Freedom, Security & Justice: European Legal Studies · 2019. 11. 14. · concetto di Paese di...
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Freedom, Security & Justice: European Legal Studies
Rivista quadrimestrale on line
sullo Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia
2019, n. 2
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DIRETTORE
Angela Di Stasi Ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università di Salerno Titolare della Cattedra Jean Monnet (Commissione europea)
"Judicial Protection of Fundamental Rights in the European Area of Freedom, Security and Justice"
COMITATO SCIENTIFICO
Sergio Maria Carbone, Professore Emerito, Università di Genova Roberta Clerici, Ordinario f.r. di Diritto Internazionale privato, Università di Milano
Nigel Lowe, Professor Emeritus, University of Cardiff Paolo Mengozzi, già Avvocato generale presso la Corte di giustizia dell’UE
Massimo Panebianco, Professore Emerito, Università di Salerno Guido Raimondi, Consigliere della Corte di Cassazione
Silvana Sciarra, Giudice della Corte Costituzionale Giuseppe Tesauro, Presidente Emerito della Corte Costituzionale
Antonio Tizzano, Vice Presidente Emerito della Corte di giustizia dell’UE Ugo Villani, Professore Emerito, Università di Bari
COMITATO EDITORIALE
Maria Caterina Baruffi, Ordinario di Diritto Internazionale, Università di Verona
Giandonato Caggiano, Ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università Roma Tre Pablo Antonio Fernández-Sánchez, Catedratico de Derecho internacional, Universidad de Sevilla
Inge Govaere, Director of the European Legal Studies Department, College of Europe, Bruges Paola Mori, Ordinario di Diritto dell'Unione europea, Università "Magna Graecia" di Catanzaro
Claudia Morviducci, Ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università Roma Tre Lina Panella, Ordinario di Diritto Internazionale, Università di Messina
Nicoletta Parisi, Ordinario di Diritto Internazionale, Università di Catania-Componente ANAC Lucia Serena Rossi, Giudice della Corte di giustizia dell’UE
Ennio Triggiani, Professore Emerito, Università di Bari
COMITATO DEI REFEREES
Bruno Barel, Associato di Diritto dell’Unione europea, Università di Padova Marco Benvenuti, Associato di Istituzioni di Diritto pubblico, Università di Roma "La Sapienza"
Raffaele Cadin, Associato di Diritto Internazionale, Università di Roma “La Sapienza” Ruggiero Cafari Panico, Ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università di Milano
Ida Caracciolo, Ordinario di Diritto Internazionale, Università della Campania “Luigi Vanvitelli” Luisa Cassetti, Ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico, Università di Perugia
Giovanni Cellamare, Ordinario di Diritto Internazionale, Università di Bari Marcello Di Filippo, Ordinario di Diritto Internazionale, Università di Pisa
Rosario Espinosa Calabuig, Profesor de Derecho Internacional Privado, Universidad de Valencia Giancarlo Guarino, Ordinario f.r. di Diritto Internazionale, Università di Napoli “Federico II”
Elspeth Guild, Associate Senior Research Fellow, CEPS Paola Ivaldi, Ordinario di Diritto Internazionale, Università di Genova
Luigi Kalb, Ordinario di Procedura Penale, Università di Salerno Luisa Marin, Assistant Professor in European Law, University of Twente
Simone Marinai, Associato di Diritto dell’Unione europea, Università di Pisa Rostane Medhi, Professeur de Droit Public, Université d’Aix-Marseille
Violeta Moreno-Lax, Senior Lecturer in Law, Queen Mary University of London Stefania Negri, Associato di Diritto Internazionale, Università di Salerno Piero Pennetta, Ordinario di Diritto Internazionale, Università di Salerno
Emanuela Pistoia, Associato di Diritto dell’Unione europea, Università di Teramo Concetta Maria Pontecorvo, Associato di Diritto Internazionale, Università di Napoli “Federico II”
Pietro Pustorino, Ordinario di Diritto Internazionale, Università LUISS di Roma Alessandra A. Souza Silveira, Diretora do Centro de Estudos em Direito da UE, Universidad do Minho
Chiara Enrica Tuo, Associato di Diritto dell’Unione europea, Università di Genova Talitha Vassalli di Dachenhausen, Ordinario f.r. di Diritto Internazionale, Università di Napoli “Federico II”
Alessandra Zanobetti, Ordinario di Diritto Internazionale, Università di Bologna
COMITATO DI REDAZIONE
Francesco Buonomenna, Ricercatore di Diritto Internazionale, Università di Salerno Caterina Fratea, Ricercatore di Diritto dell’Unione europea, Università di Verona
Anna Iermano, Assegnista di ricerca di Diritto dell’Unione europea, Università di Salerno Angela Martone, Dottore di ricerca in Diritto dell’Unione europea, Università di Salerno
Michele Messina, Associato di Diritto dell’Unione europea, Università di Messina Rossana Palladino (Coordinatore), Ricercatore di Diritto dell’Unione europea, Università di Salerno
Revisione abstracts a cura di
Francesco Campofreda, Dottore di ricerca in Diritto Internazionale, Università di Salerno
Rivista giuridica on line “Freedom, Security & Justice: European Legal Studies”
www.fsjeurostudies.eu Editoriale Scientifica, Via San Biagio dei Librai, 39 - Napoli
CODICE ISSN 2532-2079 - Registrazione presso il Tribunale di Nocera Inferiore n° 3 del 3 marzo 2017
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Indice-Sommario
2019, n. 2
Editoriale
Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, diritti fondamentali
e dialogo tra giudici
Guido Raimondi
p. 1
Saggi e Articoli
In tema di informazioni sui Paesi di origine nella procedura di riconoscimento
della protezione internazionale
Giovanni Cellamare
Comentarios sobre el reto de una estrategia española de seguridad aeroespacial
y ciertas lagunas jurídicas
Juan Manuel de Faramiñán Gilbert
Rapporti interordinamentali e rapporti interistituzionali in circolo (scenari,
disfunzioni, rimedi)
Antonio Ruggeri
Commenti e Note
To trust or not to trust? Fiducia e diritti fondamentali in tema di mandato
d’arresto europeo e sistema comune di asilo
Valentina Carlino e Giammaria Milani
The challenge of today’s Area of Freedom, Security and Justice: a re-appropriation
of the balance between claims of national security and fundamental rights
Roila Mavrouli
The tale of the European sandcastle: on the convergence and divergence of
national detention systems across the European Union
Christos Papachristopoulos
La nécessaire harmonisation du visa humanitaire dans le droit de l’Union Européenne
au prisme de l’asile
Chiara Parisi
p. 4
p. 17
p. 35
p. 64
p. 90
p. 120
p. 140
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Il primo parere consultivo della Corte europea dei diritti dell’uomo tra maternità
surrogata e genitorialità “intenzionale”: il possibile impatto nell’ordinamento
giuridico italiano
Luigimaria Riccardi
Il difficile cammino verso una “tutela integrata” delle donne vittime di violenza nello
spazio di libertà, sicurezza e giustizia: sviluppi normativi e perduranti profili di
criticità
Valeria Tevere
p. 160
p. 184
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Freedom, Security & Justice: European Legal Studies ISSN 2532-2079
2019, n. 2, pp. 4-16 DOI: 10.26321/G.CELLAMARE.02.2019.02
www.fsjeurostudies.eu
IN TEMA DI INFORMAZIONI SUI PAESI DI ORIGINE NELLA PROCEDURA DI
RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE
Giovanni Cellamare*
SOMMARIO: 1. La rilevanza, nel diritto dell’UE, delle informazioni sul Paese di origine
del richiedente protezione internazionale. – 2. Il ruolo riconosciuto a quelle
informazioni dalla Corte di giustizia UE e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. –
3. La legislazione italiana in materia e la funzione di cooperazione degli organi
competenti nell’accertamento della situazione del Paese di origine. – 4. L’accresciuta
importanza delle informazioni a séguito dell’attivazione nell’ordinamento italiano del
concetto di Paese di origine sicuro.
