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  • Archeologia Barbarica 1

  • SAP Società Archeologica s.r.l.Mantova, aprile 2017

    Archeologia dei Longobardi:dati e metodi per nuovi percorsi di analisi

    I Incontro per l’Archeologia barbaricaMilano, 2 maggio 2016

    a cura di Caterina Giostra

    Università Cattolica del Sacro Cuore - MilanoDipartimento di Storia, Archeologia e Storia dell'ArteScuola di Specializzazione in Beni archeologici

    in collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli

  • Composizione e impaginazione:Francesca Benetti, SAP Società Archeologica s.r.l.

    2017, © SAP Società Archeologica s.r.l.Strada Fienili 39a - 46020 Quingentole (Mn)Tel. 0386 42591www.archeologica.it

    ISSN 2532-3202ISBN 978-88-99547-12-7

    Collana: Archeologia Barbarica

    Responsabile scientifico: Caterina Giostra, Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano

    Membri del Comitato scientifico:Ermanno A. Arslan, Accademia Nazionale dei Lincei - Roma; Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo - SpoletoAngela Borzacconi, Museo Archeologico Nazionale di Cividale del FriuliGian Pietro Brogiolo, già Università degli Studi di PadovaVincenzo Gheroldi, Storico dell’ArteSilvia Lusuardi Siena, Università Cattolica del Sacro Cuore - MilanoEgle Micheletto, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Alessandria, Asti e CuneoElisa Possenti, Università degli Studi di TrentoDieter Quast, Römisch-Germanisches Zentralmuseum - MainzMarco Sannazaro, Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano, BresciaTivadar Vida, Eőtvős Loránd University - Budapest Luca Villa, ArcheologoDaniel Winger (nato Peters), Universität Rostock

    La collana viene sottoposta a peer review.

    La pubblicazione del presente volume è stata resa possibile grazie al contributo finanziario dell’Università Cattolicasulla base di una valutazione dei risultati della ricerca in essa espressa (linea D.3.1, 2017). Ci si è avvalsi anche delsostegno finanziario offerto dal Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli.

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    Sommario

    PresentazioniSilvia Lusuardi SienaAngela Borzacconi, Luca Caburlotto

    Introduzione. Incontri per l’archeologia barbaricaCaterina Giostra

    Necropoli e abitati ruraliTemi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in ItaliaCaterina Giostra

    Recenti scoperte e ricerca interdisciplinare in Ungheria: la necropoli longobarda di SzóládTivadar Vida

    La deposizione del cavallo nei cimiteri longobardi: dati e prime osservazioniAnnamaria Fedele

    La struttura sociale nelle necropoli longobarde italiane: una lettura archeologicaCaterina Giostra

    L’insediamento di Curtatone, loc. Buscoldo: strutture e organizzazione di un abitato di V-VIIsecolo nel territorio mantovanoChiara Marastoni

    Castra, città, luoghi di cultoIl Castrum Artenia nel quadro del popolamento altomedievale del ducato di Forum IuliiLuca Villa

    Il castello di Lomello. AggiornamentiGian Pietro Brogiolo

    Pavia capitale del Regno dei Longobardi: un’iniziativa di studio e valorizzazioneAndrea Arrighetti, Alessio Cardaci, Dario Gallina, Rosanina Invernizzi, Francesco Lo Monaco, Riccardo RaoAppendice. Santa Maria ad Perticas Simone Caldano, Francesco Lo Conte, Laura Cajo, Luca Somaini, Mauro Vassena, Chiara Carloni, Maria Chiara Sucurro,Saverio Lomartire, Serena Scansetti, Alessandro Bona

    Tecniche di pittura murale tra VIII e IX secolo: metodi di indagine e nuove acquisizioniVincenzo Gheroldi, Sara Marazzani

    MaterialiLe fibule a staffa di Cividale del Friuli: dati e riflessioniMichela Bertolini

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  • I ritrovamenti di natura funeraria meglio attribuibili allapresenza longobarda in Italia costituiscono un ambitoche resta a tutt’oggi una fonte materiale privilegiataper lo studio di questi gruppi e del loro stadio cultu-rale, soprattutto durante le prime generazioni di stan-ziamento nella penisola1; questo, nonostante l’attribu-zione etnico-culturale di manufatti e rituali sia datempo oggetto di un acceso dibattito internazionale. Icontesti si presentano articolati nella tipologia: dallegrandi necropoli in area aperta, ai piccoli nuclei nobi-liari e alle tombe isolate, anche all’interno degli inse-diamenti, alle sepolture in chiesa. Soprattutto, dispo-niamo di un’archeologia barbarica che negli ultimivent’anni anche in Italia ha compiuto un decisivo saltodi qualità, scavando varie necropoli in maniera esten-siva e con pratiche più rigorose sotto il profilo delmetodo, tanto da offrire ormai un ampio e rinnovatoquadro di dati (figg. 1-2)2.Inoltre, le sepolture cominciano ad essere affiancatedal rinvenimento di porzioni dei relativi abitati, sia inambito urbano che rurale: disponiamo quindi – sep-

    pure in termini ancora parziali – di altri preziosi dati percomprendere le strutture sociali, oltre che l’organizza-zione territoriale del regnum. Sempre di più, i resti ven-gono studiati con interdisciplinarietà dei metodi, anchearcheometrici, per verificare e sostanziare il dato sto-rico-archeologico (peraltro diffusamente ritenuto dicontroversa lettura, se non di dubbia validità interpre-tativa) e per una più approfondita e ‘oggettiva’ cono-scenza della fisionomia sociale e culturale longobarda.Questo, pur nella complessità di continue commistionie recezioni di differenti apporti commerciali e culturali,che diverranno manifeste nelle espressioni artistiche earchitettoniche più tarde, come i ben noti monumentiecclesiastici dichiarati dall’Unesco patrimonio del-l’umanità nel sito seriale dell’Italia Langobardorum3. Il contributo si propone di presentare alcuni dati e spuntidi riflessione, tra i molti ormai possibili, con l’obiettivo ditratteggiare un quadro delle attuali molteplici risorsedella ricerca in questo ambito e di esemplificarne laqualità e le potenzialità dell’informazione disponibile,pur non esente da problematicità interpretative.

    Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia

    * Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano; [email protected] Il presente contributo riprende spunti esposti nell’intervento intro-duttivo tenuto dalla scrivente in occasione della Giornata di Studi Altempo dei Longobardi in Piemonte: nuove scoperte archeologiche,organizzato ad Asti nel 2013 dalla allora Soprintendenza per i BeniArcheologici del Piemonte; richiama dunque, in primo luogo, i sitipiemontesi di più recente rinvenimento, pur inseriti nel panoramanazionale.2 Soprattutto in merito ai siti più estesi, che richiedono tempi più lun-ghi per le attività di restauro, documentazione e studio, in generesono state prodotte al momento pubblicazioni preliminari o parziali;

    tuttavia, se ne prevede a breve l’edizione completa. Per i contesti piùcontenuti invece si dispone già di varie pubblicazioni monografiche(per tutte si veda infra).3 Sono gli edifici di culto cristiani di Cividale - Santa Maria in Valle,Brescia - San Salvatore, Castelseprio - Santa Maria foris Portas e ilmonastero di Torba, Spoleto - San Salvatore e il vicino il tempietto aCampello sul Clitunno, Benevento - Santa Sofia e il santuario di SanMichele Arcangelo a Monte Sant’Angelo, sul Gargano. Oltre a questechiese, vanno ricordate almeno la chiesa palatina di San Pietro aCorte a Salerno, pur conservata meno integralmente, e la chiesa diSan Felice e le cripte pavesi (per i rimandi bibliografici sui siti urbanisi rinvia per brevità a: GIOSTRA 2014a).

    Caterina Giostra*

  • Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi

    1. Un lungo dibattito teorico

    1.a. Sul fronte degli storici

    Pochi temi nella storia medievale europea sono passatiattraverso il vaglio (o ‘travaglio’) critico a cui è stato sot-toposto da tempo lo studio delle culture barbariche edelle Grandi Migrazioni, fino alla formazione dei regniromano-barbarici. Hanno visto una serrata revisione: lanatura stessa e l’origine e formazione (etnogenesi) diquesti popoli, che si preferisce chiamare gentes; lemodalità degli spostamenti e la loro portata; i tratti cul-turali più propri e il senso di appartenenza a un insiemedi tradizioni; il concetto stesso di etnicità. Tale pro-cesso ha raggiunto esiti talvolta radicali nella direzionedel negazionismo; ciò ha portato a dubitare che la cul-tura materiale e le pratiche rituali che l’archeologiarestituisce possano essere espressione di identitàetnico-culturale, utili all’identificazione e quindi allaconoscenza di tali gruppi. In questa sede è parso dun-que un passaggio obbligato riprendere in sintesi i ter-mini del dibattito e le posizioni che ne sono scaturite,prima di considerare le potenzialità dei recenti rinveni-menti, che ritengo invece particolarmente significativi epromettenti per un avanzamento delle nostre cono-scenze sulla presenza barbarica nel nostro paese, seadeguatamente valorizzati.Fin dagli studi di Reinhard Wenskus degli anni Ses-santa del Novecento è stato rimarcato come, durante iloro spostamenti, i gruppi migranti fossero soggetti afenomeni di disgregazione, perdendo nuclei che rima-nevano nelle vecchie sedi, e di aggregazione, annet-tendo frazioni di altri popoli già presenti nei territori dinuovo stanziamento, soprattutto guerrieri di prove-nienza eterogenea attratti dai successi militari e dalconseguente arricchimento4. Il fenomeno è raccontatoa più riprese anche dalle fonti scritte5. Ne dovette deri-

    4 WENSKUS 1961; WOLFRAM 1990; POHL 2000; JARNUT 2002.5 Fra gli altri, Paolo Diacono (Hist. Lang., II, 26) narra che, dopo ladecisiva vittoria sui Gepidi in Pannonia, i Longobardi mossero versol’Italia seguiti da gruppi pur minoritari di Gepidi, Unni, Sarmati, Svevi,Sassoni e alcuni Romani provinciali. Tuttavia, nel 573 i Sassonilasciarono l’Italia: secondo Paolo Diacono la causa fu che i Longo-bardi non permisero ai Sassoni di mantenere le loro leggi, evidente-mente ritenute garanzia dell’identità tribale. Ciò ha fatto ritenere che,mentre l’assimilazione di singoli individui poteva essere accettata,doveva essere più difficoltosa l’assimilazione forzata di un popolo,soprattutto quando non sottomesso (MODZELEWSKI 2008, p. 72).6 Scriveva già Tacito (Germania, cap. 2): “I Germani celebrano incanti di antichissima origine, che presso di loro sono l’unico generedi registrazione della tradizione e della storia”, quindi il veicolo perla trasmissione di generazione in generazione della memoria collet-tiva.

    7 In GASPARRI 1992 si ritiene che, nella cultura arcaica dei Longobardi,gli antiqui homines (citati nell’editto di Rotari per il recupero dellamemoria collettiva) avessero la funzione di ‘uomini della memoria’,custodi non solo della tradizione giuridica della comunità tribale, maanche di quella mitologica e storica e possedessero la capacitàcomunicativa della recitazione. Sulla persistenza della cultura tradi-zionale longobarda in Italia: GASPARRI 1983; sulla rintracciabilità di variaspetti della cultura tradizionale (lingua, credenze e altro) presso leélites longobarde ancora nell’VIII secolo: DELOGU 2015. Più in gene-rale sul concetto di cultura in senso antropologico ed etnograficoquale ”insieme complesso che include la conoscenza, le credenze,l’arte, la morale, il costume acquisite dall’uomo come membro di unasocietà”, pur in una più ampia dimensione dinamica, comunicativa enegoziale: FABIETTI 1998, pp. 51-55. Una chiara sintesi di aspetti legatia etnogenesi, migrazioni, integrazioni e nuove identità culturali e poli-tiche nei regni romano-germanici è in: ROTILI 2010; ROTILI 2012.

