B&G N°6

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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale 45% - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB BERGAMO - COBALTO SRL anno II - numero 6 | maggio - giugno 2009 | € 7,00 LUCA TIRABOSCHI FOTOGRAFATO DA MATTEO MOTTARI In caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di BERGAMO per la restituzione al mittente che si impegna al pagamento dei resi. www.businessgentlemen.it 90006 Rinnovabili Energie pulite Investire conviene ICT Sempre di più Enterprise 2.0 Storie di successo Focus su: Diebold Dilà, Newsystem Johnny Lambs Innovazione Sono oltre 28mila in Lombardia le aziende hi-tech Protagonisti Alessandra Brambilla Roberto Monti, Attilio Martinetti Roberto Magri, Giovanna Ricuperati Con il direttore di Italia Uno alla scoperta dei meccanismi di un’azienda televisiva Luca Tiraboschi L’impresa della tv

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Business&Gentlemen è una rivista bimestrale dedicata al mondo delle imprese protagoniste della storia economica lombarda. I principali temi trattati sono cultura d’impresa, innovazione, formazione, internazionalizzazione, qualità, energie alternative. Tutto questo a cominciare dai volti, storie e personaggi che fanno grande questo straordinario tessuto imprenditoriale.

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InnovazioneSono oltre 28milain Lombardia le aziende hi-tech

ProtagonistiAlessandra BrambillaRoberto Monti, Attilio MartinettiRoberto Magri, Giovanna Ricuperati

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Citazione: un ipse dixit che impre-ziosisce il discorso trattato

Bibliografia: la segnalazione bibliografica collegata all’ar-gomento

In questo numero diamo ampio spazio al tema delle energie rinnovabili che possono rappresentare un importante investimento per le imprese. In tempi di crisi la sensibilità dell ’opinione pub-blica sulla questione dell ’ambiente (ba-sti pensare agli ecoincentivi nel settore auto) e l ’attenzione degli imprendito-ri verso la cosiddetta economia verde sono notevolmente cresciute. Sempre più spesso si sottolinea il legame tra lo sforzo per uscire da questo periodo di stallo economico e la salvaguardia dell ’ecosistema ormai compromesso da decenni di assoluta pirateria.

La crescita sfrenata senza la minima considerazione degli effetti sul mondo che ci circonda è stata il denominatore comune degli ultimi decenni, anzi una bandiera da sventolare con arroganza da parte di alcune economie e di al-cune multinazionali capaci di operare considerando il protocollo di Kyoto un peso e un’assurdità della società evolu-ta. Oggi c’è un clima diverso, proprio grazie alla crisi. E qualcuno guarda alla prospettiva di rilancio proprio lungo la green line. Insomma la svolta potrebbe arrivare proprio dallo sviluppo di un sistema produttivo che guardi alle pro-blematiche ambientali come un occa-sione di business. Ovviamente queste strategie innovative e gli investimenti necessari per avviare dei processi di valore aggiunto legati all ’ecosostenibi-le sono percorsi pensati a medio-lungo termine.

Chi pensa e vuole ottenere tutto e su-bito pecca d’arroganza, ma anche di ipocrisia. Ma c’è un pericolo maggio-re. C’è chi sottolinea che prima biso-gna pensare a uscire dalla crisi conti-nuando lungo la strada dell ’economia tradizionale poco attenta ai problemi ambientali. C’è chi si preoccupa di ot-tenere subito i fatti, subito i risultati: si

può cominciare a pensare all ’ambiente anche a partire dal 2010. Continuia-mo a inquinare ancora un po’ fino a quando non rimetteremo le aziende in carreggiata, allora ci sarà tempo per valutare i benefici dell ’economia ver-de. Beh, allora, se questa è la rivolu-zione del pensiero generata dalla crisi, rischiamo di finire in una crisi ancora peggiore.

Bisogna avere coraggio di voltare pagi-na. La gravissima recessione di questi mesi deve servirci a cambiare le pro-spettive, a pensare fin da subito a un nuovo modo di agire, altrimenti a forza di scusanti finiremo a gambe all ’aria. Le imprese devono cambiare rotta se vogliono costruire un terreno solido su cui avviare il proprio successo: le scelte dell ’oggi, dell ’immediatezza, quindi compresa la scarsa attenzione all ’ambiente non devono più essere pa-trimonio dell ’imprenditore illumina-to. Uscire dalla crisi senza un proget-to nuovo, ma cercando di arrabattarsi con i vecchi stratagemmi servirà solo ad allungare l ’agonia.

B&G è anche online!Non una semplice vetrina della rivista, ma un magazine vero e proprio dedicato al mondo delle imprese, del business e del lifestyle. Servizi quotidiani e approfondimenti suddivisi in canali tematici: dall’economia ai personaggi, dall’internazio-nalizzazione ai giri di poltrona, dalle fi ere all’Ict. E poi, i canali dedicati all’intrattenimento e al lusso: yacht, motori, gioielli, orologi, viaggi e molto altro. Visita il nuovo sito di B&G: www.businessgentlemen.it

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Sommario numero 6 | maggio -giugno 2009

10. Editoriale La scelta corraggiosa di seguire la green line

14. Hi-tech Sempre più l’era della Enterprise 2.0

18. Energie Rinnovabili Quanto è vantaggioso investire nell’ecosostenibile

26. Diebolod Leader nella produzione di sportelli bancomat

30. Johnny Lambs Come costruire un marchio di successo

34. Newsystem La nuova generazione di un’azienda innovativa

38. Dilà L’impresa brianzola di porte sempre al passo con i tempi

42. L’azienda Tv I meccanismi di un canale tv svelati da Luca Tiraboschi

48. Lady economy La vice presidente di HP

Alessandra Brambilla

52. La rivoluzione IKEA Ce la spiega l’ad Roberto Monti

54. Roberto Magri Il nuovo Gentleman della nautica

62. Innovazione Per la competitività e lo sviluppo delle imprese

66. Marketing L’arma vincente per combattere la crisi

72. Psicologia La nuova frontiera delle consulenze d’impresa

74. Internet e imprese La “coda lunga” del business online

78. Internazionalizzazione Gli eff etti della crisi

sull’economia russa

82. Arte Quando la mostra diventa evento grazie a Linea d’Ombra

86. Personaggi di stile La grande leggenda di Zino Davidoff

90. Miss Sally Il ristrutturazione di una barca Made in Usa

94. BMW Z4 classe e potenza in libertà

100. Misterioso Cile Centinaia di viaggi in uno solo

106. Golf Il successo del circuito Pragma ADV

100. Il Dossier Alla scoperta delle forme del tempo con Serafi no Consoli

126. Abstract Pillole di B&G dedicate al pubblico estero

128. Fiere Gli appuntamenti di maggio-giugno

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Business&Gentlemen maggio - giugno 2009

La ricerca della School of Management del Politecnico di Milano: la crisi costringe a ridurre gli investimenti nel Ict, eppure crescono gli strumenti web 2.0 legati alle aziende: dallo sviluppo dei contenuti alla gestione del patrimonio informativo

Calano gli investimenti nell’ICT (Informa-tion and Communication Technology) ma gli strumenti web 2.0 al servizio delle imprese guadagnano terreno. È quanto emerge dalla ricerca “L’Enterprise 2.0 al tempo della crisi: la concretezza di chi osa” realizzata dall’Os-servatorio Enterprise 2.0 della School of Ma-nagement del Politecnico di Milano.

In un quadro generale di riduzione del budget per gli investimenti ICT nel prossimo trien-nio, quattro ambiti applicativi dell’Enterpri-se 2.0 risultano in controtendenza: Unifi ed Communication & Collaboration (UC&C), Enterprise Content Management (ECM), So-cial Network & Community (SN&C) e Adap-tive Enterprise Architecture (AEA).Le entità medie di investimento in questi am-biti non sono elevate rispetto al totale della spesa ICT (si va dai 100mila euro per inizia-tiva nel SN&C ai 600mila euro nell’AEA), ma i tassi di crescita attesi nei prossimi tre anni sono decisamente superiori a quelli del budget ITC complessivo: per UC&C ed ECM i Chief Information Offi cer prevedono aumenti in-torno al 50%, mentre del 35% e del 25% per SN&C e AEA.

Tra i quattro ambiti, due risultano più matu-ri (Unifi ed Communication & Collaboration ed Enterprise Content Management) sia nella percezione che nell’adozione all’interno delle imprese.Unifi ed Communication & Collaboration (UC&C): rappresenta le iniziative a supporto della gestione di ogni tipo di comunicazione, interna ed esterna all’impresa, in modo uni-tario e indipendente dai mezzi adottati per veicolare i contenuti attraverso infrastrutture e strumenti integrati. Appena il 9% dei CIO intervistati risulta “scettico”, il 45% è di “pio-nieri” ritenendo da sempre strategiche queste azioni, il 46% si è “convertito” sull’importan-za di tali strategie. Enterprise Content Management (ECM): include le attività a supporto della gestione del patrimonio informativo, sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione, attraverso strumenti che migliorano l’accuratezza, l’ac-cessibilità e l’integrità nella gestione di docu-menti e, più in generale, di contenuti. Il 12% di

Ict e Business

CIO è scettico, il 51% è pioniere e il 37% è convertito. Social Net-work & Community (SN&C): comprende tutte quelle azioni che hanno come obiettivo la valorizzazione delle relazioni all’interno e all’esterno dell’impresa. Il 49% dei CIO sono ancora scettici, il 10% sono pionieri, ben il 41% si sono convertiti.Adaptive Enterprise Architecture (AEA): si intendono tutte quelle iniziative deputate a rispondere al bisogno di riconfi gura-re velocemente processi e ambienti di lavoro, rendendo il Sistema Informativo più fl essibile. Ben il 35% dei CIO risulta scettico, solo il 24% è pioniere mentre i convertiti ammontano al 41%.

La ricerca ha permesso di mappare anche il livello di adozione re-ale nelle organizzazioni: per l’Enterprise Content Management il 40% delle imprese è attualmente impegnato in uno sviluppo uni-fi cato o strategico, il 26% per Unifi ed Communication & Colla-boration, il 21% per Adaptive Enterprise Architecture e solo l’8% nel Social Network & Community. Nel complesso l’adozione nelle applicazioni dell’Enterprise 2.0 sono complete al 3%, composite (sviluppo elevato su almeno due ambiti) per il 21%, focalizzate (un solo ambito) nel 36% dei casi ed embrionali (per il 40%).

Con questa seconda ricerca l’Osservatorio Enterprise 2.0 ha evi-denziato come il fenomeno dell’Enterprise 2.0 stia profondamen-te mutando il modo di concepire i Sistemi Informativi: dall’essere fortemente incentrati sull’automazione e il supporto di processi strutturati, si stanno sempre più orientando a supportare processi che incorporano in misura crescente fl ussi di informazioni de-strutturate. Nell’impossibilità di automatizzare o codifi care que-ste attività, l’enfasi si è spostata progressivamente sull’individuo e sull’esigenza di migliorarne la capacità di utilizzare le risorse che l’azienda e l’ambiente esterno gli mettono a disposizione, creando così le migliori condizioni lavorative in ogni situazione e attraver-so diversi mezzi e canali, anche in mobilità.

Ma per sviluppare questo nuovo approccio al Sistema Informativo sono fondamentali sia la presenza sia il ruolo di un vero CIO. E che, in una visione di collaborazione integrata, la Direzione Siste-mi Informativi sia supportata - avendo la forza di farsi catalizza-

tore e perno del cambiamento - dalla Direzione Risorse Umane e dalla Direzione Marketing e Commerciale.

“Nello scenario di crisi attuale il fenomeno dell’Enterprise 2.0 ap-pare come di fronte a un bivio: se aff rontato in modo superfi ciale o demagogico, verrà archiviato come una moda passeggera o al più accantonato come un ‘lusso’ posticipabile a tempi migliori - af-ferma Mariano Corso, Responsabile Scientifi co dell’Osservatorio - se, viceversa, verrà compreso in modo profondo e poi aff rontato con concretezza e pragmatismo, potrà portare da subito vantaggi concreti e, al tempo stesso, costruire le premesse per un processo di rinnovamento organizzativo che permetterà alle imprese più effi caci di diff erenziarsi ed essere protagoniste nel prossimo ciclo di crescita. Di qui l’attenzione che quest’anno abbiamo posto ad analizzare le iniziative concrete in atto e a valutarne gli impatti sull’organizzazione, affi ancando alla visione dei responsabili dei progetti e dei CIO quella di altri attori emersi come fondamentali, i responsabili delle Direzioni Risorse Umane e Marketing e Com-merciale e gli utenti stessi.”.

“Grazie all’Enterprise 2.0 - conclude Stefano Mainetti anche lui Responsabile Scientifi co dell’Osservatorio - le aziende più lungi-miranti riusciranno a cogliere nella crisi un’opportunità, coniu-gando le esigenze contingenti con un percorso di cambiamento interno che non può essere proprio ora trascurato o frenato, ma che va anzi accelerato perché, come sottolineato dall’attuale Capo di Gabinetto della Casa Bianca Rahm Emanuel, ‘...una grave crisi non va mai sprecata...’”. |

I tassi di crescita per gli investimenti negli ambiti dell’Enterprise 2.0, attesi nei prossimi tre anni, sono decisamente superiori a quelli del budget ITC complessivo: per UC&C ed ECM i Chief Information Offi cer si prevedono aumenti intorno al 50%, mentre del 35% e del 25% per SN&C e AEA

La modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell’arte, perciò l’altra metà è l’eterno e immutabile. Esiste una modernità per ogni pittore antico. C. Baudelaire

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Business&Gentlemen maggio - giugno 2009

Business&Gentlemen marzo - aprile 2009

rinnovabileInvestire nel

una scommessa vincenteDati alla mano, le imprese che scelgono di sfruttare le energie alternative ottengono benefi ci e riduzione dei costi. Ecco la ricerca del professor Alessandro Nova, del Dipartimento di Finanza della Bocconi

Gli investimenti in impianti a energie rinnovabili sono redditizi per le imprese, sia che esse siano fornitrici sia in qualità di utiliz-zatori diretti per i propri processi produttivi. È quanto emerge dalla ricerca “Investire in energie rinnovabili - La convenienza economica per le imprese”, coordinata da Alessandro Nova, professore del Dipartimento di Finanza dell’Università Bocconi. Il settore delle energie rinnovabili è in grande fermento soprattutto grazie al sistema di incentivazione della legislazione italiana che, spiega Nova, “prende in considerazione una serie di strumenti diff erenziati per ciascun tipo di fonte rinnovabile. Per il fotovoltaico ad esempio esiste il Conto Energia, per le altre fonti è usato un sistema che fa riferimento ai Certifi cati Verdi”. Perché un investimento di questo tipo risulta quindi estremamente appeti-bile sotto il profi lo del rendimento? Le risposte si trovano all’interno della ricerca dove sono snocciolati numeri, grazie alla quantifi cazione degli eff etti economico-fi nanziari degli investimenti in energie rinnovabili sia nell’ipotesi di cessione dell’energia prodotta alla rete elettrica nazionale che in quella di un utilizzo nell’ambito dei processi produttivi delle imprese fi nanziatrici. È il caso, per esempio, di un impianto idroelettrico che, in grado di produrre 2 milioni di kWh l’anno e con una vita utile di 30 anni, è capace di assicurare un tasso interno di ren-dimento (l’indice che i ricercatori hanno posto come misura della profi ttabilità dell’investimento) superiore al costo del capitale investito, sia che l’energia sia completamente utilizzata per i processi produttivi industriali, sia che parte di essa (o al limite, tutta) sia venduta alla rete nazionale. In questo tipo di investimento, nel caso del 100% di autoconsumo, il tasso interno di rendimento raggiungerebbe il 18,3%, ri-spetto al 7,5% del costo del capitale, con una rilevante generazione di valore per gli investitori. Il periodo di rientro dell’investimento sarebbe di 8 anni nell’ipotesi di completo utilizzo dell’energia prodotta all’interno dei propri processi produttivi e si prolungherebbe di un solo anno se la meta’ dell’ener-gia prodotta fosse venduta alla rete. Un investi-mento conveniente, dunque, che, dal punto di vi-sta indu-

Energie rinnovabili

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striale “trae origine dal diff erenziale tra prezzo-costo dell’energia acquistata e costo di produzione dell’energia, integrato pero’ dagli incentivi economici che caratterizza-no questi progetti - aggiunge Alessandro Nova -. Le iniziative legate a energie rin-novabili si confermano come investimenti estremamente interessanti sotto il profi lo dei rendimenti economici ma soprattutto caratterizzati da una rischiosità sostan-zialmente contenuta, caratteristica sempre più rara nel panorama industriale contem-poraneo”. L’attenzione per le produzioni pulite, in-fatti, rappresenta per il paese non soltanto un’opportunità: “L’Europa si è posta come obiettivo il raggiungimento del 20% di quote di mercato per le energie rinnovabili entro il 2020, si tratta dunque di un obbli-go. Inoltre - aggiunge Nova -, tutta una se-

rie di condizioni spingono, nel nostro pae-se, verso gli investimenti in questo tipo di energie. L’Italia è il secondo importatore al mondo di energia elettrica, ma non fi gura tra i primi 10 produttori, e il prezzo medio per kWh è tra i più alti in Europa. Siamo fortemente dipendenti dall’estero e dalla volatilità dei prezzi che si determina sul mercato mondiale. Investire nelle energie rinnovabili potrebbe signifi care limitare questa dipendenza. Non solo: la riduzione del costo del kw per le imprese rappresenta un importantissimo elemento di compe-titività per il sistema, oggi imprescindibi-le, soprattutto nei settori ad alta intensità energetica”. Infi ne, poichè la realizzazione di impianti idroelettrici, fotovoltaici, eo-lici o a biomasse è conveniente là dove ci sono industrie a grande assorbimento di energia, la ricerca delinea una mappatura

dei consumi energetici in Italia, data dal rapporto tra provincia e settore industriale di maggior sviluppo in quella determina-ta zona. Studio alla mano, Milano è quella che appare più volte (13), seguita da Torino (7), Bergamo, Brescia e Vicenza (6), Trevi-so e Varese (5), Modena (4). Otto province che da sole occupano 52 posizioni e il 62% del potenziale elettrico delle top 100. In tempi di grande attenzione per l’impatto che la produzione industriale ed energe-tica ha sull’ambiente e di grande dibattito sulla dipendenza italiana dall’estero per l’energia elettrica (l’Italia è il secondo im-portatore al mondo), cresce quindi l’attesa per le prospettive di sviluppo delle energie rinnovabili. |

L’Italia è il secondo importatore al mondo di energia elettrica, ma non fi gura tra i primi 10 produttori, e il prezzo medio per kWh è tra i più alti in Europa. Siamo fortemente dipendenti dall’estero e dalla volatilità dei prezzi che si determina sul mercato mondiale. Investire nelle energie rinnovabili potrebbe signifi care limitare questa dipendenza

L’intervista a Gianni Chianetta, presidente di Assosolare

www.unibocconi.it

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Business&Gentlemen maggio - giugno 2009

Una nuova opportunità di rilancio che passa dal fotovoltaico. A dirlo sono i numeri: nel corso del 2009 si prevedono installati ulteriori 500MW di potenza fotovoltaica, pari al doppio della potenza entrata in esercizio nello scorso anno ed entro il 2020, in Italia si potrebbe addirittura arrivare a 200mila posti nel set-tore. Numeri che arrivano direttamente da Gianni Chianetta, presidente di Assosolare, Associazione Nazionale dell’Industria Fotovoltaica, riconosciuta a livello istituzionale quale autorevole controparte nella discussione di tutti i provvedimenti in emana-zione e rappresenta le esigenze della categoria del settore fotovol-taico nei confronti di tutti gli interlocutori.

Il pacchetto clima-energia e gli obiettivi al 2020 sono un’oc-casione importante per una svolta energetica anche in Italia. Un’occasione che si sta cogliendo?Nelle scorse settimane è stato pubblicato in Gazzetta il pacchet-to clima energia UE 2020. La direttiva sulle rinnovabili dovrà

essere applicata entro 18 mesi dalla pubblicazione in Gazzetta e, comunque, i provvedimenti implicano una serie di adempimenti per i quali l’Italia ha già iniziato a muoversi. Nel caso delle rinno-vabili il nostro Paese ha stabilito di ripartire l’obiettivo a livello regionale con un decreto del Ministero dello sviluppo economi-co da adottare entro giugno.

