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Eric J. Hobsbawm I ribelli Forme primitive di rivolta sociale Tìtolo originale Primitive Rebels. Studies in Archaic Forms of Social Movement in the 19th and 20th Centuries Manchester University Press © 1959 E. J. Hobsbawm © 1966 e 2002 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino Traduzione di Betty Foà www.einaudi.it ISBN ! ì-06 - 16305-1 Piccola Biblioteca Einaudi Storia e geografia

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L ’interesse per gli argomenti trattati in questo libro fu destato in me, per la prima volta, dal professor Ambrogio Donini, che mi parlò dei lazzarettisti toscani e degli appartenenti alle sette dell’Italia meridionale. Nel 1956 il professor Max Gluckman mi fece invitare dallaUniversità di Manchester a tenere tre conferenze sull’argomento ed ebbi la fortuna, in quella circostanza, di poterne discutere con lui e con un gruppo di antropologi, storici, economisti e studiosi di dottrine politiche nonché esperti dei movimenti millenaristici, quali il dottor PeterWorslev ed il professor Norman Cohn. Questo libro risulta dall’ampliamento di quelle conferenze con l ’aggiunta di alcuni capitoli su argomenti che, nonostante le mie intenzioni, non potetti trattare nelle conferenze originarie.

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Eric J. Hobsbawm I ribelliForme primitive di rivolta sociale

Tìtolo originale Primitive Rebels. Studies in Archaic Forms of Social Movement

in the 19th and 20th Centuries

Manchester University Press

© 1959 E. J. Hobsbawm

© 1966 e 2002 G iu lio Einaudi editore s.p.a., Torino

Traduzione di Betty Foà

www.einaudi.it

ISBN ! ì-06-16305-1

P icco la B ib lio teca E inaud i Storia e geografia

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Indice

p . V II

XI

3

19

41

75

95

1 1 9

1381 6 1

102

223

P refa z io n e

P re fa z io n e a ll’ed iz io n e italiana

I ribelli

I. Introduzione

II. Il banditismo sociale

n i. La Mafia

iv. I l millenarismo I : Lazzaretti

v. I l millenarismo I I : gli anarchici andalusi

v i. Il millenarismo I I I : i fasci siciliani e il co­m uniSm o nelle campagne

v ii. Il mob cittadino

v ili . Le sette operaie

ix . Il rituale dei movimenti sociali

AppendiceDocumenti in versione originale e testimonianze dirette

249 In d ic e analitico

2^7 In d ic e d e i n o m i e d e i lu o g h i

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P refazione

L ’interesse per gli argomenti trattati in questo libro fu destato in me, per la prima volta, dal professor Am ­brogio Donini, che mi parlò dei lazzarettisti toscani e de­gli appartenenti alle sette dell’Italia meridionale. Nel 19 56 il professor M ax Gluckman mi fece invitare dalla Università di Manchester a tenere tre conferenze sull’ar­gomento ed ebbi la fortuna, in quella circostanza, di po­terne discutere con lui e con un gruppo di antropologi, storici, economisti e studiosi di dottrine politiche nonché esperti dei movimenti millenaristici, quali il dottor Peter W orslev ed il professor Norman Cohn. Questo libro ri­sulta dall’ampliamento di quelle conferenze con l ’aggiun­ta di alcuni capitoli su argomenti che, nonostante le mie intenzioni, non potetti trattare nelle conferenze origina­rie. Sono grato alla Università di Manchester e special­mente al professor Gluckman, senza il cui incoraggiamen­to certamente questo libro non sarebbe stato scritto.

G li studiosi alle cui idee ho attinto sono troppo nume­rosi per citarli singolarmente; ho cercato di farlo, quan­do era necessario, nelle note a piè di pagina, dove ho al­tresì indicato i testi di cui mi sono più largamente valso. Desidero anche ringraziare la direzione della biblioteca del British Museum, la biblioteca dell’Università di Cam­bridge, la biblioteca britannica di scienze politiche, la bi­blioteca di Londra, la biblioteca Feltrinelli di Milano, la biblioteca universitaria di Granada, l ’Istituto internazio­nale di storia sociale di Amsterdam, la biblioteca G iusti­no Fortunato di Roma e le biblioteche comunali di Ca­dice in Spagna e Cosenza in Italia per la loro cortesia verso uno studioso straniero.

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V i l i PREFAZIONE

Un argomento come questo non può venire studiato solo sui documenti. Qualche contatto personale, anche superficiale, con i popoli ed i luoghi descritti dallo stori­co è essenziale per comprendere problemi che sono straor­dinariamente lontani dalla vita normale di un professore universitario inglese. Ogni lettore di quello studio clas­sico sulla rivolta sociale primitiva, che è Rebellion in the Backlands di Euclide da Cunha, si renderà conto del contributo che a quella importante opera hanno recato le nozioni di prima mano dell’autore sugli uomini della foresta vergine brasiliana e la sua comprensione per quel mondo. Non sono in grado di dire se in questo libro io sia riuscito a capire luoghi e persone; se non vi fossi riu­scito non ne avrebbero però colpa le numerose persone, uomini e donne, che hanno cercato, spesso senza inten­zione, di spiegarmeli. Sarebbe assurdo elencarli tutti, an­che se lo potessi. Tuttavia desidero ringraziare qualcuno in modo particolare, specialmente l ’onorevole Michele Sala, sindaco e deputato di Piana degli Albanesi in Sici­lia, il sindaco di San Giovanni in Fiore, la città dell’abate Gioacchino da Fiore, in Calabria, i signori Luigi Spada- foro, contadino, e Giovanni Lopez, calzolaio, la signora Rita Pisano, già contadina ed ora organizzatrice femmini­le per il partito comunista nella provincia di Cosenza, in Calabria; il signor Francesco Sticozzi, agricoltore, ed il dottor Raffaele Mascolo, veterinario, di San Nicandro in Puglia e qualche informatore dell’Andalusia, che, data la situazione, ha preferito rimanere anonimo. Nessuno di loro porta la responsabilità dei punti di vista espressi in questo libro ed è forse consolante l ’idea che, fra di loro, qualcuno non se ne curerà perché non lo leggerà mai.

Per concludere, desidero osservare che sono perfetta­mente consapevole dell’insufficienza di questo saggio qua­le opera di dottrina storica. Nessun capitolo è esaurienteo completo. Il modesto lavoro di ricerca che ho condotto sulle fonti primarie e direttamente sul posto è certamen­te incompleto e gli specialisti - come del resto io stesso - noteranno sfavorevolmente la mancanza del benché mi­nimo tentativo di esaurire le fonti secondarie e con ben maggiore severità osserveranno i miei errori e le mie ine­

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PREFAZIO NE IX

sattezze. Desidero però anche osservare che scopo di que­sto libro non è una sistemazione scientificamente esau­riente della materif-.

Uno dei capitoli contiene materiale già pubblicato sul «Cambridge Journal», v i i , 12 , 19 54 . La parte essenziale di un altro capitolo è stata letta alla radio nel 19.57.

B irk b eck College, lu g lio 19 5 8 .

E . J . H .

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P refaz io n e a ll'ed izione ita liana

L ’uscita dell’edizione italiana del libro mi ha fornito l ’occasione di apportare lievi modifiche al testo e di ri­chiamare l ’attenzione su qualcuna delle numerose pubbli­cazioni che cominciano ora ad apparire nel campo dei no­stri studi. Nei sette anni e mezzo seguiti alla stesura del manoscritto inglese, è naturale che in determinati argo­menti sia stato acquisito nuovo materiale di studio e si siano verificati sviluppi nuovi della situazione. Ho anche introdotto brevi riferimenti a fenomeni di «rivolte pri­m itive» nell’America latina, che da allora ho avuto modo di approfondire, grazie all’aiuto della Fondazione R o­ckefeller. Colgo l ’occasione per esprimere i miei ringrazia­menti alla Fondazione, che mi ha fornito i mezzi per al­largare il campo dei miei studi, e ai colleghi ed amici che hanno discusso, e talora approvato, le tesi di questo libro.

E . J . H .

1966 .

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Capitolo primo

Introduzione

Questo saggio comprende studi su una serie di feno­meni, che possono tutti definirsi come forme primitive o arcaiche di agitazione sociale: banditismo alla Robin Hood, società segrete rurali, movimenti rivoluzionari contadini del genere millenaristico, mobs urbani prein­dustriali e loro rivolte, sette religiose di lavoratori ed im­piego del rituale nelle prime organizzazioni operaie rivo­luzionarie. Alla mia trattazione ho aggiunto documenti che illustrano, preferibilmente con le loro stesse parole, idee e convinzioni di coloro che presero parte a tali movi­menti. Campo principale d ’indagine è l ’Europa occiden­tale e meridionale e specialmente l ’Italia, dalla Rivolu­zione francese in poi. Il lettore curioso potrà considerare questo libro una semplice descrizione di fenomeni sociali interessanti, incredibilmente poco conosciuti, data la trat­tazione piuttosto disorganica che ne è stata fatta in lin­gua inglese. Tuttavia, poiché la struttura di questo saggio è analitica ed al tempo stesso descrittiva - e in effetti non vengono trattati argomenti che non siano già noti agli esperti della materia - sarà opportuno illustrarne l ’impo­stazione.

La storia dei movimenti sociali viene di solito trattata secondo una duplice partizione. Sappiamo qualcosa del­l'antichità e del Medioevo: rivolte di schiavi, eresie e set­te a carattere sociale, ribellioni di contadini e simili. Dire però che abbiamo una storia di tali fenomeni potrebbe forse indurre in errore, poiché finora se ne è trattato dif­fusamente ma sempre come di fatti meramente episodici nel quadro della storia generale dell’umanità; gli storici

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d ’altronde non si sono trovati d ’accordo sulla importanza di questi fatti nel processo storico e tuttora discutono in che esatta relazione essi stiano con il corso della storia. Per quanto riguarda i tempi moderni tali agitazioni sono state trattate da tutti gli studiosi (tranne che dagli antro- pologi che devono occuparsi delle società precapitaliste o semicapitaliste) solo come fenomeni precorritori o come sopravvivenze anomale. D ’altronde i movimenti sociali moderni - e cioè quelli dell’Europa occidentale, a partire dal tardo secolo x v m , e quelli di sempre più vaste regioni del mondo, in epoche successive - di norma sono stati trattati secondo uno schema stabilito da lungo tempo e, tutto sommato, ragionevoli. Per ovvi motivi gli storici hanno concentrato la propria attenzione sui movimenti operai e socialisti e sugli altri movimenti analoghi in quan­to s ’inscrivono in uno schema socialista. Di solito si ritie­ne che questi movimenti abbiano delle forme primitive — associazioni artigiane, luddismo, radicalismo, giacobini­smo e socialismo utopistico - e si evolvano poi verso for­me moderne, che variano da paese a paese ma che si ri­scontrano pressoché ovunque. Cosi dai movimenti operai si sviluppano determinate forme di sindacato e di orga­nizzazione cooperativistica, determinati tipi di organizza­zione politica, come i partiti di massa, e di programmi o ideologie, come il socialismo laico.

G li argomenti di questo libro non rientrano in nessuna delle due categorie. A prima vista potrebbe dirsi che ap­partengano alla prima. Comunque nessuno si stupirebbe di incontrare in pieno Medioevo europeo Vardarelli e as­sociazioni quali la Mafia o i movimenti millenaristici. Il fatto è però che tali fenomeni non si verificano nel M e­dioevo, ma nei secoli x ix e x x e infatti gli ultimi centocin- quant’anni ne hanno prodotto un numero straordinaria­mente elevato, per i motivi che vengono analizzati nel te­sto. Non si potrebbe neppure considerarli soltanto come fenomeni marginali o privi di importanza, sebbene gli sto­rici precedenti abbiano spesso cercato di farlo, o in osse­quio a tendenze razionaliste e moderniste, o perché, come spero di dimostrare, la natura e la dipendenza politica di tali movimenti è spesso indeterminata, ambigua o anche

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INTRODUZIONE 5

ostentatamente conservatrice, o infine perché gli storici, prevalentemente di alto livello culturale e di origine cit­tadina, fino a poco tempo fa non si sono sufficientemente sforzati di comprendere gente cosi diversa da loro. Infat­ti, con la sola eccezione delle associazioni rituali di tipo carbonaro, tutti i fenomeni analizzati in questo testo ap­partengono ad un mondo di uomini che non scrivono né leggono molti libri - spesso perché analfabeti - , che rara­mente sono conosciuti per nome, se non dagli amici, e spesso solo per soprannome, che sono di norma incapaci di esprimersi in maniera comprensibile e ben di rado vengo­no capiti, anche quando riescono ad esprimersi. Inoltre si tratta di individui «prepolitici», che ancora non hanno trovato (o soltanto hanno cominciato a trovare) un preci­so linguaggio, con il quale esprimere le proprie aspirazio­ni. Benché dunque i loro movimenti, sotto molti aspetti ed in rapporto al livello dei movimenti moderni, siano ciechi e procedano a tentoni, essi non sono né privi di im­portanza né marginali. Uomini e donne come quelli de­scritti in questo libro ancora oggi formano la grande mag­gioranza di molti, se non di quasi tutti, i paesi e la conqui­sta da parte loro di una coscienza politica ha reso il nostro secolo il più rivoluzionario della storia. Per questa ragio­ne lo studio dei loro movimenti non si risolve soltanto in curiosità, interesse o commozione per quanti hanno a cuo­re il destino dell’umanità, ma riveste importanza anche pratica.

G li uomini e le donne di cui tratta questo libro differi­scono dagli inglesi per il fatto di non essere nati nel mon­do del capitalismo, come vi è invece nato un meccanico della regione del Tyne che ha alle spalle quattro genera­zioni di sindacalisti. Essi vi entrano invece come immi­granti della prima generazione oppure - quel che è ancora più catastrofico - il capitalismo si impone loro dall’ester­no, per l ’azione insidiosa di forze economiche che essi non comprendono né possono controllare, ovvero a seguito di brutale conquista, di rivoluzioni o di radicali riforme le­gislative, le cui conseguenze essi non possono capire, nep-

1 [Regione industriale del Nord-Est dell’Inghilterra].

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pure quando hanno contribuito al loro avvento. Non cre­scono nemmeno insieme alla società moderna o all’inter­no di essa: vi vengono immessi di forza o, più raramente- come nel caso dei banditi siciliani provenienti dalla pic­cola borghesia - vi penetrano di violenza. Il loro proble­ma è come adattarsi alla vita ed alle lotte di quella socie­tà e proprio tale processo di adattamento (o il suo falli­mento), quale si esprime nei movimenti sociali di tipo ar­caico, è l ’argomento di questo libro.

Le parole «prim itivo» ed «arcaico» non dovrebbero però indurci in equivoco. Alle spalle di tutti i movimenti esaminati in questo libro sta un processo di evoluzione storica notevole; essi appartengono infatti ad un mondo che da tempo ha conosciuto lo Stato (e cioè soldati e poli­ziotti, prigioni, esattori di tasse e forse anche funzionari pubblici), le differenze di classe e lo sfruttamento da par­te di proprietari terrieri, commercianti e simili, e perfino le città. Continuano a esistere i legami della parentela o la solidarietà tribale, che - combinati o meno con i vincoli territoriali - costituiscono il perno di quelle società comu­nemente considerate primitive; ma, per quanto conservi­no ancora importanza notevole, non rappresentano più la difesa primaria dell’individuo contro l ’insicurezza del suo ambiente sociale. La distinzione tra queste due fasi dei movimenti sociali di tipo primitivo non può essere netta né rigorosa: ma una distinzione, a mio parere, è necessa­ria. I problemi che essa solleva non vengono discussi in questo libro ma possiamo illustrarli con chiarezza ed in breve mediante esempi tratti dalla storia del banditismo di tipo sociale.

Tale fenomeno ci pone di fronte a due tipi opposti di fuorilegge. Da una parte il classico fuorilegge per vendet­ta di sangue, della Corsica per esempio, il quale non era un brigante di tipo sociale che combatteva i ricchi per aiu­tare i poveri ma un uomo che combatteva con e per il pro­prio gruppo familiare (ricchi compresi) contro un altro gruppo familiare (poveri compresi). D all’altra parte tro­viamo invece il classico Robin Hood, che era ed è essen­zialmente un contadino in rivolta contro padroni di terre, usurai ed altri rappresentanti di quella che Thomas More

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INTRODUZIONE

chiamava la «congiura dei ricchi». Fra i due estremi si svolge tutto un processo di evoluzione storica che non è mio intento analizzare in dettaglio. Cosi' tutti i membri della comunità familiare, compresi i fuorilegge, si consi­derano nemici degli estranei sfruttatori che tentino di im­porre le loro regole; si considerano tutti, collettivamente, « i poveri» contro, diciamo, i ricchi abitanti delle pianure che essi saccheggiano. Ambedue le situazioni, che conten­gono i germi di movimenti sociali come noi li intendiamo, possono riscontrarsi in passato nelle regioni montagnose della Sardegna, secondo gli studi del dottor Cagnetta. L ’avvento dell'economia moderna (combinato o meno con la conquista straniera) può rompere, come è probabi­le che effettivamente accada, l ’equilibrio familiare, tra­sformando alcuni gruppi in famiglie «ricche» ed altri in famiglie «povere», oppure distruggendo il gruppo stesso. Il sistema tradizionale del banditismo per vendetta di san­gue può (ed in effetti è probabile che possa) «prendere la mano» e provocare una molteplicità di faide straordina­riamente sanguinarie e di fuorilegge esasperati, in cui co­minciano ad introdursi elementi di lotta di classe. Questa fase di evoluzione è stata anche documentata ed in parte analizzata per quanto concerne le regioni montagnose del­la Sardegna, specie nel periodo tra il 1880 e la fine della prima guerra mondiale. Se non intervengono altri fattori, tale evoluzione può sboccare alla fine in una società in cui siano prevalenti i conflitti di classe, per quanto il futuro Robin Hood possa ancora - come spesso accade in Cala­bria - darsi alla montagna per ragioni personali in tutto simili a quelle che portarono il classico còrso al banditi­smo, specialmente per vendetta di sangue. Il risultato fi­nale di questa evoluzione potrà essere il tradizionale ban­dito sociale, che arriva al banditismo dopo un conflitto con lo Stato o con la classe dominante - ad esempio, un contrasto con il padrone del feudo - e che è una semplice espressione, piuttosto primitiva, di rivolta contadina. Da questo punto nelle grandi linee, ha inizio il nostro studio, che potrà però, occasionalmente, dare uno sguardo anche al passato. Trascureremo la «preistoria» dei movimenti qui esaminati; i lettori dovrebbero però esserne informa­

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CAPITOLO PRIMO

ti, specie se fossero portati a ricollegare le osservazioni e conclusioni di questo saggio con le primitive agitazioni so­ciali di cui tuttora si avvertono le tracce. Non è mia inten­zione incoraggiare generalizzazioni avventate. Movimenti del genere millenaristico, come quelli dei contadini anda­lusi, hanno senza dubbio qualcosa in comune, ad esempio, con i cargo cults della Melanesia: cosi le sette operaie dei minatori di rame della Rhodesia del Nord con quelle dei minatori di carbone del Durham. Non bisogna però mai dimenticare che le differenze possono anche essere note­voli e che in proposito questo saggio non offre una guida adeguata.

Per quanto non possano a priori venire circoscritti al mondo dei contadini, i movimenti sociali del primo grup­po trattato in questo libro sono in prevalenza di tipo ru­rale, almeno nell’Europa occidentale e meridionale del x ix e xx secolo. (Invero la Mafia ebbe alcune delle sue più salde radici tra i minatori di zolfo siciliani, prima che di­ventassero socialisti; d ’altronde i minatori sono un gene­re di lavoratori tipicamente arcaico). L i tratteremo nel­l ’ordine delle loro crescenti rivendicazioni. I l banditismo sociale, fenomeno universale e praticamente immutabile, è poco più di una endemica protesta contadina contro l ’oppressione e la povertà: un grido di vendetta contro i ricchi e gli oppressori, una vaga velleità di porre freno ad essi, una riparazione di torti individuali. Le sue ambizioni sono modeste: un mondo tradizionale in cui gli uomini siano trattati con giustizia, non un mondo nuovo e perfet­to. Da endemico il fenomeno diventa epidemico quando una società contadina, che non conosce mezzi migliori di autodifesa, si trova in una condizione di eccezionale ten­sione e di rottura. Il banditismo sociale non ha organizza­zione né ideologia e non può assolutamente adattarsi ai movimenti sociali moderni. Le sue forme di sviluppo più avanzato, che rasentano la guerriglia nazionale, sono rare e di per sé inefficaci. È indicativa dei legami esistenti tra il banditismo, protesta sociale endemica ed essenzialmen­te modesta, e altre forme di rivolta più ambiziose, la stra­na simbiosi tra brigantaggio e messianesimo rurale. In Andalusia, la zona dei bandoleros è anche quella dei lati­

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INTRODUZIONE 9

fondi e dell’anarchismo che ne deriva. Nel Brasile nord- orientale i cangageiros in generale diventano la milizia ar­mata dei profeti e dei messia, dovunque ne sorgano.

La Mafia e fenomeni similari (cap. m ) vengono pia esattamente considerati come uno sviluppo alquanto più complesso del banditismo sociale. Possono paragonarsi ad esso in quanto la loro organizzazione ed ideologia è di so­lito rudimentale, in quanto sono movimenti fondamental­mente riformisti piuttosto che rivoluzionari - salvo assu­mano qualche aspetto di resistenza collettiva all’avvento della società nuova - ed in quanto con esso hanno in co­mune la natura di fenomeno endemico, che qualche volta però diventa epidemico. C ’è in questi fenomeni, come nel banditismo sociale, una quasi totale impossibilità di adat­tarsi ai movimenti sociali moderni o di esserne assorbiti. D ’altronde le varie forme di mafia hanno carattere più permanente e di maggiore potenza in quanto, rispetto al banditismo sociale, prevale, sull’aspetto della rivolta in­dividuale, quello del sistema istituzionalizzato di norme al di fuori della legge ufficiale. In casi estremi esse posso­no arrivare a rappresentare un sistema di legge e di potere praticamente parallelo o sussidiario rispetto a quello dei governanti ufficiali.

La natura estremamente arcaica ed in effetti prepolitica del banditismo e della mafia rende difficile la loro classi­ficazione negli schemi politici moderni. Entrambi posso­no venire praticati, e lo sono, da varie classi e talora, co­me del caso della Mafia, diventano prevalentemente stru­mento di esponenti del potere o di aspiranti ad esso e, di conseguenza, cessano di essere in ogni senso movimenti di protesta sociale. Tanto il banditismo sociale quanto la Mafia sono anche estremamente sensibili alla profonda di­sorganizzazione sociale che sovente si impossessa delle zo­ne agricole arretrate con il sopravvenire di moderni rap­porti economici e sociali, e soprattutto perché la loro ca­pacità di fornire una alternativa reale alla società tradizio­nale in rovina è inadeguata. Pertanto in queste zone pos­sono dilagare la violenza e crudeltà patologica, quasi sem­pre presenti in tali situazioni, che rappresentano una cie­ca reazione a forze sociali odiate, non comprese e non con­

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IO CAPITOLO PRIMO

trollabili. Il culmine di tale violenza si trova in alcune re­gioni sottosviluppate, quali l ’America latina (ad esempio, la Colombia 1948-63).

I vari movimenti millenaristici trattati in questo saggio- i lazzarettisti in Toscana (cap. iv), i movimenti contadi­ni andalusi e siciliani (capp. v e vi) - differiscono dal ban­ditismo e dalla Mafia perché hanno carattere rivoluziona­rio e non riformista e perché possono quindi venire più facilmente modernizzati o assorbiti nei movimenti sociali moderni. Qui interessa vedere come questa modernizza­zione abbia luogo e fino a quali limiti si spinga. Noi soste­niamo che, finché il fenomeno sia lasciato nelle mani de­gli stessi contadini, il processo di modernizzazione non si verifica affatto o si verifica solo con molta lentezza e in maniera incompleta; si verifica invece in modo più com­pleto e con maggior successo se il movimento millenari- stico venga inserito in schemi organizzativi, in una teoria e in un programma che arrivino ai contadini dall’esterno. Ciò è dimostrato dal contrasto fra gli anarchici dei villag­gi andalusi ed i socialisti e comunisti dei villaggi siciliani; gli uni si orientarono verso una teoria che praticamente dimostrò ai contadini la bontà e la sufficienza della loro forma spontanea ed arcaica di agitazione sociale, gli altri invece verso una teoria che ne operò la trasformazione.

II secondo gruppo di studi tratta essenzialmente dei movimenti urbani ed industriali. Naturalmente è molto meno ambizioso perché la maggior parte delle forme prin­cipali di agitazione urbana e operaia è stata deliberatamen­te lasciata da parte. C ’è ancora, ovviamente, molto da di­re sugli stadi primitivi, ed anche su quelli sviluppati, del­le agitazioni operaie e socialiste - ad esempio sulle fasi utopistiche del socialismo - ma oggetto di questo saggio è, non tanto approfondire o rivalutare una storia già suffi­cientemente nota nei suoi lineamenti essenziali, quanto attrarre l ’attenzione su determinati argomenti ben poco studiati e tuttora in gran parte non conosciuti. Perciò ci occuperemo di fenomeni che più propriamente potrebbe­ro considerarsi marginali.

Lo studio del mob (cap. v ii) tratta di ciò che forse è l ’equivalente urbano del banditismo sociale, il più primi-

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INTRODUZIONE

rivo e prepolitico tra i movimenti della miseria cittadina, soprattutto in un certo tipo di grande città preindustriale. Il mob è un fenomeno particolarmente difficile da analiz­zare in termini chiari. Si può forse affermare con certezza soltanto che la sua azione fu costantemente diretta contro i ricchi, anche quando si diresse contro altri, come gli stra­nieri, e che non ebbe alcun saldo o duraturo vincolo di di­pendenza politica o ideologica, tranne forse quello con la propria città o i propri simboli. Il mob può normalmente considerarsi un movimento riformista in quanto di rado, e forse mai, si prelìsse l'edificazione di un ordine nuovo nella società, come obiettivo distinto dalla correzione del­le anormalità e delle ingiustizie nell’ambito del vecchio ordine tradizionale. Tuttavia, esso era perfettamente ca­pace di mobilitarsi al seguito di capi rivoluzionari, per quanto non completamente partecipe, forse, del significa­to dell’azione rivoluzionaria dei capi; inoltre, per la sua natura urbana e collettiva, aveva familiarità con il concet­to della «conquista del potere». È pertanto tutt’altro che agevole risolvere la questione della sua adattabilità a con­dizioni di vita moderne. Data la sua tendenza a scompari­re nel tipo moderno di città industriale, molto spesso la questione si risolve da sé, perché una classe operaia orga­nizzata opera su direttrici completamente diverse. Dove invece il fenomeno permane, la questione dovrebbe forse venire riproposta in questi termini: in quale stadio l ’azio­ne del mob, indirizzata da formule chiaramente politiche, cessò di ispirarsi a formule tradizionali («Chiesa e Re») per indirizzarsi a formule moderne, giacobine, socialiste e simili? e fino a che punto fu capace il mob di un defini­tivo assorbimento nei movimenti moderni ai quali si ri­collegava? Noi siamo propensi a credere che in sostanza esso fosse (e tuttora sia) fondamentalmente poco adatta­bile, come in effetti si potrebbe ritenere.

Le sette operaie (cap. v ili) rappresentano più chiara­mente una fase di transizione tra vecchi e nuovi fenome­ni: organizzazioni proletarie ed aspirazioni espresse at­traverso la tradizionale ideologia religiosa. Il fenomeno, nei suoi aspetti di completo sviluppo, ha carattere di ec- l- ,’itine ed è in gran parte circoscritto alle Loie britanni­

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che, perché altrove nell’Europa occidentale e meridionale la classe operaia fin da principio si affermò come un grup­po scristianizzato, salvo dove apparteneva alla religione cattolica, che molto meno del protestantesimo si presta a tale singolare adattamento. Anche in Inghilterra può con­siderarsi come un fenomeno della civiltà industriale arcai­ca. Per quanto non esistano a priori motivi perché le set­te religiose non siano rivoluzionarie (e in effetti talora lo sono state) vi sono alcune ragioni, ideologiche e ancor più sociologiche, perché le sette operaie abbiano tendenze ri- formiste. Certamente il settarismo operaio, facile e pron­to ad adattarsi a movimenti operai moderni di carattere moderato, si è adattato con una certa resistenza a movi­menti rivoluzionari, pur quando ha continuato a fornire terreno fertile ai rivoluzionari individuali. Probabilmen­te però non è esatto generalizzare in tal senso sulla base dell’esperienza inglese, cioè in base alla storia di un paese in cui i movimenti operai rivoluzionari sono stati, duran­te il secolo scorso, straordinariamente deboli.

L ’ultimo studio, sul rituale nei movimenti sociali (cap. ix) è difficile da classificare affatto. Ne abbiamo trattato soprattutto perché il singolare processo di ritualizzazione di tanti movimenti di questo tipo nel periodo tra la fine del x v m e la metà del x ix secolo è cosi manifestamente primitivo o arcaico, nel significato comunemente accetta­to della parola, che difficilmente potrebbe venire ignora­to. Però il ritualismo appartiene essenzialmente alla sto­ria della principale tendenza dei movimenti sociali moder­ni, che va dal giacobinismo al moderno socialismo e co­muniSmo e dalle prime associazioni professionali operaie al moderno sindacalismo. L ’aspetto sindacale è assoluta- mente elementare. Noi cercheremo soltanto di descrivere il carattere e la funzione dei primi rituali, gradualmente scomparsi man mano che il movimento è diventato più «moderno». Lo studio delle associazioni rituali rivoluzio­narie è ancora più anomalo perché, mentre tutti gli altri fenomeni esaminati in questo saggio appartengono al pau­perismo operaio, queste associazioni, almeno nello stadio di sviluppo iniziale, rappresentano essenzialmente un mo­vimento delle classi medie e di quelle p iù elevate. Può

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INTRODUZIONE 13

trovare posto in quest’opera in quanto le origini delle for­me moderne di organizzazione rivoluzionaria tra i poveri almeno in parte derivano da quelle associazioni.

Naturalmente queste osservazioni non esauriscono la questione del come i movimenti sociali primitivi si «adat­tino» alle condizioni moderne di vita, per non parlare del problema più ampio di cui questo è solo una parte. Come ho già osservato, determinati tipi di protesta sociale pri­mitiva non sono stati affatto esaminati in questo saggio. Non è stato fatto alcun tentativo di analizzare i movimen­ti analoghi o equivalenti che si sono prodotti o si stanno producendo nelle restanti e ben più estese parti del mon­do, che si trovano al di fuori della ristretta area geografica considerata in questo libro - e le regioni extraeuropee hanno prodotto movimenti sociali primitivi in misura e varietà ben maggiore dell’Europa sudoccidentale. Anche nell’ambito territoriale prescelto, a certi tipi di movimen­ti si è dato solo uno sguardo superficiale. È stata ad esem­pio poco trattata la preistoria di quei movimenti che im­propriamente (almeno nella misura in cui sono movimen­ti di massa) possono chiamarsi «nazionali», anche se al­cuni elementi dei vari fenomeni qui esaminati possono ri­condursi a tale categoria. Cosi la Mafia, in una certa fase della sua evoluzione, può venire considerata l ’embrione primordiale di un futuro movimento nazionale. In com­plesso mi sono limitato alla preistoria dei moderni movi­menti operai e contadini. In generale tutti i fenomeni esa­minati in questo libro grosso modo si verificano in epoca posteriore alla Rivoluzione francese e concernono preva­lentemente il problema dell’adattamento delle agitazioni popolari a una moderna economia capitalistica. La tenta­zione di rifarsi ad analogie con la precedente storia euro­pea o con altri tipi di movimenti è stata grande ma ho cer­cato di resistervi nella speranza di evitare argomenti non pertinenti e che potrebbero fuorviare.

Tali limitazioni non possono giustificarsi. Uno studio ampiamente comparativo e un’analisi dei movimenti so­ciali arcaici sono assolutamente necessari ma non credo tossano ancora intraprendersi, almeno in questa sede. Ancora non lo permette lo stato delle nostre conoscenze,

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C A P I l OL O P R I M O

manchevole perfino riguardo al più documentato tra i mo­vimenti trattati in questo libro. La nostra ignoranza è enorme. Molto spesso le uniche testimonianze o ricordi che abbiamo su movimenti arcaici di questo genere pro­vengono dalla scoperta accidentale di qualche loro aspet­to marginale, attraverso episodi giudiziari, oppure ad ope­ra di giornalisti a caccia di sensazioni o di studiosi sensi­bili a questioni fuori dell'ordinario. Per l ’ubicazione di questi movimenti, nella stessa Europa occidentale, il qua­dro di cui disponiamo è incerto almeno quanto lo era la mappa del mondo prima dell'avvento di una corretta tec­nica cartografica. Talora, come nel caso del banditismo so­ciale, i fenomeni sono talmente standardizzati da non ave­re grande importanza agli effetti di uno studio, anche bre­ve, del fenomeno. Altre volte, ricavare da una congerie di fatti incerti e contradittori: conclusioni coerenti, ordina­te e razionali è impresa insormontabile. Per i capitoli sul­la Mafia e sul rituale, ad esempio, il massimo pregio cheio possa rivendicare è quello della coerenza. È molto più arduo controllare l ’esattezza delle interpretazioni e delle spiegazioni addotte a proposito di quei movimenti anzi­ché a proposito, poniamo, dei banditi sociali. Lo studioso delle Mafie difficilmente ha a propria disposizione più di un solo fenomeno sufficientemente accertato su cui fon­dare le proprie teorie. Il materiale di cui dispone è estre­mamente povero, anche per quanto riguarda la Sicilia, salvo, forse, per un ben definito periodo di sviluppo della Mafia; anche per questo periodo le fonti si rifanno larga­mente alle dicerie popolari o alla pubblica opinione. Inol­tre l ’intero materiale disponibile è, spesso, contradditto­rio anche quando ha l ’apparenza dell'attendibilità e non consiste in quel tipo di dicerie a sensazione, che è attirato da questo genere di argomenti come le vespe sono attira­te dalla frutta. Qualsiasi storico che, in queste condizioni, s ’inducesse ad affermazioni perentorie lasciando stare le finalità, farebbe una grande sciocchezza.

Questo libro quindi è un esperimento incompleto e non pretende essere niente di più. Esso si presta alle cri­tiche di tutti coloro le cui particolari competenze vengo­no sfruttate e che hanno ragione di dolersi non soltanto

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INTRODUZIONE

dello sfruttamento ma anche della maniera maldestra con cui talora sono stati sfruttati. Si presta altresì alle censure di quanti sono convinti che uno studio monografico ap­profondito sia preferibile a un insieme di notazioni neces­sariamente superficiali. C 'è solo una risposta a queste obiezioni: è ormai tempo che movimenti del genere trat­tato in questo libro non vengano più considerati sempli­cisticamente come una serie incoerente di curiosità indi­viduali, quasi un’appendice storica, ma siano approfondi­ti come fenomeni di importanza generale e di peso consi­derevole nella storia moderna. Quanto Antonio Gramsci disse dei contadini dell’Italia meridionale del 19 20 si adatta a molti gruppi sociali e regionali del mondo mo­derno. Essi sono «in perenne fermento ma incapaci, co­me massa, di dare una espressione unitaria alle proprie aspirazioni e ai propri bisogni». Soggetto di questo libro è appunto questo fermento, i primi episodi di lotta segui­ti all’espressione fattiva di queste aspirazioni ed i possi­bili modi della loro evoluzione. Non conosco alcuno stu­dioso inglese che finora abbia tentato di considerare l ’in­sieme di questi movimenti come una specie di stadio «preistorico» di agitazione sociale. Forse un tentativo del genere è erroneo o prematuro. D ’altronde qualcuno vor­rà pure muovere il primo passo, anche a rischio di muo­vere un passo falso.

Nola.

Questa può essere la sede adatta per alcuni chiarimenti ter­minologici su espressioni di uso frequente in questo saggio, ire b b e pedanteria definire ogni termine che si presti ad in­terpretazioni erronee. L ’uso che farò di termini quale «feu­dale» può prestarsi alle critiche dei medievalisti; non è però necessario che io ne precisi e ne giustifichi il senso, dato che la sostanza delle mie argomentazioni non viene alterata dalla sostituzione con un termine diverso o dalla soppressione del Termine stesso. Inoltre le mie tesi si fondano in parte sulla di­stinzione tra movimenti sociali rivoluzionari e riformisti. É quindi opportuno fare qualche precisazione su tali termini.

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CAPITOLO PRIMO

Il concetto è assolutamente chiaro. I riformisti accettano la struttura generale di un’istituzione o di un ordinamento so­ciale ma la considerano suscettibile di miglioramento oppure di riforma, laddove in quella struttura si siano infiltrati fatto­ri degenerativi; i rivoluzionari affermano che le strutture de­vono venire radicalmente trasformate o sostituite. I riformi­sti cercano di migliorare e trasformare la monarchia o di ri­formare la Camera dei Lord; i rivoluzionari sono convinti che l'unica soluzione utile sarebbe l ’abolizione di quelle istituzio­ni. I riformisti aspirano a creare una società in cui la polizia non commetta arbitri e i giudici non siano al servizio dei pa­droni e dei mercanti; i rivoluzionari, per quanto simpatizzino con tali idee, vogliono una società in cui non vi siano né poli­ziotti né giudici nel senso in cui essi vengono intesi attualmen­te, per non parlare di padroni e di mercanti. Per motivi di op­portunità questi termini vengono riferiti a movimenti che in­vestono l ’inteto ordine sociale piuttosto che istituzioni parti­colari in seno ad esso. La distinzione è di antica data. Fu po­sta, in effetti, da Gioacchino da Fiore (1145-1202), il millena­rista che bene fu definito da Norman Cohn l ’inventore del si­stema profetico che ebbe la massima influenza in Europa pri­ma dell’avvento del marxismo. Egli distingueva tra il regno della giustizia o legge, la cui essenza consiste nella regolamen­tazione equa delle relazioni sociali in una società imperfetta, e il regno della libertà, che è la società perfetta. È importante ri­cordare come le due cose non fossero affatto equivalenti, seb­bene Tuna potesse essere una fase necessariamente prelimina­re allo sviluppo dell’altra.

Perno di tale distinzione è il fatto che i movimenti riform i­sti e rivoluzionari tenderanno per loro natura a com portarsi in modo diverso ed a sviluppare diversa organizzazione, stra­tegia, tattica, ecc. È perciò importante, nello studiare un mo­vim ento sociale, sapere a quale dei due gruppi esso appar­tenga.

Non è però affatto facile, salvo in casi estrem i e per brevi periodi di tempo; tuttavia questo non è un buon m otivo per rinunciare alla distinzione. Nessuno potrà negare le aspirazio­ni rivoluzionarie dei m ovim enti m illenaristici che respingono la realtà del mondo al punto da rifiutare di seminare, mietere e perfino procreare fino a che il mondo non abbia avuto ter­mine - o il carattere riform ista, ad esempio, del Com itato par­lam entare del Tue inglese alla fine del secolo x ix . D i solito però la situazione è più complessa, anche quando non viene complicata dalla riluttanza (che in materia politica è generale)

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INTRODUZIONE

degli uomini ad accettare ben precise definizioni, le cui impli­cazioni non sono di loro gradimento; come per .l'sempi'j av­viene per i radicalsocialisti francesi, per nulla pccpensi a ri­nunciare ai vantaggi elettorali di un nome che f erv,’ a celare il fatto che essi non siano né radicali né socialis' i.

In pratica, ogni uomo, che non sia un dottc.r Pangloss, e ogni movimento sociale sottostanno a impulsi d' riformismo e rivoluzionarismo di forza variabile nei diversi periodi di tempo. Salvo che in periodi eccezionali di crisi profonde e di rivoluzioni, o nell’immediata vigilia di eventi del genere, an­che i rivoluzionari più estremisti sono costretti ad avere una politica in merito alla realtà attuale del mondo in cui sono ob­bligati a vivere. Se vogliono rendere questo mondo più tolle­rabile per il tempo in cui si preparano alla rivoluzione, oppu­re se vogliono prepararvisi in modo efficiente, essi devono es­sere anche riformisti, a meno di abbandonare completamente il mondo per edificare qualche Sion comunista nel deserto o nella prateria oppure, come fanno molte società religiose, tra­sferire ogni speranza nell’aldilà, cercando di attraversare sen­za lamenti questa valle di lacrime, in attesa che la morte ven­ga a liberarli. (In quest’ultimo caso non sono più né rivolu­zionari né riformisti ma diventano conservatori). La speranza di una società veramente buona e perfetta è d’altra parte cosi potente che permea dei suoi ideali anche coloro che si sono rassegnati all’impossibilità di trasformare il mondo o la natu­ra umana e sperano soltanto nelle riforme minori e nella eli­minazione degli abusi. In seno al riformista più convinto c’è spesso un rivoluzionario modesto e pavido che anela ad emer­gere ma che di solito, con il progredire dell’età, viene invece più strettamente imprigionato. Nell’assenza di ogni prospet­tiva di rivoluzione vittoriosa, i rivoluzionari possono trasfor­marsi in riformisti di fatto. Nella fase inebriante ed eccitante della rivoluzione in atto la grande ondata della speranza uma­na può trascinare anche i riformisti nel campo dei rivoluzio­nari, pur con qualche riserva mentale. Fra questi due estremi può trovar posto una grande varietà di posizioni intermedie.

La complessità delle situazioni non infirma la validità della distinzione, che non può venire negata dal momento che (a ragione o a torto) ci sono uomini e movimenti che si conside­rano rivoluzionari o riformisti e che nella loro azione si riferi­scono ad ipotesi rivoluzionarie o riformiste. Tale distinzione è stata però indirettamente contrastata soprattutto da quanti negano la possibilità di una qualsiasi trasformazione rivolu­zionaria della società o la ritengono inconcepibile per esseri

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CAPITOLO PRIMO

umani ragionevoli e perciò sono incapaci di comprendere l'at­teggiamento dei movimenti rivoluzionari. (Si veda la persi­stente tendenza, teorizzata per la prima volta dai criminologi positivisti della fine del xix secolo, a considerarli come feno­meni psicopatologici). Non è questa la sede per discutere tali punti di vista. Al lettore di questo libro non si chiede di sim­patizzare con i rivoluzionari, tanto meno con quelli primiti­vi; gli si raccomanda soltanto di ammettere che essi esistano e che c’è stata almeno qualche rivoluzione che ha trasformato profondamente la società, sia pure in modo diverso da quello previsto dai rivoluzionari o in senso meno totale, completo e duraturo di quello da loro desiderato. Riconoscere però che nella società si verificano mutamenti profondi e fondamentali non significa credere anche che sia realizzabile l’utopia.

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Capitolo secondo

Il banditismo sociale

Banditi e grassatori interessano innanzitutto la polizia, ma dovrebbero interessare anche gli storici di questioni sociali. In un certo senso, infatti, il banditismo è una for­ma piuttosto primitiva di protesta sociale organizzata, for­se la più primitiva che si conosca. Certamente questo è ciò che i poveri, in molte società, scorgono nel banditi­smo e perciò proteggono i banditi, li considerano loro campioni, li idealizzano e ne fanno dei miti: Robin Hood in Inghilterra, Janosik in Polonia e Slovacchia, Diego Corrientes in Andalusia, sono tutti, verosimilmente, per­sonaggi reali, idealizzati. Da parte sua il bandito cerca di adeguarsi al ruolo affidatogli, anche se non è un ribelle sociale consapevole. Naturalmente Robin Hood, il proto­tipo del ribelle sociale «che prese ai ricchi per dare ai po­veri e non uccise mai se non per difesa o giusta vendetta», non è unico nel suo genere. Un uomo deciso, che non in­tenda sopportare il fardello tradizionale dell’uomo qua­lunque in una società classista, miseria e rassegnazione, può disfarsene unendosi agli oppressori o servendoli op­pure ribellandosi a loro. In ogni società contadina ci sono banditi dei padroni e banditi contadini, per non parlare dei banditi a servizio dello Stato, sebbene solo i banditi contadini ricevano il tributo dell’aneddotica e dei canti popolari. Sovrintendenti, poliziotti e soldati mercenari vengono spesso reclutati dallo stesso materiale umano dei banditi sociali. Inoltre - come ci dimostra l ’esperienza della Spagna meridionale tra il 18 50 ed il 18 7 5 - una for­ma di banditismo può facilmente trasformarsi in un’altra- il nobile grassatore e contrabbandiere nel bandolero,

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2 0 CAPITOLO SECONDO

protetto dal padrone o cacicco locale. La ribellione indi­viduale è di per sé un fenomeno socialmente neutro e di conseguenza riflette le divisioni e le lotte in seno alla so­cietà. Torneremo a trattare questo problema nel capitolo sulla Mafia.

Tuttavia esiste una sorta di tipo ideale di banditismo sociale ed è questo che io mi propongo di descrivere, an­che se nella realtà storica, astraendo dalla leggenda, pochi siano i banditi che corrispondono completamente a quel tipo. Alcuni però, come Angelo Duca ( Angiolillo), realiz­zano una perfetta corrispondenza con quel modello ideale.

La descrizione del bandito ideale non è affatto un’a­strazione, poiché la caratteristica più sorprendente del banditismo sociale è la sua notevole uniformità e standar­dizzazione. Il materiale utilizzato in questo capitolo pro­viene quasi interamente dall’Europa dal x v m al xx seco­lo e soprattutto dall’Italia meridionale Ma ci si trova di fronte a fatti che, per quanto accaduti in epoche così di­stanti quali la metà dei secoli x v m e xx e in luoghi così indipendenti l ’uno dall’altro quali la Sicilia e l ’Ucraina carpatica, sono talmente simili che si è portati a genera­lizzare, in piena fiducia. Tale uniformità si riscontra tan­to nei miti del bandito - vale a dire nella funzione che ad esso viene attribuita dal popolo - quanto nel suo compor­tamento effettivo.

Qualche esempio di tale parallelismo potrà chiarire le nostre affermazioni. Quasi mai la popolazione aiuta le au­torità a catturare il bandito contadino, anzi lo protegge. È cosi nei villaggi siciliani nel 1940 e in quelli moscoviti del x v n secolo 2. La fine tipica del bandito è per tradimen­to: infatti quasi tutti i banditi, se fonte di eccessivo fasti­dio, verranno presi isolatamente e distrutti, per quanto il banditismo possa rimanere endemico. Oleksa Dovbus, il

1 Per questa regione mi sono valso non soltanto delle consuete fonti bibliografiche ma anche delle preziose informazioni del professor Ambro­gio Donini, di Roma, che ha avuto contatti con ex banditi, e di materiale giornalistico. Poiché questo è stato pubblicato in originale, ho approfon­dito le tesi generali esposte in questo capitolo con ulteriori studi sui ban­doleros spagnoli e la letteratura sul banditismo nell’America latina.

2 j, l . H. keep, Bandits and the Law in M uscovy, in «Slavonic Re­view », x x x v , 84, dicembre 19.56, pp. 201-23,

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IL BANDITISMO SOCIALE 21

bandito carpatico del x v m secolo, fu tradito dalla sua amante; Nikola Suhaj, che pare fosse attivo all’incirca tra il 19 18 ed il 19 20 , dai suoi am ici’ ; Angelo Duca (Angio- iillo) all’incirca tra il 176 0 ed il 178 4 , l ’esempio forse più puro di banditismo sociale, della cui carriera Benedetto Croce ha fatto una analisi m agistrale: subì la stessa sor­te. Nello stesso modo, nel 19 50 finì Salvatore Giuliano di Montelepre, in Sicilia, il più famigerato fra i banditi mo­derni, le cui gesta sono state di recente narrate in un libro commovente5. E questa fu la fine dello stesso Robin Hood. Ma la legge, per dissimulare la propria impotenza, rivendica a sé il merito della cattura o della morte del bandito: la polizia spara sul cadavere di Nikola Subaj per rivendicarne l ’uccisione, come spara sul cadavere di G iu ­liano, se dobbiamo credere a Gavin M axwell. La prassi è talmente comune che c ’è perfino un proverbio còrso che ne parla: «ucciso dopo morto come un bandito dalla po­liz ia»4. A loro volta i contadini alle molte altre virtù leg­gendarie ed eroiche del bandito aggiungono l ’invulnera­bilità: Angiolillo si credeva possedesse un anello magico che respingeva le pallottole. Suhaj era invulnerabile per­ché - le teorie erano discordi - agitando un ramoscello verde deviava le pallottole o perché una strega gli aveva ratto bere una pozione che gli dava il potere di resistere al­le pallottole; per questo dovettero ucciderlo con una scu­re. Oleksa Dovbus, il leggendario bandito-eroe carpatico del x v m secolo, potè venire ucciso soltanto con una pal­lottola d ’argento, che era stata tenuta per un anno in una scodella di frumento marzuolo, benedetta da un prete nel­la ricorrenza dei santi apostoli e su cui dodici preti aveva­no celebrato dodici messe. Non ho dubbi che miti del ge­nere facciano parte del folclore di molti altri banditi famo-

J II romanzo di i. o l h r a c h t , I l bandito N ikola Shuhaj [N ikola Subuj L jU p ein iik ), ed. ted. R ijtten e Loning, Berlin 1953, è non soltanto un Massico, mi dicono, della moderna Cecoslovacchia ma è anche il quadro i l gran lunga più commovente e storicamente esatto del banditismo so­nale, che io abbia trovato.

■ A ngiolillo j capo d i banditi, in La rivoluzione napoletana del 1799* Bari 19 12 ,

3 G. MAXWELL. G o d pm iect me from my friends, London 1956 [trad.Dagli amici m i guardi Id d io , Milano 19>7J.4 p. boukde, E iì Corse, Paris 1887, p. 207.

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2 2 CAPITOLO SECONDO

si Naturalmente nessuna di queste pratiche o credenze è derivata dall’altra. Esse sorgono in zone e in epoche diver­se in dipendenza della notevole similarità che esiste nelle rispettive società e situazioni che dànno luogo alla nascita del banditismo sociale.

Può essere utile abbozzare un quadro della vicenda ti­pica del bandito sociale. Si diventa banditi perché si com­mette qualcosa che pur non essendo considerata crimina­le dalla coscienza popolare del luogo, invece lo è per lo Stato o i governanti locali. Cosi Angiolillo si dette alla macchia dopo una lite sorta per il bestiame sbandato con una guardia campestre del duca di Martina. I l più cono­sciuto tra i banditi che battevano la zona dell’Aspromon- te in Calabria, Vincenzo Romeo di Bova (che, tra paren­tesi, è l ’ultimo paese d ’Italia dove si parli il greco antico), divenne fuorilegge dopo il rapimento della ragazza che poi sposò, mentre Angelo Macri di Delianova ammazzò un poliziotto che aveva ucciso suo fratello 1. Vendetta di sangue (faida) e matrimonio con ratto sono comuni in questa parte della C alabria3. Infatti la maggior parte dei quaranta fuorilegge (tra i centosessanta ed oltre, fuori­legge latitanti nella provincia di Reggio Calabria nel 19 55) che si dettero alla macchia per omicidio, sono con­siderati, secondo l ’opinione locale, omicidi per causa d ’o­nore. Lo Stato interviene nelle «legittim e» dispute priva­te e, secondo la sua considerazione, l'uomo si trasforma in criminale. Lo Stato mostra interesse per un contadino a seguito di una piccola infrazione alla legge, e questi si dà alla macchia perché non può sapere quello che gli deri­verà da un sistema che ignora e non comprende i contadi­ni, e che i contadini a loro volta non comprendono. M a­riani Dionigi, un bandito sardo degli anni dopo il 1890 , fuggì perché stava per essere arrestato per complicità in

1 Sulle attuali credenze nell’efficacia degli amuleti (in questo caso un brevetto reale) cfr. il n. 3 dell’appendice: l ’ interrogatorio di un brigante borbonico.

2 «Paese sera», 6 settembre 19.5,5.3 « L a voce di Calabria», 1-2 settembre 1955; R. Longone in « l ’Uni­

tà» del io settembre 1955 osserva che. anche dopo la sparizione delle al­tre funzioni delle associazioni segrete locali, i giovanotti ancora «rapisco­no la donna che amano e che poi regolarmente sposano».

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IL BANDITISMO SOCIALE 23

un omicidio «giustificato». Goddi Moni Giovanni fuggi per la stessa ragione. Campesi (soprannominato Piscim- pala) fu ammonito dalla polizia nel 1896 , arrestato poco dopo per aver contravvenuto aH’ammonizione e condan­nato a dieci giorni di carcere e a un anno di libertà vigila­ta; fu anche condannato a una multa di lire 1 2 , jo per aver fatto pascolare le sue pecore nella proprietà di un certo Salis Giovanni Antonio. Egli preferì darsi alla mac­chia, tentò di uccidere il giudice a fucilate e ammazzò il suo creditore Si dice che Giuliano abbia ucciso un poli­ziotto che voleva arrestarlo perché vendeva a borsa nera due sacchi di grano, mentre un altro contrabbandiere che aveva denaro a sufficienza per corromperlo veniva lascia­to libero; azione, questa, che certamente verrebbe consi­derata «onorevole». In effetti, quanto abbiamo osserva­lo a proposito della Sardegna è quasi certamente suscetti­bile di più generale applicazione:

La «carriera» di un bandito ha quasi sempre origine da un fatto in sé non grave che lo spinge alla latitanza: un’ac­cusa persecutoria per abigeato, una falsa testimonianza, un errore o un intrigo giudiziario, un’assegnazione ingiusta, o comunque sentita come un'ingiustizia, al confino di poli­zia \

È importante che all’inizio il bandito sociale venga con­siderato onorevole o non criminale dalla popolazione per­ché, se fosse considerato criminale per la consuetudine del luogo, non potrebbe godere di quella protezione loca­le su cui è costretto a fare completo affidamento. Virtual­mente quasi tutti coloro che si trovano in contrasto con gli oppressori o con lo Stato hanno titolo per essere con­siderati vittime, eroi o tutt’e due le cose. Il latitante, per­ciò, viene istintivamente protetto dai contadini e dalla rorza delle convenzioni locali che si rifanno alla legge « no­stra» (consuetudini, faida o quant’altro sia) in contrap­posto alla «loro» e alla giustizia «nostra» contrapposta a quella dei ricchi. A meno che non sia molto pericoloso,

1 v. span o, I I banditismo sardo e i problem i della rinascita, bib lioteca i : «Riform a agraria», Roma s. d., pp. 22-24.

2 ID., I l banditismo sardo e la rinascita d e ll’isola , in «R inascita», x, :2 dicembre 1953.

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2 4 CAPITOLO SECONDO

egli godrà dell’appoggio della Mafia, in Sicilia, della cosid­detta Onorata Società ' nella Calabria meridionale e della pubblica opinione dappertutto. Cosi gli sarà possibile (e per lo più succede proprio questo ) vivere nelle vicinanze del suo paese, donde verrà rifornito del necessario. Ro­meo, ad esempio, vive normalmente a Bova con la moglie e i figli e vi ha anche costruito una casa. Giuliano fece lo stesso al suo paese, Montelepre. Infatti l'attaccamento del bandito alla sua terra - generalmente quella dov’è na­to e dove vive la «sua» gente - è di solito molto forte. Giuliano visse e mori nel territorio di Montelepre, come i banditi siciliani suoi predecessori, Valvo, Lo Cicero e Di Pasquale, erano vissuti ed erano morti a Montemag­giore e Captato a Sciacca \ La cosa peggiore che possa ca­pitare a un bandito consiste nel venire tagliato fuori dal­le proprie fonti di rifornimento locali, poiché egli si tro­verà allora letteralmente costretto al saccheggio e al furto ai danni della sua gente e diventerà un criminale passibile di denuncia. Le parole di quel funzionario còrso, che la­sciava regolarmente nella sua casa di campagna grano e v i­no per i banditi, dipingono uno degli aspetti della situazio­ne: «meglio nutrirli in questo modo piuttosto che obbli­garli a rubare ciò di cui hanno bisogno» . Il comporta mento dei briganti nella Basilicata illustra l ’altro aspetto. In questa regione il brigantaggio cessava durante l ’inver­no e qualche brigante emigrava perfino, in cerca di lavoro, perché era difficile per i fuorilegge trovare da sfamarsi. In primavera, quando vi era di nuovo disponibilità di cibo, ricominciava la stagione del brigantaggio Questi taglia- gole lucani sapevano di non poter obbligare i poveri con-

1 r . lo n g o n e , Leg?yenda e realtà della «mafia calabrese», in « l ’Unità»,io settembre 19*55: « ... Quando qualcuno, ad esempio, in un paese, com­mette un delitto d ’onore e si rende latitante ia 'Ndranghita iocale: anche se non si tratta di un suo membro, sente il dovere di soccorrerlo, di aiu­tarlo a nascondersi, a fuggire; sente il dovere di sussidiare la famiglia del ricercato ».

2 G. ALONGi, La M afia, Torino 1887, p. 109; nonostante il suo titolo questo libro è molto più utile per il briganraggio che per la mafia.

3 b o u r d e , E n Corse c it., pp. 2 18-19 .4 G. RACIOPPI, Storia dei moti d i Basilicata... nel i860 , B ari 1909, P-

304. Testim onianza oculare di un rivoluzion ario liberale e funzionario della zona,

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IL BANDITISMO SOCIALE 25

tadn i a nutrirli, come certamente avrebbero fatto se fos­sero stati truppa di occupazione. Il governo spagnolo do­po il 19 50 , pose fine a ll’attività dei guerriglieri repubbli- :ani sui monti dell’Andalusia dirigendo l ’azione repressi­va contro i simpatizzanti repubblicani e le fonti di rifor­nimento dei paesi, obbligando cosi i fuorilegge a procu­rarsi cibo con il furto e ad inimicarsi i pastori, apolitici, che perciò furono indotti a denunciarli '.

Qualche altra osservazione completerà il quadro della vita del bandito. Di solito è giovane e scapolo o senza le­dami, non fosse altro perché è ben più difficile rivoltarsi contro l ’apparato del potere quando si hanno responsabi­lità familiari: dopo il i860 due terzi dei banditi della Ba­silicata e della Capitanata avevano meno di venticinque anni \ Naturalmente il bandito può rimanere solo - come di solito accade quando si commette un delitto tradiziona­le che, giusta le consuetudini, consente l ’eventuale rien­tro nella piena legalità (quali la vendetta e il ratto). Si di­ce che la maggior parte dei centosessanta (circa) fuorileg­ge esistenti nella Calabria meridionale siano lupi solitari di tal genere; individui, cioè, che vivono ai margini del proprio paese, cui sono legati da vincoli di parentela o da necessità di sostentamento, da cui però sono al tempo stesso tenuti lontani dai nemici e dalla polizia. Se si uni­sce ad altri o forma una banda (con ciò vincolandosi a un determinato numero di rapine) di rado questa banda sarà molto numerosa, e ciò per ragioni in parte economiche e in parte organizzative, perché la sua coesione è assicurata soltanto dal prestigio personale del capo. Si conoscono al­cune bande molto piccole - ad esempio i tre uomini cat­turati in Maremma nel 189 7 (a causa di tradimento, non occorre d i r lo ) S i parla anche di bande molto numerose, fino a sessanta uomini, fra i bandoleros andalusi del x ix secolo, ma esse godevano dell’appoggio dei maggiorenti locali (cacicchi), che le tenevano al proprio servizio, e per

1 j. piTT-RiVERS, People 0/ the Sierra, 1 9 5 4 , p p . 1 8 1 - 8 3 .2 p a n i -r o s s i , La Basilicata, 1 8 6 8 , citato in c. l o m b r o s o , L'uom o delin ­

quente, 18 9 6 , I , p. 6 1 2 .3 e. r o u tin i, I briganti celebri, Firen ze 18 9 8 , p. 5 2 9 .

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questo motivo esulano forse del tutto dal nostro tema In periodi di rivoluzione, quando le bande diventano po­tenziali unità di guerriglieri, si formano anche bande più numerose, di qualche centinaio di uomini, ma anche que­ste godono nell’Italia meridionale dell’appoggio finanzia­rio e d ’altro genere delle autorità borboniche. L ’assetto normale delle bande di briganti-guerriglieri è un comples­so di molte unità minori, coalizzate nelle operazioni. In Capitanata,'sotto Gioacchino Murat, c ’erano una settanti­na di bande; in Basilicata, nei primi anni dopo il Sessanta, trentanove; in Puglia circa trenta. Il numero medio dei componenti le bande della Basilicata viene indicato «da venti a trenta», ma dalle statistiche può venire determina­to in quindici-sedici. Possiamo ritenere che una banda di trenta uomini - come quella che Giuseppe de Furia guidò per molti anni durante l ’epoca napoleonica e della restau­razione - rappresenti all’incirca la massima unità che pos­sa venire governata da un capo di media levatura, senza quella organizzazione e disciplina che soltanto pochi capi briganti furono capaci di mantenere, mentre unità più nu­merose portano a secessioni. (Osserviamo che analogo fe­nomeno si verifica anche in quelle piccole sette protestan­ti secessioniste, quali i West Country Bible Christians, che riunivano in media trentatre membri per cappella nel de­cennio 18 7 0 -8 0 )2.

Non sappiamo esattamente quanto durasse una banda. Supponiamo che la sua durata dipendesse dallo scalpore da essa suscitato, dal grado di tensione della situazione sociale, dalla complessità della situazione internazionale (nel periodo dal 1799 al 18 15 l ’aiuto borbonico e inglese alle bande poteva farle agevolmente sopravvivere per

1 Cfr. le continue e prolisse doglianze di don Julian de Zugasti, go­vernatore della provincia di Cordova, incaricato della repressione del ban­ditismo, nel suo Bandolerismo , Madrid 1876-80, 10 voli.; per esempio, Introduzione, vol. I, pp. 77-78, 18 1 e specialmente 86 sgg.

2 a . LUCARELLI, Il brigantaggio politico de l Mezzogiorno d ’Italia 18 15 - 18 18 , Bari 1942, p. 73; i d ., I l brigantaggio politico de lle Puglie dopo il i860 , Bari 1946, pp. 102-3, 13.5-6; RACiOPPi, Storia dei moti d i Basilicata cit., p. 299; Blunt's "Dictionary 0/ Sects and Aeresies, s. v. «m etodisti», «bryaniti» (London 1874). La posizione socialmente normale del classico Robin Hood è indicata dal fatto che, ad esempio nel Messico, i briganti contadini non parlano il gergo {calò) dei criminali comuni.

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L BANDITISMO SOCIALE 27molti anni) e dalla protezione che poteva ottenere. Giu- 'iano (con una forte protezione) durò sei anni ma, verosi­milmente, un Robin Hood con qualche ambizione sareb­be fortunato a sopravvivere per più di due o al massimo quattro anni; Janosik, il prototipo dei banditi, attivo nei Carpazi all'inizio del x v m secolo, e Suhaj durarono due anni; Diego Corrientes t re 1; il sergente Romano durò trenta mesi nelle Puglie dopo il i860 , e bastarono cinque anni a spezzare la schiena dei più tenaci briganti borbonici dell'Italia meridionale. Però una piccola banda isolata senza grandi ambizioni, come quella di Domenico Tibur- zi ai confini del Lazio, potette durare per venti anni (dal 1870 al 1890). Se lo Stato glielo permetteva il bandito poteva agevolmente sopravvivere e tornare alla comune vita del contadino; infatti l ’ex bandito poteva facilmente rientrare nella società, dato che le sue attività erano con­siderate criminali soltanto dallo Stato e dai ceti supe­riori \

Non ha molta importanza il fatto che un bandito inizi la sua carriera per motivi parapolitici - come Giuliano, che aveva motivi di rancore contro la polizia e il gover­no - , oppure che si dia alla rapina soltanto perché per un fuorilegge è naturale comportarsi cosi. Quasi certamente egli cercherà di adeguarsi, sotto qualche aspetto, al mo­dello di Robin Hood; cercherà cioè di essere «un uomo che prese al ricco per dare al povero e non uccise mai se non per legittima difesa o giusta vendetta». Egli è virtual­mente obbligato a farlo, poiché c ’è da prendere di più al ricco che al povero e se prendesse al povero o commettes­se un omicidio «illegittim o», perderebbe il suo bene più prezioso, cioè l ’aiuto e il favore generale. Se è generoso con i suoi guadagni, lo fa perché, nella sua posizione e in una società di valori precapitalistici, solo con la grandio­sità egli può ostentare il suo potere e la sua condizione. Anche se in effetti egli prescinda da motivi di protesta so­ciale, la pubblica opinione sarà convinta del contrario, co­

1 c . b e r n a ld o de QuiROS, E l Bandolerismo en Espana y en M exico , Mexico 1959, ( i a ed. M adrid 1933), cap. v.

2 PiTT-RivERS, People of the Sierra cit., p. 183 ; m a f f e i , Brigand L ife In Ita ly , 2 v o li., London 1865, I , pp. 9-10.

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sicché anche un autentico delinquente professionale po­trà arrivare a carpire il favore generale. Schinderhannes, il più famoso anche se non il più importante fra i capi­banda che infestarono la valle del Reno poco prima del 1800 , non era in alcun senso un bandito sociale (Come è dimostrato dal suo nome, egli proveniva da un basso mestiere, tradizionalmente collegato con il mondo dei di­seredati). Per le sue «relazioni pubbliche» tuttavia egli trovava utile divulgare il fatto che derubava soltanto gli ebrei - cioè commercianti e usurai - e gli aneddoti e le leggende che si moltiplicavano sul suo conto gli riconosce­vano molti degli attributi eroici di un Robin Hood idea­lizzato: generosità, riparazione dei torti, cortesia, senso di humour, scaltrezza e coraggio, ubiquità fino all’invisi­bilità - nell’aneddotica tutti i banditi si aggirano per la campagna con travestimenti impenetrabili - e cosi via. Nel suo caso però questi attributi erano assolutamente immeritati e le nostre simpatie vanno interamente a jean- bon St-André, l ’anziano membro del Comitato di salute pubblica, che sgominò quei banditi. Ciononostante egli potè benissimo, almeno per un certo tempo, sentirsi pro­tettore dei poveri. I criminali provengono dai poveri e, su certi argomenti, sono dei sentimentali. Cosi un tipico criminale quale M r Billy H ill, la cui autobiografia ( 19 5 5) merita uno studio più approfondito dal punto di vista so­ciologico di quanto finora sia stata oggetto, si abbandona alla consueta autocommiserazione piagnucolosa per giu­stificare la propria prolungata carriera di ladro e di ban­dito con la necessità di distribuire denaro alla «sua» gen­te, cioè a svariate famiglie di manovali irlandesi di Cam­den Town. Il Robinhoodismo, che essi ci credano o no, è utile ai banditi.

Non tutti però sono costretti a recitare quella parte per forza. M olti l ’assumono spontaneamente, come fece Pasquale Tanteddu in Sardegna, le cui idee (sotto qual­che aspetto influenzate dal comuniSmo) vengono esposte più ampiamente in appendice. Mi hanno poi riferito che

1 La fonte principale è b . b e c k e r , Aktemnàssìge Geschichte der Rau- bcrbanden an den beìden Ufern des R beines, Kòln 1804.

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un capo bandito calabrese degli anni precedenti il 19 14 faceva offerte regolari al partito socialista. Si conoscono dei Robin Hood sistematici: Gaetano Vardarelli delle Puglie, che fu dapprima perdonato e poi tradito ed ucciso dal re nel 18 18 , distribuiva sempre ai poveri parte del bottino, li riforniva gratuitamente di sale, costringeva i fattori, pena il massacro, a dare il pane ai lavoratori del fondo e la borghesia terriera del luogo a permettere ai poveri di spigolare nei campi. (Per alcune sue attività, vedere in appendice). Angiolillo fu una vera eccezione, per la sua ricerca sistematica di una giustizia integrale, maggiore di quella che poteva ottenersi con donazioni occasionali e interventi individuali. «Quando arrivava in un paese, - si dice, - riuniva un tribunale, ascoltava i con­tendenti, emetteva la sentenza e adempiva a tutte le fun­zioni di un magistrato». Si crede anche che abbia punito trasgressori della legge comune. Ordinava che si ribassas­se il prezzo del grano, confiscava il grano immagazzinato dai ricchi e lo distribuiva ai poveri. In altre parole, egli agiva come un secondo governo nell’interesse dei conta­dini. Non può quindi meravigliare il fatto che nel 1884 il suo paese volle intitolare al suo nome la strada principale.

Alla loro maniera, più rozza, i briganti del Sud dei primi anni dopo il i860 , come quelli del periodo 1799- 18 1 5 , si consideravano campioni del popolo contro i ceti superiori e i «forestieri». Forse l ’Italia meridionale in queste due epoche offre l ’immagine più prossima a una rivoluzione di massa e a una guerra di liberazione guidata da banditi sociali. (Non a caso «bandito» è ormai diven­tato il termine abitualmente usato dai governi stranieri per i guerriglieri rivoluzionari), grazie a una vasta lette­ratura erudita ora si comprende bene la natura di queste epoche di brigantaggio e pochi studiosi oramai condivi­dono l ’opinione della borghesia liberale, che in esse ve­deva soltanto delinquenza di massa e barbarie se non ad­dirittura l ’inferiorità razziale del Sud; incomprensione, questa, che può ancora trovarsi nel libro O ld Calabria di Norman Douglas '. E Carlo Levi, tra gli altri, nel Cristo

1 Lucarelli (con ampie relazioni) e Racioppi ci danno una buona intro- du7Ìonc al problema, w . p fn d lfto n , Paesani Struggles in Ita ly , in «Mo-

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CAPITOLO SECONDO

s: e fermato a E bo li ci ha ricordato quanto sia profondo il ricordo dei banditi-eroi fra i contadini del Sud, per i quali gli «anni dei briganti» sono tra le poche pagine di storia vive e reali perché, a differenza dei re e delle guer­re, appartengono a loro. A modo loro i briganti, nel co­stume del contadino lacero con le mostrine dei Borbonio in abito più sfarzoso, erano i vendicatori e i campioni del popolo. Anche se la loro strada non era che un vicolo cieco, non dobbiamo negare che a spingerli fosse un ane­lito alla libertà e alla giustizia.