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    vare un carattere composito del gruppo sotto il profilobiologico e socio-culturale: quest’ultimo forse in minormisura, almeno quando le componenti avevano ana-logo stadio tribale, erano comunità di lingua germa-nica, con culto di divinità pagane e affinità dei costumi.Le gentes dovettero comunque modificarsi a piùriprese, mantenendo una fisionomia aperta e fluida;inoltre, sicuramente recepivano influenze culturali ecommerciali di più ampio raggio, provenienti da tradi-zioni nomadiche e mediterranee. La loro coesione sarebbe derivata soprattutto dal cre-dere in un’ascendenza comune: l’identità dovetteessere veicolata da un nucleo di storie e tradizioni (inprimo luogo i miti delle origini), nelle quali la comunità siriconosceva. A lungo tramandate oralmente attraverso icarmina antiqua, furono poi fissate con la scrittura, per iLongobardi in primo luogo nell’Origo gentis Langobar-dorum (VII secolo)6. Soprattutto i lignaggi familiari –verosimilmente attraverso gli ‘uomini della memoria’ o‘nuclei di tradizione’ – dovettero trasmettere la ricostru-zione storico-mitica della stirpe, ritenendosi i depositaridi un passato che avvalorava il predominio sociale suglialtri gruppi aggregati o sottomessi; essi dovettero per-petuare a lungo anche altri aspetti della ‘cultura tradi-zionale’, cioè di quel complesso intreccio che legavaistituzioni politiche e militari, struttura sociale tribale,norme di convivenza, lingua e religiosità pagana7.Partendo dall’ammonimento – senz’altro opportuno –circa una fisionomia aperta, fluida e composita deipopoli barbarici, nonché sulla complessità delle intera-zioni culturali e sulla mutevolezza dei comportamentiumani sul lungo periodo, alcuni orientamenti storiogra-fici (in Europa e ancor più in ambito nord-americano)sono arrivati a negare l’esistenza di una coscienzaidentitaria collettiva delle gentes e di una loro coesioneetnico-culturale, in favore di una rapida acculturazionee integrazione nel mondo romano. Anzi, l’aggrega-

  • Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia 17

    zione e la denominazione di questi gruppi sarebberodipese proprio dai contatti con l’impero alla fine del IVsecolo: questi avrebbero comportato – per quelle cheerano caotiche bande di guerrieri – l’esigenza dimeglio organizzarsi militarmente e di compattarsisocialmente sotto la guida di capi carismatici. La coe-sione di una determinata etnia sarebbe dunque contin-gente e consisterebbe in un esercito solidale a uncapo; gli scontri sarebbero determinati da interessi edequilibri politici prodottisi di volta in volta e non da alte-rità e contrapposizioni più pronunciate8. La storiografialatina avrebbe definito le identità dei popoli, formulan-done una rappresentazione come entità coerentisecondo una propria tendenza a categorizzare il mag-matico e indistinto Barbaricum9; la storiografia nazio-nale poi (Paolo Diacono per i Longobardi) avrebbecontribuito in modo determinante a costruire tradizionia posteriori, in un momento in cui si andava perdendola rilevanza politica e sociale del gruppo stesso10. Inoltre, gli antichi contatti tra Barbari e Romani e gliscambi commerciali lungo il limes sono stati rimarcati atal punto che si è delineata una ricostruzione storicadella tarda antichità e dell’alto medioevo (fine dell’im-pero romano e regni barbarici) improntata al continui-smo e caratterizzata da trasformazioni assai lente e gra-duali e di matrice solo economica11. Anche il fenomenostorico delle migrazioni ha visto un drastico ridimensio-namento nell’entità e nelle distanze: non sarebbe maistato di massa, bensì a ondate differenti; inoltre, vienespesso accomunato ad altre forme di mobilità indivi-duale o in piccoli gruppi e temporanea, come pellegri-naggi, ambascerie o spostamenti per lavori stagionali

    con sistematico ritorno alla terra d’origine, attività inrealtà di tutt’altra natura e certo non specifiche dell’ ‘etàdelle migrazioni’12. Quando non negate, esse vengonorelativizzate – in termini a dir poco generalizzanti – in unflusso continuo, dal momento che le migrazioni non sisono mai interrotte nella storia, non solo europea maanche mondiale. Persino le correlazioni – e le recipro-che conferme – fra le citazioni dei nomi di popoli nellefonti scritte e le differenti culture materiali riconosciutedagli archeologi, che sembrano percorrere in parallelo itracciati delle grandi migrazioni e che permettono diidentificare (e conoscere) i vari gruppi, vengono ritenutedei pericolosi circoli viziosi che creano realtà inesistenti.Tuttavia, il confronto fra testi scritti e contesti archeolo-gici (corroborati da altre serie documentarie e tipologiedi analisi, ad attenuarne lacune e ambiguità) non costi-tuisce – sotto il profilo del metodo – una integrazione difonti di differente natura, che concorrono utilmente allaricostruzione storica? In merito a una formazione contingente e ‘fittizia’ deipopoli germanici alla fine del IV secolo e in particolarecirca i Longobardi, vi è da ricordare che essi vengononominati già da autori antichi come Tacito, a dimostra-zione della loro precedente esistenza, per poi riemer-gere nei testi di VI secolo con lo stesso nome, pur doposcontri e incontri con altri gruppi. La circostanza sem-bra indicare che l’identità dei Longobardi si sia pro-tratta a prescindere dalla visione che ne ebbero gliosservatori romani e che neppure si può sminuire deltutto la continuità delle tradizioni. In generale, non pareconvincente ridurre a meri fattori contingenti o di cal-colo politico gli scontri fra Romani e Barbari o anche fra

    8 AMORY1997; GEARY 2002; GOFFART 2006; HALSALL 2007.9 Da qui la nota espressione di Patrick Geary secondo cui i Germanisarebbero “la più grande e duratura creazione del genio politico emilitare di Roma”.10 GOFFART1988, che ritiene i testi storiografici altomedievali delle fin-zioni letterarie. I giudizi ipercritici tendono in genere a screditare letestimonianze sui Barbari in quanto contaminate da stereotipi indottidalla civiltà mediterranea; tuttavia, la comparazione fra fonti distantiper cronologia o ambito geografico evidenzia la frequente conver-genza dei contenuti, provandone la credibilità (MODZELEWSKI 2008).11 Indicativamente: Kingdoms of the Empire 1997, nell’ambito delprogetto The Transformation of the Roman World 1997, che significa-tivamente comprende il periodo dal 400 al 900. Di contro, a coglieree interpretare i segni del forte cambiamento: WARD-PERKINS 2005,accolto “con senso di liberazione” da chi ormai avverte tutto il pesodi correnti storiografiche estremiste e dai toni spesso perentori etotalizzanti (VALENTI 2009, p. 29). Inoltre, la teoria circa la persistenzadel sistema fiscale romano su tutta l’area dell’impero d’Occidentefino all’età carolingia e la continuità istituzionale, per cui i regni bar-barici (anche quello dei Longobardi) sarebbero stati il principale ele-mento dell’ordine pubblico romano che rimase in vita senza grandicambiamenti, ha suscitato da tempo severe critiche (BARNISH 1986;

    WICKHAM 1993; MODZELEWSKI 2008; di recente, anche in chiavearcheologica: BROGIOLO 2011).12 Anche la notizia dello spostamento dei Longobardi dalla Pannoniaall’Italia, riferito da Paolo Diacono come un evento che avrebbe inte-ressato tutto il popolo e comportato l’abbandono dei precedenti inse-diamenti, è oggi soggetta a un tentativo di discredito mediante laricerca di elementi datanti (tipologie dei reperti e analisi al radiocar-bonio dei resti ossei, che peraltro offrono ampi ranges cronologici)che possano comprovare la permanenza in Pannonia di qualcheindividuo longobardo e la continuità almeno parziale delle necropolidopo il 568. A tal proposito, pur non escludendo una maggiore e bencomprensibile complessità dell’evento migratorio rispetto a quantoriferito dalla fonte, si segnala che una recente ricerca sulla necropolilongobarda di Szólád, nei pressi del lago Balaton, che ha correlatoanalisi archeologiche, antropologiche, paleogenetiche e isotopiche,ha riscontrato che tutto il campione analizzato apparteneva a indivi-dui nati altrove, dunque verosimilmente una comunità integralmentemigrata; la stessa sarebbe rimasta sul posto non più di venti anni epoi si sarebbe spostata interamente, avvalorando l’ipotesi di unanuova migrazione (ALT ET AL. 2014). Cfr. infra e contributo di TivadarVida in questa sede.

  • Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi

    gruppi germanici diversi: essi dovettero essere causatianche “dal riconoscersi reciprocamente diversi (equindi molto spesso ostili) e ciò in base all’esistenza diun’autocoscienza collettiva e condivisa, che nonpoteva derivare esclusivamente da elaborazionicostruite dalle élites”13. Le gesta dei Longobardi ripor-tate da Paolo Diacono, peraltro, dovevano essere giàconsolidate e condivise almeno ai tempi di Teodolinda,se la regina volle che fossero riprodotte nei dipinti delsuo palazzo a Monza, insieme all’aspetto, al modo divestire e di sistemare la capigliatura del suo popolo,ergendosi a custode delle memorie nazionali, pur nelcambiamento dettato dalla conversione religiosa (Hist.Lang., IV, 22). Soprattutto, è stata contestata l’ideadella fine dell’impero romano in Occidente come una“lunga trasformazione”, minimizzando sia gli shockculturali che le pesanti ricadute sugli standard del-l’economia e delle attività artigianali e artistiche, dellademografia e dell’organizzazione sociale e insediativarilevate chiaramente dall’indagine archeologica14.Nella costruzione del regno in Italia i Longobardi nonpoterono contare su entrate fiscali; basarono l’organiz-zazione delle forze armate sulla mobilitazione generaledi tutti gli uomini liberi, sui valori tradizionali che assicu-ravano la coesione del gruppo dominante (e il predo-minio sociale) e su un popolo-esercito che teneva unitala comunità al suo re e ai suoi comandanti. In ambitolegislativo si registra una lunga vita delle categorieconcettuali e delle norme che identificavano il popolocon l’esercito e l’uomo libero con il guerriero, con unriferimento militare nella classificazione sociale. La tra-dizione giuridica offriva il fondamento ideologico e poli-tico della monarchia: le codificazioni regie delle leggirimasero legate all’archetipo tribale, seppure influen-zate dalla Chiesa e dai modelli classici15. Su tutti questi aspetti (istituzionali, economici, giuridicie altro) non mancano – e paiono le pagine più convin-

