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European Forum for Urban Security Cittadini, città e videosorveglianza uale prezzo siamo disposti a pagare per costruire una società il cui valore assoluto é la sicurezza? Saturare lo spazio pubblico con una miriade di telecamere é in contrasto con il nostro diritto all’anonimato. L’autorità pubblica ha il dovere di giustificare la violazione della nostra vita privata. La Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo tutela tale diritto, ma ci pare indispensabile che le modalità dell’utilizzo delle telecamere e delle immagini siano precisate. Q

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EuropeanForum for

UrbanSecurity

EuropeanForum for

UrbanSecurity

Cittadini, città e videosorveglianza

uale prezzo siamo disposti a pagare per costruire una società il cui valore assoluto é la sicurezza? Saturare lo spazio pubblico con una miriade di telecamere é in contrasto

con il nostro diritto all’anonimato. L’autorità pubblica ha il dovere di giustifi care la violazione della nostra vita privata. La Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo tutela tale diritto, ma ci pare indispensabile che le modalità dell’utilizzo delle telecamere e delle immagini siano precisate. ➤

Ciudadanos, ciudadesy vídeovigilancia

¿Que precio estamos dispuestos a pagar por una sociedad que hace de la seguridad un valor absoluto? La multiplicación constante

de videocámaras para vigilar todo tipo de espaciospúblicos vulnera nuestro derecho al anonimato. LaConvención Europea de los Derechos Humanos nos invita a exigir que las autoridades públicas justifi quen la violación de este derecho. Más aún, hace falta clarifi car como se utilizantanto las cámaras como las imágenes. ➤

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Cittadini, città e videosorveglianzaVerso un utilizzo responsabile e democratico della videosorveglianza

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Questa pubblicazione è il risultato della collabora-zione di tutti i partner del progetto «Cittadini, città e videosorveglianza». E ‘stata pubblicata dal Forum europeo per la Sicurezza Urbana, Roxana Calfa, Sebastian Sperber e Nathalie Bourgeois.

Traduzione: Helga Birkle Helga, Jara Campelo, Charlotte Combe, Kerstin Elsner, Nathalie Elson, Gianfranca Gabbai, John Tyler Tuttle, Mariapia Falcone.

Grafi ca: Pete Jeff s, Marie Aumont, STIPA

Stampato nel giugno 2010da STIPA - MontreuilISBN : 2-913181-37-6N° EAN : 9782913181373

European Forum for Urban Security10 rue des Montiboeufs, Parigi, FranciaTel: + 33 (0) 1 40 64 49 00Fax: + 33 (0) 1 40 64 49 10www.efus.eu [email protected]

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Il progetto « Cittadini, città e videosorveglianza » e questa pubblicazione sono stati realizzati grazie al sostegno della Commissione Europea / Direzione Generale Giustizia Libertà e Sicurezza /Programma Diritti Fondamentali e Cittadinanza.

Questa pubblicazione rispecchia il parere degli autori. La Commissione Europea non puo’ essere ritenuta responsabile del suo contenuto e dell’uso fatto delle informazioni e delle opinioni che contiene.

Ringraziamenti Desideriamo ringraziare vivamente i partner del pro-getto, le città, le regioni e le forze di polizia che, con la loro esperienza e la loro calorosa accoglienza, hanno contribuito alla realizzazione di questo pro-getto e di questa pubblicazione. Esprimiamo inoltre i nostri sentiti ringraziamenti agli esperti per il contributo ai contenuti del progetto e alla redazione di questo libro. Infine, i nostri più sinceri ringraziamenti vanno a tutte le persone incontrate nel corso delle riunioni, delle visite di studio e della conferenza fi nale per la loro professionalità e la loro partecipazione.

Partners:Catherine Schlitz, Christian Beaupère, Guy Geraerts, Serge Lodrini (Liègi,Belgio), Bertrand Binctin Chris-tophe Bois (Le Havre, Francia),Charles Gautier, Dominique Talledec, Eric Fossembas (Saint-Her-blain, Francia), Rossella Selmini, Gian Guido Nobili (Regione Emilia Romagna,Italia), Francesco Scidone, Mariapia Verdona, Marcelo Sasso, Marco Morelli (Genova, Italia), Giorgio Vigo (Regione Veneto, Italia), Ahmed Aboutaleb, Ineke Nierstrazs, Afke Besselink, Niels Witterholt, Nienke Riemersma, Wilco Mastenbroek, Linda Ouwerling, Ciska Scheidel

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(Rotterdam, Paesi Bassi), Manuel Garcia Ayala, Juan Jose Ferrer Planells, Tomás Paris (Ibiza, Spagna), Christopher Ambler, Fox Roger (Polizia del Sussex, Regne Unito), Andrew Bayes, James Farrel (Polizia metropolitana di Londra, Regno Unito).Partners coinvolti: Stanislav Jaburek Lenka Ste-pankov (Brno ,Repubblica Ceca), Bela Danielisz Gabor Gulyàs, Zoltan Nemeth, Krisztina Szego (Bu-dapest, Ungheria).

Esperti:Benjamin Goold (Università d’Oxford, Regno-Unito /Università della Colombia-Britannica, Canada), Je-roen Van Den Hoven (Università technica di Delft ,Paesi-Bassi), Laurent Lim (CNIL, Francia), Maye Seck (Forum Francese per la Securezza Urbana), Peter Squires (Università di Brighton, Regno-Unito), Eric Topfer (Università tecnica di Berlino, Germania).

Altri oratori /persone incontrate:Alessandra Risso, Gianluca Saba, Yuri Piccione, Ri-naldo Sironi, Valerio Piazzi, Piero Anchin, Amerigo Alunno Dario Messina, Furio Truzzi (Genova, Italia), Graeme Gerrad, Brian Watkinson, Hinton Dave, Crawley Ken, Mick Neville, Isabella Sankey, (Londra / Brighton, Regno Unito), Isabelle Mercier, Didier Delorme, Emmanuel Magne, George Pasini, Louis-Jean Despres, M. Pareja, Patrick Aujogue, Jacques Signourel, Thierry Dussauze, Jacques Comby (Lyon, Francia), József Schmidt, Attila Cserép, Richárd Schranz, Péter Rózsas, Endre Szabo, Tivadar Hüttl, Tomáš Koníček, Klára Svobodová (Budapest, Un-gheria), RV de Mulder, Bush Laurie, Zsuzsanna Belé-nyessy, Sylvie Murengerantwari , Caroline Atas (Rot-terdam, Paesi Bassi).

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PrefazioneMichel Marcus , direttore esecutivo del Forum Europeo per la Sicurezza Urbana

Introduzione

Parte I - La sfi da: Conciliare l’utilizzo della videosorveglianza con le libertà individuali

Videosorveglianza e diritti umani Benjamin Goold, Docente, Università di Columbia / Università di Oxford

Valutare la videosorveglianza : Lezioni di una cultura di sorveglianzaPeter Squires, Professore di Criminologia e Politiche Pubbliche, Università di Brighton

«Privacy by design» o la protezione dei dati personali dalla fase di progettazione: il caso della videosorveglianza Jeroen van den Hoven, Professore di Filosofi a morale, Technical University di Delft

Videosorveglianza urbana in Europa: una scelta politica?Eric Töpfer, Ricercatore, Università Tecnica di Berlino

La regolamentazione giuridica della videosorveglianza in EuropaLaurent Lim, consulente, Commissione Nazionale per la protezione dei dati personali e le libertà (CNIL)

Sommariop. 9

p. 13

p. 27

p. 37

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p. 71

p. 88

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Parte II-Verso una Carta per l’uso democratico della videosorveglianza nelle città europee

Invito ad aderire all’iniziativa del FESU per l’uso democratico della videosorveglianza - una intervista al senatore Charles Gautier

1. Perché (raccomandazioni sotto forma di) una carta?

2. I principi della Carta

3. Verso un linguaggio comune della videosorveglianza in Europa: proposta di una segnaletica comune

Parte III- Focus sulle città: utilizzo della videosorveglianza e protezione dei diritti e delle libertà fondamentali

1.Bologna

2.Brno

3.Genova

4.Ibiza

5.Le Havre

p. 107

p. 114

p. 122

p. 153

p. 163

p. 168

p. 174

p. 179

p. 183

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6.Liègi

7.Londra

8.Lione

9.Rotterdam

10.Saint-Herblain

11.Sussex

12.Veneto

Conclusione

p. 187

p. 192

p. 201

p. 205

p. 211

p. 216

p. 224

p. 231

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Le città si densificano e si espandono, moltiplicando le offerte di mobilità, di cultura, di educazione, con conseguente

richiesta di impianti sempre più complessi, con costi di funzionamento elevati. Diversi fl ussi di traffi co si incrociano, le off erte commerciali più invitanti sono in bella mostra sotto gli occhi dei passanti e ne stuz-zicano gli appetiti. La sorveglianza umana 24 ore su 24 diventa impossibile per ragioni economiche, ma le possibilità off erte dall’espansione dell’elettronica, che permette di raccogliere, immagazzinare e incro-ciare dati e informazioni ai fi ni del controllo, o di dis-porre di strumenti a fi ni preventivi o dissuasivi, inci-tano a moltiplicare le telecamere di sorveglianza negli spazi pubblici riservati ai trasporti, utilizzati per grandi raduni, o per esporre merci o oggetti di alto valore commerciale. La prevenzione degli inci-denti tecnici è la fi nalità predominante ricercata con l’installazione di telecamere, le cui immagini non sono unicamente visionate ‘in diretta‘, ma sono anche, sempre più spesso, analizzate dal soft ware. La seconda priorità di tali impianti è quella di preser-vare l’integrità degli impianti pubblici; un cattivo uti-lizzo e il deterioramento volontario richiedono inter-venti tempestivi nel caso di impianti il cui funzionamento può riguardare migliaia di persone.

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Prefazione

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La terza motivazione di tali installazioni è quella di compensare la riduzione del personale incaricato del controllo del buon funzionamento di un impianto. Per tutte queste ragioni, le nostre città sono diven-tate accanite consumatrici di immagini di sorve-glianza. I soggetti che utilizzano tali immagini appartengono sia al settore privato, che a quello pubblico.

È emerso però un quarto motivo, che ha impresso una decisa svolta politica al dibattito. È infatti possi-bile arrestare dei delinquenti che agiscono sulla pub-blica via e negli spazi pubblici grazie alle telecamere di sorveglianza. Tale motivo è nato da una constata-zione negativa, o piuttosto dal sentimento di scarsa fi ducia nell’effi cienza dei servizi di polizia. Aumen-tare il tasso di casi chiariti dovrebbe quindi permet-tere di diminuire le velleità dei delinquenti di passare all’atto. Questo assioma della criminologia di tendenza liberale è basato sul principio che il delin-quente rinuncerà al suo progetto se diventa consape-vole della probabilità di farsi arrestare. È la ragione per la quale è stata utilizzata nei testi uffi ciali questa duplice argomentazione: le telecamere di videosor-veglianza contribuiscono a prevenire la delinquenza e servono ad arrestare i delinquenti. Forse, forse... Siamo sicuri che il gioco vale la candela? Gli studi fi -nora condotti non dimostrano una netta diminu-zione della delinquenza; si riscontrano arresti per atti delittuosi che avevano giustifi cato indagini ap-profondite, ma non si è verifi cato il tanto atteso ef-fetto di massa...e del resto tale attesa non era esente da inquietudini. Per conseguire almeno il secondo obiettivo, e tanto più il primo, occorre piazzare tele-camere dappertutto nelle città, poiché i reati sono distribuiti piuttosto equamente sul territorio urbano. Di conseguenza, a partire da questa soglia, che por-terebbe alla saturazione dello spazio pubblico con

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telecamere di sorveglianza, si entra in una società della diffidenza, segnata dalle restrizioni delle li-bertà. Il dibattito è aperto.

Quale prezzo siamo disposti a pagare per costruire una società il cui valore assoluto è la sicurezza? Una relazione parlamentare francese è stata recente-mente pubblicata a seguito di una serie di calamità naturali. La sua principale conclusione è che occorre interrogarsi sulla necessità di diffondere nuova-mente tra i cittadini una cultura del rischio. Il trion-falismo della tecnologia ha fatto perdere di vista al cittadino la nozione di rischio. Che fare per fargli comprendere che, malgrado la tecnologia, deve essere consapevole del fatto che viviamo in una continua situazione di rischio? Non è forse la stessa domanda che dovremmo porci per quanto riguarda la delinquenza? Non esistono società sicure, senza delinquenza, e i cittadini responsabili dovrebbero interrogarsi e rifi utare qualsiasi mezzo che si vanti di potere eliminare completamente il rischio.

Saturare lo spazio pubblico con una miriade di tele-camere è in contrasto con il nostro diritto all’anoni-mato. L’autorità pubblica ha il dovere di giustifi care la violazione della nostra vita privata. La Conven-zione europea dei diritti dell’uomo tutela tale diritto, ma ci pare indispensabile che le modalità dell’uti-lizzo delle telecamere e delle immagini siano preci-sate. È questo l’obiettivo del lavoro realizzato da professionisti ed esperti, sotto l’egida del Forum.

Michel Marcus Direttore esecutivo del Forum Europeo per la Sicurezza Urbana

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Introduzione L’impennata della videosorveglianza

Il primo decennio del XXI° secolo è iniziato all’insegna di un evento che ha colpito pro-fondamente le menti e segnato le pratiche.

Gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno imposto la sicurezza in quanto priorità sull’agenda mondiale. Da quel momento, sono stati dispiegati a ogni livello e con profusione tutti i mezzi ritenuti utili nella lotta al terrorismo, tra cui la videosorveglianza. Sono state invece relegate in secondo piano le questioni riguar-danti la loro effi cacia, l’incontro tra gli obiettivi ricer-cati e gli strumenti utilizzati, nonché il loro impatto sulle libertà, soprattutto a lungo termine.

Attentati terroristici erano stati commessi già ben prima del 2001, ma non avevano avuto una tale mediatizzazione globale. Non è certo un caso che lo Stato europeo che più regolarmente e più a lungo aveva vissuto l’esperienza drammatica di attentati sul suo territorio, il Regno Unito, sia quello che ha cer-cato maggiormente di sviluppare tutte le risposte possibili, sia in termini di prevenzione, che di resilienza.

La scelta della tecnologia da applicare per far fronte alla crescente domanda di sicurezza da parte dei cit-tadini ha trovato la propria giustifi cazione negli eventi traumatici dell’11 settembre 2001, seguiti da quelli dell’11 marzo 2004 a Madrid e del 7 luglio 2005 a Londra. Da quel momento, il ricorso alla tecnologia non ha mai smesso di espandersi in tutti gli altri paesi europei.

Naturalmente, hanno fatto il giro del mondo sia le immagini impressionanti trasmesse dalla televisione solo poche ore dopo gli attentati di Londra, in cui si vedeva come i presunti terroristi erano giunti sul

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luogo della strage, che l’intervento televisivo del 2008, nel quale il responsabile della videosorve-glianza di Londra la defi niva un fallimento. Passata l’emozione degli eventi, occorreva interrogarsi sulla pertinenza dell’utilizzo della tecnologia nelle azioni di prevenzione, nonché sulla sua effi cacia e sui van-taggi e gli inconvenienti derivanti dal suo utilizzo.

Tali interrogativi sono di attualità sia nei paesi che prevedono di ricorrere a maggiori impianti di video-sorveglianza, come è stato deciso in Francia nel 2008, che in quelli già molto avanzati nel suo utilizzo, come il Regno Unito. Da ormai 25 anni il Regno Unito ha assistito a una crescita esponenziale di tali tecnologie ed è oggi il leader mondiale dell’utilizzo della video-sorveglianza. Tuttavia, da alcuni anni, numerosi voci si sono levate per rimettere in discussione la fonda-tezza del principio della «videosorveglianza onnipre-sente» e per trarre degli insegnamenti dall’esperienza. I britannici oggi rifl ettono sui loro sistemi e in parti-colare sul modo di utilizzarli1. Il nuovo vice primo ministro, Nick Clegg, ha recentemente annunciato che il governo avrebbe predisposto una nuova legge per la tutela dei diritti fondamentali. In una confer-enza stampa, rilasciata il 19 maggio 2010, ha dichia-rato: “Questo governo porrà fi ne a questa cultura dell’in-trusione nella vita privata dei cittadini. È inaccettabile che persone rispettose della legge siano trattate come se avessero qualcosa da nascondere …La videosorveglianza sarà oggetto di leggi su misura2 … ” .

Tali interrogativi sono un tema di crescente attualità anche nelle città europee, in quanto la tecnologia è entrata a far parte delle discussioni per l’elaborazione delle politiche locali e regionali in materia di sicu-rezza. Gli eletti locali devono soddisfare le domande di sicurezza dei loro concittadini, e giustifi care le loro scelte, nel rispetto della trasparenza e dell’esercizio

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1 Strategia nazionale per la videosorveglianza, 20082 Vice primo ministroDiscorso e risposte alla stampa – 19/05/2010, Londra

democratico del processo decisionale. Pur ammet-tendo che la tecnologia off ra agli Stati la risposta più appropriata per contrastare gravi minacce, quali il terrorismo, cosa si fa a livello locale per la preven-zione della criminalità? La maggior parte delle città e delle regioni europee si trova a dovere aff rontare una delinquenza quotidiana, che non ha eff etti spettaco-lari come un attacco terroristico, ma che rappresenta un rischio per il benessere del territorio e può nuocere al suo sviluppo sostenibile. Devono quindi esaminare qualsiasi strumento atto ad aiutarle a garantire la sicurezza dei loro cittadini; non possono di conse-guenza trascurare i potenziali vantaggi della tecnologia.

I cittadini, nel conferire ai loro eletti il mandato di ga-rantire la loro sicurezza, implicitamente danno loro fiducia e fanno affidamento sulle loro decisioni, affi nché le scelte in materia di sicurezza non siano operate a scapito del rispetto dei diritti e delle libertà garantiti dalla legge. Tale fi ducia presuppone d’altro canto che le autorità assumano la responsabilità delle loro scelte e dell’utilizzo trasparente degli strumenti attivati ai fi ni della sicurezza.

Diritto alla sicurezza, diritto alla tutela della vita pri-vata? C’è un ordine di priorità? L’uno prevale sull’altro? In teoria, i cittadini dovrebbero poter go-dere di entrambi i diritti, senza dovere scegliere tra l’uno e l’altro. I due diritti vanno di pari passo in una società democratica e sono garantiti ugualmente sia dalle normative nazionali, che dai testi internazionali, quali la Convenzione europea dei diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa (1950) o la Carta dei diritti fonda-mentali dell’Unione europea (2000). Nella pratica, tuttavia, la possibilità di conciliare sicurezza e libertà

Introduzione

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è lungi dall’essere evidente. La libertà è un diritto ‘debole’, facilmente relativizzato di fronte alle proble-matiche dell’insicurezza. La videosorveglianza è una tecnologia che solleva in tal senso molti interrogativi. Che cosa si può fi lmare? Negli spazi pubblici, esiste un diritto alla vita privata? E come tutelare tale diritto, se esiste? Come evitare di discriminare alcuni gruppi e come mettere i vantaggi di questo dispositivo di sor-veglianza al servizio di tutta la popolazione? Cosa fare perché la videosorveglianza funzioni bene e quando invece si deve ricorrere ad altri strumenti? Quando si rivela effi cace nell’analisi costi-benefi ci? Come tute-lare i dati personali e come evitare di raccoglierli inu-tilmente? Come utilizzare la videosorveglianza coin-volgendo i cittadini, in quanto strumento di prevenzione della criminalità e di garanzia dell’ordine e della tranquillità pubblica?

Una rifl essione e uno scambio di esperienze sulle prassi in materia di videosorveglianza nel rispetto della tutela delle libertà individuali Il progetto europeo « Cittadini, città e videosorve-glianza » è nato appunto per cercare di trovare risposte all’insieme di queste problematiche e per in-dividuare le buone prassi. La riflessione ha potuto svilupparsi grazie al coinvolgimento di dieci partner, ossia le città di Le Havre e Saint-Herblain (Francia), Rotterdam (Paesi Bassi), Liegi (Belgio), Ibiza (Spagna), Genova e le Regioni Veneto e Emilia-Romagna (Italia), le polizie di Londra e del Sussex (Regno Unito), con il contributo di esperti europei. Il progetto ha ottenuto il sostegno fi nanziario della Commissione europea (programma «Diritti fondamentali e cittadinanza «).

Il progetto si era prefi sso lo scopo di fornire alle città le conoscenze e gli strumenti necessari per l’applica-zione di una politica integrata in materia di sicurezza,

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che prenda in considerazione le realtà sociali e le libertà, ponendole sullo stesso piano della tranquil-lità pubblica.

Per raccogliere le sfi de poste dalla videosorveglianza sotto il profi lo dei diritti e delle libertà, i partner del progetto si sono fi ssati l’obiettivo specifi co di appro-fondire la questione fondamentale della responsabi-lità dell’eletto locale, che deve trovare un equilibrio tra la domanda di sicurezza e le scelte strategiche che gli consentono di soddisfarla in modo democratico.

Come lo indica il titolo del progetto, i cittadini sono al centro delle politiche locali. È pertanto fondamentale accordare un’attenzione particolare alle loro esigenze al momento di mettere in opera o di valutare dei dis-positivi di videosorveglianza. Infatti, nella misura in cui tali dispositivi sono essenzialmente destinati ai cittadini, questi ultimi dovrebbero non solo essere consultati, per meglio fare conoscere le loro aspetta-tive e i loro fabbisogni in materia di sicurezza, ma do-vrebbero anche essere pienamente informati sul fun-zionamento, i costi e i vantaggi di tali nuovi impianti. I partner hanno quindi esaminato come prendere in considerazione tali questioni a ciascuna delle tappe della messa in opera di un progetto di videosorve-glianza, dalla sua installazione, al funzionamento, fi no alla valutazione, e hanno dibattuto e proposto soluzioni alternative o complementari.

Inoltre, questo partenariato tra città, regioni, polizie municipali e regionali ha espresso il desiderio e l’am-bizione di elaborare una Carta per un utilizzo democra-tico della videosorveglianza, nel rispetto, cioè, dei diritti fondamentali. L’obiettivo a lungo termine è di mettere in atto le disposizioni di questa carta e di defi nire un label per contrassegnare le città rispettose dei suoi principi e delle sue raccomandazioni.

Introduzione

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L’idea che sottende questa iniziativa congiunta è anche quella di stabilire un linguaggio comune sulla videosorveglianza in Europa, accessibile e compren-sibile per tutti. È un approccio necessario per garan-tire la trasparenza dei processi decisionali politici.

Le città aiutano le città… La metodologia del progetto è basata sulla missione fondamentale del Forum europeo per la sicurezza urbana: « Le città aiutano le città ». Le città, regioni e autorità di polizia avevano espresso il desiderio di migliorare i loro rispettivi sistemi, condividendo le esperienze e avvalendosi degli insegnamenti che se ne potevano trarre. Questo scambio di opinioni è stato arricchito e completato dai contributi di esperti, quali il Forum francese per la sicurezza urbana e un certo numero di professori di importanti università e di alti funzionari, che hanno permesso di arricchire la rifl essione e di collegare ricerca e prassi. Le esperienze di ciascuno dei partner sono state analizzate secondo una griglia di lettura. Questi scambi di prassi e di competenze hanno dato vita alla Carta per un utilizzo democratico della videosorveglianza.

…per elaborare, nell’ambito di una coopera-zione europea, una carta per un utilizzo democratico della videosorveglianza.Fin dalla riunione di avvio del progetto, svoltasi a Pa-rigi nell’aprile del 2009, la quantità delle esperienze e la diversità delle situazioni dei vari partner sono state poste in risalto. In primo luogo le diversità tecniche, con notevoli divari, sia per quanto riguarda il numero di telecamere (da quattro a 60.000!), che il tipo di impianti e le loro funzionalità, nonché la copertura geografi ca. È altresì emersa la diversità dei contesti

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politici: quali autorità possono decidere di installare telecamere di sorveglianza negli spazi pubblici, quali operatori possono essere i gestori degli impianti, quali sono le persone autorizzate a trasmettere le informazioni e quali possono esserne i destinatari, quale ambito giuridico, quali dibattiti sulla videosor-veglianza a livello nazionale e locale (vedi parte III di questa pubblicazione). Si è constatata inoltre una di-versità in termini di leggibilità e di percezione della videosorveglianza da parte dei cittadini delle città partner del progetto: percezione favorevole per gli uni, diffi denza per gli altri, con conseguenti vari livelli di dibattito pubblico sul tema dell’utilizzo delle teleca-mere e della protezione dei diritti fondamentali. Di-versità anche di situazioni e di normative, infi ne, che ha posto in evidenza la difficoltà di giungere a un accordo su quale dovesse essere il campo di applica-zione del progetto: la videosorveglianza unicamente nello spazio pubblico? Come trattare gli spazi semi-pubblici, quelli privati ad uso pubblico? L’imposta-zione prescelta è stata quella di concentrarsi sullo spazio pubblico, per il quale tutti i partner hanno competenza, senza peraltro perdere di vista i sistemi di videosorveglianza degli spazi semipubblici, che costituiscono una parte notevole dei sistemi esistenti e per i quali le conclusioni del progetto potrebbero fornire utili spunti di rifl essione.

Il primo obiettivo del progetto è stato quello di dis-porre di una panoramica delle prassi in materia di videosorveglianza e dei provvedimenti adottati per tutelare la vita privata dei cittadini. Le griglie di let-tura delle prassi dei partner del progetto hanno consentito di vedere in che modo e fi no a che punto la protezione dei dati fosse integrata nelle diff erenti fasi del ciclo di vita di un sistema di videosorveglianza (l’analisi dei bisogni, l’installazione, la gestione e la valutazione).

Introduzione

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Per completare questo quadro generale e avere una comprensione comune della problematica, i partner del progetto, fi n dal primo seminario, che si è svolto nella città di Le Havre dal 3 al 4 giugno 2009, hanno potuto avvalersi del contributo di esperti provenienti da vari ambiti, giuridico, politico/sociologico, tecnico, fi losofi co, nonché di rappresentanti di ONG attive nel campo della tutela dei diritti umani e di associazioni delle forze di polizia.

Gli esperti e i professionisti hanno concordato sulle principali sfide della videosorveglianza negli spazi pubblici, e cioè:

➤ trovare il modo di preservare i codici sociali dell’in-timità nello spazio pubblico videosorvegliato. La te-matica è sviluppata in questa pubblicazione da Ben-jamin Goold. È inoltre trattata nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Stras-burgo, relativa ai ricorsi presentati contro i «paparazzi»;

➤ trovare un buon equilibrio in termini di rapporto costi-benefi ci tra il prezzo che la gente è disposta a pagare, rinunciando a un certo livello di intimità, e i vantaggi che ottiene grazie a una sicurezza poten-ziata. Il che implicherebbe che tutte le decisioni fos-sero prese con la perfetta consapevolezza e la piena conoscenza dei loro eff etti e delle loro conseguenze;

➤ il mancato rispetto delle disposizioni relative alla tutela della sua intimità non è percepito dal cittadino come un fattore molto importante, ma, in fin dei conti, tutte le piccole intrusioni nella vita privata pos-sono assumere alla fi ne proporzioni notevoli, e ogni sviluppo tecnologico può decuplicare questa ten-denza. La tutela della vita privata nello spazio pub-blico è di competenza dell’autorità politica e i soggetti

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interessati dovrebbero essere associati alla defini-zione di questo approccio. È quindi parso necessario prendere in considerazione la tutela dei dati e delle libertà individuali a ogni livello dell’utilizzo della videosorveglianza. In un secondo tempo, il progetto ha consentito di esa-minare in modo particolareggiato le prassi seguite in materia di videosorveglianza in occasione di visite di studio organizzate da tre partner del progetto: il co-mune di Genova (Italia), la polizia metropolitana di Londra e la polizia del Sussex (Regno Unito) e Lione (Francia), città associata al progetto.

Queste visite hanno anzitutto permesso di ottenere in-formazioni dettagliate sull’utilizzo della videosorve-glianza, nonché di vedere sul campo come è gestito un sistema e scambiare opinioni con i vari soggetti che lo gestiscono sulle problematiche e sui vantaggi di questa tecnologia.

La visita di studio a Londra e a Brighton ha in partico-lare fornito informazioni sull’esperienza inglese della videosorveglianza, integrata negli strumenti di investi-gazione per le indagini criminologiche, e ha permesso di avere un’idea sui dibattiti in corso nel Regno Unito sull’impatto di questa tecnologia sulla vita privata, grazie ad incontri con esperti del governo in materia di lotta al terrorismo e con militanti di ONG, tra cui Liberty.

La visita a Genova ha illustrato la realtà di una città ita-liana in cui esistono più sistemi di videosorveglianza, dipendenti da istituzioni diverse. La sfida in questo caso è rappresentata dalla condivisione delle informa-zioni: fi no a che punto e in quali condizioni?

La visita a Lione ha in particolare permesso di com-prendere l’approccio di una città che già aveva accom-

Introduzione

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pagnato il suo sistema di videosorveglianza con una carta etica, e che aveva inoltre creato un centro etico, incaricato di controllare il funzionamento del sistema.

Le visite di studio hanno inoltre posto in risalto il fatto che le città e le regioni utilizzano la videosorveglianza in modo diverso, in funzione degli obiettivi perseguiti, e hanno anche di conseguenza permesso di constare le differenze riguardanti i protocolli di gestione, la comunicazione, i rapporti tra telecamere pubbliche e private e il comportamento dei cittadini, divisi tra sos-tegno e opposizione. È emerso chiaramente che l’im-patto della videosorveglianza varia a seconda della na-tura e della dimensione degli spazi sorvegliati, del tipo di reati, del fatto che la tecnologia sia associata o meno ad altre misure di prevenzione. Le visite hanno d’altra parte permesso di individuare un certo numero di dispositivi e di misure attuate per garantire la tutela della vita privata dei cittadini, tra cui il parametraggio speciale delle telecamere, la forma-zione degli operatori in materia di quadro giuridico disciplinante la tutela dei dati, le carte di buone prassi o di «buon utilizzo» con le quali le città si impegnano a rispettare i diritti fondamentali, nonché i sistemi di su-pervisione indipendente. Le consulenze degli esperti, le visite di studio dei siti, gli incontri con i professionisti locali, le griglie di let-tura per descrivere le prassi dei partner hanno in se-guito servito come punto di partenza e come base delle discussioni dei due seminari di lavoro, che si sono te-nuti a Budapest, dal 2 al 3 dicembre 2009 e a Bologna, dall’11 al 12 marzo 2010. Il seminario di Budapest ha inoltre fornito l’occasione per includere nel progetto alcune prassi dell’Europa centrale, grazie ai contributi locali e alle visite du studio nella città, grazie anche all’incontro con l’ombudsman per la tutela dei dati e con varie ONG ungheresi e ai contributi della città di Brno (Repubblica ceca) e del

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ministero dell’interno della repubblica ceca. Il semi-nario ha permesso di porre in risalto la diffi coltà di tro-vare un linguaggio comune, destinato a rispecchiare problematiche europee diverse, e la necessità di supe-rare le divisioni politiche per trovare un denominatore comune che non sia semplicemente un accordo mi-nimo dei partner. Per esempio, la nozione di una carta « etica », del tutto apprezzata in Francia, non è stata accettata in modo unanime a livello europeo. La solu-zione raggiunta, ossia di una carta per un « utilizzo democratico » della videosorveglianza, traduceva nel miglior modo possibile lo spirito del progetto, che pone il cittadino al centro delle politiche sociali, nel rispetto dell’esercizio democratico del potere rappre-sentativo degli eletti. La scelta tra le nozioni di « video-proiezione» o di « videosorveglianza » è stata anch’essa lungamente dibattuta. Le discussioni si sono ugualmente concentrate sulla creazione di un label per la messa in applicazione della Carta. Tale label dovrebbe essere assegnato alle città che rispettano questi principi. Anche su questo punto i pareri non erano del tutto convergenti: mentre taluni lo hanno visto immediatamente come il prosegui-mento logico del lavoro svolto per la messa in opera della carta, altri hanno espresso delle riserve sull’idea che una città debba essere sottoposta a una valuta-zione per poter ottenere il label. In ogni modo, nell’am-bito di questo progetto non si era previsto di studiare l’istituzione di un label, ma unicamente di esaminarne la fattibilità.

Il seminario di Bologna è servito a individuare i prin-cipi fondamentali della carta, declinati a ogni fase del ciclo di vita del sistema. La sfi da consisteva nel trovare dei principi indipendenti, ma complementari, che pos-sano caratterizzare, nel loro insieme, un utilizzo de-mocratico della videosorveglianza. Ha inoltre fornito l’occasione per proporre un’iniziativa mirante a creare

Introduzione

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un linguaggio comune in tutta Europa nel campo della videosorveglianza, ossia di creare una segnaletica co-mune, standardizzata, in grado di trasmettere un mes-saggio chiaro e completo a qualsiasi cittadino europeo. Numerose discussioni si sono concentrate sulle infor-mazioni indispensabili che dovrebbe comportare tale segnaletica, sulla base di quanto già esiste nelle città e nei paesi partecipanti al progetto. La defi nizione dei sette principi unifi catori che rappresentano il fulcro della Carta per un utilizzo democratico della videosorve-glianza e le spiegazioni e i commenti che li hanno ac-compagnati sono stati stilati dai partner nel corso di un lavoro comune, in occasione di un seminario svol-tosi a Parigi il 9 aprile 2010.

La conferenza fi nale del progetto, ospitata dalla città di Rotterdam dal 27 al 28 maggio 2010, oltre ad es-sere il coronamento dei 18 mesi di lavoro dei partner, ha sottolineato il riconoscimento della responsabilità degli eletti in materia di utilizzo della videosorve-glianza. I sindaci di Rotterdam, Ahmed Aboutaleb e di Saint-Herblain, Charles Gautier, senatore e presi-dente del Forum francese per la sicurezza urbana, in quanto primi fi rmatari della carta, hanno ribadito il fatto che gli amministratori locali sono responsabili dinanzi ai cittadini degli strumenti scelti per l’attua-zione delle loro politiche e che hanno inoltre l’obbligo di trasparenza. I due sindaci hanno invitato le altre città europee a fi rmare la carta. La presente pubblicazione intende rispecchiare, come già indicato, questo lungo lavoro, che ha consentito ai dieci partner europei del progetto di condividere punti di vista con esperti provenienti da diversi paesi eu-ropei, scambiare opinioni sulle prassi sperimentate nelle città, dibattere delle sfi de e delle problematiche poste dalla videosorveglianza in materia di rispetto della vita privata e infi ne formulare alcune proposte miranti a trovare risposte comuni.

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Parte I

➤La sfi da: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza con le libertà individuali

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Nel corso degli ultimi vent’anni, l’utilizzo di telecamere di videosorveglianza si è generalizzato in tutta l’Europa. Sebbene

certi paesi, quali la Francia, la Germania, i Paesi Bassi e l’Italia siano stati all’inizio piuttosto riluttanti a seguire l’esempio del Regno Unito, i sistemi di video-sorveglianza sono ormai installati nelle città di tutto il continente, con la conseguenza che la presenza di telecamere per monitorare le aree pubbliche è diven-tato per un crescente numero di europei un aspetto imprescindibile della vita cittadina. Malgrado il notevole sostegno che buona parte dell’opinione pubblica sembra accordare all’utilizzo dei sistemi di videosorveglianza, tra le conseguenze più serie della diff usione di questa tecnologia si deve citare la preoc-cupazione che possa incidere negativamente sulle libertà civili e sui rapporti tra i cittadini e lo Stato. In particolare, le telecamere di videosorveglianza rappre-sentano una concreta minaccia per la vita privata delle persone e per il libero esercizio dei loro diritti, quali la libertà di espressione e di associazione. Di conse-guenza, è indispensabile che i responsabili della gestione e del funzionamento di questi sistemi siano sensibilizzati ai pericoli legati alla sorveglianza delle aree pubbliche, e che si adoperino per garantire che non costituisca una minaccia per i diritti umani fondamentali.

Il presente capitolo contiene una breve rassegna delle conseguenze della videosorveglianza sui diritti umani e si propone di aiutare i gestori e gli operatori dei sis-temi di controllo a sviluppare politiche e prassi di sor-

I sistemi di videosorveglianza e i diritti umaniBenjamin Goold, Docente, Università della British Columbia Columbia / Università di Oxford

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veglianza delle aree pubbliche coerenti con l’impegno di tutelare i diritti fondamentali degli individui e il rispetto delle libertà civili.

I sistemi di videosorveglianza e il rispetto della vita privataNoi tutti, senza eccezione, abbiamo bisogno di un certo livello di privacy, senza il quale sarebbe impossibile mantenere la propria dignità, sviluppare signifi cative relazioni con gli altri, o semplicemente riflettere nei momenti di solitudine. La privacy è fondamentale per conoscere ed esprimere il proprio io; ci libera infatti dalla preoccupazione di essere costantemente osservati e giudicati dalle persone che ci circondano e ci permette di decidere in modo autonomo come e quando tras-mettere ad altri delle informazioni che ci riguardano3. Per questi motivi, la maggior parte dei paesi riconosce almeno il diritto basilare al rispetto della vita privata e limita la possibilità che individui, enti privati o Stato possano raccogliere informazioni sulla vita privata delle persone, o monitorarle senza il loro consenso e a loro insaputa4.

È importante riconoscere che il diritto al rispetto della vita privata non scompare appena usciamo da casa. Sebbene nessun essere ragionevole si aspetti di godere dello stesso identico livello di privacy per strada e nel salotto di casa propria, la maggior parte di noi si aspetta comunque di avere diritto a una certa privacy e alla le-gittima tutela dell’anonimato quando si trova in un luogo pubblico. In realtà, uno dei grandi piaceri di vivere nelle metropoli o in città di medie dimensioni è appunto la possibilità di perdersi nella folla senza doversi preoccupare di quello che pensano i familiari, gli amici o i colleghi. In parte, potremmo dire che è pro-prio tale promessa di anonimato e di libertà che attira molta gente nelle strade delle città. Parimenti, anche se poche persone, incontrando per caso un amico o un

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3 Per una panoramica delle varie teorie della privacy, vedi: Solove, D.J. (2002), “Conceptualizing Privacy”, California Law Review 90: 1087-1155; Solove, D.J. (2009) Understanding Privacy (Harvard University Press: Cambridge, Mass.); Nissenbaum, H. (2010), Privacy in Context (Stanford University Press: Stanford, California).

4 Una delle aff ermazioni più incisive di tale diritto è sancita nell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che enuncia: “Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.”

5 Vedi: Goold, B.J. (2002), “Privacy Rights and Public Spaces: CCTV and the Problem of the ‘Unobservable Observer’”, Criminal Justice Ethics 21(1) Winter/Spring; and Goold, B.J. (2008) “The Diff erence between Lonely Old Ladies and CCTV Cameras: A Response to Jesper Ryberg”, Res Publica (marzo).

conoscente in un ristorante o in un bar, si aspettano di non essere aff atto oggetto di osservazione o di even-tuali critiche, esistono salde convenzioni sociali che ci aiutano a godere di un ragionevole livello di privacy in tali circostanze. È chiaro che abbiamo diritto a una certa privacy in pubblico5, anche se non possiamo pretendere che sia identica a quella di cui godiamo nello spazio privato della nostra abitazione, o della nostra auto. Per natura, i sistemi di videosorveglianza nelle aree pubbliche limitano tale diritto. Le telecamere di sorve-glianza, per il semplice fatto che ci espongono al rischio di essere osservati ogni qualvolta passeggiamo per strada, ci tolgono la libertà dell’anonimato e ci rendono visibili all’occhio vigile dello Stato. Pur essendo ovvio che rinunciamo a gran parte della nostra privacy quando ci rechiamo in un luogo pubblico, non è valido l’argomento degli utilizzatori della videosorveglianza, quando sottolineano che altre persone in ogni modo ci osservano se siamo in un’area pubblica. Una cosa è essere osservati da un estraneo che passa, un’altra è essere osservato (e probabilmente ripreso) da una tele-camera. Questo tipo di osservazione è di norma più prolungato, più intenso ed è intimamente connesso con il potere dello Stato. Proprio per il fatto che non

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possiamo vedere, né interrogare la persona dietro la telecamera, è diffi cile per noi sapere come comportarci quando ci rendiamo conto di essere osservati, o deci-dere che cosa fare al riguardo. Non sappiamo se le immagini riprese dalle telecamere saranno conservate, né sappiamo chi vi può avere accesso; non possiamo neanche essere sicuri che non saranno male interpre-tate o utilizzate a fi ni impropri. Come lo ha notato il filosofo e criminologo Andrew von Hirsch, essere osservati da telecamere di videosorveglianza “è come svolgere le proprie attività entro uno spazio dotato di specchio unidirezionale, con la consapevolezza che qualcuno ci sta osservando attraverso lo specchio, senza necessariamente sapere chi ci sta osservando o che cosa stia ricercando6.”

Oltre all’evidente intrusione nella vita privata, è questa incertezza causata dalla presenza di teleca-mere di videosorveglianza che rappresenta una delle maggiori minacce alla nostra privacy quando ci troviamo in un luogo pubblico. Di fronte alla pros-pettiva di una videosorveglianza costante, è ragione-vole aspettarsi che alcune persone sopportino diffi -cilmente la perdita della privacy e cambino i loro comportamenti, non perché stanno compiendo un atto riprovevole, bensì perché non vogliono essere oggetto delle attenzioni della polizia o rischiare di essere male interpretate. È probabile che sia questo l’atteggiamento dei giovani e di certe minoranze, che possono già sentirsi ingiustamente controllate dalla polizia e dagli enti locali. Come lo ha sostenuto Giovanni Buttarelli, Garante europeo aggiunto della tutela dei dati personali:

“Il fatto di sentirsi osservati cambia il nostro comporta-mento. In realtà, molti di noi, se sanno di essere osser-vati, possono autocensurarsi. Certamente è quanto avviene in presenza di una videosorveglianza diff usa e

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6 von Hirsch, A. (2000), “The Ethics of Public Television Surveillance” in von Hirsch, A., Garland, D. and Wakefi eld, A. (eds.) Ethical and Social Perspectives on Situational Crime Prevention (Hart Publishing: Oxford)

7 «Legal Restrictions – Surveillance and Fundamental Rights», discorso pronunciato da Giovanni Buttarelli, Garante europeo aggiunto della tutela dei dati personali al Palazzo di Giustizia, Vienna, 19 giugno 2009 (disponibile sul sito: ww.edps.europa.eu/.../site/.../09-06-19_Vienna_surveillance_EN.pdf)

continua. Sapere che ogni nostro movimento o gesto è monitorato da una telecamera può avere un impatto psicologico e spingerci a mutare i nostri comportamenti. Il che costituisce un’interferenza nella nostra vita privata.7”

In che modo gli operatori e i gestori dei sistemi di videosorveglianza devono sforzarsi di garantire che la loro presenza nelle aree pubbliche non costituisca una violazione del diritto alla vita privata o non pro-vochi cambiamenti negativi nel nostro utilizzo degli spazi pubblici? È anzitutto essenziale che tali sistemi siano gestiti conformemente alle legislazioni locali e nazionali e che venga compiuto ogni sforzo per prevenire l’abuso delle telecamere e le intrusioni nella sicurezza del sistema. In secondo luogo, le telecamere di sorveglianza dovrebbero essere utiliz-zate unicamente per le finalità individuate al mo-mento in cui è stata presa la decisione di installarle: si devono evitare i rischi di “function creep” (“scivo-lamento” indebito degli obiettivi verso altre fi nalità). I sistemi devono infi ne essere aperti e trasparenti e le persone incaricate della loro gestione devono essere direttamente responsabili delle loro scelte di fronte al pubblico. Nella consapevolezza che le installazioni di telecamere di videosorveglianza negli spazi pub-blici hanno inevitabilmente un eff etto negativo sulla privacy dei singoli individui, gli operatori e i respon-sabili della videosorveglianza, adottando le imposta-zioni sopraccitate, possono aiutare a minimizzare al

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massimo il rischio della perdita di privacy e garantire che la sorveglianza sia legittima ed appropriata.