Di conseguenza anche le vittime tipiche del bandito sono la quintessenza dei nemici dei poveri; appartengo­no sempre, secondo la tradizione, a quei gruppi che sono oggetto di particolare odio da parte dei poveri: avvocati (Robin Hood e Dick Turpin), prelati e frati fannulloni (Robin Hood e Angiolillo), usurai e mercanti (Angiolillo e Schinderhannes), forestieri e altri elementi che sconvol­gono la vita tradizionale del contadino. Nelle società preindustriali e prepolitiche tra essi raramente, seppure mai, è compreso il sovrano, che è lontano e sta dalla par­te della giustizia. Infatti la leggenda parla spesso del so­vrano che persegue il bandito ma non riesce a sopprimer­lo e allora lo chiama a corte e fa pace con lui, riconoscen­do cosi che, in fondo, l ’interesse del bandito è identico al suo: la giustizia. Questo è stato detto per Robin Hood e per Oleksa Dovbus

I l fatto che il bandito, specie se non possiede una for­te coscienza della sua missione, viva bene e faccia mostra della propria ricchezza, di solito non gli aliena il favore popolare. L ’anello con brillante di Giuliano, le collane e

detn Q uarterly», n. s., v i, 3, 19 5 1, riassume queste ricerche. Cfr. anche Enciclopedia Italiana, s. v. «Brigantaggio».

J « L ’imperatore aveva saputo che c ’era quest’uomo che nessun potere poteva sottomettere; cosi gli ordinò di venire a Vienna a fare la pace con lui. M a si trattava di un tranello. Quando Dovbus si avvicinò, gli spedi contro tutto l ’esercito per ucciderlo. E lui si affacciò alla finestra per guar­dare. Ma le pallottole deviarono, colpirono i tiratori e li uccisero. Allora l ’ imperatore ordinò di cessare il fuoco e fece la pace con Dovbus. G li con­cesse di combattere dove voleva, non però contro i suoi soldati. A garan­zia gli rilasciò una lettera con il suo sigillo. E per tre giorni e tre notti Dovbus fu ospite dell’imperatore alla corte imperiale» (o l b r a c h t , I l ban­dito \ jl 'n !a $ h:ika' c it., p. 102).

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le decorazioni con cui si ornavano i banditi antifrancesi dopo il r790 nell'Italia meridionale erano considerate dai contadini come simbolo di trionfo sui ricchi e sui po­tenti e forse anche testimonianze del potere di protezione del bandito su di loro. Invero uno dei principali elementi di attrazione del bandito consisteva e consiste tuttora nel fatto che egli rappresenta il ragazzo povero che ha fatto fortuna, un succedaneo alla impotenza della massa a sol­levarsi dalla povertà, dall'abbandono e dalla rassegnazio­ne '. Non sembri perciò un paradosso se le ingenti spese del bandito - cosi come la Cadillac placcata d ’oro e i denti incrostati di diamanti del ragazzo dei bassifondi divenuto campione mondiale di pugilato - anziché allontanarlo dai suoi ammiratori, lo legano ad essi, sempre che egli non si allontani troppo dal ruolo eroico che gli è stato attribuito.

I lineamenti fondamentali del banditismo, quali ho cercato di tratteggiare qui, ricorrono pressoché universal­mente con il verificarsi di determinate condizioni. Il fe­nomeno è rurale, non urbano. Le società contadine in cui esso si riscontra hanno ricchi e poveri, potenti e deboli, governanti e governati, ma rimangono profondamente e tenacemente tradizionali, a struttura precapitalista. In una società agricola come quella dell’ Inghilterra orientale, della Normandia o della Danimarca del x ix secolo non c ’è posto per il banditismo sociale. (Senza dubbio è que­sta la ragioi per cui l ’Inghilterra, che ha dato al mondo Robin Ilood , il prototipo del bandito sociale, dal x v i se­colo in poi non ha più prodotto esemplari notevoli del ge­nere. L ’idealizzazione dei criminali, che è divenuta parte della tradizione popolare, si è trasferita a personaggi ur­bani quali Dick Turpin e MacHeath, mentre i miserabili braccianti di paese richiamano al più quella modesta am­mirazione che si può avere per bracconieri eccezional­mente coraggiosi). Inoltre perfino in società arretrate,

1 «Ecco come stavano le cose: egli era un pastore debole, povero, zop­po e sciocco. Come dicono i predicatori e gli interpreti della Scrittura, il Signore voleva dimostrare con il suo esempio che quanti fra noi sono ti­morosi, umili e poveri possono fare grandi cose, se Dio lo vuole» (ol- bra ch t, 11 bandito Nikola Shuhaj c it., p. 100). Notare che i capi di ban­de leggendarie di rado ne sono i membri più forti e violenti.

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con forme tradizionali di brigantaggio, il banlitismc so­ciale compare solo in una fase precedente a ll’acquisizione da parte dei poveri di una coscienza politica o di me;odi più efficienti di agnazione sociale. Il banditismo è un fe­nomeno prepolitico e la sua forza è in proporzione inver­sa a quella della rivoluzione agraria organizzata e del so­cialismo o comuniSmo. Nella Sila calabrese il brigantag­gio cessò in epoca anteriore alla prima guerra mondiale, con l ’avvento del socialismo e delle leghe contadine. So­pravvisse sull'Aspromonte il regno del grande Musolino e di numerosi altri eroi popolari, per i quali le donne pre­gavano con commozione Ma in quella zona le organiz­zazioni contadine sono meno sviluppate. Montelepre, il paese di Giuliano, è una delle poche località della provin­cia di Palermo in cui non vi furono forse leghe contadine, neppure durante la rivolta nazionale contadina del 189 3 ' e, ancora oggi, la popolazione dà molto meno voti che al­trove ai partiti politici progressisti e moki di più a grup­pi estremisti marginali quali i monarchici o 1 separatisti siciliani.

In società di questo tipo il banditismo è endemico. Sembra però che il fenomeno del robinhoodismo abbia tendenza ad acquistare maggiore vigore quando si verifi­chi una rottura dell’equilibrio tradizionale: durante e do­po periodi di eccezionali privazioni, quali carestie e guer­re, o nei momenti in cui la morsa della moderna civiltà di­namica stringe le comunità statiche per distruggerle e tra­sformarle. La nostra epoca è, sotto molti riguardi, l ’epo­ca classica del banditismo sociale, poiché quei fenomeni si verificarono nella storia della maggior parte delle società contadine, nei secoli x ix o xx. Notiamo il sorgere del ban­ditismo - almeno secondo la convinzione popolare - nel­l ’Italia meridionale e nella Renania alla fine del x v m se­colo, durante le guerre e le trasformazioni portate dalla Rivoluzione; nell’Italia meridionale dopo l ’unità eccitato dall avvento della legge e dalla politica economica capita­

1 Cfr. il numero speciale del «P om e» sulla Calabria (n. 9-10, settem­bre-ottobre 1950).

■ Cfr. M. g a n c i, II movimento dei Fasci nella provincia d i Palermo, ?{■> . Mi'vniicntu operaio », n. s., v i, 6, novembre-dicembre 1954-

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lista In Calabria e Sardegna l ’epoca più importante per il brigantaggio cominciò nei primi anni dopo il 1890, con l'avvento dell’economia moderna (e la depressione agri­cola nonché l ’emigrazione). Nelle isolate montagne dei Carpazi il banditismo prosperò dopo la prima guerra mon­diale per ragioni sociali che sono state illustrate da Ol- bracht con la consueta precisione e sensibilità.

Ma proprio questa situazione esprime la tragedia del banditismo sociale. La società contadina lo crea e lo esige quando avverte la necessità di un campione e di un pro­iettore, ma è proprio allora che egli è incapace di aiutarla. Il banditismo sociale, infatti, è una protesta, ma debole e senza un contenuto rivoluzionario, non diretta contro il tatto che i contadini siano poveri ed oppressi, ma contro il fatto che qualche volta lo siano in misura eccessiva. Dai banditi-eroi non ci si aspetta un mondo di uguaglianza. Essi possono soltanto riparare i torti e dimostrare che qualche volta si può ritorcere l ’oppressione. Non riusci­ranno però mai a capire quello che succede nei villaggi della Sardegna, per cui alcuni hanno bestiame in quanti­tà ed altri, che ne avevano sempre avuto poco, non ne hanno affatto; nei villaggi calabresi, i cui abitanti diven­tano minatori di carbone in America; nelle montagne dei Carpazi, che si riempiono di uomini armati, fucili e debi­ti. La funzione pratica del bandito, nel migliore dei casi, consiste nell’imporre determinati limiti a ll’oppressione tradizionale nel quadro di una società tradizionale sotto 'a minaccia di illegalità, assassinii ed estorsioni. Ma egli non assolve in pieno neppure a questa funzione, ed un giro per Montelepre ce ne convincerà. Al di là di questa sua funzione, il bandito rappresenta soltanto l’incarna­zione di un sogno di tempi migliori. «Per sette anni ha combattuto nella nostra terra», dicono di Dovbus i con­tadini dei Carpazi, «e finche era in vita le cose andavano

1 Cfr. la voce «brigantaggio» in Enciclopedia Italiana. Anche i ban- Jo lcro s spagnoli furono in parie vittim e della libertà di commercio. Co­me dice nno dei loro protettori ( z u m a s t i , Bandolerismo cit., Introduzio­ne, vol. I, p. 94): «ci sono molti poveri ragazzi che avevano l ’abitudine di andare per le strade a guadagnare una peseta con il contrabbando ma adesso non possono pili farlo e i poverecri non sanno da dove gli possa

■«■■v.nv i! ivo-Mrno pasto».

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bene per il popolo». Si tratta di un sogno suggestivo ed è questa la ragione del formarsi dei miti che attribuiscono ai grandi banditi poteri sovrumani e quella specie di im­mortalità di cui godevano i grandi re giusti del passato, che in realtà non sono morti ma si sono addormentati e torneranno di nuovo. Cosi dorme Oleksa Dovbus, men­tre la sua scure sepolta ogni anno si avvicina di più alla superficie della terra, sospinta dal respiro di un seme di papavero e quando sarà emersa, sorgerà un altro eroe, amico del popolo, terrore dei padroni, combattente per la giustizia e vendicatore dell’ingiustizia. Così, anche ne­gli Stati Uniti di ieri, in cui uomini deboli e isolati lotta­vano - se necessario con il terrore, come i iw w - contro il dominio di uomini forti e di associazioni, c ’era chi cre­deva che il bandito Tesse James non fosse stato ucciso ma avesse riparato in California. Cosa ne sarebbe infatti del popolo se i suoi campioni fossero morti per sempre?

Cosi il bandito è impotente di fronte alle forze della nuova società che non può comprendere. Tutt’al più egli può combatterle e cercare di distruggerle

per vendicare l ’ingiustizia, sgominare i padroni, predare le ricchezze che essi hanno rubato e distruggere col fuoco e con la spada tutto quello che non può servire al bene co­mune: per la gioia, per la vendetta, come ammonimento per le generazioni future - e forse per paura di esse

Ecco perché il bandito è spesso distruttore e selvaggio oltre i limiti del proprio mito, che ne esalta soprattutto la giustizia e la moderazione nell’uccidere \ La vendetta,

1 «Secondo un’altra versione, davvero strana e fantastica, non già il Romano sarebbe caduto a Vallata ma un altro bandito, che gli rassomi­gliava nel viso e nelle fattezze; il sergente, considerato, nell’esaltata im­maginazione delle moltitudini, quasi invulnerabile ed "im m ortale” per le benedizioni del papa come asseriva il Gastaldi, sarebbe vissuto, per molti anni ancora, occulto solitario e ramingo» (l u c a r e l l i , Brigantaggio poli­tico delle Puglie cit., p. 133).

2 o lb r a c h t , I l bandito N ikola Sbubaj cit., p. 98.3 Tuttavia esiste una variante del banditismo sociale, in cui il mito

non esalta la giustizia e la modestia, ma insiste invece su ll’aberrazione mo­rale del brigante, che però ò anche un eroe. Casi sim ili si presentano a fianco de! nobile bandito tradizionale dell’America latina, ad esempio Lampiao (ucciso nel 1938), il leggendario canga^eiro eroe del Brasile nord- orientale, che è d ’altronde assai caratteristico. Può darsi che queste figu­re rappresentino una ribellione generale, negativa e anarchica, dei poveri

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che in periodi di rivoluzione non è più una faccenda pri­vata ma diventa affare di classe, reclama sangue e la visio­ne dell’ingiustizia in rovina può dare alla testa E la di­struzione, come ha giustamente osservato Olbracht, non è un semplice sfogo nichilista ma un inutile tentativo di eli­minare tutto ciò che ostacolerebbe la costruzione di una comunità contadina semplice e durevole: i prodotti del lusso, grande nemico della giustizia e della onestà. Infat­ti la distruzione non è mai indiscriminata. Quello che è utile per i poveri viene risparmiato 2. E cosi i briganti del Sud che conquistarono le cittadine della Lucania nei pri­mi anni dopo il i860 vi fecero rapide incursioni per spa­lancare le prigioni, bruciare gli archivi, saccheggiare le case dei ricchi e distribuire al popolo quello che non ser­viva loro: crudeli, selvaggi, eroici e impotenti.

Il banditismo, infatti, in queste situazioni era ed è as­solutamente inefficiente come movimento sociale. In pri­mo luogo perché incapace perfino di esprimere una orga­nizzazione guerrigliera efficiente. I banditi certamente riuscirono a suscitare una rivolta borbonica contro i con­quistatori del Nord, intendo veri banditi e non partigia­ni politici, che gli avversari qualificavano banditi. Ma quando un soldato spagnolo borbonico, Borjes, cercò di organizzarli in un efficiente movimento di guerriglia, essi si opposero e lo cacciarono via ’ : la stessa struttura delle

non organizzati socialm ente, contro l'in tero ordine sociale. F in o a che punto questo tipo fisso del «b an d ito eroe cru d ele» esista realm ente, e non solo n elle ballate poetiche stam pate n elle grandi città per un pubbli- co di im m igranti, è un argom ento da approfondire. Q uando scrissi questo volum e, tale sottospecie di banditism o sociale non mi era nota.

1 U na efficace descrizione degli effetti psicologici d e ll ’incendio del quartiere degli affari in una città spagnola è in Death’s Other Kingdom- 1939) di CAMEL WOOLSP.Y.

1 « I l s ont ravage les vergers, les cu ltures scientifiques, coupé les ar- bres fru itiers. Ce n 'est pas seulem ent par haine irraisonnee contre tout ce qui a appartenu au seigneur, e ’est aussi par calcili. I l fa lla it égaliser le do­m aine, l ’ap lan ir... pour rendre le partage possible et équitab le ... [V oilà] pourquoi ces hom ines qu i, s ’ils ignorent la valeur d u n tableau, d ’un m eu­blé ou d ’une serre, savent cependant la valeur d ’une plantation d'arbres fru itiers ou d 'un e explo itation perfectionnée, brisent. brùlent et sacca- gent le tout in distin ctem en t» (r la b r y . Autour du M o u jik , Paris 19 2 3 , p. 76, sul saccheggio delle v ille di cam pagna nel gubernija di Cernigov nel 190^). L a fonte è costitu ita dai verb ali di interrogatori dei contadini.

1 f ' <■ 1 npp[, S'nria dei moti d i Basilicata c it ., cap. x x i .

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bande, che erano di formazione spontanea, escludeva ope­razioni pili ambiziose e le trentanove bande lucane, che avrebbero potuto continuare a infestare la regione ancora per alcuni anni, furono sgominate. In secondo luogo, per­ché la loro ideologia non consentiva di organizzare una rivolta efficiente. Non perché i banditi fossero in generale tradizionalisti in politica - infatti essi erano prima di ogni altra cosa votati alla causa dei contadini - ma perché la forza tradizionale cui si rifacevano veniva distrutta o perché la vecchia o la nuova oppressione si coalizzavano, isolandoli e neutralizzandoli. I Borboni potevano promet­tere di distribuire ai contadini i possedimenti della nobiltà terriera ma non lo facevano mai; al massimo conferivano un grado nelPesercito a qualche ex bandito. Era però più probabile che li tradissero ed uccidessero dopo averli sfruttati. Giuliano fece il gioco di forze politiche che non comprendeva, quando si permise di diventare il capo mi litare dei separatisti siciliani (dominati dalla Mafia). È evidente come quelli che si servirono di lui e poi lo but­tarono a mare avessero una concezione della Sicilia indi­pendente molto diversa dalla sua, che era certamente più vicina a quella dei contadini da lui massacrati durante il comizio del i ° maggio iy.47 a Portella della Ginestra.

Per diventare validi campioni della loro gente, i ban­diti dovevano smettere di essere banditi: ecco il parados so dei moderni Robin Hood. Infatti essi erano in grado di aiutare le sommosse contadine perché in questi movi­menti di masse è la banda piuttosto piccola, a preferenza della folla enorme, a preparare il terreno per una azione efficiente che possa estendersi al di fuori dei confini del villaggio e per truppe d ’assalto del genere, quale altro nucleo sarebbe preferibile alle bande di briganti già for­mate? Cosi nel 1905 le azioni di contadini del villaggio ucraino di Bvchvostova furono in gran parte avviate dal­la banda del cosacco Vasilij Potapenko (lo «zar» della banda) e dal contadino Petr Ceremok (il suo «m ini­stro»), due uomini che erano stati prima espulsi dalla co-

1 C iò risulta chiaramente dallo studio delia rivolta degli operai inglesi del 1830, di cui l ’unico resoconto edito è ancora The village Labourer di J . L. C -IV HAMMOND.

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munita del villaggio per attività criminale - non sappia­mo se spontaneamente o su pressione - e poi riammessi. Come accadde in altri villaggi, queste bande, espressione dei contadini poveri e senza terra e del senso della comu­nità coniro individualisti ed esclusivisti, furono poi ster­minate da una controrivoluzione dei kulaki Per contadi­ni rivoluzionari la banda non poteva rappresentare una struttura organizzativa permanente ma, al massimo, una forma temporanea di organizzazione ausiliaria, senza la quale essi sarebbero stati del tutto disorganizzati.

Cosi i poeti romantici che idealizzarono la figura del bandito, come Schiller nei M asnadieri, erano in torto nel credere che egli fosse il vero ribelle \ Gli anarchici baku- niniani che, proprio a causa del loro spirito distruttivo, idealizzavano più sistematicamente i banditi e credevano di poterli guadagnare alla loro causa, sprecavano il loro tempo e quello dei contadini!. Potevano riuscirci occasio­nalmente e perlomeno in un caso un movimento contadi­no primitivo, in cui la dottrina anarchica si associava a una «forte corrente di anarchia rurale», diventò una gran­de forza rivoluzionaria regionale, anche se temporanea. Ma chi è davvero convinto che, con tutta la genialità del

1 la b r Y , Autour de M oujik c it., riproduce 7 disordini agrari nel guber­nia d i Cernigov del 1905, dalla « Istoricesk ij V e s tn ik » , luglio 1 9 1 3 , pp. 202-26. N o ve contadini e sei cosacchi furono uccisi. Labry osserva esatta­m ente che in questa località, sita ai confini della zona in cui il mir era potente e tenace, se ne stava verificando rapidam ente il tram onto con la form azione di possessi in d iv iduali (pp . 72 sgg,).

2 T u ttav ia non si deve credere che i banditi im m aginati da Sch iller rientrassero rigidam ente nel tipo social-contadino. E ran o (com e Schinder- hannes) bande vaganti di crim inali «p ro fessio n isti» , rinforzate da conta­dini fuggiaschi, d isertori e appartenenti alla setta dei ch iliasti perseguita­ti. In quanto com unità tradizionali di proscritti, pare avessero sviluppato delle form e di opposizione alla società ortodossa, religiose e di costum e, che facilitavano l ’assorbim ento di elem enti settari. Probabilm ente l ’anar­chia durata a lungo in G erm ania e l'esistenza di num erosi staterelli fa vo ­rirono lo sv ilu ppo di tali gruppi rurali di professionisti. D ocum enti im­portantissim i in proposito si trovano in g. k r a f t , Historische Studien zu Schiller’s Schauspicl «D ie Rlìuber», W eim ar 1959 .

C fr . B aku n in : « i l bandito è sem pre l ’eroe, il difensore, il vendica­tore del popolo, il nem ico irrico n ciliab ile di tutto il regim e statale, so­ciale o c iv ile , il lottatore per la vita e per la m orte contro la civ iltà sta­tale aristocratica. l ’aristocrazia funzionariale-clericale» (appello di B ak u ­nin c it. in v. o f.lt ,a p i-ru ta . La banda del Malese e il fallim ento della teo­ria anarchica della moderna « jacqu erie» in Italia, in «M o vim en to ope­ra io» , n. s,. n. 3. m aggio-giugno 19,14 , PP. 337-85).

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3 CAPITOLO SECONDO

suo capo per la guerriglia, il Machnovscina dell’Ucraina meridionale nel periodo 19 18 - 19 2 1 non avrebbe potuto ottenere altro che sconfitte, chiunque avesse conquistato il potere definitivo sui territori russi?

Il futuro è condizionato all’organizzazione politica. I banditi che non adottano i nuovi sistemi di lotta per la causa contadina, come molti di loro fanno individualmen­te, di solito in quelle scuole politiche che sono la prigione e il servizio militare, non costituiscono più i campioni po­veri, ma diventano semplici criminali o servi dei padroni e dei mercanti. Per loro non c ’è avvenire. Sopravvivono soltanto gli ideali per cui hanno combattuto e su cui uo­mini e donne hanno composto canzoni che, intorno al ca­mino, alimentano ancora il miraggio di una società giusta, i cui campioni erano valorosi e nobili come aquile, agili come cervi, figli della montagna e delle foreste profonde.

Appunti sui banditi della sinistra presocialista.

Nella misura in cui il bandito sociale aveva una «ideo­logia» politica, essa era, come abbiamo visto, una forma di tradizionalismo rivoluzionario. Il brigante a ll’insegna «Chiesa e R e» corrisponde al movimento del mob «Chie­sa e R e», della città (cfr. cap. v i i ). Dal momento in cui l ’interesse fondamentale del bandito si appuntò sui con­tadini, sistematicamente ostili alle autorità costituite, an­che il più tradizionalista dei banditi non ebbe difficoltà a fare causa comune con oppositori e rivoluzionari di altra

1 II resoconto più obiettivo di questo movimento è fatto da w . H. C h a m b e rlin , L a r iv o lu z io n e ru ssa , Torino 1966, pp. 633 sgg., donde è tratta la citazione. La migliore trattazione del machnovistismo è quella di P . Arsinov. Le memorie di Machno - di cui figurano passi in appendice - non sembra vadano oltre il 19 18 La «corrente d ’anarchia rurale» viene recisamente negata da parte degli anarchici e supervalutata dagli storici bolscevichi, ma si accorda bene con il primitivismo di notevole purezza di questo movimento interessante e a torto trascurato. È significativo - sia detto tra parentesi - che, nonostante il suo campo d azione compren­desse una vasta zona della Ucraina meridionale, Machno di tanto in tanto facesse ritorno al villaggio natio di G uljaj Pole, al quale come ogni capo­banda contadino «prim itivo» rimaneva attaccato ( c h am b e r lin , La r iv o ­luzione russa cit.). Egli visse dal 1884 J 934; dal 19 2 1 in esilio. Si con­verti all’anarchismo appena ventenne.

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IL BANDITISMO SOCIALE 3 9

estrazione, specialmente quando appartenevano anch’es- si alla schiera dei perseguitati. Carmine Donatello (Croc­co) nel 18 6 3 bandiva il seguente proclama (A. Lucarelli,I l brigantaggio politico delle Puglie cit., p. 138 ):

Fuori dunque i traditori, fuori i pezzenti, viva il bel re­gno di Napoli col suo religiosissimo sovrano, viva il vicario di Cristo Pio IX e vivano pure i nostri ardenti repubblicani fratelli [cioè garibaldini e mazziniani, anch’essi all’opposi­zione].

In tutto il Sud si nota di frequente una collaborazione fra repubblicani e borbonici contro i liberali moderati —lo stesso Garibaldi rifiuta offerte di aiuto da parte di nu­merosi briganti (G . Doria, Per la storia del brigantaggio in «Archivio storico delle provincie napoletane», n. s., x v ii, 19 3 1 , p. 390) - e alcuni ex soldati garibaldini, ve­rosimilmente ribellatisi ai Savoia a seguito del cattivo trattamento inflitto al loro eroe, diventarono capi brigan­ti di minor rilievo (Lucarelli, I l brigantaggio politico delle Puglie cit., pp. 82-83).

C ’è però qualche esempio di banditi italiani presociali­sti con ideologia chiaramente di sinistra, giacobini o car­bonari, nonché di banditi idealizzati dai giacobini di cit­tà, come Angiolillo. Si sarebbe tentati di credere che si tratti di figure per qualche verso eccezionali dal punto di vista sociale. Così i banditi giacobini-carbonari del 18 1^ - 18 18 , di cui parla Lucarelli, non sono contadini, per quan­to la stragrande maggioranza dei briganti usuali fossero contadini, pastori o - il che è poi la stessa cosa - ex solda­ti. Gaetano Meomartino (Vardarelli), che fu accettato fra i carbonari con la sua banda nel 18 16 o 1 8 1 7 era un sella­io; Ciro Annicchiarico, che entrò a far parte della setta dei decisi, era un intellettuale di campagna, cioè un prete di ceppo contadino e di idee giacobine, che si era dato alla macchia in periodo napoleonico per ragioni assolutamen­te apolitiche, vale a dire per una lite a proposito di una donna. Per le sue convinzioni religiose di illuminismo millenaristico, cfr. A. Lucarelli, I l brigantaggio politico del Mezzogiorno d ’Italia 18 1 5 - 1 8 , pp. 12 9 -3 1 . Natural­mente acquisire una ideologia politica relativamente mo­

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4 o CAPITOLO SECONDO

derna era molto più facile per un intellettuale o un arti­giano di paese — classi che di norma non fornirono molti banditi - anziché per un capraio analfabeta o per un con­tadino miserabile. Tuttavia, in difetto di dati più comple­ti di quelli attualmente disponibili e in considerazione dell’atmosfera politica confusa e complessa in cui spesso operarono i briganti, non è il caso di formulare ipotesi ri­gidamente assolute.

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Capitolo terzo

La Mafia

i.

Fra il banditismo sociale, di cui al capitolo precedente, e i movimenti che esamineremo in questo capitolo, dei quali la Mafia siciliana è il più interessante e duraturo, non esiste una linea di demarcazione netta e precisa. En­trambi sono fenomeni straordinariamente primitivi, non solo nel senso già chiarito, ma anche in quanto tendono a scomparire non appena si sviluppano movimenti più pro­grediti. Essi, nel loro insieme, sono scarsamente suscetti­bili di adattamento. Laddove continuano a sussistere do­po l ’avvento di movimenti moderni, quali le leghe conta­dine, le associazioni operaie ed i partiti di sinistra, essi perdono ogni carattere di movimenti sociali.

Le mafie — termine che converrà usare per una serie di manifestazioni corrispondenti - hanno un certo nume­ro di caratteri particolari. Prim o, non sono mai puri e semplici movimenti sociali, con scopi e programmi speci­fici. Costituiscono quasi dei punti di confluenza delle ten­denze più disparate che si agitano in seno alle società che le esprimono: la difesa della intera società contro le mi­nacce al suo tradizionale modo di vivere, le aspirazioni delle varie classi all’interno della società, le ambizioni per sonali e le aspirazioni di individui attivi. Esse quindi pos­seggono un certo grado di fluidità, come i movimenti na­zionali, dei quali costituiscono forse una specie di embrio­ne. Dipende dalle circostanze che esse siano caratterizzate dalla nota di protesta sociale dei poveri, come in Calabria,o dalle ambizioni delle classi medie, come in Sicilia, o dal­la pura e semplice criminalità, come nella Mafia america­na. Secondo, sono in un certo senso disorganizzate. E ve­

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42 CAPITOLO TERZO

ro che alcune mafie sono, almeno sulla carta, centralizza­te e hanno vere e proprie «catene di comando» e di ini­ziativa, forse sul modello degli ordini massonici. Ma la situazione più interessante è quella in cui una vera e pro­pria organizzazione, peraltro molto primitiva, sussiste -o per lo meno è esistita in un certo stadio di sviluppo - soltanto a livello locale, come nella classica Mafia sici­liana.

Quali sono le condizioni per effetto delle quali sorgo­no le mafie? Non è facile rispondere a questa domanda perché non sappiamo neppure quante ce ne siano o ce ne siano state. La Mafia siciliana è l ’unica associazione di questo tipo dell’Europa moderna, che sia stata ampia­mente descritta e analizzata. Un altro fenomeno straor­dinariamente simile si è sviluppato recentemente nelle piantagioni di caffè della Colombia, ma non se ne hanno finora notizie pubblicate con particolari '. A prescindere da riferimenti casuali ad associazioni a delinquere, socie­tà segrete di grassatori e loro protettori, e simili, non sap­piamo quasi niente della situazione in altre zone e quel poco che sappiamo ci consente al massimo di affermare che esisteva una situazione da cui la Mafia poteva svilup­parsi; non possiamo però dire se quella situazione abbia in effetti originato la M afia'. La mancanza di informazio­ni non ci autorizza però a concludere per l ’inesistenza di un tale fenomeno. Cosi non vi è alcun dubbio sull’esisten­za, come vedremo, di una associazione tipo Mafia nella Calabria meridionale. Ma, a prescindere da casuali riferi­menti a queste associazioni segrete in Calabria e nel C i­lento, sembra che in passato non se ne sia affatto notata

1 C fr. g . g u z m a n - o. f a l s borda - e . u m a n a l u n a , La V b le n d a en Colombia, I , Bogota 1962, pp. 1 3 1 , 170.

2 Cfr. in z u g a s t i , Bandolerismo cit., Introduzione, vol. I , i rapporti degli alcaesi sulla situazione della criminalità nelle zone di loro giurisdi­zione nella provincia di Cordova, circa 1870; es. una società segreta di grassatori a Baena, una sociedad de ladrones a M ontilla, qualcosa che as­somiglia alla Mafia nel famoso pueblo di contrabbandieri di Benamejì e la sorda opposizione di Iznajar dove «secondo l ’abitudine inveterata di questa città, tutti questi delitti sono rimasti im puniti». Sono propenso ad aderire alla tesi del Brenan, secondo cui si tratta di una situazione da protomafia anziché da Mafia. Cfr. anche il capitolo v, su ll’anarchismo andaluso.

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LA MAFIA 4 3

l'esistenza II che è meno strano di quanto possa appari­re. Società segrete costituite prevalentemente da conta­dini analfabeti operano nell’oscurità. Le classi medie cit­tadine hanno sempre tenuto un atteggiamento di profon­da indifferenza e di sovrano disprezzo per la vile umanità che giace ai loro piedi. Perciò l ’unica cosa che ci resta da fare è di concentrare la nostra attenzione su uno o due esempi di mafie note, sperando che possano eventual­mente fare luce sulla situazione delle altre zone finora ine­splorate.

La Mafia è meno conosciuta di quanto si possa suppor­re. Per quanto i dati di fatto siano pacifici e vi sia un buon numero di opere utili, descrittive e analitiche ", la pubbli­ca opinione è stata fuorviata in parte dalla tendenza gior­nalistica a romanzare e in parte dal mancato riconosci­mento che «quella che appariva ai piemontesi e ai lom­bardi come "delinquenza” siciliana, era in realtà la legge di un’altra società... di una società sem ifeudale»3. È op­portuno quindi riassumere ciò che sappiamo sull’argo­mento.

La parola Mafia sta a significare qui molte cose diverse. Primo, rappresenta un atteggiamento collettivo verso lo Stato e le sue leggi, non più criminale di quanto lo sia il

1 g. a lo n g i, La Camorra, Torino 1890, p. 30. Lo studio sulla camor­ra in Calabria (in «Archivio di psichiatria», iv , 1 8 8 3 , p. 293) tratta sol­tanto di un ’organizzazione di delinquenza urbana a Reggio Calabria, ignorando del tutto l ’aspetto rurale del fenomeno, Va osservato come lo studio di tale genere di associazione sia stato coltivato soprattutto dalla scuola di criminologia dei positivisti italiani (Lombroso), il cui organo era l ’« A rchivio».

2 Le principali fonti di consultazione, oltre ad interviste personali in Sicilia, sono: n. c o la ja n n i, La delinquenza in Sicilia (1885); in., La S ici­lia dai Borboni ai Sabaudi ( 19 0 0 ); A. c u t r e r a , La Mafia ed i mafiosi1900); G. a lo n g i, La M afia (1887); g. m o n ta lb a n o , La Mafia, in «N uovi

argomenti», novembre-dicembre 19 ^ 3 ; inchieste ufficiali varie ed opere sulle condizioni economiche e sociali della Sicilia, fra cui l ’ottimo saggio di L. f r a n c h e t t i , Condizioni politiche e amministrative della Sicilia

18 8 7 ) ; gli articoli di G . Mosca sul «Giornale degli Econom isti» del 19 0 0 e VEncyclopaedia of Social Sciences. La vasta mole di letteratura scienti­fica ed approfondita su ll’argomento, è apparsa nel periodo tra il 1880 ed il 19 10 . Dopo la prima stesura di questo capitolo, sono uscite altre impor­tanti opere, quali r. r o c h e fo r T , Le travail en S itile, Paris 1 9 6 1 ; M. pan- t a le o n e , Mafia e politica 1943-196 2, Torino 1 9 6 2 ; D d o lc i, Spreco, To­rino 1 9 6 2 2. Le prime due opere contengono utili bibliografie.

3 e. seren i, I l Capitalismo nelle campagne 1860-1900, Torino 1948, p. 187.

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4 4 c a p i t o l o t i :r z o

similare comportamento, diciamo, degli scolari verso il maestro. Un mafioso, nelle sue private dispute non invo­cava lo Stato o la legge ma si guadagnava rispetto e sicu­rezza conquistandosi una reputazione di forte e coraggio­so e regolava le proprie vertenze con la lotta. Non rico­nosceva altri obblighi se non quelli del codice di onore o di omertà, la cui norma fondamentale vietava di dare in­formazioni a ll’autorità pubblica. In altri termini la mafia (con la m minuscola, se usata in questo senso) consisteva in quel codice di comportamento che tende costantemen­te a svilupparsi nelle società in cui manca un efficiente or­dinamento dei pubblici poteri o nelle quali le autorità sono considerate ostili, totalmente o parzialmente (per esempio nelle prigioni o fra gli strati sociali più bassi), op­pure insensibili alle cose che contano veramente (per esempio nelle scuole), o le due cose insieme. Si deve resi­stere alla tentazione di stabilire un nesso di relazione tra un codice siffatto e il feudalesimo, le virtù aristocratiche o cose del genere. I l suo impero più completo e vincolante si aveva tra i souteneurs e i piccoli teppisti dei bassifondi di Palermo, di condizione quanto mai prossima ai «senza legge» o meglio a uno Stato alla Hobbes, in cui le relazio­ni tra individui o piccoli gruppi sono simili a quelle tra po­teri sovrani. È stato esattamente osservato come nelle zo­ne veramente feudali dell’isola l ’omertà tendesse a signi­ficare che era permessa soltanto la denuncia del debole o del vinto '. Laddove esiste una struttura di potere conso­lidata, l ’onore tende a divenire appannaggio dei potenti.

Nelle comunità senza leggi il potere raramente si di­sperde nell’anarchismo delle competizioni individuali ma si concentra attorno ai centri di forza locali. Forma tipica ne è il patronato e tipico titolare il maggiorente o padro­ne con il suo gruppo di aiutanti e dipendenti e la rete di influenza che gli si stende attorno e induce la gente a por­si sotto la sua protezione. La Mafia, nel secondo signifi­cato della parola, è quasi sinonimo di protezione, riferita però più ai seguaci (la «bassa Mafia») che ai padroni. Il sistema presentava alcuni aspetti certamente feudali, spe-

1 rp\x:rnt tft Condizioni politiche cit., pp, 2x9 21.

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LA .MAFIA 4 5

cialmcnte nei latifondi dell’interno; ed è molto probabile che in Sicilia (dove le situazioni feudali vennero ufficial­mente abolite solo nel x ix secolo e ancora oggi i suoi sim­boli sopravvivono nelle battaglie tra cavalieri e saraceni dipinte sulle sponde dei carretti contadini) forme di fe­deltà feudale ne abbiano favorito la formazione. Questo però ne è un aspetto minore, dato che la formazione di un patronato e la funzione dei suoi emissari può aversi an­che senza alcuna tradizione feudale. Ciò che caratterizza­va la Sicilia era la prevalenza generale di tale patronato e la virtuale assenza di qualsiasi altra forma di potere sta­bile.

La terza e più usata accezione della Mafia non si distin­gue agevolmente dalle precedenti: consiste nel controllo della vita della comunità mediante un sistema segreto (o meglio non riconosciuto ufficialmente) di bande. Sembra probabile che ad alcuni stadi della sua storia questo tipo di Mafia fosse, in teoria, una società segreta organizzata gerarchicamente, con un capo nominale che si rivendica­va una certa autorità sugli altri membri; in pratica, tutta­via, non potè mai funzionare effettivamente in tal senso '. Probabilmente la più chiara puntualizzazione della situa­zione è quella offerta dal rapporto del 19 3 1 del procura­tore di Palermo: «le associazioni dei piccoli centri di or­dinario esercitavano la giurisdizione in essi e nei Comuni contermini; quelle dei centri più importanti erano in re­lazione fra loro e anche nelle province finitime, prestan­dosi reciproco aiuto e assistenza» \ Infatti, trattandosi di un fenomeno essenzialmente rurale all’inizio, è difficile credere che la Mafia abbia potuto essere centralizzata ge­rarchicamente con lo stato delle comunicazioni quale era nel x ix secolo. Esisteva piuttosto una rete di bande locali «cosche» — oggi pare si chiamino «fam iglie»), ora com­

1 A lla domanda se la Malia sia mai stata una gerarchia eentral.jz.ua, : ancora difficile rispondere con esattezza. Ma per il decentramento de fac­to di un gruppo de; genere, organizzato gerarchicamente, se pure solo in teoria, vedi la testimonianza di J . Valachi sulla cosiddetta Malia ameri­cana. Da tale testimonianza si vede come il controllo diretto di Vito G e­novese stille famiglie che lo riconoscevano quale capo, fosse assai lim i­tato. Una inchiesta recente ha dimostrato che quanto sussisteva dell uni­tà teorica, è stato spezzato (cfr. c r isf.. in « L ’espresso», 14 luglio iyb3).

1 Citato in MONTALBANO, La Mafia cit., p. 179.

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4 6 CAPITOLO TERZO

poste di due o tre uomini, ora molto più numerose, ciascu­na delle quali controllava un determinato territorio, di norma un comune o un latifondo, reciprocamente colle­gate in vari modi. Ogni cosca sfruttava il proprio territo­rio; talora però, come all’epoca della transumanza delle greggi, le bande dei territori attraverso i quali passava il bestiame cooperavano. Le migrazioni dei mietitori e spe­cialmente la possibilità che la vita del latifondo offriva di avvicinare avvocati in città e di frequentare i numerosi mercati di bestiame e le fiere in tutta la regione, favoriva­no ulteriori contatti fra i vari gruppi locali

I membri delle cosche si riconoscevano fra di loro non tanto da segni convenzionali segreti o da parole d ’ordine quanto dall’aspetto, dal vestito, dal modo di parlare e di comportarsi. Il loro particolare comportamento è deter­minato dall’abituale atteggiamento di virilità jattante, dalla condizione di parassitismo e fuori legge ed è desti­nato, in una società senza legge, ad affermare il potere dei lupi sulle pecore - e forse anche sui leoni - ed a tenerli separati dal gregge. I bravi nei Promessi Sposi del Man­zoni si vestono e si comportano in maniera molto simile ai picciotti siciliani di due secoli e mezzo dopo. D ’altro canto ogni banda, nei primi anni dopo il 1870 , aveva ri­tuali di iniziazione e parole d ’ordine singolarmente stan­dardizzati, che però sembra siano in seguito caduti in di­suso \ Che siano o meno nati, come sostiene Cutrera, nel­le prigioni di Milazzo e poi divulgati attraverso canti po­polari o letteratura tipo la Vita e coraggiose imprese del bandito Pasquale Bruno , non saprei dire. È però evidente che si trattava dei rituali di una fratellanza di sangue di antica tradizione mediterranea. I l rito culminante - ese­guito di solito (salvo fosse impossibile, come nelle prigio­ni) di fronte a ll’immagine di un santo - consisteva nel bu­care il pollice dell’iniziato e con il sangue estrattone im-

1 a lo n 'g i, La M afia c it ., pp. 70 sgg.2 MONTALBANO, La Mafia c it. L a più esauriente descrizione d i questi r i­

tu ali si ha a proposito deg li stoppaglieri d i M onreale e località fin itim e e della fratellanza d i Favara (in provincia d i A grigen to), e centri vic in io ri in varie opere, ad esem pio M ontaibano. S i veda anche f . l e s t in g i , L ’as­sociazione della Fratellanza, in « A rc h iv io d i p sich iatria» , v , 18 8 4 , pp. 4^2 sgg.

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LA MAFIA 4 7

trattare l ’immagine del santo, che poi veniva bruciata. Quest’ultima azione può darsi fosse destinata a legare il novizio alla fratellanza mediante la cerimonia di infrange­re un tabù: viene anche citato un rito consistente nello sparare con una pistola contro una statua di Gesù Cristo '. Lna volta iniziato, il mafioso diventava un compare e la parentela spirituale in Sicilia e in altre zone del M editer­raneo, rappresentava una forma di parentela artificiale che comportava i più gravi e solenni obblighi di aiuto re­ciproco tra le parti contraenti. Anche le parole d ’ordine sembrano esser state standardizzate. Ciò però non prova che l ’associazione fosse centralizzata poiché anche la ca­morra - organizzazione esclusivamente napoletana senza legami con la Sicilia - aveva riti di iniziazione basati su di una fratellanza di sangue di tipo similare*.

A quanto ne sappiamo, pare che ciascun gruppo, per quanto standardizzato, vedesse in questi rituali un pro­prio legame particolare, quasi come i bambini che adot­tano a m o’ di linguaggio strettamente privato una comu­ne formula convenzionale per storpiare le parole. È pro­babile che la Mafia abbia sviluppato qualche genere di coordinamento quasi nazionale, la cui direzione centrale- peraltro non nel senso rigoroso del termine - aveva se­de a Palermo. Come vedremo, una tale direzione riflette­va la struttura economica e politica e l ’evoluzione della Sicilia piuttosto che una vera e propria pianificazione del­la criminalità.

Sotto il regime borbonico o piemontese la Mafia (in rutti e tre i significati della parola), pur vivendo talora in _no strano rapporto di simbiosi con quei regimi, espresse parallelamente un proprio sistema di legge e di potere or­ganizzato; erano questi in effetti l ’unica legge e l ’unico potere efficienti per i cittadini delle zone sotto l ’influen­

1 m o n t a l b a n o , La Mafia cit., p . 1 9 1 . In sostanza questo è il rito d ’ini­ziazione della Mafia quale era ancora usato in America nel 19 3 0 ; tuttavia

non si bruciava l ’immagine di un santo ma un pezzo di carta. Per par- ::colari in proposito, vedere la testimonianza resa da J . Valachi davantii la Sottocommissione permanente del Senato per le investigazioni («N ew York Tim es», 2 ottobre 19 6 3 j.

- Si veda in e . re id , Mafia, pp. 143-44, una iniziazione a New York z t . 19 17 ; a lon gi, La Mafjìa cit., p. 4 1.

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4 8 CAP.UOJ.O JLKZO

za della Mafia. In una società quale la siciliana, in cui il governo ufficiale non poteva e non voleva esercitare un potere effettivo, era inevitabile o l'avvento di un tale si­stema, con la comparsa del potere delle bande, oppure l ’avvento della alternativa al sistema stesso, rappresenta­to dai corpi armati privati e delle guardie del corpo del- 1 America liberista. Ciò che distingue la Sicilia è l ’esten­sione territoriale e la coesione di un tale sistema di pote­re, a carattere privato e parallelo a quello ufficiale.

Il sistema non aveva però applicazione generale poiché non tutti i settori della società siciliana ne avvertivano in ugual maniera la necessità. I l codice deH’omertà non fu mai applicato, ad esempio, dai pescatori e marinai né si affermò compiutamenLe nelle città - salvo che presso i più bassi strati sociali; intendiamo le vere città e non i grossi agglomerati in cui i contadini siciliani vivevano, nel cuo­re di una campagna deserta, battuta dai briganti e forse anche malarica. Infatti gli operai delle città, specialmen­te in periodo di rivoluzioni - come a Palermo nel 17 7 3 e nel 18 2 0 e ’2 1 - miravano ad organizzare proprie milizie cittadine o «ronde» finché l ’alleanza delle classi domi­nanti, nel timore di sviluppi rivoluzionari, riuscì ad im­porre, dopo il 1848, la Guardia Nazionale, più fidata sot­to il profilo sociale, e successivamente corpi misti di poli­zia e mafiosi '. D ’altra parte c erano determinati gruppi che avevano particolare necessità di disporre di difese pri­vate. I contadini dei vasti latifondi dell'interno e i mina­tori di zolfo avevano bisogno di qualcosa d'altro che le periodiche jacqueries per alleviare la propria miseria. Per i proprietari di determinati tipi di beni - il bestiame, che negli incustoditi recinti siciliani è esposto alle facili razzie, cosi come avviene in Arizona; aranci e limoni, aneli’essi incustoditi e facile richiamo di ladri nei frutteti della co­sta - la protezione era questione di vitale importanza. E in effetti la Mafia si sviluppò proprio in quelle tre zone; dominava la Conca d ’Oro, irrigata e a frutteti, con i suoi poderi fertili e spezzettati, le zone delle miniere di zolfo

' Cfr, in m o n t a l b a n o , La Mafia c it . p p . 19 4 -5 7 , u n a n o te v o le tratta-rione del problema.

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LA MAF I A 4 9

del centro-sud e i latifondi aperti dell’interno. Fuori di queste zone la Mafia era più debole e tendeva a scompari­re nella parte orientale dell'isola.

È erroneo credere che istituzioni d ’apparenza arcaica siano effettivamente molto antiche. Può darsi invece che esse siano sorte di recente (per quanto costituite da mate­riale antico o pseudo-antico) per scopi moderni, come ad esempio le cosiddette scuole pubbliche o l ’aspetto coreo- grafico della vita politica inglese. La Mafia non è una i s t ­ruzione medioevale ma del x ix e xx secolo. Il periodo della sua maggiore prosperità si ha dopo il 1890. Non v e dubbio che i contadini siciliani nel corso della storia ab­biano vissuto, sin da quando la Sicilia divenne la terra ti­pica del latifondo, sotto il duplice regime di un governo centrale, lontano e generalmente straniero, e di un regi­me locale di schiavi e di signori feudali. Non vi è dubbio neppure che essi erano abituati (né avrebbe potuto essere altrimenti) a considerare il governo centrale non come un vero Stato ma soltanto come una specie particolare di brigante, i cui soldati, esattori di tasse, poliziotti e tribu­nali piombavano periodicamente su di loro. Conduceva­no la loro vita isolata di analfabeti tra il patitone, con i suoi emissari e parassiti, e le proprie abitudini ed istitu­zioni conservatrici. In un certo senso, quindi, qualcosa di simile al «sistema parallelo» dovette sempre esistere, come esiste in ogni società contadina arretrata.

Ciò non era però ancora la Mafia, per quanto contenes­se in sé la maggior parte degli elementi grezzi, dai quali si sviluppò la Mafia. Sembra infatti che la Malia, in senso sroprio si sia sviluppata soltanto dopo il i860. L'uso del termine Mafia, nella sua accezione moderna, compare sol­tanto nei primi anni successivi al i86 0 ; anteriormente, comunque, era stato circoscritto al gergo di un solo quar­tiere di Palermo. Uno studioso di storia locale della Sici­lia occidentale - che fu covo di Mafia - non ne trova trac­cia di sorta nella sua città prima del i860 Invece il ter­

1 g. PiTRi-:, U si e costumi... del popolo i ìliano , I I I , 1889 , pp. 287 5gg.; voce «M afia» nell’Encyclopaedia of Social Sciences.

2 S. NICASTRO, Dal Quarantotto al Sessanta in Mazzata, i 9 T3 ,P P - 80-8t

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50 CAPITOLO TERZO

mine dal 1866 viene già usato correntemente da parte di Maggiorani, e, subito dopo il 18 7 0 , è di uso comune nelle discussioni politiche. È evidente che in qualche regione - soprattutto, forse, nella provincia di Palermo - la Mafia dovette affermarsi in epoca ancora precedente. Non po­trebbe esserci nulla di più tipicamente mafioso della car­riera di Salvatore Miceli, il padrone di Monreale, che por­tò le sue squadre armate a combattere contro i Borboni a Palermo nel 1848, poi fu perdonato e, nominato capitano dell’esercito borbonico intorno al 18 50 (tratto davvero caratteristico), portò i suoi uomini in aiuto a Garibaldi nel i860 e fu ucciso mentre combatteva i piemontesi nel­la rivolta palermitana del 1866 E nel 18 7 2 la Mafia di Monreale era sviluppata a tal punto che si verificò la pri­ma di quelle rivolte, poi divenute endemiche, della «gio­vane Mafia» contro la «vecchia Mafia» (aiutata dalla po­lizia, che cercava cosi di indebolire l ’associazione) e ne derivò la «setta» degli stoppaglieri!. Tuttavia qualcosa di importanza quasi determinante dovette verificarsi nel «sistema parallelo» dopo l ’abolizione ufficiale del feuda­lesimo in Sicilia ( 18 12 -3 8 ) e specialmente dopo la conqui­sta da parte della borghesia settentrionale. Ma che cosa? Per rispondere a questa domanda siamo costretti a ricapi­tolare le nostre cognizioni sulla composizione e struttura della Mafia nel suo stadio di maggior sviluppo. La prima caratteristica, di gran lunga la più importante, consiste nel fatto che tutti i capi delle Mafie locali erano (e sono tuttora) persone facoltose, alcune ex feudatari di zone dell’interno, ma prevalentemente appartenenti alla classe media, agricoltori capitalisti e appaltatori, avvocati e si­mili. Su questo punto esistono prove inoppugnabili Fin dalle sue origini rurali la Mafia portava in sé i germi di una rivoluzione poiché alla metà del x ix secolo la terra di proprietà della borghesia non superava in Sicilia il 10 % circa dell’area coltivata. La spina dorsale della Mafia era­

1 c u t r e r a , La Mafia ed i mafiosi c i t . , p p . 1 7 0 -7 4 -1 «G iornale di Sicilia», 2 1 agosto 1 8 7 7 , citato da m o n t a l b a n o , La

Mafia cit., p p . 16 7 -7 4 .1 c u t r e r a , La Mafia ed i mafiosi cit., pp. 73 , 88-89, 96; f r ANCHEITI,

Condizioni politiche cit., pp. 170 -72 . Il fenom eno del gangsterism o come espressione tipica della classe m edia sbalordì e turbo il Franchetti.

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1A MAFIA 51

no i gabellotti - appartenenti alla classe media più ricca - , che corrispondevano ai proprietari feudali assenteisti un affitto globale per l ’intera proprietà e subaffittavano ai contadini e praticamente erano diventati l ’effettiva classe dominante, al posto dei padroni. In effetti, nelle zone di Mafia, essi erano tutti, a quanto pare, mafiosi. Il sorgere della Mafia riflette cosi, nell’ambito del «sistema paral­lelo», il trasferimento del potere dalla classe feudale al ceto medio rurale, una fase della nascita del capitalismo rurale. Allo stesso tempo la Mafia fu uno degli strumenti principali di questo trasferimento; infatti se il gabellotto se ne serviva per imporre condizioni a fittavoli e mezza­dri, se ne serviva anche per imporsi al padrone assentei­sta. Un equivalente esatto di questo fenomeno si riscon­tra nella cofradia de mayordomos (confraternita di fatto­ri ) del dipartimento di Caldas in Colombia. Questi usano sistemi terroristici e intimidatori tanto nei confronti dei latifondisti quanto degli affittuari, al fine di assicurarsi il controllo delle zone coltivate a caffè, del raccolto e dello smercio del prodotto.

La Mafia, per il fatto di trovarsi in mano a una classe che potrebbe dirsi di uomini d'affari, potè anche svilup­pare una rete di influenze quali mai avrebbe potuto ave­re se fosse stata soltanto una faccenda da « tipi duri», con orizzonte limitato ai confini del comune di residenza. La maggior parte dei gabellotti aveva rapporti con Palermo, dove percepivano le loro rendite i baroni e i principi as­senteisti, cosi come nel x v m secolo tutti i distretti irlan­desi erano collegati a Dublino. A Palermo risiedevano gli avvocati (che di solito erano figli o nipoti istruiti della borghesia campagnola), che stipulavano i trasferimenti di proprietà; i funzionari e i tribunali da «orientare»; i com­mercianti che disponevano dei prodotti tradizionali, quali bestiame e grano, e dei nuovi prodotti ad alto reddito qua­li aranci e limoni. Palermo era la capitale, dove per tradi­zione avevano luogo le rivoluzioni, cioè le decisioni fon­damentali per la politica siciliana. È quindi più che natu­rale che le fila locali della Mafia confluissero tutte là, co­me pare sia stata la tendenza all’inizio del secolo e proba­bilmente di nuovo oggigiorno. Tuttavia è significativo il

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CAPITOLO TERZO

fatto che i capi nominali della Onorata Società continua­vano a provenire dalla zona latifondista delPinterno, do­ve forse ebbe origine la Mafia: don Vito Cascio Ferro, prima del fascismo, da Bisacquino, don Calogero Vizzini da Villalba, Giuseppe Genco Russo da Mussomeli

L ’apparato di coercizione del «sistema parallelo», al pari della sua struttura politica e legale, non aveva una forma rigida né era centralizzato, ma raggiungeva ugual­mente il proprio scopo di assicurare acquiescenza all’inter­no e potere all’esterno - cioè controllare la popolazione locale e logorare il governo straniero. Non è facile fornire un quadro chiaro e conciso della sua struttura. In ogni so­cietà miserabile e oppressa, quale la siciliana, esiste una vasta riserva potenziale di uomini risoluti, come di pro­stitute. « L ’uomo cattivo», secondo un’incisiva espressio­ne del gergo della malavita francese, è affranchi: e l ’indi­viduo non ha altro mezzo per sottrarsi ai vincoli di un vir­tuale servaggio se non quello di diventare sgherro o fuo­rilegge. In Sicilia questa grande riserva era formata pre­valentemente da tre gruppi : i soprastanti e le forze di po­lizia privata (quali guardiani e campieri che sorvegliava­no frutteti ed ovili); i banditi e i fuorilegge professiona­li; e fra i lavoratori regolari, quelli più forti e sicuri di sé. E necessario convincersi che la migliore opportunità che si presentasse a un contadino o a un minatore per mitiga­re l ’oppressione di cui era vittima consisteva nel farsi una reputazione di duro o di amico di duri. Il normale centro di confluenza di costoro era l ’entourage del locale mag­giorente, che ingaggiava uomini di fegato e senza scrupoli e proteggeva i fuorilegge, anche se erano soltanto motivi di prestigio che lo inducevano a farlo, per dimostrare il proprio potere. Cosi veniva a formarsi una rete locale di interessi fra proprietari, guardie private, pastori, banditi, bravacci e uomini di fegato.

Quasi certamente furono due gli elementi che determi­narono l ’evoluzione di una situazione del genere e la sua trasformazione in Mafia. In primo luogo, il tentativo da parte del debole governo dei Borboni di costituire le Com-

1 p a n t a l b o n e , Mafia e politica c it., pp. 3 4 , 45, 1 1 8 .

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LA M AFIA 5 3

pagnie armate, che falli, come la maggior parte dei tenta­tivi di affidare la tutela della sicurezza pubblica all’inizia­tiva privata, fatti da governi deboli per tema di aggravi finanziari. Le Compagnie armate, dislocate in zone diver­se, ognuna con propria autonomia, erano tenute a rispon­dere in proprio per i furti e le rapine consumate nella pro­pria zona. Ne conseguiva che, date le condizioni della Si­cilia, l ’interesse preminente di ciascuna compagnia consi­steva nell’indurre la delinquenza locale a rubare altrove dietro promessa di accordare un diritto di asilo locale op­pure nel contrattare privatamente la restituzione della re­furtiva. Da un comportamento del genere ad una effettiva partecipazione delle Compagnie armate - i cui componen­ti erano della stessa pasta dei briganti - all’attività crimi­nale il passo era breve. In secondo luogo il crescente peri­colo rappresentato dal malcontento nelle città e nelle cam­pagne, specialmente dopo l ’abolizione del feudalesimo. Il fermento era, come al solito, particolarmente vivo fra i contadini, impegnati in una lotta, che sarebbe poi diven­tata perenne, contro la classe media rurale per il possesso delle terre pubbliche ed ecclesiastiche, delle quali la clas­se media tendeva ad appropriarsi. In un’epoca in cui le ri­voluzioni ricorrevano con una frequenza impressionante- quattro o cinque in quarantasei anni - era perfettamen­te naturale che i ricchi tendessero ad assoldare uomini per la difesa dei propri interessi - le cosiddette controsqua­dre — o adottassero altre misure per non lasciarsi sopraf­fare dalle rivoluzioni; ed alle mene del mafioso niente giovava di più di questa combinazione fra ricchi (terrieri) e gente decisa a tutto.

I rapporti tra Mafia, picciotti o emissari e briganti era­no quindi di una certa complessità. Come proprietari i capi-mafia non avevano interesse di sorta all’attività cri­minale; avevano però interesse a mantenere un corpo di seguaci armati per fini di coercizione. D ’altra parte agli elementi assoldati si dovevano consentire ruberie e riser­vare un determinato campo per l ’iniziativa individuale. I banditi, infine, rappresentavano un flagello quasi genera­le, per quanto anche essi potessero occasionalmente servi­re a rafforzare il potere dei padroni (il bandito Giuliano

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fu incaricato di sparare su di un corteo di contadini il pri­mo maggio 19 47 ed è noto il nome dell’influente perso­naggio palermitano che combinò l ’affare). Tuttavia, in mancanza di un apparato del potere statale centrale, il banditismo non poteva venire eliminato. Da qui quella singolare soluzione di compromesso, che è così tipica del­la Mafia: monopolio locale di estorsione controllata (che spesso assurge a vera e propria istituzione, al punto da perdere i propri caratteri di forza bruta) con eliminazio­ne di ogni intruso. Il coltivatore di aranci della regione palermitana era costretto ad assumere un guardiano (di frutteti); se era ricco, poteva essere obbligato qualche vol­ta a contribuire al mantenimento dei picciotti; se veniva derubato, poteva recuperare il suo avere decurtato di una percentuale, salvo che non fosse in rapporti particolari con la Mafia. Il ladro individuale era escluso

Nelle formazioni militari della Mafia si può riscontrare un identico miscuglio di lealtà e sottomissione dei dipen­denti e di profitto personale dei combattenti. Quando scoppiava la guerra, il padrone locale arruolava le sue squadre - composte prevalentemente, ma forse non esclu­sivamente, di membri delle cosche locali. I picciotti si uni­vano alle squadre, alcuni per seguire il padrone (quanto più influente era il capo-mafia, tanto più numeroso era il suo gruppo), altri per accrescere il proprio prestigio con l ’unico mezzo che gli si offriva, cioè con bravate e violen­ze, ma anche perché guerra significava guadagno. Nelle ri­voluzioni più importanti i capi-mafia pattuivano con i li­berali palermitani una paga giornaliera di quattro tari per uomo, oltre ad armi e munizioni e la promessa di questa paga (per non parlare dei saccheggi di guerra) faceva mol­tiplicare le squadre.

1 Opinione errata, tra le più comuni, - tramandata in opere quali L'ultim a battaglia della Mafia dell’ ineffabile prefetto m o r i e la i a ed. di Sicilia del g u e r c io - è quella che confonde la Mafia con il banditismo. La Mafia manteneva l ’ordine pubblico con mezzi privati e, generalmente par­lando, difendeva la popolazione proprio contro il banditismo.

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LA MAFIA 55

II .

Era questo, allora, il «sistema parallelo» della Mafia. Non possiamo affermare che fosse stato imposto ai sici­liani da qualcuno. In un certo senso venne espresso dai bisogni di tutte le classi rurali, e ne servi gli interessi in misura diversa. A i deboli - contadini e minatori - offriva quanto meno qualche garanzia che le obbligazioni sareb­bero state rispettate 1 e che il peso tradizionale dell’op­pressione non sarebbe stato sistematicamente aggravato;il terrore mitigava le tirannie tradizionali. E forse realiz­zava anche un desiderio di rivincita, facendo si che i ric­chi avessero qualche volta la peggio e che i poveri, sia pu­re come fuorilegge, potessero combatterli. E , in certi ca­si, poteva anche fornire il nucleo strutturale di una orga­nizzazione rivoluzionaria o difensiva. (Sembra comunque che intorno al 18 7 0 ci sia stata una certa tendenza alla fu ­sione 2 fra associazioni e gruppi semimafiosi, quali la fra­tellanza del centro zolfifero di Favara, i fratuzzi di Baghe- ria e gli stoppaglieri di Monreale). Per i feudatari era un sistema per salvare proprietà ed autorità; per le classi me­die rurali un mezzo per conquistarle. Per tutti costituiva un mezzo di difesa contro gli sfruttatori stranieri - gover­ni borbonici o piemontesi - e di rivendicazione autono­mista nazionale o locale. Finché la società siciliana con­servò un assetto essenzialmente statico e feudale e rimase soggetta a un potere esterno, la Mafia, con il suo carattere di cospirazione nazionale anticollaborazionista, le forni una base popolare genuina. Le squadre combatterono con i liberali palermitani (comprendenti l ’aristocrazia sicilia­na antiborbonica) nel 18 2 0 , 1848 e i860 . Si trovarono al­la testa della prima grande rivolta contro la dominazione del capitalismo del Nord nel 1866. Il carattere nazionale,

1 Cfr. n . c o l a J a n n i , G li avvenim enti d i Sicilia, Palermo 1894, cap. v , 1 proposito della funzione della Mafia come codice dei rapporti fra le di­verse categorie di minatori di zolfo, specialmente alle pp. 47-48•

2 Non mi convince la tesi, sostenuta da Montalbano, che il sorgere ci queste associazioni intorno al 1870 vada interpretato soltanto in termi- r.i di rivolta degli elementi giovani della Mafia contro i vecchi; questo potrà essere il caso di Monreale.

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e fino ad un certo punto popolare, della Mafia, ne accreb­be il prestigio e le assicurò la generale simpatia e l ’omer­tà. Si trattava ovviamente di un movimento complesso, comprendente elementi di reciproco contrasto. Pur se a malincuore, lo studioso deve resistere alla tentazione di una classificazione più rigorosa dal punto di vista storico della Mafia in questo stadio del suo sviluppo. Cosi non può condividersi la tesi di Montalbano, secondo cui i pic­ciotti, che allora formavano le squadre, non sarebbero stati veri Mafiosi con la M maiuscola, ma soltanto mafio­si con la m minuscola mentre la «vera» Mafia sarebbe sta­ta costituita dalle controsquadre, formazioni di parte pa­dronale già specializzate e agguerrite. Ciò equivale ad ap­plicare schemi validi per la Mafia del x x secolo a un’epo­ca cui tali schemi sono estranei '.

In effetti è dato supporre che la Mafia abbia realizzatoi primi veri progressi sulla via della sua maggiore potenza (ed abuso) ponendosi quale movimento regionale sicilia­no di rivolta contro le disillusioni dell’unità italiana dopoil i860 , più efficiente del parallelo e contemporaneo mo­vimento guerrigliero dei briganti nell’Italia continentale del Sud. Essa, come abbiamo visto, aveva legami politici con l ’estrema sinistra, dato che i radicali garibaldini costi­tuivano il principale partito italiano di opposizione. Que­sto carattere della Mafia mutò poi per tre ordini di motivi.

Primo, il sorgere di rapporti capitalistici nella società isolana. L ’avvento di forme moderne di movimenti conta­dini ed operai, che mutarono radicalmente l ’antica situa­zione, in cui l ’odio di silenziose congiure si alternava a massacri sporadici, misero la Mafia di fronte a uno stato di cose assolutamente nuovo. Per l ’ultima volta nel 1866 essa si ribellò con le armi contro le autorità. La grande ri­volta contadina del 1894 - i fasci siciliani - la trovò dalla parte della reazione o, nella migliore delle ipotesi, in po­sizione di neutralità. Del resto tali rivolte erano organiz­zate da capi di nuovo genere - i socialisti del luogo — le­gati a nuove forme di organizzazione, i fasci o le associa­zioni di mutua difesa, indipendenti dai picciotti. Comin­

1 m o n ta lb a n o , La Mafia cit., p. 197.

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ciò cosi a determinarsi quel rapporto, tipicamente moder­no, di proporzionalità inversa tra forza della Mafia e atti­vità rivoluzionaria. Fu anche osservato allora che il sor­gere dei fasci aveva diminuito il dominio della Mafia sui contadini1. N ;1 iyo o Piana dei Greci, roccaforte sociali­sta, per quanto al centro dell’impero della Mafia, aveva risentito notevolmente meno di altri centri l ’influenza del­la Mafia 2. Briganti e mafiosi prendono il posto di movi­menti sociali soltanto nelle comunità politicamente arre­trate e deboli. Nonostante questi cedimenti in singole lo­calità, non vi è dubbio però che la Mafia nel suo comples­so fosse, durante questo periodo, ancora in fase di espan­sione nella zona occidentale della Sicilia. Quanto meno ci sembra lo confermino le inchieste parlamentari del 1884 e 19 10 La seconda ragione del mutamento degli origi­nari caratteri della Mafia è da ricercarsi nel fatto che la nuova classe dominante dell’economia agricola siciliana,i gabellotti ed i loro collaboratori cittadini, scoprirono un modus vivendi con il capitalismo settentrionale. Manca­vano motivi di concorrenza perché l ’economia siciliana non era interessata alla industria manifatturiera e taluni dei suoi prodotti più importanti, quali gli aranci, difficil­mente potevano venire coltivati nel Nord; la trasforma­

1 E. c. c a lo n , La Mafia, Madrid 19 0 6 , I I .2 Vedi in Cutrera la preziosa carta della distribuzione della Mafia. P ia­

na, per quanto apparentemente restia ad adottare formule di organizzazio­ne contadina, diventò la grande roccaforte dei fasci del 18 9 3 e da quell’e­poca è sempre stata una fortezza del socialismo (e più tardi del comuni­Smo). Che in precedenza ci fosse stato un dom inio della Mafia è possibile arguire dalla storia della Mafia a New Orleans, la cui colonia siciliana, ar­rivata intorno al 18 8 0 , comprendeva un notevole contingente di pianesi, a giudicare dalla ricorrenza di caratteristici cognomi albanesi: Schirò, Loja- cono, Matranga. I Matranga - membri degli stoppaglieri - controllavano il racket del porto ed ebbero un ruolo preponderante negli episodi di Mafia del 18 8 9 a New Orleans (re id , Mafia cit., pp. 10 0 sgg.). Evidentemente la famiglia continuò nell’attivita mafiosa, poiché nel 19 0 9 il tenente Petro- sino della polizia di New Y ork , poi ucciso a Palermo - presumibilmente dalla Mafia - indagava sulla vita di un membro della famiglia {ib id ., p. 12 2 ) . Ricordo di aver visto a Piana nel 19.53 la tomba monumenta­le di un Matranga, rientrato di recente dagli Stati Uniti e trovato pochi anni prima ucciso per strada in circostanze che nessuno si preoccupò di indagare.

J a. D am iani, Inchiesta agraria, 18 8 4 , Sicilia, vo l. I l i ; g. lo r e n z o n i, Inchiesta Parlamentare, 1 9 1 0 , Sicilia, vo l. V I, 1 - 2 ; specialm ente alle pp. 6 4 9 -5 1.

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zione del Sud in una colonia agricola del Nord commer­ciale ed industriale non ledeva quindi gli interessi degli agrari siciliani. D ’altro canto l ’evoluzione politica del Nord forniva loro un sistema assolutamente nuovo e di valore inestimabile per la conquista del potere: il voto. La grande stagione del potere della Mafia - che preludeva però al suo declino - ha inizio con il trionfo del liberali­smo nella politica italiana e si sviluppa con l ’estendersi dell’affrancamento.

Per gli uomini politici del Nord, finita l ’epoca del con­servatorismo seguito all’unificazione, il Sud non costitui­va un problema. Esso poteva assicurare una maggioranza stabile a qualsiasi governo avesse opportunamente im­piegato lo strumento della corruzione o delle concessioni di privilegi nei confronti dei capi locali capaci di garanti­re la vittoria elettorale. I l che, per la Mafia, era un gioco da ragazzi. I suoi candidati riuscivano sempre eletti, quasi a ll’unanimità, in collegi che erano delle vere roccaforti della Mafia. I privilegi concessi e il prezzo pagato per la corruzione, anche se modesti dal punto di vista del Nord, data la miseria del Sud, sortivano ben più grande risulta­to ai fini del potere locale in una regione piccola come me­tà della Sicilia. La politica creava il potere del capo loca­le; la politica lo accresceva e lo trasformava in un grosso affare.

