Anna Giraldo - Thunder+Lightning

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«Luna affascinante stanotte! Qualcuno ci rimetterà la pelle per essersi lasciato sedurre!». La nebbia e il freddo rendono Redlie nervosa e triste… e il giaguaro sta cambiando pelle. Gli amici vorrebbero stringere entrambi nel loro abbraccio pieno di calore, ma tutto è confuso, sbagliato. I ricordi per Sean e Redlie sono terribili… e poi c'è un diario, e i parenti in Italia, e un misterioso quadro, e ci si mette anche un gruppo di energumeni a complicare le cose. Se si è diversi non si può essere amati. Dunque, chi è il vero mostro? La rivoluzione è solo agli albori. Serve energia straordinaria. Servono tuoni e fulmini!

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Casini Editore

Anna Giraldo

thunder + lightning

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© 2012 Valter Casini Edizioniwww.casinieditore.com

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I love all of youHurt by the cold

So hard and lonely tooWhen you don’t know yourself

— Red Hot Chili Peppers, My Friends

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I personaggi e i fatti menzionati in questo romanzo sono frutto della fantasia dell’autrice, ogni riferimento alla realtà è puramente casuale.

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Premessa

Risale la china con il suo incedere solenne.

Non è come nei ricordi, è molto, molto meglio.

Perché qui la brezza è mite e l’effluvio della terra inebriante.Mare in burrasca, giornate di sole, pioggia estiva.

— Scopri il capo! — cinguetta lei alla mia destra.Giusto. Così ci si comporta. Avevo perso l’abitudine.Faccio scivolare giù il cappuccio del mio mantello e la luce

di un sole bellissimo mi abbaglia. Un sole antico, dimenticato.— Inginocchiati, adesso! — mi guida la vocina acuta alla

mia sinistra.Già, anche questo avevo scordato.Piego le ginocchia sulla terra arsa e abbasso rispettosa lo

sguardo.

Il suo volto è raggiante. — Siete tornate.— Sì, mio Re! — rispondiamo all’unisono.— E quanto tempo è passato, da che divisi in tre parti la mia

pietra e ve l’affidai?

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— Migliaia di anni, mio Re. Tanti che non si contano.

— Ancora la terra trema e gli alberi germogliano al tuo vole-re? —domanda, indicando la snella mulatta inginocchiata alla mia destra.

Epiphany tende le labbra carnose e con la punta delle dita scosta dal viso i lunghi riccioli castani scompigliati dal vento. Le sue gote arrossiscono mentre solleva i suoi occhi blu come lapislazzuli e li fissa per un istante dentro quelli del Re.

Schiude le labbra in un sorriso luminoso e annuisce. — Sì, mio Re.

— E tu puoi ancora comandare il vento e la pioggia, e dirige-re il corso dei fiumi? — continua il nostro Re, rivolgendosi alla donna alla mia sinistra.

Breathless gonfia il petto formoso, alza la testa fiera guar-dando il Re con gli occhi blu come il cielo sereno all’imbrunire e le ciocche dei suoi capelli biondissimi svolazzano intorno al suo volto candido.

Poi emette una lunga risata argentina. — Certo, mio Re.

Il Re si adombra all’improvviso rivolgendo lo sguardo su di me.

— La tua chioma ha il colore dei rubini e sei alta e sottile come un giunco. Tu non sei lei — afferma in tono grave.

— Ma i miei occhi sono blu come il mare profondo, mio Re — non oso nemmeno alzare il capo, mostro solo i palmi aperti dinanzi a me, — e c’è la potenza del fuoco, qui. E la luce del sole è al mio servizio. — Gli rivolgo il sorriso più radioso che mi sia dato di fare. Non può che procurar del bene.

— Sei poco più di una bambina!Torno ad abbassare la testa. — È vero, mio Re.“Ma che cazzo ci posso fare?!? Ops! Mi è scappato”.