I sistemi di videosorveglianza, la libertà di espressione e di associazione Fermo restando che le telecamere di videosorve-glianza incidono negativamente sulla vita privata delle persone, l’uso delle tecnologie di sorveglianza delle aree pubbliche da parte della polizia e dei governi locali può inoltre violare altri diritti umani fondamentali. In particolare, la videosorveglianza può scoraggiare le persone a esercitare il diritto alla libertà di espressione e di associazione negli spazi pubblici. Si tratta di due diritti essenziali per il concetto stesso di autodeterminazione democratica, che devono essere tutelati per garantire a tutti la libertà di organizzarsi secondo le loro opinioni poli-tiche, di criticare le decisioni dei loro rappresentanti eletti e di chiedere ai loro governi di rendere conto del loro operato. Se i cittadini sanno che possono essere ripresi da telecamere ogni qualvolta partecipano a un raduno o a una marcia di protesta, esiste un rischio reale che la presenza di telecamere di sorveglianza possa paralizzare la loro libertà di azione e ridurre le libertà politiche e la partecipazione democratica8. Questo punto è stato recentemente riconosciuto dal Dipartimento della sicurezza nazionale degli Stati Uniti in una valutazione dell’impatto sulla privacy di un sistema di videosorveglianza gestito dal diparti-mento dell’immigrazione e delle dogane degli Stati Uniti:

8 Come aff ermato da Keith Boone, la tutela della privacy è “essenziale per una società democratica, [poiché] garantisce la libertà di esprimere il proprio voto, di tenere discussioni politiche e di associarsi liberamente lontano dagli sguardi e senza timore di rappresaglie.” Di conseguenza, laddove la sorveglianza minaccia la privacy, costituisce anche una minaccia per la libertà politica. Boone, C. K. (1983), “Privacy and Community”, Social Theory and Practice 9(1): 8.

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9 Dipartimento della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Privacy Impact Assessment for the Livewave CCTV System (Settembre 17, 2009). Lo stesso punto è stato sollevato da G. Buttarelli, che ha aff ermato: “La videosorveglianza può scoraggiare comportamenti legittimi, quali proteste contro politiche impopolari. I partecipanti a tali manifestazioni tradizionalmente hanno il diritto di partecipare in modo anonimo a raduni pacifi ci, senza correre il rischio di essere identifi cati o di possibili ripercussioni. La situazione sta fondamentalmente cambiando.” Vedi: “Legal Restrictions – Surveillance and Fundamental Rights”, Discorso pronunciato da Giovanni Buttarelli, Garante europeo aggiunto della tutela dei dati personali, al Palazzo di Giustizia, Vienna, 19 giugno 2009, p. 8.

Le telecamere possono riprendere e registrare le imma-gini delle persone e fornire al governo informazioni su quello che dicono, fanno e leggono nelle aree pubbliche, per esempio filmando un determinato raduno o riunione. Il che può avere un eff etto paralizzante e limi-tare il loro desiderio di avvalersi dei loro diritti di espressione e di associazione”9.

In considerazione della minaccia potenziale che rap-presenta per la libertà di espressione e di associa-zione, è importante che la videosorveglianza sia uti-lizzata unicamente per prevenire la criminalità e promuovere la sicurezza pubblica, e mai allo scopo di raccogliere informazioni sulle idee politiche o sulle attività dei cittadini. Per esempio, se le forze di polizia dovessero utilizzare la videosorveglianza per monitorare una marcia di protesta, al fi ne di mante-nere l’ordine o di evitare violenze, devono accertarsi di non conservare le immagini delle persone, a meno di doverle utilizzare come prova nell’ambito di inda-gini penali. D’altra parte, qualora le immagini di una persona fossero registrate allo scopo di perseguirla per un reato penale, non dovrebbero essere successi-vamente trasmesse ai servizi di sicurezza o ad altre autorità incaricate di fare rispettare la legge, tranne in caso di impellente necessità.

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Oltre a tali restrizioni, la polizia e gli altri utilizzatori della videosorveglianza nelle aree pubbliche devono garantire che il pubblico sia pienamente informato sugli scopi, il funzionamento e i regolamenti del sis-tema. Se si vogliono evitare gli effetti paralizzanti della videosorveglianza, non basta restringere l’uti-lizzo di tali sistemi e adottare adeguati e solidi pro-vvedimenti per la tutela della privacy. Il pubblico deve inoltre essere convinto che non ci saranno abusi di tali sistemi, e che col passare del tempo non saranno utilizzati a scopi politici. E’ particolarmente importante in quei paesi in cui il processo di transi-zione democratica è ancora recente e dove con ogni probabilità sono ancora relativamente freschi nella memoria dei cittadini i ricordi della repressione poli-tica. La fi ducia nelle forze di polizia e nel governo è diffi cile da ottenere e la si può perdere facilmente, e pare evidente che il cattivo utilizzo dei sistemi di videosorveglianza a scopi politici o per altri scopi illegittimi potrebbe minare seriamente tale fi ducia.

Riconciliare sicurezza e sicurezza nazionale e diritti umaniIn certe circostanze è eff ettivamente legittimo e necessario sacrifi care fi no a un certo punto la privacy e altri diritti fondamentali, nell’interesse della sicurezza. Le nostre so-cietà devono essere in grado di difendersi nel miglior modo possibile contro le minacce. Tuttavia, l’onere della prova deve sempre risultare a carico di coloro che aff ermano che tali sacrifi ci sono necessari e che le misure proposte sono pienamente effi caci per proteggere la società.

Giovanni Buttarelli, Garante europeo aggiunto della tutela dei dati personali:

Vienna, giugno 2009 10

Una delle questioni più complesse che deve aff ron-

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10 «Legal Restrictions – Surveillance and Fundamental Rights», Discorso pronunciato da Giovanni Buttarelli, Garante europeo aggiunto della tutela dei dati personali, al Palazzo di Giustizia, Vienna, 19 giugno 2009, p.4 (disponibile sul sito: www.edps.europa.eu/.../site/.../09-06-19_Vienna_surveillance_EN.pdf)

tare la società è quella di trovare il modo di conciliare la domanda di sicurezza della popolazione con la ne-cessità di rispettare e di tutelare i diritti degli indi-vidui. La videosorveglianza nelle aree pubbliche, nelle strade e nei centri cittadini può svolgere un ruolo essenziale per ridurre la criminalità e i disor-dini, ma può altresì rappresentare una seria minaccia per i diritti dei singoli individui e i diritti politici. È pertanto indispensabile che la polizia e gli altri utilizzatori della videosorveglianza tengano presenti i seguenti principi quando installano qualsiasi forma di sorveglianza nei luoghi pubblici:

➤ La videosorveglianza rappresenta inevitabilmente una violazione del diritto al rispetto della vita privata Ne deriva che la polizia e i governi locali hanno l’ob-bligo di fornire una giustifi cazione convincente e le-gittima per l’utilizzo delle telecamere di sorveglianza nelle aree pubbliche e di sviluppare sistemi di controllo e di rendicontazione che si sforzino di minimizzare al massimo gli effetti negativi della videosorveglianza sulla privacy dei cittadini.

➤ La videosorveglianza rappresenta una seria minaccia per l’esercizio della libertà politica Dal momento che la sorveglianza degli spazi pubblici e degli eventi da parte dello Stato può seriamente ridurre la capacità e la volontà delle persone di eser-citare il loro diritto di espressione e di associazione, non deve mai essere utilizzata al fi ne di raccogliere informazioni sulle attività politiche dei cittadini o sulla loro adesione ad associazioni. Gli organismi che utilizzano la videosorveglianza devono essere in

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grado di garantire che le telecamere non saranno uti-lizzate a scopo politico, o al fine di scoraggiare la partecipazione a raduni o proteste.

➤ I cittadini devono essere convinti che gli enti che uti-lizzano la videosorveglianza rispetteranno i loro diritti Occorre rilevare che uno degli aspetti forse più im-portanti è che i cittadini devono potere avere fi ducia negli organismi che utilizzano la videosorveglianza ed essere convinti che rispetteranno i loro diritti, e tale fi ducia deve essere giustifi cata. Anche nei casi in cui la videosorveglianza non è utilizzata per fi ni im-propri, se il pubblico è convinto che i suoi diritti potrebbero essere violati, la presenza di telecamere può minare seriamente la fi ducia nella polizia e nel governo. Non basta che gli organi che utilizzano la videosorveglianza rispettino i diritti degli individui: la gente deve essere inoltre convinta che si impe-gnano a tutelare la privacy e a rispettare la libertà di espressione e di associazione.

Per operare la videosorveglianza, le forze di polizia e gli enti pubblici devono aff rontare una delle esigenze maggiormente sentite nelle società democratiche moderne, e cioè la coerenza tra la domanda di sicu-rezza e l’impegno di tutelare i diritti degli individui. Per conciliare tali obiettivi, la polizia e gli altri organi devono per prima cosa cominciare col riconoscere che spetta allo Stato giustifi care la necessità di os-servare i cittadini, e non ai cittadini spiegare perché non vorrebbero essere osservati. Se si trascura questa verità fondamentale, sarà solo questione di tempo prima che la videosorveglianza incominci a compro-mettere certi diritti.

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Fin dagli anni ’90, la Gran Bretagna ha stanziato massicci investimenti per la rea-lizzazione di sistemi di videosorveglianza,

al punto che il paese conta attualmente il numero più elevato di impianti di questo tipo rispetto al resto del mondo. La questione della proliferazione della videosorveglianza e del diritto dei cittadini al rispetto della vita privata e delle libertà fondamentali ha sus-citato appassionati dibattiti nel corso delle ultime elezioni generali. È vero che la videosorveglianza ha contribuito a diminuire la criminalità nel Regno Unito? Che lezioni si possono trarre dall’esperienza britannica? Risponde a tali interrogativi Peter Squires, Docente di criminologia e di politiche per la sicurezza presso l’Università di Brighton.

Il dispiegamento dei sistemi di videosorveglianza nel Regno Unito può fornire ad altre società un’ottima opportunità per trarre utili insegnamenti. Alcuni po-trebbero ritenere che persino questa aff ermazione sia un punto di partenza troppo controverso. Come lo ha sostenuto la Professoressa Marianne L. Gras nel suo articolo del 2004, The Legal Regulation of CCTV in Europe, anche se il Regno Unito è probabil-mente stato il primo paese in Europa in termini di importanza dei suoi investimenti in materia di videosorveglianza, altri esperti non sono così convinti che i meccanismi britannici di vigilanza giuridica e politica siano andati di pari passo o che il modello britannico debba essere seguito dappertutto.

Valutare la videosorveglianza: insegnamenti che si possono trarre da una cultura della sorveglianza Peter Squires, Professore di Criminologia e Politiche Pubbliche, Università di Brighton

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Nel corso degli ultimi vent’anni, il governo britan-nico è stato il leader mondiale per quanto riguarda gli investimenti in materia di videosorveglianza. Come lo ha aff ermato senza mezzi termini il Ministero bri-tannico dell’Interno: «Sotto molti punti di vista, ab-biamo guidato il resto del mondo, a partire dalle prime introduzioni della videosorveglianza negli anni ’70, fi no al massiccio incremento degli impianti e dell’uso degli anni ’90.» Soltanto tra il 1999 e il 2003, circa 170 milioni di sterline (corrispondenti più o meno a 200 milioni di euro del 2010) sono stati messi a disposizione delle autorità locali per il fi nan-ziamento della videosorveglianza, nel quadro di un processo di gare di appalto, con il risultato che oltre 680 programmi di videosorveglianza sono stati installati nei centri città e altre aree pubbliche in tutta la Gran Bretagna.

Come è forse comprensibile, con la rapida estensione di una tecnologia relativamente ancora nuova e poco conosciuta, furono commessi molti errori; ci è voluto del tempo, e talvolta la lezione è stata dura, prima che si potessero trarre insegnamenti su quello che la videosorveglianza poteva o non poteva ottenere. Benjamin Goold, Professore associato alla Facoltà di legge dell’Università della British Columbia, e prece-dentemente professore incaricato a Oxford, nel 2004 aveva già osato aff ermare che, per quanto il Governo fosse disposto a fi nanziare lo sviluppo di nuovi sis-temi di videosorveglianza in molte città britanniche, «apparentemente non dimostra grande interesse per accertarsi che funzionino eff ettivamente». Ne deriva che la videosorveglianza si è sviluppata molto rapi-damente nel Regno Unito, più rapidamente, in realtà, di quando fosse giustifi cato dal suo impatto o dalla sua effi cacia, dal momento che nelle aree in cui era stata installata il suo eff etto è parso piuttosto trascu-rabile sulla diminuzione del tasso di criminalità.

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Malgrado ciò, ha prevalso un’ondata di grandi aspet-tative, per niente realistiche, sostenute in parte dalla “diabolica alleanza» di dirigenti della polizia entu-siasti, di direttori marketing dell’industria della sicu-rezza e di cittadini timorosi, fi duciosi nelle capacità della videosorveglianza di risolvere molti dei problemi di criminalità e di ordine pubblico delle nostre città.

Come indicato nelle conclusioni di una valutazione del Ministero dell’interno del 2005:

«la [videosorveglianza] è stata “venduta” dai vari go-verni successivi come la risposta ai problemi della criminalità. Pochi degli enti che si precipitarono per ottenere i fondi disponibili hanno intravisto la necessità di dimostrare la sua efficacia....eppure raramente il suo utilizzo si è rivelato la miglior ris-posta possibile per contrastare la criminalità in certe specifi che circostanze.» Con l’aumento degli investi-menti negli impianti di videosorveglianza da parte di altri paesi, l’esperienza del Regno Unito può fornire utili insegnamenti, grazie al trasferimento delle es-perienze, aiutando a evitare gli errori, a sviluppare migliori prassi, a chiarire le questioni in sospeso e perfi no a risparmiare denaro pubblico. Può inoltre dare vita a linee politiche comprovate dai fatti. In un processo decisionale che verte sulla questione fondamentale del potere statale e della sicurezza, da un lato, e del rispetto della privacy e dei diritti dei cittadini, dall’altro lato, le tematiche riguardanti la gestione, la governance e il controllo dei sistemi di videosorveglianza nel Regno Unito possono fornire ad altri paesi un’utile base sulla quale defi nire le loro politiche. L’esperienza britannica può essere un valido insegnamento per il Forum europeo per la sicurezza urbana, che mira a sviluppare un carta etica europea di buone prassi in materia di videosor-veglianza. Più generalmente, l’esperienza britannica

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può inoltre confermare una scomoda verità sulle politiche a favore dell’ordine pubblico e della sicu-rezza. Come già sottolineato da David Garland nel 2001, nel suo libro The culture of control, «Le stra-tegie di controllo della criminalità … non sono state adottate perché hanno dimostrato di potere risolvere i problemi.»

Le linee politiche e le strategie spesso sono adottate perché sono vantaggiose, popolari, poco onerose, coerenti con priorità esistenti, o sostenute da inte-ressi dominanti. Stephen Savage (Professore di cri-minologia e Direttore dell’Istituto di studi sulla gius-tizia penale dell’Università di Portsmouth) ha rilevato che molte politiche in materia di sicurezza degli anni ’90 sono state essenzialmente stimolate dalla poli-tica e dall’ideologia, piuttosto che dalla ricerca. È quindi plausibile sostenere che i vari «CCTV chal-lenge» le gare per i finanziamenti organizzate dal Ministero dell’Interno fin dagli anni ’90 e le loro forme, che corrispondevano ad appalti per i fi nanzia-menti basati su partenariati pubblico-privato, ricer-cavano tanto l’avvio di partnership per la preven-zione della criminalità locale quanto la possibilità di fi nanziare la videosorveglianza stessa. Si può soste-nere che l’industria della videosorveglianza nel Regno Unito è stata la straordinaria benefi ciaria di un concorso di circostanze eccezionali e delle proprie campagne pubblicitarie. Una prossima volta, le cose potrebbero andare diversamente.

In un’epoca in cui le minacce rappresentate dalla criminalità, dalla violenza, dai disordini e dal terro-rismo provocano nuove domande in materia di sicu-rezza, che tradiscono l’allarme delle popolazioni, e in cui si spalancano per le industrie della sicurezza pros-pettive allettanti di nuovi mercati lucrativi, la ricerca dovrebbe orientare i propri studi su due aspetti essen-

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ziali: garantire che i provvedimenti adottati per la prevenzione della criminalità diano eff ettivamente i vantaggi promessi,

accertarsi che tali provvedimenti non diventino dei mezzi onerosi destinati a intensifi care certe politiche in materia di ordine pubblico e di sicurezza già pro-blematiche e disfunzionali, aumentando per esempio i poteri della polizia rispetto ai diritti dei cittadini, o aggravando le tensioni sociali tra i presunti «citta-dini innocenti» e «gli altri», demonizzando la gio-ventù e altri gruppi «visibili», sovvenzionando la si-curezza delle persone agiate e spostando i rischi di criminalità in aree già vulnerabili, facilitando quindi l’emergere di un ordine pubblico condizionato dall’avversione al rischio e in fin dei conti meno responsabile.

Loic Wacquant, autore e sociologo francese, ha constatato tali evoluzioni negli USA nell’ultimo de-cennio e mette in guardia gli europei contro il rischio di cercare di aff rontare i problemi della criminalità unicamente mediante provvedimenti di giustizia penale e misure di sicurezza. Fa rilevare che: «Qual-siasi linea politica che affermi di volere affrontare persino la criminalità violenta con strumenti di gius-tizia penale si condanna da sola all’inefficacia.....aggravando il male che vuole curare.»

Di conseguenza, l’adozione della videosorveglianza nel Regno Unito, che assomiglia alla ricerca della «pallottola magica», destinata a sanare ogni male, accompagnata da un’ondata di sostegno pubblico populista e male informato, non costituisce necessa-riamente la via che potremmo raccomandare ad altri paesi di seguire ciecamente. Non tanto perché la tec-nologia non ha procurato i vantaggi promessi (alcuni dei quali erano comunque esagerati, irrealistici o ir-

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ragionevoli), ma piuttosto perché l’adozione della videosorveglianza richiede la presa in considerazione di molti altri fattori nel campo dell’applicazione della legge e delle prassi da seguire per contrastare la criminalità, se si vuole che tale tecnologia sia inte-grata in modo effi cace nelle infrastrutture della gius-tizia penale e della sicurezza.

Al di fuori del Regno Unito, i cittadini e le autorità possono trovare risposte a tali questioni in modi completamente diversi, e possono desiderare di ins-tallare telecamere di videosorveglianza per aiutarli a risolvere altri tipi di problemi. In un certo senso, questo deve essere proprio il primo punto della nostra rifl essione. Piuttosto di chiederci: che cosa può fare per noi la videosorveglianza? Dovremmo invece chiederci: Quali problemi vogliamo aff rontare e in che modo la videosorveglianza potrebbe aiutarci a risolverli?

Prospettive in materia di mantenimento dell’or-dine e di contrasto alla criminalitàA partire dal 2007, pur riconoscendo che era ancora in corso un “dibattito» sulla questione dell’eff ettiva «efficacia della videosorveglianza per ridurre e prevenire la criminalità», il Ministero dell’interno britannico e l’Associazione dei funzionari di polizia (ACPO) hanno riconosciuto francamente che la videosorveglianza ha contribuito a «proteggere i cit-tadini e ad assistere la polizia» malgrado il fatto che i sistemi di videosorveglianza siano stati sviluppati in modo frammentario, con pochi orientamenti strate-gici, poco controllo e poche regolazioni e che tale ap-proccio ha impedito di massimizzare il potenziale delle nostre infrastrutture di videosorveglianza». Tale «assenza di approccio coordinato per lo svi-luppo della videosorveglianza,» prosegue il rapporto, «presenta rischi signifi cativi in termini di compatibi-

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lità dei sistemi, di costi per avere accesso alle imma-gini e di perdite potenziali nel campo dell’effi cacia operativa.» Ciononostante, come abbiamo notato, oltre a queste questioni essenzialmente operative in materia di valore, impatto ed effi cacia, ci sono molte altre ques-tioni riguardanti la democrazia, i diritti, la cittadi-nanza, il controllo, la responsabilità e i mezzi di ricorso, che incidono negativamente sulla fi ducia del pubblico in materia di mantenimento dell’ordine. Le società che sviluppano i propri sistemi di videosorve-glianza devono prendere in considerazione anche tali aspetti, e non soltanto quelli di ordine tecnico.

Malgrado il fatto che le forze di polizia si dimostrino attualmente disposte a riconoscere le critiche che gli ambienti accademici e quelli della ricerca hanno for-mulato da oltre un decennio, la risposta non implica necessariamente lo smantellamento del complesso sistema di videosorveglianza attualmente in fun-zione. È stata invece avanzata la proposta di una «strategia nazionale» per affrontare gli insuccessi dell’espansione fi no ad ora «selvaggia e incremen-tale» degli impianti in questi ultimi anni. Natural-mente non sarebbe la prima volta che i decisori poli-tici in materia di giustizia penale, al fi ne di superare un insuccesso, invocano una dose «maggiore e migliore» di una soluzione già applicata nel passato e rivelatasi insuffi ciente.

Non è certo sorprendente che la British Security In-dustry Association, l’organizzazione che raggruppa le aziende della sicurezza del Regno Unito, non abbia accolto con favore tale impostazione e che il loro por-tavoce abbia fatto notare che, per quanto la crescita della videosorveglianza sia stata forse frammentaria, le colpe sono delle forze dell’ordine, che non hanno saputo massimizzare il potenziale dei loro sistemi.

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Come in altri settori della giustizia penale, pare pre-valere una preoccupante ‘circolarità del pensiero’. Qualunque siano i problemi associati alla videosor-veglianza, la soluzione proposta è una maggiore videosorveglianza, e sia la polizia, che l’industria della sicurezza sembrano concordare su questo sem-plice fatto. La questione essenziale, però, ed è questo l’insegnamento per gli altri paesi, è di cercare di pen-sare al di fuori di questo schema specifi co e riduttore, andando oltre le telecamere di videosorveglianza.

Più recentemente, un’altra fonte di polizia ha dato un sostegno entusiasta alla videosorveglianza. Nella sua controversa autobiografi a, The Terrorist Hunters, l’ex Commissario aggiunto della polizia londinese, Andy Hayman, ha citato il contributo signifi cativo che a suo avviso le tecnologie di videosorveglianza stanno fornendo alla tutela dell’ordine pubblico: «Malgrado le preoccupazioni espresse da gruppi della società civile, le telecamere di videosorve-glianza, gli impianti di intercettazione e i database che raccolgono le nostre mail e le nostre telefonate, i casellari giudiziari e i registri delle immatricolazioni delle auto, e ogni altro sistema a cui si possa pensare stanno ottenendo ottimi risultati per arrestare i criminali e i terroristi.»

Questo breve commento, con i punti che rende espli-citi e quelli che tace, si ricollega alle innumerevoli tematiche che sono il nocciolo della questione, ossia quale ruolo svolga realmente la videosorveglianza per una gestione effi cace della sicurezza pubblica.

Anzitutto, Hayman elogia il contributo delle tecno-logie di sorveglianza ”malgrado le preoccupazioni espresse da gruppi della società civile», come se ci fosse sempre una contraddizione tra il manteni-mento dell’ordine e la libertà. Non è necessariamente

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il caso, ma il dibattito risale all’istituzione della prima forza di polizia a Londra. Robert Peel, il fonda-tore della Metropolitan Police nel 1829, aveva osser-vato, «La libertà non consiste nel permettere a bande organizzate di ladri di svaligiare le vostre case, né nel lasciare la notte le principali vie londinesi alla mercé di donne ubriache e di vagabondi. Una sorveglianza adattata, gestita adeguatamente e controllata effi ca-cemente può migliorare la sicurezza delle persone, la sicurezza pubblica e la libertà.»

Hayman si riferisce anche a tecnologie di sorve-glianza diverse dalla videosorveglianza, ponendo l’accento sul fatto che tutto il settore del manteni-mento dell’ordine e della sicurezza ha avuto una ra-pida evoluzione nel corso degli ultimi anni, al punto che le implicazioni sociali, il diritto e i principi di governance non si sono ancora adeguati al poten-ziale tecnologico.. Eppure, può verifi carsi una sorta di «deriva», quando le tecnologie sono utilizzate in modi diversi non previsti, con conseguenti investi-menti costosi e inadeguati e presunte soluzioni («adattamenti tecnologici») ineffi caci, che suscitano scetticismo e disillusione quando il sistema non dà i risultati auspicati.

Alcuni di questi problemi si sono certamente posti con l’utilizzo della videosorveglianza nel Regno Unito, per esempio al momento delle indagini per gli attentati suicidi di Londra del 2005, «a causa della mancanza di integrazione del sistema, della scarsa qualità delle immagini e delle diffi coltà per recupe-rare le sequenze riprese dalle telecamere digitali», come lo ha riconosciuto l’Associazione dei funzionari di polizia (ACPO). Inoltre, almeno uno studio è giunto alla conclusione che una migliore illumina-zione delle strade potrebbe avere un impatto signifi -cativamente più positivo sulla criminalità della

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videosorveglianza (Farrington and Welsh, 2002) – e l’illuminazione pubblica è molto meno cara.

Hayman parla dell’uso delle tecnologie di videosor-veglianza per «arrestare i criminali e i terroristi», mentre l’adozione dei sistemi di videosorveglianza delle aree pubbliche del Regno Unito era basata sul potenziale di prevenzione delle telecamere. Si era ri-tenuto che la videosorveglianza, operata in situazioni di prevenzione della criminalità, avrebbe costituito un deterrente per i delinquenti, rendendoli visibili e identifi cabili in aree relativamente poco sorvegliate.

Entrambi questi approcci suggerivano una relazione tra la sorveglianza e la scelta razionale, ossia si rite-neva che il fatto di sapere di essere osservati e ripresi avrebbe influenzato il comportamento dei delin-quenti e li avrebbe dissuasi dal commettere infra-zioni. Nella pratica, tuttavia, la videosorveglianza ha dimostrato di avere un impatto relativamente ridotto su certi tipi di reati, per esempio la violenza interper-sonale (forse perché dovuta all’infl uenza dell’alcol). In realtà, pochissimi dei programmi lanciati per va-lutare l’efficacia delle telecamere sulla criminalità nei centri cittadini approfondirono il loro esame; si limitarono, nella maggior parte dei casi a una valuta-zione dell’impatto della videosorveglianza basandosi sulle statistiche del tasso di criminalità. Ci furono successivamente pochissimi studi per esaminare gli eff etti della videosorveglianza sulla gestione degli in-cidenti, la raccolta di prove, la preparazione dei casi e delle incriminazioni, anche se perfi no i funzionari di polizia si rendevano conto che proprio in tale campo si sarebbero potuti riscontrare alcuni dei vantaggi più importanti del sistema. Un ultimo punto in merito ai commenti di Hayman riguarda quello che potremmo defi nire il «punto di vista della polizia». I più entusiasti sostenitori della

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videosorveglianza sono sovente proprio i membri delle forze dell’ordine, che mostrano interesse a pro-vare qualsiasi nuova tecnologia per il controllo della criminalità venga loro esposta. La polizia non è tut-tavia l’organo più adatto per l’analisi del problema, e a lungo la videosorveglianza è stata paragonata nel Regno Unito a una «cura alla ricerca della malattia». C’era forse una forte sensazione che la videosorve-glianza avrebbe potuto – e anzi che avrebbe dovuto- incidere positivamente sui livelli di criminalità, ma si disponeva di scarse prove della sua effi cacia.

Alcuni osservatori hanno aff ermato con scetticismo che i dirigenti della polizia forse adottavano la videosorve-glianza per potere risparmiare delle risorse e ridurre le pattuglie di polizia in certe aree. In altri periodi, sono stati citati il potere della lobby e il marketing dell’indus-tria della sicurezza. In tal modo, il marketing può avere generato aspettative non realistiche sui risultati che si potevano ottenere grazie alle telecamere di sicurezza.

La valutazione delle prime installazioni di videosor-veglianza si è quindi limitata alle semplici questioni dell’impatto sulla riduzione della criminalità, trascu-rando il ruolo potenzialmente più vasto che potreb-bero svolgere le tecnologie di videosorveglianza in altri settori più vasti per il mantenimento dell’or-dine: possiamo forse dire che questo è un esempio di visione limitata. Quando si esaminano futuri sistemi di videosorveglianza, o quando si devono ammoder-nare o sviluppare quelli esistenti, tali questioni de-vono essere prese adeguatamente in considerazione, poiché certi sistemi devono potere essere adattati per una varietà di fi nalità, come lo hanno riconosciuto il Ministero dell’Interno e l’ACPO. La squadra dell’APCO incaricata della videosorve-glianza si lamenta che»la qualità delle immagini ri-prese con i sistemi di videosorveglianza varia note-

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volmente», mentre è dimostrato che «oltre l’80% delle riprese fornite alla polizia sono lungi dall’es-sere ideali, soprattutto se sono utilizzate per consen-tire l’identifi cazione del sospetto».

Infine, nel settore della videosorveglianza, come in altri settori di lotta alla criminalità, è importante esa-minare l’aspetto riguardante il controllo eff ettuato da staff civile, la responsabilità pubblica e il monitoraggio indipendente. Non solo per aiutare il pubblico a com-prendere le fi nalità della videosorveglianza, ma per anche per farla accettare; oltre a migliorare la fi ducia dei cittadini, può accrescere l’effi cacia dei sistemi di tutela dell’ordine pubblico. È un aspetto spesso tras-curato, anche in un recente documento del Ministero dell’Interno britannico sulla strategia in materia di vi-deorveglianza, che sottolinea la necessità di una colla-borazione tra i vari organi, l’importanza del coinvolgi-mento dei soggetti interessati locali e dei partner e il bisogno di una governance e di un controllo effi cace delle tecniche di videosorveglianza, ma non si pro-nuncia sugli aspetti della responsabilità locale dinanzi ai cittadini. Viene fatto riferimento ai processi nazio-nali di ispezione e di controllo e alle fi gure dell’Infor-mation Commissioner (il Garante per la protezione dei dati) e il Surveillance Commissioner, ma si trascurano gli accordi locali, anche se esistono molti buoni esempi e modelli cui ispirarsi. Questo, al contrario, potrebbe essere un settore nel quale culture politiche diverse, o diff erenti tradizioni nel campo della lotta alla criminalità potrebbero suggerire soluzioni alter-native. Dopo tutto, non si vogliono imporre soluzioni»che vadano bene per tutti» nelle varie culture europee, ma piuttosto si cerca di stimolare il dibattito su questioni che si sono dimostrate rilevanti al momento di prendere in considerazione la videosorveglianza.

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Come lo ha sostenuto Gras, numerosi altri paesi di di-versa cultura, tra cui la Germania, la Francia, i Paesi Bassi e la Svezia possono esigere norme più stringenti di quelle del Regno Unito. La Sig.ra Riches, da parte sua, ha sottolineato nel suo discorso alla conferenza del FESU a Saragozza che nel Regno Unito la video-sorveglianza si è sviluppata in modo essenzialmente pragmatico, senza preoccuparsi troppo delle questioni di monitoraggio e di responsabilità, se non quando i sistemi erano già installati e funzionanti.

CONCLUSIONI Analisi del problema e messa in opera Dopo avere esaminato l’insieme della questione, pos-siamo trarre alcuni insegnamenti importanti dalle mi-gliori esperienze del Regno Unito in materia di instal-lazione e utilizzo delle tecniche di videosorveglianza. Anzitutto, direi che vale la pena notare le conclusioni, in un certo qual senso sorprendenti, di Martin Gill e Angela Spriggs nella loro valutazione del 2005, eff et-tuata per il Ministero dell’interno britannico:

Sarebbe facile concludere che … la videosorveglianza non è effi cace: la maggior parte dei programmi valutati non hanno ridotto il tasso di criminalità, e anche nei casi in cui si è riscontrata una diminuzione, essa non era dovuta essenzialmente alla videosorveglianza; d’altro canto, i programmi di videosorveglianza non hanno dato un maggior senso di sicurezza alle persone, né tantomeno hanno mutato i loro comportamenti.

Con tali conclusioni, ci si potrebbe chiedere perché i sistemi di videosorveglianza si siano talmente svi-luppati nel Regno Unito, fino a raggiungere le di-mensioni attuali. A parte le questioni politiche, dob-biamo anche tenere conto di altri fattori legati all’implementazione dei sistemi di videosorve-

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glianza, che spesso sono stati presi in considerazione troppo tardi e troppo lentamente dai gestori della si-curezza e dalla polizia, in particolare. Come lo hanno rilevato Gill e Spriggs, è fuorviante aff ermare che la videosorveglianza sia stata un fallimento, come del resto sono state esagerate le promesse dell’industria della sicurezza.

Per un’aff ermazione meno assoluta e maggiormente corroborata dai fatti, occorre tenere presente un certo numero di questioni ed esaminare alcuni fattori.

Il tasso di criminalità e gli atti criminosi da soli non sono necessariamente un buon indicatore della cri-minalità o dei problemi di disordini, o dei timori e delle preoccupazioni della popolazione in un’area determinata, né della qualità e della percezione della sicurezza nei quartieri delle città. Le iniziative per il mantenimento dell’ordine e per la prevenzione della criminalità devono prendere in considerazione tale complessità.

Occorre poi esaminare i ruoli e le complesse fi nalità dei sistemi di videosorveglianza: lo sviluppo dei sis-temi di intelligence, la raccolta di prove, la gestione degli incidenti e il mantenimento dell’ordine pub-blico devono essere debitamente riconosciuti. La riduzione della criminalità, grazie alla prevenzione o agli eff etti deterrenti, non è l’unico risultato. Quanto è essenziale, è avere una visione chiara dell’insieme delle fi nalità. Lo ha ben indicato il Ministero dell’In-terno nella sua valutazione della messa in opera dei progetti di videosorveglianza, che risale al 2003: «Nel considerare quale tipo di meccanismo di pre-venzione della criminalità occorre utilizzare, è im-portante conoscere chiaramente i problemi dell’area e sapere con precisione quali sono le capacità del sis-tema di videosorveglianza. Se non c’è incontro tra

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queste due esigenze, la videosorveglianza non è la soluzione giusta.»

Infi ne, i sistemi di videosorveglianza devono essere integrati nelle iniziative già esistenti per la gestione dell’ordine e della criminalità. Potrebbe essere ne-cessario cambiare altri processi di contrasto della criminalità. Era del tutto irrealistico immaginare che la videosorveglianza potesse avere un impatto dura-turo da sola. Parimenti, le priorità della polizia dove-vano essere determinate rispetto ai problemi che richiedevano una soluzione non fondata sul presup-posto che fosse necessaria una sorveglianza mediante telecamere.

A partire dal 1999, le direttive del Ministero dell’in-terno in materia di partenariati per lo sviluppo della videosorveglianza hanno insistito sul fatto che ogni richiesta di fi nanziamento doveva esporre «i criteri per individuare un meccanismo adeguato di preven-zione della criminalità». Vale a dire che le proposte per installare la videosorveglianza dovevano essere sostenute dalla dimostrazione di «principi teorici si-curi per una riduzione della criminalità, sulla base dei quali era ritenuto plausibile che meccanismi ade-guati permettessero al sistema di videosorveglianza di agire contro la criminalità o i problemi di disor-dini, nel contesto attuale.»

Gill e Spriggs hanno tuttavia indicato nella loro rela-zione finale che anche nei casi in cui i progetti di videosorveglianza avevano obiettivi chiari, che «do-vevano essere indicati nei documenti della gara di appalto «, questi ultimi «spesso non costituivano il motore trainante del progetto… e raramente erano integrati nella pratica quotidiana». Pertanto, anche quando le candidature per l’ottenimento dei fi nan-ziamenti contenevano una dimostrazione e un’ana-

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lisi dei problemi, spesso erano trascurate non appena ottenuto il fi nanziamento.

Riduzione della criminalità e impatti sulla sicurezza della collettività Nel proclamare che «è in atto un dibattito sull’effi -cacia della videosorveglianza per ridurre e prevenire la criminalità»,il documento National CCTV Strategy del 2007 del Ministero dell’Interno cercava, come del resto era comprensibile, di mantenere vivo il dibat-tito. Infatti, le dimostrazioni fornite dalle ricerche e dalle valutazioni, in cui si notano risultati contras-tanti, insignifi canti o altrimenti deludenti o inaffi da-bili, forniscono un quadro più convincente.Numerose valutazioni di sistemi di videosorveglianza a livello locale sono state eff ettuate nel Regno Unito dopo le varie ondate successive di installazioni di tali impianti, anche se non sempre sono state molto rigo-rose dal punto di vista metodologico e si sono spesso limitate a una valutazione dell’impatto. Molte furono anche condotte a troppo breve scadenza per fornire una dimostrazione affi dabile della loro reale infl uenza sui trend e sui modelli di criminalità. Detto ciò, nu-merosi progetti più estesi e/o analoghi cominciarono a farsi strada successivamente, accanto a una mag-giore esperienza nel campo della valutazione.

Nel 2002, Brandon Welsh e David Farrington hanno intrapreso per il centro ricerche del Ministero dell’In-terno un’indagine relativa alla valutazione di 46 pro-getti di videosorveglianza in tutto il mondo. I risultati furono piuttosto contrastanti, poiché la metà degli studi «ha constatato un eff etto positivo sulla criminalità» sebbene cinque di essi abbiano rilevato un impatto «non desiderato» e altri cinque non rilevarono alcun impatto significativo. I pro-grammi di videosorveglianza nel Regno Unito in ge-

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nerale mostrarono maggiori impatti rispetto a quelli del Nord America. Inoltre, è stato notato che la video-sorveglianza “non aveva un eff etto sui reati violenti, bensì.....un eff etto signifi cativo e desiderabile sulle infrazioni relative alla guida degli autoveicoli «, e sulle infrazioni nei parcheggi. Infi ne, «nei centri città e nelle zone residenziali, è stato dimostrato che la vi-deosorveglianza ha ottenuto una riduzione trascura-bile della criminalità, intorno al due per cento nelle aree controllate».

Nell’indicare che gli «studi sulla sorveglianza» erano ancora un tema relativamente nuovo, gli autori hanno suggerito la necessità di portare avanti ulteriori ricerche sia sulle condizioni ottimali per l’efficacia della videosorveglianza, che sui meccanismi che consentono di ottenere risultati positivi. È parso piut-tosto evidente che era necessaria una serie appro-priata di interventi per conseguire i migliori risultati. Gli autori hanno concluso con un certo ottimismo che «la videosorveglianza riduce la criminalità in mi-sura ridotta». Hanno inoltre consigliato di fare in modo che «i futuri programmi di videosorveglianza siano implementati attentamente in diverse località e utilizzino impostazioni di valutazione di alta qualità con lunghi periodi di follow-up. Alla fine, un ap-proccio alla prevenzione della criminalità basato su fatti comprovati e che utilizzi il massimo livello di conoscenze scientifiche disponibili offre il miglior mezzo per costruire una società più sicura.»

Tali conclusioni sull’impatto della videosorveglianza sono state confermate in numerosi altri studi ana-loghi, e in particolare nel vasto studio nazionale condotto nel 2005 da Gill e Spriggs. Questi ultimi hanno altresì concluso che la videosorveglianza sembra avere eff etti limitati in materia di riduzione della criminalità nei centri città e nelle zone residen-

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ziali, ma pare funzionare meglio in ubicazioni con superfi ci relativamente ristrette e ad accesso control-lato (ospedali, parcheggi, centri commerciali). La videosorveglianza ha dimostrato inoltre di avere scarsi risultati sulla violenza impulsiva e sui reati le-gati al consumo di alcol, ma migliori risultati per reati più premeditati.

Come negli altri studi, gli autori hanno inoltre fatto notare gli eff etti «alone“ ossia, in altri termini, la ridu-zione della criminalità nelle aree adiacenti e il suo spos-tamento verso altre zone. Le caratteristiche tecniche dei singoli sistemi sembrano avere infl uenze o margi-nalmente positive, o negative sull’effi cacia dei sistemi, ma la loro rilevanza globale è relativamente minima.

Infi ne, le indagini presso membri della popolazione in tutte le aree in cui esiste un sistema di videosorve-glianza hanno indicato pochissimi elementi che per-mettono di individuare cambiamenti signifi cativi nel comportamento o a livello dei timori e delle preoccu-pazioni riguardanti la criminalità.

Gill e Spriggs hanno così concluso: «La videosorve-glianza valutata sulla base delle prove presentate in questa relazione non può essere considerata un suc-cesso. È costata ingenti somme di denaro, e non ha generato i vantaggi previsti.» Tuttavia, hanno prose-guito, si sono tratti degli insegnamenti e la tecnologia si sta rapidamente migliorando, con un nuovo sistema di riconoscimento biometrico «come conseguenza diretta di un evento», proattivo «intelligente», che propone nuove opportunità per la gestione della sicurezza, e nel contempo rappresenta nuove minacce e nuove sfi de. Essenzialmente, le loro conclusioni «basate sulle prove» costituiscono un avvertimento nei confronti della ‘facilistica’ ricerca di nuove soluzioni tecniche. La videosorveglianza altro non è se non uno stru-

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mento, e laddove si è avvertito che è stata un insuc-cesso, si è compreso che era dovuto soprattutto al fatto che le aspettative erano troppo ambiziose, oppure perché era utilizzata in luoghi non adeguati e per problemi per i quali non era adatta. In tali casi, la videosorveglianza può essere stata male program-mata o implementata in modo inappropriato, oppure forse non era stata integrata effi cacemente nelle altre strategie in materia di sicurezza e nei sistemi di ges-tione dell’ordine pubblico della collettività. Kevin Haggarty, criminologo canadese esperto in vi-deosorveglianza, nota che forse uno dei miti sedu-centi che dobbiamo mettere in discussione è la sem-plice ipotesi che esistano «soluzioni di sorveglianza» per i problemi sociali. Quella che il Ministero dell’In-terno ha chiamato nel 2007 «la ricerca… della pa-nacea della videosorveglianza» può rivelarsi futile. Tali «soluzioni» genereranno senza alcun dubbio ul-teriori problemi e dilemmi.