    13 MARAZZI 2014, p. 65, dove si legge: “in tal senso, si è sottolineato ilfatto che di molte gentes barbariche (inclusi i Longobardi) la storio-grafia romana ha tracciato l’esistenza per tempi e spazi troppo estesiperché si possa accettare senza riserve il modello di una continuadecostruzione e ricostruzione dell’identità dei singoli popoli. Sonostati mossi rilievi a una ricostruzione dell’impatto dei popoli entratinell’impero troppo sbilanciata su concetti di ‘mediazione’ e ‘acco-glienza’, sottovalutando i traumi e le cesure nelle condizioni di vitadegli ‘invasori’ e degli ‘invasi’ (fine della citazione).14 MARAZZI 2014, con riferimenti precedenti.15 Sulla radicale differenza fra i sistemi normativi longobardo e visi-goto, nonché sulla sostanziale discontinuità fra società tardoantica inItalia e cultura giuridica e organizzazione sociale nel regno longo-bardo: DELOGU 2001.16 Tra gli altri: HEATHER 2005; MODZELEWSKI 2008.17 Si pensi alla penisola italiana, dal profilo biologico e culturale piut-

    tosto composito già in età tardo imperiale, ma che con l’arrivo deiGoti prima e dei Longobardi poi è indubbiamente interessata dafenomeni nuovi e di portata rilevante sul piano socio-politico, econo-mico e culturale. In concomitanza con queste nuove presenze, l’ar-cheologia registra chiari, improvvisi e coerenti segni di novità neimateriali, nelle forme insediative e nei riti della morte rispetto ai coevicontesti circostanti (DELOGU 2007; BROGIOLO - CHAVARRÍA ARNAU 2008,pp. 273-275; GIOSTRA 2011c). Tutto questo, senza che l’attitudine‘classificatoria’ – utile nel percorso di conoscenza di strutture umanee di dinamiche dialettiche così complesse – arrivi a produrre seg-menti isolati; tanto meno sono concepibili nelle dinamiche storicheconcetti quali fissità, primordialità e definitività.18 BINFORD 1971; CHAPMAN - RANDSBORG 1981; BINFORD 1983. È giàpresente l’apporto dell’antropologia culturale e dell’etnoarcheologia,pur da usare con cautela per evitare meccanici parallelismi improprie fuorvianti (soprattutto in ambito culturale e simbolico).

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    centi e affascinanti – orientamenti storiografici che ana-lizzano gli spostamenti migratori in tutta la loro portatae che vedono l’Europa tardoantica e altomedievaleinnanzitutto come luogo di differenze, prima che diidentità comuni, e di complicati processi di influenzareciproca, che sono all’origine della varietà culturaledell’Europa attuale16.

    1.b. Sul fronte degli archeologi

    Le obiezioni sul piano storico precedentemente illu-strate hanno portato, come conseguenza induttivapressante (e forse anche ‘invadente’), a escludere chele evidenze archeologiche – in particolare gli oggetti dicorredo e i rituali funerari – possano essere il prodottodi specificità culturali, utilizzabili oggi quali indicatorietnici almeno negli ambiti territoriali a maggiore discon-tinuità culturale17. Tale posizione ha ancorato il suo fon-damento teorico nella corrente post-processualista; maripercorriamo con ordine i passaggi essenziali. Il cosiddetto paradigma storico-culturale era il metododi studio e di interpretazione dei manufatti che in pas-sato operava strette connessioni fra le diverse culturearcheologiche e i vari popoli, poi identificati con l’aiutodelle fonti scritte. Rispetto a questa corrente, già il pro-cessualismo aveva utilmente affiancato alla dimen-sione etnico-culturale quella sociale, economica eambientale, quale possibile fattore di trasformazionedella cultura materiale e di definizione del rituale fune-rario; inoltre invitava ad articolare maggiormente ilsistema simbolico come riflesso anche della comples-sità sociale della comunità, includendo variabili dettateda sesso, età, rango, clan familiare, credo religioso,professione e altro18.Negli ultimi decenni il post-processualismo, mutuandole categorie di analisi dall’antropologia culturale e dallasociologia, ha privilegiato ed enfatizzato il ruolo ideolo-

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    gico e metaforico della cultura materiale, usata consa-pevolmente al fine di strutturare i rapporti umani; ha sot-tolineato che essa può assumere un diverso significatoe simboleggiare diverse identità a seconda del conte-sto socio-politico. La cultura materiale non sarebbedunque un riflesso diretto dell’identità socioculturale eideologica del defunto, un indicatore passivo di sesso,età, etnicità, rango, cultura e religione, ma il prodotto dimediazioni sociali condotte localmente, un’entità attivautile alla costruzione e negoziazione del predominio,manipolabile a seconda delle strategie di distinzione, inun significato fortemente contestuale19. Ne scaturirebbe con forza la funzione ‘performativa’dei simboli: il funerale sarebbe fondamentalmente ilmomento della costruzione della memoria, per raffor-zare, affermare o creare relazioni e ruoli sociali.Sarebbe una sorta di rappresentazione teatrale, nellaquale interagiscono: il soggetto, che è il defunto; gliattori, ovvero i familiari che si fanno carico del funerale;il pubblico, cioè la comunità che assiste alla cerimoniae recepisce i messaggi codificati. La selezione dioggetti e pratiche comunicherebbe quelle identità deldefunto (e del gruppo parentale) che si sceglie di enfa-tizzare o anche inventare, aggiungendo attributi con-cepiti ex-novo; essa trasmetterebbe una realtà filtrata,o anche alterata o costruita20. Le dinamiche sociali epolitiche alla base di tali comportamenti sarebbero daleggere in relazione al contesto storico. Eppure lacomunità che assiste alla cerimonia conosceva ildefunto e la sua vicenda umana, con ruoli e poteri forsedifficili da accettare se non reali. Nell’ambito di taleorientamento teorico, dunque, si enfatizza la competi-zione sociale, utile alla trasmissione del predominio, inun contesto effettivamente improntato al dinamismosociale e alle incertezze: la negoziazione costituirebbela chiave di lettura sulla quale spostare l’attenzione nel-

    l’interpretazione dei corredi e dei rituali funerari. Anchel’archeologia ‘di genere’, che pure ha introdotto inte-ressanti stimoli, connette la selezione degli oggetti dicorredo unicamente alla rappresentazione dei ruolifemminili e maschili con riferimento all’età21. Rispetto alprimato attribuito all’ideologia nell’elaborazione deirituali funerari, vengono invece tralasciati gli aspetti dinatura religiosa e culturale, oltre che artistica, econo-mica e tecnologica22.La stessa identità etnica dovette essere impiegatacome strategia di auto-definizione e di identificazione,nonché di distinzione al fine del predominio sociale;criticata e negata come entità naturale innata – maanche come facies culturale organica, seppure dina-mica e complessa –, sarebbe una costruzione contin-gente e fluida, solo in rapporto a una alterità alla qualeci si contrappone23. Le espressioni cultuali e rituali nonsarebbero frutto di tradizioni radicate, bensì di scelteindividuali e di consuetudini locali dettate da fattori sto-rico-economici e ambientali contingenti; il linguaggiofigurativo e formale sarebbe invece diffuso indistinta-mente ad ampio raggio. Tuttavia l’antropologia cultu-rale, che ammette e discute concetti quali le distinzionietniche e le differenze culturali, l’organizzazione tribalee il mito come racconto delle origini e fondamento dellamemoria collettiva, chiama “contenuto culturale delledistinzioni etniche” i “segni espliciti” e gli “orientamentivaloriali” posseduti ed esibiti dai membri di un determi-nato gruppo, utili a segnalare appartenenza ed esclu-sione e quindi a designare l’identità in maniera costrut-tiva: i segni espliciti sono per esempio il modo divestire, la lingua, il tipo di abitazione; gli orientamenti divalore sono i criteri che guidano il comportamento, imetri di giudizio, ecc…; la memoria culturale invece èun’attribuzione di senso che si realizza mediantel’esplicito riferimento a simboli, riti e miti24.

    19 HODDER 1986; TILLEY (a cura di) 1990; MORELAND 1991; THOMAS1998; Reader in Archaeological Theory 1998; HODDER 2012; NIZZO2015.20 PEARSON 1998; BRATHER 2007.21 In Italia, una sintesi in: LA ROCCA 2007. Inoltre, indicativamente:LUCY 1997; GILCHRIST 1999; Gendering the Middle Age 2001; Genderin the Early Medieval World 2004; DÍAZ-ANDREU 2005; BARBIERA 2008.Tuttavia, marginale nella discussione sull’etnicità è parso il genereintrodotto per spiegare la funzione delle sepolture abbigliate (DELOGU2007, p. 404).22 Su questi ultimi: LA SALVIA 2009; BROGIOLO 2011, p. 105.23 Per l’antropologia culturale, l’identità etnica e l’etnicità, cioè il sen-timento di appartenere a un gruppo etnico, sono definizioni del sé e/odell’altro collettivi che hanno quasi sempre le proprie radici in rap-porti di forza tra gruppi coagulati attorno ad interessi specifici,“costruzioni culturali simboliche, il prodotto di circostanze storiche,sociali e politiche” (FABIETTI 1998, pp. 14 e 21). Tuttavia “l’identità

    etnica non è il frutto della pura immaginazione. Essa ha una sua onto-logia, una consistenza molto concreta per coloro che vi si ricono-scono” (p. 22); “il sentimento di appartenenza comune a una tradi-zione nasce da una serie di pratiche e di codici condivisi, pur sotto-posti a continua riformulazione” (p. 64). “I confini fra i gruppi persi-stono nonostante vi sia un passaggio di individui da un gruppo a unaltro, di modo che le distinzioni etniche non sono una conseguenzadell’assenza di contatti. Le distinzioni etniche non dipendono dal-l’isolamento; il contatto interetnico non si risolve necessariamentenell’assimilazione di un’etnia da parte di un’altra; le differenze pos-sono persistere nonostante l’interazione” (p. 96); “le etnie non sicostituiscono dall’oggi al domani, ma sono il risultato di stratificazionitemporali lunghe; d’altra parte, tutte le comunità, per essere tali,devono elaborare una struttura connettiva che leghi gli individui met-tendoli in grado di pensarsi nella forma di un ‘noi’ ” (p. 146). Si vedaanche: BARTH 1969.24 FABIETTI 1998, pp. 95-100 e 146.

  • Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi

    In termini archeologici, i complementi dell’abbiglia-mento, riti come il sacrificio del cavallo, specifiche tipo-logie di capanne, particolari manufatti e stili decorativisi presterebbero – attraverso una lettura pur cauta econsapevole – a far rivivere il bagaglio culturale più ori-ginale del Barbaricum25. Tuttavia, l’interpretazione inchiave etnica della cultura materiale ha rimandato glistudiosi dell’orientamento ‘negazionista’ al cosiddettoparadigma storico-culturale e soprattutto all’uso chene fece l’ideologia nazionalista della fine dell’Ottocentoe della prima metà del Novecento: la strumentalizza-zione in chiave politica della storia per legittimareregimi autoritari, l’autoidentificazione con i popoli anti-chi e la proiezione nel passato di conflitti dell’età con-temporanea26. Tale insistente richiamo ha attribuitouna connotazione fortemente negativa all’interesse perle specificità etnico-culturali del Barbaricum rispetto almondo mediterraneo; la sua estremizzazione ha pro-dotto il costante sforzo di negare qualunque tentativodi attribuzione etnica, costringendo anche i riti piùestranei alle pratiche mediterranee in un quadro evolu-zionistico locale27; la convinzione di compiere studiinnovativi destinati a riscrivere la storia dell’Occidenteromano-barbarico (e quindi dell’Europa) ha in realtàfatto tabula rasa di decenni di rigorosi studi filologici28. Se ripercorrere la storia degli studi e le relative‘devianze’ dettate dai condizionamenti ideologici è fareutilmente storia della storiografia, anche oggi lo stu-dioso può non essere esente dalle criticità del suotempo. In questo senso, credo che il tema (l’identitàetnico-culturale) venga studiato da una contempora-neità divisa fra il bisogno di identità a vari livelli (nazio-

    25 Alcuni spunti in GIOSTRA c.s.26 Per una sintesi delle critiche mosse all’approccio “etnico-cultu-rale” (che in Italia deriverebbe direttamente e univocamente dallepratiche e dalle ideologie ottocentesche) nell’ambito degli orienta-menti teorici sviluppatisi nell’archeologia funeraria in Gran Bretagna,Stati Uniti e Germania si veda, tra i molti contributi, BRATHER 2000, LAROCCA 2004 e GASPARRI 2005, con bibliografia europea di riferimento.A titolo esemplificativo, nel ripercorre il tema dell’identità delle popo-lazioni barbariche negando che sia esistito un sentimento di identitàcollettiva, Patrick J. Geary dichiara di voler “bonificare quella disca-rica intrisa dei miasmi del nazionalismo etnico che la storia dei“popoli” nel Medioevo è stata e continua a essere per intellettuali epolitici ideologicamente spregiudicati, almeno a partire dagli inizidell’Ottocento” (GEARY 2009). Mi auguro che lo studioso contempora-neo – ormai estraneo alle ragioni del Risorgimento italiano o del Nazi-smo tedesco – torni a studiare (con strumenti metodologici e concet-tuali sempre più affinati) anche l’identità culturale (insieme a quellaindividuale, familiare, sociale, religiosa, professionale e altro, chepure possono essere espresse durante il funerale) partendo dallacultura materiale, che è alla base dell’epistemologia archeologica.27 Si registra l’ostinata ricerca dell’eccezione, estrapolata dal suocontesto e slegata dal fenomeno generale, alla quale viene spesso

    data una spiegazione improbabile e forzata, quando non contraddit-toria: se ne discuteranno chiari esempi in altra sede.28 VALENTI 2009.29 DELOGU 2007, pp. 401-402. Tra gli altri, anche Wolf Liebeschuetz(2011) e, in modo più radicale, Bryan Ward Perkins (2005) ritengonoche, nell’attuale fase storica connotata dallo spostamento di nutritigruppi umani dal terzo mondo, molti studi che ricostruiscono unperiodo anch’esso di marcata sovrapposizione di etnie e culture,abbiano ritenuto politicamente più corretto e più sicuro rispetto apossibili strumentazioni sminuire identità non solo etniche ma ancheculturali, rimarcando l’integrazione a scapito della diversità e delladestrutturazione. 30 In BROGIOLO 2011, p. 94, si legge: “Per dare un’esauriente interpre-tazione delle evidenze della prima età longobarda (tipi diversi disepolture, di corredi e di abitazioni) serviranno altri dati, ricerchemirate, ma soprattutto maggior indipendenza dalle posizioni deco-struzioniste della storiografia degli ultimi vent’anni, che ha portatoalcuni storici a negare qualsiasi distinzione, non solo etnica maanche giuridica e culturale, dei Longobardi rispetto alla popolazioneromana”.

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    nale, regionale, religiosa, linguistica, culturale, disesso e altro) e la paura dell’alterità e del conflitto inter-culturale. È stato notato infatti come l’affermazionedell’irrilevanza etnica delle sepolture con corredo e iltentativo di sfumare fino a negare la contrapposizionedei gruppi durante le migrazioni barbariche sembridettato da precise preoccupazioni ideologiche, chefanno emergere tutta l’attualità del tema: l’esorcizza-zione del conflitto interculturale contemporaneo, cheha portato a relativizzare il peso dell’etnicità anche inpassato, e la paura di una nuova strumentalizzazionein chiave razzista di questi temi storici29.Il risultato è che appare ignorata la portata dei nuovidati archeologici. Pur mettendo in conto fenomeni diimitazione da parte delle comunità locali, ovvero la piùestesa assunzione dei segni di distinzione propri delgruppo dominante, oltre all’interazione interculturale,pare utile cercare di definire in primo luogo il ‘modello’,soprattutto in riferimento alle prime generazioni di stan-ziamento in Italia e ai contesti caratterizzati dalla com-presenza di più indicatori ‘forti’, anche di differentenatura, partendo dalla più approfondita analisi del datomateriale (e non dai concetti nei quali incastrarlo),anche a rischio di qualche schematismo30. Vi è infatti laconvinzione delle ampie nuove potenzialità per unamigliore comprensione della presenza longobarda inItalia date da un’archeologia barbarica sempre piùestesa e attenta sotto il profilo multidisciplinare, ormaiben più articolata nelle prospettive teoriche e neimetodi di analisi rispetto al cosiddetto paradigma sto-rico-culturale e che non trascura la dimensione simbo-lica e sociale, pur integrandola con altre.

  • Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia 21

    2. Le recenti scoperte

    I contesti archeologici riportati alla luce negli ultimivent’anni in Italia restituiscono un quadro decisamentearticolato e significativo circa la presenza longobarda,che offre una rinnovata base di dati utili nella prospettivadella comprensione delle logiche insediative e di intera-zione interculturale del Regnum. Credo che si possariflettere più concretamente, per esempio, sulla distribu-zione degli abitati e sull’entità delle comunità, sulla strut-tura sociale di questi gruppi, sul loro stadio culturale esui relativi cambiamenti, sulla natura dei loro insedia-menti in ambito rurale e sulle caratteristiche più peculiaridi quelli nelle città sedi di ducato. Sarà utile considerarein prima battuta i contesti meglio attribuibili ai Longo-bardi sulla base di markers archeologici: non solo armie fibule, ma anche il sacrificio del cavallo, le camerelignee, le offerte alimentari, la composizione comples-siva della deposizione, possibili capanne seminterratecon ceramica stampigliata; anche alcuni dati antropolo-gici (metrici e morfometrici) potrebbero rivelarsi coe-renti. Si tratta di più indicatori di differente natura, ingenere compresenti nella stessa località e totalmente

    assenti negli altri siti della zona, già diffusi nelle sedi distanziamento pre-italico e comparsi nella penisola inconcomitanza con l’arrivo dei Longobardi narrato dallefonti scritte. Primi risultati di analisi paleogenetiche e iso-topiche sui resti ossei, come anche indagini archeome-triche sui manufatti, sembrano supportare l’interesse ela coerenza di tali indicatori (pur senza approdare arigidi assiomi), in attea di un quadro multidisciplinare piùarticolato e dirimente, che comunque non può prescin-dere dall’analisi storico-archeologica.

    2.a. Gli spazi funerari: le grandi necropoli in campoaperto

    Con particolare riferimento all’Italia settentrionale (fig.1), varie sono le estese necropoli in campo aperto direcente indagate interamente o in gran parte: si pensi aquelle di Cividale del Friuli, in località San Mauro epresso la ferrovia, Romans d’Isonzo, Povegliano Vero-nese, Goito, Leno, Fara Olivana, Momo, Collegno, Rivolie Sant’Albano Stura31. Nell’Italia centro-meridionaleoltre alle due grandi necropoli del ducato di Spoleto,Nocera Umbra e Castel Trosino, scavate alla fine del-

    31 Su Cividale del Friuli (Udine), San Mauro: AHUMADA SILVA (a cura di),2010. Su Cividale, ferrovia: BORZACCONI 2013 (con catalogo di I. Ahu-mada Silva). Su Romans d’Isonzo (Gorizia), si veda, da ultimo: VITRI ETAL. 2014, con bibliografia precedente. Sui Longobardi a PoveglianoVeronese (Verona): BRUNO - GIOSTRA 2012; GIOSTRA 2014b. Su Goito:

    MENOTTI 2014. Sui sepolcreti di Leno: GIOSTRA 2011a; EADEM 2015. SuFara Olivana (Bergamo) anticipazioni in FORTUNATI ET AL. 2014. Su Momo(Novara): MICHELETTO ET AL. 2014; sul sito di Collegno (Torino): PEJRANIBARICCO (a cura di) 2004; EADEM 2007a; EADEM 2007b. Su Rivoli (Torino):PEJRANI BARICCO 2007a; su Sant’Albano Stura (Cuneo): cfr. nota 36.

    Fig. 1. Carta di distribuzione delle grandi necropoli in campo aperto: in grigio i vecchi ritrovamenti; in rosso le scoperte degli ultimivent’anni; in maiuscolo le sedi di ducato.

  • Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi

    l’Ottocento in maniera ammirevole per l’epoca, sono notii cimiteri di Campochiaro, loc. Vicenne e Morrione, nelducato di Benevento32. Anche integrando il quadro set-tentrionale con i vecchi ritrovamenti di grandi necropoli,si segue una distribuzione coerente lungo la fasciapedemontana e della fertile pianura più prossima: i siti sitrovano spesso in relazione a corsi d’acqua o lungo lafascia delle risorgive (da Vigasio e Povegliano a Calvi-sano, Leno, Fornovo S. Giovanni e Fara Olivana e oltre),con aree boschive e superfici fertili adatte al pascolo ealla coltivazione. Sono prevalenti in ambito rurale, conl’eccezione di Cividale e della corona intorno a Torino33:coincidono con i territori interessati dal primo stanzia-mento longobardo; lungo la via Emilia, gli incerti destinidell’avanzata longobarda sembrano riflessi nella brevedurata della necropoli di Spilamberto34. La distribuzionegeografica dei ritrovamenti si dilata in maniera nonsostanziale considerando i piccoli nuclei funerari, le ric-che tombe isolate, le sepolture presso case e capannee le deposizioni in chiesa (fig. 2); si trovano anche nellecittà e nei castra, presso ville e vici. I contesti più chiara-mente connotati in senso germanico sembrano invece

    32 Su Nocera Umbra (Perugia): RUPP 1996; RUPP 2005. Su Castel Tro-sino (Ascoli Piceno): PAROLI (a cura di) 1995; PAROLI - RICCI 2005. Suiritrovamenti di Campochiaro (Campobasso), diretti dalla dott.ssaValeria Ceglia, si veda da ultimo la sintesi in EBANISTA 2014.33 Fra i nuclei di sepolture più prossimi alla città di Torino, come

    accade anche per altri capoluoghi amministrativi, vi era una dellesepolture più ricche del Piemonte, quella della dama del Lingotto,mentre da Beinasco proviene la crocetta con iscrizione suggestiva-mente collegata ad Agilulfo, duca di Torino e poi re dei Longobardi(GIOSTRA 2014a).34 Sulla necropoli di Spilamberto (Modena): BREDA (a cura di) 2010.

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    scarsi nei territori annessi al regnum solo in un secondomomento (e forse con presenze alloctone più esigue) eassenti nelle regioni rimaste sotto il controllo bizantino.

    Fig. 2. Carta di distribuzione di piccoli nuclei funerari, tombe fra capanne e sepolture in chiesa: in grigio i principali vecchi ritro-vamenti; in blu le scoperte degli ultimi vent’anni; in maiuscolo le sedi di ducato.

    Fig. 3. Entità delle comunità che usarono alcune delle princi-pali necropoli italiane.

  • Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia 23

    Per valutare l’entità delle comunità stanziate sul territo-rio, relazionando più correttamente tra di loro sepolcretiche hanno differente estensione o durata, pare utilerapportare il numero degli inumati al numero dellegenerazioni che hanno utilizzato i più grandi sepolcreti,così da stabilire l’entità della comunità in ciascunperiodo, stimando questo di 40 anni in linea con l’aspet-tativa di vita media di queste popolazioni (fig. 3). In que-sti termini, il gruppo che usò la necropoli di Collegno, di157 tombe per quasi 2 secoli di durata, appare compa-rabile con quello del nucleo di Spilamberto, di 30 inu-mati ma che non esauriscono la prima generazione distanziamento in Italia: rispettivamente 35 e 40 individuicirca ogni 40 anni. In entrambi i casi, come anche aPovegliano (180 individui circa in poco più di 120 anni,quindi 60 individui ogni 40 anni), si tratta di fatto di pochigruppi familiari allargati, da 3 a 5 nuclei composti cia-scuno da 10-12 persone. Più consistente dovevaessere la comunità stanziata a Leno (247 tombe per 120anni di uso o poco più, circa 70-80 persone a genera-zione), anche perché oltre alla grande necropoli consi-derata nel computo, scavata forse per poco più di metàdell’intera estensione, nel territorio sono stati rinvenutialtri piccoli nuclei funerari longobardi. Anche a Nocera

    Umbra, località lungo la via Flaminia, le 165 sepolture sisviluppano nell’arco di circa 60-70 anni, contemplandoquindi circa 100 persone ogni 40 anni, tra padri e figliche dovettero convivere in ciascun periodo. Si tratta,verosimilmente, delle ‘fare’ stanziate sul territorio.Nelle estese necropoli attualmente note si contano ingenere fra le 100 e le 350 sepolture al massimo35.Acquista quindi un carattere di eccezionalità la recentescoperta della necropoli di Sant’Albano Stura, nelCuneese, pertinente ad almeno 320 individui per gene-razione, dal momento che sono state riportate alla lucedall’allora Soprintendenza per i Beni Archeologici delPiemonte 776 sepolture (ma nel complesso dovevanosuperare le 800 unità), per la durata di circa unsecolo36 (fig. 4). In questo sito le fosse terragne, orien-tate ovest-est, si dispongono su righe con svilupponord-sud che si seguono anche per trenta tombe: lostudio della necropoli, attualmente in corso, permet-terà non solo di capire se in un sepolcreto così estesopotessero confluire i membri di più comunità, maanche di ricostruire le dinamiche di formazione dellerighe e la loro composizione sociale. E che lo sviluppodelle aree funerarie e delle righe non fosse necessaria-mente dato dal progressivo e sistematico accosta-

    35 Si ha notizia di rinvenimenti avvenuti in passato che dovevanocomprendere, secondo stime sempre approssimative, fino a 500tombe: è il caso di Calvisano, nella bassa pianura bresciana, doveperaltro sono noti più nuclei funerari (per una sintesi dei dati su Cal-

    visano: DE MARCHI 1997; GIOSTRA 2015).36 Sulla grande necropoli di Sant’Albano Stura (Cuneo): GIOSTRA2011b; MICHELETTO - UGGÈ - GIOSTRA 2011; MICHELETTO ET AL. 2014.

    Fig. 4. La grande necropoli di Sant’Albano Stura (Cuneo), dettaglio delle righe di tombe, da est (da MICHELETTO ET AL. 2014).

  • Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi

    mento di tombe, ma da uno sfruttamento differentedello spazio del quale la riga è l’esito finale, sembradimostrato da necropoli di breve durata (20-30 anni) edi probabile abbandono improvviso, quindi verosimil-mente impostate in vista di un uso più prolungato e poiprecocemente interrotte. Nel sepolcreto di Spilamberto(fig. 5) le sepolture sono distanziate fra di loro in

    37 La necropoli di Spilamberto (28 tombe) si estende su una superfi-cie non inferiore a quella del sepolcreto di Povegliano Veronese (145tombe nel nucleo principale, con una durata di più di un secolo). Perl’area funeraria di Povegliano si ritiene che i gruppi familiari abbianoinsistito negli stessi settori per l’intera durata della necropoli (GIO-STRA, La struttura sociale…, in questa sede): la stessa modalità di uti-lizzo potrebbe essere stata programmata preventivamente per Spi-

    lamberto, senza che si sia arrivati ad assistere a un analogo sviluppo. 38 In BÓNA 1974 si legge che il cimitero di Tamási dovette essere inuso per un periodo più breve degli altri sepolcreti longobardi unghe-resi: secondo lo studioso, fu avviato dopo Szentendre e abbando-nato intorno al 568 per lo spostamento del gruppo in Italia e a causadi questa breve durata alcuni spazi che erano stati riservati allegenerazioni successive rimasero vuoti.

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    un’area estesa, forse proprio a causa della durata delsepolcreto (20-30 anni) più breve di quanto preventi-vato fin dall’inizio37; la stessa circostanza è stata ipotiz-zata per la necropoli ungherese di Tamási38. In questicimiteri le tombe appaiono appunto distribuite all’in-terno di un’area più ampia, senza che ci sia stato iltempo di occupare gli spazi intermedi: i settori erano

    Fig. 5. Il sepolcreto longobardo di Spilamberto (da BREDA, a cura di, 2010).

  • Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia 25

    probabilmente riservati ad alcuni gruppi (familiari?) perpiù generazioni, secondo un’organizzazione pernuclei, con tombe a loro volta disposte a creare pro-gressivamente le righe, forse sulla base di precise rela-zioni di familiarità fra gli individui.Il ritrovamento di necropoli estese e di almeno unsecolo di durata permette ora anche in Italia di sotto-porne ad analisi lo schema planimetrico e di studiarnelo sviluppo complessivo (la stratigrafia orizzontale) e lastruttura sociale, cercando di decodificare le logicheche potevano presiedere alla ‘costruzione’ (sociale e/oideologica) dello spazio funerario. A seguito di unarigorosa periodizzazione in fasi di circa 40 anni cia-scuna, si assiste alla compresenza di modelli differenti:la progressiva espansione dell’area utilizzata per giu-stapposizione di nuclei verosimilmente familiari, avviatidopo l’esaurimento del settore iniziale e la successivaoccupazione di aree sempre più marginali; una piùlineare progressione delle righe in senso unidirezio-nale, forse in casi di comunità più consistenti e coese;la persistenza dei gruppi negli stessi settori per l’interadurata del sepolcreto, che avrebbe potuto esprimereun più forte legame familiare e un’identità parentale,utile anche nella comunità dei vivi. Alla luce della distribuzione di sesso ed età di morte,sembra trattarsi di clan composti da alcuni gruppi fami-liari allargati, ognuno di 10-12 individui, ai quali potevaaggiungersi qualche soggetto subalterno. Valutandol’impegno nella realizzazione delle strutture tombali e lacomposizione e disparità di ricchezza dei corredi all’in-terno di ciascun nucleo di tombe, a volte è possibilericonoscere una coppia di inumazioni (una sepolturafemminile e una maschile, spesso vicine) più presti-giosa delle altre, a designare forse il capofamiglia e laconsorte; è circondata da armati e donne con offertesignificative, verosimilmente altri membri liberi delgruppo parentale, mentre i bambini presentanospesso corredi ridotti, anche se non necessariamenteprivi di offerte di pregio; queste mancano ad altri inu-mati, probabilmente di grado semilibero o servile39.La più attenta pratica stratigrafica ha permesso ormaida tempo di documentare dettagliatamente le diversetipologie tombali, a cominciare dalle più labili traccedelle camere lignee: esse dovevano essere foderate alloro interno di assi e chiuse da un tavolato, mentre i paliangolari proseguivano sopra terra e verosimilmentesostenevano una struttura che segnalava e valorizzava

    la deposizione, forse configurata a capanna (la ‘casadella morte’). Non solo sono noti più siti con presenzadi ampie fosse terragne caratterizzate dalla presenzadi quattro buche di palo angolari sul fondo, con even-tuale riporto a costituire un loculo interno e tracce deltavolato di copertura (come a Collegno), ma vengonoormai registrate varianti nel numero delle buche stesse(sei a Bergamo, via Osmano), nella loro posizione,anche esterna al taglio della fossa (come a Sant’Al-bano Stura) (fig. 6,a) o tangente ad esso, a creare delleespansioni lungo il margine (come a Sant’Albano e aPovegliano) (fig. 6,b), anche con evidenti restringi-menti intermedi del profilo del loculo40. Nelle stesselocalità, intorno a queste più prestigiose strutture, incorrispondenza di sepolture più semplici, dovevanotrovarsi più modesti tumuli in ciottoli e segnacoli dati daaste infisse, dei quali restano accumuli collassati all’in-

    39 All’analisi dello sviluppo spaziale e dell’organizzazione socialedelle principali grandi necropoli di recente rinvenimento italiane, aicriteri utilizzati e ai dati emersi è dedicato il secondo contributo di chiscrive in questa pubblicazione.

    40 Per Collegno: PEJRANI BARICCO (a cura di) 2004, pp. 30-32, fig. 18,a-e, pp. 73, 79, 89 (con planimetrie); per Bergamo, via Osmano: FORTU-NATI ET AL. 2014, p. 142, fig. 5; per Sant’Albano Stura: MICHELETTO ET AL.2014, p. 104; per Povegliano Veronese: GIOSTRA 2014, p. 265, fig. 7.

    Fig. 6. Sepolture con quattro buche di palo. A: tomba diSant’Albano Stura con buche esterne (da MICHELETTO ET AL.2014). B: tomba di Povegliano Veronese con buche lungo ilprofilo (da GIOSTRA 2014).

  • Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi

    terno del taglio e singole buche lungo il profilo occiden-tale, in corrispondenza della testa del defunto41. Sonoelementi utili alla ricostruzione del ‘paesaggio del rito’:si dispone anche di indizi sulla recinzione delle areefunerarie (per es. a Leno)42, mentre non paiono ancoradocumentati significativi piani d’uso e percorsi interni.L’esistenza di sepolture isolate o in piccoli nuclei abreve distanza dalla grande necropoli, appurata inoccasione di scavi particolarmente estesi come aPovegliano Veronese, dilatano lo scenario, richia-mando anche possibili scelte individuali o logiche diesclusività o piuttosto di esclusione sociale43.

    2.b. Gli abitati rurali

    Non lontano dalle sepolture, in casi sempre più nume-rosi la ricerca sul campo riconosce le pur labili traccedi porzioni dei relativi abitati, permettendoci di cono-scere non solo lo spazio dei morti ma anche quello deivivi. Si tratta di importanti complementi per compren-dere le strutture sociali, oltre che l’organizzazione terri-toriale del regnum.Collegno è stato uno dei primi siti interessati dal rinve-nimento di strutture insediative relative alla grandenecropoli longobarda: l’abitato è a poche centinaia dimetri dal sepolcreto (m 300 circa). Vi sono alcunecapanne di tradizione germanica, con fondo ribassatosu cui si è rinvenuta la caratteristica ceramica stampi-gliata: quella di maggiori dimensioni (m 5,5x3,75) è ret-tangolare, forse aperta su un lato breve con una bucadi palo centrale a probabile sostegno della trave dicolmo della copertura; le due più piccole, monovano(m 3,20x1,70 ca.) sono impostate su pali incassati (fig.7). Sono tutte autonome, per impianto e tipologia,rispetto ai sistemi strutturali tardo-antichi in pisé e suzoccolature in pietra a secco sui quali si impostano44. Ilprecedente complesso residenziale era occupato daun gruppo goto, testimoniato da un nucleo di 8 tombenei pressi: due individui avevano la deformazione

    41 A San Giorgio (a est di Mantova), lottizzazione Vincenzi, nel 2005sono state documentate alcune sepolture allineate e una isolata piùa est, apparentemente circondata da una trincea circolare del tipoattestato già in Pannonia (per esempio a Szólád, cfr. VIDA, infra) e inambito merovingio a delimitare un tumulo più pronunciato. Si attendel’edizione degli interessanti ritrovamenti nella località; in via prelimi-nare: MENOTTI 2014, fig. 4.42 BREDA 1995-1997.43 Per una disamina di casi spagnoli non troppo dissimili: VIGIL-ESCA-LERA GUIRADO 2013.44 PEJRANI BARICCO 2004, pp. 19-25; PEJRANI BARICCO 2007b, pp. 261-262, con illustrazione della successiva fase dell’insediamento (VIII-XII secolo).

