Albert Venn Dicey: un constitutional lawyer al tramonto ... · al tramonto dell’età vittoriana*...

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La Introduction to the Study of the Law of the Constitution (d’ora in poi, in breve, la Intro- duction), la cui traduzione è stata per la prima volta proposta al pubblico italiano nel 2003 a cura di chi scrive, è l’opera di Albert Venn Dicey (1835-1922) che, fin dalla sua prima apparizione – e in ciò egua- gliata dal manuale giuridico Conflict of Laws che ha reso autorevole la riflessione giuri- dica d’impronta diceyana presso l’esigente pubblico dei common lawyers – ha cono- sciuto un gran numero di edizioni e ristam- pe. Apparsa in prima edizione nel 1885, è certamente lo scritto dell’eminente giuri- sta vittoriano che si è immerso più in profondità nella cultura giuspubblicistica del suo tempo e del secolo a venire, ed è tra le opere fondamentali del costituzionali- smo britannico contemporaneo. L’influenza della dogmatica diceyana sul pensiero costituzionalistico del Regno Unito dell’ultimo secolo è indubbia, anche se molti autori delle generazioni successive ne hanno riconsiderato criticamente il contri- buto di pensiero indicandone nuove pro- spettive di superamento soprattutto per quanto concerne la questione della sovra- nità parlamentare che, come si vedrà, è uno dei pilastri fondamentali su cui si sosten- gono le concezioni costituzionali di A.V. Dicey (Allan 1997, p. 443 ss.; Goldsworthy 2001-A, p. 9 ss. e 167 ss.). Ma gli autori che, in alcuni casi, l’hanno contestato in modo esplicito e perfino virulento sono più che altro studiosi del government e politologi e non constitutional lawyers appartenenti al novero dei giuristi. 11 Albert Venn Dicey: un constitutional lawyer al tramonto dell’età vittoriana * alessandro torre giornale di storia costituzionale n. 13 / I semestre 2007 * Questo saggio costituisce la versione più estesa, e aggiornata in diverse parti ma soprattutto nelle riflessioni conclusive, dello scritto Dicey, o della «constitutional mora- lity» introduttivo di A.V. Dicey, Introduzione allo studio del diritto costituzionale. Le basi del costituzionalismo inglese, Bologna, il Mulino, 2003, a cura e traduzione di A. Torre, con presentazione di S. Bartole. A ulteriore commento del- l’edizione italiana della fondamentale opera costituziona- listica di Dicey si vedano gli interventi di A.A. Cervati, 2005 e di E. Balboni, 2005.

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La Introduction to the Study of the Law of the

Constitution (d’ora in poi, in breve, la Intro-

duction), la cui traduzione è stata per la

prima volta proposta al pubblico italiano

nel 2003 a cura di chi scrive, è l’opera di

Albert Venn Dicey (1835-1922) che, fin

dalla sua prima apparizione – e in ciò egua-

gliata dal manuale giuridico Conflict of Laws

che ha reso autorevole la riflessione giuri-

dica d’impronta diceyana presso l’esigente

pubblico dei common lawyers – ha cono-

sciuto un gran numero di edizioni e ristam-

pe. Apparsa in prima edizione nel 1885, è

certamente lo scritto dell’eminente giuri-

sta vittoriano che si è immerso più in

profondità nella cultura giuspubblicistica

del suo tempo e del secolo a venire, ed è tra

le opere fondamentali del costituzionali-

smo britannico contemporaneo.

L’influenza della dogmatica diceyana sul

pensiero costituzionalistico del Regno Unito

dell’ultimo secolo è indubbia, anche se

molti autori delle generazioni successive ne

hanno riconsiderato criticamente il contri-

buto di pensiero indicandone nuove pro-

spettive di superamento soprattutto per

quanto concerne la questione della sovra-

nità parlamentare che, come si vedrà, è uno

dei pilastri fondamentali su cui si sosten-

gono le concezioni costituzionali di A.V.

Dicey (Allan 1997, p. 443 ss.; Goldsworthy

2001-A, p. 9 ss. e 167 ss.). Ma gli autori che,

in alcuni casi, l’hanno contestato in modo

esplicito e perfino virulento sono più che

altro studiosi del government e politologi e

non constitutional lawyers appartenenti al

novero dei giuristi.

11

Albert Venn Dicey: un constitutional lawyeral tramonto dell’età vittoriana*

alessandro torre

giornale di storia costituzionale n. 13 / I semestre 2007

* Questo saggio costituisce la versione più estesa, e

aggiornata in diverse parti ma soprattutto nelle riflessioni

conclusive, dello scritto Dicey, o della «constitutional mora-

lity» introduttivo di A.V. Dicey, Introduzione allo studio del

diritto costituzionale. Le basi del costituzionalismo inglese,

Bologna, il Mulino, 2003, a cura e traduzione di A. Torre,

con presentazione di S. Bartole. A ulteriore commento del-

l’edizione italiana della fondamentale opera costituziona-

listica di Dicey si vedano gli interventi di A.A. Cervati, 2005

e di E. Balboni, 2005.

1. Insieme alle importanti Lectures on theRelation between Law and Public Opinion inEngland during the Nineteenth Century, la cuiprima edizione risale al 19051, la Introduc-tion rappresenta l’apporto di Dicey allacomprensione del diritto costituzionaleanglo-britannico in un’epoca di grandesnodo del percorso evolutivo dell’espe-rienza giuspubblicistica che si era svilup-pata per via prevalentemente evolutivaattraverso diversi secoli (questa, almeno,l’interpretazione proiezionistica che è statasviluppata da numerosi legal historians).Alla grande svolta dell’età liberale, comeavrebbero ampiamente dimostrato glieventi che si sono susseguiti tra il 1885 e il1915 (ovvero nell’arco di tempo entro ilquale sono ricomprese la prima edizionedella Introduction e l’ultima, la VIII, traquelle che furono date alle stampe sotto lapersonale supervisione di Dicey e con suoiinterventi diretti sul corpo dell’opera2), cisi apprestava ad affrontare alcune tra le piùimpegnative sfide di una storia costituzio-nale multisecolare il cui equilibrio di checksand balances si era affermato nei due seco-li successivi alla “Gloriosa Rivoluzione” del1688-89.

Dopo questo fondamentale evento, dalquale nasceva la monarchia costituzionalee, dopo breve tempo, il sistema a base par-lamentare, la costituzione britannica avevacontinuato a proporsi come un sistema evo-lutivo e per molti versi gradualistitico e, puressendo costellata di grandi eventi epocali,non aveva mai subìto profonde lacerazioni,con l’eccezione, almeno se si guarda allepercezioni che se ne ebbero in Gran Breta-gna e all’estero, per le controverse vicendeche furono connesse all’adozione del GreatReform Act promosso nel 1832 dall’ammi-nistrazione whig di Lord Grey e per le con-

seguenze che la riforma stessa avebbe pro-dotto sugli equilibri costituzionali tradizio-nali (Maehl, 1967; Conacher, 1971; Evans,1984; Newbould, 1990; Van Caeneghem,1996, p. 196 ss.; Wicks, 2006, p. 65 ss.)3.Ciò almeno fino all’epoca in cui Dicey ela-borava le ultime edizioni della Introduction:quella del 1915, infatti, risente visibilmen-te del clima della transizione edoardiana ene registra con puntualità le metamorfosipiù eclatanti e le sorgenti incertezze(Powell, 1996).

Nell’ambito di queste note di presenta-zione non ci si soffermerà diffusamentesulla biografia di Dicey, classico percorsoesistenziale e intellettuale di un commonlawyer oxfordiano dell’ultima fase dell’etàvittoriana; anche se, con autovalutazionesotto certi profili culturalmente retrospet-tiva, lo stesso Dicey non disdegnava di pen-sare a se stesso come ad un uomo del mediovittorianesimo legato ancora ad una dog-matica costituzionale radicata nella tradi-zione (Roach, 1957; Cosgrove, 1980; McEl-downey, 1985; Balboni, 2004). Altri hannomolto bene svolto tale compito, per cui, nonsenza prima aver tenuto come punto di rife-rimento essenziale la sintesi biografica chesi trova inclusa nel saggio di presentazionedella traduzione italiana dell’anzidetta Lawand Public Opinion (Barberis, 1997), è suf-ficiente che si faccia rinvio, per adeguatiapprofondimenti, ad alcuni contributiofferti dalla letteratura britannica oggidisponibile in argomento (Cosgrove, 1980;Ford, 1985; Stapleton, 1997, p. 19 ss.)4.

Tuttavia, ripercorrendo in estrema sin-tesi quelle che si possono considerare letappe fondamentali della biografia intel-lettuale di Dicey, non si incontrerannoeccessive difficoltà nell’assumere la Intro-duction alla stregua di un’opera in cui pie-

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namente si realizza la confluenza dei diver-si elementi che hanno composto il quadrodi un itinerario formativo lungamentematurato attraverso i consueti canali offer-ti in quel mondo del diritto inglese nelquale si acculturano il ceto forense e lemagistrature. Ovvero, un quadro intellet-tuale in cui lo stesso Dicey è stato annove-rato, assieme a Maine, Bryce, Maitland,Anson, Pollock e Holland, come uno diquei «giuristi […] che provocarono cam-biamenti non soltanto nel campo dell’edu-cazione giuridica, ma anche in quello dellaletteratura» (Braun, 2006, p. 105).

Queste le tappe principali che convienerammentare: dapprima gli studi nell’oxfor-diano Balliol College, che nel 1858 si conclu-sero con la laurea in literae humaniores; quin-di una fellowship al Trinity College e l’avvio aLondra (1861) dell’insegnamento di mate-rie giuridiche e della pratica legale (con con-seguente ammissione, nel 1863, all’avvoca-tura presso l’Inner Temple); in seguito, unprogressivo consolidamento dell’esperienzadidattica in collaborazione con James Bryce;e infine il nuovo approdo a Oxford, nel 1882,con il conferimento di quella Vinerian Chairche poco più di cent’anni addietro era statainaugurata da William Blackstone.

Su questa circostanza oxfordiana, chepone in una luce particolare i moventi e letematiche che furono alla genesi della Intro-duction, e che pertanto merita una consi-derazione specifica, si tornerà tra breve. Vatenuto presente che nulla s’è detto dei cir-coli culturali frequentati, della carrierapolitica tentata da Dicey ma non coronatadal successo, e soprattutto dell’attività gior-nalistica, ove l’accesso gli era comunquegarantito da consolidate tradizioni familia-ri, poiché il fratello Edward era l’editor del-l’Observer e il padre, proveniente dagli studi

del Trinity College di Cambridge, aveva svol-to il medesimo ruolo nel Northampton Mer-cury, testata di sua proprietà e titolo auto-revole nell’ambito della stampa quotidianabritannica (Ford, 1970). È invece impor-tante considerare che, aderente con coe-renza al cursus honorum qui ripercorso persommi capi, sarebbe stata la produzione discritti le cui principali categorie – nonnecessariamente ordinate nel senso dellacronologia: tutte infatti accompagnano lasua intera biografia – si possono somma-riamente articolare secondo una grandetripartizione che per diversi suoi aspetti sipone in immediata connessione con i gran-di eventi politico-costituzionali della tran-sizione vittoriana.

2. Vengono in primo luogo gli studi dedicatida Dicey a temi di common law, tra i qualiassumono rilievo il Treatise on the Rules forthe Selections of the Parties to an Action, del1870, e il ben più celebre Conflict of Laws,imponente manuale apparso in numeroseedizioni a partire dal 1896 e tuttora in pienouso, ovviamente con i debiti aggiornamenti,presso gli operatori del diritto in tutto ilRegno Unito5. Si tratta in realtà di scritti chepossono interessare meno il costituzionali-sta: tuttavia da essi emerge quella conside-revole competenza tecnica di un Dicey giu-rista di stretta osservanza (molti elementi ditale formazione di common lawyer del restoconfluiscono nelle riflessioni della Introduc-tion) che avrebbe trovato piena realizzazio-ne nella didattica della Vinerian Chair.

In secondo luogo, gli studi in materia diistituzioni e di ordinamento costituzionale.Il saggio storico-ricostruttivo The PrivyCouncil vincitore nel 1860 dell’Arnold Prize

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(Dicey, 1887-D) rivelava il giovane Dicey,allora aspirante alla docenza del diritto, algrande pubblico dei cultori delle istituzioniinglesi; seguivano la Introduction e, sebbe-ne posto al confine con la chiave di letturadella politologia, il già menzionato Law andPublic Opinion che affrontava un tema su cuiil dibattito britannico aveva assunto vasteproporzioni (Ginsberg, 1958; Cariola,2001). Anche in questo Dicey si rivelava unimportante precursore di un altro genereletterario: ma in realtà ogni buon constitu-tional lawyer, trattando di cose britanniche,deve essere anche un po’ storico e politolo-go, e in ciò egli, pur inaugurando un nuovolinguaggio, si confermava bene integrato inuna tradizione consolidata e conscio dellesue convenzioni culturali, tant’è vero che,dopo essere stato incluso nella lista deglioppositori alla home rule irlandese che con-fluirono nella Union Defence League, Dicey èstato da alcuni definito, in realtà alquantoimpropriamente, «the constitutional histo-rian» (Powell, 1996, p. 148).

L’interesse che Dicey, non solo per pro-pensioni personali ma anche per effetto dellungo sodalizio con James Bryce, ebbe perla comparazione giuridica e per la storiacomparata del pensiero costituzionale stra-niero (della quale si denota del resto unadiffusa presenza, il più delle volte determi-nante per lo sviluppo delle argomentazio-ni, nella stessa Introduction) traspare dallagran parte dei suoi scritti. In particolare, siritiene di dover segnalare in questa fase deldiscorso – a conferma che tutt’altro checaratterizzati da incomunicabilità erano isuoi rapporti con il costituzionalismo con-tinentale – l’Introduzione scritta nel 1891all’edizione britannica della seconda edi-zione degli Études de droit constitutionnel diÉmile Boutmy (Dicey, 1891).

Ma l’attenzione riservata da Dicey, oltreche alle istituzioni, alle metamorfosi costi-tuzionali è in terzo luogo dimostrata conaccenti oltremodo convincenti da tutti que-gli scritti, confluenti in una categoriaalquanto numerosa, con i quali egli affron-tava con impianto monografico le piùurgenti tematiche connesse alle riformecostituzionali, effettive o solo progettate, diun intero cinquantennio, ovvero dell’arcodi tempo incluso fra la seconda riformaelettorale dell’Ottocento (Representation ofthe People Act del 1867) e la crisi parlamen-tare del 1909-11, ed oltre fin quasi alla vigi-lia della sua scomparsa.

Infatti, la Introduction segnava il suoesordio nel vasto scenario delle riformeposte in essere dalle amministrazioni libe-rali dell’epoca gladstoniana. Nel pieno diun periodo caratterizzato, per quanto con-cerne gli equilibri di governo, dalle grandialternanze tra Gabinetti liberali posti sottola premiership di Gladstone (1868-74; 1880-85; 1886) e Gabinetti tory guidati dapprimada Disraeli (1868; 1874-80) e quindi daSalisbury (1885; 1886-92), per completareinfine la sua parabola nel 1915 con la edi-zione VIII, in un periodo nel quale le isti-tuzioni britanniche fortemente risentiva-no dell’influsso della crisi liberale deiGabinetti Campbell-Bannerman (1905-08) e Asquith (1908-15) e della riformaattuata con il Parliament Act 1911, la vastaproduzione diceyana di scritti d’impiantomonografico vi svolgeva una funzione che sipuò definire satellitare. La definizione puòrisultare riduttiva: alcuni scritti che siriconducono a tale categoria sono in realtàveri e propri saggi di vasto impianto anchese spesso dominati da una forte ispirazio-ne polemica. D’altra parte è questo il Diceypiù vicino allo spirito pamphlettista e trac-

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tarian, anche se nella fase più matura – sidirebbe, appunto, dalla Introduction in poi– i toni appassionati che lo distinsero comeprotagonista, almeno sul versante dell’opi-nione giuridica, di molte importanti conte-se politico-costituzionali avrebbero cedu-to il passo ad analisi condotte secondo unmodo di argomentare più oggettivo ma nonmeno determinato nell’elaborazione di unalinea di difesa dei princìpi del costituzio-nalismo di derivazione inglese.

3. Il percorso del Dicey analista del muta-mento istituzionale e, ove necessario, pole-mista politico iniziava idealmente con ilcontributo (passato quasi inosservato) TheBalance of Classes che era incluso nella ras-segna Essays on Reform, curata nel 1867 daJ.R. Seeley6 in un periodo ancora caratte-rizzato dal contrasto fra gli influssi delprofondo senso di autostima che avevacaratterizzato l’età di Palmerston (Briggs,1990) e i primi effetti tangibili delle inno-vazioni introdotte dal compassionevole manon del tutto disinteressato populismodisraeliano (Shannon, 1992; Machin, 1995).

Ma, di certo, fu nella fase più contro-versa del dibattito sulla home rule irlande-se che Dicey si distinse come autore diun’intera sequenza di interventi a difesadella coesione del Regno Unito contro lerivendicazioni centrifughe degli homerulers. Alla polemica contro il separatismosi deve una copiosa produzione di saggi coni quali il giurista oxfordiano si inseriva conautorità (ma, invero, senza particolare effi-cacia per quanto concerne le proprie vel-leità di determinare l’andamento deglieventi) nel vivo della crisi che avrebbe divi-so profondamente la classe politica britan-

nica dapprima ponendosi alla base dellatraumatica frattura Gladstone-Chamber-lain nell’ambito del partito liberale(Balfour, 1985; Winstanley, 1990) e quindisospingendo i tories verso posizioni dioltranzismo unionista.

Sono interventi distribuiti nell’arco dioltre un ventennio. Si pensi ad esempioall’articolo del 1881 How Is the Law to BeEnforced in Ireland ? e al più fortunato e notosaggio, apparso nel 1886 in due edizioni,England’s Case Against Home Rule (Dicey,1881; 1886). Nonché agli scritti del 1887Letters on Unionist Delusions, The Duties ofUnionists e il divulgativo Why England Main-tains the Union: A Popular Rendering of“Enland’s Case Against Home Rule” (Dicey,1887-A, 1887-B, 1887-C), del 1890 The Ver-dict e del 1893 A Leap in the Dark (Dicey,1893, 1890-A), cui infine nel 1913 avrebbefatto seguito l’acre, e ancora combattivo purdi fronte all’ineluttabilità degli eventiirlandesi, A Fools’ Paradise, pamphlet che sicollega direttamente agli argomenti espo-sti da Dicey in un articolo unionista appar-so sul Times del 13 marzo 1913 e costituen-te sotto diversi profili il manifesto semi-ufficiale della British League for the Support ofUlster and the Union con la quale egli eraentrato in stretti rapporti (Dicey, 1913).Attraverso questa molteplicità di interven-ti il costituzionalista oxfordiano non avreb-be fatto mistero dei propri recisi orienta-menti a favore dell’unionismo e del suoruolo di opposizione a ogni prospettiva diautonomizzazione dell’Irlanda (Dutton,1992; Harvie, 1976-A; Tulloch, 1980; Town-send, 2000).

I suoi appelli avrebbero letteralmentescandito l’intero processo che condusse allametamorfosi dell’autonomismo irlandesein un vero e proprio movimento insurre-

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zionale, e certamente non giovarono allapopolarità di Dicey presso il pubblico deglihome rulers e dei loro simpatizzanti, maanche presso quella parte dello schiera-mento liberale che appariva più propensa aconcedere delle possibilità alla home rulepurché contenuta nell’ambito dell’organiz-zazione imperiale.

Di fronte agli scricchiolii dell’Impero,gli orientamenti conservatori che Dicey ealtri suoi illustri contemporanei avevano incomune si orientarono sovente in direzio-ni opposte. Di contro all’ostinato unioni-smo diceyano si pensi, per esempio, allepropensioni filo-irlandesi del giovaneChurchill che dalle file dei tories era passa-to in quelle liberali con l’elezione nel 1906nel collegio di Manchester, recando con séla convinzione che, nella prospettiva del-l’imminenza di un diretto confronto euro-peo con gli Imperi centrali, unitamente aduna definitiva pacificazione con i Boeri,solo il cedimento alle istanze degli homerulers avrebbe potuto dare una nuova vita aquello che molti auspicavano potesse risul-tare un «Impero compatto, guidato da unaInghilterra che avesse eliminato dal suoseno i maggiori pericoli di irrequietezzainterna» (Ragionieri, 2000, p. 46).

In territorio scozzese il movimento deglihome rulers aveva intrapreso una seria azio-ne revisionistica nei confronti dell’anticaUnione. Dicey esprime una posizione anta-gonistica rispetto alle istanze dei naziona-lismi interni del Regno Unito. La sua posi-zione, caratterizzata dai toni più pacati diuna riflessione giuridico-costituzionalisti-ca invariabilmente attestata su posizionianglocentriche, si sarebbe espressa nel-l’ultima importante opera scritta primadella sua scomparsa, i Thoughts on the UnionBetween England and Scotland (1920) redat-

ti in collaborazione con Robert SangsterRait che fu un fedele testimone dei suoiultimi anni di attività7.

Un altro significativo filone si individuanella riflessione sulle suggestioni costitu-zionali emerse nell’epoca di Gladstone, ein seguito più acutamente avvertite nelcorso della grave contesa sorta tra Comunie Lords nel 1909-11. Anche in questo caso lavisuale di Dicey, avviata con preveggenzamolto tempo prima del delinearsi di taledefinitiva crisi (ma già il conflitto suglihome rule bills gladstoniani aveva postodrammaticamente in risalto possibili con-seguenze di un insanabile dissidio tra le duecamere di Westminster), si rivelava sostan-zialmente schierata a favore della conser-vazione dell’ordine esistente, e ciò anzitut-to se tale conservazione era correlata allaprotezione dei princìpi informatori delladogmatica della Introduction come rispostaalla sorgente crisi del parlamentarismoclassico (Lenman, 1992).

Una difesa della supremazia parlamen-tare e del convenzionalismo ai quali eranostate dedicate pagine memorabili dellaIntroduction, ma anche una prospettiva nondel tutto contraria all’estensione di stru-menti di consultazione popolare (purchénon sostitutivi della decisione legislativa)già attivi nelle prassi del local governmentinglese o addirittura operanti in nuce nelleelezioni generali, emergevano per esempiodalle argomentazioni sviluppate nell’inte-ressante tract dal titolo Ought the ReferendumTo Be Introduced into England?, apparso sullaContemporary Review nell’aprile 1890, enella nota A Symposium on the Referendum,del marzo 1894 (Dicey, 1890-B, 1894).

