ANNO 2 - NUMERO 11 Mangiagalli Journal Club

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1 ANNO 2 - NUMERO 11 31 MAGGIO 2013 Mangiagalli Journal Club Newsletter indipendente di aggiornamento scientifico REDAZIONE Paolo Vercellini Enrico Iurlaro Carlo Liverani Benedetta Agnoli Gaia Giorgia Tatjana Radaelli Daniela Alberico Giulia Baffero Giussy Barbara Benedetta Bracco Laura Buggio Lucrezia de Braud Maria Pina Frattaruolo Clara Gargasole Priscilla Guzzo Marta Leonardi Sante Margaglio Elisa Sipio IF 6 WAS 9* Got my own own world to live through And I ain't gonna copy you [...] Nobody know what I'm talking about I've got my own life to live I'm the one that's gonna have to die When it's time for me to die So let me live my life the way I want to. *The Jimi Hendrix Experience. In "Axis: Bold as Love". UK, MCA, 1967.

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ANNO 2 - NUMERO 11 ! 31 MAGGIO 2013

Mangiagal l i Jour nal ClubNewsletter indipendente di aggiornamento scientifico

REDAZIONE

Paolo Vercellini

Enrico Iurlaro

Carlo Liverani

Benedetta Agnoli

Gaia Giorgia

Tatjana Radaelli

Daniela Alberico

Giulia Baffero

Giussy Barbara

Benedetta Bracco

Laura Buggio

Lucrezia de Braud

Maria Pina Frattaruolo

Clara Gargasole

Priscilla Guzzo

Marta Leonardi

Sante Margaglio

Elisa Sipio

IF 6 WAS 9*

Got my own own world to live through

And I ain't gonna copy you [...]

Nobody know what I'm talking about

I've got my own life to live

I'm the one that's gonna have to die

When it's time for me to die

So let me live my life the way I want to.

*The Jimi Hendrix Experience. In "Axis: Bold as Love". UK, MCA,

1967.

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LA SCELTA DI ANGELINAMartedì 14 maggio 2013: Angelina Jolie, 37 anni, rivela al New York Times di essersi sottoposta a mastectomia bilaterale profilattica per positività alla mutazione dell’oncogene soppressore BRCA1. Gran parte del successo dell’attrice è legato alla sua bellezza iconica e al suo sex appeal. La comunicazione della sua scelta ha conseguentemente aperto un acceso dibattito e ha nello stesso tempo focalizzato l'attenzione generale sulla concezione stessa della prevenzione, generando una revisione medica e culturale. Angelina Jolie ha una forte familiarità per tumore mammario e ha perso diverse parenti strette, inclusa la madre, a causa di questa patologia. La decisione di rendere pubblica la sua scelta ha suscitato sia lodi sia critiche. Quotidiani e magazines di tutto il mondo hanno pubblicato commenti, approfondimenti, interviste a esperti senologi e genetisti.

Non sono mancati i giudizi maliziosi, se non francamente malevoli, riguardanti il fatto che lei si è potuta permettere di effettuare il test genetico ($3.000 negli USA) e di sottoporsi a mastectomia profilattica con ricostruzione effettuata dai migliori (e più costosi) chirurghi plastici disponibili, cosa che la gran parte delle donne americane non può permettersi di fare, e che alla sua età si sarebbe comunque rifatta il seno, e quindi non è il caso di enfatizzare a tal punto questa decisione. Il complesso problema merita considerazioni di diverso tipo ma, soprattutto e prima di tutto, di fatti e come nella tradizione del MJC troverete di seguito gli elementi essenziali per formarvi un’opinione personale. Chi scrive non è senologo né genetista e non ha uno specifico background oncologico. Non vi è quindi alcuna pretesa di essere esaustivi sull’argomento. In caso d'imprecisioni chiedo scusa prima di tutto a quante, tra le lettrici, sanno di essere portatrici di mutazioni BRCA1/2. A loro esprimo empatia e comprensione per qualsiasi critica mi vorranno rivolgere. Quanto segue è però frutto di una revisione della più recente letteratura scientifica effettuata mediante PubMed e chiunque può verificare i dati qui riportati.

E' condivisibile il proporre modelli assistenziali su temi così delicati prevalentemente in base a posizioni personali, siano queste conservative o demolitive, per quanto maturate attraverso una vasta esperienza clinica? Si affronta un tema molto particolare e le donne interessate hanno a che fare con la loro aspettativa e qualità di vita. I bilanci rischi/benefici/costi devono basarsi su tutto quanto è noto, considerando che la decisione finale è fortemente influenzata dall’impatto psicologico delle informazioni ricevute che debbono, come sempre, essere il più possibile complete e aggiornate.

I FATTI

I geni oncosoppressori BRCA1/2 sono localizzati, rispettivamente, sul cromosoma 17 e 13. Il primo è stato scoperto nel 1994, il secondo l’anno successivo. BRCA1/2 sono essenziali nel preservare la struttura cromosomica, sono dei soppressori dell’instabilità genomica. Le cellule BRCA-deficienti sono cromosomicamente instabili poiché tali geni sono coinvolti nella riparazione dei danni al DNA. Questa instabilità generalizzata è alla base dello sviluppo del tumore.

La mutazione del gene BRCA1 si associa a un rischio di tumore mammario variabile dal 60% a più dell’80% e ad un rischio di cancro ovarico del 40-60%. La mutazione BRCA1 si associa inoltre a un particolare tipo di cancro mammario, il cosiddetto “triplo negativo”, la forma più aggressiva, che rappresenta circa il 20% dei casi di cancro al seno e di solito colpisce le donne più giovani. Il cancro mammario triplo negativo non esprime recettori per estrogeni (ER), né recettori per il progesterone (PR), né recettori del fattore di crescita epidermica umana di tipo 2 (Her2/neu). Esso è per lo più di alto grado, diagnosticato di solito in fase avanzata, dato il rapido modello di crescita e il fatto che colpisce le donne più giovani; è inoltre generalmente di dimensioni maggiori rispetto ad altri tipi di cancro.

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I trattamenti convenzionali sono di efficacia ridotta perché non vi sono specifici obiettivi terapeutici cui mirare, come i recettori per estrogeni. A causa di questo rimane alto il rischio di metastasi e di recidiva.

La mutazione del gene BRCA2 comporta un rischio di tumore mammario del 40-60% e di tumore ovarico del 20-40%. La mutazione BRCA2 è associata anche a tumore della mammella maschile, della prostata e del pancreas. I tumori mammari associati a mutazione BRCA2 sono per lo più positivi per recettori per estrogeni e progesterone.

Circa il 10% di tutti i tumori mammari è di tipo ereditario, mentre il rimanente 90% è di tipo sporadico. All’interno dei tumori mammari ereditari, circa il 40% è associato a mutazioni BRCA1/2 (20% + 20%), il 10% ad altre mutazioni note, e il rimanente 50% a probabili mutazioni non ancora note. Complessivamente, circa il 5% di tutti i tumori mammari è quindi associato a mutazioni BRCA1/2. I cancri ovarici associati a mutazione BRCA1/2 sono generalmente sierosi di alto grado, quindi di possibile origine tubarica, mentre assai più rari sono gli istotipi endometrioidi e a cellule chiare.

La prevalenza dei carriers di geni mutati nella popolazione occidentale è variabile da 1/150 a 1/800, anche in relazione alla composizione etnica. E’ noto che le donne ebree hanno una prevalenza di mutazione BRCA1 più alta di altri ceppi etnici (1-4%), specie se di origine Askenazita. E’ stato stimato che in Italia vi siano circa 150.000 donne portatrici, ma tale numero potrebbe essere superiore.

Le mutazioni BRCA1 sono state identificate in circa il 45% delle famiglie con casi multipli di carcinoma mammario e in circa il 90% delle famiglie con casi di cancro sia della mammella sia dell’ovaio nella stessa paziente. Le mutazioni BRCA2 sono state identificate in circa il 35% delle famiglie con casi multipli di carcinomi della mammella, casi di carcinomi della mammella maschile, carcinoma del pancreas e della prostata.

BRCA1 e 2 sono geni a penetranza incompleta ed espressività variabile. In altre parole, non tutti i portatori di mutazione svilupperanno la malattia (penetranza incompleta) e la storia clinica della malattia può essere diversa tra portatori della stessa mutazione (espressività variabile). L’identificazione dei fattori ambientali e genetici (coorte di nascita, uso di contraccettivi orali, età alla prima gravidanza, altri fattori genetici, etc.) che modificano la penetranza delle mutazioni è importante per fornire una corretta stima del rischio di malattia. Inoltre, il rischio attribuibile a ciascuna differente mutazione è diverso se è valutato all’interno di famiglie ad alto rischio o nella popolazione generale.

Le mutazioni dei geni BRCA, oltre ad aumentare il rischio di tumore mammario e ovarico, aumentano il rischio di cancro in generale. In particolare, le mutazioni BRCA2 aumentano il rischio di cancro alla prostata di sette volte nei portatori di età inferiore ai 65 anni. Il rischio nei portatori di mutazione BRCA1 è doppio. E’ inoltre aumentato il rischio di tumore al colon e di carcinoma pancreatico.

LE FAMIGLIE A RISCHIO

Un carico oncologico ereditario può essere identificato anche nel caso che solo due o più soggetti, o una giovane donna, sviluppino la neoplasia. I cancri mammari e ovarici ereditari sono causati da ereditarietà autosomica dominante a penetranza incompleta. BRCA1/2 sono trasmessi al 50% dei discendenti come alleli mutati secondo un modello di eredità monogenica. Talvolta un difetto genetico può essere associato all’assenza di neoplasie nell’anamnesi familiare.

Ciò è dovuto alla bassa penetranza dei portatori maschi di mutazione BRCA1/2, riferito come “gender effect”. Nella Tabella 1 è riportata la probabilità empirica di mutazione BRCA1/2 in base all’anamnesi familiare. In tutti i casi elencati è indicata la ricerca della mutazione BRCA1/2.

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Tabella 1. Casi familiari e probabilità empirica di mutazioni patogene BRCA (percentuale di pazienti con

evidenza di mutazioni patogene in base alla storia familiare; accuratezza ± 2%)

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Casi familiari Probabilità empirica di mutazione

__________________________________________________________________________

≥ 3 ca. mammari, due di essi prima dei 51 anni, 30.7%

nessun ca. ovarico, nessun ca. mammario maschile

≥ 3 ca. mammari a qualsiasi età, 22.4%

nessun ca. ovarico, nessun ca. mammario maschile

2 ca. mammari, entrambi prima dei 51 anni, 19.3%

nessun ca. ovarico, nessun ca. mammario maschile

2 ca. mammari, uno dei quali prima dei 51 anni, 9.2%

nessun ca. ovarico, nessun ca. mammario maschile

≥1 ca. mammario, ≥1 ca. ovarico a qualsiasi età 48.4%

nessun ca. mammario maschile

≥2 ca. ovarici a qualsiasi età, 45.0%

nessun ca. mammario femminile o maschile

1 ca. mammario prima di 36 anni, 10.1%

nessun ca. ovarico, nessun ca. mammario maschile

1 ca. mammario bilaterale, il primo entro i 51 anni, 24.8%

nessun ca. ovarico, nessun ca. mammario maschile

≥1 ca. mammario maschile e ≥1 ca. mammario femminile 42.1%

o ca. ovarico

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Fonte: German Consortium for Hereditary Breast and Ovarian Cancer, 2011

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Inoltre, il rischio di malattia associato a mutazione BRCA1/2 è modulato da altri geni, le cui varianti low-risk possono influenzare l’età d’insorgenza del carcinoma mammario o ovarico. Ad esempio, l’età d’insorgenza della patologia oncologica nelle portatrici della mutazione BRCA2 è influenzata dalla variante low-risk del gene FGFR2, mentre l’entità del rischio nelle portatrici di mutazione BRCA1 è in parte determinato dalla variante low-risk del gene MERIT40.

L E C A R AT T E R I S T I C H E C L I N I C H E D E L C A N C R O

MAMMARIO ASSOCIATO A MUTAZIONE BRCA1/2

L’età d’insorgenza del carcinoma mammario nelle portatrici di mutazione BRCA1/2 è di circa 20 anni inferiore rispetto all’età media d’insorgenza del cancro sporadico e colpisce dalla seconda all’ottava decade di vita. I tumori associati a mutazione BRCA1 si comportano come i cancri mammari triple-

negative, proliferando aggressivamente, metastatizzando prevalentemente nei tre anni successivi alla diagnosi, e mostrando una correlazione debole tra volume del tumore, stato linfonodale e sopravvivenza.

Il rischio di malattia controlaterale dipende dall’età d’insorgenza e da quale gene BRCA è coinvolto. Complessivamente, il rischio cumulativo di malattia per il seno “sano” è quasi del 50% (47.4%; 95% CI, 38.8% - 56.0%. Meindl et al. 2011). Le donne con mutazione BRCA1 hanno un rischio 1.6 volte maggiore di sviluppare cancro controlaterale rispetto alle donne con mutazione BRCA2. La giovane età all’insorgenza è associata a un aumentato rischio di malattia nel seno sano. Le portatrici di mutazione non hanno invece un aumentato rischio di recidiva ipsilaterale dopo chirurgia mammaria conservativa e radioterapia adiuvante.

LO SCREENING

Le strategie di screening nelle portatrici di mutazioni BRCA1/2 possono variare tra diversi paesi e centri, ma devono tener conto della precoce età d’insorgenza e della rapidità di crescita di questi tumori. Inoltre, data la conformazione della ghiandola mammaria in età giovanile, lo screening non può basarsi esclusivamente sulla mammografia. Oltre alla palpazione e all’ecografia ogni 6 mesi a partire dai 25 anni di età, è prevista la risonanza magnetica mammaria annuale (semestrale in alcuni centri) dai 25 ai 55 anni di età (o fino all’involuzione del parenchima ghiandolare) e la mammografia annuale dai 30-35 anni in poi.

LA PROFILASSI CHIRURGICA

La cosiddetta risk-reducing surgery nelle portatrici di mutazione BRCA1/2 comprende la mastectomia bilaterale profilattica, la mastectomia controlaterale profilattica e l’annessiectomia bilaterale profilattica (Tabella 2). La mastectomia bilaterale riduce il rischio di sviluppare un carcinoma mammario di circa il 95% e riduce quindi la mortalità del 90%. La mastectomia bilaterale non deve essere effettuata prima dei 25 anni di età. La mastectomia controlaterale dev’essere considerata dopo un accurato calcolo del rischio effettivo, basato sul quadro genetico complessivo e su alcune caratteristiche cliniche quali l’età d’insorgenza.

L’annessiectomia bilaterale profilattica riduce del 97% il rischio di carcinoma ovarico, del

50% il rischio di carcinoma mammario primario e del 30-50% il rischio di carcinoma

controlaterale secondario.

L’annessiectomia bilaterale profilattica è associata a una riduzione complessiva di mortalità del 75%. L’intervento è consigliato all’età di 40 anni e comunque dopo il completamento della prole. Il trattamento ormonale sostitutivo è indicato approssimativamente fino all’età di 50 anni.