1. La rilevanza, nel diritto dell’UE, delle informazioni sul Paese di origine del
richiedente protezione internazionale
Il noto Handbook dell’UNHCR, sulle procedure e criteri per la determinazione dello
status di rifugiato (con linee guida), reca una sezione dedicata ai principi e metodi volti a
stabilire i fatti che presiedono al riconoscimento di quello status. L’Handbook indica
l’approccio da seguire in materia, ribadendo quanto già si leggeva in precedenti edizioni
dello stesso Manuale1: quei fatti devono essere “furnished in the first place” dal
Articolo sottoposto a doppio referaggio anonimo.
Il presente studio è stato condotto nell’ambito del PRIN 2017 “International Migrations, State, Sovereignty
and Human Rights: Open Legal Issues”, Responsabile nazionale Prof.ssa Angela Di Stasi (prot.
20174EH2MR).
* Ordinario di Diritto Internazionale, Dipartimento di Scienze politiche, Università degli Studi di Bari Aldo
Moro. Indirizzo e-mail: [email protected]. 1 UN High Commissioner for Refugees (UNHCR), Handbook on Procedures and Criteria for Determining
Refugee Status and Guidelines on International Protection under the 1951 Convention and the 1967
Protocol Relating to the Status of Refugees. Reissued, Geneva, 2019, par. 195 s. (reperibile online). Vale la
pena di seguire da vicino il Manuale nella parte che qui interessa: “[…] Often, however, an applicant may
not be able to support his statements by documentary or other proof, and cases in which an applicant can
provide evidence of all his statements will be the exception rather than the rule. In most cases a person
fleeing from persecution will have arrived with the barest necessities and very frequently even without
personal documents. Thus, while the burden of proof in principle rests on the applicant, the duty to ascertain
and evaluate all the relevant facts is shared between the applicant and the examiner. Indeed, in some cases,
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Giovanni Cellamare
5
richiedente la protezione internazionale, spettando all’autorità competente a esaminare la
domanda (“the examiner”) “to assess the validity of any evidence and the credibility of
the applicant's statements”. Ora, posti gli ordinari principi sull’onere della prova;
considerata altresì, come è facile scorgere, la difficoltà della loro applicazione pura e
semplice nel settore di cui si tratta, l’Handbook aggiunge che, sebbene, in via di principio,
l’onere della prova “rests on the applicant, the duty to ascertain and evaluate all the
relevant facts is shared between the applicant and the examiner” (corsivo aggiunto). Anzi,
possono aversi casi nei quali “it may be for the examiner to use all the means at his
disposal to produce the necessary evidence in support of the application” (corsivi
aggiunti). Siffatto passaggio è indicativo del ruolo dell’autorità competente nel cooperare
con il richiedente protezione per l’acquisizione delle informazioni sul Paese di origine del
medesimo richiedente, nonché dell’importanza di quelle informazioni ai fini della
ricostruzione del contesto e dell’effettiva situazione, in tale contesto, della persona
interessata al riconoscimento dello status di rifugiato2.
Come si vedrà nelle pagine che seguono, con siffatte indicazioni è coerente la
disciplina contenuta negli atti pertinenti dell’UE; le stesse trovano riscontro in
svolgimenti presenti in sentenze della Corte di giustizia UE e della Corte europea dei
diritti dell’uomo, nonché in statuizioni della Corte di Cassazione che hanno dato luogo a
un preciso orientamento in materia. Tale orientamento, come pure si avrà modo di riferire,
risulta consolidato da recenti ordinanze della medesima Corte.
Per quanto riguarda la disciplina dell’Unione, l’art. 4 della c. d. direttiva qualifiche3
prevede l’obbligo degli Stati membri di esaminare tutti gli “elementi significativi” delle
domande di protezione “in cooperazione” con i richiedenti (par. 1); e che l’esame
individuale delle domande ha ad oggetto “la valutazione […] di tutti i fatti pertinenti che
riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione […], comprese le
disposizioni legislative e regolamentari del paese d’origine e le relative modalità di
it may be for the examiner to use all the means at his disposal to produce the necessary evidence in support
of the application. Even such independent research may not, however, always be successful and there may
also be statements that are not susceptible of proof. In such cases, if the applicant’s account appears
credible, he should, unless there are good reasons to the contrary, be given the benefit of the doubt”. 2 Sui diversi approcci seguìti dagli Stati in materia di aquisizione delle informazioni, v. G. GYULAI, T.
ROSU, Structural Differences and Access to Country Information (COI) at European Courts Dealing with
Asylum, Budapest, 2011, p. 5 (“The judiciary currently employs a wide range of practices to obtain COI,
and there is no majority (let alone common) approach towards this issue. Judges in some jurisdictions obtain
country information themselves (from the court’s own COI service, the administrative asylum authority, an
independent state funded COI service, professional nongovernmental COI providers or other sources) while
in others they use only the COI provided by the parties”); inoltre R. GIBB, A. GOOD, Do the Facts Speak
for Themselves? Country of Origin Information in French and British Refugee Status Determination
Procedures, in International Journal of Refugee Law, 2013, p. 291 ss. 3 Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme sull’attribuzione, a cittadini
di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme
per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto
della protezione riconosciuta (rifusione), del 13 dicembre 2011, in GUUE L 337 del 20 dicembre 2011, pp.
9-12. Sulla stessa, anche per altre indicazioni bibliografiche, v. H DÖRIG, I. KRAFT, H, STOREY, H. BATTJES,
Asylum Qualification Directive 2001/95/EU, in K. HAILBRONNER, D. THYM (eds.), EU Immigration and
Asylum Law, II ed., München, 2016, p. 1108 ss.
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In tema di informazione sui paesi di origine
6 www.fsjeurostudies.eu
applicazione” (par. 3 lett. a), corsivo aggiunto). Per indicazione della Corte di giustizia,
quell’esame comprende l’accertamento delle circostanze di fatto suscettibili di formare
elementi probatori a sostegno della domanda, nonché la loro valutazione per il
riconoscimento della protezione richiesta4. Pur non fissando un vero e proprio schema
probatorio, la direttiva impegna le autorità competenti ad appurare se, sulla base delle
circostanze accertate, sia possibile configurare una “minaccia tale da far fondatamente
temere alla persona interessata […] di essere effettivamente oggetto di atti di
persecuzione”5.