    45 BEDINI ET AL. 2006; PEJRANI BARICCO - GIOSTRA - BEDINI - PETITI c.s.46 Sulle logiche insediative gote e longobarde: BROGIOLO - CHAVARRÍAARNAU 2008; BROGIOLO 2011.47 Su Montichiari (Brescia): BREDA (a cura di) 2007; FRANCOVICH ONE-STI 2010; GIOSTRA 2015. Su Garda (Verona): BROGIOLO - IBSEN - MALA-GUTI (a cura di) 2006. Su Montecchio Emilia (Reggio Emilia): GIOSTRA2007a, p. 301 e nota 104, con bibliografia precedente. Anche a Sir-mione (Brescia), nel castrum in posizione strategica per il controllodel lago analoga a quello di Garda, alcune tombe con corredi di etàgota si trovavano nella chiesa di San Pietro in Mavinas, per le qualinon si può escludere l’attribuzione gota anche se non è al momentodimostrabile (GIOSTRA 2015).

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    intenzionale del cranio e nei corredi vi era cultura mate-riale di tradizione germanico-orientale45. La sovrapposizione dello stanziamento longobardo suquello goto sembra il riflesso di analoghe scelte inse-diative e delle dinamiche di avvicendamento dei duegruppi46. Nonostante la scarsa visibilità archeologicadei Goti, sono sempre più numerosi i siti rurali conindizi della presenza di entrambi i gruppi: di MombelloMonferrato si dirà a breve; a Montichiari, dove è statariportata alla luce un’estesa necropoli anche di culturalongobarda, si rinvenne l’epigrafe di Scadvein volutadalla moglie Aladrut, due nomi gotici; a Garda, dove lapresenza longobarda è nota da vecchi ritrovamentifunerari, in una tomba nella chiesa sulla rocca vi erauna fibula con teste di rapace disposte a vortice dimatrice germanico-orientale; a Montecchio Emilia, loc.Il Monte, il nucleo di materiali già attribuiti a un gruppolongobardo – attestato in altra località dello stessocomprensorio – è più verosimilmente di età e matricegota47. Una rilettura specialistica dei ritrovamenti diMoncalieri, fraz. Testona permette inoltre di ricono-scere, fra i reperti della grande necropoli longobarda,

    fig. 7. Collegno (Torino), capanna a fondo ribassato (daPEJRANI BARICCO 2004).

  • Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia 27

    materiali più antichi e che trovano riscontri anche insepolture gote, reintroducendo la possibilità di unaprecedente fase gota: se infatti finora è stata eviden-ziata una fibula a staffa in cloisonné di tipologia germa-nico-orientale48, almeno un castone di orecchino apoliedro in bronzo, una fibbia maschile in bronzo concastone rettangolare alla base dell’ardiglione e il pet-tine con decorazione a traforo trovano più chiari con-fronti in recenti ritrovamenti goti49. Anche in relazione alla grande necropoli longobarda diPovegliano, le indagini in estensione hanno riportatoalla luce, presso i limiti dello scavo a m 100 circa dalletombe, tre piccole capanne monovano, seminterrateanche per cm 80-90, oltre a un pozzo e a sequenze dibuche forse di recinzione. Due capanne sono sub-ret-tangolari, con due buche per pali al centro dei latibrevi, funzionali a sorreggere le due falde del tetto; laterza è circolare ed è riferibile a un momento più tardograzie alla posteriorità rispetto a una tomba con strut-tura almeno della fine del VII secolo. Appare assaiverosimile l’esistenza di altre capanne, anche di mag-giori dimensioni, nelle aree adiacenti, a ricomporre unintero abitato longobardo che future indagini archeolo-giche potrebbero restituire, tra i primi casi in Italia50.Si assiste dunque, tendenzialmente, a una certa pros-simità dello spazio dei vivi e di quello dei morti, intesocome cimitero collettivo, in genere situato a pochedecine/centinaia di metri dall’insediamento. A voltepuò esservi addirittura compenetrazione fra i dueambiti. A Testona (Moncalieri), parco di Villa Lancia,alcune tombe in nuda terra prive di corredo si trova-vano fra le capanne rettangolari seminterrate (fino acm 70), poste in vicinanza di pozzi per lo sfruttamentodell’acqua di falda e forse destinate ad attività artigia-nali; nei pressi vi erano anche un altro gruppo di inu-mati anche con armi, una fossa con cavallo e una condue cani51. Come si è detto, il territorio di Testona eragià noto per il ritrovamento ottocentesco di una vastanecropoli in campo aperto lungo la strada che daTorino risaliva il corso del Po, con numerosi e articolaticorredi d’armi di fine VI e VII secolo52: logiche funera-

    rie differenti, forse destinate a ceti con diverso inte-resse all’ostentazione sociale. A Flero, dove in passato sono stati rinvenuti piccolinuclei di tombe di armati con croci in lamina d’oroanche con motivi animalistici germanici, la più recenteattività archeologica ha individuato i resti di un insedia-mento di VI-VII secolo, con strutture in legno e inuma-zioni nei pressi (fig. 8)53. Una grande capanna rettan-golare aperta su un lato (m 8x5), con alcuni pali persostegni portanti e travi orizzontali di fondazione dellepareti lignee è stata interpretata come magazzino, rico-vero per animali o struttura connessa alle attività svoltenei vicini apprestamenti funzionali. Era attorniata da trefosse sub-rettangolari con strati compressi di carboni eceneri sul fondo: almeno in due casi sono state identifi-cate come forni per la cottura ‘soffocata’ dei cibi; per lastruttura più ampia e profonda (m 2,2x1,3, profonditàresidua di m 1), con accesso sul lato meridionale ebuche di palo esterne per la copertura, non si èesclusa neppure l’ipotesi che si trattasse di unacapanna seminterrata di tradizione germanica. Oltre aun pozzo in ciottoli e basamento ligneo, nei pressi vierano anche alcune inumazioni prive di oggetti di cor-redo, a testimonianza di una sempre più stretta corre-lazione tra lo spazio dei vivi e quello dei morti, verosi-milmente in assenza di volontà di ostentazione socialein spazi comunitari (grandi necropoli collettive o sepol-ture presso i luoghi di culto).

    2.c. Lo stanziamento in città

    La commistione di sepolture fra le capanne è docu-mentata anche in siti longobardi di ambito urbano54.Fino a pochi anni fa, l’unico esteso contesto insediativodi cultura longobarda era quello, ben noto, di SantaGiulia a Brescia, collocato in prossimità delle muraoccidentali e di una porta. Esso vede l’impiantarsi dipiccole case e capanne al di sopra di ricche domus,già da tempo frazionate. Il gruppo era impegnato inattività artigianali, viveva anche in capanne seminter-rate e usava ceramica stampigliata di derivazione

    48 Su Moncalieri, fraz. Testona (Torino) BIERBRAUER 1975, pp. 316-31;NEGRO PONZI 1980, pp. 5-6. In realtà Otto von Hessen (1971) attribuìun numero maggiore di reperti all’ambito goto, ma la sua identifica-zione non ha trovato largo seguito: se alcuni di questi sembrano tro-vare diffusione anche Oltralpe, altri vengono segnalati in questasede come possibili spie di presenza gota, possibilmente prece-dente a quella longobarda.49 VON HESSEN 1971, nn. 26, 330 e 529, senza escludere altre fibbie adanello ovale con base dell’ardiglione a scudetto con decoro inciso,con netto restringimento dell’ardiglione o con anello rettangolare.50 Sulle capanne di tradizione germanica in prossimità della grande

    necropoli longobarda di Goito si rimanda al contributo di ChiaraMarastoni, in questa sede. 51 PANTÒ - OCCELLI 2009; PANTÒ ET AL. 2013.52 VON HESSEN 1971.53 BREDA ET AL. 2007, pp. 227-239.54 Più in generale sui Longobardi e le città: GIOSTRA 2014a. Tra i piùrecenti ritrovamenti di sepolture con struttura o corredo di cultura lon-gobarda in città si segnalano i casi di: Belluno, Palazzo Fulcis (GAN-GEMI ET AL. 2014); Bergamo, via Osmano (FORTUNATI ET AL. 2014); Fie-sole, piazza Garibaldi (inedito, esposto presso il Museo Archeolo-gico di Fiesole).

  • Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi28

    Fig. 8. Flero, croce in lamina d’oro (prop. Buizza) (A, dis. C. Giostra). Scavo di via XX Settembre, struttura funzionale. Planimetriadello scavo di via XX Settembre (B e C da BREDA ET AL. 2007).

  • Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia 29

    pannonica55. Verosimilmente dalla seconda metà delVII secolo e poi con Desiderio e Ansa, viene eretto uncomplesso dotato di chiesa.Dopo il ritrovamento bresciano, di recente anche inaltre città sedi di ducato sono stati documentati conte-sti con capanne seminterrate, ceramica di tradizionepannonica e sepolture con corredo ridotto o assente. ACividale del Friuli, Corte Romana (fig. 9), una domuscon fasi di frequentazione fino all’età tardo imperialevede un parziale riuso delle strutture del complessoormai in degrado, nelle quali nuovi ambienti vengonoricavati con muri legati da terra, alzati lignei e pavimentiin battuto. In età longobarda si assiste all’impiantarsi diuna capanna lignea parzialmente interrata, rettango-lare con montanti agli angoli interni, che ha lo stessoorientamento di un edificio con fondazioni in ciottolilegati da malta e terra; è attestata ceramica a stralu-cido di tipo longobardo e sono state riconosciute pos-sibili attività artigianali. Sarà interessante valutare,anche sulla base di una casistica più ampia di scaviurbani con capanne seminterrate, l’integrazione con lestrutture preesistenti e la commistione tipologica e fun-zionale. Contestuali alle abitazioni vi erano 53 sepol-ture, con corredi ridotti o assenti, apparentemente rag-gruppate per nuclei familiari intorno a una tomba chepare catalizzare le successive: sembrano sepoltureinserite nelle aree – con ampi spazi liberi – di perti-nenza di piccole comunità che risiedevano nelle imme-diate vicinanze, possibilmente di cultura longobarda56.Rilevante, anche per la collocazione nella capitale, èpoi lo scavo del Cortile del Palazzo di Giustizia aPavia. La città, già luogo di riunione dell’esercito, finoalla metà del VII secolo si connota per la cattedraleariana, la necropoli ad perticas e il palazzo regio, giàteodoriciano, collocati ad est. La vasta area urbanascavata si trova nel settore occidentale. Al di sopra diuna prestigiosa domus di grandi dimensioni rimasta inuso fino al V secolo, vennero impiantate strutturepovere con piani in battuto e focolari. Inoltre, vennerocostruite tre capanne seminterrate: due contigue, ret-tangolari (m 4x2), con buche per pali portanti interne,silos e buchette da mobilio; la terza, quadrata di m4,50 di lato, con tre buche interne per lato. Anche daquest’area provengono alcuni frammenti di ceramicaa stampiglie o a stralucido e a stecca. C’è da notareancora che nelle vicinanze delle capanne vi erano duesepolture in nuda terra prive di corredo, a riproporre ilrapporto integrato di capanne e inumazioni57. Nellostesso settore urbano nord-occidentale, peraltro, si

