History of mathematics: why and how

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Andr´ e Weil Storia della matematica: perch ´ e e come Traduzione italiana a cura di Massimo Galuzzi

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Andre Weil

Storia della matematica:perche e come

Traduzione italiana a cura di Massimo Galuzzi

. . . infineQuesto secol di fango o vita agogniE sorga ad atti illustri, o si vergogni.

Ad Angelo Mai, 1820.

Premessa

La divulgazione scientifica

La divulgazione scientifica era considerata, sino a pochi anni or sono, conun certo grado di sufficienza, o addirittura con aperta ostilita, all’interno dialcune comunita scientifiche. Neppure mancavano, in queste, coloro i qualiritenevano che discipline dotate di un alto livello di formalizzazione, come lamatematica o la fisica, non fossero affatto suscettibili di divulgazione dei lorocontenuti essenziali. O lo fossero solo per il tramite di radicali impoverimenti,atti piu a snaturare la disciplina che a fornire elementi di comprensione realedi essa.

Oggi il rilievo delle discipline scientifiche nell’insegnamento mostra unasempre piu accentuata diminuzione, in particolare in quella parte di esso chegenericamente si indica come atta a “formare il cittadino”. Cio, naturalmente,e ancor piu vero per quanto attiene alla matematica. Il contrasto con laconsapevolezza largamente diffusa del rilievo che la scienza, e in particolarela matematica, assume sempre piu nella vita economica, nel mondo dellafinanza, o nella produzione di oggetti tecnologici assai sofisticati presentinella vita d’ogni giorno, e solo apparente. Anzi, proprio la necessita di ope-ratori scientifici altamente qualificati suggerisce l’uso di criteri di selezionemolto severi, con un netto privilegio della qualita rispetto alla quantita.

Non e solo dalla ferma consapevolezza dell’importanza di una disciplinascientifica che possiamo attenderci il diffondersi nella societa della razionalitache la pervade; ma anche dalla paziente opera di costruzione di un sistemaeducativo che riconosca questa razionalita come essenziale.

Molti oggi, dunque, sono indotti a guardare alla divulgazione scientificain modo diverso: come un tentativo importante, e da condurre con razio-nalita paragonabile a quella che dobbiamo usare nella ricerca, di contrastareil generarsi di una societa ove la diffusione dei piu raffinati prodotti tec-nologici si affianchi ad un uso quasi magico di essi. Di una societa ove le

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straordinarie possibilita offerte dalla “rete” si manifestino in modo eminentenella possibilita di fruire degli oroscopi in “tempo reale”.

Per la matematica, uno strumento importante di divulgazione e, da sem-pre, e tradizionalmente, la storia. Ma parlare di storia “tout court” e sem-plicistico e forse fuorviante. La storia, intesa come introduzione alla disci-plina, come suscitatrice di interesse verso di essa, non puo certo essere lastoria erudita, il cui assunto preliminare e questo stesso interesse. Ne puo es-sere la ‘storia interna’,- l’indagine sull’evoluzione d’una teoria, ad esempio,-ove non siano posti saldamente e preliminarmente i motivi per i quali questastessa teoria debba risultare interessante.

L’ufficio naturale che la storia della matematica assume nel contesto del-la divulgazione e soprattutto quello di rimuovere i pregiudizi che ostacolanoil confronto con la matematica. L’apparente a-temporalita della matemati-ca, l’apparente permanere di aspetti essenziali di essa dall’antichita ad og-gi, hanno sovente un aspetto paralizzante su chi si accosta a questa disci-plina. Salutare e gradevole e comprendere, o anche solo intuire, come l’in-dubbia stabilita dei risultati sia frutto di una perenne riconquista e non ilsemplice giustapporsi di “fatti”.

Del pari, un notevole arricchimento culturale viene conseguito quandoil rigore, non piu inteso come una sorta di costrizione morale arbitraria, sidispiega nel suo percorso storico dall’antichita ad oggi.

L’elenco dei benefici potrebbe continuare. Tuttavia spesso, sempre piuspesso, accade che un eccesso di fervore, un impegno fermo, ma vagamentedeterminato, d’assegnare rilievo culturale alla matematica connettendola invari modi ad altre discipline, alla filosofia o all’arte, producano effetti nondesiderati.

Accanto ad una divulgazione della matematica affidata alla storia dibuono, od ottimo livelloa) si affianca cosı una produzione minore, ma larga-mente diffusa, ove la bonta delle intenzioni non corrisponde necessariamenteai risultati ottenuti.b)

Vengono alla mente le severe prese di posizione di Sciascia contro l’ac-quisizione di una sorta di professionalita dell’impegno anti-mafia. Con benminore rilevanza, certo, ma con analogo divario tra le intenzioni e l’effet-to raggiunto, si puo creare una multiforme industria di divulgazione della

a)Un esempio ragionevole di divulgazione e fornito da (D. Guedj, Il teorema delpappagallo, Trad. it. (Milano: Longanesi, 2000)).

b)Mi sembra che molta divulgazione che vuol prescindere dall’intralcio di ogni formalismoper comunicare soltanto le ‘idee’ sia passibile di questo giudizio.

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matematica, attraverso la storia di essa variamente raccontata, ridotta adun repertorio di aneddoti o a un vago oscillare tra le teorie filosofiche piudisparate; o alla ricerca di ‘concrete’ motivazioni politiche o economiche perogni singola acquisizione teorica.

Il saggio di Weil

Il testo di Andre Weil del quale ho compiuto la traduzione italiana e di naturaassai diversa. Il lettore che giunga alla fine del saggio notera come per Weilla matematica e la sua storia sono sostanzialmente identificate.c)

La conseguenza, ovvia, che se ne trae e che la storia non puo fornireelementi introduttivi alla matematica stessa: l’interesse per la matematica eun dato preliminare, ed e a partire da esso che puo determinarsi l’interesseper la storia. Nessun espediente retorico puo circoscrivere o temperare tuttocio. Ricorda Enrico Bombieri, nella sua Introduzione alla Teoria dei numeri,forse la maggiore opera storica di Andre Weil, come caratteristica essenzialedella sua opera sia:

. . . il rigore quasi monastico delle idee, unito a una ampiezza direspiro che troviamo solo nei grandissimi matematici.d)

Il rigore monastico e conseguenza di una scelta radicale compiuta in prece-denza. Per prolungare l’uso della metafora, potremmo parlare di “vocazione”.

Posto saldamente, come premessa, un fermo interesse per la matema-tica, ogni aspetto della sua storia, anche il piu minuto, anche un dettagliobiografico diviene rilevante.e)

Le parole che Bombieri utilizza per descrivere l’atteggiamento che Weilmanifesta nella sua Teoria dei numeri, potrebbero applicarsi identicamenteal saggio qui presentato:

La sua preparazione per questo libro va ben oltre lo studio dellefonti matematiche e comporta anche la considerazione del con-

c)I riferimenti alla traduzione del testo di Weil avranno la forma [W, p. ]. In questo casoil riferimento e [W, p. 14].

d)Cfr. (A. Weil, Teoria dei numeri. Storia e matematica da Hammurabi a Legendre, Acura di C. Bartocci. Trad. it. di A. Collo. Introduzione di E. Bombieri (Torino: Einaudi,1993), p. XII).

e)Cfr. [W, p. 4].