Qual è lo stato di salute del settore fotovoltaico? L’Italia è uno dei paesi dove la crescita è stata particolarmente si-gnifi cativa nei primi mesi del 2009. A fi ne 2008 la potenza cumu-lata nel nostro paese era di 280MW, al 19 marzo 2009 è stata di 412MW, con un fatturato di 1 miliardo e 854 milioni di euro. Più 47% in due mesi e mezzo e, secondo gli ultimi dati del GSE, nel corso del 2009 si prevedono installati ulteriori 500MW di poten-za fotovoltaica, pari al doppio della potenza entrata in esercizio nello scorso anno. Le domande di ammissione agli incentivi del Conto Energia, pervenute al GSE negli ultimi mesi evidenziano il

Fotovoltaico, un’opportunità per il rilancio

Eolico

Idro-elettrico

Foto-voltaico

Biomasse (cippato)

Biomasse (oli vegetali)

Biomasse (biogas)

C.i.: 2.500 kw

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V.u.: 20 anni

C.i.: 2.000 kw

P.a.: 16.000.000 kwh

V.u.: 15 anni

C.i.: 5.000 kw

P.a.: 39.000.000 kwh

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C.i.: 1.000 kw

P.a.: 7.000.000 kwh

V.u.: 15 anni

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8,8% P.r.i.: 17 anni

28,2% P.r.i.: 6 anni

37,4% P.r.i.: 4 anni

26,8% P.r.i.: 6 anni

16,5% P.r.i.: 9 anni

16,1% P.r.i.: 9 anni

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Impianto Dimensione e vita utile

Investimento+totale costi annui

Tasso interno di rendimento per 100% autoconsumo

Tasso interno di rendimento per 50% autoconsumo

Investire nelle energie alternative: ecco i dati

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Energie rinnovabili

trend di crescita della potenza fotovoltaica: 40MW nel mese di gennaio 2009; 60MW a febbraio 2009 e, presumibilmente, oltre 80MW in tutto il mese di marzo.Ad oggi oltre 33.000 sono le domande di ammissione pervenute al GSE, per una potenza di circa 430MW. Per quanto ri-guarda gli incentivi il Gestore dei Servizi Elettrici ha già erogato, in totale, circa 100 milioni di euro. In Italia su 32,442 impian-ti connessi, il 93% è di taglia fi no ai 20KW, il 5% da 20 a 50KW mentre solo il 2% è di taglia oltre i 50KW.

Quali sono i principali vantaggi per un’azienda che vuole investire nell’ener-gia solare? L’Italia, grazie al conto energia, rappresen-ta oggi uno dei mercati più interessanti e il fotovoltaico, a diff erenza di altri settori, non sta vivendo un momento di crisi ma anzi rappresenta una nuova opportunità. Basti pensare, ad esempio, al settore me-talmeccanico dove carpentieri e compo-nentisti oggi producono per l’industria del solare o a quello delle telecomunicazioni

dove tante competenze sono a disposizione della ricerca e dello sviluppo sulle nuove tecnologie. Rispetto a cinque anni fa il co-sto della produzione di energia da fonte so-lare fotovoltaica si è notevolmente ridotto e il trend futuro indica un raggiungimento della parità di costo con le fonti fossili in pochi anni.

Quali sono i principali ostacoli per l’ulte-riore sviluppo del settore? Non ultima, la nuova circolare dell’Agen-zia del Territorio, la risoluzione del 6 no-vembre 2008 n.3, con cui l’Agenzia ha classifi cato gli impianti fotovoltaici come opifi ci, stabilendo così l’obbligo del pa-gamento dell’ICI. Assosolare, come già reso noto pubblicamente, ritiene che vi siano circostanziate ragioni per escludere l’applicazione dell’ICI ai pannelli fotovol-taici; in primo luogo perché i parchi non costituiscono un opifi cio in senso tecnico (categoria catastale D1), in assenza di una connessione strutturale tra i pannelli e il terreno. Il che dovrebbe avere un eff etto di riduzione sostanziale della base imponibile

ICI. Un altro argomento oggetto di discus-sione riguarda la natura pubblica delle fi -nalità del fotovoltaico, sancita per legge dal decreto legislativo n. 387/2003, unitamente alla peculiarità strutturale dei parchi (che insistono su terreni che mantengono la propria destinazione ed uso “agricolo”). A valle delle valutazioni tecniche, sul piano economico l’ICI rappresenterebbe un one-re insostenibile per il settore, certamente di serio ostacolo per il suo sviluppo. Basti pensare che su un impianto da 8MWl’inci-denza dell’ICI risulterebbe nell’ordine dei 140milioni di euro con un abbassamen-to del tasso di rendimento di circa il 5% all’anno. Le diffi coltà di allacciamento alla rete e le lungaggini burocratiche sono gli altri problemi che affl iggono il settore e ne ostacolano lo sviluppo. Da un confronto fatto dal National Network of PV Associa-tions, fondato da Assosolare e dalla tedesca BSW Solar, in Italia sono necessari almeno nove mesi per installare e allacciare alla rete un piccolo impianto e, quasi un anno mezzo per uno di taglia grande. A Saler-no, il proprietario di un tetto fotovoltaico,

dopo aver ottenuto tutti i per-messi, ha dovuto attendere 3 mesi perché il Comune chiedeva una valutazione sull’impatto acusti-co dell’impianto; a Brescia, dopo 16 mesi di procedure e permessi vari, un impianto da 200kW non è stato approvato perché l’ente par-co locale ha dichiarato che poteva essere pericoloso per gli uccelli. In Spagna un piccolo impianto viene autorizzato in circa 18 mesi men-tre uno grande in due anni. In Germania chi vuole dotarsi di un impianto fotovoltaico in casa deve fare una semplice richiesta al Co-mune con un’attesa dalle due set-timane a un mese mentre, per uno grande, i tempi sono in media di quattro mesi. Una volta accolta la richiesta, l’operatore di rete locale è obbligato a connettere immedia-tamente l’impianto

Esiste una stima su quante im-prese operano nel settore del fo-tovoltaico?Secondo l’analisi condotta dall’Energy Strategy Group della School of Management del Poli-tecnico di Milano le imprese di fi -liera operanti nel nostro Paese, tra italiane, estere ed estere con fi liali in Italia, sono circa 730.

Qual’è il futuro del fotovoltaico in termini di indotto e forza la-voro? In Italia si potrebbe addirittura arrivare a 200mila posti di lavo-ro nel 2020. Cifra che potrebbe crescere ulteriormente puntando sullo sviluppo a livello locale di attività produttive legate al foto-voltaico, in particolare nel Sud Italia dove il sole non manca. No-nostante questa condizione privi-legiata rischiamo però di perdere il treno. |

www.assosolare.org

L’azienda brianzola specializzata nelle tecnologie per lo sfruttamento dell’energia solare che raddoppierà la produzione nel 2009 passando a 200mila unità di moduli fotovoltaici

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Business&Gentlemen maggio - giugno 2009

Lo scorso anno il giro d’aff ari del fotovoltaico in Italia è stato di 800 milioni di euro, con una crescita del 500% rispetto all’anno precedente. La potenza installata è tripli-cata. Il numero di impianti installati è stato di circa 18mila, con una assoluta preva-lenza di impianti di potenza inferiore a 20 kW. E il 2009? Nonostante i gravi problemi legati alla crisi economica e fi nanziaria, aziende, privati e istituzioni pubbliche con-tinuano a investire sul fotovoltaico. Il settore è in crescita, lo confermano gli addetti ai lavori tra cui Carmelito Denaro, presidente di Solarday, azienda brianzola e realtà italiana di riferimento nel campo delle tecnologie per lo sfruttamento dell’energia solare, produce pannelli fotovoltaici che convertono la luce solare direttamente in energia elettrica L’obiettivo di Solarday, come conferma lo stesso presidente Denaro, è quello di raddoppiare la produzione, passando dal 100mila moduli fotovoltaici del 2008 alle 200mila unità per il 2009, segno di un vento di ottimismo che sta segnando questo primo semestre dell’anno.

Il vostro settore sembra non sentire il vento della crisi. Avete chiuso un 2008 po-sitivo e per il 2009 sono previste nuove assunzioni. Segno di un mercato in cre-

Il caso Solarday

scita..... Le aziende quindi investono nel fotovoltaico?Come annunciato anche dal presidente del Kyoto Club Italia, Gianni Silvestrini ‘’Nel 2010 l’Italia sarà il Paese leader del fotovol-taico’’, quindi se per investimenti si intende la realizzazione di impianti fotovoltaici, la risposta è già implicita. Ovviamente, non solo a seguito di queste previsioni, ma an-che degli annunciati programmi a livello mondiale di incentivazione delle rinnova-bili, l’industria italiana si sta muovendo in termini di produzione di materiali fotovol-taici. Solarday S.P.A. ha anticipato i tempi realizzando, sin dal 2006, uno stabilimen-to di produzione di moduli fotovoltaici a Mezzago vicino a Milano, con una capa-cità produttiva di 60MW per anno, classi-fi candosi in breve tempo come maggiore produttore italiano.

Quanti pannella solari avete prodotto nel solo 2008? previsione per il 2009?Il 2008 si è chiuso con una produzione di circa 100.000 moduli fotovoltaici. Per il 2009 le previsioni sono di raggiungere le 200.000 unità prodotte.

Qual è l’investimento medio per un’azien-da di piccola-media grandezza che vuole installare i pannelli solari? In quanti

anni rientra l’investimento? Non esiste un investimento medio. Esisto-no diverse tipologie di utenti: privati per uso domestico, industrie per autoconsumo dell’energia e investitori per grandi im-pianti su terreno per la vendita dell’energia. Ovviamente la taglia dell’impianto varia a seconda del singolo fabbisogno. È bene sottolineare che l’impianto si “autoripaga” tramite il “Conto Energia” con tempistiche che possono variare sia in funzione sia del-le dimensioni dell’impianto che del posi-zionamento sul territorio da 7 a 12 anni. Tenuto conto che questi impianti posso-no essere fi nanziati da banche o società di leasing, l’investitore ottiene un vantaggio economico immediato dovuto alla com-pensazione dei consumi energetici con l’energia prodotta dall’impianto.

Come vede il futuro di questo settore? In Italia, dai 340 megawatt installati nel 2008 si passerà ai circa 1.000 alla fi ne del 2009 e a 2.000 nell’anno 2010. Il conse-guente ampliamento e sviluppo del settore produttivo e dell’indotto circa 70.000 mila nuovi posti di lavoro nel prossimo trien-nio. Questa cifra potrebbe quintuplicarsi qualora si realizzasse la fi liera completa (polysilicon, lingotti, wafer, celle e moduli) sul territorio italiano.Oltre ai paesi già atti-

vi nel settore (Germania, Spagna, Francia, Belgio, Repubblica Ceca) numerose nazio-ni (USA, Cina, Australia, Corea del Sud, Grecia, Slovenia, Tunisia, Marocco e molti altri) stanno dotandosi di leggi incentivan-ti a favore della produzione di energia da fonti rinnovabili per un nuovo modello di consumo energetico ed una sostanziale ri-duzione delle emissioni di CO2.

Quando si parla di qualità per i pannelli fotovoltaici cosa si intende? In questo settore, più che in ogni altro, la qualità del prodotto è fondamentale. I mo-duli fotovoltaici in concreto devono pro-durre energia, e quindi soldi, per almeno 25 anni. Va da sé che solo moduli di elevata qualità provenienti da produttori qualifi ca-ti possono garantire queste condizioni ed il “certo” ritorno dell’investimento. Solarday S.P.A. ha pertanto certifi cato non solo il prodotto secondo gli standard internazio-nali previsti, ma anche il proprio processo di produzione, a maggiore garanzia e tute-la dei nostri clienti. |

Energie rinnovabili

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www.solarday.it

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Diebold150 anni di storiaall’insegna della tecnologia

Quando alla metà del 1800 Carl Diebold lasciò la Germania alla volta degli Stati Uniti, lo fece con la determinazione di mettere a frutto le proprie competenze di fabbro per costruire alcune delle cas-seforti più sicure d’America. Oggi, a di-stanza di 150 anni, Diebold, global leader nel settore dei sistemi integrati e servizi di sicurezza per il self-service fi nanzia-rio, ha compiuto un lungo percorso, che l’ha vista trasformarsi da piccola realtà in azienda leader mondiale del settore. Il Gruppo può contare su un organico di oltre 17.000 dipendenti in più di 90 Pa-esi e sede principale a Canton, in Ohio (USA). Il fatturato realizzato da Diebold nel 2008 è stato di 3,17 miliardi di dolla-ri. In Italia il Gruppo è presente con Die-bold Italia S.p.A., dal 2000, con un totale di 160 dipendenti e una capillare rete di assistenza tecnica. La storia dell’azienda inizia nel 1859 con l’apertura da parte di Carl Diebold di una piccola azienda di casseforti a Cincinnati, in Ohio. Nel 1872

l’azienda si trasferisce a Canton, un’altra cittadina dell’Ohio, dove i più importan-ti uomini d’aff ari del luogo si adoperano per consentire la costruzione di un gran-de stabilimento produttivo.Nei cento anni successivi Diebold regi-stra una crescita incessante della propria off erta di prodotti e soluzioni. Negli anni ‘30, il famigerato rapinatore di banche John Dillinger suggerisce a Diebold di creare un sistema di difesa per le fi lia-li bancarie: un meccanismo capace di rilasciare gas lacrimogeno obbligando i malfattori a fuggire. Nel 1967 l’azien-da entra nel mercato delle soluzioni per self-service fi nanziario, presentando un prototipo del primo sportello Bancomat (Automated Teller Machine, ATM). La prima vendita di questo prodotto avviene nel 1973 negli Stati Uniti, gettando le basi per quelli che sarebbero diventati i mo-derni sportelli Bancomat venduti in tutto il mondo. Il mercato mondiale di ATM, come aff erma Danilo Rivalta, Vice Pre-

sident and General Manager EMEA di Diebold per l’Europa centrale e meridio-nale, è composto da una base installata di 1,8 milioni di ATM dei quali 1,3 milioni appartengono a istituzioni fi nanziarie (Banche, Poste, etc.). “Il resto – spiega Rivalta - appartiene ad aziende indipen-denti (ISO, independent services organi-zations) o a retailers, intesi come singoli negozianti.In Italia esistono solo ATM del primo tipo, poiché non esiste una liberalizzazio-ne del servizio di dispensazione di dena-ro contante. L’attuale base installata è di circa 45 mila ATM (40 mila bancomat, 5 mila postamat). Il mercato mondiale alimenta una domanda annua di circa 200.000 ATM, di cui 2/5 sono assorbiti dai mercati più saturi, quali Europa occi-dentale e Nord America, dove si riscontra una signifi cativa richiesta di sostituzio-ne di vecchie apparecchiature; tre quin-ti sono richiesti dall’esigenza di prima bancarizzazione dei mercati emergenti,

L’azienda nata nella metà dell’Ottocento festeggia un anniversario importante e si conferma leader nel mercato degli sportelli ATM. Il vice presidente Danilo Rivalta ci racconta le novità in cantiere a cominciare dal nuovo payoff “Innovation Delivered”

a cura della Redazione

Diebold, global leader nel settore dei sistemi integrati e servizi di sicurezza per il self-service fi nanziario, ha compiuto un lungo percorso, che l’ha vista trasformarsi da piccola realtà in azienda leader mondiale del settore. Il fatturato realizzato da Diebold nel 2008 è stato di 3,17 miliardi di dollari. In Italia il Gruppo Diebold è presente con Diebold Italia S.p.A., dal 2000, con un totale di 160 dipendenti e una capillare rete di assistenza tecnica

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Storie di successo

Ritratto azienda Diebold, leader globale nelle soluzioni integrate per il self-service finanziario, per l’anno 2008 ha registrato il successo di vendite più rilevante nell’intera storia della società e l’utile d’esercizio su base non GAAP più elevato in 150 anni di attività, soprattutto nel quarto trimestre. Il fatturato di prodotti e servizi ha raggiunto i 3,17 miliardi di dollari, con un incremento dell’8% rispetto al 2007. Il 2008 è stato il primo anno in cui le vendite hanno superato la soglia dei 3 miliardi di dollari. Rispetto al totale, il fatturato delle soluzioni per il self-service finanziario nel 2008 ha raggiunto i 2.24 miliardi di dollari, con un incremento dell’8% rispetto al 2007, di cui 1.13 miliardi di dollari sono rappresentati da prodotti e 1.11 miliardi di dollari dai Servizi. Se a questo dato si somma an-che il fatturato delle soluzioni per la sicurezza, si raggiungono i 3.015 miliardi di dollari. L’utile derivante dall’attività ordinaria è stato di 106,4 milioni di dollari, con un utile per azione di 1,60 dollari, o 2,69 dollari escludendo costi di ristrutturazione e spese straordinarie. Il margine lordo per il 2008 è stato del 25.1%, con un incremento del 2% rispetto all’anno precedente. La liquidità ha raggiunto i 223 milioni di dollari, con un aumento di ben il 109% rispetto al 2007. In un momento in cui molte aziende sono a corto di liquidità, forte è stato infatti l’impegno di Diebold per aumentare la liquidità disponibile in modo da essere in grado di fare fronte alle esigenze future. Il risultato è sta-to ottenuto grazie a un attento controllo sui costi delle trasferte, unitamente ad altre iniziative per la riduzione delle spese. “Questi risultati – spiega Danilo Rivalta, Vice President and General Manager Europa Centrale e Meridionale di Diebold - sono stati resi possibili dalla nostra capacità di reagire tempestivamente ai cambiamenti del mercato e delle esigenze dei clienti nel corso di un anno contrassegnato da estrema volatilità. Questa capacità di reazione sarà ancora più importante per centrare gli obiettivi stabiliti per il 2009. Inoltre, nel 2008 abbiamo introdotto dei miglioramenti nella supply chain, abbiamo migliorato l’efficienza produttiva e dato vita a piani a sostegno della qualità e della riduzione dei costi. Tutte iniziative che hanno permesso un aumento del margine ope-rativo di 2 punti percentuali”.