In questi primi saggi la classica correla-zione britannica tra lo sviluppo della demo-crazia in epoche di avanzamento elettorale

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e la natura evolutiva di un parlamentarismoin via di progressiva democratizzazione (sucui un tempo si era soffermato il Seeley8

che era stato il primo ospite di uno scrittodiceyano sulle riforme costituzionali) veni-va affrontata nelle sue implicazioni costi-tuzionali alte, con argomenti ben piùaggiornati, e soprattutto ispirati dalla crisiin atto. La vexata quæstio della democraziareferendaria e della sua compatibilità con leistituzioni puramente rappresentative delsistema di origine inglese sarebbe stataanalizzata da Dicey nel bel mezzo della con-tesa lloydgeorgiana con l’articolo ricostrut-tivo The Referendum and Its Critics (aprile1910) (Dicey, 1910; Meadowcraft, Taylor,1990). Qui si faceva strada l’ammissioneche il referendum – procedimento consulti-vo peraltro già diffusamente usato a livellolocale senza che ciò creasse alcuna apprez-zabile interferenza con la supremazia dellalegislazione parlamentare (Robinson, 1912;Hennoch, 1973; Alderson, 1975, p. 20 ss.;Prest, 1990; Volpe, 1992; Torre, 2005) –potesse rivelarsi di una certa utilità noncerto per confutare la validità della deci-sione parlamentare, né come pedissequostrumento arbitrale in caso di conflitto trai due rami del legislativo (tema diffuso neldibattito britannico ed europeo9, e da piùparti proposto come soluzione all’impasseparlamentare del biennio critico di cui sista dicendo), né tanto meno come passag-gio consultivo necessario in presenza didisegni di grandi riforme costituzionali,bensì per controbilanciare l’emersione delpotere incontrastato di una singola Came-ra parlamentare.

Tale controbilanciamento si sarebbesviluppato auspicabilmente in senso con-servativo. Dicey aveva infatti intuito conlucidità le valenze frenanti di molte consul-

tazioni popolari, in ciò venendogli in per-fetto ausilio l’osservazione della democra-zia svizzera e l’attenzione riservata alle ten-denze conservatrici della sua esperienzareferendaria (Dicey, 1890-C; Brühlmeier,1985). Si sarebbe trattato di opporre conefficacia il sentimento popolare diffuso allavolizione di una Camera dei Comuni chedisgraziatamente, sotto l’influsso di unamaggioranza del momento, una volta aboli-ti i Lords e con ciò eliminato quell’unicocontrappeso che fosse idoneo a temperaregli eccessi di un ramo parlamentare fattual-mente egemone a Westminster, deliberas-se in favore della home rule irlandese10. Intal modo, contrastando sul piano costitu-zionale la metamorfosi della sovranità par-lamentare in una dittatura monocameraledi stampo neocromwelliano, o, come senzaperifrasi annoterà in tempi a noi più viciniLeslie Wolf-Phillips, in un sistema digoverno retto da maggioranze monopartiti-

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William Ewart Gladstone. Ritratto di Y. Hamilton,

Paris, Musée du Jeu de Paume.

che operanti in una Camera dei Comuniposta sotto il dominio del Primo ministro11.

Ma, se si fa riferimento ad un illumi-nante, ancorché poco noto passaggiodiceyano del 1894, nel quale alla consulta-zione referendaria si attribuiva «the greatmerit of being the only check on partymanagement which is in perfect harmonywith democratic sentiment»12, ben moti-vato è il sospetto che non nei confronti deldogma della sovranità parlamentare si vol-gesse la simpatia per le forme di appello alvoto popolare, bensì nei riguardi delledegenerazioni indotte nel concreto eserci-zio di tale supremazia costituzionale dal-l’affermarsi sempre più prepotente dellelogiche del party system maggioritario.

Alcune rapide annotazioni ci possonoessere ulteriormente suggerite da questoparticolare tratto del pensiero di Dicey, ovesi ripropone criticamente la questione delnesso tra princìpi costituzionali sanziona-ti nell’Introduction e sfide “interne” allasovranità del Parlamento e alla coesionedell’assetto statale.

La prima suggerisce che la questionedella home rule, e quindi la minaccia per l’u-nità del Regno che essa inevitabilmenterecava con sé, avrebbe rappresentato perDicey una spada di Damocle sempre incom-bente su quella costituzione britannica le cuilodi sono tessute nella Introduction. Su ciònon occorre soffermarsi oltre giacché ilpunto è sufficientemente dimostrato, e siapertanto definitivo considerare come ilprimo dei princìpi della constitutional mora-lity diceyana – un principio esplicitamenteviolato dagli home rulers ovunque essi siannidassero – fosse la preservazione dell’u-nità del sistema statuale.

Con la seconda annotazione si evidenziache nelle concezioni di Dicey sussisteva una

diretta analogia politico-istituzionale tra ilreferendum nella sua forma consultiva e leelezioni generali: entrambi, come si legge inalcuni tratti della Introduction e in particola-re nel capitolo XIV. Nature of Conventions ofConstitution, configurano uno strumento perrestituire armonia a quell’idem sentire et velleche dovrebbe legare intimamente il Parla-mento al corpo elettorale e in ultima anali-si alla società civile, e che invece le circo-stanze della storia e della politica nazionale(si fa strada in questo passaggio una criticaneanche troppo velata nei confronti del fac-tionalism partitico) frantumano spesso.Della sua corretta applicazione è arbitro l’e-secutivo di Sua Maestà mediante i rispettiviistituti dell’indizione della consultazionepopolare e della dissolution parlamentare.

La terza annotazione pone in luce ilsempre più evidente farsi strada della con-cezione diceyana del corpo elettorale for-mato dai constituents (espressione, questa,altamente evocativa che si può far risalireall’idea di rappresentanza politica fondataa fine Settecento da Burke e dai nuovi whigsdi Rockingham) che trasferiscono la sovra-nità politica verso le sfere della sovranitàcostituzionale. È ancora troppo poco perpoter ipotizzare una componente neorous-seauviana del pensiero di Dicey o un suoconvinto sostegno all’idea di sovranitàpopolare, ma di certo si può asserire che,per quanto concerne tutti quei punti in cuiemerge una attenta considerazione delruolo politico determinante dell’elettora-to, è nell’alveo del grande contrattualismoche la Introduction può a ragione essere col-locata (e quindi la lezione di Law and PublicOpinion sarà determinante in argomento).

La quarta annotazione enuclea l’ostina-to anglocentrismo delle concezioni di Diceyed in esse della Introduction, delle quali è

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un caposaldo intellettuale. In tale atteggia-mento egli sarebbe stato in ottima compa-gnia, giacché sia il Dicey dell’Introductionsia il Bagehot della English Constitution, econ essi gli historical jurists dell’età libera-le e molti nuovi constitutional lawyers chesulla scia della Introduction operarono nelperiodo della transizione post-vittoriana,descrivevano o analizzavano, in fin deiconti, una parte per il tutto consacrando,ognuno secondo la linea interpretativa chegli era propria, una fattuale egemonia sto-rica e culturale, e quindi anche costituzio-nale, di quella che si può considerare –parafrasando un’espressione d’uso in altrocontesto – la English way of life. La più arti-colata e seria confutazione a tale radicatomodo di pensare, che scientemente igno-rava quanto di specifico sul versante costi-tuzionale e giuridico esisteva nelle areesubnazionali del Regno Unito, sarebbe pro-venuta non già dal costituzionalismo d’im-pronta laburista, che di Dicey criticava idogmi ma ben di rado l’anglocentrismo,bensì dalla dottrina costituzionale delnazionalismo scozzese che mosse i suoiprimi passi negli anni della home rule perrealizzare le sue più compiute espressioninel secondo dopoguerra e nell’epoca delladevolution realizzata.

4. Quasi che la constitutional morality cuispesso si farà riferimento nella Introductionconsistesse nella conservazione dell’unitàdello Stato non meno che nella codificazio-ne dei princìpi fondanti dell’ordinamentocostituzionale, sulla scorta delle conside-razioni fin qui tratteggiate si può pertantodire che Dicey avesse mobilitato le miglio-ri risorse della propria dottrina. Al fine di

difendere uno status quo che le stagionidelle riforme, a partire dal balzo in avantidel suffragio provocato dalla legge eletto-rale del 1867 e con un’eclatante confermanelle vicende della home rule (la prima ren-dendo sempre più prossima la trasforma-zione della Gran Bretagna in uno Stato plu-riclasse; la seconda aprendo la discussionesulla resistenza interna dell’ordinamentocostituzionale) stavano rendendo indifen-dibile già alla svolta finale di quello straor-dinario periodo di consolidamento impe-rialistico dello Stato britannico che si deno-mina come età vittoriana.

Elaborando con la Introduction un per-corso giuridicamente attendibile ad uso delconstitutional lawyer, il pensiero di Dicey siinnestava su una preesistente tradizionecaratterizzata da una assenza della dottrinadello Stato che era ampiamente compensa-ta – e peraltro resa inutile – dalla storicaeffettività delle istituzioni del government,formando un bloc de constitutionalité tuttopersonale che sarebbe immediatamenteassurto a paradigma della cultura giuspub-blicistica britannica formando un arginenei confronti sia dell’eventualità statalista,che già verso la fine dell’età vittoriana sem-brava far capolino dietro il riformismotardo-liberale, sia dell’alea insita nel con-durre alle estreme consegenze il possibili-smo istituzionale che, con il suo marcatopragmatismo evolutivo, configurava ilpunto fermo delle posizioni ultraconserva-trici. L’influenza intellettuale del paradig-ma diceyano, come è noto, avrebbe prodot-to i suoi effetti sul costituzionalismo bri-tannico del Novecento, ma d’altronde la suarelativa inefficacia nel contrastare lo slitta-mento statalista si pose in evidenza nelperiodo lloydgeorgiano allorché, giuntaormai alla VIII edizione, la Introduction si

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arricchiva di una sezione introduttiva carat-terizzata da un acuto spirito critico nei con-fronti del riformismo dell’epoca.

Non va, peraltro, sottovalutata l’acutapreveggenza di cui Dicey diede prova, senon proprio nella Introduction la quale dal1885 al 1915 ed oltre, descrivendo i fonda-menti del sistema costituzionale anglo-bri-tannico così come essi erano codificatiattraverso la legge del paese (povera tradu-zione della ben più pregnante espressionedi law of the land) e non come sarebberodivenuti alla luce del surrettizio riformi-smo dell’epoca13, configurò un autenticopunto di riferimento dottrinale per i tuto-ri di ciò che restava dell’ordinamento tra-dizionale, almeno in molti suoi scrittiminori, nella Law and Public Opinion, esoprattutto nell’Introduzione aggiunta nel1915 alla Introduction stessa.

Dopo aver scritto così tanti pamphletsnei quali (e particolarmente in quelli chetrattavano della home rule irlandese) l’ele-mento di rilievo era una pronunciata pas-sione politica, la connaturata attestazionedi Dicey a difesa dell’ordine costituito, chenel magnum opus della Introduction avreb-be trovato uno dei punti di sintesi di mag-giore efficacia, si fondava tuttavia non già –come nella maggior parte dei legal historiansfino a Maitland – su un atteggiamentomeramente proiezionistico, bensì, secon-do una efficace commistione tra historicisme deductivism costituzionalistico, sullastretta identificazione della costituzionenon scritta con i suoi princìpi ordinatori.

In vista di tale obiettivo, Dicey diffuse lesue visuali con ferma determinazione, atti-rando sulla sua opera l’ammirazione dimolti suoi contemporanei ed epigoni maanche la riprovazione di altri. Infatti, visono stati autori che, pur senza negare l’og-

gettiva autorità della Introduction come«classic depiction of the British constitu-tion» e «classic statement»14, hannomisurato le distanze rispetto al pensiero delgiurista oxfordiano stigmatizzando dura-mente il senso di narcosi che egli ha impo-sto sulla cultura costituzionale dei decennia venire e sull’idea di costituzione stessa inGran Bretagna. Per esempio, è all’egemo-nia metodologica di Dicey che viene attri-buito il ritardato aggiornamento culturaledel diritto pubblico britannico (Drewry,1995, pp. 45-46; Rhodes, 1997, p. 64 ss.),giungendo fino a considerare le idee e illinguaggio di Dicey come le idee e il lin-guaggio di un «erratic and violent thinker»pervenuto non si sa come – ma probabil-mente, una volta eclissato il dominio diun’estenuata storiografia giuridica, per viadella mancanza di validi antagonisti in unafase di grande transizione culturale – aimassimi riconoscimenti (Mount, 1993;Morrison, 2001, p. 1 ss.).

In ogni modo, l’incrollabile atteggia-mento diceyano di salvaguardia dei valoricostituzionali fondati sulla sovranità parla-mentare, sulla rule of law e sulle convenzio-ni non va confuso, come dianzi accennato,con la stolida miopia di molti conservatori.Sul fronte unionista, rispetto alle emotivepregiudiziali di molti tories e liberali dissen-zienti, la posizione di Dicey si distinguevainfatti per un’apprezzabile (anche se nonpriva di incoerenze) base dottrinale che,specialmente dopo la comparsa della primaedizione dell’Introduction, lo avrebbero resomeritevole, se non del consenso, almenodell’apprezzamento dei suoi avversari15.

Nonostante l’accentuato impegno civileche traspare da molti suoi scritti minori (inbuona parte dovuto, come suggerisce JohnF. McEldowney, a un senso di autorisarci-

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mento psicologico per una carriera politicadesiderata ma priva di fortuna), saldamen-te ancorati nella dottrina classica sono leposizioni di difesa dei paradigmi costitu-zionalistici della Introduction. Se, per esem-pio, si intende risalire ai fondamenti delconvenzionalismo diceyano e in particola-re della giustapposizione tra statute law(legge scritta) e conventions come fonti diproduzione del diritto costituzionale (undualismo che del resto lo stesso WilliamAnson, anch’egli attivo nell’All Souls Colle-ge, aveva esplicitamente codificato, appli-candolo all’istituzione parlamentare, nelprimo volume del suo trattato Law andCustom of the Constitution coevo all’Introduc-tion), è alla Province of Jurisprudence Deter-mined del positivista Austin, al Representa-tive Government di Stuart Mill, e ai manualidei maggiori legal historians dell’epoca libe-rale che occorre fare puntuale riferimento(Hood Phillips, 1985) (sono autori cheDicey, come si vedrà tra breve, citò con rico-noscenza nella sua opera).

Una analoga operazione, per quantoconcerne le origini della dogmatica dellasovranità parlamentare, andrebbe fattarisalendo ancora più addietro a Bacon, Cokee al suo illustre predecessore oxfordianoBlackstone (Dike, 1976). Di certo, fu taleposizione, non priva di aporie ma mante-nuta per oltre un trentennio di attività condeterminata coerenza, a rendere Dicey unavversario tra i più temibili del movimen-to riformatore, almeno sul piano dottrina-le se non proprio su quello del concretoinflusso (che fu alquanto ridotto) sullaRealpolitik d’inizio Novecento.

Per quanto concerne le aporie, sia suffi-ciente fare riferimento alla contraddizionedi fondo sussistente fra i due princìpi asso-luti che furono entrambi difesi da Dicey con

estrema determinazione, ovvero tra la rule oflaw e la sovereignty parlamentare. Rilevatada importanti costituzionalisti delle gene-razioni successive, come Owen Hood Phil-lips, Ivor Jennings e lo stesso E.C.S. Wadeche – come si vedrà – avrebbe curato dal1939 in poi le edizioni postume della Intro-duction, tale contraddizione risalirebbe aduna imprecisa o parziale lettura di Coke eBlackstone. In particolare, all’antinomia frala qualificazione del potere parlamentarecome «trascendent and absolute», chederiva da una tutta personale estrapolazio-ne blackstoniana dal Fourth Institute di Coke,e la sua soggezione, anch’essa enunciatasenza perifrasi nei Commentaries di Black-stone, alla ragione comune16.

Sotto tale profilo, la propensione di Diceya rifuggire dall’empirismo di molti legalhistorians per affidare alla logica giuridical’impianto della Introduction e dei suoiprincìpi non è stata da alcuni consideratauna garanzia sufficiente per evitare quellache è stata definita la inconsistency dell’in-clusione entro un unico quadro, avente pre-tese di assoluta coerenza, dei due princìpi inquestione (Goldsworthy, 2001-B, p. 63 ss.).

Alla luce di tale evidente punto di con-traddizione si sa, per esempio, come le cosesarebbero andate in realtà per quanto con-cerne il nervo scoperto del pensiero diceya-no, ovvero la questione della home rule. Unavolta falliti gli home rule bills del periodogladstoniano e realizzatasi la definitiva frat-tura tra imperialisti e home rulers all’inter-no del partito liberale (Searle, 1992), l’e-mersione dell’egemonia della Camera deiComuni sanzionata dal Parliament Act del1911 riaprì infatti un processo storico-legi-slativo che sembrava definitivamente sopi-to. Una volta formalmente ridimensionatoil potere di veto che i Pari potevano legitti-

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mamente esercitare sulle leggi già delibe-rate dalla prima Camera, divenne possibilel’approvazione da parte dei soli Comuni, indue sessioni parlamentari consecutive, didisegni di legge per la piena autonomizza-zione dell’Irlanda.

Tali progetti furono puntualmenterespinti dai Lords e di seguito, nell’even-tualità tutt’altro che scolastica dell’appro-vazione di un terzo bill (come è noto, il Par-liament Act limitava a due sessioni l’effica-cia dell’opposizione della seconda Camera;alla terza la sola approvazione dei Comunisarebbe stata sufficiente a determinare l’a-dozione della legge), solo un referendumpopolare da attuarsi secondo la formulaevocata da Dicey tenendo conto dell’espe-rienza storica della democrazia elvetica,avrebbe potuto porre nel nulla la home rulein modo definitivo, contrastando la fran-tumazione dell’ordine costituzionale dellaquale la separazione dell’Irlanda era con-siderato da molti la prima manifestazione.

Ma, nei fatti, l’evoluzione fu diversa eper certi versi imprevista, giacché lo scop-pio della Prima guerra mondiale, determi-nando l’autoritativa sospensione di ogniiter legislativo che fosse suscettibile diporre a repentaglio la sicurezza del RegnoUnito – l’home rule bill, in quanto espres-sivo dell’intera querelle separatista, di certosi caratterizzava come tale (Hartley, 1987)– condusse gli irredentisti irlandesi versola via extracostituzionale di quel movi-mento insurrezionale che nel giro di unquinquennio avrebbe prodotto la nascitadell’Irish Free State. Sotto tale profilo,tenendo certamente conto dei possibilisviluppi della riforma parlamentare del1911, la questione della home rule era stataesattamente individuata da Dicey comel’autentica cartina di tornasole della tenu-

ta dell’ordine costituito e pertanto da egliostinatamente avversata in quanto distrut-tiva di tale ordine.

Nella prospettiva diceyana di criticasistematica e irriducibile ai salti in avanticostituzionali del liberalismo tardo- e post-vittoriano, l’opposizione alla trasformazio-ne della tradizionale sovereignty of Parlia-ment in dittatura incontrastata della Came-ra dei Comuni e la speculazione sulla pos-sibile saggezza del referendum (della quale sitrova un’eco significativa nelle reiterateaffermazioni che fin dalla prima edizionedella Introduction rappresentano il corpoelettorale come il verace sovrano politicodella nazione) avrebbero trovato sviluppoin quella veemente stigmatizzazione delParliament Act che era stato finalmenteapprovato per sbloccare la crisi di West-minster. Di tutto ciò si ebbe eco nell’elo-quente saggio The Parliament Act, 1911, andthe Destruction of All Constitutional Safe-guards (Dicey, 1912) successivamente inse-rito, e trascritto pressoché fedelmente,nella grande glossa apportata nel 1915 all’e-dizione VIII della Introduction. Nel contestodella critica a tale radicale soluzione istitu-zionale che, nell’eclissi di ogni possibilitàdi concludere la contesa intercameraleattraverso un gentlemen’s agreement di tipotradizionale che rivalutasse gli equilibrirealizzati attraverso la grande finzionecostituzionale del King-in-Parliament, avevaassunto le sembianze del diritto positivopiuttosto che della convention of the consti-tution, l’apparente apertura delle tesidiceyane alle possibilità d’impiego di unostrumento consultivo tendenzialmente inantitesi con la rappresentatività pura delParlamento si ricongiungeva in modo spe-culare con le rigidità antifererendarie pre-cedentemente delineate da Herny Maine

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nei saggi raccolti nel Popular Government(Maine, 1885); per quanto essa, optandoper il male minore, era suscettibile diinfluire nel senso del ripristino di un siste-ma di freni e contrappesi.

5. La particolare problematicità della que-stione irlandese, con le sue innumerevoliripercussioni che nei decenni a venire sisarebbero riversate sulla vita parlamentaree sui diritti civili incidendo a fondo sul tra-dizionale convenzionalismo costituzionale eturbandone gli storici equilibri, avevaprofondamente caratterizzato la percezio-ne diceyana dell’ordine giuspubblicistico edella necessità della difesa dei suoi princì-pi; ma in realtà, come lo stesso Dicey avevaintuito fin dal saggio del 1867 dedicato allevalenze costituzionali del classismo inglese,un ben più subliminale elemento di desta-bilizzazione operava nel corpo vivo dell’or-dinamento: così infatti l’avanzamento delsuffragio, che in tre tappe s’era reso visibi-le nell’Ottocento.

Ciò contribuì grandemente a motivarein Dicey un’ostinata resistenza nei con-fronti di ogni concessione alle istanze deglihome rulers e ad instaurare nei confrontidella problematica un misto di attrazione erepulsione. Se infatti, da un lato, la ten-denza del giurista oxfordiano a destituire dilegittimità le rivendicazioni separatisteprendeva forma in reiterati interventipolemici (il che si verificava contraria-mente alle sue propensioni naturali: è notoinfatti che gli efficaci esiti delle sue argo-mentazioni erano il prodotto di una enor-me fatica nella scrittura materiale) che nemisero in evidenza l’autorità di pensieroin campo unionista; dall’altro lato, con sin-

golare effetto di rimozione – quasi a negar-ne la dignità ai fini della costruzione di undiscorso di diritto costituzionale – non unaparola sarebbe stata dedicata alla home rulenella più memorabile delle sue opere,appunto la Introduction to the Study of theLaw of the Constitution.