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testo storico, sociale e umano nel quale si muovono i quattro gran-di personaggi dell’opera: Fermat, Eulero, Lagrange e Legendre.f)

Ma il contesto ove operarono Fermat, Eulero, Lagrange e Legendre di-viene interessante perche, preliminarmente, siamo interessati alla loro opera. Itermini della questione non possono essere invertiti.

Il lettore notera anche che il tono del saggio di Andre Weil e pervaso dauna forte vis polemica.g) Una lettura frettolosa puo persino suggerire l’ideache, secondo il suo giudizio, solo un grande matematico possa fare la storiain modo proficuo.

Bisogna considerare il testo con calma: si scopre allora che molte affer-mazioni di Weil sembrano eccessive poiche contrastano, senza mezzi termini,altrettanti luoghi comuni che alcuni storici hanno fatto propri, consacrandouna sorta di minorita della storia come suo elemento costitutivo.

E assai difficile condividere completamente le opinioni di Hardy su chi“scrive” di matematica senza essere un matematico:

Non c’e disprezzo piu profondo ne tutto sommato piu giustificatodi quello che gli uomini “che fanno” provano verso gli uomini“che spiegano”. Esposizione, critica, valutazione sono attivita percervelli mediocri.h)

A prima vista la posizione di Weil sembra essere abbastanza simile, non fosseche per il preciso riferimento ad Housman, che entrambi gli autori fanno.i) Se

f)Cfr. ibid., p. XIII.g)Un articolo di Sabetai Unguru di pochi anni prima, ove venivano messe in discussione

le modalita di scrittura della storia della matematica antica (S. Unguru, ’On the need torewrite the history of Greek mathematics’, Archive for history of exact sciences, pp. 67–114 (1975/76)),- e della storia della matematica in generale,- aveva animato una notevolediscussione, gli echi della quale sono forse ancora presenti nel saggio di Weil. L’articolo diUnguru era, a mio giudizio, assai debole (ed anche assai scortese), ma la replica di Weile molto violenta (A. Weil, ’Who betrayed Euclid? Extract from a letter to the editor’,Archive for history of exact sciences, pp. 91–93 (1978/79)). Non dissimile, comunque eanche la replica di van der Waerden (B.L. Van der Waerden, ’Defense of a ”shocking”point of view’, Archive for history of exact sciences, pp. 199–210 (1975/76)).

h)Cfr. (G. H. Hardy, A mathematician’s apology , Ristampa, con una Prefazione di C.P.Snow (Cambridge: Cambridge University Press, 1965), p. 61). Preferisco tradurre diret-tamente dall’edizione inglese invece di utilizzare la traduzione italiana, a mio giudizio noncompletamente soddisfacente.

i)Per Weil si veda oltre [W, p. 5]. Hardy si riferisce ad Housman nel paragrafo successivoa quello citato.

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si considera il testo di Weil con piu attenzione, si notera che il suo obiettivopolemico non e l’attivita dello storico tout court, ma quella sorta di rivendi-cazione che alcuni storici ingenuamente avanzano pretendendo che la storiaabbia una sua ragion d’essere largamente indipendente dalla matematica. Sıche, anche chi avesse compreso profondamente le linee direttive d’una teo-ria matematica al punto tale da poter contribuire al suo sviluppo, dovrebberigorosamente astenersene per non compromettere la sua professionalita distorico. Per Weil, al contrario, non vi e alcuna distinzione da fare. Compren-dere profondamente l’evoluzione delle idee matematiche si identifica con ilfavorirne il progredire. Come concretamente, poi, questo possa avvenire nonha a che fare con le distinzioni accademiche.j)

Alcune affermazioni di Weil, all’apparenza estremamente decise, vannoconsiderate con cautela. Ad esempio, la netta ostilita espressa contro la com-mistione di storia della matematica e storia della filosofia effettuata in certeuniversita [W, p. 6] va posta a confronto con i precisi e continui riferimentia Leibniz [W, pp. 1, 3, 4, 10]. Del pari, il diniego del ruolo della filosofiagreca nel dar forma alla matematica e reso un po’ meno deciso dal confrontocon la citazione implicita di Platone che Weil lascia cadere con noncuranza[W, p. 7]. Il bersaglio non e tanto la riflessione filosofica, quanto l’abuso che sipuo fare del linguaggio della filosofia importandolo acriticamente all’internodella matematica.k)

Ancora, e la forza polemica con la quale Weil rivendica alla storia dellamatematica il diritto di essere in primo luogo storia delle ‘idee matematiche’che puo suscitare fraintendimenti.

Dauben, considerando l’affermazione secondo la quale i matematici pos-sono non saper descrivere che cos’e un’idea matematica, ma sanno riconoscer-la quando la incontrano [W, p. 6], ha ripreso la citazione che Weil trae daHousman per coniare la formula, lievemente irridente,‘teoria del naso’.l) Tut-tavia, sarebbe difficile immaginare una storia della matematica minimamente

j)Si noti, comunque, che Weil, che ovviamente ben conosce il saggio di Hardy, si riferiscead Housman in modo diverso. Hardy ne tratta in merito alla distinzione tra critica e poesia,‘fare’ e ‘descrivere’; Weil vi si riferisce in merito alle ‘idee’ matematiche. A mio giudizio(giudizio, naturalmente, opinabile) Weil dispiega, in questo sottile gioco di rinvii, unastrategia ben precisa.

k)Cfr. (A. Weil, Ricordi di apprendistato, A cura di C. Bartocci (Torino: Einaudi, 1994),p. 21). Ma si veda anche ibid., p. 47.

l)Cfr. (J. W. Dauben, ’Mathematics: an historian’s perspective’, in (S. Chikara, S.Mitsuo & J.W. Dauben eds., The intersection of history and mathematics (Basel - Boston- Berlin: Birkhauser, 1994)), pp. 1–13 (1994)).

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interessante ove non potessimo parlare di idee matematiche e non avessimoil potere di riconoscerle. Che cio non possa avvenire allo stesso livello dichiarezza con la quale valutiamo un’identita aritmetica e piuttosto ovvio.

Un paragone, che mi sembra abbastanza adatto in riferimento ad AndreWeil,m) puo essere introdotto da questa domanda: quali strumenti concettualipossiamo utilizzare per sapere che Mozart in Die Zauberflote esprime delleidee musicali significative? Almeno ad un primo livello, credo che ci si possaaccontentare della risposta: “Ascoltando!”

Naturalmente questo non esclude che possano (e debbano) esservi analisistoriche successive. Ma l’idea musicale, matematica, artistica o poetica, deveimporsi con forza primigenia.n)

In realta, nella storia della scienza, o nella storia dell’arte o della musi-ca, quando la si consideri come compiuta, si consolida al tempo stesso unatradizione che assegna il ruolo indiscusso di capolavori a determinate pro-duzioni: i Principia o la Scuola d’Atene, le Disquisitiones Arithmeticae o ilDon Giovanni, ecc. Fin tanto che ci si attiene a questa tradizione solo qualcheespediente retorico fa differire la considerazione di questi capolavori nell’unoo nell’altro testo storico e non puo esservi grande contrasto. Il lavoro storicosi riduce all’aggiunta di qualche abbellimento ad una melodia gia formata.