Tra le questioni da prendere in esame in questa sede potremmo esaminare i maggiori benefi ciari della vi-deosorveglianza protettiva: i centri città del Regno Unito, le aree ad alto valore di mercato sono stati i primi a trarne vantaggio, contrariamente alle zone re-sidenziali, ai parchi giochi per i bambini o alle scuole. Non erano necessariamente quelle le priorità più ovvie della collettività, né le aree che più ne avevano bi-sogno, ma la natura degli accordi per i fi nanziamenti nei primi programmi faceva sì che i loro occupanti potessero più facilmente degli altri permettersi di stanziare i co-finanziamenti richiesti per gli investimenti.

Sorge quindi un’altra questione sulle disuguaglianze: contro chi sono essenzialmente rivolte le telecamere, in altri termini, chi sono le persone più frequente-mente sotto sorveglianza. Le questioni legate ai pro-

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cessi di sorveglianza sollevano profondi interrogativi di ordine sociale ed etico.Questi interrogativi etici vanno dalla defi nizione dei problemi di criminalità e di sicurezza che stiamo cer-cando di risolvere, fi no alla progettazione, al monito-raggio e all’integrazione dei sistemi. Comprendono inoltre i processi per il controllo, il monitoraggio, la valutazione, la responsabilità e le procedure di ricorso che devono essere parte integrante di tutte le stra-tegie effi caci per la sicurezza della comunità. Se tali questioni non sono prese in considerazione a ogni livello, e a ogni tappa, emergeranno probabilmente altri problemi, che sminuiranno l’effi cacia del sistema stesso. Per quanto sofisticato possa essere un sis-tema dal punto di vista tecnico, la sua effi cacia dipen-derà dai suoi operatori e migliorerà la sicurezza della collettività unicamente se soddisferà le esigenze e rassicurerà i cittadini per i quali è stato creato. Non dimentichiamo quanto hanno scritto Gill e Spriggs: «Non ci si deve aspettare troppo dalla video-sorveglianza. Rappresenta più di una semplice solu-zione tecnica; richiede l’intervento umano per off rire il massimo della sua effi cacia e i problemi che aiuta a trattare sono molto complessi. Può aiutare a ridurre la criminalità e a stimolare il senso di sicurezza dei cittadini e può anche produrre altri vantaggi. Tut-tavia, per ottenerli, occorre un maggiore riconosci-mento del fatto che ridurre e prevenire la criminalità non è semplice e che soluzioni male preparate hanno scarse probabilità di funzionare, per quanto rilevanti possano essere gli investimenti realizzati».

NOTA: questa è una versione modifi cata del documento del Pro-

fessor Squires. La versione completa è disponibile on line sul sito:

http://www.brighton.ac.uk/sass/contact/details.php?uid=pas1

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Sostengo il principio della tutela dei dati personali nei sistemi di videosorveglianza destinati al mantenimento dell’ordine e

della sicurezza fi n dalla loro progettazione (il cosid-detto ‘Privacy by Design’), poiché permette di supe-rare le profonde controversie ideologiche, politiche e fi losofi che sulla natura e l’importanza della privacy. Il principio “Privacy by Design” sta acquistando rapidamente sempre maggiore importanza nelle politiche di tutela dei dati e nell’ingegneria del soft ware. L’Ue sta promuovendone l’idea e la sos-tiene in quanto nuova norma nelle Linee guida per la videosorveglianza del Garante europeo sulla prote-zione dei dati (GEPD) (Bruxelles, 17 marzo 2010, p. 10):“La tutela dei dati e della vita privata dovrebbe essere inclusa nelle esigenze e nelle specifi che della progettazione della tecnologia utilizzata dalle istitu-zioni e nelle loro prassi”.

Sono convinto che sia questa l’impostazione da seguire, ma sono necessarie due condizioni perché tale idea possa avere successo:➤1 – Si deve comprendere che il principio Privacy by Design o le applicazioni per il miglioramento della privacy (Privacy Enhancing) rientrano in un approccio globale di innovazione tecnologica, chiamato talvolta Value Sensitive Design o Design for Values, ossia la progettazione che prende in considerazione i valori

La Privacy by Design: il caso della videosorveglianza di Jeroen van den HovenUniversità di Delft , Facoltà di Scienze e Tecnologie

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etici. È un approccio che richiede una metodologia specifica, al fine di evitare le improvvisazioni nel campo dell’ingegneria del soft ware, che potrebbero accrescere il rischio di una mancanza di trasparenza, di attendibilità o di responsabilità;

➤2 - Il concetto “Privacy by Design” può rivelarsi un successo unicamente se si hanno idee precise sui valori morali su cui deve poggiare la tutela dei dati e se si dispone di una spiegazione dettagliata e precisa delle giustifi cazioni della necessità della tutela dei dati, poiché tutte le decisioni in materia di progetta-zione, per quanto piccole e apparentemente insigni-fi canti, dovranno essere prese sulla base di conside-razioni morali chiare e convincenti.

La questione della tutela della privacy è al centro di un dibattito di grande attualità tra liberisti e comunitaristi in quasi tutte le democrazie occidentali, in merito al buon equilibrio tra diritti individuali, bene collettivo e interessi della collettività. Nel caso della privacy, il di-battito oppone coloro che affermano la necessità di proteggere la vita privata degli individui, limitando l’accesso alle informazioni personali, e quelli che in-vece credono necessario allargare tale accesso, per il bene di tutta la collettività. Alcuni hanno argomentato che si tratta di un’opposizione fi ttizia; permane nondi-meno una vera tensione, che emerge ogni qualvolta si verifi cano casi di violazione della vita privata, quali ad esempio le attività investigative condotte dalla polizia su internet, la divulgazione di cartelle cliniche a scopi assicurativi o di ricerca epidemiologica, lo scambio e l’incrocio di informazioni tra database per l’individua-zione delle frodi in materia di previdenza sociale, per richiedere informazioni ai provider sul comportamento on-line degli utenti di internet nei casi di giustizia pe-nale e l’utilizzo di sistemi di videosorveglianza nelle aree pubbliche, per la prevenzione della criminalità.

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Il fi losofo della morale e della politica Michael Walzer osserva giustamente che “il liberismo è affl itto dai pro-blemi causati dagli opportunisti, le persone che conti-nuano a godere di vantaggi senza più partecipare alle attività che li generano. Viceversa il comunitarismo è il sogno di una società perfetta, priva di opportunisti. I comunitaristi si aspettano che le tecnologie informa-tiche possano aiutarli a perseguire il loro sogno di una perfetta società, esente da opportunismo.

La privacy è stata oggetto di molte discussioni fi loso-fiche (Nissenbaum, 2004; Roessler 2005; Decew, 1997, Van den Hoven 2009) e numerosi autori hanno esposto le loro diverse visioni sul suo signifi -cato. Spiegazioni concettuali e filosofiche diverse danno risposte diff erenti alla questione del senso e dell’importanza della privacy. Sfortunatamente, non è stato trovato un consenso, che del resto sembra molto improbabile potere ottenere con facilità. La controversia su questo argomento si fa ora più vivace, viste le evoluzioni attuali e l’emergere del concetto che la privacy sia una nozione completa-mente obsoleta (“Hai zero privacy, fattene una ragione”), relegata dalle tecnologie moderne tra i ri-cordi del passato, e che lo si debba accettare come un dato di fatto.

Numerosi concetti diversi sottendono l’idea di pri-vacy, e nessuno sa con precisione che cosa signifi chi veramente, né quali siano le reali incidenze negative esercitate dalle tecnologie, dall’ingegneria del software e dai sistemi di sviluppo. Malgrado le ragioni pratiche, quali la formulazione di leggi, di politiche e di tecnologie, la confusione concettuale e i malintesi sulla natura e l’importanza della privacy hanno provocato a livello della loro applicazione in-decisioni, ritardi, inefficacia, costi elevati e insuc-cessi nei progetti per l’utilizzo delle TIC.

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È oggi necessario «ricostruire» la nozione di privacy, per avanzare e aff rontare le questioni urgenti che si pongono quotidianamente, senza trovarsi impelagati in dibattiti interminabili.

Il ruolo centrale che accordiamo al concetto di pri-vacy quando discutiamo di questioni morali incen-trate sulla protezione dei dati della vita privata confonde le idee e ostacola la ricerca di soluzioni pra-tiche. Si resta pertanto bloccati nella profonda controversia irrisolvibile sulla natura dell’Io e della Collettività, che oppone liberisti e comunitaristi. Non essendo facile schierarsi a favore degli uni o degli altri, propongo di aff rontare la questione partendo da un altro punto di vista e ponendo una semplice do-manda: perché dovremmo proteggere i nostri dati personali? Quali ragioni morali ci spingono a farlo? Possiamo ritenere che dovremmo proteggerli sempli-cemente come proteggiamo, per esempio, i reattori nucleari, i manoscritti medioevali, l’infanzia, o i san-tuari degli uccelli? In tutti questi casi abbiamo buoni motivi per limitare l’accesso, gli orari di visita, defi -nire i comportamenti adeguati e stabilire quali per-sone sono autorizzate ad avvicinarsi e in che modo. In ciascuno dei suddetti esempi, la protezione as-sume forme diverse, con motivazioni e logiche speci-fi che. Quale potrebbe essere la buona ragione morale che giustifi chi la necessità di tutelare i dati personali e di limitare il diritto altrui all’accesso a tali dati?

Le ragioni morali che ci spingono a preoccuparci della tutela dei nostri dati personali sono le stesse che giustifi cano di imporre dei limiti a quello che gli altri possono farne (elaborare, immagazzinare, divulgare, avere accesso). Sono le seguenti :In primo luogo, la protezione degli individui i cui dati personali possono essere a disposizione del pub-blico. In una società dell’informazione, c’è il rischio

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che certe persone possano essere danneggiate appunto perché altri hanno accesso a informazioni personali che le riguardano. È quanto si vorrebbe impedire, evitando cioè che l’utilizzo di dati perso-nali possa arrecare danno agli interessati. La seconda ragione è legata all’equità nel tratta-mento dei dati personali. Tuteliamo i dati personali e abbiamo adottato legislazioni al riguardo perché nella nostra società ci sono numerosi soggetti che vorrebbero potervi avere accesso in modo facile e a buon mercato. Molti individui e molte società hanno ottime ragioni per nascondere al pubblico il valore di mercato dei dati personali e l’utilizzo secondario che se ne potrebbe fare. I contratti off erti ai clienti per avere accesso ai loro dati personali, quali le carte fe-deltà, spesso non sono equi. I regimi di tutela dei dati personali dovrebbero garantire una giusta linea di condotta e tutelare i cittadini contro gli abusi o le inadempienze contrattuali.

La terza ragione riguarda l’equità nella gestione delle informazioni. I dati individuali hanno, per così dire, un « habitat» naturale. Le informazioni sono raccolte e scambiate in un ambito ben defi nito e sono gestite da gruppi determinati di persone, che possono essere medici, funzionari di polizia, direttori delle risorse umane, avvocati, ecc. È illecito divulgare tali informazioni al di fuori dell’ambito sociale cui si rife-riscono; per esempio, non è consentito trasmettere un’informazione dal settore medico a quello com-merciale, o dalla sfera familiare a quella politica. Ciascuna di tali sfere deve essere mantenuta separata.

Infine, la quarta ragione è data dal fatto che ogni individuo ha il diritto di esercitare la propria auto-nomia morale e di controllare il modo come intende presentarsi agli altri. Le persone vogliono essere

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viste come coloro con cui vogliono identificarsi, o come credono di essere. Il che richiede discrezione e una scelta delle informazioni personali che si vogliono divulgare. Richiede inoltre la protezione dei dati e il rispetto del diritto sovrano di ogni individuo sulle informazioni personali.

Value Sensitive Design e Privacy by Design - la progettazione che prende in considerazione i valori eticiIntegrare la sicurezza e la privacy nella progettazione, in architettura e nell’ingegneria non è un’idea com-pletamente nuova. Già nel 18° secolo, il fi losofo Je-remy Bentham aveva indicato quella che a suo avviso avrebbe dovuto essere l’architettura penitenziaria ideale: “La morale riformata, la salute tutelata, l’in-dustria stimolata, l’istruzione diff usa, l’onere pub-blico alleggerito, l’economia stabile come se fosse una roccia, il nodo gordiano delle leggi sulla povertà non reciso, ma sciolto, tutto ciò grazie a una semplice idea architettonica!” La sua idea era che la sicurezza e il controllo dei carcerati sarebbero stati notevolmente migliorati grazie al concetto di una prigione a strut-tura circolare, da lui chiamata “Panopticon», con una torretta di osservazione per le guardie carcerarie situata al centro, per permettere loro di controllare continuamente i detenuti nelle celle disposte intorno. Questo è uno dei primissimi esempi di concetto inte-grato nella progettazione. Oggi, quando si pensa a valori etici integrati nella progettazione di tecnologie ci si riferisce al Value-Sensitive Design (VSD). Il concetto Privacy by Design è una delle applicazioni del Value Sensitive Design.

Il Value Sensitive Design integra i valori morali nella progettazione di elementi e di sistemi tecnici, consi-derando la progettazione da un punto di vista etico, e

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ricercando come i valori morali (p.es. la libertà, l’uguaglianza, la fi ducia, l’autonomia, la privacy o la giustizia) possano essere stimolati o frenati dalla progettazione (Friedman 1997; Friedman 2005). Il Value Sensitive Design pone un’enfasi particolare an-zitutto e specificamente sui valori morali, mentre la progettazione tradizionale si concentra piuttosto su esigenze di funzionamento, quali la rapidità, l’effi -cacia, la capacità di stoccaggio e la facilità di utilizzo. Per quanto la costruzione di una tecnologia di uso semplice possa avere l’eff etto di accrescere la fi ducia dell’utente o il suo senso di autonomia, nell’ambito del Value Sensitive Design l’integrazione dei valori morali nella progettazione è essenzialmente una fi nalità principale, piuttosto che una conseguenza. Il Value Sensitive Design è anche, come ho avuto l’oc-casione di indicarlo in opere precedenti (Van den Hoven 2005: 4), “un modo di lavoro etico, che mira a rendere i valori morali parte integrante della proget-tazione, della ricerca e dello sviluppo tecnologico”.

La progettazione etica (VSD) può essere utilizzata nel campo della protezione dei dati soltanto se si riesce a defi nire chiaramente quali sono i valori mo-rali che si devono integrare nella progettazione di un sistema, e come devono tradursi in “esigenze non funzionali”. La tappa seguente impone di elencare in modo particolareggiato tali esigenze in un insieme di funzioni chiare e precise da assegnare al sistema. Tale metodologia, però, per ora non esiste, e il peri-colo è che, a seguito dell’evoluzione della tecnologia, i sistemi possano diventare ancora meno trasparenti di quanto non lo siano già ora.

La VSD mira a conciliare valori diversi e opposti nella progettazione ingegneristica o nell’innovazione (Van den Hoven 2008b). È direttamente applicabile ai va-lori opposti che sono al centro del dibattito sulla vi-

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deosorveglianza: la sicurezza e la privacy. Nella nostra società, accordiamo importanza alla vita privata, ma nel contempo accordiamo un’uguale im-portanza alla sicurezza e alla disponibilità delle informazioni sui cittadini. Nei dibattiti relativi alla presenza di telecamere di videosorveglianza nelle aree pubbliche si contrappongono appunto queste due tensioni. O accettiamo di rinunciare alla nostra privacy a vantaggio della sicurezza, installando tele-camere dappertutto, o rifi utiamo di farlo in nome del rispetto della vita privata, e ci accontentiamo di una minore sicurezza. I sistemi di videosorveglianza intelligente ci consentono di ottenere entrambi i risultati, poiché la loro architettura intelligente in-tegra le funzioni di sorveglianza con sistemi che limitano il fl usso e la disponibilità delle informazioni registrate.

La prima generazione di telecamere a circuito chiuso offre relativamente poca sicurezza. Le immagini sono confuse e violano la privacy dei passanti poiché registrano la loro presenza nei luoghi che frequen-tano. La seconda generazione offre una qualità di gran lunga superiore e, di conseguenza, una mag-giore sicurezza. Appunto perché la qualità delle immagini è eccellente, sono però più invasive. Attualmente, invece, la terza generazione di sistemi di telecamere “intelligenti” registra unicamente gli eventi sospetti e dispone di una funzione integrata che blocca la ripresa di immagini all’interno di abita-zioni private. È la soluzione perfetta, basata sulla tecnologia, per risolvere il nostro dilemma morale. Per esempio, la polizia di Rotterdam utilizza già questi sistemi «smart», equipaggiati con un soft ware che impedisce agli operatori delle telecamere di riprendere all’interno delle abitazioni private. I parametri tecnologici di questi sistemi intelligenti possono essere impostati in modo talmente preciso,

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da offrire tutti i vantaggi e le funzionalità di una videosorveglianza all’avanguardia, senza violare le norme in materia di tutela dei dati. Mentre i sistemi precedenti erano basati sulla soluzione «tutto o niente», disponiamo oggi di una tecnologia che ci permette di scegliere chi può accedere ai dati regis-trati, a quali condizioni, per quanto tempo saranno immagazzinate le immagini, come utilizzare le riprese e come incorporarle in altri database. Una caratteristica comune a numerose tecnologie innovative e «intelligenti» è il fatto che permettono di conciliare valori o preferenze precedentemente inconciliabili. Per esempio, le tecnologie ambientali intelligenti possono conciliare crescita economica e sviluppo sostenibile e le cosiddette bombe “intelli-genti” contengono la promessa di colpire il nemico senza causare danni ai civili.

Privacy by Design: un’innovazione moraleSembra legittimo aff ermare che, dal momento che la società ha l’obbligo morale di garantire la tutela della vita privata dei cittadini e di mantenere la sicurezza in tutti i luoghi pubblici, ha quindi anche l’obbligo di fare quanto è necessario per soddisfare questi due requi-siti. Siamo pertanto moralmente obbligati a continuare le ricerche e le innovazioni sul modello della Privacy by Design, una tecnologia che ci consente di conciliare sicurezza e tutela della vita privata.

Tale impegno richiede una precisa impostazione della tecnologia e una rifl essione approfondita sulla giustifi -cazione morale della tutela dei dati. Richiede inoltre una metodologia sistematica per collegare entrambe le realtà, la tecnologia e i nostri valori morali.

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Bibliografi aBataya Friedman e.a. Value Sensitive Design: Theories and Methods. Technical Reports, Department of Computer Science and Engineering, University of Washington, 2002. Report 02-12-01. http://www.urbansim.org/papers/vsd-theory-methods-tr.pdf

Jeroen Van den Hoven & John Weckert, Information Technology and Moral Philosophy. Cambridge University Press, 2009.

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La videosorveglianza urbana è diventata per la prima volta una problematica europea nel 1997, quando è stata scelta

tra i temi principali della Conferenza europea “Pre-venzione della criminalità: verso una dimensione europea”, organizzata dalla Presidenza olandese dell’Ue nella città di Noordwijk (Paesi Bassi). Nella dichiarazione fi nale della conferenza, è stato aff er-mato segnatamente che:

“Le telecamere, in quanto strumento per la preven-zione della criminalità, rappresentano, in genere, un mezzo innovativo ed economico per rassicurare i cit-tadini preoccupati per la loro sicurezza. Hanno so-vente un eff etto deterrente per la criminalità e pos-sono servire a fornire prove per perseguire i reati. [Tuttavia], le tecniche delle telecamere di videosorve-glianza dovrebbero essere utilizzate unicamente [nell’ambito di] una politica locale e/o nazionale di prevenzione della criminalità […] e dovrebbero essere controllate da personale debitamente formato […]. Il pubblico dovrebbe essere messo al corrente del loro utilizzo. Dovrebbe essere tutelata la privacy delle persone.”

Si era agli albori della videosorveglianza. Tre anni prima, nel 1994, il Ministero dell’Interno britannico aveva lanciato una “rivoluzione delle telecamere di sorveglianza”, sostenendo finanziariamente una serie di City Challenge Competitions, dotate di una prima tranche di 2 milioni di sterline11. In Francia, il Parlamento aveva promulgato nel 1995 la cosiddetta Legge Pasqua, che autorizzava esplicitamente la

La videosorveglianza nelle città europee: una scelta politica?Eric Töpfer, Ricercatore, Università Tecnica di Berlino

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messa in opera di dispositivi di videosorveglianza in una serie di aree «sensibili» delle principali città francesi. Due anni prima, erano state installate 96 telecamere di sorveglianza nella cittadina di Leval-lois-Perret12, alla periferia di Parigi, che avevano suscitato profonde controversie. Nella Repubblica ceca, è nel 1996 che il governo ha cominciato a fi nanziare iniziative destinate alla lotta contro la cri-minalità locale, che comprendevano l’installazione di sistemi di videosorveglianza. Lo stesso anno, seguendo l’esempio della Repubblica ceca, il diparti-mento della Polizia locale di Lipsia aveva installato nel centro città una telecamera, la prima di tutta la Germania13. Nei Paesi Bassi, il primo sistema è stato inaugurato nel 1998, soltanto un anno dopo la Conferenza di Noordwijk sulla prevenzione della cri-minalità, quando il consiglio comunale della città di Ede ha deciso di installare 12 telecamere per la sor-veglianza notturna di un’area situata nei pressi della stazione centrale14.

Sulla base delle conclusioni della conferenza di Noordwijk, la delegazione francese ha lanciato alla fine del 1998 un dibattito sulla videosorveglianza all’interno del gruppo di lavoro «Cooperazione con la Polizia» (PCWP) del Consiglio dell’Unione europea. Il rapporto del suddetto gruppo ha concluso i lavori indicando che “le autorità locali utilizzano poco i sis-temi di videosorveglianza, eccetto nel Regno Unito e in Finlandia” e aff ermando che il Gruppo di coopera-zione PCWP “avrebbe potuto promuovere lo sviluppo di tali sistemi”15.

Verso l’ubiquità?La videosorveglianza o la “televisione a circuito chiuso”, come era chiamata agli inizi, è nata alla stessa epoca dei primi programmi televisivi. Per nu-

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11Norris, C. e al. (2004): The growth of CCTV. A global perspective on the international diff usion of video surveillance in publicly accessible space. In: Surveillance & Society, Vol. 2, No. 2/3, pp. 110-135 (111).

12Töpfer, E. & Helten, F. (2005): Marianne und ihre Großen Brüder. Videoüberwachung à la Française. In: Bürgerrechte & Polizei/CILIP, No. 81, pp. 48-55.

13Müller, R. (1997): Pilotprojekt zur Videoüberwachung von Kriminalitätsschwerpunkten in der Leipziger Innenstadt. In: Die Polizei, Vol. 88, No. 3, pp. 77-82.

14Gemeente Ede (2000): Ogen in de nacht. Eindevaluatie cameratoezicht Ede. August 2000. Online: http://www.hetccv.nl/binaries/content/assets/ccv/dossiers/bestuurlijk-handhaven/cameratoezicht/1_ede_eff ectevaluatiex2000.pdf.

15 Consiglio dell’Unione europea: Doc. 5045/99, 12 gennaio 1999.

16 Williams, C. (2003): Police surveillance and the emergence of CCTV in the 1960s. In: CCTV, ed. by M. Gill, Leicester: Perpetuity Press, pp. 9-22.

merosi decenni, tuttavia, l’uso delle telecamere di videosorveglianza da parte della polizia è stato limi-tato al controllo e alla gestione del traffi co, oppure, occasionalmente, alla sorveglianza di folle e raduni di massa nel corso di eventi particolarmente impor-tanti o per le investigazioni penali. La videosorve-glianza di aree pubbliche urbane era all’epoca un’eccezione. Nel Regno Unito, per esempio, i sistemi di videosorveglianza erano stati installati soltanto in poche aree di interesse nazionale, quali Westminster e Whitehall, dove la polizia municipale londinese aveva istituito una rete di sorveglianza dopo i disor-dini della fi ne degli anni ‘6016.

Oggi, 13 anni dopo la conferenza svoltasi in Paesi Bassi sulla prevenzione della criminalità, che ha evi-dentemente avviato un processo di trasferimento in-ternazionale di pratiche di polizia, esistono sistemi di videosorveglianza in migliaia di città e cittadine

La videosorveglianza nelle città europee: una scelta politica?

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europee. Come lo aveva già previsto nel 1999 Steve Graham, Professore di geografi a umana presso l’Uni-versità di Durham (Regno Unito) e specialista mon-diale del fenomeno delle cybercittà, pare che la videosorveglianza sia diventata la “quinta utility” della vita urbana moderna, dopo l’acqua, il gas, l’elettricità e le telecomunicazioni17. La diff usione della videosorveglianza, intesa come sorveglianza continua di aree pubbliche urbane, 24 ore su 24 per sette giorni alla settimana, con lo scopo dichiarato di combattere la criminalità e di gestire l’ordine pubblico, è iniziata negli anni 1980. Sono tre i fattori principali che spiegano il «boom» della videosorveglianza nelle città europee:

➤ l’emergere di un nuovo paradigma su cui poggiano le nostre politiche di giustizia penale, per cui l’ap-proccio tradizionale, che considerava il reato essen-zialmente come una devianza individuale, è stato sostituito dall’idea che la criminalità trova piuttosto le proprie radici in gruppi e in luoghi specifi ci, consi-derati «generatori di criminalità». Ne deriva il convin-cimento che il rischio possa essere valutato, preve-nuto e gestito, grazie a metodi statistici attuariali.

➤ il declino dell’industria in quanto base delle eco-nomie urbane e il crescente aumento del consume-rismo e dei servizi, accompagnato dall’emergere del «place marketing», o del «city branding», la valoriz-zazione dell’immagine di una città. Al giorno d’oggi, la sicurezza individuale e pubblica sono considerati elementi essenziali per promuovere l’attrattività di una città, nella competizione globale per gli investi-menti e le attività economiche.

➤ la tendenza verso il decentramento, per cui degli enti locali si sono assunti l’incarico di gestire il controllo della delinquenza locale e dell’ordine

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17 Graham, S. (1999): Towards the fi ft h utility? On the extension and normalisation of CCTV. In: Surveillance, Closed Circuit Television and Social Control, ed. by C. Norris et al. Aldershot: Ashgate, pp. 89-112.

18 Per consultare la teoria dettagliata, vedi McCahill, M. (1998): Beyond Foucault. Towards a contemporary theory of surveillance. In: Surveillance, Closed Circuit Television and social control, ed. by C. Norris et al., Aldershot: Ashgate, pp. 41-65.

19 Lyon, D. (2004): Globalizing surveillance. Comparative and sociological perspectives. In: International Sociology, Vol. 19, No. 2, pp. 135-149 (141-142).

20 Tageblatt. Zeitung für Luxemburg, 12 dicembre 2007.

urbano. Numerosi paesi hanno conferito ai comuni il mandato esplicito di installare telecamere sul loro territorio, al fi ne di combattere la criminalità18.

La diversità nella videosorveglianza delle aree pubbliche in Europa A parte l’aspetto globale dei fattori testé citati, è im-portante prendere in considerazione le specifi cità di ogni paese europeo, i vari contesti socio-economici, i sistemi istituzionali e le esperienze nel campo della criminalità. Come lo fa notare il sociologo canadese David Lyon:“È vero che alcune analogie strutturali e certi problemi comuni che devono aff rontare gli Stati mo-derni possono riprodurre tecniche analoghe in luoghi diversi. [...] È anche vero che il contesto sociale, poli-tico e culturale a livello locale e regionale porterà a sperimentare la sorveglianza in modo diverso. [...] Il mero fatto che esistano nuove tecnologie non è una ragione suffi ciente per utilizzarle”19.

Nel Granducato del Lussemburgo, la prima video-sorveglianza è stata installata in una via cittadina nel 2007, 13 anni dopo il lancio in Gran Bretagna della prima City Challenge Competition.20 In Norvegia,

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esistono solo sei telecamere gestite dalla polizia locale di Oslo, la capitale, installate nel 1999.21 Viceversa, nel Regno Unito si contano approssimati-vamente da 40.000 a 50.000 telecamere in oltre 500 città.22 In Francia, circa 500 comuni- nella maggior parte dei casi grandi agglomerati urbani – gestiscono un totale di 20.000 telecamere di videosorveglianza. Inoltre, il Ministero dell’interno francese ha annunciato nel 2009 che il numero di telecamere utilizzate in tutto il paese sarebbe stato triplicato.23 Nei Paesi Bassi, un quinto dei 443 enti locali utilizza la videosorveglianza nelle aree pubbliche, con un to-tale di circa 4.000 telecamere.24

Nell’Europa orientale, Polonia, Repubblica ceca, Un-gheria e Paesi baltici operano centinaia di telecamere nelle principali città. I paesi dell’Europa meridionale hanno adottato posi-zioni contrastanti nei confronti della videosorve-glianza. Mentre il Portogallo e la Spagna sono stati restii a utilizzarla, la Grecia ha installato all’incirca 1.200 telecamere di videosorveglianza per i Giochi olimpici del 2004, decisione che aveva suscitato le proteste della popolazione. Tuttavia, 200 telecamere sono state mantenute, dopo i Giochi.25 Centinaia di comuni italiani, invece, utilizzano i sistemi di videosorveglianza. In Germania, dove la Conferenza dei Ministri dell’in-terno, nel 2000, aveva caldeggiato l’utilizzo della video-sorveglianza, considerata “strumento appropriato per sostenere il lavoro della polizia”, oggi si contano meno di 200 telecamere in funzione per un totale di circa 30 - 40 città.26 In Austria, che ha lanciato il suo primo sistema nel 1994 nei pressi della stazione ferroviaria di Villach, un’iniziativa a livello federale ha accelerato la diff usione della videosorveglianza dopo il 2005. A seguito di un emendamento della legislazione relativa alla polizia di sicurezza, il Ministero dell’interno ha annunciato l’es-pansione della sorveglianza nelle aree pubbliche.

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21 Winge, S. & Knutsson, J. (2003): An evaluation of the CCTV scheme at Oslo Central Railway Station. In: CCTV, ed. by M. Gill, Leicester: Perpetuity Press, pp. 127-140.

22 Williams, K. S. & Johnstone, C. (2000): The politics of the selective gaze. Closed Circuit Television and the policing of public space. In: Crime, Law and Social Change, Vol. 34, No. 2, pp. 183-210.

23 France Soir, 16 febbraio 2009.

24 Dekkers, S. et al. (2007): Evaluatie Cameratoezicht op Openbare Plaatsen. Éénmeting. Eindrapport. Regioplan publicatienr. 1515. Amsterdam, maggio 2007, p.IV.

25 Samatas, M. (2007): Security and surveillance in the Athens 2004 Olympics. Some lessons from a troubled story. In: International Criminal Justice Review, Vol. 17, No. 3, pp. 220-238.

26 Cifre aggiornate da Töpfer, E. (2005): Polizeiliche Videoüberwa-chung des öff entlichen Raums. Entwicklung und Perspektiven. In: Datenschutz Nachrichten, Vol. 28, No. 2, pp. 5-9.

27 Salzburger Nachrichten, 4 febbraio 2006.

28 heise online, 4 novembre 2005

Nel 2006, cinque città austriache hanno installato dei sistemi di videosorveglianza in 11 aree pubbliche; sono state inoltre presentate domande per l’installazione di impianti in 17 nuove ubicazioni.27

In Danimarca, il governo ha presentato una nuova serie di provvedimenti destinati a rafforzare la sicurezza, comprendenti l’autorizzazione uffi ciale della videosor-veglianza nelle aree pubbliche, una novità rispetto al passato.28 Questa rapida rassegna indica che l’utilizzo della videosorveglianza in Europa varia a seconda dei paesi. Nemmeno all’interno delle città, del resto, lo si può ritenere uniforme, poiché ci sono aree dotate di una fi tta rete di centinaia di telecamere, ed altre zone sorve-gliate unicamente da un sistema più ridotto, compren-dente meno di una dozzina di telecamere.

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Sostegni e normativeLa videosorveglianza è ampiamente sostenuta dai prin-cipali partiti politici e dall’opinione pubblica, come lo dimostrano i sondaggi condotti regolarmente. Nondi-meno, il sostegno varia a seconda dell’ubicazione e della diff usione della sorveglianza. Un’indagine realiz-zata nel 2003 in cinque capitali europee ha indicato che il 90% delle persone intervistate a Londra era a favore della videosorveglianza nelle vie cittadine, mentre a Vienna, soltanto il 25% condivideva questa opinione.29 In Gran Bretagna, dopo il caso Bulger del 1993, è emerso un vasto consenso intorno all’idea che i sistemi di videosorveglianza potrebbero essere la “pallottola d’argento” per sconfi ggere il crimine. Le im-magini dei due ragazzini di 10 anni ripresi mentre rapi-vano in un centro commerciale un bambino di due anni, James Bulger, il cui corpicino mutilato venne ri-trovato due giorni dopo sui binari di una vicina linea ferroviaria vennero trasmesse per settimane su tutti i principali canali televisivi. Le reazioni a questo evento drammatico diedero luogo a riflessioni su una «tec-nica» in grado di prevenire simili orrendi episodi in futuro.30

Tuttavia, la videosorveglianza quale è praticata nel Regno Unito è considerata in alcuni paesi europei come una specie di controllo del tipo “Grande Fratello”. Per esempio, in Germania, il precedente ministro federale dell’Interno, Otto Schily, sostenne la videosorveglianza sulla pubblica via quando questa divenne una ques-tione politica alla fi ne degli anni ’90, ma mise anche in guardia contro una “sorveglianza generalizzata”, rite-nendo che costituiva una violazione sproporzionata dei diritti fondamentali. 31

In un certo senso, tali atteggiamenti si ritrovano nelle norme giuridiche relative alla videosorveglianza di luoghi pubblici. In Gran Bretagna, la prima espansione

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29 Hempel, L. & Töpfer, E. (2004): CCTV in Europe. Final report of the Urbaneye Project. Zentrum Technik und Gesellschaft , TU Berlin. (Urbaneye Working Paper No. 15), p. 44. Online: http://www.urbaneye.net/results/ue_wp15.pdf.

30 McGrath, J. (2004): Loving Big Brother. Surveillance culture and performance space, London: Routledge.

31 Discorso dinanzi al Parlamento federale, 9 novembre 2000. Plenarprotokoll 14/130.

avvenne nel quadro di un vuoto giuridico. La Legge del 1984 sulla protezione dei dati si applica unicamente al trattamento dei dati digitali, tralasciando i sistemi CCTV analogici installati agli inizi dell’era della video-sorveglianza. Inolte, la legge Giustizia penale e ordine pubblico del 1994 autorizzava esplicitamente gli enti locali a predisporre “impianti per riprendere immagini di eventi in qualsiasi area del loro territorio”, e li esone-rava dall’obbligo di versare onerosi canoni di licenza per il sistema di cablaggio, contemplati dalla legge sulle telecomunicazioni. Il quadro normativo è cambiato soltanto con il recepimento della Direttiva Ue sulla pro-tezione dei dati, che ha portato alla modifi ca della Legge sulla protezione dei dati del 1998, e con il recepimento, nel 2000, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nella Legge britannica sui diritti umani.

Contrariamente alla Gran Bretagna, la maggior parte dei paesi europei ha ritenuto fi n dall’inizio che la video-sorveglianza nelle aree pubbliche costituisse una viola-zione dei diritti fondamentali. In Francia, nel 1990, un tribunale amministrativo di Marsiglia si è pronunciato contro il progetto del consiglio municipale di Avignone di installare 93 telecamere di rete, ritenendo che le riprese costituissero una violazione sproporzionata della vita privata. La videosorveglianza nelle aree pub-bliche e la registrazione di sequenze fi lmate vennero autorizzate solo nel 1995, nel quadro della Legge Pasqua, che ne prescriveva l’utilizzo nelle aree dove

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«esista un rischio elevato di aggressioni o furti”. 32

Nell’allora Repubblica federale tedesca, nel 1983, la decisione Census della Corte costituzionale ha svilup-pato il concetto del “diritto all’autodeterminazione in-formativa ”, dichiarando illegale qualsiasi raccolta di dati personali senza il consenso informato dell’interes-sato, tranne in caso di “interesse generale”, in coerenza con il principio di proporzionalità e con una chiara base giuridica. Infatti, la videosorveglianza nelle aree pub-bliche è generalmente regolata in Germania dalla polizia regionale, ed è limitata ai cosiddetti “punti caldi”. In numerosi altri paesi si possono notare ap-procci giuridici analoghi, che limitano l’utilizzo delle telecamere di videosorveglianza a un certo numero di aree più o meno chiaramente defi nite. In alcuni paesi, per esempio l’Ungheria e la Norvegia, la normativa re-lativa alla protezione dei dati costituisce il riferimento per gestire la questione della videosorveglianza; la si-tuazione è oggi analoga nel Regno Unito. Un certo nu-mero di normative relative alla protezione dei dati tratta esplicitamente della videosorveglianza,mentre altre la menzionano unicamente in modo generico. In Gran Bretagna, per esempio, il primo «Codice di buone prassi per l’utilizzo della videosorveglianza» è stato emanato nel 2000 dall’ Information Commissioner (l’autorità incaricata della protezione dei dati personali). 33

Organizzazione e sorveglianzaL’organizzazione della videosorveglianza delle aree pubbliche presenta particolarità diverse nei vari paesi europei, in funzione del loro quadro giuridico. In alcuni paesi, la sorveglianza delle vie cittadine si svolge sotto l’esclusiva responsabilità della polizia, che opera i sistemi di videosorveglianza, di cui è pro-prietaria e ne garantisce il controllo. Per esempio in Germania, è gestita dalle forze di polizia regionale dei Länder, anche se talvolta condividono le informa-zioni con la Polizia federale e con i dipartimenti di

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32 Sezione10 della Legge 95-73 del 21 gennaio 1995 di orientamento e di programmazione in materia di sicurezza.

33 Si troverà la versione riveduta sul sito: http://www.ico.gov.uk/upload/documents/library/data_protection/detailed_specialist_guides/ico_cctvfi nal_2301.pdf.

34 CCTV Image, No. 25 (febbraio 2008), pp. 5-6.

35 Töpfer, E. (2008): Videoüberwachung in Europa. Entwicklung, Perspektiven und Probleme. In: Informatik und Gesellschaft . Verfl echtungen und Perspektiven, ed. by H.-J. Kreowski, Münster: LIT Verlag, pp. 61-82 (65-66).

pubblica sicurezza locali. In Austria, rientra nell’am-bito delle competenze della polizia federale. In Nor-vegia, il sistema di videosorveglianza della città di Oslo è gestito dalla polizia nazionale. In altri paesi, la videosorveglianza è essenzialmente gestita dalle am-ministrazioni locali. Per esempio, in Gran Bretagna si stima che circa l’80% dei sistemi di videosorve-glianza installati nelle vie cittadine sia di proprietà e sia gestito dai consigli comunali. 34

I sistemi di videosorveglianza sono generalmente gestiti dalle forze di polizia comunale o locale nei paesi dove esiste la polizia locale. Molto spesso, la gestione eff ettiva degli impianti è affi data a perso-nale civile, in cooperazione con le forze di polizia co-munali, regionali e/o nazionali.

Esistono anche esempi di partenariati pubblico-pri-vato. Per esempio a Vilnius, capitale della Lituania, le operazioni della sala di controllo sono affi date a una società di sicurezza privata.35 Nel Regno Unito, la prima ondata di sistemi di videosorveglianza è stata sovente co-finanziata da imprese locali e, in numerosi casi, è stato istituito uno stretto collega-mento tra la sala di controllo della videosorveglianza pubblica e i programmi privati “ShopWatch”36. Sempre nel Regno Unito, sono state promosse

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iniziative volte a sensibilizzare e coinvolgere il pub-blico, quali l’esperienza condotta alcuni anni fa nell’area londinese di Shoreditch, dove i residenti ri-cevevano immagini di videosorveglianza sui loro televisori privati. 37

In gran parte, questa diversità organizzativa è certa-mente dovuta alle normative relative al controllo e alle licenze esistenti nei vari paesi. In numerosi paesi, i sistemi di videosorveglianza delle aree pub-bliche sono controllati dalle autorità responsabili della protezione dei dati, normalmente autorizzate a ispezionare i sistemi, a denunciare le cattive prassi, e a raccomandare i miglioramenti necessari per la ges-tione dei dati. Tuttavia, in alcuni paesi i sistemi di videosorveglianza non rientrano nella sfera di com-petenza delle autorità responsabili della protezione dei dati. In Austria, per esempio, il Garante della protezione giuridica (Rechtsschutzbeauftragter) del Ministero dell’Interno ha l’autorità di controllare i sistemi di videosorveglianza prima della loro instal-lazione, ma le sue raccomandazioni non sono vinco-lanti. In Francia, l’autorità responsabile della prote-zione dei dati (il CNIL) è stata superata dalla “Legge Pasqua” che ha creato nuovi enti in ogni provincia, le Commissioni provinciali per la Videosorveglianza (Commissions Départementale de Vidéosurveillance -CDV). Tali commissioni, presiedute da un giudice, esaminano ogni progetto di sistema di videosorve-glianza e i membri votano a favore o contro. La deci-sione fi nale spetta tuttavia al Prefetto, che è il rap-presentante del governo contrale nella provincia. Nella maggior parte dei casi, il Prefetto segue le rac-comandazioni della Commissione.

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36 Coleman, R. (2004): Reclaiming the streets. Surveillance, social control and the city, Cullompton: Willan Publishing.

