I fondamenti della Meccanica Celeste · Introduzione La meccanica celeste `e una disciplina che...

102
Universit` a degli Studi di Napoli - Federico II I fondamenti della Meccanica Celeste Massimo Capaccioli

Transcript of I fondamenti della Meccanica Celeste · Introduzione La meccanica celeste `e una disciplina che...

  • Università degli Studi di Napoli - Federico II

    I fondamenti

    della

    Meccanica Celeste

    Massimo Capaccioli

  • Isaac Newton,

    Philosophiae Naturalis Principia MatematicaLibro III: Regole del ragionamento in filosofia

    “In experimental philosophy we are to look upon pro-positions inferred by general induction from phenomena

    as accurately or very nearly true, notwithstanding any

    contrary hypothesis that may be imagined, till such ti-

    me as other phenomena occur, by which they may either

    be made more accurate, or liable to exceptions.”

  • Indice

    Introduzione 1

    1 Il problema degli N corpi 51.1 Sistemi autogravitanti di punti materiali . . . . . . . . . . . . . 61.2 Gli integrali primi fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

    1.2.1 Conservazione della quantità di moto . . . . . . . . . . . 91.2.2 Conservazione del momento angolare . . . . . . . . . . . 111.2.3 Conservazione dell’energia . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

    1.3 Eliminazione dei nodi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151.4 Il teorema della specularità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181.5 Il teorema del viriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

    2 Il problema dei 2 corpi 232.1 Moto relativo al centro di massa . . . . . . . . . . . . . . . . . . 232.2 Riduzione al piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 272.3 La traiettoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 292.4 Geometria delle coniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

    2.4.1 Ellisse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 312.4.2 Parabola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 332.4.3 Iperbole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35

    2.5 Le orbite coniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 362.5.1 Orbita ellittica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 382.5.2 Orbita parabolica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 432.5.3 Orbita iperbolica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44

    2.6 Orientazione delle orbite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 442.7 Metodo di Laplace . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47

    3 Problema dei 3 corpi 573.1 Soluzioni stazionarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58

    3.1.1 Soluzioni collineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 613.1.2 Soluzioni triangolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64

  • 3.2 Problema ristretto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 653.3 Curve di velocità nulla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69

    3.3.1 Il piano x, y . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 693.3.2 Il piano x, z . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 723.3.3 Il piano y, z . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72

    3.4 Stabilità dei punti lagrangiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 743.4.1 Condizioni di equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 753.4.2 Soluzioni collineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 763.4.3 Soluzioni triangolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78

    3.5 Variazione degli elementi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 793.5.1 Variazione degli elementi d’orientazione . . . . . . . . . . 813.5.2 Variazione degli elementi geometrici . . . . . . . . . . . . 82

    A Le costanti fisiche 89

    B Un pò di personaggi 91B.1 Bessel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91B.2 d’Alambert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92B.3 Eulero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92B.4 Keplero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92B.5 Lagrange . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93B.6 Lambert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93B.7 Legendre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93B.8 Poincaré . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94B.9 Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94

  • Introduzione

    La meccanica celeste è una disciplina che studia il moto dei corpi celesti, qualipianeti, satelliti naturali e artificiali, asteroidi e comete, applicando la teo-ria della Gravitazione universale di Newton, attraverso un’analisi che nonpuò prescindere dall’utilizzo di più o meno complesse tecniche matematichee fisiche.

    È chiaro come il problema principale che la meccanica celeste affronta èquello del moto dei corpi del sistema solare. In prima approssimazione si studiail moto dei singoli pianeti e di altri oggetti, come se fossero interagenti solo conun singolo corpo principale (nel caso dei pianeti il sole, dei satelliti il pianetaintorno a cui ruotano, ecc.). Si deve ricorrere ad approcci più complessi se sitiene in conto che ogni corpo risente dell’influenza di molti altri corpi celestiad esso più o meno legati gravitazionalmente.

    Già durante la preistoria, i corpi celesti più vicini e le stelle venivano osser-vate e si cercava di predirne il moto. Esempi di tali tentativi di interpretazionedel moto degli astri sono le opere archeologiche che risalgono a quel perio-do, come Stonehenge e i Menhir. In seguito diversi popoli, quali quelli dellaMesopotamia, dell’america centrale, cinesi ed egiziani approfondirono questorapporto con il cielo, attraverso l’osservazione frequente di fenomeni astrofisi-ci, ben documentati, e la costruzione di opere architettoniche mastodontichecome le Piramidi egiziane e le Zigurath.

    Le attività in questo campo furono diffuse in Grecia e ben documentatein letteratura. Pitagora disponeva il sole e gli altri pianeti su sfere concen-triche intorno ad un fuoco centrale e faceva corrispondere questa disposizioneall’armonia delle scale musicali. Platone fu uno dei primi ad avanzare un’ipo-tesi eliocentrica del sistemza solare, poi ritrattata in tarda età in favore delgeocentrismo, affermando che le sfere celesti ruotano intorno alla terra, vistacome una sfera immobile. Questi intùı la sfericità del sole, sostenendo chela luna non brillasse di luce propria e ricevesse luce dal sole. Altri contributiallo studio del sistema solare furono dati ad esempio da Talete, Anassimandro,Filolao ed Eraclide Pontico.

    Si cominciava a diffondere il concetto di sistema geocentrico, che vedeva laterra al centro dell’universo, che persisterà ancora per molti secoli. In questa

  • 2

    direzione va il lavoro i Eudosso di Cnido che introdusse il concetto di sfereomocentriche, cioè un universo diviso in sfere aventi come centro di rotazionela terra. In ogni sfera si trova un pianeta in moto circolare e uniforme differenteda quello degli altri. Per tenere in conto di ciò che si osservava erano necessariepiù sfere per alcuni pianeti, tanto che il numero di queste era 27(???oppure 33????). Il motivo per il quale questa concezione geocentrica riusc̀ı a resisterefino all’epoca di Galileo, è da attribuirsi all’importante influsso di Aristotele.Infatti, le sue idee si inserivano in questo contesto ed essendo state acquisitedalla Chiesa, divennero un dogma assoluto. Per spiegare altre osservazioni,Aristotele fu costretto ad aggiungere ulteriori sfere a quelle originarie di Eu-dosso, sorreggenti quelle planetarie, ipotizzando un complicato sistema di 55sfere animate dal cosidetto motore immobile che permetteva alle sfere di muo-versi e il loro moto differente era dovuto all’attrito. Le teorie eliocentrichenon furono però del tutto abbandonate, infatti Aristarco di Samo perfezionòla teoria di Eraclide Pontico, pensando ad un universo con il sole al centro,descrivendo un moto dei pianeti in maniera più semplice, anche se non ancoraalla perfezione, perché le orbite erano scelte circolari.

    In seguito, Apollonio di Perga introdusse il sitema degli epicicli e dei de-ferenti. I pianeti ruotano intorno alla terra su di un’orbita circolare ad unavelocità costante, chiamata deferente, mentre il centro della stessa orbita ruo-terebbe attorno ad un cerchio immateriale detto epiciclo. Per spiegare le osser-vazioni, la terra fu posta non perfettamente al centro del deferente, riuscendo adescrivere il moto dei pianeti in una maniera molto simile alla realtà, spiegandoi moti retrogradi e variazioni di luminosità del pianeta (modello eccentrico)

    Durante il Medioevo, Tolomeo introdusse il concetto di equante perfezio-nando l’ipotesi del moto eccentrico, riuscendo a non discostarsi troppo daiprincipi aristotelici di circolarità delle orbite e di costanza del moto e descri-vendo in modo ancora più preciso il moto dei pianeti. Stabil̀ı quella che prendeil nome di Teoria degli Epicicli

    Si deve aspettare il Cinquecento per vedere la nascita dell’Astronomia mo-derna e per abbandonare l’immotivata ipotesi geocentrica, ipotesi che avevarichiesto nei secoli molti sforzi per giustificare le osservazioni. Soprattutto,anche per l’influsso della Chiesa, si cercò con ostimatezza estrema di spiegaresvariate osservazioni, con un sistema, quale quello geocentrico, molto comples-so, che necessitava dell’introduzione di orbite molto complicate. Copernicoipotizzò un sistema eliocentrico, chiamato appunto copernicano, descrivendo ilmoto dei pianeti in orbite circolari intorno al sole, conservando gli epicicli. Inquesta direzione furono rilevanti i contributi di Brahe, Keplero e Galileo. Inparticolare, Keplero attraverso le osservazioni di Brahe stabil̀ı che i pianeti simuovessero su orbite ellittiche, e che accelerassero avvicinandosi al sole e de-celerassero allontanandosene, riassumendo le sue considerazioni in 3 leggi che

  • 3

    descrivevano il moto dei pianeti, le cosidette Tre leggi di Keplero. Galileo, creòle premesse per demolire il Principio di Immutabilità dei Cieli, e scopr̀ı le mac-chie solari, le fasi di Venere e i quattro grandi satelliti di Giove, appaggiandoin maniera forte e rigorosa l’ipotesi eliocentrica.

    Fu però con Newton che nasce la Meccanica Celeste. Infatti questi riusc̀ıad elaborare la teoria (della Gravitazione Universale) capace di descrivere leosservazioni astronomiche e tutt’ora valida nella descrizione del moto deglioggetti stellari. Essa stabilisce che due corpi si attraggono con una forza cheè proporzionale al prodotto delle rispettive masse m1 e m2 e inversamenteproporzionale al quadrato della distanza reciproca r, attraverso la formula

    f =Gm1m2r2

    (1)

    dove G è la cosidetta costante di gravitazione universale. Questa legge è perfet-tamente identica a simile alla legge di interazione tra due cariche nell’elettro-magnetismo, l’unica differenza esistente concenrne il fatto che nell’interazionetra corpi carichi, esistono cariche di segno differente prevedendo sia un’azioneattrattiva che repusliva, al contrario nella gravitazione la forza è puramenteattrattiva. L’equazione che descrive l’azione gravitazionale tra due corpi stel-lari è, quindi, il fondamento di tutta la meccanica celeste, è una legge che suscale locali è efficace nella descrizione del moto di pianeti, comete, asteroridi,satelliti artificiali, stelle doppie, o anche per determinare l’interazione tra duegalassie interagenti.

    Quindi il testo si propone di effettuare una descrizione il quanto più rigorosadal punto di vista matematico, del problema dell’interazione dei corpi celesti.L’approccio al problema è puramente matematico, ciò consente di scrivere delleequazioni (non sempre risolvibili esattamente) che descrivono il moto degliastri. I risultati ottenuti forniscono predizioni che possono essere confrontatecon le osservazioni.

    .....................................

  • 4

  • Capitolo 1

    Il problema degli N corpi

    Classico problema introduttivo alla Meccanica Celeste è lo studio del moto didue corpi puntiformi soggetti unicamente all’azione delle mutue forze gravita-zionali. Tale problema può apparire — ed è — una drastica semplificazione disituazioni reali, sia per la natura dei corpi ipotizzati (punti materiali) che perla situazione meccanica in cui sono collocati (sistema isolato soggetto a soleforze gravitazionali). Vedremo però come la sua soluzione metta in luce al-cune proprietà che costituiscono la base dei successivi, più sofisticati sviluppi,maggiormente idonei ad interpretare situazioni astronomiche reali. Per questomotivo è opportuno meditare sul significato degli enti introdotti e sulla portatadelle ipotesi fatte.