La Mafia ottenne questo suo nuovo potere non soltan­to perché era in grado di fare promesse e minacce ma per­ché, a dispetto dei nuovi rivali, era ancora considerata parte del movimento nazionale e popolare; proprio comei capi delle grandi città degli Stati Uniti arrivarono al po­tere non solo con la corruzione e con la forza ma anche perché rappresentavano per le migliaia di elettori immi­grati « i nostri»: irlandesi per gli irlandesi, cattolici peri cattolici, democratici (e cioè avversari dei grandi affari­sti) in un paese di prevalente indirizzo repubblicano. Non a caso l ’apparato elettorale della maggior parte delle grandi città americane, per quanto corrotto, apparteneva al partito tradizionale di opposizione, allo stesso modo che la maggior parte dei siciliani alimentava l ’opposizione a Roma, che negli anni successivi al i860 , si identificava

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con i garibaldini. Cosi la svolta cruciale nelle fortune del­la Mafia si determinò solo quando la Sinistra (o gli uomi­ni che si fregiavano dei suoi slogan), dopo il 1876 diven­ne il partito governativo. In tal modo la Sinistra, come afferma il Colajanni, «produsse in Sicilia e nel Mezzogior­no, una trasformazione che non potè produrre altrove: l'asservimento completo delle masse al govern o»1. La organizzazione politica siciliana, cioè la Mafia, divenne così parte integrante del sistema governativo di favori speculando sul fatto che i propri seguaci, per la mancan­za di contatti diretti e per la naturale loro ignoranza, tar­dassero a rendersi conto che i propri voti non andavano più alla causa della rivolta. Quando -se ne accorsero (co­me ad esempio durante le sollevazioni degli anni seguenti al 1890) era troppo tardi. La tacita alleanza fra Roma, con le sue truppe e le leggi marziali, e la Mafia, li aveva stretti in una morsa. Era stato instaurato il vero «regno della Mafia». Ora essa costituiva una grande potenza. I suoi membri sedevano in Parlamento a Roma e affonda­vano le mani nella parte più ricca della greppia governati­va: grandi banche, scandali nazionali. La sua influenza ora si estendeva oltre i confini vagheggiati dai capi locali di vecchio stampo, tipo Miceli di Monreale. Alla Mafia non si poteva resistere; ma essa ormai non era più un mo­vimento popolare siciliano come all’epoca delle squadre del 1848 , i860 e 1866.

ih .

H a ora inizio il suo declino. In proposito, le nostre in­formazioni sono ancora più scarne di quelle che abbiamo sul periodo di splendore, poiché durante l ’epoca fascista non fu pubblicato alcuno studio approfondito e successi­vamente solo un numero molto esiguo2. Possiamo però

1 La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi (ed. 19.51), p. 78.2 Lo studio di gran lunga più importante - e del quale mi sono avval­

so profìcuamente - è Funzioni e basi sociali della Mafia di f . r e n d a , inIl movimento contadino nella società siciliana , Palermo 1956 e m o n t a l ­ban o , La Mafia cit.

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esporre in breve alcuni fattori determinanti nel corso più recente della storia della Mafia.

In primo luogo, il sorgere delle leghe contadine e del socialismo (successivamente comuniSmo), che rappresen­tarono un’alternativa alla Mafia per le classi popolari, che vennero cosi allontanate da un organismo che, sem­pre più apertamente e decisamente, si trasformava in una forza terroristica diretta contro le sin istre1. Così i fasci del 18 9 3 , la recrudescenza delle agitazioni agrarie dell’e­poca precedente la prima guerra mondiale e degli anni agitati successivi al 19 18 , si posero come pietre miliari sul cammino che separava la Mafia dalle masse. L ’epoca postfascista, con la guerra dichiarata fra Mafia e sociali- smo-comunismo - i massacri di Vil 1 alba (1944), e Portel- la della Ginestra ( 1947), il tentato assassinio del capo co­munista siciliano Girolamo L i Causi, l ’uccisione di vari organizzatori sindacali - approfondirono la frattura2. La base popolare che la Mafia possedeva fra i braccianti sen­za terra, i minatori di zolfo, ecc., tendeva a diminuire. E si­stono ancora, secondo Renda (organizzatore politico e stu­dioso di valore), poche zone rimaste integralmente e «spi­ritualmente» mafiose, ma « lo spirito e le consuetudini del­la Mafia sopravvivono ai margini dei grandi sentimenti popolari».

La maggior parte delle province-chiave della Mafia, specialmente nelle campagne, registra voti socialisti e co­munisti. È evidente che l ’incremento dei voti dei partiti associati di sinistra dall’ 1 1 ,8 % del 1946 al 29 ,2% del 1963 a Palermo e dal 29 ,1 % del 1946 al 44 ,8% del 1963 nella provincia di Caltanissetta, segna il declino dell’in- fluenza della Mafia come forza decisamente avversa alle sinistre \ Le sinistre hanno dato ai siciliani un’organizza-

1 L o s t e s s o p r e f e t t o M o r i , a o n o r d e l v e r o , a c c e n n a s p o r a d ic a m e n t e a

questo fatto,2 Del primo e del terzo di questi delitti venne formalmente accusato

Calogero Vizzini, un capo mafioso, se non addirittura il capo della Mafia. Del secondo venne accusato G iuliano (m o n t a l b a n o , La Mafia cit., pp. 186-87, cita il rapporto del generale dei carabinieri Branca del 1946. Cfr. m a x w e l l G o d protect me from my friends cit., per i rapporti tra la Ma­fia e Giuliano).

3 I dati delle elezioni fino al 1953 per le singole province sono tratti da e . c a r a n t i , Sociologia e statistica delle elezioni italiane, Roma 19 5 4 - I-;l

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;:one di ricambio, più moderna, ed una certa protezione csretta e indiretta contro la Mafia, specialmente dopo il :9 4 5 , se non altro in quanto le forme più gravi del terro­rismo politico mafioso tendono ora a destare maggior preoccupazione a Roma. Inoltre, da quando la Mafia non e più in grado di controllare le elezioni, essa ha perduto molto del potere che deriva dal clientelismo. In luogo del «sistema parallelo» ora la Mafia, politicamente par­lando, costituisce soltanto un gruppo di pressione molto potente.

In secondo luogo vengono le scissioni interne della Mafia. Esse assumevano ed assumono due forme: le riva­lità fra «quelli dentro» (di solito la vecchia generazione) e «quelli fuori» (di solito i giovani) in un paese a reddito limitato e ad alto livello di disoccupazione e la tensione tra la vecchia generazione di gabellotti ignoranti e gretti- superiori di poco (tranne che per la ricchezza) ai conta­dini, in danno dei quali si erano ingrassati — e quella dei loro figli di condizione sociale più elevata. I giovani che diventano «lavoratori dal colletto bianco» o avvocati, le ragazze che trovano marito in una società «m igliore» - cioè estranea alla Mafia - spezzano la coesione familiare della Mafia, su cui si fonda gran parte della sua forza. La tensione del primo tipo, tra «vecchia» e «giovane» M a­fia è di antica data: come abbiamo visto, si verificò in for­ma tipica a Monreale già nel 18 7 2 . Il secondo genere di tensione lo vediamo a Palermo già nel 18 7 5 ma nelle zo­ne latifondiste dell’interno si è sviluppato soltanto negli ultimi decenni '. Le rivalità sempre vive tra «vecchia» e «giovane» Mafia, producono quella che Montalbano ha definito «una strana dialettica»: prima o poi i giovani ri­soluti, che non possono risolvere il problema dell’esisten­za con il lavoro, perché lavoro non ce n ’è, sono costretti a risolverlo in qualche altro modo, ad esempio con il de­litto. Ma le attività criminali lucrose si trovano sotto il

percentuale complessiva dei voti socialisti e comunisti nelle quattro pro­vince mafiose nel 1963 era del 37.8% contro il 4^,4% dei democristia­ni; la maggior parte dei voti residui era per l'estrema Destra (collegi elet­torali di Palermo, Trapani, Agrigento e Caltanissetta).

1 re n d a , 1 1 movimento contadino c it ., p. 2 1 9 .

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controllo dei mafiosi della vecchia generazione, restii a far posto ai giovani e costoro organizzano perciò bande rivali, di solito ricalcando gli stessi schemi della vecchia Mafia; spesso in loro favore interviene l ’aiuto della poli­zia, che spera cosi di indebolire la vecchia Mafia, e i giova­ni mafiosi, per raggiungere questo stesso scopo, si valgo­no della polizia. Prima o poi, se nessuna delle due fazioni è stata in grado di sopprimere l ’altra - la maggior parte degli assassinii della Mafia è il risultato di queste micidiali contese - vecchi e giovani si associano, dopo una nuova ripartizione della preda.

Tuttavia è opinione diffusa che la Mafia sia stata, sin dalla prima guerra mondiale, afflitta da dissensi interni straordinariamente acuti, verosimilmente dovuti a quel tipo di tensione familiare che abbiamo sopra descritto, tensione aggravata da effettive divergenze programmati- che, quali dovevano necessariamente sorgere in un’isola, la cui fisionomia economica, sociale e criminale era muta­ta con crescente rapidità. Un esempio di tali divergenze programmatiche ci viene dall’America. Colà la Mafia ri­fiutò a ll’inizio di trattare con emigranti che non fossero siciliani e combattè notevoli battaglie contro i suoi rivali napoletani, i camorristi, quali ad esempio le famose lotte Matranga-Provenzano a New Orleans intorno al 1880 ed altre battaglie del genere a New Y ork intorno al 19 10 . Una ipotesi plausibile è quella secondo cui la liquidazio­ne della «vecchia» Mafia ad opera della «giovane» si sa­rebbe verificata intorno al 19 30 , quando la vecchia orga­nizzazione venne sostituita da una versione più moderna, che, a differenza della antica fratellanza di sangue, era di­sposta a collaborare con i gangster napoletani e perfino ebrei. È nel quadro di tali dissensi che può trovarsi la giu­stificazione più adeguata delle cause della sopravvivenzao meno della Mafia in seno al gangsterismo americano

1 Per le vecchie lotte, vedi re id , Mafia cit., pp. 100, 146. Per la purga del 19 3 0 (non riportata da Reid o da Kefauver) c fr. t u r k u s & f e d e r , M urder Inc., London 1 9 5 3 . La testimonianza che un napoletano, J . Va- lachi, sia stato formalmente ammesso in una organizzazione prevalente­mente siciliana e che ancora svolge i propri riti nel dialetto dell’ isola, p a r e la p r o v a conclusiva che la Mafia americana ha decisamente infranto

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Più avanti esamineremo le nuove prospettive «affaristi­che» della Mafia moderna.

In terzo luogo viene il fascismo. Mussolini, secondo la versione attendibile di Renda, si trovò costretto a combat­tere la Mafia dal momento che su questa si appoggiava il partito liberale antifascista (le elezioni del 19 24 a Paler­mo avevano dimostrato le possibilità della Mafia liberale di opporsi al processo di affermazione politica del fasci­smo). Le campagne fasciste contro la Mafia, più che con­tribuire al crescente suo indebolimento, lo resero eviden­te e si risolsero puntualmente in quell’identico accordo tacito di collaborazione tra potentati locali e governo cen­trale che si era verificato in passato. Sopprimendo le ele­zioni però il fascismo certamente privò la Mafia del suo principale strumento per mercanteggiare la concessione di favori da parte di Roma; il movimento delle camicie ne­re forni a mafiosi scontenti e a mafiosi potenziali una ma­gnifica occasione di usare l ’apparato statale per soppian­tare i propri rivali già affermati e in tal modo approfon­di i motivi di discordia all’interno della Mafia. Le radici del movimento resistettero: dopo il 1943 esso riemerse in pieno. Tuttavia i gravi colpi infertigli e i compromessi cui fu costretto produssero effetti sociali tutt’altro che trascurabili. I grandi mafiosi potevano abbastanza facil­mente venire a patti con Roma. L ’unica conseguenza de­rivatane alla maggior parte dei siciliani fu che «sistema parallelo» e governo ufficiale entrarono a far parte di un unico complotto per opprimerli; più che di una inversio­ne di rotta si trattò di un passo avanti sul cammino inizia­to nel 18 76 . I piccoli mafiosi, d ’altra parte, certamente ne scapitarono. Si è perfino ritenuto che le campagne fa­sciste provocarono « l ’arresto di un lungo processo che tendeva ad inserire in misura sempre più larga lo stato medio della Mafia nel sistema della grande proprietà ter­riera in qualità di piccoli e medi proprietari borghesi» ‘ .

Non è perfettamente noto come sia rinata la Mafia do­po il 19 4 3 . È chiaro - secondo il rapporto Branca del

la tradizione fin dal 19 3 0 (deposizione di Valachi, in «N ew Y ork Tim es»,2 ottobre 19 6 3 ) .

1 r k n d a , II movimento contadino c it., p. 2 1 3 .

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1946 - che la Mafia aveva stretti legami con il movimen­to separatista siciliano, cui andarono le simpatie alquan­to avventate degli Alleati dopo l ’occupazione dell’isola, e forse anche con l ’antico partito della proprietà e dello status quo, il partito liberale. Successivamente pare si sia affermata una tendenza verso i monarchici e i demo- cristiani. Comunque il rapido declino dei voti liberali e indipendentisti, dal mezzo milione del 19 47 ai 2200 00 del 1948 , sta a significare qualcosa di più di un semplice mutamento di tendenza degli elettori, considerato soprat­tutto il fatto che in seguito il processo di indebolimento di quei due partiti fu molto più lento. La maggior parte di questi voti perduti andò ai democristiani, ma i monar­chici - il fatto non è irrilevante - non se ne giovarono af­fatto e continuarono a progredire lentamente per alcuni anni1. È stata avanzata l ’ipotesi assai attendibile, che il peso della Mafia nelle elezioni, oggi si riduca a ll’abilità di far cadere i voti preferenziali su un candidato piutto­sto che su un altro neH’ambito della democrazia cristiana e della Destra; pertanto essa influisce soprattutto sulle lotte di fazione all’interno di quei partiti.

Nel dopoguerra però la Mafia ha scoperto due nuovi generi di attività economica lucrosa. Nel settore più pro­priamente criminale gli orizzonti di determinati raggrup­pamenti della Mafia si sono certamente estesi in campo internazionale, in relazione all’enorme profitto che si può trarre dal mercato nero e dal contrabbando in grande sti­le, in un periodo che certo passerà alla storia come l ’epoca d ’oro della criminalità organizzata, ed anche in relazione ai forti legami tra la Sicilia e le forze americane di occu­pazione, legami rinsaldati a seguito della deportazione in Italia di numerosi famigerati gangster americani. Non c e dubbio che parte della Mafia si sia dedicata con entu­siasmo al traffico internazionale della droga. Non è nep­

1 I partiti del regime prefascista - liberali e monarchici - sono tuttora notevolmente forti in determinate zone, che possono forse valere quale indice approssimativo dell'influenza elettorale della «vecchia M afia»: a Trapani prevalgono su democristiani e soci al comunisti, a Part inico Mon­reale - feudo della vecchia Mafia - prevalgono sui socialisti e comunisti. In tipiche /one di Malia, quali Corleone-Bagheria essi però sono stati su­perati dulie sinistre e ancora di più dai democristiani (elezioni del 1958I.

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pure da escludere - in pieno contrasto con l ’antico pro­vincialismo - che i mafiosi siano disposti a collaborare ad attività criminali organizzate altrove'.

Ben più importante nella storia della Mafia è il siste­ma con cui essa ha potuto resistere alla distruzione del suo principale sostegno, l ’economia latifondista. Le pro­prietà si sono dissolte e molti baroni hanno licenziato i loro campieri. Ma il ruolo di influenti personaggi locali ha permesso ai mafiosi di realizzare guadagni sul grande mercato delle vendite di terre ai contadini nell’ambito del­le varie leggi di riforma. «Si può affermare - dice Ren­da - ad esempio, senza tema di sbagliare che la quasi to­talità della piccola proprietà contadina sia stata negozia­ta con l ’intermediazione di elementi m afiosi»2, alle cui mani quindi tendeva a rimanere attaccata buona parte dei terreni e beni di altro genere. Così la Mafia ancora una volta ha avuto la sua parte nella creazione di una classe media siciliana e indubitabilmente sopravviverà al tramonto della vecchia economia. Alla figura tipica del mafioso campiere si è semplicemente sostituita quella del mafioso proprietario terriero e affarista. Il rapido moder­nizzarsi della Sicilia, la urbanizzazione di Palermo, e l ’at­mosfera generale di benessere economico in Italia, hanno dato modo alla Mafia di assumere il controllo di nuovi set­tori dell’attività economica, specialmente nello sviluppo del mercato immobiliare cittadino e di varie forme di com­mercio e distribuzione. Evidentemente ciò ha approfon­dito la frattura tra la «vecchia» Mafia tradizionale e agri­cola e i «giovani» mafiosi dediti a più moderne imprese criminali ed economiche, talvolta in combutta con ex gangster americani. Inoltre è chiaro che la emigrazione in massa dalla Sicilia al Nord ha fatto sì che le attività della Mafia si estendessero al continente, specialmente a Milano e a R om a3.

1 Le gesta dei fuorilegge iti S icilia , in « I l Messaggero», 6 settembre 19 5 5 , con il resoconto dell’assassinio a Palermo di un contrabbandiere di tabacco da parte della «M afia su ordine di N apoli».

’ renda, I l movimento contadino cit., p. 218 .3 pantai.f.ONe, Mafia e politica cit., capp. x i , x v i i - x ix ; M emoriale sulla

Mafia, in «R inascita», 12 ottobre 1963, p p . 1 1 - 1 2 ; c. r i s e , in «L'espres­so», 34 luglio 1963.

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In qual modo si sia modificata l'organizzazione della Mafia nel corso di una tale evoluzione, non sappiamo. Po­trebbe ritenersi che sia diventata un organismo più cen­tralizzato, a seguito della autonomia regionale, che ha fat­to di Palermo un centro ancora più vitale per la Sicilia di quanto non lo fosse in passato, e anche in relazione alle varie tendenze «moderniste» assunte dalla Mafia nella condotta degli affari. Sul grado di centralizzazione non vi sono che congetture personali e fin quando da fonte giornalistica si continuerà ad additare, contemporanea­mente e con la stessa certezza, nei più svariati personaggi i «capi della M afia», sarà prudente limitarsi alla semplice considerazione che, se una direzione centrale esiste, essa quasi certamente si trova a Palermo e probabilmente nel­le mani di avvocati.

IV .

La Mafia è il fenomeno più noto ma non è l ’unico nel suo genere. Quanti altri ce ne siano di paragonabili ad essa non lo sappiamo, per il semplice motivo che argo­menti del genere hanno attratto raramente l ’attenzione degli studiosi e sporadicamente quella dei giornalisti. (I giornali locali sono spesso contrari a pubblicare notizie che potrebbero pregiudicare il «buon nome» della regio­ne, proprio come nelle stazioni balneari sono contrari a pubblicare troppe notizie di nubifragi). Per quanto la co­siddetta Onorata Società ( ’Ndranghita, Fibbia) sia da tem­po nota a tutti nella Calabria meridionale e la stessa poli­zia l ’abbia certamente notata fin dal 1928-29, noi dobbia­mo la sua conoscenza a una serie di eventi fortuiti verifi­catisi nel 19 53-55 . In quegli anni il numero degli omicidi nella provincia di Reggio Calabria si raddoppiò. E , dato che le attività della Fibbia avevano addentellati politici sul piano nazionale - l ’automobile di un ministro fu attac­cata dai banditi, per errore secondo alcuni, e i vari partiti si accusarono a vicenda di servirsi dei fuorilegge locali - il comportamento della polizia durante l ’agosto e il set­tembre del T055 venne illustrato con insolita ampiezza

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dalla stampa nazionale. Cosi un dissidio interno all’asso­ciazione, in cui fu coinvolta la polizia, fece si che molti segreti venissero resi di pubblico dominio . Da tali con­tingenze dipendono le nostre cognizioni sulle mafie non siciliane.

L ’Onorata Società pare si sia sviluppata in epoca pres­sappoco contemporanea e sullo stesso modello dei car­bonari2; infatti si dice ancora che la sua struttura e il suo rituale siano di tipo massonico. A differenza però dai car­bonari, che erano un’associazione di borghesi con finalità di opposizione ai Borboni, l ’Onorata Società «si affermò piuttosto come associazione di mutuo soccorso fra perso­ne che volevano difendersi d^l potere feudale, statale o poliziesco e da private riaffermazioni di potere». A somi­glianza della Mafia, anch’essa subi una certa evoluzione storica. Sembra però che, a differenza della Mafia sicilia­na, la Società abbia conservato, molto più spiccatamen­te della Mafia, il proprio carattere d ’organizzazione po­polare di autodifesa e di difesa del «sistema di vita cala­brese». Questa, almeno, è l ’opinione dei comunisti, che, sotto tale riguardo, appaiono degni di fede, data la loro grande avversità ad organizzazioni di quel genere. L ’Ono­rata Società è cosi rimasta almeno sotto uno dei suoi vari aspetti «un ’associazione primitiva, nonché prepolitica, composta da contadini, pastori, piccoli artigiani, operai non specializzati, i quali, in un ambiente chiuso e arretra­to come quello di determinati villaggi calabresi - special­

1 c. g u a r in o , Dai Mafiosi ai Cam orristi, in «Nord e Sud», 13 , 195^, pp. 76-107. sostiene che a far scattare la trappola sia stato un membro del­la società, tal Serafino Castagna, uomo piuttosto inviso, il quale, dopo aver commesso di sua personale iniziativa diversi omicidi particolarmen­te efferati, richiese l ’aiuto della società per salvarsi. Avendone ricevuto un rifiuto, Castagna, vistosi perduto, scese a patti con la polizia. Nono­stante la sua testimonianza fu però condannato ugualmente. Cfr. anche G. c e Rv i g n i , Antologia della F ibbia , ivi, 18 , 19 5 6 .

2 La mia tesi si fonda su g u a r in o , Dai Mafiosi ai Camorristi cit.; c e r - v i g n i , Antologia della F ibbia cit.; a . f i u m a n o e r . v i l l a r i , Politica e Ma­lavita, in «Cronache m eridionali», 11, 10 , 19.5 5 > PP- 6 5 3 sgg., ma soprat­tutto sui servizi giornalistici del settembre 1955 e specialmente sugli ec­cellenti articoli di R. Longone su « l ’Unità» tra i quali ha particolare va­lore Leggenda e realtà della «mafia calabrese», del 10 settembre 19,5.5. Per un breve dibattito pubblicato dopo l ’uscita dell’edizione inglese dei volume, cfr. La C.'ifohrc, a cura di Jean M eyriat, Paris i960, pp. s t v t ? -

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mente di montagna - , si batte no per ottenere quella con­siderazione, quel rispetto e caella dignità, altrimenti ir­raggiungibile da parte di nullatenenti e miserabili» (Lon­gone). Cosi Nicola d ’Agostino di Canolo, che poi diventò sindaco comunista del suo paese, viene descritto come un uomo che in gioventù, come si dice da queste parti, «si fa­ceva rispettare». Naturalmente, egli era allora membro autorevole della Società. (Come tanti altri contadini co­munisti, egli fu «convertito» in carcere). Come abbiamo già visto, la Società riteneva doveroso aiutare non soltan­to i propri membri ma anche tutti coloro che, secondo il costume locale, erano ingiustamente perseguitati dallo Stato, come ad esempio gli omicidi per vendetta di san­gue.

Naturalmente essa aveva anche la tendenza a costitui­re, come la Mafia, un sistema parallelo di legalità, capace di far recuperare i beni rubati o di risolvere altri proble­mi in maniera molto più efficiente dell’apparato estraneo dello Stato. E , sempre al pari della Mafia e per motivi analoghi, l ’Onorata Società tendeva a trasformarsi in un sistema di estorsione organizzata e di nuclei locali di po­tere, che potevano venire assoldati da parte di chiunque ambisse, per i propri fini personali, raggiungere una in­fluenza locale. L ’opposizione politica cita casi di capi lo­cali nei cui confronti vennero sospese le misure di poli­zia per il periodo elettorale perché potessero usare la loro influenza nella giusta direzione. Sono note le associazioni di tipo mafioso che mettono la loro influenza a servizio del miglior offerente - e cioè prevalentemente al servizio degli interessi degli agrari ed affaristi del luogo e dei partiti governativi. Nella piana di Gioia Tauro, vecchio feudo di agrari (che i turisti attraversano in treno, recan­dosi in Sicilia), pare che funzionari e autorità locali ri­corressero ampiamente agli squadristi - squadre armate fornite dalla Società - dal 1949-50 in poi, il che non deve meravigliare, dato che quell’annata registrò la punta mas­sima delle agitazioni delle masse in Calabria per la rifor­ma agraria. Sembra quindi che la Società abbia potuto impadronirsi in larga misura delle leve locali tra datori di lavoro e lavoratori, il che costituisce una evoluzione di

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genere tipicamente m afioso1. Tale orientamento della Società non ha però carattere necessariamente generale, dato che, nonostante le apparenti caratteristiche struttu­rali di tipo gerarchico, sembra che ogni loggia locale della Società conservasse larga autonomia di azione e qualcuna tendesse addirittura a stringere alleanze con le sinistre.

La situazione viene ulteriormente complicata da riva­lità private in seno alle logge e fra loggia e loggia, da ven­dette di sangue e da altre complicazioni tipiche dell’am­biente calabrese. Fra gli emigrati in Liguria o in Austra­lia, la situazione della Società è ancora più oscura e talora si colora di sangue J. Tuttavia è certo che un processo di evoluzione dello stesso tipo della Mafia siciliana moderna, nella Società non si è verificato se non in misura limitata.

Di conseguenza anche la Società è andata gradualmen­te sparendo in molte zone con raffermarsi di moderni mo­vimenti di sinistra. Non vi è stata una generale sua tra­sformazione in forza di conservazione politica. A Gerace pare si sia praticamente dissolta; a Canolo - grazie all’in­fluenza esercitata dal d ’Agostino dopo la sua conversio­ne - è diventata un mero orpello e l ’appartenenza ad essa è quasi oggetto di ridicolo; nei paesi a tendenza di sini­stra dove essa è riuscita a sopravvivere, non è - o cosi si dice - che una forma alquanto sonnacchiosa di massone­ria locale. Ma - ed è questo il punto essenziale - in nes­sun luogo la Società, a quel che ne sappiamo, si è colletti­vamente trasformata in organizzazione di sinistra, men­tre, in alcune zone, ò diventata un gruppo di pressione di destra.

Ciò è perfettamente naturale. Come abbiamo visto, nel processo evolutivo della Mafia domina una tendenza net­tamente opposta al movimento sociale, indirizzata, nell’i­

1 fium ano-vi li .a r 1, Politica e Malavita cit., pp. 657-58.2 Per un'indagine parallela dei due tradizionali fenomeni calabresi, il

ratto della sposa (cfr. cap. 1) c l ’Onorata Società, cfr. « L a Nuova Stam­pa» del 17 novembre 1956. L ’episodio avvenne a JSordighera. Quanto alla Società in Australia - fenomeno che i sociologhi australiani potrebbero utilmente approfondire - cfr. il caso di Rocco Calabro, capo della Fibbia a Sinopoli ed emigrato da tre anni a Sydney, che fu ucciso nel 1955 nel suo paese di origine pare a seguito di un dissidio con la Società verificatosi a Sydney («Paese Sera» del 7 settembre 1955 e « I l Messaggero» del 6 k ! >^). 11 20To dei sinopolitani sono emigrati in Australia.

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potesi più benevola, verso il gruppo di pressione politica e, nell'ipotesi peggiore, verso il sistema criminale di estor­sione organizzata.' Numerose e profonde sono le ragioni per cui non è possibile costruire un movimento nazionale0 sociale sulle fondamenta della Mafia tradizionale, se non a patto di una sua profonda trasformazione dall’in­terno.

Una prima ragione va ricercata nel fatto che la Mafia tende a rispecchiare la ripartizione non ufficiale del po­tere in una società oppressa: nobili e ricchi ne sono i pa­droni soltanto perché essi detengono il potere effettivo nella zona. Perciò, appena si verificano gravi fratture fra1 detentori del potere e le masse - ad esempio con le agi­tazioni agrarie - è difficile che i movimenti nuovi possano inserirsi negli schemi della Mafia. D ’altra parte, quando l'organizzazione contadina socialista o comunista conqui­sta una quota sufficiente del potere locale, non ha più bi­sogno di molto aiuto da parte di organizzazioni di tipo mafioso.

La seconda ragione consiste nel fatto che gli obiettivi sociali dei movimenti di Mafia, al pari di quelli del bandi­tismo, sono quasi sempre limitati, eccetto forse per quel che concerne l ’aspirazione all'indipendenza nazionale. Ma anche sotto tale riguardo quei movimenti hanno più una funzione di implicita congiura a difesa della «antica ma­niera di vivere» contro la minaccia di leggi estranee, che la funzione di strumenti di effettiva indipendenza per l'affrancazione dal giogo straniero. Nelle rivolte sicilia­ne del x ix secolo l ’iniziativa venne dai liberali della città e non dalla Mafia, i mafiosi si limitarono ad aggregarsi. In effetti la mafia, appunto in quanto fenomeno organizza­tivo antecedente all’avvento nelle masse di un minimo di coscienza politica e in dipendenza proprio dei suoi obiet­tivi limitati e di natura difensiva, ha tendenza a caratte­rizzarsi in senso riformista (per usare un termine anacro­nistico) piuttosto che rivoluzionario. Si accontenta della regolamentazione dei rapporti sociali esistenti e non aspi­ra a una radicale loro trasformazione. Pertanto il sorgere di movimenti rivoluzionari determina l ’indebolimento della Mafia.

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L ’ultima ragione deve vedersi nel fatto che essa tende alla stabilità sociale poiché, nella propria incoerenza orga­nizzativa ed ideologica, è di solito incapace di esprimere un apparato di forza fisica che non sia allo stesso tempo uno strumento di criminalità e di privato arricchimento. In altre parole tende inevitabilmente ad agire a mezzo di gangster, perché incapace ad esprimere dei rivoluzionari professionali. I gangster però accampano una ipoteca sulla proprietà privata, come i pirati sul libero commercio, di cui sono parassiti.

Per tutte queste ragioni un movimento di tipo malioso ha possibilità minime di trasformarsi in un movimento sociale moderno, se non attraverso la conversione indivi­duale dei singoli mafiosi. Ciò però non significa che movi­menti essenzialmente rivoluzionari operanti in determi­nate condizioni storiche non possano esprimere un buon numero di regole di condotta e di istituzioni che richiami­no quelle della Mafia.

A ppunti sulla camorra

L ’opportunità di questa breve nota discende dal fatto che spesso mafia e camorra vengono, come « associazioni criminali», considerate sullo stesso piano. Non credo che la camorra possa considerarsi in nessun senso della paro­la, un movimento sociale, anche se essa — come tutte le forze capaci di spezzare le leggi degli oppressori, qualun­que ne siano gli scopi - godette di una parte dell’ammi­razione che i poveri hanno per i briganti e fu circondata di miti e celebrata nei canti popolari come «una specie di selvaggia giustizia contro gli oppressori» (Alongi, La Ca­morra cit., p. 27).

A meno che la generalità degli studiosi sia incorsa in equivoco, la camorra fu (e, nella misura in cui tuttora sus­siste, probabilmente ancora è) un’associazione o confra­ternita criminale di un tipo particolare non ignoto agli

1 Questa nota si fonda principalmente su a l o n g i, La Camorra cit,, opera non molto pregevole ma completa di riferimenti alla letteratura precedente.

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storici; simile forse alla feccia di Basilea, che aveva costi­tuito un proprio tribunale fuori della città sul Kohlen­berg o alia Cofradia del Monopodio, di cui parla Cervan­tes in una delle sue Novelas Ejem plares. Essa non rappre­sentava alcun interesse di classe o nazionale e neppure un coacervo di interessi di classe, ma soltanto l ’interesse pro­fessionale di una élite di criminali. Le sue cerimonie ed i suoi rituali erano propri di una organizzazione destinata ad evidenziare il distacco del milieu dalla massa dei citta­dini comuni; ne è esempio l ’obbligo per aspiranti e novizi di consumare un determinato numero di delitti comuni, per quanto le attività usuali della camorra si limitassero all estorsione. Il suo standard di «m oralità» (il concetto richiama i criteri di ammissione nelle normali corporazio­ni di arti e mestieri) esigeva che gli aspiranti appartenes­sero al mondo criminale; costoro dovevano possedere for­za e coraggio, non avere sorelle o mogli dedite alla prosti­tuzione, non essere rei di pederastia passiva (presumibil­mente in quanto forma di prostituzione maschile), e non avere avuto mai rapporti di sorta colla polizia (Alongi, La Camorra cit., p. 39). Essa ebbe origine, quasi certamente, nelle carceri che di norma e in ogni paese creano fra i pri­gionieri le camorre - raramente però costituite in forme cosi arcaiche.

Non si sa con certezza quando il fenomeno sia com­parso al di fuori delle mura delle carceri. La versione pili attendibile indica un periodo tra il 179 0 ed il 18 3 0 , a seguito, forse, delle varie rivoluzioni e reazioni napole­tane. Una volta fuori dal chiuso delle carceri, il suo pote­re e la sua influenza crebbero rapidamente, in gran parte grazie alla protezione dei Borboni, i quali - dopo il 1799- vedevano nel Lum penproletariat di Napoli, e in tutto ciò che ad esso apparteneva, gli alleati più sicuri contro il liberalismo. Quando la camorra arrivò a controllare v ir­tualmente ogni settore della vita dei poveri a Napoli (per quanto essa traesse forse la maggior parte dei propri pro­fitti dai vari rackets del gioco), divenne elemento sempre più indispensabile per l ’amministrazione locale e conse-

1 a v f - i .a l l e m a n t , Das deutschc Gaunerthum , I , 18.58, p. 48 nota.

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ìuentemente accrebbe sempre più il suo potere. Sotto Ferdinando I I funzionava praticamente come polizia se­creta di Stato contro i liberali. Sotto Francesco I I venne ì patti con i liberali, speculando però, sotto mano, sulla minaccia di denunziarne qualcuno, a proprio libito. La camorra raggiunse la punta massima del proprio potere durante la rivoluzione del i8 6 0 , quando i liberali le affi­darono in effetti la tutela dell’ordine pubblico a Napoli; compito da essa svolto con grande efficienza e zelo, dal momento che comportava come risultato principale l ’eli­minazione della criminalità indipendente e distinta dalla organizzazione camorrista. Nel 1862 il nuovo governo in­traprese una serie di vigorose campagne contro di essa. Per quanto però fosse riuscito a sopprimere le attività ma­nifeste dell’associazione, non riusci a eliminare la camor­ra, che pare sia sopravvissuta - e forse si sia rafforzata - mediante il consueto sistema di «darsi alla politica», cioè di pattuire con i vari partiti politici il prezzo del proprio appoggio (Alongi, La Camorra cit., p. 32).

Non vi è prova alcuna che la camorra avesse un orien­tamento politico di carattere generale al di là della cura dei propri interessi particolari, per quanto sia dato presu­mere una certa propensione da parte sua, come di ogni de­linquenza professionale, verso il sistema della proprietà privata. A differenza della Mafia, una organizzazione qua­le la camorra vive completamente al di fuori del mondo legittimo e viene quindi solo in maniera occasionale a con­tatto con la politica e i movimenti di quel mondo.

A l di fuori delle carceri il fenomeno pare sia stato cir­coscritto alla città di Napoli, per quanto si dice che, dopo il 1860 , la camorra, o associazioni similari, si siano diffu­se in altre province meridionali, quali Caserta, Salerno e Bari (ibid., p. i n ) , forse in dipendenza del miglioramen­to delle comunicazioni. Data la sua concentrazione in un’unica città, fu per essa più facile organizzarsi su basi piuttosto salde, centralizzate e gerarchiche. In ciò, come abbiamo visto, essa si differenziava dalle varie mafie, a base più decentrata.

La sua storia recente è oscura T a camorra come tale sembra sia scomparsa e in ogi. j questa espressione

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non è più usata se non per alludere genericamente a qual­che associazione segreta a delinquere, confraternita o si­stema di estorsione organizzata. Qualcosa di simile alla camorra è però riapparsa nel Napoletano; tuttavia i suoi membri pare siano noti non come «camorristi» ma come «m agliari». Traffica prevalentemente in tabacco, benzina- con specializzazione in falsi buoni di prelevamento di benzina dai depositi della Nato - «esenzioni» di vario ge­nere, ma specialmente opera sui mercati della frutta e ver­dura, che pare siano in gran parte sotto il controllo dei trafficanti organizzati. Le bande - non si sa se di tipo ca­morrista o di altro genere - sono potenti anche in altre zone, ad esempio nella regione di Nola e nel territorio dei senza legge del Salernitano, tra Nocera Inferiore, Angri e Scafati, che pare siano sotto il controllo di certo Vitto­rio Nappi («o studente»)1.

In conclusione, se la camorra costituisce argomento di vivo interesse per i sociologi e gli antropologi, rientra nel­lo studio dei movimenti sociali «legittim i», in contrap­posizione cioè ai movimenti di «lestofanti», solo in quan­to a Napoli i poveri tendono a idealizzare i gangster in un modo che richiama vagamente il banditismo sociale. Non vi è prova alcuna che camorristi o magliari abbiano mai meritato qualsiasi forma di idealizzazione.

1 g u a r in o , Dai Mafiosi ai Camorristi cit.

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Capitolo quarto

Il millenarismo I : Lazzaretti

Di tutti i movimenti sociali esaminati in questo libro, il millenarismo è quello meno inquinato di primitivismo. Infatti l ’unico suo carattere veramente primitivo è ester­no ad esso. L ’essenza del millenarismo, la speranza di un cambiamento completo e radicale del mondo che si riper­cuoterà nel millennio, un mondo purificato di tutti i suoi difetti, non conosce le limitazioni del primitivismo. È pre­sente, quasi per definizione, in tutti i movimenti rivolu­zionari di qualsiasi tipo; lo studioso quindi potrà trovare elementi «millenaristici» nelle idealità di ciascuno di es­si. Ciò non significa che tutti i movimenti rivoluzionari siano millenaristici in senso stretto e tanto meno che sia­no primitivi, il che toglie al libro del professor Norman Cohn parte del suo valore È infatti impossibile com­prendere appieno la storia delle rivoluzioni moderne se non si è in grado di valutare le differenze fra movimenti rivoluzionari primitivi e moderni, nonostante la comu­nanza dell’ideale di un mondo completamente nuovo.

Il tipico movimento millenaristico di vecchio modello ha in Europa tre caratteristiche principali. Primo, un pro­fondo e totale rifiuto del perverso mondo attuale e un’an­sia ardente di un mondo diverso e migliore; in una paro­la, rivoluzionarismo. Secondo, una «ideologia» del tutto standardizzata di genere chiliastico, quale descritta ed

1 T he search for the M illennium , 1957. Questo studio erudito di mol­ti movimenti millenaristici medievali è viziato, a mio parere, dalla ten­denza a interpretare fenomeni medievali in termini di movimenti rivolu­zionari moderni e viceversa, procedimento, questo, che non agevola la comprensione né degli ussiti n é del c o m u n iS m o moderno.

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analizzata dal professor Cohn. Anteriormente all’avvento del moderno rivoluzionarismo laico, l ’ideologia più im­portante di questo genere è il messianesimo giudaico-cri- stiano. In ogni caso i classici movimenti millenaristici, benché non limitati a regioni d ’influenza ebraico-cristiana, v i sono senza dubbio incoraggiati; infatti una religione la quale sostenga che il mondo cosi com e potrebbe un gior­no finire, anzi certamente finirà, per essere poi compieta- mente rifatto, è naturalmente millenaristica, cosi come di sicuro le altre non lo sono. Tuttavia non ne consegue ne­cessariamente che i movimenti millenaristici, anche se chiaramente influenzati dalla tradizione ebraico-cristiana, siano chiliastici in senso strettamente ebraico o cristiano '. Terzo, i movimenti millenaristici hanno in comune una iondamentale incertezza sul modo in cui effettivamente si realizzerà la nuova società.

È difficile precisare meglio quest’ultimo punto, perché ia gamma di tali movimenti va da atteggiamenti di mera passività fino all’adozione di sistemi che rasentano i me­todi rivoluzionari moderni - e in effetti, come vedremo, vengono assorbiti nei movimenti rivoluzionari moderni. Tuttavia la questione può forse venire chiarita nel modo seguente. I movimenti rivoluzionari moderni hanno - in modo implicito ed esplicito - idee determinate e assolu­tamente precise sulla maniera in cui la vecchia società debba venire sostituita dalla nuova, la più importante del­le quali riguarda ciò che possiamo chiamare il « trasferi­mento di potere». La vecchia classe dominante deve veni­re scalzata dalle sue posizioni. Il popolo (o la classe o gruppo rivoluzionario) deve intraprendere e realizzare de­

1 D i recente la letteratura sul millenarismo e il messianesimo si è mol­tiplicata, benché per lo più tratti del fenomeno nei paesi coloniali extra- europei. Tra i contributi più importanti vi sono: «Archives de Sociolo­gie <ies Religions», 5 , 19.58; v. l a n t e r n a r i , M ovim enti religiosi d i liber­tà e d i salvezza dei popoli oppressi, Milano i9 6 0 ; w . e . m u e h l m a n n , Chiltasmus und Nativtsmus, Berlin 1 9 6 1 ; M illennial Dreams in Action, in «Comparative Studies in Society and H istory», Suppl. I I , Den Haag 1 9 6 2 ; e la tesi del professor M 1. p. de q u e i h o s , M ovimcntos messianicos: tentativa de classificagào sociologica, Sao Paulo 1 9 6 2 , finora inedita Tut­te le opere sopra citate furono pubblicate dopo l'uscita del mio vo­lume ir» inglese. L ’ultima contiene pregevoli critiche alle mie argomenta­zioni nel presente capitolo e nel seguente.

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terminate misure, la ridistribuzione delle terre, la nazio­nalizzazione dei mezzi di produzione e quant’altro sia. A tal fine è decisivo lo sforzo organizzato dei rivoluzionari, e vengono sviluppate teorie organizzative, strategiche, tattiche, ecc., talora molto elaborate, per agevolarli nel loro compito. Il genere di imprese compiute dai rivoluzio­nari consiste, diciamo, nell'organizzare dimostrazioni di massa, erigere barricate, marciare sui municipi, innalzare il tricolore, proclamare la Repubblica una e indivisibile, nominare governi provvisori, lanciare proclami per un’as­semblea costituente. (Questa, grosso modo, è la lezione che molti di loro hanno imparato dalla Rivoluzione fran­cese. Naturalmente questa non è l'unica procedura possi­bile). Ma un movimento millenaristico «puro» opera in modo del tutto diverso, in relazione sia alla inesperienza dei suoi membri o alla limitatezza dei loro orizzonti, sia all’influenza delle ideologie e dei pregiudizi millenaristici.I suoi seguaci non sono artefici di rivoluzioni. Aspettano che la rivoluzione si faccia da sé, per rivelazione divina, per annunzio dall’alto, per miracolo - aspettano che av­venga in un modo o nell'altro. Compito degli uomini pri­ma che avvenga questo mutamento è riunirsi, prepararsi, osservare i segni del destino che matura, ascoltare i pro­feti che predicono l ’avvento del grande giorno e forse ri­correre a determinate iniziative rituali per l ’ora della de­cisione e del mutamento, o purificarsi, spogliandosi delle scorie del basso mondo attuale per potere entrare nel nuo­vo mondo in splendente purezza. Fra i due estremi dei millenarista «puro» e del rivoluzionario politico «puro» trova posto ogni genere di posizioni intermedie. E in ef­fetti su tali posizioni intermedie si trovano i movimenti millenaristici esaminati in questo libro: i lazzarettisti più vicini a uno degli estremi, gli anarchici spagnoli teorica­mente molto più vicini all'altro estremo.

Quando un movimento millenaristico si trasforma in movimento rivoluzionario moderno (o ne è assorbito), conserva la prima delle caratteristiche che abbiamo più sopra esposto. Di solito perde invece la seconda, almeno fino a un certo punto, sostituendovi una teoria moderna- cioè laica in genere - della storia e della rivoluzione:

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nazionalista, socialista, comunista, anarchica o di altro ti­po. Infine innesta sulle fondamenta del suo spirito rivolu­zionario una soprastruttura di politica rivoluzionaria mo­derna: un programma, una dottrina relativa al trasferi­mento di potere e soprattutto un sistema di organizzazio­ne. Non sempre ciò è facile, ma i movimenti millenaristici si differenziano dagli altri movimenti trattati in questo li­bro per il fatto che non presentano fondamentali ostacoli strutturali alla modernizzazione. In ogni caso, come ve­dremo, la loro integrazione nei movimenti moderni rivo­luzionari, o anche riformisti, ha avuto esito positivo. L ’in­teresse che presentano per lo storico del x ix o x x secolo si appunta sul processo attraverso cui tale integrazione si attua ovvero sulle ragioni per cui talora l ’integrazione stessa non si verifica. L ’argomento verrà trattato in que­sto capitolo e nei due seguenti.

Non è sempre facile identificare l ’essenza logico-politi- ca dei movimenti millenaristici, poiché l ’assoluta loro spontaneità e la mancanza di una efficiente strategia o tat­tica rivoluzionaria fa sì che la logica della loro posizione rivoluzionaria venga esasperata fino all’assurdità o al pa­radosso. Essi sono illogici ed utopistici. Dato che raggiun­gono il loro massimo sviluppo in periodi di straordinario fermento sociale e tendono ad esprimersi con il linguag­gio di una religione apocalittica, il comportamento dei lo­ro membri spesso contrasta con gli schemi normali. È fa­cile quindi che costoro siano degli incompresi, come W il­liam Blake, che fino a poco tempo fa era comunemente considerato non un rivoluzionario ma soltanto un eccen­trico, mistico e visionario '. Per esprimere la propria cri­tica radicale nei confronti del mondo attuale, essi potran­no, come gli anarchici millenaristici spagnoli, rifiutare di sposarsi fino all’avvento del mondo nuovo; per dimostra­re il proprio disprezzo per i semplici palliativi e le riforme marginali, essi potranno (sempre come gli scioperanti an­dalusi al principio del x x secolo) rifiutarsi di chiedere pa­ghe migliori e altri benefici, anche se sollecitati a farlo dal­

1 II primo assertore della tesi moderna è stato j. b r o n o w s k i, W illiam Blake, a Man without a Mask, London 1944.

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le autorità. Per esprimere la propria convinzione che il nuovo mondo debba essere fondamentalmente diverso dal vecchio, essi potranno, come i contadini siciliani, cre­der che in qualche modo perfino il clima potrà trasformar­si. Il loro comportamento potrà essere estatico ad un pun­to tale che gli osservatori ne parleranno in termini di iste­rismo di massa. D ’altra parte il loro programma effettivo potrà essere tanto vago da far sorgere negli osservatori il dubbio se ve ne sia uno. Chi non riesce a comprendere quale sia la forza che li anima - ma anche qualcuno che riesce a rendersene conto - potrà essere tentato di inter­pretare il loro comportamento in termini di assoluta irra­zionalità o di patologia o, nel migliore dei casi, in termini di reazione istintiva a condizioni di vita intollerabili.

Pur senza esaltarne o diminuirne l ’importanza, ritenia­mo che la logica e anche il realismo - se può usarsi una ta­le espressione - dei movimenti millenaristici debbano im­porsi alla considerazione dello storico, poiché altrimentii loro aspetti rivoluzionari riescono di difficile compren­sione. A l riguardo viene a determinarsi una situazione ca­ratteristica, nel senso che chi non veda in essi motivo d ’in­teresse non è in grado di farne una analisi approfondita, mentre chi ne valuti l ’importanza (specialmente se si trat­ta di movimenti sociali primitivi) spesso è incapace di esprimersi in termini comprensibili ai più. In modo parti­colare riesce difficile (ma è necessaria) la comprensione di un utopismo o «impossibilismo» - comune a tutti i rivo­luzionari, primitivi o meno, eccettuati soltanto quelli più evoluti — che produce anche nei più moderni un senso di pena quasi fisica quando ci si convinca che l ’avvento del socialismo non eliminerà tutti i dolori e le tristezze, gli amori infelici o i lutti, né risolverà o avvierà a soluzione tutti i problemi; sensazione, questa, che si riflette nella vasta letteratura delle disillusioni rivoluzionarie.

Primo, l ’utopismo probabilmente è un espediente so­ciale necessario per provocare quegli sforzi sovrumani, senza i quali non può realizzarsi nessuna grande rivoluzio­ne. Dal punto di vista storico le trasformazioni prodotte dalle Rivoluzioni francese e russa appaiono straordinarie, ma avrebbero mai i giacobini intrapreso la loro opera sol­

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tanto per trasformare la Francia dell’abate Prévost nella Francia di Balzac e i bolscevicbi per cambiare la Russia di Cechov in quella di Chruscèv? Probabilmente no. Per es­si era essenziale credere che « la parola definitiva dell’uma­na prosperità e dell’umana libertà verrà pronunziata do­po il loro esito vittorioso» In essi ovviamente non ci sa­rà questa convinzione, anche se il risultato della rivoluzio­ne sarà ugualmente positivo.

Sotto un secondo aspetto l ’utopismo può diventare un espediente sociale. Infatti m ovim enti sociali e rivoluzio­nari costituiscono la prova che al mondo non esiste quasi nulla che non possa venire da essi mutato. Se ai rivoluzio­nari occorresse una prova che «la natura umana può esse­re mutata» - che cioè non esiste nessun problema sociale insolubile - basterebbe osservare i mutamenti che nella natura umana si verificano nell’ambito di certi movimenti sociali e in certi momenti:

un altro uomo io avevo sognato un cialtrone ubriaco e vanaglorioso eppure lo evoco nel canto; lui pure ha rinunciato alla sua parte nella commedia occasionale; lui pure, a sua volta, è stato cambiato, trasformato nell’intimo: è nata una terribile bellezza.

È questa consapevolezza di un mutamento radicale, non come aspirazione ma come fatto reale - almeno tempora­neo - che ispira il poema di Yeats sulla insurrezione irlan­dese del 19 16 e risuona, come una campana, alla fine di questi versi: tutto è mutato, profondamente mutato. Una bellezza terribile è nata. Libertà, uguaglianza e soprattut­to fraternità diventano realtà in quelle fasi delle grandi rivoluzioni sociali descritte dai rivoluzionari che le vivo­no in termini normalmente riservati all’amore romantico; «vivere in quell’alba era felicità, ma essere giovani era proprio il paradiso». I rivoluzionari non soltanto s ’im­

1 m . g i l a s , ha nuova classe, Bologna 1 9 5 7 , p. 4 0 , tratta questo punto in maniera interessante. Questo libro di un rivoluzionario disilluso è im­portante per la luce che proietta sulla psicologia rivoluzionaria (e su quel­la dello stesso autore) e per pochissime altre cose.

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pongono un livello di moralità più elevato di quello degli altri uomini, eccetto i santi, ma, in quei particolari mo­menti, lo pongono effettivamente in pratica, anche se ciò comporta notevoli difficoltà tecniche, come nei rapporti fra i sessi . In quei momenti la loro è una versione in mi­niatura della società ideale, in cui tutti gli uomini sono fratelli e sacrificano tutto al bene comune senza abbando­nare la propria individualità. Se questo è possibile all'in­terno del loro movimento, perché non potrebbe esserlo dovunque?

Per le masse estranee all’élite rivoluzionaria, il sempli­ce fatto di diventare rivoluzionari e di riconoscere il «po­tere del popolo» sembra talmente miracoloso che ogni altra cosa appare ugualmente possibile. Uno studioso dei fasci siciliani ha giustamente posto in evidenza questa considerazione logica: se un grande movimento di masse potesse spuntare d ’improvviso dalla terra, se migliaia di uomini potessero venire scossi dal letargo e dall’apatia se­colare con un solo discorso, come potrebbero gli uomini dubitare dell’imminente verificarsi di eventi grandiosi e sconvolgenti? G li uomini erano stati profondamente cam­biati e si erano visibilmente trasformati. Tra essi lavora­vano uomini eletti, che nella vita avevano seguito i detta­mi di una società giusta - povertà, fraternità, sanità o qualsiasi altra cosa - : anche gli scettici potevano veder­li; e questo era un’ulteriore prova della forza concreta del­l ’ideale. Vedremo l ’importanza politica di questi apostoli rivoluzionari tra gli anarchici dei villaggi andalusi, ma qualsiasi osservatore dei movimenti rivoluzionari moder­ni ben ne conosce l ’importanza in seno a. ciascun movi­mento e la pressione da essi esercitata sull’élite rivoluzio­naria, perché si adegui a un ruolo di moralità esemplare: non già guadagni più alti o vita migliore, ma lavoro più duro, «purezza», sacrificio della felicità privata (quale

1 g i l a s , La nuova classe cit., p. 169: «Fra gli uomini e dom e dej mo­vimento esiste un rapporto chiaro, modesto e cordiale, in cui la premura cameratesca è diventata passione al di fuori dei sensi» ecc. G i ’as, senza dubbio riferendosi al periodo della guerra partigiana, sottolinea l'irp o r- ranza del momento storico («alla vigilia della battaglia decisiva per i po­tere», quando «è difficile separare le parole dagli atti») però osservi- an­che, acutamente, che questa «è la morale di una setta».

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viene intesa dalla vecchia società) al bene pubblico. E quando avranno fatto la loro ricomparsa le vecchie e usua­li regole di condotta - ad esempio, dopo il trionfo di un regime rivoluzionario - gli uomini non ne trarranno la conclusione che i mutamenti, cosi ansiosamente attesi, siano irrealizzabili per lunghi periodi o all’infuori della ri­stretta cerchia di esseri straordinariamente devoti all’i­dea; concluderanno invece che c ’è stata «ricaduta nell’er­rore» o «tradim ento». Essi infatti hanno avuto la prova pratica della possibilità, della realtà di rapporti ideali tra esseri umani: quale argomento più convincente di que­sto?

I problemi che si pongono ai movimenti millenaristici sono, o sembrano, semplici nei momenti inebrianti di ascesa e di progresso, mentre presentano corrispondenti difficoltà nei periodi successivi alle rivoluzioni o alle in­surrezioni.

Poiché nessuno dei movimenti trattati in questo libro si è mai trovato finora dalla parte del vincente, non è pro­blema che ci riguardi quello di sapere cosa succeda quan­do quei movimenti scoprono che la loro vittoria non vale a risolvere effettivamente tutti i problemi umani. Ci ri­guarda invece la loro sconfitta perché essa li pone di fron­te al problema di conservare il rivoluzionarismo come for­za permanente. G li unici movimenti millenaristici che elu­dono questo problema sono quelli assolutamente suicidi, poiché per essi la morte di tutti i loro membri rende il problema stesso meramente accademico . Di solito dalla sconfitta deriva un complesso di dottrine a spiegazione del mancato avvento del millennio e del perché il vecchio mondo può continuare ancora per un po’ : non erano stati interpretati nel modo giusto i segni del nuovo destino op­pure era stato commesso qualche altro errore. (Fra i testi-

1 II più noto, ma non l ’unico, del genere fu il movimento di Antonio il Consigliere nelle foreste del Brasile nel 18 9 6 -9 7 , che forni materia al capolavoro letterario di e u c l y d e s da c u n h a , Os Sertòes. La città ribelle di Canudos, combattè letteralmente fino all’ultimo uomo. Quando fu cat­turata, non era rimasto in vita un solo difensore. I l professor M. I. P . de Queiros di SaÓ Paulo tuttavia mi informa che Da Cunha ha esagerato le tendenze suicide di quel movimento. Esso esistette in forma pacifica per un lungo periodo, e sarebbe probabilmente continuato se non si fossero frapposte le difficoltà della politica locale e nazionale.

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moni di Geova è sorta una vasta letteratura esegetica per spiegare come la mancata fine del mondo alla data origi- r.-iriamente prevista non invalidi la profezia). Riconoscere che il vecchio mondo continuerà vale riconoscere che bi­sogna viverci. Ma come?

Alcuni millenaristi, come del resto alcuni rivoluziona­ri. in effetti rinunciano tacitamente al loro rivoluzionari­imo e accettano de facto lo status quo, tanto più se lo sta­tus quo diventa più sopportabile per il popolo. Qualcuno r'uò anche diventare riformista o forse, passata l ’ebbrez­za del periodo rivoluzionario, scoprire che le sue effettive aspirazioni non esigono affatto una trasformazione cosi radicale quale egli aveva immaginato. Oppure - ed è più rrobabile - essi possono rifugiarsi in una vita intensa e segreta di movimento o di setta, incuranti dei traffici del restante mondo e solleciti soltanto per qualche rivendica­zione essenziale delle speranze e forse del programma millenaristico: per esempio il pacifismo e il rifiuto di pre­stare giuramento. Altri però si comportano diversamen­te. Possono ritirarsi per aspettare la prossima crisi rivo­luzionaria (per usare un’espressione non-millenaristica), che certamente porterà con sé la distruzione totale del vecchio mondo e l ’avvento del nuovo. Naturalmente ciò si verifica con grande facilità laddove i presupposti econo­mici e sociali della rivoluzione hanno carattere endemico, come nell’Italia meridionale, dove ogni mutamento poli­tico, indipendentemente dal settore di provenienza, pro­vocava nel secolo x ix le rituali marce dei contadini con tamburi e stendardi per l ’occupazione delle terre ", oppu­re in Andalusia, dove, come vedremo, in un periodo di circa sessanta o settant’anni si verificarono ondate rivolu­zionarie millenaristiche a intervalli di circa dieci anni. A l­tri infine, come vedremo, conservano del vecchio fuoco quanto basta per inserirsi o per trasformarsi in movimen­ti rivoluzionari di genere non-millenaristico anche dopo lunghi periodi di apparente tranquillità.

In ciò, precisamente, consiste l'adattabilità del millena­

1 Cfr. a. l a c a v a , La rivolta calabrese del 1S4S, in «Archivio storico Jc llc Provincie Napoletane», n. s., 1947-49, pp. 44,5 sgg., .544, 55-2.

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rismo. I movimenti riformisti primitivi si dissolvono con facilità in una società moderna, se non altro perché l ’o­biettivo di assicurare una equa regolamentazione dei rap­porti sociali all'interno delle strutture esistenti e la imme­diata attuazione di condizioni di vita tollerabili o confor- tevoli presenta problemi di complessa specializzazione tecnica, che possono essere molto meglio risolti da orga­nizzazioni e movimenti adatti alle specifiche esigenze di società moderne: le organizzazioni cooperative di merca­to rispondono meglio dei Robin Hood al compito di assi­curare ai contadini eque remunerazioni. L ’obiettivo fon­damentale dei movimenti social-rivoluzionari rimane pe­rò molto più fermo per quanto possano variare le condi­zioni concrete di lotta, come risulta dal confronto fra la critica che i grandi utopisti o gli scrittori rivoluzionari muovono alle società esistenti e i rimedi specifici o le ri­forme che propongono. I millenaristi (come vedremo nel capitolo sui fasci siciliani) possono facilmente mutare l ’a­bito primitivo di cui vestono le proprie aspirazioni con l ’abito moderno della politica socialista e comunista. Per­altro, come abbiamo visto, anche nei rivoluzionari mo­derni più lontani dal millenarismo esiste un’aliquota di «impossibilismo» che li apparenta ai taboriti e anabatti­sti, parentela del resto mai da loro smentita. L ’incontro tra millenarismo e modernità può quindi avvenire facil­mente e, una volta avvenuto, il movimento primitivo può trasformarsi in movimento moderno.

Intendo esaminare tre diverse fasi del movimento mil­lenaristico e il loro adattamento alla politica moderna: i Jazzarettisti della Toscana meridionale (dal 18 75 circa in poi), gli anarchici dei villaggi andalusi (dal 18 7 0 al 1936) e i movimenti contadini della Sicilia (dal 189 3 in poi). Nei secoli x ix e xx questi movimenti hanno avuto carattere prevalentemente agrario, per quanto non sia a priori impossibile una loro caratterizzazione urbana, quale ebbero talora in passato. ( I lavoratori delle città, in epoca attuale, hanno però acquisito forme più moderne di ideo­logia rivoluzionaria). Dei tre movimenti che ho scelto i lazzarettisti rappresentano un esemplare da laboratorio di una eresia medievale millenaristica, che sopravvive in

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_na zona arretrata dell’Italia contadina. G li altri due so- zo esempi della caratterizzazione millenaristica che as­sumono i movimenti sociali tra i contadini endemica­mente rivoluzionari di zone molto povere e arretrate. L'interesse prevalente degli anarchici deriva dal fatto che essi ci mostrano un millenarismo completamente avulso dalle tradizionali forme religiose, anzi sotto un profilo di ateismo militante e di anticristianesimo. Essi costitui­scono altresì la prova della debolezza politica di movimen­ti millenaristici trasformatisi in movimenti moderni im­perfettamente (e cioè inefficientemente) rivoluzionari. I fasci siciliani, per quanto molto meno «m oderni» sotto certi aspetti (i loro membri infatti hanno abbandonato l ’i­deologia tradizionale solo in minima parte), ci consento­no, in maniera particolarmente evidente, di studiare il fe­nomeno dell’assorbimento del millenarismo in un movi­mento rivoluzionario moderno, il partito comunista.

Resta solo da osservare che la mia esposizione è appena abbozzata e sperimentale e che, per quanto ne sia stato molto tentato, ho evitato ogni paragone con i movimenti millenaristici extraeuropei, che di recente hanno richia­mato l ’attenzione di qualche studioso molto valente1. I motivi per i quali ho resistito a questa tentazione sono stati brevemente esposti nell’introduzione.

I l Salvatore del M onte Amiata.

La singolare astrazione dei movimenti millenaristici ha spesso indotto gli osservatori a negare loro carattere non soltanto rivoluzionario ma anche sociale. Questo è proprio il caso di Davide Lazzaretti, il Messia del Monte A m iata2. Si assume, ad esempio da parte del Barzellotti

1 p e t e r WORSLEY. The Trum pet Shall Sound, London 1957 [trad. it. La tromba suonerà, Torino 19 6 1], uno studio di prim ’ordine sui cargo cults del Pacifico. [Cfr. l a n t e r n a r i , M ovim enti religiosi d i libertà e di salvezza dei popoli oppressi cit.].

2 II mio interesse per questo movimento fu suscitato dal professor Am ­brogio Donini, che ha intervistato i lazzarettisti tuttora esistenti e raccol­to alcuni loro scritti inediti. Oltre alle notizie attinte da lui, mi sono ri­fatto alla completa monografia contemporanea di uno studioso locale, Bar­zellotti, e a varie altre opere. Alcuni studi minori sui lazzarettisti sono

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che i lazzarettisti rappresentarono un movimento pura­mente religioso. Questa tesi è. in ogni caso, avventata. L« comunità che espressero eresie millenaristiche non sonc di quelle in cui possa tracciarsi una netta distinzione tra cose religiose e laiche. Non ha senso discutere se una set­ta sia religiosa oppure sociale, poiché comunque essa sarà sempre ed inevitabilmente ambedue le cose. È anche evi­dente, però, che i lazzarettisti si appassionavano di poli­tica. La loro bandiera recava lo slogan «L a Repubblica e il Regno di D io» oppure «La Repubblica è il Regno di D io», secondo le varie versioni, poiché l ’Italia era in quel­l ’epoca una monarchia. Marciando in corteo, essi cantava­no - forse riecheggiando i canti della guerra italiana di li­berazione del 1859-60:

Andiam per la fede La patria a salvare,Evviva la Repubblica,Iddio e la libertà l.

E lo stesso Messia così si rivolgeva al suo popolo, riceven­done risposta:

«Che cosa volete da me? Io porto la pace e la miseri­cordia. Volete questa?» E d il popolo, sempre eguale, ri­spose a gran voce: «S ì, la pace e la misericordia».

«Siete contenti di non pagare più tasse?» Ed il popolo esultante accompagnò la sua affermazione col plauso più entusiasta.

«Siete contenti della Repubblica? » Ed il popolo, sen­za neppure comprendere il significato della parola, rispo­se un’altra volta: sì!

«M a non crediate che questa sia quella Repubblica del ’49; ma pensate ch’è la Repubblica di Cristo. Dunque gri­date tutti con me: Evviva la Repubblica di D io» \

Non c ’è da sorprendersi se le autorità del regno d ’Italia,

usciti dopo che io avevo terminato il mio testo, ad esempio: J. SEGUY, D avide Lazzaretti et la s e d e apocalyptique des giurisdavidici, in «Archi­ves de Sociologie des Religions», } , 1958.

1 e. la z z a r e s c h i , D avid Lazzaretti, il Messia d e ll’Amiata, Bergamo 1945, p 248.

2 Ib id ., p. 2 3 8 .

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estinto dalla Repubblica di Dio, consideravano i lazzaret- _ ir i come un movimento sovversivo.

Il Monte Amiata si trova all’estremità sudorientale del- li Toscana, ai confini con l ’Umbria e il Lazio. Il lazzaret- ^ m o era, ed è tuttora, ambientato parte in zona monta­gnosa, molto arretrata, di pastorizia e agricoltura - in mi­sura minima anche mineraria - e parte nella pianura co­rnerà, la maremma, di pressoché pari arretratezza; pare però che la maggior parte delle forze lazzarettiste sia ve­duta dalle montagne. La zona era estremamente arretrata sia dal punto di vista economico che da quello culturale.I due terzi circa della popolazione di Arcidosso, il centro principale della regione, era composto da analfabeti, per essere precisi il 6 3% dei suoi 6491 abitanti G li abitanti erano contadini proprietari o mezzadri, scarseggiavano il bracciantato e l ’industria. Che gli amiatini fossero «terri­bilmente» poveri o soltanto «m olto» poveri può essere materia di discussione; quel che invece è certo è che l ’av­vento dell’unità italiana cominciò a immettere questa zo­na estremamente arretrata nel circuito economico dello stato liberale italiano e a creare una notevole tensione ed irrequietezza sociale.

Il brusco ingresso del capitalismo moderno nella sode­rà contadina, di solito sotto l ’aspetto di riforme liberali o giacobine (introduzione di un libero mercato delle terre, laicizzazione delle proprietà ecclesiastiche, ripartizione delle terre comuni, leggi forestali ecc.) ha sempre prodot­to in quella società l ’effetto di un cataclisma. Quando ciò si verifica all’improvviso, come risultato di una rivoluzio­ne o di un vasto mutamento di leggi e di politiche, di una conquista o simili, senza essere stato adeguatamente pre­ceduto dall’evoluzione delle forze sociali locali, i suoi ef­fetti risultano quanto mai inquietanti. Sul Monte Amiata la maniera più appariscente con cui il nuovo sistema so­ciale si sovrapponeva al vecchio erano le tasse; come del resto era altrove. La costruzione delle strade, iniziata nel 1868 , fu pagata con i tributi locali e le città e i paesi della zona ne sopportarono il peso. A Castel del Piano, Cini-

1 la z z a r e s c h I j D avid Lazzaretti, il Messia dell'A m iata cit., p. 262.

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giano, Roccalbegna e Santa Fiora l ’ammontare delle so­pratasse provinciali e comunali era più del doppio dell’im­porto delle tasse erariali e ad Arcidosso era tre volte tan­t o 1. Si trattava principalmente di tasse sui terreni e sui fabbricati. Non c ’è da meravigliarsi che gli esattori di San­ta Fiora si lamentassero che alcuni negozianti rifiutavano di pagare perché Lazzaretti aveva promesso loro r.hp non avrebbero più pagato tasse 2. Anche qui, come dappertut­to, l ’introduzione della legge piemontese quale legge co­mune a tutta l ’Italia, cioè di un rigido codice di liberali­smo economico, gettò la società locale nella confusione3. Cosi la legge forestale, con la pratica abrogazione dei di­ritti consuetudinari di libero pascolo, di legnatico e simi­li, si abbatté tragicamente sui piccoli proprietari margi­nali ed esacerbò i loro rapporti con i maggiori proprietari terrieri \ Cosi è naturale che Lazzaretti predichi un nuo­vo ordine di cose, in cui proprietà e terra vengono distri­buite diversamente, fittavoli e mezzadri godono di una maggior quota di prodotto5. (La lotta per una maggiore quota di prodotto è rimasta fino a oggi il tema dominante dell’economia agricola dell’Italia centrale e forse è la ra­gione principale per cui quella regione è una delle più sal­damente comuniste, nonostante la pratica mancanza di la­tifondi ed industrie. La provincia di Siena, in cui rientra parte del Monte Amiata, vanta la più alta percentuale di voti comunisti in tutta Italia, il 48 ,8% nel 19 53). Esiste­vano quindi condizioni favorevoli per un movimento di agitazione sociale. E , a causa dello straordinario isolamen­to di quell’angolo di Toscana, un tale movimento fu por­tato ad assumere una forma piuttosto primitiva.

Torniamo ora a Davide Lazzaretti. Era nato nel 18 34 e faceva il carrettiere, viaggiando su e giù per la regione. Benché proclamasse di avere avuto una visione all’età di

1 B A R Z E L LO T T i, Monte Amiata e il suo profeta , Milano 19 0 9 , pp. 77-78-2 la z z a r e s c h i , D avid Lazzaretti, il Messia dell'Am iata cit., pp. 282-

283.3 Per una migliore trattazione generale del problema, cfr. E. s e r e n i ,

II capitalismo nelle campagne 1860-1900 , Torino 1949; il libro tratta in­cidentalmente dei lazzarettisti alle pp. 1 14 - 15 .