Il problema sorge quando, anziche accettare passivamente la tradizione,si deve ricostruire il percorso storico che conduce all’oggi [W, p. 7]. Questoe il momento in cui occorre riconoscere le ‘idee matematiche’; e non e lachiarezza d’una singola definizione che si riverbera sulla totalita costruitama, al contrario, e la legittimita, la plausibilita, di quest’ultima che indica lacapacita d’avere individuato le idee matematiche.

Naturalmente, la posizione di Weil sulla matematica, in particolare sullamatematica moderna e chiara, ben delineata, e riflette le idee (e i pregiudizi)di Bourbaki. Pochi logici si sentirebbero di sottoscrivere la netta separazioneche Weil traccia tra Aristotele e la matematica [W, p. 6].o)

m)(Weil, Ricordi di apprendistato, p. 86).n)E certamente di grande interesse scoprire quanto la notissima aria di Papageno debba

allo studio di Bach (F. W. Sternfeld, ’The melodic source of Mozart’s popular Lied ’, in(P.H. Lang ed., The creative world of Mozart (New York and London: W.W. Norton &Company, 1963)), pp. 127–136 (1963)). Tuttavia e partendo dall’indimenticabile impres-sione che suscita quest’aria cosı popolare che trae motivo l’interesse successivo della ricercastorica.

o)Weil sembra andare anche al di la di quanto espresso nel celebre saggio-manifesto del1948, ove pur si afferma che la logica che serve al matematico “...pour l’essentiel, est celle

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Infine, ci si puo chiedere se gli esempi storici addotti da Andre Weilmantengano, dopo tanti anni, la stessa forza persuasiva. In taluni casi lericerche successive hanno rafforzato quanto espresso da Weil. Il metodo delletangenti di Descartes, ad esempio, ha rilevato la sua piena importanza, nonsolo per la ragione addotta nel testo (cfr. [W, p. 11]), ma anche perche conla monumentale edizione dei Mathematical Papers di Newton, ad opera diD.T. Whiteside, e divenuto sempre piu chiaro il ruolo di questo metodo comepremessa per il calcolo differenziale.

In altri casi, come nell’analisi fornita della teoria delle proporzioni eu-clidea [W, p. 9] le conclusioni ‘bourbakiste’ sembrano meno convincente e ilprogresso degli studi sulla storia della matematica antica sembra suggerireuna visione meno ‘strutturalista’.

Ma la forza del saggio di Andre Weil non sta nella pertinenza o nellapregnanza dei singoli esempi. Sta nella ferma rivendicazione del valore dellamatematica, e della sua storia, che con essa si identifica.

codifiee depuis Aristote sous le nom de ¿logique formelleÀ, convenablement adaptee auxbuts particuliers du mathematicien” (N. Bourbaki, ’L’architecture des mathematiques’, in(F. Le Lionnais ed., Les grands courants de la pensee mathematique (Paris: Cahiers duSud, 1948)), pp. 35–47 (1948), p. 37).

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Storia della matematica:perche e come ‡

‡Ringrazio il prof. Olli Martio, del Dipartimento di Matematica dell’Universita diHelsinki, che mi ha cortesemente autorizzato a pubblicare la traduzione di (A. Weil,’History of mathematics: why and how’, in Proceedings of the International Congressof Mathematicians (Helinski, 1978) (Acad. Sci. Fennica, Helsinki, 1980)). Il saggio e an-che riprodotto in (A. Weil, Œuvres scientifiques. Collected papers. 3 volumi (New York,Heidelberg, Berlin: Springer, 1980), vol.3, pp. 434-442).

Avvertenza. Nella traduzione che segue compaiono due tipi di note. Lenote contrassegnate dalle cifre arabe 1, 2, 3, . . . sono quelle originariamenteapposte da Andre Weil. Le note corrispondenti alla numerazione romanasono state introdotte da me.

Puo sembrare presuntuoso aggiungere delle note ad un testo di AndreWeil. In realta queste note sono per lo piu schiarimenti terminologici oriferimenti a testi dello stesso Weil elaborati in tempi successivi.

Il mio primo punto sara piuttosto ovvio. In contrasto con alcune scienze lacui storia consiste interamente di reminiscenze personali di alcuni fra i nostricontemporanei, la matematica non solo ha una storia, ma ha una lunga storiache e stata scritta almeno a partire da Eudemo (un discepolo di Aristotele).Sicche la questione “Perche?” e forse superflua, o potrebbe essere meglioformulata come “Per chi?”.

Per chi si scrive la storia, intesa nella sua accezione generale? per le per-sone colte, come fece Erodoto? per gli statisti ed i filosofi, come fece Tucidide?o per i colleghi storici come si fa per lo piu oggi? Qual e il pubblico giustoper lo storico dell’arte? i suoi colleghi, o tutti coloro che amano l’arte, o gliartisti stessi (che pure sembrano non curarsi molto di lui)? E che dire dellastoria della musica? Essa si rivolge principalmente agli appassionati di musi-ca, ai compositori, agli esecutori, agli storici della cultura o e una disciplinacompletamente indipendente il cui apprezzamento e ristretto ai soli prati-canti? Questioni simili sono state dibattute con veemenza per molti anni dastorici della matematica eminenti, come Moritz Cantor, Gustav Enerstrom,Paul Tannery. Ma gia Leibniz aveva qualcosa da dire su questo argomento,cosı come su molte altre questioni:

“L’utilita della storia non consiste tanto nel fatto che essa deb-ba attribuire a ciascuno cio che gli spetta, e che altri possanoattendere un’equa valutazione dei loro meriti, quanto nel fattoche l’arte dell’invenzione sia promossa e che il metodo di questadivenga manifesto attraverso esempi illustri.” 1 i

Che il genere umano debba essere spronato dalla prospettiva della fama eter-na a sempre piu grandi conquiste e naturalmente un tema classico, ereditatodall’antichita; sembra che noi siamo divenuti meno sensibili ad esso di quantonon fossero i nostri avi, sebbene esso non abbia forse del tutto persa la suaforza. Ma per quanto riguarda l’ultima parte dell’affermazione di Leibniz, il

1“Utilissimum est cognosci veras inventionum memorabilium origines, praesertimearum, quae non casu sed vi meditatione innotuere. Id enim non eo tantum prodest,ut Historia literaria suum cuique tribuat et alii as pares laudes invitentur, sed etiam utaugeatur ars inveniendi, cognita methodo illustribus exemplis. Inter nobiliara hujus tem-poris inventa habetur novum Analyseos Mathematicarum genus, Calcululi differentialisnomine notum ...” (Math. Schr., ed. C.I. Gerhardt, t. V, p. 392).

iNella nota 1, come si vede, Weil riporta il testo di Leibniz in forma piu estesa. Sitratta del celeberrimo incipit della Historia et origo calculi differentialis.

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suo proposito e chiaro. Egli voleva che gli storici scrivessero in primo luogoper scienziati creativi o per coloro che aspirassero ad essere tali. Questo erail pubblico al quale egli pensava mentre a posteriori scriveva intorno alla sua“nobilissima invenzione” del calcolo.

