mondiale delle sperimentazioni di forme di coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali con il supporto dell'ICT resta molto frammentato e complessivamente poco sviluppato. In particolare, è da notare che i cittadini che si avvalgono delle nuove opportunità offerte dalla ICT sono ancora pochi, e ciò sia per scarsa volontà politica che per la scarsa conoscenza tanto dei mezzi che delle metodologie più appropriate. Secondo una recente analisi internazionale, che cerca di individuare i diversi profili di utilizzatori dei servizi on line erogati dalle pubbliche amministrazioni, “Government Online. An international perspective. Annual Global Report” (Taylor Nelson, Sofres 2002) i cittadini ''consulters”, che usano i servizi di consultazione resi disponibili on line dalle istituzioni, sarebbero solo il 4% degli utenti di servizi pubblici on line. A livello locale, l'impiego dell'ICT per favorire la partecipazione dei cittadini alla vita delle istituzioni si è affermato dapprima nei paesi dove non solo l'uso delle reti telematiche è maggiormente diffuso, ma vi è anche una forte tradizione di intervento del governo locale e di dialogo diretto fra cittadini e istituzioni (in particolare i paesi scandinavi). Le iniziative delle istituzioni per il rafforzamento della partecipazione dei cittadini si sono sviluppate spesso all'interno di progetti di “reti civiche”, siti web delle istituzioni locali, in particolare su scala comunale. Per quanto riguarda le reti civiche in Italia, a parte alcune pionieristiche esperienze (fra cui la più nota guidata da un ente locale resta quella bolognese di Iperbole, nata nel 1995), il panorama delle esperienze di servizi per la partecipazione dei cittadini appare complessivamente poco sviluppato7. Uno studio che ha avuto un notevole peso nell’orientare l’attenzione dei paesi membri verso il tema della partecipazione dei cittadini è quello fatto dall'O.C.S.E., “Citizens As Partners. Information, Consultation and Public Participation in Policy Making” (2001), il quale costituisce un importante punto di riferimento nel disegno delle politiche specifiche per quanto riguarda l’individuazione di obiettivi e grado di sviluppo della partecipazione. Il rapporto O.C.S.E. enfatizza la necessità per i governi democratici, nella fase attuale, di rafforzare il coinvolgimento dei cittadini per migliorare la qualità delle politiche pubbliche al fine di affrontare le sfide della società della conoscenza, migliorando il management delle conoscenze (collettive ed individuali), integrare meglio i punti di vista dei cittadini nel processo di definizione delle politiche, ma anche per rispondere all’accresciuta domanda di trasparenza e responsabilità degli attori pubblici o per rafforzare la fiducia dei cittadini verso i governi e le istituzioni, contrastando le origini del declino della partecipazione elettorale. Inoltre viene sottolineata l’importanza dell’integrazione dell’uso dell’ICT con gli strumenti più tradizionali di informazione, consultazione e cittadinanza attiva e di partecipazione. L’O.C.S.E. individua tre livelli di coinvolgimento dei cittadini, spesso adottati negli studi e nei documenti governativi sul tema della e-democracy prodotti in numerosi paesi: informazione, consultazione e partecipazione attiva. La distinzione proposta dall’OCSE mette in evidenza con chiarezza i ruoli di istituzioni e cittadini, in particolare negli ultimi due tipi di coinvolgimento individuati: nei processi di consultazione sono le istituzioni che prendono l’iniziativa di aprire un confronto con i cittadini; nei processi di “partecipazione attiva”, i cittadini si fanno i promotori di proposte proprie, su cui cercano un confronto con le istituzioni.

7 Per approfondire si veda: A.C. Freschi, F. De Cindio, L. De Pietro, (a cura di) “E-democracy: modelli e strumenti delle forme di partecipazione emergenti nel panorama italiano”, Formez-Progetto CRC, 2004

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L’analisi proposta dall’OCSE, riguardante alcune esperienze di coinvolgimento dei cittadini nel policy making, nell’implementazione e nella valutazione di politiche pubbliche in ambiti molto diversificati (politiche sanitarie, educative, ambientali, sociali, dell'informazione, etc.), in paesi differenti (Canada, Danimarca, Cecoslovacchia, USA, Belgio, Ungheria, Francia, Repubblica di Korea, Svezia) e a diversi livelli di governo, si conclude con l'individuazione di cinque fasi-tipo del processo di partecipazione dei cittadini:

informazione: viene fornita la più ampia informazione di sfondo, la policy è al primo stadio di elaborazione e disegno; feedback: i cittadini sono chiamati a reagire alle prime bozze pubblicate; consultazione: i cittadini sono invitati o coinvolti attivamente nel commentare la

policy in discussione; partecipazione attiva: i cittadini sono invitati a proporre e discutere soluzioni

alternative, prende forma un processo deliberativo-cooperativo, di co-definizione della policy; valutazione: i cittadini sono chiamati ad esprimersi sui risultati del processo,

sulla policy definita ed eventualmente sulla sua attuazione e implementazione.

A questo tipo di analisi, ancorata all'idea che la partecipazione possa costituire un percorso interno al processo di definizione delle politiche pubbliche, si ispira, per esempio, “E-democracy in practice. Swedish experiences of a new political tool” (2001), il documento del governo svedese che sostiene la necessità di promuovere, anche attraverso l'ICT, forme di autentica “iniziativa civica”, che permettano ai cittadini di influenzare l’agenda politica. Sulla base delle esperienze condotte in Svezia, “E-democracy in practice” propone anche altri spunti interessanti sul tema quali:

i cittadini devono avere spazi, non necessariamente su siti istituzionali (purché vi sia un link con questi ultimi), per discutere tra loro; tanto più è elevato il grado di complessità della politica in discussione, tanto più

deve essere accurata la progettazione delle consultazioni; in alcuni casi, per esempio nei centri metropolitani caratterizzati da una intensa

mobilità della popolazione, non è sensato limitare la consultazione ai cittadini residenti.

Il problema di favorire un ruolo attivo dei cittadini è al centro del documento olandese “Electronic Civic Consultation” (1998), in cui si enfatizzano la funzione della discussione pubblica e il carattere processuale della partecipazione dei cittadini, piuttosto che la rilevazione quantitativa (il conteggio) delle preferenze, scollegata da adeguati ed estesi interventi per favorire la discussione pubblica.

La definizione di consultazione civica elettronica (CCE), adottata nel documento, prevede tre elementi chiave, oltre all'impiego dell'ICT, che caratterizzano la consultazione essenzialmente come un processo di dialogo:

la CCE è un dibattito promosso dagli attori pubblici, che coinvolge i cittadini nel policy making;

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ha luogo fin dalle prime fasi del processo di decision-making, affrontando quindi una questione ancora aperta; la consultazione dei cittadini costituisce una risorsa importante, quanto quella degli esperti; gli attori politici devono essere pertinenti rispetto al processo decisionale in

oggetto, devono chiarire responsabilità e tenere in considerazione gli esiti della consultazione; queste condizioni garantiscono un supporto più consapevole dei cittadini alle decisioni pubbliche.

Per concludere possiamo dire che una buona politica della partecipazione dei cittadini8 attraverso la ICT deve fare in modo che:

il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini non siano in contrasto con le istituzioni rappresentative, ma piuttosto indichino il percorso per la loro riqualificazione e il loro rafforzamento; “l’alternativa al coinvolgimento del pubblico, non è un pubblico non coinvolto,

ma un pubblico con una sua propria agenda e ostile verso un processo decisionale che appare ignorarla; il coinvolgimento dei cittadini costituisce un’occasione utile di apprendimento reciproco (mutual learning), in cui i rappresentanti possono calare le soluzioni politiche in contesti meno astratti e i cittadini possono acquisire una maggior consapevolezza della complessità e delle interdipendenze del policy-making”; bisogna superare la dicotomia tra esperti e non-esperti, che individua il settore

pubblico come sede dei primi e identifica i secondi con il pubblico generico, i cittadini. Ci sono considerevoli esperienze e saperi depositati in tutti gli ambiti professionali ed associativi, che possono contribuire ad un processo di policy-making più innovativo. Il successo di questo processo dipende in gran parte dalla promozione di una cultura dei processi deliberativi (nell'accezione sopra ricordata).

7.3.2 La partecipazione dei cittadini ai processi decisionali locali Le politiche pubbliche, a tutti i livelli territoriali, hanno acquistato, negli ultimi quindici anni, una forte spinta verso la definizione di relazioni negoziali e cooperative, pressoché in tutti i campi e, in particolare, in numerose politiche locali di programmazione (politiche dello sviluppo, sociali, ambientali, urbanistiche e infrastrutturali, ecc.), o in situazioni critiche (prevalentemente di tipo ambientale e occupazionale), o in occasione di eventi ad elevato impatto socio-economico ed ambientale (grandi infrastrutture).

8 Per maggiori approfondimenti si veda: Hansard Society, 2001, Bowling Together. Online Public engagement in Policy Deliberation.

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Molto spesso queste esperienze di partecipazione, attuate in prevalenza attraverso le associazioni di rappresentanza degli interessi (concertazione) e più raramente e recentemente coinvolgendo il terzo settore e i singoli cittadini, sono state realizzate in ambito locale. Il livello delle comunità locali e regionali assume un'importanza strategica in tema di partecipazione dei cittadini. Nel caso italiano, le recenti innovazioni istituzionali impongono un'attenzione particolare verso questo aspetto. Un maggior coinvolgimento dei cittadini costituisce per le istituzioni una risorsa decisiva:

aumenta la visibilità dell’operato pubblico; permette ai cittadini un confronto immediato fra le posizioni emergenti; diventa una condizione importante per l'efficienza stessa delle politiche locali,

per la composizione dei conflitti e la responsabilizzazione reciproca.

Questo tipo di esperienze di decision making collaborativi e/o partecipativo si sta diffondendo in molti paesi, assumendo forme anche molto differenziate, in base ai problemi in questione. Tra le formule emergenti vanno segnalate:

i giurì di cittadini, costituiti da cittadini selezionati secondo criteri variabili (competenza, sorteggio, rappresentatività statistica, ecc.) che, per un periodo predeterminato, discutono un problema, producendo un rapporto finale, con valore consultivo; panel di cittadini, numericamente consistenti e rappresentativi, verso i quali

sono diretti periodicamente sondaggi di opinione, per un periodo prolungato; e consultazioni scritte, attraverso le quali si sollecitano i cittadini a esprimere

il loro punto di vista su progetti di iniziativa pubblica; forum cittadini/amministratori, per favorire il dialogo; focus group con i cittadini potenzialmente interessati o destinatari diretti di una

determinata azione pubblica; sondaggi di opinione su iniziative pubbliche; sondaggi deliberativi, che prevedono, prima della scelta sulla base delle

opzioni emerse, discussioni all’interno del gruppo dei soggetti selezionati per rispondere al sondaggio, con vari criteri, e discussioni con esperti del settore; petizioni su iniziativa dei cittadini; segnalazione di interesse verso un determinato settore di intervento, da parte

dei cittadini verso le istituzioni o viceversa (Hansard Society, 2001).

A queste tipologie, si aggiungono varie metodologie miste, tra cui il metodo DELPHI in cui i diversi strumenti (metodologie qualitative e quantitative, on line e off line) sono combinati per coinvolgere cittadini ed esperti nella definizione di politiche pubbliche. Il tratto comune a questi metodi è il tentativo di far emergere proposte e decisioni attraverso un processo “deliberativo” di elaborazione comune dei problemi. E' quindi importante rilevare che, oltre alla singola formula per promuovere la partecipazione dei cittadini, emergono anche esperienze più complesse che, combinando diversi strumenti, disegnano metodologie e percorsi articolati della partecipazione. Un esempio molto importante in questo senso è costituito dalle Agende 21 per lo sviluppo sostenibile, inaugurate con la Conferenza di Rio sull'Ambiente (1992) e centrate sulla dimensione locale di intervento. Uno dei principali problemi individuati dagli studi

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specializzati sulle esperienze di tipo partecipativo riguarda il nodo dell’informazione/comunicazione e le sue conseguenze in termini di selezione ed esclusione/inclusione dei partecipanti: tra gli aspetti più delicati, ci sono l'effettiva circolazione delle informazioni, la tempestività dell’informazione, la pubblicità delle iniziative, il rapporto con il territorio, la scarsa differenziazione dei pubblici coinvolti (circuiti ristretti), il debole sviluppo delle relazioni fra settori della Pubblica Amministrazione Locale (PAL) coinvolti a diverso titolo in un medesimo ambito di intervento o in ambiti fortemente interdipendenti, l'uso poco diffuso e rudimentale delle opportunità di comunicazione in rete e la scarsa visibilità sui siti delle istituzioni coinvolte. I vantaggi specifici dell’adozione delle tecnologie ICT9 sembrano qui evidenti, essendo queste in grado di intervenire sulla maggior parte degli aspetti sopra elencati, attraverso:

funzioni più rapide di trasmissione, aggiornamento e scambio dell’informazione; funzioni di comunicazione più flessibili, meno legate a vincoli spazio-temporali

e, quindi, allargamento delle opportunità di partecipazione a distanza e in differita; opportunità di comunicazione interattiva a due vie; funzioni di “documentazione”, memoria del processo, reperimento intelligente,

analisi diacronica; strumenti per agevolare l'accesso all'informazione (mappe intelligenti, basi dati,

ecc.); strumenti per la cooperazione a distanza (ad esempio, stesura comune di

documenti); strumenti per la formazione civica e politica (ad esempio, moduli sul

funzionamento delle istituzioni locali, su specifici processi decisionali, su metodologie di intervento e di valutazione).

Al fine di promuovere un uso vantaggioso degli strumenti di ICT, si rende necessario operare interventi atti a garantire la rimozione di alcuni vincoli alla partecipazione dei cittadini on-line. In particolare

rendere disponibili strumenti sia di tipo low tech che high tech, così come è necessario rendere disponibili modalità d’uso di semplice comprensione, apprendimento e utilizzo, prevedendo sempre la possibilità di correzione di errori o di annullamento delle operazioni precedenti (del tipo “undo”); potenziare i canali di comunicazione, anche quelli tradizionali; fornire gratuitamente o a costi contenuti l’accesso ai servizi, garantendone

l’assistenza all’utilizzo; rendere il più possibile esplicito il nesso fra contributi dei cittadini ed esiti degli

stessi (in termini di effetto sul processo decisionale e sulla sua attuazione, evidenziando i risultati della partecipazione);

9 SI veda: “Linee guida per la cittadinanza digitale: e-Democracy”, Progetto CRC, Dipartimento della Funzione pubblica e Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie, 2004; “E-Democracy. Report of Research Findings” (dicembre 2002) di Creative Research. Si tratta, anche in questo caso, di una ricerca approfondita, condotta attraverso interviste semistrutturate e commissionata da e-Envoy – UK.

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incoraggiare l’incontro fra cittadini pionieri della partecipazione on line e cittadini più ‘scettici’ o distanti da questa modalità di partecipazione; operare specifiche politiche volte a potenziare le risorse software ed umane al

fine di permettere la partecipazione e l’accesso ai servizi di quelle categorie svantaggiate di cittadini (ad esempio i portatori di deficit individuali specifici, sensoriali, motori, cognitivi) fornendogli, così nel contempo, anche una forma di inclusione sociale.

Come si vede, il panorama delle esperienze di processi decisionali partecipativi che utilizzano la ICT, anche solo come strumento facilitatore della partecipazione, è ancora molto scarno. Per compiere quel salto qualitativo che permetta un uso intelligente delle risorse è necessario superare l’attuale visione limitata del web, considerato come strumento sussidiario per la comunicazione istituzionale. E’ necessario investire maggiormente in termini di risorse umane e non solo di mezzi. Le tecnologie di ICT devono fornire un supporto nelle operazioni di decision makers, pubblicità tempestiva dei lavori, garantire la trasparenza e la partecipazione anche a chi ha disabilità. E tutto ciò deve andare di pari passo con le tradizionali forme di comunicazione, come incontri, assemblee, conferenze e seminari. Nella sperimentazione di nuove forme di partecipazione dei cittadini ai processi decisionali, un uso sistematico di servizi on line è spesso escluso in base alla motivazione che la scarsa diffusione dell’accesso telematico finirebbe per produrre effetti di rafforzamento delle disuguaglianze, rispetto alle opportunità di partecipazione dei cittadini. Questa considerazione è fondata, ma concorre a ritardare l’avvicinamento dei cittadini all’uso civico dell’ICT, proprio a causa del deficit dell’offerta di servizi di qualità in questo campo. Tale circolo vizioso è legato, da un lato, alla scarsa diffusione degli skills digitali presso gli stessi decisori pubblici, gli stakeholders e i cittadini più in generale; dall’altro, a resistenze delle culture organizzative e governative più tradizionali e alla divisione in settori della PAL che, come nella maggior parte delle organizzazioni produttive, penalizza particolarmente un’applicazione fruttuosa dell'ICT come risorsa organizzativa trasversale.

Per concludere possiamo dire che i decisori pubblici devono comprendere che le profonde trasformazioni nella società richiedono un nuovo rapporto tra soggetti pubblici e cittadini. Inoltre questa sorta di governance multilivello affermatasi negli ultimi anni richiede sempr più uno sforze di coordinamento tra i differenti attori pubblici. Diventa, quindi, sempre più urgente predisporre le condizioni e gli strumenti per un maggior coinvolgimento dei cittadini nei processi di definizione delle politiche e di erogazione dei servizi. Proprio dal punto di vista dell'innovazione delle forme di partecipazione dei cittadini alla governance, la scala locale appare un terreno di sperimentazione privilegiato per la caratteristica prossimità fra istituzioni e cittadini e la possibilità di un controllo ravvicinato sui processi decisionali e i loro effetti.

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7.3.3 Un esempio di metodologia partecipativa: European Awareness Scenario Workshop (EASW) È un metodo che consente di promuovere il dibattito e la partecipazione. E’ particolarmente efficace in contesti locali, in cui è estremamente semplice associare ai problemi chi ha la responsabilità di risolverli. E’ stato inizialmente sperimentato in campo ambientale, soprattutto per la soluzione di problemi tipici degli ambienti urbani. Può diventare un utile strumento per promuovere il passaggio a modelli di sviluppo sostenibile - condivisi e basati su un uso più attento delle risorse.

Lo scopo principale dell’EASW è quello di stimolare la partecipazione democratica nelle scelte legate al miglioramento delle condizioni di vita nelle comunità. Consente ai partecipanti di scambiarsi informazioni, discutere i temi ed i processi che governano lo sviluppo tecnologico e l'impatto delle tecnologie sull'ambiente naturale e sociale, stimolandone la capacità di identificare e pianificare soluzioni concrete ai problemi esistenti. La metodologia EASW si è rivelata particolarmente adatta a:

incoraggiare il dialogo e la partecipazione delle diverse componenti della società; creare una relazione equilibrata tra ambiente, tecnologia e società; consentire un sviluppo sostenibile nel rispetto dei bisogni e delle aspirazioni dei

membri di una comunità locale.

Riguardo invece all’approccio operativo, in un EASW i partecipanti si incontrano per scambiare opinioni, sviluppare una visione condivisa sul futuro della propria comunità e proporre idee su come realizzarla, rispondendo alle seguenti domande fondamentali:

come è possibile risolvere i problemi identificati? Si dovrà puntare più sulla tecnologia o su soluzioni organizzative? Chi è principalmente responsabile della loro soluzione? Le autorità locali, i

cittadini o entrambi?

Dunque il metodo fa ragionare sul ruolo che da un lato la tecnologia e dall’altro i diversi sistemi di organizzazione sociale (volontariato, servizi pubblici, ecc.) possono giocare nel rendere i modelli di sviluppo più attenti ai bisogni delle generazioni future. Lo fa in modo semplice ed induttivo, perché ha come obiettivo fondamentale proprio il far confrontare la gente su temi che, almeno tendenzialmente, sono distanti dal quotidiano. Ed i partecipanti sono gli esperti , in quanto, operando a livello locale, essi:

conoscono le opportunità di cambiamento ed i loro limiti; possono promuovere il cambiamento modificando i propri modelli

comportamentali. La metodologia European Awareness Scenario Workshop è nata per promuovere il dibattito su temi legati all'ecologia e all'ambiente urbano e, più in generale, per stimolare la partecipazione sociale in programmi finalizzati allo sviluppo sostenibile di un territorio. Il suo utilizzo è stato poi sperimentato con successo ed esteso anche ad altri ambiti, quali quello della progettazione partecipata. A partire dal 1995 sono già

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stati tenuti in tutta Europa numerosi workshop, organizzati su una molteplicità di tematiche diverse. In Italia sono stati finora realizzati oltre 30 seminari, dedicati in particolare ai problemi ambientali, al recupero delle aree dismesse e dei centri urbani, alla definizione di strategie di sviluppo sostenibile, in particolare nell'ambito di processi di Agenda 21 Locale. In un workshop la discussione dovrà svilupparsi su quattro temi specifici, legati alla tematica generali di discussione, scelti in modo da consentire un analisi integrata delle possibili soluzioni.

Figura 7-4. Una rappresentazione dell’EASW.

Riguardo invece ai partecipanti, ad un EASW partecipano 24-28 persone selezionate secondo la propria provenienza (città, quartiere, azienda, patto territoriale, sesso, ecc.). I partecipanti devono essere rappresentativi della realtà in cui operano. Generalmente vengono scelti tra quattro diversi gruppi sociali (gruppi di interesse):

1. cittadini 2. esperti di tecnologia 3. amministratori pubblici 4. rappresentanti del settore privato.

A conclusione diciamo che un EASW è costruito su due attività principali: lo sviluppo di visioni e la proposta di idee. Nello sviluppo di visioni i partecipanti, dopo una breve sessione introduttiva, lavorano in 4 gruppi di interesse, in ragione dell'appartenenza ad una stessa categoria sociale (cittadini, amministratori etc.). Durante il lavoro di gruppo, i partecipanti sono invitati a proiettarsi nel futuro per immaginare, in relazione ai temi

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della discussione, come risolvere i problemi della città in cui vivono e lavorano. Devono farlo tenendo come punto di riferimento gli scenari, che prospettano 4 possibili soluzioni alternative (basate su diverse combinazioni nell'uso di tecnologie e nell'organizzazione della vita sociale). Per facilitare questa attività, la metodologia prevede una serie di tecniche per la gestione della discussione ed il raggiungimento dei risultati previsti. Le visioni elaborate da ciascun gruppo dovranno poi essere presentate in una successiva sessione plenaria, al termine della quale, con una votazione, sarà scelta la visione comune di tutti i partecipanti. Questa visione dovrà prospettare in modo preciso le soluzioni adottate, sottolineando per ciascuna di esse il ruolo giocato dalla tecnologia e quello dell'organizzazione della collettività. La visione emersa al termine di questa sessione di lavoro, perfezionata dal facilitatore e dai capigruppo in una piccola riunione (petit comitè) al termine di questo primo insieme di attività, sarà alla base di quella successiva della proposta di idee. Nella proposta di idee i partecipanti sono chiamati a lavorare in gruppi tematici. Dopo una breve introduzione ai lavori, in cui il facilitatore presenta la visione comune, comincia una nuova sessione di lavoro di gruppo. Questa volta i gruppi vengono formati, mischiando tra loro i partecipanti, in funzione del tema in discussione (rifiuti, energia, ecc.). Ciascun gruppo avrà così al suo interno rappresentati diversi interessi e dovrà occuparsi, partendo dalla visione comune, di proporre idee su come realizzarla. Anche in questo secondo insieme di attività la discussione dovrà essere guidata, con l'ausilio di una serie di tecniche, per far formulare a ciascun gruppo idee concrete che propongano come realizzare la visione comune e chi dovrà assumersi la responsabilità della loro realizzazione rispetto al tema assegnato. Ogni gruppo potrà formulare un numero limitato di idee (di solito 5). Le idee saranno presentate in una successiva sessione plenaria per essere discusse e votate. Le idee più votate potranno infine essere alla base del piano di azione locale elaborato dai partecipanti per risolvere i problemi in discussione.

7.4 Conclusioni Volendo delineare una conclusione, non solo relativa al presente capitolo ma anche a quelli precedenti, possiamo dire che l’interpretazione in termini sistemici della sostenibilità - quindi come processo dinamico dove varie componenti concorrono alla realizzazione di una qualità della vita migliore e, nel contempo, tale da preservare la terra – richiede un’azione capace di indurre processi sostenibili sia in termini economici che ambientali e sociali. Con l’avvento della ICT e, quindi, con le profonde trasformazioni indotte da questa nelle differenti componenti della nostra cultura, si rende sempre più necessario un salto di qualità, soprattutto in termini politici, capace di mitigare i possibili effetti negativi della ICT rafforzandone, invece, le potenzialità che questa può indurre verso obiettivi di sostenibilità. In tal senso le sfide che dovranno essere considerate riguardano differenti aspetti, quali:

lo sviluppo e le applicazioni della ICT nell’economia e nella società è ancora in una fase “pionieristica”, per cui gli effetti a lungo termine sono ancora difficili da prevedere ed incanalare;

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la smisurata capacità della ICT di penetrare tutti i settori della società – dall’economia alla finanza, dagli aspetti sociali a quelli ambientali – e di crescere in modo esponenziale. Questi trends di crescita rapida, uniti alla capacità di penetrazione, comportano enormi trasformazioni, difficili da interpretare e da governare, tanto in termini socio-economici che politici e tecnici.

In risposta alle sfide di cui sopra le autorità cercano, il più delle volte, di fornire risposte in termini puramente normativi. Ma ciò, come è chiaramente emerso dalla lettura del presente lavoro, è insufficiente per gestire un profondo cambiamento che riguarda non solo la componente tecnologica, ma anche quella culturale, la quale richiederebbe una forte base etico-politica. In tal senso, abbiamo visto che i documenti politici internazionali, seppure lentamente, vanno in una direzione dove si cerca di utilizzare la ICT per promuovere uno sviluppo sostenibile per il pianeta. Ma essi da soli non bastano. Si rende, ogni giorno di più, necessario un rinnovo istituzionale, tanto da parte sia dei governi centrali che di quelli locali. Tale rinnovo istituzionale deve essere parallelo con azioni tanto normative che di progetti politici, ovvero di nuove politiche di governance che sappiano usare, in modo sinergico ed efficace, tanto gli strumenti tradizionali che quelli della ICT. Purtroppo, molto spesso si vede nella ICT o la panacea per la soluzione di tutti i problemi, o un male contro il quale combattere. Ritengo che il primo palesi una carenza etica, mentre il secondo è figlio dell’assoluta ignoranza verso queste nuove tecnologie. E’ quindi necessario che vi sia una classe dirigente capace di gestire un cambiamento radicale e che sappia comprendere appieno l’influenza delle nuove tecnologie sul futuro della società e della città, poiché solo attraverso la comprensione sarà possibile attuare politiche in grado di offrire nuove opportunità, soprattutto in termini di comunicazione, trasparenza, partecipazione ed anche per garantire pari opportunità a tutti i cittadini. Come si è detto la ICT non può essere una panacea per tutti i problemi legati allo sviluppo, ma è certo che solo la sua comprensione, soprattutto in termini politici, può indurre un miglioramento tanto nei processi di comunicazione e condivisione delle informazioni, che contribuire ad un processo di opportunità socio-economiche per tutti i cittadini.

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CAPITOLO 8

Sistemi Informativi per il governo dell’informazione

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Cap. 8: Sistemi Informativi per il governo dell’informazione _____________________________________________________________________________________________________________

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8.1 Introduzione Come abbiamo avuto modo di scrivere l’informazione, nella società contemporanea, è divenuta una materia prima essenziale in molti processi, rappresentando non solo quel valore aggiunto che sempre di più caratterizza la nostra società, ma divenendo sempre più una variabile fondamentale dei processi di analisi anche per gli ambienti urbani Nei capitoli precedenti si è analizzato il ruolo della informazione sotto aspetti generali e con particolare riguardo alle nuove tecnologie. Viceversa, nel presente capitolo si cercherà di rispondere ad aspetti più specifici, cioè si cercherà di approfondire alcuni concetti base come, ad esempio, l’introduzione del concetto di sistema informativo, per poi delineare e definire il passaggio da una tipologia generale di sistema informativo ad uno attinente i processi di trattamento delle informazioni legato a processi di analisi del territorio urbano.

In un ottica dove è necessario attribuire significato a termini quali democrazia partecipata, trasparenza e condivisione, il peso dell’informazione è notevole e diviene essenziale attuare politiche di controllo e gestione di questo enorme flusso di dati partendo da una base strategica strutturata su valori condivisi. Un processo, quindi, dove emerge forte la necessità di un buon processo comunicativo come precondizione essenziale per qualunque politica volta ad obiettivi di sostenibilità (Prigogine e Sengler, 1987; Fusco Girard, 1997). In tal senso possiamo parlare di processo urbano sostenibile costruito anche attraverso il processo comunicativo (Nijkamp e Perrels, 1994; Fusco Girard, 1997). Ecco allora il perché è importante agire all’interno di un framework organicamente strutturato e tale da permettere di capire quale tipo di informazione, per quali attori o soggetti produrre tale informazione e in che modo è possibile produrre tale informazione. Ed è proprio da queste esigenze di analisi o controllo di questi forti dinamismi che molti ricercatori hanno cercato di introdurre, all’interno del processo di progetto od analisi urbana, le nuove tecnologie come strumento di supporto alle decisioni in grado di gestire enormi quantità di dati e di fornire possibili rappresentazioni dello spazio territoriale. Ed è proprio quest’ultimo elemento che presenta ancora problemi metodologici di non facile soluzione proprio perché la descrizione degli oggetti (aree: manufatti, insediamenti, usi del suolo; reticoli: idrografico, viabilistico, infrastrutturale; punti, insediamenti; nodi: poli, emergenze; etc.) può essere fatta a diversi livelli: secondo la geometria e la quantità, secondo la topologia e le relazioni, secondo la semantica, i valori e i significati (Laurini, 1992; 1993). Esistono, quindi, diverse modalità di esprimere le corrispondenze tra livelli di rappresentazione dello spazio e i diversi aspetti del territorio, modalità che esprimono situazioni differenti, culture differenti e valori differenti. Quindi, come si evince dalla complessità di una possibile rappresentazione, è bene adottare, almeno fino a quando non avremo individuato possibili paradigmi operativi, un atteggiamento prudenziale che permetta di raccogliere i vantaggi derivanti dall’uso delle nuove tecnologie senza, per questo, considerarli alla stregua di icone del XXI secolo.

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8.2 Dall’informazione ai sistemi informativi In termini generali l’informazione la possiamo caratterizzare per il suo contenuto, per gli attori interessati e per il fine che essa si propone. Abbiamo anche visto come essa possa essere ottenuta da dati più o meno grezzi e strutturati sulla scorta di specifici modelli di indicatori. In termini generali è possibile definire il fabbisogno informativo di un’organizzazione mediante la seguente espressione (Rumor, 2000):

I = f(V,C,U)

dove:

V= volume di attività (quantità di beni o di servizi che l’organizzazione produce o il numero e la dimensione delle diverse attività che vengono svolte all’interno dell’organizzazione); C= complessità dei prodotti o servizi (l’informazione richiesta per descrivere in

termini completi un prodotto o un servizio è funzione crescente della complessità del prodotto o servizio); U= incertezza in cui opera l’organizzazione, maggiore è l’incertezza, prospettive

di mercato, prezzi delle risorse, etc, maggiore è il fabbisogno di informazione per governare l’organizzazione. D’altro canto, appare ovvio che quando gli andamenti del mercato, dei costi, etc si mantengono costanti nel tempo, non sono necessarie informazioni per prevedere gli scenari, basta utilizzare i dati del passato.

Quindi l’informazione si manifesta attraverso flussi e rappresenta una importante risorsa per tutte le organizzazioni, pubbliche o private che siano. Anzi, per la pubblica amministrazione l’informazione è senza dubbio l’elemento più importante in quanto, a differenza di struttura organizzate attorno alla produzione di beni, la pubblica amministrazione è una fornitrice di servizi il cui fulcro operativo è rappresentato dall’informazione, la quale, come è ben visibile dalla figura, è molto più importante rispetto al flusso di beni. Come si vede, quindi, appare necessario cercare di governare questo flusso informativo, in funzione di analisi effettuate sulla scorta di progetti attuativi di politiche, disponibilità in termini finanziari e di personale, ma anche di capacità di acquisizione delle singole informazioni. Per fare ciò è quindi necessario progettare e costruire un sistema informativo (SI). Cominciamo con il dire che un SI non è necessariamente un sistema informatico; difatti realizzarne uno significa per prima cosa definire un insieme di documenti e procedure da utilizzare per conservare ed elaborare dati eterogenei nell'ambito di una o più attività. Il fatto che nel linguaggio corrente un sistema informativo venga spesso identificato con il sistema informatico che lo realizza o che lo supporta rivela quanto gli strumenti informatici siano diventati indispensabili per gestire flussi di dati organizzandoli e utilizzandoli per analisi e produzione di documenti. In modo più corretto possiamo dire che un SI è un “sistema, informatizzato o non, composto da persone, tecnologie o metodi il cui obiettivo è la gestione, l’elaborazione, il trattamento o la trasmissione di dati che formano informazione utile al fine di attuare determinati processi. Nella figura si evidenziano le quattro azioni che ruotano attorno all’informazione.