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Tabella 2. Chirurgia profilattica raccomandata per le donne ad alto rischio sane e per coloro con

anamnesi di cancro mammario unilaterale, con e senza mutazioni BRCA 1/2

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Mut. BRCA Anamnesi Mastectomia profilattica Annessiectomia profilattica

__________________________________________________________________________

Positivo Sana In base al desiderio della Raccomandata dai 40 anni

pz., a partire dai 25 anni

Ca. mammario Possibile, specie in pz. Raccomandata in base alla

unilaterale giovani, in base al gene prognosi

mutato, età e prognosi

Negativo Ca. mammario Generalmente non indicata Generalmente non indicata,

unilaterale da considerare in caso di

ca. ovarici in famiglia

Sana Generalmente non Generalmente non

indicata indicata

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Da Meindl et al., Dtsch Arztebl Int 2011;108:323-330

CIO’ CHE LE DONNE DEVONO SAPERE

Kurian e collaboratori, dell'Università di Stanford, California, hanno costruito un modello predittivo (Monte Carlo model) basato su diverse variabili e includente tutti i dati pubblicati, per stimare l'incidenza di cancro mammario e ovarico, la prognosi e la probabilità di sopravvivenza in base a diverse politiche adottate, quali screening mammario con mammografia e RMN, mastectomia profilattica e annessiectomia profilattica effettuate a varie età (Kurian et al., 2012). Questo modello di simulazione è stato adattato in uno strumento consultabile online da parte di pazienti e medici per aiutare una decisione condivisa (shared decision making). Tutti gli interessati possono utilizzarlo digitando http://brcatool.stanford.edu Vi invito a provarlo, è utile e "educativo".

Per le portatrici di mutazione BRCA1, la sopravvivenza è massimizzata (80%) e l'incidenza di cancro minimizzata (11%) dalla combinazione di mastectomia ed annessiectomia profilattiche all'età di 25 anni. In confronto, la stessa combinazione praticata a 40 anni comporta una riduzione del 3% della sopravvivenza (77%) con un aumento del 21% nell'incidenza di cancro (32%), mentre lo screening mammario più annessiectomia a 40 anni, senza mastectomia profilattica, comporta una riduzione del 6% della sopravvivenza (74%) con un aumento d'incidenza di cancro del 46% (57%).

Per le portatrici di mutazione BRCA2, la sopravvivenza è massimizzata (83%) e l'incidenza di cancro minimizzata (4%) dalla combinazione di mastectomia ed annessiectomia profilattiche all'età di 25 anni. In confronto, la stessa combinazione praticata a 40 anni comporta una riduzione dell'1% della sopravvivenza (82%) con un aumento dell'11% nell'incidenza di cancro (15%), mentre lo screening

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mammario più annessiectomia a 40 anni, senza mastectomia profilattica, comporta una riduzione del 3% della sopravvivenza (80%) con un aumento d'incidenza di cancro del 22% (36%).

Per le portatrici di mutazione BRCA1/2, la mastectomia profilattica, l'annessiectomia profilattica e la combinazione delle due procedure riducono l'incidenza di cancro mammario in misura inversamente relata all'età a cui è praticata la chirurgia. Lo stesso concetto è applicabile all'annessiectomia profilattica per quanto riguarda il carcinoma ovarico.

Anche le caratteristiche della malattia diagnosticata allo screening sono importanti, perché possono obbligare a scelte terapeutiche quali linfoadenectomia e chemio-radioterapia adiuvante che hanno un impatto sulla qualità della vita indipendentemente dalla sopravvivenza.

In assenza di chirurgia profilattica, le portatrici di mutazione BRCA1 hanno alta probabilità di sviluppare un tumore negativo per recettori estrogenici (ER) con coinvolgimento dei linfonodi ascellari (34%), corrispondente allo stadio da II a III dell'American Joint Committee on Cancer. La seconda diagnosi più probabile è di tumore maggiore di 2 cm, ER negativo, con linfonodi negativi (per lo più stadio II; 16%), o tumore ER positivo con linfonodi positivi (Stadio II-III; 16%). Quindi, i tre scenari più probabili in assenza di mastectomia profilattica richiedono la chemioterapia adiuvante. I tumori ER positivi richiedono inoltre la terapia ormonale adiuvante. L'aggiunta dello screening basato sulla

RMN modifica il quadro di presentazione: la probabilità maggiore nelle donne screenate è di

identificare un tumore allo stadio I, ER negativo, (42%, generalmente richiedente

chemioterapia), seguito da stadio I, ER positivo (25%, richiedente terapia ormonale e

possibilmente chemioterapia), e stadio II-III, ER negativo, linfonodi positivi (14%, richiedente

chemioterapia).

Sempre con screening basato sulla RMN, le portatrici di mutazione BRCA2 hanno la

probabilità maggiore di sviluppare un tumore stadio I, ER positivo (55%, richiedente terapia

ormonale e possibilmente chemioterapia), seguito da uno stadio II-III, ER positivo, linfonodi

positivi (14%, richiedente chemioterapia e terapia ormonale) e stadio I, ER negativo (13%,

generalmente richiedente chemioterapia). Poiché circa l'80% delle portatrici di mutazione BRCA2 riceverranno una diagnosi di tumore inferiore ai 2 cm, con linfonodi negativi e recettori positivi, in molti casi la chemioterapia potrà essere evitata.

Il problema dei modelli predittivi è l'impossibilità di controllare per tutte le variabili in gioco. Conseguentemente, non si possono ancora trarre conclusioni definitive. Se dati futuri dimostrassero che lo screening basato sulla RMN identifica un maggior numero di cancri preinvasivi (che hanno un'ottima sopravvivenza e non richiedono chemioterapia) rispetto alle previsioni, o se fossero sviluppati trattamenti con pochi effetti collaterali e specificamente mirati ai casi di mutazione BRCA1/2, allora la strategia di screening potrebbe offrire un outcome migliore di quello ora definito dal modello statistico. Viceversa, se la penetranza della mutazione si rivelasse maggiore o la prognosi del cancro peggiore della stima statistica, allora la chirurgia profilattica risulterebbe più favorevole.

Inoltre, vi sono aspetti chirurgici che possono non risultare immediatamente evidenti quando si parla in generale di prognosi e sopravvivenza, ma che le pazienti devono conoscere prima di giungere alla decisione definitiva. Dal punto di vista tecnico, le difficoltà, le complicazioni e l'effetto stesso della mastectomia profilattica sono influenzate dalla conformazione del seno della paziente. I migliori risultati in termini sia di riduzione del rischio sia estetici si ottengono con mammelle di piccole-medie dimensioni, mentre l'intervento profilattico su seni di grandi dimensioni può essere gravato da un'aumentata probabilità di complicazioni postchirurgiche, aumento della percentuale di tessuto mammario residuo, e di necessità di rimozione/sostituzione protesica a breve termine. Le protesi

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dovrebbero comunque essere sostituite ogni 10-15 anni. Infine, la mastectomia profilattica implica la perdita della sensibilità cutanea.

Vi è inoltre un ulteriore aspetto chirurgico/estetico da considerare, cioè il risparmio o il sacrificio del capezzolo. Infatti, la "nipple-sparing mastectomy" è in costante aumento specialmente nelle donne portatrici di mutazione BRCA1/2 che si sottopongono a chirurgia profilattica. Reynolds e collaboratori (2011) hanno analizzato l'esperienza della Mayo Clinic di Rochester, Minnesota, esaminando l'intero complesso capezzolo-areola

(n = 62) di 33 donne con mutazione BRCA1/2 sottoposte a mastectomia tra il 1987 e il 2009 (25 BRCA1 e 8 BRCA2). La presenza di "terminal duct lobular units" è stata evidenziata nel 24% dei campioni. In nessuno dei 33 campioni provenienti da mastectomia profilattica sono stati identificati iperplasia atipica, carcinoma in situ o carcinoma invasivo. Tra i campioni provenienti da mastectomia terapeutica per cancro mammario, 2 (7%) erano interessati da tessuto neoplastico e 1 (3%) da atipie preneoplastiche. Gli autori concludono che la probabilità di coinvolgimento neoplastico del complesso capezzolo-areola è basso nei casi di mastectomia profilattica, ma sale al 10% nei casi di mastectomia terapeutica e considerano oncologicamente sicura la conservazione del capezzolo in casi selezionati di mastectomia profilattica.

I DATI NORVEGESI

I dati disponibili sulla strategia di screening con RMN sono limitati e contrastanti. I risultati più recenti sono stati pubblicati da pochi giorni e si riferiscono a 802 donne con mutazione BRCA1 screenate con mammografia e RMN annuale e seguite per un periodo medio di 4.2 anni nell'ambito di un programma di sorveglianza nazionale Norvegese (Møller et al., 2013). Secondo gli autori, in Norvegia l'incidenza annuale di cancro mammario nelle portatrici di mutazione BRCA1 è del 2% per le donne di età maggiore di 25 anni o approssimativamente del 61% all'età di 70 anni. Lo studio è stato condotto con l'obiettivo di verificare se il down-staging del cancro mammario alla diagnosi ottenuto con l'implementazione della RMN nelle modalità di screening, si associ anche a un miglioramento della sopravvivenza. Questo tipo di evidenza è infatti cruciale nella decisione tra atteggiamento d'attesa o mastectomia bilaterale profilattica.

Tutte le donne Norvegesi godono di un'assicurazione sulla salute pagata dallo stato e l'accesso a qualsiasi tipo di assistenza medica (screening o mastectomia profilattica) è stato fornito a costo limitato o nullo. In 217 casi su 802 la donna ha optato per la mastectomia profilattica. Nel periodo di studio sono stati diagnosticati 68 cancri mammari, di cui 63 invasivi e 5 in situ, con volume medio di 1.4 cm e con linfonodi negativi nel 93% dei casi. Delle 63 pazienti con cancro invasivo, 9 (14%) sono decedute. La sopravvivenza a 5 anni è stata del 75% (95% CI, 56-86%) e quella a 10 anni del 69% (95% CI, 48-83%). Il Norwegian Cancer Registry riporta una sopravvivenza del 98% nella popolazione generale per i cancri mammari allo stadio I (http://www.kreftregisteret.no/Global/CIN_2010.pdf) in confronto all'82% (p < 0.05) osservato in questa serie. Variabili quali età alla diagnosi, così come lo stato recettoriale e linfonodale non sono risultate associate alla sopravvivenza. Il 76% delle pazienti ha effettuato una chemioterapia.

Gli autori considerano che questi dati non permettono un confronto formale con le donne che hanno optato per la mastectomia profilattica. Nonostante ciò la sopravvivenza delle donne che si sono sottoposte a screening è "disappointing", nonostante il fatto che la gran parte dei cancri non sia stato diagnosticato al primo screening (prevalent cases), bensì durante lo screening (incident cases) e che la maggior parte di questi ultimi fosse di volume inferiore ai 2 cm e con linfonodi negativi (stadio I). L'alta mortalità osservata non sembra quindi dovuta a diagnosi tardiva o mancata.

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Nonostante il limitato numero di pazienti considerate (68 cancri, 10 decessi), la casistica presentata è la più ampia attualmente disponibile in letteratura ed è derivata dal più ampio studio coorte di screening di portatrici di mutazione BRCA1 condotto finora. Inoltre, la compliance delle donne è stata buona e l'80% dei decessi è stato osservato in soggetti che hanno aderito puntualmente allo screening. Le conclusioni degli autori, che vengono riportate in originale, sono le seguenti: "The

results of this and other studies, suggest that it is premature to offer MRI-based screening as

an alternative to preventive mastectomy to women with a BRCA1 mutation who wish to

minimize their risk of dying of breast cancer. [...] It is possible that the value of MRI screening

in BRCA1 mutation carriers will increase if the screening interval is shortened and if mortality

is reduced by novel therapies".

Per le "novel therapies" attendiamo i risultati di trials randomizzati; per quanto riguarda lo screening semestrale, non si può evitare di considerare l'effetto psicologico di una vita sotto screening, così come l'impatto economico, che necessiterebbe di una attenta analisi di proiezione sui costi finali di una strategia di attesa versus profilassi chirurgica.

TESTIMONIANZE

L'agenzia Dire, newsletter bisettimanale di sanità e salute, ha pubblicato online l'intervista e il video (www.dire.it) della collaboratrice Silvia Mari, di 34 anni, portatrice della mutazione BRCA2, di cui sono sotto riportati alcuni passaggi. Analoga intervista è stata pubblicata sul settimanale Panorama del 29 maggio 2013, pagina 57.

"A un certo punto ho messo insieme gli affetti che avevo perso e ho pensato che ci fosse un nesso. Non avendo competenze scientifiche mi ha salvato la filosofia, mi ha aiutato il ragionamento. [...] Vengo da una famiglia con numerosi casi di tumore al seno e della sorveglianza ordinaria non mi accontentavo più. Così ho acceso il pc e su un motore di ricerca ho scoperto dei due geni che se mutati potevano dare luogo ad un'ereditarietà di predisposizione al cancro al seno. Sono riuscita a fare un test genetico solo al Centro Studi Sanità dell'esercito Italiano dopo aver tentato in normali strutture. E' così che ho scoperto di essere portatrice della mutazione BRCA2. I controlli non impediscono l'insorgenza della malattia. Al massimo possono consentire una diagnosi precoce che non necessariamente significa guarigione. L'unico mezzo reale di prevenzione è la chirurgia. Come sono arrivata alla decisione di farmi operare? Avevo scoperto che fuori dall'Italia donne nella mia stessa condizione si operavano preventivamente e ho scoperto che nel nostro paese era possibile farlo. Sono arrivata all'operazione con alle spalle tre anni di preparazione. Oggi la mia qualità di vita è decisamente migliorata. Sono passata da controlli ogni 4-6 mesi a controlli annuali, anche per quanto riguarda il controllo delle protesi. E li affronto con la serenità di sapere di aver fatto tutto quanto era nelle mie possibilità". Silvia Mari ha raccontato la sua vicenda in un libro ('Il rischio', 2011,

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ed. Fontes), "per aiutare chi era nelle mie condizioni a informarsi, ricordandomi delle difficoltà che ho incontrato io". Quando si è sottoposta all'intervento, Silvia Mari aveva 28 anni.

CHE FARE?

Nonostante i dati riguardanti le pazienti portatrici di mutazione BRCA1/2 si stiano accumulando, persistono i dubbi su scelte sostanziali, quali la decisione tra screening e mastectomia profilattica e quando effettuare quest'ultima così come l'annessiectomia profilattica. Le principali linee guida suggeriscono l'annessiectomia a 40 anni, ma suggeriscono di discutere con la paziente la scelta tra screening mediante RMN o mastectomia. Questa scelta è difficile perché, al di là dei diversi modelli di previsione e valutazione del rischio proposti, non sono stati pubblicati trials randomizzati che

abbiano confrontato direttamente queste due opzioni. Inoltre, gli studi disponibili non

chiariscono con precisione alcuni aspetti importanti, ad esempio la definizione della

probabilità per una donna che sceglie lo screening con RMN di sviluppare un cancro che

richieda la chemioterapia adiuvante. Ciò è importante perché il tipo di trattamento richiesto influenza non solo la sopravvivenza, ma anche la qualità della vita. Inoltre, non é possibile comparare nella singola paziente opzioni combinate, quali mastectomia profilattica più annessiectomia profilattica immediate versus screening più annessiectomia immediata e mastectomia profilattica posticipata.