    trovavano la chiesa di San Giovanni Domnarum, laprima fondazione regia pavese voluta da Gundiperga,figlia di Teodolinda, e la chiesa di S. Salvatore e deiSanti Pietro e Paolo del monastero di S. Maria Regina,poi S. Felice. Gli interventi si inquadrano nelle attivitàdi evergetismo religioso promosso da re e aristocra-tici, che a Pavia portò al proliferare di mausolei emonasteri. Del San Felice recenti scavi hanno preci-sato la planimetria e hanno documentato otto tombe acassa dipinte, compresa quella della badessa Ari-perga: analisi archeometriche hanno confermato ladatazione della fondazione all’VIII secolo, rendendoplausibile l’attribuzione a Desiderio e Ansa58. È inte-ressante che tra i materiali provenienti dagli strati sot-tostanti la chiesa vi fosse anche qualche frammento diceramica stampigliata, offrendo un altro indizio di pre-senza longobarda anche nel settore occidentale dellacittà, oltre allo stanziamento nell’area del cortile delTribunale. I dati sembrano riflettere una maggioredistribuzione dell’elemento longobardo nel tessutourbano di quanto non si pensasse in passato e soprat-tutto la preesistente presenza di comunità alloctonenei settori dove più tardi sorgeranno chiese di fonda-zione aristocratica longobarda.

    55 BROGIOLO 2005.56 BORZACCONI 2005; BORZACCONI - SACCHERI - TRAVAN 2013.

    57 INVERNIZZI 2014; SEDINI 2014.58 Ricerche 2003.

    Fig. 9. Cividale del Friuli, Corte Romana, strutture e capannaseminterrata (Grubenhaus) (da BORZACCONI 2005).

    strutture tardoantichestrutture di VII secolosepolture di VII secolo

  • Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi

    Un’interessante sequenza di capanne seminterratecon frammenti di ceramica stampigliata e sepoltureattigue è stata riportata alla luce di recente ad Asti,palazzo Mazzetti; l’area corrisponde al foro romano edè vicina alla chiesa di Sant’Anastasio, costruita verosi-milmente all’inizio dell’VIII secolo dal ceto dirigente lon-gobardo con funzione funeraria59. A Palazzo Mazzetti,sui resti di un complesso edilizio romano vi è il passag-gio a strutture lignee: fra queste, almeno una capannaseminterrata poggiante su pali, probabilmente rettan-golare lunga circa 5 m, è inquadrata in via preliminarenel VI secolo. Nel VII secolo, nell’area vi sono sepol-ture, sia in fossa terragna che con cassa in muratura. Viera anche una capanna parzialmente interrata suimpalcatura lignea. Tra i materiali di questa fase vi sonoanche frammenti di ceramica stampigliata e una guar-nizione di cintura in bronzo per la sospensione dellearmi. In una terza fase segue una nuova strutturaseminterrata rettangolare, della quale resta il cavo diasportazione dei perimetrali, realizzata verosimilmentenell’VIII secolo. Si ha quindi una lunga sequenza dicapanne seminterrate: anche in questo caso – come aPavia – in relazione alla fondazione religiosa più tarda(poi nota anche dalle fonti scritte) è forse ravvisabile laprecedente e contestuale presenza di gruppi longo-bardi insediati non lontano dall’edificio di culto. Le scelte topografiche sono spesso legate al controllodei gangli della città, ma non si tratta esclusivamente diaree marginali connesse con le mura, come tradizional-mente ritenuto: interessano anche spazi e monumentinon più frequentati o che hanno perso la loro centralitàin favore di nuovi poli di aggregazione, come il fororispetto ai complessi ecclesiastici. Doveva esservi unacerta distribuzione di presenze nel tessuto urbano, pos-sibile premessa alle fondazioni religiose più tarde, conl’integrazione di tipologie edilizie tradizionali frammisteal riutilizzo di strutture preesistenti. Il messaggio ideolo-gico delle aristocrazie cominciò presto a essereespresso tramite l’evergetismo cristiano, in città comenelle campagne: la magnificenza delle chiese espri-meva il fervore religioso; i monasteri contribuivanoanche alla gestione del patrimonio familiare60; i mauso-lei davano evidenza monumentale alla memoria e l’iden-tità del defunto veniva affidata a un’accurata epigrafe.

    59 Sullo scavo di Palazzo Mazzetti: BARELLO (a cura di) 2010. Sulloscavo di Sant’Anastasio: CROSETTO 2003; CROSETTO 2009.60 In particolare sulla fondazione di monasteri per volere delle éliteslongobarde, ricerche archeologiche hanno interessato – tra gli altri –i complessi di Sesto al Reghena in Friuli, San Salvatore a Sirmione eSan Salvatore di Leno, nel Bresciano, San Silvestro a Nonantola nelModenese, San Vincenzo al Volturno in Molise (per un quadro delleevidenze archeologiche: CANTINO WATAGHIN 2000). Fra questi, vi è

    forse anche l’abbazia di San Dalmazzo di Pedona (Cuneo), dovesono stati riportati alla luce dalla Soprintendenza per i Beni Archeo-logici del Piemonte resti di un edificio di culto attribuito al VI-VIIsecolo e che la riconsiderazione della tradizione agiografica per-mette di attribuire pur ipoteticamente a una fondazione di prima etàlongobarda (MICHELETTO 1999; CANTINO WATAGHIN 1998).61 Sulla cristianizzazione dei Longobardi in base ai dati archeologicisi veda, fra gli altri, ROTILI 2001.

    30

    2.d. La cristianizzazione della morte

    I ceti più elevati vedono una più precoce cristianizza-zione della morte e l’attrazione delle sepolture pressoun luogo di culto61. Una prima pratica è rappresentatadall’inserimento in chiese preesistenti, con funzione dicura d’anime o già funerarie, nelle quali peraltro l’auto-revole defunto potrebbe aver finanziato interventi edi-lizi; il fenomeno è frequente nelle città, ma è documen-tato anche nei castra e nei villaggi rurali. Il catrum Reu-nia (Ragogna, Udine) è citato da Paolo Diacono sia aproposito dell’attacco degli Avari del 610 (Hist. Lang.,IV, 37), sia nel 693 a proposito della lotta fra Ansfrid de

    Fig. 10. Ragogna (Udine), San Pietro in Castello, alcuni deglielementi superstiti del corredo longobardo. 1. Frammento dianello di fibbia in argento dorato, niellato e con almandini. 2 e6. Guarnizioni auree di cintura multipla. 3. Borchia di scudo inbronzo dorato. 4 e 5. Perni in argento del fodero dello scra-masax (da LUSUARDI SIENA - GIOSTRA 2005).

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  • Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia 31

    castro Reunia e il duca di Cividale Rodoaldo prima e ilre Cuniperto poi (Hist. Lang., VI, 3). Scavi archeologicicondotti all’interno della chiesa di San Pietro in Castellohanno accertato l’origine paleocristiana della chiesabattesimale. Nel primo trentennio del VII secolo, verosi-milmente quando l’edificio venne ristrutturato, un per-sonaggio di alto rango venne sepolto con le armi al suointerno: la tomba è stata violata e svuotata in antico edel corredo rimanevano solo pochi elementi (fig. 10),ma testimoniavano la presenza di due cinture conguarnizioni in oro, circostanza ancora eccezionale inItalia che rimanda a un personaggio di primo pianonelle gerarchie del regno, precocemente sepolto inuna chiesa62. Per ragioni cronologiche non può trattarsidell’Ansfrid citato da Paolo Diacono, ma si conferma lacontinuità di una presenza forte e il ruolo centraleassunto dai castelli nella gestione e nel controllo delterritorio, in questo caso nel potente ducato friulano.Secondo una tendenza analoga, la chiesa tardoanticadi San Pietro in Mavinas a Sirmione (il castrum / civitasSermionensis), già con funzione funeraria, nella primametà del VII secolo attrasse sepolture alloctone in unospazio cristiano63, prima che nel castrum fosse fondatoil monastero desideriano di San Salvatore. Una dina-mica analoga è documentata a Leno, dove la chiesabattesimale di San Giovanni vide la comparsa di tombetarde di armati, prima deposti in area aperta, preludioalla fondazione monastica di San Salvatore, anch’essadesideriana64. In Piemonte, possibili tombe longo-barde in chiese preesistenti sono state documentatesia nel San Lorenzo di Gozzano (fig. 11) che a San Ger-vasio a Centallo, quest’ultima con un radicale inter-vento di ristrutturazione ipoteticamente ricollegata alpersonaggio sepolto con corredo dinanzi a un’absideminore65.Un’altra possibile dinamica relativa alle tombe inchiesa è data dalla costruzione di oratori funerari fami-liari quale nuovo vistoso strumento di autorappresenta-zione del gruppo parentale e di conservazione dellamemoria degli antenati. In qualche caso esso vennecostruito al di sopra di un precedente nucleo di tombe,in origine in area aperta: a Trezzo sull’Adda, non lon-tano dalle cinque tombe di ricchi armati dotati di anellosigillo aureo, il gruppo familiare in loc. Cascina SanMartino venne monumentalizzato in senso cristianocon la costruzione di una cappella che inglobava le

    inumazioni principali, dopo almeno una generazione66.A Campione d’Italia, invece, l’oratorio funerario fucostruito in funzione della deposizione del gruppofamiliare. In questo caso, si registra l’eccezionale pos-sibilità di confrontare il dato archeologico con uno stra-ordinario dossier documentario, quello della famiglia diTotone da Campione. Nella cappella di San Zenofurono sepolti gli antenati di Totone, che compaiononelle chartae: si tratta di membri della piccola aristo-crazia locale, mercanti e proprietari terrieri, dei quali èpossibile studiare le strategie di perpetuazione dellamemoria anche sotto il profilo materiale67.A Mombello Monferrato, dalla metà del VII secoloalcune inumazioni anche con vesti di broccato e cor-redo d’armi di cultura germanica si collocano in rela-zione a un edificio di ampie dimensioni (larghezza m.10) che, seppure non indagato nel settore absidale, sipresume essere una chiesa funeraria di nuova fonda-zione: un’espressione di status e potere economico piùvistosa delle abitazioni, pur indagate parzialmente.Meno di m 100 a sud della chiesa, infatti, vi era almenoun edificio residenziale coevo, monovano a pianta qua-drata (m 5x4,5 circa), con spessi muri in pietra legatada argilla e grandi blocchi squadrati agli angoli: si ipo-tizza che costituissero lo zoccolo portante per montantiin legno di un telaio riempito da ramaglie intrecciate erivestite di argilla, testimoniate da frammenti di incan-nucciato; dei due piani di calpestio in battuto, unoaveva anche un focolare a terra (fig. 12). La struttura

    62 LUSUARDI SIENA - GIOSTRA 2005.63 BREDA ET AL. 2011.64 Sulle due località bibliografia in GIOSTRA 2015, a cui si rimanda perbrevità.65 PANTÒ - PEJRANI BARICCO 2001.