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Figura 8.1. Flussi di informazioni e servizi all’interno di un’organizzazione che fornisce servizi. (Fonte: M. Rumor, 2000)

In particolare, qualora si usano mezzi telematici, l’espressione "sistemi informativi distribuiti" va ad indicare quei sistemi informativi che utilizzano reti di computer per immagazzinare, comunicare ed elaborare dati. Dunque nella realizzazione di un sistema informativo l’informatica e la telematica hanno un ruolo determinante e l'impatto che la loro introduzione ha apportato riguarda tutti gli aspetti del sistema informativo nel suo complesso: dall'organizzazione del lavoro alla tipologia dei documenti.

Figura 8.2. Le “azioni” connesse all’informazione. (Adattata da: M. Rumor, 2000)

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Figura 8.3. Il ruolo centrale del Sistema Informativo all’interno di un’organizzazione. (Fonte: M. Rumor, 2000)

Come esemplificato in figura 8-1, in una struttura pubblica o privata il SI rappresenta un elemento essenziale e centrale tra il processo decisionale e l’erogazione di beni o servizi. Esso è caratterizzato da una struttura generale in cui si possono individuare tre componenti principali, riportati in figura 8-4:

l’informazione, ovvero quando i dati vengono lavorati ed acquistano una struttura ed un valore semantico (la questione sarebbe molto più complessa, ma ci accontentiamo di una definizione sufficiente); la tecnologia è l’insieme di strumenti usati per acquisire, gestire e rendere

disponibile l’informazione; il contesto organizzativo è costituito dall’ambiente e dal quadro politico e

storico, dalle culture e dai processi di management, dalle strategie, dalle risorse umane.

Il contesto organizzativo, che spesso viene trascurato, è invece componente fondamentale del SI, perché tecnologie e informazioni di per sé non consentono di raggiungere alcun risultato pratico. Come abbiamo più volte sottolineato, gli attuali SI sono tutti strutturati su tecnologie informatiche, andando, spesso, ad integrare differenti tecnologie.

Figura 8. 4. I principali componenti del Sistema Informativo.

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Figura 8.5. La figura mostra il ruolo di un SI nel passaggio tra dati ed informazione (Fonte: A.K. Young, 1998)

8.3 L’informazione per la conoscenza del territorio: informazione spaziale e territoriale

Andiamo adesso ad attribuire un significato al termine informazione spaziale. Ebbene, l’informazione spaziale è quella informazione riferita ad oggetti posti nello spazio, nonché alle mutue relazioni che intercorrono tra questi. Viceversa, l’informazione non spaziale è un tipo di informazione che non è riferita ad oggetti posti nello spazio, né riferibile in qualche modo a questi ultimi. Per l’informazione spaziale i dati possono avere due tipi di strutture: quella geometrica e quella topologica1. La struttura geometrica fornisce una rappresentazione della forma e della posizione degli oggetti nel mondo reale ed ha le seguenti caratteristiche generali:

ogni oggetto è rappresentato da una sola entità;

1 Topologia – è una procedura matematica che determina relazioni spaziali tra gli elementi base dei dati spaziali, ovvero punto, linea/arco ed aree. Tali relazioni spaziali permettono di attribuire una direzione ad un arco/linea, di definire quali archi/linee sono connessi e, infine, di capire quali poligono sono adiacenti. Nella tecnologia GIS la topologia suggerisce l’esplicitazione di una serie di relazioni spaziali tra primitive geometriche.

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ogni entità è descritta da una sola primitiva geometrica. E’, però possibile far ricorso a più primitive geometriche allorquando si sia in presenza di entità costituite da una catena od un poligono chiuso; le primitive geometriche che descrivono un’entità non sono mai condivise da

altre entità, per cui cancellando la primitiva geometrica o le primitive geometriche che consentono di descrivere un’entità non si pregiudica la descrizione di alcun altra entità.

Figura 8.6. La struttura geometrica per l’informazione spaziale (Fonte: A.K. Yeung, 1998)

Riguardo invece alla struttura topologica, la sua funzione è quella di esprimere la mutua relazione spaziale degli oggetti, utilizzando le relazioni matematiche di adiacenza, di inclusione, di connessione o di intersezione.

Figura 8.7. Struttura relazionale del tipo proxi e topologica per l’informazione spaziale (Fonte: A.K. Yeung, 1998)

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L’informazione spaziale la possiamo scomporre in due componenti: l’informazione territoriale, ovvero quella che fa riferimento ad oggetti del mondo reale (o che possono essere posizionati nel mondo reale), nonché alle relazioni che intercorrono tra questi, e l’informazione non territoriale, ovvero quella che non si riferisce ad oggetti posti nello spazio né alle eventuali relazioni esistenti tra gli stessi (schema in figura 2.2). L’informazione territoriale descrive, quindi, gli oggetti del mondo reale e tratta le informazioni che si riferiscono ad una posizione nel mondo reale e, in tal senso, la cartografia ha da sempre rappresentato lo strumento di espressione di tali oggetti, caratterizzandosi soprattutto per la capacità di gestire livelli multipli di dati onde permette di integrare questi ultimi in modo tale da trovare relazioni tra questi ed altre informazioni, ottenendo un’informazione “stratificata”.

Figura 8.8 – L’informazione spaziale può riferirsi a componenti territoriali e non.

Altre caratteristiche dell’informazione territoriale sono:

la dimensionalità nello spazio (due o tre componenti); la dimensione temporale, ovvero quella caratteristica estremamente importante

che descrive l’evoluzione nel tempo di un determinati sistema territoriale; l’accuratezza, ovvero quanto la rappresentazione fatta si avvicina alla realtà. E’

questa una caratteristica che dipende fortemente dal tipo di analisi che si svolge, ottenendo un’accuratezza di tipo posizionale o tematico; la necessita di una rappresentazione simbolica degli oggetti del mondo reale.

In linea generale possiamo dividere l’informazione territoriale in due categorie:

informazione territoriale di base; informazione territoriale tematica.

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Alla prima categoria appartengono le reti geodetiche, gli elementi naturali ed artificiali del territorio, elementi artificiali del territorio, confini, elementi per posizionare informazioni (per esempio il numero civico, a cui fanno riferimento molte informazioni a cui si può risalire velocemente se il numero stesso è inserito all’interno dell’informazione territoriale). L’informazione territoriale di base è quindi, un tipo di informazione indispensabile per svariati usi, andando così a costituire una sorta di infrastruttura informativa in cui è indispensabile il continuo aggiornamento al fine di renderla sempre utile ed efficiente. Riguardo, invece all’informazione territoriale tematica essa comprende quella di tipo socio-economico, ambientale, catastale o di pianificazione. E’, quindi un’informazione che si specializza in funzione dell’uso richiesto dall’utenza.

8.4 L’informazione nei sistemi informativi territoriali (SIT) Abbiamo visto come le città, più di ogni altro luogo, siano divenute sistemi sempre più complessi da amministrare, e ciò non solo da un punto di vista della fisicità ma anche per la fitta rete di interconnessioni tra le sue componenti sociali, economiche e politiche. E’, quindi, divenuto essenziale cercare un governo di queste dinamiche in modo da tentare una gestione positiva del flusso informativo, caratterizzato da elementi quali l’incertezza, la molteplicità e il conflitto. Il tentativo è, quindi, quello di cercare di creare una sorta di “finestra di comprensibilità” sull’evoluzione del sistema territoriale e delle sue componenti che, sempre più, richiede l’utilizzo di sistemi informatici capaci di gestire ed amministrare una tale mole di dati. A questo punto, sulla scorta della classificazione operata a livello di informazione, possiamo parlare (figura 8-9) di sistemi informativi territoriali (SIT), sistemi informativi spaziali non territoriali (CAD, computer aided design) e sistemi informativi per il management (MIS, management information systems, ovvero sistemi che trattano informazione non territoriale). Da questa classificazione si evince che ciò che caratterizzerà la struttura di un SIT è la possibilità di gestire una informazione anche di tipo territoriale e, quindi, per tale motivo sarà caratterizzato da una tecnologia, intendendo per tecnologia l’insieme degli strumenti usati per acquisire, gestire e rendere disponibile l’informazione in grado di trattare anche questo tipo di informazione. In particolare, nel caso dell’uso di tecnologie informatiche vi è la presenza sia di componenti hardware che di componenti software, ovvero i GIS. In tale ottica i SIT sono sempre più diventati un indispensabile strumento in grado di permettere l’acquisizione e la distribuzione di dati nell’ambito di un processo di analisi territoriale. Avendo per oggetto il territorio e le informazioni ad esso relative, potremo definire un SIT2 come il “complesso organizzativo e funzionalmente integrato di risorse umane, dati, software, hardware, flussi informativi, norme organizzative

2 SIT o SIS (sistema informativo spaziale) o GIS sono spesso usati come acronimi. Nel nostro contesto ci sembra più giusto assimilare il termine GIS alla componente tecnologica del sistema informativo.

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in grado di acquisire, archiviare ed elaborare dati che siano correlabili al territorio” (Mogorovich, 1998; Toccolini et al., 1992, ESRI, Barrett e Rumor, 1993). Possiamo dire che, almeno in senso generale, un SIT può essere assimilato ad un dispositivo del tipo DSS utile a fornire un supporto nei processi decisionali.

Figura 8.9. Classificazione dei diversi Sistemi Informativi in relazione alla tipologia di informazione.

Il SIT quindi, trova ragion d’essere nella necessità di governare il flusso informativo, gestirlo, ma anche di manipolarlo al fine di sviluppare messaggi informativi significativi. Il primo passo quindi verso la creazione di un SIT consiste nella raccolta e disponibilità delle informazioni. Un sistema informativo bene organizzato dovrà essere strutturato ed organizzato sulla scorta di scelte strategiche, ma anche in funzione delle domande a cui si cercherà di rispondere. L’informazione diventa così fruibile, ovvero adatta a essere capita e utilizzata da colui che – pianificatore, economista, funzionario di ente, politico etc. – debba in qualche veste informarsi, gestire, progettare interventi o prendere decisioni. Ed è proprio l’aspetto legato al flusso informativo, in particolare alla mole di informazioni ed all’aggiornamento di queste, che dipende l’efficacia e l’efficienza di un SIT. In tal senso è quindi, tenendo ben precisi quelli che sono gli obiettivi strategici, è possibile definire il flusso informativo nel tempo, ma anche il grado di dettaglio necessario, e ciò non solo per un motivo di appesantimento del sistema, ma anche per ragioni economiche (non dimentichiamo che le informazioni, i dati, vanno pagati). Come si può vedere diviene necessario definire un processo informazionale che permetta di operare delle azioni attraverso le quali è possibile incrementare il grado di conoscenza partendo da una certa base informativa fino a giungere ad un grado superiore di apprendimento. Come si è accennato nei capitoli precedenti, quando si ha a che fare con sistemi e teoria dei sistemi vanno valutate le interazioni tra le parti ma anche le eventuali azioni di feedback. Così possiamo dire che in un processo

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informazionale possiamo distinguere, in generale, tre distinti momenti fondamentali, cui corrispondono tre diverse fasi operative: la semplice elaborazione dei dati, il ricorso a procedimenti di retroazione o di feedback, la formazione di sistemi informativi integrati. La prima fase, quella dell'elaborazione dei dati, corrisponde ad un'elementare algebra delle informazioni, come, ad esempio, operare una raccolta su insiemi di dati omogenei, trattarli opportunamente fino a ricavarne informazioni più evolute relative a precise situazioni di stato. L'automazione del processo informazionale, prende comunque corpo nella fase successiva, individuata dai procedimenti di retroazione o di feedback, che comporta il riferimento delle variazioni di effetto riscontrate, rispetto a preordinate norme programmatiche, per ricondurre l'intera prassi operativa nella direzione degli obbiettivi preposti.

A partire da questo stadio evolutivo del processo informazionale, si innesta infine la terza fase procedurale, tesa all'ottimizzazione del processo stesso, attraverso una strategia che trasforma l'intero insieme dei dati, in un vero e proprio sistema informativo integrato. L'evoluzione del processo informazionale può allora assumere precise caratteristiche deterministiche, stocastiche o statistiche, oppure indeterminate. I processi informazionali di apprendimento hanno, in generale, per essenziale obbiettivo la ricerca di informazioni composite od integrate, attraverso teorie deterministiche o stocastiche, che costituiscano uno strumento capace di consentire previsioni, nel settore operativo considerato. Nei processi deterministici queste previsioni si raggiungono pressoché in condizioni di certezza, cioè con dati di partenza univocamente determinati ad un ben definito istante. Per cui, partendo da dati sperimentali e dalla conoscenza dei legami fra loro intercorrenti, nell'ambito di una struttura o di un sistema sufficientemente controllati, diviene agevole pervenire a previsioni molto approssimate sull'evoluzione della stessa struttura o dello stesso sistema, in un tempo ben definito. Ciò che equivale ad ammettere una corrispondenza biunivoca, tra la medesima struttura ed il sistema informativo che la descrive. Nei processi stocastici, essendo note soltanto le condizioni medie e l'andamento probabilistico o statistico dell'evoluzione del sistema, le previsioni del processo informazionale non possono essere invece altro che probabilistiche, poiché i parametri di partenza non risultano univocamente determinati. A causa di questa incertezza iniziale, si pone infatti il problema di ricorrere ad una loro definizione sulla base della distribuzione di probabilità delle diverse variabili aleatorie.

8.5 Le modalità di rappresentazione digitale dei dati geografici: raster e vector L’informatica ha imposto nuovi modelli di percezione del mondo reale ed ha individuato forme diverse per la sua rappresentazione all’interno di una base di dati: la forma vettoriale e la forma raster.

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Nella prassi normale la memorizzazione dei dati geografici viene effettuata mediante la georeferenziazione di ciascun particolare topografico attraverso le relative coordinate topografiche, acquisite in memoria attraverso una stringa o vettore. La forma vettoriale utilizza le primitive della geometria euclidea: punto, linea e poligono. Tale rappresentazione può avere tre tipologie di strutture: così detta a spaghetti, gerarchica e topologica.

Figura 8.10. Sopra. Modello “spaghetti” relativamente al modello dati ed alla struttura degli stessi

Figura 8. 11. Modello dati del tipo gerarchico e struttura dei dati

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Figura 8. 12. Modello dati del tipo topologico e struttura dei dati

Lo sviluppo tecnologico ha messo a punto inoltre una maniera diversa per la memorizzazione delle immagini, e cioè la forma raster, la quale consiste in una sorta di griglia finissima, organizzata come una matrice rettangolare, ove ciascun elemento cellulare della griglia stessa raccoglie i dati che esso finisce per ricoprire. La forma raster si basa dunque sulla primitiva pixel (picture element), avente un contenuto omogeneo e non ulteriormente suddivisibile.

Figura 8. 13. Caratteristiche di una struttura dati del tipo raster

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Queste due differenti forme di rappresentazione digitale dei dati geografici possono essere evidentemente fra loro interconnesse, per la trasformazione dell’una nell’altra e viceversa. Facendo riferimento alla forma vettoriale, la posizione di ogni elemento o particolare geografico, nello spazio bidimensionale, viene definita dalle sue coordinate piane X,Y. Da questo concetto base si sviluppa, secondo la geometria euclidea, tanto il concetto di linea, ovvero una sequenza di punti le cui coordinate X,Y possono essere memorizzate in sequenza, o in una stringa, che ricorda appunto l’immagine di un vettore. Allo stesso modo un insieme di linee, collegate tra di loro mediante dei nodi, fornisce l’immagine di una rete, e se collegate attraverso una poligonale chiusa, definisce un’area. In questa visione strutturale, ciascuna linea è così parte di due diversi poligoni adiacenti, e può essere intesa e memorizzata come appartenente contemporaneamente all’uno o all’altro poligono. Nella concezione vettoriale, la rappresentazione nella base dei dati dei differenti oggetti geografici è così affidata a insiemi di punti associati alle loro coordinate piane e agli altri attributi che li specificano. La densità dei punti è naturalmente funzione della scala della rappresentazione, della sua precisione relativa e di altri fattori che possono entrare nella strutturazione digitale dei dati geografici rappresentati.

L’acquisizione vettoriale dei dati geografici è alla base di vari sistemi cartografici digitali, ed è anche alla base di ogni processo di acquisizione topografico e fotogrammetrico dei dati numerici. Nella rappresentazione raster, utilizzata soprattutto nelle comunicazioni videografiche, l’immagine viene suddivisa in un insieme di finissime cellule, organizzate in matrice rettangolare, denominate appunto pixels. Tutti i pixels vengono memorizzati nel database strutturato secondo un insieme bidimensionale di righe e colonne, e occupano ciascuno di norma 8 bits nella memoria dell’operatore. Essi forniscono tuttavia la possibilità di rappresentare un insieme di livelli di grigio o di colore. Nella rappresentazione a raster, i concetti geometrici di linea, di poligonale e di area non sono esplicitamente definiti, anche se possono essere indirettamente ricavati mediante la connessione dei diversi pixels adiacenti. Ciascun pixel è infatti circondato, nel raster, da altri 8 pixels, disposti tutto attorno ad esso. Possono essere fra loro connessi se presentano lo stesso valore e contenuto. La delimitazione di un’area viene così definita dall’insieme dei pixels omogenei fra loro tutti raggruppati, mentre i bordi della stessa area risultano evidenziati dalla variazione del valore rilevabile nei pixels adiacenti. Conseguentemente, l’immagine di un tracciato lineare è formata dalla connessione di pixels omogenei, allineati o non allineati, delimitati da pixels vuoti o uniformemente disomogenei con quelli relativi al tracciato stesso. Ne risulta un’immagine discontinua, che definisce lo scheletro del tracciato medesimo. Il problema maggiore nella rappresentazione raster è il grande insieme di dati che definisce un’immagine. Circostanza che comporta una necessaria compressione con la eliminazione delle ridondanze superflue. Questa rappresentazione viene ottenuta dalla digitalizzazione automatica per scansione della cartografia disegnata preesistente, e costituisce il mezzo più semplice e immediato per l’acquisizione di informazioni attraverso il telerilevamento o la teleosservazione. Essa costituisce comunque la forma migliore per il trattamento numerico automatico delle immagini ai fini specifici della loro interpretazione. Appare evidente che le due modalità di memorizzazione possono coesistere nel database, specialmente quando debbano essere portate a raffronto, nella formazione e nell’aggiornamento della cartografia numerica, immagini fotografiche ed elaborati cartografici.

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8.6 Tecniche per l’acquisizione dei dati geografici Usualmente i dati geografici possono essere acquisiti sia attraverso misure dirette sul terreno, sia attraverso le rappresentazioni cartografiche disponibili, sia mediante un rilevamento aerofotogrammrtrico od il telerilevamento. Il trasferimento nel database dei dati geografici delle osservazioni effettuate direttamente sul terreno può avvenire anche in forma automatica. In tale modalità, il trasferimento dei dati osservati sul terreno viene assicurato mediante opportune apparecchiature che si interfacciano tra la strumentazione e la banca dati garantendo non solo una grande efficienza ed una forma di controllo preliminare atto a garantire una sorta di pre-elaborazione, ma permette anche l’eliminazione di possibili errori nell’acquisizione degli stessi.

Riguardo invece all’acquisizione delle informazioni mediante documenti cartografici preesistenti, cioè già disponibili, può essere effettuata sia manualmente, sia grazie all’impiego di opportune stazioni interattive di digitalizzazione, sia grazie all’ausilio di apparati semi-automatici, che grazie ad apparati automatici a scansione. Un procedimento semi-automatico di acquisizione può essere realizzato utilizzando sistemi ad inseguimento automatico di linee che consentono di digitalizzare singoli elementi grafici. La memorizzazione dei dati viene immediatamente effettuata in forma vettoriale, anche se l’acquisizione diretta viene realizzata in forma raster, vale a dire per punti discreti disposti a matrice, opportunamente scalati nei diversi livelli di grigio e di colore. Un’acquisizione alquanto più celere e più omogenea viene ottenuta con i sistemi a scansione automatica che esplorano, secondo un programma di avanzamento automatico preordinato, l’intera superficie da digitalizzare, mediante un sensore fotosensibile.

Infine avevamo accennato al telerivelamento spaziale, ovvero immagini digitalizzate, ottenute attraverso il telerilevamento spaziale. Con il termine generico di telerilevamento si comprendono l'insieme di tecniche, strumenti e mezzi interpretativi che permettono di estendere e migliorare le capacità percettive dell'occhio umano, fornendo informazioni qualitative e quantitative su oggetti posti a distanza dal luogo d'osservazione. Le informazioni raccolte possono distare dall'osservatore da alcuni metri (Proximal Sensing) fino a migliaia di chilometri (Remote Sensing), come nel caso delle osservazioni effettuate dai satelliti orbitanti attorno alla terra. La successiva elaborazione di queste immagini in formato digitale, permette non solo di ottenere delle analisi molto dettagliate relative a differenti tematiche, come, ad esempio, uso del suolo, tipologia di vegetazione, etc, ma garantisce una ottima integrazione con i sistemi informativi strutturati con tecnologie digitali. Questa integrazione permette una maggiore ricchezza informativa del territorio facilitandone sia le procedure di lettura e classificazione che quelle di aggiornamento delle componenti spaziali e temporali. Il veicolo di informazione del telerilevamento generalmente è l'energia elettromagnetica 3, sia essa proveniente dal sole, emessa dalla terra o generata da

3 Le immagini prodotte dal telerilevamento del Landsat 5 hanno un sensore Thematic Mapper (TM), ovvero uno scanner multispettrale di tipo cross-track con un sistema di scansione formato da uno specchio piano oscillante con asse di basculamento orizzontale allineato con traiettoria orbitale; uno spettrometro per separare la luce nelle varie bande spettrali; sette matrici di sensori (detector) posizionati in modo tale da registrare particolari porzioni dello spettro prodotto. In sintesi si ha:

risoluzione spaziale di 30 metri;

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strumenti radar o laser. L'energia elettromagnetica che trasporta le informazioni più utili nel campo del telerilevamento applicato allo studio del territorio è quella delle bande del visibile, dell’infrarosso e delle microonde. Solitamente il rilievo di una superficie effettuato con tecniche di telerilevamento prevede tre fasi distinte: la ripresa dei dati (da aereo, satellite o da terra), la loro elaborazione e l'analisi. Gli strumenti di rilievo utilizzati possono essere distinti in due categorie e cioè quelli che forniscono delle misure, come radiometri, spettrofotometri, scatterometri o altri, e quelli che forniscono delle immagini, cioè macchine fotografiche, dispositivi digitali di scansione, termocamere ecc.. Tutti gli strumenti da ripresa nel gergo tecnico vengono chiamati sensori. Una distinzione che può essere fatta è quella fra strumenti passivi e attivi: gli strumenti passivi misurano le radiazioni (siano esse emesse o riflesse) provenienti dalle superfici investigate mentre gli strumenti attivi provvedono essi stessi alla illuminazione delle superfici, captando poi la radiazione riflessa.

Figura 8. 14. Una configurazione di real-time GIS, ovvero una postazione capace di ricevere da satelliti via stazioni terrestri dati relativi ai più disparati fenomeni ambientali o urbani

Le applicazioni di queste tecniche sono le più svariate, da quelle ambientali (classificazione multitemporale di uso e coperture del suolo, controllo e gestione dell'ecosistema, valutazioni di impatto ambientale, monitoraggio inquinamento, discariche e rifiuti urbani e industriali, gestione della rete idrica e aree umide, etc.) ad applicazioni di topografia e cartografia tematica (realizzazione gestione ed

sette bande spettrali; ampio intervallo spettrale, sia nel visibile che nel vicino infrarosso (IR); capacità di produrre immagini a colori per mezzo di una banda nel blu (TM1), nel verde (TM2) e

nel rosso (TM3); canale termico.

(Fonte: Floyd F, Sabins JR, 1990)

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aggiornamento della cartografia, pianificazione territoriale, catasto, controllo dell'abusivismo edilizio, etc.), per arrivare ad applicazioni nel campo delle telecomunicazioni (attraverso pianificazione e supporto delle reti di trasporto e navigazione a scala urbana e internazionale, etc.) o geologico ed agricolo.

Figura 8.15. San Giovanni Valdarno (AR), Ortofoto Regione Toscana relativa agli anni 1977-78.

Figura 8.16. San Giovanni Valdarno (AR), Ortofoto relativa all'Agosto 1996.

Per concludere il presente paragrafo, è opportuno osservare che l'utilizzo di immagini telerilevate assieme ai Modelli Digitali del Terreno (DEM) ha fornito un ottimo mezzo per le rappresentazioni nello spazio tridimensionale. La forma matrix è tra le modalità di rappresentazione digitale quella che meglio può esprimere la terza dimensione. Essa ha pressoché le stesse caratteristiche della forma raster ma i valori contenuti nelle celle, o pixel, definiscono la terza dimensione dell’oggetto considerato.

Figura 8.17. Modello geologico tridimensionale dell'area di Bellisio Solfare (prov. Pesaro-Urbino)

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Figura 8.18. Esempio di ortofoto

8.7 Modalità di gestione ed amministrazione dei dati: i database Abbiamo già accennato ai database nel sesto capitolo. Per cui nel presente paragrafo ci soffermeremo solo su alcuni punti non trattati precedentemente. La cartografia numerica fornisce un database geografico utile per la formazione di sistemi informativi georeferenziati4 e per l’ulteriore sviluppo delle conoscenze territoriali ed ambientali. Altre sue utili applicazioni attualmente diffuse risultano anche la progettazione interattiva di infrastrutture; la simulazione di interventi urbani; l’aggiornamento di cartografia esistente; la produzione di cartografia tematica assistita; il censimento del patrimonio architettonico; il monitoraggio degli spazi edificati e la salvaguardia ambientale. Per fornire un quadro più esauriente dell'incremento delle conoscenze conseguibile attraverso un database geografico georeferenziato, può farsi ricorso ad alcune esemplificazioni sulla generazione di carte tematiche speciali mediante appunto 4 Georeferenziazione (o Geo-positioning o Georeferenced). Lo scopo di una carta geografica è quello di rappresentare sul piano zone più o meno estese della superficie terrestre effettiva. A seconda dell’ambito spaziale considerato, sono adottate quali superfici virtuali di riferimento: la sfera, l’ellissoide o sferoide, e il piano. In tal senso la georeferenziazione indica il corretto posizionamento dei dati e conseguentemente delle informazioni associate, in un determinato sistema di riferimento geografico.

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l’assistenza dell’elaboratore e l’impiego di metodologie informatiche. A semplice titolo esemplificativo, possono infatti dedursi da un database geografico georeferenziato, attraverso opportune composizioni ed integrazioni dei dati disponibili, classificazioni sulle attitudini del territorio (Land Evaluation) considerato, classificazioni relative all'erosione potenziale del suolo (Potential Soil Erosion) per la redazione di piani urbanistici e territoriali, od altro. L'utilizzazione di questi database può infine permettere di pervenire a verifiche di impatto ambientale di varia portata ed interesse. A proposito di questi ultimi impieghi, sono da ricordare in particolare i database di dati urbani localizzati messi a punto da molte Amministrazioni municipali, per documentare all'istante il reale stato delle consistenze e delle situazioni ambientali urbane nella loro evoluzione strutturale e storica. Uno strumento informativo indispensabile per i centri urbani antichi che, nel lungo corso dei secoli, sono stati spesso oggetto di ripetute ristrutturazioni urbanistiche ed ambientali, suscettibili spesso di costituire una remora per molti moderni interventi di ristrutturazione, specialmente se le permanenze sepolte non sono sempre tutte completamente conosciute.

8.8 Tecnologie informatiche per sistemi informativi: i GIS La tecnologia dell’informazione (calcolatori e programmi) gioca un ruolo rilevante nell’automazione di un sistema informativo perché rappresenta un indispensabile strumento per migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’intero sistema. Le tecnologie informatiche utilizzate nei SIT sono i Geographical Information Systems (GIS) ed i DataBase Management Systems (DBMS); ovviamente la tecnologia GIS assume un’importanza primaria essendo dedicata alla gestione della componente geografica dei dati territoriali. La componente informatica del SIT permette di acquisire i dati territoriali e descrittivi, tipicamente provenienti da fonti diverse, di strutturarli in modo da facilitarne l’accesso, l’elaborazione e l’aggiornamento. Si noti che spesso si identifica erroneamente la tecnologia informatica, in particolare i GIS, con il SIT stesso. La tecnologia informatica aiuta a gestire i dati di un SIT in modo più efficiente ed efficace, tuttavia la sua introduzione non garantisce da sola la costruzione di un valido SIT. La tecnologia offre il supporto per l’aggiornamento dei dati, ma da sola, non lo garantisce se non è pianificato il processo operativo nell’Ente responsabile di tale operazione. Inoltre, la tecnologia informatica permette di realizzare un.architettura hardware/software costituita da componenti distribuiti tra i vari utenti e collegati in modo integrato tra loro. Questa potenzialità favorisce l’interscambio dei dati, ma impone agli Enti coinvolti nel SIT di dotarsi della competenza tecnologica necessaria per seguire la progettazione, la realizzazione e la manutenzione del sistema. Inoltre, un Ente deve dotarsi di nuove capacità organizzative e gestionali, cercando di aver ben chiari i limiti e le potenzialità di tale sistema in riferimento agli obiettivi strategici che esso si propone.

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Come abbiamo visto in precedenza, i SIT si appoggiano a software che integrano due elementi essenziali: un primo in grado di gestire una parte cartografica (mappe); ed un secondo elemento capace di gestire dati riferiti alla parte cartografica. Questa tipologia di software prende il nome di GIS (Geographic Information System). Il termine GIS è l’unione di tre componenti:

geographical, ovvero quando le informazioni che si trattano hanno una natura territoriale, ovvero riferiti allo spazio geografico; information; sull’informazione abbiamo scritto tanto. Nel caso specifico

l’informazione ha una natura spaziale ed essa viene immagazzinata od analizzata al fine di produrre ulteriore informazione; system, ovvero sistema, che nel caso sta ad individuare l’interazione tra le

varie componenti che costituiscono la tecnologia.

Quindi seguendo un percorso classico potremmo definire un GIS come “un sottosistema di un sistema informativo costituito da un insieme di tecnologie di informazione, dati e procedure utilizzabili per raccogliere, conservare, manipolare, analizzare e produrre mappe ed altri tipi di rappresentazioni in grado di fornire informazioni per risolvere problemi di ricerca, pianificazione e gestione”. I GIS possono trattare dati di ogni genere, da quelli sociali ed economici a quelli demografici. La caratteristica che li distingue è rappresentata dal legame con un elemento cartografico, ovvero un elemento georererenzialbile5. Tutti i dati acquisiti, possono venire adeguatamente trattati, rielaborati e rappresentati dal sistema GIS, restituendo non solo una visione reale dell’intero territorio ma anche possibili modelli atti in grado di fornire un supporto alle decisioni. Dal punto di vista spaziale i GIS possono utilizzarsi su diversi livelli di scala, da quelli più ristretti ad ambiti più ampi. Se, invece, si considera l’aspetto temporale, i GIS possono offrire funzioni in grado di studiare il territorio nella sua evoluzione temporale: dall’analisi di banche dati che contengono informazioni raccolte con i censimenti, a funzioni di monitoraggio ambientale, per giungere ad applicazioni capaci di simulare nel tempo l’evoluzione di fenomeni relativi alla dinamica del territorio. In tal senso un GIS, come componente informatica di un SIT, aiuta a gestire i dati di questo in modo più efficiente ed efficace attraverso il governo del flusso informativo strutturato su di un database capace di gestire in modo appropriato dati geografici, ovvero dati caratterizzati non solo da elementi alfanumerici o testuali, ma anche da caratteristiche quali:

gli attributi spaziali, ovvero dati localizzativi, nonché tipologia geometrica (punto, linea, area o combinazione) e sistema di coordinate; relazioni tra i differenti strati informativi e gli attributi spaziali; dati sia di tipo vettoriale che raster; relazioni topologiche fra differenti oggetti

5 Caratteristica peculiare del GIS è la capacità di georeferenziare i dati mediante l’attribuzione, ad ogni elemento, delle sue coordinate effettive all’interno del sistema di riferimento in cui è realmente posizionato (ad esempio UTM, Gauss- Boaga etcc.). In questo modo ogni oggetto è rappresentato oltre che con le sue coordinate reali, anche con le dimensioni effettive.

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Questa tecnologia è essenzialmente strutturata sulla capacità di fare operazioni sui database, come ad esempio statistiche o query, e di visualizzare questi risultati in una modalità grafica. La capacità, quindi, di analizzare dati di natura spaziale fa’ dei GIS una tecnologia particolare, seppure ancora oggi presenta importanti limitazioni operative che appresso vedremo. La capacità di un GIS di operare analisi spaziali è essenzialmente basata sull’uso della topologia, ovvero quella branca della matematica che permette di definire i legami spaziali tra differenti elementi. Questa operazione può permettere, quindi, di operare una sintesi e dar luogo a nuove tipologie di dati sui quali è possibile operare analisi più precise ed efficienti e, soprattutto, più attinenti agli interrogativi posti da chi deve prendere decisioni.

Figura 8-19. Esempio di georeferenziazione delle classi Uso del suolo

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Figura 8-20. La figura mostra le funzionalità di un “motore” GIS con il passaggio dai dati grezzi ad operazioni di ricerca, analisi ed interpretazione.