    Il punto materiale è l’idealizzazione matematica di un corpo reale: è dotatodi massa finita ma ha dimensioni nulle. L’introduzione di questo ente è giusti-ficata dalla nota proprietà del baricentro secondo cui il moto di un qualsivogliacorpo può essere descritto come la sovrapposizione di (a) un moto del baricen-tro (inteso come punto geometrico ma dotato dell’intera massa del corpo), e di(b) un moto del corpo medesimo attorno al proprio baricentro. Coi punti ma-teriali, dunque, si intendono ignorare le complicazioni che derivano, per i corpidi dimensioni finite, dalla esistenza di un possibile moto rispetto al baricentro,concentrando l’attenzione sulle proprietà medie d’insieme del moto stesso. Inquesto modo ci si avvantaggia anche in generalità, in quanto non è richiestodi specificare la natura né lo stato dei corpi in gioco, e quindi si possono igno-rare tutte le interazioni non puramente meccaniche (e.g., scambi tra energiameccanica ed energia interna). Infine, il potenziale di un punto materiale haun’espressione analitica assai più semplice e relativamente più trattabile diquella del potenziale di un generico corpo finito (cfr. Capitolo ??), almeno perquanto concerne distanze confrontabili con le dimensioni del corpo medesimo1.

    1Qualunque corpo, a distanza molto grande rispetto alle proprie dimensioni, ha unpotenziale tendente a quello di un punto materiale di uguale massa.

  • 6 Il problema degli N corpi

    L’ipotesi che il sistema sia isolato è anch’essa un’astrazione; nè c’è ragionedi supporre che le forze interne siano esclusivamente di natura gravitazionale,se non per ricercare le condizioni di massima semplificazione. Ma, come saràchiaro più avanti, una trattazione completa, e quindi più verosimile, di unproblema concreto può essere sovente ricondotta allo studio delle perturbazionisulle semplici soluzioni del problema dei due punti materiali.

    In questo capitolo, analizzeremo le proprietà generali di un sistema isola-to ed autogravitante di N corpi puntiformi, descrivendo in più dettaglio casiparticolari nei prossimi capitoli. Nel Paragrafo 1.1 introdurremo il problemagenerale degli N corpi, mostrando come questo problema si possa ricondurreallla ricerca di 6N integrali primi; gli integrali primi fondamentali sono ana-lizzati nel Paragrafo 1.2. Nei Paragrafi 1.3 e 1.4 enunceremo e dimostreremo 2teoremi che consentono di facilitare l’analisi del problema ad N-corpi. Infine ilParagrafo 1.5 è dedicato alla formulazione del teorema del Viriale, applicabilea svariati ambiti astrofisici.

    1.1 Sistemi autogravitanti di punti materiali

    Relativamente ad un generico riferimento inerziale di assi cartesiani ortogona-li O[x, y, z], consideriamo un sistema meccanico isolato costituito da N corpipuntiformi Pi (i = 1, N) di masse mi, soggetti esclusivamente alle mutue in-terazioni gravitazionali. Ogni corpo Pi è attratto dai rimanenti N − 1 corpipuntiformi Pj (1 ≤ j 6= i ≤ N), ciascuno dei quali esercita su Pi una forzadi tipo newtoniano, ossia una forza orientata come il vettore PiPj ed aventeun’intensità proporzionale al prodotto delle masse ed al reciproco del quadratodella distanza tra Pi e Pj (cfr. Cap. ??):

    f ij = −fji = Gmimj

    |PiPj|3PiPj (i 6= j). (1.1)

    L’applicazione della seconda legge della dinamica assicura che l’accelerazionedi Pi dovrà eguagliare la risultante delle (1.1):

    mid2OPidt2

    = G

    N∑

    j 6=i=1

    mimj

    |PiPj|3PiPj (i 6= j = 1, ..., N). (1.2)

    Secondo il modello classico (newtoniano), il sistema delleN equazioni vettoriali(1.2) contiene tutta l’informazione (dinamica) necessaria a descrivere il motodell’insieme dei corpi puntiformi Pi. Esso equivale ad un sistema di N terne

  • 1.1 Sistemi autogravitanti di punti materiali 7

    di equazioni differenziali scalari del secondo ordine:

    d2xidt2

    = G

    N∑

    j 6=i=1

    mjr3ij

    (xj − xi)

    d2yidt2

    = G

    N∑

    j 6=i=1

    mjr3ij

    (yj − yi) (i = 1, ..., N),

    d2zidt2

    = GN∑

    j 6=i=1

    mjr3ij

    (zj − zi)

    (1.3)

    nelle quali la distanza |PiPj | è stata indicata come

    rij = rji =[(xj − xi)2 + (yj − yi)2 + (zj − zi)2

    ]1/2. (1.4)

    Ciascuna delle equazioni del secondo ordine che costituiscono il sistema (1.3)può essere trasformata a sua volta in una coppia di equazioni differenziali delprimo ordine ponendo Xi = ẋi, Yi = ẏi, e Zi = żi. In questo modo il sistema(1.3) è sostituito da un sistema di 6N equazioni differenziali scalari del primoordine

    Ẋi = GN∑

    j 6=i=1

    mjr3ij

    (xj − xi)

    Xi = ẋi

    Ẏi = GN∑

    j 6=i=1

    mjr3ij

    (yj − yi)

    Yi = ẏi

    Żi = GN∑

    j 6=i=1

    mjr3ij

    (zj − zi)

    Zi = żi

    (i 6= j = 1, ..., N). (1.5)

    Per una generalizzazione di questa trasformazione e di quanto segue in questoparagrafo, si veda il §??.

    La ricerca delle soluzioni generali per il sistema (1.3) costituisce uno deicapitoli principali della storia della Meccanica Celeste, ed è il perno attorno alquale si è articolata una cospicua frazione dell’attività dei fisici–matematici dal’700 ai primi decenni di questo secolo. Forse non è azzardato sostenere che, seil sistema (1.3) fosse risultato di facile soluzione per qualunque valore di N (o

  • 8 Il problema degli N corpi

    almeno per N dell’ordine di una decina), la Meccanica Celeste avrebbe avutodifficoltà ad acquisire una propria indipendenza dalle altre discipline fisiche,matematiche ed astronomiche. Inoltre, si sarebbe perso un importante stimoloalla realizzazione di fondamentali strumenti di analisi matematica e di calcolo.

    È opportuno chiarire sin da ora che cosa si intende per soluzione genera-le del sistema di equazioni differenziali (1.3). Il Teorema di Cauchy (si veda[23]) assicura l’esistenza e l’unicità delle soluzioni di (1.3) o di (1.5), soltantoin un intorno di un punto regolare. Dunque, con l’ausilio di metodi analiticio numerici, sarà sempre possibile — anche se non necessariamente facile —trovare una soluzione del sistema associata a particolari condizioni iniziali edestesa ad un intervallo di tempo comunque grande (ma pur sempre finito). Sitratterà di procedere nel calcolo imitando la Natura, ricercando cioè ad ogniistante t gli spostamenti infinitesimi che competono a ciascuno dei punti Piin relazione alla particolare configurazione di posizioni e velocità assunta dalsistema meccanico a tale istante, iterando questo procedimento su un con-veniente intervallo di tempo. E se gli strumenti dell’analisi matematica nonbastano, potremo sempre ricorrere a metodi numerici di integrazione2.

    Va tuttavia ben compreso che la risoluzione diretta è una metodologia diinvestigazione applicabile esclusivamente a problemi nei quali le condizioni ini-ziali sono esplicitate — ch’è precisamente quello che accade in Natura. Essanon fornisce dunque la soluzione generale che ci interessa. Non ci informa, peresempio, sulle variazioni che subisce la configurazione dinamica del sistema aseguito di piccole modificazioni delle condizioni iniziali. Inoltre, essa non rap-presenta che un povero e costoso sostituto di un criterio che, appoggiandosi aduna soluzione generale, sia in grado di stabilire, sulla base delle sole consizioniiniziali, se un dato insieme di corpi costituisca un sistema legato (ossia un si-stema nel quale le mutue distanze tra i corpi non crescono indefinitamente alprogredire del moto).

    Per soluzione generale del sistema (1.3) intendiamo dunque un insieme di3N coppie di funzioni indipendenti3, una per ogni coordinata di posizione e divelocità,

    xi = xi(t; a1, a2, . . . , a6N )ẋi = ẋi(t; a1, a2, . . . , a6N )

    yi = yi(t; a1, a2, . . . , a6N )ẏi = ẏi(t; a1, a2, . . . , a6N )

    zi = zi(t; a1, a2, . . . , a6N)żi = żi(t; a1, a2, . . . , a6N)

    (i = 1, ..., N) (1.6)

    2Per una descrizione teorico–pratica dei moderni algoritmi di integrazione dei sistemi diequazioni differenziali, vedi [17]

    3Un’eventuale dipendenza delle soluzioni indicherebbe l’esistenza di vincoli (cfr. §??),che in effetti non sono presenti nella formulazione del problema data in questo paragrafo.

  • 1.2 Gli integrali primi fondamentali 9

    le quali soddisfino identicamente al sistema per qualunque valore del tempot, e nelle quali figurino 6N costanti d’integrazione ai (tante quante sono leequazioni del primo ordine; vedi 1.5). Queste costanti esprimono la dipendenzadelle soluzioni dall’insieme delle condizioni iniziali.

    L’indipendenza delle funzioni (1.6) assicura altreśı l’invertibiltà del si-stema, garantisce cioè l’esistenza di 6N funzioni costanti delle coordinate diposizione, delle velocità, e del tempo, tra loro indipendenti,

    ai = ai(x1, y1, z1, . . . , xN , yN , zN , ẋ1, ẏ1, ż1, . . . , ẋN , ẏN , żN , t), (1.7)

    che prendono il nome di integrali primi o integrali del moto. Si può dunqueaffermare che l’esistenza di 6N integrali primi relativi al sistema di equazione(1.3), ossia di 6N funzioni costanti delle cordinate e componenti delle velocità,è condizione necessaria per l’esistenza della soluzione generale. Ma, se si in-verte il sistema (1.7) si ottiene nuovamente il sistema (1.6), cioè la soluzionegenerale di (1.3). Dunque, l’esistenza dei 6N integrali primi è anche condizionesufficiente per l’esistenza della soluzione generale. Ciò significa che la ricercadelle soluzioni di (1.3) può essere integralmente rimpiazzata dalla ricerca di6N integrali primi indipendenti.

    1.2 Gli integrali primi fondamentali

    Proveremo ora che, qualunque sia N ≥ 2, il sistema (1.3) possiede semprealmeno 10 integrali primi, dei quali sei sono legati al moto del centro di mas-sa, tre corrispondono alle proiezioni del momento angolare totale sugli assicoordinati, e l’ultimo coincide con l’energia totale.

    1.2.1 Conservazione della quantità di moto

    Sommando tra loro tutte le equazioni di (1.3) i cui primi membri sono relativial medesimo asse, si ottengono tre identità

    N∑

    i=1

    miẍi = 0,N∑

    i=1

    miÿi = 0,N∑

    i=1

    miz̈i = 0. (1.8a)

    Per convincersene, non occorre neppure effettuare i pur facili calcoli: ba-sterà applicare il terzo principio della Dinamica a ciascuna coppia di corpi esommare su tutte le coppie. Integrando le (1.8a) una prima volta,

    N∑

    i=1

    miẋi = p1,

    N∑

    i=1

    miẏi = p2,

    N∑

    i=1

    miżi = p3; (1.8b)

  • 10 Il problema degli N corpi

    ed una seconda volta,

    N∑

    i=1

    mixi = p1t+ q1,

    N∑

    i=1

    miyi = p2t+ q2,

    N∑

    i=1

    mizi = p3t+ q3, (1.8c)

    ricaviamo 6 integrali primi. Sostituendo le coordinate xc, yc, zc del baricentro:

    N∑

    i=1

    mixi = xc

    N∑

    i=1

    mi = xc M ⇒ xc =p1 t + q1

    M

    N∑

    i=1

    miyi = yc

    N∑

    i=1

    mi = ycM, ⇒ yc =p2 t + q2

    M(1.9)

    N∑

    i=1

    mizi = yc

    N∑

    i=1

    mi = zcM, ⇒ zc =p3 t + q3

    M

    Quindi è subito chiaro che le terne di equazioni (1.8a), (1.8b) e (1.8c) rappre-sentano l’applicazione ad un sistema meccanico isolato del Teorema sul motodel centro di massa: in un riferimento inerziale questo punto fittizio si muove dimoto rettilineo ed uniforme con una legge oraria fornita dalle equazioni (1.9).