Le decisioni riguardanti le strategie di riduzione del rischio sono complesse e altamente personali. Nella maggior parte dei casi la principale difficoltà è la stima accurata del reale rischio nella singola paziente. Nonostante tutto quanto sopra descritto, un considerevole numero di donne portatrici di mutazione BRCA1/2 non svilupperà mai un cancro, data la diversa penetranza influenzata da variabili in parte ignote. Secondo Kurian e collaboratori (2012), la rimozione degli organi a rischio rimane una "scommessa" e la decisione finale è influenzata da fattori psicologici soggettivi relati all'età, parità, futuro desiderio di prole (Donnelly et al., 2013) e numero ed esito di altri cancri in famiglia. L'ottimizzazione della qualità della vita dipende anche dai diversi valori individuali: per una donna è meglio mantenere il seno per il maggior tempo possibile e accettare la possibilità di una diagnosi che, pur precoce, imponga la chemioterapia; per un'altra è meglio effettuare interventi chirurgici profilattici precocemente per evitare di vivere in un costante stato di allarme cadenzato da decenni di stressanti e incalzanti indagini. Inoltre, nessun asettico modello statistico di previsione può sostituirsi a un'empatica relazione medico-paziente. I dati disponibili devono servire da base per una decisione che realizzi il più possibile le preferenze della paziente (Kurian et al., 2012).

THE “ANGELINA” EFFECT, LA PATIENT-CENTERED

MEDICINE E IL SHARED-DECISION MAKING

La notizia della decisione di Angelina Jolie è letteralmente esplosa sui mezzi di comunicazione mondiali e sui social networks. In Italia se ne sono occupati tutti i principali quotidiani e periodici. Anche altre personalità femminili, tra cui la cantante Michelle Heaton, la modella Allyn Rose, la moglie di Ozzy Osborne, Sharon, avevano già ufficializzato la stessa scelta, senza però scatenare gli stessi clamori e reazioni. I maggiori esponenti della senologia Italiana hanno espresso perplessità sia nel merito che nel metodo. E' stata disapprovata la decisione in se, a favore dell'alternativa conservativa, così com'è stata criticata la decisione di annunciare pubblicamente l'effettuazione dell'intervento. Secondo alcuni, questo ha generato un panico planetario, con impressionante aumento di richieste di analisi del DNA anche nella popolazione a normale rischio, di decisioni di sottoporsi a mastectomia profilattica nelle donne già a conoscenza del loro stato BRCA1/2, ma che avevano inizialmente optato per lo screening, di richieste immotivate di mastectomia bilaterale anche per cancri non associati a mutazione BRCA1/2.

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Il paradiso sulla terra per i proprietari nordamericani del brevetto del test per le mutazioni BRCA1/2, per gli istituti che lo offrono, per i chirurghi plastici che si occupano di ricostruzione mammaria. Come

noto, negli USA l'assistenza sanitaria è infatti prevalentemente privata. Nei paesi Europei il test è invece generalmente offerto dai sistemi sanitari nazionali nei casi di anamnesi familiare suggestiva di mutazione genetica. In Italia la mastectomia profilattica è offerta dal SSN su richiesta delle portatrici di mutazione BRCA1/2.

Osserviamo la questione da un altro punto di vista: quante probabilità ci sarebbero state di occultare indefinitamente la notizia dell'intervento profilattico subito dalla Jolie? E quale sarebbe stato l'effetto di uno scoop reso possibile dal fallimento del controllo sull'informazione? Come in passato, tutto ciò che riguarda il cancro sarebbe stato vissuto come qualcosa da nascondere, quasi di vergognoso. Invece, una comunicazione aperta e sincera potrebbe avere l'effetto di decongestionare i timori di molte donne, perchè il trapelare di notizie incontrollate e potenzialmente distorte può rivelarsi fonte d'angoscia.

Inoltre, sapere che anche un'attrice come la Jolie ha affrontato una mastectomia in apparente serenità, non può fare che bene alla moltitudine di pazienti che hanno dovuto o dovranno subire il medesimo intervento per una diagnosi di cancro. Infine, adesso tutto il mondo sa cosa sono le mutazioni BRCA1/2, quali sono i rischi, le opportunità diagnostiche e le alternative terapeutiche. Data la frequenza del cancro mammario e la letalità di quello ovarico, l'effetto "culturale" sui medici è stato indubbiamente favorevole e questo potrà esitare in un beneficio per le potenziali pazienti. Alzi la mano chi non ha letto con curiosità professionale quanto riportato sui giornali o chi non è andato a rileggersi qualcosa sull'argomento con un vago senso di colpa generato dalla consapevolezza di avere informazioni vaghe o incomplete! Le donne stesse ora hanno modo di capire di più e di trovare sul web le informazioni che nessuno finora aveva fornito e che ad alcune di loro possono salvare la vita.

Certo, bisognerebbe evitare generalizzazioni e impennate di overdiagnosis e overtreatment, tanto deprecati anche sulle pagine del MJC. Tuttavia, sempre a proposito del cosa e del come, è indispensabile contestualizzare quanto dichiarato da Angelina Jolie, che è stata estremamente chiara sulla condizione familiare e sulla mutazione da cui è affetta. Le sue parole sono state semplici e inequivocabili. L'attrice non può essere ritenuta responsabile di misinterpretazioni o generalizzazioni. Inoltre la Jolie è portatrice della variante BRCA1, cioè quella associata al maggior incremento di rischio, e quanto da lei dichiarato è stato riferito specificamente a questo tipo di popolazione.

Uno dei quesiti da porsi è se, a parte penetranza e altre variabili, una donna con mutazione BRCA1 possa effettivamente essere considerata "sana". Chi di noi, sapendo di avere dal 60% all'80% di probabilità di sviluppare prima o poi un cancro, si riterrebbe "sano", anche se non ha ancora ricevuto una diagnosi positiva? In queste circostanze, quali sono i confini tra profilassi e terapia? Quando lo screening assomiglia al monitoraggio dell'inevitabile, possiamo ancora definire la mastectomia bilaterale una chirurgia "preventiva" nel vero senso della parola? L'effetto psicologico dell'intervento è o non è un trattamento, quando si è consapevoli di essere portatori di una mutazione BRCA1 e si sono persi diversi familiari? E' ragionevole attendersi che queste donne consumino la propria vita nell'attesa e nell'ansia, costrette a una quotidianità scandita da prenotazioni, appuntamenti, visite, esami, colloqui ed RMN semestrali? Come vengono condotte le consulenze? Sono offerte tutte le informazioni disponibili in letteratura in modo obbiettivo? Quanto pesano le opinioni professionali personali? Il caso Jolie è un cavallo di Troia che permette di entrare all'interno dell'essenza stessa del rapporto medico-paziente e definisce il paradigma della nuova medicina, costituita sempre più da condizioni croniche per le quali sono possibili diverse alternative, nessuna delle quali associata a un

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rapporto tra rischi, benefici e costi chiaramente più favorevole e dove la preferenza del paziente è determinante.

Parliamo della medicina centrata sul paziente, dove i valori e le opinioni che contano per le scelte terapeutiche non sono necessariamente quelle del medico. In questi anni siamo testimoni di un radicale mutamento di rapporti e del progressivo dissolversi della medicina paternalistica e decisionista. Lo stesso giorno in cui Angelina Jolie annunciava al New York Times di essersi sottoposta a mastectomia profilattica, il British Medical Journal pubblicava un articolo dell'editore, Fiona Godlee, intitolato "Partnering with patients", un commentario di Ray Moynhian intitolato "The

future of medicine lies in truly shared decision making" e un editoriale di Tessa Richards con altri editori e rappresentanti dei pazienti intitolato "Let the patient revolution begin".

Coincidenze?

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!"#"$%&'(&##)*)

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Special Contribution: pag. 15

intervista al Prof. Pier Mannuccio Mannucci

sulla ricerca medica in Italia

According to...il punto di vista di

D.ssa Claudia Borreani: pag. 21

Mutazione BRCA1 e cancro mammario. Il rischio

visto con gli occhi delle donne

Prof. Allan Templeton: pag. 24

One embryo replacement - the best option

Literature Update

Bad Medicine pag. 26

Jason S. Mathias et al.

Developing Quality Measures to Address OveruseJAMA, May 8, 2013—Vol 309, No. 18; Commento di Benedetta Agnoli

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Endocrinologia pag. 28

Xu et al.

Testosterone therapy and cardiovascular events among men: a systematic review and meta-analysis of placebo-controlled randomized trials BMC Medicine 2013, 11:108; Commento di Daniela Alberico e Giorgia Gaia

Ginecologia pag. 31

Leontine Alkema et al.

National, regional, and global rates and trends incontraceptive prevalence and unmet need for family planning between 1990 and 2015: a systematic and comprehensive analysis Lancet 2013; 381: 1642–52; Commento di Priscilla Guzzo ed Enrico Iurlaro

Metabolismo pag. 34

Dexter Canoy et al.

Body mass index and incident coronary heart disease in women: a population-based prospective study BMC Medicine 2013, 11:87; Commento di Laura Buggio ed Enrico Iurlaro

Oncologia pag. 36

Phillip M. Boiselle

Computed Tomography Screening for Lung Cancer JAMA, March 20, 2013—Vol 309, No. 11; Commento di Maria Pina Frattaruolo e Benedetta Agnoli

Ostetricia pag. 39

Jeffrey Ecker

Elective Cesarean Delivery on Maternal Request JAMA, May 8, 2013—Vol 309, No. 18; Commento di Giulia Baffero e Benedetta Agnoli

News and Views pag. 42

Considerazioni del Dr. Mario Sideri su pap test e HPV test

Editorial comment Andy Wharol’s Stardust

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SPECIAL CONTRIBUTION

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Direttore Scientifico, Fondazione I.R.C.C.S. Ca’ Granda

Ospedale Maggiore Policlinico, Milano.

Interview by

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Di

Os

Abbiamo il piacere e l’onore di pubblicare un’intervista sulla ricerca medica in Italia concessa al MJC dal Professor Pier Mannuccio Mannucci, Direttore Scientifico della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. Il Prof. Mannucci è uno dei principali ricercatori clinici Italiani, ai vertici del ranking nazionale, incluso tra i primi 20 scienziati in assoluto per h-index nella classifica che include tutti i settori scientifico-disciplinari.

Qual è la sua opinione sulla condizione generale della ricerca scientifica medica Italiana? In

particolare, nonostante le note difficoltà di ogni tipo, la produttività rimane di qualità

apprezzabile. Come si spiega?

Ritengo che la ricerca scientifica italiana vada incredibilmente bene. È un vero miracolo! Il motivo è sicuramente culturale: gli italiani sono molto dotati in questo campo e, pur essendo spesso ostacolata, la ricerca continua a produrre risultati eccezionali. L'ostacolo sta nell'assenza di visibilità del ricercatore, nella remunerazione ridicolmente bassa e nel timore che la scienza induce nel cittadino. In Italia il ricercatore guadagna pochissimo rispetto a quello che produce e in una società come la nostra, in cui il guadagno è equiparato alla valenza della persona, il ricercatore è considerato ben poco. In USA un ricercatore guadagna in proporzione alle sue capacità. In questo momento storico di crisi economica i fondi per la ricerca sono spesso tagliati, non considerando l'importanza della crescita cui la ricerca da impulso. Per quanto concerne le pubblicazioni, l’Italia è sesta al mondo per qualità della produzione scientifica biomedica, settima in matematica, ottava in fisica e computer science e d’altra parte siamo al 31° posto su 34 paesi per i fondi della ricerca! (dati OCSE 2010). La spesa per ricerca e sviluppo in rapporto al PIL appare aumentata da 1.1% a 1.26% del PIL solo perché il PIL Italiano è diminuito in misura maggiore rispetto ai fondi per la ricerca.

Siamo passati da 9.900 miliardi (anno 2008) a 9100 (anno 2010). Un altro serio problema della ricerca italiana è la sproporzione tra fondi pubblici e fondi privati: l'equilibrio auspicabile sarebbe 2/3 fondi privati e 1/3 fondi pubblici, come in molti paesi, mentre nel nostro paese spesso la proporzione è 50 e 50. Inoltre nella porzione di fondi pubblici sono contenuti anche i fondi dell'università, che non

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SPECIAL CONTRIBUTION

sono completamente dedicati alla ricerca. Ritengo questa proporzione assurda, perché la ricerca naturalmente deve essere fatta anche dalle imprese che solamente così possono svilupparsi. Attualmente le imprese fanno poca ricerca e questo non è un bene per il paese.

Quali sono le maggiori differenze tra essere ricercatore quando lei iniziò la sua carriera e

adesso? Oggi suggerirebbe a un giovane ricercatore di rimanere in Italia o emigrare?

A un giovane ricercatore consiglierei ancora di fare ricerca, di impegnarsi e credere in quello che sta facendo. Se io tornassi indietro, probabilmente rifarei tutto quello che ho fatto, però adesso la situazione è molto scoraggiante, per cui si può capire che i giovani vadano all’estero. All'estero il ricercatore ottiene in rapporto a quello che vale e che produce, mentre da noi la meritocrazia è ancora ben distante. Il mondo continua a credere nella ricerca scientifica. Secondo la Global R&D Funding Forecast, nel 2011 gli investimenti sono stati 1334 miliardi di dollari (2% del PIL del pianeta), con un aumento del 6.5% rispetto al 2010. La spesa per aree geografiche è suddivisa come segue: America 37%; Asia 35%; Europa 24%; resto del mondo 4%.

Durante l'attuale crisi, la Francia ha aumentato le risorse per la ricerca di 1 miliardo di euro all'anno per 5 anni e la Germania di 1 miliardo di euro all'anno per 2 anni. Il nostro Ministero della Salute è uno dei pochi che distribuisce i fondi in maniera ragionevolmente meritocratica. Il sistema dell'Università e degli Enti di ricerca è invece malato. Manca la valutazione e quindi la meritocrazia. In questo modo i fondi sono sprecati. Nel nostro ospedale è una questione di tradizione, perché il primo direttore scientifico Elio Polli decise di distribuire i fondi in maniera meritocratica, quindi noi non abbiamo fatto altro che seguire questa tradizione. Adesso, secondo me, la situazione è peggiorata. Sicuramente ci sono molti progetti solo per i giovani ed è un fatto che giudico positivo, ma sono largamente insufficienti, per cui capisco che molti nostri giovani vogliano andare all’estero perché ci sono maggiori opportunità di fondi. Da un punto di vista emotivo suggerirei di rimanere in Italia, ma sono molto influenzato dal fatto che io rifarei il mio percorso. Capisco benissimo che i giovani abbiano poche prospettive, che i posti siano sempre meno, ad eccezione di alcuni bandi per trentenni, tutti transitori. Non esiste una continuità di carriera, quindi io cerco sempre di motivare e galvanizzare i giovani ricercatori, ma mi chiedo se faccia realmente il loro interesse.