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in particolare BRIC. In Italia la domanda annua si attesta intor-no a 5.000 ATM. I due quindi sono per nuove installazioni e per l’estensione dei servizi di automazione dei depositi; i tre quinti sono per sostituzione di vecchie apparecchiature”.Il futuro degli sportelli ATM sarà segnato da un’inevitabile evo-luzione verso ventagli di off erte più ampie. “Con i nuovi sportelli ATM – prosegue Rivalta - è possibile non solo eff ettuare dei pre-lievi di contante, ma anche pagare le tasse e versare assegni o de-naro. Questa è una realtà a cui stiamo già assistendo e la tendenza che si sta delineando anche per i prossimi anni. L’evoluzione de-gli sportelli ATM è inevitabile, perché deve far fronte alle mutate esigenze dei clienti, come il prelievo 24 ore su 24 o l’esigenza di poter fare interrogazioni bancarie in qualsiasi momento, nonché all’evoluzione degli utenti a cui le soluzioni sono destinate, come ad esempio giovani, immigrati e i fruitori del Web. Inoltre, Die-bold è impegnata per incrementare ulteriormente l’accessibilità degli ATM anche alle persone diversamente abili, come già avvie-ne grazie alle funzionalità per i non vedenti”. Le stesse banche stanno subendo una profonda trasformazione. Trasformazione che in altri Paesi ha già raggiunto livelli signi-fi cativi e che in Italia sta iniziando in questi anni. La tendenza, infatti, è verso fi liali con Bancomat collocati in sale confortevoli, senza più code allo sportello. “Questo – prosegue Danilo Rivalta - non signifi ca che il personale di banca non sarà più presente in fi liale, ma la fi gura dell’impiegato allo sportello inevitabilmente cambierà e si specializzerà, acquisendo una nuova professionalità e off rendo consulenza al cliente e nuovi servizi, mentre le attività “di routine” saranno attuabili automaticamente. La nuova fi liale non off re solamente nuove funzionalità, ma anche una maggio-re sicurezza grazie al fatto di essere in un locale chiuso, non più esposti ad attacchi durante le operazioni al Bancomat. All’inter-no della fi liale è inoltre presente personale qualifi cato per dare supporto ai clienti nelle operazioni al Bancomat. Insomma, una fi liale automatizzata, confortevole, sicura, in grado di garantire

un incremento sensibile della soddisfazione del cliente”.Quest’anno Diebold celebra il 150° anniversario dalla fondazio-ne. La ricorrenza sarà anche l’occasione per presentare la nuova strategia di brand e il nuovo pay-off “Innovation Delivered”. “Of-friamo tecnologia e servizi innovativi che rendono le aziende più forti grazie a una perfetta combinazione: conoscenza approfondi-ta del cliente, visione ispirata e collaborazione proattiva”: è questa la nuova missione aziendale, che rifl ette la fi losofi a stessa del fon-datore di Diebold. Diversi e numerosi i riconoscimenti ricevuti da Diebold in questi anni: nel 2001 è stata scelta come azienda fornitrice delle sofi sticate casseforti preposte alla conservazione e alla tutela dei documenti originali della Costituzione americana, della Dichiarazione d’indipendenza e della Carta dei Diritti - note come Charters of Freedom - presso gli Archivi Nazionali di Wa-shington, D.C.. Quest’anno è stata nominata per il terzo annoconsecutivo tra le principali società di outsourcing del mondo dalla International Association of Outsourcing Professionals (IAOP). “I servizi di outsourcing proposti da Diebold – conclude Rivalta - off rono le competenze tecniche, gestionali e strategiche necessarie al funzionamento ottimale delle tecnologie e dei pro-cessi di base degli operatori del settore fi nanziario che, grazie a Diebold, possono concentrarsi sul servizio al cliente raff orzando i rapporti, ottimizzando le attività e riducendo i tempi di gestio-ne, facendo leva su un unico punto di contatto. Integrando le più solide piattaforme hardware con i migliori servizi world-class, Diebold si occupa degli aggiornamenti infrastrutturali, delle que-stioni inerenti la conformità normativa e dell’ottimizzazione delle funzioni, oltre a tutti gli aspetti legati ai servizi di assistenza, ai servizi remoti e alla sicurezza”. |

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il caso Johnny Lambs

La linea di moda ispirata a Giovanni Agnelli, oggi guidata dall’imprenditore bresciano Federico Bani, punta sull’innovazione e su una strategiamirata di valorizzazione del brand. Dal 2007 al 2008 il fatturato è raddoppiatotesto di Laura Di Teodoro

Come costruire un marchio di successo:

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Una linea di abbigliamento sportiva ma chic; una moda inventata dai brokers newyorkesi, il cosiddetto “friday wear” e diventata in Italia “l’italian casual fri-day”, del marchio di moda italiano Jo-hnny Lambs, ideato nel 1978 e ispirato a Giovanni Agnelli (da qui la traduzione in inglese Johnny Lambs). Sembra infat-ti che l’ Avvocato fosse amico di Giorgio Tocchi, lo stilista che creò questa linea di abbigliamento maschile. Il casual friday rappresenta un ironico vestire casual anche nelle occasioni tra-dizionalmente formali. Letteralmente è il “casual per il venerdì”. Nel 1980 il mar-chio approda al total-look uomo e nell’83 inizia la politica franchising, lanciando anche le collezioni donna e bambino. Nel ‘99, ha più di 300 punti vendita nel mondo, di cui 8 negozi monomarca in

Italia e 6 in Corea del Sud. All’inizio del nuovo secolo, il marchio è acquisito dalla Fin.Part. Dal 2002, dopo un momento di fl essione, il marchio diventato storico in Italia, è passato a un gruppo di aziende del Nord-Est, guidate dall’imprenditore bresciano Federico Bani, titolare dei ne-gozi di abbigliamento «Carnevali» e «Il Passatempo» A distanza di sette anni i prodotti Johnny Lambs sono presenti il 350 punti vendita in Italia e 250 oltreconfi ne; l’azienda con-ta un organico di dieci persone e un fat-turato per il 2008 di 5,7 milioni di euro, il doppio rispetto al 2007 (2,7 milioni di euro). Il progetto di rilancio del marchio, inizia-to nel 2003, numeri alla mano, sta dando i suoi frutti positivi: “Siamo partiti ripo-sizionando il marchio in alcune regioni

del Centro-Nord testando quella che po-teva essere la risposta – spiega Federico Bani. Ci siamo costruiti negli anni e oggi possiamo dire di essere arrivati a confe-zionare collezioni più complete. La collezione Primavera-Estate 2010 si preannuncia una collezione di svolta gra-zie a un nuovo uffi cio stile: polo colorate, maglieria, camice, giubbetti uomo, pan-taloni, sarà quanto presenteremo al pros-simo Pitti Uomo”. La strada del rilancio ha portato al rinno-vamento della divisone creativa con uno staff interno di designer e alla realizza-zione del nuovo centro direzionale dello storico brand italiano, a Brescia. Si tratta di un prestigioso palazzo di vetro di sei piani, immerso nel quartiere propulsore dell’economia di Brescia. Al quarto piano dell’avveniristico edifi cio si trovano i 550

“La distribuzione di Johnny Lambs è concentrata in Italia.Sono aperte delle partnership con Austria, Spagna e Germania. Il nostro obiettivo, almeno per il 2010, è quello di concentrarsi sul territorio nazionale, cercando di radicarci nelle realtà in cui siamo presenti, investendo sul prodotto e selezionando bene la distribuzione. Vogliamo guardare alla qualità pur mantenendo dei prezzi giusti, soprattutto in questo periodo”

Storie di successo

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A distanza di sette anni i prodotti Johnny Lambs sono presenti il 350 punti vendita in Italia e 250 oltreconfi ne; l’azienda conta un organico di dieci persone e un fatturato 2008 di 5,7 milioni di euro, il doppio rispetto al 2007 (2,7 milioni di euro)

Una cosa fatta bene può essere fatta meglio. Giovanni Agnelli

www.johnnylambs.com

metri quadri di uffi ci, rigorosamente inseriti in una cornice fre-sca e moderna, di cui 100 metri quadri sono stati dedicati allo showroom: sono presenti i colori distintivi dell’azienda, il rosso e il blu, accompagnati dal bianco. “L’ obiettivo – spiega Bani - è donare una nuova caratterizzazione visiva e funzionale agli spazi stessi per legarli fortemente ai contenuti espressivi dell’immagi-ne dell’azienda. Proprio per questo motivo non può certamente mancare quello che per eccellenza è l’elemento caratterizzante del brand, ovvero l’agnello: simpatici e morbidi peluches fanno capolino tra i vari espositori che riprendono le forme del piccolo animale sottolineando ulteriormente quello che è un must nel concept dell’azienda, ovvero l’intento “seriamente ironico” di percepire l’eclettico mondo della moda”.

Il target di riferimento di Johnny Lambs resta medio-alto: “L’ obiettivo che ci siamo posti nel nostro percorso è di vestire l’uomo con un total look attento ai dettagli e di prestare un’at-tenzione particolare alla donna Johnny Lambs che ha mantenuto forti sinergie con il mood della collezione heritage maschile -. Il nostro target va dai 25 anni ai 45, ma sono soprattutto i giovani a farla da padrone”. Il marchio Johnny Lambs, già presente nelle competizioni di alto livello come regate e gare automobilistiche, è sponsor uffi ciale nelle gare di golf. In collaborazione con Banca Akros si è pregiato di fi rmare il calendario delle più prestigiose gare di golf in Italia: Madonie, Barlassina, Olgiata Bari Alto. La distribuzione di Johnny Lambs è concentrata in Italia anche se - spiega Bani - “sono aperte delle partnership con Austria, Spagna e Germania. Il nostro obiettivo, almeno per il 2010, è quello di concentrarsi sul territorio nazionale, cercando di radicarci nelle realtà in cui siamo presenti, investendo sul prodotto e selezio-nando bene la distribuzione. Vogliamo guardare alla qualità pur mantenendo dei prezzi giusti, soprattutto in questo periodo”.L’obiettivo per il 2010, - conclude Bani - è di aumentare la presen-za nei punti vendita del 15% circa. |

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L’azienda bergamasca che si occupa di arredi su misura è approdata negli angoli più prestigiosi del mondo: dalla Scala ai super Yacht, dalle navi da crociera alle abitazioni di gran lusso. Il segreto: puntare sempre sulla qualità e su progettazioni esclusive. Storia di una falegnameria diventata azienda d’eccellenza e di un passaggio generazionale dal padre fondatore ai fi gli perfettamente riuscito

testo di Desirèe Cividini

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di Newsystem

La nuova generazione

Storie di successo

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“Anche quest’anno vogliamo confermare il fatturato del 2008, puntando però ad incrementare la parte produttiva dell’azienda, che ora guarda a nuovi mercati: dai Paesi dell’ex Unione Sovietica agli Emirati Arabi fi no al Nord Africa. Inoltre, già da tempo stiamo lavorando per creare delle solide basi per operare in Romania”

Da una piccola falegnameria artigianale ad un’azienda che gra-zie ai suoi progetti è approdata negli angoli più prestigiosi del mondo: dalla Scala di Milano, sottoposta nel 2004 alla ristruttu-razione, a yacht e abitazioni nelle zone più esclusive, dove il lusso è il protagonista indiscusso. Dietro al successo di Newsystem, azienda bergamasca che si occupa della realizzazione di arredi su misura, c’è una formula che è la stessa da ormai oltre trent’anni. Innovazione, qualità ed esclusività sono infatti le parole chiave su cui si basa la fi losofi a dell’azienda, fondata nel 1978 da Bernar-do Salvatoni. E, seppure oggi il testimone sia passato ai fi gli Luca, Federica e Monica e ad un quarto socio, Andrea Capelli, rimane invariata la volontà dell’azienda di soddisfare ogni tipo di esigen-za del mercato. Proprio come accadeva anni e anni fa, quando nonno Carlo avviò la sua attività di vendita e produzione di mo-bili su misura, alla quale va il merito di essere riuscita negli anni ad inserirsi in mercati di nicchia: dall’allestimento per le navi da crociera, che nel 1993 è il mercato di riferimento dell’azienda, alla progettazione e realizzazione degli spazi per i super yacht. Insomma un legame quello con il mare che spinge la Newsystem, trasformata lo scorso anno in holding di famiglia, ad approda-re sempre a nuovi lidi: dal 1991, infatti, la società bergamasca - che nel tempo ha allargato la propria rete di punti vendita nelle provincie di Bergamo, Brescia e Firenze, con notevoli risultati di penetrazione sul mercato - è affi liata al marchio “Divani & Diva-ni” del gruppo Natuzzi. Poco meno della metà del fatturato della holding, che nel 2008 ha toccato i 14 milioni e 500 mila euro, è legata proprio a questa attività gestita da Monica Salvatoni. Per il resto l’azienda si concentra nella realizzazione di progetti su mi-sura, riservati ad un mercato di nicchia, alla ricerca di soluzioni ricercate ed esclusive. “ Avvalendoci di un team di professionisti che affi anca architetti, designer e progettisti – spiega Luca Salvatoni, responsabile dell’ attività produttiva – realizziamo progetti che vanno da abitazio-ni, yacht e navi da crociera per marchi di prim’ordine, a uffi ci e hotel di lusso dove viene curato ogni minimo particolare”. Oltre alla ristrutturazione della Scala, dove l’azienda (che nel 2004 ha partecipato come sponsor e fornitore) ha “fi rmato” la sala gialla e il camerino del maestro Riccardo Muti, la Newsystem, che si av-vale anche di un team di tecnici preposti alla ricerca di materiali rari e pregiati, ha anche partecipato al restyling del Bonvecchiati Palace di Venezia, dove nel 2007 ha realizzato le prime venticin-que suite. Ma non solo: “Dal 2004 – aggiunge Andrea Capelli, che cura i reparti e le attività di produzione – siamo fornitori e

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Ritratto azienda

L’avventura di Newsystem nasce nel 1976 quando Bernar-do Salvatoni apre a Leffe, nella Bergamasca, Arredamen-ti 2000, un negozio di mobili di serie per dare vita all’atti-vità di vendita e produzione di mobili del papà Carlo. Nel 1980 l’azienda, che nel frattempo ha accostato al negozio una falegnameria per rispondere alle esigenze di perso-nalizzazione dei prodotti, si sposta a Gandino e nel 1985 assume il nome di Newsystem. L’esigenza di adeguare gli spazi alla cresciuta realtà produttiva e all’incremento del business, nel 2004 porta l’azienda a trasferirsi nella sede di Cazzano Sant’Andrea. Qui l’azienda, dove attual-mente lavorano circa un’ottantina di persone, continua ad operare nella produzione di arredi su misura per una clientela principalmente di nicchia. La struttura si av-vale di consulenze ad alto profilo specialistico: affron-ta lo studio del progetto dai concept drawings del pro-gettista al disegno costruttivo, trasformando un’idea in realtà. L’ufficio tecnico-commerciale formula ed aggiorna preventivi analitici in base al progetto e alle eventuali varianti richieste. Emette ordini per materia-li ed accessori, segue la produzione in officina valutan-do le necessità di cantiere, di montaggio e ottimizzando l’aspetto economico. Ogni fase di progettazione e produ-zione viene esaminata in coordinamento con i progettisti. Gli elementi vengono preventivamente assemblati e veri-ficati prima della spedizione e del montaggio definitivo, l’allestimento viene curato sino nelle finiture in loco, realizzate da artigiani specializzati. Strutturata in due settori, produttivo e commerciale, Newsystem è presen-te in quattro provincie con diversi punti vendita propri per la commercializzazione come affiliato del marchio Divani&Divani di Natuzzi.

partner dei Cantieri San Lorenzo. I nostri punti di forza stanno sempre nella cura dei dettagli a livello artigianale per garantire un elevato standard di fi nitura e un servi-zio di assistenza al cliente prima, durante e soprattutto dopo la consegna dei manufatti e nell’esclusività, che deve essere garantita non solo nel design, ma anche nei mate-riali”. Sono proprio queste garanzie che hanno permesso alla società di conquistare mercati prestigiosi, dove la crisi sembra non aver fatto sentire i propri eff etti: “Anzi – sottolinea l’amministratore delegato Federica Salvatoni – anche quest’anno vogliamo confermare il fat-turato del 2008, puntando però ad incrementare la parte produttiva dell’azienda, che ora guarda a nuovi mercati: dai Paesi dell’ex Unione Sovietica agli Emirati Arabi fi no al Nord Africa. Inoltre, già da tempo stiamo lavorando per creare delle solide basi per operare in Romania”. E anche per quanto riguarda la messa in cantiere di nuovi progetti l’azienda bergamasca punta in alto: “Per quan-to riguarda il settore navale – prosegue l’ad – abbiamo acquisito la prima commessa diretta come fornitori per Fincantieri, uno dei più importanti complessi cantieristi-ci navali d’Europa e del mondo: si tratta di un progetto molto importante, ma d’altra parte questa è da sempre la nostra mission: più ambiziosi sono i progetti che siamo chiamati a realizzare più possibilità abbiamo di dare sfogo alla nostra creatività”. |

“Ciò che fai è importante, il design è parte integrante dell’azienda, il prodotto deve essere onesto, tu stesso devi decidere cosa vuoi fare, per il buon design c’è sempre mercato”. George Nelson

www.newsystem.it

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Uno dei marchi più prestigiosi nella realizzazione di porte che ha contribuito a diffondere il Made in Italy in tutto il mondo. Il fondatore Mario Barzaghi spiega le principali strategie dell’azienda brianzola che punta sul design per restare sempreal passo con i tempi

testo di Laura Di Teodoro

Dilà apre la porta del

successo

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Unire la qualità dell’artigianato, quel marchio Made in italy si-nonimo di garanzia e qualità, a innovazione e rispetto ambien-tale, senza dimenticare la ricerca e lo sviluppo e l’attenzione ai nuovi mercati. Con questo spirito Dilà, marchio di Eff ebiquattro, azienda brianzola nata come falegnameria, è cresciuta diventan-do oggi il primo produttore di porte in Italia e uno dei marchi che hanno contribuito a diff ondere il Made in Italy in tutto il mondo. Dilà nasce come marchio nel 2000.Come spiega lo stesso fondatore, Mario Barzaghi, la parola d’or-dine resta da sempre “la qualità”, come fi lo conduttore, come leva di sviluppo e come punto di partenza per ciascun proget-to. “L’azienda Eff ebiquattro è nata nel 1975 come semplice fa-legnameria – spiega il Cavalier Barzaghi – e ha saputo crescere trovando un equilibrio autentico fra artigianato e industria, fra esperienza e progetto, fra natura e tecnologia, fra gusto italiano e international style”. Uno dei principali punti di forza è il fattore innovazione: “L’in-novazione – prosegue il fondatore e amministratore delegato dell’azienda – è l’innovazione naturale soprattutto in un set-

tore come il nostro che coinvolge architettura e design. Siamo sempre molto attenti alle fi ere, vedi il Salone del Mobile, dove si trovano le ultime novità in tema di fi niture, design e prodotti. I nostri infatti sono veri e propri oggetti di design (ad oggi circa 500 modelli di porte tecnologicamente avanzate) che si prestano a essere personalizzati in ogni ambiente ad uso e gusto esclusivo dell’utente fi nale”. Ogni anno vengono prodotte nell’unica sede di Seregno più di 250 mila esemplari che il marchio Dilà contrassegna come “porte che sono una storia”, una storia di qualità e passione. “Il nostro target di riferimento – prosegue Barzaghi – è medio alto proprio perchè parliamo di prodotti di qualità”. Tra le particolarità dell’azienda anche l’attenzione ai temi ecolo-gici e al risparmio energetico: “La nostra azienda è al cento per cento ecologica. Le vernici che utilizziamo sono completamente ecologiche e le fonoassorbenze di molti modelli permettono di ridure l’inquinamento acustico. È stato inoltre costruito da poco il nuovo impianto di produzione della sede di Seregno, prima li-nea in Italia a utilizzare tutti i passaggi all’acqua, con conseguen-

Storie di successo

Ogni anno vengono prodotte nell’unica sede di Seregno più di 250mila esemplari che il marchio Dilà contrassegna come “porte che sono una storia”, una storia di qualità e passione. Tra le particolarità dell’azienda anche l’attenzione ai temi ecologici e al risparmio energetico

Ritratto azienda

Dilà è il marchio di Effebiquattro che riflette la trentennale esperienza dell’azienda e la sua passione per il legno in oltre 500 modelli di porte tecnologi-camente avanzate e dal design moderno ed elegante. L’azienda conta un organico di 90 persone un fattura-to di 26 milioni di euro. Le porte Dilà sono prodotte con materie prime rigo-rosamente selezionate e certificate dal marchio di qualità “Vero Legno”. Oggetti di design che si prestano a essere persona-lizzati in ogni ambiente ad uso e gusto esclusivo dell’utente finale.L’azienda Effebiquattro nasce nel 1975 a Seregno, cuo-re del distretto del mobile di design che ha contribu-ito a fare grande il Made in Italy in tutto il mondo. Ogni anno vengono prodotte oltre 250.000 porte, con un impianto che copre un’area di oltre 50.000 mq, do-tato delle più recenti tecnologie di produzione e di smaltimento dei residui di lavorazione del legno, nel pieno rispetto delle norme per la tutela dell’ambien-te. La particolare attenzione prestata negli anni allo sviluppo e all’ingegnerizzazione dei flussi pro-duttivi ha consentito di raggiungere un’eccellente uniformità qualitativa sull’intera gamma prodotta, permettendo ad Effebiquattro non solo di ottenere le più significative certificazioni a livello mondiale, ma soprattutto di imporre al settore il proprio stile che coniuga design e qualità, mantenendo i massimi li-velli di sicurezza. Tra le eccellenze dell’azienda, di rilievo è la forni-tura delle porte Dilà per tutti gli accessi, dei palchi e del nuovo corpo del rinnovato Teatro alla Scala. È stato proprio l’architetto Mario Botta, incarica-to del progetto del rinnovo del teatro milanese, a rivolgersi alla professionalità di Effebiquattro. L’azienda ha fornito inoltre 2.800 porte per il com-plesso residenziale Continium di Miami. Situato nel-la zona più esclusiva di Miami questo edificio è il fio-re all’occhiello dei numerosi contract realizzati dall’azienda in America.