    66 LUSUARDI SIENA - GIOSTRA (a cura di) 2012. Tra i casi analoghi siricorda quello di Castel Trosino, dove l’oratorio funerario venne edifi-cato al centro della grande necropoli quando questa era ancora inuso (PAROLI, a cura di, 1995).67 GASPARRI - LA ROCCA (a cura di) 2005.

    Fig. 11. Chiesa di San Lorenzo di Gozzano (Novara), consepolture della seconda metà del VII secolo) (da PANTÒ -PEJRANI BARICCO 2001).

  • Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi

    dimostra che il quadro tipologico delle abitazioni diambiente longobardo poteva essere più variegatodella sola capanna, soprattutto ormai nel pieno VIIsecolo. Al suo interno e nelle immediate vicinanzedovevano svolgersi svariate attività artigianali, qualiquelle tessili e la lavorazione dell’osso o corno e deimetalli, oltre all’agricoltura e all’allevamento praticatinei dintorni, in un regime di autosufficienza almeno peri bisogni primari. I reperti di pregio rinvenuti nel vanooltre alla ceramica a stampiglia e a stralucido longo-barda, quali un tremisse aureo, una frazione di siliqua euna placchetta di cintura ageminata, simile a guarni-zioni rinvenute nelle tombe, qualificano i possessoricome altolocati e permettono di collegarli agli inumatidelle sepolture nei pressi della chiesa: una famiglia diproprietari di un certo status, utile a definire, una voltatanto, il livello sociale dei fruitori di un’edilizia semplifi-cata, non necessariamente di ceto medio-basso.Anche questo insediamento di cultura longobarda –come a Collegno – è preceduto da un’occupazione

    68 MICHELETTO (a cura di) 2007.69 BEDINI 2007; CASTELLETTI - MOTELLA DE CARLO 2007.70 Sulle analisi paleonutrizionali e bioarcheologiche di MombelloMonferrato: BEDINI - BARTOLI 2007, dove si citano anche le analisipaleonutrizionali condotte sugli inumati della necropoli longobardadi Collegno e della chiesa di San Gervasio a Centallo (VII-VIII

    secolo). Anche a Brega di Rosà (Vicenza), sui resti di una fattoria inuso fino al IV secolo, tra V e VI secolo si installò un piccolo gruppo,prima della rioccupazione di età longobarda, testimoniata anchedalla presenza di capanne seminterrate e da attività di sfruttamentodelle risorse locali: anche in questo caso l’allevamento soprattutto diovicaprini e suini sembra aver avuto un ruolo più rilevante dell’agri-coltura (TUZZATO 2004).

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    verosimilmente gota, con casa in tecnica mista e paretilignee che sfruttano a loro volta i ruderi delle muraturedi una villa romana di prima età imperiale68.

    3. Lo studio multidisciplinare

    3.a L’archeozoologia e la paleobotanica

    A definire meglio l’ambiente naturale, il paesaggioagrario e l’economia a Mombello Monferrato nei diffe-renti periodi riconosciuti concorrono le analisi archeo-zoologiche, paleobotaniche e palinologiche69. Per l’etàromana (con minore documentazione) e per quellagota esse indicano aree in gran parte sfruttate per lecolture cerealicole (orzo e frumento), collegate soprat-tutto all’allevamento dei bovini. In età longobardainvece si assisterebbe a un netto incremento dell’alle-vamento suino e ovicaprino, a scapito di quello bovino:ciò indicherebbe un forte regresso delle coltivazioniagricole (anche con impiego di bovini) e un aumentodell’incolto, con formazione di pascoli e aree boschive– sono attestati salice, olmo, frassino, quercia, carpino,pino e faggio – adatti all’allevamento semibrado e allacaccia di selvaggina, testimoniata da resti ossei diorso, cervo e capriolo. Tale ricostruzione ambientaletrova conferma nelle analisi paleonutrizionali degli inu-mati di età longobarda – ricavate dagli elementi in trac-cia nelle ossa –, che rivelano un’alimentazione basatasul consumo di carne rossa, pesce, latticini e legumi escarso apporto di cereali e verdure70. Sembra di poter riconoscere il modello produttivo-ali-mentare di tipo silvo-pastorale diffuso presso le cultureseminomadi, anche germaniche, e fondato in largamisura sullo sfruttamento delle risorse delle areeincolte (pascoli e boschi) tramite caccia, pesca e alle-vamento semibrado, pur senza escludere l’orto, lavigna e qualche campo coltivato. Anche varie “Leges”barbariche comprese quelle longobarde, legate inbuona parte alla redazione scritta di un diritto consue-tudinario, contengono norme volte a regolamentare losfruttamento dell’incolto boschivo, importante riservadi materie primarie come il legname, largamente impie-gato nelle costruzioni; dalle stesse emerge anche l’in-teresse per gli animali, la caccia, la pesca, l’alleva-

    fig. 12. Mombello Monferrato (Alessandria), disegno rico-struttivo della casa longobarda (da MICHELETTO, a cura di,2007).

  • Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia 33

    mento e la raccolta di frutti spontanei, in un’economiasilvo-pastorale nella quale ampie distese forestalicostituivano un riferimento costante della vita sociale71.

    3.b. Le analisi sui resti ossei

    A definire in maniera più puntuale lo stile di vita e lecondizioni di salute degli individui, i rapporti di paren-tela e le possibili attività lavorative, oltre alle caratteri-stiche fisiche di massima, concorre oggi in manieradeterminante lo studio dei resti ossei degli inumati,attraverso l’osteometria, l’ergonomia (l’analisi dellaforma delle ossa e del grado di sviluppo muscolare), lostudio delle patologie, dei markers scheletrici di stresse dei caratteri non metrici indicatori di parentela72.Circa la necropoli di Collegno, è stata la paleobiologiaa stabilire che gli armati della prima generazione(570/590-640) erano effettivamente impegnati nel-l’esercizio delle armi, spesso a cavallo, e presenta-vano varie lesioni da arma da taglio anche fatali,denunciando uno stile di vita assai dinamico e belli-coso: un profilo che sostanzia, almeno in questo caso,la deposizione delle armi come riflesso di una condi-zione reale e non simbolica; i coevi individui privi dicorredo e presumibilmente appartenenti a una classesociale subalterna dovevano effettivamente esseresottoposti a una intensa attività lavorativa di diversanatura, confermando una certa disparità sociale e diruolo, riflessa anche nelle pratiche funerarie. Nellaseconda fase (640-700) gli inumati con corredo d’armi,ormai ridotto, esercitavano ancora una notevole attivitàfisica di addestramento, ma non sembrano più espostia gravi rischi, mentre nella fase di VIII secolo il gruppo,integrato con le popolazioni autoctone, vive in condi-zioni più disagiate e svolge gravose attività lavorative,verosimilmente nei campi73. Il quadro racconta di unacomunità di nuovi venuti che non videro gli esiti di suc-cesso come possessores che per lo più le fonti scritteci tramandano, bensì una differente dinamica sullungo termine, che permette di integrare la ricostru-zione storica.A conferma poi, dei legami parentali testimoniati daicaratteri ossei ereditari sono state avviate analisipaleogenetiche, prima in Piemonte e ora su scala euro-

    pea, per una migliore definizione della struttura socialedelle necropoli longobarde e delle comunità. Lo studiodel DNA antico (mitocondriale e nucleare), inoltre, puòcontribuire a una migliore definizione dei gruppi alto-medievali in termini popolazionistici. Primi e assai pre-liminari risultati sul DNA mitocondriale di un discretocampione piemontese hanno portato a constatarel’unitarietà degli individui ritenuti longobardi, con altacondivisione genetica con attuali popolazioni del nord-est e del centro Europa, secondo una migrazione cheseguiamo dalle fonti scritte; inoltre, ha stabilito unadiversità genetica, per esempio, con inumati della valdi Susa attribuiti all’ambito merovingio e – in misuraancora da confermare – con i locali di età romana74.Una più ampia messe di dati genetici, anche di DNAnucleare, sarà confrontata con altre analisi di laborato-rio che si stanno avviando sui resti ossei longobardianche nel nostro Paese: quelle degli isotopi stabili. Ele-menti come Stronzio e Ossigeno, legati alla geologia diun habitat, si fissano sui denti durante la formazione epermettono di verificare se la crescita è avvenuta inloco o altrove, divenendo utili indicatori di mobilità e dimigrazione in età adulta e strumenti di verifica di mar-kers archeologici e antropologici, attualmentediscussi. Soprattutto Carbonio e Azoto possono contri-buire invece alla definizione della dieta alimentaredegli inumati sia durante la crescita che nelle ultimefasi di vita75. Una delle prime ricerche integrate, effet-tuata sulla necropoli longobarda ungherese di Szóládnei pressi del lago Balaton (analisi archeologiche,antropologiche, paleogenetiche – al momento mito-condriali – e isotopiche, mobilità e alimentazione) hafornito primi dati coerenti e molto incoraggianti. È risul-tato che nessuno degli adulti analizzati è nato sulposto, ma tutti provengono da altrove (si parla di “altis-sima mobilità dell’intera comunità”) ed evidentementesi sono mossi di nuovo prima che crescesse sul postola seconda generazione (non più di 20 anni di perma-nenza); pur essendo presenti più aplogruppi genetici(a conferma del già noto carattere composito di questigruppi), trovano ampi riscontri in Scandinavia edEuropa centrale; vari uomini hanno traumi ossei, in uncaso letali; sono gli uomini armati a mangiare piùcarne, a indicare una valenza anche sociale delle armi;

    71 GALETTI 1994.72 BEDINI 2014.73 BEDINI 2004b.74 Sul progetto di ambito piemontese: BEDINI ET AL. 2012, con analisidel DNA mitocondriale. Il lavoro è stato sostanzialmente ripreso in:GEARY ET AL. 2015. Il progetto internazionale in corso “Tracing Longo-bard Migration through DNA Analysis” coordinato dal Prof. Patrick

    Geary, Institute for Advanced Study, Princeton (U.S.A.) e di cui fa partela scrivente, punta a eseguire analisi di DNA nucleare su campioniprovenienti da Repubblica Ceca, Austria, Ungheria e Italia. Le analisipaleogenetiche sono coordinate dal prof. David Caramelli, Diparti-mento di Biologia evoluzionistica, Università degli Studi di Firenze.75 Una panoramica sulle analisi degli isotopi stabili e i suoi possibiliimpieghi è presentata nella sezione monografica in «European Jour-nal of Post-Classical Archaeologies», 3, 2013.

  • Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi

    le medie staturali sono piuttosto alte, come diffusi fra gliuomini sono i crani allungati, dato che lascia intrave-dere una certa coerenza in alcuni fattori metrici e mor-fometrici76.

    3.c. I reperti: restauro, analisi di laboratorio, archeolo-gia sperimentale, studi quantitativi

    I numerosi manufatti di corredo soprattutto metalliciche le sepolture longobarde restituiscono sonooggetto, come per altri ambiti di ricerca, di un restauroattento. A volte esso parte dal microscavo in laborato-rio del panetto di terra prelevato dalla sepoltura, chepermette di documentare l’esatta posizione delle sin-gole componenti di un possibile insieme; inoltre,spesso è guidato da radiografia, soprattutto in pre-senza dell’agemina e per evidenziare la damaschina-tura delle lame delle spade (fig. 13).