Influenze arabe nella cucina siciliana

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La cucina araba e quella siciliana

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Influenza araba nella cucina siciliana

taccuinistorici.it Tweet SPECIAL_IMAGE-http://www.taccuinistorici.it/preview_images/news/2067_0.jpg-REPLACE_ME Testo a cura di Sabrina Gianforte. PREFETTO AIGS Sicilia Occidentale. Esperta in comunicazione d'impresa e marketing, ideatrice di stili e momenti di consumo. Curatrice di mostre e rassegne culturali. Da 10 anni cura la selezione di specilità enogastronomiche con la propria boutique del gusto Confezionando. Scrive per varie testate come free lance.  “Sciarba liban” cioè pastina di risi, salsina di pomodoro e pezzetti di carne.  Un piatto caldo il ricordo del tempo. Una grande fortuna giunse in Sicilia sotto gli arabi. Fecero della sua capitale, Palermo, l’epicentro della cultura richiamando a se uomini di vasta cultura che la arricchirono di grandissimi monumenti di cui ancora mostra vestigia. Gli scambi commerciali, con l’avvento dell’islam fecero giungere molti prodotti dell’agricoltura e dell’industria. Il riso non attechì come coltura, ma lasciò segno di sé in enogastronomia, le arancine ne sono un simbolo. Le arance fanno ingresso come piante aromatiche , infatti abbonda il loro uso come frutta candita e pianta ornamentale, elementi che rintracciamo nelle decorazioni della pasticceria. Storta e alambicco, di origine araba, si distillava anche la vinaccia per ottenere la grappa, che non veniva utilizzata come bevanda corroborante ma per alimentare lampade e disinfettare ferite. Si può  ipotizzare che fosse già in uso aromatizzare lo spirito con l’anice nei territori ove l’influenza mussulmana fosse più diffusa. 

Per esempio ” l’anis”  spagnolo, il “raki” di tutto il vicino oriente, “ l’ouzo ” greco a l’anice di Sicilia. Anche i “ratafia” infusione di bucce e polpa di agrumi in spirito di vinacce. Già a quel tempo la gastronomia occupa una importante parte della letteratura Araba. Lo stesso familiare di Saladino, scrisse un vero e proprio trattato di cucina il “Wusla-ila-al-habib”. Altre tracce si trovano nelle norme che diedero vita alla regola sanitaria della scuola salernitana, vera e propria summa delle esperienze occidentali e orientali. Trionfano lo zafferano , i chiodi di garofano, la cannella, il muschio e la canfora. Si preferì l’uso della carne trita o preparata in forma di pasticcio.

Ancora giunsero, la carrubba, il cui albero oggi è ritenuto  patrimonio dell’umanità e tutelata dall’Unesco; il sesamo ancora oggi si distingue nelle decorazioni del pane e nell’uso della pasticceria con la cobaita (barretta di sesamo, miele e mandorle sparse proveniente dalle zone di Ragusa e Siracusa quindi  dal “Val di Noto”.  Miglio, meloni, cipolla scalogno, e persino lo zucchero. Fino ad allora gli europei usavano il miele come dolcificante. La coltura della canna da zucchero,  è documentato che fu da questi diffusa, infatti esiste ancora oggi la contrada “cannetta” che si snoda lungo il fiume Eleuterio, tra Ficarazzi e Misilmeri nella provincia del capoluogo Siciliano, che culmina sulle cime di una collinetta detta “ Pizzo Cannetta”.

L’arrivo degli Arabi produsse una vera e propria rivoluzione delle abitudini alimentari dei Siciliani. La pesca, l’albicocco, il ficodindia, i datteri, ortaggi delicati come gli asparagi, le melanzane, il cotone, il pistacchio, sono ad essi attribuibili. Anche il gelsomino, da cui oltre il delicatissimo profumo si ricorda il delicato gelato “scursunera”. E ancora il sorbetto di agrumi da cui deriva il nome “scharbat” .Un trionfo anche nella pesca, sembra che già allora venisse, sperimentata la complessa tecnica per la pesca del tonno, ancora oggi in uso.

Un pasticcio fu poi  intitolato all’emiro di Catania Mohamed Ibn Timnah. Si potrebbe proseguire, con infiniti aneddoti e minuziosi racconti, ma se volessimo giunti fin qui delineare alcuni caratteri comuni della cucina arabo-siciliana noteremmo che è assente l’uso di antipasti, si prediligono piatti unici che costituiscono l’intero pasto e il caleidoscopico sviluppo della pasticceria. La mandorla, il pistacchio, il miele e la ricotta, seguiti dalla cannella e dalla zuccata sono gli elementi essenziali che

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caratterizzano la tradizione dei dolci a cui si possono ascrivere 200 varietà.Dalla cassata regina dei banchetti al cannolo suo fedele compagno, ai dolci di riso nelle sue

varianti di “riso ammanticatu” in compagnia di “crespelle si risu” e  “sfinge di risu” .  Ma non posso non stuzzicare ancora il desiderio gastronomico caratterizzato dal contrasto tra piccante e dolce, centrale nella cucina siculo-araba. 

La “Pasta chi sardi”  la cui paternità è attribuita al cuoco del generale arabo Eufemio  che sbarcando in Sicilia alla conquista dell’isola si trovo’ a dovere sfamare le sue truppe in condizioni disaggiate. Il cuoco aguzzo’  l’ingegno  unendo  quello che la natura intorno offriva, pesce e finocchietti , pinoli, pasolina e zafferano lo completarono. Altra leggenda racconta:  Zucca in agrodolce “ Ficatu ‘ri setti cannoli”  nel cuore della vucciria è sita la celebre fontana del  “Garaffello” che posside sette bocche. Era solito fermarsi un venditore ambulante di zucca già cotta, cibo da strada comune nella tradizione araba la vendita di cibi già pronti in strada, con il suo slogan il venditore proponeva la sua merce  impreziosendola metaforicamente con un poi probabile uso di tocchetti di fegato di vitello.Leggi news Sicilia taccuinistorici.it

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CUCINA

treccani.it di Anna MartellottiCucina Se la nuova civiltà alimentare dell'Europa tardomedievale, fiorita con la ripresa economica e commerciale dopo la crisi dell'anno Mille, nacque dalla sintesi delle due componenti latina e germanica (Montanari, 1993, pp. 19-30), sotto il profilo più squisitamente gastronomico è in palese debito con la grande tradizione arabo-persiana che si era sviluppata dopo l'insediamento della dinastia abbaside in Iraq, e si era quindi diffusa su tutto il territorio islamico, legandosi indissolubilmente con la dietetica umorale dapprima nel Canone di Avicenna e poi in opere divulgative come le Tavole della salute di Ibn Buṭlān e il Cammino dell'esposizione di Ibn Ǧazla, composte a Baghdad nel corso del sec. XI.