    L’esistenza dei 6 integrali primi corrispondenti al moto del baricentro puòessere dedotta in maniera più elegante dalle caratteristiche della funzionepotenziale4

    U = G

    N∑

    i=1

    N∑

    j 6=i=1

    mimjrij

    , (1.10a)

    o anche

    U =1

    2G

    N∑

    i=1

    N∑

    j=1

    mimjrij

    (i 6= j). (1.10b)

    È immediato verificare che

    mi ẍi =∂U

    ∂xi, mi ÿi =

    ∂U

    ∂yi, mi z̈i =

    ∂U

    ∂zi. (1.11)

    Per esempio,

    ∂U

    ∂xi= Gmi

    ∂xi

    N∑

    j 6=i=1

    mjrij

    = Gmi

    N∑

    j 6=i=1

    mjr3ij

    (xj − xi) = mi ẍi. (1.12)

    4Per uno studio più approfondito si veda il Capitolo ??.

  • 1.2 Gli integrali primi fondamentali 11

    Ora, la funzione potenziale U dipende dalle coordinate dei corpi puntiformiPi, ma soltanto tramite speciali combinazioni di queste, corrispondenti allemutue distanze tra le coppie di corpi; pertanto U dovrà essere invariante alletraslazioni del sistema di riferimento. Ciò implica che

    N∑

    i=1

    ∂U

    ∂xi=

    N∑

    i=1

    ∂U

    ∂yi=

    N∑

    i=1

    ∂U

    ∂zi= 0. (1.13)

    Infatti, sia per esempio

    x′i = xi + x◦ (i = 1, ..., N), (1.14)

    con x◦ =costante. La derivata parziale di U rispetto ad x◦ è

    ∂U

    ∂x◦=

    N∑

    i=1

    ∂U

    ∂x′i

    ∂x′i∂x◦

    =

    N∑

    i=1

    ∂U

    ∂x′i, (1.15)

    in quanto ∂x′i/∂x◦ = 1. Inoltre essa deve essere nulla poiché U non dipendeda x◦. Eliminando gli apici da (1.15), si ottiene la prima delle (1.13). Infine,sostituendo in (1.11), ritroviamo le (1.8a).

    1.2.2 Conservazione del momento angolare

    Dimostriamo ora l’esistenza di tre integrali primi connessi alle componentidel momento angolare totale facendo ricorso ad un’altra caratteristica del po-tenziale (1.10a). Questa funzione è invariante alle rotazioni del sistema diriferimento per il medesimo motivo per il quale essa è invariante alle tra-slazioni. Ciò stabilito, consideriamo, a titolo d’esempio, una rotazione di φradianti del sistema di riferimento attorno all’asse z, definita dalle equazionidi trasformazione

    x′i = xi cosφ− yi sinφ,y′i = xi sin φ+ yi cosφ (i = 1, ..., N), (1.16)

    z′i = zi;

    Essendo invariante alle rotazioni, U non contiene esplicitamente l’angolo φ;dunque, la sua derivata parziale rispetto a φ dovrà essere nulla:

    ∂U

    ∂φ=

    N∑

    i=1

    (∂U

    ∂x′i

    ∂x′i∂φ

    +∂U

    ∂y′i

    ∂y′i∂φ

    +∂U

    ∂z′i

    ∂z′i∂φ

    )= 0. (1.17)

  • 12 Il problema degli N corpi

    Esplicitando le derivate di x′i, y′i, e z

    ′i, rispetto a φ, si ricava

    N∑

    i=1

    (x′i∂U

    ∂y′i− y′i

    ∂U

    ∂x′i

    )= 0. (1.18)

    Infine, eliminando gli apici, generalizzando la (1.18) e combinandola con le(1.11), abbiamo

    N∑

    i=1

    mi

    (yid2zidt2

    − zid2yidt2

    )= 0,

    N∑

    i=1

    mi

    (zid2xidt2

    − xid2zidt2

    )= 0, (1.19)

    N∑

    i=1

    mi

    (xid2yidt2

    − yid2xidt2

    )= 0,

    le quali si integrano in

    N∑

    i=1

    mi

    (yidzidt

    − zidyidt

    )= h1,

    N∑

    i=1

    mi

    (zidxidt

    − xidzidt

    )= h2, (1.20)

    N∑

    i=1

    mi

    (xidyidt

    − yidxidt

    )= h3,

    con hi =costante. Le tre relazioni (1.20) sono altrettanti integrali primi, i cuiprimi membri esprimono le proiezioni del momento angolare totale rispetto aciascuno dei tre assi coordinati. La costanza delle singole componenti implicaanche la costanza del vettore momento angolare totale, e quindi l’esistenza diun unico piano privilegiato, detto piano invariabile da Laplace, ortogonale almomento totale, contenente il baricentro e fisso nello spazio.

    1.2.3 Conservazione dell’energia

    L’ultimo dei 10 integrali primi elencati all’inizio di questo paragrafo si rica-va utilizzando un’ulteriore proprietà del potenziale, il fatto cioè che questafunzione non dipende esplicitamente dal tempo, e quindi

    ∂U

    ∂t=

    N∑

    i=1

    (∂U

    ∂xi

    ∂xi∂t

    +∂U

    ∂yi

    ∂yi∂t

    +∂U

    ∂zi

    ∂zi∂t

    )= 0. (1.21)

  • 1.2 Gli integrali primi fondamentali 13

    D’altra parte, la (1.21) è identica al secondo membro della relazione che siottiene moltiplicando le (1.11) per ẋi, ẏi e żi rispettivamente, poi sommandorispetto all’indice i, e alla fine sommando tra loro i risultati:

    N∑

    i=1

    mi

    (d2xidt2

    dxidt

    +d2yidt2

    dyidt

    +d2zidt2

    dzidt

    )= (1.22)

    =

    N∑

    i=1

    (∂U

    ∂xi

    ∂xi∂t

    +∂U

    ∂yi

    ∂yi∂t

    +∂U

    ∂zi

    ∂zi∂t

    )=∂U

    ∂t= 0.

    Integrando il primo e terzo membro otteniamo finalmente il decimo integraleprimo

    T = U + E◦. (1.23)

    dove

    T =1

    2

    N∑

    i=1

    mi

    [(dxidt

    )2+

    (dyidt

    )2+

    (dzidt

    )2](1.24)

    non è altro che l’energia cinetica totale5 D’altra parte, l’opposto di U è asua volta proporzionale all’energia potenziale totale. Questa affermazione siverifica calcolando il lavoro fatto dalla mutua forza attrattiva tra due corpipuntiformi Pi e Pj per uno spostamento che modifica la distanza r

    ◦ij in rij :

    Wij = Gmimj

    ∫ rijr◦ij

    dr′ijr′2ij

    = Gmimj

    (1

    r◦ij− 1rij

    ). (1.25)

    Se ammettiamo che i due corpi si trovino originariamente a distanza infinita(r◦ij = +∞), la (1.25) diviene

    Wij = −Gmimjrij

    , (1.26)

    che fornisce il lavoro necessario per portare 2 corpi dall’infinito a distanza rij6.Quindi, in base alla definizione di potenziale (1.10b) risulta

    U = −12

    N∑

    i=1

    N∑

    j=1

    Wij (i 6= j). (1.27)

    5Chiamata anche forza viva. del sistema meccanico, valutata rispetto al particolareriferimento inerziale adottato.

    6Si noti il segno meno nell’ Eq. (1.26): il lavoro fatto sul sistema è negativo perché ilcampo gravitazionale è attrattivo.

  • 14 Il problema degli N corpi

    In conclusione, l’espressione (1.23) mostra la costanza dell’energia totale, E,del sistema isolato autogravitante degli N corpi puntiformi. È opportuno sot-tolineare come l’energia totale, benché costante, sia tuttavia fissata a meno diun’arbitraria costante additiva. Di questa indeterminazione sono responsabilisia l’energia cinetica che quella potenziale.

    L’energia cinetica totale consiste della somma di due termini: il primoè dato dal moto degli N corpi relativamente al baricentro (energia cineticaspecifica), il secondo dal moto del baricentro supposto dotato dell’intera massaM del sistema. Detto infatti B il baricentro, è OPi = OB +BPi, e quindi,posto M =

    ∑Ni=1mi,

    T =1

    2

    N∑

    i=1

    miv2i =

    1

    2

    N∑

    i=1

    mi

    (dOPidt

    )2=

    1

    2

    N∑

    i=1

    mi

    (dOB

    dt+dBPidt

    )2=

    =1

    2M

    (dOB

    dt

    )2+

    1

    2

    N∑

    i=1

    mi

    (dBPidt

    )2, (1.28)

    in quanto∑N

    i=1mi(dBPi/dt

    )= 0, data la conservazione della quantità di

    moto. L’indeterminazione è dunque una conseguenza del principio galileia-no sull’equivalenza dei sistemi di riferimento in moto relativo traslatorio eduniforme, e si elimina considerando un riferimento solidale col baricentro delsistema meccanico (cosa lecita in assenza di forze esterne).

    L’indeterminazione sulla energia potenziale deriva formalmente dalla de-finizione di potenziale scalare come funzione primitiva di un campo di forzevettoriale; l’integrazione comporta l’introduzione di una costante arbitraria chepuò essere fissata solo imponendo una qualche condizione iniziale. È proprioquello che abbiamo fatto convenendo, in (1.26), che il potenziale gravitazionaletra due corpi a distanza infinita sia nullo.

    In conclusione, non ha senso parlare di valori dell’energia totale, quand’an-che essa sia costante, in mancanza di opportune convenzioni. Nel seguito, sal-vo esplicita indicazione contraria, converremo che l’energia totale sia sempreintesa con riferimento alle convenzioni precedenti (energia specifica).

    Ritorniamo ora al problema della soluzione delle equazioni del moto per ilsistema isolato, autogravitante e non vincolato di N corpi puntiformi. Essaimpone la conoscenza di 6N integrali del moto, 10 dei quali sono comunque da-ti. Vedremo presto (§2.1) che, se N = 2, la ricerca dei rimanenti due integralidel moto si riduce a altrettante semplici quadrature. La vera difficoltà sorgequando N >2. Esistono dei teoremi, dovuti a Bruns e Poincaré i quali dimo-strano l’inesistenza di ulteriori integrali primi in forma di funzioni algebriche

  • 1.3 Eliminazione dei nodi 15

    o uniformemente trascendenti qualora si scelgano opportuni sistemi di coor-dinate. Questi teoremi non risolvono del tutto il problema (sia pur in formanegativa) in quanto non esplorano tutti i possibili tipi di integrali e neppuretutti i possibili sistemi di coordinate. Tuttavia, a tutt’oggi non conosciamoalcun metodo capace di fornire la soluzione completa dei cosiddetti problemiad N corpi quando il numero dei punti materiali supera due7. Vedremo neiCapitoli 3 e ?? come si possa aggirare l’ostacolo ricorrendo a metodi appros-simati. Essi si basano sulla conoscenza della soluzione esatta del problema adue corpi , soluzione che esploreremo nel segente Capitolo.