4 BARZELLOTTi, M onte Amiata e il suo profeta cit., p. 79.5 Ib id ., p . 256.

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;uattordici anni - nel 1848 , l ’anno della Rivoluzione — se ne parlava come di un materialista, per non dire un be­stemmiatore, fino alla conversione, avvenuta nel 1868. La data è significativa perché coincide con uno degli annii i grande fermento popolare in Italia. I l raccolto del 186 7 era stato cattivo, era in corso una crisi industriale, e, so­prattutto, la tassa sul macinato, imposta quell’anno dal Parlamento, aveva fatto aumentare i prezzi dei generi ali­mentari e creato grave malcontento negli ambienti rura­l i -. In tutte le province, salvo dodici, l ’imposizione di cuesta tassa suscitò disordini; il risultato fu qualcosa co­n e 257 morti, 1099 feriti e 3788 arresti1. Più che natu­rale, quindi, che in quell’anno un contadino attraversasse una crisi intellettuale e spirituale. Per di più l'incomben­te conflitto franco-prussiano, e le sue possibili (poi dive­nute effettive) conseguenze per il Papato, commossero profondamente le coscienze cattoliche. Lazzaretti a quel rempo era papalino, nonostante la sua predicazione aves­se alcune intonazioni di sinistra e repubblicane, naturali oer un uomo che aveva combattuto come volontario nel­l'esercito nazionale nel i860 . I papalini, in opposizione il governo ateo, in quell’epoca incoraggiavano in ogni ca­so le agitazioni agrarie - i disordini furono particolarmen­te intensi nelle province ex papali e si faceva uso di slo­gans di ispirazione cattolica - , e si diceva anche che pro­teggessero il Lazzaretti della prima maniera, la cui predi­cazione poteva fare da contrappeso alla influenza laica li­berale. Certamente egli godette per un lungo periodo di rempo dell’appoggio semiufficiale della Chiesa.

Lazzaretti, acquistata nella zona la fama di sant’uomo dopo il 1868 , cominciò a elaborare le proprie dottrine e profezie. Egli era convinto di essere un lontano discen­dente di un re francese (la Francia in quell’epoca era il principale sostegno del Papato). Sul finire del 18 7 0 nei Rescritti profetici, intitolati anche 11 risveglio dei popoli, egli previde l ’avvento di un profeta, capitano, legislatore e riformatore di leggi, un nuovo pastore del Sinai, che sa­

1 N. r o s s e u .t , Mazzini e Bakunin ( 18 6 6 -18 72) , Torino 1927 ; per una iisam ina generale della situazione, pp. 2 13 sgg.

2 s e r e n i , II capitalismo nelle campagne cit., p. i n .

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rebbe sorto a liberare i popoli allora gementi «come schia­vi sotto il dispotico potere del mostro dell’ambizione, del­l ’ipocrisia, dell’eresia e dell’orgoglio». Un re, cui sarebbe toccato il compito di riconciliare la Chiesa con il popolo italiano, «discenderà dai monti, seguito da mille giovani, tutti di sangue italiano, e questa sarà chiamata la milizia dello Spirito Santo» e avrebbe restaurato l ’ordine morale e civile Presto cominciò a fondare colonie comuniste sul Monte Amiata, dove i fedeli costruirono per lui una chie­sa e una torre. Ciò portò all’accusa di attività sovversive ma Lazzaretti riuscì ad evitare la condanna grazie ad alcu­ni influenti sostenitori locali.

Da allora si lasciò sempre più alle spalle la vecchia orto­dossia. Nel corso di vari digiuni e viaggi sviluppò gradual­mente la versione definitiva della propria dottrina. Egli, Lazzaretti, doveva essere il re ed il Messia. I l Signore avrebbe costruito sette città sacre, una sul Monte Amia­ta e le altre in diversi paesi e luoghi adatti. Fino ad allora c ’era stato il Regno della Grazia (che egli identificava con il pontificato di Pio IX), sarebbero poi venuti il Regno della Giustizia e quindi la Riforma dello Spirito Santo, terza e ultima età del mondo. Grandi sciagure sarebbero state il presagio della liberazione definitiva degli uomini per mano di D io 2, ma lui, Lazzaretti, sarebbe morto. G li studiosi del pensiero medievale, e delle dottrine di Gioac­chino in particolare, si renderanno conto del sorprenden­te parallelismo fra questa dottrina e quelle della tradizio­nale eresia popolare.

Il momento cruciale arrivò nel 18 7 8 . A ll ’inizio dell’an­no morirono Vittorio Emanuele e Pio IX e di qui - secon­do Lazzaretti - avrebbe avuto fine la successione dei pon­tefici. È inoltre opportuno ricordare che incombeva sul­l ’Italia la crisi agricola. Dal 18 7 5 si era verificata una ca­duta dei prezzi del grano e dei salari e pur non essendovi alcuna ragione particolare per la scelta del 18 7 8 , dato che fu il 1879 l ’anno veramente catastrofico in Italia e in di­verse altre regioni di Europa - la depressione degli anni

1 BARZELLOTTi, Monte Amiata e il suo profeta c it., p p . 193-94-2 Ib id ., pp. 28, 23^-36. Di solito ci si aspetta che la terza età sia quel­

la della Libertà.

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rrecedenti aveva ormai convinto i contadini toscani che ; segni e i presagi della fine del mondo, stavano per avve­rarsi. Lazzaretti ritornò dalla Francia, dove aveva trovato dei protettori facoltosi, e si proclamò Messia. Natural­mente, quando ne informò il Vaticano, fu scomunicato. Ma sul Monte Amiata la sua influenza era enorme. Da lui accorrevano in folla uomini e donne, al punto che le chie­se del luogo rimanevano vuote Egli annunciò che sareb­be sceso dalla montagna nel giorno precedente la Assun­zione, il 14 agosto. Si riunì una folla di 3000 persone, non sappiamo quanti per osservare e quanti per sostener­lo. I suoi seguaci indossavano le speciali divise comprate

e fatte confezionare da lui per la «Legione italiana» e la • Milizia dello Spirito Santo». Venne issata la bandiera iella Repubblica di Dio. Per vari motivi la discesa dal monte fu rimandata al 18 agosto. In quel giorno i lazza­rettisti scesero al canto di inni dalla montagna ad Arci- dosso e incontrarono i carabinieri, che ingiunsero loro di tornare indietro. Lazzaretti rispose: «se volete pace, vi porto pace, se volete pietà, avrete pietà, se volete sangue, eccomi». Dopo un confuso scambio di parole, i carabinie­ri aprirono il fuoco e Lazzaretti fu tra i morti. I suoi prin­cipali apostoli e leviti vennero processati e condannati; la corte tentò invano di dimostrare che essi volevano sac­cheggiare le case dei ricchi e scatenare una rivoluzione ter­rena. Naturalmente non era vero. Essi stavano erigendo la Repubblica di Dio, la terza e ultima età del mondo, im­presa ben più importante che saccheggiare le case dei si­gnori Pastorelli. Solo, come era stato dimostrato, i tempi non erano maturi.

Sembrò cosi che per i lazzarettisti fosse arrivata la fine, salvo per i più fedeli discepoli, che tirarono ancora avan­ti; l ’ultimo mori nel 19 4 3 . Infatti un libro scritto in quel­l ’anno parla dell’« ultimo dei giurisdavidici». C ’è però un epilogo. Quando nel 1948 ci fu un attentato alla vita di Togliatti, leader comunista italiano, in diverse zone i co­munisti credettero che fosse arrivato il grande giorno e cominciarono subito ad assaltare i posti di polizia e a im­

1 BARZELLOTTI, M onte Amiata e il suo profeta cit,, pp. 256-57.

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padronirsi del potere con altri mezzi fin quando non in­tervenne l ’azione moderatrice dei capi. Tra le varie zone in cui si verificarono queste rivolte c ’era Arcidosso. Più tardi un esponente comunista che teneva là un comizio, spinto dalla propria mentalità storicistica, non potè resi­stere alla tentazione di richiamarsi al profeta Lazzaretti e al massacro del 18 78 . Dopo il comizio diversi partecipan­ti alla riunione lo presero da parte e gli esternarono tutta la loro gioia per quello che egli aveva detto. Erano lazza­rettisti: ce n ’erano parecchi nella zona. Naturalmente, poiché erano contro la polizia e contro lo Stato, stavano dalla parte dei comunisti. Certamente anche il profeta sa­rebbe stato dalla stessa parte. Ma fino a quel momento es­si non avevano saputo che la nobile opera di Davide Laz­zaretti fosse apprezzata dagli stessi comunisti. Il movi­mento millenaristico originario aveva cosi continuato ad esistere in forma sotterranea (i movimenti contadini han­no capacità di esistere anche a livello cosi ridotto da riu­scire impercettibile agli osservatori cittadini). Era stato assorbito da un movimento rivoluzionario più vasto e più moderno. La rivolta di Arcidosso del 1 9 4 8 fu una nuova, e in certo senso riveduta edizione della discesa dal Monte Amiata.

Chi furono o chi sono i lazzarettisti? Com ’è naturale, pochi erano i ricchi, ma pochi anche i nullatenenti. I l nu­cleo centrale sembra si trovasse fra piccoli contadini, mez­zadri, artigiani e simili dei piccoli paesi di montagna. E cosi è ancora oggi, nonostante i contadini appartenenti al­la setta, come spesso accade, abbiano cercato di prospera­re nelle faccende terrene ed abbiano raggiunto una agia­tezza superiore alla media, cosicché oggi tra loro si conta­no molti ricchi, rispettati dai propri concittadini. L ’espe­rienza infatti dimostra che le eresie pure di tipo medieva­le al giorno d ’oggi hanno forse meno presa sui nullatenen­ti, i quali puntano decisamente ai movimenti socialisti e comunisti, che sui piccoli contadini in lotta per l ’esisten­za, operai agricoli, artigiani di paese e simili. La loro con­dizione li spinge nello stesso tempo avanti e indietro: ver­so una società nuova e verso il sogno di un passato puro, l ’età dell’oro o i «bei tempi passati»; e forse la setta mil-

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lenaristica esprime questo dualismo. In ogni caso le va­rie sette eretiche, germogliate nell’Italia meridionale, in un’atmosfera che ricorda il rivoluzionarismo dei contadi­ni al tempo di Lutero più che di Lenin, sembrano dimo­strare questa tendenza, per quanto non possiamo esser­ne certi finché non sarà stato seriamente iniziato lo stu­dio, cosi necessario, delle eresie contadine del Sud (dalle più antiche comunità valdesi o dalla Chiesa dei fratelli cristiani alle più moderne della chiesa pentecostale, av­ventisti, battisti, testimoni di Geova e Chiesa di Cristo) In ogni caso Chironna Evangelico, la cui autobiografia fu scelta da Rocco Scotellaro come tipica di tal genere di contadini, è un operaio agricolo e mezzadro «nato da una modesta famiglia di piccoli coltivatori diretti» I famosi ebrei di San M eandro sembra appartengano ad analoghe classi sociali; il promotore era piccolo proprietario terrie­ro e numerosi esponenti erano artigiani (calzolai, ecc.)5.I pentecostali, secondo la signora Cassin, hanno un segui­to speciale fra gli artigiani; gli organizzatori sindacali del­la confederazione generale italiana del lavoro ( c g i l ) della provincia di Foggia ritengono che l ’organizzazione dei protestanti sia composta principalmente di piccoli conta­dini, «una setta di ortolani», come mi è stato detto da uno di essi \

Ma i lazzarettisti non hanno affinità soltanto con il so­cialismo o con il comuniSmo. Il ferm ento religioso è appe­na uno degli aspetti del rivoluzionarismo endemico tra i contadini del Sud, anche se tende ad acquistare un ruolo

1 Uno studio dettagliato su un notevole gruppo di contadini converti­tisi a ll’ebraismo è quello di e le n a c a s s in , San N icandro , Paris 1957, che contiene un prezioso materiale sul fermento religioso nel Monte G ar­gano, lo «sperone» d ’Italia, ed una mappa della distribuzione delle co­munità pentecostali in Italia. Opera altamente illuminante. A proposito delJa natura dei pentecostali e delle altre chiese, il cui richiamo si è fatto più intenso dopo la guerra, cfr, la descrizione generale delle sette ameri- :ane dei cotonieri nel capitolo v ili.

2 ro cco s c o t e l l a r o , Contadini del S u d , Bari 19 5 .5 : v t̂a di Chironna Evangelico.

3 c a s s i n , San Nicandro cit., purtroppo indica soltanto la situazione sociale di cinque fra i venti e più membri maschi della comunità.

4 Sono grato al signor Lucio Conte e ad altri membri della federazione provinciale di Foggia della c g i l nonché a vari membri del partito comu­nista di San Nicandro per le informazioni fornitemi sulla composizione sociale e le opinioni politiche degli appartenenti alla setta nel 19 5 7 .

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di preminenza laddove non abbia ancora assunto un’e­spressione politica o l ’abbia rinnegata (sempre che possa al riguardo ritenersi probante l ’esperienza del Monte Gargano). Cosi il protestantesimo realizzò i primi impor­tanti progressi dopo il 19 2 2 , cioè dopo la sconfìtta delle leghe contadine, il trionfo del fascismo e la fine della emi­grazione in America. M i risulta, inoltre, che nel Foggia­no c ’è motivo di ritenere che il settarismo sia alquanto piti forte ai margini del Tavoliere che nelle pianure di for­te e antica tradizione socialista. Tuttavia in una situazio­ne quale quella dell’Italia meridionale, per un eretico reli­gioso è praticamente impossibile non allearsi con i movi­menti laici anticlericali ed è molto difficile non simpatiz­zare in qualche modo con i rivoluzionari; non si può quin­di tracciare una linea netta di separazione tra contadini socialcomunisti e contadini militanti in sette religiose. Mi risulta che la grande maggioranza degli ebrei convertiti di San Nicandro hanno votato per il partito comunista (il co­mune è roccaforte delle sinistre), ed i comunisti locali (al­cuni dei quali sono imparentati ai protestanti) li conside­rano «quasi tutti dei nostri». Numerosi protestanti sono anche comunisti militanti ed esistono casi di testimoni di Geova eletti segretari delle Camere del lavoro o, con non poco imbarazzo delle gerarchie del partito, delle sezioni locali. Tuttavia questa tendenza dei contadini eretici a le­garsi anche ai movimenti di sinistra non deve venire rife­rita al millenarismo religioso politico puro, qual è il lazza- rettismo. Esso si presenta come un fenomeno piuttosto ec­cezionale almeno nell’Europa occidentale e meridionale, per quanto ulteriori ricerche frutterebbero forse la scoper­ta di altri esempi da collocare a fianco del Messia del Mon­te Amiata.

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Capitolo quinto

Il millenarismo I I : gli anarchici andalusi

Il lettore inglese ha a sua disposizione un’opera che co­stituisce una così eccellente introduzione allo studio della Spagna e dei movimenti anarchici spagnoli, che non vi è nulla di meglio che richiamarsi ad esso; alludo al libro The Spanish Labyrinth di Gerald Brenan1. I l presente capitolo, anche nei punti che non si fondano direttamente sull’opera di Brenan, non è che una versione leggermente ampliata e dettagliata di una trattazione sulla quale ben pochi studiosi potranno non trovarsi d ’accordo.

È stato detto che l ’Andalusia è la Sicilia della Spagna2; molte delle osservazioni relative a quell’isola (ad esempio quelle che si trovano nei capp. il e v) valgono anche per essa. L ’Andalusia è costituita pressappoco dalla piana del Guadalquivir e dalle montagne che la racchiudono come in una conca. Considerata in generale, è una regione la cui popolazione è concentrata in agglomerati chiamati pueblos, con una campagna spopolata, dove i contadini

1 Questo capitolo si basa principalmente sull’opera di Brenan {Cam­bridge i9 6 0 ) e su alcune opere della sua bibliografia, specialmente su Hìstoria de las agitaciónes campesinas andaluzas, Madrid 1929» di j. d ia z d e l m o r a l , opera superiore ad ogni elogio da parte dello studioso dei movimenti sociali prim itivi. Degno di menzione ci appare inoltre People of the Sierras cit. di p i t t - r i v e r s , monografia antropologica sul pueblo di Grazalema, Esso contiene utili osservazioni sul movimento anarchico lo­cale, ma non tiene sufficientemente conto del fatto che questa cittadina non era semplicemente anarchica, ma costituiva uno dei centri principali c i tale movimento riconosciuto come tale dall’intera Spagna. Cosi, l ’auto­re non si preoccupa di spiegare le ragioni per le quali Grazalema sia sta­ta un centro del movimento tanto più importante di altri pueblos, né di illustrare le origini e il dinamismo del movimento stesso; ciò toglie al* l'opera in questione parte del suo valore, almeno da un punto di vista storico.

2 a n g e l m a r v a u d , La question sociale en Espagne, Paris 19 10 , p. 4 2 .

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vanno a vivere per lunghi periodi in ricoveri e baracche, lasciando le mogli al paese. V i sono vaste proprietà im­produttive e trascurate dai proprietari, e la popolazione è composta da braceros o lavoratori a giornata, senza ter­ra e di condizione quasi servile. Era insomma il classico paese latifondista, per quanto ciò non significhi che nel se­colo scorso, la totalità di esso fosse coltivata in vaste pro­prietà e fattorie; parte di esso era diviso in piccole azien­de concesse in affitto con contratti a breve scadenza. Sol­tanto una minima parte - piccole isole politicamente con­servatrici in un mare rivoluzionario - era costituita da piccole proprietà e da poderi affittati con contratti a lun­ga scadenza. A Cadice le proprietà superiori ai 250 ettari coprivano nel 19 3 1 il 58 % della superficie della provin­cia; vi erano tra esse tre proprietà con una media di10 000 ettari, 32 con una media di quasi 5000 e 2 7 1 con una media di circa 900. In tre distretti amministrativi della provincia i latifondi occupavano dal 77 al 96% del­la superficie totale. A Siviglia vaste proprietà occupava­no il 50 % della superficie totale; tra esse ve ne erano 13 con una media di circa 7000 ettari, e 104 con una media superiore ai 2000. U n’analoga situazione, seppure legger­mente più attenuata, si riscontrava a Cordova. Inutile di­re che le grandi proprietà comprendevano in genere i ter­reni migliori. Il quadro generale può essere schematica­mente completato con l ’osservazione che nelle province di Huelva, Siviglia, Cadice, Cordova e .Taén, 6000 gran­di proprietari terrieri detenevano almeno il 5690 del red­dito tassabile; il resto era diviso tra 258 0 0 0 proprietari minori, mentre circa l ’8o% della popolazione rurale non possedeva terra affatto 1. Possiamo osservare incidental­mente che l ’Andalusia, come l ’Italia meridionale, subi nel secolo scorso, se non addirittura dal tempo dei mori,

1 b ren an , The Spanish Labyrinth cit., pp. 1 14 sgg.; cfr, anche le mappe a 332-35 e inoltre La reforma agraria en Espana, Valencia 19 37 ; Spain: Th e distribution of property and land settlement, in «International Re­view of Agricultural Economics», 19x6, n. 5, che fornisce la percentuale dei proprietari terrieri per ogni centinaio di abitanti rurali dediti a ll’a­gricoltura, cioè meno di 17 nelPAndalusia occidentale, e meno di 20 nel- TAndalusia orientale; mentre nella vecchia Castiglia sono circa 60 (pp. 95 sgg.).

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un processo di disindustrializzazione, essendo incapace di competere con i suoi concorrenti settentrionali e stra­nieri. Divenne cosi esportatrice di prodotti agricoli e di mano d ’opera non specializzata che cominciò ad emigrare verso il nord industrializzato, mentre i suoi abitanti rima­sero legati quasi esclusivamente ad un’attività agricola estremamente povera e malsicura.

Esiste una vasta letteratura unanime nel dipingere con i più spaventosi colori le condizioni economiche e sociali di costoro. Come in Sicilia, i braceros lavoravano quando c’era lavoro per loro, e quando non c ’era pativano la fa­me, e cosi in una certa misura fanno tuttora. Da uno stu­dio della loro alimentazione mensile ai primi del nostro secolo, risulta che essi vivevano quasi esclusivamente di pane nero (da un chilo a un chilo e mezzo al giorno), un po’ d ’olio, un po’ di aceto e legumi secchi conditi con sa­le ed aglio. Il tasso di mortalità nei pueblos delle colline del cordovese alla fine del secolo scorso, andava dal 30 al 3 8 %o. A Baena, il 2 0 % delle morti, nel lustro dal 1896 al 1900, furono causate da malattie polmonari e quasi il 10 % da malattie per iponutrizione. A l principio del nostro secolo l'analfabetismo andava dal 65 al 5 0 % della popolazione maschile nelle varie province andalu­se; quasi nessuna donna delle campagne sapeva leggere. Non occorre procedere oltre in questa triste descrizione; basterà osservare che alcune zone di questa infelice regio­ne sono tuttora le più povere dell’Europa occidentale1.

Non è da stupirsi che questa zona divenisse decisamen­te rivoluzionaria, non appena una certa coscienza politica cominciò a risvegliarsi in Andalusia. Grosso modo il ba­cino del Guadalquivir e le zone montuose a sud-est di es­so, cioè in particolare le province di Siviglia, Cadice, Cor­dova e Malaga erano generalmente anarchiche. Le zone minerarie occidentali e settentrionali (Rio Tinto, Pozo- blanco, Almadén ecc.), centri di socialismo operaio deli­mitavano da una parte la zona anarchica; la provincia di Jaén, politicamente meno progredita e soggetta all’influs­

1 M :\ r v a u d , La question sociale en E Spagne cit., pp. 1 3 7 , 4 5 6 -5 7 ; F. v a lv e r d e Y p e r a le s , Historia de la V illa de Baena, Toledo 19 0 3 , pp. 282 sgg.

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so tanto del socialismo castigliano che delle idee anarchi­che andaluse, formava il confine dall’altro lato; Granada, in cui il conservatorismo era più forte - per lo meno, ove i contadini erano più sottomessi - chiudeva il terzo lato. Tuttavia, poiché le statistiche relative alle elezioni in Spa­gna non forniscono un quadro fedele della composizione politica di questa zona, in parte perché gli anarchici si astennero dal partecipare alle elezioni fino al 19 36 (e al­cuni di essi possono essersene astenuti anche allora), in parte perché il risultato delle elezioni veniva alterato per l ’influsso dei proprietari terrieri e delle autorità, questo quadro sarà necessariamente più impressionistico che fo­tografico '. L ’anarchismo rurale non aveva seguaci soltan­to fra i braccianti senza terra. Diaz del Moral e Brenan hanno dovuto infatti constatare come tanto i piccoli pro­prietari quanto gli artigiani vi svolgessero un ruolo alme­no altrettanto importante, se non maggiore, per il fatto di essere economicamente meno vulnerabili e socialmen­te meno sottomessi. Chiunque abbia visto un pueblo di braceros in cui, a eccezione dei signori, dei capi delle fat­torie e di altre persone «nate per comandare», soltanto gli artigiani e i contrabbandieri rivelano nel passo quel- l ’indefinibile segno del rispetto per se stessi, non avrà difficoltà a comprendere.

La rivoluzione sociale si inizia in Andalusia poco dopo il 18 50 . Si citano esempi precedenti — il famoso villaggio di Fuenteovejuna si trova nell’Andalusia si trovano tuttavia scarse tracce di movimenti rivoluzionari di ca­rattere spiccatamente rurale prima della seconda metà del secolo scorso. I l fatto di Fuenteovejuna (14 76 ) non era dopo tutto che una particolare rivolta contro l ’eccessi­va tirannia di un singolo signore, che era stata inoltre con­certata insieme ai cittadini di Cordova, per quanto la leg­genda e il dramma sorvolino su questo punto. Anche le

1 Cosi nelle elezioni del 1936, nella provincia di Cadice, si riscontrò ovunque la maggioranza per il fronte popolare ad eccezione di una parte della costa occidentale e della zona montuosa nei pressi di Ronda che, precisamente, comprendeva alcune tradizionali e leggendarie roccaforti dell’ idea anarchica, e ove fu presumibilmente adottata la politica dell’a­stensione. H o preso le cifre dai risultati pubblicati sul «D iario de Cadiz» del 17 febbraio 1936.

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-volte per fame del x v n secolo, le cui tinte risultarono iccentuate dal separatismo andaluso, sembra abbiano avu­to carattere urbano piuttosto che rurale e riflettono la di­sintegrazione dell’impero spagnolo di quel tempo e le più vaste rivolte contemporanee in Portogallo e in Catalogna piuttosto che una vera e propria agitazione rurale. In ogni caso, vi sono scarse tracce di un movimento improntato a un vero e proprio millenarismo contadino, seppure senza dubbio un’accurata ricerca potrebbe scoprirne qualche traccia. I contadini andalusi soffrivano la fame come tut- ~ i contadini nei periodi preindustriali, e tutto lo spirito rivoluzionario che albergava in essi trovava il suo sfogo m un culto eccezionalmente fervente del banditismo so­ciale e del contrabbando; di:

Diego Corrientes, brigante andalusoche derubava i ricchi e soccorreva i poveri

Forse si esternava anche in un attaccamento fanatico alla Chiesa cattolica militante, la cui Santa Inquisizione colpi­va gli eretici, anche se ricchi e potenti, i cui teologi spa­gnoli, come il gesuita Mariana, spalleggiavano la rivolta di Fuenteovejuna, scagliandosi contro i ricchi e propo­nendo radicali riforme sociali, e la cui vita monastica in­carnava talvolta il loro primitivo ideale comunista. Ho udito con le mie orecchie un vecchio aragonese parlare con .ammirazione dell’ordine in cui si trovava suo figlio: « li centro c ’è il comuniSmo, sapete. Mettono tutto in comu­ne, e ognuno prende ciò che gli serve per vivere». La Chiesa spagnola, conservando questo eccezionale carat­tere popolare che faceva si che i preti delle parrocchie si battessero come capi guerriglieri alla testa del loro gregge nelle guerre di Francia, certamente forni un efficace sfo­go di sentimenti che altrimenti avrebbero potuto diveni­re rivoluzionari in un senso spiccatamente laico.

Verso il i860 si ha notizia di bande contadine vaganti e persino di villaggi «che si impadroniscono del potè-

1 A proposito del ruolo del bandito nella struttura di un moderno pue­blo andaluso - cfr. p i t t -r i v e r s , People of the Sierras cit., cap. x n . Per le correlazioni geografiche tra anarchismo nel latifondo e zone di banditismo, ; :r . b e r n a ld o d e q u i r o s , E l Bandolerism o , p p . 250 -.51.

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re» Il primo movimento rivoluzionario indigeno che at­trasse in modo speciale l ’attenzione fu la rivolta di Loja e Iznajar nel 18 6 1 , molti anni prima delFavvento degli apostoli di Bakunin. (Ritengo tuttavia che vi siano tracce di un influsso massonico carbonaro di sinistra nell’insur­rezione di L o ja )2. I l periodo delle agitazioni internazio­nali e repubblicane tra il 1868 e il 18 7 3 vide ancora altri movimenti: il cantonalismo, cioè la richiesta dell’indipen­denza da parte dei villaggi, caratteristica di tutti i movi­menti rurali spagnoli, a Iznajar e Fuenteovejuna; la ri­chiesta di divisione delle terre a Pozoblanco e Benameji «questo pueblo tristemente famoso, i cui cittadini inizial­mente erano dediti in gran numero al contrabbando», do­ve i banditi avevano spesso praticamente assediato i ric­chi e nessun delitto veniva punito dallo Stato poiché nes­suno si curava d ’inform arlo3. Quando i «figli di Bena­m eji» (che ancora svolgono il loro ruolo leggendario di individualisti «che si fanno rispettare» nelle romanze gi­tane di Garcia Lorca) aggiunsero alla rivolta individuale la rivoluzione sociale, ebbe inizio una nuova era della po­litica spagnola. L ’idea anarchica, diffusa dagli emissari della corrente bakuninista dell’internazionale, apparve sulla scena politica. Così come in altri paesi europei, a par­tire dal 18 7 0 si verificò una rapida espansione dei movi­menti politici di massa. Il nerbo del nuovo movimento ri­voluzionario risiedeva nelle classiche province latifondi- ste, specialmente in quella di Cadice e nella parte meridio­nale di quella di Siviglia. Cominciarono allora a costituirsi le roccaforti dell’idea anarchica andalusa: Medina Sido- nia, Villamartln, Arcos de la Frontera, E 1 Arahal, Bor- nos, Osuna, E l Bosque, Grazalema, Benaocaz.

Il movimento decadde verso il 1880 - non tanto nella provincia di Cadice quanto altrove - si risvegliò di nuovo

1 The agrarian problem in Andalusia, in «International Review of Agricultural Economics», x i, 1920, p. 279.

2 It mio amico Victor Kiernan, dalla cui profonda conoscenza degli avvenimenti spagnoli della metà del secolo scorso ho attinto abbondanti informazioni, mi ha detto che si accenna a questo fatto (forse senza fon­damento) n ell’opera di n. d ia z y p f r e z , La Francmasoneria Espanola.

3 z u g a s t i , Bandolerismo cit., Introduzione, vo l. I . , pp. 2 3 9 -4 0 . Izna­jar. un altro dei centri propulsori della rivoluzione sociale aveva, secondo la stessa fonte, una legge di omertà straordinariamente rigorosa.

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dopo il 1880 per nuovamente morire. I primi scioperi generali di contadini si verificarono in questa epoca nella zona di Terez, che era, allora come più tardi, il caposaldo di notevoli forze anarchiche. Nel 1892 il movimento scop­piò di nuovo culminando nella marcia, facilmente repres­sa, di molte migliaia di contadini su Terez. Un altro risve­glio si verificò al principio del nostro secolo, questa volta sotto le insegne dello sciopero generale, tattica che prima di allora non era stata adottata sistematicamente come mezzo per fomentare rivoluzioni sociali. Negli anni 19 0 1- 19 0 3, scioperi generali di contadini si verificarono in al­meno sedici pueblos, principalmente nella provincia di Cadice '. Questi scioperi rivelano notevoli caratteri mille­naristici. Dopo un altro periodo di quiete, il più vasto movimento di massa di cui si abbia memoria fino a quel tempo, fu causato, si ritiene, dalle notizie della rivolu­zione russa penetrate fino a questa remota regione. Per la prima volta in questo periodo «bolscevico», Cadice ce­dette a Cordova il proprio primato fra le province anar­chiche. La repubblica ( 19 3 1 - 19 3 6 ) vide l ’ultimo di que­sti grandi risvegli con la conquista del potere da parte di molti pueblos anarchici, nello stesso anno 19 36 . Tutta­via, a eccezione di Malaga e della zona di confine della pro­vincia di Cordova, la zona anarchica cadde sotto il domi­nio di Franco quasi dai primi giorni della rivoluzione, e anche le regioni repubblicane vennero presto conquista­te. I l 1936-37 segna dunque la fine almeno di questo pe­riodo della storia del movimento anarchico andaluso.

È evidente come in gran parte dell’Andalusia il fer­mento rivoluzionario delle campagne si trovasse allo stato endemico da prima del 18 7 0 e divenisse epidemico a in­tervalli di circa dieci anni. È egualmente evidente come nella prima metà del secolo scorso non si verificassero movimenti di una forza e di un carattere paragonabile a quelli che avvennero in seguito. Le ragioni di ciò non sono

1 Nella provincia di Cadice: Arcos, A lcali del Valle, Cadice, Jerez, La Linea, Medina Sidonia, San Fernando, Villam am n. Nella provincia di Si­viglia: Carmona, Morón. Nella provincia di Cordova: Bujalance, Castro del Rio, Cordova, Fernàn Nunez. Nella provincia di Malaga: Antequera. N'ella provincia di Jaén: Linares.

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facili da scoprire. Lo scoppio delle rivoluzioni non era soltanto l ’effetto delle pessime condizioni di vita, poiché tali condizioni sono in un certo senso migliorate seppure soltanto in quanto sono state eliminate le catastrofiche carestie come quelle verificatesi nel 18 1 2 , nel 1 8 1 7 , nel 18 34 -35 , nel 18 6 3 , nel 1868 e nel 18 8 2 . L ’unica autenti­ca carestia (se si eccettuano alcuni episodi verificatisi in seguito alla guerra civile) fu quella del 1905. In ogni mo­do, la carestia aveva normalmente l ’effetto di smorzare piuttosto che di stimolare i movimenti sociali quando era in atto, per quanto il suo avvicinarsi accrescesse l ’agita­zione. Quando la gente ha fame, è troppo intenta a cercare del cibo per occuparsi di altre cose; altrimenti si muore. Le condizioni economiche ovviamente determinarono il tempo e l ’andamento periodico dello scoppio delle rivo­luzioni - ad esempio i movimenti sociali tendevano a raggiungere la massima intensità nei mesi più difficili del­l ’anno, cioè da gennaio a marzo, quando i braccianti han­no meno lavoro (tanto la marcia su Jerez del 1892 che la rivolta di Casas Viejas nel 19 33 si verificarono ai primi di gennaio), e da marzo a luglio, quando il raccolto del­l'annata precedente è esaurito e i tempi sono più magri che mai. Tuttavia il sorgere del movimento anarchico non era soltanto un indice del crescente disagio econo­mico. Inoltre esso rifletteva soltanto in maniera indiretta i movimenti politici esterni. I rapporti fra i contadini e la politica (che è affare dei cittadini) sono peculiari in ogni caso; tutto ciò che si può dire è che la vaga notizia di un cataclisma politico, quale una rivoluzione o una «nuo­va legge», o di qualche avvenimento relativo al movimen­to internazionale operaio che sembrasse annunziare l ’av­vento di un nuovo mondo - l ’internazionale o la scoperta dello sciopero generale come arma rivoluzionaria - su­scitava un’eco tra i contadini, qualora i tempi fossero maturi.

La migliore spiegazione possibile è che l ’avvento della rivoluzione sociale fosse connesso all’instaurazione di rapporti capitalistici di ordine legale e sociale nelle cam­pagne del meridione nella prima metà del secolo scorso.I diritti feudali sulla terra furono aboliti nel 18 1 3 e tra

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quella data e la rivoluzione del 18 54 , la battaglia per ot­tenere liberi contratti agrari prosegui ininterrottamente. Nel 18 5 5 questa battaglia era vinta; la generale liberazio­ne della proprietà civile ed ecclesiastica (Stato, Chiesa, terre incolte ecc.) era stata riaffermata, mentre si davano direttive per la loro vendita sul libero mercato. Da allora le vendite continuarono senza interruzione. È appena ne­cessario soffermarsi sulle inevitabili disastrose conseguen­ze di questa rivoluzione economica senza precedenti sulla popolazione rurale. La rivoluzione sociale fu una natu­rale conseguenza di ciò. Una particolarità dell’Andalusia è la trasformazione, estremamente netta e precoce della rivolta sociale e del fermento rivoluzionario, in uno spe­cifico movimento di rivoluzione agraria e sociale, con una chiara coscienza politica sotto la guida di capi anarchici; difatti, come rileva Brenan ', nel i860 l ’Andalusia pre­sentava le stesse caratteristiche di fermento primitivo e confuso che si potevano riscontrare nel meridione d ’Ita­lia. Questo può aver dato origine alla combinazione ita­liana di brigantaggio sociale e rivoluzionario-borbonico e di occasionali jacqueries, oppure alla combinazione sici­liana di ambedue questi elementi con la Mafia, che era es­sa stessa un complesso amalgama di banditismo sociale, banditismo dei proprietari terrieri e autodifesa generale contro i forestieri. È evidentemente alla propaganda de­gli apostoli dell’anarchia, che riunirono in un unico mo­vimento le saparate rivolte di Iznajar e Benameji, di Ar- cos de la Frontera e di Osuna, che si deve questa lineari­tà di direttrici politiche. Del resto gli apostoli dell’anar­chia si erano spinti fino all’Italia meridionale, ma senza ottenere affatto la stessa reazione.

Si potrebbe osservare che alcune caratteristiche della Chiesa e dello Stato in Spagna contribuirono in ugual mi­sura a determinare la particolare situazione andalusa. Lo Stato non era uno Stato di stranieri come in Sicilia (dei Borboni e dei Savoia) o nell’Italia meridionale (dei Sa­voia); era spagnolo. Ribellarsi contro un sovrano legitti­mo richiede sempre una coscienza politica molto maggio-

1 b ren a n , The Spanish Labyrinth c it ., p. 156.

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re di quanta ne sia necessaria per respingere uno stranie­ro. Inoltre lo Stato spagnolo possedeva in ogni pueblo un emissario diretto, efficiente e onnipresente, e ostile ai con­tadini, la guardia civil costituita nel 1844 principalmente per eliminare il banditismo; essa vigilava sui villaggi dal­le sue caserme fortificate, si aggirava per le campagne in coppie armate; i suoi componenti non erano mai «figli del pueblo». Brenan osserva giustamente che «ogni guar­dia civile forniva nuove reclute per l'idea anarchica, e con l'aumentare del numero dei gruppi anarchici, anche la guardia civile diventava più numerosa» '. Mentre lo Sta­to costringeva i contadini a caratterizzare le proprie rivol­te in senso antistatale, anche la Chiesa li abbandonava. Non è questo il luogo per analizzare l ’evoluzione del cat­tolicesimo spagnolo a partire dalla fine del secolo x v m \ Tutto ciò che possiamo dire è che, nel corso della sua lot­ta senza speranza contro le forze del liberalismo econo­mico e politico, la Chiesa divenne, non soltanto una for­za conservatrice-rivoluzionaria, come tra i piccoli pro­prietari di Navarra e di Aragona (che costituirono il ner­bo del movimento carlista), ma una forza conservatrice tout court, in quanto si accordò con le classi facoltose. Il fatto di essere la chiesa dello status quo, del re e del pas­sato, non vale a far perdere aH'istituzione il suo collate­rale carattere di chiesa dei contadini. Ma il fatto di essere considerata la chiesa dei ricchi l ’allontana definitivamen­te dai contadini. Quando i banditi sociali divennero ban­doleros protetti dai ricchi cacicchi locali, e la chiesa di­venne la chiesa dei ricchi, il sogno dei contadini dell’av­vento di un mondo libero e giusto dovette trovare una nuova espressione. Questa fu loro fornita dagli apostoli dell’idea anarchica.

L ’ideologia del nuovo movimento contadino era infat­ti anarchica; o, per darle una denominazione più precisa, comunista libertaria. In teoria, il suo programma econo-

1 Ad esempio, prima della rivolta di Casas Vieias {19 33) soltanto quat­tro guardie civili erano di fazione nel villaggio; attualmente (19.5Ó) pare che ve ne siano da dodici a sedici.

: Anche su questo punto la trattazione di Brenan è, come al solito, concisa chiara e acuta.

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mico mirava a mettere in comune la proprietà; in prati­ca, e negli stadi primitivi quasi esclusivamente, mirava al reparto, cioè alla spartizione dei terreni. Il suo program­ma politico era repubblicano e antiautoritario; tendeva cioè a un mondo in cui il pueblo autogovernato fosse l ’u­nità sovrana, e dal quale fossero escluse tutte le forze estranee come i re, gli aristocratici, la polizia, gli esattori delle tasse, ed altri agenti del potere centrale, in quanto rappresentanti dello sfruttamento dell uomo sull’uomo. Nelle particolari condizioni dell’Andalusia tale program­ma era meno utopistico di quanto possa sembrare. I v il­laggi si governavano tanto economicamente che politica- mente alla propria maniera primitiva, con un minimo di vera e propria organizzazione amministrativa, governativa e disciplinare; sembrava quindi ragionevole ritenere che autorità e Stato fossero intrusioni superflue. Infatti, per­ché l ’eliminazione del distaccamento della guardia civile, di un sindaco nominato dal governo e di una serie di for­malità ufficiali, avrebbe dovuto produrre nel pueblo il caos e non invece la giustizia? Tuttavia descrivere le aspi­razioni degli anarchici come un complesso di precise esi­genze politiche ed economiche potrebbe indurci in errore. Ciò che essi volevano era un nuovo mondo morale.

L ’avvento di questo mondo doveva verificarsi alla lu­ce della scienza, del progresso e dell’istruzione; tutte co­se nelle quali i contadini anarchici credevano con fervo­re appassionato, respingendo la religione e la Chiesa, co­me ogni altra cosa che avesse attinenza col mondo malva­gio dell’oppressione. Non sarebbe stato necessariamente un mondo di prosperità e di benessere, poiché il massimo grado di benessere che i contadini andalusi potessero con­cepire era poco più del pane quotidiano per tutti. I pove­ri dei paesi preindustriali vedono nella società giusta non un sogno di ricchezza universale, ma un’equa ripartizione dell'austerità. Ma tale regime dovrà essere libero e giu­sto. Questo ideale non è tipico dell’idea anarchica. D ifatti se il programma che esaltava le menti dei contadini sici­liani e di altri contadini rivoluzionari avesse potuto es-

1 O r . n. 5 dell'appendice.

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sere attuato, il risultato sarebbe stato senza dubbio simi­le alla situazione di Castro del Rio nella provincia di Cor­dova, nell'intervallo tra la conquista del potere e l ’occu­pazione da parte dei soldati di Franco: espropriazione delle terre, abolizione del denaro, uomini e donne al la­voro senza proprietà e senza retribuzione prendendo ciò che era loro necessario dal magazzino del villaggio («m et­tono tutto in comune, e ognuno prende quello che gli serve») in un clima di formidabile esaltazione morale. I bar del villaggio erano chiusi. Presto non ci sarebbe sta­to più caffè nel magazzino del villaggio e i militanti desi­deravano che ogni altra droga si esaurisse. Il villaggio era isolato, e forse ancora più povero di prima: ma era libero e puro e coloro che non erano fatti per la libertà venivano uccisi ’. Se questo programma recava l ’insegna del baku- ninismo, era perché nessun altro movimento politico mo­derno aveva espresso le spontanee aspirazioni di contadi­ni arretrati con maggiore sensibilità e fedeltà del bakuni- nismo, che deliberatamente subordinò la propria dottri­na a tali aspirazioni. Inoltre il movimento anarchico spa­gnolo, in misura maggiore di qualsiasi altro movimento politico dei nostri tempi, venne elaborato e diffuso quasi esclusivamente da contadini e piccoli artigiani. Come os­serva Diaz del Moral, esso, a differenza dal marxismo, non attraeva praticamente alcun intellettuale e quindi non ebbe alcun teorico importante. I suoi adepti erano predicatori ignoranti e profeti da villaggio. La sua lette­ratura era formata da giornali e da opuscoli che, nella migliore delle ipotesi, spiegavano al popolo teorie elabo­rate da pensatori stranieri: Bakunin, Reclus, Malatesta. Non esiste alcun serio teorico spagnolo dell’idea anarchi­ca, tranne una sola eccezione, ma è un galiziano. Si trat­tava di un movimento composto quasi esclusivamente da gente umile. Non ci si deve dunque stupire che esso ri­flettesse con tanta fedeltà le aspirazioni e gli interessi del pueblo andaluso.

Era forse fra tutti il più vicino al loro rudimentale ri­voluzionarismo, nel suo rifiuto totale e assoluto di que-

1 f . b o rk e n a u , Th e Spanish Cockpit} 1 9 3 7 , pp. 16 6 sgg.

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sto malvagio mondo di oppressione, che si esprimeva nel­la caratteristica passione, quasi senza precedenti, degli anarchici per bruciare le chiese, e che probabilmente ri­flette l ’amara delusione dei contadini per il « tradimento» della causa dei poveri da parte della Chiesa. La Guide bleu per la Spagna del 19 35 scrive con straordinaria fac­ciatosta: «Malaga è una città di idee progredite. Il 12 e il 13 maggio 19 3 1 vi furono bruciati 43 tra chiese e con­venti». Alcuni anni dopo, un vecchio anarchico, contem­plando quella stessa città in fiamme, ebbe con Brenan la seguente conversazione:

«Che cosa ne pensate?» egli chiese.Io dissi: «Stanno bruciando Malaga».«Certo, - rispose, - la stanno bruciando. E io vi dico

che non sarà lasciata pietra su pietra, non una pianta e nep­pure un cavolo vi crescerà più, affinché non vi sia più mal­vagità nel mondo» '.

E l ’anarchico coscienzioso non soltanto voleva distrug­gere il mondo malvagio - per quanto in genere non rite­nesse che per fare ciò fossero necessari molti incendi e molte uccisioni - ma respingeva immediatamente questo mondo. Tutto ciò che l'andaluso aveva in sé di tradizio­nale doveva essere abbandonato. Egli non pronunziava più la parola Dio e non aveva nessun rapporto con la re­ligione, era contrario alle corride, si asteneva dall'alcool e anche dal tabacco (nel periodo «bolscevico», nel movi­mento entrò persino una corrente vegetariana) e per quan­to ufficialmente sostenesse il libero amore, stigmatizzava in realtà ogni promiscuità sessuale. Invero, sembra persi­no che in tempo di sciopero o di rivoluzione praticasse un’assoluta castità: un modo di agire che fu in genere ma­le interpretato dagli osservatori estranei \ Era una rivolu­zionario nel senso più completo che i contadini andalusi potessero concepire, e come tale condannava tutto quan-

5 b r e n a n , The Spanish Labyrinth cit., p. 18 9 .2 Ib id ., p. 1 7 5 e m a r v a u d , La question sociale en Espagne cit., p. 4}

osservano che durante lo sciopero generale di Morón nel 19 0 2 , i matri­moni furono rimandati fino al giorno del reparto; ma attribuiscono ciò soltanto ad un eccesso di ingenuo ottimismo.

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to avesse attinenza col passato. Si trattava, in pratica, di un assertore del millenarismo.

Fortunatamente disponiamo almeno di un’eccellente storia degli aspetti millenaristici del movimento anarchi­co nei villaggi, nell’interpretazione di un dotto e sensibi­le avvocato del luogo; si tratta dell'imponente Wistaria de las agitadónes campesinas andaluzas di J . Diaz del Moral, che inizia la sua trattazione con gli eventi del 1920 . La sintesi che segue è basata principalmente su Diaz del Moral e su poche altre fonti meno importanti, completa­ta da un mio breve studio di una singola rivoluzione di villaggio, quella di Casas Viejas (Cadice) nel 19 33 ’ .

Il movimento anarchico di villaggio può essere diviso in tre parti: la massa della popolazione locale, la cui atti­vità è intermittente e si esplica quando l ’occasione lo ri­chiede; il gruppo dei predicatori locali, capi e propagan­disti - i cosiddetti «operai coscienti» (obreros conscien- tes) chiamati oggi retrospettivamente «quelli che avevano delle idee», la cui attività era continua; vi erano poi i fiancheggiatori: capi nazionali, oratori, giornalisti e simili influenze esterne. Nel movimento anarchico spagnolo questo ultimo gruppo aveva un’importanza estremamen­te ridotta. Il movimento respingeva qualsiasi organizza­zione, o comunque ogni organizzazione rigidamente di­sciplinata, e rifiutava di prendere parte alla politica; di conseguenza aveva pochi capi di importanza nazionale. La sua stampa consisteva in un gran numero di modesti fogli, scritti per la maggior parte da obreros conscientes di altri villaggi e città, il cui intento non era tanto quello di tracciare una linea di azione politica - dato che il mo­vimento, come abbiamo visto, era scettico nei confronti della politica - , quanto di ripetere e diffondere la difesa della Verità, combattere l ’Ingiustizia, e creare quel senti­mento di solidarietà che faceva si che il ciabattino di un villaggio andaluso tosse conscio di avere dei fratelli im­pegnati nella stessa lotta a Madrid, e New Y ork, a Barcel-

1 La fonte più autorevole in materia è il «D iario de Cadiz» di quel tempo. Tutti i giornali e i libri nazionali e stranieri, senza alcuna ecce­zione, ne alterano alquanto la storia. H o anche parlato con alcuni soprav­vissuti alla rivoluzione nel villaggio stesso.

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-ona e Livorno, e Buenos Aires. Le più attive forze ester­ne erano costituite dai predicatori e dai propagandisti am­bulanti i quali, disprezzando tutto fuorché l ’ospitalità, si aggiravano per il paese predicando la buona novella o fon­dando scuole locali nei grandi nomi nebulosi dei classici .nitori di scritti fondamentali: Kropotkin, Malatesta. Tut­tavia se uno o due uomini potevano raggiungere una rino­manza nazionale attraverso i loro viaggi di propaganda, essi venivano ugualmente identificati col loro villaggio.I n abitante del villaggio aveva la stessa probabilità di conquistare una simile reputazione, poiché ogni lavorato­re cosciente considerava la propaganda incessante, ovun­que fosse svolta, come suo preciso dovere. Secondo le lo­ro idee, ciò che influiva sull'uomo, non erano gli altri uo­mini, ma la verità, e l'intero movimento si imperniava sul­la propagazione della verità da parte di chiunque fosse ar rivato a possederla. Infatti, avendo ricevuto la straordi­naria rivelazione che gli uomini non devono più essere po­veri e superstiziosi, come potevano astenersi dal comuni­carla agli altri?

G li obreros conscicntes erano dunque, piuttosto che organizzatori, educatori, propagandisti e agitatori. Diaz del Moral ci ha dato una splendida descrizione del loro ti­po; erano forse più spesso piccoli artigiani di villaggio e piccoli proprietari, che braccianti senza terra, per quanto questa circostanza non sia del tutto provata. Leggevano e si coltivavano con un entusiasmo appassionato. (Anche ora, quando si chiedono agli abitanti di Casas Viejas le loro impressioni sui primi attivisti, ormai quasi tutti mor­ti o dispersi, accade spesso di udire frasi come questa «non faceva che leggere e discutere»). Vivevano di que­ste idee. Il loro più grande piacere consisteva nello seri vere lettere o articoli per i giornali anarchici, spesso pieni di paroioni e di frasi altisonanti; estasiati dalle meravi­glie delle moderne conoscenze scientifiche acquisite, che erano ansiosi di comunicare agli altri. Se particolarmente dotati, essi acquistavano quella specie di eloquenza popo­lare che nell'Inghilterra del x v n secolo moltiplicò gli opu­scoli e i trattatelli. José Sanchez Rosa di Grazalema (na­to nel 1864) scrisse opuscoli e dialoghi tra il lavoratore e

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il capitalista, novellette, sermoni sul modello delle anti­che sacre rappresentazioni, favorite dai frati spagnoli (per quanto, come naturale, con un contenuto del tutto diver­so) che venivano recitate — in parte anche improvvisate - nelle fattorie e negli alloggiamenti dei lavoratori nei gran­di latifondi, in cui gli uomini occupati lontano dai loro villaggi passavano la settimana.

L ’influenza di costoro sui villaggi non derivava da una posizione sociale, ma soprattutto dalle loro virtù di apo­stoli. Coloro che per la prima volta avevano portato ai lo­ro compagni la buona novella, forse leggendo ad alta voce dei giornali ai colleghi analfabeti, potevano giungere a go­dere della fiducia quasi cieca degli abitanti del villaggio, specialmente se la devozione puritana della loro vita fa­ceva fede del loro valore. In definitiva, non tutti poteva­no avere la forza di rinunziare al fumo, all'alcool e alle donne e di resistere alla pressione della Chiesa, per il bat­tesimo. il matrimonio e il funerale religioso. Uomini co­me M. Vallejo Chinchilla di Bujalance, o Justo Heller di Castro del Rio «avevano - come scrive Diaz del Moral - un ascendente sulle masse, paragonabile a quello dei gran­di conquistadores sui loro uomini». A Casas Viejas il vec­chio Curro Cruz (detto «sei dita»), che incitò il popolo alla rivoluzione e venne ucciso dopo una sparatoria di do­dici ore con le truppe regolari, sembra avere esercitato un analoga funzione. Era nella natura delle cose che il piccolo gruppo degli eletti fosse estremamente compatto.Il caso di Casas Viejas, ove rapporti personali e familiari legavano il gruppo dei capi anarchici, può essere conside­rato tipico: la nipote di Curro Cruz, Maria («la liberta­ria»), era fidanzata a José Cabanas Silva («il pulcino»), capo dei giovani militanti; un altro Silva era segretario dell’unione dei lavoratori. Le famiglie Cruz e Silva furo­no decimate nella repressione che segui. G li obreros con- scientes provvidero alla continuità della direzione del mo­vimento,

In genere il villaggio li considerava semplicemente co­me i suoi cittadini più influenti, la cui parola era determi­nante in ogni campo; dall’opportunità o meno di assiste­re alle rappresentazioni di un circo ambulante (gli attori

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ambulanti impararono presto che occorreva essere racco­mandati al capo del villaggio) a quella di fare una rivolu­zione. Naturalmente però le rivoluzioni si facevano sol­iamo se il villaggio stesso lo voleva; infatti gli obreros ccnscientes non ritenevano che la pianificazione dell’agita­zione politica facesse parte delle loro funzioni, ma soltan­to la propaganda, cosicché si ricorreva all’azione soltanto cuando un particolare sollevamento dell’opinione pub­blica del villaggio, della quale essi stessi facevano par­te, la rendevano non solo consigliabile, ma praticamente inevitabile. (Lo sviluppo del sindacalismo anarchico, con una maggiore organizzazione e una più marcata politica sindacalista, venne poi a compromettere questo affida­mento alla spontaneità totale; tuttavia noi non ci occu­piamo ora della decadenza e della fine dei movimenti anarchici di villaggio, ma del loro periodo di massimo splendore). In pratica risulta che ciò si verificava ad in­tervalli di circa dieci anni. Per quanto riguarda il villag­gio tuttavia, accadeva in genere o quando qualche ele­mento della situazione locale costringeva all’azione, op­pure quando una corrente esterna veniva a ravvivare la fiamma delle latenti idee rivoluzionarie. Talvolta una no­tizia, un evento straordinario, una cometa, interpretati come un segno che il tempo era venuto, penetrava nel v il­laggio. Poteva essere il primo arrivo degli apostoli baku- ninisti intorno al 1870 , o qualche vaga notizia della rivo­luzione russa; o la notizia che una repubblica era stata proclamata, o che era in discussione una legge di riforma agraria:

Al principio dell’autunno scorso [1918]... nella mente dei contadini andalusi, si formò la convinzione che fosse stata creata qualche cosa che essi chiamavano la «Nuova legge». Essi ignoravano chi l ’avesse decretata, dove e quan­do, ma tutti ne parlavano

Prima dei moti di Casas Viejas erano circolate voci di ogni specie; il tempo era venuto, duecento pueblos erano

1 c. b e r x a ld o de QuiROS, E l espartaquismo agrario andaluz, Madrid 1919. P. 39-

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già passati al com uniSm o, le terre stavano per essere d iv i­se, e cosi via. (Q uesta ultim a voce fu p ro bab ilm ente su­scitata dalla notizia che un va s to la t i fo nd o delle v ic i­nanze era in effetti soggetto alla r i fo rm a agraria, secondo una legge recentem ente approvata).

I n tali m om enti l ’idea anarchica endem ica assum eva carattere epidem ico. D iaz del M o ra l ha descritto m irab i l­m ente tale fen om en o:

Coloro che vissero in quel periodo dal 19 18 al 19 19 , non dimenticheranno mai quello spettacolo straordinario. Nei campi, nelle capanne e nei cortili, ovunque i contadini si riunissero a parlare, per qualsiasi scopo, uno soltanto era l ’argomento delle conversazioni, sempre discusso con se­rietà e fervore: la questione sociale. Quando gli uomini si riposavano dal lavoro, durante la sosta per fumare, duran­te il giorno e dopo il pasto serale, il più istruito leggeva ad alta voce manifesti e giornali, mentre gli altri ascoltavano con profonda attenzione. Venivano quindi le perorazioni che confermavano quello che si era appena letto, e una se­rie interminabile di discorsi in lode di esso. Vi era qualcosa che non riuscivano ad afferrare, alcune parole che non co­noscevano. Talvolta le loro interpretazioni erano infantili, talvolta maliziose, a seconda della personalità dell'indivi­duo ; ma alla fine tutti si trovavano d ’accordo. E come avrebbe potuto essere altrimenti? Ciò che avevano appena ascoltato, non era forse quella pura verità che avevano sen­tito per tutta la vita, sebbene non fossero mai stati capaci di esprimerla? Leggevano in ogni momento. Non vi erano limiti alla curiosità di questi uomini e alla loro sete di co­noscenza. Leggevano persino mentre cavalcavano le loro bestie, lasciando penzolare redini e cavezza. Preparando il cesto della colazione, non mancavano di mettervi dentro qualche cosa da leggere... È vero che per il 70 o l ’8o?ó di essi erano analfabeti, ma questo non costituiva un ostacolo insuperabile. L'analfabeta, pieno di entusiasmo, comprava il suo giornale e se lo faceva leggere da un compagno. Quin­di si faceva segnare da costui l'articolo che più gli era pia­ciuto. Chiedeva poi ad un altro compagno di rileggergli l ’articolo segnato, e dopo alcune letture, lo sapeva a me­moria ed era in grado di ripeterlo a chi non lo avesse anco­ra letto. Esiste una sola parola per definire ciò: frenesia (p. 190).

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In questo modo, la buona nuova si trasmetteva spon- :aneamente da un individuo all’altro:

In poche settimane, il nucleo originale di 10 o 12 adepti si era trasformato in uno di 200; e in pochi mesi pratica- mente tutta la popolazione lavoratrice, presa da ardente proselitismo, propagava fanaticamente la fiamma dell’idea­le. I pochi che se ne astenevano, per timidezza o per amore della tranquillità o per timore di perdere la pubblica con­siderazione, erano assediati da gruppi di «convinti» sulla montagna, mentre aravano il campo, nei loro casolari, nelle taverne, nelle strade e nelle piazze. Venivano soffocati di ragionamenti, di imprecazioni, di disprezzo, di ironia, fin­ché non acconsentivano. Era impossibile resistere. Una vol­ta conquistato il villaggio, l ’agitazione si diffondeva... ognu­no era un agitatore. Cosi la fiammata si appiccò facilmente a tutti i villaggi «infiammabili». In ogni caso, l ’opera del propagandista era facile. Bastava che leggesse un articolo di «Tierra v Libertad» o di « E 1 Productor», perché i suoi ascoltatori si sentissero improvvisamente illuminati dalla nuova fede.

Ma come si sarebbe verificato il grande mutamento? Nessuno lo sapeva. Alla fine, i contadini si convinsero che sarebbe in qualche modo avvenuto, a condizione che tut­ti gli uomini si dichiarassero simultaneamente per esso. Questo fu fatto nel 18 7 3 , ma il mutamento non avvenne. Nel 188 2 essi costituirono l'Unione, e le ragazze canta­vano:

Tutte le belle ragazze hanno in casa una scritta che dice in lettere d’oro: morirò per un unionista !.

Ma l'unione falli. Nel 1892 marciarono sulla città di Je ­rez. se ne impadronirono e uccisero alcune persone. Ma vennero facilmente dispersi. In seguito, intorno al 1900, giunse in Andalusia notizia delle discussioni internazio­nali sullo sciopero generale, che agitavano in quel tempo i movimenti socialisti; ritennero dunque che lo sciopero

1 «Todas las ninas bonitas I tienen en casa un letrero ! con letras de ero que dicen ; Por un asocìado muero» (b e rn a ld o de q u ir o s , E l esparta- quismo agrario andaltiz cit.; p. io).

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generale costituisse la soluzione. (In effetti, la scoperta di questo nuovo metodo brevettato di attuazione degli idea­li millenaristici, probabilmente riuscì a scuotere i villag­gi dalla loro apatia).

Questi scioperi erano del tutto spontanei e compatti; anche le cameriere e le bambinaie delle case signorili si astenevano dal lavoro. Le taverne erano vuote. Nessuno formulava petizioni o richieste, nessuno cercava di con­durre trattative, per quanto talvolta le autorità riuscisse­ro a fare esprimere ai contadini una domanda di aumento di paga e a concludere un accordo di qualche genere. Ma tali sforzi erano irrilevanti. Il villaggio scioperava per qualcosa di molto più importante di un aumento delle pa­ghe. Dopo circa due settimane, quando ormai era eviden­te che nessuna rivoluzione sociale era scoppiata in Anda­lusia, lo sciopero cessava improvvisamente, compatto l ’ul­timo giorno come il primo, e ognuno tornava al lavoro e all’attesa. In effetti, come osserva acutamente Diaz del Moral, i tentativi da parte degli anarchici e di altri capi di usare di questi scioperi per il rafforzamento della organiz­zazione o per il raggiungimento di scopi limitati e precisi incontrò opposizioni o scarso entusiasmo: i contadini vo­levano «scioperi messianici» (p. 358).

Non è facile analizzare questi scioperi e altre iniziati­ve analoghe che furono talvolta attuate. È certo che furo­no rivoluzionari: loro unico obiettivo era l ’avvento di un mutamento fondamentale e totale. Essi erano millena­ristici nel censo indicato dalla presente trattazione, in quanto non erano strumenti diretti di rivoluzione; gli uomini e le donne di Lebrija, Villamartm o Bornos, ab­bandonavano gli attrezzi di lavoro non tanto per rovescia­re il capitalismo, quanto per dimostrare che erano pron­ti per questo rovesciamento, che doveva verificarsi in qualche modo, ora che avevano dimostrato la loro pron­tezza. D ’altra parte, ciò che somigliava al millenarismo può talvolta essere stato soltanto un riflesso della mancan­za di organizzazione, dell'isolamento e della relativa de­bolezza degli anarchici di villaggio. Essi ne sapevano ab­bastanza da rendersi conto che il comuniSmo non poteva essere instaurato in un solo villaggio, per quanto fossero

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GLI A N A R C H IC I A N D A L U S I 115convinti che, una volta introdottovi, avrebbe funzionato. Casas Viejas fece questo tentativo nel 19 3 3 . I suoi abitan­ti tagliarono le linee del telefono, scavarono fossati attra­verso le strade, isolarono le caserme della polizia; quin­di, al riparo dal mondo esterno, inalberarono la bandiera rossa e nera dell’anarchia e si accinsero a dividere le ter­re. Non fecero alcun tentativo di diffondere il movimento e non uccisero nessuno. Ma quando arrivarono le trup­pe da fuori, seppero di essere stati sconfitti e il loro capo ordinò loro di darsi alla macchia, mentre egli e i suoi im­mediati seguaci combatterono all’ultimo sangue, asserra­gliati in un casolare, e furono uccisi, come del resto certa­mente si attendevano. A meno che il resto del mondo non imitasse l ’esempio di questo villaggio, la rivoluzione era perduta; e non era in loro potere influire sul resto del mondo, se non forse per mezzo dell’esempio. Nelle par­ticolari circostanze, ciò che aveva l ’aspetto di una dimo­strazione millenaristica, era forse soltanto la meno dispe­rata delle tecniche rivoluzionarie a loro disposizione. Nes­sun villaggio rifuggi dal fare una vera e propria rivolu­zione - strappando il potere ai funzionari locali, alla po­lizia e ai proprietari terrieri - ogni qual volta vide una possibilità di riuscita; ad esempio, nel luglio 1936 . Co­munque, anche se fosse possibile trovare una spiegazio­ne logica, piuttosto che storica, del comportamento ap­parentemente millenaristico del movimento anarchico dei villaggi spagnoli, essi non avrebbero agito in quel modo, se la loro idea del «grande mutamento» non aves­se avuto quel carattere utopistico, millenaristico, apoca­littico, che tutti i testimoni gli hanno concordemente ri­conosciuto. Essi non vedevano nel movimento rivoluzio­nario l ’impegno ad una lunga guerra contro i suoi nemi­ci, con una serie di campagne e di battaglie culminanti nel­la conquista del potere nazionale, a cui seguirebbe l ’in­staurazione di un nuovo ordine. Essi vedevano un mondo malvagio destinato a finire rapidamente, seguito dal « gior­no del mutamento», che avrebbe dato inizio a un mondo giusto, in cui coloro che si trovavano in fondo si sarebbe­ro trovati in cima e i beni della terra sarebbero stati equa­mente distribuiti tra tutti. «Senorito, - disse un giovane

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operaio a un signore, - quando verrà il gran giorno?» «Quale gran giorno? » « Il giorno in cui tutti saremo ugua­li, e la terra sarà distribuita tra tutti». Appunto perché il mutamento sarebbe stato così radicale e apocalittico - e anche su questo punto tutti i testimoni sono concordi- essi ne parlavano così liberamente, «in pubblico, con assoluta ingenuità, anche davanti ai possidenti, con tran­quilla esultanza» '. Tale era infatti la forza dell’idea mil- lenaristica che, se il suo avvento si fosse verificato, neppu­re i possidenti avrebbero potuto tenerle testa. Il suo av­versario sarebbe stato il risultato non tanto di una lotta di classe - poiché la lotta di classe apparteneva in defini­tiva al vecchio mondo - , quanto di qualche cosa di ine­sprimibilmente più grande e universale.

Il movimento anarchico rurale spagnolo è forse l ’esem­pio più saliente di un moderno movimento di massa mil­lenaristico o semimillenaristico. I vantaggi e svantaggi politici che esso implica possono perciò essere facilmen­te studiati. I vantaggi consistevano nel fatto che esso esprimeva l ’effettivo modo di sentire delle masse conta­dine con maggiore fedeltà e efficacia di qualsiasi altro mo­derno movimento sociale e poteva quindi a volte ottene­re, senza sforzo, una unanimità di azione manifestamen­te spontanea, che non poteva non produrre una profon­da impressione sugli osservatori. Ma gli svantaggi erano insormontabili. Proprio perché l ’agitazione sociale mo­derna pervenne ai contadini andalusi sotto una forma che trascurò del tutto di insegnare loro le necessità del­l'organizzazione, della strategia, della tattica e della pa­zienza, le loro energie rivoluzionarie furono compieta- mente sprecate. Una tale agitazione, durata circa settan­tanni, esplodendo spontaneamente in vaste zone del re­gno, a intervalli di pressappoco dieci anni, sarebbe ba­stata a rovesciare regimi ben più solidi dei traballanti go­verni spagnoli del tempo; eppure in pratica il movimen­to anarchico spagnolo, come ha osservato Brenan, non

1 151-knaldo de q u i KOS, E l cspartaqutsmo agrario anàaluz cit., p. 3 9 ; Diaz d e l m o r a l , l i istoria de las agilacióncs campesirias a/idaluzas c it., p. 2 0 7 .

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I I A N A R C H IC I A N D A L U S I 1 1 7rappresentò mai per le autorità nulla di più che un ordi­nario problema di polizia. Non poteva fare nulla di più: poiché la rivolta contadina spontanea è per sua natura lo­cale, o, nella migliore delle ipotesi, regionale. Perché di­venga generale, è necessario che ogni villaggio entri in azione simultaneamente, di sua propria iniziativa e per .ini ben precisi. La sola volta che il movimento anarchico spagnolo si avvicinò a questo punto, tu nel giugno 19 36 , quando il governo repubblicano incitò alla resistenza contro i fascisti; ma, per quanto concerneva il movimen­to anarchico, questo invito veniva da una entità che esso 'i era sempre rifiutato per principio di riconoscere, e non era quindi preparato a valersene. Il riconoscimento degli svantaggi derivanti dalla pura spontaneità e dal messiane­simo è avvenuto per gradi. La sostituzione del sindacali­smo anarchico, che prevedeva vagamente un'organizza­zione e una politica sindacale, all’anarchia pura aveva già segnato una tappa verso l ’organizzazione, la strategia e la tattica; ma ciò non era sufficiente a inculcare né la disci­plina né la disposizione ad agire sotto precise direttive, di un movimento basato sulla fondamentale convinzione che entrambe le cose fossero indesiderabili e inutili.

Inoltre è nella disfatta che l ’anarchismo dimostrava e dimostra la propria impotenza. Nulla è più facile che in­staurare un'organizzazione illegale, in un villaggio tutto concorde. Piana degli Albanesi in Sicilia costituisce, co­me vedremo, un chiaro esempio di ciò. Ma quando la fre­nesia millenaristica del villaggio anarchico si placa, non resta altro che l ’esiguo gruppo degli obreros conscientes, i soli veramente convinti, di fronte a una massa delusa, che attende il prossimo «grande momento». E se anche questo piccolo gruppo viene disperso, per morte o emi­grazione dei suoi membri o per il controllo sistematico della polizia, non resta più che l ’amara consapevolezza della sconfitta. È forse vero, come osserva Pitt-Rivers, che, dopo la guerra civile, il movimento anarchico andalu­so ha cessato di svolgere qualsiasi ruolo attivo, mentre quella scarsa attività illegale che ancora esiste, viene svol­ta dai comunisti, la cui importanza era in precedenza tra­

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scurabile Se questo è vero, non c ’è da stupirsene, poiché un movimento contadino del tipo anarchico è incapace di organizzare una resistenza alla repressione veramente effi­ciente e al controllo sistematico che, i governi spagnoli prima di Franco, non si erano mai preoccupati di esercita­re, preferendo che le occasionali rivolte divampassero e poi morissero isolate.

Il classico movimento anarchico è dunque una forma di movimento contadino praticamente incapace di un ef­fettivo adattamento alle moderne condizioni, per quanto sia un prodotto di queste ultime. Se una diversa ideolo­gia avesse penetrato le campagne andaluse intorno al 18 7 0 , avrebbe potuto trasformare la spontanea e instabile sediziosità dei contadini in qualcosa di assai più formidabi­le, in quanto più disciplinato, come il comuniSmo talvolta è riuscito a fare. Ma ciò non è accaduto. Quindi la storia del movimento anarchico, esempio quasi unico tra i mo­derni movimenti sociali, segna un fallimento continuo e senza rimedio; e, a meno che non si verifichino imprevisti mutamenti storici, è probabile che venga ricordato nei li­bri insieme agli anabattisti e a tutti gli altri profeti, che, per quanto armati, non seppero che cosa fare delle loro armi, e furono sconfitti per sempre.