8.8.1 Elementi costitutivi di un GIS Ogni GIS è costituito da hardware, software e dati. L’hardware è l’insieme delle componenti fisiche del sistema, cioè delle apparecchiature che consentono l’acquisizione (tastiera, mouse, digitizer e scanner), l’archiviazione e l’elaborazione dei dati (computer, memorie di massa) e la loro restituzione sotto forma di nuove informazioni (stampanti, plotter). Il software costituisce l’insieme dei programmi del sistema che permette all’operatore di utilizzare le componenti hardware e quindi al GIS di espletare le sue funzioni. Permette inoltre il dialogo fra sistema informatico e utente (“interfaccia utente”). Infatti, tutte le funzionalità del GIS, per quanto potenti, troverebbero una forte limitazione nel loro utilizzo se non ci fosse una facile e adeguata modalità d’interazione tra l’uomo e la macchina in grado di svolgerle. L’hardware e, in particolare, il software sono gli strumenti, più o meno complessi e capaci, necessari per la gestione dell’elemento essenziale di ogni sistema informativo: i dati. Nel caso del GIS si tratta di dati territoriali, caratterizzati da due componenti, quella geografica e quella descrittiva: la componente geografica identifica la localizzazione del dato, la componente descrittiva a essa associata, gestita attraverso la costituzione di una banca dati, lo caratterizza e lo trasforma in informazione. Come abbiamo visto in precedenza, l’archiviazione dei dati geografici può avvenire mediante due formati: vettoriale e raster.

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Figura 8-21. Elementi costitutivi di un GIS

Usualmente sono vettoriali i dati acquisiti attraverso la digitalizzazione manuale della cartografia cartacea, sia da rilievi diretti in campo che per mezzo di informazioni provenienti da altri sistemi informatizzati quali i CAD (Computer Aided Design) e i GPS (Global Positioning System). I vantaggi offerti dalla forma vettoriale possono riassumersi essenzialmente come di seguito:

ottima rappresentazione della struttura dei dati;

struttura dei dati compatta;

la topologia dei dati spaziali può essere completamente descritta;

sono possibili l’aggiornamento e la generalizzazione dei dati e loro attributi;

la rappresentazione grafica può essere accurata;

Viceversa, i relativi svantaggi possono riassumersi complessivamente in:

struttura dei dati molto complessa,

tecnologia dispendiosa soprattutto quando i software risultino molto sofisticati;

trattamenti di analisi spaziale e filtraggio praticamente impossibili.

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Invece i dati raster sono normalmente il risultato della scansione automatica e dei programmi di interpretazione delle immagini. I GIS raster modellano la realtà utilizzando banche dati quali foto satellitari o aeree, dati grid ottenuti da interpolazioni di campionamenti sul territorio: ad esempio sulla conformazione del terreno. Sono cioè sistemi che vengono utilizzati ogni qual volta si debbano modellare fenomeni a distribuzione continua sul territorio. Una carta raster è costituita, quindi, da una matrice di valori numerici di una data dimensione, o meglio da una griglia uniforme composta da tante celle elementari (pixel) contenenti determinati valori. Questo formato utilizza una matrice reticolare sovrapposta al terreno. Ad ogni cella o pixel viene associato l’attributo predominante. I GIS raster permettono quella che viene definita analisi spaziale, ottenuta per sovrapposizione dei diversi strati che costituiscono la cartografia in oggetto. In questo modo è possibile generare carte di diverso tipo come ad esempio quelle di rischio, di modellazione dei terreni, di overlay, etc. E’ inoltre possibile realizzare modelli digitali del terreno interpolando dati puntuali o curve di livello grazie ai quali si possono operare analisi di visibilità, ombreggiatura e pendenza. Una volta realizzato il modello digitale del terreno è possibile drappeggiarlo con fotografie aeree o carte raster (CTR regionale) al fine di aumentarne il realismo. I vantaggio della forma raster sono essenzialmente i seguenti:

struttura dei dati semplice;

sovrapposizione e combinazione dei dati molto agevole;

le analisi spaziali dei dati sono facilitate;

la tecnologia risulta alquanto sviluppata;

mentre gli svantaggi maggiori possono riassumersi complessivamente nei seguenti:

l’utilizzazione di celle più ampie riduce il volume dei dati ma peggiora la relativa accuratezza;

i collegamenti presentano difficoltà poiché i pixel non sono connettibili;

le rappresentazioni nella forma raster sono scarsamente espressive;

il dataset risulta troppo ingombrante.

Usualmente all’interno di un GIS, i dati raster e quelli vettoriali non solo possono coesistere, ma spesso vanno ad integrarsi dato il loro carattere di complementarità. A tal fine i sistemi GIS devono garantire:

facilità nel passaggio dei dati dal formato vector al formato raster e viceversa; strutture omogenee di archivi di dati raster e vettoriali; gestione dei dati descrittivi associati alle due tipologie di formato, attraverso

l’uso di un comune data base relazionale; compatibilità del sistema di georeferenziazione dei due formati; possibilità di visualizzare e interrogare simultaneamente e

contemporaneamente dati raster e vettoriali; tecniche di elaborazione integrata.

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L’utente deve poter usufruire di tutte le potenzialità di elaborazione offerte dalle due tipologie, senza dover essere vincolato dai formati stessi. La componente alfanumerica va, invece, a costituire gli attributi che caratterizzano un GIS consentendo di operare, accanto alla riproduzione cartografica, l’analisi e l’elaborazione dei dati al fine di costituire uno strumento di supporto alle decisioni. Gli attributi vengono gestiti attraverso la costituzione di una banca dati, normalmente organizzata come una serie di “record” costituiti da “campi”. Ogni record rappresenta un elemento, vettoriale o raster, a cui sono associati i suoi attributi o campi. Gli attributi possono essere numerici (area di un poligono, lunghezza di una linea, temperatura della frazione di superficie contenuta nella cella) o descrittivi (nome, classe di appartenenza ecc.).

Figura 8.22. L’immagine offre una veduta d'insieme dei componenti di software che è possibile trovare in un GIS. Non tutti i sistemi hanno tutti questi elementi, ma per essere un vero GIS, un gruppo essenziale deve essere trovato.

8.8.2 Funzioni e capacità di un GIS Le funzioni che un GIS può svolgere si possono ricavare dalla stessa definizione di GIS e sono riconducibili ai tre momenti che caratterizzano l’indagine territoriale: raccolta dei dati, analisi e elaborazioni, restituzione dei risultati. La raccolta dei dati consiste, per l’appunto nella capacità di acquisire ed archiviare una gran mole di dati spaziali, associando ad ogni elemento i suoi attributi. Per l’acquisizione dei dati spaziali è necessaria un’operazione che rende possibile la loro memorizzazione sui supporti magnetici del sistema: le modalità per ottenere questo risultato sono di tipo manuale, ovvero la digitalizzazione, o di tipo automatico, con l’acquisizione attraverso l’uso di strumenti a scansione. Essendo i dati spaziali normalmente rappresentati su carte geografiche, la fonte più utilizzata per l’acquisizione di dati in un GIS è la cartografia topografica e tematica. Tuttavia, a

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questa si possono affiancare altre tipologie di dati quali: dati da rilievi diretti, raccolti manualmente o con l’ausilio di strumenti quali i GPS, fotografie aeree, immagini da satelliti, prodotti di altre elaborazioni informatizzate. Particolarmente interessante, nella fase di acquisizione dei dati, appare lo sviluppo di applicazioni risultanti dall’integrazione fra GIS e GPS. Il GPS, sistema di posizionamento tridimensionale di punti sulla superficie terrestre mediante la ricezione di segnali radio emessi da satelliti artificiali, consente di rilevare dati di input gestibili da un sistema GIS. Questi dati sono rappresentati dalle coordinate dei punti e dal data base a essi associato. Questo approccio si è dimostrato utile sia per il rilievo di punti ex novo, soprattutto in zone sprovviste di una base cartografica adeguata, sia per l’aggiornamento di basi cartografiche già disponibili in formato numerico. Riguardo invece all’analisi e elaborazione dei dati per la costruzione di un GIS, possiamo dire che tali dati possono essere sottoposti a diversi tipi di elaborazioni, le quali permettono di ottenere informazioni in grado di soddisfare le più disparate esigenze. La possibilità di compiere operazioni di analisi spaziale, assieme all’organizzazione topologica dei dati, consente di distinguere i GIS dai sistemi creati per effettuare solo operazioni di cartografia e disegno al computer. In questo modo partendo da informazioni contenute nella banca dati, possono essere creati nuovi livelli informativi, associando i dati in maniera da identificare relazioni prima non chiaramente visibili (si pensi, a esempio, alla possibilità di identificare il tipo di uso del suolo per ogni proprietario, tramite la sovrapposizione di due strati informativi - overlay - come l’uso del suolo e i dati catastali).

Le operazioni fondamentali che un GIS può svolgere comprendono:

buffering: creazione attorno a elementi indicati (punti, linee e poligoni) di aree i cui punti distano meno di un determinato valore massimo indicato dall’utente. La possibilità di modulare questa operazione, creando buffer asimmetrici a seconda delle necessità dell’operatore, consente di risolvere, con pochi passaggi, problemi altrimenti difficilmente risolvibili. I poligoni generati i questo modo consentono di individuare aree di rispetto attorno agli elementi areali che possono essere utilizzate per successive analisi. Per esempio è possibile individuare l’area interessata da rumori prodotti da una linea ferroviaria e incrociare questa informazione con l’uso del suolo urbano per valutare la presenza di case interessate dal conseguente fenomeno di inquinamento acustico.

overlay topologico: sovrapposizione e intersezione fra gli elementi di strati informativi diversi. L’operazione consente di combinare, oltre agli elementi grafici con la creazione di una nuova topologia, anche i dati descrittivi a essi associati che andranno a costituire gli attributi dei nuovi elementi spaziali generati (figura 13.3); risulta evidente che il risultato della sovrapposizione dei diversi livelli informativi non è solo visiva, ma riguarda gli attributi e la topologia. In questo modo è possibile, per esempio, presa una data area, combinare informazioni relative a tematismi quali uso del suolo, pedologia, vegetazione ecc. e suddividere l’area in funzione della combinazione di tutte o parte di queste caratteristiche.

analisi di rete: misura della capacità e dell’efficienza di reti infrastrutturali (di trasporto, di comunicazione, di servizi ecc). Le principali analisi che possono essere condotte su una rete sono:

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- l’individuazione di percorsi ottimali, in termini di distanza, tempo o costo (dato un punto di partenza e di arrivo e vincoli quali il passaggio per determinati punti, sensi di percorrenza obbligati, limiti di velocità ecc.);

- l’allocazione di porzioni della rete a un fornitore o consumatore di risorse; - la verifica delle connettività tra due punti della rete, funzione importante, a

esempio, per le analisi sulle reti ecologiche.

Figura 8-23. Esempio di sovrapposizione di dati raster (ortofoto) con dati vettoriali (strade, fiumi, confini dell’agglomerato urbano). 8.8.3 Le applicazioni in ambito web Il grande impulso che in questi ultimi anni hanno avuto le tecnologie sia hardware che software legate allo sviluppo delle comunicazioni in rete World Wide Web si è rivelato di grande importanza per le conseguenti ed innumerevoli applicazioni che si sono potute realizzare nel campo del GIS on-line. In particolare le più recenti innovazioni nelle funzioni dei GIS si sono rivolte alla creazione di sistemi integrati in grado di operare, oltre che su dati bidimensionali, anche su dati tridimensionali. Le possibilità di

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sviluppo di queste applicazioni appaiono fortemente connesse sia con la crescente disponibilità (a costi abbordabili) di immagini da satellite ad elevata risoluzione che con il grande impulso dovuto all’utilizzo della banda larga. La rete mondiale rappresenta, quindi, sempre di più un potente strumento per il flusso di informazioni comprese quelle a carattere territoriale6, le quali trovano sempre più ampia applicazione con strumenti di web mapping, ovvero la possibilità di accedere via web o rete intranet a rappresentazioni geografiche o tematiche. E’ nata. Cos’, una sorta di nuova disciplina, la Web Cartography, la quale si occupa della pubblicazione di dati spaziali nella rete Internet. Con l’avvento delle tecnologie digitali, il concetto di mappa si profondamente esteso nelle sue possibilità espressive, soprattutto per le enormi possibilità di interazione ed integrazione con banche dati ed altri documenti multimediali. In rete la carta continua ad assolvere infatti la funzione rappresentativa, ma gli elementi spaziali rappresentati possono essere collegati a documenti relazionati quali testi, fotografie, filmati, modelli tridimensionali, altre mappe, applicazioni multimediali. La figura xx e alcuni esempi riportati, dovrebbero essere sufficienti a far comprendere l’ampia gamma di modalità di pubblicazione possibile in Internet.

Figura 8-24. Una web map può essere del tipo statico o dinamico, quindi ognuna di esse può essere ulteriormente suddivisa in modalità view only e mappe interattive.

Figura 8-25. Le differenti applicazioni che è possibile ottenere via internet

6 Si parla spesso di cartografie numeriche intendendo la rappresentazione di porzioni di territorio georeferenziato in un formato digitale.

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Figura 8-26. Immagine di Londra in 3D (Fonte: CASA, Centre for Advanced Spatial Analysis, University College London)

In generale per la messa a punto di un web GIS si sfrutta l’ormai la consolidata architettura client-server, la quale va a costituire un sistema per la gestione, organizzazione e modifica di dati geografici permettendo, nel contempo uno scambio bidirezionale di dati. Ciò garantisce ad ogni cittadino (client) la possibilità di connettersi e, quindi, visualizzare, leggere, copiare, ecc. documenti che risiedono su computer (server) dislocato presso un ente pubblico o una compagnia privata,e tutto ciò indipendentemente dalle distanze geografiche. In generale, questa tecnologia permette molteplici applicazioni che vanno dalla semplice consultazione di mappe statiche all’acquisizione di dati (ambientali, statistici o relativi ad indicatori di varia natura) od anche all’accesso a servizi informativi in tempo reale (ad esempio monitoraggio del traffico o flussi meteo, etc.) per arrivare ai così detti Location Based Service (LBS), ovvero dove posso trovare un determinato servizio partendo dalla mia posizione.

Come abbiamo detto sopra, la tecnologia più diffusa è quella strutturata sul modello client/server, cioè i vari utilizzatori (clients) possono accedere (con la possibilità di interrogare e di eseguire elaborazioni) ad una banca dati residente presso un sistema centrale (server). Queste potenzialità consentono (e consentiranno molto di più in futuro), da una parte, di accedere, da qualsiasi parte del mondo, a grandi banche dati territoriali e, dall’altra, di organizzare veri e propri sistemi informativi aperti all’utenza tramite Internet.

Analizziamo, seppure in modo conciso, questa architettura. E’ da premettere che la distinzione che si farà ha la sola valenza di chiarire alcuni concetti base, in quanto nella prassi comune non esiste una distinzione netta tra le due metodologie dato l'ormai elevato numero di software, come gli ActiveX di Microsoft, o come gli applet Java, o altri ancora che sono in grado di risiedere sia su server che su client e che consentono, ormai, di operare con varie tecniche di comunicazione “miste”,

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permettendo sia lo scambio di informazioni, sia la realizzazione di funzioni di tipo geografico. La tecnica Internet-GIS “lato server” sposta sul server GIS l’esecuzione della richiesta del client e il compito di generare l'output. In tale architettura software l’utente dal client Web browser (Internet Explorer, Netscape, Mosaic,…) attiva una richiesta attraverso la rete al server tramite il protocollo Hypertext Transfer Protocol (http). Nel caso di internet GIS il web browser client non comunica direttamente con il web browser server: i due software comunicano tramite un ulteriore strato software il Common Gateway Interface7 (CGI), sostanzialmente uno script che entra in esecuzione non appena c’è una richiesta di tipo GIS web permettendo al web server di eseguire programmi GIS e di interpretare il loro risultato secondo le richieste pervenute dal web client. Una volta ottenuto il risultato dello script CGI, attraverso i browsers avviene il percorso inverso ed il risultato è visualizzato sullo schermo del client richiedente. Come si è appena spiegato lo script CGI si fa carico di eseguire tutte le operazioni necessarie per lo scambio di informazioni tra il Web Server ed il GIS server. Questo approccio è principalmente rivolto a soddisfare richieste di semplici display di mappe e non facilita molto l'interazione diretta da parte dell'utente Internet.

Figura 8-27. Sistemi di organizzazione di tipo client/server: lato server.

Invece la tecnica software Internet-GIS “lato client” prevede che l'analisi e l'elaborazione GIS venga, per quanto possibile, distribuita localmente sul computer client, sia essolocalizzato presso un ufficio o presso un’abitazione, e via Internet sul server dove risiedono le banche dati geografiche e le tematizzazioni realizzate con il GIS. Per poter recuperare un qualsiasi oggetto posto in rete è quindi necessario conoscere l’indirizzo del server, ossia il nome della macchina, il percorso sull'hard-disk della macchina server, nonché il nome del file e con quale protocollo esso può essere

7 strato software che è sostanzialmente uno script, costituito da linee di codice, che entra in esecuzione non appena c’è una richiesta di tipo GIS WEB

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recuperato. Per racchiudere in un unico "indirizzo" tutte queste informazioni è stato creato uno schema denominato URL (Uniform Resource Locator, ossia Individuatore Uniforme di Risorse). In tal senso, nel momento in cui, attraverso una specifica URL si produce una richiesta che può essere soddisfatta dal sistema GIS residente sulla macchina server automaticamente compare una finestra di richiesta di download di uno specifico plug in8, un piccolo programma, che ci permetterà di visualizzare sul nostro computer client dati tipo shape e di compiere funzioni tipiche del GIS come overlay topologico di diversi temi (sempre scaricati dal server GIS), buffering, funzioni di pan9 , zoom, e così via. In generale in questo tipo di approccio i dati GIS e il software in grado di visualizzarli e di elaborarli risiedono in un server. La richiesta da parte dell’utente client si traduce in una richiesta di dati e di strumenti di elaborazione al server che invia, al client, dati e moduli per una elaborazione locale.

Figura 8-28. Sistemi di organizzazione di tipo client/server: lato client.

A conclusione possiamo dire che l’avvento delle nuove tecnologie può senz’altro permettere quelle analisi multidisciplinari e trasversali che sono sempre più divenute elemento essenziale delle analisi della sostenibilità. Sicuramente il successo ottenuto in breve periodo dai nuovi canali di comunicazione, è dovuto sia alla capacità di tali mezzi di presentare i dati spaziali ad un pubblico esteso e con costi più bassi di quelli su materiale cartaceo, sia per la possibilità di garantire una maggiore efficacia comunicativa per l’utilizzazione di tecniche multimediali che sempre più si stanno integrando in prodotti tecnologici di largo consumo (si pensi ai telefonini di ultima 8 particolare tipo di software per visualizzare sul nostro computer client dati tipo shape (forma dell’oggetto grafico scelto per la rappresentazione di dati in un GIS: punto. Linea, area, ecc) e di compiere funzioni tipiche del GIS come overlay topologico di diversi temi (sempre scaricati dal server GIS), buffering, funzioni di pan, zoom e così via 9 funzione tipica della quasi totalità dei software GIS che permette spostamenti alto basso, sinistra destra, su una mappa risultato di una elaborazione GIS

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generazione UMTS). Sicuramente questo entusiasmo iniziale avrà la necessità di essere incanalato non solo in funzione degli investimenti economici, ma anche per le necessità sempre maggiori di democrazia, trasparenza e servizi alla cittadinanza.

Figura 8-29. L’immagine sopra mostra una situazione di fatto (prima immagine in alto a sinistra) e due ipotesi di possibile scenario con il database che accompagna le ipotesi di scenario

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Figura 8-30. Immagine di una situazione di fatto

Figura 8-31. Ipotesi di scenario con la possibilità di analisi dei dati (ad esempio quelli economici)

8.9 Elementi base per un progetto concettuale di un sistema informativo ambientale per una Pubblica Amministrazione

8.9.1 Principi generali Il progetto concettuale di un sistema informativo ambientale nasce dall’analisi di differenti componenti, tra le quali vi sono la conoscenza dell’utenza, rappresentata da soggetti pubblici, e la componente normativa che disciplina il rapporto tra le differenti branche di una pubblica amministrazione (PA). A tale riguardo spesso accade che lo stesso oggetto territoriale può essere di competenza di più soggetti. E’, quindi questa necessità giuridica ed operativa che rende necessario lo sviluppo di un progetto di sistema informativo figlio di un’attività di collaborazione e di cooperazione tra differenti soggetti. Un sistema informativo ambientale in ambito di una PA, almeno nelle sue linee generali, dovrebbe rispettare due regole:

1. essere un sistema aperto e capace di collegare tutti i livelli di governo; 2. la PA dovrebbe riferire geograficamente i suoi dati, in quanto

istituzionalmente preposta al governo del territorio.

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Figura 8.32 – La figura mostra come lo schema concettuale di un SI nasca dall’azione di cooperazione tra differenti soggetti, nonché da una accurata analisi dei fabbisogni reali e degli obiettivi che la PA si pone. L’analisi del fabbisogno informativo e la scelta degli ambienti operativi ed elaborativi servono per dimensionare l’architettura hardware, software e di rete. Infine, si osservi come nel progetto concettuale confluiscano valutazioni realistiche sullo stato operativo degli enti, in base alle quali si stabiliscono i criteri dell’implementazione

A queste due regole generali dovranno accostarsi alcune caratteristiche, come:

a) attenzione alla certificazione della qualità dei dati nonché alla distribuzione delle informazioni;

b) prevedere un livello di georeferenzazione adeguato con lo studio del livello di dettaglio idoneo alle diverse decisioni e del tipo di programmi GIS;

c) assicurare un supporto per lo svolgimento delle pratiche degli uffici; d) prevedere l’utilizzo del SI al fine di garantire non solo un’azione di government

amministrativo, ma anche un supporto alle decisioni.

La fase iniziale della progettazione, come accennato in precedenza, consiste in una accurata analisi, sulla scorta della quale si capirà quali gruppi di utenti della PA utilizzeranno il servizio, quali normative regolano le varie competenze e procedure, quali fabbisogni e quali obiettivi caratterizzano l’azione politco-amministrativa. Poiché l’obiettivo naturale di un SI concerne il controllo ambientale attuato anche con la cooperazione di diversi soggetti, è evidentemente necessario garantire una uniformare azione di questi al fine di permettere un ottimale ed efficiente scambio dei flussi

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informativi. In tal senso si prospettano due ordini di problemi derivanti dalla complessità intrinseca dell’operazione, tanto delle procedure amministrative che di quelle insite nel sistema ambientale. In particolare, per quanto concerne la prima problematica, è noto che si opera su realtà amministrative generalmente caratterizzate da notevoli complessità procedurale e con una continua e sempre più accresciuta esigenza di produrre informazioni e servizi di qualità. Per la componente ambientale, abbiamo visto nella prima parte del presente lavoro che si tratta di un sistema complesso composto da molteplici sottosistemi che interagiscono al loro interno e verso sistemi esterni, e la cui conoscenza teorica è ancora in corso di definizione e di approfondimento e non universalmente accettata. A queste due problematiche si unisce una terza componente rappresentata dalla necessità di costruire una base di dati che possa essere condivisa, la quale costituisce uno dei punti critici da superare tramite, per l’appunto, una fase progettuale molto articolata e dettagliata e nella quale si definiscono non solo i dati necessari, ma anche le procedure indispensabili a produrre conoscenza (figura 8.1). Non bisogna dimenticare che lo scopo essenziale non consiste tanto in una rappresentazione puntuale della realtà, quanto di disporre di un modello operativo utile per governare o la trasformazione della realtà. Una volta individuata e definita la base dei dati, sarà possibile individuare, all’interno della stessa, differenti strati informativi, nonché le possibili relazioni che possono instaurarsi tra i differenti strati informativi. Quindi, costruito il SI10 si dovrà garantire allo stesso l’integrità, la sicurezza e l’aggiornabilità. In particolare, l’aggiornabilità risulta essere un elemento essenziale per il corretto funzionamento del SI. Se abbiamo una base dati aggiornata è possibile attuare valutazioni di scenario o strategiche. Viceversa una base dati non aggiornata non permette operazioni di valutazione e di supporto alle decisioni. Questo elemento va, quindi, valutato e studiato a monte e ciò proprio al fine di evitare “collassi”, per così dire finanziaria del sistema perché si è creata una base dati immensa e, quindi, estremamente costosa da gestire in termini di risorse finanziarie ed umane. Quindi una base dati stabile e contenuta entro limiti di qualità/costo ottimali, favorisce l’operazione di aggiornamento e, quindi, dell’utilizzo della stessa non solo per operazioni di routine, ma anche per operazioni su strati differenti di informazioni.

In conclusione, la fattibilità nasce dal realismo e dalla correttezza scientifica dell’impostazione a partire dalle necessità operative e da questo dipende il dettaglio informativo, che, tra l’altro, incide proprio per il suo contenuto economico sulla stessa fattibilità. E’, quindi opportuno, una continua e fattiva collaborazione tra i vari uffici ed enti e ciò non solo al fine di scegliere modelli e procedure omogenee, ma anche di ottenere una razionalizzazione delle risorse finanziarie e la loro ottimizzazione.

10 Ricordiamo che un SI è un “sistema, informatizzato o non, composto da persone, tecnologie o metodi il cui obiettivo è la gestione, l’elaborazione, il trattamento o la trasmissione di dati che formano informazione utile al fine di attuare determinati processi.

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Figura 8-33. Nella costruzione di una base di dati è essenziale che tutti gli utenti si accordino per definire una sorta di “legenda” comune come, ad esempio, le stesse modalità di definizione dell’oggetto, le stesse unità di misura e la precisione necessaria per le singole scale.

Figura 8-34. Le informazioni potranno essere elaborate o secondo procedure di routine, come ad esempio statistiche relative al settore demografico, o secondo procedure che incrociano differenti strati informativi, per l’elaborazione di modelli.

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A conclusione del presente paragrafo, voglio ricordare che nella progettazione di un sistema informativo vi sono due assiomi, tanto essenziali, quanto ineludibili:

1. il primo assioma si afferma che qualora un sistema informativo fosse progettato ed utilizzato per un solo utente, esso non costituirebbe un sistema informativo. Quest’affermazione esprime la convinzione che il sistema debba rispondere, prima di tutto, alla logica di gestione e di distribuzione delle informazioni tra più utenti e non al loro ordinamento ad uso e consumo di un singolo. Questo non significa impedire lo sviluppo di sistemi informativi privati, quanto di promuovere con priorità lo sviluppo di un sistema informativo pubblico e georeferenziato,

2. il secondo assioma afferma che il sistema informativo è parte essenziale e integrante dell’organizzazione del lavoro. Una finalità primaria del progetto consiste nel realizzare supporti e aiuti ai processi produttivi nella PA e nelle aziende private.

La conseguenza dei due assiomi di socializzazione delle informazioni si combina con i criteri di scelta dei dati e di strutturazione degli archivi in funzione dei processi produttivi.

8.9.2 La visione strategica e l’interdisciplinarità nella formulazione dei principi progettuali In base a quanto detto in precedenza, è possibile delineare alcuni principi progettuali e alcune raccomandazioni operative al fine di impostare le fasi della progettazione concettuale di un sistema informativo ambientale. A queste fasi seguiranno altre fasi essenziali per portare a buon fine gli obiettivi di disporre di informazioni ambientali: si tratta non solo della definizione dei programmi di elaborazione e delle macchine da utilizzare, ma anche delle elaborazioni possibili sia come recupero di informazioni (data retrieval) e di analisi dei dati (data analysis) e poi anche i criteri di rappresentazione e di modellistica. Tali principi e raccomandazioni operative si rifanno ai principi della teoria generale dei sistemi e in parte agli studi sui sistemi informativi aziendali. L’aspetto innovativo consiste semmai nell’inquadrare i sistemi informativi geografici all’interno di un progetto ufficiale di sistema informativo aziendale e georeferenziato. È per questa convinzione che si afferma che il progetto ufficiale deve rispondere al concetto di utilità del sistema informativo, all’individuazione corretta dei gruppi di lavoro per la progettazione del sistema, all’implementazione contestuale dei meccanismi di aggiornamento e certificazione dei dati, all’integrabilità tra fonti eterogenee, tramite la normalizzazione delle basi di dati, alla definizione di capitolati e incentivi finanziari per orientare gli enti verso unna strategia unitaria fino a giungere, infine, a raggiungere obiettivi di coordinamento tra gli Enti Locali e quelli centrali. In primo luogo si deve progettare un modello basato sul principio dell’utilità del sistema informativo, ovvero un sistema che sia:

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condiviso, cioè rivolto a più utenti, poiché se avesse un solo utente non sarebbe un sistema informativo; che contenga un sistema di guida “orientata” alle informazioni, cioè deve

indirizzare verso dove sono raccolte quelle informazioni utili a un dato specialista; di supporto per il processo decisionale, cioè il sistema informativo deve

rispondere ai compiti istituzionali dell’ente e dell’ufficio e deve essere mantenuto aggiornato; economico e con possibilità di implementazione agevole, sia per quanto

riguarda la scelta dei dati, sia per la sua organizzazione e utilizzazione.

In questo modo si afferma che il sistema deve rispondere a principi di efficacia e di efficienza.

In secondo luogo, alla progettazione deve partecipare un gruppo che permetta una rappresentazione non solo dei bisogni degli uffici, ma anche degli aspetti disciplinari coinvolti. A tal fine è necessario che la progettazione e la gestione del sistema trovi concordi più operatori o, in altri termini, che si formino, più o meno spontaneamente, almeno tre gruppi:

un primo gruppo per analizzare i diversi punti di vista dell’insieme degli utenti, il fabbisogno informativo, le procedure amministrative e le modalità operative; un secondo gruppo per garantire il rapporto tra specialisti, studiosi dello stesso

oggetto per le definizioni delle grandezze e delle misure che lo descrivono; un terzo gruppo per garantire il rapporto tra specialisti e informatici per la

progettazione della struttura della base dati.

Queste linee guida precedono un progetto preliminare e ne guidano la corretta impostazione, poiché contengono sia le norme per la sua redazione che per la successiva impostazione del progetto fino al suo naturale completamento, che è rappresentato dal capitolato. Il capitolato dovrà contenere non solo le prescrizioni dell’architettura hardware e software, ma anche gli elementi di garanzia, di manutenzione e di aggiornabilità: in questo senso il progetto dovrà mantenere le caratteristiche interdisciplinari dell’impostazione. Ai principi generali seguono anche delle condizioni operative specifiche per la questione della cartografia ambientale. I punti da trattare sono: il concetto di sistema dei dati, la coerenza tra sistema di dati e di informazione e struttura del processo decisionale, i rapporti tra settori di uno stesso ente di governo territoriale e quelli tra diversi enti di governo territoriale. Il sistema dei dati secondo quanto finora descritto deve essere comprensivo di definizione delle grandezze, scelta delle unità di misura, criteri di raccolta e criteri di archiviazione, criteri di restituzione, oltre agli aspetti di certificazione, collaudo e di aggiornamento. La coerenza tra sistema dei dati e di informazioni e strategia del processo decisionale vuole significare la necessità che il processo di gestione amministrativa non può essere disgiunto dal processo di pianificazione. Il piano scaturisce dalla conoscenza derivata dal processo ordinario di gestione della Pubblica Amministrazione e serve per organizzare il lavoro accordando su obiettivi ragionevoli operatori pubblici, operatori privati e cittadini. I rapporti tra settori e tra livelli di governo territoriale implica rendere pubblica una strategia comune, da mettere in discussione fino a giungere

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tempestivamente alla sua adozione. Essa definisce lo stato di diritto entro cui muovere le trasformazioni territoriali e pone vincoli reciproci tra autonomie locali e strategie centrali.

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PARTE III casi di studio e progetto di un network territoriale

“The circuits of electronic impulses is the material foundation of the information age just as the city in the merchant society and the region in the industrial society...

information is the key ingredient of our social organisation... it is the beginning of a new existence...

marked by the autonomy of culture vis-à-vis the material basis”... (Castells: The Rise of the Network Society, 1996: p 412, 477-78)

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CAPITOLO 9

Il ruolo della ICT nelle politiche locali: applicazioni e casi di studio

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9.1 Introduzione Il presente capitolo tratterà di alcune esperienze, sia europee che italiane, concernenti la gestione, da parte delle pubbliche amministrazioni, del possibile ruolo di strumenti innovativi nella gestione del flusso informativo/comunicativo, con particolare riguardo verso tematiche tendenti ad incrementare processi di sostenibilità, sia attraverso politiche di integrazione delle nuove tecnologie con i mezzi tradizionali si con politiche volte ad incrementare l’efficienza della macchina amministrativa, la sua trasparenza e a processi democratici sempre più allargati. Il tentativo è volto, quindi a ricercare quelle condizioni che possono promuovere una politica tendente alla sostenibilità economica e sociale. Da un punto di vista generale si distinguono quattro tipologie di approccio nelle politiche urbane e volte a favorire l’accesso alla ICT da parte del maggior numero di cittadini. Ovvero: 1. un approccio strutturato sulla creazione di punti di accesso alla ICT, ed in

particolare accesso ad internet; 2. fornitura, gratuita, di accesso ad internet operata attraverso gli edifici pubblici; 3. fornitura, a carattere gratuito per tutti, dell’accesso ad internet; 4. fornitura dell’accesso ad internet operata a carattere locale e su porzioni di

territorio, in particolare le periferie, dove maggiori sono i divari sociali ed economici. Nel seguito verranno analizzate le differenti esperienze europee che daranno una sintesi delle applicazioni della ICT nell’ambito locale.