Per il tramite arabo giunsero infatti in Europa, insieme a nuovi prodotti (come lo zucchero, il riso, gli agrumi, alcune verdure e inusitate miscele di spezie), i grandi piatti aromatizzati e colorati della cucina orientale a soddisfare il desiderio di lusso e di esotismo, mentre la dietetica analizzava i più indovinati accostamenti di ingredienti consigliando per ciascuna complessione le preparazioni più consone e promettendo a tutti il benessere (Rodinson, 1971, p. 487).

La cucina araba trovò fertile terreno in Sicilia, un paese di grande tradizione alimentare fin dall'epoca degli insediamenti greci, che in quasi due secoli di dominazione musulmana ha sperimentato un proficuo 'bilinguismo alimentare', e venne poi facilmente trasmessa dalle popolazioni autoctone ai normanni, assai inclini all'epoca alle mode orientali, non da ultimo per la vicinanza della Scuola medica di Salerno, che si era aperta assai presto agli influssi arabi con le traduzioni di Costantino Africano (m. 1087).

Giovanni di Salisbury durante una sua visita in Puglia, forse tra il 1155 e il 1156 al seguito del papa Adriano IV, invitato a cena da un non meglio identificato "dives Canusinus", si scandalizzò della ricchezza cosmopolita dell'imbandigione, indicando la provenienza delle specialità da Bisanzio e dai paesi arabi del Vicino Oriente e dell'Africa: "Costantinopolitanas Babilonicas Alexandrinas Palestinas Tripolitanas Barbarorum Sirias Pheniciasque delicias" (Montanari, 1995, p. 333).

I nuovi piatti vennero esportati in Inghilterra, probabilmente durante il regno di Guglielmo II di Sicilia (1166-1189, il quale aveva sposato nel 1177 Giovanna figlia di Enrico II d'Inghilterra), come dimostrano due ricettari anglo-normanni pieni di arabismi che, in seguito tradotti, formano il nucleo dei più antichi libri di cucina inglesi (Hieatt-Jones, 1986).

Ma sarà sotto Federico II che vedremo attuarsi una sintesi coerente dei diversi elementi, con un'indiscutibile presenza di ricette arabe rivisitate secondo i gusti occidentali, con un occhio agli arrosti germanici, senza rinunziare alla tradizione latina nella predilezione per i farinacei e le verdure. Questa cucina, che ha l'ambizione di presentarsi come genuinamente europea, trova la sua più perfetta codificazione nel Liber de coquina, redatto certamente nell'ambito della corte, attraverso una serie di scritture e di rimaneggiamenti in cui si riflettono i diversi aspetti della personalità dell'imperatore.

Da una parte abbiamo il gaudente filoislamico, condannato da Dante tra gli epicurei, che viaggia accompagnato da una carovana variopinta di animali esotici e schiavi arabi, che mantiene più di un harem guardato da eunuchi e indulge ai piaceri amorosi (e forse anche alla sodomia); che ricrea nella sua corte i cenacoli colti e sfarzosi dei grandi califfi abbasidi di Baghdad, centri di poesia e di discorsi sulla letteratura (adab 'cultura', ma anche 'costumi ornati' e infine 'letteratura'), dove anche il cibo diviene oggetto di dotte disquisizioni e di garbate narrazioni; che ostenta sul modello arabo una conoscenza di prima mano dei procedimenti culinari e firma una ricetta di cavoli ("caules secundum usum imperatoris").

Alla volontà di dotare la corte e tutto il Regno di una raccolta di ricette in volgare come prosecuzione delle ricette normanne, e come controparte dell'ampia letteratura culinaria del Kitāb al-

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thabīkh ('Libro di cucina') si collega il ricettario conosciuto come Meridionale A, redatto probabilmente in siciliano 'illustre' (un linguaggio conciso e perspicuo, con qualche inflessione notarile: 'il suddetto recipiente', 'il menzionato ingrediente'), forse ad opera degli stessi funzionari che poetano in siciliano, ma conservato in una versione assai tarda in un generico dialetto meridionale (Anonimo Meridionale, 1985, pp. 1-31).

L'atteggiamento scientifico della mentalità di Federico si riflette invece nell'attenzione per la dietetica e la conseguente scelta di seguire uno stretto regime alimentare, con grande scandalo dei suoi detrattori, che lo accusavano di rinunziare al cibo solo per motivi di salute e non per conquistarsi il paradiso: "non intuitu divine retribucionis sed corporalis conservande causa sanitatis", come precisa Giovanni di Winterthur (Montanari, 1995, p. 337); ricordiamo la commissione del Tractatus de regimine iter agentium vel peregrinantium, scritto da Adamo da Cremona nel 1227 in relazione con la crociata, ma specialmente l'Epistola Theodori philosophi ad imperatorem Fridericum, la prima dietetica ad personam del Medioevo occidentale, composta dal medico di corte Teodoro di Antiochia sul modello dello pseudo-aristotelico Secretum secretorum per Alessandro Magno, un'opera peraltro già presente nella biblioteca imperiale; e vorremmo anche aggiungere la traduzione del Tacuinum di Buṭlān eseguita sotto il regno di Manfredi.

Agli interessi dietetico-sanitari si ricollega l'idea di trasformare un'ostentatoria raccolta di leccornie e di piatti speciali, particolarmente sbilanciata nell'imitazione della gastronomia araba, in un manuale di cucina di impostazione scientifica che rifletta le caratteristiche della nuova cucina europea, redatto in latino e rivolto non più al Regno, ma all'Impero, o forse a tutto l'Occidente. Una prima versione, basata essenzialmente sul Meridionale A, ma ampliata inserendo all'inizio un trattato sulle verdure e a conclusione una sezione di cibi per malati (ambedue ispirati alla trattatistica medica), è andata perduta, ma se ne conserva una traduzione in toscano: il Libro della cocina (Zambrini, 1863). Un successivo tentativo di rendere più uniforme la strutturazione del materiale (Pal. Lat. 1768) sfocia nella redazione finale del Liber de coquina, in cui tutte le preparazioni risultano classificate secondo le materie prime, suddivise in cinque capitoli sul modello della trattatistica medica: verdure, carne, uova e latte, pesci, cibi composti (Mulon, 1968, pp. 396-420).

Attraverso questi ricettari ci si spalanca il mondo gastronomico della Sicilia federiciana. La componente araba resta sempre preponderante, in primo luogo con gli spezzatini di carne brodettati che rivelano già nella denominazione la loro provenienza: brodo saraceno e scapece (dall'arabo sikbāǧ, agrodolce all'aceto), gelatina, lemonia, sommachia, romania (con il brodetto verde), biancomangiare, festiggia; il battuto di carne speziato (batutum, calco dell'arabo mudaqqaqa) con cui si preparano ravioli e polpettine, la spalla rivestita, il ripieno per le torte; la pasta fresca (lasagna) e secca (tria). Gli arabi sono spesso il tramite per il recupero di ricette più antiche, come avviene nel caso dell'amorosa che si riconduce all'ambrosia, un miscuglio per le libagioni a Zeus descritto da Ateneo; o della torta parmigiana, che giunge attraverso l'Egitto, ma che risale addirittura a modelli babilonesi, già noti al mondo greco alessandrino; o del pollo e porcellino ripieno già presenti in Apicio, che ritornano insieme al battuto arabo.