È infatti sufficientemente documenta-to l’apprezzamento con cui lo stesso Glad-stone, prima di entrare in aperto dissidiocon l’irriducibile unionismo del costitu-zionalista oxfordiano (Cosgrove, 1978),valutò alcune tesi emergenti da una lettu-ra non pedissequa della Introduction, e anzila strenua difesa della supremacy parla-mentare sviluppata da Dicey nella suaopera aveva in qualche misura incoraggia-to lo statista liberale a procedere con con-vinzione sulla strada della home rule pro-muovendo il suo Government of Ireland Bill(Loughlin, 1986). Nella sua valutazione unParlamento onnipotente, così come essoinequivocabilmente era rappresentatonella Introduction, disponeva infatti di tuttala legittimità politico-istituzionale neces-saria per dare corpo a radicali riforme del-l’ordine costituito, e pertanto anche diquelle riforme che fossero suscettibili diincidere sulla struttura dello Stato, e traqueste alla home rule.

Il dogma diceyano, offrendo a Gladsto-ne e alla corrente devoluzionistica del suopartito di governo consistenti margini valu-tativi, si prestava infatti – come realmenteavvenne in seguito all’apparizione dellaprima edizione della Introduction – ad unainterpretazione che, facendo leva su quelsenso di parliamentary absolutism che cosìtanti consensi e tante critiche avrebbe atti-rato su di sé da parte della cultura costitu-zionalistica della transizione vittoriana,qualificava come costituzionalmente lecita

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ogni profonda riforma dell’assetto giu-spubblicistico e finanche ogni riformaavente contenuti che lo stesso Dicey nonesitava a considerare destabilizzanti17. Intal modo, caricava il monolitismo delle ideediceyane di un effetto-boomerang che nes-sun’altra opera insistente nel campo deldiritto pubblico era in grado di produrresul pensiero e sulle applicazioni costituzio-nali dell’epoca.

Nondimeno, dalle critiche interpreta-zioni delle questioni della home rule e delreferendum, lungamente decantate nel corsodi alcuni decenni, emergevano numerosispunti e suggestioni che avrebbero trovatouna riepilogazione più organica, se nonproprio nel corpo della Introduction, chesostanzialmente ignora tali tematiche,almeno nella grande sezione introduttivache Dicey aggiunse di suo pugno alla edi-zione VIII (1915). Di questa ampia “Intro-duzione alla Introduction” e del suo inveroambiguo rapporto con il testo principaledell’opera si tratterà in modo più partico-lareggiato nella parte finale del nostrodiscorso; per il momento sia sufficienteconsiderarla il tract diceyano per eccellen-za, e in quanto tale una sorta di punto diculmine di una tensione costituzionalisti-ca mai sopita di cui non mancano ampietestimonianze (Rait, 1925; Shinn Jr, eCosgrove, 1996) al quale va comunque rico-nosciuto il pregio di avere storicizzato laIntroduction controbilanciandone sottodiversi profili un’oggettiva fissità argo-mentativa (sebbene detta sezione introdut-tiva formi una parte integrante della edi-zione 1915, che oggi si traduce, per ben pre-cise scelte editoriali non è ricompresa nellatraduzione stessa) e inserendola nel puntofocale del dibattito costituzionale del perio-do lloydgeorgiano.

6. Prima di soffermarsi specificamentesullo scritto di Dicey e sulle sue vicendecontenutistico-editoriali, e dopo aver som-mariamente puntualizzato in che termini lasua produzione – ed in essa la posizionespeciale della Introduction – abbia trovatosignificativi elementi di sintonia con ilmutevole contesto politico-costituzionalein cui vanno inserite le varie versioni del-l’Introduction stessa che furono date allestampe sotto la diretta supervisione diceya-na (ovvero le versioni comprese nell’arco1885-1915 per un totale di otto distinte edi-zioni diversamente rimaneggiate), qualchebreve cenno deve essere riservato al quadrodidattico e culturale in cui l’opera è statatratta alla luce.

Ad un certo tratto dell’itinerario intel-lettuale di Dicey veniva infatti a materializ-zarsi una virata di considerevole rilievo,consistente nell’assunzione dell’oxfordia-na Vinerian Chair, circostanza accademicache nel 1882 configurerà il superamento dialcune deludenti esperienze professionali epolitiche avviate in precedenza ma mai por-tate efficacemente a compimento; proba-bilmente è il momento in cui una profondavocazione si esplicitava rivelando Dicey a sestesso, offrendogli la possibilità di unarevanche psicologica nei confronti delle fru-strazioni derivanti dal sostanziale fallimen-to delle sue aspirazioni politiche e dallapoco soddisfacente prova data nel disage-vole campo dell’avvocatura.

Ma, al di là delle considerazioni esi-stenziali e psicologiche (McEldowney,1985, p. 46) e di alcune curiose coinciden-ze che porrebbero in evidenza alcune ana-logie tra l’esperienza di Dicey e quella delWilliam Blackstone suo grande predeces-sore nella Vinerian Chair18, come si avràmodo di sottolineare trattando delle prime

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edizioni dell’opera è in tale appuntamentocon la grande didattica della common lawche si individuano le principali coordinateentro cui va inserita la particolare naturadella riflessione costituzionalistica dell’In-troduction ed alla luce della quale deve esse-re valutata l’influenza del pensiero diceya-no sulla cultura giuspubblicistica delle suc-cessive generazioni (Blackburn, 1985;Johnson e McAuslan, 1985).

Come è ben noto, il diritto non costi-tuiva in Inghilterra materia di un delibera-to e intensivo insegnamento che avesse ilsuo centro di irradiazione nel quadro uni-versitario. Coloro i quali intendevano eser-citare le professioni forensi lo apprende-vano infatti non già nella dimensione del-l’accademia bensì su basi e secondo moda-lità, per così dire, corporative ovvero, sullabase di antiche tradizioni, venendoammessi in circoli legali ristretti attraver-so un reclutamento altamente selettivo eretto da regole non scritte ma non per que-sto meno codificate; quindi, andando perlunghi anni “a bottega” nelle chambers deibarristers e negli studi dei solicitors, ovveropresso professionisti del diritto altamentespecializzati e variamente operanti collate-ralmente agli storici Inns of Court, tra i qualivenivano cooptati in ultima istanza, e invirtù di un solido iter forense ma anche dibuone relazioni nell’ambiente della giuri-sdizione attiva, gli stessi componenti dellamagistratura. Del resto, lo stesso Dicey,nell’intraprendere la carriera forense,aveva mostrato di aspirare ad un futuroingresso nelle Corti: tuttavia la sua noto-rietà nell’ambito del mondo forense fudovuta, più che alla pratica dell’avvocatura,agli scritti che gli attribuirono una posizio-ne di rilievo tra i legal writers19.

La prima eccezione mai introdotta

rispetto a questo tradizionale monopoliodella pratica di studio nella formazione giu-ridica del common lawyer, era stata appuntola Vinerian Chair, istituzione didattica oxfor-diana nata poco dopo la metà del Settecen-to da un compromesso tra gli Inns of Court el’Università di Oxford (sua controparte nellarivale Cambridge, ma solo a partire daiprimi anni dell’Ottocento, sarebbe stata lameno nota Downing Professorship). La Vine-rian Chair era stata fondata nell’ultimo quar-to del Settecento dal giurista mecenateCharles Viner e un tempo avente una con-siderevole fama per via del fatto che il suoprimo docente, nel periodo 1758-66, erastato William Blackstone. Questi, con i suoiCommentaries, il cui primo volume apparvenel 1765 e ai quali lo stesso Dicey dedicòattente annotazioni che furono date allestampe postume (Dicey, 1930-32), s’eraimposto nello scenario della common lawcome il più grande sistematizzatore e il piùfortunato divulgatore della scienza giuridi-ca inglese. In tal modo la Vinerian Chairaveva inaugurato una importante tradizionedi insegnamento20, ma aveva visto in qual-che modo appannarsi il proprio prestigioper via del fatto che diverse generazioni didocenti post-blackstoniani, riservandoscarsissima attenzione al rapporto con glistudenti e con ogni probabilità mancandodi motivazioni sufficienti per considerarel’istruzione da essi impartita come una pro-posta realmente competitiva con la forma-zione giuridica che per tradizione avevaluogo in quelle officine del diritto che eranogli studi legali, avevano interpretato il pro-prio ruolo di Vinerian Professor of the Laws ofEngland alla stregua di una mera sinecura.

Approdato ad Oxford, Dicey non era cer-tamente un principiante nella didattica dellajurisprudence di diritto inglese, come testi-

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moniano – scritti giuridici a parte – i suoiperiodi di collaborazione con James Bryce apartire dal 1871 (anno di fondazione dellelaw schools di Manchester e di Liverpool,primi embrioni di quelle che in seguitosarebbero diventate anche in tali importan-ti città industriali delle Facoltà giuridiche apieno titolo); del resto del suo pensiero cri-tico circa le responsabilità e le trappole del-l’insegnamento universitario di un dirittoavente natura eminentemente pratica e pro-cedurale si sarebbe avuta una traccia oltre-modo eloquente nel saggio inaugurale delsuo primo corso oxfordiano avviato nel 1882,Can English Law Be Taught at the Universities?(Dicey, 1893) che nell’anno seguente eglipronunciò all’All Souls College.

Tale acuta sensibilità definibile comeorientata nel senso dell’autocoscienza del-l’importanza della funzione docente nel-l’ambito della formazione giuridica deifuturi operatori, di fatto è inserita in unfilone classico di riflessione sul ruolo deldocente di diritto e dei textbooks in unmondo dominato dai pratici (in quanto tale,si può considerare risalente direttamentea Blackstone)21, non fu certamente inin-fluente rispetto all’impostazione comples-siva e, si direbbe, allo stesso orientamentofinalistico della Introduction. Il testo venneelaborato dopo appena un triennio di atti-vità didattica: un periodo di insegnamentosvolto con un’intensità che contava scarsiprecedenti nella Vinerian Chair e che, daqualche parte, venne considerato troppobreve perché ne scaturisse una maturariflessione giuspubblicistica e troppo con-dizionato dalla vocazione politica del tito-lare della cattedra22.

È quanto meno singolare che dall’inse-gnamento in una cattedra tradizionalmen-te dedita alla preparazione universitaria dei

common lawyers scaturisse un’intensa foca-lizzazione di princìpi costituzionalistici.Coerentemente con tale premessa, la pre-cisa consapevolezza dei limiti e nel con-tempo delle potenzialità dell’insegnamen-to giuridico, finalizzato stavolta non allaformazione del common lawyer di strettaosservanza forense, ma del giurista proiet-tato verso la comprensione dell’ordina-mento giuspubblicistico e in tale ottica nonpiù vincolato dagli stilemi dell’antiquaria-to storiografico. In altri termini, si può direche il diritto costituzionale (law of the Con-stitution) sarebbe stato fondato nella Intro-duction, dando seguito ai primi esperimen-ti delle lezioni tenute sotto l’egida dellaVinerian Chair, non in via astratta ovverocome disciplina scientifica disancoratadallo scenario dei suoi concreti fruitori,bensì attraverso l’individuazione delleaspettative e delle esigenze metodologico-culturali del suo interprete, ossia del con-stitutional lawyer che attraverso tale offertaformativa si proponeva come una nuovafigura nel campo dello scibile giuridico dicommon law23.

Si tratta in questo caso di una mera ipo-tesi personale di lettura della Introductionche, tuttavia, non sembra eccessivamentelontana dalla realtà. In base ad essa il dirit-to costituzionale fondato da Dicey al di làdelle aporie, degli eccessi valutativi e del-l’assertività delle visuali espresse (il fargiustizia delle quali è stato compito di gene-razioni di critici alcuni dei quali giunge-ranno a proclamare l’insussistenza dellatesi della sovranità parlamentare24) sidetermina non tanto come un settorescientifico oggettivo del diritto anglo-bri-tannico scaturente dalla common law e dalconvenzionalismo, quanto piuttosto comeuna branca della jurisprudence che si quali-

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fica autonomamente in via soggettiva, ovve-ro nella misura in cui ne esista il cultore.

L’esperienza della Vinerian Chair, pro-ducendo la prima intuizione delle lecturesraccolte nella Introduction e ponendosi sullosfondo della gran parte delle edizioni del-l’opera (Dicey abbandonerà la cattedra nel1909, e pertanto entro il suo periodo diinsegnamento attivo furono ricomprese leedizioni I-VII del suo textbook), avrebbepertanto rivelato uno spirito pragmatico,sorretto dalla solida base della common lawe del tutto permeato dello spirito del dirit-to inglese. Al di là delle numerose stru-mentazioni comparatistiche, che Diceydimostrò di conoscere e padroneggiaremolto bene inaugurando anche sotto que-sto profilo una sensibilità nuova nella qualeè certamente riconoscibile l’influsso diJames Bryce, il principale destinatario dellaIntroduction sarebbe stato pertanto non ilcommon lawyer di stretta osservanza foren-se né il giudice delle Corti (ai quali eranostati indirizzati il Conflict of Laws e altreopere del medesimo filone), bensì il con-stitutional lawyer nella sua accezione dinuova figura intellettuale innestata sulceppo della common law classica ma dimatrice puramente accademica.

Se si guarda, inoltre, alle generazioni avenire, fruitori della Introduction sarebbe-ro stati tutti quegli studiosi del governmentche alla speculazione sulla struttura giuri-dica del discorso costituzionalistico hannosovrapposto l’analisi del concreto funzio-namento delle istituzioni. Questo sullascorta della percezione (che Dicey avreb-be sotto molti riguardi aborrito, ma nondel tutto escluso dalla propria sensibilità)secondo cui l’ordine costituzionale, oltreche questione di princìpi, è il prodottodella politics, e i princìpi costituzionali

sono sovente l’esito, piuttosto che di unainscindibile continuità fra common law econstitutional law, delle opzioni politiche;in definitiva, la Constitution stessa è laproiezione in chiave ideologica degli even-ti politici e delle metamorfosi istituziona-li da questi indotte.

Come si è accennato in precedenza, daparte di questi nuovi esponenti del pensie-ro costituzionale britannico, anche quandole perentorie tesi della Introduction sonooggetto di contestazione, il debito storico neisuoi confronti è onestamente ammesso eprivo di riserve, almeno sotto il profilometodologico25. Con ciò resta in fin dei contiinnegabile che, al di là della dubbia condi-visibilità delle sue tesi da parte della dottri-na delle generazioni a noi più prossime, conla Introduction Dicey abbia inaugurato unterzo polo della cultura giuridica anglo-bri-tannica, ponendo la sua riflessione a caval-lo tra – e peraltro confondendosi solo inparte con – il sofisticato formalismo distil-lato da secoli di common law e il deduzioni-smo della letteratura storiografica: il cheavrebbe aperto una visuale all’epoca ineditache, se non altro per riaffermare la validitàdel modello inglese, molto traeva vantaggiodalla comparazione con le altre esperienzecostituzionali e che per la sua portata orien-tativa sarebbe stato posto a paragone con ilgrande contributo blackstoniano.

Principale artefice di tale parallelismoche inserisce il contributo di Dicey nellagrande tradizione didattica risalente alcommon lawyer di metà Settecento (e checostituirà un tratto dominante dell’apolo-gia del Rait collaboratore degli ultimi annidiceyani) fu lo storico Holdsworth, il qualea sua volta – anch’egli operante nel conte-sto oxfordiano – sarebbe stato consideratoun ideale continuatore, ma sotto il profilo

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di una ricostruzione non più allineata conil proiezionismo dei suoi colleghi dell’etàvittoriana, del pensiero dello stesso Dicey.

7. A questo punto, volgendo uno sguardo piùattento alle vicende editoriali della Intro-duction si possono ricavare informazioniche ci si augura contribuiscano a dare risal-to alla natura evolutiva dello scritto di Dicey,il senso autentico del cui itinerario va rav-visato, prima ancora che nelle mere circo-stanze tecniche che si collegano alla crona-ca delle edizioni dell’opera curate perso-nalmente dall’autore (come s’è già accen-nato, si tratta delle prime otto edizioni, datealle stampe tra il 1885 e il 195), nello svol-gersi dei meccanismi evolutivi interni diuno scritto che a pieno titolo può essereincluso fra i maggiori textbooks del costitu-zionalismo britannico contemporaneo.

Si può in primo luogo considerare, ove cisi attenga a un profilo squisitamente edito-riale, che l’avvicendarsi di numerose ver-sioni di un’opera in un arco di tempo rela-tivamente ristretto non è un fenomeno raronella pubblicistica britannica. Si pensi, adesempio, ove si intenda richiamare all’at-tenzione del lettore quale sia stato il ruolo diun manuale giuridico tra i più illustri, allagrande diffusione della Parliamentary Prac-tice di Erskine May, fondamentale trattatodi diritto e pratica parlamentare originaria-mente edito nel 1832 e giunto oggi, con gliopportuni aggiornamenti, a oltre venti rie-dizioni, ciascuna delle quali ha invariabil-mente occupato il posto d’onore sul tavolo diintere generazioni di parliamentarians (allostesso modo in cui d’altronde la Introduc-tion, e attraverso essa il pensiero di Dicey, èonnipresente nelle biblioteche personali

dei constitutional lawyers dall’età vittorianafino all’odierna epoca del neocostituziona-lismo blairiano, e nelle argomentazioni dimolti giuspubblicisti26).

Se, discorrendo in via generale, si con-sidera l’oggettività di questo dato sotto unprofilo meramente quantitativo, è eviden-te che esso è di per sé fortemente indicati-vo del successo di opere la cui intrinsecautilità manualistica, o più complessiva-mente l’utilità come reference books che illu-minano il percorso dottrinale o che condi-zionano le applicazioni concrete dei con-tributi dottrinali successivamente elabora-ti da sempre nuovi stuoli di interpreti, siesprime attraverso la capillarità della loropresenza nello scenario intellettuale delRegno Unito. Sicché si può dire che, allastessa stregua di molti importanti esempidella letteratura settecentesca d’invenzio-ne, lo scritto giuridico più volte edito rive-li, tra i molti che si propongono all’atten-zione dello studioso nel quadro di una pro-duzione – quale è la britannica – estrema-mente ricca di titoli, la sua autentica natu-ra di opera “di formazione” fino a vedersiriconoscere, implicitamente o ancor piùspesso in modo dichiarato, una essenzialecondizione di autoreferenzialità.

Del resto, ben di rado in Gran Bretagnanelle successive riedizioni di un’opera didiritto costituzionale o tout court giuridica èlecito ravvisare un’operazione di meroantiquariato (per la quale sarebbe suffi-ciente riproporre il testo nella sua inalte-rata versione d’origine: non per questod’altronde esso cesserebbe di parlare allegenerazioni odierne, come avviene per laEnglish Constitution di Bagehot). Infatti,come si è avuto modo in altra sede di con-siderare trattando delle tendenze dellamanualistica costituzionale d’impronta

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post-diceyana (Torre, 1997), senza unacostante azione di aggiornamento ben piùd’un testo attualmente in uso andrebbeincontro ad un solitario destino di desue-tudine, restando il frutto di un’epoca o pocopiù. Ciò si verifica prevalentemente nel set-tore della manualistica, ovvero in una bran-ca della letteratura giuridica che per defi-nizione deve andare direttamente incontroalle esigenze di pronto impiego e di con-sultazione da parte di un pubblico diventa-to tanto più attento ed esigente quanto piùacuta si sia resa la percezione del fatto chei tradizionali contorni un tempo elusivi del-l’ordinamento costituzionale britannico sisono resi progressivamente più marcatiattraverso le stagioni riformatrici dell’etàvittoriana avvicendatesi con sequenze sem-pre più ravvicinate e con intensità crescen-te dall’età di Palmerston e di Disraeli inpoi27. Il che si è verificato da poco più d’unsecolo a questa parte, ovvero pressappocodal periodo in cui è stata data alle stampe laprima edizione della Introduction: giacchéè innegabile che il contributo di Dicey hasegnato un esplicito punto di demarcazio-ne tra il “prima” e il “dopo” nella culturagiuspubblicistica del Regno Unito.

Tornando al caso specifico della Intro-duction, anche tale opera non si è fortuna-tamente sottratta alla salutare prassi invirtù della quale uno scritto che sia dotatodi intrinseca autorevolezza fin dalla suaprima stesura (e pertanto dotato di alcuniprerequisiti di pregio il cui riconoscimen-to rende scientificamente proficua per ilcuratore, nonché commercialmente con-veniente per la casa editrice, la produzionedi edizioni successive) ha l’occasione diradicarsi nella cultura collettiva tantoprofondamente fino ad assumere le evi-denti sembianze di un textbook.

Si può anzi sostenere che la Introduction,con almeno due importanti precedenti chesi ravvisano nel trattato di Erskine May e,con caratteri del tutto sui generis, nellaEnglish Constitution di Bagehot, abbia scien-temente inaugurato lo stile dell’aggiorna-mento costante, rendendo lo scritto giuri-dico un fedele compagno di avventure delleistituzioni in progress e dei loro cultori inricerca di una metodologia di analisi giuri-dicamente articolata che si affranchi dailasciti dell’antiquariato storiografico cheper l’intero secolo aveva dominato incon-trastato la cultura costituzionalistica bri-tannica28. Ad analoga sorte, restando nelquadro della produzione diceyana ed inparticolare della produzione manualisticanel campo giuridico-applicativo, è andatoincontro il Conflict of Laws.

Una sottile ma ben riconoscibile lineadi continuità lega, peraltro, il nuovoapproccio fondato da Dicey nella Introduc-tion agli intenti precedentemente dichia-rati da un altro illustre vittoriano, ThomasBabington Macaulay, il quale in alcuni saggiediti alcuni decenni addietro sulla «Edin-burgh Review», ma soprattutto nella suafondamentale History of England from theAccession of James the Second (1848),mostrava di voler attribuire sensi precisi, epertanto contenuti moderni, al linguaggiocostituzionale fino allora ambiguo e inde-finibile, in quanto invariabilmente postosotto l’influenza della tradizione, di granparte dell’erudita narratologia degli histori-cal jurists del suo tempo. Così, infatti,avrebbe inteso comportarsi anche Dicey neiconfronti degli storiografi dell’epoca vitto-riana alcuni dei quali suoi diretti contem-poranei: tra questi William Cobbett (Par-liamentary History of England) Alpheus Todd(Parliamentary Government of England) Wil-

Torre

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liam Stubbs (Constitutional History ofEngland) e anche successivamente, con uncontributo che si può ritenere di fine-ciclo,Frederick Wilhelm Maitland (Constitutio-nal History of England)29.