    1.3 Teorema dell’eliminazione dei nodi

    Consideriamo un sistema isolato di N masse puntiformi mi, le cui posizionisiano riferite ad assi cartesiani ortogonali [x, y, z] con origine in un qualunquepunto fisso O. Precisiamo subito che i punti Pi sono organizzati in una arbitra-ria sequenza crescente dell’indice i, stabilita a priori e del tutto indipendentedalla configurazione assunta dai corpi ad un dato istante. Sia

    Mi =

    i∑

    j=1

    mj (i ≤ N), (1.29)

    la somma delle masse del sottosistema dei primi i corpi; con questa convenzionepossiamo scrivere

    mi = Mi −Mi−1, e M0 = 0. (1.30)

    Rimanendo nel riferimento O[x, y, z], indichiamo con (Xi, Yi, Zi) le coordinatedel baricentro Gi del sistema parziale di masse m1, m2, . . . , mi. Limitandoci aconsiderare, per brevità, solo un asse coordinato, avremo

    MiXi = M1 x1 + (M2 −M1) x2 + · · ·+ (Mi −Mi−1) xi, (1.31a)

    ed inoltre

    (Mi −Mi−1) xi = MiXi −Mi−1 Xi−1, (1.31b)x1 = X1. (1.31c)

    Introduciamo ora le coordinate (ξi, ηi, ζi) dell’i–esimo corpo Pi relative al ba-ricentro Gi−1 dell’insieme parziale dei primi (i− 1) corpi:

    ξi = xi −Xi−1, (1.32a)(Mi −Mi−1) ξi = Mi (Xi −Xi−1). (1.32b)

  • 16 Il problema degli N corpi

    Figura 1.1: Teorema sull’elimazione dei nodi: geometria dei baricentri dellesuccessive associazioni di punti.

    Il significato della traslazione operata è il seguente: ξ2, η2, e ζ2 sono le coor-dinate di P2 relative a P1, ξ3, η3, e ζ3 sono le coordinate di P3 relative albaricentro G2 del sistema parziale di masse m1 ed m2, e cośı via (Fig. 3.7). Siosservi che la trasformazione non definisce le coordinate ξ1, η1, ζ1, per il primocorpo puntiforme P1.

    È opportuno comprendere bene il significato di questa trasformazione dicoordinate ideata da Jacobi. Se le coordinate ξi, ηi, ζi, per ciscuno dei corpi Pi(i = 2, N) sono attribuite ad un unico riferimento (e non ad una successione diriferimenti con origini diverse), allora le posizioni che esse indicano si riferisconosolo indirettamente a quelle dei corpi originali; possiamo cioè dire che essetrasformano il sistema fisico di corpi Pi in un sistema di N−1 corpi fittizi.

    Cominciamo ad utilizzare le coordinate jacobiane eliminando il prodottomisto XiXi−1 dai quadrati delle (1.31b) e (1.32b); ricaveremo espressioni deltipo

    (Mi −Mi−1

    )2(x2 − Mi−1

    Miξ2i

    )= MiX

    2i −Mi−1 X2i−1, (1.33)

    7In effetti, nel 1913 K.F. Sundman ha prodotto una soluzione analitica esatta del proble-ma dei tre corpi. Tuttavia, gli sviluppi matematici raggiungono un tale livello di complessitàda rendere la soluzione stessa inutilizzabile.

  • 1.3 Eliminazione dei nodi 17

    che, sommate su tutti i valori dell’indice i, danno

    n∑

    i=1

    (Mi −Mi−1

    )2(x2 − Mi−1

    Miξ2i

    )= MN X

    2N , (1.34a)

    N∑

    i=1

    mix2i =

    (N∑

    i=2

    miMi−1Mi

    ξ2i

    )+MN X

    2N . (1.34b)

    Sin qui abbiamo trascritto le relazioni tra il gruppo di coordinate (ξi, ηi, ζi)riferite ad una medesima direzione (assi paralleli). È evidente, però, che rela-zioni analoghe valgono anche per le altre due terne. Inoltre, poiché le (1.31b) e(1.32b) sono lineari, le (1.34a) e (1.34b) devono applicarsi identicamente anchealle velocità. Questo fatto ci permette di scrivere l’energia cinetica totale come

    2T =

    N∑

    i=1

    mi

    (ẋ2i + ẏ

    2i + ż

    2i

    )=

    =

    N∑

    i=2

    miMi−1Mi

    (ξ̇2i + η̇

    2i + ζ̇

    2i

    )+MN

    (Ẋ2N + Ẏ

    2N + Ż

    2N

    ). (1.35)

    Ma (Xn, YN , ZN) sono le coordinate del centro di massa GN dell’intero sistema;esse non figurano nell’espressione del potenziale totale e possono essere quindiignorate mediante un’opportuna scelta dell’origine del riferimento. Ritroviamodunque il risultato del precedente paragrafo: sfruttando le prorietà del centrodi massa, il problema degli N corpi può essere sempre ricondotto ad un pro-blema ad N−1 corpi con una riduzione di 6 nell’ordine totale delle equazionidifferenziali del moto.

    Calcoliamo ora gli integrali d’area. Abbiamo

    (Mi −Mi−1

    )2(yiżi − ziẏi

    )=(Mi Yi −Mi−1 Yi−1

    )(MiŻi −Mi−1Żi−1

    )+

    +(MiZi −Mi−1Zi−1

    )(MiẎi −Mi−1Ẏi−1

    ), (1.36a)

    (Mi −Mi−1

    )2(ηiζ̇i − ζiη̇i

    )= M2i

    (Yi − Yi−1

    )(Żi − Żi−1

    )+

    +M2i

    (Zi − Zi−1

    )(Ẏi − Ẏi−1

    ), (1.36b)

    e quindi

    (Mi −Mi−1

    )(yiżi − ziẏi

    )− M

    2i−1

    Mi

    (ηiζ̇i − ζiη̇i

    )=

    = Mi

    (YiŻi − ZiẎi

    )−Mi−1

    (Yi−1Żi−1 − Zi−1Ẏi−1

    ). (1.37)

  • 18 Il problema degli N corpi

    Sommando poi su tutti gli indici

    N∑

    i=1

    [(Mi −Mi−1

    )(yiżi − ziẏi

    )− M

    2i−1

    Mi

    (ηiζ̇i − ζiη̇i

    )]=

    = MN

    (YN ŻN − ZN ẎN

    ), (1.38)

    e ponendo XN = YN = ZN = 0 (utilizzando cioè il centro di massa dell’in-tero sistema come origine del riferimento inerziale), otteniamo la forma degliintegrali d’area nelle coordinate (x, y, z) come espressioni delle componenti delmomento angolare totale M rispetto ad assi fissi passanti per il baricentro:

    N∑

    i=2

    miM2i−1

    Mi

    (ηiζ̇i − ζiη̇i

    )= c1,

    N∑

    i=2

    miM2i−1

    Mi

    (ζiξ̇i − ξiζ̇i

    )= c2, (1.39)

    N∑

    i=2

    miM2i−1

    Mi

    (ξiη̇i − ηiξ̇i

    )= c3.

    Indicati con ri i vettori di componenti (ξi, ηi, ζi), la (1.39) equivale a∑N

    i=2 ri × ṙi = kM,dove k è una costante con le dimensioni di una massa; per N = 3, risulta:

    r2 × ṙ2 + r3 × ṙ3 = kM. (1.40)

    Da questa relazione si vede che i due vettori ri × ṙi, ciascuno ortogonale alpiano dell’orbita istantanea del corrispondente corpo fittizio di indice i, sonocomplanari a M, che è a sua volta ortogonale al piano invariabile. Dunque,le intersezioni dei piani orbitali istantanei dei corpi fittizi di indici i = 2, 3 colpiano invariabile (linee dei nodi) devono coincidere.

    Questa importante proprietà, scoperta da Jacobi, prende il nome di Teore-ma sull’eliminazione dei nodi. Va subito chiarito che essa cessa di esisterein un sistema di coordinate diverso da quello qui considerato.

    1.4 Il teorema della specularità

    La forma delle equazioni del moto del problema degli N corpi puntiformi con-sente di formulare un interessante teorema [18], noto col nome di Teoremadella specularità (mirror theorem): se le N masse risentono solo della mu-tua attrazione gravitazionale e se ad una certa epoca t ciascun raggio vettorebaricentrico ri è ortogonale ad ogni vettore velocità ṙj (i, j = 1, ..., N), l’orbita

  • 1.4 Il teorema della specularità 19

    descritta da ognuna delle masse per t ≥ t è l’immagine speculare dell’orbita adepoche anteriori a t.

    La dimostrazione rigorosa di questo teorema è quanto mai semplice. Os-serviamo intanto che possono esistere soltanto due configurazioni (al tempo t)capaci di soddisfare l’ipotesi:

    1. tutti i raggi vettori ri sono contenuti sul medesimo piano e tutte le velocitàṙi sono ortogonali a detto piano (e quindi tra loro parallele o antiparallele);

    2. tutti i raggi vettori ri sono contenuti sulla medesima retta cui le velocitàsono ortogonali (senza però essere necessariamente parallele tra loro).

    Consideriamo la prima di queste configurazioni, che chiameremo C. Cambian-do di verso a tutte le velocità si ottiene una configurazione C ′ che è specularealla precedente; basterà infatti cambiare anche il verso dell’asse coordinatoperpendicolare al piano che contiene i raggi vettori per riavere una configu-razione C ′′ di posizioni e di velocità identica a quella di partenza. L’identitàdelle condizioni iniziali in C e C ′′ all’epoca t = t garantisce che le orbite diciascuno degli N corpi saranno le stesse nei due casi. D’altra parte i sistemidi riferimento di C e C ′′ sono tra loro speculari; dunque se riferiamo le singo-le orbite di entrambi ad un medesimo sistema, queste risulteranno speculari.Questo è proprio quanto accade se confrontiamo le orbite di C e C ′. Ora, ilcambiamento del verso delle velocità da C a C ′ può essere pensato come un’in-versione dell’asse dei tempi. In altre parole, ad ogni istante t− t, C equivale aC ′ all’istante t− t, ossia l’evoluzione di C ′ su un asse temporale con origine int ed orientato verso il passato rappresenta l’evoluzione di C da t in avanti. Ma,come abbiamo visto, le orbite nei due casi sono speculari; dunque il teoremaresta dimostrato per la prima delle due configurazioni sopra elencate.

    Per quanto riguarda la configurazione collineare, lasciamo al lettore di ripe-tere il ragionamento appena fatto, invertendo il verso della retta che contienei raggi vettori.

    Dimostriamo ora una proprietà che risulta quale corollario del teoremadella specularità: se un sistema autogravitante di N corpi puntiformi soddisfail terorema sulla specularità in due epoche distinte, separate dall’intervallo ditempo ∆t, le orbite di tutti i corpi costituenti il sistema sono necessariamenteperiodiche di ugual periodo P = 2 ∆t. La dimostrazione è elementare: se laconfigurazione speculare C ha luogo al tempo t = −t e la configurazione D altempo t = 0, la prima si ripresenterà a t = t, la seconda al tempo t = 2 t ecośı avanti. Ciò significa che le orbite debbono essere periodiche di periodoP = 2 t.