Non manca però l'apporto occidentale, rilevabile in primo luogo nelle basilari modifiche che i piatti arabi subiscono nel processo di adeguamento alle abitudini alimentari europee, nella semplificazione dei procedimenti di cottura, sostituzione del lardo e strutto di maiale al grasso di coda di montone, predilezione del vino nelle salse, ecc.: così i brodetti arabi si trasformano in sapori in cui completare la cottura di carni già avviata, o addirittura in salse da accompagnare ai prediletti arrosti; la stessa sorte spetta anche alle paste che da ingredienti in preparazioni di carne diventano contorni per arrosti (la tria genovese). Del resto il Liber preferisce eliminare le indicazioni di provenienza esotica ('di Siria', 'di Gerusalemme') che costellano i ricettari inglesi e tedeschi, quasi a stabilire che ormai si tratta di piatti europei, e si contrappone volutamente alla preponderanza araba, chiamando a raccolta nell'attribuzione dei piatti non solo regioni vicine (Puglia e Campania), ma anche lontane (come la

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Marca trevigiana, dominata dal crudele alleato Ezzelino) e, fuori d'Italia, tutto il mondo occidentale, dalla Francia all'Inghilterra alla Germania.

In particolare le impressionanti analogie con l'Inghilterra, specialmente in presenza di prestiti arabi, ci permettono di ricostruire una cucina normanna; mentre le coincidenze con ricette tedesche indicano senza ambiguità il periodo svevo, ad esempio per la 'testa di Turco', un'artificiosa preparazione in pasta ripiena che imita una testa mozza (mentre la coloritura scura e i capelli neri ne indicano la razza orientale), che ritroviamo nei libri di cucina inglesi e in quelli tedeschi e che sopravvive tuttora nella pasticceria siciliana.

Questa sontuosa cucina meridionale si espande verso il Nord per le stesse vie seguite dalla poesia siciliana, e ne troviamo la prova sia nel diffondersi dei ricettari, sia spigolando nella testimonianza di letterati e storici.

La ritroviamo quindi in Toscana, dove, come si è visto, viene tradotta la prima stesura del Liber latino, evidentemente in un periodo assai antico; a Siena si verifica l'episodio della brigata spendereccia noto a Dante, cui è legato il ricettario 'dei dodici ghiotti' dalla forte componente epicurea, richiamando in tutte le ricette i destinatari "ricchi e ghiotti" (il loro cuoco riscrive le ricette, pur restando tutto il testo intriso di meridionalismi e quindi di arabismi).

La diffusione in area padana dei ravioli senza crosta è deprecata da Salimbene de Adam come esempio della golosità moderna nella sua Cronica, alla data 1284, accanto a una invasione di farfalle, terremoti, eclissi di sole e di luna: "De gulositate modernorum" (Martellotti, Quinquinelli, 2001, p. 366).

A Venezia infine viene compilato il Libro del cuoco (Frati, 1899) che riporta tra l'altro due ricette di Manfredi (la "Torta di re Manfredo da fava frescha" e la "Torta Manfreda bona e vantagiata") e una raffinata frittella di formaggio attribuita a Federico II ("fritelle da Imperadore").

La cucina tardomedievale, che sopravvive se pur modificata per tutto il Rinascimento, è destinata a scomparire con il decadere della teoria umorale, ma abbandonando le mense dei ricchi si nasconde nelle pieghe della tradizione bassa e la vediamo in seguito riemergere e raccogliere un rinnovato interesse sotto la specie di succulente e stravaganti specialità regionali, come lo scapece, la genovese, i pasticci di lasagne, la mostarda di Cremona, le pies e il blancmange inglesi, e tante altre.fonti e bibliografia

Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. Lat. 1768, cc. 160-189v. F. Zambrini, Il libro della cucina del sec. XIV, Bologna 1863 (riprod. anast. ivi 1968).L. Frati, Libro di cucina del secolo XIV, Livorno 1899 (riprod. anast. Bologna 1970).M. Mulon, Deux traités inédits d'art culinaire médiéval, "Bulletin Philologique et Historique",

1, 1968, pp. 369-435.Anonimo Meridionale, Due libri di cucina, a cura di I. Boström, Stockholm 1985.C.B. Hieatt-R.F. Jones, Two Anglo-Norman Culinary Collections Edited from British Library

Manuscripts Additional 32085 and Royal 12.C.xii, "Speculum", 61, 1986, nr. 4, pp. 859-882. M. Rodinson, Les influences de la civilisation musulmane sur la civilisation européenne

médiévale dans les domaines de la consommation et de la distraction: l'alimentation, in Oriente e Occidente nel medioevo: filosofia e scienza. Convegno internazionale dell'Accademia Nazionale dei Lincei (1969), Roma 1971, pp. 479-500.

M. Montanari, La fame e l'abbondanza. Storia dell'alimentazione in Europa, Roma-Bari 1993.Id., Convivi e banchetti, in Strumenti, tempi e luoghi di comunicazione nel Mezzogiorno

normanno-svevo. Atti delle undecime giornate normanno-sveve (1993), Bari 1995, pp. 323-344.M. Weiss Adamson, Medieval Dietetics. Food and Drink in Regimen Sanitatis Literature from

800 to 1400, Frankfurt a.M. 1995.C.B. Hieatt, How Arabic Traditions Travelled to England, in Food on the Move. Proceedings of

the Oxford Symposium on Food and Cookery 1996, a cura di H. Walker, Totnes 1997, pp. 120-126.

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M. Montanari, I luoghi della cultura alimentare, in Centri di produzione della cultura nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle dodicesime giornate normanno-sveve (1995), Bari 1997, pp. 355-372.

A. Martellotti, The Parmesan Pie, "Petits Propos Culinaires", 1998, nr. 59, pp. 7-14; 1999, nr. 61, pp. 7-15.

G.J. van Gelder, Of Dishes and Discourse. Classical Arabic Literary Representations of Food, Richmond 2000.

A. Martellotti, Il 'Liber de ferculis' di Giamboni-no da Cremona. La gastronomia araba in Occidente nella trattatistica dietetica, Fasano di Puglia 2001.

Ead., Quinquinelli zoè rafioli, "Annali della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell'Università di Bari", ser. III, 15, 2001, pp. 351-372.

Ead., The Turk's Head, "Petits Propos Culinaires", 2002, nr. 71, pp. 104-115. treccani.it

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Cucina siciliana - Wikipedia

it.wikipedia.org SPECIAL_IMAGE-//upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/2/28/Dolce_pasta_Elena_.jpg/220px-Dolce_pasta_Elena_.jpg-REPLACE_ME La cucina siciliana è l'espressione dell'arte culinaria sviluppata in Sicilia ed è strettamente collegata alle vicende storiche, culturali e religiose dell'isola.

Si tratta infatti di una cultura gastronomica regionale complessa ed articolata, sovente ritenuta la più ricca di specialità e la più scenografica d'Italia[2], che mostra tracce e contributi di tutte le culture che si sono stabilite in Sicilia negli ultimi due millenni.