Come convincere i clinici dell'importanza dell'aggiornamento? Non pensa che siamo tra i

paesi occidentali che insistono meno su quest’aspetto della medicina? I crediti ECM sono la

soluzione o bisogna impegnarsi per un più radicale cambio di passo culturale?

Sinceramente questo è un argomento di cui mi sono occupato poco, perché noi ci siamo sempre aggiornati liberamente e indipendentemente, essendo inseriti fin dall’inizio della nostra carriera nell’ambiente universitario. Tutti i medici che non vivono nell'ambiente universitario o i medici di famiglia richiedono un aggiornamento costante. In tal senso, ho l’impressione che il sistema dei crediti formativi (ECM) non sia particolarmente utile. Secondo me, sarebbe molto più utile programmare dei corsi di accreditamento obbligatori organizzati dagli enti tutori, dalla regione e/o dal ministero. Ovviamente l’aggiornamento è fondamentale, ma non mi ritengo la persona più adatta a giudicare. Un tempo i congressi erano sponsorizzati dalle case farmaceutiche e sicuramente è stato un bene tagliare i cosiddetti "congressi balneari". Tuttavia, penso che una buona parte dell’aggiornamento arrivasse anche dai congressi, che attualmente sono meno frequenti e frequentati, soprattutto dai più giovani.

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SPECIAL CONTRIBUTION

Come convincere le amministrazioni ospedaliere dell'importanza della ricerca? Come

dimostrare che nel lungo periodo può rivelarsi anche economicamente, oltre che

strategicamente, conveniente investire in questo settore?

Il problema maggiore sta nel come convincere gli Stati dell’importanza della ricerca. Ritengo che la conoscenza sia un bene di per se, non un costo. Scienza e ricerca sono essenziali motori dell'economia (knowledge-based economy). L'Italia è un paese che non ha materie prime e deve contare su due cose: la bellezza e la storia del nostro paese da un lato e la testa degli italiani dall'altro. Purtroppo nessuno capisce che in un momento di crisi bisogna investire maggiormente nella ricerca. In un momento di crisi, il Giappone ha investito tanto in ricerca e ha ottenuto grandi risultati, così come l'America e alcuni paesi europei come Francia e Germania. In Italia si continua a tagliare. I tagli previsti agli enti di ricerca sono di seguito riassunti: 2012, meno 33 miliardi; 2013, meno 88 miliardi; 2014, meno 88 miliardi. In seguito all'intervento del Presidente Napolitano, sempre molto sensibile ai problemi della ricerca, il taglio dell'anno in corso è stato sospeso. Dobbiamo sottolineare che l'Italia contribuisce ai fondi dell'Unione Europea fornendo il 13.4% del budget totale per la ricerca scientifica e utilizza solo l'8.4% delle risorse fornite dalla stessa Unione.

Si può affermare che anche in medicina l’investimento in ricerca comporta un guadagno o

quantomeno risparmi sostanziali nel medio lungo termine?

Sono convinto di si. Uno studio commissionato dalla UK Academy of Medical Sciences dimostra che per ogni sterlina che si investe oggi in ricerca biomedica tornano indietro 0.39 sterline all'anno per sempre. Attualmente si parla molto di ricerca traslazionale: il termine nasce dopo la conclusione del Progetto Genoma Umano. La ricerca traslazionale ha il fine di trasformare le conoscenze della ricerca biomedica in salute e benessere dell'uomo (from bench to bed). Le ipotesi di lavoro della ricerca biomedica devono essere suggerite dalle malattie dell'uomo (from bed to bench).

Quindi, la ricerca traslazionale non può che muoversi bi-direzionalmente, tra laboratorio e letto del malato. Gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) costituiscono un modello unico al mondo, solo in Italia esiste una realtà di questo genere, un network di ospedali di ricerca che hanno come obiettivo il miglioramento dell’assistenza attraverso la ricerca. La rete ha come scopo la validazione e l’implementazione al letto del malato delle innovazioni della ricerca biomedica e la loro diffusione nel sistema sanitario nazionale e regionale. Gli istituti di ricerca IRCCS esistono dal secolo scorso, però non sono mai stati utilizzati in maniera adeguata. Potenzialmente potrebbero fornire soluzioni pratiche, con metodologia scientifica, ai maggiori problemi della sanità. Faccio l'esempio dell'assistenza dell'anziano, della continuità della gestione della terapia o della poli-terapia dopo la dimissione dall'ospedale, senza sprecare risorse inutilmente. L'ospedale funziona bene se la ricerca è votata a migliorare l'assistenza al malato.

Condurre studi clinici è oggi sempre più difficile dal punto di vista amministrativo ed

economico. Nonostante questo sia prima di tutto a garanzia e tutela dei pazienti, non pensa

che possa allo stesso tempo rivelarsi scoraggiante per piccoli gruppi di ricerca o che possa

sfavorire gli studi spontanei a favore di quelli supportati dalle case farmaceutiche?

Noi vediamo che oggi purtroppo è veramente estremamente impegnativo e costoso condurre un trial clinico controllato, se non supportato dall’industria farmaceutica. Vi sono però anche da noi alcuni esempi positivi che avanzano, sia pure tra mille difficoltà.

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SPECIAL CONTRIBUTION

Non pensa che questo possa esitare in una sorta di selective reporting, per cui sono

pubblicate principalmente informazioni originate da ricerche supportate da case

farmaceutiche e che alla fine questa risulti essere la voce più forte, e potenzialmente distorta,

che si ascolta nella comunità medica?

Secondo me questo problema era stato affrontato in maniera eccellente all’inizio degli anni ’90, quando fu emanata una legge proprio per favorire gli studi così detti no profit o indipendenti. In questi casi le assicurazioni per i pazienti coinvolti nei trials dovevano essere quelle dell’ospedale e i farmaci, se inclusi tra quelli offerti dal servizio sanitario nazionale, dovevano essere forniti gratuitamente. Noi abbiamo condotto con successo uno studio con queste caratteristiche sull’uso dell’eparina nelle gravidanze patologiche. Ora si deve stipulare un’assicurazione ad hoc, i farmaci non sono gratuiti e questo ha cambiato moltissimo la possibilità di svolgere uno studio indipendente.

Il BMJ è in prima linea con una politica editoriale decisa a favore della totale trasparenza dei

dati dei trials sponsorizzati. Come valuta il ruolo attuale delle Big Pharma companies nella

"modulazione" dell'informazione scientifica che raggiunge le pagine delle principali riviste

mediche?

L'informazione scientifica effettivamente è molto legata all'industria farmaceutica. A mio modo di vedere tutte le sperimentazioni dovrebbero essere condotte alla luce del sole. Posto l'obiettivo dello studio, sarebbe doveroso pubblicare, tutti i dati, positivi e negativi, attesi e non attesi. Questo è il metodo corretto per fare ricerca scientifica, mentre adesso le case farmaceutiche pubblicano i dati favorevoli al lancio del prodotto, spesso minimizzando i dati negativi e gli effetti collaterali. Le riviste internazionali più prestigiose, di conseguenza, hanno una fonte di introito altissima da parte delle case farmaceutiche attraverso la vendita degli estratti di queste pubblicazioni. Ritengo doveroso che le agenzie regolatorie garantiscano la trasparenza. Quando parte uno studio, deve essere rendicontato tutto quello che lo studio sta producendo, di buono o meno buono. Tutti i dati dovrebbero essere riportati per essere studiati e analizzati dall'agenzia di controllo.

Qual è la sua opinione sul "caso Stamina", che ha posto l'Italia al centro dell'attenzione

internazionale per una possibile deregulation sui trattamenti a base di cellule staminali, che

verrebbero considerati come "trapianti" e non più come "nuovi farmaci"? C'è veramente un

rischio di "far west scientifico" nel nostro paese? [questa domanda è stata formulata alcune settimane prima della recente decisione parlamentare in merito; n.d.r.]

Penso ci sia poco da dire. Non ci sono ancora dati scientifici validati con le cellule staminali. L’argomento più studiato è stato ovviamente la cardiopatia ischemica. E su questa patologia i dati sono assolutamente insufficienti, inconclusivi o comunque non a favore dell'utilizzo. Qualche anno fa delle cellule staminali si diceva: "patience (pazienza), not patients (pazienti)". È bene che si conducano sperimentazioni, però per ora i risultati sono modestissimi ed è assurdo creare illusioni sulla base degli attuali risultati. Le sperimentazioni del nostro IRCCS sono passate tutte al vaglio del comitato etico e anche dell’Istituto Superiore di Sanità. Se fossi un giovane ricercatore sarei cauto a buttarmi in questo settore. Se ci fossero potenzialità clamorose, i risultati sarebbero evidenti già ora. Non mi riferisco all’aspetto etico del problema, ma semplicemente ai risultati: attualmente non sono stati dimostrati effetti eclatanti. Vannoni ha chiesto la patente del brevetto Stamina all'organismo deputato statunitense: la richiesta è stata respinta e pubblicamente criticata. Come per il caso Di Bella, quando lo Stato spese soldi per una sperimentazione che non ha prodotto alcun risultato innovativo in oncologia, così succederà adesso. Lo Stato spenderà soldi per una sperimentazione che non arriverà ad alcuna conclusione eclatante.

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SPECIAL CONTRIBUTION

L'Inghilterra ha alcune tra le migliori riviste scientifiche del mondo, l'Italia è praticamente a

zero. Tuttavia, noi abbiamo un servizio sanitario nazionale migliore rispetto a quello Inglese.

Gli USA hanno Science, New England Journal of Medicine e JAMA, ma l'assistenza sanitaria

pubblica è scarsa e di pessima qualità. E' giusto continuare ad autodenigrarci sulle nostre

lacune culturali quando, alla fine, per un comune cittadino è molto meglio ammalarsi in Italia?

A mio modo di vedere sono due cose completamente separate. L’Italia non ha delle buone riviste scientifiche perché non si è creata una tradizione. Lancet e New England esistono da secoli e la tradizione secondo me conta. Io credo che a poco a poco anche l’Italia svilupperà una tradizione in questo settore. Infatti, qualcosa si sta muovendo, perché adesso esiste qualche rivista con un impact factor riconosciuto. Noi autori ovviamente tendiamo a mandare i nostri lavori alle riviste straniere perché l’impact factor ci premia anche in termini di fondi. Io credo che però sia solo una questione di tradizioni, che sono secolari per riviste come il New England Journal of Medicine o Lancet.

Non trovo vi sia connessione tra qualità delle riviste nazionali e qualità dell’assistenza ospedaliera offerta dallo stesso paese. La medicina ospedaliera Italiana è ottima. Dico ospedaliera per distinguerla da quella del territorio: sostanzialmente i medici di famiglia sono abbandonati a loro stessi. Attualmente in Fondazione ci stiamo occupando del problema della correttezza prescrittiva, per cui abbiamo un servizio di farmacologia clinica soprattutto nell’ambito della medicina interna, dove seguiamo anziani che arrivano ad assumere quotidianamente 10-15 farmaci, con potenziali interazioni tra i principi attivi. Noi affrontiamo il problema e dimettiamo con prescrizioni corrette, senza tuttavia sapere cosa succeda dopo. Penso sia necessaria una buona rete che leghi l'ospedale al territorio, come succede in altri paesi Europei. Ad esempio, in Spagna la "casa della salud" ha il compito di gestire il paziente dimesso dall'ospedale, controllando le terapie prescritte e interagendo con l’Ospedale di riferimento.

Quali modificazioni strutturali vorrebbe veder realizzate nel nostro sistema universitario e

crede che l'istituzione dell'abilitazione scientifica avrà ricadute concrete? Se si, quali?

Io non posso giudicare perché non sono più nel sistema universitario in senso stretto. Penso che il ministro Gelmini abbia introdotto un metodo valido perché, per prima cosa, chi non raggiunge una determinata produzione scientifica (un determinato H-index) non può entrare in una commissione valutativa. Grazie a questo provvedimento sono stati inclusi nelle commissioni solo persone scientificamente rispettabili. Direi che questo è già un passo avanti. Si vedrà poi se e come le commissioni applicheranno regole a mio avviso migliorative. Per il resto, non posso giudicare la riforma. Ad esempio, non so se i dipartimenti siano meglio della facoltà.

Lei è tra i primi scienziati Italiani in assoluto, al vertice della classifica generale che include i

ricercatori di ogni settore. Un successo sbalorditivo, difficilmente ripetibile. Quali consigli

pratici rivolgerebbe a un giovane medico con interessi nella ricerca? In altre parole, esiste

una ricetta per il successo nella ricerca in medicina e qual è la Sua?

La ringrazio. Credo di aver raggiunto più di quello che le mie doti naturali mi consentissero. Ho lavorato tantissimo e sono sempre stato molto modesto, almeno nella ricerca e nei miei obbiettivi. Quando ero giovane e insicuro, probabilmente avevo un maggior grado di arroganza, però fondamentalmente la mia ricetta è sempre stata: grande lavoro, senso del limite, e ancora lavoro. Sono sempre stato molto cauto con i miei dati, però allo stesso tempo evitando di essere maniacale, perché non si può mai raggiungere la certezza assoluta. Dante nel canto XII del Paradiso scrive "e

questo ti sia sempre piombo ai piedi, per farti mover lento com’uom lasso e al sì e al no che tu non

vedi" , dovremmo pensare sempre ai limiti delle scoperte, essere estremamente critici.

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SPECIAL CONTRIBUTION

Penso che questo sia il motivo del mio successo. Forse ho alcune doti, come il mio maestro Dioguardi, ad esempio essere abbastanza veloce nel capire dove si può arrivare. Inoltre credo di conoscere bene i collaboratori e intuire quali sono i loro limiti. Sono fiero di essere riuscito a crescere degli allievi validi nella mia carriera. Per il resto, lavoro, lavoro e lavoro, nient’altro. Ho conosciuto molti colleghi ben più dotati di me, che non hanno raggiunto gli stessi risultati per mera pigrizia, non lavoravano abbastanza. Posso dire che lavoro, modestia e determinazione siano le chiavi per riuscire in questo campo.

Quali sono stati i suoi criteri per selezionare i collaboratori? Si è mai sbagliato?

Certo che mi sono sbagliato. Vedevo persone che potevano possedere una mente particolarmente brillante che però si perdevano, non riuscivano a concentrarsi perché volevano fare troppe cose. Non seguivano il mio principio di lavoro, lavoro, lavoro. Il mio maestro, il Prof Dioguardi, ha creato una grande scuola perché riusciva a far esprimere alle persone tutte le loro potenzialità, a valorizzarle al massimo. Capiva i limiti dei collaboratori, capiva anche quello che le diverse persone potevano offrire e le sapeva indirizzare in maniera giusta. Con me ha avuto un ruolo essenziale. Ero un giovane medico e volevo fare lo psichiatra. Lui mi disse che avrei dovuto fare l’internista. Per me è stato il vero maestro, perché ha capito le mie potenzialità e mi ha spinto a lavorare per farle emergere.