D’altra parte, come ha osservato Moritz Cantor, e possibile, trattando distoria della matematica, considerare questa come una disciplina ausiliaria,adatta a fornire al vero storico un catalogo attendibile di fatti matematicidisposti in ordine di data o di luogo, di argomento o di autore. In questocaso e semplicemente una parte, e non molto significativa, della storia del-la tecnica e delle arti ed e ragionevole considerarla interamente dall’esterno.Lo storico del secolo diciannovesimo ha bisogno di qualche conoscenza deiprogressi fatti nella costruzione delle locomotive; per questo dovra dipenderedagli specialisti, ma non ha bisogno di sapere come funziona una locomo-tiva, ne deve sapere dei giganteschi sforzi intellettuali che confluirono nellacreazione della termodinamica. Similmente, lo sviluppo delle tavole nautichee di altri sussidi per la navigazione non sono d’importanza minore per lostorico dell’Inghilterra del diciassettesimo secolo, ma la parte che vi ha avutoNewton potrebbe assegnargli al piu una nota a pie di pagina; Newton comeDirettore della Zecca, o forse ancor piu come zio dell’amante di un gransignore, e piu vicino ai suoi interessi di Newton il matematico.ii

Da un altro punto di vista, la matematica puo talvolta fornire allo storicodella cultura una sorta di “tracciante” per indagare intorno alle interazioni travarie culture. Con questo si giunge piu vicini a questioni di interesse genuinoper noi matematici; ma anche qui la nostra attitudine puo essere assai diversada quella degli storici di professione. Per essi una moneta romana, trovatain qualche luogo dell’India ha un significato preciso; difficilmente una teoriamatematica puo avere lo stesso valore.

iiL’affascinante nipote di Newton, Catherine Barton, poi Catherine Barton Conduitt(la celebre Bartica, amica di Swift), fu (con grande probabilita) l’amante del conte diHalifax (Charles Montague) (D. Gjertsen, The Newton handbook (London and New York:Routledge & Kegan Paull, 1986), pp. 55-58). E probabile che Weil abbia in mente ilpasso seguente di Voltaire: “Avevo pensato, nella mia giovinezza, che Newton dovesse lasua fortuna ai suoi meriti. Supponevo che la corte e la citta di Londra lo avessero nomi-nato Direttore della Zecca per acclamazione. Niente affatto. Isaac Newton aveva unanipote molto affascinante, Madame Conduitt, che aveva conquistato il ministro Halifax.Le flussioni e la gravitazione sarebbero state inutili senza una graziosa nipote.” (Voltaire,Dictionnaire philosophique; Œuvres completes de Voltaire, 70 volumi (Parigi, 1785-9), vol.42, p. 165). Cfr. anche (R. Westfall, Never at rest (Cambridge: Cambridge UniversityPress, 1980), p. 596, nota).

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Non si vuol certo negare che un teorema possa essere stato riscopertoinnumerevoli volte, anche in contesti culturali molto diversi. Sembra chealcuni sviluppi in serie siano stati scoperti indipendentemente in India, inGiappone ed in Europa. Metodi per risolvere l’equazione di Pell sono statiesposti in India da Bhaskara nel dodicesimo secolo e poi di nuovo, a seguitodi una sfida di Fermat, da Wallis e Brouncker nel 1657.iii E anche possibileaddurre delle argomentazioni a sostegno della tesi che metodi simili potevanoessere noti ai Greci, e forse allo stesso Archimede; la soluzione indiana, se sivolesse seguire un suggerimento di Tannery, potrebbe dunque essere di originegreca; ma fino ad ora tutto cio e pura speculazione. Certamente nessuno sela sentirebbe di suggerire una connessione tra Bhaskara e gli autori del nostrodiciassettesimo secolo.

D’altra parte, quando equazioni di secondo grado, risolte algebricamentenei testi cuneiformi, emergono di nuovo in Euclide, rivestite in forma geo-metrica ma senza un’ombra di motivazione geometrica, i matematici trovanodel tutto appropriato descrivere il secondo modo di trattazione come “al-gebra geometrica” e saranno del tutto disponibili a presumere una qualcheforma di connessione con Babilonia, pur nell’assenza di ogni concreta eviden-za “storica”. Nessuno chiede documenti per testimoniare l’origine comunedella lingua greca, di quella russa e del sanscrito o si oppone ad indicarlitutti come linguaggi indo-europei.

Ora, abbandonando le opinioni ed i desideri del pubblico genericamentecolto e degli specialisti di altre discipline, e tempo di far ritorno a Leibnize di considerare il valore della storia della matematica, sia intrinsecamenteche dal nostro punto di vista egoistico di matematici. Discostandoci sololievemente da Leibniz, possiamo dire che il suo uso principale per noi e diporre o di tenere costantemente di fronte ai nostri occhi “esempi illustri” dieccellente lavoro matematico.

Questo implica la necessita di storici? Forse no. Einstein si innamorodella matematica in eta giovanile leggendo Eulero e Lagrange; nessuno storicogli disse di farlo o lo aiuto nella lettura. Ma ai suoi tempi la matematicaprogrediva ad un ritmo meno febbrile di oggi. Senza dubbio un giovane puocercare modelli ed ispirazione nel lavoro dei suoi contemporanei; ma questosi dimostrera in breve tempo una severa limitazione. D’altra parte, se eglivuole andare molto all’indietro nel tempo, potra trovarsi nella necessita di

iiiCfr. (Weil, Teoria dei numeri. Storia e matematica da Hammurabi a Legendre, p.161).

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una guida; e compito dello storico, o comunque del matematico dotato disensibilita storica, fornirgli aiuto.

Ma lo storico puo aiutarci anche in altro modo. Tutti sappiamo per espe-rienza quanto vi sia da guadagnare dalle relazioni personali quando vogliamostudiare i lavori contemporanei; i nostri incontri ed i nostri congressi diffi-cilmente si puo dire abbiano altro scopo. Le vite dei grandi matematici delpassato spesso sono state monotone e poco eccitanti o possono essere sem-brate tali ai non matematici; per noi le loro biografie non sono di minor valorenel restituirci la vita degli uomini e del loro ambiente dei loro stessi scritti.Quale matematico non vorrebbe conoscere su Archimede di piu del ruolo chesi suppone egli abbia avuto nella difesa di Siracusa? La nostra comprensionedella teoria dei numeri di Eulero sarebbe la stessa se noi avessimo solamentei suoi scritti a nostra disposizione? La vicenda non diviene infinitamente piuinteressante quando leggiamo del suo stabilirsi in Russia, dello scambio di let-tere con Goldbach, dell’acquisire familiarita, quasi per caso, con le opere diFermat e poi, assai piu tardi nella sua vita, dell’inizio di una corrispondenzacon Lagrange sulla teoria dei numeri e sugli integrali ellittici? Non dovremmoprovare piacere nel fatto che, attraverso queste lettere, un tal uomo divengaun nostro intimo conoscente?