37 Guardian, 11 gennaio 2006.

38 Töpfer, Eric (2007): Entgrenzte Raumkontrolle? Videoüberwa-chung im Neoliberalismus. In: Kontrollierte Urbanität. Zur Neoliberalisierung städtischer Sicherheitspolitik, ed. by V. Eick et al., Bielefeld: transcript, pp. 193-226 (204-206)

Approccio globale o approccio localeI costi sono un fattore determinante per la diff usione dei sistemi di videosorveglianza. Non è quindi sorprendente constatare che la loro presenza è più limitata nei paesi in cui soltanto i funzionari di po-lizia competenti sono autorizzati a monitorare le immagini trasmesse dalle telecamere nella sala di controllo, rispetto ai paesi che utilizzano invece uno staff civile meno retribuito. In un certo numero di paesi, il governo centrale ha fatto notevoli investimenti per la sorveglianza delle vie delle città. Per esempio nel Regno Unito, il Minis-tero dell’Interno ha finanziato nel periodo 1994 - 1998 quattro serie di City Challenge Competitions per un ammontare totale di 85 milioni di sterline, corrispondenti a circa il 75% del bilancio globale per la prevenzione della criminalità. Dopo il 1998, il nuovo Governo laburista ha seguito la stessa linea politica e ha investito circa 170 milioni di sterline nella “CCTV Initiative” fi no al 2002.38

Tra gli altri paesi che hanno fatto importanti investi-menti in questo settore fi gurano la Repubblica ceca, dove il budget per la prevenzione della criminalità comprende un cospicuo stanziamento di fondi per i sistemi di videosorveglianza, come pure l’Italia e la Germania, i cui governi regionali hanno stanziato contributi per l’installazione di tali sistemi.

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I governi nazionali e/o regionali europei hanno promosso l’adozione a livello locale di sistemi di videosorveglianza non solo mediante normative e stanziando risorse finanziarie, ma anche definen-done l’uso. In numerosi paesi, il governo centrale ha stilato delle linee guida rivolte alle autorità locali, per evitare di «reinventare la ruota» a livello locale. L’opuscolo redatto dal Ministero dell’Interno del Regno Unito “CCTV: Looking Out For You”, pubbli-cato nel 1994, è uno dei primi esempi, anche se all’epoca aveva essenzialmente lo scopo di promuo-vere il sistema, e non quello di fornire delle linee guida. La guida Handreiking Cameratoezicht del governo olandese, pubblicata nel 2000 e distribuita a tutti i comuni del paese, è già più dettagliata. Pre-senta una rassegna delle esperienze di videosorve-glianza nelle aree pubbliche nei Paesi Bassi e all’es-tero, e fornisce informazioni sugli aspetti tecnici dei sistemi di controllo, nonché strumenti pratici, quali una check-list e un CD contenente informazioni complementari.39 Il Governo belga ha elaborato un documento analogo, che fornisce linee guida, consigli e promuove lo scambio di esperienze.

Nel Regno Unito, l’espansione dei sistemi di video-sorveglianza e le discussioni sulla loro effi cacia per combattere la criminalità hanno sollevato crescenti critiche negli ultimi anni, in particolare dopo la pub-blicazione di una valutazione nazionale nel 2005, per cui il Ministero dell’Interno e l’Associazione dei funzionari di Polizia ha pubblicato nel 2007 una “National CCTV Strategy”. Il documento contiene 44 raccomandazioni destinate a ottenere “migliora-menti potenziali”. Tra l’altro, raccomanda la stan-dardizzazione di tutti gli aspetti dei sistemi di video-sorveglianza, la creazione di un network di immagini riprese e immagazzinate, la formazione di tutto il personale, e invita a una migliore sinergia tra i vari

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39 Tali linee guida sono aggiornate regolarmente. La versione attuale è scaricabile dal sito: http://www.hetccv.nl/binaries/content/assets/ccv/dossiers/bestuurlijk-handhaven/cameratoezicht/handreiking_cameratoe-zicht_mei_2009.pdf.

40 Gerrard, G. et al.. (2007): National CCTV Strategy. Londra: Ministero dell‘interno.

attori coinvolti nella gestione degli impianti. Solle-cita inoltre maggiori poteri per l’Information Commis-sioner, al fi ne di garantire la conformità con la Legge sulla protezione dei dati. Tale strategia è stata soste-nuta con la creazione di un Consiglio per una stra-tegia nazionale della videosorveglianza, che avrà il compito di fornire consulenze su come mettere in atto le raccomandazioni contenute nel rapporto e coordinare le attività future. 40

La Francia segue lo stesso indirizzo, e il governo sta attualmente elaborando una strategia nazionale per la videosorveglianza.

La maggior parte degli altri paesi europei non ha an-cora raggiunto tale livello di elaborazione di un ap-proccio strategico e si limita a lasciare essenzial-mente alle iniziative locali lo sviluppo della videosorveglianza.

Scelta politica o spinta tecnologica?Come lo si è potuto constare, il panorama della videosorveglianza urbana in Europa è caratterizzato da un’estrema diversità, in termini di sostegno poli-tico, di normative, di organizzazione, di regimi per la tutela dei dati e di strategie nazionali. La sua evolu-zione nelle aree pubbliche varia a seconda dell’am-bito istituzionale di ogni paese, nonché delle risorse

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fi nanziarie stanziate e, fattore non meno importante, del consenso del pubblico.

In tutta Europa, il motore del suo sviluppo è costi-tuito tuttavia dal livello locale. Funzionari pubblici, politici locali e forze di polizia sostengono o impe-discono lo sviluppo dei sistemi di videosorveglianza in funzione delle loro opinioni, dei loro interessi e delle loro intenzioni.

Fino a che punto, però, si può ritenere che siano i po-litici ad influenzare l’evoluzione della videosorve-glianza, piuttosto che la tecnologia? Le telecamere di videosorveglianza sono utilizzate da oltre 50 anni per monitorare le aree pubbliche ai fi ni del mantenimento dell’ordine. A partire dagli anni ’90, si è assistito a un’espansione massiccia della videosorveglianza, promossa in quanto strumento effi cace per la lotta alla criminalità. Nel contempo, degli studi e delle va-lutazioni si interrogano sulla sua eff ettiva effi cacia in quanto «pallottola d’argento» contro la criminalità. Oggi, nei dibattiti pubblici, per giustifi care l’utilità della videosorveglianza si pone l’accento non più sulla prevenzione della criminalità, bensì sulle inda-gini penali e si presenta la videosorveglianza come un utile elemento di prova nelle indagini per un reato.

Oggi, i sistemi di videosorveglianza non si limitano alla prevenzione della criminalità. Un sistema, una volta installato, può essere utilizzato per controllare infrazioni quali i rifi uti gettati per terra o il mancato rispetto del divieto di parcheggio, oppure per osser-vare il personale municipale che opera nelle strade. Può inoltre essere usato per la gestione di grandi eventi pubblici o per qualsiasi importante emergenza.

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Si fa strada una nuova tendenza, con la messa in rete di sistemi cosiddetti «discreti». La polizia e le altre forze dell’ordine richiedono un accesso in tempo reale alle immagini riprese dalle telecamere di video-sorveglianza di un sistema di trasporti pubblici citta-dini, per esempio, o di altri importanti luoghi pubblici o privati. Le aree pubbliche sono al giorno d’oggi equipaggiate con una fi tta rete di sistemi di videosor-veglianza. 41

Allo scopo di trattare il crescente numero di imma-gini, la sorveglianza algoritmica sta soppiantando i metodi tradizionali, con la conseguenza che decisioni di fondamentale importanza sono delegate a una tecnologia biometrica attraverso scatole nere, al rico-noscimento automatico delle immagini e a sistemi di supporto alle decisioni basati su GIS. Pertanto, dal momento che diventa sempre più diffi cile per i citta-dini e i decisori pubblici comprendere le forme e le funzioni dei network dei sistemi di videosorveglianza semi automatici, questa tendenza attuale solleva seri interrogativi sulla trasparenza e la responsabilità de-mocratica della sorveglianza urbana contemporanea.

L’espansione e l’evoluzione della videosorveglianza in Europa hanno raggiunto uno stadio in cui è diven-tato ora urgente discutere, sviluppare e implementare principi comuni per il suo utilizzo.

41 Termine utilizzato da McCahill, M. (2002): The surveillance web. The rise of visual surveillance in an English city, Cullompton, Devon, UK: Willan Publishing.

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Le telecamere di sorveglianza sono utiliz-zate oggi in misura più o meno massiccia in tutto il mondo per controllare gli spazi

pubblici e privati. I sistemi di videosorveglianza, associati allo sviluppo tecnologico generale che rende sempre più facile l’acquisizione delle imma-gini, si perfezionano ed evolvono rapidamente.

In tal modo, gli strumenti di videosorveglianza oggi propongono soprattutto la trasmissione delle imma-gini via Internet (Video IP), interfacce di gestione in grado di integrarsi in ambiente burotico, qualità delle immagini e capacità di archiviazione sempre più avanzate. Sono disponibili soft ware di segnala-zione di allarmi basati su una lettura «intelligente» delle immagini, che dovrebbero evolversi per off rire possibilità di analisi ancora più avanzate, segnata-mente con l’uso di immagini video associate ad altre tecnologie (riconoscimento sonoro, riconoscimento facciale).

Le future evoluzioni, la diversifi cazione degli utilizzi e la maturità del mercato della videosorveglianza pongono alcune sfi de alle norme giuridiche europee e nazionali che delimitano specifi camente l’utilizzo della videosorveglianza o trattano in modo generico la protezione dei dati di carattere personale.

Se le istituzioni europee hanno disciplinato abbas-tanza presto la raccolta e l’uso dei dati di carattere personale, i primi strumenti che trattano specifi ca-mente la problematica dell’inquadramento sono apparsi solo di recente.

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L’inquadramento giuridico della videosorveglianza in EuropaLaurent Lim, consulente, Commissione Nazionale per i dati pesonali e le libertà (CNIL)

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A livello nazionale, le legislazioni degli Stati membri dell’Unione europea, benché fi ssino norme e condi-zioni diverse, consentono di ricorrere alla videosorveglianza.

In Europa, si pone il problema di conformare l’uso dei sistemi di videosorveglianza alla direttiva sulla protezione dei dati e vedremo che esistono risposte legislative diverse al modo di inquadrare giuridica-mente tali sistemi. Giova sottolineare che la legge non è necessariamente l’unico strumento giuridico per inquadrare la videosorveglianza: devono essere prese in considerazione la giurisprudenza, le risolu-zioni, i pareri e le raccomandazioni delle istituzioni europee o nazionali, nonché delle autorità di prote-zione dei dati. Infi ne, alcuni codici di buone prassi o carte etiche costituiscono strumenti particolarmente utili all’autoregolamentazione.

I. IL QUADRO GIURIDICO EUROPEOTaluni principi fondamentali sono stati adottati a li-vello europeo in materia di protezione dei diritti e delle libertà fondamentali nonché per la protezione dei dati di carattere personale. Questi testi riguardano anche il trattamento dei dati nell’ambito di opera-zioni di videosorveglianza.

A. Le garanzie fondamentali dei testi del Consiglio d’EuropaLa convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottata a Roma il 4 novembre 1950 dal Consiglio d’Europa, all’articolo 8 enuncia il Diritto al rispetto della vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.

Tale convenzione è stata completata dal IV protocollo addizionale del 16 settembre 1963, che all’articolo 2

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garantisce la libertà di circolazione per chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato.

Tra l’altro, la Convenzione n°108/1981 per la prote-zione delle persone relativamente al trattamento auto-matizzato dei dati di carattere personale, adottata dal Consiglio d’Europa il 28 gennaio 1981 e ratifi cata da 40 Stati europei, è il primo strumento internazionale vinco-lante inteso a fi ssare norme minime per proteggere gli individui da abusi, che potrebbero intervenire in caso di raccolta e trattamento dei dati di carattere personale che li riguardano.

Si applica ai settori pubblico e privato ed enuncia alcuni principi generali riguardanti la raccolta, il trattamento e la comunicazione dei dati di carattere personale attra-verso le nuove tecnologie dell’informazione.

Le attività di videosorveglianza rientrano nel suo campo di applicazione, nella misura in cui implicano il tratta-mento dei dati di carattere personale secondo la Conven-zione n° 108, e nella misura in cui il comitato consultivo, istituito da tale Convenzione, ha ritenuto che voci e im-magini devono essere considerate dati personali, ove forniscano informazioni su un individuo rendendolo, anche se indirettamente, identifi cabile.

Tali principi riguardano segnatamente la liceità e la lealtà della raccolta e del trattamento automatico dei dati per-sonali, il principio della loro registrazione per finalità determinate e legittime, il mancato utilizzo dei dati per scopi incompatibili con tali fi nalità, il limite della durata di conservazione al periodo strettamente necessario, il carattere adeguato e non eccedente le fi nalità perseguite, e la pertinenza dei dati e l’obbligo di aggiornamento. La Convenzione vieta il trattamento dei dati « sensibili » (relativi all’origine razziale, le opinioni politiche, la sa-lute, la religione, la vita sessuale) e garantisce anche il

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diritto delle persone interessate di conoscere le informa-zioni raccolte che le riguardano e, se del caso, di chiedere delle rettifi che.

La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha avuto modo di delimitare tali garanzie in materia di videosorveglianza. Ha infatti stabilito che, nell’ambito di campagne di lotta contro il crimine, la rivelazione e la pubblicazione sui media di immagini tratte da sistemi di videosorveglianza pubblica, all’insaputa dell’individuo fi lmato, costituis-cono una violazione dell’articolo 8 42.

Per rispondere alla necessità di proporre un quadro giuridico più specifi co per le operazioni di videosorve-glianza, e dopo avere constatato « con preoccupazione che le leggi nazionali in materia sono lungi dall’essere omogenee », l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, il 25 gennaio 2008, ha adottato la risoluzione n°1604, mediante la quale invita formalmente gli Stati membri del Consiglio d’Europa ad applicare un insieme di « principi di orientamento per la protezione degli indi-vidui rispetto alla raccolta e la trattamento dei dati tramite videosorveglianza ».

Tali principi, in numero di dodici, riprendono e appli-cano in materia di videosorveglianza i principi stabiliti dagli strumenti del Consiglio d’Europa e insistono in modo particolare sulla necessità: di un utilizzo perti-nente, adeguato e non eccedente le fi nalità; di evitare che i dati raccolti siano indicizzati, confrontati o conservati senza necessità; di non impegnarsi in attività di video-sorveglianza se il trattamento dei dati di carattere perso-nale rischia di trasformarsi in una discriminazione contro taluni individui o gruppi di individui solo a motivo delle loro opinioni politiche, del loro credo reli-gioso della loro salute o della loro vita sessuale, o della

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42 Sentenza della camera del 28/01/2003 Peck contro Regno Unito App. 44647/98

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loro origine razziale o etnica; di informare chiaramente e in modo adeguato gli individui, indicando la loro fi nalità e l’identità dei responsabili; di garantire l’esercizio del diritto di accesso alle immagini e alle registrazioni; nonché garantire la sicurezza e l’integrità delle immagini con ogni misura tecnica e organizzativa necessaria.

Il Consiglio d’Europa invita così i suoi membri a fare in modo di prevedere nel loro ordinamento nazionale alcune disposizioni che defi niscono le restrizioni tec-niche atte a limitare l’installazione di tali attrezzature in funzione del luogo sorvegliato, le zone private da esclu-dere dal campo della videosorveglianza, imponendo l’uso di soft ware adeguati, il ricorso in pratica alla codifi -cazione dei dati video, nonché l’istituzione di vie di ricorso giuridico in caso di presunti abusi nell’uso della videosorveglianza.

In particolare, giova rilevare che l’Assemblea parlamen-tare ritiene necessario che gli Stati membri adottino al più presto e utilizzino una segnaletica e un testo di accompagnamento uniformati. Alla luce dei costanti progressi tecnici in materia di videosorveglianza, sotto-linea la necessità di continuare in futuro i lavori sul tema della videosorveglianza.

B. Gli altri testi europeiRiguardo agli altri testi europei applicabili alle atti-vità di videosorveglianza, occorre citare in partico-lare la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Questa proclamazione solenne, adottata dall’Unione europea il 7 dicembre 2000, è ora men-zionata dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, nell’ar-ticolo sui diritti fondamentali. Punta a conferire alla Carta un valore giuridicamente vincolante (con forti restrizioni per taluni paesi: la Polonia e il Regno Unito e la Repubblica Ceca).

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L’articolo 7 della Carta prevede infatti che « Ogni indi-viduo ha diritto al rispetto della propria vita privata e fami-liare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni ».

Inoltre, l’articolo 8 garantisce che « Ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano ». Precisa anche che « tali dati de-vono essere trattati secondo il principio di lealtà, per fi -nalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge », che « ogni individuo ha il diritto di accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifi ca » e che « il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente ».

Occorre anche segnalare che il Garante europeo per la protezione dei dati (GEPD)43, competente per sovrin-tendere al trattamento dei dati personali attuato dalle istituzioni europee, il 17 marzo 2010 ha pubblicato una serie di orientamenti sulla videosorveglianza, ri-volti alle istituzioni e agli organismi europei. Questi orientamenti dettagliati, elaborati al termine di un processo di consultazione, comprendono alcune raccomandazioni pratiche. Introducono in particolare il concetto di « privacy by design », se-condo cui le barriere tecniche che consentono di pro-teggere meglio i dati di carattere personale e la vita privata degli individui ripresi dalle telecamere devono essere introdotti, sin dalla progettazione, nelle specifi che tecnologiche delle apparecchiature.

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43 Cfr il sito web www.edps.europa.eu

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C. La Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995 relativa alla tutela delle persone fi siche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati

Questa direttiva costituisce lo strumento giuridico adottato all’Unione europea per stabilire i principi di protezione dei dati di carattere personale dei cittadini europei. Sulla base di questo testo gli Stati membri hanno adottato le legislazioni nazionali sulla protezione dei dati.

La Direttiva si applica, di massima, ai sistemi di videosorveglianza, dal momento che si applica a qualsiasi informazione, sotto forma di suoni e im-magini, concernenti una persona identifi cata o iden-tifi cabile, prendendo in considerazione l’insieme dei mezzi che possono essere ragionevolmente utilizzati dal responsabile del trattamento o da altri per identi-fi care detta persona.

Infatti, i dati in forma di immagini e suoni relativi a persone fi siche identifi cate o identifi cabili rappre-sentano dati personali, anche se le immagini sono usate nell’ambito della videosorveglianza, anche se non sono connesse con caratteristiche specifi che di una persona; anche se non riguardano individui i cui volti sono stati filmati, anche se contengono altre informazioni (ad esempio il numero di targa della loro automobile).

Tuttavia, la videosorveglianza dei luoghi pubblici rientra solo in parte nel campo della Direttiva 95/46, nella misura in cui essa non si applica al trattamento dei dati sotto forma di suoni e immagini per fini connessi con la sicurezza pubblica, la difesa, la sicu-rezza dello Stato, e per l’esercizio di attività dello Stato

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relative al diritto penale o altre attività estranee al campo di applicazione della legislazione comunitaria.

Peraltro, la Direttiva non si applica alle operazioni di trattamento di dati eff ettuate da una persona fi sica nell’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico.

Il gruppo della autorità nazionali di protezione dei dati a livello europeo (detto « Gruppo dell’articolo 29 » o « G29 ») ha infatti precisato, in un parere del 200444, l’interpretazioni delle disposizioni della direttiva n° 95/46.

Tale parere sottolinea in particolare la necessità che le competenti istanze degli Stati membri valutino la videosorveglianza da un punto di vista generale per « evitare che l’eccessiva proliferazione di sistemi di ac-quisizione di immagini in zone pubbliche e private si traduca nell’applicazione di restrizioni ingiustifi cate ai diritti e alle libertà fondamentali dei cittadini » che renderebbero questi ultimi « identificabili in massa in numerosi posti pubblici e privati »; nonché una valutazione dell’evoluzione delle tecniche di videosorveglianza per evitare che lo sviluppo di ap-plicazioni di soft ware basate sul riconoscimento fac-ciale degli individui e sull’individuazione/previsione del comportamento umano « si traducano avventata-mente in una sorveglianza dinamico-preventiva ».

Questi due messaggi sono di attualità e la defi nizione di strumenti e metodi quanto più possibili affi dabili per valutare l’efficacia della videosorveglianza rimane critica e indispensabile.

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44 Parere del G29 n° WP 89 dell’11 febbraio 2004

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II. LE LEGISLAZIONI NAZIONALIA. La diversità dei sistemi di regolazioneIn vari Stati membri sono già stati svolti studi anali-tici riguardo alla videosorveglianza, basati su norme costituzionali o disposizioni costituzionali o in legis-lazioni specifiche, ordinanze o altre decisioni promulgate dalle competenti autorità nazionali.

In alcuni paesi esistono anche disposizioni speci-fi che applicabili indipendentemente dal fatto che la videosorveglianza possa comportare il trattamento di dati di carattere personale. A norma di tali regola-mentazioni, l’installazione e l’uso di un sistema di videosorveglianza debbono essere autorizzati preventivamente da un ente amministrativo, che può essere rappresentato, in tutto o in parte, dall’autorità nazionale per la protezione dei dati personali. Tali regolamentazioni possono diff erire a seconda della natura pubblica o privata dell’ente responsabile del funzionamento delle attrezzature in questione.

In altri paesi, la videosorveglianza non forma attual-mente oggetto di legislazioni specifi che. Tuttavia, in alcuni casi, le autorità per la protezione dei dati hanno svolto lavori per garantire la corretta applica-zione delle disposizioni generali in tema di protezione dei dati, tra l’altro elaborando pareri, orientamenti o codici di comportamento (Regno Unito, Italia).

Il suddetto parere del G 29 dell’11 febbraio 2004 contiene una tabella riepilogativa delle principali fonti giuridiche nazionali in materia di videosorve-glianza, note negli Stati membri al momento dell’adozione del parere.

AVVERTENZA: La tabella sottostante, riportata a titolo informativo, non è da ritenersi esaustiva perché

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possono essere stati pubblicati altri testi dopo l’11 febbraio 2004.

BelgioPareri dell’autorità per la protezione dei dati, in par-ticolare parere 34/99 del 13 dicembre 1999, relativo al trattamento di immagini, in particolare attraverso l’utilizzazione di sistemi di videosorveglianza.Parere 3/2000 del 10 gennaio 2000 relativo all’utilizzazione di sistemi di videosorveglianza negli atri dei condomini.Legge del 21 marzo 2007 che disciplina l’installa-zione e l’utilizzo di telecamere di sorveglianza.

DanimarcaTesto unico n. 76 del 1° febbraio 2000 relativo al divieto della videosorveglianza. La legge vieta ad organismi privati di eff ettuare la videosorveglianza di vie, strade, piazze e simili zone pubbliche utiliz-zate per normali spostamenti. In merito a tale divieto, esistono peraltro talune eccezioni.Decisione dell’autorità per la protezione dei dati, del 3 giugno 2002, relativa alla videosorveglianza da parte di un grande gruppo di supermercati e la trasmissione in diretta su Internet da un pub. Decisione dell’autorità per la protezione dei dati, del 1° luglio 2003, secondo la quale la videosorve-glianza svolta da un’azienda privata operante nel settore dei trasporti pubblici deve essere adeguata e conforme alle disposizioni della legge danese sulla tutela dei dati. Decisione dell’autorità per la protezione dei dati, del 13 novembre 2003, che pone talune limitazioni alla v ideosorvegl ianza condotta dal le autori tà pubbliche. Due leggi sono state adottate in materia di videosor-veglianza nel giugno 2007 : la prima conferisce alle aziende private il potere di eff ettuare la videosorve-

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glianza di zone di cui sono proprietarie, senza l’obbligo di una previa dichiarazione all’autorità di protezione dei dati, la seconda attribuisce ai servizi di polizia maggior poteri che consentono di imporre ad amministrazioni o enti privati l’installazione e l’uso di sistemi di videosorveglianza.

FinlandiaIn Finlandia non esiste una legislazione speciale in merito alla videosorveglianza, ma varie leggi contem-plano disposizioni sulla videosorveglianza ed altri sistemi di sorveglianza, osservazione e controlli tecnici. L’ Ombudsman responsabile della tutela dei dati ha formulato il suo parere in merito alle registrazioni di conversazioni telefoniche presso i servizi di assis-tenza ai clienti e nell’ambito professionale (fascicoli 1061/45/2000 e 525/45/2000).

FranciaLegge n.78-17, del 6 gennaio 1978 relativa al tratta-mento dei dati, agli archivi e alle libertà (CNIL) Legge n° 95-73 del 21 gennaio 1995 sulla sicurezza (modifi cata), decreto n° 96-926 del 17 ottobre 1996 (modifi cato) e circolare del 22 ottobre 1996 (modifi -cata) sull’attuazione della legge n° 95-73 che delimita con un regime specifi co di autorizzazione della prefettura l’uso di sistemi di videosorveglianza a fi ni di sicurezza pubblica in luoghi pubbliciLa «Commission nationale de l’informatique et des libertés» (CNIL), l’autorità incaricata della tutela dei dati, ha pubblicato una Guida contenente alcune raccomandazioni relative alla videosorveglianza sul posto di lavoro.

GermaniaArticolo 6, b della legge federale del 2000. Articolo 25 della legge sulla protezione delle

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frontiere. Altri regolamenti relativi alla videosorveglianza eff ettuata dalle forze di polizia nelle leggi dei Länder sulla polizia.

GreciaLettera n. 390 del 28 gennaio 2000 concernente l’installazione di un sistema di televisione a circuito chiuso nella metropolitana di Atene Direttiva n. 1122 del 26 settembre 2000 sulla televi-sione a circuito chiuso.Decisione N. 84/2002 relativa ai sistemi di televi-sione a circuito chiuso negli alberghi.

IrlandaLegge sulla tutela dei dati del 1998 e del 2003. Studio analitico n. 14/1996 (utilizzazione di televi-sione a circuito a chiuso).

ItaliaArticolo 34 del Codice di tutela dei dati personali (decreto legge n.. 196 del 30 giugno 2003, che fissa l’adozione di un codice di comportamento)Decisioni del Garante: n. 2, del 10 aprile 2002 (che pro-muove l’adozione di codici di comportamento), 28 settembre 2001 (biometria e tecniche di riconoscimento facciale applicate dalle banche) e 29 novembre 2000 (denominata «decalogo della videosorveglianza»)Decreto presidenziale n. 250, del 22 giugno 1999 (che regola l’accesso di veicoli al centro città e alle zone ad accesso limitato) Decreto legislativo n. 433 del 14 novembre 1992 e legge n. 4/1993 (applicabile a musei, biblioteche e archivi di stato) Decreto legislativo n. 45 del 04 febbraio 2000 (navi passeggeri su rotte nazionali) Articolo 4 della legge n. 300 del 20 maggio 1970 (deno-minata «Statuto dei lavoratori»)

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LussemburgoArticoli 10 e 11 della legge del 02.08.2002 sulla pro-tezione delle persone riguardo al trattamento dei dati personali.

Paesi BassiRelazione dell’autorità per la protezione dei dati pubblicata nel 1997, che contiene orientamenti in merito alla videosorveglianza specialmente per la protezione delle persone e delle proprietà in luoghi pubblici. Indagine , nel 2003, sulla sorveglianza mediante videocamere in tutti i comuni olandesi. Modifi ca del Codice penale, in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2004, che estende l’ambito di atto crimi-nale alla ripresa di fotografi e di luoghi accessibili al pubblico senza informare le persone interessate.

PortogalloDecreto legge 231/98, del 22 luglio 98 (attività di sicurezza private e sistemi di autoprotezione) Legge 38/98 del 4 agosto 98 (misure da adottare in caso di violenza connessa con manifestazioni sportive) Decreto legge 263/01, del 28 settembre 2001 (luoghi destinati alle danze) Decreto legge 94/2002, del 12 aprile 2002 (mani-festazioni sportive)

Regno UnitoCodice di comportamento per televisioni a circuito chiuso (Commissario per l’informazione), sottoposto a revisione nel 2008.

SpagnaLegge organica n. 4/1997 (videosorveglianza da parte di agenzie di sicurezza in luoghi pubblici) Real decreto n. 596/1999 in applicazione della legge n. 4/1997

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SveziaLa videosorveglianza è specifi catamente regolamen-tata dalla legge (1998:150) sulla videosorveglianza generale e dalla legge (1995:1506) sulla videosorve-glianza segreta (nelle indagini criminali). Per la videosorveglianza generale è richiesta in genere l’autorizzazione degli organi di amministra-zione regionale, benché esistano alcune eccezioni perché l’autorizzazione non è richiesta per la sorve-glianza di uffi ci postali, agenzie bancarie e negozi. La videosorveglianza segreta deve essere autorizzata da un tribunale. Le decisioni della prefettura potranno formare oggetto di ricorso dinanzi al ministro della giustizia. La videosorveglianza mediante telecamere digitali va considerata come trattamento di dati personali ed essere soggetta alla supervisione dell’organismo di ispezione dei dati, ove non sia specifi catamente dis-ciplinata dalla legge relativa alla videosorveglianza generale. Una commissione di inchiesta ha pubblicato nel 2002 una relazione sulla videosorveglianza (SOU 2002:110).

Altri importanti strumenti normativi che giova men-zionare sono stati adottati in Islanda (articolo 4, legge n. 77/2000), Norvegia (titolo VII della legge n. 31, del 14 febbraio 2000), Svizzera (raccomanda-zione del Commissario federale) e Ungheria (racco-mandazione dell’autorità per la protezione dei dati, del 20 dicembre 2000)

B. Verso una specifi ca legislazione europea?La diversità delle legislazioni, associata ai rapidi progressi tecnologici dei sistemi, avvalora la perti-nenza di un approccio giuridico maggiormente ar-monizzato. Infatti numerosi lavori recenti in ambito

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europeo si inseriscono in quest’ottica e raccoman-dano il rafforzamento delle legislazioni europee e nazionali.

Nella sua relazione del 7 maggio 2010 concernente il ruolo delle autorità di protezione dei dati in Europa45, l’Agenzia europea per i diritti fondamentali considera lo sviluppo dei sistemi di videosorve-glianza un motivo di preoccupazione che richiede un’azione urgente: « La videosorveglianza dei luoghi pubblici è ampiamente diff usa, ma il quadro legislativo è r imasto indietro. La relazione evidenzia, ad esempio, che spesso, in pratica, in taluni Stati membri le telecamere di sorveglianza non sono dichiarate e/o non sono sottoposte ad alcuna forma di controllo».

La relazione precisa che in Austria, la stragrande maggioranza delle telecamere non sono dichiarate (sfuggendo così al controllo dell’autorità per la pro-tezione dei dati), che in Germania sono stati segna-lati casi di videosorveglianza sul posto di lavoro ef-fettuati all’insaputa dei lavoratori. Si ricorda che in Grecia, l’autorità per la protezione dei dati si è vista negare l’accesso alla sede della polizia in cui era stato eff ettuato il trattamento dei dati, mentre nel Regno Unito vigono scarse restrizioni sull’uso delle teleca-mere negli spazi pubblici e che in questo Stato membro esiste la più alta concentrazione di teleca-mere del mondo.

Pertanto, l’agenzia per i diritti fondamentali ritiene che, pur tenuto conto delle specificità tecniche intrinseche dei dati sonori e visivi nonché dell’im-patto potenzialmente importante sui diritti degli in-dividui, in futuro si dovrebbe prevedere uno specifi co strumento legislativo europeo.

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Infi ne, il Consiglio d’Europa, nella sua bozza di rac-comandazione sulla tutela delle persone riguardo al trattamento automatizzato dei dati personali, adot-tata il 15 giugno 201046, nell’ambito del trattamento di « profi lazione » rileva che la raccolta e il tratta-mento dei dati per fi ni di profi lazione possono usare vari tipi di dati, come quelli « provenienti dai sistemi di videosorveglianza ».

In assenza di un’iniziativa legislativa europea volta a inquadrare in modo specifi co le operazioni di video-sorveglianza, gli operatori possono fare riferimento ai pareri o alle raccomandazioni settoriali delle auto-rità nazionali di protezione dei dati.

Nell’intento di assicurare il migliore inquadramento giuridico e l’uso quanto più possibile coerente dei sistemi di videosorveglianza, alcuni scelgono di adottare una carta etica che fissi regole di buona prassi e di corretta gestione. In quest’ottica si inse-risce la Carta proposta dal Forum europeo per la sicurezza urbana nell’ambito del progetto « Citta-dini, città e videosorveglianza ».

L’inquadramento guiridico della videosorveglianza in Europa

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45 Consultabile sul sito Internet dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali: http://fra.europa.eu/

46 Consultabile sul sito Internet del Consiglio d’Europa: http://www.coe.int/t/dghl/standardsetting/DataProtection/default_en.asp

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Partie II

➤Verso una carta per l’uso democratico della videosorveglianza nelle città europee

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Lei è uno dei primi due fi rmatari, insieme al sindaco di Rotterdam, della nuova Carta per un utilizzo

democratico della videosorveglianza. Perché si è avvertito il bisogno di una Carta?Charles Gautier: Questa Carta è il frutto di un lavoro condotto a livello europeo da un gruppo di città e di soggetti ed enti coinvolti nella videosorveglianza. Da una quindicina d’anni a questa parte, la videosor-veglianza urbana ha conosciuto un importantissimo sviluppo in Europa, sebbene esistano differenze signifi cative da un paese all’altro, sia per quanto ri-guarda la capillarità delle reti installate, che in ma-teria di legislazioni e modalità di controllo. Oggi siamo giunti al punto in cui è diventata necessaria una riflessione comune su questa tecnologia, che non si può certo considerare irrilevante, poiché costituisce di fatto un’ingerenza nella vita privata dei cittadini, ripresi a loro insaputa mentre camminano per le vie delle nostre città. L’Efus ha pertanto promosso un progetto europeo su questa problematica, nell’ambito del quale il Forum francese ha svolto un ruolo di esperto. L’obiettivo è stato quello di avviare un dibattito comune sulle conseguenze politiche e sociali della videosorve-glianza urbana. Come utilizzare questa tecnologia? In quale ambito giuridico e politico? Come garantire il rispetto delle libertà? Chi controlla? Chi sorveglia?

« Invito gli eletti a studiare e a fi rmare la Carta per un utilizzo democratico della videosorveglianza »Intervista con Charles Gautier, senatore e sindaco di Saint-Herblain e Presidente del Forum francese per la sicurezza urbana.

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Chi viene sorvegliato? Quali esperienze condotte in una determinata città o in un singolo paese possono essere applicate altrove? Quali insegnamenti trarre dalle «cattive» esperienze?La Carta per un utilizzo democratico della videosorve-glianza riprende i temi principali sui quali abbiamo lavorato e, soprattutto, presenta un certo numero di principi fondatori destinati a favorire, come lo indica il suo stesso titolo, un utilizzo democratico della videosorveglianza, nel rispetto delle libertà fonda-mentali dei cittadini.

A chi si rivolge la Carta e a cosa serve?Anzitutto, occorre precisare che questa Carta non costituisce assolutamente un documento normativo che possa imporre un certo numero di direttive alle città europee. È stata concepita ed elaborata dalle città stesse, per chiarificare un certo numero di idee comuni. Rappresenta pertanto uno strumento messo a disposizione delle città, per aiutarle a defi nire sia il posto che deve occupare la videosorveglianza nelle loro politiche di sicurezza urbana, che le modalità pratiche del suo utilizzo. Potremmo dire che in un certo senso è una specie di guida. È anche una dichia-razione di principi.

A che titolo ha partecipato a questo progetto? In primo luogo, nella mia veste di senatore e di sindaco di Saint-Herblain, una delle dieci città par-tner del progetto. Saint-Herblain è una città di 45.000 abitanti, situata nell’agglomerato urbano di Nantes, nella Loira Atlantica, nel nord-ovest della Francia. L’agglomerato di Nantes conta 500.000 abitanti. Saint-Herblain ha installato nel 1999 le prime teleca-mere di videosorveglianza, che attualmente sono 18. In quanto sindaco, seguo una linea politica chiara: conciliare l’esigenza di sicurezza dei cittadini con il rispetto delle libertà individuali. Lo sviluppo del

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nostro sistema di videosorveglianza avviene in fun-zione di tale scelta strategica. Ho inoltre partecipato a questo progetto in qualità di senatore, in quanto sono stato il co-relatore, insieme al senatore Jean-Patrick Courtois, di una relazione informativa sulla videosorveglianza presentata al Se-nato. Le nostre raccomandazioni coincidono con i principi defi niti nel progetto europeo Cittadini, città e videosorveglianza. Sono poi stato associato a questo progetto in qualità di Presidente del Forum francese, all’interno del quale gli amministratori eletti francesi hanno ugualmente rifl ettuto su questa tematica.

La videosorveglianza è un tema importante per gli eletti francesi ? Indubbiamente. Non solo perché la videosorve-glianza è un elemento di grande rilievo nelle poli-tiche di sicurezza delle città, ma anche perché esiste una volontà politica a livello nazionale. Il governo ha annunciato che, nell’ambito della lotta al terrorismo, aveva l’obiettivo di triplicare il numero di telecamere installate in Francia, per giungere a un totale di 60.000 entro la fi ne del 2011. Sono stati stanziati ingenti investimenti per gli impianti di videosorve-glianza. Per esempio, è dedicata al suo finanzia-mento una quota sostanziale del Fondo interminis-teriale per la prevenzione della delinquenza. Altri finanziamenti provengono dalle province, che le assegnano una quota importante delle loro dotazioni fi nanziarie: non meno di 30 milioni di euro, su un totale di circa 49 milioni per il 2010.

Quale è la posizione del Forum e degli eletti francesi sulla questione? Non abbiamo una posizione dogmatica all’interno della nostra rete di città. È certo però che numerosi enti locali cercano attualmente di valutare l’effi cacia della videosorveglianza e, soprattutto, di conciliare

Intervista con Charles Gautier

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questa tecnologia con il rispetto delle libertà fondamentali. Molte discussioni vertono su questi temi. In sintesi, possiamo dire che c’è un consenso generale intorno a quattro principi essenziali:In primo luogo, i sistemi di videosicurezza sono strumenti che devono essere utilizzati nell’ambito di una politica globale di prevenzione della delin-quenza. È importante prendere in considerazione non solo gli aspetti tecnici, ma anche l’organizza-zione, le risorse umane, i costi e la dimensione etica. In secondo luogo, ci sembra fondamentale che i co-muni stanzino fondi per la formazione degli opera-tori, non soltanto in materia di utilizzo tecnico dei sistemi, ma anche per renderli consapevoli degli obiettivi del comune. Gli operatori devono conoscere le politiche locali di sicurezza e di prevenzione della delinquenza e gli obiettivi della municipalità. De-vono inoltre conoscere le normative in vigore, in par-ticolare quelle relative al rispetto della vita privata e delle libertà individuali. Terzo principio: l’impor-tanza di mettere in atto un metodo di valutazione del sistema locale di videosorveglianza in funzione degli obiettivi che gli sono stati assegnati. Si tratta di sis-temi che costano caro alle collettività e ci pare per-tanto indispensabile che queste ultime dispongano dei mezzi di valutazione, in particolare per garantire una buona coerenza tra il sistema di videosorve-glianza e gli altri dispositivi locali di sicurezza, e, se del caso, apportare i miglioramenti necessari. Infi ne, la quarta idea chiave è che qualsiasi sistema di video-sicurezza deve essere utilizzato nel rispetto delle norme etiche. Sono essenzialmente due le nozioni che ci sembrano più importanti: l’utilizzo trasparente di questi sistemi e la «tracciabilità» dei dati raccolti.

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Insieme al sindaco di Rotterdam (Paesi Bassi), Lei è stato uno dei primi fi rmatari della Carta per un utilizzo democratico della videosorveglianza. Che cosa propone di nuovo questa Carta?Attualmente, non esistono testi europei sulla video-sorveglianza. La Carta può quindi essere definita un’anteprima. È sorta per volontà di un certo numero di città europee, che hanno voluto dotarsi di un quadro di riferimento in materia. Il fatto che i sindaci abbiano avvertito tale esigenza dimostra che hanno il senso della realtà e conoscono le aspettative dei cittadini in materia di sicurezza, nonché i loro timori per quanto concerne il rispetto della vita privata. È quindi tutto il contrario di un approccio burocratico, con decisioni prese «dal vertice». La presente Carta off re a noi, eletti locali, dei criteri di valutazione e delle raccomanda-zioni concrete nell’ambito delle normative europee e nazionali attuali. Non si tratta di una dichiarazione a favore o contro la videosorveglianza.

Avete invitato i vostri colleghi sindaci e amminis-tratori locali europei a fi rmare questa Carta. Cosa cambia, concretamente, se si è fi rmatari? Invito gli eletti non solo a fi rmare, ma anche a studiare la Carta per un utilizzo democratico della videosorve-glianza perché sono persuaso che affronta un tema essenziale e urgente. Al giorno d’oggi, vista la diff u-sione dei sistemi di videosorveglianza e le loro evolu-zioni tecnologiche, qualsiasi sindaco o rappresentante di un ente locale, anche relativamente piccolo, è obbligato a gestire tali sistemi, quindi a prendere posizione.Questa Carta permette agli amministratori locali che lo desiderano di fare propri alcuni principi basilari che garantiscono l’utilizzo democratico della videosorveglianza. Firmare la Carta, per un eletto, si-gnifi ca impegnarsi pubblicamente nei confronti dei cittadini della propria città o collettività a garantire il rispetto delle loro libertà fondamentali.

Intervista con Charles Gautier

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LA VIDEOSORVEGLIANZA IN FRANCIA: CIFRE CHIAVE

➤ La Francia conta 396.000 telecamere di videosorveglianza autorizzate, di cui 20.000 nelle aree pubbliche (cifre 2007)

➤ 9772 autorizzazioni sono state rilasciate per il 2007 ad operatori pubblici e privati (pari a un incremento del 5% rispetto al 2006), l’86% delle quali riguardava dei sistemi installati in luoghi pubblici o aperti al pubblico e il 14% era costituito da sistemi che riprendono le strade pubbliche. Nota: Tali dati devono tuttavia essere interpretati con cautela. Alcuni sistemi sono stati probabilmente installati senza autorizzazione e possono essere regolarizzati in seguito. Viceversa, delle autorizzazioni possono essere state rilasciate, senza che le telecamere siano poi state installate.

➤ 1522 comuni francesi (su un totale di 36.682 comuni al 1° gennaio 2009, secondo l’Istituto nazionale delle statistiche e degli studi economici) utilizzano almeno un sistema di videosorveglianza.

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UNA LARGA MAGGIORANZA DEI FRANCESI È FAVOREVOLE ALLA VIDEOSORVEGLIANZA

Secondo un sondaggio realizzato nel 2008, il 71% della popolazione francese è a favore dell’utilizzo della videosorveglianza nei luoghi pubblici, mentre è contrario solo il 28%.