Dalle abitudini alimentari della Sicilia greca, rinomate in tutto il mondo antico grazie all'opera di Archestrato, alle prelibatezze dei "Monsù", i cuochi francesi delle famiglie nobiliari, passando dai dolci arabi e dalle frattaglie cucinate per strada alla maniera ebraica, tutto contribuisce a rendere varia la cucina siciliana. SPECIAL_IMAGE-//upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/9/9b/Stigghiolaro_30-09-06.jpg/230px-Stigghiolaro_30-09-06.jpg-REPLACE_ME Nei piatti della cucina siciliana si usa esclusivamente l'olio extravergine d'oliva, sia per cucinare che per condire. Il burro è ben poco usato, la sugna viene utilizzata solo per ammorbidire l'impasto di alcuni dolci. Gli ingredienti principali sono soprattutto vegetali o marini (pesce e molluschi). La carne è utilizzata di rado, e per lo più in forma di frattaglie. Il pesce è tradizionalmente molto presente nelle tavole dei siciliani, servito fresco, aromatizzato con olio, aglio o con olive e capperi, pangrattato e arancia. SPECIAL_IMAGE-//upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/8/81/Olive_1.jpg/240px-Olive_1.jpg-REPLACE_ME Il sale è soprattutto marino, e i piatti sono impreziositi dalle erbe aromatiche che crescono in abbondanza: basilico, prezzemolo, menta, alloro, origano, rosmarino, salvia, cipolle selvatiche, semi di finocchio e finocchietto selvatico, insieme a gelsomino, pinoli, uva passa, pangrattato tostato ("muddica"), scorza d'arancia, succo di limone, ecc. Capperi, aglio e cipolla sono altresì spesso presenti nelle preparazioni. Caratteristico di molte preparazioni è l'agrodolce. Molto utilizzati anche mandorle, nocciole e pistacchi, sia nella preparazione di dolci e di bevande che per condire riso e pasta. SPECIAL_IMAGE-//upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/e/ec/Pane_e_panelle.jpg/200px-Pane_e_panelle.jpg-REPLACE_ME Un posto di rilievo occupa la "gastronomia da strada": la tradizione è ricca di preparazioni veloci, e poco costose, in vendita in bancarelle o chioschi per strada: pane e panelle, pane con la milza, stigghiole, quarume, frittola, musso, ortaggi (cardi, cavolfiori, etc.) fritti in pastella, arancine (dette "arancini" nella Sicilia orientale), ecc. Diverse versioni locali della Pizza danno vita alla pizza siciliana.

Molto utilizzato il pane, che accompagna tutti i pasti, che viene sfornato due-tre volte al giorno, e che viene consumato fresco. Nell'isola sono presenti numerose varietà di pane, spesso cosparso di sesamo (detto "cimino" o "giuggiulena"). Il pane è presente in molti riti sacri.

L'isola produce infine diverse varietà di formaggio (di latte vaccino e di pecora) ed una solida tradizione vitivinicola, con 28 vitigni autoctoni, 21 vini DOC e 7 milioni di ettolitri di vino prodotti ogni anno. Un capitolo a parte sono i dolci (fritti, al forno, al cucchiaio), spesso a base di frutta e frutta secca. Spesso legati a tradizioni religiose, i dolci siciliani sono ricchissimi. Molto utilizzata la ricotta ovina zuccherata, il miele ma anche il cioccolato che a Modica viene lavorato artigianalmente.

I gelati e le granite sono pezzi importanti della vita quotidiana in Sicilia, e vengono prodotti in centinaia di gusti differenti: è proprio in Sicilia che nel XVII secolo venne inventata la produzione moderna del gelato.

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La pasta, come testimoniato dal geografo arabo-siculo Idrisi, è attestata per la prima volta in Sicilia, nel paese di Trabia, nell'anno 1154[3]. Ancora oggi è una componente fondamentale della cucina siciliana. SPECIAL_IMAGE-//upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/3/3f/Pasta_alla_Norma_%282563876877%29.jpg/220px-Pasta_alla_Norma_%282563876877%29.jpg-REPLACE_ME SPECIAL_IMAGE-//upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/4/45/Pasta_con_le_sarde_%28Palermo%29.jpg/220px-Pasta_con_le_sarde_%28Palermo%29.jpg-REPLACE_ME SPECIAL_IMAGE-//upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/8/8b/Couscous-01.jpg/220px-Couscous-01.jpg-REPLACE_ME Il riso, anche se oggi la sua coltivazione in Sicilia è rara, e non si conoscono le cause della diminuzione delle coltivazioni di questo cereale, un tempo ebbe qui le sue origini europee.[5] Furono infatti gli arabi ad intrdurlo nell'isola, e furono poi gli aragonesi di Sicilia i primi ad esportarlo. Eppure il riso ai siciliani non è mai piaciuto troppo, non quanto la pasta, infatti c'è un proverbio siciliano che recita: "risu: quantu mi jsu" (riso: allora mi alzo) per dire che è leggero, che è un mangiare veloce a tavola. Ma le ricette col riso sono comunque spesso usate nella cucina regionale, le più diffuse sono:

Riso al forno (u risu 'o furnu); timballo di riso preparato con ragù e condito con piselli, mozzarella, prosciutto, parmigiano ed infornato. Risotto con i funghi; risotto amalgamato con i funghi. Risotto alla marinara; risotto con frutti di mare: cozze, vongole, gamberetti e diversi altri. Insalata di riso; piatto mangiato freddo, condito con maionese, tonno, uova sode, verdure sott'olio, aceto e olio.

Il cous-cous, è formato da granelli di semola cotti al vapore in speciali tegami di terracotta. Si tratta di un piatto originario del Nordafrica. È stato introdotto in provincia di Trapani dall'immigrazione di fine ottocento verso la Tunisia e a inizio Novecento verso la Libia con la particolaità dell'uso del brodo di pesce invece che la versione magrebina. Oggi il couscus di pesce è considerato un piatto quasi quotidiano della cucina trapanese, anche se è conosciuto e consumato in tutta l'isola.