Ma ancora, fino a qui ho solo sfiorato la superficie del mio tema. Leib-niz raccomandava lo studio degli “esempi illustri” non solo per il fine delgodimento estetico, ma principalmente perche “l’arte dell’invenzione fossepromossa”.iv

A questo punto occorre chiarire la distinzione, negli argomenti scientifici,tra tattica e strategia.

Per tattica io intendo la pratica di ogni giorno, che consiste nel maneg-giare gli strumenti a disposizione dello scienziato o dello studioso in un datomomento; questo si impara nel modo migliore da maestri competenti e dallostudio delle opere contemporanee. Per il matematico si puo trattare dell’usodel calcolo differenziale in un’occasione, o dell’algebra omologica in un’altra.Per lo storico della matematica, la tattica ha molto in comune con quel-la dello storico generale. Deve cercare la sua documentazione alla fonte, oavvicinarsi ad essa per quanto e possibile; informazioni di seconda mano sonodi scarso valore. In alcune aree di ricerca egli deve divenire un cacciatore di

ivWeil traduce l’espressione di Leibniz “augeatur ars inveniendi” con “the art of dis-covery be promoted”. La lingua inglese consente di utilizzare questa traduzione anche incorrispondenza a forme verbali poste in tempi diversi. Questo e impossibile in italiano.

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manoscritti e saperli leggere; in altre egli puo limitarsi ai testi pubblicati, mail problema della loro attendibilita o della loro inadeguatezza deve sempreessere tenuto presente. Un requisito indispensabile e una conoscenza adegua-ta della lingua nella quale sono scritte le fonti; e un principio basilare eassolutamente valido di tutta la ricerca storica che una traduzione non puomai sostituire l’originale quando questo e disponibile. Fortunatamente per lastoria della matematica occidentale dopo il quindicesimo secolo raramente erichiesta qualche conoscenza linguistica maggiore di quella del latino e dellelingue moderne dell’Europa occidentale; per molti propositi il francese, iltedesco e talvolta l’inglese possono essere sufficienti.

In contrasto con tutto cio, la strategia significa l’arte di riconoscere iproblemi principali, assalirli nei loro punti deboli, organizzare future linee diavanzamento. La strategia matematica riguarda obiettivi di lungo corso; essarichiede una comprensione profonda delle direzioni generali e dell’evoluzionedelle idee sui lunghi periodi. Tutto cio quasi coincide con quello che Gu-stav Enestrom era uso descrivere come l’oggetto principale della storia dellamatematica, ossia “le idee matematiche, considerate storicamente”2 o, perdirla con Paul Tannery, “la filiazione delle idee e la concatenazione dellescoperte”.3 Eccoci al cuore della disciplina della quale parliamo, ed e un fattofortunato che l’aspetto al quale, secondo Enerstrom e Tannery, lo storico dellamatematica deve dirigere la propria attenzione in modo eminente, sia anchequello del piu grande valore per ogni matematico che voglia guardare al di ladell’uso giornaliero dei propri strumenti.

La conclusione raggiunta non e di gran momento, certamente, se non tro-viamo un accordo su cosa e e cosa non e un’idea matematica. Qui i matem-atici hanno un assai scarso desiderio di consultare gente estranea.v Per usarele parole di Housman (quando gli si domandava di definire la poesia), ilmatematico puo non essere capace di definire che cos’e un’idea matematica,

2Die mathematischen Ideen in historicher Behandlung (Bibl. Math. 2 (1901), p.1).3La filiation des idees et l’enchainement des decouvertes (P. Tannery, Œuvres, vol. X,

p. 166).

vHo reso il termine ‘outsiders’ con ‘gente estranea’.

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ma ama pensare che quando ne fiuta una la sa riconoscere.vi Non gli sem-bra di vedere una tale idea, per esempio, nelle speculazioni di Aristotelesull’infinito, ne in quelle di numerosi pensatori medioevali sullo stesso argo-mento, anche se alcuni di questi pensatori avevano assai piu interesse per lamatematica di quanto Aristotele ne abbia mai avuto; l’infinito e diventatoun’idea matematica solo dopo che Cantor ha definito gli insiemi equipoten-ti ed ha dimostrato alcuni teoremi su di essi. Le opinioni dei filosofi grecisull’infinito possono essere di grande interesse considerate in se stesse; madobbiamo davvero credere che esse abbiano avuto grande influenza sul la-voro dei matematici greci? E a causa di queste, ci dicono, che Euclide sitrattiene dal dire che esistono infiniti numeri primi, e deve esprimere questofatto in modo diverso. Ma come si spiega allora che, poche pagine dopo, egliaffermi “esistono infinite linee”4 incommensurabili con una linea data? Al-cune universita hanno istituito delle cattedre per “la storia e la filosofia dellamatematica”: e difficile per me immaginare che cosa queste due disciplinepossano avere in comune.

La questione di dove le “nozioni comuni” (per usare l’espressione di Eu-clide) abbiano termine e dove inizi la matematica non e definita in modoaltrettanto chiaro. La formula per la somma dei primi n interi, cosı stretta-mente legata al concetto “pitagorico” di numeri triangolari sicuramente ha ildiritto di essere chiamata un’idea matematica; ma cosa dobbiamo dire dellaaritmetica commerciale elementare cosı come compare in innumerevoli testidall’antichita sino alla frettolosa operettavii di Eulero sullo stesso argomen-to? Il concetto di icosaedro regolare appartiene certamente alla matematica;

4<Up�rqousin eÎjeØai pl jei �peiroi (Bk. X, Def. 3).

viProbabilmente Weil cita a braccio. Una formulazione vicina a quella riferita da Weilsi trova nel saggio “The name and nature of poetry”, originariamente la Leslie StephenLecture del 1933:

A year or two ago, in common with others, I received from America a requestthat I would define poetry. I replied that I could no more define poetry thata terrier can define a rat, but that I thought we both recognised the objectby the symptoms which it provokes in us (A.E. Housman, The Name andNature of Poetry (New York: New Amsterdam books, 1989), p. 193).

Si tratta della stessa conferenza alla quale fa riferimento anche Hardy. Cfr. nota i).viiPotboiler.

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dobbiamo dire la stessa cosa per il concetto di cubo, di rettangolo o di cer-chio (il quale concetto forse non e separato dall’invenzione della ruota)? Quiabbiamo una zona crepuscolare che si colloca fra storia della culture e storiadella matematica; ma non importa dove si tracci il confine. Tutto cio che ilmatematico puo dire e che il suo interesse tende a scemare quanto piu ci siavvicina a superarlo.

Comunque sia, una volta che ci siamo accordati sul fatto che le ideematematiche sono i veri oggetti della storia della matematica, se ne possonotrarre alcune utili conseguenze; una e stata formulata da Tannery in questomodo (loc. cit., (footnote 3), p. 164). Non vi e alcun dubbio, egli dice,che uno scienziato puo possedere o acquisire tutte le qualita necessarie perfare un lavoro eccellente sulla storia della sua scienza; e quanto maggiore e ilsuo talento come scienziato tanto migliore si puo presumere sia il suo lavorostorico. Tra gli esempi egli menziona Chasles per la geometria; e cosı Laplaceper l’astronomia, Berthelot per la chimica; forse egli pensava anche al suoamico Zeuthen. Avrebbe anche potuto citare Jacobi, se Jacobi avesse vissutoabbastanza per pubblicare il suo lavoro storico.5

Ma gli esempi non sono poi cosı necessari. In effetti e evidente che l’a-bilita di riconoscere le idee matematiche in forma oscura o incipiente, e diseguirne le tracce nei molti travestimenti che esse possono assumere prima dimanifestarsi nella piena luce del giorno, e verosimilmente unita ad un talentomatematico migliore di quello medio. Ma ancor piu di questo, e una compo-nente essenziale di questo talento, poiche in larga misura l’arte della scopertaconsiste nell’afferrare saldamente le idee vaghe che sono “nell’aria”, alcunedelle quali volano intorno a noi mentre altre (per citare Platone) circolanonelle nostre menti.