Alla domanda, «In modo generale, è favorevole, piuttosto favorevole, piuttosto contrario o molto contrario alla presenza di telecamere di videosorveglianza nei luoghi pubblici ?»,

➤ Il 21 % si dichiara a favore

➤ Il 50 % piuttosto favorevole

➤ Il 15 % piuttosto contrario

➤ Il 13 % molto contrario

➤ Il 1 % non sa

Sondaggio realizzato dal 14 al 17 marzo 2008 dalla società Ipsos, per la Commissione nazionale Informatica e Libertà (Commission nationale informatique et libertés (CNIL)), presso un campione di 972 persone rappresentative della popolazione francese di oltre 18 anni.

Videosorveglianza in Francia: cifre chiave

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1. Perché una Carta?

Mediante il Progetto Cittadini, città e videosorveglianza, il Forum europeo per la sicurezza urbana ha voluto avviare una

rifl essione e uno scambio di esperienze sulle prassi seguite in materia di videosorveglianza nel rispetto delle libertà individuali. La nostra attività, grazie a tre visite di studio a Genova, Londra e Brighton (Re-gno Unito) e a Lione (Francia), e alle esperienze dei partner del progetto, ci ha consentito di avere una visione d’insieme delle pratiche seguite per l’utilizzo della videosorveglianza e dei mezzi messi in atto per garantire il rispetto dei diritti dei cittadini.

Quali sono le prime conclusioni di questo progetto? Che insegnamenti trarre dalle esperienze e dalle competenze delle città? Che consigli off rire alle città partner dell’Efus e, oltre ai suoi membri, all’insieme dei soggetti interessati dalla videosorveglianza? Si possono raccomandare delle buone prassi?

Dei principi chiave per conciliare la videosor-veglianza con la tutela dei diritti fondamentali Il progetto ha naturalmente individuato delle prassi, defi nite « buone » dai partner, quando sono appli-cate per un determinato problema, in un contesto specifico. All’inizio, i partner hanno sviluppato in comune una griglia di lettura, per valutare le varie prassi secondo i medesimi criteri, ponendosi ogni volta le stesse domande: tutela dei dati, per garantire il rispetto della vita privata, coinvolgimento dei citta-dini in ciascuna delle tappe del percorso di un progetto di videosorveglianza – progettazione, attua-zione, utilizzo, valutazione e sviluppo del sistema. I partner hanno tuttavia considerato difficile racco-

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mandare a tutte le città di applicare questa o quella prassi predisposta e attivata da un’altra città, in fun-zione di un contesto specifi co. Il progetto ha dimos-trato infatti che non esiste una buona prassi europea, ma che invece è interessante scambiarsi molteplici idee e pratiche, al fine di consentire a ciascuno di defi nire quale è la migliore strada da percorrere per raggiungerere l’obiettivo comune, quello cioè della tutela dei diritti individuali.

In un primo tempo, è stato pertanto necessario indi-viduare i principi generali sui quali si basano le buone prassi. In un secondo tempo, sono state esa-minate le varie sfi de poste dalla videosorveglianza. Infine, sono state formulate delle idee di buone prassi per mettere in opera tali principi, tenendo conto delle sfi de precedentemente individuate.

L’idea di una carta per un utilizzo democratico della videosorveglianza, che intende essere universale e formula principi basilari che dovrebbero governare la videosorveglianza è nata da una triplice rifl essione:

1) Principi che possono applicarsi alla videosorveglianza dappertutto in Europa In una rifl essione europea sull’utilizzo della video-sorveglianza, nel rispetto dei diritti fondamentali, occorre trovare un denominatore comune per orien-tare gli utilizzatori al di là dei diversi contesti istitu-zionali, legali e culturali. Non si ricerca un minimo comune denominatore, bensì si individuano i punti essenziali sui quali tutti sono d’accordo, sapendo che ciascuno avrà poi la facoltà di scegliere tra una vasta gamma di opzioni, al fi ne di adottare la solu-zione o le soluzioni meglio adattare a ogni paese, a ogni regione, in funzione delle situazioni.

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2) Principi che possono essere applicati a tutte le sfi de poste dalla videosorveglianza L’obiettivo della carta è quello di formulare un insieme di norme che soddisfino tutte le sfide poste dalla videosorveglianza. È la ragione per la quale i par-tner hanno cercato di individuare i principi fondamen-tali sui quali poggia il diritto al rispetto della vita privata in tutti gli aspetti dell’utilizzo della videosorveglianza. Sono principi indipendenti e complementari. Possono essere applicati in tutti i casi in cui si ricorre alla video-sorveglianza, per la pianificazione di un progetto, la messa in opera di un sistema, il suo utilizzo, la prote-zione dei dati, o lavalutazione del sistema e le sue even-tuali modifi che. Le raccomandazioni sui tipi di azioni da condurre emergono al momento dell’applicazione di questi principi. Successivamente, gli esempi di prassi e le tecniche concrete possono fornire utili spunti per la messa in opera delle azioni.

3) Principi sostenibili in un contesto di rapido sviluppo tecnologicoL’evoluzione tecnologica e il costante aumento delle capacità dei sistemi di videosorveglianza hanno costituito una delle tematiche principali dei dibattiti sulla protezione della vita privata. Si constata infatti che i sistemi sono sempre più potenti e intelligenti (riconoscimento automatico dei veicoli, delle per-sone, dei comportamenti, ecc) e sono sempre più spesso collegati ad altri sistemi informativi. La videosorveglianza rappresenta soltanto un elemento di tutta una fitta rete tecnologica che gestisce le nostre città e che si sviluppa in modo irreversibile, con rapidità esponenziale. Per questo, qualsiasi raccomandazione su un buon utilizzo della video-sorveglianza può essere presto superata dalla realtà tecnologica.

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D’altro canto, l’evoluzione delle tecnologie offre nuove soluzioni a certi dilemmi etici. Oggi esistono per esempio dei sistemi che impediscono alle teleca-mere di fi lmare all’interno degli spazi privati (vedi l’articolo di Jeroen van den Hoven). Le raccomanda-zioni contenute nella Carta non riguardano quindi dei metodi pratici per l’utilizzo di una determinata tecnica, ma trattano dell’applicazione di principi sostanziali. Vale inoltre la pena segnalare che la Carta per un utilizzo democratico della videosorveglianza non ha la pretesa di riassumere l’insieme dei dibattiti che si sono tenuti nell’ambito del progetto. Essa non può e non intende del resto sostituirsi allo scambio di pratiche concrete effettuato nel corso del progetto e illustrato nella presente pubblicazione, che deve considerarsi un complemento della carta e si augura di rappresentare un primo passo verso una guida pratica.

Una Carta europea delle città e delle regioni La stesura della carta non è stata eff ettuata unicamente sulla base delle prassi raccolte presso le città. È evi-dente che i dibattiti si sono fondati sulle normative na-zionali vigenti, sui testi europei e sulle prime iniziative di carte locali, riguardanti la garanzia del rispetto dei diritti individuali.

L’iniziativa condotta fi no ad ora dall’Efus non è l’unica nel suo genere. Rappresenta piuttosto un lavoro com-plementare, che va a colmare un vuoto locale ed eu-ropeo. La videosorveglianza è un fenomeno europeo, che riguarda tutti i cittadini che vivono, lavorano e si spostano in Europa. Nel contempo, la videosorve-glianza delle aree pubbliche rientra nell’ambito delle responsabilità delle autorità locali. L’originalità della Carta consiste nel creare un ponte tra le dimensioni lo-cali e quella europea. I testi europei in materia di videosorveglianza possono

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in realtà fornire unicamente dei pareri e delle racco-mandazioni formulate da esperti. Una carta degli enti locali europei, invece, rispecchia l’impegno di un in-sieme di città e di regioni di tutta Europa a rispettare, a livello locale, i principi che garantiscono un utilizzo de-mocratico della videosorveglianza.

Le istituzioni europee svolgono un ruolo di grande ri-lievo nella protezione dei diritti fondamentali e nella tutela della vita privata, come lo dimostrano i seguenti testi: Convenzione dei diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa (1950), articolo 8, Carta dei diritti fondamen-tali dell’Unione europea (2001/2009) articoli 7 e 8, e, per quanto concerne la tutela dei dati, Convenzione n° 108 (1981) del Consiglio d’Europa, Direttiva 95/46/CE dell’Unione europea. Hanno inoltre preso posizione sulla questione della videosorveglianza, formulando raccomandazioni molto analoghe a quelle della Carta, che si ritrovano nella relazione del Comitato europeo di cooperazione giuridica (CDCJ) (2003), nel Parere 4/2004 del Gruppo di lavoro Articolo 29», nei rapporti della Commissione di Venezia (2007), nella Risolu-zione 1604 (2008) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, e nelle linee guida sulla videosor-veglianza del Garante europeo per la protezione dei dati personali (GEPD) (2010). I suddetti testi molto completi ed esaurienti sono stati fonte di ispirazione per il progetto, ma non hanno es-plicitato i principi sui quali si basano le loro raccoman-dazioni. Sebbene numerosi paesi abbiano colto l’occa-sione del recepimento della Direttiva 95/46/CE nel diritto nazionale per promulgare leggi anche sulla vi-deosorveglianza, e le convenzioni sulla salvaguardia dei diritti fondamentali facciano parte del diritto eu-ropeo e internazionale, le istituzioni europee per il mo-mento non hanno la competenza di legiferare sulla vi-deosorveglianza. Devono accontentarsi di formulare pareri e raccomandazioni e contare sul fatto che il mes-

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saggio è stato recepito e sulla buona volontà dei sog-getti interessati. È proprio in assenza di una normativa europea che la Carta del Forum assume tutto il suo senso.

Le legislazioni nazionali, che defi niscono l’ambito giu-ridico vincolante per l’utilizzo della videosorveglianza, variano molto da un paese all’altro (vedi l’articolo di Laurent Lim nel presente rapporto). Mentre certi paesi dispongono di legislazioni e di normative molto precise in materia di videosorveglianza, altri hanno mantenuto una legislazione più generale riguardante la tutela della vita privata e dei dati personali. In alcuni paesi una carta sulla videosorveglianza costituirebbe pertanto una novità. In numerosi altri paesi, i principi della carta potrebbero andare a completare la legislazione esis-tente e potrebbero soprattutto porre un risalto una volontà politica e una preoccupazione per un utilizzo responsabile di questa tecnologia da parte delle auto-rità e degli amministratori eletti territoriali.

L’impegno assunto dalle città con l’adesione alla carta– un importante complemento della legislazione vigente.47

Le carte e i codici di condotta sono forme di regolamen-tazione informale o della cosiddetta «soft law», poiché non costituiscono una legislazione uffi ciale. Sarebbe tuttavia errato pensare che tali carte non siano impor-tanti per la regolamentazione interna di un paese. In considerazione del fatto che propongono valori e prin-cipi di gestione, possono svolgere un ruolo centrale nella creazione di una cultura organizzativa nel campo della videosorveglianza e fornire agli operatori e ai res-ponsabili delle telecamere dei principi destinati a gui-darli nei loro processi decisionali quotidiani. Inoltre, possono servire da punto di riferimento (benchmark) per misurare le performance del sistema e porre le basi per lo sviluppo di procedure più particolareggiate rela-

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tive al funzionamento e alla gestione di un centro di videosorveglianza.Le carte possono inoltre svolgere un ruolo rilevante per facilitare la comunicazione rivolta al pubblico. Una carta, poiché fornisce una spiegazione chiara della ragion d’essere e dei limiti dell’installazione di un im-pianto di videosorveglianza, può rassicurare i cittadini sulla fi nalità del sistema, consentendo loro di disporre di un certo numero di criteri necessari per valutare il buon funzionamento e il successo del sistema. In tal senso, possono fornire ai cittadini un ambito preciso nel quale esprimere le loro preoccupazioni. Tale ambito può di conseguenza aiutarli a verifi care che i responsa-bili del sistema assumano le loro responsabilità e non vadano oltre il loro mandato di garantire una « sor-veglianza ».Le carte possono inoltre svolgere un ruolo rilevante per facilitare la comunicazione rivolta al pubblico. Una carta, poiché fornisce una spiegazione chiara della ra-gion d’essere e dei limiti dell’installazione di un im-pianto di videosorveglianza, può rassicurare i cittadini sulla fi nalità del sistema, consentendo loro di disporre di un certo numero di criteri necessari per valutare il buon funzionamento e il successo del sistema. In tal senso, possono fornire ai cittadini un ambito preciso nel quale esprimere le loro preoccupazioni. Tale ambito può di conseguenza aiutarli a verifi care che i responsa-bili del sistema assumano le loro responsabilità e non vadano oltre il loro mandato di garantire una « sor-veglianza ».Per quanto concerne i rapporti tra le carte e il potere discrezionale dell’organo esecutivo locale, è evidente che l’importanza della “soft law” dipende dalle circos-tanze e dai fabbisogni locali. In numerose città europee si ritiene che gli impianti di videosorveglianza dovreb-bero essere sotto il controllo diretto degli amministra-tori locali e che il loro funzionamento dovrebbe rien-trare nell’ambito del loro potere discrezionale.

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Evidentemente, poiché le carte non sono giuridica-mente vincolanti o opponibili, non possono sostituirsi al potere discrezionale dell’organo esecutivo. Non pos-sono nemmeno essere utilizzate per modifi care o inter-pretare le leggi vigenti. Tuttavia, l’adozione di una carta avrebbe il vantaggio di fornire una struttura per l’uso del potere discrezionale, di consentire una maggiore trasparenza nell’utilizzo della videosorveglianza e di garantire che i suoi obiettivi siano conosciuti e com-presi dal pubblico. Infine, le carte possono aiutare i neo-eletti a comprendere il funzionamento e le sfi de della videosorveglianza e a garantire un certo livello di continuità operativa e di gestione, a seguito di elezioni o di altri cambiamenti politici.In sintesi, si può aff ermare che il principale vantaggio delle carte è la loro capacità di creare prassi organizza-tive e operative, di promuovere la responsabilità (ac-countability) e la trasparenza, e di favorire la compren-sione della videosorveglianza da parte del pubblico. Per tutte queste ragioni possono rappresentare un reale vantaggio per le normative e le regolazioni esistenti e un utile complemento alla gestione della videosorve-glianza esercitata dalla discrezionalità del potere ese-cutivo e dall’amministrazione. Sono le ragioni che hanno spinto numerose città membre dell’Efus, come Lione e Le Havre, a dotarsi di una carta. È anche per questo che la Commissione nazionale francese Infor-matica e Libertà (CNIL) ha sostenuto tale iniziativa e ha fornito il suo contributo a un’iniziativa analoga, lan-ciata dal Gruppo ‘Articolo 29’, encomiata dal Garante europeo per la protezione dei dati (GEPD). I partner del progetto ritengono pertanto che qualsiasi iniziativa volta a elaborare una carta possa interessare non sol-tanto le città e le regioni europee, ma anche tutti i sog-getti pubblici che perseguono obiettivi analoghi.

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Perché una Carta?

47 Per questa parte, vedi Benjamin Goold, Università della British Columbia/Università di Oxford.

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2. I principi della Carta

1. Il principio di liceità1.1 - Perché?Il Forum si è costituito intorno al convincimento «le città aiutano le città», principio ispiratore di tutti i progetti europei che ha sviluppato. Nell’ambito della rifl essione intorno alla tematica centrale del progetto sulla videosorveglianza, ogni città partner ha espresso la volontà di conoscere l’esperienza e il contesto delle altre città partecipanti all’iniziativa. I principi sono anzitutto determinati dalla legisla-zione in vigore. Il principio di liceità non è sorto spontaneamente dalle nostre rifl essioni, come fosse un’evidenza. In realtà, ci siamo posti l’interrogativo: bisogna parlare di liceità o piuttosto di legittimità?

Legittimità signifi ca il diritto di compiere un’azione o di occupare una funzione. Gli eletti, per esempio, traggono la loro legittimità dalle elezioni e i poliziotti dallo status di membri delle forze dell’ordine, otte-nuto dopo avere superato esami e concorsi. L’unica legittimità applicata in tutti i casi è quella della legge. Aff ermare il principio di liceità in materia di video-sorveglianza signifi ca ribadire che la principale legit-timità di un sistema deve essere basata sulle legisla-zioni in vigore.

Tali legislazioni traducono una mentalità e sono il frutto delle scelte della società. Sono inoltre rivela-trici di una cultura, di una storia e di rapporti di forza, di equilibri o di compromessi tra le autorità/i citta-dini/le città/lo Stato, oppure anche tra vari livelli territoriali.

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Pongono in risalto rapporti di fi ducia o di sfi ducia e, per essenza, sono uno strumento indispensabile per legittimare una prassi.

Costituiscono pertanto una base di lavoro essenziale.Il primo livello preso in esame dai partner di questo studio è stato quello comunitario. Le normative comunitarie defi niscono delle regole destinate a es-sere applicate in tutti i paesi dell’Unione.

La Carta ricorda quindi che: I sistemi di videosorveglianza possono essere elabo-

rati e sviluppati unicamente nel rispetto della legge e delle norme vigenti.

Rispetto e conformità alle normative europee, nazionali, regionali o locali. Lo sviluppo di tali sis-temi deve ugualmente essere realizzato nel rispetto delle norme in materia di tutela dei dati, dei testi in materia di intercettazioni di comunicazioni e di conversazioni, di interferenze illecite nella vita pri-vata, di tutela della dignità, dell’immagine, del domicilio e degli altri luoghi per i quali esiste un’ana-loga protezione. Devono altresì essere prese in considerazione le norme relative alla tutela dei lavoratori.

Come mettere quindi in pratica questo principio di liceità? Occorre anzitutto una conoscenza dei testi in vigore. I partner hanno dovuto aff rontare la sfi da di porre in evi-denza tali testi, che non riguardano specifi camente la videosorveglianza, ma che le città dovranno prendere in considerazione al momento dell’installazione del loro sistema, oltre alla normativa nazionale, qualora esista.

➤ I sistemi di videosorveglianza devono essere elaborati in coerenza con:

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1) Il diritto europeo e internazionale: ➤ la Convenzione per la salvaguardia dei diritti

dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) del Consiglio d’Europa – 1950;

➤ la Convenzione 108 del Consiglio d’Europa sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati a carattere personale– 1981;

➤ la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;

➤ la direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995 relativa alla tutela delle persone fi siche con riguardo al trattamento dei dati personali; nonché alla libera circolazione di tali dati;

2) Le normative nazionali e locali che disciplinano i sistemi di videosor-veglianza e il trattamento e la tutela dei dati personali;

➤ Valutare la pertinenza di un impianto di videosorveglianza rispetto agli obiettivi per i quali la Costituzione consente una limitazione all’esercizio dei diritti fondamentali dei cittadini.

3) Le diverse giurisprudenze esistenti in materia

➤ In considerazione delle evoluzioni tecnologiche, in presenza di un vuoto normativo su una determinata questione, la realizzazione del sistema di videosorveglianza deve avvenire accertandosi che siano osservati gli altri principi defi niti nella presente carta.

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Tale principio di liceità sottolinea la seguente aff ermazione: il rispetto delle normative in vigore è il primo atto della democrazia. Le normative, per quanto diverse, consentono di inquadrare legalmente lo sviluppo dei sistemi di videosorveglianza.

La presa in considerazione delle normative vigenti è una garanzia di sostenibilità.

Questo principio di liceità fornisce un ambito per legittimare, oggettivare la videosorveglianza, ma, come per qualsiasi altro ambito, deve essere precisato.

La liceità messa in praticaQuesto principio di liceità si declina in modo diverso attraverso l’Europa. Mentre per certi Stati il funzio-namento della videosorveglianza è disciplinato da una legge generale relativa alla tutela dei dati, in altri paesi, come il Belgio, l’Italia e la Spagna, l’utilizzo di questa tecnologia è strettamente delimitato. La legge impone tra l’altro in questi paesi un parametraggio del sistema che consenta un mascheramento delle aree private (fi nestre e porte, per esempio). La legge fi ssa inoltre la durata di conservazione dei dati per-sonali e stabilisce l’obbligo di informare il pubblico sull’identità dell’autorità responsabile dell’installa-zione e della gestione del sistema. Su quest’ultimo punto, sia il sistema italiano, che quello belga im-pongono le norme da rispettare per la comunicazione ai cittadini, ed esigono che tutte le città utilizzino lo stesso tipo di cartello per indicare l’area videosorve-gliata, nel quale devono fi gurare un certo numero di informazioni fi ssate per legge.

Altro aspetto importante del principio di liceità rigu-arda la formazione degli operatori delle telecamere. È fondamentale che il personale conosca la legisla-

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zione in materia di tutela dei dati. È obbligatorio in certi paesi, tra cui il Regno Unito. In altri, come ad esempio la Francia, la formazione fi gura solitamente tra le prescrizioni deontologiche rivolte agli operatori da parte dagli enti locali. Infi ne, in altri paesi, la for-mazione dipende dalla volontà delle autorità locali. Un terzo aspetto del principio di liceità riguarda le procedure di controllo indipendenti. Numerosi paesi hanno creato degli organi indipendenti, incaricati di vigilare sul rispetto della legge da parte dei pubblici poteri che utilizzano i sistemi di videosorveglianza. In Francia, si tratta dei Comitati etici, in Italia esiste il «Garante della Privacy», in Spagna è stata creata l’Agenzia spagnola per la tutela dei dati (AEPD), che dispone tra l’altro del diritto di proporre delle san-zioni, se non sono rispettate le disposizioni legali. L’utilizzo sempre più diff uso della videosorveglianza impone di adattare le leggi, al fine di limitare e inquadrare le ingerenze nella vita privata. Nel Regno Unito, è stato defi nito fi n dal 2008 un ambito strate-gico nazionale, e il governo eletto nel giugno del 2010 ha inserito nel proprio programma di azione il tema della tutela della vita privata in relazione alla videosorveglianza.

Conoscere e rispettare la legge è evidentemente la condizione sine qua non, ma nulla impedisce alla città di adottare provvedimenti che vadano ben oltre la legge, al fi ne di garantire il rispetto della vita pri-vata e delle libertà fondamentali. Raccogliere espe-rienze e formulare raccomandazioni in materia era un altro degli obiettivi del progetto che ha dato vita a questa carta.

La legge non ha forza prescrittiva; fornisce un ambito che consente di operare il sistema. Pertanto, quali sono gli elementi di un sistema di videosorveglianza

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che possono essere considerati prescrittivi? In altri termini, come applicare i principi della carta quando si instal la e/o s i gest isce un s istema di videosorveglianza?

2. Principio di necessitàTutti i partner l’hanno constatato: la videosorveglianza non è una soluzione di per sé, bensì uno dei tanti stru-menti di una strategia globale in materia di sicurezza. Vista l’evoluzione tecnologica dei sistemi di videosorve-glianza e il crescente numero di città che li utilizzano, è importante ricordare che l’installazione di un sistema non può essere considerata di per sé una fi nalità. Deve essere necessaria.

Tuttavia, come defi nire tale necessità, senza rischiare di scivolare nell’apologia della videosorveglianza? Come defi nire un principio di necessità senza pregiudicare la libertà di ogni città di defi nire le proprie scelte strategiche in materia di sicurezza, utilizzando o meno la videosorveglianza?D’altro canto, possiamo aff ermare che la necessità sia di per sé un principio fondamentale?

Si rivela sempre delicato defi nire la scelta di installare un sistema di videosorveglianza come una necessità, dal momento che per sapere se si tratta di una reale neces-sità occorrono conoscenze sull’effi cacia della videosor-veglianza. Qual è il contributo fornito dalla videosorve-glianza per risolvere un problema specifi co? È la risposta più adeguata in un determinato contesto?

Tali domande non hanno risposte semplici, e i partner del progetto ne hanno dibattuto a lungo. Le valutazioni scientifiche indicano un bilancio mitigato, come lo dimostrano tra l’altro gli studi condotti dal Ministero dell’interno britannico (Welsh e Farrington 2002, Gill e

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Sprigg 2005, Gill e al 2005). Occorre anzitutto distin-guere la fi nalità del sistema: si vuole prevenire la crimi-nalità o facilitare le indagini a posteriori? Per quanto riguarda gli effetti scontati, possono variare notevol-mente nel tempo e non sono sempre gli stessi per tutti i tipi di reati. La funzione di prevenzione presuppone che il delinquente potenziale ragioni e agisca in modo razio-nale. Sappiamo in realtà che numerosi delitti sono stati commessi, appunto, «sotto l’eff etto» di un raptus emo-tivo. D’altro canto, non è garantita l’effi cacia della video-sorveglianza per le investigazioni, né è dimostrato il suo ruolo nella riduzione del senso di insicurezza.Tutte queste considerazioni devono essere prese in considerazione quando si parla di necessità. Non si tratta di una necessità a sé stante, ma piuttosto di una necessità che deve essere formulata dopo avere condotto la necessaria diagnosi. È il ragionamento che porta alla decisione di installare un sistema di videosorveglianza che rivela che esiste una reale necessità.

DEFINIZIONE DEL PRINCIPIO CONTENUTO NELLA CARTA:

L’impianto di un sistema di videosor-veglianza non può costituire di per sé un’esigenza

Deve essere deciso in base alle necessità. La necessità fa riferimento all’incontro tra determinate circostanze e un bisogno, da un lato, e la risposta fornita dal sistema di videosorveglianza, dall’altro lato. Tale bisogno e tali circostanze rendono pertinente la decisione, per cui l’azione diventa inevitabile. È il principio di necessità che sottende la decisione di installare un sistema di videosor-veglianza. La necessità assume in tal modo una dimensione prescrittiva: « La necessità non conosce legge ».

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Come mettere in opera questo principio di necessità? Attraverso tale principio, è il ragionamento preliminare che giustifi ca l’installazione del sistema di videosorveglianza. Tale ragionamento si articola intorno all’individuazione delle circostanze, alla defi nizione dei bisogni e della necessità di trovarvi una risposta tramite la videosorveglianza.

Sono tre gli elementi costitutivi di questo principio di necessità:

L’incontro tra le circostanze e il bisogno è alla base della necessità della risposta.

La carta riprende un metodo di soluzione dei problemi analogo a quello utilizzato dalla polizia britannica per le sua attività di prossimità (neighbo-rhood policing). Il metodo seguito è il cosiddetto procedimento «SARA», che significa, secondo la sigla inglese, scanning (passare in rassegna un problema, una situazione, delle circostanze), analysis (analizzare i bisogni), response (defi nire una risposta) e assessment (valutare l’efficacia della risposta fornita). L’interesse principale di tale impostazione è quello di permettere di distinguere tra il problema da risol-vere e i sintomi osservati. Se non si effettuano le prime due fasi dello «scanning» e dell’ «analysis»

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Le circostanze

La risposta

Il bisogno

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con sufficiente rigore, si rischia di trovare una risposta adatta soltanto a trattare i sintomi, e non il vero problema. Nel caso della videosorveglianza, il pericolo è costi-tuito dal fatto che è tentante credere che costituisca la risposta ricercata e che di conseguenza non sia necessario seguire tutto il processo. La domanda centrale non sarebbe più: «quale è la risposta più adeguata per questo problema?» ma piuttosto: «vor-remmo installare un sistema di videosorveglianza, come lo si può giustifi care?». Il principio di necessità indicato nella Carta impone un approccio diverso, che mette il problema davanti alla soluzione, in considerazione del fatto che, a seconda dei casi, la videosorveglianza può essere ef-ficace, oppure no. Tale approccio considera che la videosorveglianza rappresenta una delle tante risposte possibili e permette di relativizzarne l’effi -cacia rispetto ad altri strumenti di sicurezza urbana.

È inoltre molto importante valutare il sistema (la quarta tappa del processo SARA). Il principio di ne-cessità non riguarda soltanto la decisione di instal-lare un sistema, ma anche i vari sviluppi lungo tutto il suo «ciclo di vita». La domanda relativa alla neces-sità è quindi costante. Si pone per esempio quando si ipotizza l’eventualità di ampliare un sistema. È un investimento necessario per la sicurezza48? La domanda si impone, inoltre, se è cambiata la situa-zione iniziale. Che fare, per esempio, se si registra un notevole miglioramento della sicurezza? La video-sorveglianza è ancora necessaria? Pur essendo irres-ponsabile non prendere in considerazione gli inves-timenti già eff ettuati, e non rifl ettere sulle eventuali

48 È ovvio che i costi per l’ampliamento di un sistema sono normalmente molto meno importanti, poiché si possono utilizzare gli investimenti già eff ettuati e non ha gli stessi costi fi ssi.

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conseguenze della decisione di eliminare il sistema di videosorveglianza, è sempre possibile ipotizzare l’eventualità di rimuovere le telecamere.

La città di Rotterdam, per esempio, a seguito di un processo di valutazione, ha ipotizzato di rimuovere alcune telecamere. Gli abitanti del quartiere si sono opposti, poiché si sentivano rassicurati dalla loro presenza. Altre città europee hanno avuto la stessa esperienza, il che rivela inoltre che il principio del coinvolgimento dei cittadini può essere più com-plesso di quanto non lo si potrebbe supporre. Per la città di Rotterdam alla fi ne è stato deciso di ridurre il numero di telecamere, il che equivale a fornire una risposta adattata alla nuova necessità.

Un altro esempio interessante è costituito dalla legge del Land tedesco del Baden Württemberg, che stabi-lisce che un sistema di videosorveglianza può essere considerato necessario solo se le statistiche hanno dimostrato che una zona è particolarmente crimino-gena. A Mannheim, le autorità locali e la polizia hanno provveduto a rimuovere un sistema di sei telecamere installate cinque anni prima nel centro città, poiché il tasso di criminalità era sceso in modo signifi cativo. Dopo la rimozione delle telecamere, la situazione è rimasta stabile, il che potrebbe essere anche dovuto ad altri provvedimenti presi dalle auto-rità locali, quali un migliore assetto della zona e l’il-luminazione pubblica.

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RACCOMANDAZIONI / MODI DI AZIONE

In tale contesto, per l’applicazione del principio di necessità si può raccomandare:

A livello delle CIRCOSTANZE ➤ Individuare in modo preciso, tramite un

audit o una diagnosi, le problematiche di sicurezza e di prevenzione della delinquenza riscontrate sul territorio della città;

➤ Tracciare un bilancio delle risorse locali disponibili e dei dispositivi esistenti, che consentano di trovare risposte alla situazione diagnosticata;

A livello dei BISOGNI ➤ Reperire i bisogni individuati nel corso della

diagnosi e dell’inventario delle potenzialità locali. I bisogni devono essere precisati per quanto possibile, poiché da loro dipendono i futuri obiettivi del progetto;

➤ Considerare se altri mezzi meno intrusivi sono possibili per trovare risposte adeguate a queste problematiche;

A livello della RISPOSTA ➤ Occorre defi nire gli obiettivi e individuare

i vantaggi e i risultati attesi dal sistema. Tali obiettivi devono essere tradotti in modi di funzionamento. Per esempio, bisognerà quindi defi nire quali sono gli aspetti e le implicazioni funzionali di un sistema di videosorveglianza fi nalizzato alla prevenzione della delinquenza;

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➤ Stabilire il tipo di sistema che può consentire alla città di conseguire tali obiettivi in modo realistico; il sistema di videosorveglianza deve essere calibrato per rispondere in modo pertinente ed effi cace ai fabbisogni individuati;

➤ Gli impianti di videosorveglianza possono essere attivati unicamente quando altre misure meno intrusive si sono rivelate insuffi cienti o inapplicabili (dopo una valutazione), o quando la natura del problema da risolvere non rientra nel campo di applicazione di tali altre misure. In ogni modo, la videosorveglianza deve rappresentare unicamente una parte di una risposta coordinata a un problema individuato;

➤ Autorizzarsi ad applicare il diritto di ritornare sulla decisione, ove necessario. Le città devono avere la possibilità di giudicare, sulla base di una valutazione, che la videosorveglianza non rappresenta più una necessità o che occorrerebbe una ridistribuzione delle telecamere;

Dopo avere stabilito la necessità del sistema, occorre ancora defi nirne le dimensioni e il calibraggio rispetto al ragionamento eff ettuato.

Tale calibraggio dei dispositivi di videosorveglianza deve avvenire nella giusta proporzione.

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3.Principio di proporzionalitàLa proporzionalità è un principio diffi cile da defi nire; lo si potrebbe intendere come la giusta misura. Come valutarlo, in che momento e rispetto a che cosa? Inoltre, come determinare la proporzio-nalità al di fuori di un contesto specifi co? Come raccomandare in una carta europea quanto è adeguato in questo o quel contesto specifi co di una città o di una regione?

Per i partner, nel corso dei dibattiti su questo prin-cipio, l’elemento importante non è stato quello di defi nire una norma generale, ma di insistere sulla necessità di calibrare il sistema di videosorveglianza in funzione di ogni contesto particolare e delle circostanze.

I confronti tra i sistemi di videosorveglianza spesso si eff ettuano in funzione del numero di telecamere. Non è però necessariamente il miglior criterio, poiché il numero di telecamere deve essere coerente con i bisogni individuati nella città.Dietro al principio di proporzionalità, c’è la ricerca della giusta misura. Il dispiegamento di un sistema di videosorveglianza deve essere eff ettuato in modo coe-rente rispetto al ragionamento raccomandato dal principio di necessità. Il principio di proporzionalità è inoltre anche legato al principio di responsabilità. In-fatti, defi nire un sistema che rispetti la giusta misura è un atto di responsabilità da parte delle autorità.

Di conseguenza: L’elaborazione, l’installazione, il funziona-

mento e lo sviluppo dei sistemi di videosorve-glianza devono rispettare la giusta misura

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Il dispiegamento dei sistemi di videosorve-glianza deve essere commisurato ai problemi che intende risolvere. Tale ricerca di proporzio-nalità è anzitutto una questione di equilibrio tra gli obiettivi perseguiti e i mezzi messi in opera per conseguirli. Il principio di proporzionalità è pertanto intimamente legato alla nozione di equilibrio, che impone che l’impianto di videosorveglianza non costituisca l’unica risposta elaborata in una città in materia di sicurezza e di prevenzione della delinquenza.

Come mettere in applicazione questo principio di proporzionalità? Si esercita a diversi livelli nella defi nizione e il dispiegamento del sistema.

RACCOMANDAZIONI/ MODI DI AZIONE La proporzionalità deve essere valutata a ogni

fase e in ogni modalità del trattamento dei dati, in particolare allorquando occorre defi nire:

La dimensione dell’impianto e le capacità tecniche delle telecamere

➤ L’organizzazione tecnica e umana deve essere adattata allo stretto necessario, il che impone di utilizzare una tecnologia in grado di rispondere agli obiettivi assegnati, senza andare oltre. L’utilizzo di un sistema di videosorveglianza deve essere limitato nel tempo e nello spazio: a un momento determinato e su un territorio specifi co, in risposta a un bisogno defi nito. Assegnare una nuova funzione al sistema di videosorveglianza richiede una rifl essione sulla necessità (principio I).

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➤ Tale impianto tecnico dovrebbe integrare in particolare un sistema di occultamento delle aree private, mediante un mascheramento dinamico, poiché la videosorveglianza di spazi pubblici non può avere come « eff etto secondario » la sorveglianza di uno spazio privato. È un imperativo da prendere in considerazione ugualmente quando si deve pianifi care il posizionamento e la confi gurazione delle telecamere e il loro tipo (fi ssa o mobile);

La tutela dei dati Le immagini catturate dalle telecamere di

videosorveglianza costituiscono dei dati personali e come tali devono essere tutelate. Il che impone l’osservanza di regole severe, relative alla registrazione, la conservazione, la condivisione e l’eventuale cancellazione o soppressione delle immagini. Occorre accertarsi che gli obiettivi siano coerenti con:

➤ la decisione di immagazzinare o meno le immagini;

➤ la durata di un’eventuale conservazione dei dati, che comunque deve essere sempre temporanea. La durata di conservazione deve essere limitata allo stretto necessario, deve essere fi ssata e defi nita mediante parametraggio nel sistema

➤ la protezione fi sica e tecnica dei dati personali

E’ pertanto necessario defi nire i protocolli di gestione delle autorizzazione di accesso e di trattamento delle immagini. Occorre integrare

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in tali protocolli l’approccio « Privacy by design » che presuppone che la tutela dei dati personali sia presa in considerazione a monte, fi n dal momento della progettazione degli impianti di videosorveglianza;

➤ I sistemi di videosorveglianza devono trovare il loro equilibrio e la loro proporzione in una politica integrata di sicurezza e di prevenzione della delinquenza. Sono uno strumento di una politica di sicurezza globale e devono pertanto essere coerenti con le altre risposte messe in atto localmente.

La proporzionalità messa in pratica….La città di Saint-Herblain ha avviato nel 1997 un audit sulla sicurezza, affidato a un ufficio studi esterno, prima di installare un sistema di videosor-veglianza. Parallelamente, la Commissione Sicu-rezza e prevenzione della delinquenza (CCPD) del Consiglio comunale è stata incaricata di rifl ettere sulle questioni relative alla sicurezza nella città di Saint-Herblain. La relazione è stata consegnata nel 1998 al Senatore e sindaco della città, che ha deciso di creare un certo numero di gruppi di lavoro sulle tematiche relative alla sicurezza. Nel 1999, la sin-tesi dei gruppi di lavoro è stata presentata al Consi-glio comunale. Un sondaggio sulla sicurezza è stato inoltre condotto su un campione rappresentativo, e ha rivelato che questo tema costituiva la principale preoccupazione degli abitanti di Saint-Herblain.

Il sindaco, sulla base di questa diagnosi, ha avviato un dibattito in seno al Consiglio municipale sull’ap-plicazione delle proposte della commissione comu-nale per la prevenzione della delinquenza, tra cui fi gurava la videosorveglianza. Nel giugno 1999, il Consiglio municipale ha votato l’installazione di un

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sistema nel comune e la creazione di un Comitato di etica per accompagnare la messa in opera del progetto.

Si deve rilevare che a Saint-Herblain il dibattito sulla videosorveglianza è stato integrato in una rifl essione globale sulle questioni di sicurezza. La diagnosi iniziale ha consentito di individuare un bisogno e di fornire gli elementi utili per il cali-braggio del dispositivo.

La proporzionalità si esercita sia nella defi nizione delle dimensioni e della portata del sistema di vi-deosorveglianza, che nel modo in cui è integrato in una politica locale di sicurezza e di prevenzione della delinquenza. La videosorveglianza è integrata nella politica globale ed è proporzionalmente coe-rente con gli altri elementi del dispositivo.

L’installazione del sistema, poiché risponde a una necessità e viene effettuata secondo una giusta misura, soddisferà quindi inoltre il bisogno di trasparenza.

4. Principio di trasparenzaNel corso di tutto il progetto, una delle questioni es-senziali dei partner è stata la seguente: come fare in modo che i sistemi di videosorveglianza siano com-prensibili per i cittadini e come garantire il rispetto della loro vita privata e dei loro diritti fondamentali?

La trasparenza è legata all’informazione che viene fornita ai cittadini: quale è il tipo di informazione pertinente? Fino a che punto bisogna informare i cit-tadini? Questi ultimi vogliono essere informati? E su che cosa?

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La posta in gioco di questo principio non è tanto quella di aff ermare la necessità di informare i citta-dini, quanto piuttosto di defi nire le informazioni da trasmettere e le condizioni da rispettare.

Qualsiasi autorità incaricata dell’applicazione di un sistema di videosorveglianza deve condurre una politica chiara e leggibile per quanto concerne il fun-zionamento del proprio sistema

La trasparenza è legata all’informazione. È trasparente tutto quanto si vede dall’esterno. Tale principio si basa quindi sull’informazione che viene trasmessa. Si tratta di un principio essenziale, poiché, dal momento che la videosorveglianza può essere considerata una tecnologia restrittiva delle libertà, deve essere utilizzata in modo completamente trasparente ed essere corredata da incisive campagne di informazione del pubblico. Qualsiasi informazione relativa a tale dispositivo, nel rispetto delle normative vigenti, dovrà andare nel senso di questo principio di trasparenza.

RACCOMANDAZIONI/ MODI DI AZIONE

➤ L’autorità che prende l’iniziativa di installare telecamere di videosorveglianza deve informare chiaramente i cittadini:

➤ sul progetto che prevede l’installazione di un sistema di videosorveglianza;

➤ sugli obiettivi delle telecamere;

➤ sui mezzi stanziati per la messa in servizio del sistema;

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➤ sulle aree videosorvegliate. Al riguardo, è necessario utilizzare una segnaletica visibile e riconoscibile mediante un pittogramma;

➤ sull’identità, la funzione e il nome delle persone a cui rivolgersi per qualsiasi richiesta di informazioni. L’insieme di tali informazioni deve fi gurare sui cartelli che segnalano le aree videosorvegliate;

➤ sulle misure specifi che di tutela delle immagini registrate. I dati ottenuti mediante un sistema di videosorveglianza devono essere protetti con un accesso ristretto mediante password. Devono essere utilizzati unicamente per le fi nalità previste, dalle persone autorizzate e devono essere conservati il tempo necessario. Qualsiasi utilizzo delle immagini registrate deve essere notifi cato in un registro regolarmente aggiornato a tale scopo

➤ sulle autorità che possono essere i destinatari di tali immagini registrate;

➤ sui loro diritti relativi alle immagini che li riguardano. Si tratta in particolare dei seguenti diritti:

Diritto di accesso alle proprie immagini, nel rispetto del diritto dei terzi. Tale diritto potrà essere rifi utato nel caso di indagini giudiziarie, oppure nel caso di rischi legati alla sicurezza e alla difesa nazionale;

Diritto di verifi ca della cancellazione delle immagini che li riguardano, superato il periodo di conservazione delle immagini;

Tali informazioni devono essere comprensibili ed espresse in un linguaggio chiaro e intelligibile

➤ L’autorità responsabile del sistema dovrà

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informare regolarmente i cittadini sui risultati e il conseguimento degli obiettivi, tramite i mezzi di comunicazione utilizzati solitamente. Il che implica una formulazione chiara degli obiettivi a monte, fi n dall’avvio del progetto e richiederebbe delle valutazioni del dispositivo basate su indicatori predefi niti;

➤ È fortemente sconsigliato ricorrere a fi nte telecamere, dal momento che tale falsa informazione può screditare il sistema e impegnare la responsabilità dei gestori;

La trasparenza messa in praticaTutte le città partner del progetto hanno attivato un sistema di informazione dei cittadini riguardante i loro dispositivi di videosorveglianza.

A Rotterdam, per esempio, ogni qualvolta è installata una telecamera, tutti i soggetti interessati sono invitati a visitare il centro di controllo, compresi i cittadini. L’es-perienza ha dimostrato che la trasparenza è molto apprezzata e che dà eccellenti risultati: l’80% della popolazione intervistata in occasione di un sondaggio che mirava a valutare i diversi dispositivi di sicurezza si è dichiarato favorevole all’installazione delle telecamere e soltanto l’1,2% era contrario, mentre il resto era senza opinione. Emergono diffi coltà quando sopravviene un incidente e non ci sono immagini registrate, perché in tal caso sono maggiori le aspettative della popolazione.