È innanzitutto tenendo conto di taleprospettiva che vanno poste in risalto(come del resto si ravviserà anche in Lawand Public Opinion: opera che anch’essa,secondo uno schema tipico dell’epoca,appare originariamente impostata comeuna collezione delle lectures proposte neicorsi oxfordiani e quindi riunite in un com-plesso organico) l’origine didattica e ladestinazione applicativa della Introduction,caratteristiche che, entrambe, traspaionochiaramente dall’intitolazione estesa dataall’opera in un primo momento – ovvero,appunto, nell’edizione 1885 e fino all’edi-zione V (1897), Lectures Introductory to theStudy of the Law of the Constitution – nonchéda alcune esplicite dichiarazioni program-matiche che lo stesso Dicey inseriva nellaprefazione; particolarmente, laddove delproprio contributo egli intendeva circo-scrivere i contorni sottolineando che essa

does not pretend to be even a summary, much

less a complete account of constitutional law. It

deals only with two or three guiding principles

which pervade the modern constitution of

England

sintetizzandone altresì le finalità stret-tamente applicative nel senso di

to provide students with a manual which may

impress these leading principles on their minds,

and thus may enable them to study with benefit

in Blackstone’s “Commentaries” and other trea-

ties of the like nature those legal topics which

taken together make up the constitutional law of

England30.

Prime annotazioni, queste, del nuovoscritto che Dicey si accingeva a diffonderepresso il grande pubblico (e non soltantopresso gli allievi oxfordiani, diretti a finoallora esclusivi beneficiari del suo pensieroattraverso i corsi della Vinerian chair), dallequali emergeva con sufficiente chiarezza unanatura programmaticamente serventeorientata in due direzioni principali: ser-vente, in primo luogo, nei confronti dei pro-pri fruitori fossero essi studenti alle primearmi o protagonisti del dibattito giuspubbli-cistico dell’epoca; e servente, in secondoluogo, nei riguardi di quella stessa culturagiuridica d’impronta blackstoniana che aOxford aveva mosso i primi passi cento-vent’anni addietro, la quale forniva gliessenziali strumenti di lettura agli operato-ri del diritto dell’intero mondo della com-mon law anglo-americana e proprio per talimotivi (ossia l’indiscussa autorità dottrina-le e la vasta diffusione geoculturale) neces-sitava, ormai giunti alla svolta dell’età vitto-riana avanzata, di nuove chiavi di lettura e dipercorsi interpretativi che fossero non piùcondizionati dalle pregiudiziali dominantidella storiografia giuridica.

8. Come si vedrà trattando della strutturadell’opera, i percorsi diceyani si sarebberofocalizzati intorno alla ricognizione – e con-seguentemente all’illustrazione – di dueessenziali princìpi del costituzionalismostorico di derivazione inglese, ovvero lasovereignty of Parliament e la rule of law, chedaranno forma all’intero percorso dellaconstitutional law di Dicey.

Se, pertanto, si guarda all’elementocontenutistico, per esplicita volontà diDicey l’elaborazione della Introduction sotto

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forma di esteso riordinamento in vestemanualistica delle argomentazioni distilla-te attraverso la didattica oxfordiana nonintendeva qualificarsi – almeno a primavista – come una rottura rispetto alla tradi-zione interpretativa dell’epoca alla qualeconcorrevano numerose voci31, bensì comeun contributo al suo superamento e, se sivuole, alla sua sistematizzazione: operazio-ne, questa, da realizzarsi attraverso una riu-nione delle disiecta membra di un discorsocostituzionale fino ad allora sviluppatosi invia prevalentemente sedimentaria.

Ben definiti e fondamentalmente osse-quienti sarebbero stati del resto i ricono-scimenti, tributati fin nella prefazioneall’edizione 1885 (nonché nelle successi-ve), ad alcuni di quei fondamentali contri-buti della riflessione politica, della scienzagiuridica e della storiografia giuridicainglese che Dicey – apparentemente privodi motivi reali per discostarsene o per con-testarne l’autorità nell’ambito del grandecontesto intellettuale in cui la Introductionveniva a inserirsi – mostrava di considera-re egemonici e meritevoli a tutti gli effettidi un posto d’onore nella biblioteca del con-stitutional lawyer32: in primo luogo il con-tributo della «incomparable “English Con-stitution”» di Walter Bagehot; quindi ilWilliam Blackstone degli aurei Commenta-ries; ed infine alcuni tra i maggiori histori-cal jurists come l’Hallam cultore nel suoMiddle Ages della “bellezza della costituzio-ne” inglese, il W.E. Hearn del Government ofEngland, Its Structure and Its Development(1867) uno scritto che avrebbe influenzatoprofondamente la nozione diceyana di ruleof law (Arndt, 1957; Raz, 1981; Hutchinsone Monahan, 1987; Endicott, 1999; Costa,2002) e la cui nuova edizione sarebbesopraggiunta nel 1887, il Gardiner della

History of England, e il Freeman della Growthof the English Constitution (1872).

A questi, e in particolare a Bagehot, il cuiscritto «analyses the practical working ofour complicated system of modern Parlia-mentary government», e a Freeman, la cuiopera configurava «a model […] of themood in which dry and even abstruse topicsmay be made the subject of effective andpopular exposition», Dicey intendeva attri-buire una particolare preminenza. Il primo,come è noto, era un brillante outsider diestrazione non accademica ma tutt’altro cheun dilettante nel campo della riflessione suimeccanismi costituzionali del propriotempo, non agevolmente classificabileentro precise categorie dottrinali ma nonper questo, o forse proprio per tale motivo,meno illuminante di altri nel trattare lamateria costituzionale con acuta spregiudi-catezza; il secondo, uno storiografo parti-colarmente apprezzato da Dicey (il qualetornerà in più punti sui «clear statements»della Growth of the English Constitution perporre in rilievo quanto tale opera abbiainaugurato un nuovo stile di trattare lamateria costituzionale) per la concisione ela chiarezza del discorso su una tematicasingolarmente ricca di insidie sistematiche.

Del resto, pur nella fondamentale diffe-renza delle rispettive posizioni culturali eandando oltre le mere technicalities delletrattazioni che li avevano resi celebri, cos’e-rano stati Blackstone, Bagehot e Freemanse non degli efficacissimi divulgatori, tito-lo al quale evidentemente lo stesso Dicey,secondo un’ottica tipicamente inglese e pernulla da considerarsi diminuitiva delladignità del proprio lavoro, mostrava diaspirare dando alle stampe la Introduction?

In particolare, mutuando da Freeman ladistinzione tra quelle due vaste dimensio-

Torre

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ni della costituzionalità anglo-britannica,ovvero tra la dimensione della «writtenlaw» (fonte di produzione di un nuovodiritto costituzionale che, all’epoca in cuila Introduction era concepita, stava svilup-pando un protagonismo senza precedentinel contesto della produzione di princìpiinerenti agli assetti istituzionali) e quelladella «our conventional constitution» (lacui ricognizione era un dato imprescindi-bile per conseguire un’adeguata consape-volezza della selva di understandings cheinformavano di sé l’intima essenza di unedificio costituzionale in rapporto dicostante adeguazione alle esigenze del pre-sente: si veda in particolare la Lecture VIIIdell’edizione 1885 della Introduction, dellaquale meglio si dirà tra breve), Dicey avreb-be, da un lato, confermato il proprio tribu-to alla storiografia d’impianto classico, e,dall’altro lato, gettato le basi dell’autono-mia del proprio metodo giuridico.

La sua tecnica argomentativa è per moltiversi tipica: molto di rado infatti, a menoche non si trattasse di ingegni apertamen-te fuori da ogni schema precostituito comedi certo era stato il Jeremy Bentham autoredel Constitutional Code e di altre opere dichiara ispirazione positivistica o come all’i-nizio del Novecento si sarebbero rivelati iconiugi Webb con talune loro avveniristicheprospettive di rifondazione politico-costi-tuzionale, gli autori dell’epoca vittoriana espesso anche di periodi culturali di chiaraimpronta post-diceyana si sono esplicita-mente eretti a demolitori dell’ordinevigente: si pensi, per esempio, all’Ivor Jen-nings di The Law and the Constitution e delCabinet Government, all’Harold Laski delcommentario Parliamentary Government inEngland e delle Reflections on the Constitu-tion, e in seguito perfino al John P. Mackin-

tosh di The British Cabinet e al Nevil John-son dell’agile raccolta di saggi In Search ofthe Constitution33. In molti di essi è benriconoscibile l’omaggio, che si declina intoni più o meno espliciti, al contributodiceyano il cui valore va ascritto nell’averindividuato, e in qualche misura codifica-to per il secolo a venire, ipostatizzandolenella sovereignty of Parliament e nelle con-ventions of the Constitution, le categorie dellaclassicità costituzionale: un lascito che,dando vita una reazione a catena, comeapertamente avrebbe dichiarato GeoffreyMarshall34, ha dato spunto a nuovi autoriper ulteriori e fortunati approfondimentiproblematici, e ciò anche nei casi in cuialcuni costituzionalisti delle ultime gene-razioni hanno esplicitato intenzioni tiran-nicide poiché, in ultima analisi, il tiranni-cidio resta pur sempre un estremo omaggioche si tributa all’autorità.

Ma, probabilmente, il più autenticoriconoscimento della straordinariainfluenza della Introduction sarebbe statotributato, più che tenendo conto dell’og-gettivo valore orientativo della fissazionedelle colonne d’Ercole della costituziona-lità britannica, prestando riguardo a quelfondamentale suggerimento metodologicoche può essere sinteticamente riepilogatoin tal modo: per conferire un autentico fon-damento al nuovo, che è sempre concreta-mente imminente nell’esperienza costitu-zionale di matrice inglese, l’ordine tradi-zionale, più che contestato alla radice o sot-toposto a perentorie revisioni, va interpre-tato con le tecniche altamente sofisticateche sono lungamente maturate attraversola secolare prassi di common law.

In tal modo, sul solido e indefettibileretroterra della tradizione può essere effi-cacemente innestato quanto di realmente

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originale si ritiene debba aggiungersi alloscibile costituzionalistico consolidato, sic-ché, senza tradire la sostanza della conti-nuità e dell’adesione alla tradizione, e per-tanto senza ledere la sacralità dell’espe-rienza costituzionale, nuovi princìpi trova-no le condizioni più favorevoli per trasfor-mare il presente senza per questo suscita-re troppi sospetti fra gli strati più conser-vatori attestati a difesa di una scienza costi-tuzionale che, all’epoca in cui erano conce-pite le lezioni oxfordiane che avrebberodato vita alla Introduction, risultava basataquasi esclusivamente sulla metodologiadella ricostruzione del percorso storico del-l’istituzione parlamentare35. D’altra parte,è secondo il medesimo stile che avevanooperato l’aristocratico neo-whig EdmundBurke rivolgendo il suo memorabile addressagli elettori di Bristol, il positivista Austindettando la sua Province of Jurisprudence,l’eccentrico Walter Bagehot codificando ladistinzione tra dignified ed efficient consti-tution E così anche lo stesso Dicey avrebbefatto, ponendosi nella scia di siffatti auto-revoli predecessori, con la scrittura dellaIntroduction,e in seguito anche con Law andPublic Opinion.

Nell’argomentazione diceyana il ruoloculturale degli historical jurists veniva postofondamentalmente fuori di discussione.Resterebbe, a questo punto, da chiarire ilsenso della presunta rivalità con Maitland:d’altra parte, a parziale spiegazione di talestato di cose, si può addurre la circostanzache questo grande legal historian, forse l’ul-timo di una schiatta che grandi cose avevadetto nel campo del pensiero costituziona-le della prima metà del secolo ma che nonmolto aveva più da dire nell’età tardo- epost-vittoriana, era un contemporaneo diDicey, il quale comunque riserverà parole

di grande stima per lo storiogafo pluralista.Tuttavia, densa di conseguenze è l’avverten-za, puntualizzata nella prefazione del 1885,

whether the habit of looking too exclusively at the

steps by which the constitution has been develo-

ped does not prevent students from paying suf-

ficient attention to the law of the constitution as

it now actually exists.

Anche se Dicey non era l’unico a nutri-re, alla svolta di fine Ottocento, la consape-volezza della necessità di affrancare lo stu-dio del sistema costituzionale dalle vischio-se pregiudiziali della ricostruzione storica(in proposito s’è fatto precedentementecenno alle posizioni di Macaulay), si puòcertamente individuare in tale precisazio-ne, o se si vuole in tale interrogativo reto-rico che in realtà già conteneva in sé larisposta, l’origine di quel promettente filo-ne critico d’impianto sostanzialmente anti-proiezionistico che avrebbe avuto lungocorso nella dottrina giuspubblicistica bri-tannica del secolo successivo all’ingressodella Introduction nel panorama culturaledel liberalismo avanzato (Lawson, 1959)36.Laddove per “proiezionismo” si intendaquell’approccio interpretativo – che era unmomento metodologico essenziale del pen-siero dei legal historians di osservanza clas-sica e che molti riflessi avrebbe prodottoanche sulla letteratura italiana più deditaallo studio della costituzione britannica,foss’essa in traduzione di studi stranieri ointegrale espressione della nostra culturacostituzionalistica (Menche de Loisne eMiconio, 1869; Arcoleo, 1881; Cardon,1889) – secondo cui l’illustrazione del pre-sente trovava le sue pressoché esaustiveragioni nello svolgersi delle vicende delpassato, talché «in Inghilterra essere unsano antiquario politico ed un difensore

Torre

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della costituzione ereditata dalla storiasignificava anche essere un buono scien-ziato politico» (Burrow, 1992, p. 17).

Lungo questo percorso uno dei più illu-stri compagni di strada di Dicey (non soloin quanto suo immediato predecessoreoxfordiano, seppure su altro versante del-l’insegnamento di materie giuridiche, maanche per una spontanea solidarietà cultu-rale e per amicizia personale37) era certa-mente il James Bryce degli Studies in Historyand Jurisprudence (1901) e tra questi in par-ticolare del celebre Flexible and Rigid Con-stitutions e del meno noto, ma parimentidotato di efficaci spunti analitici, The Actionof Centripetal and Centrifugal Forces on Poli-tical Constitutions38.

A tal proposito non si può fare a meno disottolineare che, posto su un piano di mar-ginalità il consolidato supporto del proie-zionismo storico e tolta l’iniziativa ai legalhistorians39, un altro importante motivo dianalogia tra il metodo diceyano della Intro-duction e le argomentazioni di Bryce sisarebbe potuto ravvisare nel valore dellacomparazione giuridica. Se, infatti, alle tesibryciane si ascrive quella ben nota distin-zione tra costituzioni rigide e costituzioniflessibili che tanta parte ha avuto nelle trat-tazioni dei giuscomparatisti di ogni succes-siva generazione e di ogni latitudine cultu-rale, in numerosi passaggi della Introduc-tion si evidenzia quanto valore Dicey attri-buisse all’osservazione delle esperienzecostituzionali straniere, e perfino a quellecaratterizzate da un maggior senso di astra-zione e pertanto agli antipodi del pragma-tismo inglese.

Tale opzione era considerata impre-scindibile da Dicey, foss’anche per mette-re a nudo delle suddette esperienze costi-tuzionali più i difetti e le aporie che quegli

elementi di positività che potessero risul-tare di qualche interesse per un osservato-re britannico, e pertanto per definire ledistanze tra l’esperienza costituzionale evo-lutiva di matrice inglese, la sua diretta con-troparte statunitense e quelle forme dicostituzionalismo europeo-continentale(principalmente la modellistica franco-belga e quivi con particolare riferimentoalla Terza Repubblica, ma anche gli svilup-pi del federalismo elvetico e l’evoluzionedel sistema imperiale germanico) che nellapercezione del giurista di Oxford potevanoessere considerati ordinamenti “puri”.

Nel confronto con gli ordinamenti costi-tuzionali di altre nazioni operato attraversogran parte della Introduction è dato saggia-re la consistenza di quella condizione diautoreferenzialità dell’ordinamento anglo-britannico che era il più munito baluardodella storiografia tradizionale di culturaingles; e in ciò Dicey si rivela un tipico espo-nente del vittorianesimo a cavallo tra le con-cezioni dell’età palmerstoniana e le nuovevisuali del liberalismo di Gladstone, ovveroa cavallo fra self-confidence e riformismo, enel contempo un buon comparatista dispo-sto a concedere l’onore delle armi perfinoall’altalenante storia costituzionale dellaFrancia. Ma il confronto serve anche perribadire la sostanziale irriproducibilità dimolte delle categorie costituzionali che inInghilterra erano maturate nel quadro del-l’ordinamento di common law e della rule oflaw da quest’ultimo ingenerata. Questo sievince chiaramente in uno dei più caratte-rizzanti capitoli della Introduction, quellodedicato all’evoluzione del droit administra-tif francese, assente invero nell’edizione1885 in quanto non oggetto di insegnamen-to nell’ambito dei programmi della VinerianChair ma in seguito, lo si dirà meglio tra

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breve, destinato ad assumere un ruolo diprimo piano nel discorso diceyano e adesercitare altresì una straordinaria influen-za su diversi osservatori stranieri soprattut-to per quanto riguarda la questione dell’in-commensurabilità fra le due tradizioni ditutela del cittadino nei riguardi dell’ammi-nistrazione pubblica e più in generale del-l’autorità statuale40.

9. In coerenza con la sua derivazione didat-tica, la prima edizione della Introduction –edita «at the University Press, Oxford, byHorace Hart, Printer to the University» –venne strutturata secondo una sequenza diotto Lectures così denominate: I. The TrueNature of Constitutional Law; II. The Soverei-gnty of Parliament; III. Comparison betweenParliament and Non-Sovereign Law-MakingBodies; IV. Parliamentary Sovereignty andFederalism; V. The Rule of Law: Its Nature; VI.e VII. The Rule of Law: Its Applications; VIII.The Connection between the Law of the Consti-tution and the Conventions of the Constitution.

L’organizzazione complessiva dell’ori-ginario impianto contenutistico diceyano,dal quale traspaiono con sufficiente chia-rezza intenti sistematico-definitori, puòessere qui riformulata secondo una suddi-visione che colloca in prima istanza l’esi-genza di precisare le coordinate generalidella materia trattata (Lecture I) e, in con-clusione di discorso, la necessità metodo-logica di individuare, dando loro una siste-mazione giuridica aggiornata, i collega-menti tra due dimensioni, la positiva e laconvenzionale, del diritto costituzionale diderivazione inglese (Lecture VIII).

Se da un lato la connessione fra positi-vità e convenzionalità del diritto costitu-

zionale realizza un’ideale quadratura delcerchio teorico di Dicey, il corpus della suatrattazione si articola a sua volta intorno aquelle che – come si è precedentementepuntualizzato – si debbono considerare leprincipali componenti dell’evolutiva costi-tuzionalità britannica, ovvero quei«descriptive principles of law»41 che daallora in poi avrebbero configurato queglielementi indefettibili della riflessione delgiurista vittoriano ai quali resterà affidata lacelebrità della Introduction: tali la sovranitàparlamentare, alle cui diverse declinazioniè dedicato l’intero impianto analitico delleLectures II, III e IV, e la rule of law (terminefortemente evocativo e pressoché intradu-cibile, che si può poveramente rendere nel-l’espressione “dominio, governo dellalegge”) che è analizzata nelle Lectures V e VI.

A proposito di queste ultime va segnala-to il singolare impianto loro attribuito dal-l’autore, giacché la ripetizione del medesi-mo titolo in due sezioni consecutive dellaIntroduction è espressiva del rilievo fonda-mentalmente riconosciuto da Dicey allarelazione di continuità sussistente fra glielementi fondamentali del regime garanti-stico posto sotto l’egida della common law ela natura giuridico-costituzionale dell’inte-ro discorso sviluppato nell’opera, rispettoalle quali la stessa parliamentary sovereignty,che si afferma sotto la specie di una singo-lare e tutta inglese nozione di Organsouverä-nität42, assume una connotazione di cate-goria essenziale in un quadro dottrinalecaratterizzato, da un lato, dall’assenza di unaqualsiasi teoria dello Stato come supremacostruzione istituzionale o come massimapersona giuridica, e, dall’altro lato, dalladifficoltà – come ha affermato Owen HoodPhillips analizzando i referenti culturalidella Introduction – di separare la specula-

Torre

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zione sui princìpi costituzionali dalla cono-scenza della loro evoluzione storica43.

In tale passaggio si può riconoscere unmomento di particolare approfondimentodell’esposizione diceyana. La V e la VI sonoinfatti le Lectures alle quali viene conferita, ecome tale posta in evidenza già nell’indicegenerale dell’opera, una esplicita curvaturasistematica, tant’è vero che la Lecture VI èsuddivisa in una parte I. The Right to PersonalFreedom, II. The Right to Freedom of Discussion,e III. The Right of Public Meeting; e la LectureVII consta a sua volta di quattro parti: IV.Martial Law; V. The Army; VI. The Revenue; eVI. The Responsibility of Ministers: se la primaha una configurazione più omogenea inquanto attinente ad alcuni importanti e spe-culari ambiti di esercizio delle libertà del-l’individuo che trovano ampia garanzia nel-l’ordinamento di common law (e non sem-pre con pari rigore e continuità di indirizzoin Europa continentale e particolarmente inFrancia: secondo tale prospettiva è evidenteche sotto molti profili la comparazionediceyana era esercitata per contrasto), laseconda ha contenuti miscellanei che com-plessivamente indagano sulla natura dellerelazioni tra le classiche autonomie indivi-duali e le nuove acquisizioni del bagaglio fun-zionale del potere costituito, come si rilevapeculiarmente nella parte VI ove trova spa-zio un discorso più attento alle trasformazio-ni intervenute nel parliamentary governmenttra la fine del XVIII secolo e l’età vittoriana.

Se nell’immediata riedizione dell’Intro-duction, data alle stampe nel 1886, non siriscontrano visibili modifiche del testo ori-ginario e dell’organizzazione complessivadel discorso, già nelle edizioni III e IV(1889 e 1893) si può porre in pieno rilievo,in quanto attinente a questioni non margi-nali, un complesso di modifiche testuali che

si articola lungo una doppia direttrice, giac-ché alla riscrittura “dall’interno” di alcuneparti dell’opera si affianca l’apposizione diautonome sezioni di approfondimento col-locate in un’Appendice appositamente con-cepita. Soprattutto per quanto riguarda gliinterventi del primo tipo, non si tratterà diuna mera operazione di adattamento deltesto bensì della riformulazione di alcuneriflessioni anche alla luce di alcune obie-zioni sollevate da interlocutori ai qualiDicey mostra di riconoscere una certa par-ticolare autorevolezza; mentre la valutazio-ne dell’importanza delle revisioni testualiinterne nelle prime edizioni può esseretranquillamente lasciata a chi intenda dedi-care il proprio tempo ad una più accurataanalisi filologica delle argomentazionidiceyane nelle edizioni che vanno dal 1885al 1908, una considerazione a parte merital’apparato espansivo dell’Appendice.