Dunque, sebbene da sole non conclusive per la decisione di cui si tratta, le notizie e i
dati assunti da quelle autorità rivestono un ruolo centrale nel processo di formazione della
stessa. In proposito va considerato che una delle componenti della valutazione
dell’organo competente a esaminare la domanda di protezione è data dalla coerenza di
quanto asserito dal richiedente con le informazioni generali e specifiche, delle quali si
dispone, attinenti al caso di specie (art. 4, comma 3, lett. c). La qual cosa mostra, per
l’appunto, l’importanza delle informazioni, sebbene la loro incidenza sulla decisione del
caso vari in considerazione delle sue caratteristiche complessive6.
Coerentemente con la disciplina testé illustrata, posta l’opportunità di cooperazione
tra il richiedente e le autorità competenti (preambolo, par. 25), la c. d. direttiva procedure7
dispone che gli “Stati membri provvedono affinché le decisioni dell’autorità accertante
relative alle domande di protezione internazionale siano adottate”, tra l’altro, sulla base
di “varie fonti” di “informazioni precise e aggiornate” (EASO, UNHCR, organizzazioni
internazionali pertinenti) sulla situazione generale nel Paese di origine dei richiedenti e,
eventualmente, nei Paesi di transito; dette informazioni devono essere “messe a
disposizione del personale incaricato di esaminare le domande e decidere in merito” (art.
10, par. 3 lett. b); corsivi aggiunti).
4 Sentenza del 22 novembre 2012, M. M., causa C-277/11, par. 64; sentenza del 9 febbraio 2017, M., causa
C-560/14, par. 48 ss. 5 Corte di giustizia, Grande Sezione, sentenza del 5 settembre 2012, Y e Z, cause riunite C-71/11 e C-99/11,
par. 76. 6 In proposito, alle pubblicazioni indicate supra, note 1 e 2; adde ARGO Project, Common EU Guidelines
for Processing Country of Origin Information (COI), The Hague, 2008; International Association of
Refugee and Migration Judges, Judicial Criteria for Assessing Country of Origin (reperibili online). 7 Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, recante procedure comuni ai fini del
riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, del 26 giugno 2013, in GUUE L
180 del 29 giugno 2013, pp. 60-95. Sulla stessa anche per altre indicazioni, v. J. VEDSTED-HANSEN, Asylum
Procedure Directive 2013/32, in K. HAILBRONNER, D. THYM, op. cit., p. 1284 ss. La Commissione ha
elaborato una revisione dell’atto, contenuta nella Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del
Consiglio che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell'Unione e abroga la
direttiva 2013/32/UE, del 13 luglio 2016, COM(2016) 467, def.; per un suo esame critico, v. European
Council on Refugees and Exiles, 2016 ECRE Comments on the Commission Proposal for an Asylum
Procedures Regulation COM(2016)467 (reperibile online).
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Giovanni Cellamare
7
2. Il ruolo riconosciuto a quelle informazioni dalla Corte di giustizia UE e dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo
Le indicazioni che precedono – circa il ruolo delle autorità competenti e la rilevanza
delle informazioni sul Paese di origine, nel senso accennato – trovano riscontro nella
giurisprudenza della Corte di giustizia UE e della Corte europea dei diritti dell’uomo. In
effetti, si hanno decisioni nelle quali le due Corti hanno attirato l’attenzione sull’obbligo
delle autorità competenti di fondare le proprie determinazioni sulle informazioni relative
al Paese di origine, anche assumendo autonomamente l’iniziativa di acquisirle8; si hanno
altresì sentenze il cui processo formativo appare ampiamente definito dalle informazioni
relative al Paese di origine della persona di cui si tratta9. Così, in particolare, ove si tratti
di asserita violazione dell’art. 3 CEDU, per effetto dell’espulsione dei ricorrenti verso un
dato Stato: in siffatta situazione, la Corte europea concentra la propria attenzione sulle
“foreseeable, prévisibles” conseguenze dell’allontanamento del ricorrente verso quello
Stato, alla luce della situazione generale di quest’ultimo, alla data critica considerata, oltre
che delle circostanze personali, così venendo in gioco le informazioni sullo Stato in
parola10.
Vale la pena di seguire da vicino l’approccio seguìto dalla Corte sotto l’aspetto che
qui interessa: la Corte “will assess the issue in the light of all the material placed before
it, or, if necessary, material obtained proprio motu, in particular where the applicant – or
a third party within the meaning of Article 36 of the Convention – provides reasoned
grounds which cast doubt on the accuracy of the information relied on by the respondent
Government”. In effetti, si hanno esempi di casi nei quali sono state considerate decisive
le informazioni assunte dalla Corte di propria iniziativa, tenuto conto che provenivano da
8 Corte di giustizia, sentenza del 31 gennaio 2013, H. I. D., B. A, causa C-175/11, par. 70 s.; sentenza del
26 febbraio 2015, Andre Lawrence Shepherd, causa C- 472/13, par. 52 s.; Grande sezione, Y e Z, cit., par.
76 ss. (“nel sistema istituito dalla direttiva [qualifiche], quando le autorità competenti valutano, a norma
dell’articolo 2, lettera c), di quest’ultima, se il timore del richiedente di essere perseguitato sia fondato, esse
cercano di appurare se le circostanze accertate rappresentino o meno una minaccia tale da far fondatamente
temere alla persona interessata, alla luce della sua situazione individuale, di essere effettivamente oggetto
di atti di persecuzione. Questa valutazione dell’entità del rischio, che deve in ogni caso essere operata con
vigilanza e prudenza (sentenza Salahadin Abdulla e a., cit., punto 90), è fondata unicamente sull’esame
concreto dei fatti e delle circostanze conformemente alle disposizioni figuranti, segnatamente, all’articolo
4 della direttiva”. Per la Corte europea dei diritti dell’uomo, v. la sentenza del 2 settembre 2010, ricorso n.
32476/06, Y.P. e L.P. c. France, par. 70: “les autorités compétentes refusèrent l'asile au requérant au motif
que ses déclarations étaient peu personnalisées et peu circonstanciées quant à son engagement politique.
Elles considérèrent très généralement que les craintes du requérant n’étaient pas fondées au regard de son
passé politique. Elles ne firent toutefois mention d'aucun rapport international sur la situation au Belarus”.
Sotto quest’ultimo profilo, cfr. infra, par. 3, la posizione della Corte di Cassazione. 9 Grande sezione, sentenza del 21 dicembre 2011, N. S., M. E. e altri, cause riunite C-411/10 e C-493/10,
par. 87 ss. 10 V. (già) la nota sentenza del 7 luglio 1989, ricorso n. 14038/88, Soering c. Regno Unito, par. 87 ss. Le
espressioni riportate nel testo saranno riprese nel corso degli anni successivi in sentenze nelle quali la Corte
ha tutelato il ricorrente par ricochet, applicando l’art. 3, nel senso indicato, nel testo: cfr., ad esempio, la
sentenza del 30 ottobre 1991, ricorsi nn.13163/87, 13164/87, 13165/87, 13447/87, 13448/87, Vilvarajah e
altri c. Regno Unito, par. 108; Grande Camera, sentenza del 23 febbraio 2012, ricorso n. 27765/09, Hirsi
Jamaa e altri c. Italia, par. 117; sentenza del 9 gennaio 2018, ricorso n. 36417/16, X c. Svezia, par. 49.