1 People of the Sierras cit., p. 223. Ciò sembra in pii rie dovuto al fat­to che i nuclei di resistenza armata sulle sierras dietro G ibilterra, che so­pravvissero alla guerra civile o furono ricostituiti nel 1944-46, sono stati probabilmente ritorniti di anni, di equipaggiamento, e forse di uomini, dai comunisti, che vi provvedevano molto più elìicacementc degli anarchi­ci. Sulla inefìicienza dei guerriglieri in Andalusia dopo la guerra civile (e per il ritorno di questi alla tradizione dei bandoleros) cfr. T. c o s s i a s , La lucha contra el «M aqu is» en L s paria, Madrid 19.56, pp. 73-76.

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Capitolo sesto

Il millenarismo I I I :i fasci siciliani e il comuniSmo nelle campagne

Questo studio sui fasci siciliani e sa alcune delle loro conseguenze politiche ha lo scopo di fornire una descrizio­ne completa del processo per il quale un movimento socia­le di carattere primitivo viene assorbito da un altro di ca­rattere prettamente moderno. I contadini siciliani (cosi come altri italiani del Meridione) non si sono infatti arre­stati allo stadio intermedio di anarchia rurale, ma, ogni qual volta sono giunti a superare lo stato di primitivismo, nanno in genere aderito agli organizzatissimi movimenti socialista o comunista. Cosi l ’essenza del millenarismo contadino, manifestatosi in Andalusia sotto le forme rudi­mentali di organizzazioni anarchiche di villaggio, in Italia e venuto a inserirsi in un quadro politico molto più com­plesso. Ciò non significa che il singolo contadino della Si­cilia o della Lucania, socialista o comunista - entrambii partiti sono marxisti rivoluzionari in Italia - abbia sulla politica un punto di vista personale molto diverso da quel­lo del suo fratello andaluso. Significa invece che la storia politica del villaggio e del movimento a cui appartiene è diversa, perché la causa che egli serve lo spinge a diverse e più complesse attività; come, ad esempio, il voto e la ge­stione di cooperative agricole, l ’occupazione forzata delle terre e gli scioperi generali.

La ragione per la quale il movimento rivoluzionario contadino italiano - caso quasi unico tra i movimenti con­tadini dell'Europa occidentale - debba essersi posto fin dagli inizi sotto l ’egida del marxismo, non è facile a dirsi. In ogni modo, è indubbio che gli apostoli del bakunini- smo si siano dedicati a ll’evangelizzazione del Meridione

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d ’Italia con lo stesso fervore di cui avevano dato prova in Spagna. Pine, essi ottennero qualche successo soltanto presso i giovani intellettuali del Sud, brillanti e acuti in­gegni che, allora come ora, il Meridione produceva in ab­bondanza. Certo non è un caso che i grandi nomi del mo­vimento anarchico italiano siano degli intellettuali, per lo più appartenenti alla cosiddetta «élite rivoluzionaria», come Errico Malatesta e Carlo Gallerò; mentre i grandi nomi del movimento anarchico spagnolo provengono dal popolo e sono tutt’altro che dei teorici. Per quanto ne sappiamo, nel Meridione d ’Italia, zona di rivoluzionari­smo endemico, non si sono mai verificate gravi sollevazio­ni anarchiche. Il più celebre tentativo degli anarchici di suscitare una rivolta, quella del 18 77 a Benevento, si ri­solse in un insuccesso per difetto di sincronizzazione conlo stato di malcontento dei contadini. Se tale sincronizza­zione si fosse verificata, i contadini di Letino e di Gallo non avrebbero risposto all'invito del nobile Malatesta a procedere all’esproprio dei terreni con questa osservazio­ne cosi giudiziosa e contraria allo spirito spagnolo: «la nostra comunità non può difendersi da tutta l'Italia. Que­sta non è una sommossa generale. Domani i soldati saran­no qui e saremo tutti fucilati». E si che, quando i tempi erano maturi, più volte i contadini del Sud si sono mossi per espropriare i terreni.

Forse, per il momento, la migliore spiegazione di tale fenomeno è la seguente. Nella Spagna meridionale, come abbiamo visto, prima della metà del secolo scorso non vi era traccia di movimenti rivoluzionari attivi nelle campa­gne; di conseguenza, come abbiamo visto, i propugnato- ri dell’anarchia costruirono dal nulla. Il movimento con­tadino andaluso nacque cosi sotto l ’influsso della loro ideologia. Nel Regno delle Due Sicilie, invece, ancor pri­ma dell’avvento di qualsiasi ideologia moderna, esisteva già, nelle campagne, un primitivo fermento rivoluziona­rio allo stato endemico. Ogni impulso politico provenien­te dall’esterno, tanto liberale (come nel 18 2 0 -2 1, nel 1848-49 o nel 1859-60), che filoborbonico (come nel 1799), produsse una vasta messe di jacqueries. G li anar­chici arrivarono prima che i contadini si fossero resi con-

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FASCI SICILIANI E IL COMUNISMO AGRARIO 12 1

:o dell’inadeguatezza delle varie ideologie precedenti - banditismo, mafia, ideologie filo-borboniche o garibaldi­ne - e quindi in un momento in cui essi non sentivano al­cuna urgente necessità di una nuova fede. Quando infine .a sentirono, l ’ondata anarchica era già in fase decrescen­te, e la «nuova» ideologia predominante era ormai il so­cialismo rivoluzionario di Stato, con un profondo substra­to marxista; fu dunque a quest’ultimo che essi aderirono '. Vi sono altre differenze, che soltanto una conoscenza estremamente approfondita della storia e della sociolo­gia della Spagna e del Regno delle Due Sicilie potrebbe permetterci di analizzare in modo esauriente. Comunque, ;0 scopo che mi propongo non è quello di cercare una spie­gazione di tali differenze, di cui mi limito a prendere atto.

La Sicilia è una terra troppo vasta e multiforme perché si possa procedere, in questa sede, a una sintesi, per quan­to sommaria, dei suoi problemi agricoli e sociali. Ai no­stri fini sarà sufficiente prendere nota delle notevoli analo­gie generali rispetto all’Andalusia, insieme ad alcuni altri elementi. Innanzi tutto, la Sicilia è sempre stata economi­camente e socialmente più arretrata delle altre regioni d ’I ­talia. Il regime feudale vi perdurò ufficialmente fino al 18 12 , ma l ’effettiva abolizione legale di esso non si compì prima del 18 38 , o addirittura del 1862. A causa dell’occu­pazione inglese, le riforme radicali introdotte dai francesi nel continente subirono, per la Sicilia, delle dilazioni e del­le modifiche. Vaste zone, specialmente nell’interno della regione, erano, e continuarono ad essere anche dopo le ri­forme ufficiali sancite dalla legge, sotto il controllo dei baroni latifondisti e del loro seguito di intendenti e di guardiani armati, coltivati da braccianti o da vassalli affit­tuari, per la maggior parte a cereali o a pascolo. Come ab­biamo visto nel capitolo sulla Mafia, la nuova borghesia rurale, faceva uso dei sistemi, legali o illegali, dei proprie­tari terrieri feudali, e contemporaneamente dei più mo-

1 M i riferisco alla maggior parte O di’ Italia meridionali: 11 caso eli re­gioni come la Romagna, dove le ideologie anarchiche ebbero una notevoleinfluenza, è alquanto d iverso , e non può essere paragonato, sotto l'aspetto econom ico, po litico o sociale, a qu ello del M erid ion e o a qu ello d e li ’A n ­dalusia.

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derni sistemi commerciali del capitalismo agricolo. I l pa­drone, il suo campiere armato e il gabellotto comandava­no: il contadino obbediva passivamente '. In secondo luo­go, i contadini siciliani erano oppressi dalla miseria, igno­ranti e sfruttati; e anche in relazione al tenor di vita dell’epoca, la indigenza di questa classe era generale. Ba­sti dire che intorno al 18 7 0 , tra le parecchie migliaia di abitanti di Piana dei Greci, soltanto quattro famiglie era­no considerate appartenenti alla classe dei «galantuomi­ni» o «boiardi», e soltanto sei famiglie appartenenti alla borghesia, cioè che esercitassero il commercio dei cerealio che tenessero in affitto proprietà che erano in preceden­za feudali, ecc. \ In terzo luogo, la Sicilia si trovava allora, e in una certa misura ancora si trova, in una situazione in cui a un latente fermento rivoluzionario contadino, e a una lotta di classe a stento repressa, corrispondeva l ’as­senza quasi totale di un ordine pubblico garantito dalla legge, specialmente nelle zone dell’interno, che nessun go­verno era mai riuscito a sottomettere a qualcosa che somi­gliasse a un’amministrazione efficiente .

Come abbiamo osservato, le forme tradizionali assun­te dal malcontento dei contadini furono estremamente primitive, e praticamente prive di qualsiasi contenuto ideologico, programmatico od organizzativo. In ogni tem­po. i contadini hanno odiato i padroni, i loro intendenti e la borghesia; i «berretti» - i contadini siciliani usavanoil tradizionale berretto a calza, o berretto frigio, dei paesi mediterranei - odiavano i «cappelli ». Nei periodi in cui la

1 II capitalismo nelle campagne cit . <1 i i sf.kfni (pp. 1 7 5-881 offre un b reve ma efficacissim o quadro, che può essere com pletato su Ha scorta d i vari rapporti e inchieste contem poranei, com e ad esem pio, quella di Son ni no e Franche! ti del 18 76 . Q uesti due irrep ren sib ili lib era li toscani furono aspram ente accusati dagli indignati proprietari terrieri locali, e di conseguenza un clic dai g iorn ali, di fom entare la lotta d i classe. C fr . 0. p ro c a c c i. Le elezioni del 1 S - 4 e l'opposizione meridionale, M ilan o 19 56 ,p p . j 8-7<j.

* p . vii.t.a r i . Lettere meridionali. T orin o 18 8 5 , p. 27.* L a frequenza delle vendette di sangue è una delle cause p ii nei pali

ilei l ’a ltissim a percentuale di om icid i. C tr. coi. ai a n n i . La delinquenza in Sicilia c it., p. 39. Una indicazione del l'im portanza del fenom eno nei pe­riodi precedenti è data ila Ila seguente enum erazione dei m oventi degli om icid i processati n ell'iso la nel 18 ^ 4 ( k . j . a . m i t t f r m a i f r . Italienische Zustande , H eidelberg 184 4 , pp. 128-29): totale degli o m icid i: 64; rapinao altri m oventi econom ici: 18 ; gelosia, adulterio , ecc.: 16 ; vendetta: v k

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rivoluzione era allo stato latente, si idealizzavano brigan­ti e mafiosi, che sembravano incarnare la vendetta e le aspirazioni dei contadini contro Io sfruttamento padrona­le. (Cosi come in Italia meridionale, l ’epoca d ’oro di que­sto brigantaggio è stato il ventennio posteriore all’unifi­cazione ). In tempo di rivoluzione, e cioè ogni qual volta una delle grandi e cronicamente sediziose città dell'isola - Palermo, Catania o Messina - dava il segnale, i contadini insorgevano con cieca e selvaggia violenza, occupando le terre comuni, saccheggiando i municipi, gli uffici delle im­poste, gli archivi comunali, le case e i ritrovi della nobil­tà. In una sua novella intitolata L ibertà , Verga ci ha dato una mirabile descrizione di una di queste jacqueries Il x ix secolo è un continuo succedersi di queste sommosse; nel 18 2 0 . nel 18 3 7 , nel 1848 , nel i860 e nel 1866. Il mo- eimento dei fasci, oltre ad essere il più esteso, è anche il primo che possa essere definito come un movimento orga­nizzato, con dei capi, un’ideologia moderna e un program­ma; è questo, in effetti, il primo movimento contadino che si distingua da una semplice reazione spontanea dei contadini

Le ragioni precise che portarono allo scoppio di un’al­tra sommossa dei contadini, nel 18 9 1-9 4 , esulano dal nostro argomento; ciò che ci interessa, infatti, non sono tanto le cause che dettero origine ai fasci, quanto la forma che, nell’ambito di essi, assunse l ’attività rivoluzionaria dei contadini siciliani . Ci limiteremo a osservare che gli effetti abituali dell’instaurazione di rapporti di natura ca­pitalistica risultarono accentuati dalla crisi mondiale del­l’agricoltura degli anni intorno al 1880, ancor prima che

1 D. m ack s m it h . T h e p ea sa n ts r e v o lt o f S ic i ly in i8 6 0 , in S c r it t i in o n ore d i G in o L n z z a tto , M ilano 19 50 ; S. p . rom ano , M o m e n t i d e l R is o r ­g im e n to in S ic i l ia . M essina-Firenze 19 52

2 Questo studio sui fasci si fonda principalm ente su ll’opera di c o ­l a tanni, G l i a v v e n im e n t i in S ic i l ia cit.; A d o lfo r o s s i , L ’a g ita z io n e in S ic il ia , M ilano 1894; e sul numero speciale di «Movim ento operaio», n. s., novembre-dicembre 19 54 , sui fasci siciliani. Dopo l ’uscita del pre­sente volume è stata pubblicata una storia del movimento ottima ed esau­riente: s. r . rom an o, S t o n a d e i L a s c i s ic i l ia n i , Bari 19 5 9 -

3 D i tutta la letteratura su lle cause dei fasci, cito soltanto i tre articoli apparsi sul « G io rn a le degli E co n o m isti» , I, 18 9 4 , specialm ente quello, eccellente, d i e. l a lo g g ia . J M o t i d i S ic i l ia . C fr . anche F. v o lic iit in g , L a q u e s t io n e m e r id io n a le (N apoli s. d .), pp. 2 0 4 - 11 .

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l ’emigrazione in massa, destinata a divenire una caratteri­stica peculiare dell'isola, riuscisse a mitigarli, se pure in parte. In effetti, il periodo dei fasci segna l ’inizio dell’e­migrazione in massa; è questa la ragione per la quale non si verificarono altre rivolte di contadini di una certa entità fin dopo la prima guerra mondiale. Questo movimento si risolse nella fondazione e nello sviluppo di leghe di con­tadini (i cosiddetti fasci), per lo più capeggiate da sociali­sti, in sommosse e in scioperi agricoli di entità tale da met­tere in allarme il governo italiano, inducendolo ad adotta­re speciali misure militari che riuscirono facilmente a sof­focarlo.

Non si trattava, in effetti, di un vero e proprio movi­mento insurrezionale. A differenza dei moti del 18 2 0 , del 18 4 8 , del i86 0 e del 1866 , che erano, in sostanza, dei ten­tativi compiuti dai liberali o dai patrioti italiani o sicilia­ni di rovesciare dei governi e impadronirsi del potere, i fasci rimasero sempre un movimento diretto ad ottenere particolari miglioramenti economici, per quanto, nelle in­tenzioni di coloro che vi aderirono, tendessero a scopi molto più vasti. Tuttavia, considerarlo come un semplice movimento riformista sarebbe un errore paragonabile a quello di considerare il cartismo ! un movimento diretto unicamente ad ottenere delle riforme parlamentari. Esso occupa infatti nella storia della Sicilia una posizione sotto alcuni aspetti analoga a quella del Cartismo.

La direzione del movimento venne dalle città e dai la­voratori delle città stesse. Come è noto, gli anni successivi al 1889 segnarono in tutta l ’Europa un rapido sviluppo dell’influenza e della propaganda socialista; le teorie e la propaganda della Seconda Internazionale furono portate in Sicilia tanto dagli intellettuali di idee radicali quanto dagli artigiani, che si accinsero a costituire nelle città as­sociazioni di sinistra, società e organizzazioni di mutuo soccorso: queste furono i fasci. Tuttavia, a causa dell’at­mosfera, rivoluzionaria allo stato endemico, questi ultimi

1 [M ovim ento dem ocratico inglese che m irava ad estendere il potere po litico a lle classi lavoratrici (1837-4 8). I l nome deriva dal program m a, « P e o p le ’ s C h arter» , pu bblicato dag li aderenti a tale m ovim ento nel 1838].

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51 diffusero in tutto il paese e divennero organizzazioni adatte a tutti gli scopi, aperte a tutte le categorie di sici­liani malcontenti, compresi i contadini, per quanto i fasci rurali venissero in genere fondati molto più tardi di quel­li cittadini. L'organizzazione in quanto tale non era igno­ta ai contadini siciliani, che tuttora vivono, per la mag­gior parte, piuttosto che in villaggi, in vaste comunità, in seno alle quali ciascuna classe ha per antica tradizione la sua confraternita religiosa, con scopi solamente funerari; faceva eccezione la borghesia, che non ne aveva la neces­sità economica, e che forse le riteneva incompatibili con il proprio individualismo. Piccole associazioni contadine si erano inoltre costituite qua e là negli anni intorno al 1880, per quanto, in genere, non fosse possibile trasfor­mare in fasci questi tipi di organizzazioni primitive .

Osserviamo pertanto che, per quanto concerne i fasci, è assolutamente da escludere un iniziale contenuto reli­gioso o sociale. Si trattava di organizzazioni di carattere economico, ispirate dalla propaganda socialista, e i con­tadini le conobbero come tali. Le loro istanze non aveva­no nulla a che fare col millenarismo. Quasi invariabilmen­te esse esigevano la riforma del sistema municipale e l ’a­bolizione di tasse e dazi - , in parte per le ragioni già illu­strate nel capitolo sui lazzarettisti, in parte a causa del si­stema, enormemente diffuso, di accaparramento delle ca­riche municipali da parte di qualsiasi fazione della bor­ghesia che esercitasse il controllo sul governo locale\ N el­le zone più arretrate i contadini chiedevano la spartizione dei latifondi; nelle zone più progredite la riforma dei con­tratti agrari, tanto per i braccianti che per i mezzadri e gli affittuari. G li scioperi che si verificarono, e che furono co­ronati dal successo, erano diretti a quest’ultimo scopo. Le sommosse e le dimostrazioni meno organizzate, verificate-

1 F. re n d a , O rigini e caratteristiche del movimento contadino della Sicilia Occidentale, in «Movimento operaio», n. s., maggio-agosto 1 9 .5.5 , pp. 619-67. L ’autore descrive le confraternite della propria città durante il periodo fascista: la Confraternita del Purgatorio, che reclutava i mae­stri artigiani, e quella dell'Immacolata, formata soprattutto da contadini.

2 Tra la vasta letteratura che denunzia la politica municipale siciliana, cfr. specialmente: Le condizioni economiche e sociali della S icilia , di G. a l o n g i, in «Archivio di psichiatria», x v , 1894, p. 229, specialmente pp. 242 sgg.

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si per lo più nei centri meno progrediti, erano principal­mente dirette contro la municipalità e le tasse Non vi è alcuna prova che i capi del movimento mirassero a una conquista immediata del potere.

Non vi era dunque nessun elemento particolarmente atto a incoraggiare il millenarismo tra i contadini. Pure, si deve tenere presente che coloro che aderirono a questi movimenti avevano una mentalità di tipo prettamente medievale. Cosi, sebbene gridassero «Abbasso le tasse», spesso gridavano anche «V iva il re e la regina! », saldi nel­la tradizionale convinzione che il re, se soltanto sapesse quali ingiustizie vengono commesse in suo nome, non le tollererebbe2. Ugualmente naturale sembrava loro por­tare crocifissi o immagini di santi in testa alle processioni, tenere crocifissi con candele accese davanti, nella sede del fascio, e trattare i capi socialisti in visita come vescovi; uomini e donne si prosternavano a terra e cospargevano di fiori il loro cammino’ . Tutto ciò sembrava tanto più naturale, in quanto una delle più notevoli caratteristiche dei fasci, come di ogni altro movimento rivoluzionario, era l ’attiva partecipazione di folti gruppi di contadine Non vi è dunque da stupirsi se le grandi, commoventi spe­ranze rivoluzionarie che i contadini riponevano nei fasci venivano espresse nella tradizionale forma millenaristica.

È indubbio che ciò su cui si appuntavano le speranze dei contadini fosse la rivoluzione, con una nuova società comunista, regno della giustizia e dell’uguaglianza. «Che cosa intendete per socialismo?» chiese un giornalista set­tentrionale ai contadini di Corleone, uno dei capisaldi del movimento. «L a rivoluzione», risposero in coro alcuni di essi. «M ettere tutte le proprietà in comune e mangiare tutti allo stesso modo», risposero degli altri. Una conta­dina di Piana dei Greci espresse le comuni aspirazioni con sorprendente chiarezza*. Tutti devono lavorare. Non ci

' Vedi l ’utile «tabella dei m oti», in la lo ggia , / M oti d i Sicilia cit. Per quanto concerne l ’assenza di sommosse nei centri in cui i fasci erano più forti, cfr. ib id .. p. 2 12 .

2 COLAJANNI, G li avvenim enti in Sicilia cit., p. 186.5 r o s s i , L'agitazione in Sicilia cit., pp. 7, 10 .4 Ib id ., pp. 69 sgg., 86. Le opinioni della contadina sono riportate,

in modo più completo, nel n. 3 dell’appendice.

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I F A S C I S I C I L I A N I E I L C O M U N IS M O AGRARIO 1 2 7devono essere né ricchi né poveri. Tutti devono essere uguali. Non è necessario dividere le case e i terreni. Tut­to deve essere messo in comune e il reddito deve essere distribuito equamente. Questo non farà nascere litigi od egoismi, poiché vi sarà la fratellanza (i membri dei fasci si chiamavano «fratelli») e coloro che agiranno contro la fratellanza saranno puniti. Non che un simile modo di sen­tire fosse una novità; ma ciò che fino allora non era stata che un'aspirazione segreta e senza speranza, sembrava ora realizzabile, poiché i contadini avevano avuto una rivela­zione, che degli uomini nobili e buoni avevano recato lo­ro; uomini che un contadino di Canicatti definiva «angeli discesi dal Cielo. Eravamo al buio, e ci hanno rischiara­ti» ' Era stato loro rivelato che l ’unione fa la forza, e che con l ’organizzazione si poteva creare una nuova società. Non fa dunque meraviglia che i contadini andassero ai fa­sci non solo per organizzarsi, ma anche per istruirsi:

«Non andiamo più in chiesa, - diceva una contadina diPiana dei G reci, - ma al fascio. Là dobbiamo istruirci, là organizzarci per la conquista dei nostri diritti»1.

Non sarebbe dunque del tutto esatto definire questo come un movimento millenaristico, né in senso lazzaret- tista né in senso anarchico. La dottrina dei fasci non era millenarismo, ma politica moderna. Tuttavia, nelle parti­colari condizioni della Sicilia, doveva necessariamente avere una marcata impronta millenaristica per il semplice ratto di essere rivoluzionaria. Era, come gli studiosi del movimento non si stancavano di ripetere, una nuova reli­gione. « È questo un popolo primitivo, reso fanatico da una nuova tede», scrive il Rossi. Più tardi, nell’Inchiesta parlamentare ufficiale si leggerà quanto segueJ:

... e il contadino ne fu colpito e credette veramente che una nuova religione si fosse inaugurata, la vera religione di Cri­sto, già travisata dai preti alleati ai ricchi. E in molti paesi, abbandonò i preti...

1 r o s s i , L'agitazione in Sicilia cit., p. 38.1 Ib id ., p. 10.1 Inchiesta parlamentare, vo l. V I, 19 10 ; c. lo r e n z o n i, Sicilia, parte

I I , p. 633.

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Era logico che la dottrina socialista non potesse trovarsi in conflitto con la vera fede di Cristo. Gesù, diceva la con­tadina di Piana, era un autentico socialista, e voleva esat­tamente quelle stesse cose per cui si battono i fasci; ma i preti non lo rappresentano come dovrebbero, specialmen­te quando praticano l'usura.. Dopo la fondazione del fa­scio, i preti si scagliarono contro di esso dal confessionale, dichiarando che i socialisti erano scomunicati. Ma i conta­dini risposero che i preti avevano torto, e, in segno di pro­testa, disertarono la processione del Corpus D om ini1. Inoltre, qua e là, gruppi di ribelli cristiani dissidenti ven­nero a ingrossare le file dei fasci. A Bisacquino, il cappel­lano della chiesa della Madonna del Balzo, padre Loren­zo, era chiamato «il Socialista» perché, mentre dava ai contadini i numeri per il lotto, diceva apertamente che gli aderenti al fascio non incorrevano nella scomunica, e che san Francesco era stato uno dei primi e dei più grandi so­cialisti, che aveva, tra l ’altro, abolito il denaro. Alcuni de­cenni addietro, un esponente della borghesia locale, S. D i­mino, prete spretato, aveva fondato a Grotte, fra i mina­tori di zolfo, una Chiesa evangelica, che era riuscita a con­solidarsi malgrado l ’accanita opposizione ecclesiastica. Ora, tutti i minatori evangelici divennero socialisti, e fon­darono il «circolo Savonarola», ove Dimino predicava lo­ro il socialismo cristiano \ Non è da stupirsi che alcuni uo­mini di chiesa ritenessero che la parola di Dio predicata dagli intellettuali socialisti fosse anche la parola della re­ligione.

La nuova religione non significò dunque, come in A n­dalusia, una netta rottura con la vecchia, per quanto sia probabile che, se i socialisti avessero svolto un’intensa propaganda antireligiosa, sarebbero riusciti, come già gli anarchici, a scristianizzare una parte dei contadini. Vi fu­rono dei contadini che, invece di portare i bambini a bat­tezzare in chiesa, li portavano al fascio. Tuttavia, la reli­gione restava sostanzialmente al di fuori del movimento, se non per il fatto che, istintivamente, i contadini espri-

‘ Rossr, L'agitazione in Sicilia cit., p. 70.2 Ib id ., pp. 89-90.

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I FASCI SICILIANI E IL COMUNISMO AGRARIO I 2 9

mevano le loro aspirazioni in termini religiosi. L ’impor­tante era creare un nuovo mondo:

L ’avvento del nuovo mondo, senza miseria, senza fame e senza freddo era un fatto sicuro, perché era voluto da Dio. E si trattava di un avvento imminente. Quasi per in­canto. sorgevano i fasci in tutto il palermitano: bastava un discorso di Barbato o di Verro perché le coscienze si sve­gliassero dal letargo di secoli. Come dubitare, dunque, del­la prossimità dell’evento? '.

E la diffusione del nuovo vangelo si compì nella stessa atmosfera di fanatismo che abbiamo già osservata in An­dalusia. La seguente frase del Rossi potrebbe riferirsi tan­to alla campagna cordovese che alla Sicilia:

In certe regioni, si era diffuso una specie di contagio; le turbe erano invasate dalla credenza che fosse imminente un nuovo regno di giustizia \

Come in Andalusia, non era del tutto chiaro il modo in cui questo nuovo mondo sarebbe venuto alla luce, né, co­me abbiamo visto, i capi del movimento avevano, almeno per il momento, piani rivoluzionari per tradurlo in atto: per quanto né essi né i fasci si trovassero obbligati all’at­tesa millenaria, o al rifiuto di richiedere e di accettare quelle concessioni minori atte ad alleviare provvisoria­mente le penose condizioni dei contadini. I l movimento fu sconfitto. Ma, a questo punto, la storia della Sicilia e quella dell’Andalusia assumono direzioni diverse. Poiché in Spagna il ciclo dell’attesa, della preparazione e dello scoppio di nuovi moti millenaristici riprese, ammettendo solo a un ritmo lento e incerto le ingerenze politiche e or­ganizzative. Ma in alcune zone della Sicilia, le dottrine non anarchiche del socialismo riuscirono a salvare qual­che cosa dal naufragio della disfatta. Sorsero qua e là dei movimenti contadini permanenti, capaci di sopravvivere all’oppressione e di sfruttare anche i periodi non rivolu­zionari. Può essere interessante illustrare tale fenomeno con l ’esempio di una comunità rurale particolarmente tur­

1 g a n c i . Il movimento dei lu sc i cit., p 8 7 3 .: r o s s i . f.\ifiitJzione ni Sicilia cit., pp. 6-7.

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bolenta, quella di Piana dei Greci (ora Piana degli Alba­nesi) .

Piana fu fondata alla fine del xv secolo, quando alcune tribù albanesi, scampate alla conquista turca, vennero a rifugiarsi in Sicilia. La comunità, che è tuttora il centro più orgogliosamente albanese dell’isola, e conserva la pro­pria lingua e il rito greco cattolico (uniate ), è ancora com­posta dai discendenti dei primi fondatori; infatti la popo­lazione locale è praticamente'tutta contenuta entro un nu­mero ridottissimo di nomi di famiglie, la cui genealogia risale al secolo xv , sono quelli delle « nobili famiglie alba­nesi»; Matragna, Stassi, Schirò, Barbato, Lojacono . Gli albanesi stabilitisi in Italia sono sempre stati assai turbo­lenti, probabilmente perché lo sforzo costante dei signori locali per ridurre i privilegi da essi ricevuti all’atto del lo­ro insediamento, i continui tentativi della Chiesa per tra­sformarli in cattolici romani, e la singolarità delle loro concessioni di terre, che, dopo l ’abolizione del regime feu­dale, fece si che i loro villaggi si trovassero in una situa­zione critica, inaspriva i loro rapporti con le autorità. For­se a questa situazione contribuì anche la tenacia con la quale mantenevano compatto il loro gruppo nazionale. Comunque sia. Piana era considerata un focolaio di ribel­lione già molto prima del 18 9 3 . « L ’indole degli abitanti- diceva a Rossi un moderato locale - è così facile alla ri­bellione, che ogni volta che si verificano tumulti o rivolu­zioni, a Palermo o nel continente, a Piana, trascendono su­bito a gravi eccessi» Assai dì frequente davvero, anche prima di allora, Trevelyan la definisce «la roccaforte del­la libertà della Sicilia occidentale», poiché i pianesi erano

1 Questa descrizione frammentaria del movimento di Piana si basa principalmente su informazioni raccolte nel paese stesso, grazie alla gen­tilezza del sindaco onorevole Michele Sala, e su vari resoconti di giornali e di fonti secondarie. Per buona sorte, Piana, che si trova abbastanza v i­cino a Palermo, è stata ampiamente descritta da giornalisti e altri osser­vatori che l ’hanno visitata.

2 I Matranga, gli Schirò e i Barbato vengono menzionati come « fami­glie nobili» originarie da P. p. r o d o tà , in D el riio greco in Italia, I I I , Roma 1 7 6 3 e da v. d o rsa , in Sugli A lbanesi, Napoli 1847. Su ll’antica co­munità cfr. anche a m ic o e s t r a t e l l a , Lcxic. Sicu l., I I , 11 s. v. p. 83 («Piana Graecorum»). E inoltre: Breve cenno storico delle colonie gre­co-albanesi in Sicilia, in Roma e l ’Oriente, I I I , 1 9 1 1 - 1 2 , p. 26 4 .

3 r o s s i , L ’agitazione in Sicilia cit., p. 3 2 .

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insorti molto prima che Garibaldi sbarcasse coi Mille a Marsala; e già molti anni addietro, il luogotenente gene­rale aveva dovuto riferire al re, a Napoli, che Piana, in­sieme ad altre zone, aveva una popolazione «bellicosa e sempre pronta a fare rivoluzioni»

Per quanto concerne le cause di tali rivoluzioni, tutti gli studiosi sono concordi; uno di essi, il Villari, ha de­scritto. nelle sue Lettere m eridionali, le spaventose condi­zioni degli abitanti, e la loro grave situazione economica nel 1878 . Piana si trovava, e ancora si trova, sulle alture cerealicole tenute a latifondo. Intorno al 1890, la sua po­polazione era per la maggior parte composta da braccianti senza terra e da affittuari proletarizzati in seguito ai moti dei fasci, «mezzadri e lavoratori a giornata si erano fusi in un unico strato di poveri» e, a giudicare dalle cifre ri­portate dal La Loggia, le paghe erano ancora più basse che ai tempi descritti dal Villari . Il paese non aveva una forte tradizione di organizzazioni contadine, per quanto, nel 1890 , avesse una piccola associazione di circa cento membri \ La politica locale, se si eccettuano i tempi di ri­voluzione, era dominata dalle famiglie della borghesia che si contendevano il controllo della municipalità, dal terro­re dei mafiosi e dei campieri, e dal cieco odio di classe dei «berretti» per i «cappelli».

I fasci spazzarono il paese come l ’onda di una mareg­giata. Per buona sorte, uno dei loro leader nazionali - e forse il più abile - era un pianese, il dottor Nicola Barba­to, un medico poco oltre la trentina. «Entro quindici gior­ni - disse al Rossi il suo informatore moderato - Barbato divenne il vero padrone del distretto». A ll ’avvento, piut­tosto tardivo, del fascio (aprile 18 9 3), tutta la popolazio­ne adulta, uomini e donne, «tranne i ricchi», vi aderì in massa. Secondo i calcoli della polizia, il numero degli iscritti ammontava a 2800, cioè a più del doppio di quelli di tutti gli altri fasci della provincia, se si eccettua quello di Palermo *. L ’organizzazione locale era cosi perfetta che

1 r . g u a rd to n e , II dom inio dei Borboni in Sicilia ( 1830-61 ) , Torino 15107, I I , p. 56.

2 la lo g g ia , I M oti di Sicilia cit., pp. 2 15-16 .3 r en d a , O rigine e caratteristiche cit., pp. 637-38.

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non si verificò alcuna rivolta di una certa entità, nonostan­te l'uccisione di uno o due dei membri più influenti del fa­scio, presumibilmente ad opera dei proprietari terrieri, che minacciavano di morte i militanti. L ’organizzazione sopravvisse all’arresto di Barbato.

Nonostante il fatto che, come abbiamo visto, le aspira­zioni dei pianesi fossero di carattere pressoché millenari­stico, e lo stato d ’animo nel quale aderirono al fascio fos­se estremamente esaltato - le donne vi partecipavano con un fervore particolare - il movimento che li accolse era piuttosto realistico, e diede loro utili e proficue lezioni di politica non millenaristica; organizzazione, e, per il pre­sente, elezioni. Così come in altre località, il fascio pre­sentò sollecitamente candidati per il consiglio municipale, e a farne eleggere un buon numero. Quando Rossi chiese in che modo pensavano che si sarebbe verificato l'avvento del socialismo, la contadina da noi già citata in diverse oc­casioni mostrò di avere, come al solito, delle idee molto chiare in proposito. Alle prossime elezioni, i fasci avreb­bero conquistato la maggioranza a Piana, poiché tutti i votanti, eccetto gli ex padroni, erano dalla loro parte. O v­viamente, questo per il momento significava solo che la municipalità avrebbe potuto proteggere un poco i citta­dini contro gli abusi e l ’eccessivo potere dei «signori». M a, a suo tempo, i fasci avrebbero eletto dei consiglieri provinciali, dei deputati, e quando a Roma vi fosse stata una maggioranza socialista, tutte le leggi vessatorie sa­rebbero state abolite '. Per quanto era in suo potere, Pia­na si è attenuta a questo programma. Il consiglio munici­pale e il deputato al Parlamento divennero socialisti già prima dello scoppio della prima guerra mondiale, e, in se­guito, comunisti; nel 19 5 3 , il partito comunista vi otten­ne la maggioranza assoluta dei voti, senza contare i socia­listi.

Ciò che più conta, è che i pianesi non soltanto conser­varono la loro organizzazione, ma la ampliarono. Una le­ga di contadini sopravvisse al fascio, con un numero di membri fluttuante, ma sempre considerevole: 600 nel

1 r o s s i , L ’agitazione in Sicilia cit., p. 74 .

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1906, 1000 nel 190 7 , 400 nel 1908 A partire dal 18 9 3 , inoltre, i leader socialisti si adoperarono attivamente per l'impianto di aziende agricole collettive, considerate non soltanto come centri sussidiari del movimento contadino, ma anche come nuclei della nuova società in seno alla vec­chia; era questa una forma cooperativistica che, come è naturale, attirava i contadini molto più di altre forme me­no ambiziose di cooperazione agricola. Essi prendevano in affitto terre dai gabellotti, le coltivavano in comune e si dividevano i frutti ". Naturalmente, Piana ebbe una di queste aziende fin dall’inizio, e la conservò attraverso tut­te le vicissitudini politiche ed economiche clic seguirono .il 1890, con una tenacia veramente eccezionale. Nel 19 53 essa contava 750 membri, su circa 2000 famiglie, esclusi­vamente socialisti o comunisti.

Dal tempo dei fasci, dunque, i pianesi avevano conser­vata intatta la loro triplice fedeltà: al com uniSm o, agli al­banesi e alla Chiesa greca; a tale attaccamento aveva na­turalmente conferito nuovo vigore la conversione della terra natale di Scanderberg alla causa che i pianesi aveva­no abbracciata già tanto tempo prima di Enver Hoxha. Dal maggio 18 9 3 , mai una volta, neppure sotto il fasci­smo, avevano tralasciato di recarsi in processione a un re­moto passo di montagna, Portella della Ginestra, per te­nervi il comizio del primo maggio e ascoltare i discorsi pronunciati dalla «pietra del dottor Barbato», una roccia dall’alto della quale quella nobile figura aveva una volta arringato il popolo. È indubbio che durante il fascismo si facessero soltanto processioni simboliche; tuttavia, i pia­nesi insistono nell'affermare che qualcuno ha sempre cele­brato il prim o m aggio in quel luogo. Nel 19 4 7 , la Mafia ingaggiò il bandito Giuliano perché aprisse il fuoco con­tro tale dimostrazione: ciò che egli fece, uccidendo una quindicina di persone, e suscitando uno scandalo politico su piano nazionale che ebbe fine soltanto nel 19 56 , con la condanna dei membri superstiti della banda per questo massacro. Per l ’attività politica delle sinistre, questa zona

‘ i.orkn zo n i. Sicilia cit., p. 663.2 Italy: Collective Farms, in «International Review of Agricultural

Economics», v ili , 19 18 , pp. 617-30, specialmente p. 62b.

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è stata sempre estremamente pericolosa, anche se, come abbiamo visto in uno dei precedenti capitoli, fin dall’epo­ca dei fasci, a Piana la Mafia è sempre stata assai meno po­tente che in qualsiasi altra località della provincia. I pia­nesi non hanno cessato di essere rivoluzionari, anche se oggi la loro ideologia non potrebbe essere definita mille- naristica, e neppure, di per sé, sediziosa, e anche se, pur essendo tuttora molto poveri, le loro condizioni sono ora ben lungi dalla disperata indigenza dei primi anni dopo il 1890. La forza della loro organizzazione è bastata, per se stessa, a conquistare loro numerosi vantaggi. Ma lo spiri­to originario non si è indebolito al punto di divenire me­ramente riformista. Questo spirito può assumere forme imprevedibili, come nel 19 4 3 , quando, in seguito alla ca­duta del fascismo, essi costituirono, mi risulta, per pochi giorni, una repubblica indipendente, finché il partito co­munista non li convinse dell’inopportunita di tale inizia­tiva. Ancora oggi, ogni volta che si sente parlare di dimo­strazioni nelle campagne, occupazioni dirette di proprietà e simili in qualsiasi zona della Sicilia, la partecipazione dei pianesi è più che sicura. Il loro primitivo entusiasmo millenaristico si è trasformato in qualche cosa di più dura­turo: una fedeltà costante e disciplinata a un moderno movimento sociale rivoluzionario. Il loro esempio dimo­stra come il millenarismo non rappresenti necessariamen­te un fenomeno temporaneo, ma possa, in condizioni fa­vorevoli, costituire la base di una forma di movimento estremamente resistente e tenace .

Abbiamo dunque illustrato le cause e la natura del mil­lenarismo contadino, insieme ai rapporti che lo legano ai moderni movimenti sociali. Dobbiamo ora considerare la funzione da esso svolta nei movimenti rurali; poiché in effetti esso ebbe una funzione pratica, che vale a giustifi­care la presenza di un’atmosfera millenaristica intorno a

1 Una magnifica esposizione, fatta da un abitante di Piana, che mostra chiaramente come si combinino le idee politiche con il tono di un predi­catore anabattista del Cinquecento, è pubblicata in Inchiesta a Palermo di pa n ilo dolci (Torino 1956, pp. 383-87).

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molti moti rivoluzionari, che altrimenti non avrebbero nulla a che fare con il millenarismo. Esso fece sì che delle masse popolari, fino allora disorganizzate, si organizzasse­ro quasi simultaneamente su un piano nazionale.

Tutti i movimenti sociali si espandono a sbalzi; nella storia di ciascuno di essi si riscontrano periodi in cui la mobilitazione di masse fino allora indifferenti riesce straordinariamente, e spesso vertiginosamente, rapida e facile. Quasi sempre questa espansione assume la forma di un contagio; un propagandista arriva in un luogo, e in breve tempo tutta la regione ne è contagiata; qualcuno co­stituisce o ricostituisce un’associazione di mestiere disor­ganizzata, e nello spazio di poche settimane essa è letteral­mente inondata di nuovi membri; scoppia uno sciopero,0, meglio ancora, uno sciopero ottiene successo, e in pochi giorni centinaia di fabbriche che si tenevano in contatto con i primi scioperanti scioperano a loro volta '. N ell’am­bito di un paese o di una città, il contagio si sviluppa fa­cilmente, dato che uomini e donne si trovano in stretto contatto personale; nei paesi progrediti le notizie vengo­no diffuse dalla stampa, dalla radio e dalla televisione, e le comunicazioni sono facili. Ma nei paesi arretrati, esse sono lente e irregolari. Le difficoltà di organizzare un mo­vimento su scala nazionale sono ironicamente sóttolinea­te dall’esperienza siciliana riguardante l ’organizzazione della prima celebrazione del primo maggio, nel 1890 : se non fosse stato per il nervosismo delle autorità, che face­vano presente ai funzionari locali la necessità di impedire che, in quel giorno, si verificassero disordini - notizia che si diffuse rapidamente di bocca in bocca - molti socialisti locali spesso non avrebbero neppure saputo che l ’Interna­zionale aveva dato ordine di fare una dimostrazione. Ma un’atmosfera di forte esaltazione facilita notevolmente la diffusione delle notizie. Schiere di uomini e donne porta­no allora le liete novelle dovunque possono, poiché, come abbiamo visto per l ’Andalusia, in tempi millenaristici tut­ti diventano propagandisti. «Contadini di Piana dei G re­

1 H o illustrato alcuni aspetti di questa discontinuità in Economic Fluctuations and some Social Movements, in «Economic History R e­view », s. I I , v, 1, 1952.

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ci e di San Giuseppe Iato - scriveva un giornale della pro­vincia di Trapani - sono venuti per la mietitura nelle con­trade di Paceco e descrivono l ’entusiasmo di là e infiam­mano i nostri contadini» . L ’entusiasmo circonda anche il più piccolo progresso organizzativo di un’atmosfera di invincibilità e di fiducia in un prossimo trionfo, e nulla è più contagioso del successo. A questo modo, un movi­mento può mobilitare quasi simultaneamente le masse di una vasta zona; e questa è una mossa di enorme importan­za politica, poiché sei villaggi che si muovono simultanea­mente esercitano un impulso molto maggiore, e da un punto di vista politico incomparabilmente più efficace, che se effettuassero lo stesso movimento a intervalli, per esempio, di un anno. Il millenarismo, infatti, non è la semplice, commovente sopravvivenza di un passato ormai remoto: è invece un fenomeno estremamente utile, di cui i moderni movimenti politici e sociali possono servirsi con profitto al fine di estendere la loro sfera di influenza, e di imprimere le loro dottrine nelle menti di coloro che vi aderiscono. Poiché, come abbiamo veduto, se non è so­stenuto da un giusto ordine di idee, per quanto concerne l ’organizzazione politica, la strategia e la tattica, e da un programma appropriato, il millenarismo è inesorabilmen­te condannato. Da solo, esso può sussistere, nel migliore dei casi, come un flusso sotterraneo di credenze in una de­terminata setta, ad esempio nel lazzarettismo, o come un gruppo di capi in potenza, o una predisposizione a perio­diche insurrezioni, come in Andalusia. Si tratta di un mo­vimento che può essere, e certamente sarà sempre, ogget­to del più appassionato interesse per chiunque abbia a cuore i destini dell'umanità; ciò non toglie che, come già vedemmo, esso sia perpetuamcnce sconfitto.

Nondimeno, qualora venga posto al servizio di un mo­vimento moderno, il millenarismo non soltanto può dive­nire politicamente efficace, ma può divenirlo senza perde­re quello zelo, quella fede ardente in un nuovo mondo, quella generosa esaltazione che lo contraddistinguono an­

1 s. COSTANZA, I Fasci dei lavoratori nel Trapanese, in «Movimento operaio» cit.. p. 1028 nota.

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che nelle sue forme più primitive e aberranti. Non.è pos­sibile leggere la testimonianza di gente simile all’anonima contadina di Piana, senza sperare che il loro spirito non vada perduto.

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Capitolo settimo

Il mob cittadino

Finora ci siamo occupati quasi esclusivamente di mo­vimenti sociali i cui membri e i cui programmi erano egualmente primitivi. Invero, è per uno strano capriccio della storia che i banditi, i mafiosi, i lazzarettisti, i socia­listi rurali della Sicilia e gli anarchici rurali dell’Andalusia si sono trovati a vivere nei secoli x ix e x x , invece che nel x iv . Essi erano legati a un modo di vita molto più arre­trato; fu per loro una tragedia che un nuovo mondo, per loro non del tutto comprensibile, li travolgesse verso un futuro contro il quale tentavano di lottare a forza di illu­sioni e di violenza. Passiamo ora ad occuparci delle forme primitive di movimento sociale presso coloro che apparte­nevano al nuovo mondo cittadino dell’industria e del ca­pitalismo moderno. In questo campo, come è naturale, non troveremo un primitivismo altrettanto marcato; pu­re, se ne troverà sempre una certa misura, dato che la pri­ma generazione dell’attuale popolazione industriale era allora tutt’altro che avvezza a un genere di vita cosi nuo­vo e tumultuoso. Essi impararono, alla fine - per la Gran Bretagna, collocherei questa svolta cruciale intorno al 18 5 0 - ciò che si può chiamare «le regole del gioco» della moderna società industriale; i moderni movimenti operai rappresentano il risultato più impressionante e più diffu­so di questa loro educazione. Non si deve tuttavia dimen­ticare che in tutti i paesi, il nucleo iniziale della mano d ’o­pera industriale fu costituito, come il popolo americano, da una prima generazione di immigranti provenienti da società preindustriali, anche se in realtà non si erano mai mossi dal loro luogo di nascita. E , come tutti gli apparte­

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nenti a una prima generazione di immigranti, essi guarda­vano tanto al passato quanto all’avvenire.

Comunque, prima di trattare del primitivismo tra le classi che caratterizzano la moderna società capitalistica, sarà opportuno parlare di alcuni movimenti che stanno tra il vecchio e il nuovo: di quelli, cioè, delle grandi città preindustriali. I più caratteristici movimenti di tali centri sono e furono le corporazioni artigiane, un tipo di orga­nizzazione che appare universalmente diffuso, in ogni luo­go e in ogni tempo, ovunque vi sia una città preindustria­le. La natura di tali corporazioni e il ruolo da esse svolto nella politica cittadina sono abbastanza noti da rendere inutile una dissertazione sull’argomento. Anche i legami che uniscono tali corporazioni (e organizzazioni analoghe) e i successivi movimenti urbani di operai specializzati so­no altrettanto noti In generale, la discriminazione socia­le nell’ambito di un mestiere, o tra un mestiere e l ’altro, diede origine ad organizzazioni modellate sullo schema delle più antiche corporazioni o confraternite, ma che tut­tavia esprimevano gli interessi specifici di gruppi partico­lari, specialmente dei lavoranti; e, in seguito, buona par­te della struttura tradizionale passò - le modalità di que­sto trapasso sono ancora, qua e là, oggetto di controver­sia - ai primi sindacati di operai specializzati del periodo industriale. Inversamente, alcune delle più antiche orga­nizzazioni di lavoranti - come i Compagnonnages france­si o i Gesellenverbànde tedeschi - prima di cedere il pas­so alla più moderna struttura del sindacato, assunsero, al­l ’inizio del periodo industriale, alcune funzioni caratteri­stiche di quest’ultimo :. Alcuni aspetti della sopravviven­

1 L ’opera Industrial Organization in the Sixteenth and Seventeenth Centuries di G. unw in, rimane la migliore trattazione su ll’argomento per l ’Inghilterra. . . .

- L ’articolo di sc h o en la n k , Gesellenverbànde, nelle prime edizioni del Handworterbuch der Staatswissenscbajten e Le Compagnonnage di M. ST-LtON, costituiscono le più urili basi per questo studio. Per un arti­gianato particolarmente tradizionale, illustrato anche da Unwin, cfr.: G. d es m a rl/ , Le Compagnonnage des Chapeliers Bruxellois, Bruxelles 1909, e J. v ia l , La Coutume Chapelière, Paris 19 4 1. Per l ’assunzione di alcune funzioni sindacali da parte dei compagnonnages, cfr. per esempio e . todt e H. radan t , Zur F riihgeschichte der deutseben Gewerkschaftsbe- wegung 1800-1849, Ost. Berlin, 1950.

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za di queste tradizioni verranno esaminati nel capitolo sul rituale dei movimenti sociali.

Ugualmente conosciute sono le attività politiche dei la­voranti e degli operai specializzati cittadini nel periodo preindustriale; o meglio, il fatto che essi fossero, da un punto di vista politico, estremamente attivi e coscienti, è generalmente noto. Chi dice calzolaio dice radicale, e lo stesso avveniva per gli altri piccoli artigiani. Per quanto i loro movimenti possano avere avuto un’impronta di «prim itivism o», in complesso devono essere considerati come i raggruppamenti più moderni e progrediti del pro­letariato operaio, e come quelli più propensi ad adottare nuove ideologie, - in genere varianti dell’ideologia giaco­bina.

Qui, tuttavia, ciò che a noi interessa non è tanto questa corrente centrale della politica e dell’organizzazione dei lavoratori nelle città. Ci occuperemo invece di qualche co­sa che, può essere definito, piuttosto che come una cor­rente, come un perenne vortice nella vita cittadina. Usan­do la classica espressione inglese, possiamo chiamarlo semplicemente il mob, poiché una delle più appariscenti caratteristiche del fenomeno, che colpisce a prima vista gli osservatori, è appunto la sua estrema m utabilità'. Il mob può essere definito come il movimento di tutte le classi proletarie cittadine al fine di ottenere, mediante un'azione diretta (cioè mediante insurrezioni o ribellioni), riforme di natura economica o politica; questo movimen­to non era ispirato da nessuna ideologia particolare; o, se pure esprimeva in qualche modo le proprie aspirazioni,lo faceva in termini tradizionalisti e conservatori (come il mob «per la Chiesa e per il R e»), Si trattava di un movi­mento prepolitico, e, come tale, primitivo nella nostra ac­cezione del termine. È comunque assai strano che, per quanto in tutti i tempi si sia fatto un gran parlare del mob e delle sue sommosse, e ne sia stata fatta severa condan­

1 Spero che da quanto segue risulti chiaro che non ogni sommossa cit­tadina è una sommossa del mob, e che del pari non ogni grande assembra­mento di cittadini costituisce un mob, nel senso in cui questa parola vie­ne usata nel presente capitolo. La chiarificazione non ci appare inoppor­tuna, dal momento che pochi termini sono stati usati più indiscrimina­tamente di questo.

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na, questo movimento sia stato cosi poco studiato. Tutta­via, in molti paesi si stanno ora intraprendendo seri studi su queste rivolte; cito in particolare quelli del dottor George Rude, che ha lavorato su materiale francese e in­glese, e alla cui profonda conoscenza dei moti del x v m secolo io devo moltissimo. Tale forma di agitazione deve essere studiata oggi, se si desidera comprenderla appieno, dato che, in molte parti del mondo, essa ha già da lungo tempo cessato di essere quel metodo corrente, e persino comunemente accettato, di azione popolare che era una volta '. Il mob come fenomeno sociale ha mostrato una tendenza a scomparire, cedendo il passo, in molti luoghi, alla classe operaia industriale. Inoltre, in seguito alla R i­voluzione francese e al sorgere dei movimenti socialisti le pubbliche autorità, specialmente nelle grandi città e nelle capitali, sono divenute molto più guardinghe, in fat­to di assembramenti e disordini, di quanto lo fossero pri­ma; e forse in conseguenza di ciò, nel corso degli ultimi centocinquant’anni, l ’apparato dell’ordine pubblico si è fatto sempre più vasto ed efficiente, anche nei paesi in cui l ’azione dello Stato è riguardata con maggiore diffidenza. Soltanto al di fuori dell’Europa occidentale si possono an­cora trovare dei normali cittadini di grandi città che ab­biano qualche esperienza di rivolte e di mob preindu­striali.

Il fatto che il mob sia un fenomeno prepolitico non si­gnifica necessariamente che esso sia privo di idee politi­che esplicite o implicite. È vero che spesso si insorgeva «senza alcuna idea», vale a dire, in generale, contro la di­soccupazione e per una diminuzione del costo della vita- dato che, nell’epoca preindustriale prezzi da carestia e disoccupazione tendevano normalmente a coincidere ‘ - e, di conseguenza mercati, commercianti, e tributi locali come, ad esempio, i dazi, ne costituivano, in tutti i paesi, gli obiettivi naturali e quasi immutabili. I napoletani, che, durante la rivoluzione del 16 47 , cantavano:

1 Per il «diritto tli ribellione» ctr. h a i.lvv A History of the EnglishPeople it: 1 S 1 ; , I , pp. 93 sgg.

■ L . T. H O B S H A W M , Economic Fluctuations and some Social M ove­ments, in «Economic History Review », I I , v , I, 1952, p.

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Sui viveri non ci fu mai gabellanon ci fu mai né dazio ne dogana 1

esprimevano un'aspirazione alla quale quasi tutte le classi indigenti delle città avrebbero fatto eco. Poiché, per il fat­to che la massa dei poveri delle città, anche in tempi nor­mali, viveva ai limiti delle necessità di sussistenza, e che ogni aumento dei prezzi o della disoccupazione li precipi­tava nella catastrofe, assai di frequente le loro sommosse non erano altro che reazioni automatiche e inevitabili a tali mutamenti. A Parigi, durante la rivoluzione france­se, l ’andamento dei prezzi dei viveri costituiva, come è noto, un barometro infallibile dell’agitazione delle masse. Comunque, l ’attività e le idee del mob non si limitavano a delle pure e semplici sommosse contro il carovita.

Nelle sue manifestazioni, infatti, si ritrovavano in ge­nere almeno due - o forse tre - altre idee. In primo luogo il mob chiedeva di esser preso in considerazione. In gene­re, il mob non insorgeva soltanto per protesta, ma perché sperava, cosi facendo, di ottenere qualche cosa. Esso pre­sumeva che la rivolta avrebbe impressionato le autorità, e che forse le avrebbe indotte a fare qualche concessione immediata; poiché il mob non era un puro e semplice as­sembramento di persone raccolte a caso per il persegui­mento immediato di un fine particolare, ma una entità permanente in quanto riconosciuta, benché di rado fosse stabilmente organizzata come tale. Pure, lo era talvolta, ma le forme permanenti di organizzazione della plebs - diverse dalle corporazioni artigiane - debbano ancora es­sere studiate, come, ad esempio, le confraternite religio­se delle città europee, o i vari pangs della Cina. In secon­do luogo, le attività del mob, qualunque ne fossero l ’o­biettivo ufficiale, una ideologia o l ’assenza di qualsiasi teo­ria, erano sempre dirette contro i ricchi e i potenti (se pu­re non necessariamente contro il capo ufficiale dello Statoo della città). Durante i moti anticattolici di Gordon i di­stretti con più vasto contingente di popolazione cattolica se la cavarono quasi a buon mercato. Il maggior numero

1 m . s c h i p a . La cosiddetta rivoluzione di Masaniello, in «Archivio Storico delle Provincie Napoletane», s. I I , pp. n , 7.3.

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delle case distrutte si trovava, con una sola eccezione, in distretti ove il gruppo dei cattolici era esiguo. Tra i 136 cittadini che chiesero risarcimenti, in seguito ai moti, e di cui conosciamo la professione, 33 erano Pari, ambasciato- ri o gentiluomini, 23 erano professionisti o preti, 29 era­no osti e simili, 33 commercianti, rivenditori o negozian­ti, 15 probabilmente artigiani, e soltanto quattro salaria­ti'. I viennesi insorti contro l ’esecuzione del re di Fran­cia, nel 17 9 3 , diressero la loro furia contro i nobili fran­cesi emigrati '. I lazzaroni napoletani, che incarnavano la quintessenza del mob, furono strenui difensori della «Chiesa e del re», e, nel 1799 , antigiacobini ancora più accaniti. Cosi, cantavano canzoni che si scagliavano con­tro tutte le classi dirigenti, le quali, a loro avviso, avevano «tradito il re», specialmente «nobili e frati»; saccheg­giavano imparzialmente le case dei realisti, e chiamavano giacobino e nemico del re chiunque possedesse una pro­prietà, o, più semplicemente, chiunque andasse in carroz­za Questo andazzo ha talvolta suscitato in osservatori prevenuti - e quasi tutti gli osservatori, di qualsiasi indi­rizzo politico, non hanno considerato il mob classico con eccessiva simpatia - la tentazione di descriverlo come un branco di lumpenproletari e di criminali in cerca di bot­tino \ Ed effettivamente, non c ’è dubbio che i depravati e i delinquenti, cosi numerosi nelle grandi città, si appro­priassero di tutto ciò di cui queste misere popolazioni, co­me sa chiunque abbia trascorso anche solo poche ore a

5 GKORGE rudi-. The G ordon Riots, in «Transactions of the Rovai H i­storical Society», s. v., v i, 1956. Rude ha poi continuato i suoi bellissimi studi con W ilkes and Liberty, O xford 1962. r. h. rose , in The Priestley riots o f 17 9 1 , ci fornisce ora un resoconto completo di un’altra importan­te sollevazione inglese di questo periodo, ma rimane ancora da studili re la rivolta di Liverpool del 1776. e. Thompson, in The making o f the E n ­glish working class (London 1963, pp. 19 , 62-78), analizza anche a fondo il fenomeno del «mob per la Chiesa e per il Re».

2 Sono grato, per queste notizie, al dottor Ernst Wangermann.3 In Curiosità Storiche di n. croce (Napoli 19 19 ), a pp 136-37, sono

citati alcuni versi. Per il saccheggio delle case dei realisti, nel 1860, cfr, croce, Storia del Regno d i N apoli, Bari 1925, p. 224, e La Rivoluzione napoletana del 1779-, m afff .i. La vita dei briganti.

4 Cfr. F. BRANCA!0, O rigini e carattere della rivolta palermitana del 1886, in «Archivio Storico Siciliano», s. I l i , v, 1952-53, I, pp. 139 sgg. per alcuni rapporti consolari francesi che smentiscono apertamente tale interpretazione.

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Napoli o a Palermo, hanno estremamente bisogno. Tutta­via, come vedremo, il mob non era, in sostanza, una ban­da di individui del genere.

Il terzo fattore costante era forse l ’ostilità verso i fore­stieri; cioè verso i non cittadini. Una sorta di campanili­smo istintivo sembra essere una caratteristica costante del classico mob. Le rappresentazioni popolari di Vienna, dal 170 0 al i860 , che, rivolgendosi al comune pubblico «su­burbano» forniscono un magnifico specchio di quelle opi­nioni popolari che di solito rimangono inesprcsse, riflet­tono con estrema chiarezza questo intimo orgoglio del cit­tadino. I lazzari napoletani avrebbero difeso la gloria del­la loro città contro i disprezzati provinciali anche a costo di dare il loro appoggio ai giacobini.

Chi, dunque, faceva parte del mob? Il nerbo di esso era costituito da quella classe che nel continente viene comunemente chiamata popolino (menti pettple o popolo minuto), e specialmente dagli abitanti di certi antichi quartieri con un marcato spirito di coesione, come Fau­bourg St-Antoine a Parigi, Trastevere a Roma, o Mercato a Napoli. Era un insieme di salariati, piccoli proprietari, e di inclassificabili poveri cittadini '. Per quanto concerne la città di Napoli, dove questo gruppo era forse pili co­sciente della propria entità collettiva, sotto il nome di laz­zari o lazzaroni, e dove è stato più di frequente accusato di annoverare principalmente mendicanti e lumpenprole- tari, possediamo su di esso una documentazione assai esauriente. Secondo Goethe, i lazzari erano semplicemen­te popolo minuto o disoccupati. Un cronista, citato da Croce, che scriveva durante la rivoluzione del 179 9 , ce ne dà una descrizione assai più precisa. Ne facevano parte i facchini - una classe che, anche in altre città, soleva ca­peggiare le sommosse' - , e probabilmente i portuali, gli apprendisti e i lavoranti dei più umili mestieri: cordai, fabbri, lattonieri, magnani, stagnini, conciatori di pelli,

1 c rudi-:, The M otives of popular insurrection during the French R evolution, in «Bulletin Institute Historical Research», x x v i, 1 9 5 3 , P- 55 notn.

• lb., I..a taxation populaire de mai 17 7 5 , in «Annales Ilistoriques de la Revolution Friin^aise», aprile-giugno 1956, p. 38.

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sarti c calzolai. Gli artigiani della lana e della seta, gli in­tagliatori di legno, gli orafi, gli argentieri, i gioiellieri, e persino i servitori di case ricche, si consideravano supe­riori ai lazzari . Naturalmente, si deve aggiungere lo stuo­lo dei venditori ambulanti, dei piccoli rivenditori di tutte le specie, e di coloro che vivevano di espedienti, di cui le città preindustriali abbondavano. I lazzari si identificava­no dunque, in sostanza, col popolo minuto delle altre cit­tà, distinguendosene soltanto per la loro maggiore coesio­ne; essi infatti eleggevano ogni anno dei capolazzari ed erano fanaticamente attaccati al culto napoletano di san Gennaro, come i loro pari, a Palermo, osservavano il cul­to della patrona della città, santa Rosalia. Essi assursero a classe riconosciuta durante la rivoluzione del 16 4 7 , che portò temporaneamente al potere uno di essi, il pesciven­dolo Masaniello; questa non fu né la prima né l ’ultima, ma certamente la più impressionante delle numerose som­mosse di questa città :. Per lo meno, il nome di lazzari ap­pare per la prima volta nel 16 47 , per designare i partigia­ni di Masaniello, e, per quanto dal 1650 al 17 50 esso sia poco usato, più tardi riappare ed è definitivamente fissato nell’uso comune dalla loro contro-rivoluzione del 179 9 s. Sembra che, a Roma, il popolo minuto indigeno, forse per antica tradizione, fosse assai meno dedito all’artigianato, e che preferisse dedicarsi ai mestieri di macellaio, barcaio­lo, carrettiere, pescatore, facchino, conciatore di pelli, «selciatolo», o di venditore ambulante di merci varie, la­sciando, come riferiscono alcune fonti, i vari mestieri arti­gianali ai forestieri venuti a Roma in cerca di fortuna1. Non c ’è dubbio che tra di essi la percentuale di lumpen- proletari fosse assai alta. Era bassa, invece, in una grande città del Nord come Milano, ove, tra la popolazione ma­

1 b. cuori:. I lazzari, in Varietà ili storia letteraria t* civile, Bari 1935*I , pp. iS y sp s .

- Cltr., a questo proposi ro, s c iu p a , La cosiddetta ri colazione d i Af«i- saniello eie., in «Archivio Storico delle Provincie Napoletane», n. s., voli. Il e I I I . e inoltre il suo La niente di Masaniello, ivi, voli. I, X X X V III. XXXIX.

J h. c ro c i, Varietà intorno ai lazzari, in «N apoli Nobilissim a», xiv , 190^, pp. 140, 17 1 , 190.

J s i l v a g n i , La C orte cit., da 1. d a l pani:, in Storia d e l lavoro in Ita ­lia 17 0 0 1 8 1 5 , Milano 19 4 3 , p. 102 .

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schile, vi erano circa 27 000 operai e piccoli negozianti, e soltanto 2500 tra «mendicanti, oziosi, vagabondi, carce­rati, con le loro donne»

In ogni modo, è pacifico che il mob fosse costituito dal­le classi povere della città, e non soltanto dalla feccia. A s­sai spesso, anzi, i gruppi «rispettabili» della città, come le corporazioni artigiane, vi collaboravano, o addirittura si univano ad esso, come nei moti del 17 7 3 a Palermo, o nei moti del 1790 a Bologna, ai quali presero parte «non solo persone di bassa e vile estrazione, ma anche membri del- l ’artigianato» \

Un simile nucleo di ribelli in potenza, e spesso in atto, esisteva in ogni città di una certa importanza, in cui la po­lizia e l'esercito fossero fiacchi. Tuttavia, vi erano alcune città in cui il mob aveva un'importanza particolare, ed era contrassegnato da una sua propria conformazione prepo­litica; erano queste le classiche metropoli preindustriali, in genere delle capitali, che vivevano a spese della corte, del governo, della Chiesa o dell’aristocrazia che vi risie­devano. La maggior parte di tali città si trovava nell'Eu­ropa meridionale, dato che la combinazione di queste ca­ratteristiche si riscontrava per lo pili in città la cui esisten­za si protraeva ininterrottamente da epoca anteriore al­l ’alto Medioevo, e che non avevano mai avuto regime re- pubblicano.

G li esempi più caratteristici di questa tradizione citta­dina sono rappresentati da città come Roma, Napoli, Pa­lermo, e forse anche Vienna o Istambul, grandi città imo da tempi remoti, che sempre furono governate da un prin­cipe.

In tali città il popolino viveva con i suoi governanti in uno strano rapporto, in cui confluivano in parti uguali ele­menti di parassitismo e di ribellione. Il loro modo di pen­sare, se tale è la definizione esatta, può essere enunciato con chiarezza nel modo seguente. È compito del sovrano e della sua aristocrazia provvedere al sostentamento del popolo, sia col fornirgli lavoro, ad esempio proteggendo

1 dai. p a n e , Storia del lavoro in Italia c it ., p . io o .2 Ib id ., pp. Z7<), 323.

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gli artigiani locali, spendendo generosamente e facendo elargizioni come si conviene a un principe o a un gentiluo­mo, sia attirando nuove fonti di lavoro e di lucro, come, ad esempio, il movimento dei turisti e dei pellegrini. Ciò è tanto più necessario, in quanto questi centri di corti principesche non sono, in genere, delle città industriali, essendo spesso troppo grandi perché le industrie locali forniscano lavoro sufficiente; infatti, come spesso è stato osservato, le più grandi città preindustriali erano in gene­re cosi vaste in quanto centri amministrativi e residenza di una corte. Naturalmente, come nel caso di Roma, il po­polino poteva spingersi fino ad avversare l'industrializza­zione, poiché i suoi componenti la consideravano al di sot­to della loro dignità di cittadini, e preferivano non avere un’occupazione fissa. Comunque, se per qualsiasi ragione l ’abituale tenore di vita delle popolazioni fosse stato com­promesso o ridotto, era dovere del principe e della sua ari­stocrazia distribuire soccorsi e mantenere basso il costo della vita.

Se costoro adempivano a questo dovere, potevano con­tare sull’appoggio effettivo ed entusiastico del popolo. In ­vero, per quanto cenciosa e miserabile, la plebe identifi­cava se stessa con lo splendore e la grandezza della città, che spesso, se pure non necessariamente, identificava a sua volta con la persona del sovrano. Cosi, Vienna era la corte imperiale, Roma era il Papato, e, con ogni probabi­lità, i Borboni di Francia furono male consigliati a prefe­rire alla lealtà tumultuosa, ma effettiva, dei loro parigini la tranquillità di Versailles, dove, se era più facile domare le sommosse, i vantaggi politici della residenza regale era­no ridotti al minimo. Nulla di più facile, dunque, per il popolino, che identificarsi con la città e i suoi governanti. Per quanto povero e diseredato, esso non subiva uno sfruttamento diretto da parte della corte borbonica o pa­pale, ma ne era invece il parassita, partecipando, se pure in minima parte, a quel generale sfruttamento da parte delle città, delle province e delle campagne - fondamento di tutta l ’economia urbana preindustriale dei paesi Medi- terranei - , come pure allo sfruttamento del resto del mon­do attraverso il commercio, i turisti e i pellegrini. Cosi, i

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governanti e questo popolo di parassiti vivevano in una specie di simbiosi. Non si sentiva neppure la necessità di tenere queste due classi separate, come nelle città moder­ne. La tradizionale metropoli medievale o assolutista non ha quartieri eleganti; come si può tuttora osservare in al­cuni rioni di Roma o di Palermo, e nei più antichi quartie­ri di Parigi - ma non in quelli posteriori alla rivoluzione - i tuguri e i mercati a ll’aperto fiancheggiavano i palazzi. La città era un’unità culturale. È assai probabile che la tacita convenzione per la quale l ’aristocrazia di Vienna, di Vene­zia o di Napoli proteggeva il teatro dialettale e parlava una versione solo leggermente corretta dell'idioma popo­lare del luogo, e non un particolare linguaggio sofisticato, esprimesse questa fondamentale comunanza di interessi di tutta la città contro gli sfruttati campagnoli o forestie­ri. Non è facile, ai nostri tempi, immaginare un imperato­re che conversa con i suoi arciduchi nell’equivalente vien­nese di un cockney solo leggermente corretto, come fece­ro gli Absburgo fino alla fine.

