Cinque anime indivisibili - Amanda Craig

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Nel pieno della notte viene gettato in uno stagno il corpo di una giovane clandestina che viene lentamente inghiottito dall'acqua mentre un misterioso uomo lo fissa. Le vite di cinque persone, cinque immigrati, in apparenza molto distanti, finiranno per intrecciarsi influenzate da questo evento: Job, il tassista senza licenza la cui moglie in Zimbabwe non risponde più alle sue lettere; Ian, insegnante idealista esiliato dal Sud Africa; Katie, giornalista newyorchese appena trasferitasi a Londra; Anna, quindicenne ucraina coinvolta in un giro di sfruttamento della prostituzione; Polly, avvocato attivista impegnato nella difesa dei diritti umani. Sullo sfondo la decadenza di un intera società che nelle storie individuali dei protagonisti trova la sua ironica e drammatica narrazione.

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Amanda Craig

CINQUE ANIME INDIVISIBILI

traduzione di silvia scognamiglio

Casini Editore

Titolo originale dell’opera: Hearts and Minds.copyright © 2009 by Amanda Craig.

Published by arrangement with Marco Vigevani Agenzia Letteraria.

© 2010 Valter Casini Edizioniwww.casinieditore.com

ISBN: 978-88-7905-174-3

Che fra le moltitudinidella grande città, spesso si vedevamostrata in modo commovente, più di quanto altrovesia possibile, l’unità dell’uomo,il suo spirito unico che predomina il vizioe l’ignoranza, il comune senso di giudizio morale posto nei cuori buoni e cattivi, come l’occhio comuneper la luce del sole.

– William Wordsworth, Il Preludio1

***

Poiché è la mente che avviva il mondo intorno a noi; seppure stiamo a fianco a fianco sullo stesso prato, i miei occhi non ve-dranno mai quello che i tuoi vedono, né il mio cuore si commuo-verà quando si commuoverà il tuo.

– George Gissing, Il giornale intimo di Henry Ryecroft2

***

Città irreale, Sotto la nebbia bruna di un’alba d’inverno, Una gran folla fluiva sopra il London Bridge, così tanta, Ch’io non avrei mai creduto che morte tanta n’avesse disfatta.Sospiri, brevi e infrequenti, se ne esalavano,E ognuno procedeva con gli occhi fissi ai piedi.

– Thomas Stearns Eliot, La terra desolata3

1 William Wordsworth (1994), Il Preludio, traduzione di Massimo Bacigalu-po, Mondadori, Milano.2 George Gissing (1957), Il giornale intimo di Henry Ryecroft, traduzione di Jole Pascarelli, Edizioni Paoline, Milano.3 Thomas Stearns Eliot (1974), La terra desolata, traduzione di Roberto Sa-nesi, Mondadori, Milano.

Prefazione: una città complicata

Di notte, pur essendo questi i mesi morti dell’anno, la città non è mai del tutto buia. Le sue ombre vibrano in una violenta luce arancione che brilla e poi sbiadisce, sbiadisce e poi brilla, mentre impulsi di energia elettrica fluiscono attraverso il suo corpo come fanno i sogni. L’aria acre, inspirata ed espirata da sei milioni di polmoni, contaminata da esausti tubi di scarico e macinata attraverso i ventilatori, non è mai pulita, ma dopo un po’ ci si abitua al suo odore e al suo gusto amaro. La polvere d’intere epoche vortica e cade macchiando muri, annerendo bicchieri, ricoprendo superfici, ostruendo polmoni. Mattoni, foglie, carta, ossa di pollo e pelle, tutto si consuma, tutto si riduce in granelli praticamente invisibili che si accumulano nell’eterna polvere di Londra.