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ACCORDING TO: IL PUNTO DI VISTA DI...

Mutazione BRCA1 e cancro mammario:

il rischio visto con gli occhi delle donne

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Responsabile della Struttura Semplice Dipartimentale di

Psicologia Clinica

Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano.

Il caso di Angelina Jolie, che ha annunciato pubblicamente di essersi sottoposta ad un intervento di

mastectomia bilaterale profilattica, in quanto portatrice di mutazione dell’oncosoppressore BRCA1, ha fatto

molto scalpore. L’opinione pubblica si è divisa tra critici e sostenitori, sia per quanto riguarda le scelta medica

sia per quando riguarda la risonanza che la notizia assume se è un personaggio di tale visibilità a darla.

Abbiamo pensato di rivolgere alcune domande alla Dottoressa Claudia Borreani, responsabile della S.S.

Dipartimentale di Psicologia Clinica presso l’Istituto Nazionale dei Tumori, che con il suo gruppo segue molte

donne affette dalla stessa mutazione, per cercare di capire meglio quali siano gli aspetti psicologici che entrano

in gioco nel momento in cui una donna viene a conoscenza del consistente aumento di rischio neoplastico a cui

è soggetta, soprattutto in relazione alle diverse scelte preventivo-terapeutiche che le si prospettano.

1) La mutazione di BRCA 1 e 2 si associa nella donna ad un maggiore rischio di sviluppare cancro al

seno e all’ovaio. In Italia si stima che ci siano circa 150000 donne portatrici di questa mutazione. Se

l’anomalia viene individuata prima dell’insorgenza della patologia si aprono due possibili scenari alle

pazienti: procedere con un trattamento radicale o intraprendere una strada più conservativa,

effettuando controlli seriati nel tempo e sottoponendosi poi all’intervento se e quando la patologia

dovesse insorgere. Lei, in qualità di psicologa clinica, ha a che fare con queste donne quotidianamente:

esiste una differenza tra il peso psicologico che le donne attribuiscono ad un eventuale trattamento

radicale al seno rispetto che alle ovaie? In che modo viene interessata la percezione della propria

femminilità?

Dipende molto dall’età delle pazienti e dai precedenti casi di tumore manifestatisi all’interno della famiglia.

Alle pazienti più giovani (sotto i 40 anni) l’annessiectomia profilattica non viene proposta e in ogni caso, non

viene presa in considerazione dalle donne che non hanno ancora avuto figli o che avendone avuti, desiderano

concepirne altri. Sebbene la percezione del rischio nelle donne portatrici di mutazione genetica sia

appropriata, la preoccupazione di ammalarsi di tumore ovarico sembra inferiore, rispetto al tumore

mammario, tranne per le pazienti nella cui famiglia (mamma, sorelle, cugine) si sono verificati casi di questo

tumore. L’intervento di annessiectomia profilattica è invece più accettato dalle donne che sono già in

menopausa.

Interview by Lucrezia de Braud

22

ACCORDING TO: IL PUNTO DI VISTA DI...

L’intervento di mastectomia profilattica è invece considerato anche dalle donne più giovani (in presenza di

specifiche condizioni, riportate di seguito) indipendentemente dal fatto di avere avuto o meno figli. Il dover

rinunciare all’eventuale allattamento sembra, in queste pazienti, un costo proporzionato al beneficio della

riduzione del rischio di ammalarsi di tumore.

2) Riferendosi in particolare alla patologia mammaria, si possono individuare dei “profili psicologici“

ricorrenti nelle donne che intraprendono una o l’altra scelta?

Mediamente le donne sane portatrici di mutazione scelgono la sorveglianza: in un nostro recente studio (in

press.) abbiamo stimato che mentre il 70% delle donne scelgono di sottoporsi a controlli regolari, il 19%

optano per la mastectomia profilattica e solo il 10% scelgono l’annessiectomia profilattica. La mastectomia

profilattica è scelta principalmente dalle donne che, a parità di rischio, presentano un’alta incidenza di

malattia e/o di mortalità per K mammario nella loro famiglia. La malattia della madre o di una sorella e le

conseguenti terapie hanno un effetto significativo sulla scelta di operarsi prima che la malattia si presenti. La

possibilità di evitare la chemioterapia resta una delle motivazioni più riportate da queste donne. Un altro

fattore rilevante è l’intensità della paura di ammalarsi (cancer worry) e la sua interferenza con la vita

quotidiana e la progettualità futura. L’incapacità di gestire in maniera efficace lo stress legato ai controlli

periodici, e la bassa fiducia nell’efficacia degli esami strumentali, completa il profilo psicologico delle donne

che optano per la chirurgia profilattica.

3) Per quanto riguarda le pazienti che decidono si operarsi, quali sono le principali motivazioni che

spingono a questa scelta? Dopo l’intervento, com’è la qualità di vita di queste donne, per esempio dal

punto di vista sessuale?

In risposta alla prima parte della domanda valgono le considerazioni della risposta precedente. Per quanto

concerne la qualità di vita dopo l’intervento, la qualità degli esiti estetici e funzionali, assieme

all’appropriatezza delle aspettative, sembrano essere determinanti nel processo di adattamento successivo.

Quando la decisone è stata adeguatamente maturata e condivisa con il partner non sembra avere ripercussioni

sul piano sessuale.

4) Le pazienti che invece decidono di sottoporsi a controlli seriati nel tempo, come vivono questa “vigile

attesa”?

Le donne che optano per la sorveglianza, ripongono molta fiducia negli esami strumentali e appaiono in grado

di gestire l’emotività legata all’attesa dei risultati. Attribuiscono inoltre molto valore alla diagnosi precoce

della malattia.

5) Come viene effettuato il counseling? Oltre alla scelta personale delle donne, esistono degli elementi

clinici che influenzano significativamente la scelta verso una o l’altra opzione, considerando per esempio

l’età della paziente al momento in cui viene riscontrata la mutazione? Quanta influenza ha, secondo lei,

la figura di chi effettua il counseling?

Nel nostro Istituto viene prestata molta attenzione alla gestione delle donne portatrici di mutazione genetica

alle quali viene offerto un percorso che, partendo dalla consulenza genetica, passa alla considerazione di tutti

gli aspetti (chirurgici, ricostruttivi, ginecologici, psicologici) coinvolti nella scelta della strategia profilattica

ottimale. Con ogni specialista vengono condivise le informazioni, discusse e chiarite le specificità e i dubbi .

L’obiettivo non è quello di orientare la scelta ma di accompagnarla nel rispetto delle caratteristiche e dei

tempi di ogni donna che si avvicina a questa tematica.

23

ACCORDING TO: IL PUNTO DI VISTA DI...

6) Durante il follow up di queste donne, si può individuare uno dei due gruppi che appaia più soddisfatto

della propria scelta e con una qualità di vita migliore sia fisicamente che psicologicamente? Quali sono

le principali differenze tra i due gruppi?

Quando la scelta viene fatta in maniera consapevole e dopo essersi confrontate con i diversi specialisti

(genetista, chirurgo, chirurgo plastico, psicologo), i livelli di soddisfazione sono elevati sia per le donne che

optano per la chirurgia che per quelle che scelgono la sorveglianza. Dai risultati del nostro studio emerge

tuttavia che le donne che optano per la sorveglianza mantengono invariati nel tempo il loro livello di

percezione del rischio (che rimane intorno al 60%) mentre le donne che si sottopongono alla chirurgia

profilattica riducono in maniera statisticamente significativa la percezione del loro rischio di ammalarsi e

conseguentemente la loro preoccupazione.

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University of Aberdeen, Scotland

ACCORDING TO: IL PUNTO DI VISTA DI...

Il MJC ha affrontato l’argomento dell’embryo transfer singolo versus multiplo nel numero 2 del 2012. A distanza di qualche mese, abbiamo il piacere di pubblicare l’autorevole punto di vista del Professor Allan Templeton, dell’Università Scozzese di Aberdeen, Past President del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists e Honorary Director of the Office for Research and Clinical Audit del Collegio. Allan Templeton ha pubblicato diversi articoli su questo tema sulle pagine delle più autorevoli riviste mediche generaliste e di settore, quali Lancet, BMJ, AJOG e Human Reproduction

In the beginning clinicians transferred too many embryos, and the initial data seemed to support this

practice, but gradually it was understood that the outcome was related to the number of embryos available

rather than the number transferred. Eventually in most circumstances the number of embryos replaced was

restricted to two, but this did not reduce the incidence of twins. In the meantime clinicians in Scandanavia

decided that one baby was much better than two and began to carry out trials of replacing just one embryo.

None of these researchers doubted the obstetric and neonatal morbidity associated with twin pregnancy or the

human and economic consequences. Indeed, several of the trials showed the greatly increased risk of preterm

delivery when two embryos were replaced compared to one.

In 2010 McLernon and colleagues reported the first meta-analysis of clinical trials using data from

individual patients in the field of infertility. The data from the five substantial published trials, as well as three

other unpublished trials of single embryo replacement showed that replacing one embryo twice (one fresh

embryo then one cryopreserved embryo, several months later if needed) gave the same live birth rate as

replacing two embryos at the same time. However with single embryo transfer the singleton live birth rates at

term were significantly higher (odds ratio 4.93, 95% confidence interval 2.98 to 8.18), and the risk of preterm

birth (at 24-32 weeks) as well as the delivery of a low birth weight baby were significantly lower (0.08, 0.01 to

0.65 and 0.36, 0.15 to 0.87, respectively).

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25

ACCORDING TO: IL PUNTO DI VISTA DI...

The embryos needed for single embryo transfer can be obtained from one egg recovery procedure, and it is

that procedure and the ovarian stimulation that precedes it that are responsible for the main costs and morbidity

associated with in vitro fertilisation treatment.

At a time when the beginning of assisted reproduction is being recognised as an outstanding contribution to

medical science, practitioners have a responsibility to develop its use wisely. Doctors managing infertile

couples should not take risks with the health of the next generation.

1 Templeton A, Morris JK. Reducing the risk of multiple births by transfer of two embryos after in vitro

fertilization. N Engl J Med 1998;339:573-7.

2 McLernon DJ, Harrild K, Bergh C, Davies MJ, de Neubourg D, Dumoulin JCM, et al. Clinical

effectiveness of elective single versus double embryo transfer: meta-analysis of data on individual

patients in randomised trials. BMJ 2010;341:c6945

3 Martikainen H, Tiitinen A, Tomás C, Tapanainen J, Orava M, Tuomivaara L, et al. One versus two

embryo transfer after IVF and ICSI: a randomized study. Hum Reprod 2001;16:1900-3.

4 Thurin A, Hausken J, Hillensjö T, Jablonowska B, Pinborg A, Strandell A, et al. Elective single-embryo

transfer versus double-embryo transfer in vitro fertilization. N Engl J Med 2004;351:2392-402. paediatric

outcome -6.

5 Maheshwari A, Griffiths S, Bhattacharya S. Global variations in the uptake of single embryo transfer.

Hum Reprod Update 2010; online 15 October; doi:10.1093/humupd/dmq028.

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LITERATURE UPDATE

JAMA VIEW POINT

Commento a:

Developing Quality Measures to

Address Overuse

Jason S. Mathias, David W. Baker

JAMA, May 8, 2013—Vol 309, No. 18

Società ed organizzazioni medico-scientifiche per molti anni hanno lavorato per sviluppare misure atte a segnalare il sottoutilizzo (underuse) di alcune risorse della medicina, di grande utilità e portata. Recentemente, alcuni organizzatori hanno cominciato a definire il limite nell'abuso (overuse) dell'utilizzo di test diagnostici e di trattamenti non necessari, e a valutarne i costi. "Overuse" definisce l'utilizzo di servizi che non si sono dimostrati modificare in meglio la vita del paziente, o addirittura servizi i cui danni potrebbero superare i benefici per il paziente stesso. Gli standards per definire e valutare gli "overuse" non sono chiaramente definiti e possono differire molto da quelli utilizzati per gli "underuse" di mezzi diagnostici e terapeutici. Nella valutazione delle varie misure sono da considerare due punti fondamentali: il livello di evidenza e la minimizzazione delle potenziali conseguenze.

1- Livello di evidenza

Il criterio per l'utilizzo degli "overuse" è la fondata evidenza scientifica che il servizio non porta alcun beneficio al paziente. Idealmente dovrebbero esistere linee-guida che confermino che l'evidenza scientifica disponibile sia sufficiente a non raccomandare un servizio. Inoltre si dovrebbero definire le circostanze cliniche nelle quali il servizio debba essere utilizzato. D'altro canto spesso esistono argomentazioni valide per considerare un servizio tendente “all'overuse”, seppur non

supportate da evidenze scient i f iche o raccomandazioni chiare contro le procedure stesse, come gli esami utilizzati senza indicazione corretta (TC torace con e senza mezzo di contrasto in sequenza). Seppur non esista evidenza diretta contro l'utilizzo di quel servizio, è ragionevole controllarne l'uso, quando lo stesso non mostra i benefici attesi, soprattutto se molti esperti del settore dubitano della sua efficacia. Paradossalmente, in alcuni casi esiste una buona evidenza che un servizio non serva, ma le linee guida non lo attestano, perché gli stessi sviluppatori delle linee guida sono poco abituati a concludere contro un servizio e temono reazioni da parte dei medici e del pubblico. Il livello e la forza della valutazione “dell'overuse” necessitano della valutazione di danni, benefici e costi del servizio in questione. Per un servizio che potenzialmente sia correlato ad un danno per la salute (es. chemioterapia) l'assenza di una provata efficacia giustifica lo sviluppo di "overuse". Infatti l'American Society of Clinical Oncology raccomanda di non utilizzare alcuno schema di chemioterapia in pazienti con diagnosi di tumore solido, con uno status di salute basso (3 o 4), perché non esiste una forte evidenza che supporti il trattamento oncologico in questi pazienti.

2 - Ridurre potenziali conseguenze non note

“L'overuse” potrebbe, d'altro canto, condurre al sottout i l izzo di procedure diagnostico- terapeutiche utili. L'obiettivo finale è ottenere la

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LITERATURE UPDATELITERATURE UPDATE

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massima specificità a spese della sensibilità. Gli sviluppatori devono assicurarsi che i dati utilizzati per identificare l'esclusione di una procedura siano sempre disponibili, chiari e validi. L'assenza della conoscenza di questi criteri potrebbe potenzialmente produrre danni al paziente. È molto importante monitorare "l'underuse" (sottoutilizzo) di una misura quando questa sia realmente necessaria; questo vale anche per procedure ad essa correlate e al conseguente aumento dell'uso di test alternativi ad essa. Nella tabella (eTable, available at http://

www.jama.com), sono indicati molti esempi.Gli sviluppatori devono coinvolgere pazienti e medici per identificare potenziali conseguenze problematiche per i pazienti stessi.