Altre varianti sono il Cous-Cous di verdure e Cous-Cous dolce. SPECIAL_IMAGE-//upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/18/Cappero_%28capparis_spinosa%29.jpg/220px-Cappero_%28capparis_spinosa%29.jpg-REPLACE_ME Le spezie e le arbe aromatiche sono quegli ingredienti che nei piatti mediterranei non mancano mai. Per esempio per fare il cous-cous serve una grande quantità di spezie: curcuma, cumino, paprica, coriandolo, cannella, peperoncino ed altre. Una spezia introdotta dagli arabi in Sicilia è lo Zafferano.[6]

Ma anche le erbe aromatiche qui sono molto usate, tra le più note: Alloro: le foglie di alloro, addauru in siciliano, vengono impiegate per aromatizzare carni, pesci, liquori e per creare medicinali naturali.Basilico: in siciliano chiamato basaricò o basilicò, lo si trova su tutto il territorio, le sue vengono impiegate per aromatizzare i sughi a base di pomodoro e il cosiddetto pesto; sia la versione genovese che quella siciliana. Cappero: in siciliano detto chiappiru o ciappiru è una pianta aromatica molto diffusa in Sicilia, i suoi frutti si conservano sotto sale o sott'aceto e vengono usati in molte preparazioni culinariera, soprattutto in quelle di pesce. Finocchio selvatico: noto in dialetto come finocchiu sarbagghiu o finocciu sabbaticu, è una delle più diffuse erbe aromatiche di tipo spontaneo che crescono un po' ovunque nelle campagne, il suo utilizzo è noto specialmente per fare le "Salsicce condite" insieme al peperoncino rosso. Menta, altra pianta molto diffusa nel mediterraneo, dal sapore particolarmente profumato, viene utilizzata per aromatizzare persino i dolci. Un uso noto in Sicilia è quello di adoperarla per condire le melanzane sott'olio o arrostite. Nepita: simile alla menta, detta nebbita in dialetto, è una pianta anch'essa molto diffusa sul territorio. Le sue foglie hanno un aroma dolciastro e vengono usate per aromatizzare cibi locali. Origano: chiamato in dialetto auricunu o aricunu, è una pianta che cresce in prossimità di rocce calcaree e di terreni non necessariamente irrigati. Le sue foglie fatte prima essiccare vengono poi usate in numerose pietanze. Prezzemolo:

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chiamato in siciliano puddisinu, viene messo in molti alimenti. Rosmarino: in dialetto noto come rosamarinu è una pianta aromatica diffusa in terra siciliana. Le sue foglie insaporiscono una grande varietà di piatti, specialmente di carne. Timo: è una pianta aromatica che cresce spontaneamente nelle zone montane e marittime, le sue foglie sono adoperate in particolar modo su ricette a base di pesce azzurro.Salvia: pianta molto profumata, le sue foglie aromatizzano molte varietà di pietanze. SPECIAL_IMAGE-//upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/4/4f/Arancini_messinesi.JPG/220px-Arancini_messinesi.JPG-REPLACE_ME SPECIAL_IMAGE-//upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/9/9e/Prickly_pears.jpg/250px-Prickly_pears.jpg-REPLACE_ME La frutta è un alimento importante per la Sicilia, anche perché rappresenta un elemento economico non indefferente, essendo il territorio regionale favorevole ed esposto all'agricoltura. La frutta, così come nelle altre regioni d'Italia, è consumata tradizionalmente a fine pasto. Molta frutta come albicocche, mele cotogne, fichi e agrumi viene utilizzata per confezionare marmellate (tra cui la Cutugnata a base di mele cotogne) e confetture. La cosiddetta frutta esotica (kiwi, banane, ananas ed altri) va a formare insieme a pesche, pere, mele, fragole, uva e così via, la cosiddetta Macedonia, piatto di frutta mista preparata con del succo d'arancio e zucchero, molto mangiata, specialmente d'estate, nel Mediterraneo. Con le bucce delle arance si possono fare i canditi, con meloni, angurie e altri tipi di frutta si possono fare ottimi gelati, con fragole, limoni, pesche, mandorle, gelsi e così via, possono essere fatte le granite. Alcuni tipi di frutta possono essere anche cotti, come le pere, in dialetto si chiamano Pira Ugghiuti (pere bollite). Anche le cotogne si possono cuocere. E qui è usanza mangiare come frutti anche gli agrumi come limoni ed i cedri, nonostante possa sembrare strano, poiché il loro sapore agro non si adatta ad un frutto da dopo pasto, ma invece è usanza intingere il limone nello zucchero e dargli così un sapore agrodolce che lo rende mangiabile a spicchi (alcuni usano mettere il sale al posto dello zucchero). In particolar modo il cedro, anche se possiede una polpa aspra ha la buccia, chiamata "Muddicuni" (molla), piuttosto dolce. Infine, è molto diffuso il consumo di frutta autoctona come carrubbe, gelsi, fichi, nespole e melograni. Ma il frutto più caratteristico siciliano resta comunque il Ficodindia, che all'apparenza può sembrare immangiabile perché ricoperto di spine, ma, tolta la buccia è un frutto molto dolce che si distingue in vari colori e che ha all'interno dei semini commestibili. Ci sono poi dei ficondindia più tardivi a nascere, verso settembre, i quali in dialetto vengono chiamati I Bastadduna, che hanno caratteristiche diverse dal normale ficodinadia, quelli di settembre infatti sono più grandi e non hanno semi all'interno. SPECIAL_IMAGE-//upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/1/1f/Venditore_di_frutta_secca_Sicilia.jpg/400px-Venditore_di_frutta_secca_Sicilia.jpg-REPLACE_ME La Frutta secca è considerata come il cibo festaiolo per eccellenza, poiché essa viene venduta durante le varie festività da apposite bancarelle dove si trovano i frutti secchi sia dolci che salati. Viene consumata principalmente in inverno, specialmente nei periodi natalizi dove mandorle di Avola, noccioline, noci, pistacchi di Bronte sono spesso sulle tavole siciliane. Le castagne, per esempio vengono molto vendute; nel periodo autunnale ed invernale si trovano per le strade i caratteristici venditori di castagne, i quali nei loro pentoloni fumanti arrostiscono le caldarroste, cioè le castagne arrostite e salate, da mangiare calde. Altra frutta secca è composta da Calia e Simenza, si tratta di semi di zucca e ceci abbrustoliti. Si possono trovare sia d'estate che d'inverno. La calia (i ceci) se è ricoperta da zucchero colorato) si chiama Calia Russa, perché il colore dello strato di zucchero è tradizionalmente rosso, anche se la calia può essere variopinta a seconda dei gusti. Altri tipi di frutta secca sono: La Nucidda Americana (le arachidi) chiamata anche Nucidda Calacausi (che può essere salata o

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caramellata); La Pastiglia (castagne essiccate); Le Mandorle caramellate (affini alla calia" e alle arachidi caramellate); Le Nuciddi ri Natali (le nocciole); Le Nuci (le noci vere e proprie); I Pistacchi; I Luppini (i lupini) chiamata anche a luppina; La Ficu Sicca (i fichi secchi); Gli Addattuli (i datteri); I Passuli (l'uva passa); I Prugni sicchi (le prugne secche) SPECIAL_IMAGE-//upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/d/d3/Cassata.jpg/250px-Cassata.jpg-REPLACE_ME SPECIAL_IMAGE-//upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/f9/Cannoli_siciliani_%28edited%29.jpg/250px-Cannoli_siciliani_%28edited%29.jpg-REPLACE_ME SPECIAL_IMAGE-//upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/0/01/Granita_brioche.JPG/250px-Granita_brioche.JPG-REPLACE_ME SPECIAL_IMAGE-//upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/19/Minnuzze_di_sant%27aita.jpg/250px-Minnuzze_di_sant%27aita.jpg-REPLACE_ME Uno dei dolci più famosi della Sicilia, preparato con pan di Spagna, glassa, canditi, rinomata per la sua consistenza di sapore.