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— Piccola insolente! Lei ti ha dato la sua anima, le sue doti, i suoi ricordi e la sua stessa vita e tu osi sporcarli con pensieri volgari? — Riempie l’aria con la sua voce tonante.

Ma lo sa il Re che la tipa si era persa dietro un pirata? Gia-guaro per di più?!

— Io!? — Mi alzo in piedi. Ma che moda è questa di star-cene inginocchiate come tre cretine? — Mica l’ho chiesto io di avere la sua anima, Signor Re!

Oh, oh! Sto urlando dinanzi al primo sovrano di tutti tempi.— Hai tradito la sua missione! — tuona il Re minaccioso.— Ricordare agli uomini la nostra stoltezza? — Piazzo i

pugni chiusi sui fianchi. Se crede di fare paura a me, si sbaglia proprio! — Stolto è solo colui che non gode la felicità per pau-ra che finisca.

Premessa

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Giovedì 20 novembre

Piove a dirotto.Mi sveglio con il viso rigato di lacrime. Penso: “Scema, hai

tutto ciò che desideravi e non ti basta?”.Mi svincolo con movimenti delicati dall’abbraccio di Sean e

mi avvicino cauta al bordo del letto. Non voglio svegliarlo. Sta facendo un bel sogno. Sta sognando me, innamorata, sorriden-te, senza paranoie.

Un brivido di freddo mi scuote. Porto il palmo alla fronte. Forse ho la febbre.

Impossibile! Sono invulnerabile, io.Mi infilo nel guardaroba, prendo un suo maglione, lo indos-

so e scendo indolente le scale. Inspiro e poi butto fuori l’aria in tre tempi, a fondo, finché sento i miei polmoni svuotarsi.

Non accendo la luce, mi muovo nella sala rischiarata dai luccichii lontani della città, filtrati dalla grande vetrata. Calpe-sto il tappeto di fiori tropicali ormai appassiti. Occupano la sala dalla sera del mio compleanno.

Non c’è più latte nel frigorifero, quindi dovrò accontentar-mi di un tè bollente. Ne scelgo uno alla cieca dalla dispensa e risciacquo un mug nel lavello mentre attendo che l’acqua inizi a bollire.

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Getto uno sguardo alle cifre rosse dell’orologio a cristalli liquidi affisso al muro. Sono le quattro meno cinque di giovedì venti novembre.

Abbiamo perso la cognizione del tempo Sean e io, tre notti e due giorni passati in un soffio, passati a gioire l’uno dell’altra dimenticando di mangiare e di dormire, dimenticando di respi-rare e di sognare, perché ogni nostro sogno ora è realtà.

Dovrei essere al settimo cielo. Non c’è null’altro che io ab-bia mai voluto per me. Invece sto qui, infreddolita e depressa, a rimuginare.

Ciò che io sono è difficile da accettare. Finora ho evitato di pensarci. Ma stamane le gocce di pioggia colpiscono insistenti i vetri della sala e io non mi preoccupo nemmeno di asciugare le lacrime dal viso.

Lacrime di immortale: se versate nel cuore aperto assieme a una formula di quattordici parole apparentemente casuali do-nano l’immortalità.

Ma chi, a parte Sean, aprirebbe per amore il cuore della sua diletta? E chi mai se lo lascerebbe fare, a parte me, per amore di Sean?

È tutto ciò che ho sempre desiderato per me. Sean Dowell. L’amore della mia anima.

Quattrocentotrentacinque anni sono passati da quando colei che aveva la mia anima gli donò l’immortalità, per poi lasciarlo solo, beffata dal destino, credendolo morto.

Rabbrividisco ancora. Ho premura di versare l’acqua un istante prima che il bolli-

tore fischi, perché il mio amato sta dormendo e sognando che sono felice, e io non voglio svegliarlo.