La città riesce a respirare liberamente soltanto quando ar-riva un vento che soffia da un luogo lontano, portando con sé i gabbiani e le grida del mare, o una fresca e dolce aria pro-veniente da ovest. Eppure, questa città è un mondo a parte, un paese in seno a un altro paese. Le persone sono abituate a prendere il vecchio e a renderlo nuovo, ma anche a prendere il nuovo e a renderlo vecchio. Si dice che ogni bicchiere d’acqua

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del rubinetto sia passato per sei volte attraverso le tubature di un altro lavandino e che ogni fazzoletto di terra sia stato cal-pestato, conteso, vangato e frantumato per secoli. Eppure, da sotto le strade e i palazzi, sgorga anche acqua fresca, così che il sepolto panorama sotterraneo non viene mai del tutto dimen-ticato. Questo posto potrebbe quasi essere considerato aperta campagna, poiché qui i suoi ruscelli sfociano in stagni anziché in canali di scolo o tubi nascosti. È qui che l’assassino è venuto a nascondere il corpo.

La donna è molto più pesante di quanto si aspettasse. Forse è stato stupido a non averla messa nel bagagliaio dell’auto e a non essere andato a scaricarla in un posto lontano. Il fatto è che lui sa con quanta facilità la polizia possa risalire ai numeri di targa dei veicoli in transito nelle vicinanze del luogo di un delitto. È più saggio restare sulle strade familiari, quelle che percorre sempre. Questo lato dell’Hampstead Heath ha poche telecamere a circuito chiuso, ma è stato costretto ad aspettare molto tempo sul ciglio della strada prima che le persone lì in-torno andassero via — non che durante una notte invernale ce ne fossero molte in giro, con il vento che stride tra i rami spo-gli come tanti allarmi distanti. È soddisfatto della sua scelta. Tuttavia, far scivolare il borsone grigio della posta dal sedile posteriore dell’automobile e trascinarlo lungo la riva erbosa è troppo per una sola persona. Invece di strangolarla, avrebbe dovuto solamente stordirla, quando ne aveva avuto l’opportu-nità. Era stato semplice e veloce, come uccidere una gallina, e ovviamente assolutamente silenzioso.

Sa esattamente dove vuole mettere il borsone. C’è un posto nella zona dei Ponds — una riserva naturale recintata in cui l’ac-cesso è vietato alle persone e ai cani ma non ai suoi abitanti più selvaggi come le volpi — dove un corpo può giacere e marcire

una Città CompliCata

per anni senza essere scoperto. Il posto è già saturo di un odore rivoltante, appestato di fango e melma, per cui nessuno noterà un altro piccolo tanfo.

Il piano era stato orchestrato più o meno seguendo l’impeto del momento: a lui però era sembrato buono, anche se teme an-cora che lei l’abbia incastrato. Non c’è tempo per controllare, eppure… L’uomo borbotta e barcolla, la odia ancor più di quan-do era viva, e la sua profonda avversione gli infonde la forza necessaria, tanto che quando compie lo sforzo finale per solle-varla e gettarla oltre l’inferriata, il corpo vola in aria e s’infrange nell’acqua con uno splash.

Per un attimo, sembra quasi che non funzionerà. Osserva an-sioso, sempre all’erta nel caso arrivino altre persone, mentre il borsone pare fluttuare tra le onde come se fosse incerto sul da farsi. Poi, con suo grande sollievo, affonda facendo un rumore leggero, un plop quasi comico, mentre l’aria dal suo interno si fa strada verso la superficie.

Qualcosa si muove sulla sponda e lui si paralizza, ma è solo un uccello acquatico che arranca lungo la riva, infastidito dal rumore. Finalmente, il borsone scompare alla vista, lasciando l’acqua dello stagno in pace e in silenzio, se non fosse per le figure scheletriche degli alberi spogli e degli arbusti che occa-sionalmente affondano i propri ramoscelli nelle sue profondità, come lunghe dita ossute. Sospira.