Per le difficoltà di monitoraggio delle potenziali conseguenze, sarebbe utile esaminare gli effetti delle "overuse" con studi controllati.ConclusioniComparate con le t radiz ional i misure "underuse", le misure "overuse" sono meno definite. Servono strategie molto accurate, per evitare conseguenze non volute nell'utilizzo di misure "overuse" . Se cautamente sv i luppate, implementate e monitorate le misure "overuse" hanno il potenziale per diventare parte rilevante della soluzione a problemi di costi, qualità e sicurezza nel sistema sanitario degli Stati Uniti.

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LITERATURE UPDATE

Commento a:

Testosterone therapy and cardiovascular events among men: a systematic review and meta-analysis of placebo-controlled randomized trials

Lin Xu, Guy Freeman, Benjamin J Cowling and C Mary Schooling

BMC MedicineXu et al. BMC Medicine 2013, 11:108

L’articolo di Xu et al., pubblicato su BMC Medic ine, valuta l ’effet to sugl i event i cardiovascolari della terapia con testosterone, sempre più promossa come automedicazione in risposta alla pubblicità.Il testosterone, nell’uomo adulto, ha molteplici ruoli tra i quali quello di essere un ormone protettivo nei confronti di malattie metaboliche come l’ipertensione e il diabete mellito.Non esistono in letteratura trials randomizzati placebo- controlled che finora abbiano affrontato questo argomento in maniera esaustiva, pertanto in questo articolo è stata condotta una meta-analisi per esaminare il rischio complessivo di eventi cardiovascolari correlati alla terapia con testosterone. Nel 2011, su riviste come Heart and J Clin Endocrinol Metab, sono stati pubblicati due studi osservazionali che hanno associato basse d o s i d i t e s t o s t e r o n e c o n m a l a t t i e cardiovascolari, supponendo che terapie a deprivazione androgenica e testosterone a bassi livelli siano correlate con un rischio aumentato. Nel 2004 l’ Institute of Medicine (IOM) ha valutato i dati disponibili sulla terapia con testosterone ed ha concluso che non vi è una chiara evidenza del suo beneficio su nessuno degli outcome esaminati (Committee on

Assessing the Need for Clinical Trials of

Te s t o s t e r o n e R e p l a c e m e n t T h e r a p y :

TESTOSTERONE AND AGING Clinical

Research Directions. Washington: the National

Academies Press; 2004).Una recente meta-analisi ha incluso gli studi condotti fino ad agosto 2008, ma ha riportato risultati specifici solo relativamente a tre eventi cardiovascolari, ossia, aritmie, necessità di bypass coronarici e infarto del miocardio. L’ampio util izzo del testosterone, l’alta prevalenza di malattia cardiovascolare negli uomini adulti/anziani e la non chiara valutazione degli effetti dell’ uso di testosterone, ha imposto l’esecuzione di una meta- analisi in grado di supportare la pratica clinica.

La fonte di ricerca di questo studio è stata Pubmed, dal quale due revisori, indipendenti, hanno selezionato tutti i trials randomizzati controllati con placebo fino al 31 Dicembre 2012, selezionando le voci “testosterone o androgeni” e “random”. La selezione è stata limitata ad uomini inglesi poiché una ricerca preliminare ha trovato solo studi in inglese. I revisori hanno inoltre consultato la WHO International Clinical Trials Registry Platform ricavando da essa ogni trial relativo all’utilizzo del testosterone. Da questa ricerca sono stati scartati gli studi ritenuti unanimamente irrilevanti sulla base del titolo o dell’abstract, mentre sono stati letti i rimamenti.

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LITERATURE UPDATE

I trials inclusi nella meta- analisi di Xu sono studi controllati con placebo, randomizzati, ma focalizzati sull’evento cardiovascolare come bersaglio di valutazione della terapia ormonale. Sono stati pertanto esclusi tutti i lavori relativi all’uso del testosterone come terapia, ma finalizzati ad altri risultati ( ad esempio l’effetto dell’ormone sulla forza muscolare o sulla densità ossea ) e tutti i lavori con risultati correlati al solo trattamento con testosterone per non escludere gli effetti placebo-correlati. Sono stati, invece, inclusi tutti gli studi (RCT, randomized controlled trial ) sull’utilizzo del testosterone (ma non di altri androgeni) versus placebo, compresi quelli con un confronto con altre concomitanti terapie in corso per altre condizioni. I revisori scelti per la selezione dei trials hanno inoltre escluso i lavori con un periodo di osservazione sul campione inferiore alle 12 settimane, per valutare gli effetti a lungo termine dell’ormone e non il suo effetto acuto.

L’outcome primario sono stati gli eventi cardiovascolari: eventi cardiovascolari segnalati dagli autori come disturbi cardiaci, disturbi cardiovascolari, eventi cardiovascolari, disturbi vascolari, ma anche eventi cardiovascolari definiti gravi, ossia dove il risultato era la morte, il pericolo di vita, l’ospedalizzazione o classificati in termini di infarto miocardico, angina pectoris, rivascolarizzazione coronarica, malattia coronarica, aritmie, TIA, ictus o insufficienza cardiaca congestizia (non la trombosi venosi profonda).

Due statistici, indipendenti, hanno analizzato i dati estrapolati dai revisori.

La ricerca iniziale ha prodotto 1882 documenti, di cui 169 sono stati identificati dai revisori per la lettura completa del testo. La figura mostra il processo di selezione dei trials campionati:

I 27 studi eletti includevano 2994 uomini, per lo più di mezza età o più anziani (1733 trattati con testosterone e 1261 con placebo), con bassi livelli di testosterone e/o malattie croniche, con un numero di eventi cardiovascolari rilevati pari a 180. La maggior parte di questi studi, pubblicati in 25 anni, sono stati condotti per lo più in Paesi occidentali.

I risultati evidenziano che la terapia con testosterone aumenta il rischio di evento cardiovascolare (odds ratio 1.54, 95% CI 1.09 to 2.18). L’effetto della terapia con testosterone varia con la fonte di finanziamento (P- value per interazione 0.03), ma non con il livello di testosterone basale ( P- value per interazione 0.70). Negli studi non finanziati dall’industria fa rmaceut i ca i l r i sch io d i un even to cardiovascolare correlato con la terapia ormonale è stato maggiore (OR 2.06, 95% CI 1,34- 3,17) rispetto a quello rilevato in studi finanziati dall’industria farmaceutica (OR 0.89, 95% CI 0.50- 1.60), verosimilmente a causa di una differenza nella segnalazione degli eventi avversi.

Questa meta-analisi ha incluso un numero di partecipanti molto superiore ai campioni considerati in meta-analisi precedenti e, in sinergia con i risultati di questi ultimi, dimostra che la terapia con testosterone aumenta il tasso di eventi cardiovascolari negli uomini.

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LITERATURE UPDATE

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Le possibili spiegazioni dei risultati presentati da Xu et al possono essere molteplici. In primo luogo è possibile ipotizzare che alcuni degli studi a favore della terapia con testosterone non siano stati pubblicati, così come alcuni di quelli che sostengono il placebo possano esser sfuggiti alla valutazione. In secondo luogo, il testosterone endogeno e quello esogeno potrebbero avere effetti differenti, con un ruolo verosimilmente protettivo di quello endogeno, in linea con precedenti studi osservazionali (Araujo et el, Clinical review: endogenous

testosterone and mortality in men: a systematic

review and meta-analysis, J Clin Endocrinol Metab 2011; Ruige et al, Endogenous

testosterone and cardiovascular disease in

healthy men: a meta-analysis, Heart 2011) e con l’aumento del rischio cardiovascolare con l’aumentare dell’età e il declino dei livelli di t e s t o s t e r o n e . U n r e c e n t e s t u d i o d i randomizzazione mendeliana (Haring, et al, Mendelian randomization suggests non causal

associations of testosterone with cardiovascular

risk factors and mortality, Andrology, 2013), tuttavia, utilizzando varianti genetiche come variabile per il testosterone endogeno, non ne ha dimostrato il ruolo protettivo sul rischio cardiovascolare. In terzo luogo si pensa che, mentre il testosterone endogeno sembrerebbe protettivo, alcuni metaboliti del testosterone e s o g e n o , c o m e g l i e s t r o g e n i e i l diidrotestosterone, potrebbero mediare eventi cardiovascolar i . Gl i estrogeni esogeni somministrati agli uomini per terapia, non sono p r o t e t t i v i n e i c o n f r o n t i d i p a t o l o g i e cardiovascolari.

Da un punto di vista clinico, i risultati di questa meta-analisi, che trova il suo punto di forza nell’ampiezza del campione considerato, puntano nel comprendere il bilancio tra rischi e benefici nell’uso del testosterone come terapia.

Questo ormone sembra possa considerarsi utile terapia in condizioni come ad esempio la depressione, gli alterati metabolismi del glucosio, la disfunzione sessuale, la densità ossea, anche se i trattamenti specifici e ormai consolidati per ciascuna di queste condizioni risultano tutt’oggi migliori. La patologia cardiovascolare spesso sussiste, come co-morbilità, trattandosi spesso di uomini per lo più adulti/anziani. Il testosterone opportunamente prescritto è senza dubbio vantaggioso. Tuttavia la cautela, durante il trattamento, dovrebbe essere quella si soppesare se i suoi benefici siano superiori ai potenziali rischi per patologia cardiovascolare in uomini anziani nei quali questa condizione è già normalmente di comune riscontro.

In conclusione, gli effetti del testosterone v a r i a n o , i n r e l a z i o n e a g l i a c c i d e n t i cardiovascolari, in funzione della fonte di finanziamento e quello esogeno aumenta il rischio cardiovascolare implicandone relative limitazioni e cautele nell’uso come terapia.

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LITERATURE UPDATE

The Lancet!"#$%&'()*+,'+-*.'*/0(12(

Commento a:

National, regional, and global rates and trends in contraceptive prevalence and

unmet need for family planning between 1990 and

2015: a systematic and

comprehensive analysis

Leontine Alkema, Vladimira Kantorova, Clare Menozzi, Ann Biddlecom

In tema di miglioramento della salute riproduttiva due punti chiave fondamentali sono il conseguimento di un più ampio accesso ai metodi contraccettivi e la riduzione del bisogno insoddisfatto di pianificazione familiare. I dati disponibili per monitorare il raggiungimento di tali obiettivi sono però carenti.

Lo studio presentato da Alkema et all. si propone di fornire una stima e una proiezione futura della prevalenza dell’uso di metodi contraccettivi e del bisogno insoddisfatto di pianificazione familiare.

In questa review sono stati sistematicamente analizzati i dati relativi agli indicatori di pianificazione familiare nazionali raccolti regolarmente dalla United Nations Population Division, oltre ad articoli, report regionali e pubblicazioni disponibili su Pubmed e Popline, relativi alla copertura contraccettiva, all’uso di metodi contraccettivi e alla necessità di pianificazione familiare negli anni compresi tra il 1990 e il 2012, in donne di età riproduttiva tra i 15 e 49 anni, sposate o conviventi (Married/in-union Women of Reproductive Age – MWRA). Da questa analisi sono poi state ricavate le stime e le proiezioni future per 194 Paesi.

Percentage of women aged 15–49 years who were

married or in a union who used a contraceptive

method or who had an unmet need for family planning

in 1990 and 2010, by world, development group, and

subregion

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LITERATURE UPDATE

La prevalenza contraccettiva nel gruppo MWRA, valutata come la percentuale di donne che dichiarano di utilizzare almeno un metodo contraccettivo, è andata aumentando dal 1990 al 2010 in tutto il mondo, dal 54,8% nel 1990 al 63,3% nel 2010 (8,5 punti percentuali). L’incremento è stato osservato prevalentemente nei Paesi in via di sviluppo (da 51,8% nel 1990 a 62,0% nel 2010), mentre è risultato meno evidente nei Paesi con una copertura contraccettiva già alta. La crescita maggiore è stata riportata negli anni ’90 per poi subire un rallentamento tra il 2000 e il 2010, senza inoltre differenze sostanziali tra il 2000-2005 e 2005-2010. Il maggior contributo all’aumento della prevalenza contraccettiva è da attribuirsi al maggior utilizzo dei metodi contraccettivi moderni, che hanno raggiunto una più ampia diffusione nel centro America, nell’Europa dell’est e nell’Africa del nord, del sud e soprattutto dell’est. I trend di crescita minori sono stati registrati nell’Europa occidentale, in Australia e in Nuova Zelanda, mentre i più rapidi (> 15 punti percentuali) nell’Africa orientale e nell’Asia del Sud. Rimane invece ancora bassa ne l 2010 la coper tu ra contraccettiva nei Paesi africani del centro e dell’ovest (meno di 1 donna su 5 utilizza un sistema contraccettivo). Al 2010 una prevalenza minore al 10% è stata inoltre registrata nell’80% della Cina e in pochi altri Paesi: Costa Rica, Hong Kong, Malta, Norvegia e Regno Unito.

Nello stesso periodo (1990-2010), il bisogno insoddisfatto di pianificazione familiare, definito come la percentuale di donne non desiderose di prole ma non utilizzatrici di alcun metodo contraccettivo per prevenire la gravidanza, ha invece subito una riduzione dal 15,4% nel 1990, al 12,3% nel 2010 (3,1 punti percentuali) guidato dai Paesi in via di sviluppo, soprattutto Centro America e nord Africa, con velocità maggiore negli anni ’90 e con un rallentamento negli anni successivi. Solo nell’Africa orientale è stata recentemente registrata un’accelerazione

nella riduzione di tale tasso dal 2000. Nel 2010 i livelli minori per tale indicatore sono stati segnalati nell’Asia dell’est (4,2%), nel nord America (6,2%) e nel nord Europa (6,8%). Rimane invece alto il bisogno insoddisfatto di pianificazione familiare in Africa con piccole variazioni regionali. E’ solo nel continente africano, in particolare nell’Africa centrale e occ identa le, che nel 2010 i l b isogno insoddisfatto di pianificazione familiare supera la copertura contraccettiva. In tutto il mondo sono ancora 146 milioni le donne MWRA che non hanno possibilità di accesso ai metodi contraccettivi.

La richiesta totale di contraccezione, ottenuta sommando il numero di donne che utilizzano almeno un metodo contraccettivo, alle donne che desidererebbero poterne utilizzare uno, si aggira a 900 milioni di donne nel 2010. Tale numero, secondo stime statistiche, è destinato ad aumentare a 962 milioni nel 2015.

I dati riportati in questo studio si riferiscono però solo alle donne MWRA, tuttavia le donne sessualmente attive ma non sposate o conviventi, contribuiscono ad aumentare notevolmente la richiesta contraccettiva e sarebbe opportuno estendere le stime anche a questo gruppo di donne.

Un altro limite nella presentazione di questo studio, è la scarsa disponibilità di dati, soprattutto relativi alle necessità contraccettive non corrisposte, per cui è stato necessario, per alcuni Paesi, avvalersi di stime basate sull’esperienza di altri Paesi.

Le proiezioni future sul bisogno di pianificazione fami l iare, evidenziano la necessi tà di incrementare gli sforzi per andare incontro a tale richiesta, migliorando sia l’accesso alle informazioni sul la prevenzione, s ia la disponibilità di validi metodi contraccettivi, e ottenere così progressi in tema di salute riproduttiva mondiale.