Purché, dunque, il sovrano compisse il suo dovere, la plebe era pronta a difenderlo con ardore. In caso contra­rio, continuava a fare sommosse finché quel dovere non fosse stato adempiuto. Di tale meccanismo erano ben con­scie ambedue le parti; e finché il normale attaccamento del popolo alla città e ai governanti non fu sostituito da un altro ideale politico, o finché il mancato adempimento del loro dovere da parte dei governanti fu soltanto tem­poraneo, ciò non fece sorgere gravi problemi politici, a parte qualche sporadica distruzione di proprietà. La per­petua minaccia di ribellioni faceva si che i governanti con­trollassero i prezzi, dessero lavoro ed elargizioni, e pre­stassero ascolto al loro fedele popolo anche su altre que­stioni. Poiché le rivolte non erano dirette contro il siste­ma sociale, l ’ordine pubblico poteva rimanere, rispetto a quello odierno, straordinariamente rilassato. A l contrario, il popolo era assai soddisfatto dell’eflicacia di questo mec­canismo al fine di esprimere le proprie esigenze politiche, e non cercava altro, dato che ciò che chiedeva era poco più dello stretto necessario per vivere, un po' di divertimento e il riflesso della gloria del principe. Un mirabile quadro

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di questa situazione è stato tracciato per la città di Parma, ove il rozzo proletariato, che viveva dei sussidi concessi dalla beneficenza ducale, non desistette mai dalle sue «sante» insurrezioni, alzando barricate e tirando mattoni, pur rimanendo sinceramente affezionato alla sua amata duchessa Di conseguenza, i parmensi ebbero la più gran­de difficoltà ad adattarsi ai nuovi sistemi politici della fine del secolo scorso, cioè alle elezioni e ai sindacati, di cui non riuscivano a comprendere la necessità. Ancora nel 1890, quando già intorno ad essi' tutti si erano orientati verso i nuovi sistemi, i parmensi, malgrado i leader rifor­misti delle loro associazioni di lavoratori, facevano anco­ra delle sommosse, e nel 18 9 5 , quando Milano e la Roma­gna votarono per le sinistre, Parma non lo fece. Il popolo non era ancora pervenuto a considerare il voto come un’arma politica seria. A questo proposito, è significativo il fatto che nel 1898 , soltanto nelle campagne si organiz­zavano scioperi, oltre che sommosse: nella città di Parma ci si limitava alle sommosse. Comunque, l'ondata nazio­nale delle insurrezioni di quell’anno, che ebbe un’impor­tanza cruciale per lo sviluppo del socialismo italiano, por­tò anche i parmensi a schierarsi colle sinistre, per quanto, anche allora, Parma rimanesse un’isola massonico-radica- le in una regione socialista; vale a dire che il suo sposta­mento a sinistra fu determinato dalla piccola borghesia, piuttosto che dalla classe operaia.

Questo ritardo politico della città (non industriale) ri­spetto alle campagne, non era e non è una caratteristica esclusiva di Parma. Si tratta invece di un fenomeno assai diffuso nelPItalia meridionale fino ai nostri giorni, ben­ché nel corso dell’ultimo decennio sia cominciato lo spo­stamento a sinistra nelle elezioni delle grandi città cosi, come abbiamo visto nel capitolo sulla Mafia, nelle prime elezioni dopo la caduta del fascismo, i voti ottenuti dalle sinistre a Palermo, Messina e Catania, erano meno della metà di quelli delle zone rurali, per quanto, da allora, il loro numero sia quasi raddoppiato. Nelle stesse elezioni (1946) a Roma i voti apolitici, compresi quelli per il par­

1 b. RiGuzzi, Sindacalismo e riform ismo nel Parmense, Bari 19 3 1.

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tito monarchico, furono notevolmente più numerosi che in qualsiasi altra provincia del Lazio; a Napoli, furono al­quanto più numerosi che in qualsiasi altra zona della Cam­pania Nella provincia calabrese di Cosenza, nel 19 5 3 , le sinistre ottennero più del doppio dei voti dei monarchici­neofascisti: ma nella città di Cosenza ottennero soltanto il 159Ó in più Non è per caso che uno dei partiti monar­chici, rappresentato principalmente da un armatore mi­liardario e demagogo assai influente nella città, sia risul­tato a Napoli più forte che in qualsiasi altra grande città d ’Italia. Nel 19 56 vi ottenne un numero di voti quasi tri­plo di quello dei comunisti. Tuttavia, questa mancanza di interesse da parte dei proletari delle grandi città per la politica moderna - che si risolve, quando votano, in una specie di conservatorismo - , non è soltanto il risultato delle particolari simbiosi di cui sopra, ma può anche deri­vare semplicemente da debolezza o da mancanza di qual­che cosa che - come le grandi fabbriche o una solidarietà artigiana o paesana - li aiuti a consolidare le loro opinioni politiche. Uno dei fatti più noti della storia politica della città di Londra è il voto apolitico dell’East End fino agli albori del nostro secolo, quando passò al partito laburista senza attraversare lo stadio precedente della coscienza po­litica, costituito dal liberalismo radicale. Le antiche circo- scrizioni di artigiani e piccoli negozianti, specialmente quelle situate a sud del Tamigi, pervennero molto prima a una coscienza politica, cioè al radicalismo, e ad esso ri­masero fedeli molto più a lungo, passando al partito labu­rista soltanto intorno al 1920 .

Nondimeno, la simbiosi del mob con coloro contro i quali periodicamente si ribellava non era necessariamen­

1 I voti dati al partito monarchico o al partito qualunquista (neofa­scista) sono giustamente considerati dagli studiosi del Meridione d ’Italia come indicatori dell’assenza di i:na coscienza politica piuttosto che come voti politici. Un basso nuni<-:\> di voti per la democrazia cristiana o per il socialcomunismo contraddisnngue quella che è stata definita la «zona grigia» eieI risveglio politico, così come un cervellotico spostamento da un candidato estremista al l ’altro. Cfr. sc o t e l la r o , Contadini del Sud cit., pp. 31-32.

2 Sono grato al signor Nino Cavatassi, segretario della federazione del p c i di Cosenza, che mi ha fornito le cifre delle elezioni provinciali, sud­divise per città e villaggi.

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te il fattore essenziale della sua politica. Il mob si ribella­va, ma talora faceva anche delle vere rivoluzioni, anche se venivano fatte apparire come controrivoluzioni. Il mob era povero; «loro» erano ricchi; la vita era dunque fon­damentalmente ingiusta verso i poveri. Questa la sostan­za del loro atteggiamento, che è espresso nelle parole di innumerevoli ballate popolari («in tutto il mondo è sem­pre lo stesso, il povero ha sempre torto» a Londra come a Siviglia; «Sono rinchiuso in una cella perché non ho de­naro; con una chiave d ’oro non v e porta che non si apra») che idealizzavano la ribellione anarchica di briganti o ban­diti da strada, divenuti fuorilegge in seguito a contrasti con un gran signore o con lo Stato, che sempre venivano traditi e sempre traevano la propria rivincita. Le idee ri­voluzionarie insite nel mob erano di carattere primitivo; erano cioè, a modo loro, l ’equivalente cittadino di quello stadio di coscienza politica rappresentato nelle campagne dal banditismo sociale. Come il banditismo, quando si ma­nifestò come un fenomeno di carattere apertamente poli­tico, generalmente lo fece in una forma che può essere definita come un legittimismo barricadiero; ad esempio, nei paesi assolutisti, come il «mob per la Chiesa e per il Re».

Vale la pena di soffermarsi un istante ad analizzare que­sto legittimismo popolare, poiché le idee che ne costitui­scono il sottofondo non sono una prerogativa delle gran­di città, ma sono state largamente condivise da tutte le popolazioni prepolitiche. I movimenti contadini della Russia zarista fino agli inizi del nostro secolo erano pro­fondamente compenetrati da queste idee, che, in sintesi, possono essere espresse come segue '.

In primo luogo, il sovrano (o una istituzione come la Chiesa) simbolizza e rappresenta in un certo senso il po­polo e il suo modo di vivere, cosi come può apparire ad una pubblica opinione incolta. Può essere malvagio, cor­rotto o ingiusto, o piuttosto, tale può essere il sistema di governo che rappresenta; ma finché la società sulla quale

1 M. c h e r n ia v s k y , in Tsar and People (New Haven 19 61), esamina in forma brillante i presupposti e i miti del realismo popolare in Russia.

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esercita il potere rimane stabile nelle sue tradizioni, esso rappresenta la norma di vita. Questa legge, tranne che in circostanze particolarmente fortunate, non è certo molto favorevole alla massa del popolo; carestia, epidemie, pe­stilenze, guerre, assassini, morti improvvise, miseria e in­giustizia sono sempre presenti o in agguato dietro l ’ango­lo; pure, questo è il destino dell’uomo. Tuttavia, se que­sto ordine stabilito, per quanto duro e ingrato, veniva a essere minacciato dall’esterno o dall’interno, il popolo, a meno che il sovrano avesse causato o tollerato in una mi­sura maggiore del consueto la miseria, le ingiustizie e i lutti (e a meno che, secondo il detto cinese «il mandato del cielo fosse scaduto»), gli si stringeva intorno, in quan­to egli rappresentava, in un senso simbolico e quasi magi­co, «loro stessi» o almeno la personificazione dell’ordine sociale. Cosi i castigliani si strinsero intorno ai borboni per combattere lo straniero invasore. Questo non è, per se stesso, un movimento sociale vero e proprio; ma se la sfida all’ordine tradizionale assume la forma di nuove for­ze sociali distruttrici, il legittimismo può dissimulare una rivolta in massa contro le ingiustizie del nuovo ordine, una specie di luddismo politico. I legittimi monarchi e le istituzioni come le Chiese possono non vedere di buon occhio un simile movimento. L ’imperatore Francesco I d ’Austria guardava con sospetto al legittimismo rivolu­zionario del suo popolo, osservando giustamente: «O ra sono patrioti per me, ma un giorno potrebbero esserlo contro di me». Dal punto di vista di un’istituzione pret­tamente conservatrice, la disposizione ideale è l ’obbedien­za, non l ’entusiasmo, qualunque ne sia la natura. Non è un caso che lo slogan di ogni principotto tedesco fosse «Ruhe ist die erste Biìrgerpflicht» (la tranquillità è il pri­mo dovere del cittadino).

In secondo luogo, il sovrano (un'istituzione per sua for­tuna remota) rappresenta la giustizia. Per quanto sia evi­dente che i signorotti locali, i funzionari, il clero e altri sfruttatori succhiano il sangue del popolo, ciò probabil­mente avviene perché il monarca ignora i misfatti com­messi in suo nome. Se soltanto Io zar o il re di Francia sa­pessero, senza dubbio percorrerebbero il paese in lungo

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e in largo fulminando col loro occhio d ’aquila i disonesti funzionari, e dispensando la giustizia al loro fedele popo­lo. Questo atteggiamento viene espresso da una serie di leggende popolari, come quella, cosi cara alle masse, del re che si aggira in incognito per il paese, allo scopo di sma­scherare le ingiustizie e di dispensare la giustizia, attribui­ta a tutti i sovrani, da Hàrùn al-Rashìd a ll’imperatore Giuseppe I I . La remota distanza alla quale si trovano i re (o i papi) salvaguarda la loro reputazione. Naturalmente, però, appena le ingiustizie e le sofferenze patite dal popo­lo sono deposte direttamente ai loro piedi, tale reputazio­ne svanisce. Nessuno si muoverà più per difendere un mo­narca ingiusto, per quanto legittimo - per un Nicola I I dopo tre anni di massacri - poiché un monarca ingiusto è la negazione della regalità. U n’istituzione meno persona­le, come la Chiesa, resiste meglio alla scoperta della falli­bilità; tuttavia, come abbiamo visto a proposito del mille­narismo, anch’essa è minacciata dalla scoperta, egualmen­te disastrosa, che non si tratti della «vera» Chiesa, ma di una congiura degli oppressori per mantenere i poveri nel­l ’ignoranza. Il cristiano devoto, ma fieramente anticleri­cale, è una figura familiare nella storia delle rivoluzioni europee.

I movimenti «per la Chiesa e per il R e» sono dunque autentiche proteste sociali, per quanto assumano caratte­re rivoluzionario soltanto in quella che ho definito come la loro fase luddista. I l loro scopo è, in genere, quello di salvaguardare la norma tradizionale dei rapporti sociali, il che implica un’accettazione della gerarchia tradizionale, per quanto il sogno secolare di una società veramente e completamente libera, nella quale non vi siano né «cap­pelli» né «berretti» (per usare l ’espressione siciliana) esploda a tratti in massacri selvaggi. Esso diviene follia rivoluzionaria soltanto in periodi rivoluzionari. Presu­mendo che questo movimento avesse una teoria costitu­zionale, si potrebbe spiegare ciò che lo distingue dal legit­timismo reale dicendo che quest’ultimo implica soprattut­to un monopolio dell’obbedienza; il legittimismo popola­re implica invece alcuni servizi, reali o immaginari, che il re rende alla giustizia, o che potrebbe rendere se altri non

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glielo impedisse. I movimenti popolari «per la Chiesa e per il Re» esprimono dunque delle critiche e pongono delle condizioni; e in verità, poiché in fondo non si preoc­cupano di ciò che il re o la Chiesa ne possano pensare, ne tengono ben poco conto. Nel 1 588, i parigini non si preoc­cuparono di sapere se Enrico I I I approvasse il movimen­to insurrezionale da essi suscitato in suo nome. I napole­tani e i parmensi non esitavano un istante a ribellarsi con­tro il sovrano quando ritenevano che mancasse al suo do­vere di fornire loro quel modesto sostentamento a cui pensavano di avere diritto. I cittadini di Dublino, nelle opere di Sean O 'Casey, non si preoccupano di sapere se la Chiesa approvi la loro ribellione - in effetti, i rapporti tra la Chiesa e la fratellanza repubblicana irlandese, le cui origini risalgono al secolarismo e al deismo del x v m se­colo, sono sempre stati piuttosto vaghi. Essi non riusciva­no a concepire che la Chiesa potesse non essere dalla par­te dell’Irlanda. Non vi è dunque da stupirsi dell’improv­viso abbandono dei loro sovrani da parte dei sudditi legit­timisti, che, nel corso degli ultimi quarant’anni, ha ridot­to la monarchia, nel 19 14 una istituzione quasi universale dell’Europa centrale, orientale e meridionale, a una tra­scurabile anomalia politica.

Il popolino, dunque, insorge per la giustizia sotto le insegne del re e dello zar, come nella terribile jacquerie della città di Napoli nel 179 9 , o in molte altre sommosse rurali in cui i contadini, siano essi della Sicilia o della re­gione del Volga, non possono credere che le forze dello Stato si siano mosse per annientarli, dato che essi credo­no in buona fede di agire secondo i desideri del proprio sovrano. «Non sparate su di noi, - gridavano i contadini di Bezdna al generale Apraksin, facendosi il segno della croce, - state sparando su Aleksandr Nikolaevic, state spargendo il sangue dello z a r» 1. Essi non pensavano a uno zar reale, o a qualsiasi reale sovrano, ma allo zar idea­le del popolo legittimista, figura che non ha riscontro nel­la realtà. Ove, come a Napoli, il re non sia un personaggio

1 Per questa interessantissima sommossa, vedi r . l a b r y , Autour du M oitijk , Paris 1 9 2 3 , e f . v e n t u r i , I l populism o russo, Torino 19 .52, ba­sato sui più recenti studi sulla Russia.

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cosi lontano da essere personalmente sconosciuto e ;rr.c:- noscibile, la mancata adesione al legittimismo, come lo in­tendevano i governanti, risulta ancora più evidente. I laz­zari erano legati soltanto a un re - una repubblica imper­sonale era infatti qualcosa che sfuggiva alla loro compren­sione - , non già a un re borbonico. Invero, in seguito alla conquista francese, essi non ebbero difficoltà a trasferire la loro lealtà al generale francese Championnet, che sti­mavano migliore del «re che se ne era andato» e causa del suo modo di fare più democratico. Buona parte della reputazione di volubilità del mob è dovuta a questo em­pirismo. Esso vuole un re che faccia il proprio dovere, co­me deve farlo il suo santo; a questa condizione, uno vale l ’altro. Per i lazzari era dunque logico, dopo la sconfitta, fare una dimostrazione contro san Gennaro e trasferire temporaneamente la loro devozione a sant’Antonio'.

In fondo, tuttavia, il mob non era legato a nessun re, governante o sistema; erano queste semplici etichette po­litiche apposte a movimenti privi di qualsiasi programma positivo, ad eccezione dell’odio per i ricchi e di un certo ideale di uguaglianza di sapore larvatamente anarchico. Neppure l ’anarchia poteva costituire una soluzione positi­va. Un villaggio di contadini potrebbe sperare di svolge­re la propria vita col semplice consenso della comunità, se soltanto lo Stato, la legge e i ricchi che lo sfruttano e si ingeriscono nelle sue faccende, venissero eliminati. Ma una città non può sperare di governarsi a questo modo. L ’unica soluzione che l ’idea anarchica primitiva sia in gra­do di proporre per le città e la loro distruzione; proposta che, come già vedemmo, può essere accolta con entusia­smo dai contadini anarchici, ma che, per la loro stessa si­tuazione, i poveri delle città non possono approvare. Oc­corre che qualcuno provveda all'organizzazione della cit­tà e al suo sostentamento. In essa l ’uguaglianza, se pure esiste, si riduce a quella specie particolare rappresentata dal voto o da uguali possibilità, o da qualche altra cosa del genere; non sarebbe mai la semplice uguaglianza di coloro che coltivano in comune la terra, in uno spirito di

3 c r o c e , I la z za ri c it., pp. 19 7 -9 8 '

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fratellanza, e magari procedono a una periodica ridistri­buzione di essa. I l mob dispone dell’arma della ribellione. È questa un’arma notevolmente efficace, poiché, vivendo nelle capitali, si ha un’idea assai più precisa di ciò che si­gnifica il governo, il potere e la conquista del potere, di quella che possono averne i contadini di remoti villaggi. Tuttavia il mob non poteva fare nulla più che ribellarsi periodicamente contro il destino umano per poi placarsi, preferendo una tacita accettazione del governo - qualun­que esso fosse - e dei suoi datori di lavoro, e battendosi per ottenere vantaggi immediati di scarsa importanza. Non si preoccupava gran che della bandiera sotto la quale insorgeva. Nel corso degli ultimi due secoli, non vi è trac­cia di movimenti millenaristici tra i classici mob delle grandi città, dato che a questa massa riusciva eccezional­mente difficile concepire l ’idea di un mondo nuovo e per­fetto.

Nondimeno, a poco a poco il mob mutò indirizzo, se questa affermazione non è troppo precisa e categorica. Qualora, ai fini del nostro studio comparativo, ci si limiti al basso popolo delle città assolutiste o di tradizione asso­lutista del Meridione, si potranno osservare gli stadi successivi di tale evoluzione dalla Rivoluzione francese in poi. A partire dalla Rivoluzione francese, infatti, il menu peuple di Parigi, qualunque fosse Io scopo che si prefig­geva, insorse sempre sotto gli auspici delle sinistre. Il bas­so popolo viennese, che intorno al 179 0 era lealista ed an- tigiacobino (con la caratteristica eccezione dei calzolai che erano filofrancesi perché i francesi erano contrari alla re­ligione ‘ ), nel 1848 era rivoluzionario. Attraverso uno stu­dio delle rappresentazioni di periferia, possiamo localiz­zare in modo ancora più preciso questo mutamento del­l ’atmosfera politica popolare tra il 18 3 0 e il 18 4 8 '. In Spagna, gli eroi le cui gesta venivano cantate nei caffè-con­certo di Siviglia e Barcellona, dopo la metà del secolo

1 II dottor Ernst Wangermann ha tratto questa informazione dagli archivi.

: 0. r o m m k l , D ie AUtviencr V olkskom ódie , Wien 19 5 2 , è l'opera classica sull’argomento; Johann Nestroy è il tipico attore-autore delle rappresentazioni popolari anteriori al 1848.

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scorso, a giudicare dal testo delle coplas (canzoni) e dalle memorie dei cantanti, erano generali di idee liberali Per­sino a Napoli, roccaforte del proletariato filoborbonico, nel i860 i Borboni attesero invano una seconda edizione della sommossa dei lazzaroni del 1799 . I lazzari non si mossero. In effetti, da qualche anno la camorra era venu­ta a patti con i liberali, e Garibaldi conquistò le classi po­vere napoletane come conquistava i cuori di tutta la gen­te umile. Cosi, se la sommossa del 1866 a Palermo era an­cora «per santa Rosalia», era anche «per Garibaldi e la Repubblica», poiché la città aveva da lungo tempo preso l ’abitudine di sollevarsi insieme o anche prima dei suoi li­berali. Ciò non implica che il mob meramente prepoliticoo favorevole alle Destre avesse cessato di esistere, per quanto ora, assai di frequente, più che come una forza di­chiaratamente tradizionalista, agisse come sospinto da una demagogia di tendenze apertamente di sinistra - anti­semita come a Vienna, anticlericale e anticapitalista come a Barcellona - che sembrava adattarsi al complesso degli elementi conservatori. È in questo spirito che Alejandro Lerroux, « l ’imperatore del Paralelo» reclutò i suoi uo­mini nel Barrio Chino, malfamato quartiere di tuguri e bordelli nel centro della vecchia Barcellona, per la «setti­mana tragica» in cui imperò il mob anarchico, nel 1909 2.

Perché avvenne questo cambiamento? In parte, senza dubbio, perché il mob procedeva empiricamente, e i regi­mi «per la Chiesa e per il R e» erano in via di decadenza. Nei tuguri delle città non troveremo certamente l ’ostina­to tradizionalismo dei contadini vandeani, dei carlisti ara­gonesi e navarrini che si battevano per una causa persa. La causa di ciò era in parte nel fatto che con i movimenti rivoluzionari della nuova epoca era apparso un nuovo ge­nere di eroe, che parteggiava per il popolo e spesso pro-

1 Silverio, il padre del flamenco, forma d ’arte generalmente apolitica, aveva, ne] suo più antico repertorio, un’elegia dedicata a ll’eroe repub­blicano Riego: cfr. d e m o f il o , E l canto Flam enco, Sevilla 1 881 , p, 194.Il menestrello f e r n a n d o e l d e t r i a n a , in Arte y artistas flamencos, Ma­drid 1952, pp. 85-89, narra come conquistò i! pubblico di Barcellona, ostile ai canti andalusi, componendo un tango sulle gesta del generale Prim.

2 b ren an , The Spanish Labyrinth cit,, p. 34. Questo movimento fu ta­citamente tollerato dal governo perché anticatalano.

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veniva anche dal popolo, campione, e forse anche mirag­gio. di una società libera, e non soltanto ordinata. G ari­baldi, la cui capacità di incarnare l ’ideale del «campione del popolo» aveva del miracoloso (egli resta tuttora l ’uo­mo che ha suscitato da solo le più vaste dimostrazioni di massa che Londra abbia mai visto) ne costituisce forse il più vivido esempio. Molto prima che gli italiani del Sud avessero abbandonato il loro tradizionale rivoluzionari­smo, egli li conquistò nonostante la loro incomprensione delle vere cause a cui prestava il suo nome, forse perché, come il Mack Smith ha giustamente osservato, egli stesso era un uomo semplice, dalle idee ancora rudimentali, e sa­peva per istinto come trattare con i poveri di mentalità prepolitica. Il mob era tradizionalista soltanto per man­canza di qualcosa di meglio, ed era appunto questo che i nuovi movimenti, giacobino, nazionalista, socialista, sem­bravano promettere, anche se in un modo vago.

È evidente che essi non potevano assorbire compieta- mente il mob. La facilità con la quale questo insorgeva, rese all’inizio più agevole il compito dei rivoluzionari, ma tale vantaggio fu annullato da una quasi totale incapacità di comprendere che l ’agitazione sociale non si esaurisce quando la sommossa ha ottenuto il suo scopo immediato, e che la disciplina è necessaria. Quasi tutti i movimenti socialisti o comunisti moderni preferirebbero, se potesse­ro scegliere, la disciplinata stolidità di un piccolo distret­to minerario alla turbolenza di tre grandi città come Pa­lermo. Invero, con alcune eccezioni, quasi fin dal princi­pio la vera forza dei moderni movimenti operai risiede non già nelle capitali non industrializzate, ma nelle pro­vince; nei dipartimenti del Nord e del passo di Calais, nella Germania centrale, nel Galles, nell’Inghilterra del Nord, a Torino e a Milano. L ’epoca d'oro dei movimenti rivoluzionari del proletariato urbano è stata quella del giacobinismo e del primo radicalismo.

Ma anche nelle sue roccaforti, il classico mob ha subito una sensibile decadenza. In primo luogo, l ’industrializza­zione ha sostituito al popolino la classe operaia industria­le, la cui essenza stessa è l ’organizzazione, e una perma­nente solidarietà, mentre quella del vero mob era costitui­

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ta da brevi e intermittenti sommosse. In secondo luogo, il mutamento delle condizioni economiche ha eliminato la carestia periodica combinata a un'alta percentuale di di­soccupazione, sostituendovi una forma di crisi economica che non produceva, come reazione automatica e inevita­bile, le sommosse per il pane. Infine, la crescente sensibi­lità dei governi ai disordini nelle capitali in seguito alla Rivoluzione francese, e probabilmente anche l ’evoluzio­ne compiutasi nell’urbanistica durante il secolo scorso, tendente a separare i ricchi dai poveri in quartieri diversi e ad allontanare entrambi dai centri commerciali e politi­ci, rese più difficile lo spontaneo accendersi delle rivolte e delle insnrrezioni, anche ove ne permanessero le cause. L ’osservatore che conosca soltanto Londra, Parigi o Ber­lino della fine del secolo scorso troverà difficoltà a com­prendere la vera essenza del mob. Soltanto qualora per­corra a piedi, ad esempio le vie di Palermo, ove i Quattro Canti formano ancora il cuore della città, e veda, a breve distanza dai palazzi e dagli uffici del governo, i mercati e i tuguri, sentirà nel suo intimo tutto il significato del gri­do «il popolo è insorto!» ai tempi dell’autentico m o b 1.

Pochi rimpiangeranno la sua fine. Raramente i difen­sori dello status quo hanno menato vanto per il solido tra­dizionalismo del mob come hanno fatto per quello del movimento conservatore contadino, anche quando ne hanno tratto vantaggio. Esso ha rappresentato in comples­so una forza che ha ritardato la conquista delle grandi cit­tà non industriali da parte del movimento operaio; e l ’in­flusso favorevole da esso esercitato in alcuni luoghi non è stato tenuto in alcun conto. Neppure gli anarchici, che lo­gicamente sostengono la ribellione primitiva e spontanea, anche se ha effetti negativi, sono stati molto propensi a idealizzarlo. La trasformazione del popolino delle grandi capitali in una classe operaia moderna ha portato ad una perdita di colore locale, ma chiunque abbia visto l ’orripi­lante spettacolo del sottoproletariato napoletano sarà pro-

1 A proposito dell’ influenza che ebbe sull’ urbanistica il timore delie rivoluzioni cfr. l ’opera di Haussmann a Parigi, e, per quanto riguar­da Vienna, H. b e n e d i k t , D ie wirtschaflliche Entw icklung in der Franz- Joscph-Zeit, Wien-Munchen 1958, pp. 46-47.

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i 6 o CAPITOLO SETTIM O

penso a considerare con indulgenza persino Stoke-on- Trent Ma, con tutti i suoi inconvenienti, il mob è pur sempre un fatto storico; esso costituisce forse la forma di agitazione sociale là cui ininterrotta esistenza può essere fatta risalire più addietro nel tempo, poiché è tutt’altro che assurdo riconoscerlo nelle fazioni degli azzurri e dei verdi nei circhi dell 'antichi cà. E poiché, forse senza ren­dersene pienamente conto, esso ha svolto un ruolo impor­tante nell’evoluzione politica del mondo moderno, prima di cedere il passo a movimenti più evoluti e ad altri rag­gruppamenti del proletariato, lo storico ha il dovere di cercare di comprenderne l ’essenza, per quanto anche que­sto, come altri movimenti sociali primitivi, diffìcilmente possa destare la sua simpatia.

1 (Squallido cittadina industriale inglese!.

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Capitolo ottavo

Le sette operaie 1

I.

La Rivoluzione americana c la Rivoluzione francese del x v m secolo costituiscono, forse, i primi movimenti poli­tici di massa nella storia del mondo, che abbiano espresso le proprie ideologie e aspirazioni in termini di razionali­smo laico invece che in quelli tradizionali della religione. Questo fenomeno segna una cosi profonda evoluzione nel­la vita e nelle opinioni del popolo, da rendere difficile la valutazione della sua natura anche per coloro che sono cresciuti in un’epoca nella quale la politica è agnostica, qualunque siano le convinzioni individuali degli uomini politici e dei loro elettori. II moderno movimento operaio deriva, sotto due diversi punti di vista, da questa epoca. In primo luogo, perché la sua ideologia dominante, il so­cialismo (come pure il comuniSmo e l ’anarchia che appar­tengono alla stessa famiglia) è l ’ultimo, estremo derivato dell’illuminismo e del nazionalismo del x v m secolo; in secondo luogo perché le stesse classi lavoratrici, sue so­stenitrici, figlie di un’epoca senza precedenti, erano, pro­babilmente, meno influenzate dalle religioni tradizionali di qualsiasi altro gruppo sociale, ad eccezione di alcuni

1 Uno studio ottimo e molto compie to sul protestantesimo c la classe operaia inglese nel periodo della prima industrializzazione esiste ora. Thompson, The making of the l i n gl is h working class cit. I l saggio di K. s. INC ms, Churches and the working classes in Victorian Un gland, London 1963, contiene un capitolo assai utile sul Misere ito della salvezza, il cui fondatore era un ex cartisra. ma per il resto non è molto importan­te; inoltre la critica al presente capitolo ivi contenuta è inaccettabile. V i­ceversa l ’articolo di T. Dunbain sulle leghe di lavoratori agricoli del 1873 (« l3ast & Present». 26, 1963) illumina molti altri lati del problema e tra l ’alt rei porta l'attenzione sugli aspetti millenaristici degli aderenti al­le leghe.

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gruppi circoscritti o di élite, come gli intellettuali bor­ghesi. Ciò non significa che i lavoratori fossero, o siano, per la maggior parte, agnostici o atei. Significa soltanto che il passaggio universale o individuale dal villaggio alla città, o dalla condizione di contadino a quella di operaio, ha, generalmente, portato a una netta riduzione dell'in­fluenza delle religioni tradizionali e delle chiese. Le in­chieste compiute sulle tendenze e sulle pratiche religiose della classe operaia dal 1840 al 19 50 , hanno rivelato, qua­si senza eccezione, che questa classe, rispetto alle altre, è caratterizzata da una forte dose d ’indifferentismo religio­so '. Anche le eccezioni sono spesso più apparenti che rea­li, poiché i gruppi eccezionalmente religiosi, tra le classi operaie - nell’Europa occidentale, si tratta normalmente di cattolici romani - rappresentano spesso delle minoran­ze nazionali come gli irlandesi in Gran Bretagna e i polac­chi nella Germania imperiale, per i quali la propria reli­gione particolare è un emblema, come un altro, della pro­pria nazionalità. E anche costoro, per quanto più religio­si dei loro compagni, lo sono, in genere, assai meno di quanto lo siano in patria i loro correligionari non appar­tenenti alla classe operaia. Per quanto concerne i leader e i militanti dei movimenti socialisti, essi sono stati, prati­camente, fin dal principio, non soltanto indifferenti nei ri­guardi della religione, ma, in genere, dichiaratamente agnostici, atei e anticlericali.

La caratteristica forma moderna di movimento delle classi operaie è, dunque, di un laicismo completo, se non militante. Tuttavia non sarebbe credibile che le forme e gli atteggiamenti della religione tradizionale che, da tem­po immemorabile, avevano accompagnato la vita del po­polo minuto, potessero, all’improvviso, cadere nel nulla. Nei primi stadi di movimenti sociali e politici, anche di carattere più spiccatamente laico, spesso si osserva una specie di nostalgia per le vecchie religioni, o, forse più pre­cisamente, una incapacità a comprendere nuove ideologie

1 La prima di queste grandi inchieste c il censimento religioso del l ’ In­ghilterra e del G alles nel 19 5 1; recentemente i migliori studi, posteriori al 19 4 1, sono costituiti dalle opere di Le Bras e della Scuola cattolica francese di sociologia religiosa.

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che esulano dagli schemi delle vecchie, magari con degli dèi trasformati o di statura più ridotta, magari con delle tracce di vecchi culti e riti. La stessa borghesia illuminista aveva la propria religione massonica e la rivoluzione fran­cese, il culto della Dea Ragione e dell’Essere Supremo. Un esempio ancora più tipico, citato ultimamente da A l­bert Soboul, è rappresentato dall’introduzione del culto, secondo gli schemi tradizionali, di nuovi santi e martiri anche miracolanti, da parte dei rivoluzionari militanti: Perrine Dugué nel Sarthe, che sali al cielo con ali tricolo­ri, e sulla cui tomba gli ammalati guarivano e, tra i sancu­lotti parigini, Marat, Lepeletier e Chalier Spesso le for­me primitive di socialismo, nell’epoca delle comunità uto­pistiche, assunsero l ’aspetto di nuove religioni (come il sansimonismo) o di settarismo profetico (come quello di Wilhelm Weitling). La capacità dei movimenti secolari di suscitare nuovi culti si mantenne a lungo, perfino il posi­tivismo di Auguste Comte aveva la sua religione dell’u­manità. Tuttavia, se si eccettuano gli stadi iniziali, questi fenomeni sono singolari, piuttosto che importanti. In ef­fetti i nuovi movimenti socialisti assolvevano, per i loro membri, molte delle funzioni proprie delle religioni tra­dizionali, dando luogo a manifestazioni analoghe. I socia­listi spagnoli si rivolgevano l ’uno all’altro, nella corri­spondenza, il titolo di «correligionario». Tuttavia, queste analogie sociologiche esulano dall’ambito della nostra trattazione. Il movimento socialista operaio è perfetta­mente moderno nel suo laicismo.

La più importante eccezione a questa regola generale, è costituita dalle sette operaie dei paesi anglosassoni \ La storia delle ideologie dei movimenti operai inglesi non è certo completamente diversa da quella relativa ai paesi del continente. Come quelli del continente, i movimenti operai e socialisti inglesi eran dominati dalla tradizione laicistico-radicale che forni i più influenti pamphlettisti da

1 Sentiment religieux et cultes populaires pendant la Revolution, in «Archives de Sociologies des Religions», n. 2, luglio-dicembre 1956.

‘ Non voglio dire che sim ili sette non esistano altrove, tuttavia mi sembra più opportuno trattare quasi esclusivamente dei fenomeni inglesi. Essi sono, in ogni modo, i più importanti.

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Tom Paine a Bradlaugh e Blatchford, e, in pratica, tutti i teorici del movimento, dagli «economisti del lavoro» spenceriani, owenisti ed o ’brienisti, ai marxisti ed ai fa­biani, e la maggior parte del suo impulso politico. V i so­no luoghi, specialmente Londra, ma anche alcune delle al­tre città, in cui l ’agitazione operaia e artigiana ha una tra­dizione che risale a prima della rivoluzione industriale, ove il militante operaio religioso o settario è sempre stato una curiosa anomalia. Il laicismo costituisce la trama ideo­logica che unisce la storia dei movimenti operai, dai gia­cobini di Londra e da Place attraverso gli antireligiosi owenisti e i loro collaboratori, gli ugualmente antireligio­si giornalisti e librai, attraverso il libero pensiero dei ra­dicali seguaci di Holvoake che affluivano alla «H all of Science» di Bradlaugh, alla federazione socialdemocrati­ca e ai fabiani di Londra con la loro dichiarata avversione per la retorica di cappella. A Londra, persino un rivolu­zionario, fondamentalmente religioso come George Lans- bury, dovette svolgere la sua carriera in un’organizzazio­ne atea e marxista come la s d f , poiché neppure il clerica­le partito laburista indipendente era riuscito a prendervi piede. Non si può tuttavia negare che nel complesso in Gran Bretagna sussistessero degli intimi legami tra la re­ligione tradizionale e i movimenti operai; legami assai più forti e duraturi che in molti altri paesi. Fin nel 1929 , di 249 membri laburisti del Parlamento, sulle cui convin­zioni religiose uno studioso tedesco condusse un’inchie­sta, otto soltanto si dichiararono agnostici o atei '. Da al­lora, non si è più fatta alcuna inchiesta del genere.

Molto si è discusso sui precisi rapporti tra la religione tradizionale e i movimenti operai, per quanto, in genera­le, sulla base di una documentazione insufficiente, e con l ’intralcio di pregiudizi politici o settari'. Prima di tratta­

1 r. lin d e n , Soziaiismus und Religion, Leipzig 19 32 .2 La tesi di Halévy, secondo la quale l ’avvento del metodismo impedì

la rivoluzione in Gran Bretagna, è stata la base della maggior parte di que­ste trattazioni. Per un esame critico, vedi il mio Methodism and the threat of Revolution in Britain, in «H istory Today», febbraio 1957. La maggior parte del materiale è stato raccolto da storici metodisti nell’intento di il­lustrare il contributo portato dai loro gruppi al movimento operaio, e spe­cialmente da R . Wearmouth, che ha pubblicato una serie di volumi sul-

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re delle sette operaie come tali, sarà opportuno riassume­re ciò che conosciamo sui rapporti generali tra la religione e le classi lavoratrici inglesi nel periodo posteriore alla ri­voluzione industriale

Il periodo dell’industrializzazione per la Gran Breta­gna (circa 179 0 -18 50 ) segnò uno dei più importanti mu­tamenti religiosi; esso vide, infatti, il sorgere del non­conformismo protestante come religione di massa. Le set­te erano state numerose e influenti, durante il rivoluzio­nario secolo x v ii, ma nel corso del x v m avevano perso considerevolmente terreno. I «vecchi dissenzienti», gli indipendenti, i battisti, i presbiteriani inglesi, gli unitari e i quaccheri, erano poco più che modeste comunità della media e piccola borghesia rispettabile, intaccate qua e là dalle forme del deismo e del razionalismo. Il risveglio me­todista prima della Rivoluzione francese, non aveva an­cora convertito stabilmente un gran numero di persone; i suoi membri erano allora meno di 60 000. Nel 1 8 5 1 , la situazione era radicalmente mutata, poiché il censimento religioso di quell’anno rivelò che la Chiesa ufficiale d ’In ­ghilterra manteneva a mala pena la sua supremazia sopra le sette protestanti dissidenti nel complesso del paese, mentre era, con una sola eccezione, nettamente superata da esse nelle città e nelle regioni industriali. Questa straordinaria conversione in massa al settarismo prote­stante si verificò soprattutto nel periodo tra il 1805 e il18 50 . Cosi i metodisti crebbero da circa 10 7 0 0 0 nel 18 0 5 , a quasi 600 000 nel i8 5 t , senza contare i 12 5 000 metodisti calvinisti del G a lles'. Evidentemente, queste conversioni coincidevano con periodi di tensione econo- mico-sociale. G li anni che videro la più rapida espansione

l ’argomento, dai quali ho largamente attinto per la compilazione di que­sto capitolo. Negli ultimi tempi, l ’affermazione : « I l laburismo inglese deve più a Wesley che a M arx», è stata più spesso fonte di confusione che di luce.

1 Questa sintesi si fonda principalmente sul censimento religioso del18 5 1 . e sulle statistiche relative ai membri delle varie sette religiose.

2 Wesleyani e kilhamiti nel 1805, wesleyani, kilham iti, metodisti pri­m itivi, associazione metodista wesleyana e riformatori metodisti wesleya­ni nel 18 5 1. La mancanza di statistiche adeguate per le sette dissenzienti meno centralizzate rende difficile ottenere per queste analoghe cifre. Per dati approssimativi vedi quelli del censimento del 18 5 1.

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metodista furono quelli dell’epoca giacobina (1793-95), gli ultimi anni, di crescente tensione, delle guerre napoleo­niche (r8o5-r6 , e specialmente 18 13 - 16 ) gli anni del Re­form Bill e della Poor Law ( 18 3 1-3 4 ) , che registrano il più rapido ritmo di sviluppo annuale, e cosi via. Ugual­mente significativo è il fatto che tale progresso rallentasse e si arrestasse temporaneamente per tutte le sette dal 18 50 al 18 5 5 , l ’unico periodo del secolo che registrò una netta diminuzione del numero dei loro membri. Furono questi gli anni che segnarono anche il declino del carti­smo e del radicalismo. Risulta, qui, evidente lo spiccato parallelismo tra l ’evoluzione della coscienza religiosa, so­ciale e politica.

Non sappiamo in questa massa di nuovi convertiti quanti fossero lavoratori, dato che né le statistiche con­temporanee né gli annali delle sette stesse forniscono dati indicativi della composizione sociale del gruppo dei loro aderenti. Tuttavia, qualora si accetti il fatto - assai proba­bile - che le attrattive del non conformismo diminuisco­no quanto più si sale dalla zona di confine tra la borghesia e le classi lavoratrici verso l ’alta borghesia, o quanto più si scende da questa linea alle infime profondità della mi­seria, è evidente come molti lavoratori prendessero parte a questo vasto movimento religioso. Certamente molti di essi furono spinti al non conformismo nel corso dei perio­dici e semisterici «risvegli», cosi caratteristici nel prote­stantesimo del x ix secolo, nel corso dei quali si compiro­no o si iniziarono i maggiori aumenti del numero degli ap­partenenti alle sette: 179 7-18 0 0 ; 1805-807; 18 T 5-18 ; 18 2 3-2 4 ; r8 3 i-3 4 ; 184 9 ; 18 59 e 1904-905.

Praticamente tutte queste conversioni avvenivano ver­so sette dell’uno o dell’altro tipo; l ’aumento della comu­nità cattolica fu dovuto, infatti, all’immigrazione dei cat­tolici irlandesi piuttosto che alla conversione di gruppi non cattolici; e la conversione di alcuni dei più ricchi non conformisti alla Chiesa d ’Inghilterra era un fenomeno di elevazione sociale, non già di conversione religiosa. Qua­le fu il ruolo svolto dalle sette cristiane nella vita della primitiva classe lavoratrice industriale?

G li strati del proletariato sui quali essa esercitava mag­

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gior presa, erano in gran parte quelli più rozzi e di più re­cente formazione. La classe degli artigiani specializzati in una città preindustriale come Londra aveva un suo de­terminato modo di vita e di agitazione politica (giacobino e radicale), per quanto, come è naturale, anche questo spesso si fondasse su una versione riveduta e corretta di un precedente settarismo protestante rivoluzionario Le città industriali, come Sheffield, erano painiste e oweni- ste; in esse il nucleo dei non conformisti era costituito da­gli artigiani e dai piccoli industriali. Ma le nuove zone in­dustriali - villaggi trasformati rapidamente in città indu­striali - non avevano un tenore di vita adeguato alla nuo­va epoca e, ciò che più conta, nessuno sentiva la responsa­bilità di creare una qualsiasi forma di comunità umana, eccetto, forse, gli albergatori. Alcuni di questi agglomera­ti, così come molti dei più antichi distretti minerari, erano abitati soprattutto da una popolazione indigena che si svi­luppava con il suo alto tasso di natalità formando centri rigidamente isolati, chiusi o compatti, in cui uomini e don­ne attingevano alle sole risorse spirituali di cui potessero disporre; le consuetudini preindustriali e la religione. So­no questi i luoghi che videro nascere i canti popolari degli albori dell’industrializzazione, che più tardi si sarebbero perduti nell’ondata dell’urbanesimo e dell’emigrazione; canti dei minatori, dei tessitori, dei marinai. Altri erano agglomerati misti di indigeni e di immigrati raggruppati intorno a una o due industrie principali. Un terzo gruppo nel quale la disorganizzazione sociale era anche maggiore, era costituito da numerosi agglomerati di emigranti in città come Londra e nelle città portuali, nelle quali la gente viveva di una indefinibile varietà di occupazioni, e specialmente di quelle non specializzate. In tali città, me­die o grandi che fossero, non sarebbe stato possibile ri­creare la vita preindustriale adattandola alle nuove circo­stanze, come si faceva nei villaggi industriali2.

1 Le osservazioni che seguono sulla religione delle classi operaie non si riferiscono a questi più antichi gruppi di artigiani, anche se alcuni di essi erano, a modo loro, settari. Per un’eccellente descrizione di una simile comunità vedi l . y . sa u n d e r s , Scottish Democracy 18 15 -18 5 0 , Edinburgh 1950, p, 127.

1 La migliore trattazione da me conosciuta sulla religione delle clas-

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In tutte queste zone la vita delle classi lavoratrici era misera, meschina, sordida, bestiale, breve e soprattutto malsicura, e le religioni che queste classi si sceglievano rispecchiavano tale situazione. Il loro culto era estrema- mente fervente. (« Il fervore delle associazioni religiose è un compenso per la mancanza di sicurezza sociale», dice il Pope). Visioni di splendore, del giudizio finale e del fuoco dell’inferno per i malvagi balenavano dinanzi agli occhi di coloro che cercavano un appoggio per portare il fardello delle loro sofferenze; la potenza suggestiva delle prediche sul fuoco dell’inferno, sui miracoli e simili reca­vano un diversivo nella loro vita. Una signora, parlando delle filande di Courtauld nell’Essex intorno al 1840 os­servò il bisogno di eccitamento che le ragazze avvertiva­no quando non erano costrette al lavoro; « In mancanza di altro, l ’entusiasmo religioso fornisce talvolta questo eccitamento» «Sono assetati di sangue», diceva un mi­nistro della sua congregazione. Soltanto i più poveri e so­cialmente meno organizzati si trovavano forse a un livel­lo cosi basso che neppure la religione poteva toccarli, per quanto l ’Esercito della salvezza si sforzasse di avvicinarli.

Si trattava dunque di una religione puramente emoti­va, priva di un contenuto teologico o intellettuale. La ca­ratteristica delle sette religiose operaie è che esse furono create per gente incolta, cosicché gli unici criteri della fe­de e della salvezza erano la passione e la moralità; concet­ti che si trovano alla portata anche dei più ignoranti. Tut­te le sette che facevano proseliti tra la nuova classe ope­raia industriale (distinta da quella più antica o dagli arti­giani in migliori condizioni economiche) hanno tentato di diventare magniloquenti. La seguente osservazione di Pope vale anche per la Gran Bretagna: «Accettano sem-

si operaie agli albori dell’industrializzazione è M illhands and Preachers, Y ale 1942, di l . po pe, che parla di Gastonìa, nella Carolina del Nord, tra il 1900 e il 1939. Per quanto il mio studio riguardi le condizioni dell’In- ghilterra, la religione di questi poveri montanari trasformatisi in operai ha delle analogie cosi marcate con quella dei settari del x ix secolo che citerò di tanto in tanto il Pope per meglio descriverla.

1 m a r y m e r r y w e a t h e r , Experience of Factory L ife , London 18625, p. 18. C fr. Pope, M illhands and Preachers c it., pp. 89*91 per l'esprimersi del risveglio religioso nei festeggiamenti della comunità: « L e riunioni religio­se sono quasi l ’unico divertimento che abbiamo» (p. 89).

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plicemente le nozioni [teologiche] provenienti da una grande varietà di fonti e le riuniscono insieme senza cu­rarsi della loro coerenza». Per queste stesse ragioni tale religione era anche democratica; le congregazioni parteci­pavano al culto assai più attivamente che altrove per mez­zo del canto corale, dei discorsi, delle «testimonianze», per mezzo della predicazione laica (compresa quella delle donne) e degli innumerevoli comitati e uffici della Chiesa. Era questa una democrazia religiosa in seno alla comuni­tà, poiché una delle principali caratteristiche della setta era che forniva a una comunità lavoratrice, una sua pro­pria coesione e scala di valori, mediante le quali il pove­ro poteva sentirsi superiore al ricco. La povertà divenne infatti un segno della grazia, l ’austerità un segno di virtù, di rigore morale, in confronto alla rilassatezza di costumi del reprobo; una nuova gerarchia spirituale veniva cosi a sostituire quella del mondo secolare, e a inserirsi nelle istituzioni della comunità che altrimenti sarebbero state quasi del tutto inesistenti'.

D ’altronde, ed è questa la singolarità delle sette ope­raie inglesi, in genere la setta trattava i problemi dei pro­letari eludendoli o piuttosto risolvendoli non per l ’intera classe, ma per l ’individuo o per un gruppo scelto di pri­vilegiati (da ciò deriva probabilmente la incorreggibile tendenza di queste sette esaltate a frantumarsi in una mi­riade di conventicole indipendenti e rivali). Dalla religio­ne ci si aspettava davvero un aiuto, magari soltanto per mezzo di una specie di magia o di superstizione 1 che po­tesse in qualche modo mitigare la sorte a cui erano sog­getti; per esempio, influire sulla prosperità o sui sistemi della loro fabbrica o della loro miniera. Ma le condizioni economiche erano volute dal destino; era quindi inutile lottare contro di esse. L ’essenziale era la salvezza dell’in­dividuo: «nella teologia degli operai di fabbrica il mondo

1 Nella Chiesa della Santità d i Gastonia la gerarchia era la seguente: salvati, santificati, battezzati nello Spirito Santo, battezzati nell’acqua, p r i m a , seconda e te r z a benedizione ecc. ( p o p e , M ill hands and Preachers cit., p. 1 3 7 ).

‘ « L a loro religione è intimamente connessa alle lotte e alle vicissitu­dini quotidiane di una vita malsicura e serve a interpretare e trasforma­re gli avvenimenti: " la sua azione muta le circostanze” » {ib id ., p. 86).

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è un grande campo di battaglia sul quale Dio e il demonio si contendono ogni singola anima. Il "sangue di C risto” e la lettura della Bibbia favoriscono la vittoria di Dio» (Pope). Per quanto concerne la politica, gli adepti traeva­no in genere soltanto due elementi dalla loro religione: la sopportazione e una specie di vendetta spirituale, in quanto «si attendeva lo scatenarsi della collera divina», come nelle molte sette che si diffusero durante la crisi del 19 30 , descritta nel Brynm awr di Hilda Jennings ', o come presso i lookers di cui Gw yn Thomas ha scritto nei suoi mirabili romanzi ambientati nel Galles del Sud. Ambe­due questi elementi hanno trovato una classica espressio­ne nel dramma di Gerhart Hauptmann l tessitori, una versione storicamente esatta dei moti luddisti della Slesia nel 18 4 4 ; a questo punto non vi è nulla di meglio che ci­tare da questa notevole opera drammatica due discorsi pronunciati da un vecchio adepto:

A te, potente Iddio, noi non possiamo esprimere abba­stanza la nostra gratitudine per averci conservato in grazia tua anche questa notte... e Tu hai avuto compassione di noi, o Signore, la tua bontà giunge tanto lontano e noi sia­mo poveri peccatori, indegni di una tua sola parola, tanto siamo colpevoli e cattivi. Ma tu, Padre celeste, ci guardi con occhio pietoso e ci difendi per amore del tuo caro Fi­glio, nostro Signore e Salvatore, Gesù Cristo. E se talvolta ci scoraggiamo, nelle prove che tu ci mandi, nei castighi- anche se talvolta il fuoco purificatore è troppo cocente - non farci troppo caso, perdona le nostre colpe. Concedici pazienza, Padre celeste, affinché dopo questi dolori possia­mo partecipare alla beatitudine eterna. Amen

E ancora:

Dammi retta, Gottlieb! Non dubitare della sola cosa che rimane a noi poveri. Per cosa mi sarei rotto il filo della schiena al telaio per più di quarant anni? E sarei stato tran­quillamente a vedere come quei là si rimpinzano d’ogni be­ne di Dio e fanno d’ogni erba un fascio e fan quattrini del­la mia fame e dei miei dolori? Perché mai? Perché avevo

1 H i l d a je n n in g s, Brynm awr , London 1 9 3 4 , p . 124.2 [/ tessitori, atto V , trad, di Enrico Gagliardi, Milano 1894]-

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una speranza. Su tanta miseria ho qualche cosa di mio [...] Tu hai la tua parte qui io al di là, questo mi son detto. E mi sono lasciato squartare, tanto ne son sicuro. C e stato promesso. Verrà il giorno del giudizio universale, ma i giu­dici non saremo noi. Mia è la vendetta, ha detto il Signore, nostro Dio '.

In effetti la frase «oppio dei popoli» è una definizione tutt’altro che inesatta dello spirito della maggior parte di queste sette1. Il nucleo delle religioni operaie era for­mato da quelle che Troeltsch ha definito «sette non ag­gressive», i cui membri erano persuasi che il vero creden­te dovesse volgere le spalle al mondo per guardare soltan­to alla gloria dell’eterna salvezza, assicuratagli dalla con­versione. I W alworth Jum pers, una setta evidentemente proletaria del cui estremismo mistico possediamo una de­scrizione3, arrivavano a credere fermamente di morire al momento della conversione, che li faceva rinascere alla vita eterna, quindi per l ’avvenire sarebbero stati immor­tali.

II.

Le sette operaie vere e proprie si distinguono da que­ste forme religiose in quanto sono essenzialmente attive. Non soltanto i membri del gruppo provengono principal­mente dai salariati, ma l ’intera setta è intimamente legata ai movimenti operai e sindacali, attraverso la teoria, l ’or­ganizzazione o le attività degli aderenti. Inoltre, vi è in esse la ricerca di una dottrina religiosa e di una organizza­zione che rispecchi non soltanto il destino, ma le aspira­zioni collettive della nuova classe. Questa forma estrema si riscontra però difficilmente. Il solo autentico esempio

1 [/ tessitori, atto V , trad. cit.].2 «Evidentem ente, la leligione delle Chiese operaie appare indifferen­

te alle condizioni economiche dei fedeli. In realtà essa è in parte il pro­dotto di quelle particolari condizioni; distogliendo l ’attenzione da esse, la religione ne costituisce indirettamente la sanzione» (p o p e , M illhands and Preachers cit., p. 91). È opportuno ricordare che questo autore è un cri­stiano profondamente contrario a ll’« interpretazione economica della sto­ria».

* c. m. d a v ie s , Unorthodox London, 1873 , I , pp. 89 sgg.

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che io conosca di una setta di questo tipo, formata da la­voratori con una chiara coscienza di classe, costituisce un fenomeno tardivo ed effimero, la Labour Church, per quanto sia forse possibile scoprire degli altri esempi. Ciò che più comunemente si riscontra è la parziale trasforma­zione di una setta non aggressiva in una setta operaia, sotto la pressione dell’agitazione sociale dei suoi membri. In forma attenuata questo fenomeno è assai diffuso; i wesleyani delle classi operaie e altri troncarono ogni rap­porto con il conservatorismo per partecipare ad attività luddiste, radicali e cartiste '. Nonostante il loro ascetismo (che implicava un atteggiamento ostile verso i sindacati) i predicatori delle Chiese di Dio e delle Chiese della Sacra Pentecoste di Gastonia, durante gli scioperi del 1929 pre­sero spesso le difese degli scioperanti, semplicemente per­ché le loro chiese si identificavano in tutto con la classe lavoratrice. Tuttavia esistono pochi esempi di sette in cui l ’attività sindacale sia divenuta sistematica invece che ec­cezionale. L ’esempio più conosciuto è rappresentato dai metodisti primitivi \

I metodisti primitivi si distaccarono dai wesleyani ver­so la fine delle guerre napoleoniche, cioè all’inizio del pe­riodo delle conversioni in massa nell’industria. (Un grup­po molto simile a questo, i cristiani della Bibbia, molto forte nell’Inghilterra occidentale e poi nel Kent, se ne di­staccò poco prima). La ragione ufficiale di queste scissioni era una divergenza di opinioni su ciò che si può chiamare democrazia religiosa. I l wesleyanismo, come è noto, ri­mase arminianista3, nella sua teologia, centralizzato e ge­rarchico, e poiché il predicatore era nettamente distinto dal laico di organizzazione sacerdotale, inoltre, per quan­to concerne la politica, decisamente conservatore. Per

1 Cfr. R. w earm outh , Methodism and the W orking Class Movement 1800-1850, e il mio articolo Methodism and the threat of Revolution in Britain cit,

2 Oltre ai documenti della setta, ho consultato: h . b , k e n d a l l . H i story of the Prim itive M ethodist Church, 2 voli., 1906; t o w n s e n d -w o r k - m a n -e a y r s , N ew History of M ethodism , 2 voli., London 1909, e inoltre le opere di R . Wearmouth.

J [È cosi chiamato da Jacopo Arminio un movimento di reazione con­tro le dottrine di Calvino, formatosi in Olanda al principio del secolo x v ii , che ebbe come risultato la creazione della Chiesa dei dimostranti].

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L E S E T T E OPERAIE 173quanto avesse preso piede come una fede non intellettua­le, che si rivolgeva direttamente a ciascuno in una forma emotiva, senza alcuna discriminazione di classe, non era, pure nel suo entusiasmo, del tutto priva di inibizioni. Co­sì, quando gli evangelisti americani di frontiera inventa­rono il sistema del camp meeting alla fine del x v m seco­lo, che uno di essi portò in Inghilterra pochi anni dopo, i veri wesleyani non lo accettarono per diffidenza nei ri­guardi di queste dimostrazioni di massa di estasi religio­sa, in cui enormi folle erano portate a un isterismo collet­tivo e a conversioni in massa, non disgiunte, secondo l ’o­pinione dei cinici, da forme assai meno sante di sfogo emotivo. I metodisti primitivi, il cui soprannome di «de­clamatori» allude allo stile delle loro prediche, accolsero questi meeting con entusiasmo. Inoltre essi insistevano sulla necessità della predicazione laica, e sul diritto delle donne a predicare; è questo un altro motivo di dissenso e un segno quasi infallibile di tendenze istintivamente radi­cali '. In tutto il corso della sua esistenza, questa setta eb­be di gran lunga la più alta percentuale di predicatori lai­ci. Per quanto la politica vera e propria non avesse a che fare, almeno coscientemente, con questo argomento, è tuttavia probabile che l ’anticonservatorismo vi abbia avuto la sua parte. Abbiamo notizia di almeno una seces­sione in quella che doveva essere la roccaforte del meto- dismo primitivo, in seguito alla riforma parlamentare e alla questione controversa se i predicatori dovessero o meno rinunciare, come i primi cristiani, a qualsiasi ricom­pensa per la loro predicazione evangelica; a un certo pun­to il nuovo gruppo si spinse quasi fino ad aderire ufficial­mente al radicalismo .

Evidentemente, la predicazione dei primitivi non trat­tava deliberatamente di teologia, ma il carattere della lo­ro religione era severo e implacabile. Qualunque ne sia il contenuto preciso, la religione del povero e dell’indifeso deve comportare uno spiccato contrasto tra lo splendore

1 j . B e n n e tt, The History of Dissenters during the lust 30 Years, Lon- cion 1839, pp. 3 1 - 3 4 -

2 «M onthly Repository», vol. V , 1820, p. 560; w harm outh. M etho­dism and the W orking Class M ovement 1800-1850 cit., pp. 2 1 1- 12 .

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dell’anima redenta e la bruttura del reprobo tra le fiam­me; una combinazione che era forse espressa meglio dalla dottrina della predestinazione e della dannazione predi­cata dal calvinismo. Tra una setta più mite e una più se­vera, le masse sceglievano invariabilmente la più severa (come ad esempio, nel Lancashire, i battisti particolari di rigorosa osservanza calvinista, piuttosto che i calvinisti moderati)'. Sarà forse opportuno osservare che questo non derivava dalle condizioni particolari dei proletari, da­to che vi erano altri gruppi ugualmente poveri e indifesi. Queste sterili e tragiche forme di religione attiravano egualmente altre persone che vivevano isolate nelle dif­ficoltà, nell’incertezza, nella miseria, come i contadini dei Monti Allegheny o dell’Inghilterra settentrionale e occi­dentale (ove erano in prevalenza metodisti primitivi), la gente di frontiera e soprattutto i pescatori che, sia come metodisti primitivi a Grim sby o a Yarmouth, che come membri di molte altre sette severe in Norvegia o in Olan­da aderirono a questa religione apocalittica con uno zelo contro il quale neppure l ’attrattiva del comuniSmo (in Norvegia e in Islanda) poteva competere. La religione dei lavoratori è in genere una variante particolare di un setta­rismo molto più diffuso: quello delle classi lavoratrici povere, preindustriali siano o no proletarie.

La nuova setta, che si manifestò come tale soltanto per gradi, fu designata fin dal principio come un culto quasi esclusivamente delle classi lavoratrici. Basta infatti guar­dare le fotografie delle sue prime cappelle nell’opera di Kendall, o leggere i loro discorsi, per abbandonare qual­siasi dubbio in proposito. La topografia religiosa della Gran Bretagna è estremamente complessa, e spesso i pri­mitivi non riuscirono a penetrare in regioni che erano state precedentemente conquistate da un’altra setta che vi adempiva la stessa funzione, come ad esempio i we­sleyani nella Cornovaglia, nel Dorset, nel West Riding e nel Lincolnshire. Essa divenne quindi in un certo senso una religione regionale. I suoi capisaldi erano situati nel

1 r. mal le y , Lancashire, its Puritanism and Nonconform ity, Manche­ster 1869, I I , pp. 482-84.

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nord, specialmente a Durham, nell’est, specialmente a A Norfolk, e nella zona povera di piccole industrie decrepi­

te nel West Midlands, e nei villaggi della valle del Tami- | gi. (Sia detto per inciso che nel Galles del Sud, contraria-: mente all’opinione comune, nessun genere di metodismo; aveva preso piede, dato che nella predicazione dei batti-; sti o dei congrezionalisti locali si trovavano già abbastan-; 2a elementi apocalittici; nel Galles del Nord predomina­

va una setta quasi nazionale, quella dei predicatori meto­disti calvinisti che predicavano in gallese).

1 Come le altre sette, seppure in un modo più accentua­to i primitivi si diffusero con maggiore rapidità tra il 18 15 e il 1848, nel periodo del maggiore fermento sociale e della rapida industrializzazione. Nella seconda metà del secolo il loro impeto andò scemando, per quanto facesse -

I ro dei notevoli progressi in zone di recente industrializ­zazione in cui mancava la struttura antiquata del lavoro

; specializzato, come nell’East End di Sheffield, considera-\ to separatamente dalla zona dell’antico artigianato dei| coltellinai Nella sua qualità di setta operaia essa era par-j ticolarmente sensibile alle fluttuazioni periodiche e ai mo­

vimenti della disoccupazione che in genere giustificava ! ogni variazione nel numero dei suoi membri soprattuttoI in termini economici'. N ell’ultimo quarto del secolo, se< non prima, questa setta aveva perso quasi ovunque il suo

dinamismo.I primitivi non erano soltanto una setta operaia; erano

soprattutto una setta operaia di villaggio; fatto che è sta­to ampiamente illustrato e commentato. È forse questa la

I ragione per cui questo movimento è più forte in alcune? zone agricole e minerarie, ove i lavoratori vi hanno pro­

babilmente trovato un contenuto rivoluzionario più mar­cato di quello che i loro confratelli cittadini fossero nor­malmente disposti ad accettare. Risulta infatti che l ’in­cendio nei fienili compiuto nel 18 30 dai lavoratori del

| Berkshire fosse «colpa dei declamatori; poiché tutti di­

1 Cfr. «The Beehive», 15 giugno 1867.: r . w f .a r m o u t h , Methodism and the Working Class Movement 1850 -

Ip o o , p. 10 1 .

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1 7 6 CAPITOLO OTTAVO

cono, fa ciò che vuoi, non è peccato» In ogni zona, il nerbo di questa setta non risiede nelle città industriali di media grandezza e tanto meno nelle grandi città, cosi ino- S D i t a l i verso la religione delle classi operaie ma nei centri tra la cittadina e il villaggio. Questo spiega la ragione per la quale nel 18 50 il numero delle cappelle dei orimitivi fosse una volta e mezzo quello dei ministri wesleyani (ri­spettivamente r 555 e 10 34 ) per quanto i loro proseliti fossero meno di un terzo di quello dei wesleyani. Cosi, nel 1873-74 , i primitivi contavano meno di settecento membri a Newcastle-on-Tyne, ma ottocento a Shotley Bridge, e settecento a Thornley, che erano soltanto dei villaggi. Ci si imbatte continuamente in villaggi in cui la massa della popolazione deve avere appartenuto a questa setta: W angford (Suffolk), Rockland (Norfolk), Docking (Norfolk), Brinkworth (W iltshire), Motcombe (Dorset), Minsterlev (Shropshire). Si sarebbe dunque portati a concludere che le sette operaie costituiscono un fenomeno proprio di una fase embrionale dell’industria­lizzazione, e che le condizioni a esse favorevoli tendono a scomparire con lo sviluppo dei moderni schemi urbanisti­ci e della grande industria manifatturiera. Probabilmente ciò è in parte dovuto al fatto che i primitivi, come tutte le sette operaie, erano più efficienti nelle piccole congre­gazioni, in seno alle quali era possibile attuare un sempli­ce sistema democratico tra i fedeli, ottenendo il massimo grado di partecipazione dei laici. Non si deve dimenticare che si tratta di una setta di attivisti; fino al 18 5 3 ebbe sempre nelle sue file circa il dieci per cento di membri che erano effettivamente dei predicatori, fìssi o viag­gianti \

Questa tendenza all’attività individuale può contribui­re a spiegare la caratteristica più sorprendente dei primi­tivi, cioè gli stretti rapporti che li legano al sindacalismo. In effetti, non sembra eccessivo considerarli principal­mente una setta di quadri sindacali. Quando nel T844 Lord Londonderry espulse i suoi minatori scioperanti,

1 Royal Commission on the Poor Law s, «Parliament Papers», XXXIV o f 1834, Rural questions 53: Sutton Wick, Berks.

: C fr. censimento religioso del 18.51, LX X X II.

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LE S E T T E OPERAIE 177due terzi dei primitivi metodisti del distretto di Durham rimase senza tetto. Praticamente nel x ix secolo, tutti i capi dei minatori del Northumberland e di Durham ap­partenevano alla setta: Hepburn, Burt, Fenwick, John W ilson, W illiam Crawford, John Johnson, Peter Lee. Erano straordinariamente forti anche in altri distretti car­boniferi, ove pure erano assai meno numerosi. I capi di minatori dello Yorkshire come Parrot e Cowey, quelli delle Midlands come Enoch Edwards, Albert Stanley, Sam Finney, quelli del Derbyshire, come Barnett Kenyon, Tovn di Cleveland, Tom Cape del Cumberland, erano tutti metodisti primitivi. Lo stesso si dica per le associa­zioni di lavoratori agricoli; si affacciano qui spontanei al­la mente i nomi di Joseph Arch, George Edwards, E d ­win Gooch; ma vi furono delle zone, quali il Norfolk, ove l ’associazione spuntava in pratica come una diretta propaggine della setta. Questa tendenza sindacalista del­la setta è tanto più sorprendente in quanto le altre sette- ad esempio i wesleyani - furono assai meno feconde di capi sindacalisti; pare infatti che i soli capi importanti del secolo scorso di provenienza weslevana siano stati Henry Broadhurst, muratore. Ben Pickard, minatore dello Y o rk ­shire, e Arthur Henderson, e ciò nonostante il fatto chei wesleyani fossero cinque volte più numerosi dei prim i­tivi. Soltanto in zone remote come il Dorset, essi svolse­ro un ruolo analogo; tre dei sei martiri di Tolpuddle era­no predicatori laici wesleyani.

È opportuno osservare che rari erano i rapporti diretti tra il metodismo primitivo e i movimenti operai. La dot­trina primitiva, per quanto simpatizzante con la causa del radicalismo, della riforma, dell’astinenza totale e di altri movimenti delle sinistre, non lo era in misura maggiore del rimanente dei gruppi non conformisti, e lo era forse meno di alcuni gruppi di «vecchi dissidenti», ad esem­pio dei congregazionalisti e degli unitari. I capi della set­ta erano ovviamente favorevoli ai sindacati e, in determi­nate circostanze, agli scioperi, ma non più di quanto ci si potrebbe aspettare da una setta i cui membri ricorrevano con tanto entusiasmo agli uni e agli altri. Tra di essi si ri­scontrano difficilmente tracce di idee collettivistiche po­

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i 7 8 CAPITOLO OTTAVO

litiche ed economiche, per quanto il loro storico metta in evidenza, a mio parere giustamente, che il sorgere del mo­vimento della temperanza, e della forma più estremista di esso, l ’astinenza totale, «cominciò ad aleggiare sulla so­cietà e sulle chiese levigando i rigidi contorni dell’indivi­dualismo e fondendo gli uomini tra di loro in una coscien­te comunanza d ’interessi»1. In effetti, se non fossimo a conoscenza dell’intima relazione esistente tra i primitivi e l ’organizzazione dei lavoratori, non sarebbe facile dedur­re questa circostanza da un semplice studio delle loro dot­trine e della loro organizzazione.