È nondimeno opportuno porre in rilie-vo che con l’edizione VII (1908) l’opzionetecnica della revisione interna del testo –consistente, come lo stesso autore precisanella prefazione all’edizione 1897, «mainlyin the rearrangement of the subject-mat-ter» – risultava definitivamente abbando-nata, sicché si può considerare risalente atale riscrittura la formulazione definitivadel corpus della Introduction.

Per quanto concerne invece le note col-lezionate nell’Appendice, la pratica inau-gurata già con l’edizione III (1889) troveràsviluppo in una progressione di integrazio-ni sempre più esplicitamente ricca – inprimo luogo – di approfondimenti dedica-ti a singole libertà fondamentali, la cuimatrice va ricercata nelle garanzie di com-mon law, recanti in sé valenze costituziona-li da Dicey considerate di particolare rilie-vo nella prospettiva della costruzione in via

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autonoma della dottrina giuspubblicistica,nonché – in secondo luogo – di riflessionisu argomenti di diritto costituzionale che siavvalgono del metodo della comparazione.Mentre – salvo qualche rara eccezione – lenote a pié di pagina apposte da Dicey nelcorpo del testo recheranno quasi esclusiva-mente rinvii di carattere bibliografico (solocon l’edizione del 1915 alcune note a mar-gine acquisteranno maggior complessità,più che altro recando risposte ad obiezionidottrinali rivolte ad argomenti dell’Intro-duction da parte di giuristi non esattamen-te allineati su posizioni diceyane), nell’as-setto complessivo delle stesure della Intro-duction successive all’edizione III (1889)l’apparato delle note trasferite in Appendi-ce si prefiggerà lo scopo di segnalare al let-tore la necessità di soffermare l’attenzionesu taluni argomenti specifici senza per que-sto gravare sull’economia complessiva di untesto principale già di per sé soggetto anumerose variazioni interne.

Tale apparato avrebbe raggiunto unassetto alquanto articolato, e sufficiente-mente indicativo dell’orientamento inter-pretativo seguito da Dicey nel curare l’ag-giornamento della propria opera, già nel-l’Appendice dell’edizione V (1897): qui lenote cui è affidata la specificazione deinessi tra diritto costituzionale e garanziedi common law sono la IV. The Right of Self-Defence, la V. Questions Connected with theRight of Public Meeting, e la VI. Duty of Sol-diers called upon to Disperse an UnlawfulMeeting. A quest’ultima nota, inserita nel-l’edizione 1897, Dicey affidava il compitodi meglio puntualizzare alcune significati-ve connessioni tra le garanzie storiche inmateria di responsabilità personale deimilitari in servizio di ordine pubblico edesercizio della libertà di riunione, e di

esplicitare per la prima volta una formaledichiarazione di debito nei confronti di unaltro autore, segnatamente l’A.L.Lowell delGovernment and Parties in Continental Euro-pe: nelle edizioni successive alla scompar-sa di Dicey, per precisa scelta del curatoreE.C.S. Wade, tale riconoscimento subiràuna considerevole metamorfosi allorché laredazione di intere note, sostitutive dialcune tra quelle in origine scritte di pugnodall’autore della Introduction, verrà affida-ta ad altri giuristi tra cui anche qualchecontributor straniero).

Parimenti articolata era in tale edizionela trattazione di argomenti d’indole com-parativa, come si evince dalle note: I. Rigi-dity of French Constitutions, ricca di osserva-zioni sulla fattuale immodificabilità dellecostituzioni dell’età rivoluzionaria e dellaRestaurazione; II. Divisions of Powers inFederal States, con articolate annotazionisulla diffusione di modelli federativi neidominions britannici; III. Distinctionbetween a Parliamentary Executive and aNon-Parliamentary Executive, ove trovavasviluppo l’analisi comparativa dei caratteridella forma di governo parlamentare e diquella presidenziale; VIII. Swiss Federalism(aggiunta nell’edizione 1897) dalla quale sitrae una accurata disamina della svoltafederalista dello Stato elvetico in direttarelazione con quanto è altrove argomenta-to nel corpo dell’opera e nella menzionatanota II; e IX. Droit Administratif.

Quest’ultima nota merita una menzioneparticolare in quanto essa introduce un per-corso argomentativo in cui appare per laprima volta un formante della dottrinadiceyana che sarà destinato ad avere lungocorso (Arthur, 1979; Errera, 1985; Flogai-tis, 1986; Cassese, 1990; Schwarz, 1995):tale la tesi della sostanziale e connaturata

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incompatibilità fra lo spirito della rule of lawe lo sviluppo di un sistema di diritto ammi-nistrativo di modello francese. La questio-ne, che ancora nel 1897 costituiva l’embrio-ne di uno dei più tipici argomenti diceyaniin seguito – non senza essere oggetto di unmemorabile articolo edito nel 1901 sulla«Law Quarterly Review» (Dicey, 1901) –fornirà materia, nelle ultime edizioni dellaIntroduction personalmente curate da Dicey,e segnatamente nella VII (1908) e nella VIII(1915), ad uno dei più celebri e discussicapitoli dell’opera. Promossa pertanto a talerango da quello originario di nota in appen-dice al testo, subirà in seguito un’ulteriorecurvatura comparativa, come appunto sievince dall’esplicita intitolazione attribuitaal capitolo XII – Rule of Law compared withDroit Administratif – nella versione finale del1915: si evidenzia in questo nuovo titolo l’at-tenuazione dell’esplicito tono polemico ori-ginariamente conferito al medesimo capi-tolo XII nell’edizione V (1897), ove l’acco-stamento delle concezioni garantisticheinglesi alla tradizione amministrativisticadella Francia veniva apertamente espressoin termini di contrapposizione (Rule of Lawcontrasted with Droit Administratif).

Anche dopo aver dedicato alla questionedel diritto amministrativo un apposito capi-tolo facente parte a tutti gli effetti del corpodell’opera, la problematica formerà l’ogget-to di ulteriori approfondimenti collaterali:così nell’edizione VIII (1915) con le note XI.Constitution of the “Tribunal des Conflits” eXII. Proceedings against the Crown. D’altraparte, a conferma dell’inarrestabile evolu-zione del sistema garantistico britannico,un’eloquente testimonianza della meta-morfosi realizzatasi nei decenni successivialla scomparsa di Dicey si potrà ravvisarenel fatto che delle tre note che costituranno

l’Appendice della Introduction nell’edizioneX (1959) curata da E.C.S. Wade, ben duesaranno dedicate all’argomento: la I. DroitAdministratif in France, scritta dal P.M. Gau-demet giurista nell’Università di Nancy, e laII. The Development of Administrative Law inEngland, fedele riproduzione del testo di unaltro articolo apparso poco prima sulla «LawQuarterly Review» (Dicey, 1915-B).

Un argomento di pari impegno sul pianosia comparativo sia di dottrina generale, eche Dicey riterrà non meritevole di ulte-riori sviluppi problematici, era affrontatoinfine, sempre a partire dall’edizione V(1897), nella brevissima nota VII ove sitratta la questione della conformità delleleggi rispetto ai dettami fondamentali dellacostituzione. In questo caso la comparazio-ne è generalissima, e si svolge in terminioltremodo schematici ponendo a confron-to un sistema costituzionale pervasivo eprivo di costituzione scritta come il britan-nico, un sistema a costituzione rigida, pre-cisamente delineata in forma documenta-ria e sovraordinata quale lo statunitense, eun sistema oscillante, ma non per questomeno legato del precedente ai princìpi delprimato delle norme costituzionali quale ilfrancese della Terza Repubblica. In singo-lare contrasto con l’intrinseca complessitàdella questione, la nota, che risponde altitolo The Meaning of an “UnconstitutionalLaw”, è in realtà la più scarna e, si direbbeperfino, la più superficiale tra quelle maiaggiunte da Dicey alla Introduction nelleversioni alle quali egli ha dedicato la suapersonale cura.

Se valutata secondo l’ottica del compa-ratista continentale, la si potrebbe consi-derare un’occasione mancata di dare segui-to, con l’attribuzione di un taglio più tecni-camente giuspubblicistico, alla possente

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sistematizzazione – del tutto degna di unerede oxfordiano di Blackstone – che di lì aqualche anno sarebbe stata incorporata nelConflict of Laws, un trattato la cui importan-za per il barrister non è certamente inferio-re a quella che alla Introduction è usual-mente attribuita dal constitutional lawyer.Tuttavia, sulla base di una più attenta con-siderazione dei presupposti del discorsodiceyano, giacché uno dei punti fermi delladottrina tardo-vittoriana va individuatonell’assenza di distinzioni tra diritto pub-blico e diritto privato (l’intero corpus dellaIntroduction è dedicato al consolidamentodi tale asserzione, che nel giro di qualchedecennio si sarebbe tuttavia rivelata obso-leta al punto da indurre qualcuno a dubita-re apertamente del suo reale fondamentodottrinale44), quella che può a prima vistaessere considerata in Dicey una sottovalu-tazione trova ampie giustificazioni in unimpianto concettuale che è perfettamentecompatibile con un ordinamento culturalenel quale il costituzionalista, non più vin-colato dagli stilemi della storiografia, èprima di tutto un common lawyer abilitatoad operare di fronte alle Corti di giustizia.

È infatti sotto tale peculiare profilo chegli imponenti tecnicismi del Conflict of Lawspossono essere considerati come una pro-secuzione logica della scarna e per certiversi deludente trattazione della nota VII,nella quale la questione della coerenzainterna ad ordini normativi di natura diver-sificata è appena accennata: nel Conflict ofLaws, articolata riflessione giuridica prestotrasformatasi in uno standard book manua-listico oggetto di una consultazione tra lepiù intense da parte degli operatori deldiritto, vi sono più connessioni con lo spi-rito del costituzionalismo di common law diquanto si possa immaginare.

10. Dell’inserimento di note nell’Appendi-

ce collocata nella sezione finale del volume

Dicey si sarebbe servito per ulteriori

approfondimenti anche nelle edizioni VI

(1902) e VII (1908), la seconda delle quali

era data alle stampe all’immediata vigilia

della prima grande crisi costituzionale del

nuovo secolo, che fu anche l’ultima e, se si

vuole, la determinante dell’era liberale. Una

circostanza, questa, che merita qualche

breve annotazione giacché il grave conflitto

istituzionale del 1909-11, provocato dall’op-

posizione dei Pari al budget di Lloyd George

e dalla strenua contesa che di conseguenza

contrappose i Comuni alla Camera Alta,

avrebbe prodotto all’inizio del secolo uno

straordinario impatto sulla struttura del

bicameralismo britannico e, soprattutto,

aperto la via alle prime strategie del welfare.

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Benjamin Disraeli.

In realtà, tale crisi era da considerarsitutt’altro che un fulmine a ciel sereno sullosfondo solo apparentemente pacifico dellacostituzione post-vittoriana. Le sue premes-se, come è stato già ossevato trattando dellaparabola intellettuale di Dicey, risalivano algrande riformismo d’impronta gladstonianaed ai violenti contrasti sorti un ventennioaddietro (ovvero nel medesimo periodo, eclima costituzionale, in cui la Introductionesordiva con successo) fra i due rami del Par-lamento di Westminster in merito alla homerule irlandese: questione sulla quale lo stes-so Dicey non aveva mancato di dare un suopersonale contributo intervenendo a soste-gno dell’ipotesi unionista.

La stessa Introduction subiva le conse-guenze del profondo stravolgimento lloyd-georgiano: Lloyd George, come è noto,aveva rivestito la carica di Cancelliere delloScacchiere nell’amministrazione Asquithinsediata nel 1908 ed era stato il protago-nista di primo piano della contesa sul peo-ple’s budget che aveva provocato l’ostinataopposizione dei Pari (Grigg, 1991). Comesovente si è verificato in periodi ancherecenti di grandi e talora inattese transi-zioni costituzionali, taluni manuali di dirit-to costituzionale, scritti dopo una lungariflessione ed evidentemente destinati –almeno nelle intenzioni dell’autore – adurare alquanto lungamente nel tempo, pereffetto di repentine trasformazioni dell’as-setto istituzionale nazionale o più spesso(così nel caso di contributi della compara-zione) estero sono stati collocati in parzia-le obsolescenza prima che fosse trascorsoun congruo arco di tempo dalla loro pub-blicazione. La caducità di ordinamenti chesembravano attestati in un regime di stabi-lità, o più ordinariamente la perenne crea-tività degli accadimenti politico-istituzio-

nali che rende ineludibile il confronto conuna constitutio semper reformanda, sonorealtà con cui ogni constitutional lawyer chenon intenda vedere la sua opera presto rele-gata in una polverosa soffitta è obbligato afare i conti. A tale legge non si sarebbe cer-tamente sottratto Dicey con la Introduction,la cui edizione VII (1908), destinata nel girodi appena un biennio a porsi problematica-mente di fronte agli importanti eventicostituzionali che avrebbero configurato ilcanto del cigno del costituzionalismo libe-rale di Asquith e Lloyd George – e pertantoa fare i conti con il sorpasso costituzionaledel 1909-11 – si può considerare un testodefinitivo ma nel contempo esposto ad unaradicale riformulazione.

Il paradosso è solo apparente. Qualora,infatti, se ne considerino il corpo principa-le e la divisione in capitoli, la versione 1908della Introduction non sarà da allora in poisottoposta ad alcuna modifica, seppuremarginale; del resto, s’è già osservato cometale pratica fosse stata gradualmente abban-donata dall’autore a tutto favore dell’incre-mento delle note dell’Appendice e del lorocostante rimaneggiamento, operazioneormai divenuta la principale valvola diaggiornamento collaterale della riflessionecostituzionalistica sviluppata nell’opera.Pertanto, è questa versione, puntualmenteriprodotta nell’edizione VIII (1915) di cui lostesso Dicey ammetterà la natura di «rathera reprint of the seventh edition», che formain sostanza l’oggetto della traduzione cheoggi si propone al pubblico italiano.

Nondimeno, le due edizioni si differen-ziano considerevolmente: se infatti neltesto del 1908 si configura in modo defini-tivo l’essenza delle argomentazioni diceya-ne, su tale inalterata piattaforma di pensie-ro si sarebbe innestata nel 1915, sotto la

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forte pressione degli eventi costituzionalicui s’è fatto cenno, un’altra sezione diaggiornamento della Introduction destinataa proiettare una nuova luce sull’interaopera.

Oltre al consueto apparato dell’Appen-dice formata da tredici note delle qualialmeno una (la XIII) di nuova formulazio-ne, agli ipsissima dicta di Dicey risalenti alleprime edizioni della Introduction venivapertanto ad aggiungersi nel 1915 una partepreliminare che, senza dire dell’ovvianecessità di rendere l’Introduction un pro-dotto ancora competitivo in uno scenariodottrinale posto a dura prova nel clima delletrasformazioni post-vittoriane e su unmercato editoriale non meno soggetto allesollecitazioni del rinnovamento, si puòassumere come scaturita da un dupliceordine di esigenze. In primo luogo, regi-strare e valutare la portata degli ecceziona-li eventi di una transizione istituzionale lacui manifestazione aveva determinato ildelinearsi di uno stato di cose di fronte alquale perfino il constitutional lawyer piùradicato nei valori e nelle forme del siste-ma parlamentare tradizionale poteva con-servare un atteggiamento distaccato. Insecondo luogo, di tali eventi costruireun’interpretazione che si ponesse in rela-zione, senza contraddirli ma anzi tentandodi confermarne la legittimità (e ciò nono-stante il sempre più evidente delinearsi nelquadro costituzionale di princìpi contrari:si pensi ad esempio alle metamorfosi delparty government), di quei canoni fondatisulla supremazia parlamentare e sulla rule oflaw che, per effetto della generale accetta-zione della dottrina costituzionalistica cheproprio l’Introduction aveva inaugurato nel1885, erano ormai incardinati nella classi-cità (Craig, 1990, p. 12 ss.).

Finalità, queste, esplicitamente enun-ciate nella breve prefazione oxfordiana(datata 1914) che Dicey elaborava per pre-sentare la nuova edizione dell’opera. Vi erala necessità di operare una ricognizione diuno scenario di ampio respiro coincidentecon il trentennio precedente e denso di«changes of law» e «changes of theworking of the constitution»: in tale distin-zione trovava conferma la natura binariadella forma costituzionale britannica, com-posta da normazioni positive poste sottol’egida della razionalità parlamentare e dal-l’affermarsi di prassi la cui garanzia ripo-sava su un senso non codificabile di consti-tutional morality auspicabilmente condivi-so da uomini di governo, parlamentari egiudici. A questo egli affiancava l’esigenzadi passare in rassegna ed analizzare («tostate and analyse») quelle concezioni costi-tuzionali che con buona approssimazionepotessero considerarsi nuove («the mainconstitutional ideas which may fairly becalled new») e di rilievo tale da informaredi sé il nuovo corso della politica e delleistituzioni del paese45.

Orientando il proprio sguardo in taledirezione, una volta giunta a compimento lastagione del grande riformismo socio-costi-tuzionale di stampo lloydgeorgiano, e presadefinitivamente coscienza delle straordina-rie valenze costituzionali della crisi parla-mentare tardo-liberale sfociata nell’adozio-ne del Parliament Act del 1911, Dicey appli-cava alla VIII edizione della Introduction unatecnica di aggiornamento che era già statasperimentata nell’edizione precedente. Oravolgendosi a tutto favore dell’organicitànecessaria in un discorso focalizzato sulleevoluzioni di un intero trentennio e sulle piùrecenti accelerazioni costituzionali, l’aggior-namento, ancor più incisivamente che in

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passato, gli avrebbe consentito di ovviareall’oggettiva parzialità delle note e di evitareuna globale rielaborazione del testo princi-pale che avrebbe reso del tutto irriconosci-bile la Introduction sotto il profilo delle argo-mentazioni che l’avevano resa celebre pres-so il pubblico britannico ed europeo. Ciò egliavrebbe fatto ponendo mano, presumibil-mente con inizio verso la metà del 1913 sullascorta di materiali già raccolti nel biennioprecedente e parzialmente pubblicati sottoforma di articoli e brevi saggi, alla scritturadi un accurato resoconto degli elementisalienti della metamorfosi costituzionaletardo- e post-vittoriana, con cui integrare lasuccessiva edizione dell’opera sotto forma diun’ampia sezione destinata ad interagire conil testo principale in qualità di ampia pre-messa.

11. L’edizione VIII (1915) si compone per-tanto, se considerata nella sua versione inte-grale, di tre parti: l’Introduzione all’opera(ampio scritto che occupa le pp. XVII-CV)46,la Introduction propriamente detta (cheriproduce il testo del 1908) e la consuetaAppendice composta, stavolta, da tredicinote. La svolta metodologica è evidente etestimonia della volontà di rendere la Intro-duction un testo costruito intorno alle tredimensioni che articolano la consacrazionedottrinale delle categorie del costituzionali-smo britannico (corpo principale dell’ope-ra), dell’aggiornamento su questioni costi-tuzionali da Dicey considerate non tran-seunti e meritevoli di essere sottosposte adun’attenta critica (Introduzione), e dell’ap-profondimento monotematico (Appendice).

L’attenzione può essere a questo puntofocalizzata, seguendo il medesimo corso

della riflessione di Dicey, intorno all’im-patto esercitato sull’intero edificio costitu-zionale dalla crisi del 1909-11 e dalle rifor-me che ne erano scaturite. Una ben visibi-le linea di continuità tematica collega infat-ti l’intera Introduzione e la nota XIII. Par-liament Act, 1911 (1 & 2 Geo.5, Ch.13.) del-l’Appendice, la quale, come è evidente, èuna nota di nuova immissione (la si puòperaltro considerare l’ultima mai aggiuntapersonalmente da Dicey all’intero corpodella Introduction) che ha come oggetto unafonte positiva, ed anzi la fonte per eccel-lenza, del “nuovo” diritto costituzionalebritannico.

La sua fisionomia e la stessa funzione perla quale è stata concepita, per tale motivo,hanno indole strettamente notarile e per-tanto la nota è del tutto peculiare nell’ambi-to del discorso diceyano e della stessa meto-dologia della Introduction. Non vi si ravvisa,infatti, alcuna argomentazione che possaassumersi, al pari di quanto si riscontranelle altre note presenti nelle Appendicidell’edizione in questione così come delleedizioni precedenti, quale frutto delleriflessioni personali di un autore che indu-gi su approfondimenti problematici o suintegrazioni tematiche, giacché essa consi-ste nella mera ed integrale trascrizione deltesto della memorabile legge di riforma delParlamento di Westminster promulgata il 18agosto 1911. Purtuttavia, la sua mera pre-senza riveste un senso politico pregnante,giacché le motivazioni di tale scelta, che al dilà delle esigenze contingenti di descrizionedel presente sanziona anche sotto il profilodottrinale la definitiva irruzione dell’espli-cita positività legislativa in un sistema diconstitutional law fino ad allora dominato inprevalenza dagli understandings e dalle con-venzioni, vanno appunto rintracciate nel-

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l’Introduzione, e in particolare nella suasezione A. The Sovereignty of Parliament enell’intera rilettura dei princìpi costituzio-nali del 1885 che in essa trova sviluppo.

Molto si è detto e si potrebbe ancora direin merito al conservatorismo costituzionaledi Dicey e ai riflessi che di tale posizione,saldamente attestata sulla convinzione chein Gran Bretagna così come in altri paesi laforma di governo parlamentare, una voltaaffermatasi, fosse destinata a rimanere unelemento stabile dell’organizzazione costi-tuzionale47, si rintracciano nell’Introduction.La sezione introduttiva, nella sua fisionomiadi gigantesco e ormai maturo pamphlet sulriformismo post-vittoriano confermava taletendenza culturale, da un lato collegandosialla Law and Public Opinion rispetto alla qualerisulterebbe oltremodo illuminante unarilettura contestuale48, e dall’altro lato inne-standosi anche sulla riflessione del corpostorico della Introduction in modo polivalen-te e non sempre univocamente interpreta-bile, ovvero come elemento di aggiorna-mento dell’analisi costituzionalistica e dirinvigorimento di una vena polemica mai deltutto sopita nell’ormai anziano giurista diOxford (il quale nel frattempo aveva abban-donato gli impegni della Vinerian Chair afavore di una più riposante fellowship nell’AllSouls College), come contributo alla riasser-zione dei fondamenti su cui poggiava l’inte-ro edificio del diritto pubblico da egli erettoun trentennio addietro con la prima edizio-ne della Introduction.