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LITERATURE UPDATE

Al f i ne d i amp l ia re l ’ accesso a una contraccezione efficace, durante il London Summit on Family Planning del 2012 è stato approvato un progetto per rendere disponibili metodi contraccettivi ad altri 120 milioni di donne in 69 dei Paesi del mondo più disagiati entro il 2020. Ed è per valutare l’efficacia di tali sforzi e dei costi sostenuti per favorire il

progresso nella salute riproduttiva, che si rende ancora più manifesto il bisogno di poter disporre di dati e stime regionali annuali relativi ai principali indicatori di pianificazione familiare.

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LITERATURE UPDATE

BMC Medicine

Commento a:

Body mass index and incident coronary heart disease in women: a population-

based prospective study

Dexter Canoy; Benjamin J Cairns; Angela Balkwill; F. Lucy Wright; Jane Green; Gillian Reeves; Valerie Beral; Million Women Study

Collaborators

BMC Medicine 2013, 11:87

Un elevato indice di massa corporea (BMI) è associato a un incremento del rischio di mortalità da malattia coronarica (CHD-coronary heart disease), tuttavia anche un basso BMI sembrerebbe essere correlato a tale aumento. Ciò nonostante i dati in letteratura a riguardo sono limitati, in particolare per quanto riguarda i soggetti di sesso femminile. Obiettivo dello studio di Canoy e collaboratori è stato quello di esaminare la relazione tra BMI e incidenza di CHD e il ruolo di specifici fattori di rischio associati nelle pazienti reclutate nel Million Women Study.Si tratta di dati particolarmente importanti in quanto le CHD sono causa di circa il 15% delle morti in USA, Regni Unito e altri paesi sviluppati; dato ancora più allarmante se associato a quello delle crescenti percentuali di obesità nella popolazione generale. Il Million Women Study è uno studio di coorte nel quale sono state arruolate, durante procedure di screening per il cancro mammario, 1.3 milioni di donne (età media 56.0±4.8 anni, BMI medio 26.1±4.6 kg/m2) tra il 1996 e il 2001 in Inghilterra e Scozia dal National Health Service (NHS). Da questa popolazione sono state escluse circa 100.000 donne con pregressi episodi di patologia coronarica, ictus o cancro. La popolazione finale per questo studio ha incluso 1.178.939 donne. Sono state definite sovrappeso le donne con BMI compreso tra 25 e 29.9 kg/m2 e obese quelle con BMI >30 kg/m2. Al reclutamento iniziale ben

il 35.3% delle donne era sovrappeso e il 17.1% obeso. Inoltre è stato valutato l’eventuale ruolo di fattori associati quali il fumo di sigaretta, l’assunzione di alcolici , l’attività fisica e il livello socioeconomico.

Dopo aver escluso i primi 4 anni di follow-up, 32.465 donne avevano avuto un primo episodio di CHD (ospedalizzazione o decesso). Il rischio relativo (RR) aggiustato per CHD per incrementi di 5 kg/m2 nel BMI era di 1.23 (95% IC: 1.22-1.25). L’incidenza cumulativa di CHD d a i 5 5 a i 7 4 a n n i i n c r e m e n t a v a progressivamente con l’aumentare del BMI, da 1 ogni 11 per BMI di 20 kg/m2 fino a 1 su 6 per BMI di 34 kg/m2. Inoltre un incremento di 10 kg/m2 di BMI conferiva un rischio addizionale di CHD simile a quello attribuibile a un incremento in età di 5 anni.

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LITERATURE UPDATE

In contrasto con l’incidenza della patologia la re lazione t ra BMI e CHD per quanto concerneva la mortalità (n=2.431) presentava un modello J-shaped. Infatti, per le categorie di BMI <20 kg/m2 e ≥35 kg/m2, i rispettivi RR erano 1.27 (95% IC: 1.06-1.53) e 2.84 (95% IC: 0.83-0.94) per la mortalità correlata a CHD, e 0.89 (95% IC:0.83-0.94) e 1.85 (95% IC: 1.78-1.92) per l’incidenza di tali episodi (Figura 1).Di tutti i fattori associati analizzati il fumo di sigaretta era quello correlato maggiormente al rischio di CHD. Le fumatrici che non erano né obese né sovrappeso avevano un rischio di CHD simile a quello delle grandi obese mai

fumatrici. Il rischio cumulativo maggiore di CHD tra i 55 e i 74 anni è stato registrato nelle fumatrici con BMI ≥35 kg/m2 (26.9% [95% IC:21.1-34.4], 1 donna su 4).I risultati di questo studio di coorte presentano importanti risvolti per la sanità pubblica ed eventuali strategie di prevenzione su larga scala per ridurre le percentuali di obesità e sovrappeso nella popolazione generale, in quanto anche piccole riduzioni del BMI possono rivelarsi fondamentali per la riduzione di patologie coronariche.

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LITERATURE UPDATE

JAMA CLINICAL CROSSROADS

Commento a:

Computed Tomography Screeningfor Lung Cancer

Phillip M. Boiselle, MD, Discussant

JAMA, March 20, 2013—Vol 309, No. 11

Il tumore del polmone, a livello mondiale, rimane la principale causa di morte per cancro. Solo nel 2012, negli Stati Uniti sono stati registrati più di 225.000 nuovi casi di tumore al polmone e più di 160.000 persone sono decedute per questa neoplasia.

La diagnosi di tumore polmonare si avvale di tecniche diagnostiche ormai consolidate (RX torace, TAC torace, esame dell’espettorato, ago-aspirato di lesioni polmonari sospette); il vero problema è rappresentato, anche in questo campo, dal la stesura condivisa di un programma di screening che permetta di diagnosticare precocemente tumori ancora asintomatici che, se non trattati, potrebbero portare a malattia conclamata e morte del paziente. Naturalmente, come insito nella def in iz ione di “screening”, le indagini diagnostiche devono essere mirate ad “ … identificare una malattia in una popolazione con

un rischio medio di malattia, che si reputa

sufficientemente elevato da giustificare la spesa

e lo stress di cercarla … (definizione tratta da

Wikipedia)”.

Per questo motivo sorge spontaneo: quali sono i fattori di rischio per tumore polmonare che portano a riconoscere un individuo “a medio/alto rischio”, idoneo quindi ad un programma di screening? Quali sono le tecniche diagnostiche che meglio si adattano ad un eventuale screening per cancro del polmone?

Molto utile a riguardo è l’articolo, pubblicato recentemente da JAMA, che affronta il tema dello screening del tumore polmonare a tutto

spessore, non solo dal punto di vista medico e scientifico, ma lasciando spazio anche a considerazioni di pazienti con rischio elevato di sviluppare questa patologia neoplastica. L’articolo, nello specifico, affronta i diversi punti implicati nel protocollo di screening e qual è, allo stato attuale, l’evidenza scientifica da cui partire.

Fattori di rischio

Il fattore di rischio più importante è stato, e rimane tuttora, l’utilizzo di tabacco; è stimato infatti che circa l’85% di tutte le neoplasie polmonari possa essere attribuito al fumo di sigaretta. Inoltre, il tabacco è associato ad un aumento del rischio di sviluppare un tumore polmonare di circa 20 volte (RR = 20). Non dimentichiamo che questo importante fattore di rischio è modificabile e che la sua interruzione riduce drasticamente, pur non azzerandolo, il rischio di sviluppare la neoplasia. Per questo, come riportato dagli autori dell’articolo, “il consiglio migliore per un fumatore è

smettere di fumare”!

Gli altri fattori di rischio comprendono:

- E s p o s i z i o n e o c c u p a z i o n a l e o residenziale ad agenti chimici

- Storia personale di cancro (in particolare di altre neoplasie associate al fumo)

- Storia familiare di cancro polmonare

- Malattie croniche del polmone (es. fibrosi polmonare o BPCO)

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LITERATURE UPDATE

Radiografia del torace vs TAC

Benché la radiografia del torace sia stata utilizzata per anni come metodica standard per lo screening del tumore polmonare, il suo impiego non ha nessun impatto sulla riduzione della mortalità dovuta a questa neoplasia.

Diversi studi hanno confrontato l’efficacia di un approccio con o senza radiografia del torace in pazienti ad elevato rischio di sviluppare cancro del polmone. I risultati sono stati sovrapponibili sia in termini di incidenza cumulativa della neoplasia (rispettivamente di 19.2 vs 20.1 ogni 10.000 persone/anno), sia in termini di mortalità e stadio istologico della lesione. Per questo si è giunti a decretare che “la radiografia del

torace non ha nessun ruolo nello screening

del tumore polmonare”.

In questo scenario si collocano i sempre più numerosi studi scientifici che prendono in considerazione la TAC (tomografia assiale compiuterizzata) a basso dosaggio come metodica gold-standard per lo screening della neoplasia polmonare. Il più importante di questi è lo studio multicentrico randomizzato controllato NLST (National Lung Screening Trial), pubblicato nel 2011 da Aberle DR et al., che confronta il valore delle due metodiche (radiografia vs TAC del torace) nel programma di screening per tumore polmonare.

Molto importanti per questo studio sono stati i criteri di inclusione ed esclusione (v. tabella) che hanno portato a definire i pazienti ad elevato rischio di sviluppare la neoplasia. I pazienti reclutati sono stati in tutto 53.454 suddivisi in modo randomizzato dei due gruppi (gruppo RX torace = 26.732; gruppo TAC = 26.722); i risultati sono stati sorprendenti:

1) Nel gruppo TAC sono stati identificati circa il doppio dei tumori a basso stadio (1A) rispetto al gruppo RX torace (rispettivamente 40% vs 21%).

2) Riduzione della mortalità del 20% nel gruppo screening con TAC (P=.004) rispetto al gruppo RX torace

3) Nel gruppo TAC si è calcolato un “number to needed screen” di 320 pazienti, cioè bisogna screenare 320 pazienti con TAC per poter identificare 1 caso di tumore polmonare.

Le conclusioni dello studio sono quindi che “ in

individui selezionati ad alto rischio di

tumore polmonare, lo screening con TAC

riduce la mortalità di cancro polmonare del

20%”.

Naturalmente quando parliamo di TAC per lo screening del tumore del polmone, bisogna considerare anche i rischi della metodica. I principali sono:

- Risultati falsi positivi: lo studio NLST ha messo in evidenza che più del 96% dei test positivi con metodica TAC si sono rivelati falsi positivi. Molti di questi sono stati seguiti con metodiche non invasive, ma un percentuale di essi è stata sottoposta comunque a test invasivi (es. biopsie percutanee, broncoscopia, procedure chirurgiche). Ciò si traduce in costi sanitari sempre maggiori.

- Ansia per il paziente

- Esposizione a radiazioni: in questo caso l’esposizione è molto bassa

- Over-diagnosi: trattamento di lesioni che nell’arco della vita del paziente non sarebbero diventate sintomatiche e causa di morte

- Costi economici importanti

Linee guida attuali per lo screening del

tumore del polmone

Con l’uscita dello studio NLST, nel 2011 l’American Cancer Society (ACS) ha redatto linee guida per lo screening del tumore polmonare che raccomandavano l’utilizzo annuale delle TAC solo in pazienti che rispettavano i criteri di inclusione utilizzati nello studio multicentrico. Linee guida simili sono state emesse anche dall’American Society of

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LITERATURE UPDATE

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Clinical Oncology (ASCO) e dall’American College of Chest Physicians (ACCP).

Solo la National Comprehensive Cancer Network (NCCN) si è distinta dal gruppo: essa infatti raccomanda l’uso della TAC non solo ai pazienti che presentano i fattori di rischio dello studio NLST, ma anche a persone con età ≥ 50 anni, che hanno una storia di fumo importante (almeno 20 pacchetti/anno) e che presentano

un altro fattore di rischio per cancro del po lmonare (s to r ia fami l i a re pos i t i va , esposizione professionale, ecc..).

La ricerca prosegue….

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LITERATURE UPDATE

JAMA CLINICAL CROSSROADS

Commento a:

Elective Cesarean Delivery on Maternal Request

Jeffrey Ecker, MD, Discussant

JAMA, May 8, 2013—Vol 309, No. 18

Il Clinician’s Corner di Jama si occupa questo mese di un argomento di cui si discute molto nella pratica clinica corrente: il taglio cesareo per richiesta materna, e lo fa chiedendo al Dottor Ecker, Professore ad Harvard e Direttore del “Quality Assurance, Clinical Obstetric Research and Maternal Fetal Medicine Fellowship” dell’Ospedale di Boston, di immaginare di dover rispondere alla richiesta di una paziente, Ms A, primigravida di 38 anni, in buona salute generale e con un decorso fisiologico della gravidanza, di partorire tramite taglio cesareo. La paziente dice di esser disposta a correre il rischio di sottoporsi ad un intervento chirurgico ritenendolo più sicuro per la salute del neonato.

L’intervistatore chiede al Dottor Ecker che cosa si intenda per taglio cesareo su richiesta materna, quali siano i rischi e i benefici ad esso associati, e quali le raccomandazioni che un clinico dovrebbe dare ad una paziente che, come Ms A, ne faccia richiesta.

Il taglio cesareo per richiesta materna è stato definito nel 2006 dal National Institute of Health (NIH) americano come un parto tramite taglio cesareo effettuato senza un’indicazione per patologia materna o fetale. La frequenza di tale indicazione non è nota con precisione ma è stimata negli Stati Uniti essere circa l’1-2% di tutti i parti. Le motivazioni che più spesso spingono a richiedere un taglio cesareo sono legate alla paura del parto vaginale e del dolore ad esso associato, al timore che possano verificarsi complicanze neonatali, che si debba ricorrere ad un taglio cesareo d’urgenza e che il parto vaginale possa determinare a lungo termine danni al pavimento pelvico con conseguente incontinenza urinaria o prolasso genitale.

L’importanza e la diffusione di tale richiesta è stata sottolineata da una survey condotta nel 2006 dall’American College of Obstetricians and Gynecologists, che ha evidenziato che il 18% dei clinici preferirebbe per sé o per la propria moglie un parto tramite taglio cesareo; tali dati sono stati confermati in Inghilterra, dove la preferenza per taglio cesareo è stata espressa dal 21% dei medici ostetrici, dal 50% dei medici uroginecologi e dal 10% delle ostetriche.

La difficoltà della gestione del taglio cesareo per richiesta materna è legata anche al fatto che sono stati pubblicati pochi studi specifici sull’argomento e che quindi una consulenza che valuti i rischi e i benefici ad esso legati è necessariamente basata su evidenze indirette ricavate da risultati di altri studi.

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LITERATURE UPDATE

Nel rispondere alla richiesta di Ms A, il Dottor Ecker si rifà ai dati presenti in letteratura sugli esiti materni e feto-neonatali a seguito di un parto vaginale rispetto ad un taglio cesareo.