Se sei in viaggio, non preoccuparti della distanza, ma della meta... se ti siedi a un banchetto, non guardare alla quantità, ma alla qualità dei piatti che ti vengono serviti. Proverbio cinese

www.effebiquattro.it

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te impatto ambientale nullo”.All’interno dell’azienda un ampio spazio è dedicato alla ricerca dove lavorano tecnici e progettisti a tempo pieno. Tra le centinaia di brevetti depositati da Eff ebiquattro, una nota di rilievo meri-tano il telaio telescopico integrale TECO che unisce la praticità di montaggio alla pulizia delle forme e alla sicurezza e il sistema adottato per le porte pieghevoli ocn quattro diversi tipi di aper-tura tramieta piega delle ante. “Le porte Dilà si trovano in 300 rivenditori autorizzati in tutta Italia – spiega Mario Barzaghi -. Sul fronte estero, esportiamo circa il 30% della produzione soprattutto negli Stati Uniti (Mia-mi, Chicago, Las Vegas), in Russia, in Grecia, in Svizzera e in Turchia”. Nel 2006 è stato aperto uno showroom Dilà a Mosca. Lo spazio espositivo si chiama Italon Duet e si trova in Leninskii prospekt, zona centrale della capitale nota per la concentrazione degli showroom dedicati all’arredamento di alto livello. Lo showroom conta circa 500 metri quadrati disposti su due livelli. All’interno sono esposti circa 150 modelli diversi di porte Dilà, prodotti per tutti i gusti e per tutte le tasche.Investire e guardare verso mercati nuovi restano due percorsi che l’azienda continua a percorrere, sopratutto in un momento di crisi globale quale quello che si sta attraversando: “Molti mercati stanno soff rendo, dall’America alla Russia – conclude Barzaghi. Per questo motivo noi stiamo cercando di trovare nuovi mercati che sapranno alzarsi subito dopo la crisi e manifesteranno esi-genze reali”. |

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dell’Azienda TvIl direttore di Italia 1, Luca Tiraboschi ci mostra il mondo della televisione visto dall’interno. Per scoprire come funziona un canale tv: dal business alle strategie, dal target alle politiche del palinsestotesti di Mauro Milesifoto di Mattero Mottari

I meccanismi

Per chi la guarda dal divano sembra tutto molto semplice. Telecomando alla mano basta scegliere un canale e dentro a quel canale il program-ma che vogliamo. Gesti quotidiani, meccanismi scontati: eppure dall’altra parte dello specchio c’è un mondo complesso, fatto di strategie, di scelte precise, di budget da rispettare e di coordinamento. Come funziona un canale televisivo? Ha gli stessi schemi di un’azienda normale? Anche la tv ha risentito della crisi? A queste ed altre domande ha risposto Luca Ti-raboschi, direttore di Italia 1, che ci ha aperto le porte di una realtà come Mediaset per scoprire, tra fascino e routine, cosa c’è dentro la scatola della tv e come si struttura questo tipo di business.

Cosa vuol dire fare il direttore di un canale tv?Questa è una domanda che mi fanno in molti perché da fuori è diffi cile ca-pire cosa signifi chi davvero fare il direttore di una rete televisiva. Se dovessi fare un paragone calcistico, anche se è uno sport che non amo, direi che è un ruolo simile a quello del commissario tecnico della Nazionale. Bisogna avere conoscenze ed esperienze specifi che del proprio campo, sfruttare al meglio le risorse disponibili, essere buoni amministratori, avere capaci-tà creative, dimostrare una certa quota di autorevolezza, ma anche essere buoni diplomatici. Questa è la mia visione, un ruolo che presuppone una miscela ampia di ingredienti. Basta tenere conto che un direttore di rete ha anche la responsabilità penale di ciò che va in onda, come il direttore di un giornale e questo aspetto ci porta a esercitare un controllo editoriale attento. Anche l’aspetto creativo delle produzioni deve naturalmente sot-tostare a questa responsabilità. Insomma un mestiere per il quale non c’è il libretto delle istruzioni: è una somma di caratteristiche che bisogna essere capaci di mettere in gioco, senza trascurare l’istinto.

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Dietro le quinte

Proviamo a confrontare un’azienda tra-dizionale con un canale tv: quali sono le principali voci per ricavi e spese?Un canale televisivo commerciale come nel caso di Mediaset è estremamente strut-turato. Italia 1 ha circa un centinaio di di-pendenti con una attività produttiva inter-na 24 ore su 24, ovviamente con “prodotti” che sono più teorici che materici, ma che si comportano e si sviluppano proprio come una categoria merceologica. Gli introiti principali derivano dalla pubblicità, visto che per l’utente fi nale è tutto gratuito. Le maggiori uscite riguardano la costruzio-ne del palinsesto che è composto da varie aree. Particolarmente onerosi sono i costi per l’acquisizione dei diritti sportivi come nel caso del motomondiale, del tennis, del calcio. Anche realizzare programmi come

“La talpa” o “La pupa e il secchione” hanno costi di alta gamma. Eppure noi off riamo tutto questo gratuitamente.

E’ possibile paragonare un canale tv a un prodotto?Direi che un canale tv è come una griff e di moda. Tutte le varie collezioni sono acco-munate dal modo d’operare dello stilista. Quando si compra una marca si compra uno stile, qualcosa di cui conosciamo le caratteristiche distintive. Così è un cana-le: chi sceglie Italia 1 sa perfettamente cosa andrà a guardare perché il canale ha una sua caratterizzazione specifi ca.

Qual è il vostro pubblico di riferimento?Il nostro pubblico di riferimento è, dal punto di vista formale, quello dei cosid-

detti giovani e va dai 4 ai 35 anni. Nella mia gestione ho cercato di forzare questo schema allargando il range in modo da po-ter abbracciare un pubblico più vasto ma che avesse attitudini giovanili, cercando di non far sentire fuori quota chi avesse un’età maggiore ma fosse interessato ai no-stri contenuti. Senza fare proclami, senza una chiassosa rivoluzione, ho cercato gior-no dopo giorno di rompere questo steccato per mettere a punto una nuova concezione di pubblico giovane. Oggi la nostra è una visione molto più allargata, non potevamo stare chiusi in una scatola. E’ una questio-ne sociale perché il pubblico ha voglia di sentirsi giovane indipendentemente dalla carta d’identità. Noi abbiamo cercato di dare una certa coerenza nel corso di tutte le 24 ore di trasmissione quotidiana, una

“Senza fare proclami, senza una chiassosa rivoluzione, ho cercato giorno dopo giorno di rompere questo steccato per mettere a punto una nuova concezione di pubblico giovane. Oggi la nostra è una visione molto più allargata, non potevamo stare chiusi in una scatola. E’ una questione sociale, perché il pubblico ha voglia di sentirsi giovane indipendentemente dalla carta d’identità. Noi abbiamo cercato di dare una certa coerenza nel corso di tutte le 24 ore di trasmissione quotidiana, una sorta di fi l rouge che defi nisse un’ identità di rete”

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sorta di fi l rouge che defi nisse una identità di rete. Questa è una cosa diffi cile da costruire e soprattutto diffi cile da mantenere. Il pubblico è infedele, si fa aff ascinare dalle novità, dalle possibilità che si trova attorno. Quando può scegliere è diffi cile da conqui-stare e trattenere a lungo. Noi cerchiamo di farlo, con i piedi per terra, ma con tante piccole e grandi novità che possano aff asci-nare i nostri telespettatori.

Qual è il rapporto di Italia 1 rispetto agli altri canali Media-set?Mediaset da qualche anno opera un gioco di squadra molto or-chestrato. Organizziamo periodicamente incontri anche lunghi e ruvidi, ma costruttivi, per dar vita in modo armonico ai pa-linsesti per evitare la concorrenza tra noi. Alla fi ne cerchiamo di mettere a fuoco un’idea condivisa e coordinata che è molto importante. Una strategia che tenta di presentare il complesso di reti Mediaset come una risposta organica alle aspettative del pubblico. Così i canali sono obbligati a rispettare delle caratteri-stiche defi nite, anche se ci sono delle eccezioni e a volte i prodotti di Italia 1 fi niscono per irrobustire la programmazione di altri canali. Insomma cerchiamo di darci dei confi ni precisi perché la galassia Mediaset è diversa dalla galassia Rai dove questa suddi-visione non c’è. Questo approccio è qualcosa di molto interessan-te nel nostro lavoro, perché genera confronto, presuppone coor-dinamento e una certa visione. Molto più facile fare il direttore di un canale a sé stante che farlo all’interno di un gruppo di reti, però è molto stimolante.

Come si vive questo periodo di crisi nella prospettiva di un ca-nale tv?Anche noi abbiamo risentito ovviamente della crisi. C’è un calo degli investimenti pubblicitari non tanto quantitativo, quanto ponderale riguardo i nuovi inserzionisti. Questo si riverbera su un’attività meno fl orida del palinsesto: il taglio dei costi è d’ob-bligo anche perché dobbiamo stare attenti a conservare il divi-dendo degli azionisti. Però la crisi ha anche un suo lato positivo, è utile per aguzzare l’ingegno, è una spinta per dar vita a cose nuove e belle con costi ridotti.

Il digitale terreste, cosa rappresenta per il pubblico questa ri-voluzione in corso?E’ un cambiamento tecnologico, che si innesta obbligatoriamen-te per legge nel tessuto della nostra nazione da sempre un po’ refrattaria a questi cambiamenti. Ma questa è una scommessa di qualità e quando arriverà su tutto il territorio darà vita a uno scenario di maggiore concorrenza, di maggiore off erta: compa-riranno dal nulla canali che ora sono visibili solo per chi li ha voluti. Quando tutto il sistema sarà operativo al 100 per cento dovremo studiare e analizzare la reazione. All’inizio ci sarà un po’ di confusione, poi prevarrà il prodotto. Noi siamo pronti a costruire qualcosa di nuovo e divertente.

Con quale attenzione la tv generalista guarda a Sky? Il futuro sarà sempre di più on demand e pay per view?Il pacchetto Sky è l’esatto esempio di off erta che può piacere al pubblico di Italia 1. Un servizio che gode di una buona copertura stampa, che a volte lo rappresenta meglio di quanto lo sia dav-vero. Sky è una somma di canali e complessivamente raggiunge

un 7 percento di pubblico, ma se noi andiamo ad analizzare ogni singolo canale ci accorgiamo che i più visti viaggiano intorno allo 0,3 percento. Non è corretto paragonare Sky che è un conte-nitore di 100 piccole cose con un singolo canale come Italia 1 che da solo guadagna l’11 per cento di pubblico. Questo concetto non è stato ancora ben capito, di fatto non sono realtà paragonabili.

Tv e internet: quali sfi de possibili?Non amo molto internet, sono scettico, ritengo il web più un pe-ricolo che un’opportunità. Certo ha delle potenzialità enormi ed è un meccanismo fantastico, però è poco controllabile, anche per l’utente che lo usa. Questo ragionamento vale soprattutto per i ragazzi e spesso i genitori non hanno strumenti suffi cienti per operare un controllo. La televisione che si muove sul quel tipo di strumenti è molto lontana anche se ne sentiamo parlare molto: ci sono tante opinioni, ma si fa poco concretamente. Può darsi che mi sbagli, ma non vedo un grande sviluppo della televisione su internet.

Auditel, vita o morte di un programma, è l’unico fattore di-scriminante? Ma qual è la sua attendibilità?Per una televisione commerciale che deve garantire visibilità ai suoi inserzionisti, questo è di fatto l’unico strumento di valuta-zione fi nale. Se un programma non ha pubblico, per noi è diffi cile non stopparlo. Bisogna mettere da parte l’ipocrisia e guardare in faccia le cose come stanno. Sull’attendibilità dell’Auditel, noi ovviamente ci crediamo, ci fi diamo: è uno strumento di lavoro con cui ci misuriamo tutti i giorni.

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Dietro le quinte

Il diletto è sempre il fine di tutte le cose, l’utile non è che il mezzo. Quindi il piacevole è vicinissimo al fine delle cose umane, o quasi stesso con lui.Giacomo Leopardi

www.italia1.comwww.auditel.it

La carrieraLuca Tiraboschi nasce a Bergamo il 22 luglio 1963. E’ laurea-to in Architettura con una tesi dedicata a “Dario Argento. L’estetica dell’assassino. Il ruolo dello spazio nel disegno cinematografico della Paura”. Nel 1991 è stato assunto a R.T.I. nell’area produzioni televisive. Passa successivamen-te a Canale 5 come delegato di rete. In seguito assume l’in-carico di produttore e curatore firmando numerosi pro-grammi di successo quali “Buona Domenica”, “Festivalbar”, “Beato tra le donne”, “Ciao Darwin”, “Premiata Teleditta”. Nell’aprile 2001 viene nominato Vice Direttore di Canale 5. Dal maggio 2002 è Direttore di Italia 1. Luca Tiraboschi è anche fumettista e romanziere. Per la sua vena fumettista ha creato il personaggio “Goccianera” (tradotto in molti paesi europei) e per il mercato americano nel 2006 esce con un nuovo eroe dal nome “Albert”. Mentre come scrittore nel 1998 pubblica il suo primo romanzo “L’Ospedale delle bambole”, un thriller mozzafiato incentrato sulle manie di un serial killer, che ha venduto oltre 5.000 copie e che sta per essere tradotto in molti paesi europei. Nel febbraio 2002 esce il suo secondo romanzo “Il sogno del pazzo” (Al-fredo Guida Editore) e il suo terzo romanzo “Faccia di cuo-re” edito da Armando Curcio Editore, in distribuzione dal maggio 2006 è alla sua terza ristampa.

Lei è un bergamasco doc, quanto c’è di que-sta dimensione nel suo approccio al lavoro, nelle scelte che fa...Rispetto allo stereotipo del bergamasco io mi ci rivedo completamente. Quello che mi duole è constatare è il decadimento della cit-tà. Spiace vedere una perla come Bergamo progressivamente abbandonata a se stessa. Non è una metropoli, è una città piccola e dovrebbe essere facile da gestire. Dopo aver vissuto 10 anni a Milano ho deciso di tornare a Bergamo convinto di ritrovare uno spazio a misura d’uomo com’era in passato. Invece mi sono dovuto scontrare con una realtà in decadimento.

Parliamo del Tiraboschi scrittore. Tre libri di successo all’attivo: ci sono novità in pro-gramma?Quello della scrittura è quasi un secondo la-voro. Realizzare romanzi è faticoso e com-plicato, sempre diffi cile trovare lo slancio iniziale. Ora sto lavorando a una nuova idea, legata alla fantascienza: c’è già lo schema e spero di trovare la forza di avviare il mecca-nismo che poi mette in moto tutto per get-tarmi a capofi tto in questo progetto. |

Il digitale è una scommessa di qualità e quando arriverà su tutto il territorio darà vita a uno scenario di maggiore concorrenza, di maggiore off erta. Quando tutto il sistema sarà operativo al 100 percento dovremo studiare e analizzare la reazione. All’inizio ci sarà un po’ di confusione, poi prevarrà il prodotto

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Italian leadership

LÊinnovazione Fassi scende in campo con i campioniFornitore Uffi cialeGenoa C.F.C.

Il primo club d’Italia: 1893

Fornitore Uffi cialeA.C. Milan

Il club più titolato al mondo

Fornitore Uffi cialeF.C. Internazionale

Campione d’Italia 2007/2008

Alessandra Brambilla, general manager Personal Systems Group di Hp in Italia

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I punti cardine

È entrata nel mondo di Hewlett Packard nel 1992. A distanza di 17 anni Alessandra Brambilla, General Manager Personal Systems Group di HP Italiana, ha mantenuto alta la passione e l’entusiasmo per il mondo della tecnologia e dell’informa-tica. E di fronte alla crisi dei mercati Alessandra Brambilla intravede opportunità e sfi de che “l’Italia e le imprese non possono farsi scappare”.

La società Sirmi ha assegnato anche nel 2008 la palma di leader del mercato italiano dei PC, sia notebook che de-sktop, ad HP. Cosa continua a premiarvi? Penso siano quattro i punti e gli approcci che ci hanno per-messo di crescere e diventare la realtà IT più importante e grande a livello mondiale. Il primo è sicuramente la scelta che HP ha fatto nel voler tenere e costruire un’ampia gamma di off erte, cercando di rispondere alle varie esigenze della clientela. Il secondo punto è la copertura dei nostri prodotti, dalla piccola e media impresa fi no alla grande distribuzione. Il terzo fattore è l’innovazione sui cui da sempre investiamo senza dimenticare la sostenibilità ambientale e il risparmio energetico. L’ultimo gradino è l’affi dabilità dei nostri pro-dotti, riconosciuta dallo stesso consumatore.

dello stile HPAmpia gamma di offerte, ampia copertura di mercato, scelte innovative e affi dabilità: Alessandra Brambilla, general manager Personal Systems Groupdi Hp in Italia spiega le strategie che guidano il colosso dell’informatica. Senza tralasciare gli investimenti nella ricercatesto di Laura Di Teodoro

Il mercato dei Pc ha registrato una crescita del 6 per cento rispetto al 2007, con un incremento che ha riguardato soprattutto i netbook. Netbook che HP ha inserito anche nel business.....Come mai? Il netbook rappresenta il nuovo seg-mento di mercato soprattutto per chi è interessato da una forte mobilità e quindi cerca la connessione web ovunque si trovi. Non parliamo solo del segmento business, dei professio-nisti che necessitano di qualcosa di comfortable, ma anche dei giovani, degli studenti che hanno bisogno di comunicare. Per questo motivo abbiamo deciso di ampliare la no-stra gamma di prodotti: al netbook 2133 seguirà il 2140, un prodotto in alluminio, solido. L’obiettivo di HP è quello di convincere chi vorrebbe dotarsi di un netbook a scegliere in-

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Lady economy

vece un vero e proprio ultraportatile con caratteristiche superiori, ideale per chi ha bisogno di un dispositivo estremamente compatto e maneggevole ma pretende comunque una confi gurazione capace di garantire buo-ne prestazioni per un utilizzo molto versatile.

Come e quanto la tecnologia può aiutare le imprese a superare la crisi? Penso che la crisi giocherà un ruolo importante soprat-tutto in Italia dove il tasso di penetrazione dell’IT è ancora basso, rispetto ad altri Paesi. Questa è un’occa-sione per fare investimenti strategici e tornare così ad essere competitivi sul mercato, soprattutto per quanto riguarda le piccole e medie imprese. Per le grandi im-prese invece sappiamo bene che l’IT è sempre stato un investimento importante. I ritardi sul fronte degli inve-stimenti in questo settore riguardano sia le imprese che i consumatori, pensiamo che solo il 49% delle famiglie in Italia ha un PC. Non siamo un Paese così tecnologi-camente alfabetizzato come il Nord Europa. Nonostan-te ciò esiste comunque una buona percentuale di per-sone educate e molto sofi sticate nella scelta del proprio computer e della tecnologia da utilizzare e sono molte le aziende che hanno portato il web 2.0 all’interno della propria attività.

Quali sono le particolarità dei vostri prodotti nell’am-bito business? Quale il vostro target di riferimento e quali le diversità con gli altri marchi? Hp è un’azienda con un’ampia gamma di prodotti, dalla stampante ai servizi, fi no ad arrivare ai personal computer e la relativa off erta diff erenziata. Per il set-tore della mobility stanno raccogliendo molti consen-

si i mininotebook, ottimi sul fronte del design, della connettività, della sicurezza del prodotto e pensati per durare nel tempo. Per quanto riguarda il target siamo un vendor che vuole essere leader a tutto campo, dal consumer all’enterprise passando per le Pmi. Abbiamo comunque una particolare focalizzazione sulla fascia medio-alta del mercato desktop e notebook, fascia nella quale, a nostro giudizio, si gioca la vera partita in ter-mini di innovazione, qualità e valore.

Quanto contano sviluppo e ricerca all’interno della realtà di Hewlett-Packard? Hp è una delle poche aziende di settore che continuano ad investire ingenti risorse nelle attività di ricerca e svi-luppo. Complessivamente, HP investe circa 3,5 miliar-di di dollari in attività di ricerca e sviluppo e realizza fi no a 2mila brevetti. Investiamo in tecnologie emer-genti, quali la nanoelettronica, in soluzioni innovative per la qualità delle immagini e della stampa, nonché in prodotti e servizi che consentano alle imprese di auto-matizzare maggiormente le funzionalità IT, al fi ne di ottenere più elevati livelli di effi cienza, una maggiore fl essibilità e un miglior ritorno sugli investimenti IT.