Quanto sapere matematico si deve possedere per trattare della storiadella matematica? Secondo alcuni e richiesto poco piu di cio che era notoagli autori dei quali si intende scrivere la storia;6 altri si spingono fino al

5Jacobi, da studente, aveva esitazioni tra matematica e filologia; egli mantenne sempreun profondo interesse per la matematica greca e per la storia della matematica; degliestratti fra i suoi scritti su questo argomento sono stati pubblicati da Koenisberger nellasua biografia di Jacobi (incidentalmente, un buon modello per una biografia orientata insenso matematico di un grande matematico): si veda L. Koenisberger, Carl Gustav JacobJacobi, Teubner, 1904. pp. 385-395 e 413-414.

6Sembra che questa sia stata l’opinione di Loria: “Per comprendere e giudicare gliscritti appartenenti alle eta passate, basta di essere esperto in quelle parti delle scienze chetrattano dei numeri e delle figure e che si considerano attualmente come parte della culturagenerale dell’uomo civile” (G. Loria, Guida allo Studio della Storia delle Matematiche, U.

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punto di dire che quanto meno si sa, tanto meglio si e preparati a leggerequesti autori con la mente scevra da pregiudizi e ad evitare anacronismi. Ineffetti e vero l’opposto. Una comprensione profonda della matematica di unqualsiasi periodo e difficilmente raggiungibile senza una conoscenza che vadaben al di la della sua forma apparente. Piu spesso di quanto non si creda,cio che la rende interessante e esattamente il primo manifestarsi di concetti emetodi destinati ad emergere solo successivamente nella mente cosciente deimatematici; il compito dello storico e quello di liberarli e di rintracciare la loroinfluenza o la mancanza di influenza sugli sviluppi successivi. L’anacronismoconsiste nell’attribuire ad un autore una conoscenza consapevole che egli nonha mai posseduta; vi e una grande differenza tra il riconoscere Archimedecome un precursore del calcolo integrale e differenziale, la cui influenza suifondatori del calcolo difficilmente puo essere sopravvalutata, e l’immaginaredi vedere in lui, come talvolta si e fatto, un dei primi praticanti di questocalcolo. D’altra parte, non c’e alcun anacronismo nel vedere Desargues comeil fondatore della geometria proiettiva delle sezioni coniche; ma lo storico hail dovere di segnalare che il suo lavoro, come quello di Pascal, e rapidamentecaduto nell’oblio piu profondo e pote solo essere recuperato dopo che Poncelete Chasles riscoprirono indipendentemente l’intera materia.

Nello stesso ordine di idee, si consideri la seguente affermazione: i logar-itmi stabiliscono un isomorfismo tra il semigruppo moltiplicativo dei numericompresi tra 0 ed 1 ed il semigruppo additivo dei numeri reali positivi. Tuttocio non aveva senso fino a poco tempo fa. Se, tuttavia, trascuriamo la for-mulazione linguistica e guardiamo ai fatti che stan dietro alle affermazioni,non c’e dubbio che essi erano perfettamente chiari per Nepero quando egliinvento i logaritmi, fatta eccezione per la circostanza che il suo concetto deinumeri reali non era altrettanto chiaro del nostro; ed e per questo che eglidoveva far riferimento a concetti cinematici per chiarirne il significato, cosıcome aveva fatto Archimede, per ragioni simili, nella sua definizione dellaspirale.7viii Andiamo ancora piu indietro; il fatto che la teoria dei rapporti

Hoepli, Milano, 1946, p. 271).7Cfr. N. Bourbaki, Elements d’histoire des mathematiques, Hermann, 1960, pp. 167-

168 e 174; questa collezione di saggi storici, estratta, con un titolo fuorviante, dagliElements de mathematique dello stesso autore sara citata in seguito con NB.

viiiEÒ ka eÎjeØa âpizeuqj¬ gramm� ân âpipèdú kaÈ mènontc toÜ átèrou pèratoc aÎtac Êso-taxèwc perieneqeØsa æsakisoÜn �pokatastaj¬ p�lin, íjen ¹rmasen, �ma dà t� gramm� pe-riagomènø fèrhtaÐ ti sameØon Êsotaqèwc aÎtä áautÄ kat� t�c eÎjeÐac �rx�menon �pä toÜ

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di grandezze e dei rapporti di interi, sviluppata da Euclide nei libri V e VIIdei suoi Elementi debba essere considerata come un capitolo iniziale dellateoria dei gruppi e posto al di la di ogni dubbio dalla espressione “rapportoduplicato” che egli utilizza per cio che noi chiameremmo il quadrato di unrapporto.ix Dal punto di vista storico e abbastanza plausibile che la teoriamusicale abbia fornito le motivazioni originali per la teoria greca del gruppodei rapporti fra interi,x in forte contrasto con il trattamento puramente addi-tivo delle frazioni in Egitto; e se si accetta questo abbiamo un primo esempiodella mutua interazione tra matematica pura ed applicata. In ogni modo,e impossibile per noi analizzare correttamente i contenuti del libro V e dellibro VII di Euclide senza il concetto di gruppo ed anche quello di gruppo conoperatori, poiche i rapporti di grandezze sono trattati come un gruppo molti-plicativo che opera sul gruppo additivo delle grandezze stesse.8 Quando siadotta questo punto di vista, questi libri di Euclide perdono il loro caratteremisterioso, e diventa facile seguire la linea che conduce direttamente da essiad Oresme e Chuquet e poi a Nepero ed ai logaritmi (cf. NB, pp. 154-159 e167-168). Nel far questo, naturalmente non attribuiamo il concetto di grup-po ad alcuno di questi autori; e neppure va attribuito a Lagrange, neppurequando egli faceva cio che noi ora chiamiamo teoria di Galois. D’altra parte,anche se Gauss non possedeva la terminologia, egli certamente aveva chiaro

8E ancora un punto dubbio se Euclide considerasse o meno il gruppo dei rapporti tragrandezze come indipendente dal genere di grandezze considerate; cf. O. Becker, Quellenu. Studien 2 (1933), 369-387.

mènontoc pèratoc, tä sameØon élika gr�yei ân tÄ âpipèdú. Ossia: se una linea retta e mossain un piano e se, restando immobile uno dei suoi estremi essa gira con velocita costanteun numero qualunque di volte per riprendere la posizione dalla quale e partita, e se inoltreun punto si muove sulla retta con velocita costante a partire dall’estremo fisso, il puntodescrivera una spirale (élika ) nel piano (Archimede, Œuvres, vol. II , Edite da C. Mugler(Paris: Les Belles Lettres, 1971), p. 31).

ixL’espressione euclidea occorre per la prima volta negli Elementi, nella definizione 9 dellibro V: << VOtan dà trÐa megèjh �n�logon ®, tä prÀton präc tä trÐton diplasÐona lìgon êqeinlègetai ¢per präc tä deÔteron>> (Euclide, Euclides Elementa, Editi da E.S. Stamatis postI.L. Heiberg (Leipzig: Teubner, 1970), p. 2). Ossia, se sussiste la relazione A : B = B : C,si dice che la grandezza A, rispetto alla grandezza C, ha rapporto duplicato di quello dellagrandezza A stessa rispetto a B.

xCon molta probabilita e un riferimento implicito alle tesi di A. Szabo, in particolare (A.Szabo, Anfange der grieschischen Mathematik (Munich-Vienna: R. Oldenbourg, 1969)).A. Szabo e stato spesso fortemente criticato dagli esponenti del gruppo bourbakista.