9.2 La percezione del ruolo della ICT in rapporto alle politiche locali: l’esperienza Olandese Un elemento interessante emerso in vari studi, è quello inerente il ruolo della ICT nelle politiche locali. Ebbene, in linea generale possiamo dire che se da un lato negli ultimi anni si è sempre più assistito ad un forte ruolo della ICT come una delle componenti fondamentali delle politiche locali, dall’altro sono emerse, proprio nel rapporto dialettico tra azione politica ed ICT, una serie di aree grigie: cioè aree dove i rapporti devono ancora maturare onde poter fornire azioni politiche chiare e proficue. In particolare sono emerse, in differenti studi, le seguenti zone d’ombra (van Geenhuizen, 2001; Gibbs e Tanner, 1996; Cohen, van Geenhuizen e Nijkamp, 2001):

una frammentazione della conoscenza, relativamente alla ICT, nelle amministrazioni locali, nonché l’attuazione di politiche non coordinate; assenza o scarso sviluppo di direttive strategiche volte all’attuazione di politiche

inerenti l’uso della ICT; insufficiente educazione e conoscenza delle basi della ICT, sia nel mondo degli

affari che in quello politico e della società in generale.

Questo quadro di situazione dà luogo, il più delle volte, ad azioni od iniziative singole e senza un chiaro progetto politico. Un interessante analisi, relativamente ai fattori che incidono nel rapporto tra l’azione del processo decisionale e una politica in favore della

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ICT, è stata fatta in Olanda da professor Nijkamp, il quale ha presentato un modello concettuale di un’azione politica attraverso la ICT, evidenziandone i caratteri essenziali e con particolare attenzione a quella che è la percezione politica che i decision-makers hanno verso la ICT e le sue possibilità di dare vita a nuove opportunità per il progetto della città.

Figura 9-1. Fattori ed attori che interagiscono ed influenzano l’azione politica nell’attuazione di azioni rivolte alla ICT (Fonte: Cohen e Nijkamp, 2001)

L’analisi in questione è stata svolta in ventisette città olandesi, tra le quali Amserdam, Rotterdam, Den Haag e Utrecht, quest’ultime formanti il Randstad. Ogni città ha avuto minimo tre interlocutori che si sono prestati allo studio. Gli interlocutori sono stati scelti non solo tra i componenti di dipartimenti che avevano familiarità con la ICT, ma anche tra i componenti di altri dipartimenti comunali e tra gli eletti ai vari consigli comunali, per un totale di centotrenta intervistati. La figura 9-1 vuole esplicitare, attraverso il modello, i fattori e gli attori che influenzano il processo di policy-making riguardante la ICT (Nijkamp, Cohen e Geenhuizen, 2001). Questo modello intende analizzare quelli che sono i fattori che influenzano la percezione dell’azione politica inerente la ICT sui decision-makers. In tal senso la percezione, rappresentata dal rettangolo principale (Decision makers’ perceptions), viene intesa come elemento di connessione tra la realtà e la conoscenza (Kellman e Arterberry, 1998; Nijkamp, Cohen e Geenhuizen, 2001) permettendo di individuare due aspetti: un primo riguardante i problemi della città; ed un secondo inerente la percezione delle opportunità offerte dalla ICT per attuare possibili cambiamenti. Tali aspetti sono influenzati da elementi provenienti dal settore privato e dal background dei

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decision-makers, cioè da sensazioni provenienti da differenti ambiti, quali le esperienze pregresse, contesti socio-economici e politici differenti, etc. Con riferimento alla possibile influenza della ICT sulle amministrazioni cittadine, la ricerca svolta da Nijkamp, Cohen e Geenhuizen fa emergere un sostanziale accordo circa la possibilità di rendere più efficiente l’azione politica per mezzo della ICT, seppure vi sia una grossa fetta di decision-makers (32%) che non sono d’accordo con questa affermazione. Altro punto interessante, e dove ben il 53,1% è in disaccordo, è quello concernente il ruolo della ICT nei processi di ricuciture sociali. Cioè la maggior parte degli intervistati non crede che politiche strutturate essenzialmente sulla ICT possano permettere più opportunità di lavoro o migliori servizi sociali, o garantire a tutte le classi le stesse opportunità, tanto in termini di lavoro che di relazioni sociali. Viceversa vi è una forte percentuale di accordo riguardo al fatto che la ICT produrrà dei cambiamenti nel processo di policy-making e che questa azione anzi può essere più efficiente potenziando non solo la comunicazione verso i cittadini o i servizi per i cittadini, ma favorendo la trasparenza (ad esempio l’acceso ai procedimenti amministrativi) o la partecipazione, nonché una maggiore qualità di servizi per la cultura o per le professioni (come, ad esempio, per mezzo del telelavoro).

Tabella 9-1. Percezione del ruolo della ICT (Fonte: Urban planning and Information Communication Technology, Nijkamp, Cohen e Geenhuizen, 2001)

Perceptions of ICT / Percezione del ruolo della ICT

Strongly agree Agree Disagree Strongly

disagree I don’t know

ICT will change the policy-making process in our municipality.

39.1% 50.8% 7.0% - 3.1%

ICT will make political decision-making processes more efficient.

15.6% 45.3% 32.0% 1.6% 5.5%

The implementation of policies is more efficient with ICT

12.5% 59.4% 18.0% 3.1% 7.0%

ICT improves communication within our city administration. 25.0% 56.3% 14.1% - 4.7%

ICT improves the ability of our city administration to serve the citizens.

46.9% 49.2% 2.3% 0.8% 0.8%

ICT improves citizens’ access to useful information 58.6% 39.8% 0.8% - 0.8%

ICT gives the administration better access to public opinion 20.3% 60.9% 13.3% 2.3% 3.1%

ICT will lead the administration to take greater account of public opinion in forming policies.

6.3% 43.8% 33.6% 2.3% 14.1%

ICT will increase citizen participation in the policy process.

6.3% 53.9% 28.1% 1.6% 10.2%

ICT provides all segments of the population with equal access to education, employment and social services.

3.1% 23.2% 53.1% 14.1% 5.5%

ICT increases the gaps 9.4% 36.7% 38.3% 7.8% 7.8%

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between poor and rich. ICT enables people to have better access to professional services without living in a city.

18.8% 70.3% 5.5% 3.1% 2.4%

ICT enables people to have better access to urban cultural life without living in a city.

10.9% 69.5% 14.1% 1.6% 3.9%

ICT will reduce the need for people to travel. 3.1% 11.7% 51.6% 29.7% 3.9%

ICT improves the quality of social relationships. - 13.3% 59.4% 14.8% 12.5%

ICT will increase working at home in our city. 14.1% 69.5% 8.6% 0.8% 7.0%

Altro punto estremamente interessante analizzato dalla ricerca riguarda la valutazione di politiche o strategie correlate alla ICT. Per valutare tali azioni analizziamo le tabelle 9-2 e 9-3.

Tabella 9-2. Obiettivi per una politica della ICT (Fonte: Urban planning and Information Communication Technology, Nijkamp, Cohen e Geenhuizen, 2001)

Direct goals of ICT policies Very much

To some extent A little Not at all

Don’t know +NA

Improving telecommunication infrastructure 35.9% 40.6% 11.7% 4.7% 7.0%

Promoting or supporting computer availability in public places 21.1% 41.4% 25.0% 3.9% 8.6%

Promoting research about ICT 10.9% 21.1% 24.2% 18.8 % 22.7% Promoting or supporting ICT training 13.3% 40.6% 0.8% 7.0% 15.0%

Supplying municipality information via telecommunications 48.4% 39.8% 9.4% 1.6% 0.8%

Promoting municipality services via telecommunication

32.8% 48.4% 14.1% 3.1% 1.6%

Promoting ICT use in the planning process 30.5% 43.0% 13.3% 2.3% 11.0%

Using ICT in transport planning 16.5% 38.6% 23.6% 5.5% 15.8% Promoting or supporting teleworking programs 6.3 % % 26.6% 38.3% 22.7 % 6.3%

Promoting or supporting tele-medicine 1.6% 10.9% 24.2% 28.9

% 34.2%

Promoting or supporting tele-education 5.5% 17.2% 25.0% 31.3 % 21.1%

Riguardo alla tabella 9-2, essa è suddivisa in tre gruppi di domande. Il primo gruppo riguarda il rafforzamento di aspetti legati alle infrastrutture e di quelli correlati alla

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formazione. Come si vede dalla tabella i punti che risaltano riguardano essenzialmente il potenziamento delle infrastrutture per le telecomunicazioni e aspetti legati alla promozione della formazione e della disponibilità di luoghi pubblici attrezzati con punti informatizzati. Il secondo gruppo di obiettivi concerne tematiche estremamente sensibili, come la comunicazione o i servizi per arrivare all’uso della ICT nei processi di progetto urbano. Da tale analisi si evince in modo chiaro che obiettivi come il sostegno nel processo informativo od in quello di supporto ai servizi, ma anche lo stesso uso della ICT nei processi di progetto, sono considerati obiettivi primari ed essenziali dagli intervistati. Infine l’ultimo gruppo riguarda la promozione di politiche relative all’educazione, telelavoro o alla telemedicina. Quest’ultimo gruppo è chiaramente quello che presenta i valori più alti relativamente alla scarsa importanza attribuita alle tematiche. Emerge, quindi, dall’analisi dei dati che chiaramente i decision-makers olandesi attribuiscono importanza primaria ai primi due gruppi di obiettivi, e ciò probabilmente perché su queste due aree i governi locali sono molto interessati e coinvolti che non in processi relativi ad obiettivi a scala più grande. Dall’esame, invece della seconda tabella, ovvero quella relativa a strategie politiche inerenti la ICT da attuare nei centri urbani, emerge chiaro il fatto che sostanzialmente non vi sono vere e proprie strategie organiche o che, comunque, vi è un alto numero di persone che o non risponde dichiara di non sapere. La stessa situazione emerge nella seconda domanda, ovvero quella relativa alla presenza delle tematiche legate alla ICT all’interno dei documenti di piano. Quale significato dobbiamo attribuire a questa sorta di ambiguità nel rapporto tra politiche urbane ed ICT che emerge in queste risposte?

Tabella 9-3. Strategie della ICT nell’ambito urbano (Fonte: Urban planning and Information Communication Technology, Nijkamp, Cohen e Geenhuizen, 2001)

ICT strategy in the city

yes no Don’t know + no answer

Is there a formal strategy plan/program on ICT on your city?

39.8%

39.8%

20.3%

Are ICT issues integrated in any way onto the urban master/development plan?

34.4%

39.8%

25.8%

Ebbene dalla ricerca emergono differenti fattori che possono dare una risposta all’interrogativo di cui sopra. Innanzitutto emerge che il più delle volte non vi sono strategie riguardanti la ICT per il semplice motivo che si delinea un profilo relativo a singoli progetti. Un altro dato importante che emerge è il fatto che a detenere il primato, tanto in termini di azioni che in quello del know how, sono soggetti privati, delineando, in tal modo, una evidente carenza di conoscenza di base da parte degli attori pubblici, con tutte le inevitabili conseguenze tanto di ordine socio-economico che in termini di strategie politiche. Emerge, quindi, un quadro frammentario, soprattutto in termini di conoscenza, che come conseguenza finisce con il dare vita a progetti indipendenti l’un l’altro e che il più delle volte danno luogo a scarsi benefici in rapporto con i costo sostenuti.

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Per concludere possiamo dire che dall’analisi di questa indagine emerge chiaro un aspetto: se da un lato i decision-makers si rendono conto dell’influenza della ICT sulla città, dall’altro non si riesce a delineare un quadro unitario di conoscenze in modo tale da definire un programma di strategia politica che possa usare ed indirizzare la ICT all’interno di parametri e modelli non solo speculativi e di mercato, ma anche all’interno di programmi che abbiano obiettivi legati alla sostenibilità.

9.3 Le applicazioni della ICT in alcune città europee

9.3.1 Eindhoven e L’Aja Il programma attuato ad Eindhoven è essenzialmente rivolto alle periferie (e-neighbourhoods). Il progetto elaborato, denominato e-city (in olandese kenniswijk1) fu lanciato nel 2000 dal Governo olandese, in particolare dal Ministero dei Trasporti e Telecomunicazioni, ed ha come obiettivo quello di avviare un progetto di sviluppo per le aree periferiche delle città - knowledge neighborhood - attraverso l’utilizzazione della ICT nei settori dei servizi, della rete infrastrutturale e nell’applicazione di nuove tecnologie (il motto era: better living, better working and better learning). L’area urbana oggetto del progetto ha una popolazione residente di circa 85.000 abitanti, dilatandosi tra Eindhoven ed Helmond (vedi mappa) e l’obiettivo che ci si proponeva e ci si propone consiste nel connettere, attraverso la banda larga, il maggior numero possibile di famiglie, in modo tale da promuoverne l’uso e la conoscenza tra i cittadini della ICT e, in particolare, di internet. Si tratta di un’area che, oltre ai due nuclei centrali di Eindhoven ed Helmond, include zone commerciali, zone ad uffici ed il campus del TU-e (Technische Universiteit Eindhoven). Il progetto si fondava sul tentativo di promuovere uno sviluppo più equilibrato attraverso:

1. un incremento dello sviluppo urbano; 2. rafforzamento delle risorse; 3. maggiore capacità organizzativa; 4. azioni sinergiche tra pubblico e privato.

1 Maggiori dettagli ed informazioni possono trovarsi agli indirizzi web: http://www.kenniswijk.nl/personal/en/jsahtml/statichomepage/jsptemplates/index.jsp oppure http://www.minvenw.nl/cend/dco/home/data/international/gb/eng0701.htm#Telecommunications

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Figura 9-2. L’area interessata dal progetto concerne la parte est della città di Eindhoven fino a Helmond

Il primo punto vuole essere un obiettivo nella direzione dello sviluppo, ovvero better living, better working and better learning. Quindi come lo slogan suggerisce le nuove tecnologie sono viste come opportunità per il miglioramento della vita di tutti, cittadini ed operatori economici. Difatti, per il raggiungimento di tali obiettivi si punta molto sullo strumento ICT per incrementare l’efficienza della macchina amministrativa, sperimentare nuove forme di e-democracy, rivitalizzare il commercio degli operatori per mezzo dell’e-commerce e sulla possibilità di accedere a più ampi servizi e nuove conoscenze. La riuscita di un tale ed ambizioso progetto darà all’area di Eindhoven un ruolo di leadership nel campo delle nuove tecnologie nella Regione del Brabante. Il secondo punto ha come obiettivo la stimolazione degli operatori delle ICT nello sviluppare politiche di sviluppo tendenti non solo ad incrementare il numero di possessori di PC, ma anche quello di sviluppare attività formative volte all’alfabetizzazione informatica della popolazione a costi, per così dire, politici. Anche nel campo sociale si è puntato molto sull’uso delle nuove tecnologie, sia attraverso la creazione di virtual community, che attraverso una sorta di punto informativo a cui tutti potranno chiedere informazioni sulle politiche e sulle opportunità formative 24 ore al giorno. L’aspetto legato alla capacità organizzativa è un elemento essenziale nell’attuazione del progetto. Come si è accennato sopra, il progetto è partito da un progetto governativo basato su una specie di concorso nazionale al cui vincitore veniva fornito il danaro per applicare il miglior programma che andasse nella direzione indicata dal bando. E’ stato quindi necessario creare un ufficio comunale che si occupasse di tutte le varie fasi del progetto, dalla partecipazione al concorso, fino alla creazione di una sorta di cronoprogramma delle fasi attuative del progetto. Durante le fasi pre-attuative l’amministrazione locale contattò tutti gli operatori economici, in particolare quelli dei settori ICT, del territorio, al fine di quantificare il numero di aziende disposte a partecipare al programma. Dall’analisi di queste fasi pre-progettuali prima e in corso d’opera poi, sono emerse molte problematiche: una prima problematica ha riguardato il rapporto tra pubblico e privato. Il settore privato si è dimostrato, nella fase pre-progettuale, poco incline ad assumersi rischi di impresa, assumendo una posizione di

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attesa per vedere poi come gli eventi evolvevano. Ancora nelle fasi in cui il progetto è partito le tempistiche si sono invertite: il privato voleva tempi brevi e risultati immediati e concreti, mentre il settore pubblico aveva tempi molti dilatati nel tempo ed una tendenza a visioni più utopiche ed astratte. Riguardo, invece, all’atteggiamento dei cittadini esso si è dimostrato impaziente o del tutto disinteressato, facendo anche emergere carenze nei processi comunicativi sul progetto. Purtroppo, allo stato dei fatti, non si sono raggiunti tutti risultati previsti ed il numero degli utenti è risultato notevolmente inferiore alle aspettative. Inoltre si è visto che vi sono notevoli difficoltà nella gestione dei rapporti tra operatori pubblici e quelli privati, soprattutto perché vi sono visioni economiche totalmente differenti. Anche se molti di questi operatori, soprattutto quelli che investono in nuove tecnologie, hanno avuto momenti difficili dovuti al crollo della new economy degli scorsi anni o con l’enorme debito che molti di essi hanno subito a seguito dell’acquisto delle licenze UMTS, resta da dire che non sempre privato è meglio di pubblico, soprattutto quando in gioco vi sono interessi economici e gli equilibri sociali. Al momento il progetto è ancora in fase di attuazione e saranno, quindi, i prossimi anni a dirci se è riuscito e se è stato un fallimento. Riguardo invece a l’Aja (The Hague), la politica scelta dalle autorità locali è stata incentrata sul libero accesso alla rete per tutti i cittadini direttamente dalle loro abitazioni attraverso il progetto Residentie.net. Al fine di consentire il massimo numero di accessi possibile, le autorità hanno stipulato un accordo con alcuni operatori del settore delle telecomunicazioni per garantire l’accesso gratuito alla rete e, per coloro che non possedevano un PC, permettere un accesso via teletext, per i quali era necessario il telefono e il televisore. Il progetto era volto essenzialmente a permettere alla maggioranza dei cittadini di accedere ai servizi delle autorità locali direttamente via web, con una migliore qualità del servizio ed una disponibilità di informazioni a trecentosessanta gradi. In sintesi un portale web urbano dal quale potranno informarsi sulla politica locale, il mercato del lavoro, i servizi offerti, il commercio, i trasporti locali, etc. A sintesi dell’esperienza possiamo di dire che: da un lato ha dato buoni risultati sia da un punto di vista dell’e-government favorendo efficienza e trasparenze, che più opportunità alle classi svantaggiate in quanto ha reso disponibili, in modo pressoché gratuito, una banca dati infinita ma anche una opportunità di accesso alle nuove tecnologie. Dall’altro lato, invece, ha creato alcune difficoltà di ordine economico, poiché la città era il principale investitore, ciò ha comportato notevoli esborsi in termini economici, ed inoltre le compagnie che hanno aderito al progetto hanno imposto prezzi alti per alcuni servizi, come le telefonate o gli help desk.

9.3.2 L’esperienze di Manchester ed Helsinky L’approccio operato a Manchester si realizza per mezzo di una politica volta all’apertura di centri di ICT il cui obiettivo è quello di fungere sia da polo di aggregazione sociale che da supporto nell’offerta verso quella parte della popolazione che ha poca o nulla conoscenza delle nuove tecnologie. E’ strutturato essenzialmente per l’accesso ad internet e alle tecnologie multimediali. Un esempio in tal senso ci è

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fornito dalla municipalità di Manchester (UK), la quale è stata una delle prime città europee ad attuare una politica volta alla realizzazione di questi centri, denominati “Electronic Village Halls” (EVH’s; http://www.manchester.digicity.org.uk/ ). Essi furono sviluppati nei primi anni ’90, basandosi sui rural community teleservices provenienti dalla cultura scandinava. All’interno di questi centri vi sono sia punti di accesso ad internet che programmi finalizzati all’alfabetizzazione della popolazione verso l’informatica. Vi sono tre centri, dei quali due sono localizzati direttamente presso aree del territorio urbano dove vi sono situazioni sociali difficili (forte immigrazione, disoccupazione, disagio sociale, etc.).

Figura 9-3. Il sito di Manchester. Un portale dal quale è possibile accedere a differenti servizi. Il secondo esempio è quello che costituisce punti libero di accesso alla ICT in edifici pubblici. Un esempio in tal senso viene da Helsinki e dalla stessa Manchester, dove le biblioteche pubbliche svolgono anche questa funzione. Helsinky ha nel centro della città una speciale biblioteca elettronica2. Essa funge sia da punto informativo che da punto di incontro. Anche in questi centri vengono offerte non solo l’accesso alla rete ed alla posta elettronica, ma programmi di alfabetizzazione informatica diretto a tutti i cittadini. Va segnalata una iniziativa particolare: in uno degli edifici (per l’esattezza il Lasipalatsi buiding), hanno creato un sofisticato sistema elettronico che permette l’interazione tra utente e sistema in alcune operazioni di vita quotidiana. Per esempio nei tavoli del bar vi sono schermi interattivi attraverso i quali si può ordinare la consumazione. 2 Cable book library; per maggiori dettagli si visitino le pagine web all’indirizzo: http://www.lib.hel.fi/page.asp?_item_id=3060&_lang_id=EN

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Figura 9-4 e 9-5. Due immagini della biblioteca elettronica - Cable Book Library - di Helsinky

9.4 Sintesi delle diverse esperienze europee A conclusione del presente paragrafo credo sia importante spendere alcune righe sui risultati mostrati nella tabella sottostante. La tabella 9-4 vuole essere un tentativo, seppure parziale, di fornire un’analisi sulle varie politiche adottate attraverso un quadro comparative delle esperienze illustrate. Questa è stata realizzata attraverso un limitato numero di interviste, per cui il risultato và letto con molta cautela. Sulla prima colonna di sinistra è visibile la composizione degli obiettivi analizzati in due gruppi: il primo rappresentato dal contributo agli obiettivi di politica urbana (contribution to urban goals) ed un secondo gruppo (Strengthening of resource of target groups) focalizzato sul rafforzamento delle risorse e di obiettivi a carattere sociale. Dall’analisi del primo gruppo di obiettivi emerge un andamento generale che va dal neutro alla positività dell’apporto della ICT. In particolare il progetto E-neighborhoods di Eindhoven sembra essere quello che al momento presenta un complessivo apporto positivo. Dall’analisi degli altri progetti sembra emergere una sostanziale neutralità sullo sviluppo economico e poca influenza sull’e-government. Ciò potrebbe essere spiegato con il fatto che obiettivi primari dei progetti sviluppati a l’Aia, Manchester e Helsinki hanno essenzialmente una natura volta sostanzialmente al sociale e solo indirettamente agli altri aspetti. E difatti, seppure di poco, la seconda fascia di obiettivi sembra avere avuto un maggiore impatto positivo sulla società. Se è chiaramente positivo l’aspetto riguardante la crescita economica, risulta altrettanto positivo riscontrare come in Eindhoven e Manchester vi sia stata una crescita culturale de fasce più svantaggiate. Ancora incerto appare il risultato sugli aspetti sociali, volti a sanare o, comunque, a rimarginare fenomeni di disagio. Molto interessante, soprattutto per gli aspetti di criticità scaturiti, è la situazione relativa alla capacità organizzativa delle amministrazioni pubbliche e la capacità, tra settore pubblico e privato, di interagire in modo sinergico. Questa è sicuramente la parte che presenta le maggiori lacune,

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segnando addirittura effetti negativi in città come l’Aia ed Helsinki. Risulta quindi necessario porre estrema cautela nella definizione di politiche volte all’attuazione di indirizzi di crescita nelle nuove tecnologie. Dovendo necessariamente, per motivi finanziari, richiedere l’apporto dei privati è necessario avere una struttura organizzativa ed un progetto politico chiaro. Risulta altresì necessario avere le idee chiare sugli obiettivi, sociali ed economici, poiché il settore privato tende essenzialmente a mirare all’aspetto di crescita economica, il quale se non accompagnato da una pari crescita sociale, può innescare ulteriori fenomeni di esclusione sociale con conseguente aumento di conflittualità.

Tabella 9-4. La tabella opera una comparazione tra le differenti esperienze fatte dalle quattro città (Fonte: W. Van Winden, 2003)

PROJECT E-neighborhoods

ICT centre (EVH) for deprived groups

Free internet access for

all

Internet access in public buildings

CITY Eindhoven Manchester The Hague Helsinki Economic development ● N N N

Social equality ●/ N ● ● ● ●

Con

trib

utio

n to

ur

ban

goal

s

e-government ● N ● ● N

Material ● ● ● ● Cognitive resource ● ● ● N N

Stre

ngth

enin

g of

reso

urce

of

targ

et g

roup

s

Social resource ● N ● N

Alignment with private sector initiative

● ● ● ●

Organising capacity N N ● N

Value scale: ●● very positive; ● positive; N neutral; ● negative

In conclusione possiamo dire che la rivoluzione legata alla ICT, può certamente creare nuove opportunità, sia in ambito economico che in quello socio-politico e certamente la città è e sempre più sarà il luogo dove tale rivoluzione sarà attuata. Per generare processi tendenti ad obiettivi sostenibili è, quindi necessario attuare una politica volta ad una intelligente applicazione delle nuove tecnologie. Non, quindi, progetti isolati e inutili, ma progetti che tendano a ridisegnare le azioni di governo verso obiettivi di crescita della conoscenza dei cittadini, di maggiore efficienza dell’amministrazione locale e di integrazione della ICT nelle strutture socio-economiche al fine di produrre maggiore efficienza, maggiori opportunità e maggiore tutela dei cittadini svantaggiati.

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9.5 La percezione del ruolo della ICT in rapporto alle politiche locali nel contesto della “rete città strategiche” L’indagine è stata svolta su di un campione di sette delle città che compongono la “rete delle città strategiche”. Il questionario è stato inviato presso gli uffici per il piano strategico, ed è stato compilato dagli operatori di detti uffici. Lo scopo di questa indagine, seppure fatta su di un campione ridotto di utenza (hanno difatti aderito e partecipato solo sette comuni su ) è quello di capire quale atteggiamento vi è da parte di un utenza, che per le sue caratteristiche culturali e di ruolo, dovrebbe essere quella meglio preparata alla sfida delle nuove tecnologie in applicazioni di piano. Nel seguito sono state riportate le tabelle con l’indicazione dei risultati delle risposte, dai quali sarà possibile dedurne, seppure in modo puramente indicativo, valutazioni ed indicazioni. La prima tabella concerne la percezione del ruolo della ICT, inteso come possibilità offerta dalle nuove tecnologie sia nel contesto socio-economico che in quello politico. Vediamo i risultati ottenuti:

Tabella 9-5. Percezione sul ruolo della ICT

Molto d’accordo D’accordo In

disaccordototale

disaccordo Non sa' +

non risponde

ICT cambierà l'azione dei processi decisionali politici nel nostro comune

0,00% 83,33% 16,67% 0,00% 0,00%

ICT renderà il processo decisionale molto più efficiente 16,67% 66,67% 16,67% 0,00% 0,00%

L'azione politica è più efficiente attraverso la ICT 0,00% 83,33% 16,67% 0,00% 0,00%

ICT aumenterà la comunicazione all'interno della nostra amministrazione

16,67% 83,33% 0,00% 0,00% 0,00%

ICT fornirà all'amministrazione gli strumenti per dare un migliore servizio ai cittadini

83,33% 16,67% 0,00% 0,00% 0,00%

ICT permetterà ai cittadini di accedere a molte più informazioni 83,33% 16,67% 0,00% 0,00% 0,00%

ICT permetterà alla pubblica amministrazione di conoscere l'opinione dei cittadini per le più svariate questioni

33,33% 66,67% 0,00% 0,00% 0,00%

ICT permetterà agli amministratori di includere nei programmi politici l'opinione dei cittadini

16,67% 33,33% 50,00% 0,00% 0,00%

ICT garantirà una maggiore partecipazione alla vita politica dei cittadini

0,00% 83,33% 16,67% 0,00% 0,00%

ICT darà a tutte le classi sociali eguali opportunità per accedere all'educazione, ai servizi sociali e al mercato del lavoro

0,00% 16,67% 50,00% 16,67% 16,67%

ICT permetterà di ridurre il divario tra ricchi e poveri 0,00% 16,67% 50,00% 16,67% 16,67%

ICT permetterà ai cittadini di accedere in modo più efficiente ai servizi professionali senza per

33,33% 50,00% 16,67% 0,00% 0,00%

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questo vivere in città ICT darà ai cittadini più informazioni sulla vita culturale delle città, anche se non vivono nelle stesse

33,33% 66,67% 0,00% 0,00% 0,00%

ICT ridurrà la necessità degli spostamenti 0,00% 83,33% 16,67% 0,00% 0,00%

ICT aumenterà la qualità nelle relazioni sociali 16,67% 0,00% 66,67% 0,00% 16,67%

ICT aumenterà le opportunità di telelevoro 0,00% 83,33% 0,00% 0,00% 16,67%

Dall’analisi della tabella, nonché dell’allegato grafo di sintesi, emerge, da parte degli intervistati, un sostanziale ottimismo (53% degli intervistati) relativamente ad un possibile ruolo positivo della ICT. Vanno comunque sottolineate alcuni dati estremamente interessanti. In particolare si evidenziano aspetti di sostanziale accordo degli intervistati sul ruolo positivo della ICT su differenti componenti:

aspetto legato ai servizi sia generici che professionali; aspetto legato all’informazione, sia in senso generale, ovvero relativamente

ad aspetti culturali o sociali, sia nella componente interna alle amministrazioni pubbliche che di rapporti tra cittadini ed amministratori; aspetto politico, ovvero possibilità di facilitare l’interazione tra amministrazione

e cittadinanza.

Viceversa le componenti negative possono così sintetizzarsi:

aspetti socio-economici, ovvero l’uso della ICT non garantirà le stesse opportunità per accedere all’educazione, ai servizi sociali ed al mercato del lavoro, né permetterà di ridurre il divario tra ricchi e poveri. Inoltre non garantirà una maggiore qualità delle relazioni sociali.

Riguardo invece alla seconda tabella, attinente la percezione delle problematiche urbane, un quadro riassuntivo fa emergere come problematiche più forti quelle relative a:

fattori socio-economici, quali occupazione, invecchiamento della popolazione, problematiche del sistema educativo; problematiche ecologiche, come i fattori di inquinamento.

Appare, in tale tabella, una sostanziale situazione di bilanciamento tra accordo e disaccordo relativamente alla percezione delle tematiche poste. Tale aspetto, indicativo di una non univoca percezione della problematica analizzata, traspare chiaramente allorquando si tratta di temi come quello del mercato immobiliare o delle tematiche con aspetti più attinenti alla composizione della città, come, ad esempio, il ruolo delle aree verdi o dell’immagine della città nel suo complesso.

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Tabella 9-6. La tabella mostra quali sono le problematiche urbane più impellenti.

Riguardo invece alle aspettative dello sviluppo urbano nei prossimi dieci anni possiamo dire che vi è un sostanziale e corposo aspetto positivo verso la ICT. In particolare, posiamo individuare nella componente network l’elemento caratterizzante di questa scheda. Abbiamo già accennato nei capitoli precedenti al concetto di network society con i relativi sub-strati sociologici ed urbanistici che tale concetto ingloba. E’, quindi, forte la volontà di essere divenire più visibili come entità anche attraverso la ICT Alla luce della prima componente, ovvero quella di network, è possibile interpretare questo aspetto legato alla aspirazione di crescita di importanza come elemento .

Tabella 9-7. Le aspettative dello sviluppo urbano nei prossimi 10 anni

aumenterà notevolmente

aumenterà in alcune parti o

settori non cambierà diminuirà

Non sa' + non

risponde L'importanza della nostra città… 50,00% 50,00% 0,00% 0,00% 0,00%

In generale l'importanza per i piccoli centri.. 0,00% 100% 0,00% 0,00% 0,00%

In generale l'importanza per i grandi centri… 16,67% 16,67% 66,67% 0,00% 0,00%

La competizione tra la nostra città e le altre… 33,33% 16,67% 33,33% 0,00% 0,00%

La cooperazione tra la nostra città e le altre… 66,67% 16,67% 16,67% 0,00% 0,00%

Il potenziale della nostra città nell'attrarre investimenti …

33,33% 66,67% 0,00% 0,00% 0,00%

molto d’accordo d’accordo

in disaccord

o totale disacc

Non sa' + non

risponde Congestione da traffico 25,00% 50,00% 25,00% 0,00% 0,00% Carenza di alloggi 25,00% 25,00% 50,00% 0,00% 0,00% Scarsità di terreni 0,00% 50,00% 50,00% 0,00% 0,00% Disoccupazione 50,00% 50,00% 0,00% 0,00% 0,00% Declino del settore industriale 25,00% 25,00% 0,00% 25,00% 25,00% Invecchiamento della popolazione 50,00% 25,00% 25,00% 0,00% 0,00% Sub-urbanizzazione o periferie 0,00% 50,00% 50,00% 0,00% 0,00% Declino del centro storico 25,00% 50,00% 25,00% 0,00% 0,00% Segregazioni socio-spaziali 25,00% 50,00% 25,00% 0,00% 0,00% Problematiche del mercato immobiliare 0,00% 75,00% 25,00% 0,00% 0,00% Scarsità di aree verdi aperte 25,00% 25,00% 50,00% 0,00% 0,00% Immagine negativa della città 0,00% 50,00% 50,00% 0,00% 0,00% Inquinamento 16,67% 50,00% 25,00% 0,00% 0,00% Deficit di bilancio 0,00% 25,00% 75,00% 0,00% 0,00% Problematiche nel sistema educativo 25,00% 25,00% 25,00% 0,00% 25,00%

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Il potenziale della nostra città nell'attrarre investimenti industriali …

0,00% 50,00% 33,33% 16,67% 0,00%

Il potenziale della nostra città nell'attrarre nuovi residenti…

0,00% 66,67% 16,67% 16,67% 0,00%

In generale, l'importanza di un distretto di affari nella nostra città …

16,67% 83,33% 0,00% 0,00% 0,00%

Le problematiche della sub-urbanizzazione … 0,00% 66,67% 16,67% 0,00% 16,67%

Le problematiche legate a fenomeni di segregazione socio-spaziale…

0,00% 33,33% 33,33% 16,67% 16,67%

Il traffico nella nostra città… 16,67% 16,67% 33,33% 33,33% 0,00% Il traffico merci … 0,00% 83,33% 16,67% 0,00% 0,00% La mobilità delle persone … 16,67% 66,67% 16,67% 0,00% 0,00% La protezione dell'ambiente urbano… 33,33% 66,67% 0,00% 0,00% 0,00%

Altrettanto interessante è la tabella 4. In essa si cerca di capire in che modo e secondo quali componenti è possibile sviluppare una politica sulla ICT. In tale ottica emerge un quadro di sostanziale accordo con le aree individuate. In particolare si ritiene che lo sviluppo della ICT sia più che mai legato allo sviluppo economico, sia in termini macro-economici che delle realtà produttive, con tutte le conseguenze socio-politiche che questo comporta. Altro elemento importante è quello politico. Cioè la ICT ha le potenzialità per garantire una maggiore interrelazione tra le amministrazioni locali e i cittadini, sia in termini amministrativi che di sviluppo di procedure di progettazione partecipata.