Quali sono i principali benefi ci che le soluzioni Mobi-le e Wireless portano alle aziende?La mobilità è un benefi cio per la produttività e permet-te di accedere ovunque e sempre. Permette di accedere con il Pc alle informazioni che servono e lavorare anche in viaggio, in mobilità rendendo il lavoro più fl essibile. E questo può e deve essere un vantaggio soprattutto per il mondo femminile, vedi le mamme che hanno spesso problemi di tempo.

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Complessivamente, HP investe circa 3,5 miliardi di dollari in attività di ricerca e sviluppo e realizza fi no a 2 mila brevetti. Investe in tecnologie emergenti, quali la nanoelettronica, in soluzioni innovative per la qualità delle immagini e della stampa, nonché in prodotti e servizi che consentano alle imprese di automatizzare maggiormente le funzionalità IT

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Come vede il futuro del mercato dei PC?È diffi cile fare previsioni. Sicuramente il primo semestre del 2009 si appresta a chiudere con forti rallentamenti. Oggi i risultati sono focalizzati nel mondo consu-mer e della mobilità. La ripresa potrebbe già registrarsi a partire da settembre. Sono ottimista perchè l’Italia può solo crescere sul fronte della tecnologia informatica. Spero che le aziende possano vedere chiara e netta questa opportunità per migliorare e mi aspetto maggiori investimenti da parte delle imprese e dei consumer. Grazie ai so-cial network si assiste ad un avvicinamento verso il mondo del Pc che sta diventando a tutti gli eff etti un oggetto di casa. Nei Paesi del Nord si contano addirittura 5 PC per abitazione, ciascuno ha un computer che diventa una sorta di estensione della pro-pria vita.

Lei lavora in HP dal 1992. In cosa è mag-giormente cambiata l’azienda in questi anni?Il mercato a cui HP si rivolgeva a inizio de-gli anni Novanta era sicuramente diverso. Era un mercato acerbo. A partire da quegli anni gli scenari sono cambiati e l’azien-da ha portato a termine due importanti, Compaq e Eds, diventando così l’impresa IT più grande al mondo. Ogni giorno HP ha domande per un mi-lione di prodotti in 170 Paesi. Sono cifre notevoli che ci hanno portato ad alzare l’attenzione sul fronte della logistica e del trasporto.

Cosa sente di aver portato come valore aggiunto all’interno della realtà di HP?L’apertura verso nuove sfi de e la capacità di vedere il cambiamento come un’oppor-

tunità. Ho introdotto l’innovazione come passione e non come un lavoro.

Cosa l’appassiona maggiormente nel suo lavoro? Il settore stesso lo ritengo molto stimolan-te. Siamo attraversando una fase impor-tante, cruciale, di veloce evoluzione dei mercati. È interessante lavorare qui perché le opportunità che la tecnologia porta con sé devono essere viste come occasione per rendere il mondo migliore. Mi ritengo for-tunata perché lavoro in un bellissimo team e il successo è sicuramente il risultato di questo spirito di gruppo. |

Carriera in sintesi

In qualità di Vice President e General Mana-ger di HP Personal Systems Group, Alessandra Brambilla ha il compito di gestire il business e le attività di vendita dei prodotti e delle soluzioni HP per la mobility e il personal com-puting, presidiando tutti i segmenti di merca-to e i diversi canali commerciali. All’interno della sua organizzazione risiede la respon-sabilità di coordinare le attività di vendita indiretta per l’intera offerta professionale di HP, gestire il canale e i rapporti con i part-ner. Alessandra Brambilla ha alle spalle una lunga carriera in HP, dove è entrata nel 1992 occupando varie posizioni in Italia e in EMEA nelle vendite, nel marketing e nel business de-velopment. Dal 1997 ha ricoperto con succes-so diversi ruoli manageriali a livello EMEA, occupandosi tra l’altro dell’implementazione europea di TopValue e di altri programmi di supply chain. E’ stata promossa Commercial Business Development Manager EMEA per server e client, passando poi al ruolo di SMB Marketing Manager EMEA e successivamen-te Direttore Sales & Marketing SMB EMEA. All’inizio del 2003 è stata nominata Direttore Sales & Services Partners EMEA e nel novem-bre dello stesso anno è rientrata in Italia in qualità di Direttore Commercial Channel & SMB di HP Italiana. Infine, ha assunto la cari-ca di Direttore Solution Partners Organiza-tion, gestendo la vendita indiretta per tutta l’offerta di prodotti e servizi HP, nonché lo sviluppo del canale e la gestione dei rapporti con i partner. Alessandra Brambilla è nata a Bergamo nel 1967 ed è laureata in Ingegneria presso il Politecnico di Milano.

www.hp.com

C’è vero progresso solo quando la tecnologia diventa per tutti. Henry Ford

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Lady economy

Sono ottimista perchè l’Italia può solo crescere sul fronte della tecnologia informatica. Spero che le aziende possano vedere chiara e netta questa opportunità per migliorare e mi aspetto maggiori investimenti da parte delle imprese e dei consumer

Da vent’anni in Italia

la rivoluzionequotidiana targata IKEA

Il colosso svedese conosciuto in tutto il mondo è presente nel territorio nazionale dal 1989. Il business non riguarda solo le vendite consumer, ma anche la produzione: l’Italia è passata al terzo posto tra i fornitori del celebre marchio. L’amministratore delegato Roberto Monti ci disegna lo scenario in cui opera IKEA nel nostro Paesetesto di Laura Di Teodoro

Qualità a prezzi bassi, un binario su cui Ikea viag-gia da circa cinquant’anni nel mondo e da venti in italia. L’azienda svedese, nata nel 1943 come semplice ditta di vendita per corrispondenza, è diventata oggi un’idea di arredamento e un nuovo modo di concepire e arredare la casa, nel rispetto dell’ambiente e a costi ridotti. Merito del successo del gruppo, oggi presente in Scandinavia, Svizze-ra, Europa, America e Asia con 300 negozi, come spiega l’amministratore delegato Ikea per l’Italia, Roberto Monti, va alla volontà di “creare una vita quotidiana migliore per la maggioranza delle per-sone”, alla base di ogni strategia commerciale.

Lei lavora nella realtà IKEA dal 1990, prima in Svezia e adesso come amministratore delegato in Italia. Come descriverebbe la crescita e lo svilup-po di IKEA in questi vent’anni? IKEA festeggia nel 2009 i suoi vent’anni in Italia. Il concetto di arredamento e di retail di IKEA ha certamente infl uenzato la mentalità degli italiani nel concepire e vivere la propria casa: permetter-si una casa funzionale e di buon design a portata

di qualunque budget. La crescita di IKEA in Italia non si è realizzata solo sul mercato della distribu-zione, ma anche, e soprattutto, nella produzione. L’Italia, infatti, è passata dal 7° al 3° posto tra i Pa-esi del mondo fornitori del gruppo IKEA. Mentre le vendite nei negozi fanno dell’Italia il 6° mercato al mondo, gli acquisti guadagnano il 3° posto. Ciò signifi ca che IKEA acquista in Italia più di quan-to vende. Questa crescita è legata innanzitutto alla capacità di industrializzazione dei nostri fornitori italiani che hanno saputo crescere nei volumi di produzione e sostenere le innovazioni nell’utilizzo dei materiali.

Come nasce IKEA? IKEA è l’acronimo delle iniziali del suo fondato-re Ingvar Kamprad e di Elmtaryd e Agunnaryd, la fattoria e il villaggio svedese di nascita. IKEA nasce nel 1943 come ditta di vendita per corri-spondenza di tanti piccoli articoli di uso quotidia-no: penne, fi ammiferi, orologi e persino bustine di semi e decorazioni natalizie. Poi l’assortimento si amplia e nel 1950 i mobili entrano a farne parte.

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Grandi aziende

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Nello stesso anno Ingvar Kamprad rea-lizza una pubblicazione dove, in 16 pa-gine, illustra il suo assortimento: è nato il primo catalogo IKEA. Nel 1953 la sede dell’azienda viene trasferita a Älmhult, un piccolo centro nel sud della Svezia, dove nel 1958 Ingvar Kamprad apre il suo primo negozio. E’ l’inizio di una fortunatissima attività, in cui IKEA si specializza gra-dualmente in mobili e complementi d’ar-redo sviluppando un proprio assortimento esclusivo. A partire dagli anni ’60, IKEA conosce un’espansione quasi senza limiti: dalla Scandinavia alla Svizzera, dall’Euro-pa all’America, all’Asia.

Quanti punti vendita conta oggi? Quanto l’organico, in Italia e nel mondo? Oggi sono oltre 300 i negozi IKEA in tutto il mondo, di cui 14 in Italia. I collaboratori IKEA nel mondo sono circa 127.000, men-tre i collaboratori di IKEA in Italia sono circa 6.400, impiegati oltre che nella fun-zione Retail che si occupa della gestione dei punti vendita, anche nelle funzioni di Property (gestione immobiliare), Trading (acquisti da fornitori italiani) e Distribu-tion (stoccaggio e distribuzione dei pro-dotti IKEA). Il risparmio, il low cost, è uno dei punti

forti di IKEA. Come è possibile coniuga-re il risparmio con la qualità? Il nostro assortimento è progettato da desi-gner che lavorano per IKEA. Di un nuovo prodotto IKEA si stabilisce innanzitutto il prezzo; questo è il principio base per tutti i designer, che devono tener conto non solo della funzione e dell’estetica di un prodot-to, ma anche del suo impatto ambientale e della possibilità di smontarlo e imballarlo in pacchi piatti: così anche i clienti saran-no coinvolti nella realizzazione del prodot-to, provvedendo a trasportarlo a casa ed a montarlo da soli, risparmiando sui costi e, quindi, sul prezzo d’acquisto. Ogni nuovo progetto è vagliato in base a criteri quali la quantità di materiali usati, l’impatto ambientale, le possibilità produt-tive e distributive; è quindi affi dato a ditte esterne e in alcuni casi interne al gruppo, per la produzione. Il fornitore che produce per IKEA è quello che assicura il miglior livello qualitativo possibile al prezzo più conveniente. L’idea centrale è quella della qualità funzionale o della qualità giusta dove serve: il trattamento del piano di la-voro in cucina è costoso, perché deve resi-stere ad un uso intensivo. Al contrario, un trattamento altrettanto costoso sul ripiano di una libreria sarebbe un inutile spreco

per l’azienda e per il cliente. Inoltre, attra-verso l’acquisto di grandi quantitativi di merce, IKEA riesce ad ottenere un’ulterio-re riduzione del prezzo, senza per questo sacrifi care la qualità dei prodotti. Per ga-rantire un alto livello qualitativo, gli arti-coli IKEA sono inoltre sottoposti a diversi test: dalla simulazione dell’uso continuo e prolungato del prodotto in relazione alla sua funzione, alla resistenza a sostanze diverse (vino, colle, agenti chimici) e agli incidenti (tagli, bruciature, etc.), all’appli-cazione delle regole più restrittive per il contenuto di sostanze chimiche. I criteri di qualità stabiliti da IKEA sono severi e test rigorosi sono periodicamente ripetuti su alcuni esemplari di ogni tipo di prodotto, per assicurarsi della continuità del livello qualitativo.

Qual è il valore aggiuntivo per il cliente oggi? Credo che il valore aggiunto per il cliente è, e sarà sempre di più in futuro, la valoriz-zazione della responsabilità dell’azienda. La crisi economica ha risvegliato la mag-gioranza delle persone che aspira a gestire il proprio potere d’acquisto con la dovuta consapevolezza e la necessaria determina-zione, per garantirsi un futuro di benesse-

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Profilo

Roberto Monti è nato nel 1963 in Sve-zia e si è laureato nel 1990 in Relazioni Internazionali presso l’Università di Lund (Svezia), con stages presso l’Uni-versità degli Studi di Perugia (1987). La sua esperienza professionale è comin-ciata in IKEA Svezia dove è entrato nel 1990 come trainee, un anno dopo è stato trasferito in Italia, a supporto della prima fase di espansione. E’ stato Operations Manager presso il negozio di Brescia Roncadelle, di cui è diven-tato Store Manager nel 1995. Dal 1997 è stato Project Manager per la fase di costruzione del negozio di Genova, di cui è stato poi Store Manager fino al 2000. Dal 2000 al 2001 Roberto Monti ha lavorato in BAA MCArthurGlen, azienda leader nella costruzione e ge-stione Designer Factory Outlets, come direttore del centro di Serravalle Scrivia e con responsabilità legate all’espansione del concetto sul mer-cato nazionale. Nel 2002 è rientrato in IKEA Italia con il ruolo di Retail Manager, per poi ricoprire l’attuale carica di Amministratore Delegato. www.ikea.com/it

Ciò che dobbiamo imparare a fare, lo impariamo facendolo.Aristotele

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re. Ne emerge la tendenza a premiare la qualità del consumo, il valore del benes-sere generale e l’importanza del futuro nella spinta allo sviluppo.

Come si inseriscono le nuove tecnologie, internet, il web nella realtà IKEA? IKEA sta cercando di far evolvere la propria comunicazione in una direzione di maggior partnership anche con gli utenti internet. Questo approccio è coerente con la nostra fi losofi a “Tu fai la tua parte. Noi la nostra. E insieme risparmiamo”. Nel tempo i clienti IKEA hanno decretato il successo del design democratico e si sono abituati ad assumere un ruolo attivo negli acquisti, condividendo l’impe-gno dell’azienda per un impatto sostenibile sull’ambiente. Ora grazie alle nuove tecnologie, gli utenti internet non solo hanno l’opportunità di avere accesso a tantissime informazioni relative ai nostri prodotti ed anche molte ispirazioni per l’arredamento della loro casa, ma anche l’opportunità di dire la loro attraverso diversi canali dedicati, quali ad esempio la nostra community e i social network, tramite i quali abbiamo recentemente lanciato una nuova campagna.

Cosa contraddistingue il modo di arredare “italiano” rispetto alla Svezia o altri Paesi?Al giorno d’oggi credo sia azzardato fare generalizzazioni delimitate rispetto ai gusti in tema di arredamento. Parlando di casa, infatti, sono spesso presenti più similitudini che diff erenze: ecco perché il nostro assortimento di mobili fun-ziona ovunque. Certo, ci sono ovviamente diff erenze di tradizioni e di modi di esprimersi nell’abitare: rispetto alla Svezia, che predilige una casa più dinamica, dove le diverse funzioni possono cambiare, sovrapporsi o sostituirsi nello stesso spazio, l’Italia privilegia un abitare più stabile, dove gli spazi e le funzioni sono defi niti, delimitati e rimangono costanti nelle diverse aree.

In un contesto di crisi IKEA sta crescendo, investendo e contribuisce alla cre-azione di nuovi posti di lavoro. Un esempio d’eccellenza per molti imprendi-tori quindi....quali percorsi si devono seguire per superare questa crisi? Credo che essenzialmente sia necessario ambire a risultati di lungo periodo e non di breve termine. Questa logica nel tempo ci ha premiato: ecco perché con-tinuiamo ad investire sui prezzi bassi e sull’alta qualità esattamente come dieci anni fa ed anche in un periodo di crisi. Dobbiamo sì rimboccarci le maniche per migliorare l’effi cienza economica, ma vogliamo contemporaneamente con-fermare tutti gli investimenti che abbiamo programmato sul lungo periodo. Allo stesso tempo continuiamo a sviluppare il rapporto con il cliente, così da coinvol-gerlo, da farlo diventare parte del processo creativo e produttivo, comprendendo i suoi bisogni nel vivere quotidiano.

Quali sono le principali strategie che il settore della distribuzione richiede? È importante non solo ricercare la novità, ma anche tenere alto il livello del ser-vizio. E poi domandarsi: quali sono i fabbisogni che cambiano? La vitalità del punto di vendita è fondamentale per dare ispirazioni continue. In IKEA stiamo sviluppando una serie di alternative per rivolgerci ad un consumatore sempre più diversifi cato.

Lei è amministratore delegato di IKEA. Quali sono le maggiori soddisfazioni che ha raccolto in questi anni?Sono molto felice dei risultati raggiunti dalla nostra organizzazione non solo da un punto di vista commerciale, ma anche nel campo delle risorse umane. Abbiamo aperto nuovi negozi, stiamo confermando tutti gli investimenti per il futuro: entro il 2009 apriremo 4 nuovi negozi a Rimini, Torino, Villesse e Sa-lerno. Questi risultati sono frutto dell’impegno di tutti i collaboratori che sono stati capaci di integrare coerentemente nel loro lavoro quotidiano, la visione di IKEA di “creare una vita quotidiana migliore per la maggioranza delle persone”. Personalmente sono davvero orgoglioso di far parte di questo gruppo di ingua-ribili entusiasti. |

L’Italia è passata dal 7° al 3° posto tra i Paesi del mondo fornitori del gruppo IKEA.Mentre le vendite nei negozi fanno dell’Italia il 6° mercato al mondo, gli acquisti guadagnano il 3° posto. Entro il 2009 saranno aperti 4 nuovi negozi a Rimini, Torino, Villesse e Salerno

Il nuovo

Prima di tutto la passione. Forse sta tutta qui la cifra della carriera e della svolta di vita di Roberto Magri. Una svolta che lo ha portato dai banchi del tribunale al timone di un’azienda nautica d’eccellenza. Dopo uno straordinario passato da avvocato penali-sta - dal processo dei terroristi di Prima Linea al Mostro di Leff e, dalle grandi battaglie sulla tutela dei marchi al penale d’impresa - nel 2006, a sessant’anni, è arrivata la svolta imprenditoriale. Raggiunta la maturità professionale, ancora all’apice del successo, ha scelto di non aspettare il lento declino della routine dell’avvocato ormai aff ermato. Ha scelto la strada della passione, quella tracciata fi n dalla sua infanzia in Africa, dove ha cominciato a innamorarsi del mare e delle barche. A quei tempi nel porto di Tripoli te-neva le scotte di piccole imbarcazioni a vela, oggi è importatore per l’Italia di un impor-tante brand nautico statunitense e investe tempo e risorse in progetti di ricostruzione di imbarcazioni di prestigio. In mezzo a tutto questo una vita sempre piena di impe-gni: dalla cattedra di Procedura Penale all’università alla presidenza dell’organismo di vigilanza di Ubi Banca. A Business&Gentlemen ha raccontato la storia di questa sua evoluzione. Ancora in corso…

Dalla toga al timone di un’impresa nautica. Da dove arriva questa svolta?Probabilmente nel mio Dna c’è qualche traccia dell’imprenditorialità che aveva mio padre. Di fatto ho respirato aria d’impresa fi n da bambino, però quella per la nautica è soprattutto una passione. Me ne sono innamorato fi n da piccolo navigando con le prime barchette a vela nel porto di Tripoli. E proprio in quegli anni ricordo un segno del destino: a scuola ciascuno di noi aveva ricamato un disegno sul grembiule, il mio era una barca e lo stesso simbolo l’avevo sull’armadietto. Direi che il mio futuro era già segnato.

Ma nel suo destino è arrivata anche l’avvocatura…L’Africa ai tempi della mia giovinezza era pervasa da un grande fermento di opere, per questo molti giovani sceglievano di laurearsi in ingegneria. Io non ho imboccato quella

Roberto Magri, un grande avvocato penalista che sceglie di appendere la toga

al chiodo e dedicarsi in un’impresa nel mondo della nautica. Dai processi sul terrorismo

all’importazione di barche dagli Stati Uniti. La carriera e l’evoluzione di un gentiluomo che ha fatto le sue scelte mettendo sempre

al primo posto la passione. E lo stile.testo di Mauro Milesifoto di Matteo Mottari

gentleman della nautica

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Protagonisti

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Marboats oggi ha come core business principale la ristrutturazione di imbarcazioni, che è diversa dal restauro quale operazione conservativa. Ristrutturare una barca signifi ca ripensarla completamente, conservando quegli elementi essenziali di unicità, ma dando vita a un progetto tutto nuovo. La ristrutturazione è un atto creativo, anche se uno degli aspetti fondamentali è la scelta della barca su cui avviare l’intervento. Noi puntiamo molto sulla creazione di oggetti unici, nessun altra barca sarà come quella che si sta ristrutturando

strada perché ho avuto la fortuna di conoscere l’avvocato Antonio Rodari, un grande penalista che per me ha rappresentato una sorta di arche-tipo. Così mi sono convinto a iscrivermi a giu-risprudenza e una volta laureato sono andato a far pratica proprio allo studio dell’avvocato Ro-dari. Da lì è cominciata la mia carriera che mi ha visto impegnato con consulenze e assistenze legali nell’ambito penalistico, con particola-re attenzione al diritto penale dell’economia, nell’interesse di importanti aziende nazionali e multinazionali, della tutela dei marchi e della proprietà industriale

Dopo tanti successi, nel 2006 arriva la scelta di lasciare…Le mie decisioni di appendere la toga “al chio-do” e di intraprendere un’attività imprendito-riale sono frutto di una convinzione maturata fi n dagli albori della mia carriera di avvocato.