La donna era sopravvissuta a numerose prove prima di quella che le avrebbe tolto la vita, riflette. Era giovane, forte, attraente. Aveva un cervello brillante, che le aveva permesso di imparare una nuova lingua, una lingua che era nata dalla fusione di molti altri linguaggi, e aveva creduto che così facendo avrebbe otte-nuto, miracolosamente, un futuro migliore. Era stata come molti altri londinesi, una persona che non era riuscita a integrarsi in

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nessun altro luogo, e che era arrivata in città sperando di trovare un nuovo inizio. Ora, invece, è solo un’altra cosa gettata via che, come tante altre, sarà semplicemente considerata persa, sempre che qualcuno si ricordi di considerarla.

1. Risveglio

Anche nel sonno, Polly è cosciente del senso di colpa. Come una scheggia che cerca con forza di farsi strada verso la superfi-cie della pelle, esso pulsa ritmicamente poco al di sotto del suo livello di consapevolezza, fino al risveglio. Mezzo addormenta-ta, resta ad ascoltare lo scricchiolio del pavimento e il saltuario tremolio del vetro della finestra scorrevole che urta contro l’in-telaiatura, finché la pressione nella vescica non la costringe ad alzarsi.

Camminando con il cauto e strascicato passo di chi sa che il pavimento è un campo minato di figurine Warhammer, cerca a tentoni la strada per il bagno. Il riscaldamento centrale è fuori uso ma la tapparella funziona benissimo, e le mostra la parte superiore di un’ampia strada alberata illuminata dalla fioca luce arancione dei lampioni. Due file di case apparentemente identi-che, semplici e intonacate di bianco, risalenti al primo periodo vittoriano, sono l’una di fronte all’altra: ogni casa leggermente diversa dalle altre, come i fringuelli di Darwin sulle isole Gala-pagos. Polly, con il suo albero di ulivo in vaso, le vernici Farrow & Ball e il frigorifero Smeg, è un arrivo relativamente recente, ma mentre una metà della strada sta diventando una zona si-

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gnorile, l’altra metà appartiene ancora al regno del dozzinale. Si sente a proprio agio qui, sul lato disordinato di Islington e Camden Town: una sensazione mai provata durante il suo matri-monio, quando viveva a Fulham. Ha scelto questo posto perché è vicino a dove è cresciuta e anche a dove adesso lavora come avvocato in uno studio specializzato in diritti umani. Pur avendo una casa (comprata in seguito al divorzio) confortevole e bella, e dei figli che frequentano scuole private, percepisce comunque uno stipendio piuttosto modesto, essendosi tenuta alla larga per quasi un decennio dal lavoro a tempo pieno, nel periodo in cui i suoi bambini erano piccoli.

Theo, il suo ex marito, è un tipo di avvocato del tutto diverso. Lavora nella City, e odia Londra.

— Questa città per un decennio ha avuto i suoi momenti feli-ci, ma ora la festa è finita — ama ripetere. — Le sue infrastruttu-re, il sistema dei trasporti, l’educazione, la polizia e la sicurezza, fa tutto schifo. Te lo dico, Polly, la gente sta seriamente prenden-do in considerazione l’idea di trasferirsi a Ginevra.

Quando dice “gente”, Theo intende sempre quelli come lui, che guadagnano almeno un milione di sterline l’anno. Il resto non esiste. Polly, nonostante questo, è irremovibile. Vaghi pre-sentimenti di pericolo sono stati parte della vita di ogni londine-se negli ultimi cinque anni, ma l’allarmismo di Theo è assurdo. Vede minacce ovunque, e non riesce a capire perché, dopo l’un-dici settembre, nessun altro si sia minimamente preoccupato di comprare del nastro isolante.

— Papà è strano con le persone, vero? — aveva sottolineato Robbie dopo un week–end trascorso con suo padre. — Pensa che le persone mettono degli asciugamani sulla testa per far pre-cipitare gli aerei.

Risveglio

— Questo è il problema del paese di papà, loro non hanno vissuto due guerre mondiali né le bombe dell’IRA — gli aveva risposto Polly. — Sono paranoici nei confronti di tutto il resto del mondo.