Tabella 9-8. Obiettivi di politiche strutturate sulla ICT

molto d’accordo d’accordo in

disaccordo totale disacc

Non sa' + non

rispondeLo sviluppo economico è un area strategica per la ICT 42,86% 57,14% 0,00% 0,00% 0,00%

Le nuove imprese sono un soggetto molto importante per l'utilizzo della ICT 57,14% 42,86% 0,00% 0,00% 0,00%

L'applicazione della ICT potrà permettere maggiore trasparenza nei processi politici ed amministrativi

0,00% 85,71% 14,29% 0,00% 0,00%

Nel confronto con altre realtà urbane la ICT potrà fornire alla nostra città più opportunità

14,29% 57,14% 0,00% 0,00% 28,57%

Una maggiore interrelazione tra amministrazione locale e cittadino è la base sulla quale è possibile sviluppare una politica per la ICT

0,00% 100% 0,00% 0,00% 0,00%

L'uso della ICT nel progetto urbano agevola processi di progettazione partecipata

28,57% 71,43% 0,00% 0,00% 0,00%

L'uso della ICT permette una migliore relazione con altre città 42,86% 42,86% 14,29% 0,00% 0,00%

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26,53%

65,31%

4,08%

0,00%

4,08%

0,00% 10,00% 20,00% 30,00% 40,00% 50,00% 60,00% 70,00%

OBIETTIVI DI POLITICHE STRUTTURATE SULLA ICT

I don’t know + no answerStrongly disagreedisagreeagreeStrongly agree

Figura 9-6. Il grafico mostra una sostanziale positività verso l’attuazione di politiche strutturate sulla ICT La penultima tabella, cerca di capire in che termini e secondo quali componenti è possibile strutturare una politica sulla ICT. In tal senso sono emerse le seguenti componenti:

aumento e potenziamento della rete infrastrutturale, in particolare i problemi connessi alla banda larga, la quale consentirebbe maggiori potenzialità in termini di multimedialità; attività di promozione e supporto della ICT nel settore dell’educazione (sia in

termini di alfabetizzazione informatica che di e-learning), in quello sanitario e del lavoro; azioni ne potenziamento della rete dei trasporti, soprattutto in termini di

efficienza.

Tabella 9-9. Gli obiettivi da raggiungere attraverso una politica della ICT

Molto importante

Abbastanza imp. poco Per

niente Non sa' +

non risponde

Aumento delle infrastrutture di telecomunicazione 71,43% 28,57% 0,00% 0,00% 0,00%

Promozione e supporto di azioni orientate all'uso delle nuove tecnologie in spazi o luoghi pubblici

57,14% 42,86% 0,00% 0,00% 0,00%

Promuovere la ricerca nel settori della ICT 71,43% 28,57% 0,00% 0,00% 0,00%

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Promuovere e supportare politiche volte all'educazione nella ICT 57,14% 42,86% 0,00% 0,00% 0,00%

Fornire informazioni sulla Amministrazione per mezzo delle telecomunicazioni

28,57% 71,43% 0,00% 0,00% 0,00%

Promuovere i servizi dell'Amministrazione via ICT 42,86% 57,14% 0,00% 0,00% 0,00%

Promuovere l'uso della ICT nei processi di progetto urbano 57,14% 42,86% 0,00% 0,00% 0,00%

Uso della ICT nel progetto della rete dei trasporti 57,14% 28,57% 0,00% 0,00% 14,29%

Promuovere e supportare politiche di telelavoro 42,86% 42,86% 14,29% 0,00% 0,00%

Promuovere e supportare operazioni di telemedicina 28,57% 42,86% 14,29% 0,00% 14,29%

Promuovere e favorire processi educativi via ICT 42,86% 28,57% 28,57% 0,00% 0,00%

Tabella 9-10. Strategia della ICT nella politica cittadina

si no Non sa' + non risponde

Esiste nella tua città una strategia od un progetto con la ICT volto ad attuare un piano o un programma? 57,14% 14,29% 28,57%

All'interno dei documenti che compongono il PRG è contemplato l'uso o l'attuazione di piani inerenti la ICT? 14,29% 0,00% 85,71%

A conclusione del presente paragrafo, possiamo dire che emerge un quadro che se per certi versi fa emergere un sostanziale ottimismo verso la ICT, dall’altro lato mostra situazioni fortemente contrastanti. In tal senso, ad esempio, è emerso che se la ICT può permettere una maggiore partecipazione dei cittadini, questo non implicherà una automatica possibilità di includere le loro opinioni in processi progettuali. E’ anche emersa la scarsa fiducia in possibili miglioramenti in termini sociali e di pari opportunità per tutte le classi sociali. Infine, la tabella 6 ha mostrato una sintesi significativa della situazione: esiste una strategia nell’attuazione della ICT nelle politiche di piano ma… nel contempo nei documenti che compongono il piano gli stessi interlocutori non sanno dare risposte sull’eventuale uso della ICT.

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9.6 L’esperienze italiana di Reggio Emilia3

9.6.1 Quadro generale

All’interno del processo di Agenda 21 Locale a Reggio Emilia sono stati sviluppati differenti progetti, tra i quali il progetto [email protected]. (ovvero, Osservatorio Reggiano degli INdicatori Ambientali di Reggio Emilia) riguardante un sistema di indicatori utili a pianificare e programmare un modello urbano sostenibile e che indirizzerà ed impegnerà il futuro processo decisionale dell’Amministrazione comunale e provinciale. Il modello urbano sostenibile sottintende la volontà di porre l'ambiente come cardine dello sviluppo (economico, sociale e culturale) della comunità locale volto ad arrestare il degrado ambientale, a soddisfare i bisogni non solo della popolazione presente ma anche di quella futura al fine di a raggiungere una maggiore qualità della vita ed una maggiore equità tra le attuali generazioni. Gli obiettivi che tale progetto si è posto riguardano:

l'implementazione delle procedure di rilevazione e di gestione dei dati ambientali di rilevanza per l’ente (accounting); l'integrazione e trasversalità dei nuovi strumenti partecipativi, di supporto

alla governace locale e di gestione del territorio (Ag. 21, contabilità ambientale, certificazione EMAS, Bilanci ambientali, etc.); il potenziamento dell’accesso alle informazioni ambientali in termini di

trasparenza e comunicazione.

Le attività previste inizialmente dal progetto vertevano sui seguenti argomenti:

1) calcolo dei “10 Indicatori Comuni Europei - Verso un profilo della sostenibilità locale” (ECI);

2) sperimentazione della rilevazione dei dati relativi all’indagine “Osservatorio ambientale sulle città” promosso da ISTAT;

3) selezione di un set di idonei indicatori considerati più significativi per la nostra realtà locale e/o idonei a valutare l’orientamento alla sostenibilità;

4) creazione di un sistema di indicatori integrati e di sintesi rispetto agli strumenti di gestione e programmazione ambientale degli Enti (contabilità ambientale, analisi settoriali sullo stato dell’ambiente, certificazioni, Agenda 21,...) denominato “Sistema di Indicatori per la Sostenibilità”;

5) condivisione del sistema di indicatori con gli stakeholder interni ed esterni (Forum di Agenda 21) e sviluppo di un sistema di comunicazione-accessibilità dei dati attraverso strumenti multimediali (inserimento nei siti web dei Comuni del “Sistema di Indicatori per la Sostenibilità”, pubblicazione di newslwetters informative).

I risultati ed i benefici attesi dal progetto riguardavano:

la sistematizzazione della raccolta dei dati ambientali;

3 Per la stesura del presente paragrafo si ringrazia l’Ufficio Reggio Sostenibile del Comune di Reggio Emilia. Tel. 0522-456116; e-mail: [email protected]

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la messa a sistema delle informazioni ambientali rilevanti per le attività dell’Ente; lo stimolo della partecipazione degli stakeholder, ed in generale di tutti i

cittadini, verso sistemi di monitoraggio delle azioni messe in campo nei piani di azione delle Ag21; la maggior efficacia nel monitoraggio delle proprie politiche ed azioni volte

al miglioramento delle performance in campo ambientale; l'integrazione degli strumenti di gestione del territorio e di supporto alla

governance locale attraverso lo sviluppo di un sistema informativo di indicatori univoco; lo sviluppo di processi di trasparenza e credibilità della Pubblica

Amministrazione; la migliore efficienza nella comunicazione verso l’esterno dell’andamento delle

politiche ambientali dell’Ente.

9.6.2 Gli indicatori messi a sistema

Il sistema messo a punto a Reggio è strutturato su di un elevatissimo numero di dati ambientali. Ciò lo si è ritenuto essenziale in quanto, per far fronte alle richieste che provenivano sia dall’interno dell’Ente (sistema di contabilità ambientale, analisi ambientale del territorio, etc.) che dall’esterno (iniziative promosse da ISTAT, Legambiente, etc.). Tra gli indicatori, sono stati anche inseriti i dieci indicatori individuati dalla Commissione Europea per valutare l’orientamento alla sostenibilità locale delle città (Indicatori Comuni Europei – o European Commun Indicators, appresso indicati come ICE). L’elevato numero di dati da rilevare (oltre 500) deriva dal fatto che molti indicatori, pur essendo simili, possono essere richiesti con modalità differenti (ad esempio diversa unità di misura) o con specifiche differenti – sottoindicatori (es. estensione del verde pubblico scorporata in parchi pubblici, verde di arredo, aree umide, etc.). Tali dati sono quindi stati accorpati in un set di circa 170 indicatori, che costituiscono il cosiddetto “Sistema di indicatori integrati e di sintesi”, catalogati in 8 aree tematiche e selezionati anche in funzione di scelte strategiche operate nel Forum dell’Agenda 21 come più significativi per la realtà locale e/o idonei a valutare l’orientamento alla sostenibilità. A tale set è stato poi aggiunto l’elenco completo degli Indicatori Comuni Europei. Di seguito elencheremo le aree tematiche che si sono coperte con questo set di indicatori, fornendo in alcuni casi, elementi esplicativi.

a) Sistema di indicatori integrati e di sintesi: 1) verde pubblico, privato e sistemi naturali; 2) mobilità sostenibile e qualità dell’aria; 3) sviluppo urbano sostenibile, ovvero dati riferiti all’uso del suolo (quindi correlato

anche all’indicatore europeo nr.9), ai servizi disponibili, alla presenza degli strumenti urbanistici, etc. ;

4) risorse idriche; 5) rifiuti; 6) energia;

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7) informazione e partecipazione, inteso come progetti di educazione ambientale dedicati alle scuole, campagne informative e promozionali su temi ambientali, fasi di attuazione del processo di Agenda 21 Locale, progetti realizzati con metodologia partecipata, etc. ;

8) inquinamento acustico ed elettromagnetico; 9) sistemi di gestione ambientale e buone pratiche ambientali; 10) tutela dei diritti degli animali.

b) Indicatori Comuni Europei Il Comune di Reggio Emilia ha aderito formalmente al progetto nel 2001 e ciò al fine della promozione dell’utilizzo dei dieci indicatori europei presso le autorità locali italiane. Di questi, il Comune di Reggio Emilia ha attivato nel 2002 il calcolo degli ICE n. 1, 3 e 4, secondo la metodologia predisposta nelle schede metodologiche ufficiali e, quindi, nel 2003, il progetto si è arricchito degli indicatori n. 5, 6, 7 e 10. Vediamo in sintesi alcuni risultati:

Indicatore Comune Europeo N. 1 (soddisfazione dei cittadini con riferimento alla comunità locale). Per la rilevazione dei dati, come suggerito dalla scheda metodologica, il Comune di Reggio Emilia ha effettuato un sondaggio tramite questionario su un campione rappresentativo della popolazione residente di età superiore ai 16 anni, gestito con interviste personali (o telefoniche). Il questionario utilizzato è composto da una serie di domando attinenti li l grado di soddisfazione della comunità urbana, gli standard abitativi, le opportunità di lavoro, la qualità e quantità dell’ambiente naturale, la qualità dell’ambiente edificato, il livello dei servizi sociali, sanitari, culturali, ricreativi e per il tempo libero, lo standard delle scuole, il livello dei servizi di trasporto pubblico, le opportunità di partecipazione alla pianificazione locale ed ai processi decisionali e il livello di sicurezza personale.

I risultati ottenuti dalle interviste sono qui sotto illustrati e riportano in dettaglio il grado di soddisfazione calcolato per ognuno degli 11 aspetti della comunità locale che sono stati oggetto di intervista.

Figura 9-7. Grado di soddisfazione complessiva per gli 11 aspetti della comunità locale oggetto di intervista

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Indicatore Comune Europeo N. 3: Mobilità Locale e Trasporto Passeggeri L’Indicatore Comune Europeo n. 3 intende valutare il numero di spostamenti giornalieri effettuati dai residenti all’interno dell’area di pertinenza dell’autorità locale e il tempo impiegato pro capite per motivo e per modo di trasporto utilizzato; inoltre misura la distanza totale media pro capite percorsa quotidianamente per tipo di spostamento e per modo di trasporto. I risultati ottenuti dalle interviste sono qui sotto illustrati. E’ senz’altro interessante analizzarne, da parte di chi legge, i risultati.

Figura 9-8. Il diagramma mostra le modalità di spostamento dei cittadini

Figura 9-9. Sopra. I motivi degli spostamenti

Figura 9-10. Le motivazioni che induco all’uso dell’automobile

Figura 9-11. La figura rappresenta il numero medio di passeggeri per auto

Indicatore Comune Europeo N. 4: Accessibilità delle aree verdi pubbliche e dei servizi locali L’Indicatore Comune Europeo n. 4 intende valutare la percentuale dei residenti che vive in prossimità di spazi ricreativi accessibili al pubblico e di altri servizi di base.

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Per la rilevazione dei dati, come suggerito dalla scheda metodologica, si è determinata la distribuzione degli stessi (residenti, aree ricreative, servizi, per categoria) mediante un Sistema Informativo Geografico (GIS) dal Servizio Informativo Territoriale del Comune di Reggio Emilia. I risultati ottenuti dalle elaborazioni sono qui sotto illustrati:

Tabella 9-11. La tabella illustra, per mezzo di operazioni di buffering tramite GIS, la distanza media da luoghi di servizio

n. 85.003

abitanti residenti nel raggio di 300 m dalle aree verdi maggiori di 5.000 mq, fruibili per uso ricreativo e accessibili al pubblico gratuitamente (parchi pubblici, giardini o spazi aperti pubblici ad esclusivo uso ciclabile o pedonale, aree private, attrezzature per sport all’aria aperta) 70 %

n. 99.398 abitanti residenti nel raggio di 300 m dalle aree verdi fruibili per uso ricreativo e accessibili al pubblico gratuitamente (parchi pubblici, giardini o spazi aperti pubblici ad esclusivo uso ciclabile o pedonale, aree private, attrezzature per sport all’aria aperta)

81 %

n. 81.148 abitanti residenti nel raggio di 300 m dai servizi sanitari pubblici di base (medici generici e pediatri, strutture sanitarie) 66 %

n. 85.684 abitanti residenti nel raggio di 300 m dai negozi alimentari (centri commerciali e negozi/supermercati) 70 %

n. 47.867 abitanti residenti nel raggio di 300 m dalle scuole pubbliche dell’obbligo (elementari e medie inferiori) 39 %

n. 102.608

abitanti residenti nel raggio di 300 m dalle linee di trasporto collettivo (fermate linee urbane autobus e minibus e nodi di interscambio)

84 %

Figura 9-12. L’immagine è relativa ad alcuni dati riferiti alla tabella 9-11. Essa permette di mostrare il grado di accessibilità delle aree verdi pubbliche e dei servizi locali nel territorio comunale attraverso una elaborazione GIS. (Fonte: Comune di Reggio Emilia) ● Fermate linee urbane di autobus e minibus ▲ Nodi interscambio linee urbane di bus e minibus

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Indicatore Comune Europeo N. 5: Qualità dell’aria locale

L’Indicatore Comune Europeo n. 5 intende quantificare il numero di superamenti dei valori limite per determinati inquinanti atmosferici e verificare l’esistenza e il livello di attuazione del piano di risanamento/gestione della qualità dell’aria. Così come le altre città europee che hanno aderito al progetto, anche Reggio Emilia non presenta superamenti dei valori limite per gli inquinanti SO2, NO2 e CO. Allo stesso modo, è ben più critica la situazione per l’ozono ed il particolato sottile, i cui limiti sono quasi costantemente superati anche nelle altre città monitorate. Anche per l’ozono, i valori più critici si verificano nelle città italiane e Reggio Emilia non fa eccezione. Il Comune di Reggio Emilia è consapevole che i problemi derivanti dall’inquinamento atmosferico non si risolvono con la sola applicazione della circolazione a targhe alterne e per questo ha messo a punto nell'ultimo anno una serie articolata di interventi strutturali. Due, in particolare, gli obiettivi perseguiti: da un lato sensibilizzare e informare i cittadini sulle cause e gli effetti provocati dall'inquinamento, dall'altro impostare e realizzare, anche attraverso lo strumento partecipativo di Agenda 21, progetti capaci di incidere stabilmente sulla riduzione dell'inquinamento urbano, affrontando in modo efficace e duraturo i nodi critici della mobilità. A tal fine, è stato messo a punto un Piano degli Interventi del Comune articolato in misure di governo, misure tecniche, misure infrastrutturali e misure organizzative, per un totale di 65 interventi, tutti in fase di attuazione.

Figura 9-13. La figura illustra il numero di superamenti dei limiti relativi a sostanze inquinanti

Indicatore Comune Europeo N. 6: Spostamenti casa–scuola dei bambini L’Indicatore Comune Europeo n. 6 intende valutare le modalità di trasporto usate dai bambini per viaggiare da casa a scuola. Per la rilevazione dei dati, come suggerito dalla scheda metodologica, il Comune di Reggio Emilia ha effettuato nella primavera 2003 un’indagine rivolta ai genitori dei bambini e

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ragazzi di età compresa fra i 3 e i 14 anni, svolta tramite un apposito questionario la cui distribuzione è avvenuta attraverso le scuole. Così come richiesto, è stato individuato un campione di scuole che fosse rappresentativo dal punto di vista della distribuzione sul territorio comunale, tenendo conto del loro contesto (aree centrali, semiperiferiche e periferiche) e coinvolgendo: - almeno un complesso scolastico (scuola dell’infanzia, elementare e media

inferiore) per ogni tipologia di zona; - un intero ciclo per ogni complesso scolastico individuato (ad esempio una

sezione che comprenda i tre anni di una scuola dell’infanzia, una sezione che comprenda i cinque anni di una scuola elementare, una sezione che comprenda i tre anni di una scuola media inferiore).

Si è quindi deciso, per l’indagine a Reggio Emilia, di operare a livello di Circoscrizione e per ognuna di esse di coinvolgere possibilmente nell’indagine una scuola dell’infanzia, una scuola elementare e una scuola media localizzate in area centrale, semiperiferica e periferica; in totale si sono coinvolte 12 scuole medie, 17 scuole elementari e 15 scuole dell’infanzia con la distribuzione di circa 4.000 copie dei questionari.

L’elaborazione dei questionari ha mostrato che per la metà delle risposte, l’automobile privata è il mezzo preferito anche se c’è bel tempo; la cosiddetta “mobilità alternativa” (spostamenti a piedi o in bicicletta o con mezzi pubblici o in carpooling) complessivamente ammonta però a poco meno del 50% delle risposte. La percentuale relativa all’uso dell’auto con la brutta stagione sale al 62%, aumenta di due punti l’uso del trasporto collettivo/pubblico, mentre diminuisce nettamente la percentuale di spostamenti a piedi o in bicicletta.

Figura 9-15. I mezzi usati negli spostamenti verso la scuola durante il periodo primavera estate.

Figura 9-16. I mezzi usati negli spostamenti verso la scuola durante il periodo autunno inverso.

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Figura 9-14. Il questionario inviato alle scuole relativo agli spostamenti

L’eccessiva distanza casa-scuola e la mancanza di tempo a disposizione abbinate alla mancanza di mezzi di trasporto alternativi rappresentano la metà delle cause che costringono all’uso dell’auto anche con la bella stagione; nella categoria “Altro”, prevale nettamente il fatto che spesso si portano i bambini a scuola e si prosegue per andare al lavoro. Di seguito, vengono riportati alcuni dati di dettaglio non richiesti espressamente dalla scheda metodologica. Tra le modalità di trasporto alternative all’auto, prevale con la bella stagione l’andare a piedi, seguito dalla bicicletta, mentre in caso di maltempo, diminuisce drasticamente la bicicletta a vantaggio dell’andare a piedi e del car pooling; i mezzi pubblici confermano la percentuale sia con la bella che con la brutta stagione.

Indicatore Comune Europeo N. 7: gestione sostenibile dell’autorità locale e delle imprese locali L’Indicatore Comune Europeo n. 7 intende quantificare la percentuale di organizzazioni pubbliche e private (PMI ed grandi imprese), presenti sul

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territorio comunale, che adottano ed utilizzano una forma di gestione sociale e ambientale. Le procedure di gestione ambientale e sociale si riferiscono a EMAS e ISO 14000/14001, SA8000 (definito da CEPAA, il “Council on Economic Priorities Accreditation Agency”, standard internazionale relativo alle condizioni sul luogo di lavoro nelle “supply chains” ispirato all’ILO, International Labour Organization), etc.

Indicatore Comune Europeo N. 10: prodotti sostenibili L’Indicatore Comune Europeo n. 10 intende valutare il consumo percentuale di prodotti “sostenibili” rispetto al totale dei consumi all’interno della popolazione residente nel Comune di Reggio Emilia, la disponibilità ed offerta di mercato di prodotti “sostenibili” e la percentuale di “acquisti verdi” della pubblica amministrazione. Per “prodotti sostenibili” si intendono i prodotti realizzati con criteri ecologici caratterizzati dalla certificazione europea “eco-label”, o prodotti ottenuti applicando metodi di agricoltura e allevamento biologici caratterizzati da certificazione europea o nazionale; oppure quelli ad alta efficienza energetica, quelli certificati come provenienti dal mercato di produzione e distribuzione definito “equo e solidale” ed infine i derivati del legno certificati FSC (Forest Stewardship Council), ovvero il marchio, che identifica i prodotti contenenti legno proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, economici e sociali (gestione “sostenibile”).

9.6.3 Il sistema informativo del Comune di Reggio Emilia ed il progett S.I.S.Te.R Il Comune di Reggio Emilia, considerando l’alto numero di dati (oltre 500 indicatori rilevati), ha realizzato un database per mezzo del software Access® di Microsoft appositamente realizzato dal Dipartimento Interateneo Territorio del Politecnico di Torino. L’obiettivo è stato, quindi, quello di realizzare il passaggio da un “sistema informativo” ad un “sistema informatico”, garantendo che i dati raccolti venissero conservati in modo permanente ed aggiornati e che l’elaborazione degli stessi avvenisse attraverso procedure automatiche. Lo stesso database, opportunamente adattato, ha costituito la base per la versione web da inserire nel sito del Comune di Reggio Emilia e sulla scorta della quale è stato varato, in collaborazione con il Dipartimento Interateneo Territorio del Politecnico di Torino il progetto S.I.S.Te.R., ovvero una sperimentazione di un indice per la quantificazione del grado della qualità ambientale dello spazio residenziale urbano, intendendo, per tale, lo spazio costituito dalle abitazioni e dai servizi di base. L’indice è stato predisposto dal prof. Carlo Socco nell’ambito dell’attività di ricerca dell’Osservatorio Città Sostenibili del Dipartimento Interateneo Territorio del Politecnico e dell’Università di Torino. Essendo lo spazio residenziale quello a più diretto servizio delle famiglie e costituendo gran parte del territorio urbanizzato, si può affermare che un indice della sua qualità è sufficientemente rappresentativo del livello qualitativo dell’ambiente urbano che ospita la vita quotidiana della popolazione.

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Cap. 9: Il ruolo della ICT nelle politiche locali: applicazioni e casi di studio _____________________________________________________________________________________________________________

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Il progetto ha teso a mettere a punto uno strumento che risultasse d’uso agevole e applicabile nella normale attività di formazione dei piani urbanistici, perché è a livello del piano urbanistico comunale che il tema della ricerca di un’elevata qualità ambientale dello spazio residenziale può essere affrontato in modo adeguato, ed è con riferimento a questo tema che la valutazione ambientale strategica del piano urbanistico deve cercare di misurarsi, individuando indicatori ed indici appropriati, costruendo sistemi di monitoraggio e impegnandosi in un’attività di reporting mirata ad informare la popolazione sulle condizioni dell’ambiente in cui vive e a rendere più consapevoli le scelte dell’amministrazione locale. L’indice che viene presentato all’interno della pubblicazione “Valutazione della qualità ambientale dello spazio residenziale in un’area del Comune di Reggio Emilia” è uno strumento tecnico per compiere questa analisi e per valutare gli effetti degli interventi di pianificazione urbanistica, prendendo come unità spaziale di riferimento, la singola unità fondiaria, poiché è ad essa che vengono riferiti i valori di qualità ambientale dello spazio residenziale. La qualità degli spazi residenziali viene considerata come composizione di quattro componenti:

1) l’ambito dell’abitazione, costituito dall’unità edilizia e dalla sua pertinenza; 2) il contesto ambientale percepibile dall’abitazione; 3) i servizi di base riferibili all’unità di quartiere e il loro contesto ambientale; 4) la rete dei percorsi casa-servizi di base.

La qualità ambientale dello spazio residenziale dipende dalla qualità di questi quattro tipi di spazi; dove, i primi due costituiscono lo spazio dell’abitazione, e i secondi due lo spazio dei servizi sociali di base. Per cui la struttura dell’indice può essere così rappresentata:

dove: QSR = indice di qualità dello spazio residenziale; QSA = indice di qualità dello spazio abitativo; QSS = indice di qualità dello spazio di servizio; QA = indice di qualità dell’abitazione; QC = indice di qualità del contesto ambientale percepibile dall’abitazione; QS = indice di qualità dei servizi sociali di base; QP = indice di qualità dei percorsi casa - servizi sociali di base.

QSR

QSA QSS

QA QC QS QP

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Cap. 9: Il ruolo della ICT nelle politiche locali: applicazioni e casi di studio _____________________________________________________________________________________________________________

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Quindi alla base vi sono quattro indici (QA, QC, QS e QP), ciascuno dei quali è ottenuto attraverso una sommatoria ponderata del tipo:

Qi = f(A1+A2+A3+A4)

Successivamente, risalendo il triangolo attraverso una serie di sommatorie ponderate si otterrà un indice finale che indicherà o lo stato complessivo dell’area analizzata.

Figura 9-17. Cartografia di base di una porzione residenziale di Reggio Emilia

LEGENDA

Viabilità

Percorsi pedonali

Residenze

Bassi fabbricati

Cortili

Servizi

Aree verdi

Verde per sport

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Cap. 9: Il ruolo della ICT nelle politiche locali: applicazioni e casi di studio _____________________________________________________________________________________________________________

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Figura 9-18. Mappa relativa all’indice di qualità dell’offerta dei servizi (i valori oscillano da 1, valore ottimale, a valori prossimi allo zero, quindi non ottimali) Legenda

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CAPITOLO 10

Un modello per la realizzazione di un network territoriale

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Cap. 10: Un modello per la realizzazione di un network territoriale _______________________________________________________________________________________________

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Cap. 10: Un modello per la realizzazione di un network territoriale _______________________________________________________________________________________________

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Territorio del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili: Province: Rieti, Roma Comuni: Licenza, Marcellina, Monteflavio, Montorio Romano, Moricone, Orvinio, Palombara Sabina, Percile, Poggio Moiano, Roccagiovine, San Polo dei Cavalieri, Scandriglia, Vicovaro Superficie territoriale del Parco: 18.204 ettari Sede del parco: Palombara Sabina (Rm), Piazza Vittorio Veneto, 12 Tel. 0774 637027; fax 0774 637060 Sito: www.parks.it/parco.monti.lucretili

Figura 10.1. Il territorio del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili (province di

Roma e Rieti)

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Cap. 10: Un modello per la realizzazione di un network territoriale _______________________________________________________________________________________________

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10.1 Obiettivi generali La procedura che si intende sviluppare è volta alla realizzazione di un progetto di rete informativa e formativa territoriale. Questo progetto quindi, nei suoi termini generali, intende dare vita ad un possibile modello di rete territoriale dove l’elemento ICT caratterizzerà i vari progetti che troveranno attuazione. La realizzazione di questa rete permetterà all’Ente Parco e al territorio dei Lucretili di dare vita ad una iniziativa capace di operare contemporaneamente in due ambiti spaziali:

1. una primo ambito, esterno e rivolto all’ambito territoriale regionale, è inteso a facilitare la futura integrazione del territorio gestito dal Parco nella rete ambientale regionale. Quest’ultima si sta delineando nelle sue linee essenziali costituendo un sistema su scala regionale integrato per mezzo di reti telematiche, ed i cui obiettivi sono: creare, per l’appunto, un sistema a rete per l’educazione e l’informazione in

campo ambientale che utilizzi anche le tecnologie della ICT; promuovere e far conoscere parchi e riserve; valorizzare l’area protetta nelle economie locali (ad esempio il turismo

sostenibile); educazione ambientale, recupero delle identità culturali.

2. Una seconda componente, a carattere interno al territorio del Parco, consiste nello sviluppo di una serie di progetti, incentrati sulla ICT e volti a favorire ed incrementare le capacità gestionali del territorio, soprattutto in termini di efficienza e trasparenza (ad esempio per le informazioni ambientali), ma anche a fornire un supporto comunicativo tra i differenti soggetti attivi permettendo, così, il raggiungimento di obiettivi specifici quali: attuazione di politiche di e-government; garantire l’accesso e la trasparenza di tutti i dati ambientali in formato

semplice e comprensibile per tutti i fruitori; utilizzazione dei banche dati strutturate su differenti componenti in modo da

permettere una lettura integrata dei fenomeni ambientali, favorendo, in questo modo, la ricerca; favorire la partecipazione dei cittadini ed associazioni nella definizione delle

scelte strategiche; promozione dello sviluppo sostenibile attraverso una politica strutturata sugli

indicatori di sostenibilità redatti, per quanto possibile, su processi partecipati; promozione di una politica diretta ad una alfabetizzazione informatica

anche attraverso strumenti di e-learninig.

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Cap. 10: Un modello per la realizzazione di un network territoriale _______________________________________________________________________________________________

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Figura 10.2. La rete regionale costituita dai Laboratori Territoriali (LabTer) Regionali: (Montorio Romano (RM) P.N. Monti Lucretili; Gianola (LT) P.S.N. Gianola e Monte Scauri; Caprarola (VT) R.N. Lago di Vico; Posta Fibreno (FR) R.N. Posta Fibreno; Varco Sabino (RI) R.N. Monte Navegna e il Laboratorio per l’Educazione Ambientale (LabNet) sito nel comune di Sabaudia (Parco Nazionale del Circeo)

Figura 10.3. Sopra, la struttura IN.F.E.A. – INformazione, Formazione, Educazione Ambientale – la quale, su scala regionale, è costituita da poli ubicati in ciascuna delle provincie.