Si dice sia il dolce più famoso dell'isola, mangiato e conosciuto nel mondo, viene preparato con ricotta o cioccolato o crema gialla, condito con pistacchio o frutta candita e zucchero a velo.

Biscotti tipicamente siciliani, ricoperti da glassa di cioccolato preparati in occasione della festività autunnale del 2 novembre, per la festa dei morti, come si dice in siciliano e possono essere neri (al cioccolato) o bianchi (al limone).

Dolce dalle origini arabe che ha visto i suoi natali proprio in Sicilia. Le più note granite sono quella alla mandorla e al limone ma vi sono anche molti altri gusti di granite che vanno da quella al caffè, alle fragole, alla menta, al cioccolato e molte altre.

Le paste di mandorle sono ben preparate sul territorio, anche grazie alla nota e ricercata mandorla di Avola, la quale dona alle paste (particolarmente rinomate sono quelle siracusane) un ottimo sapore. I modi per prepararle sono molteplici; variano in forma e condimenti, ma l'elemento principale resta comunque la mandorla.

Anche la frutta martorana è un piatto originario della Sicilia e composto da pasta di mandorla, alla quale si dà la forma di diversi frutti o alimenti. Caratteristico specialmente di Palermo e Trapani, viene comunque preparato e commercializzato in tutta l'isola.

La giuggiulena è diffusa nella Sicilia orientale (particolarmente nel siracusano), mentre lo stesso dolce assume il nome di cubbaiata nella parte occidentale dell'isola e nel modicano (che è comunque zona orientale); si tratta di un torrone che viene preparato durante il periodo natalizio; viene fatto con dello zucchero caramellato con l'aggiunta di scorza di arancio e la giuggiulena, ovvero la semenza.

È un dolce a forma di raviolo al cui interno vi è un impasto di ricotta di pecora, zucchero e gocce di cioccolato, fritto nell'olio bollente. Solitamente si consumava in occasione della Pasqua, oggi è di uso quotidiano

Il salame turco, chiamato anche salame di cioccolato, è un tipico dolce siciliano; si ha l'abitudine di prepararlo in casa in maniera molto semplice ed artigianale. La sua preparazione consiste nel mettere insieme cacao in polvere amaro, biscotti secchi sbriciolati, zucchero, uova e dare al composto una forma allungata come fosse un salame, poi lo si mette nel frizer per un paio d'ore fino a quando non prende la giusta consistenza. Va servito freddo.

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è un dolce al cucchiaio siciliano diffuso in tutta la Sicilia, ma originario di Siracusa, dove viene preparato in occasione della festività in onore di Santa Lucia. Questo dolce nella cucina siciliana è nato per celebrare un importante miracolo operato dalla Santa Patrona di Siracusa, verso la città aretusea nel milleseicento. Originariamente consisteva nel mangiare del grano bollito, in segno di devozione, poi si è trasformato in un vero dolce, per cui al grano è stata aggiunta della ricotta zuccherata o della crema, canditi, pezzetti di cioccolata fondente, mandorle e altri ingredienti.

È un dolce un molto diffuso in Sicilia; presenta forma quadrangolare ed è a base di pasta sfoglia farcita con panna e crema pasticcera (o ricotta).

Dolce tipicamente estivo, lo si può trovare "nero" (se è a base di gelato al cioccolato) o "bianco" (se è a base di gelato alla vaniglia). Viene poi ricoperto con della granella e nel suo centro vi si trova della panna, caffè o una ciliegia candiata.

Dolce tipico natalizio, ampiamente diffuso sulle tavole siciliane; viene preparato con miele, albume d'uovo, mandorle, nocciole o pistacchi.

Il Sorbetto è un dolce dall'antica tradizione, lo si usa spesso come alimento per separare le portate di pesce da quelle di carne; poiché il suo sapore agro-dolce è adatto a rinfrescare il palato. Il più noto è il Sorbetto al limone ma vi è pure all'arancio, alla fragola e in altri gusti.

Dolce al forno siciliano che viene spesso accompagnato alla granita di mandorle o farcita di gelato.

Diffuso in tutta l'isola; si tratta di un impasto di pasta frolla, steso a sfoglia non sottile e farcita con un ripeno di fichi secchi, uva passa, mandorle, scorze d'arancia o altri ingredienti che variano a seconda delle zone in cui viene preparato, poi chiusa e conformata in vari modi, spesso a forma di ciambella.

La sua base è costituita da farina, acqua, lievito e sale. In Sicilia molto preparata è anche la cuddura con le uova sode intere inserite nel centro, chiamato cuddura cull'ova, che si consuma a Pasquetta. Una ricetta molto simile era preparata dalle ragazze per i fidanzati, a dimostrazione del loro amore, sagomandola a forma di cuore. La Regione Siciliana ha inserito nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani anche la cuddura di San Paulu, un pane votivo preparato in occasione della celebrazione del martirio di san Paolo (29 giugno) nel comune di Palazzolo Acreide. Altre versioni sono presenti nella stessa Provincia di Siracusa, dove questo prodotto fa parte della tradizione culinaaria locale.

La torta fedora è una torta tradizionale siciliana a base di ricotta di pecora zuccherata, pan di Spagna, gocce di cioccolato e infine decorata con pistacchio e mandorle. Dopo il cannolo e la cassata, la torta fedora è una delle specialità più conosciute della pasticceria siciliana.

Il gelo di melone (gelu di muluna in lingua siciliana), anche detto gelo d'anguria, è un tipico dolce al cucchiaio siciliano, tradizionalmente preparato a Ferragosto. L'ingrediente principale è l'anguria.

Il latte di mandorla è una bevanda non alcolica tipicamente siciliana ma ampiamente diffusa nel Meridione d'Italia.

È la versione in formato mignon della classica cassata siciliana; a Catania questo dolce assume un significato particolare poiché simboleggia il martirio subito dalla santa catanese, Sant'Agata, da qui deriva infatti il nome che i catanesi hanno dato a questo dolce: Minne rì Sant'Àjita. In altre zone della Sicilia invece questo dolce è semplicemente noto come "cassatina" o "cassatella".

I muccunetti (termine dialettale che vuol dire "bocconcini"), sono antichi dolci tipici della Sicilia occidentale, precisamente di Mazara del Vallo; realizzati con zuccata, mandorle, zucchero e uova. I muccunetti vengono realizzati tutti a mano seguendo l'antica ricetta, e confezionati ad uno ad uno nella carta velina, a forma di grosse caramelle.

Sono due dolci tipici della zona Nord-orientale della Sicilia (Messina) e della Calabria. Per

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quanto riguarda la città siciliana messinese, queste due ricette prevedono entrambe l'ingrediente base che è la "pigna", ovvero un pallino di pasta fritto e ricoperto di miele o di glassa (cioccolato o limone) a seconda della ricetta. Esistono delle varianti di questo dolce nel ragusano.

La petrafennula (o pietrafendola, petrafernula) è un tipico dolce siciliano, diffuso in tutta l'isola, e consumato per la festa dell'Immacolata e nel periodo natalizio. Di origine araba, viene preparato con miele, mandorle, bucce di cedro e arance, confetti e cannella, ed è una sorta di torrone estremamente duro.