Ho un ricordo che mi è rimasto impresso per tutta la vita. Ero in tribunale per assistere a un processo e c’era un avvocato anziano che difen-deva molto male, si notava la perdita di smalto anche se in passato a detta di tutti era stato un ottimo penalista. Mi sono sempre ripromesso di non fare quella fi ne, di lasciare quando anco-ra ero all’apice delle mie performance. E questa è una promessa che credo di aver mantenuto.

Perché un’impresa nel campo della nautica?Come dicevo c’è sempre di mezzo la passio-ne. Il mio desiderio di fare qualcosa di più nel mondo della nautica al di là dei miei interessi personali ha avuto una prima esperienza negli Anni Ottanta quando ho fondato una scuola per abilitare alla conduzione di imbarcazioni da diporto, a vela e motore. All’inizio degli Anni Novanta ho ricostituito la sezione della Lega Navale di Bergamo, di cui sono stato pre-

sidente per una decina d’anni. Ho cominciato a pensare a un’impresa in questo settore durante l’acquisto di un’imbarcazione: nel corso della trattativa ho conosciuto il rappresentante di un importante marchio di barche e con lui ho ma-turato l’idea di avviare una società per l’impor-tazione di imbarcazioni da diporto dagli Stati Uniti. Marboats è nata così, anche se oggi ha come core business principale la ristrutturazio-ne di imbarcazioni, che è diversa dal restauro quale operazione conservativa. Ristrutturare una barca signifi ca ripensarla completamente, conservando quegli elementi essenziali di uni-cità, ma dando vita a un progetto tutto nuovo. La ristrutturazione è un atto creativo, anche se uno degli aspetti fondamentali è la scelta della barca su cui avviare l’intervento. Noi puntiamo molto sulla creazione di oggetti unici, nessun altra barca sarà come quella che si sta ristrut-turando. Oggi nel settore nautico compaiono

Protagonisti

costruttori come funghi, alcuni con validissimi progetti, altri in-vece destinati al naufragio. Gli insuccessi spesso arrivano perché manca un profondo approccio culturale. Bisogna avere la capacità di investire in ricerca e progettazione, purtroppo molto spesso i piccoli cantieri sono invenzioni del momento che non operano con una visione a lungo termine. Però in Italia ci sono delle eccel-lenze, anche in Lombardia esistono importanti cantieri conosciuti in tutto il mondo. La qualità e l’eccellenza si fanno sempre strada.

E qual è la vostra strategia di comunicazione per sottolineare l’eccellenza?Guardi, per noi la strategia della comunicazione non può essere massifi cata. Dobbiamo metterci dalla parte del consumatore, cer-cando di spiegargli che noi puntiamo sulla qualità dei progetti, su imbarcazioni che possano essere gestite senza troppi aff anni, su una semplifi cazione della strumentazione che sia al servizio del diportista. Insomma dobbiamo essere in grado di spiegare al no-stro pubblico che prestiamo una particolare attenzione a tutti quei dettagli che nella vita in mare fanno davvero la diff erenza.

Eppure non deve essere facile riuscire a distinguersi nel mondo della nautica.Vero. Ad esempio nell’automobilismo siamo tutti professori, è un argomento entrato nella vita comune: sappiamo tutto, conoscia-mo tutto, ci sono prezzi e caratteristiche conosciuti per ogni auto. Nel mondo delle imbarcazioni questo non esiste. E allora quando mi capita di sentire dire che una barca è migliore di un’altra, la mia sensibilità mi porta a fare lo stesso confronto sulle auto: ma come si può dire come un’automobile è migliore di un’altra? Tutto dipende dai criteri di valutazione, ogni auto ha le sue caratteristi-che peculiari rispetto al segmento d’appartenenza, non si può fare un discorso in assoluto. Sarebbe stupido comprare una Ferrari per farci un rally nel deserto. Lo stesso assioma vale per la nautica: una barca va vista secondo le fi nalità del suo impiego, secondo le sue caratteristiche specifi che.

A proposito di fi nalità d’impiego, in questi anni si è puntato molto sulle barche superveloci…Credo che il mondo vada verso un ridimensionamento benefi co. Anche nella nautica si tornerà a imbarcazioni più a misura d’uo-mo e dell’ambiente. Su questo prendo come esempio la rincorsa alla velocità delle barche che si è vista in questi ultimi anni. A mio avviso una barca a motore deve avere una velocità media, né troppo bassa né eccessiva. Perché entrano in gioco tre componenti fondamentali per la vita in barca: la sicurezza, la velocità, il com-fort. Non si possono mai avere tutte e tre contemporaneamente. Bisogna sempre rinunciare a uno di questi fattori e allora i preferi-sco scegliere il comfort e la sicurezza.

Si parla sempre più di lusso, in tutti i settori. Quanto è luxury il mondo della nautica?Io credo che ci sia un equivoco di fondo: non è vero che il mondo della nautica è legato al lusso, è vero invece che il lusso si manifesta ovviamente anche nella nautica. Ma non è un elemento necessa-rio. La vita in barca può anche essere economica, basti pensare all’universo delle imbarcazioni carrellabili, che rappresenta il modo di navigare della stragrande maggioranza degli appassiona-ti. Ovviamente se pensiamo a un’imbarcazione intorno ai 20-24 metri che costa mediamente 2 milioni di euro, riteniamo sia un oggetto di lusso. Ma se oggi un’automobile medio-alta può costa-re tranquillamente 100 mila euro, allora la proporzione qual è? Il problema è che oggi in Italia abbiamo una visione distorta della navigazione, mentre nel Nord Europa è presente una nautica che

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La CarrieraNato a Tripoli nel 1945 da padre bergamasco, imprenditore nel settore edile, e da madre parmense, casalinga, frequenta i primi anni di liceo presso il “Liceo italiano all’estero Dante Alighieri” di Tripoli comple-tando gli studi superiori in Italia dove la famiglia, nell’anno 1961 era rimpatriata. Si iscrive all’ Università degli studi di Milano ove conse-gue la laurea in giurisprudenza nell’anno accademico 1969-70. Inizia quindi la pratica professionale in Bergamo sotto la guida dell’Avvo-cato Antonio Rodari. Superato l’esame di stato inizia la libera profes-sione e costituisce a Bergamo uno dei primi studi legali associati di cui cede le quote alla fine del 2006 dedicandosi esclusivamente all’inse-gnamento presso l’Università degli Studi di Bergamo ove è docente a contratto di diritto processuale penale avanzato. E’ stato membro del locale Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e, nell’anno 1989 è stato presidente della commissione per gli esami di avvocato presso la Cor-te d’Appello di Brescia. Nei primi anni ’90 ricostituisce a Bergamo la sezione della Lega Navale Italiana della quale è stato presidente per circa un decennio. La passione per il mondo della nautica si era già ma-nifestata quando, a cavallo fra gli anni ’70 e ’80 era stato, per alcuni anni, presidente della classe velica FJ, allora di interesse federale. E’ socio del Rotary Club di Bergamo Ovest dall’anno di fondazione di cui è stato presidente nell’anno sociale 1990-91. Dall’anno 1992 al 1996 è stato assistente del Governatore per il gruppo orobico. E’ stato capo-gruppo consiliare al Comune di Bergamo nella legislatura 1999-04. E’ presidente dell’organismo di vigilanza ex L.231 di UBI Banca.

www.marboats.com

E adesso so che bisogna alzare le vele e prendere i venti del destino ovunque spingano la barca. Dare un senso alla vita può condurre a follia, ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio. E’ una barca che anela al mare, eppure lo teme.Edgard Lee Masters

potremmo defi nire più autentica, non legata al lusso, dove l’appassionato passa molto tempo in mare e vive ogni gesto in quella prospettiva. Da noi è più una questione di status symbol, ci si identifi ca più nel possesso che nell’utilizzo vero e proprio. Ma non è questa la fi losofi a delle imbarca-zioni che noi realizziamo.

Proviamo a fare un confronto tra le aule di tribunale e la sua nuova attività professionale. Ci sono affi nità?Non mi è mai capitato di fare un paragone tra attività pro-fessionale e nautica. Posso evidenziare alcuni elementi che nel mio carattere possono trovare rispondenza in entrambi i mondi. Ad esempio, io ho sempre cercato di aff rontare i temi processuali con il massimo rigore, lo studio appro-fondito, facendo attenzione a tutti gli elementi in gioco. Nella nautica credo di avere lo stesso approccio. Mi piace controllare lo stato di navigazione in modo maniacale. In passato, quando si navigava spesso senza strumenti, facevo continuamente il punto sulla carta e riportavo le mie osser-vazioni. Questo mi ha permesso di evitare anche qualche piccola tragedia.

Solo nautica o ci sono altre passioni nella sua vita?Adoro la caccia che è una delle mie grandi passioni. Ho ten-tato anche di giocare a golf con scarso successo. La verità è che sono un “ondivago”, mi piacciono troppe cose contem-poraneamente, mentre il golf richiede una costanza note-vole. Così ho abbandonato: preferisco fare le cose che mi riescono al meglio.

E poi, lei è un “accademico” della cucina…Per quanto riguarda la cucina, io non credo di avere gran-di meriti. Preferisco defi nirmi un grande assaggiatore; ci sono persone che hanno una preparazione e una abilità in-credibili, per me è più che altro una passione. L’obiettivo dell’Accademia è la salvaguardia delle tradizioni tipiche della cucina italiana, oltre alla ricerca storica. Mi piace cer-care di dare il mio contributo su questo fronte. Alla luce della sua importante carriera, quale consiglio si sente di dare ai più giovani per avere successo profes-sionalmente?Vivo quotidianamente il rapporto con i giovani essendo professore universitario di Procedura Penale. Mi piace molto stare con loro perché la possibilità di trasmettere conoscenza ed esperienze ai giovani è molto appagante. Io non ho una ricetta speciale, però ritengo sia importan-te riuscire a fare ciò che ci piace di più o che ci dispiace meno. Fare qualcosa di piacevole è la forza per continua-re nel corso del tempo, perché ci sono tante diffi coltà da aff rontare ogni giorno: la vita è come il mare, dietro ogni onda può nascondersi un pericolo, quindi conta molto po-ter praticare un’attività che piace al di là di tutto il resto. In secondo luogo bisogna cercare di aff rontare i problemi con scientifi cità e metodo, al meglio delle nostre possibili-tà. Infi ne ci vuole una buona dose di fortuna, ma la fortuna va agevolata, perché è una mescolanza di occasioni e intu-izioni. Bisogna essere suffi cientemente pronti a cogliere il momento buono. |

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Senzainnovazionecompetitività addio

Bisogna saper investire su soluzioni all’avanguardia non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche organizzativo e di sistema. Parola di Attilio Martinetti, direttore generale dell’Agenzia nazionale per l’Innovazione e già direttore di Innovhub, l’Azienda speciale della Camera di commercio di Milano dedicata a questo tematesto di Laura Di Teodoro

Guardare e investire nell’innovazione per essere competitivi. Un’innovazio-ne non solo tecnologica ma soprattutto organizzativa e di sistema, capace di puntare e investire prima di tutto sulle persone e sulla ricerca applicabile alle imprese, in tutti i settori. Alla base di tutto, sostiene Attilio Martinetti, da poco nominato direttore generale dell’Agenzia nazionale per l’Innovazione e già di-rettore di Innovhub, l’Azienda speciale della Camera di Commercio di Milano per l’innovazione, è necessaria la condivisione e lo scambio di conoscenze e strumenti tra pubblico e privato, centri di ricerca, imprese e istituzioni.

Dal suo osservatorio privilegiato, come defi nisce, nel suo insieme, l’inno-vazione? L’innovazione comprende tutto ciò che, attraverso un cambiamento da parte delle aziende e del contesto, consente di sviluppare la competitività. In un Paese come il nostro, caratterizzato da tante piccole e medie realtà im-prenditoriali, l’innovazione passa attraverso l’innovazione organizzativa e metodologica, non tanto tecnologica. Non si tratta dell’aspetto povero dell’in-novazione anzi. I nostri casi di maggior successo sono proprio frutto di una innovazione di questo tipo. Basti pensare alla moda, al fashion e al design. A livello mondiale, l’innovazione italiana è riconosciuta come vincente; prendo come riferimento una ricerca dell’Università di Harvard in cui si mette in evi-denza che il 44% dei designer che operano per i principali brand riconosciuti come italiani, sono stranieri. Segno della presenza di una vera e propria “scuola italiana”.

Le aziende italiane sanno investire in questo tipo di innovazione? Come dicevo prima le nostre aziende sono in maggioranza di piccole e medie

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Innovazione

dimensioni. A livello europeo lo sono il 95%. Purtroppo queste realtà sono spesso sotto-capitalizzate e c’è una forte presenza del si-stema artigiano: la Lombardia ha qualcosa come 780mila imprese di cui più di un terzo, 260mila artigiane. Di queste più del 30% è artigianato manufatturiero. A livello lom-bardo, due anni fa, abbiamo portato avanti una ricerca articolata, coinvolgendo 1.500 imprese che operano nei settori innovativi, edilizia compresa. È emerso che solo il 9% di imprese possono essere considerate “inno-vatrici”; il 21% è antropologicamente uguale alle prime ma investe in modo discontinuo. Ciò che spaventa è il 70% di aziende inerti, che non investono. Se a questo aggiungiamo che l’innovazione rappresenta una categoria dove il 30% le imprese ha un titolare che ha più di 55 anni, e circa il 30% di questi aspetta l’occasione meno svantaggiosa per chiudere, possiamo dire che la situazione non è delle migliori. L’impresa manca di quegli stimoli e vocazione all’innovazione e alla realizza-zione dell’improbabile e al rischio.

In un contesto di crisi e con tante realtà piccole, come l’innovazione può aiutare e quali canali sfruttare?Il primo investimento importante deve es-

L’Agenzia per l’Innovazione è un luogo di confronto, scambio e condivisione, ponte tra pubblico e privato, tra territorio e funzione. L’obiettivo è quello di far convergere le tecnologie di certi settori su ambiti diversi. Ad esempio nel distretto della ceramica ci possono essere delle soluzioni anche per altri ambiti, arrivando così ad allargare il mercato

sere fatto nelle persone. È l’unica strada che si può percorrere per poi investire in macchinari e strumentazioni.

Come Agenzia come intervenite a supporto delle imprese?L’Agenzia per l’Innovazione è sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Mi-nistro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione e ha lo scopo di integrare il sistema della ricerca con quello produttivo attraverso l’individuazione, valo-rizzazione e diff usione di nuove conoscenze, tecnologie, brevetti ed applicazio-ni industriali prodotti su scala nazionale ed internazionale. L’Agenzia è l’ente di riferimento per quanto riguarda la valutazione di progetti in particolare quelli relativi al bando sul made in Italy di Industria 2015. In pochi mesi questo bando ha raccolto 429 domande di consorzi di 15/20 imprese ciascuno che si candidano a sviluppare progetti di innovazione radicale. L’Agenzia inoltre fa da ponte fra il sistema della ricerca pubblica, non solo universitaria ma anche dei centri CNR e dell’Istituto Nazionale di Sanità, e il vasto mondo delle piccole e medie imprese. Penso l’Agenzia come un luogo di confronto, scambio e condivisione, ponte tra pubblico e privato, tra territorio e funzione, che mette a sistema i tre principali protagonisti dell’innovazione: i centri di ricerca, che producono idee e fanno in-novazione, l’economia, che se ne alimenta, e le istituzioni, deputate a creare quel terreno fertile per la diff usione capillare di questa ricchezza. L’obiettivo è quello di far convergere le tecnologie di certi settori su ambiti diversi, ad esempio nel distretto della ceramica ci possono essere delle soluzioni anche per altri ambiti, arrivando così ad allargare il mercato.

Ha toccato il tema “Università”. Come considera il ponte che unisce il mondo accademico con le realtà imprenditoriali? Ci sono progetti validi o c’è ancora molto da lavorare? Sicuramente, e non è un segreto, manca un ponte solido e resistente tra queste due realtà a causa di un nu-mero esorbitante di facoltà, distribuite in modo diff orme rispetto al reale bisogno

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Ciò che spaventa è il 70% di aziende inerti, che non investono. Se a questo aggiungiamo che l’innovazione rappresenta una categoria dove il 30% delle imprese ha un titolare che ha più di 55 anni, e circa il 30% di questi aspetta l’occasione meno svantaggiosa per chiudere, possiamo dire che la situazione non è delle migliori

di ricerca. Non mi rasserena il fatto che fi no all’anno scorso le matricole in Scienze della Comunicazione siano state 58mila e di contro siano diminuite quelle nelle facoltà più tecniche che garantiscono una specia-lizzazione maggiore e quindi uno sbocco lavorativo si-curo. Un altro problema è rappresentato dal capitolo “brevetti”: l’attuale riforma ha inserito nei parametri di maggiore o minore contrazione dei fi nanziamenti an-che il parametro dei brevetti e questo ha portato a un aumento del numero dei brevetti che spesso non sono applicabili e cantierabili. Non solo, spesso il contesto non mette il ricercatore nelle condizioni di assumere quelle minime capacità imprenditoriali, cosa che inve-ce succede ad esempio negli Stati Uniti.

Tra i settori considerati innovativi compare sicura-mente la “Green economy”. Come vede l’investimen-to delle imprese in questo settore? Sicuramente positivo considerando che circa 129mila imprese in Lombardia si occupano di edilizia e oggi più che mai parlare di edilizia sana ed ecologica è si-nonimo di innovazione. Le Regioni inoltre si stanno dimostrando aperte a questo tipo di investimento. L’ecoedilizia inoltre si lega con la domotica come casa particolarmente amica dal punto di vista dei consumi energetici soprattuto in Paesi come il nostro con un cli-ma continentale.

Come vede lo scenario futuro? Con relativo ottimismo. Esiste un tessuto, seppure mi-nimale, che si sta muovendo nella giusta direzione. Sto vedendo inoltre una buona capacità di adattamento alle diffi coltà. Se vedo delle ombre, questo sono le incapaci-tà di usare e sfruttare i nostri asset principali come leve di sviluppo. In Italia abbiamo il 60% del patrimonio artistico del mondo e benefi ciamo di un clima favore-vole, questi sono asset che a mio parere non sono valo-rizzati abbastanza. |

Innovazione in LombardiaSono oltre 28 mila le imprese high tech lombarde, pari al 21,8% nazionale. Milano prima in Italia per numero di imprese con quasi 16 mila dedite ai setto-ri più innovativi. Mentre l’import tecnologico lom-bardo, nel 2008, è pari al 58,6% di quello nazionale (17 miliardi), l’export il 36% per un importo di oltre 7 miliardi di euro. Per provincia le specializzazioni per Brescia in telecomunicazioni (8,7% delle sue at-tività high tech contro la media lombarda del 6,3%), Lodi in ricerca e sviluppo (3,1% contro 2,4%), Son-drio in apparecchi medicali e di precisione (27,9% contro 19,3%). Emerge da un’elaborazione della Ca-mera di commercio di Milano sui dati del registro delle imprese e Istat al 2008. La Lombardia inoltre si presenta come luogo di ec-cellenza per la ricerca in 7 settori su 11 analizzati: Oncologia, Biotecnologie, Chimica, Microtecno-logie, Fisica dei Solidi, Telecomunicazioni e Chip, Energia. (fonte AIRI – IPI). Dagli ultimi dati ISTAT il Nord-ovest conferma il suo ruolo trainante con il 37,4% della spesa per R&S intra-muros e la spesa to-tale per R&S che resta fortemente concentrata in tre regioni – Piemonte, Lombardia e Lazio – che copro-no il 60,9% della spesa per R&S delle imprese, il 62% di quella delle istituzioni pubbliche e il 30,9% della spesa delle università. Anche relativamente al settore delle imprese, la spesa per R&S risulta concentrata per oltre la metà (54,3%) nel Nord-ovest, con preva-lenza in Lombardia e in Piemonte

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Una volta colte le opportunità si moltiplicano. Sun Tzu

L’Agenzia per l’InnovazioneL’Agenzia per l’Innovazione, istituita con la legge finanziaria del 2006, e sottoposta ai poteri di indi-rizzo e vigilanza del Ministro per la Pubblica Ammi-nistrazione e l’Innovazione, ha lo scopo di integra-re il sistema della ricerca con quello produttivo attraverso l’individuazione, valorizzazione e diffu-sione di nuove conoscenze, tecnologie, brevetti ed applicazioni industriali prodotti su scala naziona-le ed internazionale.Tra i compiti della Agenzia, è previsto il supporto e l’istruttoria tecnico-scientifica nell’ambito della valutazione dei progetti di innovazione industria-le (Industria 2015). Inoltre, una componente impor-tante verrà rivestita dall’analisi delle previsioni tecnologiche a supporto degli investimenti nonché dalla diffusione e promozione della formazione di alto livello, in particolare verso i ruoli chiave dei processi di innovazione (ricercatori, manager spe-cializzati, ecc.).