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il concetto di gruppo commutativo finito, ed era stato ben preparato ad essodai suoi studi sulla teoria dei numeri di Eulero.

Lasciatemi citare qualche altro esempio. Le affermazioni di Fermat indi-cano che egli era in possesso della teoria delle forme quadratiche

X2 + nY 2 per n = 1, 2, 3

utilizzando dimostrazioni basate sul metodo della “discesa infinita”.xi Eglinon ha annotato queste dimostrazioni; ma successivamente Eulero sviluppoquesta teoria ancora usando la discesa infinita, di modo che possiamo pre-sumere che le dimostrazioni di Fermat non fossero troppo diverse da quelledi Eulero. Perche la discesa infinita funziona in questi casi? Questo e spie-gato facilmente dallo storico che sa che i corrispondenti campi quadraticipossiedono un algoritmo euclideo; quest’ultimo, trascritto nel linguaggio enelle notazioni di Fermat ed Eulero da proprio le loro dimostrazioni con ladiscesa infinita, esattamente come la dimostrazione di Hurwitz per l’arit-metica dei quaternioni, trascritta nello stesso modo, da la dimostrazione diEulero (che era forse anche quella di Fermat) per la rappresentazione di unintero come somma di 4 quadrati.

O si consideri la notazione di Leibniz∫

y dx nel calcolo. Egli ha insistitoripetutamente sul suo carattere invariante, dapprima nella sua corrispon-denza con Tschirnaus (che mostrava di non comprendere la questione) poinegli Acta Eruditorum del 1686; egli aveva anche una formulazione linguis-tica per questo concetto (“universalitas”). Gli storici hanno discusso conveemenza sul quando, o se, Leibniz scoprı il risultato, assai meno importanteal paragone, che in alcuni manuali va sotto il nome di “teorema fondamen-tale del calcolo”. Ma l’importanza della scoperta di Leibniz dell’invarianzadella notazione ydx difficilmente poteva essere compresa adeguatamente pri-ma che Elie Cartan introducesse il calcolo delle forme differenziali esterne emostrasse l’invarianza della notazione y dx1 · · · dxm non solo per i cambia-menti delle variabili indipendenti (o delle coordinate locali), ma anche per il“pull-back”.9

Si consideri ora il dibattito che sorse tra Descartes e Fermat sulle tan-genti (cf. NB, p. 192). Descartes, avendo deciso, una volta per tutte che

9Cf. NB, p. 208, e A. Weil, Bull. Amer. Math. Soc. 81(1975), 683.

xiSi veda (Weil, Teoria dei numeri. Storia e matematica da Hammurabi a Legendre).L’argomento e svolto ampiamente nelle Appendici al capitolo secondo.

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solo le curve algebriche erano un argomento adatto per i geometri, inventoun metodo per trovarne le tangenti basato sull’idea che una curva variabile,intersecando una curva data C in un punto P diviene la tangente di C in Pquando l’equazione corrispondente alle loro intersezioni acquista una radicedoppia in corrispondenza a P . Ben presto, Fermat, avendo trovato la tan-gente alla cicloide con un metodo infinitesimale, sfido Descartes a fare lastessa cosa con il suo metodo. Naturalmente questi non lo poteva fare; maessendo l’uomo che era trovo una risposta (Œuvres II, p. 308), diede unadimostrazione adeguata (“assolutamente breve e semplicissima”, usando ilcentro di istantanea rotazione che egli invento per questa occasione) e ag-giunse che egli poteva anche fornire un’altra dimostrazione “piu di suo gustoe piu geometrica” che tralasciava “per risparmiarsi la fatica di scriverla”; inogni caso, egli disse, “queste linee sono meccaniche” e dunque le aveva es-cluse dalla geometria. Naturalmente questo era il punto che Fermat volevaconsiderare; egli sapeva, come del resto Descartes, cos’era una curva alge-brica, ma restringere la geometria a queste curve era del tutto estraneo alsuo modo di pensare cosı come a quello della maggior parte dei geometri deldiciassettesimo secolo.

Poter scoprire il carattere di un grande matematico cosı come poter sco-prire le sue debolezze e un piacere innocente che perfino uno storico serionon deve necessariamente negarsi. Ma che altro si puo concludere da questoepisodio? Assai poco finche la distinzione tra geometria differenziale e geo-metria algebrica non e stata chiarita. Il metodo di Fermat apparteneva allaprima; esso dipendeva dai primi termini dello sviluppo di una serie di potenzein un punto; esso forniva il punto di partenza di tutti gli sviluppi successividella geometria differenziale e del calcolo differenziale. Dall’altra parte, ilmetodo di Descartes appartiene alla geometria algebrica, ma essendo confi-nato in essa, esso rimase una curiosita finche non sorse la necessita di metodivalidi sopra un campo base arbitrario. Cosı il punto in questione non potevaessere e non fu compreso adeguatamente fin tanto che la geometria algebricaastratta non gli diede il suo pieno significato.

Vi e anche un’altra ragione per la quale l’arte della storia della matem-atica puo essere praticata nel migliore dei modi da coloro fra noi che sono osono stati matematici attivi o almeno da coloro che sono in stretto contattocon i matematici attivi; ci sono vari tipi di fraintendimenti che capitano nondi rado e dai quali la nostra esperienza ci puo salvare. Sappiamo anche trop-po bene, per esempio, che non bisogna credere sempre che un matematicosia pienamente consapevole dei lavori dei suoi predecessori, neppure quan-

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do li elenca tra i suoi riferimenti bibliografici; chi di noi ha letto realmentetutti i libri che ha inserito nelle bibliografie dei suoi scritti? Noi sappiamoche i matematici sono influenzati raramente nel loro lavoro da considerazionifilosofiche, anche quando affermano di prenderle seriamente; noi sappiamoche essi hanno il loro modo particolare di trattare le questioni fondazionali,alternando un atteggiamento di totale indifferenza o un atteggiamento di e-strema attenzione critica. Soprattutto, abbiamo imparato la differenza tra ilpensiero originale e quella sorta di ragionamento di routine che un matema-tico spesso sente di dover utilizzare per registrare le sue idee per soddisfare isuoi pari o forse anche per soddisfare se stesso. Una dimostrazione laboriosaed affaticante puo essere il segno del fatto che l’autore e stato veramenteinfelice nel doversi esprimere; ma assai piu spesso, come sappiamo, essa in-dica che egli ha lavorato con limitazioni che gli hanno impedito di tradurredirettamente in parole od in formule alcune idee molto semplici. Si possonodare innumerevoli esempi di questo, che spaziano dalla geometria greca (cheforse finı per essere soffocata proprio da queste limitazioni) fino al rigore tal-volta eccessivo della formalizzazione in termini di ε e δxii e fino a NicolasBourbaki, che considero anche, almeno una volta, l’idea di usare un segnospeciale a margine per avvisare il lettore della presenza di dimostrazioni diquesto genere. Un compito importante dello storico della matematica serio,e talvolta uno dei piu difficili, e esattamente quello di separare questa routineda cio che e realmente nuovo nel lavoro dei grandi matematici del passato.