Ciò che sono io è difficile da accettare. Un’anima vissuta per migliaia di anni nel corpo di una donna forte e saggia, una a cui re e regine si appellavano. Ella poteva decidere della vita e della morte, della guerra e della pace, della gioia e del dolore.

giovedì 20 novembre

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Posseggo tutti i suoi ricordi.Arrivano di continuo assediandomi la mente e ringrazio il cie-

lo perché spesso sono confusi e frammentari; ma i pochi episodi chiari bastano per un’eternità di sensi di colpa e di dubbi.

Posseggo tutte le sue doti, si manifestano sempre più straor-dinarie e terrificanti.

L’aroma di fiori del mio tè adesso è più intenso. Un tremore si sta diffondendo nelle mie membra, così mi avvolgo nel morbido maglione di Sean e salgo in fretta le scale portando con me il mug.

Mi rannicchio sul pavimento in un angolo della stanza, nell’abbraccio delle mie stesse braccia. I miei occhi ormai sono avvezzi al buio. Guardo il profilo del suo corpo stagliarsi nella penombra, splendido e impossibile, inarrivabile e inequivocabil-mente mio.

Appoggio il mento alle ginocchia. Se riesco a concentrarmi su di lui, se ascolto i suoi bei sogni, forse questo vuoto farà meno male.

Ma non è così.Ascolto le gocce di pioggia sul lucernario. La rigogliosa fore-

sta tropicale dipinta nel quadro di Rousseau alle spalle di Sean è ora tetra e inquietante.

All’improvviso, si rigira nel letto e con una mano tasta la co-perta, mentre appoggia l’altra sugli occhi.

Raggiunge Copernico che ha occupato il mio posto non ap-pena io l’ho lasciato libero e ora si mette a ronfare placido al suo tocco.

Sean sospira, quando capisce che io non sono lì.Si mette a sedere, fa per scendere dal letto, ma subito mi indi-

vidua nel buio. — Cosa fai lì, tesoro?Mi do della scema perché non riesco a fermare le lacrime, mi

stringo nelle spalle, provo a fingermi serena, ma non mi riesce per niente bene.

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Attraversa il letto gattoni nella mia direzione, mi raggiunge e si siede al mio fianco.

— Non mi hai svegliato — sussurra premuroso.— Stavi facendo un bel sogno — gli dico con la voce

strozzata.— Sai cosa stavo sognando. Ma preferisco l’originale, non

credi? — I suoi occhi brillano nella penombra mentre mi acca-rezza il viso.

— Allenamento?— Piove, amore!— Ti prego.Raccoglie la mia tazza e ne assaggia il contenuto.— Uhm. Freddo e amaro. Fa schifo! Almeno prima scendia-

mo a prepararci una tazza di tè decente.Faccio un cenno con la testa. Si mette in ginocchio al mio

fianco, mi passa un braccio dietro la schiena e uno sotto le gam-be e senza fatica mi solleva da terra per portarmi al piano di sotto.

— Dobbiamo lasciar entrare la cameriera — gli sussurro na-scondendo la fronte nell’incavo del suo collo, quando sento lo scricchiolio dei petali secchi sotto i suoi piedi. — E dobbiamo vedere i miei — aggiungo sospirando.

— Penseranno che ti ho rapita…— Sono nell’unico luogo dove vorrei essere. Lo sanno.— Dici sul serio? — soffia al mio orecchio.Vorrei dirgli quanto lo adoro, ma un altro tremito mi assale

violento.— Perché non mi hai chiamato se avevi freddo? — continua

sottovoce.— Va tutto bene. — Ma non sono credibile.Lascia andare le mie gambe senza abbandonare la stretta at-

torno alla schiena. Con la mano libera traffica con il bollitore per preparare il tè.

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— Beviamo una porcheria di Daisy? — mi domanda spen-sierato con l’intento palese di distrarmi.

Allungo la mano verso l’interruttore della luce. Lui non l’ha voluta accendere, vuole darmi l’illusione che non mi stia guar-dando mentre piango, ma i suoi occhi da felino vedono perfet-tamente anche al buio. Lo so bene.