Si tratta in questo caso di un contributometodologicamente speculare: la Introduc-tion aveva fondato i dogmi della constitutio-nal law offrendone ai giuspubblicisti anco-ra in formazione come gruppo intellettua-le una codificazione organizzata secondoprincìpi; la nuova sezione introduttiva del

1915 formava il baluardo che, come unanuova cinta aggiunta alle mura costruite inepoche passate e ormai cadenti, si ponevacome ultima difesa a fronte dell’ondatariformista (Bogdanor, 1985)49.

Si è fatto cenno in precedenza, trattandodella questione della home rule e della tema-tica referendaria (due questioni in meritoalle quali Dicey ha probabilmente scrittoquanto di meglio si ascrive alla sua produ-zione di grandi pamphlets politico-costitu-zionali), della fondamentale ambiguità dellaIntroduzione del 1915. Infatti, è evidente cheessa si pone in diretta connessione con ildiscorso complessivo della Introduction,della quale configura l’ultimo e il più cospi-cuo aggiornamento mai scritto personal-mente dall’autore; pertanto sotto questoprofilo il rapporto con il corpo dell’opera sipuò considerare senz’altro ancillare: unavolta constatata l’impossibilità di attuareulteriori e – considerata la grande portatadelle innovazioni costituzionali di un tren-tennio – vaste integrazioni del testo senzache da ciò derivasse uno stravolgimento del-l’intrinseca struttura del discorso che avevatanto determinato il successo della Introduc-tion rendendo tale opera una sorta di tela diPenelope, tale integrazione fu per Dicey unascelta pressoché obbligata.

Ma, d’altra parte, l’Introduzione confi-gura anche uno scritto di autonomo rilievoin cui, come si vedrà, confluiscono moltidegli spunti e delle problematiche costitu-zionali sul tema della metamorfosi cheDicey aveva affrontato negli anni prece-denti: in essa affiora comunque una vis pole-mica che nella scrittura della Introduction èspesso sottintesa e che – come nel caso delleriflessioni sull’impatto devastante del Par-liament Act e sul declino della rule of law,nonché della stigmatizzazione della home-

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rule-all-round, passaggi estremamentecaratterizzanti lo spirito e le finalità di talegrande sezione introduttiva – rinverdisce lapassione argomentativa di precedenti scrit-ti e una attitudine a distinguere fra tattica estrategia del riequilibrio costituzionale chepotrebbe invero apparire sconcertante inun autore che è tradizionalmente conside-rato, e in effetti fu, il più arroccato difenso-re dell’ordine costituzionale tradizionale.Le posizioni sul referendum ne sono unesempio eloquente: sul piano strategico, ilricorso alla democrazia diretta è incompa-tibile con la democrazia rappresentativa cheha il suo luogo eccellente nell’assembleaparlamentare, ma ciononostante per Diceypoteva pur essere buona tattica impiegareil referendum come controbilanciamento diuna Camera dei Comuni dominata da unamaggioranza faziosa e non più osservantegli understandings costituzionali.

Per quanto concerne la natura dell’In-troduzione, entrambe le interpretazionipoc’anzi sintetizzate sono legittime: come inprecedenza accennato, essa storicizza l’ope-ra ma non si identifica indissolubilmentecon essa se è vero che – come realmente èavvenuto – il curatore delle edizioni postu-me della Introduction, E.C.S Wade, l’avrebbeintegralmente sostituita con una grande pre-fazione da egli personalmente elaborata,senza che ciò si sia rivelato in alcun mododiminuitivo dell’integrità e della coerenzadel discorso sviluppato nel corpo principaledel textbook diceyano.

In realtà la necessità di una fondamen-tale rilettura della dogmatica fondata nel1885 traspare in modo evidente dall’interasezione. Essa si articola in tre subsezioniche, in perfetto stile diceyano, assolvono afinalità tra loro diverse nelle quali, secon-do un interessante sistema di corrispon-

denze ove l’influenza dell’impianto fonda-mentalmente didattico dell’opera non èsecondaria al desiderio di osservare uncerto esprit de gèometrie, si rispecchia in vitrola struttura dell’intera Introduction.

Con il titolo Aim of the Introduction, laprima subsezione dell’Introduzione èanche la più breve, e sotto il profilo tema-tico e dell’impianto complessivo deldiscorso non si è lontani dalla realtà se lasi fa corrispondere alla prima delle Lectu-res della prima edizione, intitolata The TrueNature of Constitutional Law, nonché alcapitolo I, recante il medesimo titolo, chenella versione del 1908 (e quindi anche del1915) avrebbe integralmente formato laparte Outline of Subject. In essa Dicey espo-ne la materia della trattazione, dapprimarendendo esplicite le ragioni che lo aveva-no indotto a procedere all’integrale reda-zione di un discorso di aggiornamento del-l’opera separato dal testo principale. A talproposito, una volta rievocata con linguag-gio asciutto ed essenziale l’origine didatti-ca della Introduction nell’ambito dei corsidella Vinerian Chair di diritto inglese50, eglitorna a sottolineare la necessità della sus-sistenza nell’ordine costituzionale britan-nico di tre princìpi essenziali – appunto,come già ben si è avuto modo di verificare,la sovereignty of parliament, la rule of law el’adesione al complesso delle Conventionsof the Constitution – rinviando per una ana-lisi più approfondita alla disamina che diessi è tradizionalmente sviluppata nelcorpo principale dell’opera.

Alla rievocazione dei princìpi, premes-sa essenziale per chiarire la connessione frala sezione introduttiva e il corpo storicodella Introduction, segue l’ammissione chela loro formulazione, originariamente postain essere facendo riferimento al sistema

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costituzionale di un trentennio addietro,necessita non già di una autonomia in cui sipossa configurare una resipiscenza distampo revisionistico, bensì di una rilettu-ra che tenga presenti le inarrestate trasfor-mazioni occorse in tale arco di tempo e l’ur-genza di una verifica della consistenza deimedesimi princìpi nella nuova luce del-l’importante snodo politico-istituzionaledel 191151. Talché, lasciando all’inalteratocorpo dell’Introduction il compito di con-fermare la legittimità dottrinale dei princì-pi, lo scopo della nuova sezione introdutti-va sia «to compare our constitution as itstood and worked in 1884 with the consti-tution as it now stands in 1914».

Va comunque sottolineata, nel riferi-mento al quadro del 1914, l’eloquenteassenza del verbo work che invece forma unbinomio, evidentemente tutt’altro cheretorico nell’opinione di Dicey, nel quadrocostituzionale di un trentennio addietro. Sitratta di un’omissione certamente noncasuale che si deve considerare particolar-mente sintomatica di un giudizio sospesonei riguardi dell’effettiva funzionalità delleriforme di recente introdotte in un ordina-mento la cui sapienza istituzionale, untempo accortamente filtrata attraverso legaranzie della tradizione e della constitutio-nal morality, appariva, secondo la percezio-ne del giurista oxfordiano, messa a durorepentaglio dalle diffuse trasformazionidella transizione post-vittoriana. È in defi-nitiva un sospetto di malfunzionamentodell’istituzione parlamentare quello chealeggia nella sezione in questione e necaratterizza lo scetticismo che si esprimeanche nella scelta lessicale.

Nella seconda subsezione vengonoriconsiderati con maggiore cura i princìpiclassici dell’ordine costituzionale scaturito

da due secoli di incontrastato sviluppo delleistituzioni parlamentari, con particolareriguardo alla loro rilettura nell’ottica dellenuove tendenze costituzionali. L’articola-zione della subsezione, che forma il corpoprincipale della riflessione costituzionali-stica dell’Introduzione, consta di quattroampi paragrafi dei quali i primi tre – rispet-tivamente dedicati alla sovranità parla-mentare, alla rule of law e alle convenzionicostituzionali – ripercorrono l’itinerarioargomentativo che fin dal 1885 aveva infor-mato di sé la struttura del pensiero di Dicey,mentre un quarto paragrafo, il cui elo-quente titolo è Development during the LastThirty Years of New Constitutional Ideas, volgelo sguardo verso le novità costituzionalisopravvenute nel corso del trentennio divita del textbook diceyano.

12. Il discorso del primo paragrafo dell’In-troduzione (riferimenti nel corpo dell’ope-ra: Parte I – capitoli I-III), inerente alle tra-sformazioni della sovranità parlamentare, o– stando all’espressione usata da Dicey – al«change in constitution of parliamentarysovereign», è in prevalenza focalizzato sulleconseguenze del Parliament Act del 1911.Come è noto, tale Atto legislativo trasfor-mava la balance intercamerale in un rap-porto non paritario, escludendo i Lords daldibattito in materia fiscale e finanziaria, elimitandone il potere di veto su atti giàapprovati dai Comuni. Dicey non si limitaad esaminare le componenti strutturali del-l’Atto, ma anche le implicazioni sul versan-te della sovereignty parlamentare, procla-mata in esordio «from a legal point of view,the dominant characteristic of our politicalistitutions».

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L’affermazione di diritto (oltre che sulpiano meramente fattuale, come era statoin diversi ambiti legislativi prima del 1911)di un potere illimitato della Camera deiComuni e soprattutto il mutamento deirapporti di forza di un Parlamento di West-minster ormai diviso in se stesso e i legi-slativi non sovrani dei Dominions vengonoposti in rilievo come i principali elementidi preoccupazione per la sopravvivenzadella sovranità parlamentare, soprattuttointesa come dimensione della costituzio-nalità non scritta meritevole della deferen-za delle entità subordinate che facevanoparte di un assetto imperiale già in via direvisione critica, se non ancora sotto il pro-filo giuspubblicistico almeno sotto quellostorico e politico.

Non è difficile intravedere in tale curadiceyana, che si esplicita tenendo conto,più che degli equilibri interni, delle riper-cussioni esterne della crisi di sovranitàindotta nell’istituzione parlamentare dallariforma del 1911, il riaffiorare sotto altriprofili dell’ostinazione unionista che perdecenni aveva condizionato l’approcciocostituzionalistico di Dicey e che ancora perqualche anno ne avrebbe caratterizzato lariflessione52 seppure con toni più condi-scendenti verso la natura plurinazionale delRegno Unito (così nei già menzionatiThougths on the Union Between England andScotland, scritti con finalità interlocutorienei confronti del nascente nazionalismoscozzese) (Finlay, 1994).

È nondimeno evidente che ai nostriocchi di osservatori della Gran Bretagnapost-imperiale, le preoccupate argomen-tazioni diceyane sulla revisione dei rappor-ti tra Westminster e corpi legislativi deiDominions appaiono di gran lunga supera-te alla luce della grande ristrutturazione

introdotta dallo Statute of Westminster del1931, mentre maggiori elementi di interes-se si evincono dalle riflessioni sviluppatenelle tre sezioni del paragrafo che affron-tano con taglio dinamico-ricostruttivo lastoria costituzionale dell’istituzione parla-mentare prima, durante e dopo l’adozionedel Parliament Act del 1911.

Nel secondo paragrafo Dicey affronta laquestione della rule of law (riferimenti:Parte II – capitoli IV-XIII), lamentandoneanche in questo caso la crisi derivante dalfatto che «the ancient veneration for therule of law has in England suffered duringthe last thirty years a marked decline»53,determinato prevalentemente da tre fatto-ri: l’incremento di una legiferazione per-vasiva e poco rispettosa degli equilibri clas-sici (ma, in definitiva, l’aporia classicatorna a riproporsi: non è infatti la leggescritta espressione della sovranità parla-mentare e dell’onnipotenza legittimamen-te attribuita al legislativo ?), il diffondersidi un senso di sfiducia classista nei con-fronti dei giudici, e la tendenza al perse-guimento di determinati obiettivi sociali opolitici attraverso mezzi di policy-makingcontrastanti con l’ordine legale.

In poche righe si condensa l’interaposizione critica del giurista oxfordiano neiconfronti delle politiche lloydgeorgiane ein definitiva del protendersi sullo scenarionazionale, oltre che di movimenti di classeapertamente collocati su posizioni di con-testazione del parlamentarismo classico(Shipway, 1988), di quelle politiche d’im-pianto collettivistico che nell’arco di qual-che decennio avrebbero dato forma al wel-fare state inteso non solo come grande con-gegno di redistribuzione delle risorse delsistema ma anche come una nuova forma diStato. In tale dimensione è dato valutare la

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portata profetica dell’argomento diceyano:in definitiva si trova in ciò la conferma delfatto che solo un convinto conservatorenostalgico del passato può essere un profe-ta passabile.

Sotto tale profilo, il regresso della rule oflaw denunciato da Dicey non si configurain una dimensione meramente giuridica,ma si carica di risvolti politici e sociali chene formano l’autentico substrato e i moven-ti più efficaci sul piano della concretezzaistituzionale: del resto, come è stato osser-vato, di norma nella cultura britannica iconfini tra diritto pubblico e analisi politi-ca sono sfumati, il primo essendo una ver-sione sofisticata della seconda54. L’osser-vazione di Dicey può pertanto essere rap-presentata secondo i termini del declinodella deference tradizionale alla quale Wal-ter Bagehot aveva dedicato pagine memo-rabili della English Constitution e la miglio-re critica storica del secondo dopoguerraconsacrerà scritti che sarebbe eufemisticodefinire dissacratori (Hobsbam e Ranger,1983): si tratta di un argomento che nelpensiero diceyano si snoda fin dalla intui-zioni del suo saggio del 1867 The Balance ofClasses e che avrebbe trovato postuma con-ferma con l’avvento del suffragio universa-le. Molti analoghi motivi di riflessione pos-sono essere peraltro rintracciati, a decen-ni di distanza da tale primo interventodiceyano, nelle più ponderate argomenta-zioni della Law and Public Opinion.

I tre fenomeni sono puntualizzati nellecorrispondenti sezioni che formano ilparagrafo55. Lo sviluppo di un embrione didiritto amministrativo in Gran Bretagna, oalmeno gli effetti sparsi di quei primi attilegislativi che avevano attribuito una auto-rità semi-giurisdizionale ad alcune catego-rie di funzionari pubblici (diretta è in que-

sto caso la critica ai National Insurance Actsdel 1911 e 1913, di elaborazione lloydgeor-giana) determinando un’espansione dellasfera statale a svantaggio della tradizionalesfera potestativa delle Corti che non rap-presenta una branca del potere statale bensìuna dimensione metacostituzionale cheopera sullo sfondo del diritto pubblico,rappresentano pertanto la prima causa delregresso delle posizioni classiche della ruleof law, di cui Dicey discorre nella primasezione del paragrafo.

Una successiva sezione riguarda la ten-denza del Parlamento ad escludere con pro-pri atti la giurisdizione delle Corti da mate-rie fatte artificiosamente rientrare sottol’esclusivo ius dicere del legislativo, e in virtùdi ciò a legalizzare a priori situazioni e com-portamenti che la tradizionale giurisdizio-ne non avrebbe giammai esitato a sanzio-nare con severità dando luogo a situazionidi deficit di legalità: è il caso del Trade Dispu-tes Act del 1906, e dell’introduzione dellafigura del “picchetto pacifico” su cui siappuntano gli strali di Dicey. Una ulterioresezione stigmatizza la tendenza a subordi-nare la fedele applicazione del diritto a piùelevate finalità sociali, nel passaggio epo-cale del liberalismo lloydgeorgiano favori-to anche dalla repentina ascesa del LabourParty (il partito classista che mai Diceyciterà esplicitamente, quasi applicando adesso una sorta di damnatio memoriae56) edall’affermazione dei canoni di un demo-cratic government spinto alle estreme con-seguenze con il suffragio allargato e con leprospettive di collettivizzazione57. Dagliargomenti utilizzati traspaiono una acutavisione critica della metamorfosi della sta-tualità post-vittoriana, ma anche l’irreso-lubilità dell’antinomia fra supremazia par-lamentare e rule of law.

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D’altra parte è ben noto a chi si occupadi cose britanniche che il dibattito sull’ef-fettiva consistenza della rule of law comeparametro costituzionale non si può consi-derare ancòra sopito a oltre cent’anni dallaprima edizione della Introduction (Hardene Lewis, 1986).

Procedendo di seguito, emerge a questopunto uno degli snodi più problematici del-l’intera argomentazione della Introduzionedel 1915, di cui si trova ampia prova nel para-grafo da Dicey devoluto alle analogie che egliconsidera essersi delineate in modo semprepiù evidente, lungo il trentennio fatto ogget-to della sua ricostruzione, fra la official lawbritannica e il droit administratif francese.La prima, espressione non scevra da inten-ti polemici in quanto posta in alternativa allarule of law di classica definizione (e del restol’approssimazione all’amministrativismofranco-continentale è un ulteriore sintomodel declino della rule of law), rappresenta laconfluenza tra le politiche legislative analiz-zate nelle precedenti parti della Introduzio-ne e la crescita di un burocrazia statale che,abbandonata in Gran Bretagna la tradizio-nale configurazione semi-dilettantistica, haridotto le distanze, un tempo incommensu-rabili, con la propria controparte francese(Parris, 1969; Chester, 1981).

Conseguenza dell’evoluzione indottadalle amministrazioni liberali dell’inizio delNovecento è pertanto, secondo l’allarmataosservazione di Dicey, la produzione nelcomplesso normativo che sovrintendeall’amministrazione pubblica di «somefeatures which faintly recall some of thecharacteristics which mark the ‘droit admi-nistratif’ in France»58 e che, come lo stes-so giurista ammette, potrebbero oggettiva-mente produrre qualche progresso nell’ap-parato amministrativo britannico a condi-

zione che i riformatori siano effettivamen-te in grado di individuare una adeguatabalance tra la tradizionale e omnicompren-siva giurisdizione delle Corti e la specificitàdelle situazioni giuridiche derivanti dallemolteplici declinazioni dell’azione ammi-nistrativa. Una risposta postuma a tale que-stione sarebbe stata data dalla nascita diquella complessa e tendenzialmente fram-mentaria rete di tribunals amministrativi,che nell’intero Regno Unito hanno confi-gurato una soluzione giurisdizionale alter-nativa alla common law, ma non con questain conflitto, e congegnata in modo da rap-portarsi alle istanze provenienti dall’esten-dersi anche nel sistema anglosassone delladécentralisation par service.

Una parte molto interessante dell’In-troduzione, e probabilmente – se osserva-ta dal punto di vista del costituzionalista cheintenda porre l’accento sulle metamorfosiche si realizzano entro il quadro della costi-tuzione non scritta – la più ricca di spuntid’indagine sui meccanismi subliminali checoncorrono alla determinazione dei “frenie contrappesi” giuspubblicistici, è il para-grafo dedicato alle convenzioni costituzio-nali. Seguendo una inconsueta tecnicaretorica, che pone in evidenza anche unacerta discontinuità stilistica espressiva diun impianto rapsodico e tractarian dell’in-tera sezione introduttiva, Dicey articola ilpunto secondo una serie di quesiti e diriposte – in totale tre, con numerose sotto-articolazioni – che pongono innanzitutto inevidenza come la principale dinamica dimutamento dell’apparato convenzionalenel trentennio sotto osservazione si sia rea-lizzata non sotto forma di declino del con-vezionalismo, bensì sotto due principaliprofili: la nascita di nuove convenzionicostituzionali (creatività costituzionale

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indotta dal pragmatismo politico) e la tra-sformazione di convenzioni in norme scrit-te (processo di enactment).

In sostanza, la funzione precipua delleconvenzioni si ravvisa nel fatto che esse«meet the wants of a new time»59, nessu-na sorpresa destando il fatto che, a decor-rere dalle prassi instauratesi fin dall’età diDisraeli e di Gladstone, gli understandingsosservati in presenza di situazioni politico-istituzionali che giungono al cuore dellaforma di governo e della funzionalità par-lamentare – come nei casi delle dimisssio-ni del Primo ministro e della crisi delgoverno; della dissolution dei Comuni; deirapporti fra premier, partito ed elettori; del-l’appello del monarca al sentimento popo-lare; delle misure antiostruzionistiche –abbiano subito trasformazioni spesso rile-vanti, per conoscere e comprendere le qualila ricostruzione storica resta ancora la tec-nica più idonea, in assenza di regole codi-ficate in via formale, per stabilire contornialtrimenti sfuggenti. Del resto, il concettostesso di understanding costituzionale pre-suppone la sussistenza di un’intesa basatasull’accettazione comune di principi e divalori e sulla sussistenza di un corpo poli-tico-rappresentativo omogeneo: nella suavariabilità, esso è un parametro della con-stitutional morality e delle nuove frontiereverso cui questa può orientarsi.

Una valutazione a parte viene dedicata,come dianzi accennato, alle enacted conven-tions, ossia a quelle convenzioni alle quali ilParlamento abbia attribuito dignità di leggeformale (force of law): l’intero Parliament Actdel 1911, avendo obbligato per legge i Lordsa osservare un comportamento omissivoche in precedenza era regolato dall’adesio-ne convenzionale ad un assetto definitiva-mente caratterizzato dalla «dislocazione

dell’idea della ‘balance’ all’interno dellaCamera dei Comuni, piuttosto che fra icorpi storici di re, lords e comuni» (Bur-row, 1992, p. 25), può essere interpretatoin tal senso, e a tale tipo di interpretazioneDicey dedica pagine fra le più lucidamenteargomentate dell’intera opera, dalle qualiemerge con particolare chiarezza come nelquadro della costituzione di matrice ingle-se le fonti consuetudinarie e le fonti scrit-te si alimentino vicendevolmente.

Di analogo interesse è la ricognizioneche viene effettuata nella seconda grandeparte dell’Introduzione, e nella quale rie-mergono alcune delle tendenze polemicheche avevano configurato un leitmotiv nelpensiero diceyano.

Si tratta in tal caso di una vasta sezionerecante una analisi di impianto spiccata-mente evolutivo, il cui titolo è DevelopmentDuring the Last Thirty Years of New Constitu-tional Ideas; in essa Dicey tasta il polso dialcune possibili linee di trasformazione delsistema costituzionale che si orientano lungoquattro importanti direttrici riformistiche.Tre di esse si connettono alla questione par-tecipativa (introduzione del suffragio fem-minile, mutamento del sistema elettorale damaggioritario in proporzionale, impiego delreferendum) ed una (la federalizzazione delRegno Unito) afferente alla ristrutturazionedel government su base territoriale.