Naturalmente il talento matematico e l’esperienza matematica non sonosufficienti per qualificare un matematico come storico. Per citare ancora Tan-nery (loc. cit (nota 3), p. 165) “cio che e necessario soprattutto e un gustoper la storia; bisogna sviluppare un senso storico”. In altre parole e richiestauna forma di simpatia intellettuale, che abbracci le epoche del passato nellostesso modo della nostra. Anche matematici assolutamente notevoli possonoesserne privi. Ognuno di noi puo forse fare il nome di qualcuno che rifiutaassolutamente di essere posto a contatto con qualsiasi genere di lavoro di-verso dal suo. E anche necessario non cedere alla tentazione (una tentazionenaturale per un matematico) di concentrarsi esclusivamente sui piu grandimatematici del passato e di trascurare il lavoro che abbia solo valore sus-sidiario. Anche dal punto di vista del godimento estetico si rischia di perderemolto con questo atteggiamento, come ogni amante dell’arte sa; dal punto di

xiiWeil usa sbrigativamente il termine gergale ‘epsilontic’, che non ha un corrispondentein italiano, e che ho cercato di rendere con un giro di parole.

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vista storico puo essere fatale, poiche il genio raramente prospera in assenzadi un ambiente opportuno, ed una qualche familiarita con quest’ultimo e unprerequisito essenziale per un giusto apprezzamento del genio. Anche i libridi testo in uso ad ogni stadio dello sviluppo matematico dovrebbero essereesaminati accuratamente per distinguere, quando possibile, cio che era e cioche non era conoscenza comune in un dato periodo.

Anche le notazioni hanno il loro valore. Perfino quando apparentementeesse non hanno importanza, possono fornire suggerimenti utili per lo storico;per esempio, quando egli trova che, per molti anni, ed anche ora, la lettera Ke stata usata per denotare i campi e le lettere tedesche sono state utilizzateper denotare gli ideali, e parte del suo compito spiegare perche. D’altraparte, e spesso accaduto che le notazioni siano state inseparabili dai piugrandi avanzamenti teorici. Cosı e stato per il lento sviluppo delle notazionialgebriche, portato infine a compimento nelle mani di Viete e di Descartes. Ecosı ancora e stato con la creazione sommamente personale delle notazioni peril calcolo di Leibniz (forse il piu grande dominatore del linguaggio simbolicoche sia mai esistito); come abbiamo visto, esse incorporarono le scoperte diLeibniz in modo cosı soddisfacente che gli storici successivi, ingannati dallanaturalezza della notazione, mancarono di notare alcune di queste scoperte.

Dunque gli storici hanno i loro compiti peculiari, anche se essi si sovrap-pongono a quelli dei matematici e talvolta possono coincidere con questi.Cosı nel diciassettesimo secolo, e capitato che alcuni tra i migliori matema-tici, nell’assenza di predecessori immediati in qualsiasi campo della matema-tica eccetto l’algebra, fecero molto lavoro che ai nostri occhi appartiene aglistorici curando edizioni critiche, pubblicando, ricostruendo l’opera dei gre-ci, di Archimede, Apollonio, Pappo, Diofanto. Ma anche ora lo storico dellamatematica ed il matematico si trovano non raramente su un terreno comunequando studiano le produzioni scientifiche del diciannovesimo e del ventesi-mo secolo, per non menzionare una qualsiasi cosa di un tempo piu recente.Per la mia stessa esperienza, posso testimoniare sul valore dei suggerimentitrovati in Gauss ed in Eisenstein. Le congruenze di Kummer per i numeri diBernoulli, dopo essere state considerate poco piu di una curiosita per moltianni, hanno trovato nuova vita nella teoria delle L-funzioni p-adiche, e le ideedi Fermat sull’uso della discesa infinita nello studio delle equazioni diofanteedi genere 1 hanno dimostrato il loro valore nei lavori contemporanei sullostesso argomento.

Che cosa, allora, separa lo storico dal matematico quando entrambi stu-diano il lavoro del passato? In parte, senza dubbio, le loro tecniche, o, come io

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ho proposto di vedere la questione, le loro tattiche; ma principalmente, forse,le loro attitudini e le loro motivazioni. Lo storico tende a dirigere la sua at-tenzione ad un passato piu distante e ad una piu grande varieta di culture; intali studi, il matematico puo trovare poco profitto al di la della soddisfazioneestetica di scorgere le proprie origini o del piacere di sperimentare indiretta-mente la gioia della scoperta. Il matematico tende a finalizzare queste lettureo almeno ha la speranza di poterne ricavare qualche fruttuoso suggerimen-to. Qui possiamo citare le parole di Jacobi dei suoi anni giovanili relativead un libro che aveva appena finito di leggere: “Fino ad ora, egli diceva,ogni volta che ho studiato un’opera di qualche valore, essa mi ha stimolatoverso pensieri originali; questa volta ne sono uscito quasi a mani vuote”.10

Come notato da Dirichlet, dal quale ho tratto questa citazione, e un’ironia ilfatto che il libro in questione non fosse altro che gli Exercise de calcul inte-gral di Legendre, contenente risultati sugli integrali ellittici che assai prestodovevano fornire ispirazione per le piu grandi scoperte di Jacobi; ma le parolesono comunque emblematiche. Il matematico compie la sua lettura per esserestimolato verso pensieri originali (o, potrei aggiungere, talvolta non del tuttooriginali); non vi e slealta, mi sembra, nell’affermare che il suo proposito epiu direttamente utilitaristico di quello dello storico. Tuttavia, il compitoessenziale di entrambi e quello di trattare delle idee matematiche, quelle delpassato, quelle del presente e, quando essi possono farlo, quelle del futuro.Entrambi possono trovare possibilita di formazione professionale e di chiari-ficazione intellettuale di valore inestimabile nel lavoro reciproco. E dunque ilmio problema originale “Perche la storia della matematica?” si riduce infinea questo: ‘Perche la matematica?”, una questione alla quale non mi sembrasia necessario rispondere.

10Wenn ich sonst ein bedeutendes Werk studiert habe, hat es mich immer zu eignenGedanken angeregt...Diesmal bin ich ganz leer augegangen und nicht zum geringstenEinfall inspiriert worden”. (Dirichlet, Werke, Bd. II S. 231).

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