Theo era rimasto stupefatto nello scoprire quanto oramai gli americani fossero profondamente odiati dagli inglesi. Ma ricam-bia questo astio con gli interessi. Vuole riportare Tania e Robbie negli Stati Uniti, per inscatolarli nelle tipiche case della dilagan-te periferia del New England, dove vivono tutti i suoi colleghi, case corredate di cameriere messicane e di piscina.

— Theo, non è affatto così che vivono gli inglesi — gli aveva detto Polly.

Ha finestre blindate e sbarre alle porte ma si rifiuta di mettere un allarme antifurto, anche se Theo ha insistito per farle instal-lare un panic button.

— Sei una donna e vivi con i miei figli, quindi ho il diritto di insistere perché abbiano un minimo di protezione — aveva insistito.

— I ladri non possono irrompere qui — gli aveva detto Polly. — Siamo davvero al sicuro, le finestre hanno tutte il vetro blin-dato e, a ogni modo, questa casa emana vibrazioni positive e amichevoli, non riesci a percepirlo?

Theo l’aveva guardata come se fosse stata idiota, e magari può anche sembrare un’ingenua a pensarla così, ma a Polly ora non interessa. È libera, e questa casa le appartiene.

Si sente un sibilo distante provenire dalla caldaia e le tuba-ture sotto al pavimento cominciano a scricchiolare e a riempirsi d’acqua, come se la casa si stesse stiracchiando le ossa. Ritorna a letto, sollazzandosi nella sua solitudine. Trascorrere il Natale in California senza i ragazzi è stato magnifico; la casa nelle Pa-

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cific Palisades, con il suo panorama di piscine e giardini, le ha permesso di dare una furtiva occhiata a un mondo diverso. Il suo fidanzato, Bill Shade, è uno sceneggiatore di Hollywood e vorrebbe che lei si trasferisse da lui, ma Polly è restia a farlo. Ha appena ritrovato la sua carriera; può leggere gialli fino a notte fonda invece di dover sopportare qualcuno che si lamenta della luce accesa; può trascorrere il week–end senza un filo di trucco sul viso; può stiracchiarsi liberamente e godersi la parte fresca del suo materasso.

Polly pensa con gratitudine a Iryna, che sta al piano di sopra. Bill l’ha presa in giro sul modo in cui la sua vita dipende da una lavoratrice straniera sottopagata, e lei è ben consapevole dell’i-ronia della situazione, dal momento che la sua vita professionale consiste sì nell’aiutare profughi e immigrati clandestini, ma rie-sce a farlo solo perché ne sfrutta altri.

— È per questo che Shakespeare ha composto le sue opere immortali, che Smith ha sviluppato le sue teorie economiche e che Berners–Lee ha inventato internet: così che le vostre fra-gole possano essere raccolte da persone provenienti dall’Euro-pa dell’Est, le vostre strade tenute in ordine dai serbi, la vostra biancheria stirata dai pakistani e i vostri giardini curati da un ita-liano? — dice Bill. Sì: ma sicuramente la più importante è Iryna, che lavora venticinque ore alla settimana per 70£, senza contare le sue mansioni di baby–sitter o il periodo delle vacanze scola-stiche. Iryna si occupa delle faccende domestiche, va a prendere Robbie a scuola, prepara la merenda ai ragazzi all’ora del tè, si assicura che facciano i compiti e, in breve, svolge tutta la noiosa routine che comporta essere una casalinga e una madre, ruoli che Polly ha abbandonato per il lavoro.

Ama i suoi figli, ma non può negare che il lunedì mattina, quando torna a lavoro, è sempre sollevata al pensiero di non doverli rivedere fino alle otto di sera.

Risveglio

— Lei è la mia roccia, Iryna. — È così che Polly la presenta, oppure: — Lei è Iryna, la mia mano destra.