— Tè verde e ginseng? — continua intuendo che non rice-verà risposta.

— Ok — borbotto tra i singhiozzi.Il suo braccio abbandona il mio fianco e la sua mano inizia

ad accarezzarmi i capelli. Mi metto a collaborare prendendo le tazze e il tè dal pensile.

— Stai ascoltando? — bisbiglia.— Un poco sì, ma dillo ad alta voce. Ti prego.Ascoltare i suoi pensieri e le sue emozioni non basta ad ar-

restare ciò che mi assedia.Fissa i suoi occhi verdi come mari in tempesta nei miei. —

Ti amo — sorride, una cascata di brillanti — e vorrei poterti aiutare, adesso.

Un’altra lacrima mi scivola impudente sulla guancia. — Scusa — bisbiglio strofinandola via.

Lascia fischiare il bollitore a lungo, attendendo invano che io mi esprima.

— È a causa mia? — La sua voce si affievolisce mentre me lo chiede.

Comincio a singhiozzare come una cretina. Come posso far-lo stare così male?

— No, no! Tesoro! No! — Prendo il suo viso fra le mani e lo bacio. — Stammi solo vicino, per piacere.

Mi stringe fortissimo a sé.Con la punta delle dita stropiccia le mie ciocche scompiglia-

te. Poi le sue mani scivolano delicate sulla mia schiena. Sfrega le mie gote con le sue e mi asciuga le lacrime. Il suo profumo

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d’estate allontana ogni cruccio. È l’unico posto in cui abbia desiderio di restare. Sempre.

E invece mi faccio coraggio e mi allontano da lui.

Camminare a passo svelto sotto la pioggia gelata mi fa un gran bene.

Sean porta uno zaino con le tute e le scarpe di ricambio perché stamattina siamo diretti a una palestra vera. A fine set-tembre sono stata trafitta da una Claymore e finché non avrò recuperato la forma fisica, non possiamo permetterci di andare a fare a botte negli edifici abbandonati della periferia come fa-cevamo quest’estate.

Raggiungiamo un alto palazzo poco lontano da casa sua. Punta il naso all’insù indicando i finestroni della palestra all’ul-timo piano.

Insisto per fare le scale a piedi, ma con mia grande irritazio-ne alla terza rampa ho già il fiatone. Lui mi aspetta tranquillo, quando mi vede in difficoltà. Mi porge persino la mano.

— Così non va — gli comunico seccata, — preferisco di gran lunga quando fai lo stronzo.

— Recuperiamo questi — appoggia la mano sui miei addo-minali, — e poi maledirai il giorno in cui hai deciso di ricomin-ciare gli allenamenti.

— Qualcuno è mai stato così premuroso con te? — doman-do riprendendo la faticosa salita.

— No. — Si stringe nelle spalle e prosegue a testa bassa accelerando il passo.

La palestra è nel suo stile. Gli spogliatoi sono a dir poco sontuosi. Ci sono la sauna, il bagno turco, la sala relax, una schiera di massaggiatori e una piacevole caffetteria dotata di salottini privati dove si può fare colazione dopo l’allenamento.

— L’hanno migliorata — afferma soddisfatto guardandosi intorno. — Non ci venivo da tempo.

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— Da quanto di preciso?— Una decina d’anni, forse.Gli strappo di mano la tessera che ha mostrato alla reception.— Scusa, qui c’è la tua data di nascita. C’è scritto che hai

ventinove anni! È pazzesco. Come puoi pensare che qualcuno si beva questa fandonia?

— Fino a trenta sono credibile. Oltre diventa difficile — ri-sponde con noncuranza.

Difficile. Sbatto le palpebre in un riflesso involontario.Cosa ne sarà di noi? Cosa ne sarà della mia famiglia? Loro

invecchieranno, noi no.Ce n’è da far piangere un intero esercito!Sospiro. — Ok. Adesso diventa un despota. Fammi fare al-

meno cinquecento addominali di seguito. E se mi metto a fri-gnare, allora prendimi a schiaffi!