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Innovazione

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Sempre più area strategica dell’azienda dove investire risorse, cervelli e strumenti. Altrimentidiventa diffi cile reggere il confronto con un mercato globale e in continua evoluzione. Parola di Giovanna Ricuperati, presidente di Multiconsult, a cui abbiamo chiesto di tracciare un quadro del rapporto, non sempre facile, tra marketing e impresetesti a cura di Desirèe Cividini

Il marketing come una sorta di ponte in grado di collegare le aziende con il mercato. Accorciando le distanze tra imprenditori e consumatori e dando l’opportunità di raccogliere indicazioni, tendenze ed evoluzioni da utilizzare come strumenti di orientamento utili all’azienda. Già, perché qualità e in-novazione non bastano. Per aff ermarsi sul mercato bisogna prima di tutto conoscere e comunicare. Parola di Giovanna Ricuperati, presidente e ammi-nistratore delegato di Multiconsult, società bergamasca che da oltre quindici anni si occupa di fornire consulenza ad aziende ed enti pubblici negli ambiti del marketing, delle vendite e della comunicazione.

Multiconsult da oltre quindici anni è specializzata nella consulenza di marketing, nello sviluppo di reti commerciali e nella gestione di eventi corporate. Quanto è cambiato in questi anni il rapporto tra imprese e marketing? L’evoluzione che ha interessato questo settore è stata piuttosto sensibile. Quindici anni fa si pensava al marketing come ad una sottofunzione dell’area commerciale, assimilandolo spesso alle attività di comunicazione o più stret-tamente al campo pubblicitario. Oggi, nonostante continui a restare un’area presidiata soprattutto nel mondo del b2c, il marketing incuriosisce anche le imprese che non si rivolgono al consumatore fi nale. La sua funzione, tutta-via, continua ad essere sottovalutata. Eppure il marketing ha delle enormi potenzialità, in quanto mette in contatto l’azienda con il mercato di riferi-mento, gettando le basi per defi nire la strategia aziendale e delineare off erta, prezzo e azioni di promozione.

Marketingl’arma VINCENTE per combattere la crisi

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Strategie vincenti

Quanto è importante per un’azienda essere affi ancati nell’odierno marketplace da una realtà come la vostra? In senso ancor più ampio bisognerebbe chiedersi quanto è importante per un’azienda operare avendo ben presente il proprio mercato di riferimento. Spesso si tende a concentra-re la visione di un’azienda attorno alla produzione o alla fi -nanza, ma senza un chiaro legame con il mercato tutto ciò è insuffi ciente. Un’azienda non può operare a prescindere dal mercato, considerandolo una variabile indipendente. Essere affi ancati da una realtà esterna come la nostra, nello specifi -co, dà all’azienda la possibilità di disporre di un osservatorio indipendente. Un mio cliente un giorno mi ha detto una cosa che mi è piaciuta molto: “ Io non voglio che il vostro impegno per la mia azienda vada oltre al 15-20 per cento del vostro fat-turato complessivo. Se così fosse perderei quel plus che deriva dalla visione a 360 gradi sul mondo e sul mercato, che puo’ essere garantita solo dall’agire in diversi mondi, dallo studia-re le logiche di più settori, dal lavorare con prodotti e servizi diversifi cati nelle diverse aree del mondo”. Ecco perché la ge-stione del marketing in outsourcing puo’ essere una soluzione interessante, diventata nel tempo il nostro core business.

In un contesto in cui tutti i mezzi di comu-nicazione sono stati colpiti da una sorta di progresso regressivo, con investimenti sempre più ridotti all’osso, quanto può es-sere utile investire nel marketing? Non è un problema di utilità ma di necessità. Investire in marketing e in comunicazione non è una scelta, ma deve far parte delle po-litiche di base dell’azienda. Diverso è lavora-re per scegliere quali strumenti di marketing e quali azioni strategiche mettere in campo. A volte, quando incontro imprenditori che mi mostrano con il giusto orgoglio e sod-

disfazione le proprie aziende, le macchine e gli impianti, chiedo loro: “Davvero interes-sante, ma dopo aver visto le macchine per produrre, adesso mi mostra le sue macchine per vendere?”. Ancora oggi sono in molti a reagire con stupore a questa domanda. Ma se non si pensa al marketing come ad un’area strategica dell’azienda, nella quale investi-re risorse, cervelli e strumenti, si rischia di non essere in grado di reggere il confronto con un mercato globale ed evoluto che agisce dalla base con questo orientamento.

Scommettere sui piani marketing e sulle attività di vendita, quindi, può essere un modo effi cace per raff orzare il proprio bu-siness e superare la tempesta economica. In che modo una specifi ca strategia di marke-ting può rivelarsi utile per contrastare gli eff etti negativi di questa diffi cile fase? E’ proprio nei momenti di tempesta che è

A volte, quando incontro imprenditori che mi mostrano con il giusto orgoglio e soddisfazione le proprie aziende, le macchine e gli impianti, chiedo loro: “Davvero interessante, ma dopo aver visto le macchine per produrre, adesso mi mostra le sue macchine per vendere?”. Ancora oggi sono in molti a reagire con stupore a questa domanda

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www.multi-consult.com

fondamentale disporre di strumenti per orientarsi. Esse-re un’azienda orientata al mercato e al marketing signifi ca operare monitorando e tenendo sotto controllo le variabili che governano il proprio business. Per il top management signifi ca eff ettuare le scelte strategiche di investimento e di sviluppo supportati da un sistema oggi chiamato di “busi-ness intelligence”, volto all’analisi di business e al suppor-to nel percorso di riposizionamento, alla comprensione di quali siano i canali distributivi da presidiare, alle politiche di prezzo, ai comportamenti dei competitor. Ma signifi ca anche scegliere i mercati e i settori verso i quali rivolgere i propri sforzi e investimenti commerciali, pianifi care gli strumenti di comunicazione e gli strumenti di promozione e le caratteristiche di prodotto/servizio.

Da dove deve partire un’azienda per avviare una vera po-litica di trasformazione della comunicazione d’impresa? Da un’attenta comprensione del proprio cliente e del pro-prio mercato di riferimento, senza dimenticare una grande dose di pensiero creativo e di innovazione nell’approccio. La nostra campagna di qualche mese fa diceva “Piedi per terra e testa tra le nuvole” mentre da qualche mese dichia-riamo in maniera forte il nostro amore per il marketing: “We love marketing”, che per noi signifi ca unire creatività e passione per il proprio mestiere, senza perdere il senso di concretezza e sobrietà che caratterizza il nostro territorio e che, probabilmente, aiuterà il nostro sistema a reggere gli urti di un mercato globale in grave diffi coltà. Ecco quindi da dove partire: pianifi care, defi nire tattiche, stabilire ruo-li e analizzare il feedbackNon si può più gestire la comu-nicazione alla giornata, passivamente. Ogni gesto e passo dell’azienda è già comunicazione. Si ha non solo il diritto ma soprattutto il dovere di comunicare.

Quali sono oggi gli strumenti più effi caci nel campo del marketing? Non esiste un elenco e nulla di più o meno effi cace in sen-so assoluto. Credo che, però, sia sempre più importante scegliere modi nuovi per essere vicini al proprio pubblico, per parlare con chiarezza, cura e passione. Per fare ciò che io chiamo il marketing “direttissimo”: dico questa cosa a te, perché credo ti possa essere utile, ho capito come operi e penso di poterti off rire una giusta soluzione. In pratica un marketing senza eccessi ed esasperazioni, ma molto diretto. Gli strumenti si utilizzano e a volte si inventano, tagliandoli su misura per il tipo di interlocutore.

Alla luce della particolare fase che sta attraversando la nostra economia, quanto e come sono destinate ad evol-vere le strategie di marketing adottate dalle aziende? Moltissimo. Le aziende oggi sono confuse ma hanno voglia di osare. E’ questo il momento per sperimentare e superare le barriere precostituite, i timori del passato. Sa qual è la cosa che oggi le aziende ci chiedono più spesso? Di pro-porgli nuove idee, di cercare per loro nuove strade. Oggi sta emergendo quel coraggio e la voglia di innovare che ab-biamo sempre cercato di perseguire nella nostra attività, premessa fondamentale per un approccio nuovo al futuro. Per citare Einstein “non pretendiamo che le cose cambino, se facciamo sempre la stessa cosa”. |

Specialisti nel marketingMulticonsult opera dal 1994 a Bergamo fornendo consulenza ad aziende ed enti pubblici negli ambiti del marketing, delle vendite e della comunicazione. Nel 2008 l’azienda ha registrato un fat-turato di circa 1,8 milioni di euro e per il 2009 dovrebbe andare ancora meglio, con una previsione di crescita del 20 per cento. Alla base dell’attività vi è la collaborazione con le aziende che vengono affiancate sia nella fase progettuale sia in quella più operativa di implementazione dei processi di marketing, di com-mercializzazione o di comunicazione. Ma la società guarda anche al futuro non solo in vista di un’espansione su nuovi territori con l’apertura di sedi in altre provincie lombarde e in altre regioni, ma anche in chiave Expo 2015: è in fase di definizione un progetto di valorizzazione del territorio elaborato con alcune associa-zioni di categoria. Si tratta di un format globale che presenta la regione bergamasca sfruttando la visibilità di grandi realtà industriali già presenti a livello internazionale, seguendo codici comunicativi e di relazione moderni, al fine di sfruttare al meglio i link che l’Expo 2015 potrà offrire.

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italiachmond

Da oltre quindici anni Richmond Italia organizza business meeting con l’obiettivo di far incontrare domanda e offerta. Nati a bordo di navi da crociera, i nostri eventi si svolgono oggi in prestigiose location a terra, che offrono un ambiente ideale per il lavoro di dirigenti di alto livello: una atmosfera distesa ma al tempo stesso concentrata sui contenuti, un modo di incontrare persone che ispira e fa nascere nuove visioni. Per molte aziende i nostri eventi rappresentano un momento di business importante: lo dimostra la forte richiesta di partecipazione, che spesso supera i posti disponibili.

Gli eventi si condensano in due giornate, nel corso delle quali i partecipanti hanno modo di: acquisire contenuti e idee attraverso conferenzee workshop confrontarsi con i colleghi del proprio settore conoscere progetti e proposte di potenziali fornitori.La formula dei nostri forum – in cui si fondono le energie di tre piani distinti: business, aggiornamento e networking – è un patrimonio originale a tutt’oggi insuperato. Senza contare che Richmond Italia è stata il precursore in Italia nell’utilizzo di agende appuntamenti personalizzate.

Il programma conferenze è disegnato per raccontare, provocare, far riflettere, stimolare nuove letture del mercato, dell’impresa e della società contemporanea. Vede la partecipazione di nomi dell’università e della ricerca accademica, così come di esperti, professionisti di successo e testimoni di mondi ed esperienze trasversali. I partecipanti prendono parte solo ai momenti che valutano realmente interessanti. Accanto alle sessioni plenarie, si svolgono seminari, workshop e gruppi di lavoro che vanno a fondo di temi specifici e che fanno leva sull’interazione fra relatori e partecipanti. Non mancano incontri riservati con consulenti, coach ed headhunter che stimolano la sfera individuale e la crescita professionale.

Gli incontri con gli exhibitor (società fornitrici di servizi e prodotti per il target di riferimento) sono una sorprendente fonte di informazioni sull’evoluzione del settore. E quasi sempre offrono risposte precise ed efficaci a necessità specifiche dell’azienda. Ogni invitato indica le società exhibitor che vuole siano inserite in agenda, in appuntamenti di 30 minuti.Nonostante il programma tenga tutti molto occupati, resta il tempo per incontrare anche colleghi e relatori.

Richmond Italia I nostri eventi Le Conferenze Gli incontri

I nostri eventi

Human Resourcesforum forumEnerg etica

Richmond Italia Srl P.zza Gerusalemme 4 Tel. +39 02 312009 Fax +39 02 3313976 www.richmonditalia.it

In tempi di crisi crescono gli interventi dei “medici dell’anima” nel mondo delle aziende. Gli imprenditori scoprono un nuovo partner utile per fare business, ma soprattutto per migliorare la qualità della vita all’interno dell’impresa

psicologoIl consulente

Basta con gli strizzacervelli alla Woody Allen. Ora i “medici dell’anima” lasciano i lettini degli studi di psicologia per trasferirsi nelle aziende. Non solo per farle funzionare meglio, ma anche per andare in soccorso dei di-pendenti colpiti dalla crisi della recessione. Un tendenza questa che interessa buona parte delle aziende del Belpaese e che sta facendo registrare un boom soprattutto in Lombardia, dove la carriera da psicologo attira sempre più gio-vani. Basti pensare che gli psicologi iscritti all’Ordine regionale aumentano al ritmo del dieci per cento l’anno. Dal 1998 al 2008 sono passati da 4.661 a 11.613, facendo registrare un’impennata del centocinquanta per cento. Dato signifi cativo è che gli psicologi iscritti sono per l’ottanta per cento donne, con punte del novantuno per cento fra i giovani fi no a ventinove anni. Gli psi-cologi con meno di quarantacinque anni sono il sessantasette per cento del totale. Si tratta quindi di una professione, almeno in Lombardia, sempre più numerosa, giovane e al femminile. E se un esperto su tre è dedito alla libera professione, i restanti due terzi intercettano bisogni non solo individuali, ma collettivi. Anche in organizzazioni e imprese, pubbliche o private. Di questi il quarantaquattro per cento, circa 4.500, off re prestazioni alle organizzazioni e il diciannove per cento, circa duemila, lo fa come attività principale. In totale, emerge quindi dall’indagine, in regione seimila aziende o enti (più o meno il venti per cento) hanno già chiesto aiuto agli psicologi o sono pronti a farlo. E se per ora il ricorso allo psicologo è più consistente nel settore pubblico, la richiesta è soprattutto privata. Non è diffi cile prevedere, quindi, che in futuro gli psicologi per le organizzazioni “opereranno in prevalenza nelle impre-se private, specie come consulenti”, come reso noto da Gfk Eurisko, che ha recentemente condotto un’indagine sull’argomento. Dallo studio eff ettuato, che ha preso in considerazione un campione rappresentativo delle imprese lombarde con almeno venti addetti, emerge che circa quattromila aziende (il quattordici per cento) hanno impiegato psicologi nell’ultimo anno, e che circa mille hanno chiesto loro prestazioni mirate al funzionamento organizzativo. Una “realtà consistente”, dunque, destinata a crescere in futuro: altre duemi-la imprese, infatti, si sono dette pronte a ricorrere allo psicologo, lasciando

Dallo studio eff ettuato, che ha preso in considerazione un campione rappresentativo delle imprese lombarde con almeno venti addetti, emerge che circa quattromila aziende (il quattordici per cento) hanno impiegato psicologi nell’ultimo anno

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prevedere un potenziale di mercato pari a circa il cinquanta per cento del mercato attuale, come confermato da Claudio Bo-sio, che ha diretto l’èquipe di ricerca: “La situazione delle professioni psicologiche in Lombardia – ha sottolineato lo studioso - mostra segni consistenti di vitalità e dina-mismo. Alla costruzione di un buon futu-ro delle professioni psicologiche possono dare un contributo gli impieghi in ambito organizzativo fi nalizzati al buon funziona-mento delle aziende produttrici di beni e di servizi. Si tratta già oggi di una realtà con-sistente e destinata a crescere nel prossimo futuro se le aziende avranno sempre più occasione di sperimentare direttamente le prestazioni degli psicologi. Tale esperien-za, infatti, riscuote in genere ampia sod-disfazione presso gli utenti e consente di esplicitare in concreto tutto quello che gli

psicologi possono fare per il buon funzio-namento di un’organizzazione”. Nella cre-scita di queste fi gure all’interno dell’azien-da la crisi sta senz’altro giocando un ruolo cruciale in quanto – come spiegato dal En-rico Molinari, presidente dell’Ordine degli psicologi della Lombardia e docente di Psi-cologia clinica all’Università Cattolica “in una fase congiunturale estremamente ne-gativa per l’economia mondiale e, quindi, anche per l’occupazione, il fattore umano diventa cruciale per le organizzazioni la-vorative di ogni tipo. Gli aspetti legati alla sicurezza e alla qualità del lavoro, al benes-sere individuale e collettivo, nonché all’at-tenzione per i servizi alla persona, assumo-no importanza strategica nel rapporto tra gli imprenditori e i loro collaboratori e, in defi nitiva, per il buon andamento dell’im-presa”. E ha aggiunto: “Gli psicologi che già

lavorano nelle organizzazioni di ogni tipo, intese come enti, aziende, società private e pubbliche nonché imprese multinazionali possono contribuire in misura notevole al miglioramento di questi fattori, conside-rando che proprio in un momento di crisi la nostra storia professionale ci porta a dire che là dove c’è il malessere, là c’è anche il rimedio. Siamo quindi pronti ad affi anca-re gli imprenditori, proponendo soluzioni che possiamo elaborare insieme, portando il nostro contributo originale ed innovati-vo”. |

www.opl.it

Il lavoro è la cura suprema di tutte le miserie e i mali che hanno mai afflitto l’umanità. Thomas Carlyle

Psicologia e lavoro

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L’espressione coda lunga, in inglese “Th e Long Tail”, è stato coniato per la prima volta da Chris Anderson in un articolo dell’ottobre 2004 su Wired Magazine al fi ne di descrivere alcuni modelli commerciali online come Amazon.com e Ecast.L’idea dell’autore nasce durante un’intervista con Robbie Vann-Adib CEO di Ecast (un jukebox virtuale che negli USA off re più di 150.000 brani musicali online). Alla domanda “Fra i primi 10.000 titoli, quanti in percentuale sono i brani venduti almeno una volta al mese in qual-siasi media store online (iTunes, Netfl ix, Amazon, ecc..)?”

La risposta che si aspettava l’intervistatore, come siamo abituati a pensare, era intorno al 20%, secondo il principio di Pareto1. Questa regola, infatti, dichiara che in ogni universo o campo il 20% degli ele-menti, ossia poche cose importanti, infl uenzano l’80% dei risultati. Essa è parsa valida in moltissimi campi, ad esempio, analizzando il portafogli clienti si scopre che il 20% dei clienti produce l’80% del fatturato aziendale o che l’80% delle vendite deriva dai primi 20 pro-dotti, ecc… Nel mondo discografi co addirittura, solo il 10% dei brani diventa poi un “hit” di successo.

La risposta di Vann-Adib, invece, fu sconvolgente: il 99% dei primi 10.000 brani di Ecast era richiesto almeno una volta al mese. Ogni mese migliaia di persone acquistavano brani che diffi cilmente pote-vano ottenere in altri canali commerciali e la maggior parte dei ricavi aziendali non derivava dai primi 2.000 titoli, bensì dai restanti 8.000.