La città di Lione ha anch’essa avviato un’azione inci-siva a favore della trasparenza, attraverso l’attività del Centro di etica, e grazie alla segnaletica. Il centro gode infatti di una buona visibilità, essendo conosciuto dal 30-40% della popolazione. Esiste inoltre una segnale-tica regolamentare che permette di informare i citta-

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dini. Su ogni sito videosorvegliato, ci sono indicazioni molto chiare e visibili. Il pubblico in tal modo è infor-mato del fatto che può rivolgere qualsiasi reclamo al centro di etica. Inoltre, la carta etica, elaborata dalla città di Lione, che riprende gli impegni della città a fa-vore della tutela dei diritti dei cittadini, è disponibile sul sito internet della città, nel municipio dei vari arrondis-sements, nel municipio principale e in tutte le associa-zioni membre del centro di etica.

5. Principio di responsabilità Il principio di responsabilità deve garantire che la responsa-bilità del sistema sia affidata a una precisa autorità. Ne consegue che tali responsabilità sono chiare e conosciute e che la suddetta autorità assume la responsabilità del sistema.

Il diritto di sorvegliare gli spazi pubblici è riservato ad auto-rità da defi nirsi in modo restrittivo. Sono responsabili dei sistemi installati a loro nome.

Le autorità incaricate dei sistemi di videosorveglianza sono i garanti di un loro utilizzo legale e rispettoso della vita pri-vata e delle libertà fondamentali. La loro responsabilità potrà quindi essere impegnata in caso di inosservanza o di violazioni constatate. Le autorità amministrative dinanzi alle quali tale responsabilità potrà essere invocata devono essere individuate chiaramente. Le aziende private che possiedono e gestiscono sistemi di videosorveglianza che riprendono spazi pubblici devono osservare le stesse norme delle autorità pubbliche.

Ci si potrebbe chiedere quale sarebbe una responsabilità senza sanzioni. La carta non intende defi nirle, perché non è questa la sua missione, ma si propone di mettere a dispo-sizione degli strumenti per evidenziare le autorità respon-

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sabili e porre in risalto le prassi delle città che obbligano gli operatori ad assumere la loro responsabilità.L’elezione degli amministratori eletti locali a suff ragio universale è per eccellenza la garanzia della loro legit-timità e della loro responsabilità. L’eletto deve assu-mere le proprie responsabilità dinanzi ai propri elettori, e, se viene meno ai suoi obblighi, rischia di non essere rieletto. Occorre tuttavia notare che, nella maggior parte dei casi, gli eletti non sono direttamente responsabili di un sistema di videosorveglianza, in particolare quando non è esclusivamente municipale. In tal caso, è più complicato individuare i responsa-bili. Per questa ragione, il principio di responsabilità deve essere associato a quello di trasparenza.La responsabilità non riguarda unicamente la deci-sione di installare un sistema di videosorveglianza, né soltanto il buon funzionamento del sistema e il rispetto degli altri principi. Si applica anche ai vari utilizzi del sistema, che devono corrispondere agli obiettivi che gli sono stati assegnati. Un rischio possi-bile è il fenomeno del cosiddetto «function creep», cioè lo «scivolamento» verso nuove funzioni e fi nalità che non erano state pianifi cate all’origine e per le quali si trovano nuove giustificazione, o che sono rese possibili grazie all’evoluzione tecnologica. La logica non deve capovolgersi e spingere a utilizzare un sis-tema per qualche altra funzione, unicamente perché ciò è possibile, e non perché è necessario (principio 1). Se sono assegnate nuove missioni al sistema, devono essere applicate sotto l’esplicita responsabilità dell’operatore.

RACCOMANDAZIONI/ MODI DI AZIONE

Per tale ragione, la carta suggerisce le seguenti raccomandazioni e modi di azione:

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➤ Comunicare il referente dell’ente e del servizio responsabile e i loro estremi. Ogni segnaletica indicante l’area videosorvegliata potrà in particolare comportare tali informazioni;

➤ Aff ermare l’obbligo di riservatezza dei gestori del sistema, nell’ambito della defi nizione di un regolamento interno, oppure di un codice deontologico destinato ai gestori del sistema. La loro responsabilità potrà essere impegnata in caso di inosservanza di tale obbligo;

➤ Ricorrere a misure di sicurezza che consentano di tutelare l’accesso alla sala controllo del sistema, ma anche di proteggere l’accesso alle immagini immagazzinate. Devono essere messe in opera misure tecniche di controllo di tali accessi;

➤ Divulgare le modalità per la consultazione delle autorità amministrative incaricate di sanzionare ogni abuso constatato;

➤ Mettere in opera un meccanismo appropriato per la divulgazione delle informazioni necessarie per la comprensione da parte del pubblico dell’utilizzo della videosorveglianza.

6. Principio di supervisione indipendenteUna delle idee fondamentali per un utilizzo democra-tico della videosorveglianza è quella di istituire un sis-tema di controllo indipendente dai gestori del sistema. Come l’ha sintetizzato il Prof. Richard de Mulder,

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dell’Università di Rotterdam, nel titolo del suo inter-vento in occasione della conferenza finale del progetto: «Sorvegliare i cittadini: nessun problema... Ma chi sorveglia i sorveglianti?» I cittadini devono essere rassicurati sul fatto che i gestori della videosor-veglianza rispettano i loro diritti. Occorre pertanto un controllo, al fine di garantire che gli operatori del sistema rispettino le norme e gli altri principi della carta.

La supervisione indipendente non deve essere necessa-riamente eff ettuata da un’autorità di controllo che dis-ponga del potere di applicare sanzioni nei confronti dell’autorità pubblica che ha predisposto la videosorve-glianza. Il concetto di supervisione indipendente è più fl essibile di quello dell’autorità dello Stato, ma anche più vincolante. Rispecchia l’idea dei pesi e contrappesi («check and balance»), come i federalisti hanno battez-zato questo principio del bilanciamento dei poteri, che già era alla base della nozione della separazione dei po-teri defi nita da Montesquieu (il quarto potere).

Non richiede una gerarchia, ma si fonda sull’idea che il peso della responsabilità non ricade su un unico sog-getto. L’utilizzatore della videosorveglianza è osservato nello svolgimento delle sue azioni (principio di traspa-renza) e deve rendere conto delle proprie azioni (prin-cipio di responsabilità). Tale supervisione deve essere esercitata da un supervisore indipendente dalle auto-rità che gestiscono il sistema di videosorveglianza. Il Prof. Richard de Mulder spiega come le nuove tecnologie e la videosorveglianza stessa conferiscono nuovi poteri ai loro utilizzatori, il che presenta un ris-chio inedito di squilibrio dei poteri e del sistema di pesi e contrappesi su cui poggia la democrazia. A suo avviso, la soluzione consisterebbe nell’instaurare un quarto potere (a parte l’esecutivo, il legislativo e il giudiziario), con funzioni di controllo/sorveglianza/supervisione.

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Già esistono istituzioni che esercitano questo «quarto potere», ad esempio la fi gura dell’Ombudsman (media-tore), che possono sorvegliare il buon funzionamento, e, cosa ancora più importante, intervenire quando un sistema non funziona nel modo voluto.49 De Mulder sottolinea altresì che è più importante accertarsi che esista tale fi gura di controllore indipendente, piuttosto che cercare di prevenire qualsiasi disfunzionamento. Il supervisore può, se del caso, intervenire e correggere un cattivo funzionamento. È in tal senso che la supervi-sione è indipendente.

L’idea di supervisione va oltre l’idea di autorizzazione. La supervisione deve essere garantita nel tempo e dovrebbe applicarsi all’insieme delle sfi de poste dalla videosorve-glianza, nonché a tutte le fasi di un progetto in materia di videosorveglianza.

. Per tali ragioni, la supervisione indipendente

è difi nita come

« Un sistema di freni e contrappesi per vigilare sul funzionamento della videosorve-glianza attuato attraverso un processo di controllo indipendente».

Qualsiasi controllo presuppone la defi nizione di norme. Tale principio di supervisione indipendente consente, tramite il rispetto di queste norme, di armonizzare le pratiche nel senso indicato dalla Carta. Il processo di controllo indipendente può assumere più forme e intervenire a vari momenti nello sviluppo dei

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49 Talvolta anche i media sono considerati un quarto potere. Per Mulder, però, possono svolgere tale funzione in modo solo parziale, poiché hanno la loro agenda e i loro interessi, per cui non trattano necessariamente delle sfi de realmente più importanti per la società.

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sistemi. Svolge il proprio ruolo nella progetta-zione di un sistema, per esempio insistendo affi nché la soluzione proposta corrisponda al problema, oppure, se dispone di tale potere, può autorizzare la videorveglianza. Successivamente, può accompagnare l’installazione del sistema e vigilare sul suo buon funzionamento e sul suo buon utilizzo, sulla protezione dei dati e sulla formazione degli operatori delle telecamere, e discutere il risultato della valutazione delle performance del sistema, per deciderne l’eventuale sviluppo.

Il « controllore indipendente » può essere una personalità qualifi cata, oppure un organo specifi co. È possibile in particolare affi dare tale ruolo ai cittadini.

Esistono numerosissime modalità per l’organizza-zione di questa supervisione indipendente. Inoltre, nella grande maggioranza dei casi, tale supervisione è già presente, a vari livelli. Ci sono autorità che danno l’autorizzazione di installare un sistema di videosorveglianza; per esempio in Francia, tale com-pito è svolto da una commissione provinciale che dipende dal governo centrale. In Italia, il Garante della privacy svolge un ruolo importante nel settore della videosorveglianza, conformemente a una legis-lazione precisa, come del resto in Spagna, Francia e Belgio. Nelle città tale ruolo spetta tradizionalmente al consiglio comunale, che è più o meno coinvolto nella gestione della videosorveglianza. L’esempio del consiglio comunale mostra però anche i suoi limiti, poiché sono sovente le stesse maggioranze che deci-dono e controllano la videosorveglianza. Quando il sindaco non è eletto a suff ragio universale e quindi non è indipendente dalla maggioranza del consiglio

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comunale, o se l’opposizione non svolge un ruolo in questa supervisione, quest’ultima non può più essere considerata indipendente. Inoltre, occorre-rebbe che tale supervisore avesse la facoltà di autoa-dirsi o di essere adito dall’esterno.

Nella miriade di pesi e contrappesi esistenti, i partner del progetto hanno individuato due prassi particolarmente interessanti, che garantiscono la supervisione in modo molto diverso l’una dall’altra. La prima è costituita dal comitato etico (come quello istituito a Lione o a Le Havre in Francia), e l’altra è la fi gura dell’ «ispettore indipendente» istituita nella contea del Sussex nel Regno Unito.

Comitato etico (Francia)Il comitato etico è un’istituzione appositamente creata per la supervisione della videosorveglianza nelle città francesi di Lione e di Le Havre, la cui missione specifi ca consiste nel vigilare sul rispetto delle libertà. «La sua composizione soddisfa gli obiettivi di equilibrio, di indipendenza e di plura-lità. È composto da una pari rappresentanza di eletti della maggioranza e dell’opposizione, da persona-lità qualifi cate rappresentanti il mondo del diritto, dell’economia, dell’istruzione e da rappresentanti di associazioni per la difesa dei diritti umani. È in-caricato di vigilare non solo sul rispetto degli ob-blighi legislativi e regolamentari, ma deve altresì accertarsi che il sistema di videosorveglianza messo in opera dalla città non violi le libertà pubbliche e private fondamentali. Informa i cittadini sulle condizioni di funzionamento del sistema di video-sorveglianza e ne riceve le lagnanze.» (Art 4.1 della carta etica della videosorveglianza degli spazi pub-blici della città di Lione). La carta etica, come quella adottata dalla città di Lione, o quella proposta dal presente progetto, può funzionare come un docu-

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mento di riferimento di base per il comitato e rego-larne il funzionamento. Il comitato vigila sul ris-petto dell’applicazione della carta etica. A tal fi ne, elabora ogni anno una relazione sulle condizioni di funzionamento e sull’impatto del sistema. Può al riguardo chiedere al sindaco di fare eff ettuare degli studi da parte di enti indipendenti, come lo ha deciso la città di Lione al momento della stampa di questo rapporto (luglio 2010), che ha affi dato alla facoltà di urbanistica e di pianifi cazione dell’Uni-versità di Lione (Prof. Jaques Comby) l’incarico di eff ettuare una valutazione globale (tecnica e socio-logica) del suo sistema di videosorveglianza. Suc-cessivamente, il comitato etico formula delle racco-mandazioni rivolte al sindaco.Nella pratica, i comitati etici di Lione e di Le Havre sono sollecitati molto raramente dai cittadini, il che potrebbe anche essere interpretato come la prova del loro buon funzionamento. I cittadini sanno che un controllore indipendente vigila sul rispetto della vita privata e controlla il buon funzionamento del sistema. Inoltre può essere adito per qualsiasi ques-tione rientrante nella sua sfera di competenza.

Ispettori indipendenti (Regno Unito)La partnership «videosorveglianza» della contea del Sussex, che riunisce forze di polizia ed enti locali, ha optato per un’altra forma di supervisione. I cittadini stessi sono invitati a verificare il buon funziona-mento del sistema e a controllarne la conformità con il Codice per il buon uso. Per questo, un gruppo di dodici cittadini è stato designato, previo esame delle varie candidature, per realizzare delle “verifi che spe-cifi che” dei locali di videosorveglianza della polizia e garantire la conformità con il Codice. Tali ispettori indipendenti possono inoltre assistere alle riunioni di valutazione e alle relazioni annuali presentate dalle autorità di polizia.

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Le verifiche possono essere effettuate in qualsiasi momento, di giorno o di notte, senza preavviso. Nella maggior parte dei casi, sono effettute da due per-sone. All’inizio del loro mandato, questi cittadini ricevono una formazione sul sistema e sul Codice per il buon uso, per conoscere esattamente quello che devono controllare. Se individuano un problema o se qualcosa li preoccupa, ne informano le autorità di polizia e la direzione della videosorveglianza.

Contrariamente al sistema dei comitati etici, questo dispositivo si applica essenzialmente al funziona-mento della videosorveglianza. È pertanto comple-tato dal lavoro dell’autorità di polizia, che associa gli amministratori locali. Questi ultimi lavorano in collaborazione con la polizia sull’insieme delle sue attività, ma anche in materia di programmazione, gestione, valutazione e sviluppo del sistema di videosorveglianza. Si tratta di un dispositivo partico-larmente interessante, vista la sua semplicità, il coinvolgimento dei cittadini (principio 7) e la sua grande trasparenza (principio 4).

Per l’applicazione del principio di supervisione indi-pendente si può pertanto raccomandare che: ➤ questa autorità indipendente sia incaricata di for-nire, dopo studio delle pratiche, le autorizzazioni per l’installazione dei sistemi di videosorveglianza; ➤ sia incaricata di vigilare affi nché la messa in opera e l’utilizzo del sistema rispettino le regole e norme defi nite.

7. Principio del coinvolgimento dei cittadiniÈ probabilmente il principio più direttamente legato alla tematica di questo progetto europeo « Cittadini, città e videosorveglianza»: come prendere in considerazione i diritti e le libertà degli individui e come coinvolgere i

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cittadini nelle rifl essioni riguardanti la messa in opera di un sistema locale di videosorveglianza.Non è impresa facile coinvolgere i cittadini. Fin dove si può penetrare nella vita privata dei cittadini, al fi ne di garantire la loro sicurezza? Come coinvolgere i cittadini in un sistema che deve garantire la riservatezza delle in-formazioni che raccoglie?Occorre adoperarsi per favorire il coinvolgimento dei cittadini in ogni tappa della vita di un sistema di videosorveglianza

Il principio del coinvolgimento dei cittadini consiste nel dare la parola ai cittadini, attraverso varie forme di consultazione, di partecipazione, di deliberazione e di codecisione. Ogni nuova installazione o estensione di un impianto di videosorveglianza dovrà sempre pre-vedere l’attiva partecipazione dei cittadini residenti sul territorio, per esempio attraverso gruppi di discus-sione. Buona parte del successo di un sistema di vi-deosorveglianza dipende dall’adesione degli abitanti.

RACCOMANDAZIONI /MODI DI AZIONE

➤ Consultare i cittadini per l’individuazione dei bisogni, nell’ambito della diagnosi preliminare, per esempio attraverso la realizzazione di indagini di vittimizzazione;

➤ Favorire un coinvolgimento iniziale dei cittadini per quanto riguarda l’installazione di telecamere, allorquando risponde a un bisogno. Può assumere la forma di “marce esplorative”, nel corso delle quali i partecipanti percorrono un settore considerato problematico; la forme de marches exploratoires ;

➤ Ricercare l’accettazione dei progetti di

I principi della Carta

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sicurezza globale da parte dei cittadini, organizzando, per esempio, delle riunioni pubbliche informative, per potere ottenere la loro adesione ai progetti del comune;

➤ Favorire la partecipazione dei cittadini al controllo e alla valutazione del sistema, tramite questionari di soddisfazione;

➤ Prevedere un processo ben inquadrato e formalizzato, che off ra ai cittadini la possibilità di visitare la sala di controllo e di gestione del sistema di videosorveglianza, anche in modo estemporaneo. Qualsiasi rifi uto deve essere motivato (per esempio, per ragioni di un’inda-gine giudiziaria in corso). Tale possibilità deve essere defi nita e gestita in modo da non mettere in discussione il diritto di terzi;

➤ Raff orzare l’impegno delle autorità locali ad attivare uno strumento in grado di consentire la partecipazione regolare dei cittadini. La creazione di una struttura locale incaricata di vigilare sul buon utilizzo del sistema dovrà comprendere un’attiva partecipazione dei cittadini alla vita e allo sviluppo del sistema.

Il principio del coinvolgimento dei cittadini messo in pratica Per le città partecipanti al progetto, questo principio era già una realtà, poiché il progetto di installare un sistema di videosorveglianza era stato studiato per ris-pondere a un’accresciuta domanda di sicurezza da parte dei cittadini. Per esempio a Ibiza (Spagna), dopo avere analizzato le domande dei cittadini, nonché i dispositivi già attivati e i loro risultati, il comune ha de-ciso di installare cinque telecamere nelle zone in cui nessun altro mezzo si era rivelato efficace. Altri co-muni, come Genova, Le Havre e Saint-Herblain, hanno

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organizzato dibattiti pubblici con gli abitanti o incontri con le associazioni di quartiere per determinare i bi-sogni e il modo migliore per soddisfarli.A Rotterdam, questo principio è integrato in tutte le politiche della città, comprese quelle in materia di si-curezza. Per accertarsi che le politiche proposte dal comune soddisfino le esigenze dei cittadini, il comune valuta ogni anno i propri dispositivi di sicu-rezza, tra cui il sistema di videosorveglianza. Il sindaco si riserva il diritto di decidere di installare o di rimuo-vere delle telecamere, in funzione delle reazioni della popolazione e dei risultati ottenuti.Tale principio non è applicato unicamente al momento di decidere di installare delle telecamere o di valutare se la risposta fornita dalle autorità ha soddis-fatto le domande dei cittadini. È rispettato in tutte le tappe della messa in opera di uno strumento per una politica integrata in materia di sicurezza, quindi anche a livello del funzionamento del sistema di videosorve-glianza. Solo dopo avere consultato la popolazione le autorità possono scegliere l’ubicazione esatta di una telecamera per rendere più sicura un’area percepita come potenzialmente pericolosa. Tale consultazione permanente raff orza il senso di partecipazione dei cit-tadini alle decisioni politiche. A Liegi esistono delle giornate «porte aperte», nel corso delle quali gli abitanti possono eff ettuare delle visite guidate delle sale di controllo. Nel Sussex, il sistema degli «ispettori indipendenti» ha riscosso un grandissimo successo presso la popola-zione. Si tratta di alcuni esempi di iniziative prese dalle autorità responsabili per associare i cittadini alla defi -nizione delle politiche di sicurezza.

3. Verso un linguaggio comune della videosorveglianza in Europa: proposta di una segnaletica comune

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Verso una carta per l’uso democratico dellavideosorveglianza nelle città europee

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Come procedere insieme sulla via della creazione di un linguaggio comune in Europa in termini di sicurezza e video-

sorveglianza ? Anche questo punto è stato uno dei fi li conduttori del progetto, incentrato sull’impor-tanza di una comunicazione trasparente rivolta ai cittadini. Di fronte all’accresciuta mobilità delle persone sul territorio europeo, appare sempre più evidente la necessità di creare dei riferimenti comuni e di tradurre le politiche pubbliche in un lin-guaggio di facile comprensione per tutti. È sorta in tal modo l’idea di proporre una segnaletica comune per le città che utilizzano le telecamere di videosor-veglianza. Tale proposta corrisponde anche diretta-mente a una domanda formulata da una delle istan-ze europee, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, che nella sua Risoluzione 1604 del 2008 ha sollecitato la creazione di una segnaletica europea, come lo aveva fatto nel 2004 il gruppo di lavoro ‘Articolo 29’ sulla protezione dei dati nel suo Parere 4/2004 sulla videosorveglianza.

Un primo studio relativo a quanto già esisteva ha permesso di evidenziare un certo numero di ottimi strumenti di comunicazione, ma anche delle lacune. In certi paesi, tra cui il Belgio e l’Italia, la legislazione relativa alla segnaletica è molto precisa, e fornisce una struttura definita, indicante tutti gli elementi particolareggiati da indicare, che vanno fi no ad im-porre un pittogramma standardizzato. In altri paesi, la normativa prevede che i cittadini siano informati del fatto che si trovano in un’area videosorvegliata, senza dare istruzioni precise, e spetta a ogni autorità responsabile decidere la forma di tale comunica-zione. In tali casi, si sono potuti constatare esempi di segnaletica che non comportava nessun pitto-gramma, con cartelli unicamente nella lingua del

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paese, di diffi cile comprensione per un turista, senza informazioni sull’identità dell’autorità responsabile. Visti i risultati di questa ricerca, è stato deciso che i partner del progetto avrebbero condotto una rifl es-sione sulla possibilità di creare una segnaletica comune e sulla definizione di un capitolato appropriato. A seguito di tali riflessioni, è stato affermato che una segnaletica comune europea dovrebbe assolutamente:

➤ comportare sia un testo, che delle immagini, in modo da essere comprensibile per coloro che non parlano la lingua locale; ➤ il pittogramma dovrebbe rispecchiare l’attualità delle evoluzioni tecnologiche. Le telecamere a «duomo» sono sempre più utilizzate nelle città, ed, essendo una novità, non sempre sono individuate e identificate dai cittadini. Nel proporre un pitto-gramma rappresentante tale duomo, il progetto in-tende non solo informare i cittadini sull’utilizzo sempre più frequente di questo tipo di telecamera, ma anche informarli dell’esistenza di questa nuova tecnologia, e in tal modo la segnaletica svolge anche un ruolo pedagogico; ➤ Per quanto riguarda il testo, tutti i partner concor-dano sul fatto che debba fi gurare il termine «video», essendo comune a tutte le lingue europee; ➤ Altro elemento importante che è stato sottolineato è il suggerimento di fare fi gurare il termine «spazio pubblico», poiché è necessario segnalare che la poli-tica pubblica di sicurezza riguarda lo spazio pubblico e non gli spazi privati;➤ È parso inoltre importante aff ermare qual è il com-pito assegnato al sistema di videosorveglianza, affi ché gli abitanti comprendano chiaramente il nesso tra tale dispositivo e la politica locale in materia di sicurezza;➤ Le norme di trasparenza delle politiche pubbliche

Proposta di una segnaletica comune

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Verso una carta per l’uso democratico dellavideosorveglianza nelle città europee

richiedono che l’autorità responsabile dell’installa-zione e del funzionamento delle telecamere sia indi-cata chiaramente, e che sia previsto almeno un mezzo per contattarla direttamente (telefono, sito internet); ➤ Infi ne, il principio di liceità, secondo il quale l’ins-tallazione e la gestione di un sistema di videosorve-glianza deve avvenire unicamente nel rispetto della legge deve essere incluso nella segnaletica, che deve indicare l’ambito legale preciso del sistema e le dis-posizioni regolamentari relative alla tutela dei dati.

Come utilizzare questa segnaletica?Dal momento che la maggior parte delle città hanno già approntato una segnaletica, i partner del progetto si sono evidentemente chiesti quale sarebbe il valore aggiunto di questa segnaletica paneuropea.In primo luogo, le raccomandazioni della carta rela-tive a una segnaletica destinata a fornire il massimo di informazioni possono stimolare le città a modifi -care o completare quella già esistente. Per le città che ancora non hanno predisposto una segnaletica, le raccomandazioni possono fornire una facile guida, che potrà essere adattata al contesto lo-cale.Per altre autorità responsabili del fi nanziamento della videosorveglianza, quali le regioni o i ministeri, gli elementi qui citati costituiscono una sorta di ca-pitolato per preparare la loro comunicazione.E infi ne, last but not least, l’utilizzo di una segnale-tica comune a tutta l’Europa contribuirà a sviluppare una maggiore trasparenza delle politiche pubbliche, a vantaggio di tutti i cittadini degli Stati membri dell’Unione europea.

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DIRETTIVA 95/46/CEAUTORITÀ RESPONSABILECITTÀ DI XXXX

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PER LA SUA

SPAZIOPUBBLICO

SICUREZZA

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VIDEOSORVEGLIANZA

DIRETTIVA 95/46/CEAUTORITÀ RESPONSABILECITTÀ DI XXXX

INFORMAZIONI04 55 55 55 55WWW.VIDEO-CITTA.IT

PER LA SUA

SPAZIOPUBBLICO

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Partie IIIfocus sulle città: utilizzo della videosorveglianza e protezione dei dirittie delle libertà fondamentali

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Città di Bologna & Regione Emilia-Romagna, Italia

Il progetto di videosorveglianza della città di Bologna nasce dalla volontà di trovare delle soluzioni ai problemi prioritari: il

senso d’insicurezza, legato alla presenza di gruppi di spacciatori e il degrado di alcuni spazi pubblici nel centro storico della città.

Nel mese di aprile 2000, il servizio responsabile della sicurezza del Comune di Bologna ha condotto un’indagine fra 753 abitanti, allo scopo di compren-dere la loro percezione d’insicurezza. I risultati hanno dimostrato che il senso d’insicurezza legato alla criminalità era particolarmente forte nel centro

BOLOGNANUMERO DI ABITANTI:

377 258NUMERO DI TELECAMERE:

291 ENTE RESPONSABILE:

Il comune

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Focus sulle città

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storico della città. Di fronte a tale situazione, l’am-ministrazione comunale ha deciso d’installare un sistema di videosorveglianza nella zona nord-orien-tale del centro storico.

In giugno 2000, tale progetto preliminare di video-sorveglianza è stato presentato dal Comune di Bo-logna alla Regione Emilia-Romagna, che finanzia regolarmente gli interventi di raff orzamento della si-curezza urbana e degli spazi pubblici nelle città e, in particolare, la riqualificazione urbana, l’illumina-zione pubblica e la sorveglianza dei territori me-diante le nuove tecnologie. Il progetto di videosorveglianza è stato fi nanziato al 50 % dalla Regione Emilia-Romagna nel quadro di un accordo di programma siglato nel 2002 con il Comune di Bologna.

Il costo totale dell’installazione è stato di 1.829.164, 80 euro. Il costo della rete di fi bre ottiche per la tras-missione delle immagini ammonta a circa 100.000 euro l’anno. A tale cifra, bisogna aggiungere un’ulte-riore somma di circa 50.000 euro di manutenzione all’anno. Inoltre, circa 200.000 euro sono stati stanziati nel 2009 – fi nanziati al 66% dalla Regione Emilia-Ro-magna e, per il resto, dal Comune di Bologna – per la sostituzione delle telecamere più obsolete (installate nel 2000), e per migliorare gli aspetti tecnologici del sistema nel suo insieme. I costi d’installazione sono stati ripartiti al 50% fra il Comune e la Regione. Mentre per quel che concerne i costi di servizio e di manutenzione, questi sono totalmente a carico del Comune. In totale, nella città di Bologna sono state installate 291 telecamere. Il nuovo finanziamento da parte della Regione Emilia-Romagna farà salire questo numero fi no a 315 entro la fi ne del 2010.

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Bologna, Italia

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Le telecamere sono analogiche e dotate di un sistema di visione notturna. In 18 casi, si tratta di telecamere a cupola (telecamere “Dome” orientabili orizzontal-mente a 360° con possibilità di zoom).Il sistema di trasmissione dati è coassiale e analo-gico. Il trasferimento fra le telecamere e il sistema di registrazione avviene per mezzo di un cavo coassiale, mentre le centrali operative di polizia sono collegate mediante fibre ottiche. Futuri finanziamenti della Regione Emilia-Romagna permetteranno di colle-gare l’intero sistema a fi bre ottiche.Il « Progetto Sistema-rete integrato di protezione e sicurezza» si basa sull’utilizzo delle nuove tecno-logie per prevenire e limitare la delinquenza. Le immagini delle telecamere posizionate in tutte le zone pedonali più frequentate e presso le fermate degli autobus, in centro città, sono inviate simulta-neamente alle stazioni della questura e alla centrale della polizia municipale. La questura potrà in seguito decidere di trasmetterle alle autorità giudiziarie com-petenti come elementi di prova. Le forze di polizia locale e nazionale possono visionare le immagini criptate e conservarle per sette giorni prima della loro distruzione.

L’operatore della stazione della questura e della po-lizia municipale avrà la possibilità di:•visualizzare le immagini di tutte le telecamere•dirigere le telecamere a distanza.

La polizia municipale gestisce l’installazione avva-lendosi del supporto di tecnici di un’impresa privata e della polizia nazionale. La polizia di Stato, la po-lizia municipale e i Carabinieri controllano le telecamere.Nella stazione centrale di videosorveglianza della polizia, tre agenti lavorano simultaneamente a turni per assicurare il controllo 24 ore su 24.

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Focus sulle città

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Un ispettore della polizia di Stato e due assistenti presiedono 24 ore su 24 la stazione di videosorve-glianza della questura. Uno dei due assistenti e l’ispettore hanno partecipato al corso di formazione organizzato dal Comune di Bologna.

Il potere decisionale degli operatori è limitato dalla legislazione nazionale che limita il potere di scelta ai funzionari della polizia giudiziaria. In totale, le im-magini sono consultate da una decina di operatori ripartiti fra la polizia di Stato, la polizia municipale e i Carabinieri. Le immagini non possono essere trasmesse in tempo reale ad altri servizi. Solo gli agenti di polizia giudiziaria possono acce-dere alle immagini registrate, su autorizzazione della magistratura. Per visionare le immagini, serve non soltanto un’autorizzazione, ma anche la chiave di accesso fi sica. D’altra parte, soltanto il responsabile dell’installazione è abilitato a consultare le registra-zioni e deve utilizzare una particolare chiave di accesso.

La funzione della polizia di Stato ha principalmente un carattere repressivo in tempo reale (in seguito all’allarme che scatta in base alle immagini tras-messe dalle telecamere), ma permette anche di eff et-tuare una forma di « pedinamento » degli individui sospetti mediante l’attivazione dello zoom delle telecamere.

La funzione preventiva è legata all’aumento del ris-chio per i delinquenti di commettere dei reati, quali furti o altri atti d’inciviltà. Una maggiore sorveglianza del territorio permette di off rire ai cittadini un senso di maggiore sicurezza e protezione e una maggiore tempestività d’intervento da parte della polizia.

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Bologna, Italia

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La rete è stata valutata prima, durante e dopo il suo funzionamento. La valutazione è stata realizzata sulla base delle statistiche dei reati, della segnala-zione di piccoli reati e di atti d’inciviltà, del degrado urbano e della percezione d’insicurezza.

E’ tuttavia diffi cile misurare la portata del progetto in maniera precisa, in quanto le statistiche della crimi-nalità non sono molto dettagliate (in particolare dal punto di geografi co) e non permettono di analizzarne correttamente l’evoluzione. Le forze di polizia, da parte loro, si ritengono soddisfatte, in quanto perce-piscono la videosorveglianza come uno strumento ef-fi cace per l’individuazione di soggetti sospetti e per la possibilità di utilizzarla in ambito giudiziario (sottoli-neandone l’aspetto repressivo). Mentre l’aspetto pre-ventivo è meno chiaro. Il grado di soddisfazione dei cittadini sembra essere tuttavia abbastanza buono, anche se non corrisponde perfettamente alle aspetta-tive espresse prima della costituzione della rete.

I cosiddetti eff etti di spostamento/delocalizzazione della criminalità (“displacement effects”) non sono quantificabili, a causa di mancanza di statistiche affi dabili.

Gian Guido Nobili

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Focus sulle città

BRNONUMERO DI ABITANTI:

405 352NUMERO DI TELECAMERE:

164 ENTE RESPONSABILE:

Il comune

La videosorveglianza è stata istituita a Brno da parte del Comune e della Polizia Nazionale nel quadro di programmi di

prevenzione della criminalità fra il 1996 e il 2008. Si tratta di un sistema composto da 18 telecamere, che ha richiesto un investimento di 627.000 euro (sulla base del tasso di cambio del luglio 2010). Le teleca-mere coprono principalmente il centro città, gli spazi intorno alle stazioni ferroviarie, le fermate degli autobus e luoghi molto frequentati. Prima dell’ins-tallazione del sistema il comune aveva effettuato tutta una serie di ricerche sulla sicurezza a Brno, compresi dei sondaggi di opinione fra la popola-zione, delle analisi sociodemografi che e delle statis-tiche della polizia. I lavori preparatori sono stati inoltre conclusi mediante colloqui con gli agenti di

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Brno, Repubblica Ceca

polizia, operatori sociali e rappresentanti delle ONG e altri attori che svolgono un ruolo chiave nello spazio pubblico.

I principali obiettivi individuati che devono essere perseguiti dal sistema sono: ➤ Aumentare il senso di sicurezza nei luoghi della città caratterizzati da un tasso di criminalità fra i più elevati; ➤ prevenire la criminalità; ➤ facilitare l’intervento delle forze di sicurezza in caso di reati negli spazi video sorvegliati.

Oltre a questo sistema, sono installate altre 57 tele-camere in diversi quartieri della città, che sono gestite dalla polizia municipale e dagli enti locali del quar-tiere. Il costo per l’installazione di questo sistema ammonta a circa 2,3 milioni di euro (sulla base del tasso di cambio del luglio 2010). Tali telecamere sor-vegliano i luoghi considerati problematici, anche a causa della presenza di gruppi di persone note per es-sere spesso implicate in affari criminali. Inoltre, l’azienda di trasporti pubblici della città utilizza 24 sistemi di videosorveglianza all’esterno e ha dotato 38 vetture di tram con telecamere. Infi ne, il servizio di manutenzione stradale utilizza altre 64 teleca-mere. Nei rapporti annuali di queste aziende non sono pubblicati né l’ammontare degli investimenti, né i costi di esercizio di tali sistemi. Secondo la legge ceca, solo la polizia nazionale o la polizia municipale sono autorizzate di gestire dei sis-temi di videosorveglianza nello spazio pubblico. Tali sistemi sono fi nanziati mediante i fondi stanziati dal bilancio municipale e le sovvenzioni previste per i programmi di prevenzione della criminalità. Il costo di esercizio è a carico delle autorità di polizia e delle aziende di trasporto pubblico e di manutenzione delle strade. Tutti i sistemi di videosorveglianza di Brno sono integrati in rete.

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Focus sulle città

Secondo la regolamentazione dell’uffi cio per la prote-zione dei dati personali – che ha potere sanzionatorio – anche degli operatori privati possono essere incari-cati di pattugliare alcuni luoghi (semi-pubblici) come, ad esempio, parcheggi o supermercati, ma i loro sis-temi di videosorveglianza non possono registrare le immagini, che non possono dunque essere utilizzate nelle indagini di polizia. Le registrazioni del sistema di videosorveglianza della città di Brno e della polizia nazionale sono conservate per 20 giorni e in seguito automaticamente cancel-late e sostituite dalle nuove registrazioni. Le imma-gini possono essere visionate unicamente dalla polizia nazionale (70 agenti di polizia e 3 membri del Dipartimento delle analisi sono incaricati della sorve-glianza). La polizia criminale e la polizia stradale possono, inoltre, utilizzare le immagini nel corso delle indagini. Le registrazioni sono conservate in una sala speciale presso il centro di comando della polizia nazionale, a cui hanno accesso soltanto gli agenti autorizzati. Tali agenti hanno ricevuto una formazione speciale e sono gli unici che possiedono i codici di accesso alla sala.

La legislazione della Repubblica Ceca in materia di protezione della privacy è parte integrante del codice civile e della legge sulla protezione dei dati. Le auto-rità ceche si attengono, inoltre, al Codice ISO delle buone prassi per la gestione della sicurezza delle informazioni (CSN ISO 27 001). Inoltre, esiste un re-golamento specifi co della polizia per la gestione dei centri operativi e delle direttive per il trattamento delle registrazioni video della polizia nazionale. La funzione del supervisore per la protezione dei dati personali è stata istituita nell’ambito della polizia per assicurare l’applicazione di tale regolamento.

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Brno, Repubblica Ceca

La tecnologia attuale non permette d’invadere lo spazio privato. Una carenza del sistema che deve essere sottolineata è la mancanza di informazioni trasmesse all’opi-nione pubblica. La gente non è informata dell’instal-lazione di nuove telecamere, se non mediante confe-renze stampa.

Da un lato, in alcuni luoghi problematici, il comune ha predisposto un’apposita segnaletica stradale che indica la presenza di telecamere, quando in realtà non ne è presente alcuna. Tale iniziativa è stata intrapresa poiché ha un forte eff etto di deterrenza della delinquenza e aumenta il senso di sicurezza della popolazione, ad un costo poco elevato. La città eff ettua regolarmente delle indagini nell’am-bito della popolazione sul loro senso di sicurezza e apprezzamento del sistema di videosorveglianza. Tali studi indicano che la maggioranza degli abitanti non sono aff atto informati dell’installazione di tele-camere, ma ritengono tuttavia di sentirsi più sicuri grazie alla presenza di telecamere per la videosorve-glianza. Nel 2005, il 4,5% delle persone intervistate sosteneva che l’installazione del sistema di video-sorveglianza limitava la propria libertà personale. Nel 2009, tale percentuale è scesa all’1,9%. Dato il margine abituale di errore in questo tipo di studi, è ragionevole aff ermare che il numero di persone che ritiene che la videosorveglianza violi la libertà perso-nale è attualmente molto esiguo.

Infatti, il sistema di videosorveglianza a Brno non ha generato alcun dibattito pubblico né sollevato oppo-sizioni. Non si sono verifi cati né episodi di proteste pubbliche, né iniziative contrarie o favorevoli alla videosorveglianza. Tutti i partiti politici democratici rappresentati presso l’assemblea municipale di Brno prevedono nel loro programma un capitolo sulla si-

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Focus sulle città

curezza alla prevenzione della criminalità e nell’in-tero ventaglio politico sono tutti di fatto favorevoli alla prevenzione.

Tutte le fasi d’installazione del sistema di videosor-veglianza sono state discusse presso il Consiglio sulla prevenzione della criminalità della città, poi raccomandate al Consiglio comunale e infi ne appro-vate dall’assemblea municipale di Brno. A livello na-zionale, il Dipartimento per la prevenzione della cri-minalità presso il Ministero degli Interni è stato consultato e il progetto è stato approvato dal comi-tato nazionale per la prevenzione della criminalità. il pubblico non è autorizzato a visionare le registra-zioni video, così come previsto dalla legislazione. Nel caso di reati estremamente gravi, la polizia è autorizzata a diff ondere alcune immagini ai media. Tale intervento è svolto dal Dipartimento per le in-formazioni della polizia, con sede presso il quartiere generale regionale della Moravia meridionale.

La valutazione del sistema di videosorveglianza è svolto dal Dipartimento per la prevenzione della cri-minalità del Ministero degli Interni, fra l’altro, grazie ad informazioni fornite dal Comune alla polizia, comprese le analisi comparative sui tassi di crimina-lità e di reati riscontrati nei luoghi videosorvegliati e non. E’ interessante notare che effettivamente la videosorveglianza ha permesso di ridurre il numero di reati contro la proprietà. Inoltre, dei gruppi di delinquenti specializzati in borseggi hanno abban-donato i luoghi sottoposti a videosorveglianza migrando verso altre zone meno « attraenti». Infi ne, degli studi dimostrano che i cittadini si sentono maggiormente sicuri nei luoghi sorvegliati.

Tutti questi elementi dimostrano che il sistema di videosorveglianza può essere considerato come uno

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strumento utile nella politica di sicurezza della città di Brno. Può infatti essere raccomandao in una società funzionale democratica, a condizione che i dati e le registrazioni siano suffi cientemente messi in sicurezza degli strumenti legislativi e tecnici, garantendo i diritti delle libertà individuali fonda-mentali. Il rischio, come sempre, quando si manipo-lano dei dati sensibili, è il fattore umano. Da parte nostra non raccomanderemmo certo l’utilizzo della videosorveglianza in una società non democratica dove il ricatto e l’estorsione sono all’ordine del giorno.

Stanislas Jaburek

Brno, Repubblica Ceca

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Focus sulle città

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GENOVANUMERO DI ABITANTI:

610 766NUMERO DI TELECAMERE:

60ENTE RESPONSABILE:

Il comune

La videosorveglianza in Italia e l’esperienza del Comune di Genova

In Italia, si assiste a una domanda crescente di sicurezza da parte dei cittadini, nonos-tante la diminuzione o, se non altro, la rela-

tiva stabilizzazione del numero di reati gravi. I fattori che contribuiscono a far aumentare questa esigenza di sicurezza sono principalmente: a) la mediatizzazione dei delitti e la ricerca permanente del sensazionale, che ha come conseguenza quella di banalizzare i crimini eccezionalmente spettacolari e di aumentare il sentimento generalizzato d’insicurezza, sull’onda emotiva di un particolare evento; b) la paura della diversità, una sfi da a cui siamo cos-

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Genova, Italia

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tantemente confrontati a causa del ritmo incalzante e dell’evoluzione continua dei cambiamenti sociali e dei problemi legati all’immigrazione; c) la convinzione che si dovrebbe trovare un mezzo per controllare qualsiasi aspetto del nostro contesto di vita, nelle sue componenti individuali o collettive e che, conseguentemente, qualsiasi altro evento nega-tivo che potrebbe capitarci dovrebbe essere imputa-bile alla responsabilità di qualcuno, almeno dal punto di vista della responsabilità obiettiva; d) il fatto che il « nostro » comportamento sia una variabile indipendente e che spetta a qualcun’altro garantire la nostra sicurezza.