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In tema di informazione sui paesi di origine
8 www.fsjeurostudies.eu
fonti attendibili e autorevoli; di “materials originating from other reliable and objective
sources such as, for instance, other Contracting or non-Contracting States, agencies of the
United Nations and reputable non-governmental organisations”11. Così, ad esempio,
nell’affare Saadi c. Italia, nel quale la Corte ha avuto riguardo “firstly” ai rapporti di
Amnesty International e di Human Rights Watch, il cui contenuto risultava confermato
da un rapporto del Dipartimento di Stato statunitense12.
D’altro canto, può accadere che siffatte informazioni abbiano ad oggetto la
condizione economico-sociale dello Stato di allontanamento del ricorrente, considerata la
sua totale dipendenza dal sostegno statale13.
Rispetto al passaggio poc’anzi riportato, va segnalato che dalla prassi è rilevabile
episodicamente l’utilizzo, da parte della Corte, di informazioni tratte da fonti lasciate
anonime. La qual cosa non rende trasparente la loro affidabilità e autorevolezza. Va
precisato, peraltro, che si ha riguardo a una situazione nella quale la Corte ha motivato
l’approccio seguìto con i seguenti svolgimenti: “where a report is wholly reliant on
information provided by sources, the authority and reputation of those sources and the
extent of their presence in the relevant area will be relevant factors for the Court in
assessing the weight to be attributed to their evidence. The Court recognises that where
there are legitimate security concerns, sources may wish to remain anonymous. However,
in the absence of any information about the nature of the sources’ operations in the
relevant area, it will be virtually impossible for the Court to assess their reliability.
Consequently, the approach taken by the Court will depend on the consistency of the
sources’ conclusions with the remainder of the available information. Where the sources’
conclusions are consistent with other country information, their evidence may be of
corroborative weight. However, the Court will generally exercise caution when
considering reports from anonymous sources which are inconsistent with the remainder
of the information before it”14. In altri termini, possono aversi situazioni nelle quali per
ragioni legittime di sicurezza sia possibile non citare le fonti; ma queste devono essere
suffragate da altri dati.
Pertanto, di norma, nel processo davanti alla Corte europea, sono indicate le fonti
delle informazioni sul Paese in questione, a garanzia della obiettività e trasparenza delle
medesime informazioni e delle decisioni che le utilizzino15.
11 V. la sentenza dell’11 gennaio 2007, ricorso n. 1948/04, Salah Sheekh c. Olanda, par. 136 (dal quale è
tratto il passaggio riportato nel testo) e ss. 12 Grande Camera, sentenza del 28 febbraio 2008, ricorso n. 37201/06, Saadi c. Italia, par. 143. 13 Grande Camera, sentenza del 21 gennaio 2011, ricorso n. 30696/09, M.S.S. c. Grecia e Belgio, par. 244
ss. 14 Sentenza del 28 giugno 2011, ricorsi nn. 8319/07 e 11449/07, Sufi e Elmi c. Regno Unito, par. 233. 15 Cfr., ad esempio, Corte europea dei diritti dell’uomo, Y.P. e L.P., cit., par. 65 (ma v. F.
VOGELAAR, ‘Principles Corroborated by Practice? The Use of Country of Origin Information by the
European Court of Human Rights in the Assessment of a Real Risk of a Violation of the Prohibition of
Torture, Inhuman and Degrading Treatment’, European Journal of Migration and Law, 2016, p. 302 ss.);
nonché infra, par. 3, le indicazioni della Corte di Cassazione.
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Giovanni Cellamare
9
3. La legislazione italiana in materia e la funzione di cooperazione degli organi
competenti nell’accertamento della situazione del Paese di origine
Nel diritto dell’Unione europea, la direttiva procedura contiene disposizioni che
depongono a favore dell’indicazione, nella decisione sulla domanda di protezione, delle
fonti di fatti e atti utilizzati per pervenire alla medesima decisione. Dato l’art. 10, cit.
(sull’acquisizione di informazioni precise e aggiornate), l’art. 23, par. 1, prevede
l’accesso di avvocati e consulenti o del richiedente alle informazioni contenute nella
pratica dello stesso “sulla cui base che è o sarà presa una decisione”16. Ora, ove questa
provenga da un organo amministrativo, muovendo dall’art. 41 della Carta dei diritti
fondamentali, appare legittimo ritenere che l’atto in parola indichi (o richiami) le fonti
informative che contribuiscono a porre quelle basi. D’altro canto, nel caso di decisione
giudiziaria si tratta di un’importante indicazione della motivazione, la cui
predisposizione, come è noto, è funzionale all’operare dell’art. 47 della Carta dei diritti
fondamentali; è funzionale, in particolare, all’esercizio del diritto a un ricorso effettivo17.
16 L’art. 23, par. 1, della direttiva procedure pone limiti alla divulgazione di informazioni o fonti suscettibili,
in particolare, di incidere sulle relazioni internazionali, di pregiudicare la sicurezza nazionale, delle
organizzazioni o delle persone che forniscano dette informazioni o delle persone cui le informazioni si
riferiscono. Ma ciò non esclude i diritti della difesa di accesso alle informazioni, così come successivamente
previsto dalla stessa norma (in particolare, nei casi considerati, gli Stati stabiliscono norme per il “rispetto
dei diritti di difesa del richiedente”. Inoltre, possono “dare accesso a dette informazioni o fonti all’avvocato
o ad altro consulente legale che abbia subito un controllo di sicurezza, nella misura in cui le informazioni
sono pertinenti per l’esame della domanda o per decidere della revoca della protezione internazionale”). 17 Non è possibile soffermarsi sul quadro normativo richiamato nel testo. Limitandoci ad alcune indicazioni
bibliografiche, sull’art. 41, tra i commenti più recenti, v. P. PIVA, in R. MASTROIANNI, O. POLLICINO, S.
ALLEGREZZA, F. PAPPALARDO, O. RAZZOLINI (a cura di), Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione
Europea, Milano 2017, pp. 756 ss.; sull’art. 47, i commenti di C. CONSOLO e M. STELLA, ivi, pp. 884 ss.;
e già J. RIDEAU, Article II-107 in L. BURGORGUE-LARSEN, A. LEVADE, F. PICOD (sous la direction de),
Traité établissant une Constitution pour l'Europe. Partie II. La Charte des droits fondamentaux de l’Union.