Le rame di Napoli sono un dolce tipico di Catania consumato durante le festitivà dei defunti. È un biscotto dal cuore morbido al gusto di cacao, ricoperto per intero da una glassa di cioccolato fondente. Non si conosce con esattezza l'origine del nome tuttavia esistono varie ipotesi: la prima cita un famigerato pasticciere di Napoli come inventore di questa ricetta; un'altra ipotesi parla di un atto di vassallaggio della Sicilia nei confronti di Napoli durante l'epoca del Regno delle due Sicilie.

Dolce molto antico tipico di Agira, in provincia di Enna, nella zona della Sicilia centrale. Sono dolci rinomati e ricercati, preparati in modo artigianale, con l'uso della pasta di sugna, farina, uova zucchero e acqua, ripieni di mandorle, cacao, limone e farina di ceci, decorate con dello zucchero a velo.[8] it.wikipedia.org

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Storia della cucina siciliana

cucinario.it SPECIAL_IMAGE-http://www.cucinario.it/images/stories/natale_2010/gif-animate-befana-festa_3.gif-REPLACE_ME SPECIAL_IMAGE-http://www.cucinario.it/images/stories/natale_2010/buonaepifania.jpg-REPLACE_ME SPECIAL_IMAGE-http://www.cucinario.it/images/stories/divisori/divisori_105.gif-REPLACE_ME SPECIAL_IMAGE-http://www.cucinario.it/images/stories/disegni2/storiacucinasiciliana.jpg-REPLACE_ME SPECIAL_IMAGE-http://www.cucinario.it/images/stories/cucinario_scrive/DSC01700.JPG-REPLACE_ME Adagiata al centro del Mediterraneo, fra Tirreno e Ionio, al crocevia fra le rotte più importanti del nostro bacino, fin da epoche remote la Sicilia è stata un approdo naturale per i navigatori e i commercianti.La sua speciale posizione geografica ha favorito l'incontro di popoli e civiltà: la mitezza del clima, la fertilità del terreno e la pescosità dei suoi mari hanno ispirato eccezionali connubi di ingredienti locali e importati.E' nata così una gastronomia che raccoglie le tracce di diverse culture avvicendatesi in questo territorio tanto conteso.

SPECIAL_IMAGE-http://www.cucinario.it/images/stories/cucinario_scrive/DSC03476.JPG-REPLACE_ME spaghetti alle vongole                      mussu e carcagnolo

La Sicilia venne colonizzata dai Fenici, ( VIII secolo a.C.) ai quali seguirono i Cartaginesi e i Greci.Quest’ultimi hanno lasciato un segno ben preciso nella tradizione gastronomica siciliana: introdussero vari tipi di pane, alcuni trattamenti delle olive, la salatura della ricotta, per poterla conservare più a lungo, il miele (quindi l’allevamento delle api) e molto probabilmente fecero conoscere il vino.

le stigghiole

Nel III secolo a.C. la Sicilia divenne una delle principali provincie romane e fu definita il “granaio di Roma”.Questa dominazione non portò particolari vantaggi, anche se la pesca e l’allevamento degli ovini ebbero un certo incremento.Dal lato gastronomico i Romani fecero conoscere l’uso di farcire pesci e verdure, la maestria nel preparare le salsicce e quella di conservare la neve dell’Etna per

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confezionare preparazioni a base di frutta.

Tra il V e VI secolo d.C. la Sicilia cadde sotto la dominazione dei Vandali e degli Ostrogoti i quali non lasciarono altro che una forte decadenza  culturale ed economia,  ma nulla che possa essere ricordato dal lato gastronomico.Successivamente la Sicilia passo sotto il dominio Bizantino che ne mantenne il controllo per circa tre secoli.Il loro influsso artistico è stato indiscutibile, dal lato gastronomico non si sono distinti in modo particolare.Comunque, insegnarono la pratica di arrostire allo spiedo grossi tagli di carne, la stagionatura e la lavorazione dei formaggi per renderli piccanti e più saporiti, l’introduzione di alcune spezie.

E' nel 965 che gli Arabi divengono veri e propri padroni dell'Isola.Introducono la canna da zucchero, il riso, gli agrumi e l'uso, fino ad allora sconosciuto, delle droghe.La Pasticceria diviene grandissima e nasce la celebre cassata e la "cubbaita", un dolcissimo torrone di miele, semi di sesamo e mandorle. In una splendida collaborazione gastronomica tra arabi e siciliani, nasce una sorta di cucina arabo-sicula la cui influenza si estende a tutto il bacino occidentale del Mediterraneo.Sono innumerevoli le ricette che arricchiscono in quel tempo il patrimonio gastronomico siciliano e si può affermare che la cucina siciliana sopravanzava, nell'anno mille, di alcuni secoli tutte le altre cucine europee.In Sicilia già esiste la pasta e molte sono le ricette con i vermicelli, antesignani degli spaghetti ed è attivo un servizio di spedizioni di pasta seccata in vari territori musulmani e cristiani.

SPECIAL_IMAGE-http://www.cucinario.it/images/stories/cucinario_scrive/Capo_77.jpg-REPLACE_ME Palermo - mercato del capo - banco di frutta secca

Tra i vari piatti, ancor oggi in uso, non è possibile non citare il "cuscusu" elaborazione del famoso cuscus arabo.Ed è sempre durante la dominazione araba che si diffonde l'uso del sorbetto preparato quasi come oggi e, quindi, molto più raffinato rispetto all'uso di bevande ghiacciate già in uso in tutta Europa.Dopo appena un secolo di dominazione Araba, nell’ XI secolo, i Normanni, costituirono il regno di Sicilia.Federico II, il governatore illuminato, protettore delle arti e delle scienze, fece conoscere, alla Sicilia, un periodo di grande splendore culturale che ebbe il suo centro a Palermo.

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La gastronomia mantenne le caratteristiche siculo-arabe, ma altre nuove pietanze fecero la lo comparsa; in particolare, il pesce conservato o salato che giungeva dall’Europa del nord: aringhe affumicate o salate, il baccalà e lo stoccafisso come testimonia il caratteristico piatto dello stoccafisso alla messinese.

Con gli Aragonesi, nel XIII secolo, la cucina siciliana si arricchì ulteriormente: nacquero le preparazioni fritte; le monache di numerosi monasteri elaborarono, forse dietro richiesta delle famiglie nobili, le ricette, ancora oggi gelosamente custodite, di svariati dolci.Si fa risalire a quest’epoca il "farsumagru", piatto di carne,  opera dei cuochi provetti delle grandi famiglie nobili dell'isola.In questo stesso periodo giunsero in Sicilia, grazie ai commerci con il Medio oriente e alle immigrazioni degli Ebrei che già le conoscevano e le apprezzavano, le melanzane, originarie della Cina e dell’India.Nella gastronomia siciliana, le melanzane, trovarono buona accoglienza: fritte, farcite, trasformate in caponate, cotte alla griglia, messe sott’olio, abbinate a preparazioni a base di riso e pasta, sono ancora oggi le dominatrici della cucina isolana.