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Cap. 10: Un modello per la realizzazione di un network territoriale _______________________________________________________________________________________________

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10.2 Background generale per sviluppo del framework Il modello progettuale proposto, che mobilita una pluralità di soggetti nella sua attività di costruzione, si articola secondo un background generale incentrato su due componenti: teoria dei sistemi, sia per la definizione del modello generale (network) che per

quello necessario alla creazione di una base informativa strutturata sugli indicatori di sostenibilità; documenti politici per definire le linee generali volte ad attuare un possibile

modello di sviluppo sostenibile. Con riguardo alla prima componente, l’analisi teorica che si è fatta nei capitoli precedenti ha mostrato che si tratta di un paradigma che può applicarsi a differenti livelli teorici e di formalizzazione, e ciò a secondo del contesto disciplinare e del livello di descrizione. Ciò ha permesso di traslare il sistema reale in un modello sistemico. E’, inoltre, necessario ricordare che l’approccio sistemico ci garantisce una rappresentazione delle relazioni tra le varie componenti con una conseguenziale interdisciplinarietà e multilinearità. Come vedremo meglio successivamente, questa multidimensionalità, disciplinare e cognitiva, permette una naturale congiunzione con tecniche digitali. Riguardo invece alla componente politica, essa fa’ direttamente riferimento ad alcuni documenti internazionali, quali la Convenzione di Aarhus, la Carta di Ferrara o la Carta di Åalborg, nonché a norme comunitarie quali la “Convention on Access to Information, Public Participation in Decision-Making and Access to Justice in Environmental Matters” (1) (UN/ECE, 1998). Con particolare riferimento a quest’ultimo documento, tra le altre cose, in esso si da’ grande risalto alla necessità per i cittadini ad accedere non solo alle informazioni ambientali2 ma anche alla costruzione e definizione delle decisioni politiche che riguardano la comunità facendo in modo che progressivamente queste informazioni divengano disponibili in formato elettronico. Le politiche ambientali devono essere basate sul confronto con i soggetti sociali interessati e tradursi in strategie condivise. Una decisione concertata con i destinatari e costruita con un alto tasso di consenso è una decisione democratica che ha più probabilità di essere attuata in modo ottimale grazie alla collaborazione di tutti. E' anche una decisione di migliore qualità: i cittadini e, in particolar modo le associazioni di protezione ambientale o in altro modo rappresentative, sono depositari di preziose conoscenze relative alla situazione del territorio, alle esigenze ambientali locali e agli interessi di chi vi abita. Anche in questo caso si stabilisce il diritto, per il pubblico interessato, di partecipare ai processi decisionali relativi all'autorizzazione per quelle attività aventi impatto ambientale significativo, nonché all'elaborazione di piani, programmi, politiche e atti normativi adottati dalle autorità pubbliche. Agli interessati deve essere garantita la possibilità di presentare osservazioni, di cui le autorità pubbliche devono tener conto.

1 “…improved access to information and public participation in decision-making enhance the quality and the implementation of decisions, contribute to public awareness of environmental issues, give the public opportunity to express its concerns and enable the public authorities to take due account of such concerns…” ed, ancora: “each party shall ensure that environmental information progressively becomes available in electronic databases, which are easily accessible to the public through public telecommunications networks…” (UN/ECE 1998).

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Cap. 10: Un modello per la realizzazione di un network territoriale _______________________________________________________________________________________________

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10.3 Attori coinvolti e ruoli Elemento caratterizzante tale modello è rappresentato dal concetto di network. Nel presente paragrafo si auspica la creazione di un network costituito in primo luogo dell’Ente Parco, dal Laboratorio Territoriale di Montorio Romano e degli Istituti scolastici. Quindi altri soggetti come i Comuni, le associazioni, l’Università e, ovviamente, i cittadini.

Figura 10.4. I soggetti facenti parte del Network ed i legami che compongono la rete. Lo spessore delle linee e direttamente proporzionale al legame: minore (linee sottili; maggiore (linee spesse). Questi soggetti saranno parte attiva nel promuovere tutte quelle azioni volte al raggiungimento degli obiettivi programmatici: Essi, inoltre, saranno di volta in volta fruitori o produttori di conoscenza. Ad esempio:

i cittadini potranno accedere ad informazioni a carattere ambientale, sociale o economico altrimenti non raggiungibili, Ma anche utilizzare gli strumenti della ICT in processi formativi;

i decision-makers, ovvero coloro, tecnici o politici, che dovranno agire sulle leve di comando per l’attuazione del percorso progettuale potranno trovare i necessari supporti per decisioni politiche;

studenti ed insegnanti, come soggetti primari nella promozione di progetti formativi e nell’attuazione di programmi di educazione ambientale e di progettazione partecipata;

LabTer, Università, Associazioni culturali. Questi soggetti possono:

• favorire lo sviluppo di programmi di studio e corsi interdisciplinari che favoriscano l'integrazione delle problematiche delle sviluppo sostenibile all'interno delle singole discipline;

• introdurre codici di condotta etica nella ricerca, orientati ai principi dello sviluppo sostenibile;

• sviluppare partnerships di ricerca applicata con il mondo imprenditoriale e con organizzazioni della società civile a livello locale;

ENTE PARCO

Cittadini

Associazioni Amministrazioni locali

Realtà produttive

LabTer

ScuoleUniversità

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Cap. 10: Un modello per la realizzazione di un network territoriale _______________________________________________________________________________________________

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• promuovere attività di divulgazione scientifica per tutti i cittadini; • promuovere momenti di aggiornamento professionale sulle implicazioni

delle problematiche delle sviluppo sostenibile all'interno delle attività delle varie categorie.

Impresa e Commercio. Tali soggetti potranno:

• elaborare politiche orientate verso una produzione a basso impatto ambientale;

• garantire una gestione responsabile ed etica dei prodotti e dei processi sotto il profilo sanitario, della sicurezza e dell'ambiente;

• introdurre sistemi di gestione ambientale (Reg. U.E. Eco-Management e Auditing -EMAS, ISO14001);

• investire nelle tecnologie più pulite e nella progettazione di eco-prodotti previo un'analisi del ciclo di vita dei prodotti (Life Cycle Assessment) e l'eco-design;

• introdurre sistemi di contabilità ambientale;

• incoraggiare i fornitori ed i rivenditori ad adottare standard ambientali nei loro prodotti e servizi;

• promuovere la formazione e il dialogo fra i dipendenti nella gestione e nell'uso eco-efficiente delle risorse;

• promuovere la comunicazione esterna sulle prestazioni ambientali dell'impresa, mediante la redazione di rapporti - bilanci ambientali periodici;

• adottare accorgimenti per salvaguardare la sicurezza e la salute dei dipendenti e delle comunità locali;

• istituire delle strutture di servizi e di consulenza ambientale per le piccole imprese e per l'artigianato;

• potenziare la ricerca di soluzioni tecnologiche e gestionali in campo ambientale;

• coinvolgere altre imprese in progetti di partenariato su progetti ambientali e di sviluppo sostenibile a livello locale;

lavoratori e organizzazioni sindacali che possono elaborare, insieme alle imprese, politiche e strategie di produzione sostenibili dal punto di vista ambientale, economico e sociale, sostenere l'introduzione di tecnologie più pulite orientate al miglioramento della qualità dei prodotti e della loro sicurezza nonché alla riduzione dell'impatto ambientale (es. Regolamento U.E. EMAS e ISO 14OO1);

turisti. Anche per i potenziali turisti il framework ha immaginato, all’interno di un modello eco-turistico, una serie di informazioni che permetteranno, in sinergia con gli altri progetti, di creare una scelta qualitativa tanto per i potenziali utenti che per il territorio.

Dall’insieme di tutte queste attività sarà possibile trarre molteplici vantaggi, quali:

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Cap. 10: Un modello per la realizzazione di un network territoriale _______________________________________________________________________________________________

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introduzione di percorsi formativi ed informativi relativi alle tematiche ambientali al fine di accrescere tanto l’informazione e, conseguenzialmente, la sensibilità dei cittadini verso la salvaguardia del proprio territorio. In tal senso si provvederà a: • far conoscere e valorizzare i progetti realizzati come contributo allo sviluppo

sostenibile a livello locale; • far conoscere e valorizzare le esperienze di buone pratiche e le iniziative già

messe in atto da altre amministrazioni nella realizzazione di percorsi verso lo sviluppo sostenibile;

• promuovere la partecipazione attiva di tutti, in particolare dei giovani, alla definizione ed attuazione di progetti innovativi da attuare sul territorio;

• la maggiore informazione favorirà una reciproca conoscenza tra i differenti soggetti sociali; in particolare ciò favorirà, ad esempio, la conoscenza delle le problematiche del mondo delle imprese ad un ampio numero di attori;

fornire impulsi per studi e ricerche per una migliore analisi delle problematiche ambientali inerenti la realtà locale, ma anche per avvicinare il mondo della ricerca e delle professioni ad altri attori sociali, economici ed istituzionali. Ciò permetterà anche di capire ed anticipare i bisogni di altri attori sociali, culturali ed istituzionali;

partecipare in modo attivo alla definizione di progetti innovativi sul territorio locale;

intraprendere progetti di parteneriato con altri attori per lo sviluppo sostenibile.

10.4 Prerequisiti politici e tecnici per lo sviluppo di un modello sostenibile di governo dell’informazione in ambito locale Come si è ampiamente discusso nei capitoli precedenti, prima di dare vita la modello informativo per la gestione di un processo sostenibile, è necessario delineare le necessarie azioni politiche e tecniche per l’attuazione di un tale progetto. Cominciamo con il definire quelle che sono le azioni politiche necessarie in ambito locale per creare le condizioni favorevoli all’attuazione di tale progetto. In tal senso, possiamo dire che necessariamente il primo elemento al fine di attuare un modello progettuale sostenibile è rappresentato dal rafforzamento dell’azione democratica od anche di e-democracy, ovvero di azioni volte a favorire ed incrementare la partecipazione dei cittadini alla vita delle istituzioni democratiche sia attraverso un ampio accesso alle informazioni di base, sia per mezzo di una crescita sociale e culturale di tutto il tessuto socio-economico. In tale ottica le nuove tecnologie digitali possono dare un significativo contributo a tali processi, a patto che vi siano delle pre-condizioni generali, il solo rispetto delle quali può permettere un uso intelligente delle risorse umane, naturali ed economiche. Senza queste pre-condizioni vi saranno azioni non coordinate, con conseguente dispendio di risorse e con la forte possibilità di

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generare ulteriori problemi piuttosto che alleggerirli. In tal senso possono individuarsi le seguenti condizioni politiche e tecniche:

1. cultura di governo, ovvero comprensione, da parte del personale politico, sia delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie che dei vantaggi etici e politici derivanti dall’ascolto dalla partecipazione dei cittadini;

2. cultura organizzativa delle strutture amministrative; questo significa avere le idee chiare sulla scorta di un progetto di ingegneria amministrativa; ciò favorirà un uso razionale delle risorse finanziarie ed umane, e ridurrà al minimo i deficit comunicativi sia tra le varie branche dell’amministrazione e tra queste ultime ed i cittadini;

3. attivazione di processi di democrazia partecipata, sia con l’ausilio dei tradizionali canali di comunicazione che attraverso la ICT. In tal modo si potrà avere una platea allargata e strutturata tanto su una dimensione virtuale che su quella face to face, incrementando le relazioni fra i cittadini e fra cittadini e istituzioni;

4. interventi tecnico-politici volti a promuovere politiche in termini di e-access ed e-content. In tal senso è importante un’azione sinergica tra soggetti pubblici, soggetti privati ed associazionismo.

Figura 10.5. I tre momenti per la costruzione di una rete informativa territoriale: attuazione di una serie di pre-requisiti necessari alle successive fasi del progetto; costituzione e costruzione del network con i differenti attori; attuazione di progetti.

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Se per i punti 1,2 e 3 l’azione è essenzialmente politica, per il punto 4 è fondamentale un’azione sincronica della componente politica con quella tecnica. Difatti, l’accesso (e-access) ed i contenuti (e-content), sono aspetti da definire su base programmatica e dove la componente politica viaggia parallelamente a quella tecnica. Ad esempio, per garantire l’accesso risulta necessario fornire agli attori locali, non solo la capacità fisica ad accedere alle nuove tecnologie (e quindi anche alle reti intranet od internet), ma anche fornire una base culturale che permetta un corretto e consapevole uso delle stesse. Più politico è, invece, l’aspetto legato ai contenuti. Difatti esso rappresenta la capacità del governo locale a gestire processi informativi o servizi interattivi, come ad esempio le informazioni riguardanti l’assetto ecologico del Parco, informazioni turistiche od informazioni con contenuti utilizzabili da aziende che servono il mercato locale, organizzazioni sociali, istituti scolastici, etc.

A conclusione del presente paragrafo si sottolinea la necessità di prevedere un serio piano di comunicazione diretto ai differenti attori che dovranno contribuire all’attuazione del progetto. Difatti, sebbene il consenso politico e sociale intorno al progetto di network sia importante, esso da solo non garantisce il buon esito dell’iniziativa senza che venga predisposta una efficace azione di comunicazione e formazione tale da rendere il progetto un progetto condiviso dai cittadini e dalle amministrazione locali. E proprio queste ultime dovranno considerare il network non solamente nei suoi aspetti immediatamente operativi (avvio effettivo delle azioni previste) ma anche nel suo essere uno strumento integrato che deve interagire con tutti gli strumenti, ordinari e straordinari, di programmazione territoriale e settoriale, di gestione interna, di investimento, di spesa. Non si tratta di una scommessa facile. Le resistenze al cambiamento, l’affezione alle proprie sfere di competenza, la difficoltà all’interazione ed al lavoro di gruppo sono ovviamente diffuse nelle amministrazioni di tutto il mondo. Ma si tratta di una scommessa fondamentale per il buon esito del progetto. Anche in questo caso (e forse soprattutto in questo caso) non esistono soluzioni preconfezionate ed universalmente valide: ogni ente locale, ogni amministrazione, ogni comunità hanno le loro specificità, ed è bene partire da queste per impostare un percorso convincente. Ricordiamo che in tale procedura di costruzione del consenso e della partecipazione diverranno soggetti attivi il LabTer, il Parco, le Scuole e l’Università. E’ opportuno promuovere nelle forme più adeguate ed efficienti il permanere di una struttura di consultazione e di comunicazione che garantisca la partecipazione del pubblico interessato anche a tutti i successivi e principali momenti di avanzamento e realizzazione del progetto. L’Amministrazione locale deve fare la sua parte, in particolare il ruolo fondamentale di indirizzare, facilitare e coordinare.

10.5 Struttura generale del framework La procedura che verrà elaborata vuole fornire un framework generale per un processo sostenibile, attraverso la creazione di un sistema strutturato di informazioni (sulla base di opportuni indicatori) analizzato e governato con strumenti della ICT al fine di

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garantirne anche la diffusione e la condivisione con la cittadinanza. In tal senso si è delineato il seguente percorso:

a. modellazione del sistema. E’ cioè essenziale una comprensione di quelle che sono le principali componenti del sistema, poiché solo in questo modo sarà possibile selezionare i giusti indicatori;

b. identificazione degli indicatori rappresentativi, ovvero la capacità di definire gli indicatori che meglio esprimono il modello sistemico sopra definito. E’ questa senz’altro un’operazione molto delicata in quanto gli “equilibri” in gioco sono sensibili alle diverse variabili: numero degli indicatori, rapporto costi/benefici, dato quantificativi o qualitativo, etc.. le informazioni capaci di esprimere, nel miglior modo possibile, tanto lo stato del sistema che le possibili evoluzioni tendenziali dello stesso;

c. analisi governo della base dati, ovvero rendere possibile un quadro d’assieme capace di esprimere, con buona approssimazione, lo stato del sistema o le sue evoluzioni tendenziali; ciò richiede la trasformazione dei dati forniti dagli indicatori in flusso di informazione;

d. processo comunicativo e partecipativo, ovvero fare in modo che il flusso informativo sia incanalato in modo da costituire una vera e propria base informativa per la cittadinanza e/o per altri soggetti, istituzionali e non.

10.5.1 Punto a.: modellazione del sistema In questo paragrafo andiamo a modellare la struttura generale del framework, all’interno del quale troveranno posto quelle che saranno le componenti essenziali che disegnano il nostro territorio. Questo modello fa chiaramente riferimento a modelli elaborati da differenti organismi, seppure presenta spunti di originalità che lo differenziano dai precedenti. In particolare si considerano le varie componenti sub-sistemiche in termini di coevoluzione, ovvero reciproca interazione tanto del sistema naturale che di quello umano. In tal senso si considererà il sistema antroposferico come composto da sei sub-sistemi:

sviluppo dell’individuo, ovvero favorire processi di equità, tanto in termini sociali che economici, il diritto alla salute, il diritto al lavoro, l’integrazione sociale e la partecipazione, la famiglia;

sistema sociale, ovvero la capacità di costruire un processo di crescita sociale che sappia produrre benefici per ogni componente della società. Questo aspetto è fortemente legato a differenti componenti culturali che caratterizzano il livello di legame tra le diverse componenti della società. Tra le componenti principali possiamo considerare la crescita demografica, la sicurezza sociale, la distribuzione del reddito e la struttura delle classi, i gruppi sociali e le organizzazioni, l’assistenza sanitaria;

governo, ovvero la capacità delle varie Amministrazioni Locali a garantire trasparenza amministrativa ed efficienza nell’azione di governo. Questa componente risulta essere essenziale in quanto dal suo corretto funzionamento ne beneficiano, direttamente o indirettamente, le altre

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componenti quali, ad esempio, quella naturale e quella sociale. Tra le componenti ricordiamo le finanze pubbliche e la tassazione, le politiche di democrazia e partecipazione, le politiche per l’innovazione tecnologica;

infrastrutture/servizi, ovvero l’incidenza della rete infrastrutturale sul territorio del Parco, nonché la capacità del sistema, attraverso l’interrelazione con altre componenti politiche, sia esse locali che nazionali, a realizzare tutte quelle opere necessarie ad un corretto e razionale sviluppo economico e socio-politico. Tale componente si caratterizza quindi sia attraverso l’analisi del sistema delle comunicazioni, che attraverso una corretta politica dei rifiuti, il sistema sanitario e le opportunità educative;

sistema economico, ovvero produzione e consumi, commercio e scambi, lavoro ed occupazione, redditi, mercato locale;

risorse ed ambiente, ovvero tutte quelle risorse naturali, rinnovabili o non. Quindi parliamo di ambiente naturale, atmosfera e idrosfera, risorse naturali, ecosistemi, specie, spreco delle risorse non rinnovabili, riciclaggio, inquinamento, degradazione, capacità di carico, rifiuti, etc.

Questa classificazione, ovviamente non arbitraria, è strutturata nel tentativo di individuare tutti quei sub-sistemi che costituiscono il sistema antroposferico, cercando al contempo di fornirne una rappresentazione modellistica che tenta di analizzarne il grado di sostenibilità. Tutti questi sub-sistemi sono, quindi, elementi essenziali del sistema totale, costituendo un modello antroposferico con le relative interdipendenze. Cerchiamo ora di capire in che termini può parlarsi di sostenibilità del sistema. Ebbene un sistema complesso di tal tipo può definirsi sostenibile allorquando si definisce un framework ed un processo analitico capace di generare un valido sistema di indicatori. In tal senso è necessario generare un gruppo di indicatori, ovvero un sistema di variabili, che possa permettere la registrazione e l’analisi, attraverso un flusso informativo, di tutte quelle componenti essenziali a comprendere lo stato del sistema e la sua tendenza. Come si può vedere in figura 10.6, le sei componenti sono state scisse in tre sottosistemi, ovvero sottosistema umano, sottosistema di supporto e sottosistema naturale. Questa scissione si rende necessaria per il controllo di tutto il sistema attraverso un numero accettabile di indicatori di sostenibilità. Questa scissione corrisponde ad una forma di aggregazione spesso usata nelle analisi di sostenibilità e corrispondente a tre forme di capitale: umano, strutturale e naturale. L’elemento essenziale nella definizione degli indicatori è rappresentato della comprensione, non solo dei vari sottosistemi, ma anche delle interrelazioni che intercorrono tra questi

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Figura 10.6. Il modello concettuale relativo al sistema antroposferico e le relative componenti sub-sistemiche. Si sono, inoltre, evidenziate le interrelazioni che si instaurano tra queste (Fonte: Adattato da Bossell,1999)

Figura 10.7. Il modello relativo alla costruzione della base informativa, alla sua organizzazione, alla elaborazione dei dati e, quindi, la successiva divulgazione degli stessi o di sintesi rappresentative di determinate situazioni.

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Figura 10.8. La tipologia di informazione, nonché quella dei relativi soggetti interessati all’acquisizione della stessa.

10.5.2 Punto b): Sub-sistema informativo degli indicatori Identificazione del sistema di indicatori La costruzione del sistema degli indicatori è stata strutturata attorno ad una serie di indirizzi scientifici e politici atti a garantire quelle condizioni generali che permettessero la buona riuscita del progetto. Tali indirizzi sono:

a) realizzare un sistema di indicatori in grado di descrivere, attraverso un sistema informativo, il modello teorico rappresentativo dell’area;

b) optare per un sistema di indicatori con una base dati minima in modo da garantire flessibilità e governabilità dell’informazione;

c) uso di dati reperibili ed in grado di permettere il continuo monitoraggio; d) leggibilità dell’indicatore, ovvero facilità nell’interpretazione del messaggio

che esso deve trasmettere; e) temporalità e comparabilità, ovvero permettere l’estrapolazione di trend

temporali nonché l’esecuzione di comparazioni sia all’interno dell’area oggetto di studio che con altre;

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f) significatività, ovvero l’indicatore deve permettere, sulla scorta del messaggio che ci trasmette, azioni preventive;

g) permettere, ogni qualvolta è possibile, un ruolo significativo dei cittadini nella definizione degli indicatori.

Ebbene, sulla scorta di questi principi generali, si è optato per un sistema di indicatori articolato su tre componenti:

indicatori di base, strutturati su di un nucleo specifico e specialistico di indicatori; indicatori di progetto, ovvero quel gruppo di indicatori che di volta in volta

verranno definiti relativamente a specifici progetti che le amministrazioni vorranno monitorare; indicatori comuni europei (ECI).

Figura 10.9. Le tre tipologie di indicatori. Esse potranno avere elementi in comune come, ad esempio, l’indicatore uso del suolo. In particolare voglio sottolineare che l’uso degli indicatori comuni europei (ECI), sebbene essi siano stati concepiti essenzialmente per ambienti urbani, può permettere, anche attraverso un loro parziale uso, tanto una comparazione con altre realtà italiane od europee che un risparmio in termini di tempo e soldi poiché alcuni di questi indicatori possono trovare facile integrazione nel gruppo degli indicatori di base. Vi è, quindi, uno sforzo teorico di esplicitare e rendere sinergico il rapporto tra una possibile modellazione della sostenibilità, cioè un sistema che possa essere confrontato con uno stato teorico di riferimento, sistemi di trattamento digitale dei dati e processi di democrazia allargata. In particolare, fra queste ultime tre componenti vi sono reciproche interazioni. Il lettore può facilmente rendersi conto di ciò notando che il rapporto relazionale tra un sistema digitale e il modello di sostenibilità è usualmente caratterizzato dal trasferimento degli attributi delle tabelle relazionali alla griglia del modello spaziale, presentando un punto critico allorquando si dovrà rapportare il suddetto modello con il sistema GIS. In tale fase il sistema GIS non sarà solo uno strumento di visualizzazione del modello, ma sarà parte attiva nella costruzione dei parametri del modello. Conseguenzialmente interfacciare uno strumento GIS ad un modello di sostenibilità vuol dire sia definire i livelli informativi da

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impiegare sia trovare un equilibrio tra le strutture semantiche impiegate nei due sistemi. Allo stesso modo è facile comprendere le mutue relazioni tra modello della sostenibilità e componente democratica o tra sistemi digitali e processi democratici.

Figura 10.10. Le reciproche interrelazioni tra il modello di sostenibilità, i sistemi digitali per il trattamento dei dati ed i processi di democrazia allargata.

Come accennato all’inizio, gli indicatori di base rappresentano quel set minimo di dati capace di poter garantire una descrizione almeno sufficiente dell’ecosistema in esame. In tal senso questo gruppo di indicatori è stato caratterizzato da una serie sub-sistemi, ognuno dei quali composto da varie categorie in modo tale da ottenere una descrizione del modello teorico definito all’inizio. In tal modo si è ottenuto il seguente quadro:

- sistema degli indicatori di base sistema antropico

• sub-sistema sociale o indicatori

• sub-sistema di governo o indicatori

• sub-sistema sviluppo individuo

sistema economico/infrastrutturale • sub-sistema economico

o indicatori • sub-sistema delle infrastrutture

o indicatori • sub-sistema dell’uso dei suoli

sistema naturale • sub-sistema flora

o indicatori • sub-sistema fauna

o indicatori

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• sub-sistema delle acque o indicatori

• sub-sistema agricolo o indicatori

Figura 10.11. La struttura generale degli indicatori con i vari sub-sistemi

La tabella sotto mostra l’architettura del sistema informativo sulla scorta degli indicatori individuati e selezionati. La mancanza degli indicatori di progetto è dovuta al fatto che essi andranno strutturati di volta in volta, anche attraverso la partecipazione della cittadinanza.

Architettura del sistema informativo

DATI SETTORE ATTIVITA’ PRINCIPALE INPUT DEI DATI

A - sistema antropico A1Sub-sistema sociale BASE

Analisi dei dati ISTAT sulle dinamiche della popolazione

Popolazione per classe dimensionale dei Comuni (AQN) annuale

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Densità Suddivisione per sesso, età, stato civile, etc.

Nuclei familiari, nr. di famiglie e figli Tasso migratorio ed immigratorio per Comune

…. mercato abitativo Analisi del mercato abitazioni (AQN) annuale

attività di educazione ambientale n° visite guidate, corsi formativi (AQN) annuale

n° di scolaresche giunte in visita al Parco (AQN) annuale

Cultura e promozione n° di iniziative culturali attuate (AQN) annuale n° di convegni organizzati (AQN) annuale

n° di pubblicazioni a carattere divulgativo prodotte (guide, depliant ecc.) (AQN)

Accettabilità sociale del Parco

Valutazione della disponibilità dei residenti verso il Parco; quantità residenti favorevoli (AQN) Problematiche percepite ((AQL)

triennale

A2 – Sub-Sistema di governo Situazione economica degli enti

locali Bilanci degli enti locali (AQN) annuale

Rispondenza dell’ente Parco alle aspettative della

popolazione (link con ECI nr.1)Si veda ECI nr.1

Trasparenza degli atti amministrativi

% degli atti resi pubblici (anche via web) sul totale (AQN) annuale

Progetti di riqualificazione ambientale

Numero di progetti promossi dall’Ente Parco (AQN)

Pubblicazioni divulgative Quantificazione della produzione di pubblicazioni atte a promuovere la conoscenza del parco (AQN)

annuale

Centri visita/ecomusei Indicazione dell’offerta ricreativa e formativa dell’Ente Parco (AQN et AQL) annuale

Politiche volte a sostenere l’economia locale

Quantificazione delle politiche volte a sostenere i prodotti locali (AQN et AQL) annuale

Efficacia della sorveglianza del territorio

Adeguatezza della sorveglianza in rapporto all’area del parco. Numero di guardie/area parco (AQN et AQL)

biennale

A3 - Sub-Sistema sviluppo dell’individuo

Sistema educativo Nr e tipologia degli Istituti scolastici presenti nel territorio (AQN) triennale

Nr di biblioteche (AQN) biennale % mortalità infantile (AQN) annuale Aspettativa di vita (AQN) triennale B - sistema economico/infrastrutturale

B1 - Sub-Sistema economico

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Cap. 10: Un modello per la realizzazione di un network territoriale _______________________________________________________________________________________________

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Mercato del lavoro Analisi del mercato del lavoro su dati ISTAT (AQN) annuale

tipologie delle strutture produttive (AQN et AQL) annuale

aziende certificate (AQN) annuale promozione delle attività

tradizionali localin° di prodotti tipici prodotti all’interno del Parco (AQN) annuale

n° di prodotti recanti il logo del Parco (AQN) annuale

n° di iniziative a favore dell’economia artigianale locale (AQN) annuale

n° di visitatori presso i centri visite (AQN) annuale Turismo sostenibile n° giorni presenze/anno (AQN) annuale

n° aree di sosta/ Km2 di superficie del parco (AQN) annuale

Km di piste ciclabili / Km2 di superficie del parco (AQN) annuale

n° visitatori/area visitabile (AQN) annuale n° di giornate turistiche per persona.

(AQN) annuale

Risorse termali e presenza negli impianti Nr. visitatori annui (AQN) annuale

B3 - Sub-Sistema dei servizi

contesto sanitario dati sugli istituti ospedalieri pubblici e privati (AQN et AQL) biennale

contesto epidemiologicoinformazioni sulle principali patologie confrontate con la media regionale (AQN)

biennale

rete di viabilità interna al territorio protetto (link cone ECI

nr.9)

Km di percorsi ferroviari, stradali (per tipologia)/ Km2 di superficie del parco annuale

n° di veicoli in transito (AQN) annuale costruzione/manutenzione delle

infrastrutturen° di attività effettuate (costruzione di camminamenti, argini, massicciate, ristrutturazione di edifici ecc.) (AQN)

triennale

Rete idrica Stato della rete idrica nel territorio del Parco (AQN) triennale

Consumi idrici Valutazione della pressione antropica sulle risorse idriche (AQN) triennale

Acque Qualità delle acque (AQL) triennale Depurazione delle acque % della popolazione totale (AQN) triennale

B4 - Sub-Sistema dell’uso dei suoli

Link con ECI nr.9 C - Sistema naturale C1 - Sub-Sistema flora

stato della vegetazione grado di scostamento tipi vegetazionali censiti da check list di riferimento (AQN) annuale

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classi di frequenza dei complessi di vegetazione (AQN) annuale

frequenza di complessi vegetazionali a stadi più avanzati (per es. bosco di alto fusto)/frequenza di complessi vegetazionali a stadi più degradati (per es. aree desertiche) (AQN)

annuale

grado di biodiversità sommatoria pesata del numero di specie animali e vegetali presenti su una determinata area (ottenuta dall’integrazione dei dati ricavati dai censimenti floro-faunistici) (AQN)

annuale

diversità regionale: γ-diversità = α-diversità x β-diversità; (dove α-diversità = n° di specie per habitat e β- diversità = n° di habitat individuati) (AQN)

annuale

ricchezza in specie di Margalef: (S-1)/log N (dove S = n° di specie; N = n° di individui) (AQN)

annuale

indice di Shannon: - . (Ni/N) log (Ni/N) (dove N = n° totale di individui; Ni = n° di individui della specie i-esima) (AQN)

annuale

Eventuali specie di interesse comunitario (direttiva habitat) (AQN) annuale

rete ecologica stima, mediante l’utilizzo di una scala di riferimento, dei valori di connettività, dispersione e frammentazione degli habitat (AQN)

annuale

n° di habitat isolati (AQN) annuale n° di corridoi ecologici presenti (AQN) annuale analisi del flusso genico fra aree diverse annuale individuazione e caratterizzazione delle

aree source-sink (AQN) annuale

grado di connessione con altre aree ambientalmente rilevanti presenti nella zona (AQN)

annuale

Incendi boschivi Nr di incendi in un anno (AQN) annuale C2 - Sub-Sistema fauna

stato della fauna fauna poteziale/fauna effettivamente riscontrata; (AQN) annuale

presenza, abbondanza e distribuzione di specie chiave; (istrice, tasso, lepre, scoiattolo etc) (AQN)

annuale

n° di specie inserite nella lista rossa delle specie maggiormente minacciate. (AQN)

annuale

Bracconaggio Valutare gli impatti antropici sulla fauna (AQN) annuale

progetti scientifici Progetti di ricerca promossi dall’ente parco (AQN) annuale

C3 - Sub-Sistema geologico stato geologico ed idrogeologico processi geomorfici e forme del terreno

formazione di detriti (aree di accumulo)

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erosione (intensità, numero ed estensione di aree sottoposte)

C4 - Sub-Sistema agricolo

Variazione della sup. agricola utilizzata

Variazione della sup. agricola utilizzata nel corso degli ultimi decenni (AQN) annuale

Produzioni locali Valutazione della presenza e consistenza dell’agricoltura locale (AQN et AQL)

annuale

Aziende agricole Quantità delle aziende annuale Aziende agricole certificate per

produzioni biologicheQuantità delle aziende annuale

Occupazione nel settore agricolo (AQN) annuale

Agriturismo Agriturismi esistenti (AQN) annuale AQN = analisi quantitativa AQL = analisi qualitativa

Nella tabella di cui sopra si è delineato un modello generale di possibili indicatori da inserire all’interno di un sistema informativo. Come si vede alle tre tipologie corrispondono una serie di sub-sistemi, rispettivamente riferiti alla componente sociale, economica, agricola, ambientale e così via. Al primo sottogruppo fanno riferimento tutti quei dati atti ad analizzare la componente antropica, ovvero quella tipologia di dati riferita alla demografia, al mercato delle abitazioni, quello delle infrastrutture socio-culturali, nonché quello riferito alle capacità di governo. Riguardo al secondo sottogruppo di dati (sistema di supporto), essi fanno riferimento al sistema dei servizi, sanitari od infrastrutturali esistenti sul territorio, che al sistema economico in alcune sue componenti essenziali, quali eco-turismo ed attività legate all’agricoltura od artigianato. Infine, i dati riferiti al sistema naturale fanno diretto riferimento alla descrizione in termini di fauna, flora, ma anche al sistema geologico, agricolo e paesaggistico. In riferimento agli indicatori comuni europei, si tratta di un set di indicatori i cui obiettivi generali sono:

rappresentare la realtà locale in modo semplice e comprensibile a tutti i cittadini; identificare ed analizzare le variazioni generali; evidenziare le tendenze ed eventuali situazioni di degrado ambientale; favorire la lettura delle correlazioni tra i diversi fenomeni locali e consentire il

confronto tra la dimensione locale e quella regionale o nazionale; verificare la distanza dagli obiettivi ambientali fissati dalla normativa o raggiunti

da altre comunità locali; effettuare un bilancio sull’efficacia ed i risultati conseguiti a seguito

dell’attivazione di programmi o singole azioni.