Commentaire article par article, Bruxelles, 2005, p. 589 ss. È appena il caso di ricordare che l’art. 47 (il
quale prevede, in particolare, il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva, come è noto, garantito da un
principio generale del diritto dell’Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati
membri: in tal senso, tra le decisioni della Corte di giustizia, v. la sentenza del 27 giugno 2013, ET
Agrokonsulting-04-Velko Stoyanov, causa C-93/12, par. 59) riprende il contenuto degli articoli 6 e 13
CEDU (sui quali, tra gli altri, v. i commenti di più Autori pubblicati in VAN DIJK, F. VAN HOOH, A VAN
RIJN, L. ZWAAK (eds.), Therory and Practice of the European Convention on Human Rights, Cambridge,
V ed., 2018, p. 497 ss. e rispettivamente p. 1035 ss.); peraltro, la materia migratoria, come pure è noto, è
tradizionalmente esclusa dall’ambito di applicazione dell’art. 6; ciò non ha impedito che alcuni settori di
detta materia possano essere coperti dalle garanzie procedurali previste da quella norma, attraverso l’art.
13 letto congiuntamente ad altre norme della CEDU, così in particolare all’art. 3 (v. ad esempio la sentenza
del 2 ottobre 2012, ricorso n. 33210/11, Singh e altri c. Belgio). In proposito, anche per altre indicazioni
bibliografiche e la giurisprudenza pertinente e per un raffronto con l’art. 47, cit., dal punto di vista che qui
interessa, v. il nostro Recenti tendenze dell’UE in materia di diritti processuali dei richiedenti asilo: tra
CEDU e “regime europeo comune”, in Studi in onore di Vincenzo Starace, II, Napoli, 2008, p. 959 ss; in
specie p. 975 ss.; V. MORENO-LAX, Accessing Asylum in Europe: Extraterritorial Border Controls and
Refugee Rights under EU Law, Oxford, 2017, p. 411 ss.; M. RENEMAN, Asylum and Article 47 of the
Charter: Scope and Intensity of Judicial Review, in A. CRESCENZI, R. FORASTIERO, G. PALMISANO, Asylum
and the EU Charter of Fundamental Rights (a cura di), Napoli, 2018, p. 59 ss.; C. FAVILLI, Overview and
Summary of the Obligations of the EU Institutions and State Authorities with regard to the Charter in the
Field of Asylum. Proposals for Possible Improvements in EU Legislation and Policies, ivi, p. 79 ss. Infine,
per l’approccio volto a porre in luce l’incidenza dei diritti fondamentali in materia di giustizia sull’effettività
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In tema di informazione sui paesi di origine
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Adattandosi alla disciplina dell’Unione, la legislazione italiana prevede che le
domande siano esaminate dalla Commissione territoriale individualmente “sulla base di
un congruo esame” ai sensi del decreto legislativo n. 251, del 19 novembre 2007, e cioè
“in cooperazione con il richiedente” (art. 3, par.1 di tale decreto); che l’esame sia svolto
“alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel
Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati,
elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR,
dall'EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie
ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite
dalla Commissione stessa” (art. 8, par. 3, del decreto legislativo n. 25, cit.; corsivo
aggiunto)18; che quelle informazioni siano acquisite anche di ufficio (dalla Commissione
o dal giudice di primo grado: art. 27, par. 1 bis); e che la decisione della Commissione
territoriale (che può condurre alle possibili conclusioni elencate dall’art. 32) debba essere
corredata delle motivazioni di fatto e di diritto, indicando i mezzi di impugnazione
ammissibili (art. 9, par. 2)19. Come è facile scorgere, queste possono essere costruite
compiutamente tenendo conto delle informazioni e delle loro fonti.
Inoltre, seguendo da vicino l’art. 23 della direttiva procedure, la legge italiana
prevede che all’interessato “o al suo legale rappresentante, nonché all'avvocato che
eventualmente lo assiste, sia garantito l'accesso a tutte le informazioni relative alla
dell’operare del Titolo V TFUE, comprensivo delle politiche in materia migratoria (dovendosi tener conto
di quanto stabilito dall’52, par. 3, della Carta dei diritti fondamentali, richiamata dall’art. 6 TUE: “Laddove
la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono
uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto
dell’Unione conceda una protezione più estesa”), in una prospettiva sistematica generale, v. A. DI STASI,
La tutela giudiziaria dei diritti fondamentali tra “diritto legale” e “diritto giurisprudenziale” come
fondamento dello spazio europeo di giustizia del XXI secolo, in ID. (a cura di), Tutela dei diritti
fondamentali e Spazio europeo di giustizia. L’applicazione giurisprudenziale del Titolo VI della Carta,
Napoli, 2019, p. 373 ss., in specie p. 378 ss.; lo stesso volume reca un’ampia bibliografia generale (p. 385
ss.) sugli atti e i diritti testé presi in considerazione, nel testo. 18 Rispetto a quanto riferito, nel testo, v. l’art. 8, par. 2, della direttiva qualifiche (“Nel valutare se il
richiedente ha fondati motivi di temere di essere perseguitato o corre rischi effettivi di subire danni gravi,
oppure ha accesso alla protezione contro persecuzioni o danni gravi in una parte del territorio del paese
d’origine conformemente al paragrafo 1, gli Stati membri tengono conto al momento della decisione sulla
domanda delle condizioni generali vigenti in tale parte del paese, nonché delle circostanze personali del
richiedente […]. A tal fine gli Stati membri assicurano che informazioni precise e aggiornate pervengano
da fonti pertinenti, quali l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’Ufficio europeo di
sostegno per l’asilo”). Le competenze della Commissione nazionale sono elencate dall’art. 5 del decreto
legislativo, cit. Tra le stesse figura la “costituzione e aggiornamento di un centro di documentazione sulla
situazione socio-politico-economica dei Paesi di origine dei richiedenti”. Inoltre, la Commissione mantiene
rapporti di collaborazione con il Ministero degli affari esteri ed i collegamenti di carattere internazionale
relativi all' attività svolta” e “costituisce punto nazionale di contatto per lo scambio di informazioni con la
Commissione europea e con le competenti autorità degli altri Stati membri”. 19 Sulla portata dell’art. 9, cit., nel senso che lo stesso va riferito non solo alla decisione con cui venga
respinta la domanda di protezione, ma anche a quella che si limiti a riconoscere la protezione sussidiaria,
sicché, potendo essere impugnata, quella decisione deve contenere, in entrambi i casi, la motivazione
comprensiva delle fonti di cui si tratta, v. E. BUSETTO, A. FIORINI, E. PIERONI, S. ZARRELLA, Le
informazioni sui Paesi di origine nella procedura di asilo: sempre più rilevanti, ancora poco considerate,
in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2017, p. 3 (reperibile online).
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procedura, alle fonti di prova utilizzate e agli elementi di valutazione adottati, che
potrebbero formare oggetto di giudizio in sede di ricorso avverso la decisione della
Commissione territoriale o della Commissione nazionale, con le modalità” previste (art.
17 del decreto legislativo n. 25 del 2008).