In questo quadro, le misure d’intervento più richieste sono: 1) delle pene più severe; 2) una polizia dotata di maggiori risorse e poteri; 3) ddelle tecnologie di controllo. Ma, molto spesso, queste ultime off rono delle risposte in funzione delle circostanze e soltanto in un numero limitato di casi.

In Italia, l’ordine e la sicurezza pubblici sono di com-petenza dello Stato. La recente modifi ca della legis-lazione ha conferito ai sindaci delle competenze specifi che in materia di sicurezza urbana, mediante lo strumento delle ordinanze e, in particolare, tramite i sistemi di videosorveglianza. Nella città di Genova, le politiche municipali di sicu-rezza urbana hanno cominciato a svilupparsi verso la seconda metà degli anni 90, mentre emergeva un’aspettativa sempre maggiore da parte degli abi-tanti affinché la sicurezza fosse assicurata non soltanto tramite le istituzioni tradizionali (forze dell’ordine e autorità pubblica) ma anche diretta-mente da parte degli amministratori locali e dei sindaci. Tali politiche di sicurezza si sono concentrate, in un

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Focus sulle città

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primo tempo, su un intervento nel centro storico della città. Sono state realizzate nel quadro del programma europeo Urban II, che ha permesso, con l’avvallo della Questura, d’installare delle telecamere sotto la responsabilità delle forze dell’ordine, per sorvegliare un certo numero di luoghi sensibili. In seguito, è stato siglato il Patto per la sicurezza fra il ministero degli Interni e l’Associazione nazionale dei comuni italiani, nonché il patto “Genova città sicura” nel 2007 ed è proprio in questo quadro che è stato fi nanziato un progetto di videosorveglianza munici-pale. L’obiettivo principale era quello di attuare uno strumento di prevenzione della delinquenza allo scopo di rassicurare gli abitanti. Allo scopo d’individuare i punti sensibili della città da videosorvegliare, è stato ritenuto indispensabile coinvolgere i Comuni, in quanto rappresentanti della popolazione residente nelle zone interessate. Convinti che l’individuazione dei luoghi e le scelte delle tecnologie più adeguate da adottare debba for-nire una risposta concreta ai bisogni di sicurezza dei cittadini, abbiamo avviato una mappatura dei luoghi critici grazie a un sistema di georeferenziazione, che ci ha permesso d’installare le telecamere. L’informa-zione sui risultati da trasmettere ai cittadini avverrà attraverso diversi canali di comunicazione.

Sul territorio del comune di Genova esistono attual-mente tre sistemi di videosorveglianza, di cui uno destinato al controllo della fl uidità del traffi co stra-dale, composto da 38 telecamere poste sulle princi-pali arterie. La polizia di Stato, dalla stazione centrale di controllo gestisce il proprio sistemi di videosorveglianza com-posto da 97 telecamere. Le prime 60 telecamere del sistema di videosorve-glianza municipale sono state installate nel 2009. I principi guida atti a garantire uno sviluppo ade-

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Genova, Italia

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guato del sistema municipale sono contenuti nell’ordinanza del Garante per la protezione dei dati per-sonali, promulgata in aprile 2004 e che enuncia quattro grandi principi generali: 1-Legalità2-Necessità3-Proporzionalità4-Finalità

Allo scopo di garantire il rispetto di tali principi, è stata creata una commissione tecnica speciale, com-posta da un rappresentante della polizia locale, da un rappresentante della polizia di Stato e da un fun-zionario esperto di videosorveglianza. In funzione dei bisogni espressi dai cittadini, ha il compito d’in-dividuare i luoghi oggetto di videosorveglianza. Da un punto di vista legislativo, l’elaborazione delle immagini è in generale assimilato al trattamento dei dati personali. Data la grande diff erenza fra la natura dei dati personali contenuti nelle immagini, risposto al supporto cartaceo o informatico, è stato ritenuto necessario allineare le modalità di trattamento delle immagini alle norme in vigore in materia di prote-zione della privacy, allo scopo di garantire la prote-zione e i diritti dei cittadini. A tal scopo, il Comune di Genova ha elaborato una normativa, attualmente in fase di adozione, che:

➤ Enuncia i principi generali che devono essere ris-pettati dall’amministrazione comunale nelle attività di videosorveglianza;➤ Enumera gli obiettivi sulla base dei quali l’ammi-nistrazione comunale può eff ettuare il trattamento delle immagini;➤ Delimita i casi in cui è possibile ricorrere a queste misure di videosorveglianza;➤ Individua gli strumenti da utilizzare;➤ Impone l’obbligo della rintracciabilità dell’accesso

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ai dati registrati;➤ Defi nisce le modalità di comunicazione con i citta-dini e fi ssa il periodo durante il quale le immagini possono essere conservate, in funzione dei diversi scopi e obiettivi seguiti;➤ Riconosce i diritti delle persone fi lmate a quelli della popolazione nel suo insieme e defi nisce sotto quale forma tali diritti possono essere esercitati. In particolare, il diritto d’accesso alle immagini delle persone filmate deve essere definito rispetto agli obiettivi degli attori pubblici in materia di effi cacia, effi cienza ed economia. Bisogna, inoltre, prendere in considerazione la protezione dell’identità di terzi. È, infi ne, necessario osservare il principio di risposta a una domanda ragionevole, nel rispetto dell’obbligo d’imparzialità e del buon funzionamento della pub-blica amministrazione, così come sancito dalla Cos-tituzione italiana.

Data l’importanza delle risorse umane e fi nanziarie necessarie alla messa in opera dei sistemi di video-sorveglianza, è indispensabile valutarne e verifi carne l’efficacia. Un primo passo in questo senso, effet-tuato dal Comune di Genova, consiste nel realizzare periodicamente delle indagini sul grado di soddisfa-zione da parte degli abitanti. Esse hanno l’obiettivo di valutare l’impatto degli interventi sul senso di sicurezza dei cittadini. Più in generale, la città è im-pegnata nella definizione di una serie d’indicatori che permetteranno di misurare l’impatto dell’in-sieme delle iniziative prese nel quadro della politica di sicurezza urbana.

Mariapia Verdona

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Ibiza, Spagna

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L’attuazione nel luglio 2009 di un sistema di videosorveglianza della città d’Ibiza, la capi-tale dell’isola balneare e porto lo stesso nome,

fa parte di una serie di misure prese dal comune per ri-qualifi care i quartieri del centro storico, degradati dalla emarginazione dalla delinquenza. Le diverse giunte co-munali che si sono succedute a partire dal 1987 hanno investito in totale circa 50 milioni di euro della ristrut-turazione dei tre quartieri più «diffi cili» della città vec-chia, ossia Sa Penya, La Marina e Dalt Villa: sono stati eff ettuati diversi interventi fra cui la pedonalizzazione di alcune strade, la creazione di nuovi spazi culturali e l ’ammodernamento del le infrastrutture. . . Parallelamente, il comune ha raff orzato la sua politica di prevenzione della delinquenza aumentando il nu-

IBIZANUMERO DI ABITANTI:

41 000NUMERO DI TELECAMERE:

4ENTE RESPONSABILE:

IL COMUNE

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Focus sulle città

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mero di addetti della polizia di prossimità in tali quar-tieri e avviando nel 2006, tutte le procedure necessarie presso il governo regionale per ottenere l’autorizza-zione per l’installazione delle telecamere. La pratica di presentazione del progetto comprendeva anche i dati statistici sulla criminalità locale oltre ad alcuni articoli di giornale inerenti a fatti criminali compiuti nell’am-bito della città vecchia. Il dossier descriveva tutte le caratteristiche tecniche delle telecamere così come i dettagli relativi all’installazione. Data una popolazione permanente di circa 41.000 abitanti, la città d’Ibiza (Ei-vissa in lingua catalana locale) accoglie ogni anno circa 400.000 turisti. Furti, piccoli traffi ci di droga, episodi di ubriachezza in strada... Il successo turistico d’Ibiza - uno dei luoghi più frequentati del Mediterraneo e uno dei simboli della leggendaria «movida» spagnola -ha un impatto diretto sulla delinquenza, in particolare quella legata allo spaccio di droga. Tale traffi co riveste un ruolo particolarmente importante nella città vecchia di Eivissa, punto nevralgico della vita notturna. Secondo alcune informazioni pubblicate nel giugno 2006 dal quotidiano local Diario de Ibiza, il tasso di criminalità registrato nelle isole d’Ibiza e Formentera era allora due volte superiore alla media spagnola (118 «reati le infrazioni» per abitante, contro una media di 49,3 in Spagna)*. Il comune ha sollecitato l’autorizza-zione di installare in totale cinque telecamere, di cui quattro sono state installate in luglio 2009. Il costo dell’installazione è ammontato a 89.600 euro e la ma-nutenzione fi nanziata dal comune.

Protezione dei dati e rispetto della privacyIl consiglio municipale responsabile della conserva-zione delle registrazioni, delegata alla polizia munici-pale, così come il loro utilizzo o distruzione. Un’équipe di otto operatori è incaricata del funzionamento delle telecamere e ha accesso diretto alle immagini. una volta

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registrate, solo tre funzionari di polizia graduati sono autorizzati a visionarle. Non è previsto nessun altro tipo di trasmissione, in diretta o diff erita, delle imma-gini. Tuttavia, si è verifi cato il caso che la polizia muni-cipale consegni alcune registrazioni alla polizia nazionale nel quadro delle sue indagini. Le registrazioni sono distrutte dopo una scadenza mas-sima di un mese, a meno che non siano utilizzate nel quadro di un’inchiesta su un reato grave o nel caso di una procedura giudiziaria in corso. Nel caso in cui siano registrati dei fatti potenzialmente illeciti, i video saranno trasmessi alle autorità giudi-ziaria entro un termine di massimo 62 ore dopo la registrazione. Nel caso in cui si tratti di atti che pos-sono costituire un «illecito amministrativo» legato alla «pubblica sicurezza» (ai sensi della legge spagnola), Le registrazioni saranno immediatamente trasmesse alle autorità competenti, al fi ne di avviare una procedura penale. In caso di registrazione illegale di immagini o suoni, la registrazione dovrà essere distrutto immedia-tamente, in conformità alla legge Fondamentale 4/1997.Nel caso in cui sia necessaria solo una distruzione par-ziale o se la distruzione totale e impossibile inadeguata, per motivi tecnici o in funzione della procedura utiliz-zata, il responsabile della conservazione delle registra-zioni dovrà distorcere, mascherare o bloccare quei suoni e immagini in questione al fi ne di renderli inuti-lizzabili, utilizzando i mezzi tecnici a sua disposizione.

Informazione al pubblicoGli abitanti di Eivissa sono informati dell’installazione del sistema di videosorveglianza principalmente me-diante una campagna stampa sui media locali. La po-polazione dei quartieri interessati è stata inoltre infor-mata dalle autorità locali di tutte le disposizioni di legge sulla protezione dei dati personali e sulle procedure di ricorso in caso di anomalia. Inoltre, i residenti degli im-

Ibiza, Spagna

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Focus sulle città

mobili in cui sono installate delle telecamere sono per-sonalmente informati dagli addetti responsabili dell’installazione, che ne hanno richiesto il consenso (benché questo non sia obbligatorio per legge). D’altra parte, si può notare che a parte gli abitanti degli edifi ci in cui sono posizionate le telecamere, il resto della po-polazione di Eivissa non è stato informato del posizio-namento esatto di tali dispositivi.La realizzazione del sistema di videosorveglianza non ha provocato nessuna contestazione né controversia. Tutto al più, si sono verificate alcune proteste per quanto riguarda i tempi di installazione, talvolta giudi-cati troppo lunghi da alcuni.

Un bilancio positivoAl termine del primo anno di funzionamento, di ammi-nistratori locali e la polizia municipale giudicano posi-tivamente i risultati del sistema, in quanto ha permesso di ridurre il numero dei reati e si è inoltre rivelato utile nel quadro di numerose operazioni di polizia. La video-sorveglianza costituisce così un complemento utile al lavoro della polizia di prossimità svolto nei quartieri della città vecchia di Eivissa. In generale, quest’opi-nione è condivisa dalla popolazione locale.

* «Las Pitiüses duplican la tasa media de delincuencia por habitante de España», Diario de Ibiza, 6 giugno 2006.

Manuel Ayala Garcia

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A Le Havre è stato costituito un partena-riato permanente con i servizi statali – il Sotto-Prefetto - , della Giustizia – il Procu-

ratore della Repubblica, la Polizia Nazionale – il Capo della Sicurezza Pubblica per la Circoscrizione di Havre, Il Ministero Nazionale della Pubblica Is-truzione – l’Ispettore d’Accademia, che si riunisce sistematicamente ogni 15 giorni con il Vice-Sindaco, l’Assessore alla Sicurezza e la Direzione della Sicu-rezza Municipale, nel quadro del gruppo ristretto del Comitato Locale per la Sicurezza e la Prevenzione della Delinquenza « C. L. S. P. D ».

➤ Sin dalle prime fasi di riflessione sul progetto d’installazione di un sistema di videosorveglianza,

LE HAVRE NUMERO DI ABITANTI:

180 000NUMERO DI TELECAMERE:

90ENTE RESPONSABILE:

Il comune

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Focus sulle città

abbiamo sottoposto la questione ai nostri partner per raccoglierne le opinioni e poi ad ogni fase della sua attuazione, realizzazione e creazione di un even-tuale Comitato Etico e della sua composizione, e continuiamo a portare avanti questi scambi ogni volta che emerge la necessità di estendere le zone videosorvegliate.

➤ E’ talvolta su richiesta della Polizia Nazionale che prevediamo e proponiamo un’estensione della vi-deosorveglianza in funzione del numero di fatti concreti di delinquenza, in maniera sostenibile, in una certa zona o quartiere.

➤ E’ dunque solo in seguito ad una rifl essione collet-tiva, e sempre in tempo utile, che decidiamo d’instal-lare delle telecamere supplementari, e non come rea-zione a una richiesta da parte di un cittadino, vittima di un reato.

Le richieste d’installazione di telecamere in tutti i quartieri, da parte di privati, commercianti o titolari d’imprese sono così numerose, d’altra parte, che non potremmo rispondere a tutte. Dal 2004 alla fi ne del 2005, data dell’installazione delle prime 3 telecamere in un centro commerciale di quartiere che stava per chiudere a causa della delin-quenza dilagante, l’Assessore alla Sicurezza informò il Consiglio Municipale del progetto e incontrò i rap-presentanti di tutti i media: la stampa, la radio, la televisione e le associazioni, fra cui la Lega dei Diritti Umani, le associazioni di quartiere e tutti i cittadini di Havre che sollecitavano un incontro per essere in-formati sull’iniziativa. Furono dunque trasmesse tutte le informazioni disponibili prima, durante e dopo l’installazione, attenendosi ad informazioni precise, trasparenti e complete. Riteniamo che la videosorveglianza urbana sia uno

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strumento al servizio della politica di sicurezza e di prevenzione della delinquenza nel quadro del contratto locale di sicurezza della Città di Havre. I suoi obiettivi sono quelli di prevenire i reati contro gli individui e la proprietà, di partecipare e raff orzare il senso di sicurezza dei cittadini e di mettere in sicu-rezza gli edifi ci comunali e gli spazi pubblici esposti a tali rischi.

Questa azione deve conciliarsi con l’imperativo del rispetto delle libertà pubbliche e individuali in conformità allo spirito della Legge di Orientamento e di Programmazione della Sicurezza del 21 gennaio 1995 e dei suoi decreti attuativi.

E’ con questa preoccupazione permanente di garan-tire ai cittadini la massima protezione che la Città di Havre ha auspicato la creazione del Comitato Etico per la videosorveglianza degli spazi pubblici.

Tale Comitato Etico è composto da 3 collegi:➤3 amministratori locali di cui uno nominato dall’opposizione municipale.

➤ 3 personalità qualifi cate:• l’ex Rettore dell’Università• un ex Presidente del Collegio Forense • un rappresentante della Camera di Commercio

➤ 3 rappresentanti di Associazioni• il Presidente dell’Associazione d’Aiuto alle Vittime• il Presidente del Consiglio Superiore dei Senegalesi di Havre • il Presidente di un’associazione di assistenti sociali

Le Havre, Francia

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Focus sulle città

Il Comitato Etico della videosorveglianza degli spazi pubblici è incarico di:➤ vigilare che sia assicurato il rispetto permanente delle libertà pubbliche➤ informare i cittadini sul funzionamento del sistema➤ esaminare su richiesta del Sindaco di Havre tutte le richieste d’accesso alle immagini e altre la-mentele dei cittadini➤ formulare pareri e raccomandazioni al Sindaco sul funzionamento del sistema➤ presentare al Sindaco di Havre un rapporto an-nuale sul funzionamento della videosorveglianza

Tutte queste informazioni, e la realtà della loro concreta utilità, fanno sì che non vi sia attualmente alcuna opposizione, se non estremamente marginale (!), al funzionamento della videosorveglianza nella nostra città. Bertrand Binctin

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Liegi, città millenaria, città universitaria, metropoli economica e culturale della Val-lonia, è situata nel cuore d’un agglomerato

urbano di 600.000 abitanti, al punto d’incontro di reti ferroviarie ad alta velocità (TGV) ed autostradali per gli autotrasporti transeuropei, ad una distanza di 100 km da Bruxelles, 25 km da Maastricht e 40 km da Aix-la-Chapelle.

Città vivace, di giorno come di notte, privilegia la convivialità e l’ospitalità. E’ teatro di numerosi eventi sportivi, ricreativi e culturali.

A partire dal 2002, il progetto di rinnovo della rete di telecamere di sorveglianza era stato inserito

LIEGINUMERO DI ABITANTI:

190 000NUMERO DI TELECAMERE:

109ENTE RESPONSABILE:

Il comune

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Focus sulle città

nell’agenda delle proposte d’azioni prioritarie da sottoporre al voto dei cittadini di Liegi, nel quadro del progetto “Città sicure” avviato dalla consulta cittadina sul progetto di città. Era stato sostenuto a larga maggioranza da tutti coloro che avevano partecipato al sondaggio.

A partire da quella data, su richiesta del sindaco (borgomastro), i servizi di polizia locale di Liegi hanno proceduto all’installazione di un totale di 109 telecamere di sorveglianza, scaglionate su un periodo di cinque anni, dal 2003 al 2008.

Da un punto di vista tecnologico, si tratta di teleca-mere di tipo “speed dome” ad alta tecnologia e ad alta definizione, che permettono una rotazione a 360° orizzontalmente e a 90° verticalmente. Lo zoom permette di leggere chiaramente una targa d’immatricolazione a una distanza di 150 metri, sia di giorno sia di notte.

Queste telecamere sono tutte parametrizzate in modo da rendere impossibile la visualizzazione nelle abitazioni private, ma non sono dotate di un sup-porto intelligente di elaborazione delle immagini. Da cui l’importanza della formazione degli operatori, che devono anche conoscere bene il quartiere che sorvegliano e la popolazione residente.

Le telecamere sono collegate in rete, mediante un circuito chiuso a fi bre ottiche – che esclude qualsiasi rischio di pirateria. Le immagini sono visualizzate nella centrale di gestione degli eventi e in due com-missariati di quartiere. I dati non sono condivisi con altri servizi o istituzioni.

La visualizzazione è effettuata esclusivamente da agenti di polizia – dunque, da personale autorizzato

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che ha prestato giuramento ed è tenuto al segreto professionale.

Le immagini sono registrate e distrutte dopo sette giorni, benché la legge ne permetta la conservazione fi no a un mese.

Qualsiasi abitante può sollecitare la visualizzazione delle immagini che lo riguarda, se ne fa richiesta presso il gestore del sistema, ossia il borgomastro. E’ possibile fare ricorso contro il gestore del sistema.

La Procura della Repubblica e il Giudice istruttore possono inoltre richiedere le immagini nel quadro di una causa penale.

I luoghi d’installazione delle telecamere sono scelti in funzione degli obiettivi attribuiti al sistema, in occa-sione della sua messa in funzione. Si tratta di apportare una risposta di qualità ai tre tipi di problematiche seguenti:➤ problematiche di circolazione, mediante la visualiz-zazione delle grandi arterie d’immissione in città,➤ problematiche di ordine pubblico, mediante la vi-sualizzazione dei luoghi di manifestazioni ricorrenti,➤ problematiche di sicurezza, mediante la visualizza-zione di alcune zone sensibili, come le arterie dei quar-tieri di vita notturna.

È stata prediposta una segnaletica specifi ca che indica il nome del gestore del sistema.

In ognuna delle quattro fasi d’installazione successive, i fascicoli sono sottoposti all’approvazione del consi-glio comunale, in cui i timori relativi al rispetto delle libertà individuali sonno discussi pubblicamente.

Gli obiettivi perseguiti così come l’ubicazione precise

Liegi, Belgo

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Focus sulle città

delle telecamere sono regolarmente oggetto di media-tizzazione attraverso i comunicati e le conferenze stampa.

Le informazioni alla popolazione sono inoltre tras-messe attraversi dei contatti con i comitati di quartiere, una pratica che è stata istituita prima ancora dell’ins-tallazione del sistema e che è attuata mediante una valutazione regolare. I partecipanti a queste riunioni sono apertamente invitati dal borgomastro per espri-mere le loro esigenze.

Nel 2007, è stata istituita una commissione di controllo locale. E’ composta da rappresentanti di ciascuno dei quattro gruppi politici democratici rappresentati presso il consiglio comunale di Liegi e si riunisce ogni due o tre mesi.

La sua mission consiste nel garantire un’adeguata attuazione della legge del 2007. In particolare, intende vigilare affi nché:➤ la visualizzazione presso il centro «telecamere» sia eff ettuata esclusivamente da personale di polizia con specifi ca formazione;➤ la dichiarazione alla «commissione per la privacy» sia correttamente redatta;➤ dei parametri siano utilizzati per mascherare le zone private e gli immobili privati;➤ sia utilizza una segnaletica corrispondente alle prescrizioni legali posizionata nelle strade individuate;➤ le immagini siano conservate e poi distrutte dopo sette giorni.

I consiglieri comunali sono regolarmente informati sui vari elementi di valutazione, ossia su: i risultati dei la-vori della commissione di controllo locale, le riunioni

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della commissione speciale di polizia, le visite presso il «centro di gestione degli eventi». . .

Anche il pubblico è regolarmente invitato a visitare questo centro, ad esempio nel quadro delle giornate dedicate alle «porte aperte» della polizia. Tali giornate attirano un gran numero di visitatori.

Dal punto di vista dei costi, l’installazione dell’insieme del sistema ammonta a oltre cinque milioni di euro. Le spese di gestione sono nulle, in quanto la rete si basa sulle fi bre ottiche. Il budget annuale di manutenzione preventive è di circa 100.000 euro. Bisogna, inoltre, tener conto delle spese relative all’aggiornamento re-golare del sistema, in particolare l’acquisto di nuovi soft ware.

L’impatto del sistema è valutato positivamente in termini di dissuasione e di messa in sicurezza della popolazione. Tuttavia, tale impatto non è ancora stato sottoposto ad una valutazione esterna.

Su un periodo di un anno, le telecamere hanno permesso di accertare 54 fatti di criminalità in fla-grante e di apportare 58 risultati positivi a delle richieste di prosieguo di inchieste.

Catherine Schlitz

Liegi, Belgo

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Descrizione del progetto di creazione di un sistema di videosorveglianza

L’esperienza londinese della videosorve-glianza, così come, più in generale, l’espe-rienza britannica, non corrisponde unica-

mente ad un solo progetto. Innanzitutto, Londra è suddivisa in 33 aree o distretti amministrativi (Bo-roughs), ognuno dei quali è dotato del proprio sis-tema di videosorveglianza. Inoltre, esistono nume-rosi altri progetti su iniziativa delle autorità pubbliche e diversi sistemi privati di videosorveglianza che co-prono spazi pubblici (es. telecamere appartenenti a imprese, che sorvegliano i punti d’ingresso e uscita).

L’utilizzo della videosorveglianza è aumentato in

LONDRANUMERO DI ABITANTI:

7 684 700NUMERO DI TELECAMERE:

≈ 60 000ENTE RESPONSABILE:

Il comune

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Londra, Regno Unito

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maniera esponenziale nel corso degli ultimi decenni. All’inizio degli anni 60, furono installate delle tele-camere al fi ne di controllare il traffi co. Successiva-mente, nel corso degli anni 70 e 80, furono installate dei sistemi di videosorveglianza nei grandi centri commerciali, dove esiste una certa ambiguità rispetto alla natura dello spazio. In altre parole, nei grandi centri commerciali si ha l’impressione che le corsie su cui si aff acciano i vari negozi rappresentano uno spazio pubblico, mentre in realtà si tratta di luoghi privati. La maggior parte dei centri commer-ciali è pattugliata da agenti di sicurezza privati, in generale, in convenzione con la polizia locale, che permette loro e li incoraggia ad eff ettuare dei servizi di pattugliamento regolari. Inoltre, negli ultimi tempi, i sistemi di videosorveglianza sono stati uti-lizzati per gestire i grandi eventi sportivi – in partico-lare, le partite di calcio, in cui si sono rivelati essere uno strumento effi cace a servizio della strategia volta a sopprimere la violenza negli stadi e nelle zone circostanti. Tutto ciò, combinato con un periodo prolungato di minaccia reale del terrorismo, ha per-messo di abituare l’opinione pubblica britannica all’utilizzo della videosorveglianza. Tale processo è ormai talmente radicato che molto spesso sono gli stessi cittadini che richiedono l’installazione di telecamere.

La volontà di ridurre la criminalità è stata uni dei fat-tori fondamentali dello sviluppo di progetti di video-sorveglianza, naturalmente con l’obiettivo poten-ziale e supplementare di prevenire il terrorismo e di fornire una valida alternativa all’utilizzo di detective. La videosorveglianza è oggi talmente onnipresente che si ha la tendenza a credere di essere osservati, anche quando non è presente alcun sistema. La mag-gior parte (se non addirittura la totalità) dei centri-città di tutto il territorio londinese è coperta da tele-

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Focus sulle città

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camere di sorveglianza. Non è facile aff ermare con certezza qual è il numero esatto di telecamere instal-late. Tuttavia, il Centro di comando e controllo della polizia può avere accesso a 60.000 telecamere. A titolo indicativo, solo l’aeroporto di Heathrow di per se è dotato di ben 3000 telecamere.

E’ stato aff ermato con sempre maggiore determina-zione che l’uso e l’installazione di telecamere sono stati fi nora eff ettuati un po’ a caso. La tendenza era quella di non prendere in considerazione l’impatto potenziale sulla delocalizzazione della criminalità o sul disturbo dell’ordine pubblico ed esistono poche prove di casi in cui, una volta ridimensionato il problema specifi co, le telecamere siano state rimosse o spostate altrove. Tali problemi sono ora aff rontati in maniera più strutturale, grazie alla messa a punto di una strategia nazionale per la videosorveglianza, con il benestare del Ministero degli Interni (Home Offi ce). Chiaramente, tale attività è svolta solo dopo che l’uso di una tale tecnologia si è ben consolidato. Infatti, siamo già alla seconda, se non addirittura alla terza generazione di questa tecnologia, in quanto gli enti locali e le altre istituzioni partner modernizzano i loro sistemi per trarre vantaggio dagli ultimi sviluppi della tecnologia in questo campo. Ad esempio, è in atto un passaggio tecnologico dall’ana-logico al digitale verso l’utilizzo delle telecamere a cupola, che offrono il vantaggio di non svelare a coloro che si trovano nel loro angolo di visione in quale direzione è rivolta la telecamera. E’ certamente anche vero che ogni volta che è disponibile una nuova tecnologia di ultimo grido, può spesso preva-lere il desiderio di possedere a tutti i costi l’ultimo modello sulla rifl essione più razionale che porta a decidere quale livello di complessità tecnologica corrisponderebbe eff ettivamente alle proprie parti-colari esigenze – un’analogia di facile comprensione

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Londra, Regno Unito

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sarebbe quella di voler acquistare una Ferrari per andare a fare la spesa al supermercato! Esiste oggi un desiderio crescente di esaminare i vantaggi accu-mulati da tale sistema, dati i costi considerevoli che sono in gioco. Tuttavia, pare che il ritiro di tali sistemi sarebbe una decisione politica delicata.

Con l’emergenza dei sistemi di videosorveglianza degli enti locali, a partire dal 1985 circa ad oggi, vi è stata la presunzione di ritenere che tali sistemi dovessero essere sottoposti al controllo degli enti locali piuttosto che della polizia.

Tuttavia, è sempre stato previsto dalle modalità di accesso alle telecamere da parte della polizia che ciò avvenga mediante gli agenti addetti alle sale di controllo o mediante le immagini ritrasmesse in diretta alle sale di controllo della polizia, per opera di personale esperto autorizzato al visionamento delle telecamere, allo scopo di sorvegliare e individuare specifi ci incidenti.

Il rapido sviluppo di partenariati effi caci fra la polizia e gli enti locali ha contribuito all’eliminazione della distinzione fra la polizia e gli enti locali per quel che concerne il controllo della videosorveglianza. Un certo numero di sale di controllo di videosorveglianza è attualmente localizzato presso le sale di controllo della polizia, e nonostante gli operatori addetti alla videosorveglianza facciano parte del personale dipendente degli enti locali, i poliziotti hanno cos-tantemente accesso alle immagini in diretta.

Un certo numero di sale di controllo degli enti locali è preposto allo svolgimento di operazioni di sorve-glianza confi denziali, che permette di eff ettuare la sorveglianza di telecamere isolatamente rispetto alla centrale principale di sorveglianza, all’insaputa degli

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operatori e senza il loro coinvolgimento. La messa in pratica di una tale funzione potrebbe, ad esempio, essere un’operazione speciale in diretta antiterro-rismo o un’indagine su un importante fatto crimi-nale. Questo sarebbe un argomento interessante da trattare in relazione alla questione del rispetto dei diritti umani e della privacy!

La legislazione in questo campo comprende la legge sui diritti umani (Human Rights Act) oltre alla legge sulla protezione dei dati (Data Protection Act). Bi-sogna osservare che non esistono clausole legali specifi che per la videosorveglianza nel Regno Unito. Tuttavia, la legislazione, compresa quella sulla pro-tezione dei dati, si riferisce a tutti e non è limitata agli enti pubblici. Oltre a ciò, come già sottolineato, la strategia nazionale della videosorveglianza pre-vede la messa a punto di un codice deontologico relativo a tutti gli aspetti della videosorveglianza. Inoltre, il Regno Unito, di concerto con altri Stati, utilizza diverse tecnologie per proteggere gli spazi privati dalla sorveglianza indiscreta. Ad esempio, i sistemi appartenenti agli enti locali hanno l’abitu-dine di oscurare o off uscare le parti delle immagini delle telecamere riguardanti uno spazio privato. Un esempio potrebbe essere quello di una proprietà residenziale al di sopra di un locale pubblico, su una strada principale. Mentre la telecamera scansiona il perimetro di osservazione, le zone private sono auto-maticamente oscurate. Tuttavia, è possibile annul-lare questa tecnologia in caso di situazioni partico-lari, come ad esempio gravi delitti, indagini antiterrorismo, (mediante ricorso alle autorità com-petenti, che dovranno emettere un’autorizzazione speciale di alto livello.

Tutti i luoghi coperti da videosorveglianza devono essere segnalati da appositi cartelli segnaletici che

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Londra, Regno Unito

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indicano la presenza di telecamere oltre alle infor-mazioni su come contattare gli operatori. Tuttavia, pare che attualmente le telecamere siano diventate talmente onnipresenti che tale segnalazione è am-piamente ignorata. Come già sottolineato, è ancora in atto un lavoro di messa a punto di una strategia nazionale per l’uso della videosorveglianza. I relativi documenti possono essere trovati sul sito Internet del Ministero degli Interni britannico (Home Offi ce). Al momento della redazione del presente testo, il governo di coalizione recentemente eletto ha mani-festato l’intenzione di raff orzare la regolamentazione sulla videosorveglianza. Ciò infl uenzerà l’attuazione della strategia nazionale, ma per il momento non si conoscono i dettagli della nuova struttura normativa che sarà messa a punto.

Esistono dei codici deontologici a cui devono atte-nersi gli operatori addetti alla sorveglianza dei sis-temi, che costituiscono le basi della formazione im-partita. La maggior parte delle sale di controllo di videosorveglianza sono esse stesse soggette a teleca-mere di sorveglianza in permanenza – un vero esempio di ‘sorveglianza dei sorveglianti’! Inoltre, è prevista la prassi di ‘visitatori non iniziati’ che pas-sano nelle sale di controllo di videosorveglianza. Tale progetto deriva da quello già in funzione nel quadro di accesso alle persone detenute nei commissariati. Dei volontari della comunità hanno diritto di accesso diretto alla zona di detenzione e hanno l’opportunità di parlare con i detenuti per stabilire le condizioni della loro detenzione. Così come possono presen-tarsi improvvisamente dei volontari nelle sale di controllo di videosorveglianza, senza farsi annunciare, al fi ne di verifi care l’operato degli ad-detti e il rispetto delle procedure.

In tutte le zone di prestazione del servizio pubblico,

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esiste un certo dinamismo volto a coinvolgere mag-giormente i cittadini nel processo decisionale. Nel contesto del mantenimento dell’ordine pubblico, lo si può constatare in diversi modi, ad esempio attra-verso le commissioni di quartiere. Questa iniziativa, che fa parte dell’approccio nazionale per il manteni-mento dell’ordine nei quartieri, si fonda sul coinvol-gimento dei membri della comunità locale al fi ne di stabilire delle priorità in materia di mantenimento dell’ordine e di porre la polizia locale e i suoi partner dinanzi alle loro responsabilità al fi ne di rispondere a tali priorità. Questi organismi possono fungere da catalizzatore per l’installazione di sistemi di videosorveglianza.

Poiché la percezione pubblica è ampiamente positiva e riguarda i potenziali vantaggi della videosorve-glianza, tali gruppi diventano dei e propri veri mili-tanti a sostegno dei progetti locali. Ciò può persino evocare un’immagine contrastante della polizia, che cercherebbe di attenuare l’entusiasmo per la video-sorveglianza, puntualizzando come si tratti soltanto di una delle numerose misure che possono essere utilizzate per affrontare un problema che è stato individuato e correttamente analizzato.

Nel corso degli ultimi anni, è stata registrata un’on-data crescente di opinioni favorevoli alla prudenza (e non verso un’opposizione categorica) dinanzi alla vi-deosorveglianza. Tale prudenza sembra derivare sia da un’analisi costi-benefi ci che da episodi di viola-zione della privacy. Bisogna vedere questo fenomeno come una conseguenza dell’esperienza di situazioni in cui erano state installate delle telecamere sconsi-deratamente o senza le risorse necessarie per rispon-dere effi cacemente alla situazione osservata; nulla sminuisce più rapidamente il valore della videosor-veglianza della percezione generalizzata che tanto

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non arriverà nessuno nel caso in cui dovesse avve-nire un reato sotto lo sguardo delle telecamere.

Come per qualsiasi altra attività di sicurezza della comunità o di mantenimento dell’ordine, il compito di valutare l’effi cacia della videosorveglianza è com-plesso. La stima dell’efficacia della prestazione rispetto agli obiettivi prefi ssati è diffi cile da compiere se gli obiettivi stessi sono già confusi. Ad esempio, cosa s’intende per ‘effi cacia’? prevenzione o lotta? Esiste un valore intrinseco e misurabile nella perce-zione di sicurezza apparentemente generata dalla videosorveglianza ? Come separare gli eff etti della videosorveglianza da tutti gli altri interventi che sono stati messi in atto in risposta ad un determinato problema?

E’ stato provato che la videosorveglianza possa ridurre la criminalità e il disordine pubblico, benché sia meno certo che tali eff etti continuino necessaria-mente nel lungo termine. Così com’è stato provato che la videosorveglianza sia effi cace nel contesto di reati, gravi come il terrorismo – persino per gli atten-tati kamikaze – probabilmente per la limitazione delle fasi di perlustrazione necessarie che precedono gli attacchi.

Esistono probabilmente molteplici prove che stanno a dimostrare come la videosorveglianza possa fornire un supporto di grande valore per gli investigatori. Nella peggiore delle ipotesi fornisce delle prove inconfutabili di comportamento e identificazione. Bisogna inoltre osservare che sono stati effettuati degli studi che indicano l’esistenza di prove secondo cui la videosorveglianza comporti un’elevata percen-tuale di dichiarazioni di colpevolezza, il che evita la necessità di adire le vie giudiziarie e dunque di ris-parmiare sui costi. D’altra parte, è stato dimostrato

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Focus sulle città

che quando sono portate come prove le immagini di videosorveglianza, è emessa una sentenza più severa.

Per quel che concerne la garanzia, ancora una volta, i risultati non sono chiari. L’uso della videosorve-glianza è talmente onnipresente che spesso è ignorato. Allo stesso tempo, ci si potrebbe interro-gare sulla tendenza all’aumento della paura nelle zone non coperte da telecamere. Il bisogno umano di sicurezza è il motivo trainante che porta a richiedere sempre maggiori garanzie, che si tratti di un poli-ziotto ad ogni angolo di strada o di una telecamera su ogni lampione!

Concludendo, possiamo aff ermare che la videosorve-glianza rappresenta uno strumento di grande valore, in quanto parte integrante della cassetta degli attrezzi della sicurezza a servizio della comunità, ma non rappresenta una risposta in sé. Essa deve iscri-versi nel quadro di in una risposta strategica pro-grammata, coerente e ben elaborata. La sua effi cacia deve essere stabilita sulla base degli obiettivi sottos-tanti la sua attuazione, caso per caso. Gli obiettivi varieranno a seconda dell’insieme di crimini e delitti e dei luoghi fi sici e, dunque, le prove di successo va-rieranno di conseguenza.

Andrew Bayes

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Il Comitato Etico della videosorveglianza a Lione

Dal momento in cui la città di Lione si è orientata a favore della realizzazione di un sistema di videosorveglianza, è stato

deciso di costituire una commissione extra-munici-pale, con funzioni di Comitato Etico. Il Presidente naturale di questa commissione, il sindaco di Lione ha delegato questo compito ad una persona indipen-dente, Jean-Pierre Hoss, Consigliere di Stato, che ha così assolto il primo mandato del Comitato. Per il secondo mandato è stato nominato Daniel Chabanol, Consigliere di Stato, ex Presidente della Corte d’Ap-pello Amministrativa di Lione.

LIONENUMERO DI ABITANTI:

472 000NUMERO DI TELECAMERE:

219ENTE RESPONSABILE:

Il comune

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Focus sulle città

La composizione del Comitato rifl ette la volontà di rispondere a diverse esigenze: oltre agli amministra-tori locali appartenenti alle diverse aree politiche (compresa l’opposizione), fanno parte del Comitato alcuni membri della cosiddetta società civile, ossia dei rappresentanti di associazioni, come la lega dei diritti umani, o altre personalità qualifi cate fra cui possiamo annoverare un membro onorario dell’ordine degli avvocati e un rettore onorario dell’acca-demia di Lione.

La mission uffi ciale del Comitato ruota intorno a tre assi principali:➤ Redigere e tenere aggiornato un dossier sulla videosorveglianza, lavoro compiuto sotto la presi-denza di M. Hoss, ma che dovrà essere aggiornato per tener conto degli sviluppi legislativi sulla ques-tione. L’oggetto di questo capitolato (sottoposto alla decisione dei politici locali consiste, nel pieno rispetto delle prescrizioni di legge, nel definire le modalità complementari di acquisizione e utilizzo delle immagini proprie ad aumentare le garanzie degli utenti dello spazio pubblico. Il dibattito attual-mente in corso (oltre all’attuazione delle nuove norme legislative) è incentrato sul diritto di accesso alle immagini e l’utilizzo che se ne può fare: le per-sone fi lmate possono ottenere il diritto di accesso alle immagini che le riguardano, secondo quali modalità / quali autorità possono guardare gli schermi « in tempo reale » e a quali fi ni / chi può accedere alle registrazioni e a quali condizioni?

➤ Ricevere dei reclami da parte di persone fi lmate, fornire pareri sul follow-up di questi reclami e ela-borare una proposta a tal fi ne. Bisogna però ovvia-mente osservare che tale attività è molto marginale, in quanto rarissimi sono i casi di reclami: per defi ni-zione, le persone che sarebbero filmate in circos-

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Lione, Francia

tanze discutibili (ad esempio, in uno spazio privato, in caso di deregolamentazione dei meccanismi che si oppongono a tale pratica) o casi in cui le immagini sarebbero conservate oltre i tempi legali stabiliti o ancora nel caso in cui sarebbero viste da persone non abilitate inconsapevoli della mancanza com-messa e dunque non hanno l’occasione di sporgere reclamo …

➤ Costituire una banca dati sulle pratiche in materia di videosorveglianza, osservata sia in Francia sia in altri paesi d’Europa. L’obiettivo in questo caso è du-plice. Da una parte, questi dati dovrebbero permet-tere di rispondere in maniera quanto più scientifi ca possibile alla questione dell’utilità della videosorve-glianza. Bisogna segnalare che la città di Lione ha avviato, sotto lo sguardo attento del Comitato Etico, uno studio universitario dedicato alla questione: un laureando per la sua tesi di laurea ha condotto una ricerca in ambito strettamente universitario (Uni-versità di Lione-II e di Ginevra), con il sostegno fi nanziario da parte del Comune, nel pieno rispetto di tutte le garanzie del caso affinché tale ricerca fosse condotta nella più totale indipendenza universitaria.

D’altra parte, i contatti stabiliti in occasione della ricerca dovrebbero condurre infi ne alla realizzazione di una rete di comuni, con l’idea di realizzare uno spin-off dell’istituzione universitaria di Lione.

➤ Nell’esercizio delle proprie competenze, è impor-tante notare che nell’ambito del Comitato, gli scambi che animano le riunioni hanno come ef-fetto quello di condurre a una riflessione pacata e serena su un argomento sensibile, sdrammatiz-zando e apportando concretezza a un dibattito spesso fantasioso. Ciò non vuol dire che si tratti di

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Focus sulle città

un «consenso debole» che sostituisce un dibattito necessario su un tema sociale così essenziale, il che non sarebbe auspicabile. Le forze di opposizione al progetto sono presenti e vigili e la dialettica fra gli entusiasti e i detrattori è molto vivace e continua. Ma ciò arricchisce la rifl essione, più che i dati statis-tici e le posizioni rigide. Per concludere, è il contri-buto fondamentale apportato dall’esistenza del Comitato.