Tali indicatori risultano particolarmente importanti nell’ambito di quei processi, come l’Agenda 21 Locale, dove vi sono forti connotazioni di natura partecipativa e di rispetto verso i bisogni e le esigenze di tutti i portatori di interesse. I dati relativi a tali indicatori possono essere reperiti mediante indagini dirette (per esempio, indagini

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demoscopiche) o stimati sulla base di informazioni ad essi correlate: la “sensibilità ambientale” dei cittadini, ad esempio, può essere dedotta dai comportamenti assunti dai singoli individui e dalla comunità per tutelare l’ambiente (acquisti verdi, prodotti biologici ecc.). Gi indicatori comuni europei consiste in un set composto da dieci indicatori, così strutturati:

1. soddisfazione dei cittadini rispetto alla comunità locale; 2. contributo locale al cambiamento climatico globale; 3. mobilità locale e trasporto passeggeri; 4. disponibilità di aree verdi e servizi locali per i cittadini; 5. qualità dell’aria all’esterno a livello locale; 6. spostamenti degli scolari verso e dalla scuola; 7. gestione sostenibile degli enti locali e delle imprese locali; 8. inquinamento acustico; 9. uso sostenibile del territorio; 10. prodotti che promuovono la sostenibilità.

Per avere un idea più dettagliata della loro struttura organizzativa, nel seguito descriveremo la scheda relativa all’indicatore nr.9 ECI relativo all’uso sostenibile del territorio. Una città sostenibile migliora l’efficienza nell’utilizzo del territorio all’interno della propria giurisdizione, protegge il territorio non edificato di valore elevato, il valore della biodiversità e le aree verdi dallo sviluppo, recupera e riutilizza le aree contaminate ed abbandonate (brownfield). La maggior parte delle città ed autorità urbane regionali portano avanti delle politiche mirate all’aumento delle densità urbane per mezzo dello sviluppo mirato. Esiste anche un vasto insieme di politiche a tutti i livelli per la protezione di siti di valore agricolo, paesaggistico ed ecologico capaci di sostenere la biodiversità, oltre a politiche Europee per il ripristino di aree abbandonate e contaminate. Per controllare l’uso sostenibile del territorio è opportuno ricorrere ai dati prodotti, in modo confrontabile per tutti i paesi dell’Unione, dal Corine Land Cover 3. Il primo indicatore è quello relativo alle aree artificiali: esso fornisce informazioni sull’ampiezza dell’area edificata in quanto “superficie modellata artificialmente” e la quota percentuale che essa rappresenta rispetto a tutta l’area di competenza del comune. Il vantaggio di questo indicatore è la sua capacità di registrare sia la 3 Il programma CORINE (COoRdination de l' INformation sur l'Environnement), varato dal Consiglio delle Comunità Europee nel 1985, ha lo scopo primario di verificare dinamicamente lo stato dell'ambiente nell'area comunitaria, al fine di orientare le politiche comuni, controllarne gli effetti, proporre eventuali correttivi. All'interno del programma CORINE, il progetto CORINE-Land Cover è specificamente destinato al rilevamento e al monitoraggio, ad una scala compatibile con le necessità comunitarie, delle caratteristiche del territorio, con particolare attenzione alle esigenze di tutela. Esso prevede la realizzazione di una cartografia della copertura del suolo alla scala di 1:100.000, con una legenda di 44 voci su 3 livelli gerarchici, e fa riferimento ad unità spaziali omogenee o composte da zone elementari appartenenti ad una stessa classe, di superficie significativa rispetto alla scala, nettamente distinte dalle unità che le circondano e sufficientemente stabili per essere destinate al rilevamento di informazioni più dettagliate. La legenda si articola su 3 livelli, il primo dei quali comprende 5 voci generali che abbracciano le maggiori categorie di copertura sul pianeta (Territori modellati artificialmente, territori agricoli, territori boscati e ambienti semi-naturali, zone umide, corpi idrici), il secondo 15, adatte ad una rappresentazione a scale di 1:500.000/1.000.000 e il terzo 44, con voci più dettagliate, adatte appunto ad una scala di 1:100.000.

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protezione effettiva di siti ecologicamente delicati (Direttiva Habitat) che il ripristino ed il riutilizzo di aree abbandonate: tutte le politiche mirate a limitare l’espansione della città verso aree agricole o naturali consentiranno un utilizzo minore di aree che non ricadono nella categoria delle “superfici modellate artificialmente”. Ai fini della misurazione dell’efficienza nell’utilizzo del terreno si prevede l’utilizzo di un indicatore dell’intensità d’uso. Tale indicatore è definito come numero di abitanti per Km2 di area urbanizzata. Il primo indicatore misura soltanto cambiamenti su vasta scala: un aumento o riduzione di pochi ettari delle aree modellate artificialmente fa poca differenza in termini percentuali. Né è possibile determinare la densità o qualità dell’area edificata in base alla sua sola estensione. Inoltre, l’indicatore non registra iniziative per il recupero di aree o edifici abbandonati o contaminati, finalizzate ad una loro riutilizzazione – ossia, non registra i casi in cui dei siti abbandonati siano riutilizzati per nuovi alloggi o attività produttive, senza che cambi l’estensione dell’area modellata artificialmente. Se si vuole tenere traccia di tali fenomeni, è opportuno inserire altri indicatori: uno è dato dalla proporzione di nuovo edificato realizzato in aree vergini (greenfield) e di quello invece realizzato in aree abbandonate o contaminate (brownfield). Per comprendere meglio il significato delle attività di recupero urbano e riutilizzo di edifici saranno utili alcune informazioni relative a: riconversione di edifici abbandonati (somma dei m2 di superficie dei piani), recupero di aree abbandonate finalizzata a nuovi usi urbani, spazi verdi urbani inclusi (m2), bonifica di siti contaminati (m2). Infine, è opportuno verificare la capacità dell’Amministrazione Locale di tutelare le aree di maggior valore ecologico attraverso la creazione di aree protette, ossia attraverso strumenti legali o vincoli a garanzia della protezione del territorio. In questo caso l’indicatore appropriato è l’estensione delle aree protette espressa in termini percentuali (%) sul totale del territorio di pertinenza dell’Amministrazione Locale. Il primo e il secondo indicatore registrano i fenomeni che si verificano su larga scala (sia in termini spaziali che temporali), il terzo mostra se lo sviluppo urbano è di tipo diffuso o compatto – con una tendenza a limitare l’utilizzo del suolo nel secondo caso. Il quarto e il quinto indicatore misurano la capacità della città di attivare processi di rigenerazione ed evitare lo spreco di territorio. L’ultimo misura la capacità della città di tutelare la biodiversità e le aree di maggior valore naturale e paesaggistico.

10.5.3 Sub-sistema di analisi dati e visualizzazione degli stessi (Environmental Data-flow Analysis and Visualizing Information - EDAVI) Nel presente paragrafo si è delineata la creazione di una procedura informatizzata al fine di ottimizzare la gestione della banca data, ma anche al fine di garantire un percorso maggiormente efficiente e capace di collegarsi a reti informatiche sia interne che esterne. Tale sistema è stato denominato environmental data-flow analysis and visualizing information – EDAVI. Esso vuole essere non solo uno strumento di analisi, ma anche uno strumento di comunicazione, ovvero uno strumento capace di essere una concreta base per processi di governance, di tutela del territorio e di

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supporto alle decisioni. In tal senso il sistema EDAVI, strutturato attorno alla banca dati informativa vista in precedenza, permetterà un ampio ventaglio di analisi, quali:

1) aspetti geografici-territoriali per la gestione delle informazioni geologiche, idrogeologiche, geomorfologiche ed, eventualmente, climatiche;

2) aspetti ecologici, ovvero riferiti agli ecosistemi presenti all’interno del territorio protetto come, ad esempio, flora e fauna;

3) aspetti storico-paesaggistici e culturali, ovvero antropizzazione del territorio, definizione degli ambiti del paesaggio, caratterizzazione delle attività tradizionali locali;

4) aspetti infrastrutturali, ovvero sentieristica, trasporti e viabilità, costruzioni; 5) attività economiche insistenti sul territorio; 6) dati demografici ed amministrativi

Figura 10.12. Gli elementi costitutivi del progetto EDAVI.

Il sistema avrà le seguenti componenti software:

si è previsto l’utilizzo di un sistema G.I.S. attraverso il quale si provvederà a rappresentare tutte le informazioni alfanumeriche georeferenziate su supporto cartografico informatizzato ed inerenti le categorie informative individuate nel paragrafo;

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realizzazione di un Web – S.I.T., in grado di integrare le diverse componenti e di mettere in rete, sia intranet che internet, con differenti livelli di accesso, tutte le informazioni di pubblico interesse; un applicativo software leggero per analisi integrate del sistema, rappresentato

dal software Dashboard (applicativo open source, quindi a costo zero).

Figura 10.13. L’architettura del sistema informativo 10.6 Progetti 10.6.1 Introduzione: i progetti avviati dall’Agenzia Regionale per i Parchi (ARP) L’ARP ha presentato e proposto una serie di programmi strategici che traggono spunto dalle esperienze internazionali, dalle tendenze nazionali e dalle esperienze regionali.

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I programmi sono stati calati in specifici progetti che applicano le linee guida dei programmi su scala locale, adattandoli alle realtà ed alle esigenze specifiche di area.

Figura 10.14. I parchi e le aree protette nella Regione Lazio (Passando il mouse sui cerchi colorati sarà possibile conoscere il nome dell’area protetta o del parco) Vediamo nel seguito alcuni dei programmi più significativi attuati o in corso di attuazione:

Gens. É un programma pluriennale operativamente avviato nel 2000 dall'Agenzia Regionale per i Parchi del Lazio, con l'obiettivo di costruire una "rete" dei parchi non solo telematica, ma di relazioni, di risorse umane, di cittadinanza, di biodiversità. Quindi una rete che sia anche strategia di sviluppo sostenibile comune, che abbia alla base una cultura capace di far coesistere conservazione e modernità dei servizi, identità e tradizioni locali con un'idea di futuro possibile per le giovani generazioni. Elemento innovativo del programma è l'aspirazione ad un maggiore coinvolgimento delle persone, soprattutto quelle che abitano le aree protette: la gens, le popolazioni locali, con i loro molteplici saperi e la ricchezza delle tradizioni, linguistiche, gastronomiche od artigianali. Uno dei più importanti strumenti di attuazione del programma è dunque il coinvolgimento diretto della popolazione, a partire dal mondo della Scuola, insegnanti, bambini, ragazzi e loro famiglie, che da oggetto devono diventare sempre più soggetto attivo, in grado di riflettere sul proprio futuro, di sentirsi partecipi delle responsabilità delle scelte. Il Programma GENS è un'occasione importante per ripensare il ruolo fondamentale dell'educazione ambientale nelle aree protette, da intendersi come "laboratori di sperimentazione" dai quali esportare al resto del paese politiche di sviluppo territoriale durature e possibili. GENS è un programma quadro che si articola in una serie di progetti con tempi, destinatari ed obiettivi diversificati. In particolare ricordiamo alcuni dei principali progetti:

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• LabNet/LabTer, una rete di persone e di strutture per l'educazione ambientale;

• operazione cerca natura: un invito, rivolto alle scuole, per segnalare e ricercare nuovi "monumenti naturali";

• piccole guide: un progetto volto a formare "rangers in erba", ragazzi e bambini che individuano percorsi e svolgono attività di "guida" al pari dei loro colleghi adulti:

• ragazzi del parco: un percorso che rende i ragazzi protagonisti della creazione di nuovi parchi;

• il Parco banca dati della memoria: un progetto volto a trasformare i LabTer ed i Centri Educazione Ambientale in luoghi dove poter "inventariare" e valorizzare le risorse umane presenti nel territorio;

• crediti formativi: un progetto che, sul terreno delle aree protette, sperimenta l'acquisizione di crediti formativi da riconoscere nel libretto personale dello studente;

• A.M.I.C.O. - Ambiente, Informazione, Comunicazione: l'informazione e la comunicazione ambientale, uniti alla promozione della partecipazione;

natura in capo, un programma per sviluppare e valorizzare le produzioni agricole, biologiche e di qualità, e al tempo stesso tutelare le varietà tipiche e le produzioni tradizionali; ALI-Lazio, Ambiente-Lavoro-Impresa, un programma strategico, finalizzato ad

incentivare le possibilità occupazionali indotte dalle aree protette (turismo ambientale e artigianato);

radici, un programma per recuperare il patrimonio culturale delle Aree Protette, anche attraverso la creazione di una “rete” di ECOMUSEI;

LazioNatura, le linee guida per tutelare la biodiversità, il patrimonio vegetazionale, faunistico e geologico del Sistema delle Aree Protette laziali;

FOR.EST.A, un programma per la formazione permanente, l'aggiornamento e la qualificazione professionale del personale del Sistema dei Parchi della Regione;

RischioZero, un programma per prevenire gli incendi boschivi, il dissesto idro-geologico, l’inquinamento atmosferico e idrico, valorizzando il patrimonio speleologico e il restauro ambientale.

10.6.2 Il Network territoriale La rete è l’elemento caratterizzante i progetti che si realizzeranno sul territorio e ciò perché si va verso un tipo di approccio nei confronti dell'erogazione dei servizi informativi e formativi come sommatoria dell’intervento di una pluralità di soggetti. In tal senso la rete è anche una spia della capacità delle diverse componenti a fare sistema, tanto in termini di comunicazione, condivisione che di cooperazione. Un tale modello può facilmente essere integrato in una struttura informatizzata, facilitando ed integrando i processi di formazione e di comunicazione. In tal senso si cerca di creare una struttura che possa inserirsi nei percorsi individuati in ambito regionale e tendenti a:

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creare un sistema a rete per l’educazione e l’informazione in campo ambientale; far conoscere parchi e riserve; valorizzare l’area protetta nelle economie locali (es. turismo sostenibile); educazione ambientale, recupero delle identità culturali.

Figura 10.15. Il territorio dei Lucretili

10.6.3 Attività del LabTer di Montorio Romano Il LabTer sarà uno dei punti focali dell’attività generale del progetto. In particolare, esso fungerà dal polo di giunzione tra metodologie e strumenti tradizionali e metodologie digitali. In tal senso, quindi, esso agirà di concerto col le strutture universitarie e del Parco onde individuare le azioni necessarie alla realizzazione delle varie fasi di analisi e di progetto. In esso troverà pratica attuazione la realizzazione di uno sportello informativo ambientale, ovvero un punto di riferimento fisico in grado di fornire informazioni ambientali, nonché permettere l’attuazione del piano della comunicazione e dei corsi atti a formare personale che, nelle fasi successive, andrà a sviluppare i

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progetti. E’, inoltre previsto, l’utilizzo del LabTer come sportello per l’ascolto degli utenti e la verifica della qualità ed il gradimento dei servizi e dei progetti che saranno sviluppati. Volendo riassumere le principali funzioni che tale struttura dovrà svolgere, possiamo elencare le seguenti:

realizzazione di una news telematica mensile; osservatorio: sulla base dati raccolta sarà possibile attingere informazioni,

dati, numeri, proiezioni, statistiche etc.; classroom training: in concertazione con l’Università, attuare corsi

relativamente a metodologie, tecniche e problematiche riguardanti il settore dello sviluppo sostenibile; digital learning: azione sinergica relativamente ai progetti di e-learning e rete

delle scuole al fine di coordinare e fornire possibilità di formazione multimediale off-line e on-line; formazione integrata: metodologie e problematiche inerenti la gestione di

progetti complessi di formazione che integrino on-line ed off-line; metodologie formative: Dall'outdoor training all'action learning: metodologie e

tecniche per una formazione efficace; formazione formatori: abbiamo già accennato al ruolo del LabTer come

elemento di coordinamento relativamente alle tematiche inerenti l'aggiornamento e la formazione dei formatori.

Inoltre, al fine di garantire un legame digitale con il territorio e con altre reti nazionali od internazionali, la struttura di LabTer sarà fornita di un opportuni sito web, sulla scorta del quale verranno realizzati i seguenti servizi interattivi:

• forum di discussione: i forum sono associati ad ogni area tematica. Ogni utente (in funzione dei suoi permessi) può crearne. Forum "temporanei" possono essere associati anche ai singoli elementi di contenuto, così che gli utenti possano commentarli e confrontarsi su di essi;

• directory dell'offerta: Un catalogo contenente informazioni su aziende, corsi, seminari;

• Wizard: guide interattive basate su sistemi di autocomposizione che assistono l'utente nella gestione di funzioni specifiche (es: creazione delle dispense di un corso, creazione di report di apprendimento, ecc…);

• Knowledge Base: un archivio di moduli formativi utilizzabili dai docenti in aula, o in sessioni di apprendimento sincrono, alimentato dai membri della comunità. Ogni modulo può essere commentato dagli altri utenti del sistema;

• mediateca delle risorse; ad ogni area tematica è associata una mediateca nella quale sono catalogate risorse in rete, libri, articoli. Ogni risorsa può essere commentata dagli utenti;

• Myweb: Sistema di publishing che consente all'utente di costruire una home page personale contenente risorse utili. Le risorse indicate dagli utenti nelle singole home page vanno automaticamente ad incrementare la knowledge base comune e la Mediateca.

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10.6.4 Progetto e-portal: cultura dell'e-learning e rete territoriale Lo sviluppo dell'ICT, ed in particolare lo sviluppo di sistemi e strutture e-Learning rappresenta oggi una grande opportunità per dare al Parco ed ai cittadini che vi abitano un sistema di "accesso ai saperi" e alle conoscenze di particolare rilevanza. Lo sviluppo di strutture di e-Learning è oggi l'innovazione più rilevante per dare vita ad uno spazio virtuale atto a migliorare la capacità dell'offerta formativa del complesso delle istituzioni che a vario titolo concorrono alla qualificazione delle risorse umane (Università, Scuola, formazione professionale). Il progetto intende promuovere nell'area del Parco lo sviluppo di una rete di interconnessione basata sulle ICT in grado di veicolare trasferimento tecnologico, formazione, informazione, scambi di competenze e collaborazioni ad alto profilo. Strumentale alla nascita ed alla funzionalità di una tale rete è la realizzazione di una sinergia tra il Laboratorio Territoriale di Montorio Romano, delle scuole e dell’Università. Si ritiene, quindi, indispensabile un potenziamento delle attività, e delle attrezzature tecnologiche nella logica di privilegiare prioritariamente il rafforzamento di strutture già esistenti, sia per motivi economici che sulla scorta delle esperienze maturate negli anni precedenti tra questi tre soggetti.

Figura 10.16. Il progetto e-portal Obiettivi generali Obiettivo di questo progetto è la costruzione, all’interno di un e-portal territoriale, di un progetto di e-learning al servizio di strutture ed enti per la diffusione ed il rafforzamento

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della cultura soprattutto in termini di distance-learning e, in prospettive temporali lunghe, dare vita a quella dimensione di lifelong learning propria di una knowledge society. Si andrà, quindi, a costruire un punto telematico territoriale - learning point presso il LabTer – tanto per i processi informativi, che per la formazione e la consulenza sui temi dello sviluppo sostenibile destinata a supportare processi di apprendimento in svariati ambiti applicativi. Obiettivi specifici All’interno del progetto e-learning, verranno promossi differenti progetti specifici quali:

promozione e realizzare di corsi di formazione, soprattutto tra i giovani, in un ottica di formazione continua sulle nuove tecnologie in un ottica di sviluppo sostenibile; realizzazione di un network tra le scuole in grado di supportare progetti di

informazione, comunicazione e di formazione per le comunità scolastiche del parco, anche per mezzo di connessioni online con altre realtà scolastiche; consentire la partecipazione attiva di tutti i cittadini anche con il supporto della

ICT alle attività di progettazione partecipata fatta dagli alunni, dai docenti e dai familiari; contribuire a colmare il divario digitale – digital divide - attraverso la

partecipazione attiva al fine di diffondere la conoscenza e l'impiego di strumenti informatici e di comunicazione utili per le fasi di apprendimento, di ricerca e di elaborazione di dati e temi, di consuntivazione di esperienze; promuovere lo sviluppo e l'impiego di materiale didattico ipertestuale e

multimediale nell'ottica dell'impiego anche nell'istruzione autonoma a distanza rivolta sia agli alunni della scuola che ad una più vasta utenza, nell'ottica dell'istruzione continua e di conoscenza condivisa; contribuire al processo di adeguamento tecnologico delle strutture scolastiche

mettendo a disposizione degli operatori della scuola le esperienze e gli strumenti in linea con le più avanzate tecnologie disponibili; individuazione di nuove prospettive di insegnamento e di avviamento al

lavoro mettendo a disposizione esperienze disponibili nel mondo della ricerca e del lavoro in un contesto nazionale e sopranazionale; creazione di reti interattive per intervenire sui processi di apprendimento

degli allievi in formazione delle scuole di ogni ordine e grado; aggiornamento dei docenti attraverso le nuove tecnologie multimediali e

telematiche; favorire il processo di integrazione scolastica di alunni altrimenti esclusi

attraverso l'impiego di ausili tecnologici di interfaccia per le comunicazioni; favorire l'interscambio di esperienze, di cultura e di conoscenze linguistiche in

un contesto sovra-nazionale attraverso l'interconnessione con altre scuole e con istituzioni di altri paesi operanti nell'istruzione e nell'avviamento al lavoro;

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Figura 10.17. Gli abitanti del Parco in una seduta di Planning for Real Figura 10.18. Il plastico

Figura 10.19. I bambini del Parco in una seduta di Planning for Real

Figura 10.20

Figura 10.21. Disegni dei bambini Figura 10.22 Obiettivi a breve e medio termine

• Facilitare la condivisione di informazioni creando conoscenza condivisa e trasformandola in sapere;

• favorire lo scambio interpretativo;

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• creare una knowledge base dedicata per le comunità educative; Viceversa, l’impatto che tale progetto avrà sul lungo periodo prevede:

un'offerta formativa integrata a costi contenuti per gli enti, associazioni ed organizzazioni coinvolte; diffusione della cultura e-learning come risorsa territoriale; costruzione di una rete di conoscenze territoriale; promozione delle conoscenze locali; una formazione flessibile, tempestiva ed adeguata tanto per gli occuati che per

coloro che sono in cerca di prima occupazione.

Riguardo ai beneficiari, essi saranno tanto le organizzazioni o istituti che erogano corsi di formazione e che, in tal modo, potranno fruire di una piattaforma condivisa per integrare la propria offerta formativa sia con corsi a distanza che con corsi tradizionali. Ma riceveranno benefici anche gli enti o le associazioni che operano sul territorio, i quali potranno offrire ai propri dipendenti od associati corsi di formazione ad-hoc. Un occhio particolare è anche indirizzato ai giovani cittadini per i quali si sono previste attività formative caratterizzate da: personalizzazione dei corsi in funzione delle proprie necessità di apprendimento; possibilità di studiare i soli moduli formativi necessari al completamento del

percorso; gestione autonoma del tempo da dedicare allo studio; accessibilità ai corsi da ogni luogo ed in ogni momento con un personal computer; ampia compatibilità con gli impegni lavorativi.

In tal senso il progetto intende sviluppare conoscenze aggiornate ed evolute su temi specifici e di fornire occasioni di apprendimento al fine di fornire un capitale in conoscenza come bene immateriale essenziale nella società dell'informazione in una prospettiva di lifelong learning. A livello operativo l’e-portal consentirà la produzione e gestione di moduli formativi on-line anche condivisi tra enti in modo da ottimizzare i percorsi formativi e costruire una rete di competenze trasversali oltre che specifiche. Quindi, come si evince dagli obiettivi, la fattibilità del progetto è vincolata all'effettiva partecipazione delle organizzazioni coinvolte rispetto alla possibilità di offrire contenuti formativi a costi accessibili. Per questo motivo si è ritenuto necessario creare una rete di soggetti detentori di conoscenza, come l’Università, le società private, gli Enti od Istituti, etc. in modo tale da creare una sinergia tra tutti gli attori nell'ambito delle attività afferenti cultura, società dell'informazione e nuove tecnologie dell'ICT e del territorio. Riguardo ai tempi, il progetto prevede una prima fase dove sarà compiuta una analisi di fattibilità, nonché i possibili accordi tra gli Enti che erogheranno i contenuti ed i possibili fruitori. Quindi saranno fatte valutazioni sulle caratteristiche della rete infrastrutturale necessaria alla realizzazione delle vie digitali necessarie a garantire un ottimale flusso dei dati, in particolare prevedendo accordi con gestori delle linee in grado di garantire tecnologie a banda larga con un ottimale rapporto costi benefici.

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Schema di funzionamento Nelle sue linee generali, il progetto pluriennale si muove su quattro principali direttrici complementari:

1) studio, progettazione, sperimentazione e realizzazione di un ambiente avanzato di authoring e fruizione di corsi web-based, utilizzabile anche in scenari di autoformazione;

2) sostegno alla creazione di una rete di laboratori multimediali, learning point e demo centres distribuita nella rete dei partner adenti al progetto;

3) studio, progettazione, sperimentazione e realizzazione di un portale internet, a supporto dei servizi e della comunicazione dell'ambiente autore;

4) studio, progettazione, sperimentazione e realizzazione di corsi prototipali in aree di prioritario interesse del progetto.

Figura 10.23. Progetto e-learning

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10.6.5 Il concetto di rete nella scuola dell'autonomia

Abbiamo visto che fondamentalmente una rete è una struttura non gerarchica di elementi interconnessi tra di loro, in cui la comunicazione circola facilmente e con grande velocità, inducendo, sul piano concettuale, forti cambiamenti. Questa visione delle cose non può che favorire la valorizzazione delle risorse umane, considerata cruciale in tutte le organizzazioni, in particolare per quelle dove si crea cultura e dove, quindi, ha grande valore la risorsa immateriale. In tal senso l'utilizzazione di sistemi telematici nelle strutture ove si fa cultura può senz’altro portare a maggiori risultati in termini di efficienza e di efficacia dello svolgimento queste funzioni primarie, ma anche a risultati di economicità, capillarità e flessibilità. A tal fine è possibile individuare in un percorso supportato dalle nuove tecnologie, tre componenti primarie:

scambio e cooperazione; integrazione e specializzazione; funzionamento, organizzazione, gestione.

Uno strumento determinante per l'attuazione del progetto è la definizione dell'impianto organizzativo all'interno e all'esterno degli istituti scolastici. E' necessario infatti creare un tessuto connettivo di rete che permette il passaggio delle informazioni, e la condivisione delle esperienze. La costruzione della rete richiede molte energie in quanto comporta una architettura organizzativa complessa, basata su risorse interne e risorse esterne. In linea generale, i punti fondamentali da tener presenti nella definizione di standard TLC di reti tra scuole e scuole e territorio riguarderanno:

la connettività, ovvero accesso al servizio ad costo basso e uguale per tutti (es. accesso ad unico numero di telefono a tariffa ripartita); il sistema di assistenza tecnica alle scuole e ai soggetti partecipanti; lo sviluppo e la diffusione di strumenti TLC di ausilio alla didattica e per

l'automazione delle procedure scolastiche; momenti di formazione, animazione e condivisione di esperienze; monitoraggio e valutazione del piano di diffusione.

A conclusione, possiamo dire che la creazione di un network scolastico potrà sicuramente indurre nuova conoscenza condivisa e uno più stretto legame con il territorio

10.6.6 Progetto piazze telematiche (digital points) Una piazza telematica è una struttura fisica messa a disposizione della collettività al fine di garantire l’opportunità di poter fruire di servizi telematici di alto livello, inseriti in un ambiente pubblico aperto, progettato per favorire occasioni di incontro

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professionale, crescita culturale e socializzazione. Più in particolare, questi poli digitali possono offrire, come già accennato in precedenza, differenti opportunità, quali:

centri a valenza socio-culturale, ovvero punti capaci di fornire non solo funzioni di alfabetizzazione telematica, accesso a banche dati, utilizzo di teleservizi a valore aggiunto etc., ma anche supporto ad attività di telelavoro, di commercio elettronico e di produzione multimediale;

strutture essenzialmente pubbliche, quindi aperte a tutti (cittadini, lavoratori, studenti, ricercatori, professionisti, artigiani, imprenditori) ed in grado di offrire, anche attraverso noleggi, postazioni informatiche dotate di servizi di connettività avanzata (ad esempio linee ADSL) per lavorare o telelavorare, scambiarsi dati, testi, immagini, condividere e sviluppare progetti, riunirsi virtualmente in videoconferenza, etc.. Il tutto utilizzando una struttura di servizio pubblico, sempre tecnologicamente all’avanguardia, dotata di un'efficace assistenza tecnica e formativa per l’utenza, convenzionata con imprese, scuole, associazioni professionali, artigianali etc.;

luoghi in grado di divenire elemento di "polarità urbana", ovvero elemento che si caratterizza attraverso un recupero socio-economico e culturale dell’elemento piazza, al fine di attribuirgli nuovo valore aggiunto nella moderna società della conoscenza.

Obiettivo generale di questo progetto è la costruzione di una rete di digital points o piazze telematiche che andranno a costruire una rete di punti multimediali in grado di avviare la realizzazione di "centri di eccellenza telematici" destinati non solo all’utenza professionale ma anche ad obbiettivi di coesione e sviluppo di opportunità economiche per le strutture sociali e territoriali locali Conseguenzialmente vi saranno una serie di obiettivi specifici quali:

nuove occupazioni e telelavoro: il progetto si propone lo sviluppo di nuove occupazioni legate direttamente od indirettamente alle nuove tecnologie. Un primo impatto occupazionale è determinato dalla realizzazione delle strutture e dalla loro gestione. Le piazze, una volta sparse sul territorio del Parco, potranno svolgere un ruolo fondamentale di diffusione di knowlwdge e di nuove opportunità lavorative; alfabetizzazione telematica e multimediale: la nuova struttura consentirà

a tutti i cittadini, ed in particolare ai giovani, di acquisire nuove conoscenze e professionalità; democrazia partecipata, ovvero favorire ed incrementare alcuni obiettivi a

carattere socio-politico, quali: • l’accesso democratico all’informazione; • la partecipazione ed il consenso dei cittadini al processo decisionale

condotto dalla Pubblica Amministrazione; • l’integrazione socio-economica delle categorie più svantaggiate.

Per concludere, è da dire che il progetto prevede più piazze telematiche sparse sul territorio, la cui localizzazione risponde alle finalità citate. Ognuna di esse presenterà le seguenti caratteristiche:

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fisicità, ovvero la capacità a ricevere fisicamente servizi basati su strumenti hardware, software, e TLC; luogo pubblico di accesso alla conoscenza ed all’utilizzazione della materia

prima "informazione" per lavoro, studio, creatività ed impresa; per l’interfaccia con la Pubblica Amministrazione e con altri agenti nell’ambito dei settori imprenditoriale, professionale, commerciale, culturale, amministrativo, intrattenimento, attività sociali; nuovi significati semantici al ruolo dell’elemento piazza urbana in grado di

riorientare alcuni flussi di mobilità Gli spazi interni delle piazze accoglieranno:

posti di lavoro multimediali attrezzati postazioni formazione; sala formazione collettiva laboratorio di produzione; sala conferenze sala regia; sala videoconferenza Postazioni di espositori di tecnologie e servizi; area per servizi assistenza e consulenza Associazioni ed imprese per lo

sviluppo del territorio; area pubblica sportello informativo; chioschi multimediali ludoteca, Giornalaio/Libreria; servizi di ufficio assistenza clienti; controllo e smistamento saletta di attesa; sala riunioni direzione; segreteria Uffici; deposito, guardaroba, sevizi tecnici etc..

Il progetto vedrà protagonisti l’Ente Parco, il LabTer di Montorio, l’Università e le Amministrazioni locali. In particolare il LabTer fungerà da prima piazza telematica permettendo, così, la formazione di un primo numero di operatori da distribuire sul territorio. Tali piazze troveranno sistemazione fisica presso gli attuali centri visita del parco, permettendo, in tal modo, una duplice funzione: luogo in cui socializzare ed imparare, nonché punto informativo del Parco.

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Cap. 10: Un modello per la realizzazione di un network territoriale _______________________________________________________________________________________________

299

Figura 10.25. Progetto piazze telematiche

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GLOSSARIO DEI TERMINI PIU’ USATI NELLA ICT

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GLOSSARIO DEI TERMINI PIU’ USATI NELLA ICT _____________________________________________________________________________________________________________

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Glossary of Flexible Working and ICT terms (Fonte: http://www.flexibility.co.uk/helpful/glossary.htm )

Quello che segue è un glossario minimo comprendente alcuni fra i termini più frequentemente utilizzati nel mondo di Internet.

Glossari più completi e dettagliati sono disponibili in rete; consigliamo in particolare di dare un'occhiata a quelli in inglese raggiungibili alle URL:

http://www.whatis.com/ http://www.pcwebopedia.com/ http://www.zdwebopedia.com/

o a quelli in italiano alle URL: http://www.archimede.interbusiness.it/ internet/ dizionario/ webdiz.htm http://corsi.euroframe.it/ dsi/ TASTIERA.html, http://www.knet.it/ userdir/ glossari.html http://www.geocities.com/ Vienna/ Strasse/ 3000/ dictionary.html.

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

ACD - Automatic call distributor - ACDs are used in call centres to allocate calls to appropriately skilled/available agents.

ADSL - Asymmetric Digital Subscriber Line - ADSL and its proposed spin-off standards (xDSL etc.) represents a new standard for providing high bandwidth digital services over the local loop to the telephone exchange. ADSL is being (slowly) rolled out to provide high speed connectivity to packet switched networks such as the internet.

Analogue - The traditional means of communicating over a distance, via broadcast transmission or telephone wires. Now being replaced by digital broadcast and telephony, which can pack in much more information.