Da siffatte disposizioni si evince agevolmente che le Commissioni territoriali (e i
giudici) sono chiamate (chiamati) a cooperare con il richiedente protezione al fine di
ricostruire la sua situazione nel contesto di cui si tratta. Ora, appare legittimo ritenere che
tale cooperazione si manifesti anche dando atto delle fonti delle informazioni prese in
considerazione a quel fine, le quali, va ricordato, possono essere acquisite anche di
ufficio. In effetti, l’indicazione in parola consente di rilevare l’avvenuta cooperazione e,
trattandosi di decisione della commissione territoriale, appare coerente con i requisiti
dell’atto amministrativo (legge 241 del 7 agosto 1990). Da richiamare in proposito i
passaggi del citato Handbook inizialmente riferiti.
Nel senso indicato, vale la pena di concentrare l’attenzione sulla ratio dei seguenti
svolgimenti della Corte di Cassazione, relativi a decisioni di giudici di merito (non di
Commissioni territoriali).
La Corte si è soffermata più volte sulla portata delle disposizioni poc’anzi considerate,
in particolare dell’art. 27 del decreto legislativo n. 25, dando luogo a un consolidato
orientamento giurisprudenziale. Da questo risulta, anzitutto, che, nei procedimenti di cui
si tratta, c’è un alleggerimento dell’onere probatorio cui corrisponde un “dovere
officioso” del giudice di consultare le fonti pertinenti, in modo da poter cooperare con il
richiedente protezione e verificare quanto da questi asserito a sostegno della propria
domanda20.
In particolare, richiamando una propria statuizione del 2016, nell’ordinanza n. 11097,
del 6 marzo 2019, la Corte di Cassazione ha affermato che, giusta il proprio stabile
orientamento in materia, il giudice deve cooperare nell’accertare i fatti funzionali al
riconoscimento dello status di rifugiato; sicché, in caso di dubbi sugli elementi addotti
dal ricorrente, gli stessi non potrebbero essere puramente e semplicemente scartati senza
prove, stante “il dovere di compiere un’attività istruttoria ufficiosa” con i poteri a
disposizione del giudice. Orbene, affinché quell’onere di cooperazione possa ritenersi
sodisfatto, il giudice di merito non potrebbe limitarsi ad asserire l’infondatezza della
domanda richiamando genericamente delle fonti internazionali, senza ulteriore
indicazione. In altri termini, il giudice non deve accontentarsi di generiche enunciazioni,
d’altro canto sorgente di equivoci quanto alla loro attribuzione, ma deve indicare con
20 Così la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 11312, del 29 febbraio 2019. Vale la pena di riportare
alcune statuizioni della stessa Corte. Nell’ordinanza n. 17069, del 28 giugno 2018, si legge che l’art. 27,
cit., interpretato alla luce degli articoli 5, comma 1, e 8, comma 3, del decreto legislativo n. 25 del 2008,
offre “la possibilità, e dunque il dovere, […] di accertare d’ufficio”, a mezzo di informazioni reperibili dalla
Commissione nazionale per il diritto di asilo la situazione del Paese di origine. Con ordinanza n. 7831, del
19 febbraio-20 marzo 2019, ricordato, per l’appunto, “il dovere officioso del giudice di cooperare alla
verifica delle situazioni allegate dal ricorrente”, la Corte, ha sottolineato che, dati dei fatti costitutivi del
diritto di protezione allegati dal richiedente¸ “sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche di
ufficio” l’esistenza di “fenomeni di violenza indiscriminata”, nel senso indicato dall’interessato. Le
ordinanze sono reperibili online.
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precisione quali fonti abbia utilizzato nel pervenire alla propria decisione21. La qual cosa,
trattandosi di decisioni giudiziali, è funzionale all’esercizio del diritto al un ricorso
effettivo, e adegua ermeneuticamente le disposizioni in parola all’art. 111 Cost.
Nel senso indicato, e quindi a sostegno della posizione probatoria del richiedente
protezione, vale la pena, infine, di ricordare che, con ordinanza n. 11097, del 19 aprile
2019, la Corte di Cassazione, ha statuito che, proprio in considerazione del dovere
officioso di controllare la validità delle dichiarazioni del ricorrente, il giudice è tenuto a
verificare l’autenticità della documentazione prodotta solo in copia, dal medesimo
ricorrente a sostegno delle proprie ragioni. In altri termini, la documentazione in parola
non potrebbe essere scartata tout court dal giudice, in quanto esibita in copia o in
apparenza falsa, ma deve costituire oggetto di indagine (ad esempio, attraverso canali
diplomatici), in funzione del controllo in parola.
L’approccio seguìto dalla Corte di cassazione risponde all’esigenza di mitigare il
rapporto inizialmente squilibrato delle posizioni delle parti nel giudizio di protezione
internazionale22, con conseguente incidenza sul tradizionale principio dispositivo vigente
nelle regole probatorie del processo civile e sulla loro interpretazione. La qual cosa, in
consonanza con alcune indicazioni dell’Avvocato generale Bot, denota la particolarità di
quel giudizio23.
D’altro canto, l’affermazione del potere/dovere del giudice di svolgere un’attività
istruttoria ufficiosa consente di dare attualità all’accertamento della situazione del
richiedente protezione, così potendo prendere in considerazione situazioni nelle quali il
bisogno di protezione sia sorto dopo che la persona di cui si tratta sia partita dal proprio
Paese di origine24.
4. L’accresciuta importanza delle informazioni a séguito dell’attivazione
nell’ordinamento italiano del concetto di Paese di origine sicuro
Il ruolo svolto dalle informazioni su quel Paese nel corso delle procedure cui si ha qui
riguardo risulta ancor più evidente alla luce delle disposizioni che hanno introdotto
nell’ordinamento italiano il concetto di Paese di origine sicuro25.
Seguendo da vicino alcune norme della direttiva procedure (articoli 31, par. 8, 32,
par. 2, 36 e 37)26, l’art. 2-bis del decreto legislativo n. 25, cit. prevede procedure
21 Cfr. il passaggio della Corte europea dei diritti dell’uomo riportato supra, nota 8. 22 V. l’ordinanza n. 25534, del 13 dicembre 2016. 23 In effetti cfr. le conclusioni presentate il 29 giugno 2016, Danqua, causa C-429/15, parr. 70 e 75. 24 Sentenza della Corte di Cassazione n. 9427, del 17 aprile 2018. 25 In proposito ci sia permesso di rinviare al nostro L’attivazione nell’ordinamento italiano del concetto di
Paese di origine sicuro, in Studi sull’integrazione europea, 2019, p. 323 ss. Per altre esperienze v. C.
ENGELMANN, Convergence against the Odds: The Development of Safe Country of Origin Policies in EU
Member States (1990–2013), in European Journal of Migration and Law, 2014, p. 277 ss. 26 In proposito si vedano i paragrafi 39 (“[…] gli Stati membri dovrebbero garantire l’ottenimento di
informazioni precise e aggiornate da pertinenti fonti quali l’EASO, l’UNHCR, il Consiglio d’Europa e altre
organizzazioni internazionali pertinenti”) e 46 (nell’applicazione del concetto in parola gli Stati membri
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accelerate dell’esame (prioritario: art. 28, par. 1 c) ter) delle domande di protezione
internazionale presentate da cittadini di (o apolidi abitualmente soggiornanti in) uno degli
Stati sicuri presenti in una lista che va adottata con le modalità e nei tempi indicati27.