  • 20 Il problema degli N corpi

    1.5 Il teorema del viriale: formulazione classi-

    ca

    Dato un sistema di N punti materiali ed un riferimento inerziale, consideriamola funzione esplicita del tempo

    G(t) =

    N∑

    i=1

    pi · ri, (1.41)

    dove pi = mi ṙi è il vettore quantità di moto dell’i–esimo punto. La funzioneG ha le dimensioni di un’azione; per comprenderne il significato fisico basteràosservare che, a meno di un’arbitraria costante di integrazione, la sua primitivaè il momento d’inerzia del sistema rispetto all’origine del riferimento:

    ∫ tG(t) dt =

    1

    2

    N∑

    i=1

    mi ri · ri. (1.42)

    Calcoliamo ora la derivata di G rispetto al tempo:

    dG(t)

    dt=

    N∑

    i=1

    pi · ṙi +N∑

    i=1

    ṗi · ri. (1.43)

    Il primo termine a secondo membro è pari al doppio dell’energia cinetica totale,T = 1

    2

    ∑Ni=1miṙ

    2i . Indicando con fi la forza totale agente sull’i–esimo punto,

    il secondo membro può essere scritto come

    N∑

    i=1

    ṗi · ri =N∑

    i=1

    fi · ri. (1.44)

    Se il campo di forza dipende dal potenziale U, allora

    N∑

    i=1

    fi · ri =N∑

    i=1

    ∇i U · ri, (1.45)

    dove l’operatore laplaciano è calcolato con riferimento al punto Pi. Infine, seil potenziale U è una funzione omogenea di grado k, il teorema di Eulero (vedipag. ??) assicura che

    N∑

    i=1

    ∇i U · ri = kU = −kΩ, (1.46)

  • 1.5 Il teorema del viriale 21

    dove Ω è l’energia potenziale totale. In conclusione, la (1.43) si riduce a

    dG(t)

    dt= 2T − kΩ, (1.47)

    che prende il nome di identità di Lagrange generalizzata.Supponiamo ora che il sistema considerato sia soggetto ad un moto perio-

    dico di periodo P . In tal caso il valor medio di dG/dt calcolato nell’arco di unperiodo

    1

    P

    ∫ t+P

    t

    dG(t)

    dtdt =

    1

    P

    [G(t+ P ) −G(t)

    ], (1.48)

    sarà nullo, e quindi sarà nullo anche il valor medio del secondo membro di(1.47):

    〈2 T − kΩ〉 = 0. (1.49)

    Questa importante relazione, che prende il nome di Teorema del viriale8 clas-sico o viriale di Clausius, resta valida anche sotto ipotesi più larghe dellasemplice periodicità del sistema. Affinchè la media (1.48) sia nulla, basta in-fatti che il sistema sia limitato nello spazio delle fasi (|ri| ≤ r◦i , e |pi| ≤ p◦i , perogni istante di tempo) e che P , che ora ha solo il significato di un intervallodi tempo, sia sufficientemente grande – formalmente dovremo farlo tendere al-l’infinito. Si può far vedere inoltre che la condizione (1.49) rimane soddisfattaanche in presenza di forze dissipative, purchè queste non siano tali da annullareil moto nell’intervallo di tempo in cui si computa il valor medio.

    Nel caso di forze elastiche (k = 2), il viriale (1.49) da luogo alla ben notaproprietà 〈T 〉 = 〈Ω〉; questo vuol dire, per esempio, che l’energia cinetica di unpendolo semplice è uguale, in media, all’energia potenziale. Per un potenzialegravitazionale, k = −1, e quindi

    〈2 T + W〉 = 0, (1.50)

    con la consueta convenzione W(∞) = 0.A titolo d’esempio, applichiamo il teorema del viriale al problema dei due

    corpi. Utilizzando la (2.48) per calcolare l’energia cinetica otteniamo subito

    2 T + W = G (m1 +m2)

    (1

    r− 1a

    ), (1.51)

    da cui, con riferimento alla (1.49), deduciamo che il valor medio del recipro-co del raggio vettore r nel moto kepleriano è pari al reciproco del semiasse

    8Questo nome, coniato da Clausius, trae origine da Vis Viva, l’antico termine adoperatoper indicare l’energia cinetica.

  • 22 Il problema degli N corpi

    maggiore a. Limitandoci al caso dell’orbita ellittica — poiché questa è l’unicaorbita kepleriana ad avere un periodo finito — vogliamo verificare direttamentela precedente affermazione calcolando l’integrale

    〈1

    r

    〉=

    1

    P

    ∫ P

    0

    1

    rdt =

    1

    hP

    ∫ 2π

    0

    r dθ, (1.52)

    dove s’è fatto uso del momento angolare specifico h = r2θ̇. Sostituendo l’e-spressione di r data da (2.45), e quelle di P ed h date da (2.56) e (2.46)rispettivamente, abbiamo

    〈1

    r

    〉=

    √1 − e22π a

    ∫2π

    0

    1 + e cos θ=

    1

    a, (1.53)

    che è quanto si voleva dimostrare (per il calcolo dell’integrale si veda pag. ??).

  • Capitolo 2

    Il problema dei 2 corpi

    Storicamente, l’interazione tra 2 corpi è il problema che per primo fu affron-tato, anche perché di più semplice risoluzione. In prima approssimazione, ilmoto dei pianeti del sistema solare può essere studiato attraverso l’utilizzo delproblema dei 2 corpi, un problema matematico peraltro pienamente risolvibileanaliticamente. In questo capitolo descriveremo il moto di 2 corpi autogravi-tanti e alcune delle principali applicazioni a casi astrofisici reali, primo su tuttila verifica delle leggi empiriche di Keplero.

    Nel Paragrafo 2.1 si descriverà il problema dei due corpi nel sistema di ri-ferimento del centro di massa. Nel Paragrafo 2.2 si dimostra come il problemasia riconducibile al piano e nel 2.3 si ottiene la traiettoria del moto. I Paragrafi2.4 e 2.5 sono rivolti all’analisi delle coniche da un punto di vista matematicoe astrofisico. L’analisi delle orbite si completa nel Paragrafo 2.6 dove si va astudiare come si orienta l’orbita nello spazio. Infine, nel Paragrafo 2.7 descri-viamo il metodo di Laplace che consente di misurare gli elementi orbitali di uncorpo celeste.

    2.1 Moto relativo al centro di massa

    Riconsideriamo il sistema isolato autogravitante di corpi puntiformi definitoall’inizio del §1, limitandoci al caso particolare in cui N = 2. Se indichiamo conri il raggio vettore del punto Pi (i = 1, 2) rispetto all’origine O del riferimentoinerziale, e con rij = −rji = PiPj , il moto dei due punti materiali P1 e P2è descritto dalle soluzioni, ri = ri(t), del sistema di equazioni vettoriali (vedisistema (1.2))

    m1 r̈1 = −Gm1m2r212

    r21r21

    ,

    (2.1)m2 r̈2 = −G

    m2m1r221

    r12r12

    .

  • 24 Il problema dei 2 corpi

    Tale sistema è composto da 6 equazioni differenziali del secondo ordine, ri-ducibili a 12 equazioni del primo ordine (come già discusso nel Cap.2). Perottenere una soluzione generale del problema avremo bisogno di conoscere 12costanti di integrazione, cioè 12 integrali primi del moto.

    Una maniera per semplificare il problema è quello di ridurlo ad uno piùsemplice, suddividendo il moto del sistema in due distinti, quello del centro dimassa e uno relativo al centro di massa stesso. Per fare ciò, sostituiamo alledue equazioni (2.1) la loro somma e la loro differenza:

    m1r̈1 +m2r̈2 = 0,(2.2)

    r̈2 − r̈1 = −G(m1 +m2

    )r12r312

    .

    La prima di queste nuove equazioni, che ha per soluzione

    m1r1 +m2r2 =(m1 +m2

    )(ṙ◦Bt+ r

    ◦B

    ), (2.3)

    dove ṙ◦B ≡ ṙB|t=0 e r◦B ≡ rB|t=0 sono vettori costanti scritti in modo da eviden-ziare le loro dimensioni, esprime la consueta legge del moto del baricentro diun sistema meccanico isolato. Quindi, anche in base ai risultati del precedenteparagrafo e senza perdere in generalità, dato che il baricentro B del sistema simuove di moto rettilineo uniforme, allora può essere scelto come origine O diun sistema di riferimento inerziale: in questo caso ri = BPi.

    Figura 2.1: Sistemi di riferimento

  • 2.1 Moto relativo al centro di massa 25

    Ponendo r = r2 − r1 = P1P2 (si noti l’arbitraria scelta del verso del vettorer), e

    µ =m1m2m1 +m2

    , (2.4)

    la seconda equazione del sistema (2.2) può essere riscritta nel seguente modo

    µr̈ +Gm1m2r

    r3= 0. (2.5)

    Il parametro µ, che ha le dimensioni di una massa, è chiamato massa ridotta1

    in quanto il suo valore tende (per difetto) a quello della minore delle due masse.

    Sia, ad esempio, mi ≤ mj , ovvero α = mi/mj ≤ 1, e quindi µ = mi(1 + α

    )−1;

    avremo µ→ mi per α→ 0 e µ = mi/2 se α = 1 (Fig 2.2).Si noti come il problema si sia ridotto in complessità ad uno che necessita

    della conoscenza di soli 6 integrali primi, quante sono le costanti di integrazionidi cui l’Eq. (2.5) ha bisogno per fornire una soluzione generale.

    Infine, moltiplicando scalarmente entrambi i membri di (2.5) per ṙ e inte-grando, otteniamo l’espressione dell’energia totale specifica2

    Es = Ts + W =1

    2µ ṙ2 −G m1m2

    r= costante. (2.6)

    La (2.5) è identica all’equazione del moto di un punto P di massa (ridotta) µsoggetto ad una accelerazione a = −G

    (m1 +m2

    )r−3 r, emanata da un centro

    C in cui è concentrata tutta la massa del sistema individuato dal raggio vettorer = CP . L’identità tra r = P1P2 e r = CP assicura che, ad ogni istante ditempo, posizione e velocità del corpo fittizio P coincidono con quelle di P2(oppure di P1, qualora si adotti per il vettore r un verso opposto a quello danoi scelto), se il centro di forza C è pensato coincidente con P1 (oppure conP2). In altre parole, la trasformazione del problema conseguente alla nuovainterpretazione dell’equazione (2.5) ci consente di trattare P1 (o P2) come unpunto fisso, senza che questo comporti le complicazioni tipiche dei moti relativi(o, che è lo stesso, dei riferimenti non inerziali); inoltre ci permette di sfruttarele proprietà dei moti centrali.

    Ricordiamo che un campo di forza f è detto centrale se esiste un pun-to fisso C detto centro di forza per cui, qualunque sia P , vale la proprietàf(P ) × CP = 0 (Teorema delle forze centrali). Dato un riferimento centrato

    1La massa ridotta è una media armonica delle masse, essendo 1µ

    = 1m1

    + 1m2

    2L’energia specifica è la somma dell’energia cinetica del moto rispetto al baricentro (quan-do cioè si ponga TB =(1/2)

    (m1 + m2

    )˙rB

    2=0), e dell’energia potenziale, convenendo chequesta tenda a 0 per r → +∞.

  • 26 Il problema dei 2 corpi

    0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

    Α

    0.5

    0.6

    0.7

    0.8

    0.9

    1

    Μ

    Figura 2.2: Dipendenza della massa ridotta µ dal rapporto delle masse mi emj . In questo grafico si è posto mi = 1, identificando in questa maniera ilparametro α con la massa mj .

    in C e indicati con α, β, e γ, i coseni direttori di r = CP , le tre equazioniscalari del moto del corpo puntiforme P di massa m sono

    mẍ = |f |α, mÿ = |f | β, mz̈ = |f | γ, (2.7a)

    ossia

    mẍ = |f | xr, mÿ = |f | y

    r, mz̈ = |f | z

    r. (2.7b)

    È immediato provare che i moti centrali sono piani e si sviluppano a velo-cità areolare costante. Infatti, moltiplicando la prima delle (2.7b) per −y ela seconda per +x, e sommando i risultati tra loro, si ha (ẍy − ÿx) = 0, ilcui integrale è (ẋy − ẏx) = hz. Dunque, la proiezione del momento angolare(orbitale) J di P sull’asse z è costante. In modo analogo si prova che anchele altre due proiezioni di J sono costanti, e quindi J = r× ṙ = r◦ × ṙ◦ = cost,dove r◦ e ṙ◦ sono i valori iniziali del raggio vettore e della velocità. I vettorir◦ e ṙ◦ giacciono su un piano ortogonale a J, dato che come dimostrato J ècostante, r e ṙ rimarranno su questo piano. Queste considerazioni indicanoche il moto dei due corpi è un moto piano.

    Poniamoci allora sul piano del moto, con assi x ed y centrati in C. In-dicato con θ l’angolo che il vettore r forma col semiasse positivo x, ossiaθ = arctan(y/x), il modulo di J risulta |J| = r2θ̇ =cost., relazione che provala costanza della velocità areolare Aθ =(r

    2θ̇)/2.