Ride, poi mi ghermisce il polso e mi conduce fino alla porta degli spogliatoi riservati alle signore, dove estrae la mia roba dallo zaino e me la consegna.

Quando esco mi sta aspettando davanti a una panca paurosa-mente inclinata all’indietro.

— Sei lenta! — esclama burbero.Mi metto subito al lavoro, senza discutere sulla difficoltà de-

gli esercizi. La fatica allontana i pensieri. Così, soffiando fuori l’aria alla terza serie di addominali, con Sean inginocchiato al mio fianco intento a insultarmi perché sono troppo lenta, trop-po molle, troppo pigra, sento farsi strada una forza d’animo nuova. Vado avanti fino allo sfinimento, fino a quando il corpo è talmente dolente da pensare di non poter più muovere un mu-scolo, e poi vado avanti ancora.

— Adesso basta — annuncia lui a un tratto. — Vuoi farti fare un massaggio?

Faccio segno di no con la testa. Racimolo il fiato necessario per riuscire a formulare una risposta: — Da uno sconosciuto?

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Se vuoi farmelo tu, a casa… — Tento la mia specialità, gli oc-chi da gatta e, nonostante sia molto affaticata, riesco a impri-mere alla voce un tono suadente.

Getta uno sguardo alla finestra. — Grandioso questo dilu-vio! Facciamo a chi arriva primo — propone con quella adora-bile faccia da schiaffi.

— E cosa vinco? — lo sfido, mentre sono costretta ad ag-grapparmi a lui per ritrovare la posizione eretta.

— Un massaggio — afferma beffardo. — Ma se perdi… — Non perderò, stai sicuro!

Invece perdo la sfida con uno scarto a dir poco vergognoso.Come premio, pretende che faccia a piedi anche le scale fino

al suo appartamento.— Come on, quicker! — mi rimprovera mentre ansimo tra

uno scalino e l’altro. — Sei lenta! — Mi sospinge impaziente con una mano dietro la schiena.

— Shit! This’ll be the death of me! — sbotto io sull’orlo di un mancamento.

— Non ti riconosco! Non sei la stessa che mi atterra con uno schiaffo! — sbuffa. Mi scosta nervoso facendomi perdere l’equilibrio e mi sorpassa. In un baleno, a grandi passi, termina i gradini fino al suo pianerottolo, si para davanti alla porta con i pugni piantati sui fianchi e si mette a gridare: — Cazzo, Redlie! Vedi di muovere quel culo fiacco!

— Culo fiacco a me?! Hey! Ma come ti permetti! Solo per-ché il tuo culo è più che perfetto!

A costo di sputare sangue, non mi darò per vinta! Raccolgo il briciolo di energia residua e faccio gli scalini a due a due, fino ad arrestarmi a dieci centimetri da lui. Lo fisso inviperita. La porta alle sue spalle si spalanca con un grande sbatacchia-mento.

— Avevo la chiave — sibila.

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— Culo fiacco… — brontolo precipitandomi in casa senza più degnarlo di uno sguardo.

In sala c’è la cameriera intenta a togliere i fiori secchi dal pavimento.

— Ciao Sheila — la saluto con ostentata leggerezza utiliz-zando l’ultima aria rimasta nei polmoni.

— Buongiorno, signorina!— Chiedile se ha portato il latte — mi fa Sean. Sta compo-

nendo un numero sul cellulare.— Puoi farlo tu, parla la tua stessa lingua, sai? — lo apo-

strofo pungente.Lei scuote la testa con un mezzo sorriso. — Ho portato tutto.

Come ha ordinato il signore.— Tutto cosa?— Ha lasciato un appunto sull’agenda la settimana scorsa.