Non che non abbia mai fatto tutto questo da sola. Sa passare l’aspirapolvere, stirare camicie e lavare i piatti. È ancora in gra-do di cucire sugli abiti dei ragazzi nastri con i loro nomi, pre-parare la merenda e trascinarsi in giro per musei. Ma ha sentito gli ingranaggi del suo allenato cervello da legale girare a vuoto come una bicicletta arrugginita mentre cantava la canzoncina per bambini Here we go Loopy–Lo per la millesima volta. Riu-scire a combattere con il Ministero degli Interni è, letteralmente, un gioco da ragazzi se paragonato ai veri giochi da ragazzi, ma senza Iryna semplicemente non potrebbe riuscirci. Con Iryna, la vita è migliore. L’aveva presa senza nemmeno una referen-za, rispondendo a un suo annuncio, e prova un caldo brivido di orgoglio quando pensa a come è stata ricompensata. Gli ingle-si non sono bravi ad accogliere gli stranieri nelle proprie case, Iryna però non solo ha una stanza ampia e luminosa completa di televisione, frigorifero e microonde, ma anche il suo bagno personale, mentre Polly divide il suo con i bambini.

Tranquilla, simpatica e carina, Iryna ricorda a Polly una bam-bola russa. A volte Polly si domanda se abbia mai avuto un fi-danzato, anche perché non ha mai portato nessuno in casa.

Ha sicuramente una vita sociale attiva, esce sia di mattina che di sera, ma questo non interferisce mai con il lavoro. Polly si sente sollevata nel vederla di nuovo serena e riposata in se-guito alle due settimane di pausa dalle faccende domestiche che ha avuto mentre loro erano via per le vacanze, poiché su-bito prima di Natale era pallida e fiacca, e Polly temeva avesse nostalgia di casa.

Ora invece è di nuovo al meglio, e nessuna ragnatela o palla di polvere può scampare all’ugello indagatore dell’aspirapolve-re. La lavatrice vortica con il suo quasi silenzioso e acuto sibilo,

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sballottando il suo contenuto da un lato all’altro, la cena dei ra-gazzi sfrigola e diventa dorata sotto il grill, e Polly mangia quel-lo che avanza. Iryna è come la mano invisibile di Adam Smith: fa tutto lei, e poi scompare.

È solo un piccolo dettaglio il fatto che, essendo russa, si dà il caso che sia una clandestina.

Polly ripiomba in un sonno così profondo che ha l’impressio-ne di affondare in acque oscure. Giù, giù, e poi la radiosveglia la riporta indietro, in preda al panico. Al programma radiofonico Today stanno farfugliando qualcosa sulla guerra in Iraq e sulle debolezze del Primo Ministro, mentre Polly si trascina verso le scale, cercando di non farsi tornare alla mente le sensazioni di quello splendido mattino di maggio di circa un decennio prima, quando avevano vinto i laburisti e il paese sembrava traboccante di un’appassionata speranza.

— Sveglia! — li chiama, mentre entra nelle stanze dei ragaz-zi e accende le luci.

Ecco che la lunga ora di battaglia ha inizio. Tania giace pla-cidamente addormentata nel languore dell’adolescenza; la pelle, quando le dà un bacio, è ricoperta della perlata lucentezza del sudore, mentre Robbie si agita e affonda ancor di più sotto il suo piumone. Polly si accorge con fastidio che Iryna non ha prepa-rato la sua uniforme.

— È ora di svegliarsi, angelo mio.— Odio la scuola — dice Robbie, scalciando mentre sua ma-

dre gli sfila la coperta.— Odio il lunedì — aggiunge Tania di rimando. — E odio te.— Ottimo — dice Polly. — Vestitevi, o andrete a scuola in

pigiama.

Risveglio

Tutte le mattine della settimana deve assicurarsi che i suoi figli siano vestiti, nutriti, puliti, che abbiano fatto i compiti e che arrivino a scuola in tempo prima che lei vada in ufficio. A dirla così, non sembra un’impresa impossibile, ma ci sono giorni in cui sente di non poter resistere un minuto di più.