  • 2.2 Riduzione al piano 27

    2.2 Riduzione al piano

    L’equazione (2.6) può essere interpretata formalmente come l’integrale del-l’energia nel moto di un punto P di massa µ (eq. 2.5) attorno a P1, che ora èpensato fisso e centro di un campo di forza il cui potenziale è

    U = Gm1m2µ

    1

    r= G

    (m1 +m2

    )1r. (2.8)

    Il fatto che P2 coincida con P , e che P1 appaia come punto fisso attorno a cuisi muove P2, è conseguenza dell’arbitraria orientazione del vettore r = P1P2.Poiché il moto di P è centrale (e quindi piano), il moto di P2 attorno a P1 èpiano. Il piano del moto dovrà contenere il centro, cioè P1, e quindi anche ilbaricentro B del sistema. In altre parole, tutto questo significa che il problemadei due corpi può essere sempre ricondotto al piano.

    Introduciamo allora, sul piano del moto, un riferimento polare con polo inP1 ed asse polare coincidente con l’asse x

    ′ di un generico riferimento cartesianoO′[x′, y′], contenuto anch’esso sul piano.

    Figura 2.3: Riferimento per l’orbita di P2 relativa a P1 sul piano del moto.

    Sarà (Fig. 2.3):

    r = r cos θ i + r sin θ j (2.9a)

    dove i e j rappresentano i versori degli assi. L’angolo θ è detto anomalia vera.Derivando la (2.9a) rispetto al tempo, si ottiene

    ṙ = ṙ[cos θ i + sin θ j

    ]+ r θ̇

    [− sin θ i + cos θ j

    ](2.9b)

  • 28 Il problema dei 2 corpi

    Posti

    cos θ i + sin θ j = u, − sin θ i + cos θ j = w, (2.10)

    dove u e w sono due versori, l’uno parallelo e l’altro normale a r, le equazioni(2.9a) e (2.9b) assumono la forma compatta

    r = r u, ṙ = ṙ u + r θ̇w, (2.11)

    e l’equazione (2.6) si riscrive come

    E =1

    2µ(ṙ2 + r2θ̇2

    )−Gm1m2

    r= costante. (2.12)

    Osserviamo ora che il citato teorema sulle forze centrali garantisce la costanzadel momento angolare di P2 nel moto attorno a P1; perciò

    µr × ṙ = c, (2.13)

    con c vettore costante. Dalla (2.10) e (2.11) si ottiene

    µr × ṙ = µ r2 θ̇u ×w = c, (2.14)

    ossia

    r2 θ̇ = h, (2.15)

    dove la costante h ha le dimensioni di una velocità areolare. Il risultato chesia non nulla solo la componente normale al piano dell’orbita del momentoangolare h ci consente di ridurre di due gradi di libertà ulteriori il problema.

    Ci serviremo dei due integrali primi (2.12) e (2.15) per ottenere l’equazionedella traiettoria e l’equazione oraria del moto di P2 attorno a P1. Dato chel’equazione (2.15) equivale a dθ = (h/r2)dt, l’espressione (2.12) — che è poiun integrale primo; cfr. §?? — può essere tradotta in due diverse forme:

    dt =

    õ

    2

    dr√E +G

    m1m2r

    − µh2

    2r2

    , (2.16a)

    dθ =

    õh2

    2

    dr/r2√E +G

    m1m2r

    − µh2

    2r2

    , (2.16b)

    le quali equazioni legano il modulo del raggio vettore r rispettivamente altempo t ed all’anomalia vera θ. Cominciamo con l’integrare l’equazione (2.16b)che fornirà la relazione tra θ e r, cioè l’equazione della traiettoria.

  • 2.3 La traiettoria 29

    2.3 La traiettoria

    La struttura del secondo membro di (2.16b) suggerisce di scegliere il reciprocodel raggio vettore r quale variabile d’integrazione. Porremo pertanto

    x =1

    r

    õ h2

    2+ x◦, (2.17a)

    dove x◦ è una costante da determinarsi in modo che l’espressione sotto radicea denominatore del secondo membro di (2.16b) si trasformi in una differenzadi quadrati. Risulta

    x◦ = −Gm1m2√

    2µ h2, (2.17b)

    da cui segue

    dθ =− dx√

    E +G2m21m

    22

    2µ h2− x2

    . (2.18a)

    Quest’ultima si integra facilmente in

    θ − θ◦ = arccosx√

    E +G2m21m

    22

    2µ h2

    , (2.18b)

    con θ◦ costante d’integrazione. Invertendo e sostituendo la variabile d’originer tramite le (2.17a) e (2.17b), otteniamo l’equazione della traiettoria di P2 nelmoto relativo a P1:

    r =

    µ h2

    Gm1m2

    1 +

    √1 + E

    2µ h2

    G2m21m22

    cos(θ − θ◦)=

    p

    1 + e cos(θ − θ◦), (2.19)

    dove si sono posti, per semplicità di scrittura,

    p =µ h2

    Gm1m2> 0, (2.20a)

    e =

    √1 + E

    2µ h2

    G2m21m22

    ≥ 0. (2.20b)

  • 30 Il problema dei 2 corpi

    Qualunque sia il valore (non negativo) dei parametri, questa equazionerappresenta una conica reale non degenere in un sistema di coordinate il cuipolo, che coincide con P1, contiene anche un fuoco della conica stessa. Unaconica è infatti (in base ad una delle numerose definizioni possibili per questafamiglia) una qualunque curva piana che sia luogo geometrico dei punti le cuidistanze da un punto fisso (fuoco) r e da una retta fissa (direttrice) k hanno unrapporto costante e (eccentricità). Quindi: e = r/(k − r cos θ), che è identicaa (2.19) se si pone p = k e [16].

    Riassumendo, abbiamo potuto provare sin qui che, sotto l’azione delle solemutue forze gravitazionali, il punto materiale P2 (oppure P1) si muove attornoa P1 (oppure a P2) su un’orbita piana che è una conica con fuoco in P1 (oppureP2) e con velocità areolare costante. Si noti la grande generalità di questosemplice risultato.

    2.4 Geometria delle orbite coniche

    In un riferimento cartesiano, la famiglia delle coniche è rappresentata analiti-camente da una generica equazione di secondo grado in due variabili

    c1x2 + c2y

    2 + c3x y + c4x+ c5y + c6 = 0. (2.21)

    In questo senso, le coniche sono al secondo posto nella gerarchia di comples-sità delle curve piane, subito dopo le rette (che sono rappresentate da equa-zioni lineari) [16]. Una proprietà generale delle forme quadratiche del tipo(2.21) è che, di solito, esiste una trasformazione di assi coordinati capace disemplificarne l’espressione in

    c′1x2 + c′2y

    2 + c′3 = 0. (2.22)

    Quando ciò avviene (caso dell’ellisse e dell’iperbole), l’origine del nuovo sistemaè detta anche centro della conica, gli assi prendono il nome di assi principali(essi sono anche assi di simmetria), e l’equazione (2.22) è indicata come equa-zione canonica. Ci limitiamo poi a notare che le coniche devono il loro nomeal fatto che queste curve possono essere ottenute come sezioni di un cono (dop-pio) mediante un piano. Se α è la semiapertura del cono (angolo tra l’asse eduna generatrice) e se β è l’angolo che la normale al piano secante forma conl’asse del cono, avremo

    una sezione ellittica se 0 < β < α;

    una sezione parabolica se β = α;

    una sezione iperbolica se α < β ≤ π/2.

  • 2.4 Geometria delle coniche 31

    2.4.1 Ellisse

    La Figura 2.4 mostra una ellisse in coordinate rettangolari con origine centraleed assi coordinati coincidenti con gli assi principali. La corrispondente equa-zione (canonica):

    x2

    a2+y2

    b2= 1, (2.23)

    contiene le lunghezze a e b dei semiassi maggiore e minore rispettivamente. Sidefiniscono le seguenti quantità

    0 <b

    a≤ 1 rapporto assiale, (2.24a)

    ǫ = 1 − ba

    ellitticità, (2.24b)

    e =

    √1 − b

    2

    a2eccentricità. (2.24c)

    Figura 2.4: Proprietà geometriche dell’ellisse

    Dalla definizione segue facilmente che il prodotto ae misura la distanza diciascun fuoco dal centro. Ricordiamo che l’ellitticità non è molto usata daimatematici e dai meccanici, ma è comune nel linguaggio degli astronomi.Passiamo ora a coordinate polari focali con l’asse polare coincidente con l’assefocale e il centro del sistema di riferimento coincidente col fuoco; tramite le

  • 32 Il problema dei 2 corpi

    equazioni di trasformazione

    x = ae+ r cos θ, y = r sin θ, (2.25)

    l’equazione (2.23) si traduce in

    r =p

    1 + e cos θ, (2.26)

    dove s’è posto

    p = a (1 − e2) > 0. (2.27)

    L’angolo θ◦ che compare in (2.19), prende il significato geometrico di anomaliavera dell’asse focale.

    Le equazioni parametriche

    x = a cosE, y = b sinE, (2.28)

    sono un’ulteriore rappresentazione dell’ellisse in un sistema centrato di coordi-nate rettangolari con uno degli assi coincidente con la linea dei fuochi; questarappresentazione è particolarmente conveniente nel campionamento numericodell’ellisse (ad esempio, quando si voglia disegnare un’ellisse con un plotter).Si prova subito che esse soddisfano all’equazione (2.23). Il significato geome-trico del parametro E è mostrato in Figura 2.4; è l’angolo al centro di quelpunto Q del circolo ausiliario minore (circonferenza inscritta nella ellisse) o diquel punto S del circolo ausiliario maggiore (circonferenza circoscritta, dettapodaria perché ciascun suo punto è punto d’incontro, o piede, delle tangentiall’ellisse e delle loro normali passanti per uno dei fuochi), ottenuti per tra-sporto orizzontale o verticale a partire dal punto P dell’ellisse definito tramitele equazioni parametriche (2.28). Per convincersene, basterà riflettere che l’el-lisse è la proiezione ortogonale del circolo podario su un piano con inclinazionei = arcsin e, e che l’asse maggiore è parallelo alla linea dei nodi (intersezionedei due piani).

    Per trovare la relazione che intercorre tra l’anomalia vera θ e l’angolo E,detto anomalia eccentrica, è sufficiente paragonare le coordinate del punto P

    a cosE = a e+ r cos θ, b sinE = r sin θ. (2.29a)

    Eliminando r per mezzo di (2.26), si hanno subito

    sinE =

    √1 − e2 sin θ1 + e cos θ

    , cosE =e+ cos θ

    1 + e cos θ. (2.29b)

  • 2.4 Geometria delle coniche 33

    Ulteriori manipolazioni danno nuove utili relazioni. In particolare, ricavandocos θ dalla seconda delle (2.29b) ed introducendolo in (2.26), si ha

    r = a (1 − e cosE), (2.30)

    che è un’espressione del raggio focale r più semplice di (2.26), la quale rendeagevole il calcolo degli integrali d’area. Infatti, l’area spazzata dal raggio focalequando l’anomalia vera cresce da 0 a θ, è

    A(θ) =1

    2

    ∫ θ

    0

    r2 dθ =a2

    2

    ∫ θ

    0

    (1 − e cosE

    )2dθ =

    =ab

    2

    ∫ E

    0

    (1 − e cosE

    )dE (2.31a)

    dove dθ/dE è trovato differenziando la prima delle (2.29b). Espresso in fun-zione dell’anomalia eccentrica, l’integrale d’area si risolve semplicemente:

    A(θ) = A(E) =ab

    2

    (E − e sinE

    ). (2.31b)

    Questa equazione porta come naturale conseguenza l’introduzione di un terzoparametro angolare, l’anomalia media:

    M = 2πA

    π a b=

    2A

    a b= E − e sinE; (2.32)

    questa rappresenta l’angolo di un settore circolare di areaA in un cerchio che hala stessa area totale dell’ellisse (πab). In altre parole l’equazione trascendente(2.32), che è nota come equazione di Keplero, stabilisce una corrispondenza trapunti dell’ellisse e punti del cerchio (quindi tra M , E e θ) tramite l’equivalenzatra settori. La sua importanza in astronomia è notevole, come vedremo, e ciògiustifica gli sforzi fatti per risolverla. Alcuni metodi di espansione analiticaed una tecnica di risoluzione numerica sono esposti in Appendice ??.