Per quanto riguarda l’outcome materno a breve termine, il NIH ha sintetizzato i risultati di una serie di studi e ha riscontrato che il taglio cesareo per richiesta materna sembra essere associato a un minor rischio di emorragia e di trasfusione di sangue, ad una minore incidenza di traumi o lesioni perineali e agli organi intraperitoneali nell’insieme. Gli effetti del taglio cesareo per richiesta materna su outcome a lungo termine come incontinenza urinaria e prolasso degli organi pelvici non è nota con certezza ma nel 2011 uno studio condotto nell’area di Baltimora ha confrontato gli esiti pelvici in donne che avevano avuto un parto vaginale spontaneo, un parto vaginale operativo o un taglio cesareo fuori travaglio, e ha riscontrato un rischio aumentato di entrambe le complicanze per le donne che avevano partorito per via vaginale (incontinenza da sforzo OR 2.87 e 4.47, prolasso OR 5.6 e 7.5 rispettivamente per parto vaginale spontaneo o operativo).

I rischi per un nato da taglio cesareo per richiesta materna sono soprattutto di tipo resp i ra to r io , i n pa r t i co la re l ega t i ad un ’aumenta ta inc idenza d i tach ipnea persistente che richiede supporto con ossigeno o più raramente assistenza ventilatoria, ma la differenza rispetto al parto vaginale si riduce molto all’aumentare dell’epoca gestazionale. Al contrario, il taglio cesareo fuori travaglio può proteggere il neonato da complicazioni come la paralisi di Erb conseguente ad una distocia di spalla o l’encefalopatia ipossico-ischemica da asfissia intrapartum; inoltre, la programmazione del taglio cesareo alla 39a settimana di gravidanza può evitare quella quota di morti endouterine che si possono verificare a termine di gravidanza; il Dottor Ecker sottolinea che questi ultimi sono però danni gravi da complicazioni rare, e che è importante

conoscere non soltanto il rischio relativo, ma anche il rischio assoluto che si verifichino: per quanto riguarda la morte fetale intrauterina, il NIH ha calcolato che in un gruppo di 1.653.809 donne tra 39 e 42 settimane gestazionali, sarebbero necessari 1288 tagli cesarei per evitare 1 morte endouterina.Il rischio maggiore del taglio cesareo per richiesta materna riguarda però il futuro riproduttivo della paziente. I risultati di uno studio multicentrico americano hanno mostrato che il rischio di placenta accreta, complicanze chirurgiche, perdite ematiche e isterectomia ostetrica aumenta con l’aumentare del numero di tagli cesarei (da 0.2% a 2.1% per la placenta accreta e da 0.7% a 2.4% per isterectomia passando dal primo al quarto cesareo). Agli stessi risultati è giunto uno studio prospettico Danese che ha seguito circa 25.000 donne dopo il primo parto: gli autori hanno dimostrato un rischio aumentato nelle gravidanze successive per le donne che avevano partorito la prima volta con taglio cesareo rispetto a quelle che avevano partorito per via vaginale per: distacco di placenta (OR 2.3), rottura d’utero (OR 268), isterectomia ostetrica (OR 29) e anemia (OR 2.8).

Questi dati devono quindi essere presi in considerazione nella consulenza di una donna che r ichiede un tagl io cesareo senza indicazione medica materna o fetale. Una corretta informazione deve riguardare non soltanto i rischi e i benefici legati alle diverse modalità del parto, ma anche alle opzioni di gestione di situazioni che possono spaventare la paziente e spingerla a richiedere un taglio cesareo, ad esempio la gestione del dolore in travaglio. L’ACOG ritiene che il medico possa accettare la richiesta della donna di partorire tramite taglio cesareo e che in questo caso debbano essere seguite alcune fondamentali raccomandazioni: la scelta non deve essere legata ad una mancata disponibilità di analgesia in travaglio, il taglio cesareo non deve essere p rog rammato p r ima d i 39 se t t imane gestazionali, e non deve essere raccomandato

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LITERATURE UPDATE

a quelle pazienti che desiderano avere più di una gravidanza, dato che il rischio di complicanze gravi come la placenta previa, la

placenta accreta e l’isterectomia ostetrica aumentano con il numero di cesarei.

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NEWS & VIEWS

LETTER TO THE EDITOR

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera ricevuta dal Dr Mario Sideri, dell'Istituto Europeo di Oncologia, in riferimento all'articolo di Insiyyah Y. Patanwala et al. A systematic review of randomized trials assessing human papillomavirus testing in cervical cancer screening. AJOG 2013;208(5):343-53, riassunto da Giussy Barbara e commentato da Carlo Liverani nello scorso numero del MJC (2013;10:8-9).

"Omettere dei dati è come dare informazioni sbagliate.

Vorrei far notare che le linee guida USA del 2012 includono il test HPV nello screening primario. E

l'articolo fa specificatamente riferimento a queste. Inoltre senza andare fuori dai nostri confini,

l'Osservatorio Nazionale Screening, massima autorità nazionale in tema di screening del

cervicocarcinoma in Italia, nel rapporto HTA inviato al ministero dice:

Esiste una chiara evidenza scientifica che uno screening con test clinicamente validati per il DNA di

HPV oncogeni come test di screening primario e con un protocollo appropriato, è più efficace dello

screening basato sulla citologia nel prevenire i tumori invasivi.

In altre parole: il test HPV protegge meglio del pap test dal cancro. Infatti in Italia dal 2010 i

programmi di screening hanno lasciato progressivamente il pap test ed utilizzano al suo posto il test

HPV come test primario. Oggi, non nel futuro. Capisco che la Mangiagalli sia una istutuzione di inizio

novecento, ma le donne meritano di essere curate come nel ventunesimo secolo. Non si può

discutere l'evidenza scientifica; si può discutere tutto il resto, a partire dalla difficoltà di cambiare un

buon sistema in uno migliore ma più difficile da implementare. Ma negare il dato scientifico non è

accettabile; soprattutto in una clinica universitaria".

Mario Sideri , MD

Director, Preventive Gynecology Unit

Gynecology Division

European Institute of Oncology

Via Ripamonti, 435 - 20141 Milano

T +39 0257489954-616 F +39 0294379243

E [email protected] W http://www.ieo.it/

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NEWS & VIEWS

EDITORIAL COMMENT

Egregio Dottor Sideri (Caro Mario),

prima di tutto La ringraziamo per l'attenzione rivolta al giornale. Il fatto stesso che ci abbia inviato le sue considerazioni, significa che ritiene importante l'impatto della nostra newsletter e questo ci fa molto piacere, data l'autorevolezza della sua persona.

Mi permetto di esprimere dei commenti generali, non essendo un esperto in materia, poiché il Dr. Liverani si trova all'estero e non può rispondere personalmente su questo numero del MJC. Immagino lo farà presto.

In base alle mie conoscenze, l'evidenza scientifica indica certamente che un singolo HPV test è più sensibile di un singolo pap-test. Tuttavia, quando i test sono ripetuti, la differenza si riduce molto. Il SSN Italiano è ben rodato all'uso della citologia e la compliance della popolazione per questo tipo di screening è generalmente alta. Sia negli ospedali sia sul territorio vi sono ambulatori dedicati e generalmente condotti da Ostetriche, e i servizi di citologia sono disponibili capillarmente. Questo fa sì che l'effectiveness della citologia sia molto buona, a dispetto di una efficacy inferiore all'HPV test. Per rendere più chiaro il concetto:

Efficacy

Efficacy is the extent to which a specific intervention, procedure, or service produces the desired

effect, under ideal conditions (controlled environment, lab circumstances).

Example: The efficacy of vaccine A was achieved under ideal lab circumstances, yet, its effectiveness

needs to be shown.

An analysis for efficacy would exclude subjects who complied poorly and those who withdrew during

the trial.

Effectiveness

Effectiveness is the extent to which planned outcomes, goals, or objectives are achieved as a result

of an activity, strategy, intervention or initiative intended to achieve the desired effect, under ordinary

circumstances (not controlled circumstances such as in laboratory).

Example: A vaccine is effective when it is capable to produce the desired effect (protection against

disease) in the population, under ordinary circumstances.

Effectiveness refers to the actual effect of treatment in the "real world" of people who comply poorly

or become lost to follow-up, i.e., whether treatment does have an effect on the outcome.

Treatments can be efficacious without being effective, however, and it is effectiveness that is of

primary concern to patients and clinicians. Nonetheless, efficacious but ineffective treatments may

still be useful for certain patients (e.g., those without side effects and those with good compliance).

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NEWS & VIEWS

Efficiency

Efficiency is the ratio of the output to the inputs of any system. An efficient system or person is one

who achieves higher levels of performance (outcome, output) relative to the inputs (resources, time,

money) consumed.

Examples: Worker A moved 16 boxes from the truck to the store in one hour and worker B moved 9

boxes in one hour. Worker A is more efficient than worker B. Car T uses 10 gallons to travel 150

miles, car F uses 13 gallons to travel 150 miles. Car T is more fuel efficient than car F.

Being effective means achieving organizational goals. Being efficient means achieving goals with

little wasted resources. Effectiveness comes first.

L'idea che personalmente mi sono fatto è che l'HPV test sia dotato di ottima efficacy, sufficiente effectiveness, e bassa efficiency. Il pap test ha una discreta efficacy, una buona effectiveness e una discreta efficiency.

Questo, ovviamente, nel contesto Italiano attuale, forse non in futuro, e per test ripetuti nel corso degli anni.

__________________________________________________________________________

Pap test HPV test

__________________________________________________________________________

Efficacy ++/+++* +++

Effectiveness +++ ++

Efficiency ++/+++ +

__________________________________________________________________________

*in relazione alla ripetizione del test nel tempo.

L'effectiveness solo discreta dell'HPV test è spiegata dalle parole stesse della sua lettera quando scrive: "Si può discutere tutto il resto, a partire dalla difficoltà di cambiare un buon sistema in uno

migliore (quindi con maggiore efficacy), ma più difficile da implementare (quindi con minore

effectiveness)". Questo è il real world Italiano di oggi, indipendentemente dalle caratteristiche biometriche dei tests e, parlando di screening, non si può prescindere dal contesto socio-sanitario in cui si applica una strategia. Credo che, in tutto il mondo che non ha uno screening per carcinoma cervicale fondato sulla citologia (e quindi nella maggior parte della popolazione mondiale), l'HPV test sia non solo più effective, ma anche più efficacious.

Per quanto riguarda l'efficiency, il problema non è la corretta e ottimale applicazione dell'HPV test, bensì l'overdiagnosis e l'overtreatment che questo test ingenera per cattivo uso o errata interpretazione. Sono convinto che, dall'introduzione dell'HPV test, la prevenzione di un singolo caso di carcinoma cervicale in Italia costi molto più di prima, ma non per problemi insiti nel test in se, bensì per l'inadeguato aggiornamento medico che ha accompagnato l'implementazione del test, con l’esplosione di colposcopie, ripetizioni di test virali e citologici a intervalli inadeguati, e procedure inutili se non dannose.

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NEWS & VIEWS

Si continua a non capire che, mentre il pap test individua atipie citologiche già presenti, l'HPV test individua semplicemente soggetti infetti, la gran parte dei quali guarirà spontaneamente. La valutazione biometrica dell'evidenza non può non considerare il contesto culturale sia dei medici sia delle pazienti.

Inoltre, l'ampio uso dello screening mediante HPV test per ceppi a basso rischio, amplifica le conseguenze negative sull'efficiency. Questo ci introduce nel vasto ambito del disease mongering e dei conflitti d'interesse che non è possibile affrontare in questa sede. Tuttavia, è innegabile che l'HPV test per se e l’indotto in termini di prestazioni sanitarie successive a un risultato positivo muovano montagne di denaro. Infatti, la minor parte delle donne avrà un pap test positivo nella sua vita ma, specialmente screenando anche i ceppi a basso rischio, la maggior parte di esse avrà un HPV test positivo. Per guadagnare un sacco di soldi, non c'è di meglio che puntare sulle persone sane, dato che sono fortunatamente molto di più delle malate. Questo è ciò che hanno capito molto bene negli ultimi anni sia le Big Pharma che i produttori di test diagnostici: l'obbiettivo è creare la più ampia domanda di salute possibile, indipendentemente dall'entità del problema. Suggerisco agl'interessati di leggere il commentario postato sul blog del BMJ da Julian Sheater il 12 febbraio del 2010 e intitolato "Selling sickness to the worried well" (http://blogs.bmj.com/bmj/2010/02/12/julian-sheather-selling-sickness-to-the-worried-well/). Breve ma illuminante.

Tutto quanto sopra prescinde poi dalle considerazioni psicologiche riguardanti la percezione da parte della popolazione di un test positivo: un pap-test anomalo genera abitualmente preoccupazioni di ordine prevalentemente oncologico, un HPV test positivo può avere conseguenze devastanti per la coppia, data la valenza "sessuale" della risposta. Chi si è preso l'infezione, quando e con chi? Purtroppo, le flebili ipotesi dei bagni publici, delle docce delle palestre e delle piscine non sembrano reggere più.

Infine, auspico che le considerazioni tra Lei e il Dr. Liverani, ben accette, interessanti e costruttive, rimangano sempre su un piano di confronto scientifico senza "campanilismi". Quando leggo: "Capisco che la Mangiagalli sia un'istituzione di inizio novecento, ma le donne meritano di essere

curate come nel ventunesimo secolo", mi sento di rassicurarla: nonostante tutto, ci stiamo dando da fare!

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NEWS & VIEWS

“Se si resta sulla superficie delle cose e delle persone tutti siamo «polvere di stelle»”

Andy Warhol (1928-1987) riassumeva più o meno così il senso del suo lavoro.

Un artista che sapeva svolgere il suo lavoro in modo semplice, per tutti!

La sua arte è «pop»!

La mostra «Andy Warhol’s Stardust», dal 5 aprile al Museo del Novecento, segue questo principio.

Le stampe scelte sono ordinate secondo un senso cronologico e mettono il luce il percorso dell’artista a partire dalla fine

degli anni Sessanta. Ritroverete le inconfondibili «Campbell’s Soup», le serie dei «Flowers» e dei «Sunset», i ritratti delle

star, dei grandi pensatori del secolo scorso, ma anche delle drag queen di New York, di Babbo Natale, degli eroi dei

fumetti, «Myths» come Einstein, la Monroe e Topolino.

La mostra è aperta dal 5 aprile all’8 settembre.

Orari 9.30-19.30, lunedì 14.30-19.30, giovedì e sabato 9.30-22.30.

http://museodelnovecento.org/info

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Andrew Warhola Jr., noto come Andy Warhol (Pittsburgh, 6 agosto 1928 – New York, 22 febbraio 1987), è stato un pittore, scultore, regista, produttore cinematografico, direttore della

fotografia, attore, sceneggiatore e montatore statunitense, figura

predominante del movimento della Pop art

!

Andy Warhol's Stardust

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NEWS & VIEWS

Favorevoli o contrari ad affrontare il tema del fine-vita?

E’ ancora aperto il sondaggio del MJC assolutamente anonimo.

Partecipate clickando il seguente link:

https://it.surveymonkey.com/s/finevita

Abbiamo già superato le 200 risposte. Chi non ha ancora partecipato, ci

aiuti a migliorare l’affidabilità del sondaggio

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Here comes the sun

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E’ possibile consultare l’archivio dei numeri precedenti

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