— Robbie, non hai ancora le scarpe! Mettile, o andrai a scuo-la in calzini.

— Perché devo andare a scuola? Perché non posso stare con te?

Polly sospira. Sta cercando di comprimere un’intera giornata di lavoro in sei ore, tiene l’orologio cinque minuti avanti per riu-scire ad arrivare in tempo agli appuntamenti, prendendosi gioco di sé per provocarsi piccoli attacchi di panico che sono come le minuscole, soffocate esplosioni di un motore a scoppio.

— Oltre i confini di questo paese, ma anche all’interno, ci sono milioni e milioni di persone che ucciderebbero per ave-re quello che avete voi — dice. — Sono intelligenti, lavorano straordinariamente sodo e tutte loro stanno imparando l’inglese. Quando crescerete dovrete competere con loro per avere un po-sto all’università e anche per ottenere un lavoro.

— Okay, okay — sbuffa Tania, impertinente.— Dovete fare tutto questo, — dice Polly, lanciando i cereali

Weetabix sul tavolo — se non prendete voti alti, non andrete mai all’università, e se non andate all’università finirete ad arrostire hamburger e…

— Vuoi dire che se non leggo, potrò avere tutti gli hamburger che voglio, tutti i giorni?

— Poi ingrasseresti, Robbie. — Tania lo guarda disgustata.— E allora? — Ma perché devo imparare il francese? O qualsiasi altra

lingua, quando tutti al mondo vogliono imparare l’inglese? — chiede Robbie, che non vuole nemmeno bere il succo d’arancia se dentro ci sono dei pezzetti non filtrati.

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— Perché altrimenti non saprai mai cosa dicono di te in se-greto — risponde Tania.

Polly sorride, è una risposta sicuramente migliore di quel-le che avrebbe potuto dare lei. Poi il suo cuore ha un sussulto guardando l’orologio: hanno esattamente quarantotto secondi per uscire di casa. Dove sono i loro giacconi?

— Come faccio a saperlo? — risponde Robbie, calmo.— Dovete metterli! Si congela, è gennaio, oggi non potete

uscire senza un giaccone. Guardate, io ho messo di nuovo il più pesante che ho.

— Non capisco perché ti stai agitando tanto — dice Robbie. — Non fa poi così freddo fuori.

— Sono una mamma ebrea — spiega Polly. — Le mie ultime parole sul letto di morte saranno “mettiti un maglione”.

— Mamma, tutte le madri sono madri ebree, solo che loro non si agitano tanto come fai tu — dice Tania.

— Non trovo la cravatta della mia uniforme — si lamenta suo figlio. — Iryna l’ha nascosta.

— Iryna! — chiama Polly dalla rampa delle scale. Dovrebbe già essere scesa a quest’ora. Nessuna risposta e Robbie sarà pu-nito se si presenta senza la cravatta. Corre al piano di sopra per pescarne una dal cesto della biancheria sporca, già nauseata per lo stress.

— Ti odio! — strilla Tania. — Perderò sicuramente l’auto-bus, e sarà tutta colpa tua!

Fuori, Polly parte come un razzo. Hanno solo tre minuti come margine d’errore, e possono non bastare.

— Oh dannazione! — impreca, mentre al semaforo cerca di inviare un messaggio a Iryna. — Mi domando dove possa essere.

L’auto scatta in avanti. È solo un momentaneo sollievo dal-la frustrazione, perché un secondo dopo il telaio della sua auto

Risveglio

urta rumorosamente contro un dosso. Polly fa sempre lunghi e tediosi sogni in cui la corsa per la scuola viene effettuata senza mai smettere di sfrecciare sull’Highgate Hill nel tentativo di rag-giungere la fermata dell’autobus per la scuola di Tania. Ora, in-vece, ha superato l’Highgate Cemetery e la tomba di Karl Marx, sorpassa di corsa i decorati cancelli di ferro battuto del Waterlow Park, esce da Pond Square e poi, giusto in tempo, si ferma di fronte all’autobus.