    2.4.2 Parabola

    La parabola, come il cerchio (e = 0), è un caso particolare della ellisse, otte-nuto quando e = 1. Perciò, come il cerchio, è una curva uniparametrica. Ilparametro, che per il cerchio è il raggio, per la parabola è rappresentato dalladistanza p del fuoco dalla direttrice (si veda la Figura 2.5). Formalmente, da(2.26),

    r =p

    1 + cos θcon e = 1. (2.33)

  • 34 Il problema dei 2 corpi

    Figura 2.5: Proprietà geometriche della parabola

    Si noti che, onde conservare l’espressione p = a(1 − e2), il parametro a (nonnecessario per la parabola) deve essere pensato uguale a +∞. La forma car-tesiana dell’equazione (2.33) è y2 = 2px. Per calcolare l’area di un settoreparabolico conviene introdurre una variabile ausiliaria D definita da

    D =√p tan

    θ

    2. (2.34)

    Altre relazioni tra D e θ sono

    cos θ =p−D2p+D2

    , sin θ =2D

    √p

    p+D2, (2.35)

    mentre la nuova espressione per il raggio focale, analoga a (2.30), è

    r =1

    2(p+D2). (2.36)

    L’integrazione dell’area segue senza difficoltà

    A(θ) =1

    2

    ∫ θ

    0

    r2 dθ =1

    8

    ∫ θ

    0

    (p+D2

    )2dθ =

    =

    √p

    4

    ∫ D

    0

    (p+D2

    )dD, (2.37a)

    da cui

    A(θ) =

    √p

    2

    (p

    2D +

    D3

    6

    ), (2.37b)

  • 2.4 Geometria delle coniche 35

    Figura 2.6: Proprietà dell’iperbole.

    o anche, tramite (2.34),

    A(θ) =p2

    4

    (tan

    θ

    2+

    1

    3tan3

    θ

    2

    ). (2.37c)

    2.4.3 Iperbole

    In corrispondenza alla equazione cartesiana (2.23) della ellisse, per l’iperbolesi ha

    x2

    a2− y

    2

    b2= 1. (2.38)

    Se θ è misurato dal pericentro, la forma polare dell’equazione rimane, comeper l’ellisse,

    r =p

    1 + e cos θ, (2.39)

    dove però

    e =

    √1 +

    b2

    a2> 1, p = a (e2 − 1). (2.40)

    Anche per l’iperbole, si possono definire delle equazioni parametriche del tipo(2.28)

    x = a coshF, y = b sinhF. (2.41)

  • 36 Il problema dei 2 corpi

    L’uso di funzioni iperboliche è richiesto dalle intercette immaginarie di (2.38)sull’asse delle ordinate. In questo caso l’anomalia eccentrica è designata conF . In analogia con l’ellisse avremo

    sinhF =

    √e2 − 1 sin θe cos θ + 1

    , coshF =e+ cos θ

    e cos θ + 1, (2.42)

    mentre l’equazione del raggio focale sarà

    r = a (e coshF − 1). (2.43)

    Infine, l’integrale d’area

    A(θ) =1

    2

    ∫ θ

    0

    r2 dθ =a2

    2

    ∫ θ

    0

    (e coshF − 1

    )2dθ =

    =a b

    2

    ∫ F

    0

    (e coshF − 1

    )dF , (2.44a)

    fornisce

    A(θ) =a b

    2

    (e sinhF − F

    ), (2.44b)

    che è l’equivalente di (2.31b) e che permette di introdurre una anomalia mediaN = e sinhF − F .

    2.5 Proprietà delle orbite coniche

    Le considerazioni contenute nel paragrafo precedente ci permettono di asserireche l’equazione focale di una qualunque conica reale non degenere può esserescritta nella forma seguente:

    r =a (1 − e2)

    1 + e cos(θ − θ◦), (2.45)

    purché i parametri a ed e soddisfino alle condizioni riassunte in Tabella 2.1.La costante θ◦ è l’anomalia vera dell’asse focale. Se si annulla θ0 dalla (2.45),allora gli angoli vengono contati dal punto di minima distanza tra i due corpi,cioè il periastro, in senso diretto.

    Tabella 2.1: Condizioni su a ed e

    ellisse 0 ≤ e < 1 a > 0parabola e = 1 a = ±∞iperbole e > 1 a < 0

  • 2.5 Le orbite coniche 37

    Dalla tabella e dalla (2.20b) si ricava un vincolo per l’energia totale specificanel problema dei due corpi; deve essere E < 0 se e < 1, E = 0 se e = 1, eE > 0 se e > 1. In altre parole, la traiettoria di P2 nel moto attorno a P1 saràellittica, parabolica o iperbolica secondo che l’energia specifica sia negativa(sistema legato), nulla o positiva (sistema slegato). Inoltre, esplicitando p in(2.20a), si ottiene

    p = a (1 − e2) = µ h2

    Gm1m2, (2.46)

    da cui, eliminando e tramite (2.20b), risulta

    a = −G m1 m22 E

    . (2.47)

    Questa importante relazione mostra che la lunghezza caratteristica a è com-pletamente determinata dall’energia specifica. Per contro, dalla (2.46) si vedeche, a parità di altre condizioni, l’eccentricità è fissata dal valore del momen-to angolare per unità di massa h. In base a (2.20b) quest’ultimo è limitatosuperiormente dall’energia specifica solo nel caso dell’orbita ellittica (E < 0).

    Per visualizzare questi risultati consideriamo un’orbita ellittica (vedi anchei testi [3] and [16]). Allo scopo di modificare la massima dimensione dell’orbita,è necessario e sufficiente variare l’energia specifica (mantenendola ovviamentenegativa). Se si vuole invece variare lo schiacciamento conservando la dimen-sione massima, si deve agire sul valore di h. Sostituendo nella (2.6) il valore diE dato dalla (2.47) si ottiene una relazione che fornisce il modulo della velocitàdi P2 in funzione del raggio focale e del parametro a:

    ṙ2 = 2G (m1 +m2)

    (1

    r− 1

    2 a

    ). (2.48)

    In particolare, se a = +∞ (orbita parabolica), risulta

    V 2e (r) = 2Gm1 +m2

    r. (2.49)

    Ve è detta velocità di fuga3; essa rappresenta la minima velocità richiesta a P2

    per sfuggire a P1, per portarsi cioè a distanza infinita da esso. Muovendosisu un’orbita iperbolica (a < 0), il punto P2 riuscirebbe ugualmente a sfuggireall’attrazione di P1, ma la velocità richiesta per ogni valore della distanza rsarebbe maggiore di Ve.

    I risultati fino ad ora conseguiti sono del tutto generali. Per gli ulterio-ri sviluppi è tuttavia necessario trattare separatamente i tre tipi di orbitacorrispondenti ai diversi valori dell’energia specifica.

    3Posto Ve = c, velocità della luce, si ottiene (in modo classico, che però genera un risultatocoincidente con la corretta derivazione relativistica) il cosiddetto raggio di Schwarzschild :RS = 2GM/c

    2, che, ad esempio, definisce l’orizzonte di un buco nero [21].

  • 38 Il problema dei 2 corpi

    2.5.1 Orbita ellittica (E < 0)

    Supponiamo che il sistema dei due punti materiali P1 e P2 sia legato (E < 0).Pertanto l’orbita di P2 nel moto attorno a P1 è un’ellisse con fuoco in P1.L’equazione differenziale del moto orario (2.16a) si può scrivere come

    dt =

    õ

    −2Er dr√

    µh2

    2E+ 2 a r − r2

    , (2.50)

    avendo raccolto −E a denominatore del secondo membro e fatto uso di (2.47).Aggiungendo e togliendo a2 sotto la radice a denominatore del secondo mem-bro, e osservando che dalla combinazione di (2.46) e (2.47) risulta

    1

    2

    µ h2

    E= a2(e2 − 1), (2.51)

    si ottiene

    dt =

    √a

    G (m1 +m2)

    r dr√a2e2 − (r − a)2

    . (2.52)

    Sfruttando l’equazione (2.30), si introduca l’anomalia eccentrica

    r − a = −a e cosE, dr = a sinE dE. (2.53)

    Risulta

    dt =

    √a

    G (m1 +m2)

    (a− a e cosE

    )dE, (2.54a)

    un’espressione che si integra facilmente:

    t− t◦ =√

    a3

    G (m1 +m2)

    (E − e sinE

    ), (2.54b)

    con t◦ costante d’integrazione. Per meglio chiarire il significato di questa equa-zione, paragoniamola a (2.31b). Deve essere

    2A

    ab=

    √G (m1 +m2)

    a3

    (t− t◦

    ), (2.55)

    dove A è l’area spazzata dal raggio vettore focale r quando l’anomalia verapassa dal valore zero all’istante t◦ al valore θ all’istante t. Per θ = 2π, cioè per

  • 2.5 Le orbite coniche 39

    una rivoluzione completa, l’area dell’ellisse è A = πab, e l’intervallo di tempot− t◦ è uguale al periodo P . Dunque, posto

    n =2π

    P=

    √G (m1 +m2)

    a3, (2.56)

    dove n è detto moto medio, l’equazione (2.54b) diviene

    P

    (t− t◦

    )= n(t− t◦) = E − e sinE. (2.57)

    Questa espressione chiarisce il significato dell’anomalia media

    M =2π

    P

    (t− t◦

    )= n(t− t◦), (2.58)

    introdotta al §2.4; essa rappresenta l’anomalia vera che P2 avrebbe se, conser-vando lo stesso periodo P , si muovesse uniformemente su un’orbita circolare.

    Le equazioni (2.30), (2.57) e (2.58), descrivono la dipendenza del raggiofocale r dal tempo tramite le variabili ausiliarie M ed E. La dipendenza daltempo dell’anomalia vera θ è infine trovata tramite le relazioni (2.29b):

    tanθ

    2=

    √1 + e

    1 − e tanE

    2. (2.59)

    I risultati ottenuti possono essere confrontati con le leggi empiriche sempliciottenute osservando il moto dei pianeti attorno al Sole, note come Leggi diKeplero.

    I I pianeti si muovono su curve piane ed i loro raggi vettori spazzano areeproporzionali ai tempi.

    II Le orbite dei pianeti sono ellissi di cui il Sole occupa uno dei fuochi.

    III I quadrati dei periodi siderali, P , dei pianeti nel moto attorno al Solesono proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori, a, delle rispettive orbite.

    Nei termini del problema dei due punti materiali, che rappresenta una primaapprossimazione del moto reale di un pianeta attorno al Sole, le prime due leggisono la naturale conseguenza del fatto che i pianeti sono gravitazionalmentelegati al Sole (E < 0). La terza legge è un’approssimazione dell’espressione(2.56). Quest’ultima, infatti, scritta nella forma:

    P 2

    a3=

    4π2

    G (m1 +m2), (2.60)

  • 40 Il problema dei 2 corpi

    mostra che P 2 e a3 sono proporzionali a parità di (m1 + m2). Nel caso delsistema solare, dominato dalla massa del Sole, la somma (m1 + m2) è ugualealla massa del Sole M⊙ (con un’approssimazione migliore dello 0.1% nel casopiù sfavorevole del pianeta Giove), ed è quindi costante. Per un pianeta dimassa trascurabile (mP/M⊙ ≃ 0), l’uguaglianza (2.60) fornisce

    a =

    (GM⊙4 π2

    P 2) 1

    3

    . (2.61)

    Con P = 365.d256365 = 31558149.s984, anno siderale terrestre, M⊙ = 1.991 ×1033 gr, e ricordando che G = 6.668 × 10−8 gr−1 cm3 s−2, risulta un semiassemaggiore a = 1.4962×1013 cm, che prende il nome di unità astronomica (U.A.)e che corrisponde al semiasse maggiore dell’orbita di un punto materiale dimassa infinitesima in moto attorno al Sole con periodo siderale uguale a quelloterrestre.