Emmanuel Magne

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La videosorveglianza a Rotterdam: conservare un sistema effi cace pur rispondendo allo stesso tempo alle aspettative

La partecipazione di Rotterdam al progetto FESU sulla videosorveglianza è coerente con l’obiettivo di migliorare il nostro

sistema di videosorveglianza. Quali sono le opzioni che non sono ancora utilizzate? Qual è l’equilibrio fra la tecnologia e la capacità degli individui di rea-gire agli eventi ? Come interpretare il concetto di privacy nello spazio pubblico ?

Il presente articolo esamina la nostra esperienza di videosorveglianza a Rotterdam, le normative che

ROTTERDAMNUMERO DI ABITANTI:

589 615NUMERO DI TELECAMERE:

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La polizia

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sottendono tale sistema e i problemi particolari su cui Rotterdam lavora.

EsperienzeOgni città cerca di controllare i fenomeni della crimi-nalità e del disturbo dell’ordine pubblico. Ogni città è alla ricerca di metodi intelligenti ed efficaci per aumentare la sicurezza. Ogni città può utilizzare delle innovazioni tecnologiche. Rotterdam non fa ec-cezione. La videosorveglianza persegue l’obiettivo, da una parte, di ridurre la criminalità e il disturbo dell’ordine pubblico e, dall’altra, di aumentare il senso di sicurezza della popolazione. Le primissime telecamere furono installate a Rot-terdam dieci anni fa. La ragione immediata fu il cam-pionato di calcio europeo Euro 2000. Era importante assicurare che tutto si svolgesse in maniera fl uida e senza problemi, il che presupponeva una visione d’insieme precisa dell’atmosfera in cui si svolgeva il campionato e dei vari avvenimenti man mano che si verifi cavano. Furono dunque installate delle teleca-mere nel centro-città al fi ne di sorvegliare gli affl ussi in massa dei tifosi. Lo stesso anno, furono installate delle telecamere a Saft levenkwartier, un quartiere vicino alla stazione centrale. Nell’ambito di questo progetto, l’obiettivo consisteva nel ridurre e prevenire i problemi di vio-lenza e di disturbi della quiete pubblica nelle strade. A partire dal 2000, il numero di telecamere negli spazi pubblici è regolarmente aumentato fi no a rag-giungere un totale di 300 telecamere. Altre 1. 600 telecamere sono presenti in totale nella rete di tras-porto pubblico (metro, tram, bus e stazioni). Queste telecamere appartengono a delle compagnie private di trasporto, che sono responsabili del controllo e della sorveglianza. In caso d’incidente, possono tras-mettere le immagini in diretta alla sala di videosorveglianza.

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Ogni richiesta d’installazione di una telecamera di sorveglianza deve essere accompagnata da un rap-porto dettagliato che descrive il numero e il genere d’incidenti che si verifi cano nella zone e che presenta la situazione locale in materia di sicurezza. Qualsiasi decisione d’installare una telecamera è minuziosa-mente esaminata. Non s’installa una telecamera a caso, ma perché esiste la profonda convinzione che si tratta di uno strumento necessario per migliorare la sicurezza. Le telecamere di sorveglianza non sono un rimedio contro tutti i mali. Tuttavia, a Rotterdam, sono di-ventate uno strumento di base pour garantire la si-curezza e prevenire i reati contro la proprietà e le violenze. Nel caso di atti di violenza, ad esempio, è stato ris-contrato che essi si verifi cano spesso «per un colpo di testa» o sotto l’influenza di droghe o alcool. La presenza delle telecamere non dissuaderà probabil-mente i delinquenti, tuttavia potrà rivelarsi molto utile: infatti, le immagini potranno servire a fornire delle prove da portare dinanzi ad un tribunale. I reati contro la proprietà, come ad esempio i bor-seggi o i furti nelle automobili, sono di altra natura: sono premeditati. Nel caso in cui siano state instal-late delle telecamere e la polizia agisca rapidamente dopo che è stata commessa l’infrazione, il delin-quente tenderà a non ricominciare nello stesso quartiere. Ciò potrà, dunque, ridurre il numero d’incidenti.

CondizioniDopo l’avvento della videosorveglianza, una stessa domanda si ripresenta regolarmente: come utiliz-zarla in maniera etica e democratica? Più grande sarà il numero di telecamere, più sarà importante gestire correttamente questi aspetti. Ai sensi della legge olandese, sono i consigli munici-

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pali che autorizzano l’installazione di telecamere di sorveglianza. Se il consiglio decide favorevolmente, potrà conferire al sindaco l’autorità di designare le ubicazioni in cui si procederà all’installazione di telecamere. Le decisioni del sindaco saranno rese pubbliche e aperte alle obiezioni degli abitanti del quartiere. Una volta che le telecamere cominceranno a registrare delle immagini, queste saranno soggette alla legge sui dati della polizia, che limita rigorosa-mente l’uso e lo scambio di queste immagini (con riferimento al caso di Rotterdam). Dopo l’avvio del progetto, la videosorveglianza a Rotterdam si è ispirata a tutta una serie di principi: tutte le telecamere sono sorvegliate 24 ore su 24, sette giorni la settimana. Le immagini sono sempre registrate. Gli abitanti del quartiere possono essere tranquilli che tutti gli incidenti saranno rilevati. Una volta osservati, gli incidenti dovranno essere poi seguiti. La presenza di telecamere signifi ca, dunque, un’intensifi cazione considerevole della sorveglianza in un quartiere. Non soltanto perché la zona è sotto osservazione, ma anche perché ogni incidente esige una risposta da parte della polizia o degli altri orga-nismi di controllo.

Alcuni punti da segnalare Numerosi partiti politici si sono impegnati per ren-dere Rotterdam una città più sicura. I nostri cittadini esigono che l’amministrazione locale garantisca una città pulita, corretta e sicura. Vedono i problemi nelle strade, sotto i loro occhi, nel quartiere dove abitano. E’ dunque fondamentale che i consigli locali rispon-dano alle attese dei cittadini. Le telecamere di sorve-glianza sono uno strumento indispensabile per assolvere a tale compito. L’investimento realizzato da Rotterdam è impor-tante. La videosorveglianza è una tecnologia onerosa e bisogna allo stesso tempo prevedere il finanzia-

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mento della manutenzione delle apparecchiature e il costo del personale, ossia delle squadre di operatori e del personale incaricato degli interventi da attivare. A Rotterdam, il numero d’immagini che un individuo può sorvegliare simultaneamente è limitato. Il che signifi ca che ogni volta che s’installa una nuova tele-camera nella zona, bisogna assumere ulteriore personale. Questo è un punto problematico da dis-cutere ogni volta che è eff ettuata una richiesta d’ins-tallazione di una nuova telecamera. Tuttavia, il valore della sorveglianza, è ugualmente importante. Taluni incidenti, che sarebbero altri-menti passati inosservati oppure per i quali l’onere della prova sarebbe complesso, sono ora oggetto d’inchieste. Nel 2009, il dipartimento addetto alle telecamere di sorveglianza ha registrato 23.700 incidenti, ossia 65 al giorno. Dobbiamo dunque continuare a svolgere un’analisi costi-benefi ci. L’atteggiamento degli abitanti del quartiere è cam-biato nel corso degli ultimi dieci anni. Dieci anni fa, le prime telecamere erano state accolte con una certa diffi denza. La gente nutriva dei dubbi riguardo la loro efficacia. Inoltre, non avevano una grande fiducia nella professionalità degli utenti e temevano le inge-renze nella privacy. Oggi, dieci anni più tardi, l’atteggiamento si è evoluto in maniera signifi cativa. Infatti, gli abitanti del quartiere si sono aff ezionati alle « loro » teleca-mere. Inoltre, la gente richiede delle telecamere di sorveglianza nel loro quartiere. Un’inchiesta annua ha inoltre evidenziato un livello molto elevato di fi ducia verso il sistema di videosorveglianza, che gli abitanti del quartiere considerano come uno strumento effi cace.

In conclusioneLe telecamere sono diventate una caratteristica familiare dei luoghi pubblici. A Rotterdam, devono

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provare il loro valore in occasione di avvenimenti di una certa gravità. Abbiamo cominciato a utilizzare i sistemi di videosorveglianza in occasione di Euro 2000. Recentemente, si sono rilevati in tutta la loro importanza in occasione di gravi sommosse. Infatti, grazie alle immagini delle telecamere, siamo stati in grado di riconoscere numerosi responsabili dei disordini. La nostra esperienza della videosorveglianza è dunque stata positiva. Il quadro legale si è sviluppato per rispondere ai problemi legati al diritto civile e alle aspettative dell’opinione pubblica in materia di sicu-rezza. Abbiamo attivato un’organizzazione e una struttura di gestione solide. Le procedure operative sono chiare. Dobbiamo perseguire i nostri sforzi per mantenere tale sistema anche negli anni a venire. Tuttavia, appare chiaro che la nostra mission è desti-nata a cambiare, nel momento in cui emergono delle nuove questioni ed aspettative nell’opinione pubblica. Dobbiamo essere in grado di rispondere a queste nuove esigenze. Allo stesso tempo, la crisi economica comporta importanti tagli di bilancio. Il nostro obiettivo consiste nel controllare i costi della videosorveglianza pur mantenendo il nostro budget. Una sfida ambiziosa che richiede una profonda rifl essione.

Afk e Besselink, Niels Wittersholt

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Saint-Herblain è una città francese di 45.000 abitanti ubicata nella prima corona dell’agglomerato di Nantes (500.000 abi-

tanti). È la seconda città dell’agglomerato di Nantes e la terza del dipartimento della Loira Atlantica.

Il progetto d’installazione d’un sistema di videosorve-glianza è stato sostenuto dal senatore-sindaco e dagli amministratori locali agli inizi del mandato 1996-2002. Le prime telecamere sono state installate partire dalla 1999. Attualmente, la città dispone di un sistema composto da 18 telecamere. Nel 2000 ha isti-tuito il proprio Centro di supervisione urbana (CSU) su autorizzazione mediante decreto prefettizio. Tale

SAINT-HERBLAINNUMERO DI ABITANTI:

43 516NUMERO DI TELECAMERE:

18ENTE RESPONSABILE:

Il comune

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Centro era nato inizialmente con la vocazione di gestire unicamente il sistema di videosorveglianza. Attualmente, permette di gestire simultaneamente la videosorveglianza urbana oltre al dispositivo di tele-sorveglianza e tende a diventare sempre di più uno strumento globale di gestione urbana.

Nel 1997, fu realizzato un audit di sicurezza da parte di una società esterna. Allo stesso tempo, la Commis-sione di sicurezza del Consiglio comunale per la prevenzione della delinquenza (CCPD) fu incaricato di condurre un’indagine sulle questioni della sicurezza nell’ambito della città di Saint-Herblain. Nel 1998, tale Commissione presentò il suo rapporto alla sena-tore-sindaco, che decise dunque la creazione di più gruppi di lavoro sulle tematiche legate alla sicurezza. Nel 1999, la sintesi dei gruppi di lavoro fu presentata al Consiglio municipale. Parallelamente a questo la-voro svolto nell’ambito della CCPD, fu somministrato un questionario relativo alla sicurezza a un campione di cittadini di Saint-Herblain, che rivelò che la sicu-rezza era la preoccupazione numero uno. Forte di tali elementi di diagnosi, il sindaco diede vita a un dibattito nell’ambito del Consiglio municipale sull’applicazione delle proposte del CCPD, fra cui quella dell’installazione del sistema di videosorve-glianza. Nel giugno 1999, il Consiglio municipale votò a favore dell’installazione d’un sistema di video-sorveglianza nell’ambito comunale e della creazione d’un Comitato Etico per accompagnare la realizza-zione di tale progetto.

La città di Saint-Herblain si è proposta di raggiungere tre grandi obiettivi mediante il dispositivo della videosorveglianza:

➤ Mettere in sicurezza i luoghi in cui i fl ussi di beni e persone sono particolarmente intensi, allo scopo di

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ridurre il numero di reati commessi nei luoghi pubblici;

➤ Completare mediante dei mezzi tecnologici il dispo-sitivo esistente di prevenzione della delinquenza (polizia municipale, interventi di prevenzione in ambito scolastico);

➤ Rassicurare gli abitanti e fornire ai servizi di polizia nazionale degli elementi che permettano di far luce sui reati commessi, con il duplice obiettivo di: soste-nere la polizia nazionale nell’aumentare il tasso di risoluzione dei casi, per ora molto ridotto, per rendere gli spazi pubblici a vocazione commerciale, indus-triale o sociale più sicuri.

Il sistema di videosorveglianza è stato attuato per mi-gliorare la sicurezza di tutti gli abitanti di Saint-Her-blain. È stato ideato come uno strumento supplemen-tare integrato alla politica locale di sicurezza e di prevenzione della delinquenza. In questo senso, il Centro di supervisione urbana della città gestisce il sistema di videosorveglianza e di telesorveglianza, che assicura una maggiore reattività des servizi munici-pali (polizia municipale, servizi tecnici, ecc. ) e della polizia nazionale o della gendarmerie. Si tratta dunque di un vero è proprio strumento di gestione della città.

La politica municipale in materia di prevenzione e di sicurezza risale a oltre vent’anni fa. S’iscrive in un quadro di preoccupazione permanente di prevenzione della delinquenza sul nascere e dei comportamenti a rischio, considerando che tale tappa è fondamentale prima di ogni intenzione repressiva. È mediante tali di-versi strumenti che tali azioni di prevenzione nell’am-bito degli istituti scolastici, la prevenzione situazionale, gli interventi della polizia municipale o la realizzazione di atti normativi comunali relativi alla gestione del

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spazio pubblico, possono tradursi in una vera e propria volontà politica di prevenzione.

L’insieme degli interventi di prevenzione è organizzato a livello politico dall’assessore comunale incaricato della prevenzione e della sicurezza pubblica e a livello amministrativo dalla Direzione per la prevenzione e l’ordine pubblico, composta da 40 agenti.

In tale contesto, la videosorveglianza urbana costi-tuisce uno degli elementi della politica globale di prevenzione e di sicurezza. Lo strumento della video-sorveglianza è stato creato nel massimo rispetto delle normative relative alle libertà individuali e, in partico-lare, per quel che riguarda l’uso e la conservazione delle immagini. Il Comune di Saint-Herblain desidera perse-guire tale obiettivo in completa trasparenza nei confronti della popolazione. A tale scopo, sono state organizzate numerose presentazioni e visite per per-mettere ai cittadini di prendere visione e consapevol-ezza delle garanzie messe in atto per preservare la privacy.

Il sistema installato è composto da 18 telecamere. Il CSU è composto da 14 agenti e da un responsabile della gestione del sistema di videosorveglianza. Il sistema è dotato di un dispositivo digitale che permette di rispettare l’interdizione di visualizzare l’ambito privato o di discernere i tratti del viso di un individuo. In conformità alla regolamentazione in vigore, sono installati dei pannelli di segnalazione nei diversi punti di accesso stradali della città per informare i cittadini della presenza di telecamere.

Le immagini di videosorveglianza della città sono poi trasmesse in tempo reale al Centro di informazione e commando della polizia nazionale.

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Le immagini possono essere consultate soltanto su autorizzazione dei servizi della polizia nazionale, nel quadro di denunce presentate dai cittadini o di richieste specifi che dei servizi di sicurezza di Stato.

Il sistema di videosorveglianza ha avuto delle ricadute positive sui luoghi sorvegliati e sulla riduzione della criminalità. Inoltre, non è stato constatato nessun eff etto di migrazione della criminalità.

L’attività del CSU (videosorveglianza e telesorveglianza) è finanziata mediante stanziamenti nell’ambito del bilancio annuale. D’altra parte, gli operatori ricevono una formazione speciale, fornita da un ente esterno, che verte sugli aspetti deontologici, ambientali, del par-tenariato e delle responsabilità nel campo della sicurezza.

Dominique Talledec

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La nascita dei Sistemi di videosorve-glianza in Sussex

L’uso dei sistemi di videosorveglianza negli spazi pubblici nella Contea del Sussex risale al 1993, quando fu installata

la prima serie di 15 telecamere nelle strade di Bri-ghton, in seguito a una decisione della Polizia del Sussex e degli enti locali, che prevedeva l’installa-zione di telecamere ai fi ni della prevenzione, ridu-zione e identificazione della criminalità. Questa prima fase d’installazione è stata poi seguita da successivi programmi di ampliamento sia a Brighton sia in altre città, grandi e piccole, finanziate da sovvenzioni locali e nazionali. Sin dagli inizi, la

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SUSSEXNUMERO DI ABITANTI:

1 392 737NUMERO DI TELECAMERE:

396ENTE RESPONSABILE:

La polizia nazionalee le autorità locali

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videosorveglianza in Sussex è stata sviluppata grazie a una stretta collaborazione fra le forze di polizia e gli enti locali, mediante la realizzazione di sale di controllo istituite presso le stazioni di polizia di Bri-ghton, Haywards Heath, Bognor e Eastbourne, e di cinque strutture di monitoraggio presso gli enti locali. Allo stesso tempo, è stato adottato il principio della condivisione dei costi.

Le iniziative del governo centrale a favore dell’am-pliamento della videosorveglianza sono proseguite nella 1994 nell’ambito di una serie di bandi pubblici sulla videosorveglianza (CCTV Challenge Competi-tion) ed il Programma di Riduzione della Criminalità 1999-2003. Tale processo ha dato un ulteriore impulso legislativo attraverso la legge sulla preven-zione della criminalità e del disturbo dell’ordine pubblico del 1998 (Crime and Disorder Act), che obbligava gli enti pubblici a collaborare per aff ron-tare insieme le problematiche della criminalità e dei comportamenti antisociali. Conseguentemente, entro il 2006, erano circa 30 le città e le cittadine in tutta la Contea del Sussex ad essere dotati di teleca-mere per la videosorveglianza, con il coinvolgimento di 17 enti locali e 1 associazione di proprietari immobiliari.

Fu così creato il Partenariato per la videosorveglianza del Sussex (Sussex CCTV Partnership). Tale Partena-riato è attualmente defi nito da singoli contratti legali fra la Polizia del Sussex e ogni singolo ente locale, che ne definisce i protocolli operativi, i ruoli, le responsabilità e gli accordi fi nanziari.

La videosorveglianza nel Sussex oggiAttualmente sono installate circa 400 telecamere in tutta la contea. Si tratta di un mix di telecamere analo-giche del tipo “Pan-Tilt-Zoom” e “a Cupola” (“Dome”),

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collegate alle sale di monitoraggio, attraverso una rete di fibre ottiche di trasmissione. La piattaforma di controllo, monitoraggio e registrazione rappresenta un nuovo sistema digitale di recente installazione deno-minato “i-Witness” – progettato da Teleste e installato da BT Redcare. Tale piattaforma permette la registra-zione standard in “background” di 2 fotogrammi al secondo, nonché di 25 fotogrammi al secondo in “tempo reale” delle sequenze selezionate del fi lmato.

Inoltre, sono stati posizionati dei terminali “client” in tutti i principali commissariati di polizia e centri di de-tenzione, che permettono l’accesso immediato alle immagini video agli agenti locali a scopi investigativi.

Tale sistema totalmente collegato in rete permette il controllo “in diretta” delle immagini trasmesse dalle telecamere da ognuna delle sale di monitoraggio dislocate attraverso la contea, così come l’accesso immediato alle registrazioni in archivio mediante uno dei dei diversi terminali “client”.

Vantaggi Un sistema totalmente collegato in rete off re tutta una serie di vantaggi operativi.

1. Continuità del servizio – il sistema è intrinseca-mente robusto. Le Telecamere possono essere ges-tite da uno qualsiasi dei numerosi “punti di accesso” del sistema, assicurando in tal modo una continuità di servizio al pubblico.

2. Risparmio di tempo per gli agenti – gli investigatori che operano presso i commissariati locali possono usufruire di un accesso più facile e veloce alle riprese video di cui hanno bisogno per le loro indagini. Ciò ha infatti ridotto sprechi di tempo nell’eff ettuare viaggi attraverso la contea per recuperare, su appuntamento,

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le necessarie immagini. Il risultato netto è un gua-dagno in termini di tempo per gli agenti da dedicare alle loro attività di sorveglianza e pattugliamento e per far sentire la loro presenza nella comunità.

3. Vantaggi ambientali – la riduzione del numero di spostamenti in auto ha permesso la riduzione delle emissioni di CO2 e il risparmio sui costi di carburante.

4. Accelerazione delle procedure giudiziarie – i sospetti arrestati sono ora messi di fronte a delle prove video inconfutabili sin dalle fasi preliminari delle indagini, riducendo così il numero dei casi di rilasci su cauzione, accelerando le pratiche di accertamento dei fatti e di dichiarazione di colpevolezza ed infi ne off rendo un ser-vizio migliore alle vittime della criminalità.

5. Sicurezza delle immagini – l’accesso è protetto da password e totalmente sottoposto a verifi ca attraverso un’analisi dei log di sistema che assicura un migliore controllo dei dati sensibili.

Diritti individuali, privacy e uso della videosor-veglianza in SussexL’utilisation proprement dite de la vidéosurveillance L’uso appropriato della videosorveglianza nel Regno Unito è regolamentato da 3 principali misure legisla-tive oltre alle linee guida messe a punto dal “garante” dell’informazione britannico (Information Commis-sioners Office). La Legge sulla Protezione dei Dati (Data Protection Act) del 1998 istituisce 8 principi per la protezione dei dati, che riguarda il trattamento equo, l’adeguato controllo dei dati, l’esattezza di tutti i dati presi in considerazione, della proporzio-nalità nei tempi di conservazione di tali dati. La legge sui diritti umani (Human Rights Act) del 1998 recepisce nella legislazione britannica i principi fon-damentali sanciti dalla Convenzione Europea sui

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Diritti Umani – il diritto alla privacy, così come contemplato dall’articolo 8, assume una particolare rilevanza per quel che concerne il tema della video-sorveglianza. La disciplina britannica sui poteri investigativi (Regulation of Investigatory Powers Act) 2000 stabilisce delle rigide regole per l’uso di teleca-mere nascoste, che prevedono dei livelli di autorizza-zione molto severi.

Nel Sussex, tutti gli operatori sono formati secondo gli standard della Security Industry Authority. Tale formazione riguarda la legislazione esistente e le responsabilità dell’operatore nell’utilizzo delle tele-camere, nonché il rispetto dell’uguaglianza della di-versità. Inoltre, un codice deontologico sulla video-sorveglianza stabilisce le migliori prassi da adottare riguardanti l’uso etico ed operativo della videosorve-glianza. Tale codice deontologico è stato condiviso e concordato fra i vari partner e, in conformità ai protocolli sottoscritti dalle forze di polizia e dagli enti locali, assicura il rispetto dei principi di coerenza e compatibilità.

Allo stesso tempo, è garantita l’assicurazione qualità di qualsiasi utilizzo di terminali “client” ubicati localmente, mediante un programma di formazione sull’uso e il trattamento adeguato di materiale video sensibile. L’utilizzo di password individuali di accesso al sistema ne garantisce l’uso adeguato.

La fiducia del pubblico e la credibilità della polizia nell’utilizzo dei sistemi di videosorve-glianza in SussexLa responsabilità dell’operato della polizia nei confronti dei cittadini del Sussex è assicurata attra-verso processi paralleli di incontri di gestione adeguatamente verifi cati con tutti gli attori coinvolti nella pratica della videosorveglianza e attraverso un

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processo assolutamente innovativo di monitoraggio indipendente.

Gestione del Sussex CCTV PartnershipIl Partenariato per la Videosorveglianza del Sussex (Sussex CCTV Partnership) ha adottato un approccio congiunto alla gestione e al funzionamento delle telecamere installate nello spazio pubblico. Le tele-camere di competenza degli enti locali sono gestite da personale congiunto di polizia presso i commis-sariati di polizia e dipendenti pubblici presso le sale di monitoraggio degli enti locali e i costi di manuten-zione del sistema sono anch’essi condivisi.

Sono organizzati degli incontri trimestrali tra le forze di polizia e gli enti locali addetti alla videosorve-glianza per aff rontare le tematiche relative alle pres-tazioni del sistema, gli sviluppi tecnici, le questioni fi nanziarie e qualsiasi altra problematica che si pre-senta. In tal modo, si tiene conto dell’utilizzo da parte degli agenti di polizia delle telecamere di pro-prietà degli enti locali.

Attualmente stiamo mettendo a punto un processo concordato per attivare l’installazione di nuove tele-camere, per assicurare un approccio coerente nella Contea del Sussex.

Monitoraggio Indipendente In Sussex vi è la consapevolezza che è essenziale ot-tenere la fi ducia dell’opinione pubblica nell’utilizzo della videosorveglianza. È stato adottato attualmente un processo indipendente di monitoraggio e verifi ca dell’utilizzo delle telecamere da parte degli agenti di polizia. La Polizia del Sussex ha assunto 12 nuovi membri in rappresentanza della comunità per eff et-tuare dei controlli “spot” sulle attività di monito-raggio della polizia al fine di assicurare che si

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Focus sulle città

svolgano nel totale rispetto della legislazione e del codice deontologico. Tali controlli possono avvenire a qualsiasi ora del giorno della notte, senza nessun preavviso. Qualsiasi problematica che può essere sollevata, o eventuali preoccupazioni che sono messe in luce, sono inoltrate all’autorità di Polizia e di gestione della videosorveglianza (“Police Authority and the CCTV Management”). Inoltre, l’organizza-zione di incontri e la pubblicazione di rapporti annui sull’operato della polizia accessibili al pubblico rendono il processo trasparente.

È recentemente stata presentata una proposta per estendere tale sistema alle sale operative degli enti locali.

La collaborazione con gli altri partner europei nell’ambito del progetto FESU ha confermato la vali-dità e l’adeguatezza di questo approccio da noi adot-tato in Sussex e riteniamo che tale processo sia un elemento essenziale di una qualsiasi futura Carta sull’utilizzo della videosorveglianza.

La strategia nazionale sulla videosorveglianza in Sussexper la prima volta nell’ottobre 2007 e presenta i risul-tati di un’approfondita indagine sulla videosorve-glianza in Inghilterra e in Galles. Inizialmente intra-presa da un gruppo di lavoro congiunto fra l’ACPO e il Ministero degli Interni (Home Offi ce), tale Strategia è adesso sostenuta da un comitato interistituzionale preposto a tale programma, con rappresentanti di numerosi stakeholder.

Tale Strategia intende sostenere e mettere a punto delle raccomandazioni che permetteranno di ottenere:

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1. una videosorveglianza effi cace e ben gestita che tenga conto del ruolo svolto dal settore della video-sorveglianza e delle opinioni espresse dalla pubblico

2. buone prassi di partenariato fra enti locali, opera-tori della videosorveglianza, forze di polizia e servizi di emergenza - off rendo una migliore protezione ai cittadini sia in termini di deterrenza e investigazione del crimine

3. migliori standard nel funzionamento dei sistemi di videosorveglianza, gestione e visualizzazione delle immagini.

La Sussex CCTV Partnership, attraverso la strategia ivi descritta, intende adottare e attuare ognuno di questi elementi chiave allo scopo di assicurare la totale conformità alle migliori prassi attuate a livello nazionale.

Christopher Ambler, Roger Fox

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Focus sulle città

La regione Veneto è situata al nord-est dell’Italia e conta circa 5 milioni di abitanti, di cui il 7 % d’immi-grati, e si estende su una superfi cie di 18.400 km2. Rappresenta uno dei principali poli economici e industriali e fi gura fra le prime 30 regioni europee. È inoltre la regione italiana che accoglie il maggior numero di turisti, con un totale di 60 milioni di visita-tori l’anno. È suddivisa in sette province e comprende 581 comuni, di cui l’80% conta meno di 5.000 abitanti.

Nel corso degli ultimi anni, in base ai dati generali ri-guardanti i fenomeni di criminalità nella regione, si è potuto constare una netta tendenza al ribasso, talvolta

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VENETONUMERO DI ABITANTI:

4 912 438NUMERO DI TELECAMERE:

1973ENTE RESPONSABILE:

Le autorità locali

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accompagnata da un sentimento crescente d’insicu-rezza, che ha spinto numerosi enti locali a mettere a punto o a elaborare delle politiche di sicurezza urbana. A partire dal 2002, l’amministrazione regio-nale ha adottato un testo di legge (Legge 9/2002) che mira a promuovere un piano d’azione per garantire la sicurezza urbana. La regione intende creare un “sistema”, destinato a gestire in maniera coordinata i complessi problemi che si pongono sul suo territorio, nel quadro di una collaborazione fra diversi livelli di governo (Stato, regione, province e comuni) e le forze di polizia (nazionale e locali).

I comuni e le province sono così state invitate a elabo-rare dei progetti integrati di sicurezza urbana, che sono in seguito stati esaminati e finanziati dalla regione. Nel corso degli ultimi cinque anni (2005-2009), sono stati approvati e fi nanziati 278 progetti che sono ora in corso di attuazione. In base ai dati am-ministrativi, 131 comportano l’attuazione di sistemi di videosorveglianza (ossia quasi un progetto su due).

Nel 2007, l’Osservatorio regionale della sicurezza (la cui creazione è stata prevista dalla legge regionale di cui sopra) ha realizzato la sua prima inchiesta, allo scopo di verifi care il numero di dispositivi di videosor-veglianza installati e di valutarne l’utilizzo. Sull’in-sieme dei 581 comuni, 215 hanno risposto al ques-tionario e i risultati ottenuti hanno permesso di constatare che la presa in carico del fi nanziamento da parte della regione è stata una delle principali ragioni che hanno incoraggiato la creazione e l’installazione di tali dispositivi. D’altra parte, l’inchiesta ha messo in luce una tendenza all’aumento della domanda di videosorveglianza.

Per quanto riguarda la scelta dei dispositivi, in oltre il 70 % dei casi, si tratta di sistemi digitali dotati di più

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Focus sulle città

di tre telecamere. I luoghi più frequentemente scelti per l’installazione delle telecamere sono i parcheggi pubblici, gli incroci, i parchi pubblici e gli istituti sco-lastici. In circa il 60 % dei casi, si assiste a una ridu-zione dei fenomeni di piccola criminalità e di disturbi della quiete pubblica, in base alle stime dei coman-danti delle stazioni della polizia locale che hanno risposto al questionario. Bisogna, tuttavia, sottoli-neare che nel 21 % dei casi, si è potuto osservare che i comportamenti illeciti osservati si sono spostati verso altre zone non videosorvegliate.

Un altro progetto specifi co riguarda l’installazione di telecamere nei mezzi di trasporto pubblico dei capo-luoghi di provincia della regione Veneto. Infatti, il sis-tema dei trasporti pubblici urbani sembra essere es-posto a molteplici fattori di rischio, quali gli atti di vandalismo, di violenza e di piccola criminalità, ma può ugualmente diventare il bersaglio di attentati ter-roristici (come dimostrato dalle tragiche esperienze di Londra e Madrid). E’ per questa ragione che sono stati installati dei sistemi di videosorveglianza nella rete dei trasporti urbani, oltre che alle fermate degli autobus. Nella città di Venezia, è stata prestata una particolare attenzione agli imbarcadero dei vaporetti.

La regione ha dunque svolto un ruolo chiave nello sti-molo e nel coordinamento delle installazioni messe in atto e gestite dai diversi enti locali o da parte delle province. Ciò ha notevolmente contribuito a svilup-pare l’utilizzo e la diff usione della videosorveglianza nella zona a forte concentrazione urbana. Nell’in-sieme, il bilancio sembra piuttosto positivo, come mostrato dall’aumento esponenziale del numero dei sistemi messi in funzione.

Sulla base delle attività e delle esperienze realizzate nel quadro del progetto europeo sulla sicurezza

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urbana, è ora importante interrogarsi sul ruolo che può

essere svolto dalle amministrazioni regionali nella gestione delle politiche di sicurezza urbana, in parti-colare in materia di videosorveglianza.

L’approccio adottato dalla regione Veneto è stato successivamente seguito da altre regioni italiane. Due elementi chiave della sua politica consistono, da una parte nella concessione di sussidi economici al fi ne di stimolare gli investimenti degli enti locali e, d’altra parte, nella proposta di strumenti d’analisi fi nalizzati a individuare, nell’ambito di un progetto locale, i mezzi più idonei da mettere in atto per aff rontare il tema della sicurezza urbana. Resta inteso che è prefe-ribile di trattare e risolvere i problemi alla scala più vicina alla popolazione, ossia a livello locale.

E’ tuttavia possibile prevedere una seconda fase, che deve ancora essere messa a punto, durante la quale prevedere un ruolo di coordinamento più stretto della regione con i comuni, allo scopo di garantire una maggiore omogeneità e una migliore sinergia nell’at-tuazione della loro politica di sicurezza, per evitare così il rischio d’isolamento. D’altra parte, si potrebbe allo stesso tempo incoraggiare l’utilizzo di strumenti complementari su scala regionale per favorire la par-tecipazione e il controllo. Ciò per il momento non ha suscitato molto interesse fra i comuni, che si sono limitati finora a vigilare sull’applicazione rigida e burocratica delle norme previste dal Garante nazio-nale responsabile della protezione della privacy.

In altri termini, bisognerebbe sviluppare un coordina-mento fra gli enti locali dal punto di vista delle tecno-logie utilizzate, al fine di permettere una maggiore effi cacia dei mezzi di videosorveglianza utilizzati e alo stesso tempo di ottenere degli interventi immediati e

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Focus sulle città

delle azioni preventive (grazie all’utilizzo di altre banche dati disponibili e a una migliore organizza-zione del servizio). Infatti, tali sistemi sono utilizzati per ora solo come un supporto tecnico di appoggio alle indagini di polizia.

Gli strumenti tecnologici devono tuttavia essere sostenuti da una buona organizzazione dei servizi di polizia. In questo senso, la regione Veneto sta realiz-zando un progetto di ripartizione territoriale nell’organizzazione dei servizi della polizia locale (“distrettualizzazione”), che permette di conglobare più comuni in bacini di utenza di almeno 20.000 abi-tanti, corrispondenti quanto più possibile alla strut-tura dell’organizzazione della polizia di Stato. Questa nuova ripartizione territoriale permette ai comuni più piccoli di benefi ciare di un servizio di polizia munici-pale più completo, in coordinamento con la polizia di Stato, che garantisce così degli interventi più rapidi e delle azioni preventive. E’ soltanto mediante delle attività di prevenzione, infatti, che potrà essere otti-mizzato l’impatto della videosorveglianza.

Parallelamente, bisogna aumentare il coinvolgimento dei cittadini nella comunità e sensibilizzarli maggior-mente all’utilizzo della videosorveglianza, che, pur essendo abbastanza invasiva, è in generale ben accet-tata in Veneto. E’ necessario che i cittadini siano convinti dei vantaggi della sorveglianza civica e della cooperazione al fi ne di lottare contro i fenomeni dif-fusi di degrado e di disordine urbano. L’esistenza di «reti sociali» civili è un elemento fondamentale della vita in comune ed è anche un punto di riferimento per le forze dell’ordine.

In questo campo, la regione può formulare degli orientamenti normativi (elaborazione di leggi e di dis-posizioni normative adeguate) e agire sul piano fi nan-

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ziario, orientando gli investimenti verso una migliore integrazione delle tecnologie secondo degli standard condivisi. La regione intende inoltre sostenere le amministra-zioni locali, fornendo loro delle linee guida e delle direttive per aiutarle a mettere in atto dei sistemi di sicurezza urbana che comprendono l’installazione di sistemi di videosorveglianza secondo un approccio coordinato, in collaborazione con i cittadini. Tale ap-proccio può contribuire a far evolvere il concetto di sicurezza e posizionare la videoprotezione come uno degli strumenti disponibili insieme ad altri e facenti parte di una politica globale.

Christopher Ambler, Roger Fox

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Conclusioni Verso un utilizzo della

videosorveglianza rispettoso delle libertà individuali

Nel 2008, oltre il 50% della popolazione mondiale viveva nelle città e siamo di fronte a un fenomeno in continuo

aumento. Si assisterà in futuro a una maggiore concentrazione nei contesti urbani, con conseguenti incidenze anche sulla sicurezza. La videosorve-glianza, pertanto, non rappresenta più soltanto uno strumento tecnologico, ma illustra anche una forma di collaborazione sociale tra varie istituzioni e amministrazioni.

Pone inoltre numerose sfi de, che il presente progetto ha voluto approfondire:1. I rapporti tra la videosorveglianza, strumento tecnologico, e il fattore umano che la controlla. Non è la tecnologia in quanto tale a presentare dei rischi, bensì l’utilizzo che ne viene fatto; il rischio che le sue potenzialità siano sviate dal loro obiettivo deve essere esaminato e correttamente inquadrato nell’ambito delle rifl essioni fi n dall’installazione dei sistemi, grazie a misure tecniche e a un impegno politico.

2. Un sistema di videosorveglianza può essere pro-gettato come un terminale intelligente, che consente di recuperare delle immagini, ma può anche essere visto e studiato come un mezzo per meglio struttu-rare le varie risorse della città. Può infatti agevolare il lavoro degli agenti di polizia; ciò richiede però delle risposte meno generiche e meglio adattate ai bisogni. In tal caso, la questione della sicurezza potrà godere di una migliore visibilità, basata su una informazione più completa dei cittadini.

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3. Il numero ridotto di studi realizzati fino ad ora sull’effi cacia della videosorveglianza ha dimostrato che i risultati ottenuti grazie a questa tecnologia devono essere valutati tenendo conto del contesto particolare nel quale si è ritenuto necessario instal-lare le telecamere. Il che signifi ca che occorre pren-dere in considerazione la natura e la dimensione del territorio, la popolazione, ma anche i bisogni, che devono essere individuati attraverso audit di sicu-rezza. Degli esperti e dei professionisti hanno rico-nosciuto in modo unanime che la videosorveglianza non è la panacea che potrebbe risolvere ogni problema di sicurezza in una città, ma che deve essere vista come uno strumento, tra tanti altri, nell’ambito di una politica globale di sicurezza. È quindi necessario trovare il buon equilibrio tra l’uti-lizzo dei vari mezzi che i decisori politici hanno a loro disposizione. È d’altronde essenziale non limitarsi all’utilizzo di un unico strumento, poiché la vera effi -cacia di una politica di sicurezza dipende dalla com-plementarità degli strumenti attivati e dalla capacità di fornire risposte coordinate e adattate a ogni singola situazione.

4. La ricerca di effi cacia si traduce ugualmente nella possibilità di integrare diversi sistemi di videosorve-glianza dello spazio pubblico. In alcune città, esis-tono in eff etti più sistemi gestiti da vari soggetti. Tale possibilità di integrazione dei sistemi, che presup-pone una migliore condivisione delle informazioni, non si limita al livello locale, ma comprende anche quello regionale e metropolitano. Potrebbe assumere la forma di patti «trasversali» tra i governi, le regioni e i comuni, oppure anche, laddove la legislazione lo consente, di partenariati pubblico-privato, in parti-colare quando occorre sorvegliare spazi semipub-blici. È però necessario defi nire protocolli precisi e stringenti per la condivisione delle informazioni, nel

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rispetto della tutela dei dati personali e della vita pri-vata. Nel contempo, l’incrocio dei dati ottenuti con la videosorveglianza con altri sistemi di informazione e altri database, che sta diventando tecnologicamente possibile, è un’arma a doppio taglio. Infatti, pur considerando che accresce la capacità di sorveglianza dei sistemi, non si deve dimenticare che il principio di necessità impone una rigorosa giustifi cazione del bisogno di accumulare e di mettere in rete un numero così importante di informazioni riguardanti i cittadini.

Infi ne, la questione trasversale esaminata in riferi-mento all’insieme di questi interrogativi è stata quella di sapere quali sono i limiti da non superare per garantire la sicurezza dei cittadini, senza interferire con la loro vita privata. Esiste un diritto all’intimità nello spazio pubblico? Fino a che punto? In quale misura il diritto alla sicurezza può incidere su altri diritti fondamentali, quali la libertà di espressione, di associazione e di manifestazione?

Tali problematiche sono state aff rontate, attraverso il prisma degli abitanti delle città, nel corso di questi 18 mesi di cooperazione europea. I partner hanno posto il cittadino al centro delle loro preoccupazioni. I citta-dini hanno infatti il bisogno di sentirsi sicuri nel loro ambiente di vita, ma non vogliono che venga rimesso in discussione il loro diritto di tutelare la loro imma-gine. In quanto garanti del benessere dei cittadini, i decisori politici hanno pertanto l’obbligo di tenere conto di questa preoccupazione costante e di trovare il giusto equilibrio tra questi vari aspetti. Da un paese all’altro, ma anche da una città all’altra può variare il modo di trovare il giusto equilibrio tra la domanda di sicurezza e la rivendicazione del diritto all’anoni-mato. Il presente progetto, nell’esaminare le politiche pubbliche rispetto alle percezioni dell’opinione

Conclusioni

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pubblica, si è posto l’obiettivo di raff orzare il posto assegnato al cittadino e alla sua informazione nell’ambito dell’utilizzo dei sistemi di videosorve-glianza, nello sforzo costante di mantenere l’indis-pensabile trasparenza per un’applicazione democra-tica delle politiche pubbliche.

In quanto utenti dei servizi pubblici, i cittadini richie-dono la videosorveglianza? Costituisce la risposta adattata ai timori che esprimono? Rientra nei budget disponibili? Quali sono le formazioni ipotizzabili e quali sono i mezzi di controllo e di ricorso?In che modo i cittadini esprimono la loro richiesta, -oppure il loro rifi uto-, di videosorveglianza? In che modo sono informati e associati alle varie tappe dell’applicazione di una politica di videosorveglianza? In che modo tali dispositivi incidono sulle percezioni dei cittadini e sul comportamento delle vittime o degli autori potenziali di reati?

Sono questi alcuni degli interrogativi che si sono posti i partner, cercando di fornire delle risposte, sia esponendo le loro prassi, sia sotto forma di racco-mandazioni. Il risultato di queste domande e di questa ricerca di soluzioni è stato l’elaborazione della Carta per un utilizzo democratico della videosorve-glianza, documento che attesta la volontà politica delle città. Si tratta di città che si impegnano, nel loro utilizzo della videosorveglianza, a rispettare i diritti fondamentali dei cittadini, garantendo la piena tras-parenza del processo decisionale. Per concretizzare tale impostazione, i primi fi rmatari della Carta, il sindaco di Rotterdam (Paesi Bassi), il presidente del Forum europeo e sindaco di Mato-sinhos (Portogallo) e il presidente del Forum francese e sindaco di Saint-Herblain (Francia) invitano gli altri s indaci a impegnarsi in questo processo volontaristico.

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