Application – Computer program or system

Architecture – The outline design of a system, identifying the major components and their functionalities – can be applied to applications, systems and networks

ATM – Asynchronous Transfer Mode - is a broadband cell relay networking technology enabling a network to provide appropriate services for data, voice and video streams through a number of complimentary sub-services. Originally ATM was expected to be installed widely in LANs and WANs, but the emergence of fast ethernet and gigabit ethernet has pushed ATM away from desktop connections.

Bandwidth – this has slightly differing meanings depending on the technical context in which it is used. In computing and networking, bandwidth is used to indicate the digital capacity of a particular link per second – typical measures being bits per second, kilobits per second etc. In other areas of telecommunications bandwidth refers to the amount of electromagnetic spectrum which a signal occupies and is expressed in Hertz (Hz) or KiloHertz (kHz)

Binary – The binary number system is a system where each digit can have one of two possible values, 0 or 1. Thus the number 5 would be expressed as 101 in binary notation (i.e. 1x4 + 0x2 + 1x1)

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GLOSSARIO DEI TERMINI PIU’ USATI NELLA ICT _____________________________________________________________________________________________________________

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Bit – (from binary digit) - the smallest quantum of digital information. A bit can be one of two values – usually expressed as 0 and 1. Bits are usually grouped into "bytes", which in turn may be grouped into "words".

Bluetooth - a Scandinavian-friendly branding for a technology standard enabling low-cost short-range radio links between mobile devices such as laptop computers, mobile phones etc. Such devices can be brought together in a wireless PAN (Personal Area Network) or Piconet. See also WiFi.

BPR - Business Process Re-engineering - buzz phrase for management consultancies in the nineties, BPR takes a process oriented view of all work, and attempts to apply benefits from a more holistic viewpoint. The jury is divided on whether this represents an improved, universally applicable methodology or simply a common sense approach combined with a bit of marketing spin.

bps - bits per second, that is, the number of bits transmitted per second over wired or wireless networks

Broadband - this refers to higher bandwidths, generally referring to data transmission speeds in excess of 1 Mbps (Megabits per second). Modem speeds run at up to 56 Kbps, and a single ISDN line at 64 Kbps. The higher capacity of broadband is seen by many as essential for sending video etc "down the wire" and for coping with large amounts of electronic traffic

Browser - this is the piece of software through which you are looking at this page now! Most commonly this is Netscape Navigator or Microsoft Internet Explorer. The versions are numbered, with the most recent being version 6. It is best to upgrade your browser to the most recent version so as to be able to view web pages with all the latest features: software can be downloaded from the company sites: www.microsoft.com ; www.netscape.com

Byte – a group of 8 bits – bytes, Kilobytes, megabytes and Gigabytes are common measures of file size, memory and disk capacity.

Call centre - a place where telephony activities are centralised, with the aim of cutting costs and improving marketing and/or customer services. It needn't be one physical place: organisations such as BA have a distributed call centre based in several locations in 2 continents. Some companies (like the AA, BT) have some "virtual" call centres using workers based at home or local centres but linked by common IT and automatic call distribution.

CD-ROM (Compact Disc - Read Only Memory) - a disc that stores electronic information to be read by a computer. The CD-ROM is in appearance like the audio CDs you can buy at Virgin or HMV but holds a lot more information enabling it to hold multimedia files.

Centrex – Centrex services are offered by telecoms companies and provide similar functionality to small PABXs but directly from the local exchange. Features can include – internal numbering plan, free internal calls, call diversion, call pick-up and return, call transfer, three way calling and ring back

CLI (Caller Line Identification) - a process whereby on receiving an incoming telephone call the phone number of the caller is identified. This can be linked to information held on the computer system about the caller, which may be summoned up on receipt of the call (see CTI).

Client - in the context of a computer network this is a PC or other terminal which is connected to a server [q.v.].

Compression – Computer programs, word processor documents, digital sound and image files, digital video streams and other pieces of digital data usually contain "redundant" data, in that the same information can be represented in fewer bytes. Compression algorithms take advantage of this to reduce file size or bandwidth requirements.

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Convergence - the integration of computers, telephones, recording and broadcast technologies in all-digital environments. This enables novel uses of data, new services and products as well as faster and more flexible communications.

Cookie – A cookie is a small file, stored on a web-user's computer. Web servers use the data in the file to identify the user, enabling them to present personalised information, and avoiding repeated entry of standard information such as e-mail addresses, telephone numbers etc.

CTI – Computer Telephony Integration: CTI is a blanket term applied to a range of technologies which have arisen as computers have developed the ability to interface with switchboards and telecoms networks. CTI is usually seen either at the desktop (e.g. PC initiated dialling) or at the server/switchboard (e.g. an incoming call is identified by its line number, and automatically brings up the appropriate account information from a central database on a call centre operator’s screen)

Cybercafé - This is a café which provides a service to allow patrons to use computers and access the Internet. As well as being found in high streets they are increasingly found in companies as an alternative to providing access to the Internet from every desktop, and/or as training facilities.

DAB (Digital Audio Broadcasting) - Coming to a (currently expensive) radio near you now, DAB provides interference-free CD-quality sound, plus extra digital information to supplement radio programmes.

Database – Specialised software system used for managing highly structured data. Databases range from simple desktop systems to huge, multi-machine implementations.

DECT - Digital Enhanced Cordless Telephony. DECT is an international standard closely related to GSM. Its most common applications are in the home (domestic cordless telephones) and in corporate scenarios (multiple cordless handsets sharing multiple base stations allowing roaming over a large site). DECT also has applications for telecommunications providers – providing the "local loop" from the exchange to the home/office in many emerging telecoms markets

Digital - A digital signal is made up of a sequence of digital numbers. Digital numbers can only have certain, discrete values (compared with analogue signals which can range over a continuity of values). Analogue signals can be represented by digital ones, incurring quantisation noise (due to the difference between the nearest digital value and the actual analogue value). However, this usually is more than compensated for by more accurate transmission and reproduction, as digital signals suffer far less from noise and distortion effects

Domain name - Usually means the first part of a web address – e.g. www.hop.co.uk. Domains also include private networks and e-mail servers.

Download - Accessing files over networks involves "downloading" then to your PC, disc drive or a part of your network. Web pages and the images or other files they contain are downloaded to your browser over the Internet or intranet, where they can be viewed as temporary files or saved.

DVD (Digital Versatile Disc, or Digital Video Disc) - generally seen as the successor to CDs, CD-ROMs and video-tapes, DVDs can hold huge amounts of information, e.g. a couple of feature films. They can be used in computers, or played through a DVD player into a TV and/sound system. Unlike video tapes, users will be able to jump into films at various points, and access additional information, or have different language versions etc. Recordable DVD has enormous implications for intellectual property, pirating etc.

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e- At one time the buzz prefix was "tele-". This is now being superceded by "e-", which has nothing to do with club land but stands for "electronic". Hence email, ebusiness, ecommerce, etc.

E-commerce - Electronic commerce is a shorthand for any kind of commercial transaction carried out over electronic networks. The concept is also loosely used in relation to marketing online. Rapidly growing, its success depends on developing secure systems for payment online, and probably also the growth of "ecash" (i.e. currency or credits only operating in the online world)

EDI (Electronic Data Interchange) - this happens when organisations, or departments within them, share information electronically across organisational boundaries. This can save re-keying information, paper production, etc

E-mail - Electronic mail is now a familiar feature in most companies, allowing in theory paperless and swift communications. A remarkable number of people using it just use email for memos, and do not use it to facilitate collaborative work, or for external communications

Encryption – method for securing data while in transit or storage, encryption technology has come a long way since the Enigma engine of the second world war – to such an extent that commercial systems are deemed to be a threat to US national security.

Ethernet – the most popular LAN protocol

Extranet - a kind of halfway house between the Internet and an intranet. In essence an extranet is a secure shared network using Internet technologies. So it extends an information network beyond an organisation's boundaries, but only to agreed partners and within agreed parameters. There are numerous models for achieving this.

Firewall - A software, hardware or combined software/hardware system used to guard interconnect points between private networks and public networks. Firewalls monitor data traffic and can prevent potential security breaches, whilst allowing trusted or harmless data in and out.

GIS - Geographical Information System - Used to store and manipulate spatial data such as geometry and topology - the connections between geometries. This is usually stored in the form of vectors and then often overlayed onto raster data such as maps. Some of the most common uses are network management and analysis for utilities and communication companies but they are also used for geo/demographic analysis by businesses like supermarkets

GPRS - General Packet Radio Service - a non-voice service that allows data to be transferred over the (GSM) mobile phone network at reasonable speeds. Seen by many as a halfway house towards Third Generation mobile communications.

GPS – Global Positioning System – GPS is based on a network of US military satellites. Commercially available handsets and consoles can identify their current location to high accuracies, especially when combined with additional ground reference beacons (so called differential GPS).

Groupware - applications which allow people to share documents etc and work collaboratively over computer networks: Microsoft Outlook and Lotus Notes are well known examples.

GSM - Global System for Mobile or Groupe Systeme Mobile: The European standard for digital cellular phones. It has been adopted by many countries around the world. As a result users can use their handsets abroad.

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Hardware - The physical parts of a computer or computer system – e.g. the disk drive, the memory chips, the network hubs etc. c.f. software

Hotdesking - more productive use of office space often involves, to a greater or lesser extent, eliminating personal ownership of desks. It is a method of sharing desks, with workers who are usually working elsewhere booking space to work.

HTML (Hypertext Mark-up Language) - this is the basic coding language for writing web pages. It is based on having <tags> around the contents of the page which give information to your browser, telling it how to display the information, and providing links to other information.

ICT (Information and Communication Technologies) – a key phrase to indicate the dynamism that can be achieved with the convergence of computing and telecommunications. Putting the "C" in the middle of the IT is important to emphasise that it is not just about "techie" matters but is relevant to everyone whose job involves communication. ICT makes possible the fast and worldwide exchange of information, and has the capacity to revolutionise work processes, service delivery, etc.

ICT Learning Centre - a community-based learning centre equipped with (hopefully) a high standard of ICT to encourage people to develop computer literacy and information age skills. Large numbers have been funded by government in the UK, often set up by local partnerships or colleges.

Interactive TV - In the Digital Age we will have not only more channels than you can shake a stick at, but also interactive or "enhanced" TV, using the extra digital broadcast capacity to carry supplementary information to our TV screens, and a limited ability to send messages back. It's not compulsory to use the enhanced capabilities, but in principle it gives the user more control and choice in their viewing.

Internet - the world-wide "network of networks" used for email, web publishing and increasingly for broadcast and telephony. See the Internet briefing paper

Intranet - An intranet is a network using Internet technologies for internal communication and work processes within an organisation. The great advantage, apart from dynamically sharing information, is that the browser can provide a common interface to all applications, allowing the linking together of many different systems

IP - Internet Protocol - commonly acknowledged as the key protocol behind the internet IP is only one of a number of protocols which made the internet viable.

ISDN -Integrated Services Digital Network: : a service provided by telecoms operators providing end-to-end digital links - giving users greater bandwidth and faster call setup times. The faster transmission is particularly useful for applications requiring high bandwidth e.g. transmission of detailed graphics, video conferencing etc.

ISP (Internet Service Provider) - an organisation which provides a user with access to the Internet, in return for a monthly fee or at no charge, and hosts web sites for other users to access

IST - Information Society Technologies: a term used extensively by the European Commission, meaning much the same as ICT

ITC - Information Technology & Communications: another way of referring to ICT

IVR – Interactive Voice Response – the blanket term for automated call handling systems where the user interacts with a computer controller voice signal (either recorder real speech or computer generated). The interaction can be through the use of a touch tone telephone or through speech recognition.

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Java - A programming language which creates programmes which can run on a range of different computing platforms via a Java Virtual Machine (JVM).

Kiosk - (Multimedia) kiosks are being rolled out across the country by commercial and public bodies as a means of access to networked services, e.g. for access to information, theatre or hotel booking, form-filling. Also sometimes found within organisations for access to multimedia applications and online services not available at the desktop.

LAN - Local Area Network: LANs connect computers and associated devices in relatively close proximity, allowing them to share files, applications, etc. at relatively high speed.

Local loop – The connection between a telephone exchange or sub-exchange and the termination point – i.e. domestic telephone socket, office switchboard etc.

Location independent working - Probably the most accurate way of referring to teleworking etc - it highlights that what characterises the workstyle is that it is flexible in terms of location, and can be done from a variety of places.

Mainframe - A very high-powered computer - used to process large volumes of data or transactions, mainframes support multiple users at dumb terminals, though they can connect to PCs via "middleware" or by using a terminal emulator.

Microwave – Part of the electromagnetic spectrum between radio and light waves, microwaves can be used to transmit data from point to point. Often used to connect sites separated by a road or river, microwave links are also used to provide long distance links by telecoms network providers.

Modem - Short for "modulator-demodulator", which fails to trip off the tongue. This is a device that connects the computer to telephone networks to access remote computers and online services. It can be external to the computer, but most modern computers have a modem built in.

Multimedia – now an overused term, broadly meaning the use of audio, video, animation and graphics alongside more traditional text based information

NT - Windows NT is Microsoft’s operating system for the enterprise. Designed to provide greater reliability, security, and scalability than Windows 95/98, NT comes in two flavours – Workstation and Server. The Server platform in particular has had great success, providing centralised applications services once the stronghold of the more expensive Unix systems. The intention now seems to be for it to be succeeded by Microsoft XP.

Optical Fibre – provides a high bandwidth alternative to copper wire for transmitting data. Information is translated in light pulses which can be transmitted over optical fibre with little to no signal loss. A number of optical fibre technologies exist – cheaper technologies provide high bandwidth over relatively short distances suitable for LANs, campus networks and so called Metropolitan Area Networks (MANs) while more expensive technologies are used by telecom network providers, over extremely long distances.

Operating system – The term applied to the software which provides the majority of services when a computer is running – memory management, input (keyboard/mouse) handling, output (screen and printer) etc. Examples include MS-DOS, Windows 95, and Unix

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PABX - Private Automatic Branch Exchange – sometimes shortened to PBX (the days of the manual switchboard are all but over) – the term refers to private switchboards, providing internal telephony services to an organisation, and the interface with external telephone lines. PBXs often provide extra features, not available on a standard telephone, connected directly to the public telephone exchange.

PAN - Personal Area Network - a concept on the lines of LANs and WANs. It's the kind of network which enables the electronic devices on and around a person to communicate with each other - e.g. using the Bluetooth standard.

PDA (Personal Digital Assistant) - originally a hand-held computing device, increasingly they now are linked to or incorporate a wireless communications device. In the future you might wear one on your arm, or strapped to your head like a Walkman once effective speech recognition is developed.

Piconet - An ad hoc network of the type that can be initiated by Bluetooth-enabled devices as they encounter each other, allowing them to inter-communicate.

POTS – Plain Old Telephone System refers to traditional analogue telephone networks. Now being replaced by PANS - Pretty Amazing new Services

Protocol – a set of rules for controlling the flow of data in a network, as in Internet protocol (IP)

PSTN – Public Switched Telephone Network – a technical name for the global, standard, voice telephone network. Sometimes referred to as POTS (plain old telephone service)

Remote access - in essence it refers to workers being able to access their organisation's network using ICT, from any or from a designated location

Satellite - Satellite communications are becoming increasingly important for conquering distance and enabling location independent working. Digital transmission of data via low-level satellites is set to increase the importance of satellites for remote and mobile ICT.

SET – Secure Electronic Transaction – SET is the standard for e-commerce backed by Mastercard and Visa. Its high security design makes it safer than physically using a credit card, although the attendant intricacies have slowed its rollout. It may be usurped by less secure alternatives.

Set-top box - Set-top boxes or decoders have been around for years, acting as gateways to satellite and cable TV services. A new generation of them is upon us providing gateways to digital television, and Internet services provided through TV sets. It is expected that in due course they will be incorporated within TV sets, or with plug-in alternatives for different services/service providers but working to common standards.

Server – A server is an element on the network which holds information or applications to be accessed by users of the network. A server can be small, e.g. a "personal web server" running on a PC to enable you to develop web pages; or massive, e.g. a machine holding corporate data for thousands of users, or a webserver run by a major Internet Service Provider. The main types of server you are likely to encounter are:

• file servers - where electronic files such as documents, spreadsheets, images, video files, etc are stored for shared access

• application server - where software programmes (such as Word, etc) are held to be downloaded by users when they need them, rather than being installed on every PC

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• database server - where information is held in a database or databases for shared access

• web server - where web pages for an intranet, extranet or Internet website are "hosted".

SMDS – Switched Multimegabit Data Service – High speed switched data service available from BT. Capable of data rates up to 34Mbps

SMEs - Small and Medium-sized Enterprises: the usual jargon term used in the public sector to describe not-big-business. SMEs are businesses having from 0 to 500 employees.

SOHO - or SoHo, short for Small Office-Home Office, describing a real market in North America and a putative market elsewhere of small (home-based) offices for location-independent teleworkers

SQL (pronounced SEQUEL) – Structured (English) Query Language – most relational databases are based on derivatives of this IBM-developed database language. SQL is used to define database queries, and perform common actions – e.g. add record, join tables etc.

Sustainability - A key concept for the 1990s, promoted by the 1992 Rio Earth Summit, and subsequently G7/G8 conferences and governments at all levels. Essentially it is about living, working and ordering society in ways which are environmentally "sustainable", encouraging reduction of pollution, re-use of resources, promoting biodiversity etc. The core idea is that "current generations should meet their needs without compromising the ability of future generations to meet their own needs". It is also in some quarters associated with promoting social justice and a fairer society.

Telecommuting - despite some academic distinctions, this term is used pretty much interchangeably with teleworking, and is the more common term in the US. The conceptual emphasis is on replacing the commute journey through electronic access to the workplace.

Telecentre - a local wired work centre with a variety of aliases: telecottage, electronic village hall, telebusiness centre, Oasis, and so on

Teleconferencing - holding a "virtual" conference with participants in different locations, either via telephone (audioconferencing) or video (videoconferencing)

Telematics – a word much favoured in the EC and academic circles, covering the whole field of performing actions at a distance using ICT; teleworking, telelearning, telemedicine, home shopping, home banking, etc.

Teleworking - A catch all term describing any way of working at a distance using a combination of computers and telecommunications. It is often associated with home-based working, but includes site-to-site electronic working, mobile working, etc.

Third Generation (3G) - a term applied to the next generation of mobile telephony which will offer much higher bandwidth and allow video, gaming and other multimedia applications. Also known as UMTS. The first two generations of mobile telephony were Analogue and GSM.

Transport substitution – a phrase used to describe the transport effect that can occur with teleworking, where electronic communication replaces physical journeys, either the commute journey or in-work travel.

Tunnelling – the creation of an encrpyted/secured link over a public network. The secured link can support alternate protocols to the public network, although this is transparent to the user. Tunnelling is also used in the context of establishing a secure, open link through a corporate Firewall.

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UMTS - Universal Mobile Telecommunications System - The European standard for third generation mobile telephony. Data speeds will range from 114 to 2000 kbps, allowing a wide range of high bandwidth applications as well as voice telephony.

Unix – A well established operating system developed in the 70s by AT&T. Many competing Unix systems are now availalbe from the likes of Sun, SCO and Hewlett-Packard. Unix’s reliability and speed has ensured that it has retained a large market share in business critical systems – particularly for web applications and e-commerce

URL (Uniform Resource Locator) – otherwise know as an Internet address

VAN – Value added network – VAN services provide shared, private messaging networks for supporting EDI applications.

Videoconferencing – one method of teleconferencing, the other being audioconferencing. Videoconferencing is routine in Star Trek and organisations with large communications budgets that can afford TV quality systems. Its popular base is growing only slowly, due to expense and the jerky quality of pictures over the average ISDN line. Desktop videoconferencing is growing, and there are potentially huge savings to be made by using desktop conferencing instead of travelling to meetings. Increased bandwidth, compression technology, and declining cost of digital cameras will contribute to increases in uptake.

Virtual - a word used to describe a scenario where electronic means are used to simulate a traditional (physical) way of doing things, as in:

• Virtual team: where members of a team may be based in variety of locations, in one or several organisations, rarely meeting but working collaboratively using electronic networks

• Virtual office: takes the virtual team a stage further, so that the office does not exist in any particular location, but rather exists in the network.

Voice-over-IP (VoIP) - basically this is telephony over the Internet. Using your computer and the IP networks, you can speak to others similarly connected. The advantage is cost - it's much cheaper, especially for long-distance calls. The disadvantages are (at the moment) quality, which is less than plain old telephony, and that you don't have full access to the global telephony networks.

VPN - Virtual Private Network: A private network link, which is carried on a public network through the use of tunnelling and encryption methods.

WAN – Wide Area Network - network or individual inks which connect smaller, localised networks and systems

web - used as a descriptive noun, as in "web page" or "web-enabled", it refers to Internet publishing technologies as used in the World Wide Web (see next entry), but not necessarily published on the WWW. A web page is viewed through a browser. It may be part of a website accessible to a limited number of people on an intranet, or published to the world at large on the World Wide Web.

WiFi - wireless fidelity - is the branding given by the Wireless Ethernet Compatibility Alliance to the IEEE 802.11b standard for wireless interoperability . WiFi enabled devices link together without cables to form wireless local area networks. This has great significance for flexible work and the office of the future. See also Bluetooth.

WWW (World Wide Web) – The sum total of pages published by users of the Internet, using the graphical interface invented by Tim Berners-Lee at the European centre for Nuclear research.

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The web is characterised by the ability to jump using "hyperlinks" from page to page in the same "website" or to any other designated page on any site in the Web.

XP - Microsoft's all-singing and all-dancing, yet controversial, operating system. Will do everything for you, including walking the dog. See this article for some of the business claims.

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BIBLIOGRAFIA

Introduzione

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Siti internet di interesse

Sviluppo urbano sostenibile e politiche dell'Unione Europea Tutti i documenti relativi alle politiche dell'Unione europea, ivi compresi quelli elencati nel riquadro "Sviluppo urbano sostenibile e politiche dell'UE", sono disponibili sul server Europa dell'UE. http://www.europa.eu.int/ Per maggiori informazioni sugli obiettivi dell'azione chiave "La città del futuro e il patrimonio

culturale", sui progetti in corso e sui risultati delle ricerche - e in particolare per presentare proposte di ricerca - si rinvia al sito del programma Energia, ambiente e sviluppo sostenibile, dal quale si ottiene un accesso immediato a tutta una serie di documenti ufficiali, compresi i moduli di domanda e le guide nonché le informazioni relative agli inviti di prossima pubblicazione. http://www.cordis.lu/eesd/

Gran parte delle informazioni contenute nel sito del programma Energia, ambiente e sviluppo sostenibile può essere ottenuta anche su base cartacea inviando un messaggio di posta elettronica di richiesta all'InfoDesk del programma. mailto:[email protected]

In alternativa, per informazioni e aiuto ci si può rivolgere alla rete di punti di contatto nazionali (PCN). http://www.cordis.lu/fp5/src/ncps.htm

Dettagli su tutti i progetti già varati nell'ambito dell'azione "La città del futuro e lo sviluppo sostenibile" sono disponibili nella banca dati dei progetti di CORDIS. http://dbs.cordis.lu/EN_PROJl_search.html

La campagna delle città europee sostenibili, inserita nel progetto "Città sostenibili" del quinto programma di azione a favore dell'ambiente, coinvolge oggi oltre 700 enti locali e regionali di 34 paesi europei e rappresenta la più grande iniziativa europea nell'ambito dello sviluppo locale sostenibile e dell'Agenda 21 locale. http://www.sustainable-cities.org/

Ambiente Direttive concernenti la valutazione d'impatto ambientale (1985, 1997) - Prevedono

l'individuazione e la valutazione dell'impatto ambientale di tutti i progetti di sviluppo pubblici e privati. http://www.europa.eu.int/comm/environment/eia/

Protocollo di Kyoto allegato alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (1997) - Tra il 2008 e il 2012, l'UE si è impegnata a ridurre dell'8% rispetto ai livelli del 1990 le emissioni di CO2 e di cinque altri gas con effetto serra. http://www.unfccc.int/

Trattato che istituisce la Comunità europea (1998), articolo 6 - La tutela dell'ambiente deve essere integrata in tutte le politiche e azioni comunitarie. http://europa.eu.int/eur-lex/en/treaties/index.html

http://europa.eu.int/en/comm/dg11/urban/home.htm - (sito della Direzione Generale 11 della Commissione Europea, vera miniera di informazioni utili e punto di partenza per una navigazione tra i documenti UE)

Page 344: INFORMATION COMMUNICATION TECHNOLOGY PER UN PROGETTO URBANO SOSTENIBILE (Antonio Caperna)

330

http://www.earthcharter.org/welcome/forum_en.htm - (indirizzo di un Forum per discutere sulle problematiche della sostenibilità)

http://ourworld.compuserve.com/homepages/European_Sustainable_cities/ - (sito ufficiale della Campagna Europea delle Città Sostenibili che hanno sottoscritto la Carta di Aalborg)

http://sdgateway.net/webring/default.htm - (sito del Sustainability Web Ring, punto di partenza per molti siti che trattano dei principi, delle politiche e delle esperienze di sviluppo sostenibile)

http://www.sustainable.doe.gov/ - (sito del Centro di Eccellenza per lo Sviluppo Sostenibile gestito dal Dipartimento Energia del Governo USA, organizzato per aree tematiche: manuali on-line, best practices, modelli di codici e ordinanze normative, ecc.)

http://www.eren.doe.gov/ , (sito dell'Efficiency & Renewable Energy Network del Dipartimento Energia del Governo USA: fornisce tra l'altro informazioni a cittadini e piccole imprese in merito a tecnologie e soluzioni appropriate)

Urbanistica e governo delle città Quinto programma d'azione a favore dell'ambiente (1993) - Un approccio globale alle

attività comunitarie relative alle questioni urbane, alla raccolta di dati e indicatori comparabili sull'ambiente urbano e all'attuazione delle iniziative previste dall'Agenda 21 locale (è in fase di elaborazione il sesto programma).

http://www.europa.eu.int/comm/environment/actionpr.htm Quadro d'azione per uno sviluppo urbano sostenibile nell'Unione europea (1998) -

Provvedimenti intesi a tutelare e migliorare l'ambiente urbano per una sostenibilità locale e mondiale, nonché a migliorare il governo delle città e il grado di responsabilizzazione a livello locale. http://www.inforegio.cec.eu.int/urban/forum/src/ppaper03.htm

Patrimonio culturale Piano d'azione comunitario nel settore del patrimonio culturale (1994) - Provvedimenti intesi

a conservare il patrimonio culturale tenendone conto nello sviluppo regionale e nelle attività connesse alla creazione di posti di lavoro, al turismo, all'ambiente e alla ricerca. http://europa.eu.int/eur-lex/en/lif/dat/1994/en_394Y1209_01.html

Trattato che istituisce la Comunità europea (1998), articolo 151 - Mantenimento e potenziamento del retaggio culturale comune nel rispetto della diversità. http://europa.eu.int/eur-lex/en/treaties/index.html

L'ambiente edificato La competitività dell'industria della costruzione (1997) - Graduale riorientamento verso gli

obiettivi della costruzione e del rinnovamento sostenibili. http://www.europa.eu.int/comm/dg03/directs/

Energia per il futuro: le fonti energetiche rinnovabili (1997) - Dimezzamento del consumo energetico degli edifici nell'UE entro il 2010. http://europa.eu.int/en/comm/dg17/599fi_en.htm

Trasporti I trasporti e le emissioni di CO2: verso un approccio comunitario (1998) - Riduzione delle

emissioni di CO2 delle autovetture aumentando del 30% l'efficienza energetica. http://www.europa.eu.int/comm/environment/co2/co2_home.htm

Provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico provocato dalle emissioni dei veicoli a motore - Direttive concernenti la qualità dei carburanti (1998) - Introduzione accelerata di tecnologie di propulsione innovative e carburanti a basso tenore di emissioni. http://europa.eu.int/en/comm/dg17/autooil.htm

Page 345: INFORMATION COMMUNICATION TECHNOLOGY PER UN PROGETTO URBANO SOSTENIBILE (Antonio Caperna)

331

Sviluppare la rete dei cittadini (1998) - Sostegno ai trasporti pubblici per ridurre la congestione, l'uso di energia, l'inquinamento acustico e l'esclusione sociale e migliorare la qualità della vita. http://www.cordis.lu/transport/src/public1.htm

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Curriculum vitae di Antonio Caperna

Antonio Caperna ha conseguito la Laurea in Architettura presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” con discussione della tesi “Architettura tardogotica in Campania. La Chiesa di S. Francesco in Nola” (Relatore Prof. Arch. Leonardo Di Mauro).

Il suo interesse per gli aspetti urbanistici ha caratterizzato i suoi studi anche nel periodo successivo, spostando però l’attenzione sui problemi legati alla sostenibilità degli ambienti urbani e a procedure di progettazione partecipata (corso “Progettare per tutti senza barriere architettoniche”, realizzato dalla facoltà di architettura “Valle Giulia” dell’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, direttore Prof. Arch. Fabrizio Vescovo e Master in Progettazione Interattiva Sostenibile e Multimedialità, Direttrice Prof.ssa Arch. Elena Mortola).

Successivamente, al fine di analizzare gli aspetti che legano i problemi della sostenibilità con le nuove tecnologie, ha partecipato a vari corsi e a soggiorni presso altre strutture universitarie (GIS Centre della Lund University, Svezia e la Technische Universiteit Eindhoven - TU/e, Olanda).

Ha svolto e svolge attività didattica come lecturer presso l’associazione per la didattica e l’ambiente (Onlus), il Laboratorio Territoriale Regionale in Montorio Romano e presso la University of Notrê Dame (Urban Study Department - Roma) e l’Università di Roma 3 - Master in Progettazione Interattiva Sostenibile e Multimedialità.

Attualmente sta partecipando al progetto di ricerca “Piazza telematica al Pigneto (Roma)”, diretto dalla Prof.ssa Elena Mortola e dal Prof. Alessandro Giangrande del Laboratorio TIPUS - Dipartimento di Studi Urbani dell’Università degli Studi di Roma 3.

CURRICULUM VITÆ

Page 347: INFORMATION COMMUNICATION TECHNOLOGY PER UN PROGETTO URBANO SOSTENIBILE (Antonio Caperna)

A partire dalla fine degli anni ’80, si è cominciato a parlare prima di società dell’informazione

e quindi, negli anni ’90 con l’avvento della tecnologia digitale, di network society, ovvero

dell’affermazione di un sistema socio-economico e finanziario non più caratterizzato da una

produzione di massa ed uniforme, ma bensì su modelli di produzioni flessibili e strutturati

attorno ad un economia e ad un sistema finanziario globale ed a rete. Il governo e la

gestione di queste trasformazioni, sempre più complesse e trasversali, richiede un grande

sforzo politico, particolarmente necessario allorquando si desidera incanalare questi

elementi verso approcci sostenibili. Partendo da questi presupposti, l’autore ha inteso fornire

un contributo sulla sostenibilità attraverso due piani paralleli di lettura che si intrecciano ed

influenzano reciprocamente: quello della sostenibilità ambientale del territorio e quello della

componente strumentale legata alla ICT. In tal senso si è cercato di:

a. delineare un quadro, per quanto possibile esauriente, sul ruolo dell’informazione e della

comunicazione nell’attuazione di possibili modelli sostenibili del territorio con particolare

riguardo al valore delle basi informative (quale informazione, per chi, per che cosa e

come produrre informazione) e ai processi di comunicazione strutturati attorno alla ICT;

b. comprendere gli aspetti essenziali ed il ruolo della ICT con particolare riferimento alle

trasformazioni democratiche (e-democracy) e delle architetture istituzionali (e-

government), nonché dei possibili nuovi rapporti tra istituzioni e cittadini al fine di

esaltarne le potenzialità e definire un possibile modello sostenibile.

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A partire dalla fine degli anni ’80, si è cominciato a

parlare prima di società dell’informazione e quindi,

negli anni ’90 con l’avvento della tecnologia digitale,

di network society, ovvero dell’affermazione di un

sistema socio-economico e finanziario non più

caratterizzato da una produzione di massa ed

uniforme, ma bensì su modelli di produzioni flessibili e

strutturati attorno ad un economia e ad un sistema

finanziario globale ed a rete. Il governo e la gestione

di queste trasformazioni, sempre più complesse e

trasversali, richiede un grande sforzo politico,

particolarmente necessario allorquando si desidera

incanalare questi elementi verso approcci sostenibili.

Partendo da questi presupposti, l’autore ha inteso

fornire un contributo sulla sostenibilità attraverso due

piani paralleli di lettura che si intrecciano ed

influenzano reciprocamente: quello della sostenibilità

ambientale del territorio e quello della componente

strumentale legata alla ICT. In tal senso si è cercato

di:

a. delineare un quadro, per quanto possibile

esauriente, sul ruolo dell’informazione e

della comunicazione nell’attuazione di

possibili modelli sostenibili del territorio con

particolare riguardo al valore delle basi

informative (quale informazione, per chi, per

che cosa e come produrre informazione) e ai

processi di comunicazione strutturati attorno

alla ICT;

b. comprendere gli aspetti essenziali ed il ruolo

della ICT con particolare riferimento alle

trasformazioni democratiche (e-democracy)

e delle architetture istituzionali (e-

government), nonché dei possibili nuovi

rapporti tra istituzioni e cittadini al fine di

esaltarne le potenzialità e definire un

possibile modello sostenibile.