L’inserimento nella lista è subordinato alla dimostrazione che, considerati l’ordinamento
giuridico e la situazione politica generale, nello Stato di cui si tratta non si verifichino atti
di persecuzione, quali definiti dall’art. 7 del decreto legislativo n. 251 del 2007 attuativo
della direttiva qualifiche28; né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o
degradante; né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato
interno o internazionale29. Per la designazione si tiene contro, tra l’altro, del rispetto, nel
Paese pertinente, delle libertà e dei diritti previsti dalla CEDU (in specie di quelli
inderogabili), dal Patto sui diritti civili e politici, della Convenzione delle Nazioni Unite
contro la tortura, del divieto di refoulement e della previsione di procedure che consentano
di far valere con effettività la violazione di quelle libertà e diritti. La designazione può
aversi con eccezione di parti del territorio o di categorie di persone.
In definitiva, la norma consente di ritenere manifestamente infondata una domanda di
protezione presentata da un cittadino di (o da apolide che soggiornava abitualmente in)
un Paese di origine sicuro, salvo che l’interessato dimostri che sussistano giustificati
motivi per la domanda di protezione; diversamente, dunque, la domanda sarà rigettata
con procedura accelerata, suscettibile di essere applicata anche alle frontiere e in una zona
“dovrebbero tener conto tra l’altro degli orientamenti e dei manuali operativi e delle informazioni relative
ai paesi di origine e alle attività, compresa la metodologia della relazione sulle informazioni del paese di
origine dell’EASO, di cui al regolamento (UE) n. 439/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19
maggio 2010, che istituisce l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, nonché i pertinenti orientamenti
dell’UNHCR”) del preambolo della direttiva procedure. Vale la pena di riportare l’art. 37, cit., nel testo,
posto che lo stesso ha ad oggetto la designazione dei Paesi di origine sicuri: “1. Gli Stati membri possono
mantenere in vigore o introdurre una normativa che consenta, a norma dell’allegato I, di designare a livello
nazionale paesi di origine sicuri ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale. 2. Gli Stati
membri riesaminano periodicamente la situazione nei paesi terzi designati paesi di origine sicuri
conformemente al presente articolo. 3. La valutazione volta ad accertare che un paese è un paese di origine
sicuro a norma del presente articolo si basa su una serie di fonti di informazioni, comprese in particolare le
informazioni fornite da altri Stati membri, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre
organizzazioni internazionali competenti. 4. Gli Stati membri notificano alla Commissione i paesi designati
quali paesi di origine sicuri a norma del presente articolo”. 27 V. l’art. 2-bis, par. 1, che prevede l’adozione della lista (aggiornata periodicamente e notificata alla
Commissione europea) con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di
concerto con i Ministri dell’interno e della giustizia. 28 La norma di adattamento segue da vicino la disposizione dell’Unione (il decreto è inizialmente riferito
alla direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, della quale costituisce una rifusione la direttiva
2011/95, cit.) e definisce gli atti di persecuzione, ai sensi dell’art. 1 A della Convenzione di Ginevra: devono
alternativamente essere “sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una
violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti per cui qualsiasi deroga è esclusa”
dall’art. 15, par. 2, CEDU; “b) costituire la somma di diverse misure, tra cui violazioni dei diritti umani”
con “effetto analogo” a quello degli atti ora indicati. Questi “possono, tra l’altro, assumere la forma di: a)
atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale; b) provvedimenti legislativi, amministrativi,
di polizia o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio (…); f) atti
specificamente diretti contro un genere sessuale o contro l’infanzia”. 29 Pertinenti le indicazioni della Corte di giustizia sulla qualificazione del conflitto, ai fini dell’operare della
direttiva: Grande sezione, sentenza del 17 febbraio 2009, Elgafaji e Elgafaji, causa C-465/07; sentenza del
30 gennaio 2014, Diakité, causa C-285/12.
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di transito (art. 28-bis)30. La domanda di protezione potrà essere rigettata anche ove in
una parte del territorio del Paese d’origine il richiedente non abbia fondati motivi di
temere di essere perseguitato o non corra i rischi già indicati, sicché, alle condizioni
previste, il richiedente potrà essere rinviato nella parte sicura del proprio Paese d’origine.
Ora, dati della prassi noti in alcuni Stati membri – e i previsti aggiornamenti delle
liste31 – appaiono indicativi dell’esigenza che gli organi preposti all’esame della domanda
di protezione internazionale abbiano riguardo alla situazione dello Stato di origine del
richiedente al momento in cui sia adotta la decisione, utilizzando, a tal fine, i mezzi di
accesso alle informazioni pertinenti32.
Quegli stessi svolgimenti suggeriscono cautela nel procedere all’applicazione del
concetto in esame, prendendo in considerazione, come previsto dalla direttiva e dalla
legge italiana, tutte le circostanze personali. Ciò anche ove un Paese – come reso possibile
dalla legge italiana – possa essere designato sicuro con esclusione di una sua parte33.
Tanto più che la Corte europea, come sappiamo, ha distinto tra informazioni concernenti
la situazione normativa dello Stato di cui si tratta – e della quale, come pure sappiamo, fa
menzione la legge italiana – ed effettiva attuazione delle norme pertinenti, dando rilievo
a questo secondo profilo al fine di rappresentare la situazione concreta dello Stato di
allontanamento del ricorrente34.
Da notare che, nei casi astrattamente considerati, l’art. 9, comma 2-bis, prevede che
la “decisione con cui è rigettata la domanda presentata dal richiedente, è motivata dando
atto esclusivamente che il richiedente non ha dimostrato la sussistenza di gravi motivi per
ritenere non sicuro il Paese designato di origine sicuro in relazione alla situazione
particolare del richiedente stesso” (corsivi aggiunti). Ora, a noi pare che la lettera di tale
disposizione, riferita a una procedura accelerata fondata sulla presunzione semplice del
carattere sicuro di un dato Stato, non potrebbe escludere affatto l’indicazione, ancorché
solo per relationem, delle fonti utilizzate dalla Commissione territoriale per pervenire
alla decisione e alle quali fa sinteticamente riferimento l’art. 2-bis, par. 4 (coerentemente
30 Sulla desunzione dalla prassi applicativa dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra dell’obbligo degli
Stati di prevedere procedure idonee a rilevare l’esistenza di un serio pericolo di persecuzione ex art. 1A,
ancorché si tratti di domanda che possa apparire abusiva e manifestamene infondata, v. H. BATTJES,
European Asylum Law and International Law, Leiden, 2006, p. 292 ss. 31 Cfr. il nostro L’attivazione, cit., p. 326 ss., testo e note richiamate.