Che cosa dunque faceva di essi una setta di carattere cosi spiccatamente operaio? In primo luogo, a mio avvi­so, la generale rispondenza della particolare tecnica della loro evangelizzazione alla mentalità delle classi lavoratri­ci a cui si rivolgeva; in secondo luogo, la predicazione del­l ’ebraismo del Vecchio Testamento, che rese tutti coloro che le prestarono orecchio simili agli antichi profeti, gen­te orgogliosa che si rifiutava di inchinarsi nel «Tempio di Rimmon». È del tutto evidente che nella dottrina meto­dista primitiva non vi fosse nessun elemento, atto a sco­raggiare l ’organizzazione per la difesa della classe lavora­trice; vi erano anzi molti elementi favorevoli ad essa. In terzo luogo, la loro organizzazione. I l Wearmouth ha de­scritto particolareggiatamente i numerosi elementi che i movimenti operai attinsero dal metodismo, e per quanto egli calchi le tinte, si tratta di un fatto indiscutibile. La cappella, specialmente la piccola e indipendente cappella di villaggio, era in realtà una scuola di organizzazione preordinata al raggiungimento di qualsiasi obiettivo e tan­to tra i minatori che tra i salariati agricoli si nota spesso come il sindacato abbia fatto proprie le formule della set­t a 2. Soprattutto la natura antigerarchica della setta forni­va un meccanismo di prim ’ordine per la scelta e l ’adde­stramento dei capi e dei quadri. Privo di istruzione, a cau­sa dell’assenza di ogni sanzione sociale contro i suoi tenta­

1 k e n d a ll , H istory of the Prim itive M ethodist Church c it., I , p. 474.2 Un simile documento, appartenente ai salariati agricoli di Norfolk

si trova riprodotto nel mio libro Labour’s Turning Point, London 1948,

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tivi di emergere, il predicatore laico poteva distinguersi tra i suoi compagni, e la pratica della predicazione gli con­feriva fiducia in se stesso e spigliatezza. Ancora oggi non è difficile trovare, specialmente tra i minatori, il capo di un sindacato che sia nel tempo stesso predicatore laico. Il metodismo primitivo non era dunque fatto su misura per lavoratori con una precisa coscienza di classe; poche sette importanti lo erano, ed anche queste erano di scarsa effi­cienza. Ma ovunque il metodismo primitivo prese piede fra i lavoratori, l ’opportunità della sua tecnica non pote­va mancare di trasformarlo in una scuola di dirigenti sin­dacali .

Tuttavia le sette e il movimento operaio - specialmen­te per quanto concerne i militanti e i capi del movimento- erano collegati anche per un'altra via; attraverso il pro­cesso di conversione, cioè per l ’improvvisa e prepotente emozione della rivelazione del peccato e della ricerca della grazia, che il metodismo nella sua qualità di dottrina della «rinascita» dell’uomo già adulto, favoriva. (È significati­vo che un’altra setta della «rinascita», quella dei battisti fosse probabilmente, dopo quella dei metodisti primitivi, la setta che ebbe più seguito tra i lavoratori manuali). La coscienza e l ’attività politica di un gran numero di capi dei movimenti operai si iniziò al momento della conver­sione o poco dopo. Arthur Henderson si converti alla re­ligione all’età di sedici anni: «la conversione segnò l ’ini­zio della sua vita» Fenwick, Batey (segretario dei lavo­ratori delle miniere), Reid (rappresentante del Fondo per­manente di soccorso per i minatori del Northumberland e di Durham), Peter Lee, dei minatori di Durham, Par­rott, dei minatori del Midland, Samuel Jacks di Dews­bury, Bioor, capo dei Staffordshire Underground Firemen, Kenyon, dei minatori del Derbyshire, George Edwards,

1 «Q uelli tra i lavoratori che hanno una naturale tenden2a al coman­do trovano nella Chiesa praticamente il solo mezzo di esercitare questa lo­ro tendenza; ciò contribuisce a spiegare la ininterrotta popolarità delle "testimonianze” nelle quali alcuni fedeli hanno la possibilità di parlare in pubblico, e il numero relativamente grande di funzionari e di comitati che si trovano nelle chiese operaie» ( p o p e , M iilbands and Preachers cit., p. 89).

2 w e a r m o u t h , Methodism and the W orking Class Movement 1S50- iono cit., p. 274.

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capo del sindacato bracciantile del Norfolk, sono tra quel­li che fecero l ’esperienza della conversione tra i dodici e i vent’anni (non erano quindi, come molti altri sindacalisti, nati in seno a una setta religiosa). J . H. Thomas, ferrovie­re, si converti alla Chiesa battista poco prima dei vent’an- ni, e Fred Messer, membro laburista del Parlamento, al­l ’età di ventun anni. Le conversioni a un’età più avanza­ta, come quella di John W ilson, minatore di Durham, sembra siano state meno frequenti. Non erano infrequenti invece quelle in giovanissima età chiamate «dei fanciulli predicatori». George Dallas, un bracciante che divenne più tardi capo sindacalista e membro del Parlamento, a diciassette anni insegnava nella scuola religiosa della do­menica. C. Simons, anch’egli membro del Parlamento, a sedici anni era già predicatore laico; William J . Brown, del Sindacato dei funzionari pubblici, A. J . Cook e A r­thur Horner, minatori del Galles meridionale, iniziarono tutti la loro carriera come fanciulli predicatori. Aggiungo che è estremamente difficile trovare delle statistiche esau­rienti sull’argomento. La sola seria inchiesta svolta sulla religione dei membri laburisti del Parlamento, quella di Franz Linden, non è del tutto esauriente, e non compren­de un’adeguata rassegna dei vari capi sindacalisti. Queste osservazioni possono quindi essere errate; tuttavia le cifre appaiono tanto più sorprendenti, qualora si consideri che molti membri della classe lavoratrice erano nati in una setta e quindi o non avevano bisogno di conversione, o non davano rilievo a un avvenimento del genere.

In mancanza di ulteriori dati biografici, esitiamo ad esa­minare troppo da vicino queste conversioni. Tutto ciò che possiamo dire è che esse segnarono un improvviso muta­mento dell’atteggiamento del singolo nei riguardi dell'e­sistenza in generale, cioè tanto della sua attività di ogni giorno, che della sua vita spirituale; l ’atteggiamento ca­ratteristico dei membri delle sette operaie è essenzialmen­te pratico, e non già mistico, o, se lo è, il misticismo resta subordinato alle attività terrene. Non è dunque sorpren­dente che la conversione producesse, riflettesse o forse in­coraggiasse quel genere di attività altruistica che è propria del militante operaio. Poiché, allora come ora, colui che

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svolge seriamente la propria attività di militante, in un certo senso vi si consacra rinunciando ad altre attività, spesso in apparenza più attraenti, comprese le attività lu­crose. Naturalmente, un certo genere di conversione è as­sai comune nei movimenti operai. In quelli inglesi, tutta­via, di carattere eminentemente arcaico, tale conversione era in genere del tipo religioso tradizionale, quando non era una conversione politica che assumeva una veste reli­giosa.

A questo punto poniamo incidentalmente la questione se vi fosse qualche differenza, per quanto concerne la reli­gione, tra i quadri e la massa degli appartenenti alle sette operaie. È probabile che cosi fosse, ma non ne abbiamo le prove. Una inchiesta sui membri laburisti del Parlamento nel 1 92 9 non ha portato ad alcuna conclusione. Dei 249 membri che dichiaravano le loro convinzioni religiose, sol­tanto quarantasette erano anglicani, percentuale ovvia­mente molto al di sotto di quella nazionale, cinquantuno erano metodisti di diverse specie, quarantadue vecchi dis­sidenti (indipendenti, battisti, unitari, quaccheri), dicias­sette presbiteriani, tre ebrei, diciotto cattolici, otto agno­stici o atei, e il rimanente cristiani senza precisa denomi­nazione, per la maggior parte tendenti probabilmente ver­so sette dissidenti. Tuttavia, i membri laburisti del Par­lamento provenivano in genere da zone in cui la Chiesa anglicana contava un numero eccezionalmente esiguo di fedeli, come nel Nord, nel Galles e in Scozia; il loro grup­po quindi, non può riflettere esattamente la composizione religiosa del complesso della popolazione. Non sembra in­fondata l ’opinione che i quadri operai fossero più propen­si degli altri ad aderire a ideologie religiose o laiche. Cosìil positivismo francese e il secolarismo anglosassone, ri­spettivamente alla metà e alla fine del secolo scorso, di­vennero per un certo tempo una specie di religione per gli attivisti e i capi di associazioni sindacali, per quanto avessero scarso seguito tra le masse '. Ma la questione de­ve essere lasciata in sospeso.

1 r . GOETZ-GIREY, L a pensée syndacale frangaise, 19 4 8 , P- 2 4 - I l tipo- grafo Keufer e il decoratore Isidore Finance, due colonne del riformismo, erano ambedue positivisti.

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I metodisti primitivi erano il prodotto dello stadio ini­ziale dell’industrializzazione. La prova della lunga durata dell’attività delle forze creatrici di sette operaie è data dalla storia di una delle poche sette operaie create inten­zionalmente come tali; si tratta della Labour Church di John Trevor, fondata a Manchester nel 18 9 1 Come c ’e­ra da aspettarsi, la Labour Church non ebbe lunga dura­ta. La sua funzione principale fu quella di facilitare il pas­saggio dei lavoratori del Nord dal liberalismo radicale al partito laburista indipendente; una volta adempiuta que­sta funzione essa scomparve rimanendo soltanto in alcune città come un utile punto d ’incontro neutrale del sociali­smo in senso lato per i differenti gruppi delle sinistre. Ma ciò che è straordinario nella Labour Church non è il fatto che venisse eliminata, ma che un fenomeno di questo ge­nere possa essere apparso naturale in Inghilterra alla fine del secolo scorso.

II fondatore di questa Chiesa, John Trevor, ha descrit­to l'evoluzione della propria idea e della propria Chiesa in una verbosa ma interessante autobiografia \ Riassumia­mo brevemente che era nato da un’ambiziosa famiglia del­la bassa borghesia, in una piccola setta di battisti profon­damente compenetrati dal terrore del fuoco delPinferno, del genere che tende a separarsi da congregazioni più. grandi onde assicurarsi della purezza dei veri credenti, se­parando i puri eletti dai reprobi. Dopo un periodo di pie­tismo infantile egli perse la fede verso il 18 7 5 , ma la ri­trovò in seguito, dopo un periodo di incertezze, sotto la forma di un deismo estremamente mitigato. Dopo il 1880 alle sue perplessità di natura teologica venne ad aggiun­gersi una coscienza sociale. Coadiuvato da Philip Wick- steed egli cercò di essere accolto nella setta Unitaria, ma deluso da tutte le religioni organizzate fondò la Labour Church. La teologia di questa Chiesa è diffìcile da spiega­

1 G li unici adeguati resoconti dati alle stampe di questo strano movi­mento si trovano nell'opera di H. f e l l i n g , Origins of the Labour Party, 1954 e in iNGLis, Churches and the working classes in Victorian England cit. Le presenti note si fondano sul giornale di questa Chiesa, il «Labour Prophet» (1892-98), sui documenti delia Labour Church di Birmingham e su molto altro materiale biografico contemporaneo.

2 M y Quest for G od, 1898.

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re, in quanto praticamente inesistente. Certamente non era una setta cristiana nel senso tradizionale. Quanto a Trevor la sua professione di fede è la seguente:

Dio è con il movimento operaio. Cosi ci è stato predet­to... Il grande movimento religioso del nostro tempo è il movimento per l ’emancipazione delle masse lavoratrici. I lavoratori rispettano le chiese molto più di quanto le chie­se rispettino i lavoratori. E siccome è necessario ai lavora­tori se vogliono ottenere la loro salvezza (che comporta la salvezza di tutta la società), essere indipendenti da qualsia­si partito politico, è anche necessario che essi, se vogliono mantenersi torti nella vita religiosa, comprendano che pos­siedono una religione loro propria che può renderli indi- pendenti dalla particolare dottrina di qualsiasi chiesa, per quanto «liberale» possa essere '.

Purché il movimento laburista avesse una sua propria religione, non importava molto quale fosse, e Trevor, convinto che essa avrebbe dovuto «restare indipendente, senza né preti, né parroci, né credo, né tradizione, né Bib­bia» certamente non si preoccupava di definire i dogmi. Tuttavia, come stabilivano i principi della Labour Church Union, non si trattava di una religione di classe, ma di una religione che serviva a unire i membri di tutte le classi la­voratrici per la abolizione della schiavitù commerciale .

In effetti, le chiese che rapidamente si diffusero non condividevano in pratica né la teologia di Trevor né il suo rifiuto a formare una religione di classe. Esse accoglieva­no soprattutto lavoratori cresciuti nell’atmosfera delle sette protestanti dissidenti, per cui era inconcepibile che una scissione politica ed economica dal capitalismo non portasse anche a una secessione religiosa. A Bradford, ove da lungo tempo si era parlato di costituire una Chiesa separata, ciò non fu fatto «finché molti leaders non con­formisti della città non ebbero manifestato un’aperta av­versione alla candidatura del socialista Ben T ille t» 3. A Plymouth ci si domandava «perché [membri della La­bour Church] non sono andati ad ascoltare la predicazione

1 «Labour Prophet», 1892, p. 4.2 f e l l in g , Origins of the Labour Party cit., p. 143 .3 «Labour Prophet», 1892, p, 64.

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del Vangelo nell’una o nell’altra delle Chiese? Perché tan­to i non conformisti che la Chiesa di Stato hanno bestem­miato e vituperato nelle loro prediche il Falegname di Na­zareth. esortando il popolo a contentarsi dello stato che Dio aveva voluto assegnare lo ro » 1. Seth Ackroyd, della Labour Church di H ull, un segatore a macchina già wesle- vano di grande energia morale, si espresse chiaramente in questi termini:

I lavoratori pensano che le Chiese cristiane (cosi come la stampa ufficiale) siano state assoldate dai capitalisti; il ministro che parli liberamente è rapidamente allontanato per far posto a un altro che farà commercio del suo mini­stero e della sua coscienza. Vediamo cosi che le organizza­zioni ecclesiastiche sono entrate a far parte del sistema di concorrenza capitalista; e poiché esse sono governate se­condo gli interessi dei datori di lavoro, è necessario che i lavoratori abbiano una Chiesa loro propria, e un loro pro­prio servizio che sarà per essi un ritrovo familiare nel gior­no festivo, e la cui influenza svilupperà ciò che vi è di mi­gliore e di più nobile nella loro personalità. L'unica sal­vezza dei lavoratori sta nell’unione, ma affinché questa unione sia effettiva, è necessario avere una personalità. Quindi una Chiesa del lavoro, plasmatrice di tale persona­lità, è indispensabile per il vero bene dei lavoratori '.

A quanti siano cresciuti in un’atmosfera dissidente, nulla sembrerà più naturale che formare un’altra setta sul modello tradizionale, e la Labour Church, con le forme di culto abituali delle sette dissidenti - sermoni, inni, bande di ottoni e gite di fanciulli - esprimeva la nuova ideologia socialista in termini familiari alla loro esperienza. Questo fenomeno ebbe sempre portata ridotta; per quanto simili Chiese si diffondessero rapidamente nel Nord. Penso cheil numero complessivo dei loro membri fosse di duemila intorno al 18 9 5 , mentre in precedenza doveva essere sta­to maggiore. Tuttavia queste Chiese non erano frequen­tate soltanto dai loro membri; cosi, verso il 1890 si tro­vano delle congregazioni di parecchie centinaia di persone

1 «Labour Prophet», 1893, p. 8.2 s. a c k r o y d . Labour’s Case for a Labour Church , i n «Labour Pro­

phet», 1897, pp. 1-3.

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in piccolissime Chiese, e nel 1892 la Chiesa di Birming­ham ordinò cento libri di inni. Nel momento di massimo sviluppo del movimento vi erano simili Chiese in venti- quattro località, sedici delle quali nel Lancashire e nel West Riding. Le più numerose erano Manchester e Brad­ford, con circa trecento membri, per quanto la prima su­bisse un rapido declino; H alifax, Leeds, Hyde e Birming­ham. con cento-centotrenta membri le seguivano in ordi­ne di grandezza. Molte di queste Chiese erano le propag­gini di associazioni operaie laiche, in genere del partito laburista indipendente. Bolton, Bradshaw, Farnworth e Morlev erano in effetti governate dall’esecutivo locale del partito di cui sopra, mentre la Chiesa di Plymouth era una emanazione del sindacato dei gassisti La maggior parte di esse decadde quando l ’energia dei loro attivisti venne ad essere assorbita da un’organizzazione socialista emi­nentemente laica; poiché anche sul piano ideologico la propaganda di altre organizzazioni socialiste e del «C la­rion» - il cui editore, Blatchford, doveva divenire un pro­pagandista del libero pensiero - neutralizzava quella del settarismo operaio tradizionale. Verso la line del secolo le Chiese non erano più un movimento vero e proprio. Il loro erede principale fu il partito laburista indipendente; per quanto una piccola corrente di idee dissidenti indu­giasse ancora nell’oratorio, non si trattava più di una set­ta operaia, ma di un partito politico laico. Il maggiore in­teresse storico che le Chiese presentano è dato dal fatto che esse costituiscono una delle forme di organizzazione elaborata dai lavoratori del Nord nell’intento di scinder­si, sul piano politico come sul piano ideologico, dal par­tito liberale.

I I I .

Non è diffìcile scoprire le ragioni dello straordinario sviluppo delle sette operaie nelle isole britanniche. Esso fu il coronamento o la condanna dell’opera del pioniere

1 «Labour Prophet», 1894, p. 1 27 .

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sociale, poiché l ’ironia della storia vuole che il pioniere ri­voluzionario lasci sussistere, dell’ordine contro cui insor­ge, molto di più di quanto non lascino i suoi successori. L ’ideologia dei movimenti politici operai deriva da quella dei suoi predecessori rivoluzionari borghesi; la maggior parte dei movimenti socialisti, prima di elaborare teorie proprie, ha attraversato uno stadio di giacobinismo di si­nistra. Ma solamente nelle isole britanniche la rivoluzio­ne borghese fu combattuta e vinta prima che l ’ideologia laica raggiungesse il proletariato o le classi medie. La di­chiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino apparve al popolo britannico non già rivestita della toga romana e della prosa illuministica della fine del x v m secolo, ben­sì sotto le spoglie dei profeti del Vecchio Testamento e nel linguaggio biblico di Banyan: la Bibbia, il P ilgrim ’s Progress e il Book of Martyrs di Foxe furono i testi sui quali gli esponenti della classe operaia inglese appresero l ’abc della politica, se non anche l ’abc della lettura. Per la massa, dunque, esprimere le proprie primitive aspirazioni in un linguaggio religioso era altrettanto naturale che per gli oratori e per i giudici americani continuare ad espri­mersi nelle frasi ritmiche della prosa del x v m secolo, quando altrove esse erano già da tempo sparite dall’uso comune. Nulla infatti lascia su un popolo un’impronta più profonda delle grandi rivoluzioni che quel popolo ha attraversato.

Inoltre, per quanto la rivoluzione dellq sette dissidenti del secolo x v n fosse fallita, e lo stesso fondamento socia­le delle loro ideologie fosse stato in gran parte distrutto, esse costituirono un fenomeno ufficialmente riconosciuto. V i sarebbe stata da allora in poi in Inghilterra una specie di religione, che non si identificava con lo Stato né con qualsiasi altro potere, se pure non era in aperto contrasto con essi. Anche l ’anticlericalismo rivoluzionario, fenome­no quasi universale del periodo della rivoluzione borghese e dei primi movimenti operai, non era dunque necessaria­mente scismatico o antireligioso. Ciò che nella Francia del x ix secolo era volterriano, nell’Inghilterra dello stesso pe­riodo era non-conformista; fatto, questo, che ha indotto gli osservatori superficiali a trascurare le notevoli analo­

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gie tra le manifestazioni politiche dell’anticlericalismo nell’uno e nell’altro di questi paesi. Inoltre la setta non era soltanto un'espressione organizzata di dissenso, ma una forma estremamente elastica di organizzazione popo­lare, adatta a tutti gli scopi, compresa l ’agitazione sociale per obiettivi di natura pratica. Non vi era nulla di più na­turale del fatto che i gruppi dei primi lavoratori industria­li adottassero una forma cosi opportuna e di cosi facile at­tuazione, poiché nessuno aveva fatto loro conoscere l ’esi­stenza di una forma migliore.

E chi avrebbe potuto farlo? I gruppi di artigiani, e di operai delle città preindustriali - Londra, Sheffield, Nor­wich e simili - avevano lentamente plasmato le loro par­ticolari forme di associazione artigiana dalle più antiche società di lavoratori, e la loro forma specifica di giacobi­nismo agnostico dai resti dello spirito settario del x v ii se­colo; oppure conservavano tra di loro un nucleo partico­larmente resistente dell’appassionato e intellettualistico puritanesimo degli egualitari, della specie che Mark Ruth­erford ha ritratto nella figura di Zachariah Coleman in The Revolution in Tanner's Lane-, non un predicatore fa­natico né un fautore del risveglio religioso, ma un calvini­sta moderato, appassionato lettore di Bunvan e di Milton, forte ragionatore e repubblicano convinto. E forse da que­sti piccoli gruppi di militanti non privi di cultura deriva­rono sette del genere della Rational Society degli oweni­sti, che fondarono la cooperativa di Rochdale '. Ma accan­to a questi gruppi con una lunga e continua tradizione di coscienza politica e sindacale, vi erano le masse di lavora­tori che affluivano nelle città dalle campagne, e le masse dalle quali si sviluppò un proletariato agricolo o un pro­letariato o un quasi proletariato industriale in villaggi iso­lati dal mondo della politica radicale; masse indifese, ignoranti, e spesso ancora più incolte dei loro predecesso­ri vissuti prima dell’industrializzazione. Il loro scontento era di natura prepolitica; quindi la propaganda dei radica­li e dei liberi pensatori delle città, anche quando riusciva a raggiungerle, non aveva molta presa su di loro. In In-

‘ c. d . il. col i :, A Century of Cooperation, 1 9 4 4 , capp. m - i v ,

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ghilterra i minatori del Nord rimasero per la maggior par­te lontani dal cartismo, anche quando il ritmo del loro malcontento particolare era in fase con quello dei movi­menti generali. G li operai della Francia settentrionale ri­masero estranei alla rivoluzione del 1848 , scioperando e ribellandosi soltanto per questioni salariali o per ostilità verso gli immigrati belgi; tra di essi l'idea repubblicana riusci ad affermarsi alquanto solo a partire del 18 5 1 . In genere questi gruppi venivano evangelizzati da apostoli venuti dall’esterno, che insegnavano loro il modo di agire quando erano pronti a seguirli; ma non erano invece ab­bastanza maturi per elaborare delle importanti organizza­zioni operaie loro proprie. Cosi gli uomini della Prima In ­ternazionale intorno al 18 70 , i socialisti marxisti verso il 1890 , e i comunisti (come negli stabilimenti cotonieri di Gastonia nel 1929) divennero i primi organizzatori; e spesso la loro attività aveva come risultato la conversione unanime e definitiva alla nuova fede delle masse a cui pre­dicavano la nuova dottrina. L ’avvento dei sindacati socia­listi ed il successo elettorale socialista in molte zone di re­moti e dimenticati villaggi industriali e miniere dovette avvenire con straordinaria rapidità; nel 1886, si scriveva che nella zona di Liegi i lavoratori «aborrivano i sociali­sti» ; ma poco dopo il 1890 l ’8oaò di essi - e nella vallata di Vesdre il <.)Ocrc - diedero il voto ai socialisti \ Tuttavia ciò potè verificarsi soltanto nelle zone in cui l ’industria­lizzazione si compì con tale ritardo, che queste zone arre­trate poterono essere conglobate in un preesistente e già attivo movimento moderno entro un periodo assai breve. In Gran Bretagna, ove la industrializzazione si era com­piuta già da tempo, spesso si dovette costituire un certo tipo di movimento operaio assai prima che formazioni moderne fossero in grado di dirigere le masse lavoratrici fornendo loro un’ideologia e un programma.

In queste condizioni la setta operaia dovette riempire il vuoto, in mancanza di qualcosa di meglio \ Non doveva

1 a. s w a i n E, Hcim arbeit in der G ew ekrindustrie von Luettich , «Jahr- buch tur Nationalokonomie», s. I l i , 1896, p, 218.

* «Attraverso i miei studi di teologia giunsi presto alla convinzione clic le condizioni sociali del popolo non erano conformi ai disegni di Dio. Le

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superare molti ostacoli politici, dato che le sue ideologie politiche non differivano da quelle dei movimenti operai laici e radicali, e quando ne differivano, i settari le assimi­lavano rapidamente allo schema della democrazia radica­le. II settarismo non impediva di collaborare con i radicali laici e con i socialisti, né di apprendere qualcosa da essi; Zachariah Coleman era pronto a collaborare coi suoi con­temporanei senza Dio, cosi come i minatori del Galles me­ridionale, quasi tutti appartenenti a sette dissidenti, segui­rono il libero pensatore Zephaniah Williams nella som­mossa di N ew port'. Coloro che lottavano per la stessa causa combattevano insieme; ciò favori, in seguito, il ten­tativo della Labour Church di unificare tutti i gruppi del movimento politico operaio, benché i dissidi di setta con­tinuassero sempre. La setta operaia fu dunque facilmente assorbita nella corrente generale delle attività delle sini­stre, ottenendo cosi il triplice inestimabile vantaggio di esprimere la protesta sociale dei lavoratori nel linguaggio familiare e possente della Bibbia, di fare ciò con metodi alla portata dei lavoratori più ignoranti e meno qualifica­ti, e di fornire loro, come si è visto, un patrimonio inesti­mabile di nozioni e di esperienze.

Nondimeno, la setta aveva dei limiti. Da un punto di vista sociologico, tendeva, come tutti i raggruppamenti del genere, ad abbandonare il carattere di setta riservata a una unica classe di lavoratori, tanto più facilmente in quanto in teoria non era vincolata a una comunità di clas­se, bensì a una di veri credenti senza discriminazione di classe. A meno che non provvedesse a salvaguardare la propria purezza mediante secessioni periodiche - come fe­cero in molte città alcune piccole sette operaie prive di qualsiasi influenza - tendeva inevitabilmente a produrre

gravi ingiustizie subite dai miei genitori e le terribili sofferenze da me sopportate nell’ infanzia bruciavano la mia anima come un ferro rovente. Molte volte giurai a me stesso che avrei fatto qualche cosa per migliorare le condizioni della mia classe» (g . e d w a r d s , From Crow-Scaring to West­minster [ed. 19 57 ], p. 36). Edwards, capo del sindacato lavoratori agricoli della contea di Norfolk, si convertì al metodismo prim itivo nei 1869 e divenne un sindacalista militante contemporaneamente a ll’avvento di Jo ­seph Arch.

1 d. w i l l i a m s , John Frost, 19 3 9 , pp. 15 0 e 324 per le relig io n i dei dim ostranti.

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una messe di confratelli che facevano carriera e adottava­no le opinioni della borghesia; e in genere costoro ten­devano a occupare i posti direttivi, nell’ambito della con­gregazione come nell’ambito nazionale. Soltanto le co­munità più compatte, come ad esempio i villaggi di mi­natori, in seno alle quali l ’ascesa sociale non era possibile se non attraverso l ’azione coordinata dei lavoratori, rima­sero in parte immuni da questo inconveniente. Da un pun­to di vista teologico, risentiva dello svantaggio proprio di tutte le sette cristiane, cioè che le loro scritture obbli­gano alla ribellione e, nello stesso tempo, (attraverso san Paolo) all’accettazione del governo esistente come moral­mente buono. Questa ambiguità della dottrina, cristiana può certamente essere eliminata da un’esegesi o da una casistica adeguate; rimane però sempre un ostacolo alla formulazione di una solida dottrina sociale rivoluzionaria. Risentiva infine della natura frammentaria della propria dottrina; poiché, come abbiamo visto, raramente, nelle sue forme attive, elaborò un programma organico di azio­ne politico-sociale, ma in genere attuò simili programmi elaborati a ll’esterno. Le sette operaie non produssero grandi teorici. Le teorie radicali e socialiste da esse scatu­rite provenivano dal patrimonio, razionalizzato e pervaso da ideologie giacobine, dei vecchi dissidenti del x v n seco­lo (unitari, quaccheri, con tracce di congregazionalismo) che andarono a perdersi nel complesso della tradizione ra­zionalistica giacobina. Non esisteva un socialismo cristia­no operaio di una certa importanza, ma soltanto il tipo corrente di socialismo elaborato da pensatori laici e tra­dotto nella terminologia familiare della Bibbia.

La setta operaia contribuì dunque molto meno di quan­to ci si sarebbe potuto aspettare in rapporto alla loro im­portanza numerica all’evoluzione del movimento laburi­sta inglese; tanto che il loro contributo pratico si riduce a poco più di qualche limitata attività organizzativa e pro­pagandistica, e a un lavoro preparatorio presso alcuni gruppi di minatori e di agricoltori, la cui portata è assai diffìcile da valutare. Come abbiamo visto, essa perse ogni importanza alla fine del secolo scorso, eccetto forse, per le ragioni esposte nel paragrafo precedente, in quanto una

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forma di tradizione che contribuì a consolidare la tenden­za, già assai forte, moderata e riformista nel movimento laburista inglese. Essa rimase a lungo un campo di adde­stramento per i quadri del movimento operaio; era que­sta la loro principale funzione pratica, come giustamen­te scrisse Seth Ackrovd di Hull. Questi quadri non erano necessariamente moderati; abbiamo visto che un rivolu­zionario nato come il comunista Arthur Horner si era for­mato nell’atmosfera di tale setta. Tuttavia, anche questa funzione tramonta a partire dal 188 0 ; le organizzazioni marxiste e, dai primi del nostro secolo, i movimenti per l ’istruzione degli adulti, assorbirono la maggior parte di queste funzioni, ad eccezione di uno o due gruppi specia­lizzati. Cosi le sette operaie si esaurirono, per quanto il loro spirito sia tutt’altro che spento in zone come il G al­les sudoccidentale o in alcuni remoti villaggi agricoli. E s­se si addicevano forse maggiormente alla prima fase radi- cal-democratica del movimento operaio, e si estinsero in­sieme a questo tipo di coscienza politica delle classi lavo­ratrici.

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Capitolo nono

Il rituale dei movimenti sociali

I.

Tutte le organizzazioni umane comprendono una par­te di cerimonie e di riti; i movimenti sociali moderni, in­vece, sono stranamente privi di un rituale deliberatamen­te predisposto. Ufficialmente, ciò che unisce i loro mem­bri è il contenuto e non la forma. Lo scaricatore di portoo l ’intellettuale che ottiene la tessera del suo sindacato o della sua associazione professionale (purché questo sia un atto di libera scelta) sa, senza bisogno di particolari for­malità, di impegnarsi a determinate attività e a un deter­minato comportamento, come ad esempio alla solidarietà nei confronti dei suoi compagni. Colui che entra a far par­te di un partito comunista si impegna a un complesso di attività intense e impegnative, paragonabili, almeno per alcuni membri, a quelle a cui ci si impegna entrando ne­gli ordini religiosi. Eppure, costui o costei compie tale at­to senza altra cerimonia che quella di ricevere un pezzo di cartoncino a scopo puramente utilitario, sul quale si at­taccano periodicamente delle marche.

Ovviamente, questo non vale a escludere il rituale dai sindacati e dai partiti politici; qualora esso non sia previ­sto nei piani dei loro fondatori o dei loro capi, esso è ca­pace di crearsi spontaneamente se non altro per la tenden­za degli esseri umani a rivestire di riti e di formalità i re­ciproci rapporti. Le dimostrazioni, il cui scopo originario era, nei movimenti operai, quello utilitaristico di dimo­strare agli avversari la forza della coesione delle masse la­voratrici e di incoraggiare con questo mezzo i loro soste­nitori, divennero cerimonie di solidarietà il cui valore, dal punio di vista di molti partecipanti, sta tanto neH'c>pci'i-

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meritare la propria unità quanto in qualsiasi fine pratico che si possa cercare di ottenere. Sorge cosi una complessa strumentazione rituale: stendardi, bandiere, inni corali e cosi via. In organizzazioni il cui spontaneo sviluppo è me­no inibito dal razionalismo di quanto lo siano i movimen­ti operai, l ’ansia di creare un rituale può produrre una fio­ritura simile a un sottobosco tropicale. I Congressi dei partiti americani ne costituiscono forse l ’esempio più si­gnificativo. Ma il fatto che gli uomini attribuiscano un contenuto rituale alle proprie azioni, cosi che in alcuni partiti comunisti l ’annuale distribuzione delle tessere co­stituisca un’occasione molto più solenne di quanto com­porterebbe il semplice acquisto di un nuovo pezzo di car­toncino, è di secondaria importanza. Ciò che mantiene compatti i comunisti è l ’ideologia del partito a cui aderi­scono, così come ciò che mantiene uniti i membri del par­tito democratico americano non sono le grottesche mani­festazioni dei loro congressi quadriennali.

Nei movimenti sociali europei primitivi la forma svol­ge un ruolo assai più importante, per quanto sia evidente come ai loro membri non venga neppure in mente la mo­derna distinzione tra forma e contenuto. Nessuno dei due può sussistere senza l ’altro. Tali fenomeni sono familiari agli studiosi del Medioevo. I sudditi devono fedeltà al re, ma se il re non compie alcune formalità necessarie, ad esempio quella di farsi incoronare e ungere a Rheims, i suoi diritti e i loro doveri sono molto più discutibili. Sol­tanto un fabbro può entrare a far parte dell’associazione della sua categoria; ma se non vi è entrato nella esatta forma richiesta e nel tempo e nel luogo stabilito, con le speciali domande e risposte, non è un membro effettivo e i suoi diritti possono essergli negati, cosi come egli può ri­fiutare di compiere i suoi doveri. Non essere stato battez­zato o unito in matrimonio col giusto rituale o al momen­to designato dal rituale stesso, può ancor oggi compro­mettere l ’appartenenza di un individuo a una comuni­tà religiosa. Questo eccessivo formalismo può avere, e in realtà ha sempre avuto, una giustificazione razionale, perlo meno qualora esso concerna dei sistemi legali, special­mente di quelli basati sulla tradizione o sul diritto consue­

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tudinario. Si può sostenere che il conformarsi scrupolo­samente alla tecnica della procedura garantisca l ’efficacia della legge, per quanto a volte la condanna di alcuni cri­minali possa essere stata invalidata a causa di irregolarità formali nel loro processo. Si può anche argomentare che in società composte da gente incolta, o nelle organizzazio­ni gestite da persone di scarsa intelligenza, come molti eserciti, che anche una leggerissima deviazione dalla pro­cedura tradizionale rigorosamente stabilita possa portare a un allontanamento sempre crescente dalla pratica tradi­zionale o addirittura al caos e alla confusione. Non di me­no, buona parte di questa cura meticolosa nell’attenersi alla lettera del rituale non è, in pratica razionale secondo il nostro modo di pensare. L ’argomento che gli ebrei ven­gano circoncisi perché la circoncisione porta dei vantaggi di natura medica, non è certo quello per cui i genitori ebrei di tutti i tempi hanno fatto circoncidere i loro figli.

In questo formalismo dei movimenti socialisti primi­tivi si possono distinguere diversi elementi. In primo luo­go vi è l ’importanza delle forme vincolanti di iniziazione. Nelle associazioni volontarie come i movimenti sociali, l ’iniziazione assume la forma di una cerimonia compiuta da uomini e donne capaci di operare una scelta cosciente (quindi non prima della pubertà) da qui proviene la pra­tica del battesimo degli adulti a preferenza di quello dei bambini fra le sette rivoluzionarie del x v i secolo. L ’ini­ziazione, secondo i termini del rituale che le è proprio, può servire a legare intimamente il membro all’organiz­zazione, ad esempio inducendolo a infrangere tabu di va­lore universale, come nel caso delle confraternite di indi­vidui coscientemente al di fuori della società, come quel­le dei ladri '. Inoltre essa crea generalmente una partico­lare atmosfera di solennità e di magia allo scopo d'im pri­mere nella mente del candidato l ’importanza del passo che sta per compiere, oppure (questo è probabilmente uno stadio posteriore degenerato) allo scopo di impressionar­lo con le sanzioni alle quali lo esporrebbe una mancanza di

1 Das deut sche Gaunerthum cit,, fornisce alcuni esempi interessanti seppure sgradevoli data la natura del caso. Cfr, anche il cap. n .

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fedeltà. Il candidato può essere messo alla prova o esami­nato in diversi modi. La vera e propria iniziazione culmi­nava in un atto rituale come l ’imposizione delle mani, e in genere conteneva un giuramento solenne o una dichia­razione fatta dal candidato che lo vincolava per sua pro­pria volontà.

In secondo luogo, vi è il cerimoniale delle riunioni pe­riodiche, che di tanto in tanto servono a riaffermare l'u ­nità dei membri: assemblee, processioni, atti di culto in comune e simili. In terzo luogo, troviamo ciò che si può chiamare il rituale pratico che permette ai membri di adempiere alle loro particolari funzioni, come i segni di ri­conoscimento formali e segreti, la «parola massonica» la stretta di mano dei frammassoni, le parole d ’ordine ecc.

Viene poi il simbolismo, l ’elemento più importante e pili suggestivo. Nelle organizzazioni primitive esso servi­va a unire la forma al contenuto. Il simbolismo che tro­viamo abitualmente nei movimenti moderni - il distinti­vo, la bandiera, le figurazioni simboliche, ecc. - non è che una espressione fievole e degenerata del vero simbolismo. È vero che per gli attuali socialisti e comunisti una ban­diera rossa, una stella a cinque punte, una falce e martel­lo (che simboleggiano, credo, l ’unione dell’operaio all’a­gricoltore) può essere un’espressione sintetica del suo mo­vimento, del suo programma, delle sue aspirazioni, delle sue conquiste, della sua coesione e del suo potere emoti­vo, con l'evocare tutto ciò. Ma nei movimenti primitivi, come nelle cattedrali gotiche, si può trovare un intero universo di simboli e di allegorie, in cui ogni singolo ele­mento corrisponde e realmente «rappresenta» un parti­colare, grande o piccolo, di una complessa ideologia, di un movimento. Le elaborate insegne allegoriche, le inte­stazioni delle lettere dei sindacati inglesi del secolo scor­so rappresentano una versione alquanto mitigata di tale fenom eno2. Il simbolismo massonico è forse il tipo più conosciuto di un simile universo estraneo alle religioni

1 d . KNOOP e G. p . j o n e s , The Genesis of Freemasonry, Manchester 1947 ; PP- 96-107.

2 L ’emblema del sindacato dei portuali (1889) viene particolareggia­tamente descritto nel mio Labour's Turning Point, London 1948; pa-

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ufficiali, e anche, per i nostri fini, il più influente. È straor­dinario vedere quale inopportuna ingenuità entrò nel pas­sato nella elaborazione di questi complessi simbolismi, ciascun elemento dei quali poteva assumere un significato diverso per i membri dei vari gradi dell’organizzazione. La maggior parte di questo simbolismo aveva scarsa portata per quanto concerne le funzioni di una organizzazione, in quanto movimento sociale, poiché queste ultime sono sempre state in ogni circostanza concrete e limitate. Quan­do era stato tratto da organizzazioni e da tradizioni del passato, la maggior parte di questo simbolismo rimaneva soprattutto come un elemento emotivo usato dai movi­menti sociali per scopi molto meno elaborati di quelli per cui era stato originariamente creato.

II.

In quali movimenti sociali del secolo scorso possiamo aspettarci di trovare un simile primitivismo? Innanzi tut­to in organizzazioni che, essendo o dovendo essere segre­te, o avendo degli scopi rivoluzionari estremamente am­biziosi, imponevano ai loro membri un grado eccezionale di coesione; in secondo luogo in organizzazioni che, deri­vando da istituzioni e tradizioni più antiche, conservava­no legami eccezionalmente tenaci con il primitivismo del passato. In altre parole, da una parte gli ordini e società rivoluzionarie segrete, dall’altra i sindacati e le società di mutuo soccorso, specialmente quelle derivate dalle asso­ciazioni di artigiani specializzati indipendenti. La catego­ria delle società che possiamo chiamare « massoniche », co­stituisce un legame tra questi due gruppi. Naturalmente questa classificazione non esaurisce tutte le varie combi­nazioni possibili.

L ’organizzazione dei primi sindacati, le società di mu­tuo soccorso, cosi come le norme consuetudinarie e le con­venzioni non ufficiali dei lavoratori nei loro luoghi di la-

gine 87-88. V i è molto da dire a proposito del simbolismo dei primi sin­dacati inglesi, alcuni emblemi dei quali si possono ancora ammirare.

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voro, rivelano indubbiamente numerose tracce di primi­tivismo. Poiché praticamente tutte queste manifestazio­ni finivano in bevute, la più completa enumerazione di tali cerimonie in Gran Bretagna (per quanto piuttosto po­vera di particolari non riguardanti l ’alcoolismo) si deve a ll’opera di zelanti apostoli della temperanza come John Dunlop ', ansiosi di mettere in guardia il pubblico con­tro i molteplici ostacoli che si opponevano alla sobrietà del cittadino britannico.

Consideriamo dunque l ’iniziazione, che può essere ini­ziazione a un mestiere (come quando l ’apprendista divie­ne artigiano) o a una organizzazione (come quando l ’arti­giano diviene membro della sua associazione o compa- gnonnage, spesso come conseguenza necessaria della pri­ma iniziazione) o a un nuovo lavoro e residenza (come quando un artigiano arriva in una città forestiera). Que­sto rituale degli inizi rimase quasi universale in Gran Bre­tagna nella prima metà del secolo scorso. Cosi, tra i fab­bricanti di carrozze, il nuovo apprendista era accolto con un determinato cerimoniale, e ogni nuovo genere di lavo­ro in cui si cimentava veniva ugualmente celebrato; il nuovo operaio doveva solennizzare con apposite cerimo­nie la propria ammissione, il passaggio da un banco all’al­tro dell’officina, la prima visita della moglie dell’operaio all’officina, il suo matrimonio e la nascita di ogni figlio. Tutto veniva celebrato e il nuovo socio del datore di la­voro era obbligato ad offrire una cena agli operai. Al principio della stagione invernale ciascuno riceveva un’o­ca. Alla consegna di una carrozza il cocchiere del cliente riceveva un regalo; l ’operaio ultimo arrivato nell’officina diventava «connestabile» e riceveva una mazza presenta­tagli con grande cerimonia. Talvolta, ma non sempre, si usava «bagnare» i vestiti nuovi. E cosi via. Questi usi erano in genere comuni a tutti i mestieri.

Qualora si tenga presente questa diffusa pratica di ce­lebrare con cerimonie ogni inizio, oppure ogni formale mutamento nella vita dell’individuo, risulterà pili agevole

1 Artificial and Compulsory D rinking Usages o f the United Kingdom , in varie edizioni sempre più compiete.

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comprendere la cerimonia più solenne che segnava l ’ini­ziazione di una persona in un particolare gruppo dei suoi compagni, stabilita allo scopo di sottolineare gli elementi distintivi dagli altri gruppi e di vincolare il nuovo mem­bro con i più forti legami possibili. Questo cerimoniale riuniva in sé il timore reverenziale, l ’elemento dell’esame del candidato e quello della sua istruzione ai misteri del­l ’associazione, e naturalmente culminava in una forma estremamente solenne di dichiarazione - generalmente un giuramento - e in una cerimonia che simboleggiava l ’adozione del candidato da parte del gruppo. I più elaborati rituali di questo tipo sembra siano stati quelli delle associazioni degli artigiani francesi (compagnonna­ges) per quanto esse non facciano altro che seguire uno schema che diviene sempre più familiare allo studioso del rituale di tali società La particolarità dei compagnonna­ges stava nel fatto che non erano soltanto associazioni di mestieri particolari, ma confraternite che accoglievano varie specie di mestieri, per quanto sembri che originaria­mente si siano sviluppati nel settore dell’edilizia, e che abbiano per questo molto in comune con i primi stadi della massoneria. Pare che all’origine vi siano state due principali confraternite rivali fra loro: gli enfant s du pé­re Soubise (originalmente carpentieri, mentre più tardi accolsero altri mestieri connessi con l ’edilizia) e gli en- fants du maitre Jacques (in origine selciatori, carpentieri, falegnami e magnani, e più tardi una più vasta gamma di

I mestieri); una terza, quella degli enfants de Salom on , per quanto vantasse origini antichissime, pare sia stata una propaggine tardiva delle due prime, che non si sviluppò completamente fino al secolo scorso, ed era riservata prin­cipalmente alle varie categorie di operai dell’edilizia

I l rituale segreto dell’iniziazione a tali gruppi aveva del­

1 Per una esauriente descrizione di queste ultime cfr.: o f f i c e d u t r a ­v a i l , Les associations professionnelles ouvrières, 4 voli., specialmente il v o l . I (1894), c a p . t i , p p . 90 s g g . Per d e l le in fo r m a z i o n i c o m p le t e c f r . r . l e c o t t é , Essai bibltographique sur les compagnonnages de tous les de­voirs du Tour de France et Associations ouvrières à form e initiatique, Paris 19 5 1.

1 L ’articolo a s s a i documentato compagnonnage nel Larousse du x ix e s ie d e , d à l ’ e s a t t a c o m p o s i z io n e d i q u e s t i g r u p p i .

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le cerimonie veramente straordinarie. Per prima cosa il candidato veniva sottoposto alla «épreuve de travail», probabilmente per mostrare la propria abilità nel mestie­re. La cerimonia vera e propria cominciava per tempo la sera e doveva concludersi a mezzanotte. Prima di quel­l'ora il candidato veniva condotto tre volte nella stanza dell’iniziazione per compiere varie formalità, e per tre volte ne era ricondotto fuori. In questa stanza i confra­telli erano disposti in cerchio intorno a lui, mentre i tre funzionari gli stavano di fronte. Veniva introdotto dal rouleur con tre colpi di mazza. La stanza era addobbata con un baldacchino bianco e conteneva un altare sul quale stava un crocifisso con sei torce (risparmiamo al lettore la spiegazione del significato simbolico di tutto ciò). Sull’al­tare era posato un pugnale la cui punta era avvolta da un nastro rosso, simbolo del sangue che il candidato era pron­to a versare piuttosto che rivelare i segreti della confra­ternita. La «tovaglia», che come vedremo aveva un ruo­lo importante nelle cerimonie delle riunioni periodiche, era stesa di fronte all’altare, con sopra un vassoio sul qua­le stavano i futuri «colori» del candidato nella confrater­nita; su un altro la scelta dei «nom i» della società, tra i quali avrebbe dovuto scegliere il proprio - generalmente una combinazione simbolica del luogo d ’origine con l ’al­lusione ad alcune qualità morali o di altro genere - e una bottiglia contenente il vino con cui doveva essere battez­zato. Indi il candidato dichiarava la propria volontà di partecipare a uno scambio rituale di domande e di rispo­ste. Veniva quindi sottoposto a tali prove dopo essere stato bendato.

Queste prove consistevano in burle, in «giudizi di D io» o in pratiche umilianti e ridicole di vari generi (quel­le dei carpentieri di Soubise erano particolarmente bruta­li) e in prove morali come la richiesta di abbandonare la propria famiglia o la propria religione, di commettere un delitto per la confraternita, o di uccidere un uomo; pro­va questa che veniva simulata con tale abilità che il can­didato bendato spesso continuava a credere per qualche minuto di avere veramente immerso il pugnale nel cor­po di qualcuno. Superate queste prove, egli pronunciava

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il giuramento di custodire sempre fedelmente i segreti della confraternita:

Vorrei piuttosto, e l ’avrei meritato, che mi si tagliasse la gola, che il mio corpo fosse bruciato e le ceneri gettate al vento; prometto di trafiggere col mio pugnale il cuore di chiunque si renda spergiuro; che lo stesso sia fatto a me se divenissi tale.

V i era anche, talvolta, una prova del sangue: si faceva sprizzare il sangue del candidato che con esso firmava, o almeno se ne toglieva una goccia simbolica e il candidato fingeva di firmare con esso. Talvolta si faceva anche la prova del fuoco spegnendo una candela accesa contro il capezzolo sinistro del candidato.

Il giuramento veniva ripetuto tre volte. Quindi il can­didato riceveva il suo nome nella società, sceglieva tra i presenti un padrino, una madrina e un «prete» ' e veniva battezzato con del v in o 2.

L ’unico elemento che manca a questa iniziazione è quello dell’informazione sulla natura generale della socie­tà, distinta dai suoi segni segreti di riconoscimento e si­mili. Le iniziazioni degli artigiani tedeschi, per quanto conservassero in genere gli altri elementi in una forma meno elaborata e formale, mantennero molto a lungo questo particolare elemento. Cosi, tra i tipografi, il batte­simo si era ridotto alla fine del secolo scorso a poco pili dello scherzoso rituale della traversata dell’equatore sul­le navi; tra i falegnami le prove erano diventate null’al- tro che un gioco chiassoso, e l ’imposizione di un nuovo nome era cosa assai semplice; anche i contrassegni segre­ti erano molto meno complicati. Tuttavia YH obelpredigt divenne forse più lungo con l ’abbreviazione del resto del rituale; simili discorsi vengono riportati a proposito di gran parte delle altre confraternite Questi sermoni era-

1 Nel x ix secolo costui era chiamato semplicemente «testim onio», ma dai resoconti della metà del x v n secolo - poco prima d ell’ufficiale condan­na teologica dell’iniziazione al compagnonnage, avvenuta nel 365.5 - risul­ta che questo personaggio veniva chiamato cure.

2 Associations profeisionnelles ouvrières, I , pp. 1 1 7 - 24 .3 w. k r e b s , A lle Handiverksbràuche, Basel 1933, cap. i v . Molti altri

s e r m o n i s o n o r i p r o d o t t i in r . w i s s e l l , Des alten Handwerks Rechi und CciL'ohnhàt, 2 v o l i . , Berlin 1929-39.

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no un misto di retorica e di catechismo, spesso assai cor­rotto, dato che l ’antico rituale delle prove su cui si basa­vano era stato dimenticato; i consigli pratici all’artigiano che entrava a farne parte si erano spesso trasformati qua­si in una burla. Nella migliore delle ipotesi essi assomi­gliavano a una fiaba dei fratelli Grim m; nella peggiore- quando ad esempio venivano pronunciati da un padri­no piuttosto alticcio - erano altrettanto noiosi dei sermo­ni protestanti dai quali è probabile abbiano attinto la lo­ro popolarità, almeno come parodie. Cosi, tra i bottai te­deschi, si diceva al nuovo membro che, sul punto di la­sciare la città, doveva soffiare su tre piume, una delle qua­li sarebbe volata a destra, un’altra a sinistra e l ’altra an­cora dritta in avanti. Egli avrebbe dovuto seguire quella del mezzo. Sarebbe cosi arrivato a uno stagno ove avreb­be trovato una quantità di rane gracidanti «arg, arg, arg» (male, male, male). Malgrado questo avvertimento avreb­be dovuto proseguire; è probabile che questo sia la trac­cia di un incontro rituale molto più serio di un incontro con le ranocchie. Sarebbe poi giunto a una ruota di muli­no che girando direbbe (in modo onomatopeico, almeno in tedesco) «torna indietro, torna indietro»; avrebbe poi passato tre cancelli, incontrato tre corvi, dei mugnai, dei contadini con le loro mogli, e cosi via. In ogni caso si do­manda al candidato che cosa avrebbe fatto, e gli si danno consigli su ciò che avrebbe dovuto fare

Col sorgere della massoneria, altro ramo della stessa famiglia di rituali delle confraternite di artigiani, la ten­denza delle associazioni artigiane a subire l ’influenza mas­sonica fu naturalmente molto marcata. Per lo meno in Gran Bretagna, ove il compagnonnage preindustriale non si era certamente sviluppato in un gruppo di organismi specializzati come nel continente, l ’influenza massonica è molto accentuata, anche quando non è detto espressamen­te, come nel caso degli O ddfellow s, di essere stati origi­nariamente istituiti secondo i principi massonici; . Su que-

! k. HEUT.NBfcRCER, Gcschicbte der Bottcher-, Killer- und Schafjìerbe- we&ung, s. I. 1928.

«O ddfellow s Magazine», I, Munches re r 1829. p. 146. Per le socie­tà di mutuo soccorso, vedi i>. h . g o s d e n , The fr ie n d ly S o r ìd ir f in Vn- gland i S n - 7?. M .inchester 19 6 1.

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sti u ltim i eran o evid en tem en te m o d e lla ti i g iu ram en ti e le cerim on ie d elle p rim e organ izzazion i o p era ie , com e, ad esem p io l ’in iziazione dei card atori di la n a '. L e in iz iaz io ­ni co m p iu te in In g h ilte rra eran o in genere m olto m eno terr ib ili di q u e lle fran cesi, e p ersin o una d e lle p iù b ru ta li che, cosa assai stran a , ap p artien e a l l ’associazione p e rfe t­tam ente legale e in nocu a degli O d d fe llo w s , è ben poca cosa in co n fro n to a lle p ro ve a ffro n tate dai can d id ati al com pagn onnage

Il candidato all’associazione, prima di essere introdotto nella sala della loggia veniva accuratamente bendato e, do­po avere oltrepassato i guardiani esterni e interni, sentiva un terrore strano e misterioso pervadere i suoi sensi, a cau­sa del solenne, mortale silenzio che ivi regnava. Tosto l ’u­dito, appena intorpidito, gli veniva risvegliato con terrore dal tintinnio di grandi catene di ferro, e dal suono di voci umane inintelligibili. A questo stadio dell’iniziazione, se il neofita non era gettato e fatto rotolare fra i cespugli, o im­merso fin sopra la testa in una grande tinozza \ gli veniva tolta la benda dagli occhi, e la prima cosa che riusciva a ve­dere era la punta di una spada sguainata puntata contro il suo cuore. Appena riusciva a distogliere lo sguardo dal suo terribile guardiano e dalla sua spada, quasi sempre i suoi occhi si posavano su una grande immagine della morte, il cui ghigno sinistro avrebbe fatto gelare il caldo sangue del­le sue vene, mentre tutta la stanza era piena di simboli sa­cri e profani, il cui significato pochi erano in grado di spie­gare.

V a le fo rse la pena di o sservare in cid en ta lm en te che la con vin zio n e dei go v e rn i inglesi d el p rim o O tto cen to , se­con do la q u ale le in iziazion i e i g iu ram en ti segreti d o v e v a ­no n ecessariam en te essere di n atu ra so v v e rs iv a , era e rra ­ta. G l i estran ei co n tro i q uali la co n fra te rn ita ritu a le sa l­va g u a rd a va i suoi segreti non eran o so ltan to i b o rg h esi, né

1 Citato in Attempts at General Union ( 1 9 5 3 ) di G. D. H. c o le , cfr. n. 5 deH 'appendice.

2 s . t . d a v i e s , O ddfellow sbip, its History, Constitution, Principles and Finances, Witham 18.58.

3 Per simili sinistre burle (probabilmente derivate dai prim itivi ritua­li di prove) tra i primi frammassoni, cfr. k n o o p -j o n e s , The Genesis of Freemasonry cit., pp. 209, 249-50.

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sempre i governi. In Francia erano in generale i membri dei compagnonnages rivali, con i quali i confratelli si tro­vavano in permanente stato di guerra; nelle società di mu­tuo soccorso inglesi chiunque non facesse parte del grup­po, l ’appartenenza al quale era contrassegnata principal­mente dal possesso dei segreti. Soltanto qualora tutte le organizzazioni di lavoratori, in quanto membri di una classe particolare, intraprendessero attività viste di mal occhio dai datori di lavoro e dalle autorità, l'iniziazione eil giuramento vincolavano i membri deliberatamente con­tro questi ultimi. Non vi era dunque inizialmente una di­stinzione tra le società che dovevano necessariamente es­sere segrete, e le altre che non avevano questa necessità, ma soltanto tra le attività di confraternite nelle quali i membri erano legati da un vincolo di solidarietà, alcu­ne delle quali erano secondo la legge, mentre altre non lo erano.

Anche i rituali delle assemblee periodiche si sono con­servati in modo molto più completo nel continente che in Gran Bretagna, ove nel secolo scorso non ne rimanevano che scarse vestigia, se si eccettua il rituale riguardante l ’elemento più importante di ogni associazione artigiana;lo scrigno o arca, nel quale si conservavano gli atti e altri oggetti propri della società. Possediamo scarse tracce dei rituali delle assemblee, come quelli dei carpentieri irlan­desi ove «il padre dell’officina» presiedeva la riunione e «suonava il chiodo» tre volte (cioè batteva un utensile per produrre un suono), per significare che la «corte» era adunata; o quelli dei tipografi ove il «padre della cappel­la» adunava i membri intorno a sé per amministrare la giustizia sulla «pietra solenne» della tipografia. Ma ciò è nulla in confronto al rituale dei fabbri tedeschi che dise­gnavano un «circolo dei membri», una figura somiglian­te al diagramma di un salvagente o di un pneumatico, ad eccezione del fatto che il circolo esterno veniva lasciato aperto. Si scrivevano i nomi di tutti i presenti tra i due cerchi, quindi si chiudeva il cerchio esterno per significa­re la presenza di tutti i confratelli ad ogni assemblea. D o­po il pagamento della quota si disegnava un altro circolo, e il gesso, generalmente conservato nello scrigno (L ade)

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veniva ricollocato dentro '. Eppure il rituale di questi fab­bri ferrai era meno elaborato di quello dei compagnons francesi, che pronunciavano un giuramento sacro di riu­nirsi {faire la montée de chambre), quando vi fosse un nu­mero determinato di membri in ogni città, alle due preci­se di ogni domenica, meno che a Parigi ove le possibilità di altri divertimenti giustificavano le disposizioni per le quali era permesso adunarsi soltanto due volte al mese. G li atti rituali obbligatori di tali assemblee erano cosi nu­merosi e complicati da suggerire che essi rappresentasse­ro uno stadio dell’evoluzione delle società, in cui queste ultime non avevano nulla di meglio da fare. I compagnons dovevano vestire correttamente, con le giacche abbotto­nate fino al terzo bottone a sinistra, secondo l ’uso della confraternita, ma senza ricercatezza. Il «tovagliolo» era steso dinanzi al prem ier en ville, il più vecchio artigiano della città, nella posizione prescritta. Sopra di esso, al cen­tro, stava una bottiglia di vino con due bicchieri posti uno alla destra e uno alla sinistra del presidente; quello di destra era pieno a metà di vino e conteneva una fetta circolare tagliata dalla crosta superiore di una pagnotta (era espressamente prescritto che fosse la crosta superio­re) chiamata pavilion, quello di sinistra, la «coppa della fratellanza» era vuoto. Tra i due bicchieri doveva stare un coltello con la punta nascosta in un pezzetto di pane. A ltre croste (questa volta tagliate in quadrato ma sem­pre dalla crosta superiore) erano collocate in ogni angolo del tovagliolo \

Tutte le confraternite avevano cerimonie pubbliche ge­nerali oltre a quelle delle assemblee periodiche riservate agli iniziati. Si trattava in genere di cerimonie religiose, almeno nei paesi cattolici, in cui si facevano invariabil­mente processioni di vario genere nel giorno del santo della confraternita; san Giuseppe per i carpentieri, san­t ’Anna per i falegnami, sant’Eligio in estate per i mani­scalchi, sant’Eligio in inverno per i fabbri, san Pietro per i magnani, san Crispino per i calzolai - e in genere anche

1 E. b a s n e r , Geschicbte der deutscken Schm iedebewegung, Hamburg 19 12 .

2 Associations professionnelles ouvrières, p. 103 nota.

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nei giorni solenni e festivi. Queste processioni e cerimo­nie annuali ricorrenti in giorni fissi rimasero nell’uso uni­versale in Gran Bretagna e i regolamenti delle società di mutuo soccorso dei villaggi contenevano in genere i più complicati provvedimenti in vista di esse. In che misura esse riflettessero ancora le antiche feste dei Santi, è una questione che potrebbe essere studiata dagli appassionati di antichità locali. Comunque, in Francia questi rituali pubblici religiosi furono osservati meno strettamente col procedere del secolo scorso.

I rituali pratici che comprendono in genere i contrasse­gni segreti per il riconoscimento, come il controllo e la parola d ’ordine, il segno e il contrassegno, la parola d ’or­dine per i viaggiatori1 avevano una giustificazione razio­nale molto più evidente. Nei primi tempi della confrater­nita i confratelli erano per la maggior parte analfabeti; e anche se non lo erano, la proibizione di tenere documenti scritti ai fini della sicurezza (i compagnons li bruciavano ogni anno, mescolando le ceneri al vino che bevevano) ob­bligava la società a fare uso di contrassegni non scritti. Anche qualora non vi fosse stata nessun’altra ragione, il rischio costante che degli estranei potessero usufruire il­legittimamente dei vantaggi della società rendeva indi­spensabile l ’uso di un sistema di riconoscimento dei con­fratelli legittimi: i documenti delle associazioni artigiane inglesi pullulano di provvedimenti contro coloro che re­clamavano abusivamente l ’ospitalità dei gruppi locali. Dobbiamo ricordare che tutti questi gruppi considerava­no il fatto che gli operai si spostassero da un luogo all’al­tro; i confratelli di una città dovevano avere perciò mez­zi sicuri per riconoscere i forestieri; come al solito questo rituale di riconoscimento andava dall’utile al fantastico, dalle forme più semplici a quelle assai complicate dei com­pagnonnages, la cui descrizione occupa tre fitte pagine, e dal prosaico al folcloristico e poetico. Non è necessario descriverli dettagliatamente in questa sede. Né è oppor­tuno dilungarsi sul simbolismo, sulle insegne e sulla « teo­logia» di tali organizzazioni. Essi erano oggetto di orgo­

1 G eneral Law s of the Ancient O rder of Foresters, Bolton 1865.

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glio e di edificazione per i membri, mentre destavano lo stupore e l ’ilarità degli estranei. Per quanto riguarda i più vasti movimenti sociali, le associazioni artigiane trasmi­sero o inventarono una grande varietà di sistemi che face­vano appello all’emotività delle masse, ai quali questi mo­vimenti poterono attingere nei casi di necessità . Vi è un solo aspetto che vale la pena di sottolineare; la pratica, senza dubbio derivata dall’antica tradizione artigiana, di classificare i membri in una gerarchia analoga a quella, per quanto spesso più elaborata, di apprendista, artigiano e maestro operaio.

Per quanto il rituale dell’una e dell'altra forma fosse un fenomeno universale, le organizzazioni operaie aventi un rituale alquanto complicato erano assai più rare di quanto si possa pensare, eccetto che fra gli artigiani ap­partenenti a mestieri tradizionali e a organizzazioni che non avevano come scopo principale un’azione collettiva economica o politica, come le società di mutuo soccorso, gli ordini conviviali di carattere semi-massonico e simi­li. Anche fra i mestieri preindustriali il rituale non era un fenomeno universale, per quanto tendesse a manifestar­si ovunque fiorissero società artigiane con funzioni analo­ghe a quelle dei sindacati. Nel i7 9 r in Francia, soltanto ventisette mestieri facevano parte di compagnonnages e- ad eccezione di specialisti come i cimatori o, in Inghil­terra, i pettinatori di lana - essi apparivano più deboli nei gruppi di carattere più marcatamente proletario, co­me ad esempio quello degli operai tessili. I movimenti so­ciali moderni che si trovavano al di fuori di questi am­bienti ormai antiquati tendevano ad adottare il rituale specialmente al fine più utilitaristico di difendersi dagli attacchi dei nemici. Per questa ragione, ad eccezione del­le grandi società di mutuo soccorso rituali a carattere apo­litico e di altre organizzazioni del genere, le caratteristi­che organizzazioni con un alto contenuto di rituale erano probabilmente di modeste dimensioni. L ’atmosfera del secolo scorso non era propizia al rituale, a meno che non

1 Cfr. a d esempio o. k a r m i n , L'influcnce du sym bolisme maqontiique sur le symbolisme révolutionnaire, in «Revue Historique de la Revolu­tion Fran?aise»; I , 19 10 , pp. 176 sgg.

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si trattasse di un rituale apolitico. Tra i sindacati inglesi i giuramenti segreti e simili caddero rapidamente in disu­so, e già nel 18 30 erano molto più rari di quanto gli os­servatori ostili fossero disposti ad ammettere . Tra gli artigiani tradizionali il rituale cadde in disuso, forse a cau­sa dell’urbanizzazione; alla fine del secolo scorso si osser­vò che a Parigi il compagnonnage era più forte tra gli ar­tigiani reclutati in piccole città di provincia, come i co­struttori di carrozze2. G li stessi compagnonnages furono scossi da una secessione razionalista che guadagnò terre­no in seguito al 18 30 , quando una insurrezione di giovani artigiani contro il tentativo dell’assemblea costituita dei confratelli di monopolizzare i privilegi del compagnonna­ge rese più forte il richiamo del senso comune. Una con­fraternita aperta di artigiani venne formata dai dissidenti di tutti i devoirs e gli ispiratori di questo gruppo «elim i­narono tutte quelle consuetudini che, per quanto nel Me­dioevo fossero giustificate, non lo sono più ai nostri gior­ni» 3. Alla fine del secolo, circa il 40 % degli artigiani or­ganizzati in compagnonnages piuttosto che in sindacati- un piccolo gruppo che contava meno di diecimila mem­bri - avevano aderito a questa organizzazione aperta. In ­fine l ’organizzazione rituale operaia non era più che una sopravvivenza destinata rapidamente a scomparire.

in .

Se la confraternita rituale non fosse stata nulla più di questo, non varrebbe la pena di trattarne diffusamente, Tuttavia, il periodo che va dal 178 9 al 1848 segnò una evoluzione delle organizzazioni rituali che riveste una no­tevole importanza per la storia dei movimenti sociali co­me per la storia mondiale. Per tutto il periodo delle tre rivoluzioni francesi, la confraternita rivoluzionaria segre­ta costituì la forma di gran lunga più importante di orga­

1 Cfr. Je relazioni del Select Committee of Combinations of Workmen 1838, a proposito della rarità dei giuramenti.

2 Associations professionnelles ouvrières, I I , p. 802.3 Larousse du x ix e siècle cit., p. 769.

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nizzazione d ella società in evo lu zion e d e ll ’E u ro p a o cc i­d en ta le ; e sp esso il suo co m p licato ritu a le la faceva som i­g lia re p iù a u n ’op era lirica ita lian a che a un 'associazion e rivo lu z io n aria . In a ltri p aesi s im ili co n fra te rn ite hanno con servato u n ’im p ortan za p o litica , e alcune sono ancora in v ig o re . I lo ro e lem en ti r itu a li non sono d u n q ue di in ­teresse p u ram en te arch eo logico .

N o n è q u esta la sede o p p o rtu n a p er un com pendio storico d elle co n fra tern ite segrete , argo m en to estrem a- m ente com p lesso e d ifficile , a trattare il q u ale non m i sento su ffic ientem ente p rep arato . È tu tta v ia e v id en te co­m e tutte ten d essero a rag g ru p p arsi in u n ’un ica fam ig lia , in p arte in fo rza d e lla com une discendenza da g ru p p i m as­sonici del x v m seco lo , in p arte a causa della rec ip ro ca em ulazione 1 e in p arte perch é il m ondo dei co sp ira to ri, sp ecia lm en te nei lu ogh i d ’asilo in tern azion ali in cu i g li em igrati si riu n ivan o (G in e v ra , B ru x e lle s , P a r ig i, L o n ­d ra) era un p icco lo m ondo u n ito , e in un certo senso co o ­p eran te , m algrad o i fe ro c i e in term in ab ili d iss id i sco p p ia­ti in seno a esso . U na p ro va d i ciò è co stitu ita d alle is titu ­zion i non u fficia li del tipo d e lla corte d ’on o re d inanzi alla qu ale g li em igrati p o rta v a n o le lo ro co n tro v ers ie p erso n a­li, e d a lla p ratica di p assare in fo rm azio n i a p ro p o sito di n o ti agenti di p o liz ia ai g ru p p i r iv a li \

M o lto si è d iscusso a p ro p o sito dei rap p o rti tra la m as­so n eria , o le co n fra tern ite filom asso n ich e, e i m ovim en ti r ivo lu z io n a ri, sp ecia lm en te da p arte d i co lo ro che p re d i­ligo n o una v is io n e esa lta ta d e lla s to ria ; non si tra tta q u in ­di d i un p ro b lem a che uno storico coscienzioso p ossa a f­fro n ta re con en tu siasm o. L a m asson eria del x v m secolo ci ap p are , p iu tto sto che com e u n ’unica organ izzazione con u n a d o ttrin a e un p ro gram m a d eterm in ati, com e un co m ­p lesso d i g ru p p i d ifficili a d efin ire , n o n o stan te avessero

1 C fr. F. v e n t u r i , II populism o russo, Torino 1 9 5 2 , I , p. 5 8 7 per l'ispirazione tratta dai russi dal babouvismo, il Report of the Sedition Comm ittee 19 18 , Calcutta 1 9 1 8 (meglio noto sotto il nome di Rowlatt Report), per ciò che i terroristi bengalesi attinsero dai narodniki russi, e Chittagong Arm oury Raiders: Rem iniscences, Bombay 19451 di K alpa­na Dutt, per ciò che essi attinsero d all’esercito repubblicano irlandese.