Gli spagnoli importarono dall’ America alcuni prodotti ancora non conosciuti in Europa: pomodori, peperoni, granturco, patate, fagioli, cacao e vaniglia, solo per citare i più rappresentativi.Le successive vicende dell'isola, dall'assegnazione ai Savoia all'insediamento dei Borbone e all'annessione al Regno d'Italia, per arrivare ai nostri giorni, non giovarono all'economia siciliana, tanto meno influirono sulla cucina locale che aveva ormai caratteristiche ben radicate.Dal punto di vista gastronomico non esistono sostanziali differenze tra una zona e l'altra dell'isola, salvo alcune specialità locali. La cucina si basa su cinque elementi fondamentali: la pasta, il pesce, i formaggi, le verdure e i dolci.

La carne bovina occupa un posto secondario,  in quanto proveniente da animali impiegati, in vita, ai lavori agricoli e quindi con carni dure e stoppose.Tale problema si risolse macinandola o tagliandola a fettine sottili (usanza dalla quale nasce un'ampia varietà di polpette e involtini farciti).Maggior rilievo ha la carne suina: ricca e molto varia la produzione di salsicce fresche e insaccate stagionate da affettare.Gli ovini sono sempre stati allevati in tutta l'isola e i piatti a base di agnello e capretto in umido o arrosto sono tradizionali e caratteristici. Con il latte di capra e pecora si preparano parecchi formaggi, meravigliose ricotte freschissime.

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La pasta è la regina delle tavole, condita nei modi più fantasiosi.Un tempo era uso comune prepararla fresca in casa. Farina di grano duro, acqua, sale e una lunga energica lavorazione:  da questo impasto  venivano ricavati formati diversi, ma i più famosi restano i maccheroni, il bucato e il bucatino, lo spaghetto e le lasagne.

< Prec.   Succ. > SPECIAL_IMAGE-http://www.cucinario.it/images/stories/cucinario_scrive/DSC05939.JPG-REPLACE_ME SPECIAL_IMAGE-http://www.cucinario.it/images/stories/cucinario_scrive/DSC02741.JPG-REPLACE_ME SPECIAL_IMAGE-http://www.cucinario.it/images/stories/natale_2010/gif-animate-befana-festa_3.gif-REPLACE_ME SPECIAL_IMAGE-http://www.cucinario.it/images/stories/natale_2010/buonaepifania.jpg-REPLACE_ME SPECIAL_IMAGE-http://www.cucinario.it/images/stories/divisori/divisori_105.gif-REPLACE_ME Storia del cous cous e ricetta base Quando  parliamo di Cous cous, continuiamo a parlare di  piatti e sapori mediterranei che in questo caso provengono direttamente dai paesi del Nord Africa.Nessun altro piatto come il couscous si lega alla storia e alle tradizioni conviviali delle popolazioni arabe, soprattutto del Maghreb. Eppure la sua vicenda secolare non si esaurisce su quell'unica sponda del Mediterraneo, ormai storicamente riconosciuta come sua terra d'origine, ma seguendo le rotte di mercanti e di conquistatori, il kuskusu - per dirlo in arabo - è approdato in Spagna, in Francia e anche in Sicilia. La sua nascita si perde nella notte dei tempi e per averne qualche notizia bisogna risalire agli antichi  Berberi abitanti delle montagne e delle valli del Maghreb, già prima dell'invasione araba del VII secolo dopo Cristo. Per preparare questa specie di antenato del couscous, i berberi utilizzavano soprattutto frumento, talvolta miglio e orzo, da cui ricavavano una specie di semola che impastavano con acqua o latte. Ottenevano così delle rudimentali pappe a cui davano il nome di kskso, o kuski.Oggi il termine couscous sta ad indicare sia la semola di base sia l'intero piatto completo di tutte le altre portate che lo accompagnano - carni, legumi e verdure cucinati generalmente con molte spezie, come tradizione comanda - con le varianti locali, dal Marocco alla Libia.

COME SI PREPARA IL COUS COUS

Il cous cous va preparato in un piatto largo e basso (mafaradda), cotto a vapore in

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una couscoussiera e portato in tavola nel "lemmu", largo vaso di terracotta. In mancanza di questi appositi utensili, potete utilizzare un normale piatto di diametro adeguato e uno scolapasta (di metallo) appoggiato su una pentola dove cuoce il brodo con le verdure e la carne o il pesce o anche semplicemente acqua bollente e portarlo in tavola in una normale zuppiera per minestre.

SPECIAL_IMAGE-http://www.cucinario.it/images/stories/foto_cuscus/strumenti_couscous.jpg-REPLACE_ME

 RICETTA BASE TRADIZIONALE

Gr. 500 di semola di grano duro a grana mista, farina, alloro e altri aromi vari, acqua, olio extravergine di oliva, sale, pepe o peperoncino.

Versate la semola a pioggia nella mafaradda e legatela con poca acqua leggermente salata, facendo un movimento circolare e continuo   con la mano ( a 'ncucciatina). Man mano che procedete trasferite i granelli su una tovaglia pulita e, alla fine, lasciateli asciugare per circa 2 ore. Quindi, rimettete il couscous nella mafaradda e irroratelo con mezzo bicchiere di olio, manipolatelo delicatamente, in modo che assorba bene l’olio. Conditelo con gli aromi adatti alla preparazione che vi accingete a fare (non mancano quasi mai qualche cucchiaio di prezzemolo tritato, 1 piccola cipolla grattugiata, qualche chiodo di garofano macinato, un pizzico di cannella e del peperoncino in polvere o del pepe).A questo punto, versate la semola così lavorata nella cuscussiera, in cui avrete messo alcune foglie di alloro, in modo da coprire i buchi. Ponete il recipiente su una pentola piena fino a metà di acqua e sigillate la linea di congiunzione delle due casseruole con un impasto molle di farina e acqua (cuddura) come vuole la tradizione , oppure, con un canovaccio annodato per impedire la dispersione del vapore. Cuocete per 1 ora abbondante. il couscous acquisterà un aroma maggiore se posto a cuocere sul tegame con la zuppa a leggero bollore. in questo caso, si utilizza una parte del brodo con cui verrà all’ultimo “abbiviratu” (irrorato) con qualche pezzetto di pesce, verdura o carne a seconda del tipo di preparazione. A fine cottura, trasferite il couscous nel “lemmu” e irroratelo con abbondante

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brodo; mescolate affinché tutto il liquido venga assorbito e lasciate riposare per 1 ora, sotto una coperta di lana sistemata sul coperchio del recipiente. Servite quindi con il condimento preparato e altro brodo che ciascuno se ne servirà a piacimento.

Se questa preparazione tradizionale vi sembra complicata potete utilizzare del cous cous precotto e seguire le istruzioni riportate sulla confezione. 

SPECIAL_IMAGE-http://www.cucinario.it/images/stories/foto_cuscus/pentola%20cuscus.jpg-REPLACE_ME cucinario.it

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