32 Cfr. l’art. 27 del decreto legislativo n. 25, in specie il par. 1-bis (“La Commissione territoriale, ovvero il
giudice in caso di impugnazione, acquisisce, anche d’ufficio, le informazioni, relative alla situazione del
Paese di origine e alla specifica condizione del richiedente, che ritiene necessarie a integrazione del quadro
probatorio prospettato dal richiedente”). 33 Cfr. supra, in questo par. Le espressioni utilizzate per definire le zone in parola corrispondono a concetti
differenti, che pongono in luce o il ruolo alternativo delle stesse (con fuga verso uno Stato terzo: “Internal
Flight Alternative”), o il profilo della ricollocazione di colui che abbia presentato domanda di protezione
(“Internal Relocation Alternative”), o l’aspetto, accolto nel diritto dell’Unione, di protezione alternativa
(“Internal Protection Alternative”). Non è possibile in questa sede soffermarsi sui diversi approcci
sottostanti alle definizioni indicate, alla luce del diritto internazionale; ci limitiamo a rinviare, tra gli altri,
a J.C. HATHAWAY, M. FOSTER, Internal Protection/Relocation/Flight Alternative as an Aspect of Refugee
Status Determination, in E. FELLER, V. TÜRK, F. NICHOLSON (eds.), Refugee Protection in International
Law: UNHCR’s Global Consultations on International Protection, Cambridge, 2003, p. 357 ss. e p. 361 ss. 34 V. supra, testo e nota 13.
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con l’art. 8 par. 3, cit.35): si ha riguardo al presupposto della motivazione in senso stretto
la cui assenza, ci sembra, realizzerebbe la lesione del principio di cooperazione
dell’autorità amministrativa, nel senso precedentemente indicato. Trattandosi di norma di
adattamento a un atto dell’Unione36, il suo operare va adeguato ermeneuticamente all’art.
41 della Carta dei diritti fondamentali, citato.
D’altro canto, l’assenza di quella indicazione renderebbe ancor più difficile per
l’interessato poter far valere adeguatamente le proprie doglianze nella fase successiva. In
proposito va ricordato che, nella procedura in parola, sono previsti tempi brevissimi per
l’impugnazione giudiziaria della decisione, senza effetti sospensivi37; e che il giudice è
tenuto a riesaminare il caso nel suo complesso, in un processo avente ad oggetto il
riconoscimento della protezione internazionale.
Rispetto a quanto precede, si pensi, esemplificativamente, a una situazione nella
quale davanti alla Commissione territoriale siano venute in rilievo fonti non aggiornate
rispetto al contesto attale di uno Stato di origine caratterizzato da condizioni mutevoli di
sicurezza38.
ABSTRACT: L’UNHCR ha fornito indicazioni sui principi e metodi volti a stabilire i
fatti che presiedono al riconoscimento dello status di rifugiato. Dette indicazioni
mostrano la centralità del ruolo dell’autorità competente nel cooperare con il
richiedente protezione per l’acquisizione delle informazioni sul Paese di origine del
medesimo richiedente, nonché l’importanza di quelle informazioni ai fini
della ricostruzione del contesto e dell’effettiva situazione, in tale contesto, della
persona interessata al riconoscimento dello status in parola. La disciplina contenuta
negli atti pertinenti dell’UE è coerente con dette indicazioni. Le stesse trovano
riscontro in decisioni della Corte di giustizia dell’UE, della Corte europea dei diritti
35 Supra, testo e nota 18. 36 V. l’art. 36, par. 2, della direttiva procedure: “Gli Stati membri stabiliscono nel diritto nazionale ulteriori
norme e modalità inerenti all’applicazione del concetto di paese di origine sicuro”. 37 Cfr. nuovamente il nostro L’attivazione, cit. p. 327 ss. 38 Cfr. il parere reso (il 20 luglio 2016, ECLI:NL:RVS:2016:2040, reperibile in
www.uitspraken.rechtspraak.NL) dal Procuratore generale su richiesta del Consiglio di Stato olandese.
Seguendo le indicazioni del Meijers Committee (CM1515, Note on an EU List of Safe Countries of Origin:
Recommendations and Amendments, del 5 ottobre 2015, reperibile online), il Procuratore generale si poneva
il quesito se un Paese sicuro per la stragrande maggioranza della popolazione possa non essere sicuro.
Anche sulla base di altre esperienze (v. il nostro, L’attivazione, cit., p. 327, testo e nota 32), rilevata la
necessità di procedere a un’analisi giuridica e fattuale della situazione in un dato Paese (si trattava della
condizione di omosessuali in Albania) e all’esame della valutazione di sicurezza non in generale ma per
l’interessato nel caso concreto, il procuratore Widdrershoven è prevenuto alle seguenti conclusioni: “un
Paese non può essere considerato ‘generalmente’ come un Paese sicuro se vi sono gruppi (di minoranza)
chiaramente identificabili di una certa dimensione, come LGBTI o donne (…). Un Paese non può essere
considerato un paese sicuro se la situazione di sicurezza è mutevole o se alcune parti di tale Paese non sono
sicure, a meno che la parte non sicura riguardi una parte particolarmente piccola di quel Paese” (traduzione
nostra; in proposito v. pure il Report sullo Stato di origine sicuro relativo all’Olanda in
www.asylumineurope.org).
![Page 17: Freedom, Security & Justice: European Legal Studies · 2019. 11. 14. · concetto di Paese di origine sicuro. 1. La rilevanza, nel diritto dell’UE, delle informazioni sul Paese](https://reader035.fdocuments.us/reader035/viewer/2022071417/6114b54abf7f3165430d3f63/html5/thumbnails/17.jpg)
In tema di informazione sui paesi di origine
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dell’uomo e della Corte di cassazione. Le statuizioni di quest’ultima hanno dato luogo
a un preciso orientamento in materia, consolidato da recenti pronunce della stessa
Corte. Il ruolo da riconoscere alle informazioni sul Paese di origine del richiedente
protezione è accresciuto dall’attivazione nell’ordinamento italiano del concetto
di Paese di origine sicuro.
KEYWORDS: procedura di riconoscimento della protezione internazionale –
informazioni sul paese di origine – orientamento della Corte di Cassazione – ruolo
dell’autorità competente ad esaminare la domanda – diritti umani.
ON INFORMATION CONCERNING COUNTRIES OF ORIGIN, IN THE
PROCEDURE FOR THE RECOGNITION OF INTERNATIONAL PROTECTION
ABSTRACT: The UNHCR has provided indications concerning the principles and
methods that should be used in establishing the conditions needed for the recognition
of refugee status. The UNHCR directions show the centrality of the role of the
competent authority in cooperating with applicants for the acquisition of information
on their country of origin. Those same directions also show the importance of the
above-mentioned information, for the purpose of reconstructing the actual situation
of the person who is applying for the refugee status. The discipline contained in the
relevant EU acts is consistent with these indications, which are, in turn, reflected in
developments of judgments of the EU Court of Justice and the European Court of
Human Rights, as well as in numerous rulings of the Court of Cassation. These rulings
have moreover given rise to a specific orientation in the matter, which is consolidated
by recent ordinances. The role of information on the country of origin is increased by
the activation of the concept of the safe country of origin, in the Italian legal system
KEYWORDS: Procedure for international protection – Country of origin information –
Ruling of the italian Court of Cassation – Role of the examiner – Human Rights.