Ripercorrere il pensiero del Dicey del1914-5 su ciascuna di tali questioni e sulleconnessioni con il dibattito politico e costi-tuzionale dell’età liberale fra vittorianesimoe lloydgeorgismo60 condurrebbe la rifles-sione alquanto lontano e richiederebbemolti e ulteriori approfondimenti, mentreesigenze di brevità impongono di pervenirerapidamente alla conclusione. Senza nulladire, dunque, delle preoccupazioni diceyane

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sulle trasformazioni del sistema elettoralederivanti dall’introduzione del voto femmi-nile e della rappresentanza proporzionale, edelle più favorevoli posizioni inerenti allavalorizzazione del referendum (il voto fem-minile sarebbe stato introdotto non troppianni dopo il conseguimento del suffragiouniversale maschile) (Holton, 1987; Kent,1990), sarà sufficiente rammentare che del-l’introduzione di elementi di prorporziona-lismo si è discusso a lungo, e solo con il rifor-mismo del New Labour blairiano è stata intra-presa la prima istruzione di una possibileriforma in tal senso; il referendum è statoeffettivamente impiegato a decorrere daglianni Settanta, dapprima come elemento dirisoluzione di condizioni di grave impasseinterna alla Camera dei Comuni, e quindi,con Blair, come frequente occasione di con-sultazione su questioni in prevalenza ine-renti alla ristrutturazione dei poteri costitu-zionali territorialmente definiti.

Ciò precisato, il più problematico pas-saggio della sezione finale dell’Introduzio-ne sarà proprio quello dedicato alla federa-lizzazione. In ciò Dicey darà piena prova dicoerenza con la propria storia personale:nella misura in cui ostinatamente, nellaparte Federalism, si adopera nel dimostra-re l’incompatibilità sussistente tra la tra-sformazione in senso federativo del RegnoUnito e la supremacy parlamentare – a ciòfinalizzando un’impostazione eminente-mente comparatistica del suo discorso –egli dimostra ancora una volta il suo nettodissenso nei confronti di ogni suggestioneseparatista e, in particolare, nei riguardi diquelle tesi della home-rule-all-round cheavrebbero formato il principale argomen-to rivendicativo dei movimenti nazionalistisubnazionali e che, ammesse nel salottobuono della politica britannica, una certa

risonanza avrebbero trovato nelle aule par-lamentari (Keldle, 1989). Poiché, come si ègià osservato, non molti anni sarebberopassati prima che l’Irlanda realizzasseattraverso modalità non esattamente paci-fiche le proprie aspirazioni indipendenti-stiche, si può accordare l’onore delle armiall’ormai anziano costituzionalista dell’AllSouls College, per il quale il radicamento nelprincìpio della supremacy parlamentare(ancora nel 1915 definita senza esitazionealcuna «still the fundamental doctrine ofEnglish constitutionalists»61) e nella ruleof law era tenuto come una realtà essenzia-le per la sopravvivenza dello Stato britan-nico post-vittoriano non solo in quantoordinamento autoreferenziale erede diun’antica e rispettabile tradizione, maanche – e in ciò dissolvendosi finalmenteogni barriera culturale e politica con latemuta Francia – nell’intento di «to defythe strenght, the delusions, and the arro-gance of a militarised nation, and at all coststo secure for the civilised world the triumphof freedom, of humanity, and of justice»62.

È importante infatti non dimenticare chela VIII edizione della Introduction apparivapresso il pubblico britannico, europeo e sta-tunitense, e tra questi si diffondeva perpe-tuando il successo delle versioni preceden-ti, in pieno conflitto mondiale, e che in rela-zione a tale cruciale snodo della storia l’ane-lito di Dicey verso la constitutional moralityassumeva una luce particolare.

13. Le vicende della Introduction nei decen-ni successivi alla scomparsa di Dicey regi-strano alcuni altri momenti che si possonoconsiderare metodologicamente salienti,ma che ai fini del discorso che qui si sta per

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concludere meritano tutt’al più qualchebreve nota.

Dopo ben sette ristampe nel periodo1920-1931, risale al 1939 quella che comu-memente si considera l’edizione IX, curatadall’E.C.S. Wade del Gonville and Caius Col-lege di Cambridge che dedicava all’Introduc-tion una breve prefazione ancora compatibi-le con la sussistenza dell’Introduzione del1915 e soprattutto con l’ancora recente lasci-to intellettuale del pensiero diceyano. Que-sta nuova versione può essere considerataun’edizione autonoma non tanto perché – aparte qualche aggiornamento solo margina-le praticato da Wade nelle note a pie’ di pagi-na – il corpo principale dell’opera subìvariazioni, quanto piuttosto perché il cura-tore apportava un sostanziale rimaneggia-mento all’apparato delle note raccolte nel-l’Appendice, alcune tra le quali direttamen-te derivanti dalle precedenti edizioni diceya-ne ed altre curate con l’ausilio di costituzio-nalisti stranieri (tra i quali il francese RenéDavid e lo svizzero Maurice Battelli) e ingle-si (M.E. Bathurst, allievo di Wade)63.

La svolta metodologica, che probabil-mente non sarebbe dispiaciuta a Dicey,inaugurava un’apertura alle opinioni digiuristi europei e ampliava la rassegna diatti legislativi illustrativi delle riflessioniche Dicey aveva incluso nell’Introduzionedel 1915. Nella medesima prospettiva,dopo altre sei ristampe intervenute nelperiodo 1941-1956, va considerato anche ilsuccessivo intervento di Wade.

Si tratta della X edizione (1959), concinque ristampe tra il 1960 e il 1965: qui alposto dell’Introduzione diceyana del 1915si inseriva un non meno ampio saggiointroduttivo che era il frutto della rifles-sione costituzionalistica del curatore, ilquale, prendendo le mosse da una fin trop-

po ovvia premessa di schietta memoriadiceyana («The Constitution of 1958 is notthe Constitution of 1885»)64, riproponevain via semplificata una struttura del discor-so che rammenta la scomparsa sezioneintroduttiva di Dicey in quanto prevalen-temente suddivisa secondo princìpi (I.Outline of Subject; II. Sovereignty of Parlia-ment; III. Rule of Law; IV. Conventions of theConstitution; e V. Conclusion) e criticamen-te focalizzata sulle dinamiche evolutive deidecenni trascorsi dalla fine della secondaguerra mondiale in poi.

In questo caso Wade operava a sua voltacome un secondo Dicey, esponendo la pro-pria visione problematica delle importantimetamorfosi costituzionali verificatesi nelperiodo del bipartitismo postbellico, eintervenendo radicalmente sull’Appendiceche si riduceva a tre note: la prima, dal tito-lo Droit Administratif in France, scritta daP.M. Gaudemet; la seconda, The Developmentof Administrative Law in England, riprodut-tiva dell’omonimo articolo pubblicato daDicey sulla «Law Quarterly Review» nel1915; e la terza, Short Bibliography of ModernAuthorities, trasformata da Wade in unasezione bibliografica ad uso del lettore dellaIntroduction per ulteriori approfondimentidelle diverse tematiche confluite in un per-corso critico posto a cavallo fra cultura clas-sica e nuove tendenze interpretative.

L’Appendice del 1959 si completava conuna Table of Statutes e una Table of Cases checonfiguravano, da un lato, un’esplicita for-malizzazione del nesso tra common law, sta-tute law e constitutional law, e, dall’altro lato,in linea con la tendenza culturale di cuiWade era un autorevole portavoce (una ten-denza particolarmente attenta all’affermar-si anche in Gran Bretagna di quelle forme diadministrative law che Dicey aveva avversa-

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to in quanto estranee alla cultura inglesedella legalità), una manifesta amministrati-vizzazione dei princìpi di diritto costituzio-nale enunciati nella Introduction.

Con il suo trasferimento in quel di Cam-bridge e con le marginali rielaborazioni diWade, la Introduction to the Study of the Lawof the Constitution avrebbe conosciuto unrevival che l’ha resa un’opera onnipresentenel pensiero dei costituzionalisti britanni-ci nostri contemporanei, poiché ad essanon si possono voltare troppo disivolta-mente le spalle. E pertanto se ne attendeoggi un terzo editor britannico che, dopoWade, la sappia riproporre al grande pub-blico, tanto più tenendo conto dell’artico-lato scenario del vasto riformismo attual-mente in corso.

In realtà, nonostante il suo apporto allapercezione della scienza costituzionalisticacome realtà giuridica sia, senza alcun dub-bio, monumentale, il pensiero di Dicey pre-sta il fianco a numerose critiche, soprattut-to per quanto concerne la sua rappresenta-zione dell’ordine costituzionale britannico.Ove si adotti una visuale puramente proie-zionistica (ma tale non era l’interpretazio-ne diceyana), potrebbe risultare alquantospontaneo ricercare nel passato, come s’èdetto, le ragioni del presente e credere nelmito del gradualismo costituzionale: ma giàall’epoca in cui le categorie essenziali dellariflessione diceyana erano in gestazione, glieffetti di lungo corso delle grandi riformeelettorali (1832 e 1867) avevano considere-volmente accelerato la trasformazione dellastatualità, e lo stesso dicasi per il periododel liberalismo gladstoniano.

Numerose cesure del sistema costitu-zionale a costruzione cosiddetta “graduale”erano peraltro intervenute nel primoperiodo post-vittoriano, intaccando la

mitologia alla cui difese anche Dicey avevacontribuito: la nascita dei partiti organizza-ti, l’avanzamento del suffragio e le conse-guenze concatenate del Parliament Act 1911ne sono, come s’è visto, altrettante prove: inquesto atto parlamentare infatti, che ridi-mensionando il potere della Camera deiLords instaurava una forma non paritariadell’antico bicameralismo bilanciato, sirivelava il principale punto di confluenzadelle anzidette trasformazioni politiche.

Ma, a questo punto finale del discorso suDicey, si provi ad attualizzare ulteriormen-te osservando come:

– l’espansione in senso “presidenziali-stico” del potere del Primo ministro e la rea-lizzazione dei suoi molti corollari (consoli-damento della convenzione che identifica illeader del partito maggioritario con il premiercostituzionale; espansione della legislazionedelegata e degli Orders in Council; strettocontrollo governativo dell’agenda parla-mentare; egemonia dell’Esecutivo nell’ini-ziativa legislativa; dominio del potere di dis-solution parlamentare; rigida affermazionedella disciplina partitica; esaltazione delpotere di rimpasto ministeriale e del patro-nage; riconoscimento del ruolo politica-mente responsabile dell’Opposizione);

– la realizzazione nel 1998 della devolu-tion, diretta erede della home rule strenua-mente avversata da Dicey, in Scozia, Galles,Irlanda del Nord (quest’ultima, residuo dilealismo inglese nella seconda delle Isolebritanniche dopo la nascita, nel 1921, dell’I-rish Free State e la sua successiva costituzio-ne in repubblica) e Greater London, alla qualesi deve l’introduzione di sistemi parlamen-tari substatali in potenziale competizionecon il Legislativo di Westminster e uno slit-tamento verso forme asimmetriche di distri-buzione del government nello Stato unitario;

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– l’estensione della democrazia refe-rendaria con le consultazioni del 1973(Ulster), 1975 (ingresso nella CEE), 1979(falliti referendum devolutivi in Scozia e Gal-les) e con lo sciame referendario degli anniNovanta (connessi alle riforme della devo-lution), che ha potenziato la democraziadiretta come integrazione di quella a baserappresentativa ponendola in continuitàcon la riorganizzazione delle forme classi-che di attività politica (Political Parties, Elec-tions and Referendums Act 2000);

– l’ingresso nella Comunità Europea,attuato con l’European Communities Act 1972che di fatto vincolava ogni successivo Par-lamento al rispetto dei trattati comunitari,e ribadito, da Maastricht in poi, con il rin-saldamento dei vincoli europeistici;

– il “rimpatrio” dello statuto dei dirittifondamentali effettuato con lo HumanRights Act 1998 che lega la legislazione bri-tannica al rispetto della Convenzione euro-pea per i diritti dell’uomo;

– lo sviluppo, attraverso una stermina-ta gamma di tribunals e ad-hoc authorities diterza generazione esercenti funzioni di giu-risdizione atitva, di un sistema coerente diadministrative law funzionale all’espansio-ne della sfera pubblica nei decenni del wel-fare state;

– la creazione, con il ConstitutionalReform Act 2005, della Supreme Court of theUnited Kingdom (e con ciò la nascita di unanuova suprema istanza giudicante che pre-senta molti potenziali caratteri di una cortecostituzionale) e la scomparsa della funzio-ne giudicante del Lord Chancellor e del suopotere di patronage;

– l’ulteriore riforma della Camera deiLords, che si pone in continuità con lo spi-rito dei Parliament Acts del 1911 e 1949 e siripromette di generare una Camera alta che

sia prevalentemente o integralmente elet-

tiva (ma anche pone le condizioni per un

revival della conflittualità fra i due rami del

Parlamento di Westminster);

– il revival dell’attivismo giudiziario e

l’attrazione delle Corti nell’orbita della

costituzionalità attiva, e – in tale prospet-

tiva – le recentissime ipotesi di scrittura,

in un apposito atto del Parlamento, dei

princìpi mai codificati, eppure quanto mai

efficaci, di rule of law e di autonomia della

magistratura, siano elementi di una vasta

transizione, non episodici ma tra loro col-

legati e reciprocamente rinviantisi, che è

posta sotto il segno dell’azione dei nuovi

riformatori britannici.

Se da un lato la rule of law emerge con-

siderevolmente rinforzata dalle nuove

garanzie introdotte con lo Human Rights Act

1998, con le più dirette connessioni del-

l’ordinamento domestico con lo statuto

europeo dei diritti, con l’istituzione della

Supreme Court e, più in generale, con la

garanzia di più manifeste condizioni di

separazione dei poteri, e se il convenziona-

lismo non appare eclissato dall’incremen-

to della legislazione positiva, dall’altro lato

questi (e altri) elementi operano oggi come

altrettanti poderosi colpi alla sovranità del

Parlamento e, in ultima analisi, all’edificio

costituzionale descritto da Dicey nella

Introduction e sviluppato attraverso l’inte-

ro itinerario della sua vita intellettuale.

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Fondamenti

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1 Ed a sua volta recentemente resa

disponibile in traduzione, nella

sua versione-base del 1952 (Lon-

don, Macmillan), con il titolo

Diritto e opinione pubblica nell’In-

ghilterra dell’Ottocento (Bologna,

il Mulino, 1997), a cura e con

prefazione di M. Barberis. Prima

delle ristampe del 1940 e del

1952, a cura e con prefazione di

E.C.S. Wade, una seconda edizio-

ne dell’opera comparve nel 1914,

sempre per i tipi della Macmil-

lan; da ultimo se ne sono avute

due ristampe statunitensi,

apparse nel 1981 (New Brun-

swick, N.J., Transaction Books, a

cura di R.A. Cosgrove) e nel 1985

(Birmingham, Ala., Legal Clas-

sics Library). Un’accurata rifles-

sione critica sull’opera, che

appartiene alla fase più matura

del pensiero di Dicey, si rintrac-

cia in C. Harvie, 1989; una prefi-

gurazione in vitro delle tesi svi-

luppate nell’opera si ha in A.V.

Dicey, The Combination Laws as

Illustrating the Relation between

Law and Opinion in England

during the Nineteenth Century, in

«Harvard Law Review», 1904, p.

511 ss. 2 Il testo-base utilizzato per la tra-

duzione italiana è l’edizione VIII

(1915) nella sua pregevole

ristampa statunitense curata dal

Liberty Fund: A.V. Dicey, Intro-

duction to the Study of the Law of

the Constitution (Indianapolis,

Ind., Liberty Fund, 1982, con

prefazione di R.E. Michener); la

seconda edizione di riferimento,

utilizzata per un confronto inter-

testuale e per la revisione del-

l’apparato delle note, è stata

invece la quinta ristampa dell’e-

dizione X (1959), edita da Mac-

millan nel 1965, a cura e con pre-

fazione di E.C.S. Wade. Contem-

poraneamente all’italiana, una

traduzione dell’importante ope-

ra costituzionalistica di Dicey è

apparsa in Germania.3 Il Reform Act del 1832 fu un inter-

vento legislativo che, dopo aver

posto fine ad una sequenza di

infruttuosi tentativi di introdur-

re gli elementi della modernità

nel vetusto sistema elettorale

d’origine inglese, avrebbe aper-

to il varco a numerose altre tra-

sformazioni dell’intero sistema

parlamentare del Regno Unito, i

cui effetti “di onda lunga” si

resero pienamente visibili anche

all’epoca in cui Dicey concepì la

sua Introduction to the Study of the

Law of the Constitution giacché la

terza riforma elettorale del seco-

lo, introdotta dall’amministra-

zione Gladstone, fu coeva all’o-

pera del giurista oxfordiano, tra

le cui fonti compare peraltro un

importante contributo in argo-

mento proveniente dal quadro

della cultura liberale, ovvero lo

studio di J.R.M. Butler, 1914.4 Nonché, per l’approfondimento

di punti specifici, ai brevi saggi e

alle schede che appaiono su que-

sto numero speciale del «Gior-

nale di storia costituzionale»,

elaborati da valenti giovani stu-

diosi italiani in occasione di un

seminario di studi tenuto nell’U-

niversità di Siena.5 Allo stato attuale risulta oggetto

di numerosi aggiornamenti, cer-

tamente per via dell’autorevolez-

za guadagnata tra i common

lawyers inglesi nella sua qualità

di standard book, l’imponente

Conflict of Laws: manuale appar-

so in prima edizione nel 1896

sotto la denominazione estesa di

A Digest of the Law of England with

Reference to the Conflict of Laws,

per diverse stesure posto sotto la

general editorship di J.H.C. Mor-

ris, integrato di anno in anno

attraverso numerosi cumulative

supplements, e giunto oggi alla sua

XIII edizione (London, Stevens

& Sons, 2006). Il manuale è sta-

to anche oggetto di semplifica-

zioni ad uso degli operatori giu-

ridici alle prime armi: tra queste

si segnala L. Burgin, E.G.M. Flet-

cher, 1934. Appartengono peral-

tro alla fase giovanile della rifles-

sione diceyana, ossia del Dicey

Law of the Constitution, London, Macmillan, 1965, rist.

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common lawyer di fresca ma già

profonda formazione, le tratta-

zioni giuridiche rispondenti a

finalità immediatamente appli-

cative e date alle stampe sotto i

titoli di A Treatise on the Rules for

the Selection of the Parties to an

Action (London, Maxwell & Sons,

1870) e The Law of Domicile as a

Branch of the Law of England: Sta-

ted in the Form of Rules (London,

Stevens & Sons, 1879).6 Importante raccolta di saggi

divisa in quattro ampie sezioni a

diretto commento delle azioni

del movimento riformatore ispi-

rato dal toryismo popolare di

Disraeli, ed in particolare della

riforma del suffragio: J.R. Seeley,

1867. Per una rievocazione della

rassegna, con interessanti com-

menti sull’apporto del giovane

Dicey, cfr. B. Crick, 1967; sui cir-

coli culturali che la produssero,

si veda C. Harvie, 1976-B. 7 Degli anni di collaborazione e

del sodalizio scientifico resta

infatti un ampio resoconto in

R.S. Rait, 1925, ove in particola-

re l’importanza di Law and Public

Opinion nell’ambito della rifles-

sione costituzionalistica del tar-

do vittorianesimo è considerata,

non senza convincenti argomen-

tazioni, di gran lunga superiore a

quella della Introduction, e addi-

rittura paragonata a quella tradi-

zionalmente attribuita ai Com-

mentaries di Blackstone. 8 Cfr. J.R. Seeley, The Growth of

British Policy, 1877, tradotto in

italiano con il titolo L’espansione

dell’Inghilterra, in A. Brunialti,

1897, p. 707 ss.9 Ed anche in Italia: cfr. G. Gras-

si, 1913, ove in verità Dicey è

pressoché ignorato a tutto favore

del citatissimo Bryce. 10 La circostanza è riferita in G.

Marshall, 1977.11 Più precisamente: «the actual

Westminster model is that of

authoritarian single-party gov-

ernments in a House of Commons

dominated by the Prime Minister

and composed largely of disci-

plined parties with most votes in

the House of Commons being

highly predictable»; L. Wolf-

Phillips, 1984, pp. 400-401.12 House of Lords Record Office, Stra-

chey MSS S/5/5/1: Dicey to St L.

Strachey, 24 Jan.1894, come cita-

to in B. Harrison, 1996, p. 223.13 Così tale posizione diceyana

viene descritta in J.F. McEl-

downey, 1985: «This was typical

of Dicey’s approach to any con-

troversy. Select general princi-

ples and resist any changes which

might fundamentally alter them.

In that sense Dicey believed in

maintaining the constitutional

arrangements in Britain through

the strict maintenance of the

ordinary law», p. 47. 14 Tali definizioni così si conte-

stualizzano: «His interpretation

became the classic depiction of

the British constitution. It has

been criticized. It has been den-

ted. And yet Dicey’s construction

remains the classic stamenent

and the one that stull dominates

the literature today»: M Foley,

2000, p. 2.15 Gli argomenti diceyani sono defi-

niti «constitutionally restrai-

ned», e come tali da non confon-

dersi con l’irrazionalismo «life

and death» degli oltranzisti unio-

nisti, nel saggio di J. Smith, Con-

servatism, Ideology and Representa-

tions of the Union with Ireland,

1885-1914 (p. 18 ss.) in M. Francis,

I. Zweiniger-Bargielowska, 1996,

ove si vedano in particolare le pp.

31-32. Con riferimento al contri-

buto di Dicey, si veda inoltre l’ac-

curata ricostruzione in R. Shan-

non, 1996, p. 71 ss.16 Il passaggio di riferimento per

una puntuale ricostruzione della

questione si trova nel quinto dei

dodici volumi che formano la

grande opera di W.S. Holds-

worth, 1909 (edizioni successive:

1914 e 1932, a cura di E. Potton)

ove si rileva il contrasto esistente

tra i dicta di Coke nel Bonham’s

Case e il principio della supre-

mazia parlamentare altrove

enunciato dal grande common

lawyer seicentesco. Sui collega-

menti di pensiero tra Dicey e

Coke vedasi P.P. Craig, 1990, pp.