    Il valore numerico della costante di gravitazione universale, le cui dimen-sioni sono M−1L3T−2, è il risultato di un esperimento di laboratorio e dellascelta delle unità di misura per le tre grandezze fondamentali, la massa (M), lalunghezza (L) ed il tempo (T ). Per esempio, il valore moderno nel sistema cgsè, come detto, G = 6.668 × 10−8. Tuttavia, nella tradizione della MeccanicaCeleste si sono adottate convenzioni diverse, più affini ai problemi specifici diquesta disciplina. È utile rivisitarle, anche se noi, nel seguito di questa espo-sizione, utilizzeremo sempre la notazione fisica [5]. Riscriviamo la terza leggedi Keplero nella forma corretta valida per il problema dei due corpi (eq. 2.60),indicando la costante di gravitazione (necessariamente positiva) con k2:

    a3

    k2P 2(m1 +m2)= cost. (2.62)

    Con riferimento ad un corpo soggetto all’attrazione del Sole, scegliamo comeunità di misura della massa e del tempo rispettivamente la massa del Sole ed ilgiorno delle effemeridi. Queste sono unità convenienti a descrivere, mediantenumeri piccoli, i fenomeni planetari che ci interessano. Resta da definire l’u-nità di misura delle lunghezze, per la quale una scelta ovvia sarebbe il semiassedell’orbita eliocentrica della Terra. Ma, nell’epoca d’oro della Meccanica Ce-leste, circa due secoli fa, la conoscenza di a⊕ era alquanto incerta. Si prefeŕıallora fissare il valore di k = 0.017202098950 (usando la misura di a⊕, benchèincerta), e dedurre tramite la (2.62) l’unità di lunghezza, cui fu attribuito ilnome di unità astronomica. In conclusione, è bene ricordare che l’unità astro-nomica è definita dalla terza legge di Keplero per un fissato valore numerico dik2 (che prende il nome di costante di Gauss), della massa del Sole e del giornodelle effemeridi. Per contro, l’affermazione che l’unità astronomica è il raggio

  • 2.5 Le orbite coniche 41

    dell’orbita circolare di un corpo infinitesimo che rivolve attorno al Sole con unperiodo di 365.24 · · · ha soltanto il valore di una descrizione.

    A conclusione di questo paragrafo facciamo alcune considerazioni sulla ve-locità di P2 nel moto orbitale. Il modulo della velocità ṙ è dato dalla (2.48).Le due componenti radiale e trasversa sono

    ṙ · u = ṙ, ṙ · w = r θ̇. (2.63)

    Figura 2.7: Componenti della velocità orbitale nel moto ellittico di P2 relativoa P1.

    Esaminiamo la componente radiale ṙ. Derivando (2.26) rispetto al tempo(si è posto per semplicità θ◦ = 0), si ha

    ṙ =p e θ̇ sin θ

    (1 + e cos θ)2, (2.64a)

    ossia, con (2.15) e (2.26),

    ṙ =e h

    psin θ. (2.64b)

    Osservato che il modulo del vettore n normale all’asse focale (Fig. 2.7) ècostante ed uguale a

    |n| = |ṙ u|sin θ

    =e h

    p, (2.65)

  • 42 Il problema dei 2 corpi

    viene spontaneo scomporre la velocità ṙ di P2 nella componente normale n enella componente trasversa

    | r θ̇ w − t| = r θ̇ − e r2θ̇

    psin θ cot θ =

    h

    p, (2.66)

    la quale è, a sua volta, costante in modulo. Questo risultato è riassunto nellaFigura 2.8. Essa mostra che la velocità di P2 nel corso del moto sull’ellisseconsiste ad ogni istante di due componenti, una normale ed un’altra trasversa,entrambe costanti in modulo; di queste la prima è anche costante in direzionee verso.

    Figura 2.8: Scomposizione del vettore velocità orbitale. La curva descrittadal vettore velocità applicato ad un punto fisso prende il nome di odografo delmoto

    Dunque il moto di P2 si compone di un moto circolare (ma non necessa-riamente uniforme) con velocità h/p, e di un moto traslatorio uniforme convelocità eh/p normale all’asse focale dell’ellisse.

    Il risultato ora ottenuto può essere utilizzato con vantaggio in molte circo-stanze; ad esempio nello studio della aberrazione della luce, dove ci consentedi trascurare la componente della velocità orbitale della Terra che è costan-te in direzione e verso, poiché essa produce uno spostamento apparente dellaposizione degli astri indipendente dal tempo.

  • 2.5 Le orbite coniche 43

    2.5.2 Orbita parabolica (E = 0)

    Se l’orbita di P2 è parabolica, deve essere E = 0. Pertanto l’equazione (2.16a)diviene

    dt =

    õ

    Gm1m2

    r dr√2r − p, (2.67)

    e, sostituendo ad r l’espressione (2.33),

    dt =

    √p3

    G (m1 +m2)

    sin θ dθ

    (1 + cos θ)2√

    1 − cos2 θ=

    =

    √2q3

    G (m1 +m2)

    d(θ/2)

    cos4 (θ/2), (2.68)

    avendo posto, come d’uso, p = 2q. L’integrale di (2.68), con l’introduzionedell’anomalia media M , fornisce l’equazione oraria

    M =

    √G (m1 +m2)

    2q3

    (t− t◦

    )=

    1

    3tan3

    θ

    2+ tan

    θ

    2. (2.69)

    Dimostriamo che quest’equazione cubica in θ/2 ammette una sola radice realeper ogni valore di t. Per il teorema fondamentale dell’algebra, la (2.69) am-mette tre radici reali oppure una soluzione reale e due complesse coniugate.Si prova che, essendo i coefficienti dello stesso segno e mancando il terminedi secondo grado, due soluzioni devono essere complesse coniugate. Infatti,siano a1 = tan(θ1/2) e a2 = tan(θ2/2) due soluzioni. Sostituite in (2.69), persottrazione si ottiene

    (a31 − a32) = −3(a1 − a2), (2.70a)

    da cui, sviluppando la differenza dei cubi e semplificando,

    a21 + a1a2 + a22 = −3 < 0, ossia a21 + a22 < −a1a2. (2.70b)

    Ma ciò è assurdo se a1 e a2 sono entrambe reali e almeno una è diversa da zero.Infatti, se a1 ≤ a2, è a21 + a22 ≥ a22 ≥ a1a2. Perciò, tutte e tre le soluzioni sononulle, oppure una deve essere complessa e deve quindi esservene un’altra adessa coniugata. Sia a1 l’unica soluzione reale. Risulta θ1 = 2 arctana1 + 2nπ,ossia la soluzione ha un unico valore nell’intervallo [0, 2π].

    Per quanto concerne la velocità sull’orbita parabolica, valgono le stesseconsiderazioni fatte per l’orbita ellittica alla fine del §2.6. In questo caso però,essendo e = 1, le due componenti normale e trasversa risultano uguali inmodulo (Figura 2.8).

  • 44 Il problema dei 2 corpi

    2.5.3 Orbita iperbolica (E > 0)

    L’orbita iperbolica si ha quando i due punti P1 e P2 sono slegati (E > 0), ecostituisce una soluzione di minore importanza nella Meccanica Celeste classi-ca. Acquista invece rilevanza nei problemi che riguardano le meteore, i veicolispaziali e nella trattazione degli enti gravitazionali. L’equazione (2.16a) diviene

    dt =

    õ

    2E

    r dr√−muh

    2

    2E− 2 a r + r2

    , (2.71)

    avendo fatto uso di (2.47) e raccolto E. Procedendo come nel §2.6 per l’orbitaellittica, tramite (2.43) si ottiene con qualche manipolazione

    dt =

    √−a3

    G (m1 +m2)

    (e coshF − 1

    )dF, (2.72)

    che, per integrazione diretta, fornisce

    t− t◦ =√

    −a3G (m1 +m2)

    (e sinhF − F

    ). (2.73)

    L’equazione (2.73) equivale a (2.54b) e ad essa si estendono senza difficoltà leconsiderazioni già fatte per questa.

    2.6 Orientazione delle orbite

    A partire dal paragrafo 2.2 abbiamo ridotto il problema dei due corpi al pianodel moto. Ora dobbiamo trovare l’insieme dei parametri necessari ad indivi-duare tale piano rispetto ad un arbitrario riferimento cartesiano (inerziale esolidale col baricentro dei due punti materiali) e ad individuare la posizionedell’orbita su di esso. Quattro parametri sono già stati identificati: a, e, θ◦, et◦. I primi due danno forma e dimensioni dell’orbita (ed equivalgono all’energiatotale specifica ed al momento angolare). Il terzo, detto anomalia vera dell’as-se focale, orienta quest’ultimo asse rispetto al riferimento polare adottato sulpiano del moto; la convenzione è che θ◦ sia contato dall’asse polare al semiassefocale contenente il pericentro. Il quarto è semplicemente l’origine dell’asse deitempi. Noi lo chiameremo tempo di passaggio al pericentro in quanto, graziealle convenzioni fatte, all’istante t = t◦ risulta θ = θ◦, ossia il raggio vettorer raggiunge il minimo valore (si vedano per esempio le equazioni 2.54b e 2.59valide per l’orbita ellittica, e la generica espressione del raggio vettore 2.45).

  • 2.6 Orientazione delle orbite 45

    Figura 2.9: Gli elementi d’orbita

    Rimane da orientare il piano del moto (ossia il riferimento già introdottosu di esso) contro il riferimento cartesiano esterno, la qual cosa richiede treulteriori elementi (cioè tre angoli di Eulero). Si consideri a queso scopo unriferimento ortonormale P1[x, y, z] (figura 2.9). Nel seguito chiameremo con-venzionalmente piano di riferimento il piano xy. Per le orbite eliocentrichetale piano è fatto coincidere di solito col piano dell’eclittica, e la direzione di xè scelta in modo che coincida con quella del punto γ. Come di consueto, chia-meremo linea dei nodi l’intersezione x′′ del piano di riferimento con quello checontiene l’orbita, individuato a sua volta dal piano x′y′ della terna P1[x

    ′, y′, z′]dove l’asse z′ è scelto concorde al vettore del momento angolare. Per orientareil sistema P1[x

    ′, y′, z′] rispetto alla terna di riferimento P1[x, y, z] sono suffi-cienti tre angoli. È consuetudine scegliere (con convenzioni da stabilire perevitare ambiguità):

    i = ẑz′ inclinazione,

    Ω = x̂x′′ longitudine al nodo ascendente,

    ω = x̂′′f argomento di pericentro.

    Osserviamo che l’argomento del pericentro si lega all’angolo δ = x̂′′x′, dettoargomento di latitudine, tramite

    δ = ω − θ◦, (2.74)

  • 46 Il problema dei 2 corpi

    e ciò giustifica l’introduzione di ω in luogo di δ. Inoltre, la relazione (2.74)mostra che ω, θ◦, e δ, non sono indipendenti. Infatti, l’anomalia vera θ, mi-surata rispetto x′, è θ = θ◦ quando t = t◦. Pertanto, noto δ, anche ω restadeterminato. Talvolta, in luogo dell’argomento del pericentro, si usa definirela longitudine del pericentro

    π = ω + Ω. (2.75)

    Ciò è conveniente, in particolare, quando l’inclinazione i t