Latte, pane e croissant freschi, ogni mattina. Ma il led del cito-fono era sempre rosso…

— Daisy! — urla lui al telefono, nell’esplicito intento di coprire le parole della cameriera. — Insegnami a fare qualche intruglio per tua nipote. — Ascolta le parole della zia, poi con-tinua: — Lo scopo? Porre rimedio al suo culo fiacco! — Spari-sce in cucina, senza staccare il telefono dall’orecchio.

Decido di non raccogliere le sue provocazioni. Devo trova-re la forza di raggiungere il bagno. Per ora mi limito a osser-vare con terrore i gradini di cristallo che conducono al piano di sopra.

— Tutto bene, signorina? — mi chiede Sheila.— Mai stata meglio. — Ma a chi la voglio dare a bere? Sono

uno straccio.Inspiro quanta più aria posso e mi decido ad affrontare le

scale.Mi trattengo sotto la doccia bollente per sciogliere i muscoli

indolenziti e poi indugio a lungo nella stanza da bagno. Mi pet-

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tino con cura maniacale, canticchio a ripetizione la prima strofa di una canzone di cui ho dimenticato il ritornello, faccio la ma-nicure, rimango delusa cercando invano nello specchio qualche brufoletto da strizzare, mi spalmo una lozione idratante trovata in un armadietto, mi metto a giocherellare con l’idromassaggio plantare installato a fianco della vasca da bagno.

— Hey! Hai intenzione di passarci il resto dei tuoi giorni in quel bagno? Fuck! — grida al di là della porta con un tono da caserma.

Qualcosa mi deve essere sfuggito. Per quale motivo dob-biamo fare i turni per il bagno dopo aver fatto i matti sotto la doccia, e non solo, per quasi tre giorni?

Scuoto la testa rassegnata e apro la porta scorrevole. Sta lì con le braccia incrociate sul petto e la faccia torva.— Are you in the queue? — gli domando affabile.— Vestiti e poi va’ in cucina a fare colazione — ribatte lui

cupo, — tra poco sarà pronta anche quella robaccia fetida che mi ha suggerito tua zia. Io scendo non appena ho finito qui.

Indosso un paio di jeans e il suo maglione, ma rimango scal-za. Mi siedo a metà della scala ad aspettarlo.

Non è passato un minuto quando un nuovo tremito mi assale e gli occhi si riempiono di dolore.

Ti prego, ti prego! Adesso basta! Mi impongo di non pensare a nulla, provo a meditare di to-

gliermi i vestiti e tornare sotto la doccia con il mio ragazzo, sempre che mi permetta di entrare in bagno. Ma è tutto vano.

Una tristezza infinita supera le mie difese e invade la mia mente.

Mi arriva alle spalle poco dopo, nemmeno lui indossa le scarpe.

— Ti avevo detto di andare a mangiare — puntualizza acido.Rimango ferma, tengo le ginocchia strette al petto e vi acco-

sto il viso di nuovo rigato di lacrimoni salati.

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Mi scavalca e prosegue in direzione della cucina senza guardarmi.

Sheila gli si avvicina. — Scusi, signore. — Mi indica evi-tando di alzare gli occhi. Sta violando almeno cinque clausole del contratto di lavoro stipulato con quel simpaticone di Sir Dowell.

Lui si gira di scatto e mi punta addosso il suo sguardo.— Scusa — gli dico con voce strozzata. Stanno tornando i

singhiozzi.Sbuffa ripercorrendo gli scalini in salita e si infila nello

spazio angusto tra me e il muro per mettersi a sedere al mio fianco. Appoggio la testa alla sua spalla e ricomincio a pian-gere disperata.

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Se 436 vi ha appassionato,Thunder + Lightning vi sorprenderà.

Niente è per sempre, nemmeno l'amore eterno.

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La rivoluzione è solo agli albori.Serve energia straordinaria.

Servono tuoni e fulmini!

È inenarrabile ciò che si prova nel vedersi splendida dentro gli occhi di colui

che è splendido ai propri.È da impazzire, è da gridare di gioia,

è da morire.