— Ti voglio bene — dice Polly, fermandosi.— Ah–ah — dice Tania, scivolando fuori dall’auto per rag-

giungere il branco di altre ragazze in uniforme. Ogni giorno, quando torna nel cuore di Londra, Polly pensa a quanto sia grata che i suoi figli vivano nella verde e sicura periferia.

Si continua per la seconda tappa del tran tran quotidiano. La strada alberata nel West Hampstead, dove si trova la scuola elementare di Robbie, palpita e rimbomba di enormi auto che sputano fuori piccoli bambini in uniforme, chini come formiche sotto il peso dei loro zaini, delle attrezzature sportive e degli strumenti musicali. Polly siede al volante, schiacciata tra giganti e scintillanti parafanghi cromati e tubi di scappamento esausti che riversano nell’aria un tremolio senza fine di sostanze inqui-nanti, mentre Robbie ripete cantilenando i verbi latini con la di-sperazione di un monaco novizio. Eccoci! Con una scarica di adrenalina, corre con la sua piccola auto in avanti, accende le frecce, e fa inversione.

— Fuori! Devo andare a lavoro.— Aspetta mammina, aspetta! — urla Robbie. — Non ho

messo bene le scarpe.— Non posso aspettare tesoro. Ho un’udienza.— Perché ti interessano più quei maledetti stranieri che tuo

figlio? — chiede.

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— Non sono dei maledetti stranieri. Sono persone come noi, solo che sono meno fortunate — dice Polly. Ma non capisce: come potrebbe? Come tutti questi altri piccoletti dolci e inno-centi, andrà nei paesi del terzo mondo solo come turista. Polly, invece, ha succhiato compassione e paura assieme al latte di sua madre. Fa incubi in cui scappa per evitare la tortura e la morte dei suoi figli, proprio come alcuni dei suoi clienti. In questi sogni è sempre da sola e si dimena senza sosta per sfuggire ai nazisti, mentre la trascinano per le braccia rigide come fossero di pietra.

Sta tornando indietro lungo l’Hampstead Line, e il suono del suo cellulare le sta già perforando il cranio. Deve essere Iryna. Con una mano sola, Polly pesca il telefono, ma non c’è nessun avviso di chiamata. Per un attimo, si chiede se il frastornante, persistente lamento che sta crescendo sempre di più sia il rumore del suo stress che diventa udibile.

Solo quando il lamento diventa più alto e le auto davanti a lei si aprono come le acque del Mar Rosso, si accorge che si trat-ta di un’auto della polizia, che le sfreccia davanti e corre nella direzione opposta con le luci blu lampeggianti accese mentre sparisce verso l’Hampstead Heath.

Come mai non mettete i numeri di pagina nei romanzi?

Nei romanzi non mettiamo i numeri di pagina perché pensiamo la lettura non debba essere

scandita, o peggio quantificata. Perché se abbiamo la sensazione di aver letto dieci

pagine anche se ne abbiamo lette due, o di averne lette cinque quando ne abbiamo lette trenta, ci piace conservare quella sensazione.

Perché pesarne le pagine ci pare un modo grossolano di presentare una storia, e perché non vorremmo mai rinunciare alla piacevole

necessità di improvvisare un segnalibro.

Casini Editore

Casini Editore

I libri cambiano il mondo

Casini Editorevia del Porto Fluviale, 9/a – 00154 [email protected]

Finito di stampare nel mese di novembre 2010Stampato per Casini Editore dalla Arti Grafiche La Moderna – Roma

È questo quello che ha scoperto in prigione in preda a grandi sofferenze e paure.

Le uniche, vere libertà di cui possiamo godere sono quelle del cuore e della mente.

« Il grande romanzo che stavamo aspettando. »

« Non importa cosa vi succederà intorno, non potrete chiudere questo libro. »

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