106-107.17 Una valutazione di tale posizio-

ne è ben argomentata nel saggio

di T.H. Ford, 1972-73; e d’altron-

de lo stesso Dicey riconosceva,

facendo riferimento agli eventi

dell’epoca, che «Our Constitu-

tion stands in a peculiar position.

It has always been from a legal

point of view liable to revolution

by Act of Parliament. But this lia-

bility has till recent times been

little more than a theoretical

risk», in Ought the Referendum To

Be Introduced into England ?, in

«Contemporary Review», 1890,

p. 505.18 Sia Blackstone che Dicey appro-

darono infatti alla Vinerian Chair

dopo scarsi risultati nella carrie-

ra dell’avvocatura, ed entrambi

furono indotti ad entrare nel

ruolo da autorevoli protettori:

Lord Mansfield per Blackstone e

James Bryce per Dicey. 19 Giova tuttavia registrare il pun-

to di vista statunitense in merito

a tale controversa esperienza

diceyana: nell’opinione di R.

Michener, autore della prefazio-

ne all’edizione della Introduction

curata dal Liberty Fund, cit., 1982,

infatti, «not only did Dicey’s

considerable practice at the bar

and his position as counsel to the

Commissioners on the Inland

revenue helped his election to

the Vinerian Professorship …»,

p. XVI. La letteratura biografica

inglese tende invece a circoscri-

vere, se non l’importanza forma-

tiva, almeno la consistenza prati-

ca dell’attività forense da egli

disimpegnata negli anni che pre-

cedettero l’assunzione dell’inca-

rico oxfordiano. 20 Una ben articolata ricostruzione

della storia dell’istituzione, con

diffusi riferimenti al contributo

Torre

59

Fondamenti

60

intellettuale di Dicey, si ha in H.

Hanbury, 1958.21 Si veda in argomento l’attenta

ricostruzione di D. Sugarman,

Legal Theory, the Common Law

Mind, and the Making of the Text-

book Tradition, in W. Twining,

1986.22 È orientata in tal senso l’analisi

di diversi autori, tra i quali in

primo luogo Sugarman e Cosgro-

ve, come si rileva in C. Harlow,

2000, p. 356 ss. 23 Si veda in proposito il percorso

ricostruttivo che è tracciato nei

saggi raccolti in G. Wilson, 1995,

e qui in particolare nel contrib-

uto di M. Loughlin, The Pathways

of Public Law Scholarship, p. 165

ss. 24 È la posizione di A. King, 2001,

per il quale «whatever Dicey may

have said a century ago, there is

no longer a single ‘sovereign’

anywhere within our constitu-

tion», p. 97.25 Per tutti si consideri l’opinione

adesiva di I. Holliday secondo il

quale, a proposito di quanto

Dicey espone nella Introduction,

«even at the end of the twentieth

century, this doctrine retains an

unchallenged primacy within the

British Constitution»; così nel

contributo Territorial Politics (p.

220 ss.) in P. Dunleavy, A. Gam-

ble, I. Holliday, G. Peele, 1997, p.

221. Analoga posizione si evince

in V. Bogdanor, 1996, mentre

uno sguardo particolarmente

critico si rileva in R.A.W. Rhodes,

1997, p. 66. 26 Se per esempio in A. Carroll,

1998, il riferimento alla Introduc-

tion compare (pp. 36-39),

sebbene con toni critici, in atti-

nenza alla questione della rule of

law, ben più numerosi e argo-

mentati sono i richiami

all’impianto diceyano del diritto

costituzionale nella recentissima

edizione (anche in questo caso un

textbook, che a sua volta si ali-

menta delle visuali che trovano

impianto in un altro textbook)

della Constitutional and Adminis-

trative Law di O. Hood Phillips,

pp. 33-35; 143-145; 305-307, ecc.

Numerosi sono peraltro i richia-

mi a diversi spezzoni del pensiero

diceyano, che si desumono dalla

Introduction prima ancora che da

altri fondamentali scritti come

Law and Public Opinion, in quei

testi che ultimamente, sconfi-

nando oltre un apparato di argo-

mentazioni dottrinali d’indole

strettamente giuspubblicistica,

fanno il punto sulle grandi

trasformazioni del government

nella fase riformatrice successiva

alla svolta politica del maggio

1997: così, tra i molti, si vedano A.

Barnett, 1997, p. 281; P. Riddell,

1998), passim; J. Kingdom, 1999,

pp. 65-68; J. Morrison, 2001, p.

12-14; e A. Seldon, 2001, passim.

In ogni caso, le categorie diceyane

sono una componente della cul-

tura costituzionale con la quale è

sempre necessario porsi a con-

fronto, sia per condividerne le

tesi essenziali, sia per misurare la

distanza da esse, come si rileva,

ad esempio con specifico riferi-

mento alla questione delle libertà

fondamentali e delle ampie prob-

lematiche che le si collegano fino

all’adozione dell’innovativo

Human Rights Act del 1998, in R.

Brazier, 1991, p. 125 ss., e nello

stesso A. Seldon, 2001, pp. 146-

148. 27 Un’efficace ricostruzione delle

quali si può trarre da G.H.L.

LeMay, 1979, e precedentemen-

te nella rassegna di H.J. Hanham,

1969, ove all’innovativo contri-

buto di Dicey è fatto cenno uni-

tamente a Bagehot rimarcando

che nel quadro del vittorianesi-

mo, in contrasto con il pensiero

costituzionale dei whigs e in par-

ticolare dell’Homersham Cox

autore delle Institutions of the

English Government, «lawyers still

occasionally argued that a

“balance of powes” was the main

characteristic of the constitution,

but this old-fashioned view was

not accepted by either of the

most influential late none-

teenth-century writers, Bagehot

in his “English Constitution”

(1867) and A.V. Dicey in his

“Lectures Introductory to the

Study of the Law of the Constitu-

tion”, which first appeared in

1885», p. 3. 28 Il punto su tale snodo metodolo-

gico è ben tracciato nel saggio di

D. Sugarman, 1982, p. 102 ss. (in

realtà il saggio di Sugarman è

un’ampia e alquanto critica

recensione di R.A. Cosgrove,

1980), alla cui disamina il recen-

sore aggiunge numerosi autono-

mi elementi di riflessione sul-

l’apporto di Dicey all’edificazio-

ne della scienza costituzionalisti-

ca britannica.29 Sulla continuità di pensiero tra

Macaulay e Dicey si vedano le

annotazioni in J. Vernon, 1996,

in particolare alle p. 213 ss. Per

quanto invece concerne la rival-

ità intellettuale oggettivamente

determinatasi fra il metodo

didattico-storiografico della

Constitutional History of England:

A Course of Lectures di F.W. Mait-

land, 1908, e la Introduction di

Dicey, cfr. R. Barker, 1997, p. 101

ss.30 A.V. Dicey, Lectures Introductory

to the Study of the Law of the Con-

stitution (London, Macmillan,

1885), p. II. 31 Sui questi diversi percorsi inter-

pretativi, e sui loro principali

progagonisti, cfr. A. Torre, La

Costituzione britannica attraverso i

suoi interpreti, in A. Torre, L. Vol-

pe, 2005, vol. 1, p. 3 ss.32 Oltre che dalla diretta lettura del

primo capitolo della Introduction,

una ricognizione della bibliote-

ca, ideale prima ancora che

materiale, di Dicey può essere

desunta dal saggio di J.F. McEl-

downey, 1985, alle pp. 39-42. 33 The Law and the Constitution e

Cabinet Government di Jennings

apparvero originariamente nel

1933 (London, University of

London Press) e nel 1936 (Cam-

bridge, Cambridge University

Press); nella prima, frequentis-

simi erano i richiami al pensiero

di Dicey del quale Jennings tut-

tavia sottolineava sistematica-

mente la parzialità degli stru-

menti interpretativi; la seconda

configura di per sé una sostan-

ziale demistificazione della dog-

matica della supremazia parla-

mentare fondata da Dicey nella

Introduction, alla quale il costitu-

zionalista della Trinity Hall di

Cambridge giustappone, quale

concreto elemento di supera-

mento, i princìpi del governo di

gabinetto che già Bagehot aveva

posto in luce nella English Consti-

tution ed ai quali Dicey ben scar-

so rilievo aveva attribuito nella

sua opera riservando loro uno dei

più scarni capitoli. Parliamentary

Government in England, per una

ricognizione delle posizioni nei

confronti della dottrina diceya-

na si veda Jennings, 1985. A Com-

mentary e le Reflections on the

Constitution. The House of Com-

mons, the Cabinet, the Civil Service,

sono due scritti maturati in due

diverse fasi evolutive del radica-

lismo socialista di cui Laski fu tra

i più puri esponenti. La prima

risale al 1938 (London, Allen &

Unwin), e ricorrenti vi sono, con

dovizia di riferimenti storico-

politici prima ancora che giuri-

dici, le dimostrazioni dell’obso-

lescenza delle tesi diceyane sulla

supremazia costituzionale del

potere parlamentare su quello

dell’esecutivo; la seconda, in pri-

ma edizione nel 1951 (Manche-

ster, Manchester University

Press), ha anch’essa un’origine

didattica e fa della ricostruzione

storica il punto di partenza per

dare maggiore incisività alle pre-

cedenti dimostrazioni, Dicey

essendovi tuttavia un grande

assente. La prima edizione del

The British Cabinet di Mackintosh,

opera maturata nel quadro del

costituzionalismo laburista e

immediatamente inserita a pieno

titolo fra le principali opere del-

la constitutional law nazionale

britannica, risale al 1962 (Lon-

don: Stevens & Sons): la si può

definire un contributo forte-

mente ricostruttivo dello svilup-

po storico di un’istituzione con-

venzionale i cui fondamenti

positivi sono giuridicamente

inesistenti ma che, sulla scia di

quanto sostenuto da Jennings,

innerva l’intero ordinamento

costituzionale del Regno Unito

(in esso, come del resto nelle

Reflections di Laski, non compa-

re alcun esplicito riferimento alla

Introduction di Dicey). Diversa-

mente dai precedenti, in John-

son, 1977, si rivaluta ampiamen-

te le categorie interpretative di

Dicey: è infatti opinione del

costituzionalista dell’oxfordiano

Nuffield College che il radicamen-

to nella cultura giuridica britan-

nica della «unhistorical view»

dell’apparato convenzionale che

informa di sé la costituzione bri-

tannica tutto debba alla Introduc-

tion e alla Law and Public Opinion

di Dicey, ma in particolare alla

prima delle due opere, più anco-

ra che alle onnipresenti visuali di

Walter Bagehot. 34 Così nella prefazione di Mar-

shall, 1986, in cui si dichiara che

«Two major themes of Dicey’s

“Law of the Constitution” that

first appeared in 1885 were the

sovereignty of Parliament and

the role of the conventions of the

Constitution. Dome years ago in

“Parliamentary Sovereignty and

the Commonwealth” I tried to set

out sone developments in the

post-Dicey career of the sover-

eignty principle. The present

work is a stab in a similar direc-

tion taking Dicey’s other thesis

about the conventions as its

starting-point», p. vi. Più focal-

izzato sul convenzionalismo

diceyano è l’articolo di C. Munro,

1985.35 Si veda in argomento R.W.

Blackburn, The Life of Parliament

in British Constitutional History, in

R. Plender, 1990, p. 9 ss.36 Un’ampia panoramica sull’inno-

vatività culturale del contributo

diceyano è nell’articolo di F.H.

Lawson, 1959, pp. 109 ss. e 207 ss. 37 Bryce infatti ricoprì ad Oxford

l’incarico di Regius Professor of

Civil Law tra il 1870 e il 1882,

anno in cui Dicey venne chiama-

to alla Vinerian Chair; ed inoltre,

la carriera giuridica dei due fu

parallela anche per quanto

riguardò l’esercizio dell’avvoca-

tura: Dicey infatti operò nell’In-

ner Temple tra il 1861 e il 1882, e

Bryce svolse la professione

forense tra il 1867 e il 1882. Risa-

le al 1870 il viaggio che i due

compirono negli Stati Uniti: se

per Bryce tale esperienza fu basi-

lare per la raccolta dei materiali

che fornirono la materia prima

per il suo American Com-

monwealth (importante opera

edita nel 1888), per Dicey essa

fornì l’occasione per dare avvio

ad una riflessione che sarebbe

confluita nelle parti della Intro-

duction dedicate al costituziona-

lismo americano e all’attuazione

del federalismo statunitense,

nonché alla comparazione fra il

prototipo degli Stati Uniti e le

forme di federalizzazione attuate

nei Dominions britannici del-

l’Australia e del Canada. 38 Entrambi inclusi nel vol. I degli

Studies in History and Jurispru-

dence 1901; del primo si ha una

pregevole traduzione nell’agile

volume Costituzioni flessibili e

rigide, A. Pace, 1998. 39 Nel suo saggio Narrating the Con-

stitution: the Discourse of ‘The Real’

and the Fantasies of Nineteenth-

Century Constitutional History,

cit., 1996, J. Vernon attribuisce a

D. Sugarman l’osservazione per

cui «A.V.Dicey’s invention of

legal science in the snappily til-

ted ‘Introduction to the Study of

the Law of the Constitution’

(1885), must be understood in

Torre

61

Fondamenti

62

part as a response to Stubbs, a

refusal to let History take the

intellectual and institutional ini-

tiative», aggiungendo che la

Introduction «too was the mani-

festo of a man only recently

awarded the Vinerian Chair at

Oxford in 1882. Distrusting

History’s new-found discourse of

‘the real’ with its fetishism for

facts and antiquarian obsession

with medieval history, Dicey

wanted to modernise English

constitutional law by creating a

system of constitutional princi-

ples based on logic rather than

historical accident», pp. 217-218

(il contributo di Sugarman cui si

fa riferimento è l’articolo The

Legal Boundaries of Liberty: Dicey,

Liberalism and Legal Science, cit.,

1983). 40 La problematicità dei rapporti

fra concezioni diceyane e orien-

tamenti del diritto amministrati-

vo nell’Europa continentale è

approfonditamente indagata in

S. Flogaitis, 1986; è di questo

autore la convinzione che le pre-

giudiziali diceyane in materia di

droit administratif siano state ori-

ginariamente influenzate dalle

visuali ipercritiche nutrite da

Tocqueville, infatti «En premier

lieu, l’enseignement d’Alexis de

Tocqueville a donné l’occasion à

A.V. Dicey, père du droit consti-

tutionnel britannique, de mal

concevoir à l’origine le droit

administratif français, le prenant

pour l’antipode d’un système

juridique anglais, parvenu à son

apogée pendant la période victo-

rienne, et qu’il a cru être le pro-

tecteur par excellence des indivi-

dus vis-à-vis de l’État», p. 22.

Analogo commento si rintraccia

in J.W.F. Allison, 2000, pp. 19-

20; e anche cfr. H.W. Arthur,

1979, p. 3 ss.41 Così R.E. Michener nel Foreword

alla Introduction to the Study of the

Law of the Constitution, cit., ed.

1982), p. xvii; più enfatica, ma

certamente non impropria, è l’e-

spressione usata in P. Norton,

1984, il quale definisce tali

princìpi «the two main pillars of

the Constitution», p. 66.42 È quanto si sottolinea in K.H.F.

Dyson, 1980, rilevando nel con-

tributo diceyano un «early ten-

dency to identify the notion of

sovereignty with a particular

institution (Organsou-

veränität)», p. 115. Un’accurata

ricostruzione della questione è in

C. Dike, 1976, p. 283 ss.; e si veda

anche H.W.R. Wade, 1955, p. 172

ss. Per un vasto inquadramento

ideale si consulti l’ampio saggio

di J. Goldsworthy, 2001.43 Infatti «the study of the funda-

mental principles of our ‘unwrit-

ten’ Constitution can hardly be

separated from that of their his-

tory» in O. Hood Phillips, 1985,

p. 589. 44 È quanto afferma R. Michener

nella Foreword, cit.: «Dicey

makes the point that in Great

Britain in 1885 there was no dis-

tinction between private and

public law. One set of laws regu-

lated and one system of courts

adjudicated public and private

interests alike. In subsequent

decades this point ceased to be

valid», p. XX.45 La circostanza venne analizzata

con attenzione in H.J. Randall,

1915, ove in particolare si rileva

che «Prof. Dicey was entirely

justified in leaving the body of

the work unaltered from the

seventh edition, and in the inci-

dental references to matters that

happened in 1907 or 1908 will

always show that it was last revi-

sed before the passing of the Par-

liament Act, 1911. The distingui-

shing feature of this eight and

final edition is an Introduction

of nearly ninety pages “whereof

the aim is to compare our consti-

tution as it stood and worked in

1884 with the constitution as it

stands in 1914”», p. 332.46 E che purtroppo non appare nel-

la traduzione italiana della Intro-

duction (Bologna, il Mulino,

2003), che pure riproduce del-

l’ed.1915 dell’opera di Dicey. Si

ovvia all’inconveniente offrendo-

ne all’attenzione del pubblico, in

questo stesso numero del «Gior-

nale di storia costituzionale», il

testo integrale non tradotto. 47 La tesi è ampiamente sviluppata

in A.V. Dicey, Will the Form of

Government Be Permanent ?, in

«Harvard Law Review», 1899, p.

73 ss.: articolo nel quale si rive-

lano il buon uso della metodolo-

gia comparativa da parte del giu-

rista oxfordiano e la sua attitudi-

ne ad operare secondo ampie

categorie dottrinali senza sacrifi-

care a tale approccio le istanze di

una analisi realistica dell’evolu-

zione delle forme di governo. 48 È lo stesso Dicey a suggerire tale

contestualizzazione, invitando a

porre a confronto la Introduzio-

ne del 1915 con la seconda edi-

zione di Law and Public Opinion,

soprattutto per quanto concerne

la ricognizione dei grandi muta-

menti costituzionali della svolta

post-vittoriana; si veda A.V.

Dicey, Introduction to the Study of

the Law of the Constitutiuon, cit.,

ed.1982, p. XXXV-XXXVI.49 Si veda in argomento quanto

osserva in V. Bogdanor, 1985, p.

652 ss.50 Corsi invero da tempo abbando-

nati da Dicey. Dal frontespizio

dell’edizione 1915 si ricava,

secondo l’uso dell’epoca, un sin-

tetico curriculum forense e scien-

tifico dell’autore: «A.V.Dicey,

K.C., Hon.D.C.L. of the Inner

Temple; Formerly Vinerian Pro-

fessor of English Law; Fellow of

All Souls College, Oxford;

Hon.LL.D. Cambridge, Glasgow,

and Edinburgh; Author of “Lec-

tures on the Relation between

Law and Public Opinion in

England during the Nineteenth

Century”».51 E ciò proprio nel momento in cui

la retroguardia, pur autorevole,

degli storici del parlamentaris-

mo riproponeva analisi che ten-

devano ad emarginare la rifles-

sione sul senso delle nuove

riforme: si veda ad esempio C.P.

Ilbert, 1911.52 Si consideri in proposito l’asso-

lutoria annotazione con cui si

conclude in Lord Bingham of

Cornhill, 2002: «Dicey was a

genius, but a complex genius, a

man subject to contradictions and

blind spots, many of them attrib-

utable to his obsession with the

union with Ireland. (…) Perhaps

Dicey may be forgiven for allowing

this problem to dominate the last

half of his life», p. 51. 53 A.V. Dicey, Introduction to the

Study of the Law of the Constitu-

tion, cit., rist.1982, p. LV.54 «Public law is simply a sophis-

ticated form of political dis-

course»: è l’opinione registrata

in M. Loughlin, 1992, p. 4.55 I cui titoli sono Legislation,

Distrust of Judges and 0f Courts, e

Lawlessness: A.V. Dicey, Introduc-

tion to the Study of the Law of the

Constitution, cit., ed.1982, pp.

LVI-LXI.56 Sulla genesi del laburismo negli

anni in cui vennero elaborate le

edizioni diceyane della Introduc-

tion è ottimamente argomentato

D. Tanner, 1990; e si veda anche

K.D. Brown, 1985. 57 Il tema è ricorrente nel pensiero

di Dicey e trova molti riscontri

nell’aggiornamento della sua

opera, come si rileva in I.C.

Fletcher, 1997. Per una visuale

più estesa, cfr. M. Fforde, 1990. 58 A.V. Dicey, Introduction to the

Study of the Law of the Constitu-

tion, cit., rist.1982, p. LXI.59 Ibidem, p. LXVI.60 La parte inizia con un’ampia ret-

rospettiva sullo sviluppo del sis-

tema costituzionale in seguito

alla rivoluzione parlamentare del

1688-89 ed all’affermarsi del

grande contrattualismo politico

fra i tories e i whigs nelle sue linee

evolutive che hanno condotto

all’adozione del Great Reform Act

del 1832. Segue una analisi sis-

tematica (che trova sviluppo in

un’ampia sezione dal titolo Crit-

icism of Each of the Four New Con-

stitutional Ideas, p. LXXX-CXVII)

delle quattro questioni che

mopolizzavano il dibattito sulle

riforme d’inizio Novecento, alle

quali sono dedicate altrettante

sezioni: Woman Suffrage (p.

LXXX-LXXXIV), che ripropone le

tesi precedentemente esposte

nel tract dal titolo Letters to a

Friend on Votes for Women (Lon-

don, Macmillan, 1909); Propor-

tional Representation (pp.

LXXXIV-XCI); Federalism (pp.

XCI-CVIII) e Referendum (pp.

CVIII-CXVII). Il tutto confluisce

in una breve sezione riepilogati-

va – Conclusions (pp. CXVII-

CXXI). 61 A.V. Dicey, Introduction to the

Study of the Law of the Constitu-

tion, cit., ed.1982, p. CXVII.62 Ibidem, p. CXXI.63 Nell’edizione 1939 della Intro-

duction (London, Macmillan)

sono pertanto incluse sei note

d’Appendice: I. Administrative

Law (a cura di E.C.S. Wade, con

una sottosezione dal titolo Droit

Administratif in France elaborata

da R. David); II. Public Meeting

and Liberty of Discussion; III. Dis-

solution of Parliament; IV. Swiss

Federalism (con collaborazione di

M. Battelli); V. Duty of Soldiers

Called Upon to Disperse an Unlaw-

ful Assembly; e VI. Statutes (1.

Public Authorities Protection Act,

1893; 2. Parliament Act, 1911; 3.

Statute of Westminster, 1931; 4.

Public Order Act, 1936).64 E.C. Wade, 1965, p. XIX.

Torre

63