La distribuzione delle vendite in questo caso ha un andamento come indicato dal grafi co 1.

Grafi co n°1: La coda lunga di Chris Anderson

Fonte: Chris Anderson (2004)

Il grafi co illustra la curva di domanda di prodotti (per esempio libri), in cui i più popolari sono posizionati nella parte rossa della curva e meritano pertanto di essere messi in vetrina e stoccati in magazzino dalle librerie tradizionali. L’area gialla della curva, invece, rappresenta i titoli meno popolari e quindi meno profi ttevoli per le librerie tra-dizionali, perché i costi di stoccaggio e di gestione sarebbero trop-po onerosi rispetto alla domanda relativa. Il grafi co suggerisce che le nuove tecnologie permettono di raggiungere la Coda Lunga della domanda, che racchiude prodotti o mercati di nicchia. Quest’ultima rappresenta quella parte di domanda che le imprese tradizionali non riescono a soddisfare a causa degli alti costi di contatto off erta e man-tenimento.

Con l’avvento di Internet la coda lunga è diventata economicamente

Con l’uso di internet è possibile sfruttare meglio le potenzialità offerte dalle nicchie di mercato che hanno costi troppo alti di gestione per le imprese tradizionali. Oggi è possibile ampliare l’offerta a disposizione dei clienti senza avviare investimenti importanti proprio grazie all’uso del web

di Daniela AndreiniRicercatore in Marketing, e Commercio elettronico alla Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Bergamo

La Coda lungadel business online

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Internet e business

importante: con le nuove tecnologie è possibile abbattere i costi fi ssi di raggiungimento, gestione e mantenimento di nicchie di mercato prima commercialmente poco convenienti. Infatti, grazie alla digita-lizzazione dei prodotti e allo stoccaggio virtuale dei beni e servizi, le aziende possono off rire una vasta quantità di prodotti online, soddi-sfacendo così anche i clienti più esigenti.

I media tradizionali sono da sempre concentrati sui contenuti più po-polari e di massa, Internet invece consente di raggiungere a bassi costi nicchie di mercato più ampie, attraverso:

il web 2.0 e la pubblicazione partecipativa da parte degli utenti; • i motori di ricerca che rendono più facile la ricerca di contenuti • di nicchia;RSS che rende più facile la lettura di contenuti provenienti da siti • di nicchia; La pubblicità contestuale self-service che rende più economico • per gli editori supportare il proprio business online con la pub-blicità.

Questi fattori hanno portato alla proliferazione di siti internet fo-calizzati in contenuti, prodotti e servizi molto specifi ci. Per usare la frase di Jeff Jarvis2: il mercato di massa sta morendo sul potenziale guadagno della “massa di nicchie”. Sembra quindi che il “mercato di massa sta morendo” insieme a tutte le aziende che si focalizzano sui prodotti, servizi e contenuti maggiormente popolari.

Questo cosa signifi ca per le imprese tradizionali?

Le implicazioni per le imprese tradizionali che possiedono un sito in-ternet si possono riassumere in:

catalogo prodotti online: il calcolo della domanda potenziale on-• line non segue più le regole tradizionali. Mostrare online solo i prodotti più venduti o più popolari non è una strategia vincente, perché non coglie le due forti opportunità della rete. Da una par-te, online non ci sono costi di stoccaggio e questo permette di poter mettere in catalogo migliaia di beni non ancora in posses-so dall’azienda venditrice. Inoltre, in internet sono i potenziali clienti che ricercano l’impresa e l’off erta online, e non viceversa, con un notevole abbattimento di costi di comunicazione. Onli-ne, quindi, il catalogo virtuale si trasforma in molteplici siti in-ternet (o mini siti internet) con contenuti specifi ci per clienti di nicchia. In questo modo, la gestione dell’off erta commerciale on-line può diventare dispersiva, ma grazie alla tecnologia RSS o di soft ware automatici, i costi di coordinazione sono drasticamente abbattuti. Questo incoraggia la diversifi cazione di prodotto e la competitività online. In internet, la diversifi cazione di prodotto rende effi cace la comunicazione aziendale e il posizionamento competitivo. L’unico vincolo è la capacità dell’impresa di aiutare i consumatori a trovare, valutare e comprare tra la grande quan-tità di prodotti off erti.

politiche di prezzo: in internet si possono ridurre i costi di acqui-• sizione del cliente, di stoccaggio virtuale dei prodotti, di comu-nicazione online, ecc… Essi, infatti, sono mediamente inferiori a quelli offl ine. Questo è particolarmente vero per i prodotti digi-talizzabili come per esempio i soft ware, i servizi, ebook, musica, ecc… Ma anche per i prodotti fi sici, ci possono essere abbatti-menti di costo sulla gestione del cliente online, sul magazzino virtuale ed il just in time. Gli abbattimenti nei costi devono però rispecchiarsi in una diminuzione del prezzo dei prodotti e dei servizi. Online il prezzo è una leva competitiva molto potente e deve essere utilizzata sapientemente dalle aziende, riformulando

i margini di vendita per le trattative in internet che funzionano in modo diff erente offl ine. Ad esempio, la stampa dei volumi su domanda, grazie alle nuove tecnologie, può abbattere i costi di produzione a 3$ al pezzo per un massimo di stampa di 1.000 co-pie. Numeri impensabile per la stampa tradizionale.

farsi trovare online: online la comunicazione pubblicitaria si svi-• luppa principalmente attraverso i motori di ricerca, la pubblicità online ed il “passa parola”. La Coda Lunga infl uenza tutti tre i ca-nali di comunicazione. I motori di ricerca permettono agli utenti di trovare online anche le informazioni più peculiari, questo si-gnifi ca che il modo ottimale per scalare il posizionamento onli-ne è investire su chiave articolate e su prodotti di nicchia. Ogni pagina del sito web aziendale può possedere così una “parola chiave” di nicchia. La pubblicità attraverso banner e link, invece, non si potrà più solo limitare ai siti più popolari, ma la pubblicità online ha più effi cacia se studiata e distribuita con particolare attenzione sui siti internet a contenuti specifi ci. Infi ne, il “pas-sa parola” online ha un fortissimo potere moltiplicativo. Dare la possibilità agli utenti di lasciare feedback sui prodotti, consigli e opinioni, permette al proprio sito internet di auto-rinnovarsi nei contenuti.

La “Coda Lunga” Internet sembra quindi aver superato la Legge di Pa-reto, trovando fondamento e applicazione nella ricerca e nella speri-mentazione. Sta diventando comune nel business online e nel mercato dei media (ad es. i canali tematici della televisione via cavo), ma è di particolare rilievo anche per la micro-fi nanza, il social networking, i modelli di business e il marketing (marketing virale). |

1 Pareto nel 1906 scoprì che il 20% della popolazione italiana possedeva l’80% della ricchezza del Paese. Questa regola, nota come la “ legge del 80/20 di Pareto “ è stata applicata a vari ambiti economici, informatici e umanistici.2 Jeff Jarvis è un giornalista americano creatore del popolare weblog BuzzMachine

La Coda Lunga infl uenza tutti tre i canali di comunicazione. I motori di ricerca permettono agli utenti di trovare online anche le informazioni più peculiari, questo signifi ca che il modo ottimale per scalare il posizionamento online è investire su chiave articolate e su prodotti di nicchia

Anderson, C. (2006), The Long Tail, Wired Magazine, 12-10.Brynjolfsson, E.; Hu Y.; and Smith, M.D. (2006) , From niches to riches: Anatomy of the long tail. Sloan Management Review, 47 (4), 67–71.

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Un’attenta analisi sul panorama produttivo e fi nanziario di una delle grandi economie mondiali che potrebbe affrontare un 2009 in crescita (ridotta) a dispetto della grave situazione internazionale

A cura dell’Uffi cio Promos di Moscain collaborazione con il Centro Studi DIRITTO & ECONOMIA IN RUSSIA E NELLA CSI

sull’economiaGli effetti della crisi

russa Tra le grandi economie mondiali emergenti, la Russia è da ol-tre sette anni al terzo posto come dinamica di sviluppo, dopo Cina e India. Nel 2006 il Pil russo è aumentato del 7,4%, nel 2007 dell’8,1 percento. E nella prima metà del 2008, rispetto alla prima metà del 2007, la crescita è stata del 7,5 percento. A partire dall’autunno 2008, la crisi mondiale ha incominciato a farsi sentire anche in Russia, facendo in primo luogo crollare la Borsa (anche se ha un’incidenza sull’economia reale molto minore che in Occidente), per poi rifl ettersi sulla produzione industriale. In seguito al calo di Borsa e alla fuga di capitali nel luglio-agosto 2008 per la crisi nel Caucaso, Standard & Poors il 19 settembre riduceva il rating sovrano della Russia da “positivo” a “stabile”, e poi a “negativo”, l’8 dicembre 2008. Anche Fitch Ratings, il 4 febbraio 2009, ha abbassato il rating russo a BBB.

Dal 5,4% a metà anno, la produzione è scesa al 4,9% nei primi dieci mesi, al 3,7% a fi ne novembre, e al 2,1% a fi ne anno. La caduta produttiva è stata particolarmente vistosa a novembre, con un calo di oltre il 10% su ottobre e di quasi il 9% rispetto al novembre 2007. Grazie al buon andamento dei primi 7-9 mesi, il Pil russo è comunque riuscito a terminare il 2008 con

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Soluzioni per le imprese

un aumento del 5,6% comunque inferiore alle previsioni del 6-6,5% del tardo autunno. La Russia, che mantiene il terzo posto del mondo in termini di riserve valutarie, (erano di 427 miliardi di dollari al 1 gennaio 2009, poi scesi a 382 miliardi fi no al 20 febbraio), rimane in buona posizione per fronteggiare la crisi economica e fi nanziare i settori dell’eco-nomia maggiormente in diffi coltà. Per un bi-lancio dell’impatto della crisi sull’industria russa si dovranno attendere i dati del primo trimestre 2009. Nel mese di gennaio varie tra le più grandi aziende russe hanno prolungato le vacanze dei dipendenti. L’industria automobilistica, in particolare il Vaz di Togliatti, ha in pratica fermato le linee di produzione per quasi tut-to mese. In altri settori si è avuta una ripre-sa eff ettiva di produzione, come il 13% nella metallurgia (e ci si attende un’ulteriore cre-scita del 30-40% nei mesi di febbraio-marzo, rispetto ai livelli del 2008). Egualmente in ripresa si presentano i settori della chimica e dei fertilizzanti. Anche l’agricoltura registra un +2,6%. Il commercio al minuto, pur in un mese di pausa come gennaio, è comunque ri-uscito a crescere del 2,4% secondo il Rosstat, e del 5,8% secondo la Banca Centrale.

L’industria russa sembra aver già scontato in buona parte nei mesi di novembre e dicem-bre, anche sul piano psicologico, gli eff etti

maggiormente negativi della crisi, ed ha con-tinuato tale adattamento anche in febbraio, in termini di riduzione di personale, tagli del-le spese non strettamente necessarie, rinvio di piani di investimento, diminuzione delle scorte a magazzino, etc. A queste tendenze si stanno accompagnan-do i primi eff etti positivi della svalutazione di fatto del rublo di circa il 30% sul paniere dollaro-euro da ottobre 2008 a oggi, e l’im-minente revisione del bilancio statale, già anticipata nella sua versione fi nale il 26 feb-braio dal ministro delle Finanze. Il progetto di bilancio prevede un calo del Pil del 2,2% nel 2009 e di oltre il 7% della produzione in-dustriale, con un prezzo medio del petrolio di 41 dollari al barile (rispetto ai 50 dollari e 95 dollari delle prime due successive bozze di bilancio dell’ultimo trimestre 2008), un’infl a-zione del 13-14%, un tasso di disoccupazione dell’8%, un tasso di cambio medio annuo ru-blo/dollaro del 35,1 percento.

Alcuni economisti ritengono però che se il governo riuscisse eff ettivamente ad attuare nei prossimi mesi le annunciate misure di sti-molo anti-crisi (investimenti nella logistica-infrastrutture, edilizia, agricoltura, difesa, sostegno sociale alla popolazione), il Pil russo potrebbe addirittura crescere del 2-3% entro fi ne 2009. Nel 2006 il valor del mercato dei beni di consumo in Russia era di 331,9 miliar-

Si prevede un calo del Pil del 2,2% nel 2009 e di oltre il 7% della produzione industriale, con un prezzo medio del petrolio di 41 dollari al barile (rispetto ai 50 dollari e 95 dollari delle prime due successive bozze di bilancio dell’ultimo trimestre 2008), un’infl azione del 13-14%, un tasso di disoccupazione dell’8%, un tasso di cambio medio annuo rublo/dollaro del 35,1 percento

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Internazionalizzazione

di di dollari; nel 2007 ha raggiunto i 421,8 miliardi di dollari; nel 2008 ha superato i 558 miliardi di dollari (al cambio medio dell’anno). La crisi provocherà un rallentamento temporaneo dello sviluppo del potere di acquisto della popolazione russa, anche se sarà limitato alla fascia media e media-inferiore, e dovrebbe venir superato già nel 2010.

Trend principali settori nel 2008Nel 2008 rispetto al 2007, la produzione industriale è aumentata del 2,1% a causa del brusco rallentamento nel quarto trimestre. Al suo in-terno l’industria manifatturiera ha avuto un aumento del 3,2 percento. Il maggiore aumento lo si è avuto nella produzione di materie plasti-che (+12,5%), di mezzi di trasporto (+9,5%), in quella di macchinari e impianti (+4,0%), nella produzione del carbon coke e di prodotti pe-trolchimici (+2,7). Inferiore alla media, ma comunque in aumento è la produzione di pelletteria e calzature (+1,7%), il settore lavorazione del legno e prodotti del legno (+1,4%) e la produzione alimentare (+1,1%). In negativo l’industria metallurgica (-0,2%), quella chimica (-4,2%) e il tessile e abbigliamento (-4,5%). La produzione di elettrotecnica, elet-tronica e ottica ha segnato il maggior calo rispetto al 2008, -7,9 per-cento.

L’estrazione e lavorazione di materie prime ha un andamento sempre più ridotto e nel 2008 è aumentata solo dello 0,2%, mentre la produzio-ne e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua è salita da -0,2% nel 2007 a +1,4 percento.

La Russia, pur rimanendo il maggior produttore mondiale di gas natu-rale e ai primi posti come produttore di petrolio, tenendo conto dei suoi

impegni all’esportazione, ma anche della domanda interna, rischia in futuro un defi cit energetico, qualora non investa in tempi adeguati, sia nella prospezione, sia nello sviluppo dei suoi grandi nuovi giacimenti, che si trovano però in regioni climaticamente diffi cili e quasi prive del-le infrastrutture necessarie.

Interscambio commercialeNel 2008 l’interscambio complessivo è salito a 734,991 miliardi di dol-lari (+33,2%).

Esportazioni: 468,073 miliardi di dollari (+33%)• Importazioni: 266,918 miliardi di dollari (+33,6%)• Saldo attivo: 201,155 miliardi di dollari. •

Specie dopo il 2005, il boom economico-industriale e dei consumi ha provocato una forte crescita delle importazioni di macchine e impian-ti per l’ammodernamento produttivo, nonché di beni di consumo di qualità per l’aumento del potere di acquisto della classe media, mentre le produzione interna russa non riusciva a soddisfare la domanda cre-scente.

Il commercio Italia – RussiaLe relazioni commerciali tra Italia e Russia sono particolarmente in-tense.

Nel 2005 le esportazioni italiane in Russia sono cresciute del • 22,4% arrivando a 6.075 milioni di euro. L’import ha registrato un aumento del 20,5% arrivando a 11.704 milioni di euro. Nel 2006 l’export italiano è aumentato del 25,7% rispetto al 2005, •

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raggiungendo i 7.639 milioni di euro. L’import è cresciuto del 16,1%, specie per la dipendenza energetica dell’Italia, fi no a 13.591 milioni di euro. Nel 2007 l’export italiano è ancora au-• mentato rispetto al 2006 del 25,3%, raggiungendo 9.577 milioni di euro. L’import è salito a 14.354 milioni di euro (+5,6%). Nel 2008 le esportazioni italiane in • Russia sono aumentate del 9,3% (contro il 25,3% del 2007) arrivando a 10.470 milioni di euro. Le importazioni italia-ne, soprattutto di energia russa, sono cresciute del 12%, arrivando a 16.085 milioni di euro.

Per quanto riguarda la struttura delle no-stre esportazioni, la prevalenza va sempre ai macchinari e impianti, seguiti dai mobili e poi dall’abbigliamento, mentre le esporta-zioni di prodotti alimentari, in primo luogo vini, occupano una quota ancora relativa-mente modesta, e suscettibile di notevoli miglioramenti, peraltro già parzialmente in corso.

La maggiore incidenza sulle esportazioni

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italiane in Russia nel 2008 continuano ad averla i prodotti della industria manifattu-riera (10.365 milioni di euro):

30,9% macchine e apparecchi mecca-• nici15,8% prodotti della industria tessile e • abbigliamento 8,0% per i mobili• 7,5% cuoio e prodotti in cuoio• 7,0% metalli e prodotti in metallo. •

Sesta è la voce apparecchi elettrici di preci-sione con 652,045 milioni di euro e una inci-denza del 6,2 percento. La settima voce sono i mezzi di trasporto con 587,2 milioni di euro e una incidenza del 5,6%, vengono poi i prodotti chimici e fi bre sintetiche e artifi ciali con 531,7 milioni di euro e una incidenza del 5,1 percento.I prodotti alimentari, compresi tabacco e bevande con 352,9 milioni di euro e una incidenza del 3,4% sono al nono posto. Gli alimentari sono seguiti dai prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi con 317,9 milioni di euro e il 3,0% del totale.Undicesima voce è quella di articoli in gom-ma e materie plastiche con 231,4 milioni di euro e un incidenza pari al 2,2 percento. Se-guono carta e prodotti di carta, stampa ed editoria con 143,0 milioni di euro (1,4%), le-gno e prodotti in legno (esclusi i mobili) con 97,2 milioni di euro e una incidenza dello 0,9 percento.

I prodotti agricoli con 94,3 milioni di euro hanno anche essi una incidenza dello 0,9% e sono la quattordicesima voce; quindicesi-ma sono i prodotti petroliferi raffi nati con 24,4 milioni di euro e lo 0,2% del totale.

Sulle importazioni italiane, pari nel 2008 a 16.085 milioni di euro, la maggiore inciden-za, 71,2%, continuano ad averla i minerali energetici con 11.452 milioni di euro. Vengono poi i prodotti della industria mani-fatturiera con 4.449 milioni di euro (27,7%); all’interno di questa voce i metalli e prodotti in metallo con 2.123 milioni di euro hanno una incidenza sul totale pari al 13,2%, men-tre i prodotti petroliferi raffi nati con 1.606 milioni di euro ne hanno una del 10,0 per-cento.

Gli investimenti stranieri complessivi:nel 2006 crescono del 2,7%, fi no a 55,1 • miliardi di dollarinel 2007 sono più che raddoppiati ri-• spetto al 2006 e hanno raggiunto i 120,9 miliardi di dollarinel 2008 arrivano a 103,7 miliardi, di-• minuendo del 14,2% rispetto al 2007.

La tendenza alla crescita degli investimen-ti, malgrado il signifi cativo calo nel 2008, è destinata comunque a riprendere in una prospettiva di fi ne 2009-2010, una volta su-perata la crisi. L’entità degli investimenti esteri è infatti ancora relativamente modesta in rapporto al vero potenziale e agli obiettivi di crescita dell’economia russa. |

Nel 2008 rispetto al 2007, la produzione industriale è aumentata del 2,1% a causa del brusco rallentamento nel quarto trimestre. Al suo interno l’industria manifatturiera ha avuto un aumento del 3,2 percento. Il maggiore aumento lo si è avuto nella produzione di materie plastiche (+12,5%), di mezzi di trasporto (+9,5%), in quella di macchinari e impianti (+4,0%), nella produzione del carbon coke e di prodotti petrolchimici (+2,7). Inferiore alla media, ma comunque in aumento è la produzione di pelletteria e calzature (+1,7%), il settore lavorazione del legno e prodotti del legno (+1,4%) e la produzione alimentare (+1,1%)

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