2 Per un esempio della corte d ’onore vedi e , i l CARR, The Romantic E xiles (p. 1 2 7 dell’ed. Penguin).

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tu tti uno stesso schem a o rgan izzativo e ritu a le e una co ­m une credenza nei v a lo ri deH ’illu m in ism o . R iesce q u in d i d iffic ile so sten ere la teo ria d i una cosp iraz io n e m asson ica d e l tipo p iù losco . D ’a ltro n d e , la stessa sim p atia dei m as­soni (o d i a ltri g ru p p i m o d ellati su l lo ro stam p o) per le id ee che tro varo n o esp ressio n e nella rivo lu z io n e am erica­na e n e lla rivo lu z io n e fran cese , fa cev a d i m o lti d i essi dei r iv o lu z io n a ri; in o ltre , l ’organ izzazione m asson ica ren d e­v a fa c ile a lle logge o ai g ru p p i p iù v a sti tra s fo rm a rsi in cen tri p o litic i o g ru p p i d i p ressio n e, creare o fa v o r ire fr a ­tern ità rivo lu z io n arie o sub ire a lo ro v o lta d e lle in filtra ­zioni da p a rte d i q u este u ltim e. L a m asson eria in flu ì p ro ­fo n d am en te su lle rivo lu z io n i fran cese e am ericana, e nel 179 8 , in Ir la n d a , eran o tante le logge affiliate ag li United Irishm en, che le au to rità riten n ero ch e v i fo sse un in tim o legam e tra le due organ izzazion i. Q u a lo ra non esistessero a ltre o rgan izzazion i, ad esem p io in segu ito a lla sconfitta di un m o vim en to r ivo lu z io n a rio , le lo gg e m asson ich e ten­d evan o a d iven ire il r ifu g io dei rib e lli. C o s i nelle p ro v in ­ce fran cesi d o p o il 18 3 4 , l ’o p p o siz io n e rep u b b lican a si r i­fu g iò per la m aggio r p arte nelle lo gge co n tro la vo lo n tà del G ra n d e O rien te A l n u o vo rid estarsi ed esp an d ersi d e ll ’agitazione rivo lu z io n a ria , assai spesso la m asson eria creava o rd in i rivo lu z io n ari m aggiorm en te sp ecia lizzati, p iù o m eno sim ili ad essa , a p arte alcune v a r ia n ti nel r itu a ­le e nel sim b o lism o . Q u este organ izzazion i con servaro n o p artico lari rap p o rti con la m asso n eria , a lcune staccan d o­sene p u r m antenend o con essa m olti legam i, a ltre v a le n ­d o si d ella m asson eria com e di una zona d i rec lu tam en to p e r i lo ro m em bri, e ad op eran d o si a co n ve rtire le logge. C o s i, p are che g li illu m in ati d i W e ish a u p t, fo rm atis i n e l­l ’a tm o sfera m asson ica, ab biano c o n ve rtito una p arte dei g ru p p i m asson ici a lle lo ro id ee rivo lu z io n a rie (so p ra ttu t­to , sem bra , a ttra v e rso il rito d e i tem p lari scozzesi), d and o co si o rig in e a una serie d i co n fra te rn ite segrete n e l p e rio ­do nap o leon ico e d u ran te la R estau raz io n e , m o lte d elle q u a li r ive la v a n o una tendenza a ren d ersi in d ip en d en ti d a l­la m asso n eria ; i filad e lfi (che d iven n ero a lo ro v o lta la cul-

' G. p e r r e u x , A n temps des socìétés secrètes, Paris 19 3 1 , pp. 365 sgg.

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la di società segrete e di compagnonnages venuti a trovar­si sotto il loro influsso), i Tugendbiinde, gli adelfi, i car­bonari . Il tentativo di Napoleone di assoggettare la mas­soneria al controllo del governo che, al principio del seco­lo scorso, fu la causa del passaggio di numerosi massoni a ll’opposizione politica, favori, come era naturale, tali tendenze. Non si può certamente negare che molti, e for­se la maggior parte, dei rivoluzionari e dei cospiratori an­cora esistenti nel periodo dal 1789 al 18 3 0 , avessero un sottofondo di idee massoniche, e conservassero, per quan­to riguarda l ’organizzazione, una mentalità massonica. Ciò vale soprattutto per uno dei principali cospiratori di quest’epoca, Filippo Buonarroti ( 17 6 1- 18 3 7 ) a proposito del quale possediamo ora più esaurienti inform azioni2.

Questo sottofondo comune delle confraternite segrete, insieme all’ambiente che le circondava, può spiegare la lo­ro costante tendenza ad alimentare vaste cospirazioni in­ternazionali, o a creare un'autorità coordinatrice al di so­pra delle singole confraternite e logge, composta general­mente di iniziati di grado superiore a quelle delle organiz­zazioni ordinarie. Questa pratica avrà certo contribuito notevolmente a creare la forte tradizione internazionali­sta dei movimenti socialisti posteriori, cioè la convinzio­ne che tutti questi movimenti dovessero essere idealmen­te coordinati e diretti da un’Internazionale; per quanto l ’ideale di una Internazionale che riunisse tutti i vari grup­pi di ribelli venisse presto abbandonata 3. A i suoi tempi, Buonarroti, aveva a che fare non soltanto con la massone­ria, il babouvismo e la C a r b o n e r i a , ma dominava i n o l t r e

1 H o attinto queste informazioni da G li illum inisti d i Weishaupt e l ’idea egualitaria in alcune società segrete del Risorgim ento, di c. f r a n c o - viCHj in «Movimento operaio», luglio-agosto 1952, Tali argomenti sono stati contestati da altri studiosi specializzati; i quali, però, non hanno una relazione diretta, né in un senso né in un altro, con il contenuto di que­sto capitolo.

; Per la bibliografia ormai ampia, del Buonarroti, cfr. e . e i s e n s t e i n , Filippo M ichele Buonarroti, Harvard 1959.

3 La prima Internazionale (1864-73) sembrava incarnare idea­le, per quanto i blanquisti se ne mantenessero fuori; tuttavia, la difficoltà di coordinare fra di loro i marxisti, i mazziniani, i proudhonisti, i baku- ninisti e una quantità di altri rivoluzionari e gruppi di sinistra si rivelò insormontabile. Tutte le internazionali seguenti, ad eccezione di quelle per gruppi determinati, come quella delle Cooperative sono state domi­nate da un’unica ideologia.

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uno dei più noti di questi fantomatici accentramenti di co­spiratori; quello dei Perfetti e Sublimi Maestri la cui ge­rarchia aveva tre gradi, il più alto dei quali era quello del Sublime Eletto; aveva anche un Grand Firmament a Pa­rigi, e aveva concluso degli accordi per riconoscere i gra­di di alcune confraternite affiliate. Si dice che i carbonari italiani, alcuni fra i massoni francesi, i Tugendbunde te­deschi e i decabristi russi fossero legati ad esso '. Le idee dei Perfetti e Sublimi Maestri furono riprese dalla Carbo­neria universale democratica che pochi anni più tardi for­mava l ’oggetto della sua attività. Secondo gli studi del dottor Dakin, un’altra organizzazione del genere, ma di carattere massonico più spiccato, il cui quartier generale aveva sede a Gibilterra, appare attivamente impegnata nel movimento filellenico intorno al 18 2 5 , lanciandosi in una serie di pittoresche imprese di cappa e spada. In se­guito, le energie dei ribelli internazionali furono assorbi­te e trasfuse in un più vasto e più ordinato internaziona­lismo, e soltanto rivoluzionari romantici di stampo antico come Bakunin continuarono a stringere «alleanze segre­te» di questo genere. Quale sia stata la loro efficienza an­che nei periodi di più intensa attività, non è facile a dirsi.

La classica co n fra te rn ita segreta era un g ru p p o di é lite gerarch icam en te o rd in ato con una p esan te zavo rra d i r i­tuale p er l ’in iz iazion e e p er a ltre circostanze, s im b o li, un vo ca b o la rio ritu a le , con trassegn i, p aro le d ’o rd in e , g iu ra ­m enti e sim ili. Il can d id ato ve n iv a scelto con ogn i cu ra e, d o p o l ’am m issio n e, avan zava p ro gressivam en te a ttra v e r­so tu tta una gam m a d i g rad i, c iascuno d ei q u a li co m p o r­tava una m aggiore resp o n sab ilità e un m aggio r grad o di in iz iazion e, finché, se la fo rtu n a l ’a ssis tev a , e n trava (o p iu tto sto era ch iam ato p er coop tazion e) nel p iù e levato di tu tti i c irco li d ire tt iv i d e l l ’organ izzazione. M a rx , che non n u triva u n ’eccessiva s im p atia p er q u esto genere d i cose, ne p a rla v a com e di un « a u to r ita r ism o su p e rst iz io so » ; e la fra se ci sem bra ap p ro p ria ta . Le vere e p ro p rie fu n zion i p o litich e d e lla co n fra te rn ita eran o du plic i. In p rim o luo-

1 FRANC0V1CH, G li illum inisti di Weishaupt c i t . , p. 5 8 4 ; b e r n s t e i n , Buonarroti, Paris 1 8 4 9 , pp. 1 6 7 - 6 8 , 1 7 8 ; j . w i t t , Les socìétés secretes de France et d 'Ita lie , Paris 1830, p p . 6-7, 9,

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go, ciascuno degli iniziati, che era anche membro di varie organizzazioni generali formate da non iniziati, cercava di influenzare queste ultime nella direzione desiderata dalla confraternita. La confraternita stessa, non sempre, e nep­pure di frequente, agiva attraverso un movimento più va­sto che si identificava esattamente con la sua politica, ma «pervadeva» - per usare un’espressione cara ai fabiani - qualsiasi organizzazione che le sembrasse adatta allo sco­po. In secondo luogo, in tempo di insurrezione mirava a suscitare agitazioni per mezzo eli piccoli gruppi di zelanti iniziati che, come si sperava, avrebbero trascinato con lo­ro le masse, e sarebbero riusciti in qualche modo a impa­dronirsi del potere. Quando i tempi non erano ancora ma­turi per le insurrezioni, la confraternita fomentava le agi­tazioni, compiva atti terroristici per proprio conto e si de­dicava ad altre attività idonee a preparare la rivoluzione.Il più chiaro esempio dell’attività (non rituale) di una si­mile confraternita, cioè dato dalla più duratura tra esse: la Fratellanza repubblicana irlandese, meglio conosciuta sotto il nome di feniani, che rimase attiva dal 18 50 fino ai nostri tempi .

L e società segrete rivo lu z io n a rie , g iu stam en te p erse g u i­tate d a llo S ta to , d o v ev an o n atu ra lm en te p ren d ere p ro v ­ved im en ti ai fini d ella lo ro sicu rezza; e per q ueste società , che d iscen d ono dal g ru p p o d elle co n fra tern ite artig ian e m asson ich e, n u lla è più n atu ra le che ad o ttare a tal fine i r itu a li d i q ueste u ltim e. C o m e ab b iam o ve d u to , d u n q ue, i ritu a li p ra tic i fu ro n o creati a scopo u tilita r io , cosi com e l ’organ izzazione gerarch ica d e lle società segrete per la qu ale i m em bri di un gru p p o non co n oscevan o q u e lli d eg li a ltr i g ru p p i, e i g rad i in fe r io r i co n oscevan o so ltan to l ' i ­d en tità d e i lo ro su p erio ri im m ed iati. T u tta v ia è ev id en te che il d o v ers i d ifen d ere d alla legge v a le v a a giustificare so ltan to in p arte q u e ll ’esib iz io n ism o di tra v e stim e n ti, che in realtà n u oceva a lla segretezza. L ’agente d i p o liz ia D e la

1 Non sembra chc esista un esauriente resoconto storico a proposito dell’ i r b . Per il giuramento di questa associazione cfr. T he Irish Republic, London 1 9 3 7 , di d. m a c a r d l e , p. 64. Le sue analogie con gli schemi con­tinentali sono state spesso sottolineate, per esempio da d . c . p o l l a r d , in The Secret Societies of Ireland, London 1 9 2 2 , pp. 46, 4 9 ; non è stato tuttavia finora possibile stabilirne l'origine precisa.

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H o d d e o sserva che le co n fratern i io fran cesi d iven n ero v e ­ram en te segrete q uan do la ma- - dei lo ro m em bri d ive n ­ne p ro le ta r ia , c io è , dal p un to di v ista del p o liz io tto , an o ­nim a, e le riun ion i eb b ero lu o go nelle stanze in tern e dei p u b , e non più negli ad d o b b ati locali d elle logge, il cui a r­red am en to era in genere tro p p o in gom b ran te ed e la b o ra ­to p er essere alla p o rta ta dei p o ve ri. I lu ngh i e com p licati r itu a li dei carb o n ari, d i cui ci è restata m em oria ', sem bra­van o in v iti p erm an en ti alla p o liz ia . L a n om en clatura fa n ­tastica d elle co n fra tern ite era tutt ‘a ltro che p ratica , a d i f­feren za di q u ella d elle organizzazioni rivo lu z io n arie p o ­sterio ri, che si sono in genere p reoccu p ate di scegliere n o ­m i in d icativ i d elle lo ro id eo lo g ie e del lo ro p ro gram m a. L ’enum erazion e d elle co n fra tern ite esisten ti in P u g lia può fo rse isp irare un am atore di lib re tti di op ere lirich e , m a d ifficilm ente un auten tico rib e lle : carbon ari di va r ie d e­n o m inazion i, m aestri su p rem i, m uratori p e rfe tti, filad elfi, ed en n isti, e lle n isti, p a trio ti eu ro p e i, decisi, p u g n a la to li, scam iciati, in n o m in ati, illu m in ati, p e lleg rin i b ian ch i, tre co lo ri, q u attro co lo ri, sette le tte re , o tto le tte re , setta dei cin q ue, san G io v a n n i B a ttis ta , So cietà del V en e ra b ile , le anim e del p u rg a to rio , la c ip o lla , la tom ba cen tra le , S o c ie ­tà d elle s tag io n i, la b ella C o stan tin a ecc. \ I l più serio fra i rivo lu z io n ari d i p ro fe ssio n e , il B la n q u i, co stitu ì una So ­cietà d elle stagion i la cui un ità d i base era la settim an a (sei uom ini con un capo ch iam ato domenica)-, q u a ttro se ttim a­ne fo rm avan o un m ese com an date da Luglio, tre m esi una stag ion e , sotto la gu id a d i primavera, e q u a ttro stagion i un anno, il cu i capo a ve v a il nom e so rp ren d en tem en te in ­co lore di agente rivoluzionario . E v id e n te m e n te , il ritua-

1 Ad esempio p e r k e u x , A u temps des sociétés sacre te s cit., pp. 37 1 sgg.

2 a . l u c a r e l l i , 7 moti rivoluzionari nel 1848 nelle Puglie, in «A rchi­vio Storico delle Provincie Napoletane», n. s., x x x i, 1947-49, pp. 436- 437. La pili completa descrizione dell'atmosfera della Carboneria che costi­tuisce il più noto fenomeno del genere si trova nell’anonimo Memoirs of the Secret Societies of the South of Italy particularly the Carbonari, John Murray, London 18 2 1. Si crede che l ’autore sia un certo Bertholdi, che gli esperti in materia per il periodo in questione dicono si fosse ac­curatamente documentato; difatti il libro è assai ricco di informazioni.

3 DE LA h o d d e , H istoire des sociétés secretes et du parli républicain, Paris 18.50, p. 2 17 .

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le delle confraternite aveva una funzione sociologica di­stinta dalle necessità pratiche di un’agitazione illegale. O l­tre a essere un gruppo politico, la confraternita era quin­di anche qualcosa di simile a una setta religiosa.

IV.

Prima di considerare le ragioni del loro eccessivo appa­rato rituale, sarà opportuno tratteggiare in breve il pro­cesso di decadenza della confraternita rituale. L ’epoca d ’o­ro di queste confraternite, che le vide come un’unica fa­miglia, compatta almeno da un punto di vista teorico, si concluse con ogni probabilità con i moti del 18 30 . È pro­babile che le cospirazioni del 1830-48 abbiano preservato in parte l ’originale struttura Carbonara; tuttavia il sorge­re di gruppi di particolare carattere nazionale e sociale in­debolì la loro coesione. Fuori dell’Europa occidentale le confraternite segrete rivoluzionarie conservarono la loro importanza, o meglio assunsero importanza in periodi cor­rispondenti a quello tra il 178 9 e il 1848 nella storia dei paesi in cui si affermarono. Alcuni degli esempi più carat­teristici si riscontrano nell’Asia del xx secolo - ad esem­pio il movimento terroristico bengalese, il cui rituale ri­sentiva poco o nulla della tradizione dell’Europa occiden­tale, attingendo invece la propria ispirazione dalla reli­gione indù e specialmente dal culto della dea Kali, che, ol­tre a fomentare la rivoluzione, si batteva per la costruzio­ne di un tempio in un luogo «lontano dalla contaminazio­ne delle città moderne, e finora quasi mai calpestato dal piede dell’uomo; in un’atmosfera pura ed elevata, perva­sa di calma ed energia» e per la fondazione di un nuovo ordine di devoti, alcuni m em bri del quale dovevano essere sanvasi, e la maggior parte celibi, che sarebbero ritornati all'eremitaggio dopo compiuta la missione di liberare l ’In­dia . Tuttavia, nella quasi totalità dei gruppi rivoluziona-

5 Cfr. i! Rotolati Report, che cita l ’opuscolo Bhatvani Man dir del 1905. I l legame tra l ’attività rivoluzionaria e la castità rituale si manten­ne solido. KAI.PANA d u t t (Cbiltagong Arm oury Raiders cit.) scrive come il terrorista Su ri yn Sen passasse la notte nuziale sotto la sorveglianza di un santo uomo, e non coabitasse mai con sua moglie (1918-28).

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ri si osserva una decadenza del rituale, specialmente in quelli che tendevano verso i movimenti socialista e labu­rista, come alcuni dei più decisamente rivoluzionari; i ter­roristi del Bengala si convertirono in gran parte al comu­niSmo intorno al 19 30 , mentre sembra che i comunisti ir­landesi derivino in gran parte da defezioni dall’esercito repubblicano irlandese verso le sinistre. A sua volta la de­cadenza del rituale automaticamente indebolì l ’attrattiva esercitata dalle confraternite.

Q u esta d ecadenza si m an ifesta sotto m olte fo rm e. A d esem p io , è sig n ifica tivo che la So cietà d elle stag ion i di B la n q u i, dopo le prim e sconfitte , si r ico stitu isse sotto una n om en clatura m olto più so b ria (agen ti rivo lu z io n a ri, capi g ru p p o , m em bri). I l cerim o n ia le illega le degli u ltim i b lan ­q u isti, com e q u e llo d ella m aggior p a rte dei narod n ik i ru s­si, p are non sia stato nu lla p iù d i q uan to ci s i p ossa asp et­tare da un gru p p o d i rivo lu z io n ari p ro fe ssio n isti d alle id ee sa ld e , p er q u an to fo rse p o liticam en te e rra te , co stre tto ad ag ire con tro la leg ge ; è tu ttav ia d ifficile fa re d elle a ffe rm a­zioni categorich e su un argom ento cosi oscuro M a il più ch iaro esem p io d ella e ffe ttiva decadenza d i una organ iz­zazione ritu a le è anche il p iù s ign ifica tivo , in q uan to co n ­cerne le o rig in i del m arx ism o ; .

Nel 18 34 , quando i n Francia l ’attività rivoluzionaria legale dovette ancora una volta cessare, sorse a Parigi una Lega dei fuorilegge (Bund der Geachtcten) sorta dai fram­menti di una Società popolare germanica; una vasta orga­nizzazione di massa di emigranti tedeschi, priva, per quan­to ne sappiamo, di qualsiasi particolare elemento rituale. (Dobbiamo tuttavia tenere presente che il nucleo degli emigranti tedeschi era costituito da lavoratori viaggianti già appartenenti alla tradizione del compagnonnage). La lega aveva l ’usuale struttura a piramide e una nomencla­tura di sapore carbonaro: Hùtten (corrispondente alle vendite C a r b o n a r e ) , Bergc (montagne), dicasteri e la Na-

1 Per questn sommaria forma di iniziazioni cfr. Les Conspirateu, s , dia. c u f .n u , P-iris 1850, p. 20 e n. 13 dell’appendice.

■ Particolari tratti da Die Com ninnisi envcrschu'ijrungcn des tie un- zchnten Jahrhunderts, Berlin 1953, di w e r m u t i i e s t i e b e r , e varie bio­grafìe di M.irx,

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tionalhiìtte (la capanna nazionale); più tardi questa no­menclatura veniva sostituita da un’altra di tenore quasi militare, come tende, campi, fuochi (Brcnnpunkte). Una netta separazione esisteva tra i due gradi inferiori e i due superiori. Vi erano certamente dei riti di iniziazione, al­meno per la ammissione al Berg, ma già l ’importanza del rituale stava scemando. Cosi, mentre a Parigi i candidati venivano bendati, le sezioni tedesche lasciarono cadere questa formalità. Naturalmente si faceva uso di segni di riconoscimento e di parole d ’ordine, costituiti talvolta da domande e risposte rituali, probabilmente tratte dalle pra­tiche dei compagnonnages e della massoneria, oppure da semplici parole astratte come «virtù civica». Vi era un giuramento, per quanto alcuni osservatori ritengono che non fosse nulla più di una dichiarazione solenne, dato che non era espressa in forma religiosa.

Dai fuorilegge derivò alla fine la Lega dei giusti che si trasformò, a sua volta, sotto l ’influsso di Marx e di En­gels, in quella lega dei Comunisti per la quale fu scrittoil famoso Manifesto. I comunisti non erano più una con­fraternita del vecchio tipo. Marx, che era fondamental­mente contrario alle confraternite (egli si rifiutò sempre di entrare a far parte di una qualsiasi di esse), provvide a ciò e sentenziò espressamente l ’eliminazione dalle loro re­gole, di qualsiasi autoritarismo che fosse basato sulla su­perstizione. La nuova organizzazione, democratica ma centralizzata, eleggeva tutti i suoi funzionari, che erano soggetti a essere deposti. Ai Imi pratici, si trattava di un'organizzazione prettamente moderna. Abbiamo dun­que un esempio del ciclo completo di transizione da una quasi Carboneria, rappresentata dai «Fuorilegge», a un'organizzazione a base assolutamente razionale. L ’inte­ro processo si svolse tra il 18 34 e il 1846.

Per quale ragione le confraternite rituali decaddero e scomparvero? La spiegazione più semplice è costituita dalla scoperta che il rituale non soltanto era superfluo, ma poteva anche costituire un intralcio. Il rituale aveva due principali funzioni pratiche: legare intimamente il mem­bro alla confraternita a salvaguardarne i segreti; tuttavia non era indispensabile a nessuno di questi due scopi. Già

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molto tempo prima il Bruto di Shakespeare aveva detto:

No: niente giuramenti. Se non bastano o sono motivi inefficienti il nostro volto d’uomini, la pena dei nostri cuo­ri, le offese di questa età, tronchiamo finché siamo in tem­po: ritorni chi vuole al caldo del suo letto,... avremo noi bisogno di altro sprone che non sia la nostra stessa causa, per sollecitarci a mettere ordine? '.

G li uomini forti e devoti avrebbero costituito i segreti in ogni modo; i deboli li avrebbero traditi nonostante qualsiasi giuramento. Ciò che teneva uniti i membri non era il giuramento, ma la causa comune; e, per quanto ciò non si possa affermare categoricamente, sembra che per­sino in numerose confraternite tradizionali il giuramento fosse divenuto poco più che una dichiarazione solenne, e che da esso sia stato eliminato quel rito di infrangere un Tabù che talvolta abbiamo riscontrato in esso. I rituali pratici erano utili alla sicurezza, ma la vera forza delle re­gole di sicurezza proprie delle cospirazioni sta nella loro logicità. Apprenderle sotto forma di rituale può effettiva­mente nuocere alla loro efficacia. Non è dunque straordi­nario il fatto che tra i terroristi indiani dei primi del no­stro secolo, le regole per le attività segrete modellate su quelle dei russi, fossero di carattere meramente pratico, e che le idee religiose espresse in pubblicazioni come l ’opu­scolo Bbawam Mandir tosto svanissero in un secondo pia­no, mentre soltanto i giuramenti e i voti venivano ricor­dati.

Non di meno, questa spiegazione meramente utilitari­stica della decadenza dei rituali non ci appare sufficiente. Si può in effetti dare un’altra spiegazione del fenomeno.

Le classiche confraternite rituali erano per la maggior parte composte da coloro che De la Hodde chiama «intel­lettuali disoccupati» e da altri membri im puissants del­l ’alta e media borghesia \ Esse trovavano un forte appog­gio in un altro gruppo praticamente declassato - e per sua natura amante delle divise e delle cerimonie - gli ufficiali

1 [G iu lio Cesare, atto I I , scena I , trad, di Cesare V ico L o d ovic i, To­rin o 1964].

2 ilisto ire (ics sociétés secretes et du parti républicain c it ., p. 1 3 .

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dell’esercito e i sottufficiali. La rivoluzione per cui questi uomini si battevano era in un certo senso qualcosa di arte­fatto, imposto dall’esterno a coloro che ne avrebbero do­vuto trarre beneficio. Le masse come tali non avevano quasi nessun peso nei loro calcoli Essi erano nazionali­sti, quando la massa dei loro concittadini non lo era anco­ra: l ’isolamento dei carbonari e dei mazziniani delle città, dalla massa dei contadini italiani, costituisce l ’esempio quasi leggendario di tale fenomeno. Erano razionalisti - almeno dal punto di vista ideologico, se non da quello or­ganizzativo - quando ancora le masse potenzialmente ri­voluzionarie erano rimaste fedeli alla religione tradiziona­le. (Per un paradosso, il libero pensiero era forse assai più diffuso tra i conservatori moderati o tra i liberali). La li­berazione dell’umanità dalla tirannia, come un vago idea­le, non derivava direttamente, neppure secondo il modo di pensare di costoro, dagli interessi di una classe o di un gruppo particolare. Il fatto che a nostro avviso essi difen­dano o rappresentino una classe particolare, non significa che essi lo abbiano fatto deliberatamente.

La strategia e la tattica delle confraternite classiche, erano dunque quelle di gruppi di élite autoselezionati che imponevano la rivoluzione a una massa inerte e cionondi­meno ad essi riconoscente, o che, nel migliore dei casi, trascinavano all’azione, sul loro esempio e dietro loro ini­ziativa isolata, una massa passiva come nella rivoluzione della Pasqua 1 9 1 6 a Dublino. Persone che agivano isola­te, trovavano i rituali simboleggiami la loro unità e la lo­ro coesione spirituale, non soltanto opportuni, ma indi­spensabili. Quanto più grande era la distanza reale o im-

1 Questa opinione è naturalmente soggetta ad alcune restrizioni, spe­cialmente qualora si considerino i diversi indirizzi politici perseguiti con vario successo dalle diverse logge di tanre confraternite. Alcune eccezio­ni a questa regola generale si allacciano alla mente di ogni studioso, spc d al men te per quanto concerne le società del Meridione d ’Italia. Non si può tuttavia dubitare della sua generale validità. I programmi rivoluzio­nari di queste confraternite, come vengono dettagliatamente descritti ad esempio nell’append ice V I dei Memoirs of the Secret Societies, erano in sostanza gli stessi del classico pronunciamento; in effetti i tradizionali colpi di mano militari della penisola iberica, che sempre si sono fondati su confraternite segrete di ufficiali e soldati, riflettono ancora questa forma.

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maginaria che separava il gruppo dal resto del popolo, tanto più esso era propenso a creare simili convenzioni interne.

Tuttavia la radicale trasformazione verificatasi intorno al 18 30 , per lo meno in una parte del movimento rivolu­zionario, fu costituita dal declino del cospiratore borghe­se e dall’avvento del cospiratore operaio, con l ’affermarsi di una teoria proletaria della rivoluzione. I blanquisti co­stituiscono un classico esempio di questo fenomeno. La dottrina della loro iniziazione, cosi' come ci è stata riporta­ta da De la Hodde per il 18 34 , era già assai chiara. Che cosa è il governo? Un insieme di traditori, che agisce nel­l ’interesse di un piccolo gruppo di sfruttatori: aristocrati­ci, banchieri, monopolisti, grandi proprietari e tutti gli al­tri sfruttatori dei loro simili. Che cosa è il popolo? L ’in­sieme dei cittadini che lavorano e che sono condannati al­la schiavitù. Qual è il destino del proletario sotto il gover­no dei ricchi? Quello di un servo e di uno schiavo. È ne­cessaria una rivoluzione sociale o è sufficiente una rivolu­zione politica? Una rivoluzione sociale. E poco dopo si ve­rificò un mutamento nella composizione dei membri delle società. «L e recrutement qui s ’était fait dans les mauvai- ses couches de la bourgeoisie va s’opérer exclusivement dans les bas-fonds de la classe populaire» La Lega dei giusti era a sua volta un ramo di composizione operaia di­staccatosi dai «fuorilegge» (se si possono chiamare ope­rai gli artigiani specializzati tedeschi). Questo ramo era formato principalmente da sarti, tipografi e calzolai.

1 L a naìssance d e la R é p u b liq u e en jé v r ie r 18 4 8 , B ru xelles 18 5 0 , d i D e la H odde, indica le professioni dei quattro agenti rivoluzionari della Società delle stagioni a partire dal 18 3 9 ; uno stipettaio , un doratore, un incisore d i rame, e lu i stesso, g iornalista (e, possiam o aggiungere, spia del­la polizia). « A lb e r t » , l ’operaio che entrò a far parte del governo p ro v v i­sorio nel febbraio 18 4 8 , vi giunse attraverso la Societé des nouvelles sai- sons, erede di quella d e lle saisons. La Società com unista rivoluzionaria aveva , secondo D e la H o dde, com e suoi p rin cipali m ilitanti un barbiere, un sarto, un m eccanico e uno spaccapietre. L a Società dissenziente (delle nuove stagioni) contava tra i suoi capi due sarti, un ex soldato, un fab b ri­cante di oggetti in paglia, un m ercante di vin i e un m edico (pp. 10 , 15 - 16 ) . L ’attrattiva che il b lanquism o esercitò in seguito sugli in te llettu ali, specialm ente sugli studenti non deve farci d im enticare il fatto che esso sia stato in origine un m ovim ento m olto più sostanzialm ente plebeo delle confraternite segrete intorno al 1820.

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A questo punto, si potrebbe pensare che un tale muta­mento nella composizione dei membri accentuasse il ca­rattere rituale delle organizzazioni, a causa dell’inclinazio­ne che generalmente si riscontra nelle persone ignoranti e politicamente impreparate, verso manifestazioni violente, come i giuramenti e le cerimonie segrete. In effetti (per lo meno nelle organizzazioni blanquiste) le formule del ca­techismo per iniziati, divennero pia rudi e vivaci, quando la (proletaria) Società delle stagioni, si sostituì alla (bor­ghese) Società delle famiglie. Tuttavia, come già vedem­mo, questo catechismo era un documento politico perfet­tamente razionale. Ma tali lievi mutamenti nello stile del­le organizzazioni segrete, non tolgono il fatto che la loro evoluzione in senso proletario segnasse la decadenza di quel rituale di cui non avvertivano più un’effettiva neces­sità, Il rivoluzionario proletario (o l ’intellettuale che ten­deva a identificarsi con esso) non sentivano infatti la ne­cessità di formule romantiche. Entrambi, secondo la teo­ria rivoluzionaria, si muovevano nella direzione e nell’am­bito della corrente storica del proletariato. Se era un ope­raio, non faceva che compiere in modo più efficiente ciò che egli e gli altri lavoratori, che avessero una coscienza di classe, consideravano fosse la strategia adatta alla pro­pria situazione sociale. Per dei lavoratori con una coscien­za di classe, sarebbe stato assai più difficile astenersi dal collaborare o dal simpatizzare con «il movimento». Se invece si trattava di un intellettuale bastava che conside­rasse la situazione dei lavoratori per sentirsi, per quanto individualmente al di fuori della loro classe, partecipe di una collettività naturale. I gruppi di élite cessarono di es­sere unità isolate nella lotta e divennero, secondo la frase di Lenin, l ’avanguardia di un vasto esercito. Forse questa avanguardia doveva ancora essere creata, ma l ’esercito era già pronto. La storia stessa che lo aveva plasmato lo avrebbe consolidato, assicurandone il trionfo. M arx non era contrario alle confraternite segrete, soltanto a causa della sua naturale e comprensibile avversione per le azio­ni politiche maldestre e improvvisate, e quindi anche nei riguardi di persone del tipo di Mazzini, ma perché il suo genere di movimento creava una più forte carica emotiva

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tra un più vasto numero di persone, rispetto a quelle che erano capaci di suscitare le società segrete di stampo mas­sonico.

Allo stato attuale delle nostre cognizioni non è pruden­te spingere oltre le nostre considerazioni. Molto lavoro resta ancora da compiere dagli studiosi (che vanno distin­ti dai curiosi), sulle società segrete rivoluzionarie degli ul­timi centocinquant’anni in tutto il mondo, prima che ci sia consentito di spingerci oltre, in uno studio generale del fenomeno nelle sue grandi linee. Rimangono da chia­rire i rapporti coi movimenti di liberazione nazionale, in quanto distinti da quelli per l ’emancipazione sociale, i le­gami che le uniscono a varie tradizioni locali e gli elemen­ti da esse attinti da tradizioni occidentali, e inoltre i loro contatti coi movimenti primitivi da noi illustrati nei capi­toli precedenti. Ciò che fin qui è stato detto si riferisce al­le confraternite che furono qua e là assorbite direttamen­te o indirettamente dai moderni movimenti operai e so­cialisti, ma non necessariamente ad altre organizzazioni similari.

Questo assorbimento avvenne con notevole facilità; molti dei loro membri, purché fossero dei veri rivoluzio­nari, si trasferirono ai movimenti non rituali e vi svolse­ro ruoli direttivi, come si può constatare seguendo le v i­cende dei membri originari della Lega dei giusti e dei gruppi blanquisti di cui abbiamo notizia. Il carattere di cospirazione segreta nell’organizzazione di cui furono i pionieri, continuò ad essere utile, spogliata del suo con­tenuto rituale, ogni qualvolta la situazione richiedesse una devozione assoluta e una pericolosa attività contro la legge. I bolscevichi di Lenin devono molto più di quanto siano mai stati disposti ad ammettere, a ll’esperienza e ai metodi di lavoro della tradizione buonarrotista e a quello dei narodniki, per quanto Pantiritualismo marxista abbia fatto del suo meglio per creare un’atmosfera di deliberata ed estrema praticità e sobrietà, anche in attività «di cap­pa e spada », che, come indica il loro nome popolare, ten­dono a controbilanciare con una certa dose di romantici­smo la estrema tensione alla quale sono sottoposti coloro che vi partecipano. Le antiche confraternite decaddero,

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dato che nella politica non vi era più posto per le congiu­re, a eccezione di alcune situazioni circoscritte che ancora davano luogo qua e là ad attività del genere al quale le confraternite erano solite dedicarsi. In effetti, il tempo ha in genere risolto il problema delle confraternite. Esse era­no primitive in quanto rappresentavano una forma pre­coce e immatura di organizzazione rivoluzionaria, e dove­vano in qualche modo ricercare un compenso alla loro mancanza di una chiara strategia, di una tattica e di veri e propri programmi politici. Ogni qualvolta i movimenti ri­voluzionari abbiano oltrepassato questo stadio, le confra­ternite diventano superflue, e spesso vengono sommerse, come i blanquisti dopo la Comune, in più vaste attività, parlamentari o meno, che collaborarono alla causa rivolu­zionaria. Tuttavia, il loro primitivismo era in gran parte fortuito; esso risultava dalla combinazione di una forma particolare di attività isolata di élite, con una quantità sto­ricamente determinata di elementi ideologici e organizza­tivi. A differenza di altri movimenti primitivi, illustrati in questo libro, esse appartengono alla storia, piuttosto che alla preistoria, dei moderni movimenti sociali, per quan­to rappresentino i primissimi albori di tale storia.

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Appendice

Documenti in versione originale e testimonianze dirette

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1 . L ettera di Pasquale T an teddu , fuorilegge e bandito (Sardegna, 1954)

2. Il brigante VardareU i aiuta i poveri (P uglie. 18 17)3. Interrogatorio di un brigante borbonico (Italia meridionale, su­

bito dopo il i860)4. D onato M anduzio sm aschera un falso apostolo (San N icandro, su­

b ito dopo il 1930)y U na contadina parla della società giusta (P iana dei G rec i, 1893)6. Una comunità contadina incontaminata dalla città (Ucraina, 19 18 )7. I contadini diffidano del governo (Ucraina, 19 17)8. I l volere dello Zar (Ucraina, 1902, 190.5)9. C o llo q u io con G io van n i Lopez, calzolaio (C alabria , 19 5 5 )

10 . Due sermoni per gli scioperanti (Carolina del Nord, 1929)i r . U n unionista del L in coln sh ire : Josep h Chapm an (A lfo rd , 1899)12 . I « d e c is i» raccom andano un confratello (Lecce, P u glie , 18 17 )13 . G iuram enti segreti (G ran Bretagna, 1830-40; N ap o li, 181.5-20;

P arig i, 1834).

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Attraverso la documentazione qui raccolta non intendo il­lustrare tutti gli argomenti sviluppati nel testo ma solo aiuta­re il lettore - se mai nc avesse bisogno - ad immedesimarsi nei pensieri e nelle convinzioni dei «ribelli primitivi» de­scritti in questo libro. Nella ricerca di queste «testimonian­ze» non ho seguito alcun criterio sistematico ma mi sono li­mitato a riprodurre quei documenti, che nel corso delle varie mie ricerche sull'argomento, mi sono apparsi più significati­vi. Uno di questi documenti consiste nella registrazione di un'intervista effettuata mediante un colloquio di un’ora.

L ’utilità di questi documenti per il lettore può consistere tanto in una mera lettura a lini di rievocazione di atmosfera e di suggestione quanto in un esame analitico soggettivo, alla luce delle argomentazioni del testo, di cui i documenti stessi rappresentano un'illustrazione da vari punti di vista. I nn. i,

6-9 e r i rispondono forse meglio alle esigenze di un esame approfondito. Il n 1 illustra le imprese alla Robin Hood, l ’e­gocentrismo e l'ardore dell'isolato campione e vendicatore dei poveri; il n. 3 la fede «Chiesa e re» e la magia. 11 n. 4 ci porta nell’atmosfera di fervore religioso in cui fiorirono il millenari­smo e le sette operaie. Il n. 5 (il documento sotto vari aspetti più importante) è una chiara esposizione delle idealità dei ri­voluzionari contadini; il n. 6 descrive la realizzazione di tali ideali I nn. 6 e 7 illustrano la profonda diffidenza dei rivolu­zionari contadini per le «città». 11 n. 8 ci mostra la fiducia nel «re giusto» e il disegno millenaristico della «nuova legge», a lungo attesa, e del «manifesto a caratteri d’oro», che istitui­sce la libertà; chiarisce anche la potenza distruttiva dei rivo­luzionari primitivi. Nel n. 9 il lettore può rendersi conto del­l ’interpretazione sociale della Bibbia, dell’anticlericalismo e del senso profondo dell’uguaglianza nonché del singolare bi­nomio amor fraterno - inesorabilità (cfr. anche i nn. 5 e n ) .

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Il n. io ci mostra una coscienza politica estremamente imma­tura e un'interpretazione della religione, fondamentalmente ultraterrena (fautrice della prevalente importanza della sal­vezza dell’anima e della superiorità di Dio sui ricchi della ter­ra) ma risolta in termini di protesta sociale. U n. n contiene spunti millenaristici (cfr. anche i nn. 5 e 9), avversione per preti e «professori aridi c sterili», accenna all'esclusione dal millennio di quanti non sono guidati dallo spirito di Dio ed allo sdegno per l'ineguaglianza sociale; il tutto peraltro prati­camente ammorbidito in un’aria di modesto riformismo. Il n. 12 illustra aspetti pratici delle associazioni segrete nel pe­riodo del loro maggior iulgore. Il n. 13 , ci mostra alcuni giu­ramenti segreti e il tramonto del ritualismo.

i.

Lettera di Pasquale Tanteddu, fuorilegge e bandito.Fonte, r . c a g n e t t a , Inchiesta su Orgosolo, in « N u o v i A rgo m en ti» , settem bre-ottobre 19 54 , pp. 2 0 9 -11 . Pasquale Tanteddu era nato ad O rgosolo nel 19 26 . F in dal 1949 fu un fuorilegge. V en n e condannato in contum acia nel 19 53 dalla C orte di assise di C agliari per i massacri d i V illagran de e «sa v e ru la » , im putato d e ll ’om icidio d i sci carabin ie­ri, tentato om icid io di a ltri nove carabin ieri, due rapine, associazione a delinquere, ecc. V enne assolto, sem pre in contum acia, d a ll’accusa di om icidio in persona di N ico lò , G io v an n i e A ntonio T aras, ritenuti confidenti della polizia. La taglia pagaia nel 19 54 per la sua cattura fu di cinque m ilion i. I l dottor C agnetta, che ha com piuto u n ’appro- fondita inchiesta sociologica su l posto, descrive Tanteddu com e «u n bandito m olto popolare a O rgosolo , poiché è opin ione generale che eg li, a differenza per esem pio di Salvatore G iu lian o , non ha mai com ­messo delitti contro i "p o v e r i” e non ha m ai voluto d iventare servo dei "p a d ro n i"» .

Caro Cagnetta,

informatomi del tuo soggiorno ad Orgosolo per denunciare alla opinione pubblica tramite la stampa la nostra tragica si­tuazione, non essendo possibile farmi intervistare personal­mente da te, per evitare qualche spiata o simili grattacapi, mi faccio scrivere da altri, non sapendo purtroppo neppure fir­mare, e ti indirizzo la presente lettera, al fine di chiarire tutte le menzogne che ripetutamente vengono inserite nelle colonne di giornali, che non ho visto un giornalista, buffoni! e che cir­colano nella bocca di tanti sfaccendati, che cianciano appro­fittando della mia triste condizione di fuorilegge analfabeta. Anzitutto voglio che tu dia bella forma letteraria e corretta ai fatti che mi appresso di sottolineare.

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Voglio partire dalle prime persecuzioni. La prima volta venni accusato di rissa, avevo sedici anni ed ero servo pasto­re. Mentre eravamo nell’ovile un compagno non so per quale pretesa abusando delle forze mi trascinò alle gambe in mezzo la stanza: essendomi trovato col coltello in mano al fine di impaurirlo e lasciarmi andare, mossi la mano e, come s’è spo­stato, la punta del coltello gli bucò la schiena. Venni arrestato, ed assolto dopo sei mesi di carcere dal Tribunale dei minoren­ni di Cagliari.

Nel 1945 fui accusato di un furto di cavalli da un altro ra­gazzo che dopo le torture subite dai carabinieri fu costretto a fare il mio nome e di un altro compagno.

Nel 1947 mentre nella Corte di Nuoro assistevo un dibat­timento mi vidi preso aH’improvviso a spintoni da un carabi­niere, col supposito che facevo bordello. Cercai di insistere, dicendo che ero abbastanza calmo, vistomi insistere il carabi­niere si avventò addosso. Fui acciuffato allora da un nugolo di poliziotti che mi tradussero alle carceri. Accusato di reato di oltraggio e violenza, dopo quattro mesi di carcere, fui con­dannato a quattordici mesi di reclusione.

Espiata la pena lavoravo in casa con un branco di pecore di nostra proprietà e curavo l ’inaffiatura di qualche orto col mio fratello più grande Pietro. Lui aveva fatto il partigiano, aveva capita la vera situazione dello sfruttamento e oppressione dei ricchi contro a noi, poveri. Ed il fatto di esser tali fece andare in bestia i proprietari, come le spie, del paese. E nel 1949 sia­mo stati ricercati solo per questo io e mio fratello al confino di polizia. Abbiamo cercato di sfuggire perché sapevamo di es­sere innocenti. Ma vistici uccel di bosco i mariscialli, spalleg­giati dai ricchi, cercarono di imputarci ogni reato che allora succedeva. Il più fedele «beneamino» fu il maresciallo Lod- do, che ad Orgosolo per due o tre anni ebbe pieni poteri di fare il santo Inquisitore, confinando tutti quelli che manife­stavano di sottrarsi al suo giogo e minacciando il confino ai pregiudicati senza carattere e pagandoli per collaborare con loro. Fecero tante montature criminali fino a giungere alla fa­mosa strage di «sa verula» dove perdettero la vita tutti quei poveri carabinieri che forse ignoravano i folli piani dei mari- scialli Loddo, Ricciu e Serra, i capi Inquisitori del Nuorese. E come per ogni altra strage vennero accusati i fratelli Tan­teddu. Ed anche se tutti gli altri capi di accusa attribuitimi dal Loddo in numero di una diecina mi furono liberati dai giudizii, per quest’ultima, in base ad un accusatore il più in­fame che la storia della Sardegna ricordi, il famigerato Mereu

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Sebastiano, degno servo dei Mariscialli assetati d’ingiustizia e disordine, ini colpito all'ergastolo per ricevere il premio del­la «benemerita» dal sicario siciliano Mario Sceiba (come lo ha dato a Luca dopo che hanno ucciso a tradimento il loro ca­ro amico e massacratore di lavoratori. Salvatore Giuliano). Questo infame confidente, che riuscì di incriminare tanti one­sti cittadini, disse di avermi riconosciuto di una foto che ave­vo fatto in gruppo quando ero ragazzo, e in una occasione che ero inalato di febbre perniciosa deperito al punto che nessun orgosolese riusciva a conoscermi. Mi meraviglio come i Giu­dici abbiano voluto dare credito a un elemento cosi sfondato, e spero che si possa lare giustizia nell’Appello.

Sia per «sa verula» che per Villagrande perché sono inno­cente e non voglio scontare colpe infamemente attribuitemi.

Ed è proprio dall'agire sporco del metodo vile e criminoso dei carabinieri che il paese vive in un conflitto muto e terro­ristico. E per ogni delitto cercano di fare il mio nome.

Infatti la cosidetta polizia, che non sta facendo altro che « sporchizia», cerca di braccarmi con tutti i mezzi. E non po­tendo prendere a me se la prende con i miei parenti. Forse credono che dopo avere arrestato mio fratello, un ragazzo in­censurato dedito alla custodia del gregge, la mia sorella, che dopo la morte della mia povera Madre rimase sola in casa, e il mio povero Babbo, un uomo vecchio e paralitico, che io pos­sa essere indotto a presentarmi.

O pure se fossi - e non lo sono - un criminale, vedendo tante ingiustizie diventassi un agnello.

La prova che non sono un assassino è data dal fatto che selo fossi, per ciò che mi viene fatto dovrei uccidere ogni giorno almeno dieci poliziotti, o sia di quella ridicola marmaglia che Sceiba ha mandato nelle nostre campagne, che chiedono bo­nifica, tecnica, trattore e non poliziotti, mitrie e spie. Che se non sarò proprio destinato a morire non mi prenderanno mai neanche se ne mettono diecimila.

Abborrisco la vita del latitante, ma per galera preferisco cento volte la morte. Soffro molto alla testa se mi chiudono, e allora certo morirei.

L ’unico mio desiderio è di vedere abolito il confino, le ta­glie, la disoccupazione, lo sfruttamento dei lavoratori e vede­re cosi il nostro martoriato paese in via di pace serena e di ci­vile progresso.

Pasquale Tanteddu

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2 .

Il brigante Vardarclli aiuta i poveri.Fo n te. A. L u c a r e l l i , 11 brigantaggio p o lit ico d e l M ezzogiorno.

a) D e M atteis, giudice del T ribu n ale di A n dria , riferisce al procura­tore generale di T ran i, n febbraio 18 17 .

Nel partirsene Don Gaetano Vardarelli a cavallo chiamò il Massaro e ordinò che all’istante si fosse distribuito per ogni operaio di quella Masseria un perrozzo di pane di un rotolo e mezzo, e questa distribuzione che ascendeva al numero di cento, non essendosi potuto fare momentaneamente per tut­ti, perché mancò il pane, Don Gaetano impose al Massaro che avesse adempiuto il giorno appresso al resto della distribu­zione: altrimenti al suo ritorno, uno di questi operai che non avesse avuto il pane, lo avrebbe massacrato egualmente che fece a due Massari di altre masserie.

b) G aetano V ardarelli scrive al sindaco di A tella :

Io, Gaetano Vardarelli, vi ordino e vi comando di chia­marvi tutti i proprietari della Comune di Atella e fargli sen­tire che facessero spicolare tutt'i poveri, altrimenti saranno da me abbrugiati, e dico come dico.

Gaetano Vardarelli, Comandante della Fulminante a cavallo

c) G aetano V ardarelli scrive al sindaco di Foggia:

Signor Sindaco, vi compiacerete partecipare a tutti code­sti proprietari in mio nome che non facessero mangiare la spi­ca delle di loro masserie agli animali neri, ma bensì a farla spi­colare a’ poveri, e se loro sono sordi a questo mio ordine, io gli brucierò tutti i loro averi. Tanto eseguirete, e con stima vi saluto, e vi dico che se io avrò qualche ricorso, che voi non farete eseguire i miei ordini, voi sarete responsabile.

Li 30 giugno 18 17 .Io, Vardarelli

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3 -

Interrogatorio di un brigante borbonico.Ponte, m a f f e i , Brigand L ife m Italy, London 1 8 6 5 , vol. I I , pp. 1 7 3 - 1 7 6 [trad, dal l ’originale in inglese],

g i u d i c e Con questa convinzione, perché tu e i tuoi com­pagni non vi siete arresi? Non sapevate che l ’odio dell'intera popolazione metteva in continuo pericolo la vostra vita? Tu sai che il paese di Sturno, terrorizzato da voci tendenziose sul numero dei briganti che l ’accerchiavano, non fece a tempo a liberarsi dei due ruffiani che vi erano penetrati che si mise di nuovo sotto la protezione dell'esercito di Vittorio Emanuele e benedisse il suo nome e l ’unità d ’Italia.

b r i g a n t e Noi combattevamo per la fede. g i u d i c e Cosa intendi per fede? b r i g a n t e La santa fede della nostra religione. g i u d i c e Ma tu certamente sai che la nostra religione con­

danna i ladrocini, l ’incendio di case, gli assassinii, le crudeltà e tutti i misfatti empii e barbari, di cui ogni giorno si macchiail brigantaggio e di cui tu stesso ed i tuoi compagni vi siete re­si responsabili.

b r i g a n t e Noi combattevamo per la fede e ci aveva bene­detto il Papa e se io non avessi perduto una carta che veniva da Roma voi vi sareste convinto che noi combattevamo per la fede.

g i u d i c e Di che genere di carta si trattava? b r i g a n t e Era una carta stampata, quella che veniva da

Roma.g i u d i c e Ma qual era il contenuto di quella carta? b r i g a n t e Diceva che i veri briganti sono i piemontesi,

che hanno portato via il regno a Francesco II, che loro sono scomunicati e noi siamo benedetti dal Papa.

g i u d i c e In nome di chi era scritta quella carta e che fir­me c’erano?

b r i g a n t e La carta era un ordine di Francesco II, ed era firmata da un generale che aveva anche un altro titolo che non ricordo, come non ricordo il nome. C ’era attaccato un na­stro, con un sigillo.

g i u d i c e Di che colore erano il nastro e il sigillo, e che cosa era impresso sul sigillo?

b r i g a n t e II nastro era bianco, come il lino, e il sigillo era bianco e portava impresso Francesco II, si parlava di Roma...

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g i u d i c e Non è possibile ammettere o supporre che il Pa­pa possa benedire tali nefandezze o che Francesco II possa umiliare la propria dignità di re ordinando uccisioni, estor­sioni e incendi, anche se, con tali sistemi disonorevoli, possa sperare di recuperare la corona; quello che hai detto deve es­sere falso.

b r i g a n t e Avete portato i bersaglieri e sto per essere fu­cilato, ebbene poiché so che sto per morire, vi dico che quella carta l ’avevo e che c’era scritto proprio tutto quello che vi ho detto e se avete arrestato con me anche qualcun altro dei miei compagni, vi convincerete allora che non ho mentito.

g i u d i c e Non mi meraviglio che tu tenga legato sul petto con una stringa un pezzo della corona di Francesco II , come una medaglia, perché tu, quando uccidi ed esigi taglie e de­predi, credi di combattere per lui. Ma è incredibile che tu, nel perpetrare queste nefandezze, possa volere a testimone e, ose­rei dire, se non fosse una bestemmia, a complice dei tuoi de­litti la Vergine benedetta, portando sul tuo petto queU’imma- gine insudiciata della Madonna del Carmine. Basta questo per convincermi che la tua religione è più empia e malvagia di quella dei diavoli, se i diavoli hanno una religione. Questa è la beffa più infernale che si possa fare a Dio!

b r i g a n t e I o e i miei compagni abbiamo la Vergine come nostra protettrice e se io non avessi perduto il documento con la benedizione, certamente non sarei stato tradito.

Informato che l ’ora della esecuzione era prossima, rispose: «Confermerò tutto quello che ho detto al confessore, che spe­ro mi sarà concesso».

4 -

Donato Maniuzìo smaschera un falso apostolo.

Fonte, r .l e n a c a s s i n , San Nicandro, H isloire d ’une conversion, P a ­ris 19 57 , pp. 28-30. D onato M anduzio fu il fondatore cd il capo di una piccola com unità di con vcrtiti a ll ’ebraism o a San N icandro, in pro­vincia di Foggia, P uglie. La com unità fu fondata intorno al 19 30 e da a llora la m aggior parte dei suoi mem bri è em igrata in Israele. 11 g io ­vane che si è recato da M anduzio (presum ibilm ente sotto l ’ influsso di letteratura d istribuita da m issionari protestanti) è convinto di essere il cavallo bianco d e ll’A pocalisse ( « E io v id i e osservai un cavallo bianco: e colui che gli stava in groppa aveva un arco: e sul capo gli stava una corona: e procedeva conquistando e andando a conquista­re » , R ivelazione 6 .2). S i pensa che egli stia chiedendo a M anduzio, no­ve llo C risto , di entrare in R om a, che è G erusalem m e. I l parallelo con re P ip in o è tratto dai Reali d i Francia, una raccolta di racconti caval­lereschi m olto popolari n e ll’ Ita lia m eridionale e che, sia detto per

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inciso, era la principale lettura profana di Davide Lazzaretti. L ’episo­dio illustra il fermento apocalittico, intenso ma appena incipiente, in una società contadina a struttura feudale.

Una sera, era giovedì', venne da lui un giovane e gli chiese se quella era la casa di Israele, Dichiarò di essere «un inviato del Signore», venuto ad annunziare il prossimo avvento del Regno dei cieli, ed aggiunse «Io sono il Cavallo Bianco». Manduzio era sospettoso e guardingo ma il giovane continuò a parlare della Bibbia e del popolo eletto finché a Manduzio non rimase che invitarlo a cenare e a dormire, come avrebbe fatto il patriarca Abramo in una situazione del genere. Il gior­no dopo il giovane dichiarò che Donato era un Dottore della legge e che essi dovevano scrivere al Rabbino di Roma di mandarlo a chiamare a Roma. I sospetti di Donato aumenta­rono e per mettere alla prova il giovane lo invitò a scrivere lui stesso a Roma... Il giovane scrisse la lettera. Quella sera già co­minciò a manifestarsi la sua «malizia». Manduzio gli chiese all’improvviso «chi è il vero Figlio di Dio? » e il giovane - in ossequio al motto «colui che ha fiele nello stomaco non può vomitare zucchero» - rispose senza esitare «Gesù Cristo». Donato allora rispose che, secondo Isaia 56.4-5, tutti coloro che osservano il Sabato e la legge sono figli del Signore. Dopo questo incidente, che ebbe luogo venerdì sera, Donato pregò Dio di manifestargli con una visione la verità sullo sconosciu­to; e quella notte egli vide un albero e su di esso una ragazza con una roncola. Gli mostrò un ramo secco e gli disse di ta­gliarlo perché era marcio. Donato cominciò a tagliare il ramo e la visione spari. Donato rifletté: la visione era chiara: biso­gnava mandare via il giovane.

La mattina del sabato, come d'uso, il piccolo gruppo di Fratelli e Sorelle si radunò nella casa di Manduzio: una lam­pada ad olio illuminava la cerimonia. Arrivò il giovane, e, vi­sta splendere la lampada, gridò: «non c’è più bisogno di lam­pade perché è arrivato il Messia». Manduzio gli rispose che mentiva ma che, se fosse stato un uomo buono, Dio lo avreb­be perdonato. Il giovane replicò che il cattivo era lui, Mandu­zio, che gli negava fiducia. A questo punto intervennero i Fra­telli e le Sorelle per chiedere a Donato di lasciare in pace il giovane, che credesse o facesse quel che voleva. Manduzio an­notò nel diario come in quel momento avesse capito che i fi­gli di Israele «erano capaci di uccidere il vero profeta per se­guire il cattivo pastore che aveva trasgredito la Legge» (iR e 19 .14). Ma l ’immagine che gli si affacciò spontaneamente al­la mente fu quella del Re Pipino, quando, accortosi del tradi­

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D O C U M E N T I E T E S T I M O N I A N Z E 2 3 3

mento di Elisabetta, che aveva preso nel letto il posto di Ber­ta, voleva gettare nel fuoco la traditrice e le due figliolette che aveva avuto da lei, ma quelli che gli stavano intorno glie­lo impedirono.

5 -

La società giusta.Fonte. Adolfo r o s s i , L ’agitazione in Sicilia, Milano 1 8 9 4 , pp. 69sgg. Parla una contadina di Piana dei Greci (in provincia di Palermo),intervistata da un giornalista settentrionale durante la rivolta conta­dina del 1 8 9 3 .

- Vogliamo che come lavoriamo noi, lavorino tutti. Che non vi siano più né ricchi né poveri. Che tutti abbiano del pa­ne per sé e per i figli. Dobbiamo essere uguali. Io ho cinque bambini e una sola cameretta, dove siamo costretti a mangia­re, a dormire e a far tutto, mentre tanti signori hanno dieci o dodici camere, dei palazzi interi.

- E cosi vorreste dividere le terre e le case?- No, basta metterle in comune e distribuire con giustizia

quello che rendono.- E non temete che, anche se si arrivasse a questo colletti­

vismo, non venga fuori qualche imbroglione, qualche capo in­gannatore?

- No, perché ci deve essere la fratellanza e se qualcheduno mancasse ci sarebbe il castigo.

- In quali relazioni siete coi vostri preti?- Gesù era un vero socialista e voleva appunto quello che

chiedono i Fasci, ma i preti non lo rappresentano bene, spe­cialmente quando fanno gli usurai. Alla fondazione del Fascio i nostri preti erano contrari e al confessionale ci dicevano che i socialisti sono scomunicati, Ma noi abbiamo risposto che sba­gliavano e in giugno, per protestare contro la guerra che essi facevano al Fascio, nessuno di noi andò alla processione del Corpus Domini. Era la prima volta che succedeva un fatto simile.

- Le autorità e i signori accusano alcuni Fasci di accogliere nel loro seno anche pregiudicati per reati commessi. Ne avete iscritti voi?

- Si. Ma non sono che tre o quattro su qualche migliaio di soci. E noi li abbiamo accettati per migliorarli, perché se han­no rubato qualche po’ di grano lo hanno fatto unicamente per­

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che spinti dalla miseria. Il nostro presidente ci ha detto chelo scopo dei Fasci è di dare agli uomini tutte le condizioni per non delinquere. In mezzo a noi i pochi pregiudicati sentono di appartenere'ancora alla famiglia umana, ci sono riconoscen­ti di averli accettati come fratelli malgrado le loro colpe e fa­ranno di tutto per non commetterne più. Se fossero cacciati anche dal popolo, commetterebbero altri delitti, La società dovrebbe anzi ringraziarci se li ammettiamo nei Fasci. Noi siamo per il perdono, come Cristo.

6 .

Una comunità contadina incontaminata dalla città.Fon te. N e s t o r m a c h n o , L a revo lu tio n russe en U kra in e. M ars 1 9 1 7 - A v r il 1 9 1 8 , P aris 19 2 7 , pp. 297-99. L a com unità apparteneva al grup­po di qu elle fondate a G u lja j-P o le , rocca forte di N estor M achno, nel­l ’U craina m eridionale, fra il D nepr e il D on, a nord del mar d ’A zov. M achno (dalle cu i m em orie è tratto questo brano) era un anarchico d i estrazione paesana, che possedeva n otevoli doti di capo m ilitare e le cui form azioni contadine, indipendenti sia dai bolscevich i che dai bianchi (ma a lleati ai p rim i, contro i secondi) ebbero un ruolo decisi­v o nella guerra c iv ile in U craina. L u i stesso ci descrive, con notevole precisione, le caratteristiche d e ll ’anarchism o contadino. L e sue interes­santi m em orie, salvo che per il prim o volum e, sono d isp o n ib ili solo in lin gu a russa. P urtropp o la storia del M achn ovstin a è stata scritta esclusivam ente da apologeti, che l'h ann o idealizzata e sublim ata, o da detrattori, che l ’hanno denigrata. La m ig lior trattazione d i questo m o­vim ento è ancora quella d i P . A rsin o v , in russo, tedesco, francese e italiano (p . a r s i n o v . Storia d e l m o vim en to m achnovista 1 9 1 8 - 1 9 2 1 , N ap oli 19.54. pubblicata per la prim a vo lta nel 1922).I pom escik i sono gli aristocratici e la ricca borghesia terriera. I ku- la k i sono i contadin i indipendenti ricchi. Sch o d y (tradotto con assem ­blee d i villagg io ) sono le period iche riun ion i della com unità del v il­laggio al com pleto.

In ognuna di queste comunità c ’era qualche contadino anarchico ma la maggioranza dei membri non lo era. Nondi­meno, nella vita della comunità, il comportamento di costoro era improntato a quel solidarismo anarchico di cui sono capa­ci, nella vita comune, soltanto quei duri lavoratori, la cui na­turale semplicità non sia stata ancora corrotta dal veleno poli­tico delle città. Infatti le città emanano un tanfo di menzo­gna e di tradimento, che riesce a contaminare perfino molti di coloro che si considerano anarchici.

Ogni comunità comprendeva dieci famiglie di contadini ed operai, per un totale di cento, duecento o trecento membri. Per disposizione del Congresso regionale delle comuni agri­cole ogni comunità riceveva un’idonea estensione di terra,

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quanta cioè potessero coltivarne i suoi membri, nelle imme­diate vicinanze della comunità, ricavata dalla proprietà già ap­partenente ai pomesciki, donde venivano tratti anche bestia­me ed attrezzi agricoli.

Cosi i liberi lavoratori si mettevano all’opera, al canto di inni di libertà e di gioia, che rispecchiavano lo spirito della Rivoluzione e quello dei lavoratori che erano morti per essa0 che avevano combattuto lunghi anni per il grande ideale della giustizia, che deve trionfare sull’iniquità e diventare la fiaccola dell’umanità. Essi seminavano ed accudivano ai loro orti, pieni di fiducia in se stessi e ben fermi nel proposito di non permettere mai agli antichi proprietari di riprendersi quella terra che i contadini avevano appena strappato dalle mani di chi non l'aveva mai lavorata...

Gli abitanti dei borghi e dei villaggi circostanti non ave­vano ancora conquistato una piena coscienza politica e non si erano ancora liberati dal servaggio dei kulaki. Perciò erano gelosi dei comunardi e, più di una volta, esternarono il pro­posito di riprendersi tutto quello - bestiame ed attrezzi - che1 comunardi avevano tolto ai pomesiiki per dividerselo tra loro. « I liberi comunardi possono sempre ricomprarlo da noi in seguito», dicevano... Tuttavia questa opinione era giudi­cata con severità nelle assemblee generali di villaggio dalla maggioranza assoluta dei lavoratori, che vedevano nelle comu­nità agrarie il germe fecondo di una vita sociale nuova, la qua­le, quando la Rivoluzione avesse attinto il vertice della pro­pria marcia trionfale, avrebbe continuato a svilupparsi e ad accrescersi, incoraggiando l ’organizzazione di una società ana­loga nell’intero paese o almeno nei villaggi e nei borghi della regione.

7 -

I contadini diffidano del governo.

F o n te, m a c h n o , h a revo lu tio n russe en U kra in e c i t . , p p . 166-67. P er quanto G u lja j-P o le non fosse poi cosi isolata, le notizie della R iv o lu ­zione d ’ottobre non vi giunsero che alla fine di novem bre o agli inizi d i dicem bre. L a sfiducia nei governi, di cui è cenno in questo brano, non im pedì ai contadini di accogliere con fa \« fc le notizie della R iv o ­luzione, specialm ente nelle regioni di Zaporoz’e e della costa del mar d ’A zov , poiché vedevano nella R ivo lu zio n e l ’avallo ed il con solida­m ento deile loro conquiste di terra d e ll ’agosto 1 9 1 7 [ ib id ., p. 16 5 ). La prin cipale form azione rivoluzionaria a G u lja j-P o le era costituita da­gli anarchici (onde era preved ib ile l ’assoluta sfiducia dei b olscevich i); è però indub itab ile che sentim enti del genere di quelli riflessi nel bra­

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no seguente debbano essere st.iti largam ente condivisi dai contadini non politicizzati, nel cui anim o secoli di oppressione avevano alim en­tato u n ’ostilità passiva e rassegnata verso tutte le autorità estranee al­la com unità del villaggio .

La massa dei duri lavoratoli ucraini, e specialmente dei contadini dei villaggi di condizione servile, nel nuovo gover­no socialista-rivoluzionario (del novembre 19 17) non videro granché di meglio di qualsiasi altro governo del genere di quelli la cui esistenza si era manifestata loro solo al momento in cui depredava i contadini con le tasse, reclutava soldati o si inseriva con qualche altra azione violenta nella dura vita di quelli che lavorano. Era frequente afferrare i discorsi con cuii contadini esprimevano la propria vera opinione sui regimi prerivoluzionari e rivoluzionari. Sembravano scherzosi ma in realtà erano estremamente seri e sempre pieni di sofferenza e di odio. «Dopo che ci siamo sbarazzati del pazzo (durak) Ni- kol'ka Romano, - dicevano, - un altro pazzo ha cercato di prenderne il posto, Kerenskij, ma anche lui ha dovuto andar­sene. Chi farà adesso il pazzo a nostre spese? Il signor Le­nin? » Erano queste le loro domande. Ed altri dicevano: «Noi non possiamo fare a meno di qualche "pazzo” (e con la paro­la durak intendevano sempre il governo). Le città non hanno altro scopo che questo. È l ’idea ed il sistema delle città che è cattivo. Esse favoriscono l ’esistenza del durak, il governo». Cosi dicevano i contadini.

8 .

I l volere dello Zar.

1. Poltava 1902.Fonie. Resoconto dei disordini agrari nel gubernija d i Pollava, in« Istoricesk ij V estn ik » , aprile 130 8 , riprodotto in R. l a b r y , Autour duM oujik, Paris 19 23 .

L ’intero nostro villaggio prese parte al saccheggio della proprietà Cernigov. Fu compiuto con tale rapidità che a mez­zogiorno era tutto finito. I contadini fecero ritorno a casa can­tando, pieni di gioia. Eravamo a tavola. Avevamo appena mandato giù la prima cucchiaiata di minestra che (io ricevetti un) biglietto... ci informava che alle tre anche noi avremmo subito il saccheggio... Non era ancora scoccata l ’ora fatale che si presentò il fattore ad annunziare che i contadini stavano per arrivare...

- Perché siete venuti? - chiesi loro.

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- Per avere il grano, per chiederti di darci il tuo grano, - risposero insieme molte voci.

- Cioè, siete venuti a saccheggiare?- A saccheggiare, se lo preferisci, - rispose dalla folla un

ragazzo che fino allora era rimasto in silenzio.Non potetti trattenermi dal ricordare loro come li avessi

trattati per tanto tempo.- Ma che possiamo farci? - risposero diverse voci. - Non

lo stiamo facendo per noi, ma in nome dello Zar.- Questo è l ’ordine dello Zar, - disse una voce tra la folla.- Quest'ordine dello Zar l'ha diffuso in tutti i distretti un

generale, - disse un altro.Infatti all’inizio dell’agitazione si era diffusa nella popola­

zione la voce che era arrivato da Pietroburgo un generale, un emissario dello Zar, con la missione di bandire al popolo un proclama scritto «a caratteri d ’oro»... Si diceva che falsi ser­genti di polizia circolassero per i villaggi, distribuendo al po­polo cosiddetti «decreti». 1 contadini sono inclini a credere tutto ciò che giovi al loro interesse. Cosi accettavano le dice­rie sul preteso generale. Nessuno dei miei vicini lo ha visto: ma l ’ha visto un tale o un altro tale ed è bastato questo perché tutti credessero nella reale esistenza di questi impostori e del­la loro missione.

- Comunque, barin, - dicevano i vicini, - se non darai nul­la ai tuoi contadini, verranno a prenderselo gli estranei. Se in- vese si saprà che sei stato saccheggiato, non verranno. Noi non vogliamo farti del male. Ma gli altri, chi lo sa cosa po­trebbero farti?

2. Cernigov 1905.Fonte. I disordini agrari nel gubernìja d i Cernigov nel 1905, in«Istoriceskij Vestnik», luglio 19 13 , riprodotto in l a b r y , Autour duM oujik cit.

Durante la fase più violenta della rivolta ed anche dopo la fine del movimento, l'atteggiamento dei contadini nei con­fronti delle autorità rimase assolutamente corretto. I funzio­nari non avevano timore a mostrarsi nelle campagne, special- mente giudici istruttori e sostituti procuratori, obbligati a spostarsi attraverso l ’intera provincia per motivi del loro uf­ficio. Quanto poi ai membri della polizia, costoro, salvo rare eccezioni, non si fecero mai vedere nei villaggi durante i sac­cheggi. I buoni rapporti tra contadini e magistrati sono con­fermati con estrema evidenza dagli avvenimenti del villaggio

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di Recki, nel distretto di Gorodnja, dove si verificarono con­temporaneamente il saccheggio della fattoria di proprietà En- ko e un pogrom contro gli ebrei. Durante il saccheggio della fattoria, i rivoltosi si avvicinarono alla abitazione del magi­strato inquirente del luogo, che alloggiava in una delle case di Enko, ma la risparmiarono. Si udirono voci tra la folla: « Il giudice è uno dei nostri, lavora per una crosta di pane». L ’a­bitazione non venne toccata...

Una grandissima parte di quelli che prendevano parte alle sommosse si rifiutavano di considerare criminali, anche in mi­nima parte, le proprie azioni, poiché, secondo il loro punto di vista, non facevano che rivendicare i diritti loro concessi. Cre­devano perfino di contribuire, con le sommosse, al trasferi­mento delle terre dalle mani dei proprietari alle proprie, rea­lizzando cosi i diritti che erano stati loro riconosciuti. Solo co­si si può spiegare perché, nel saccheggio delle proprietà, essi distruggessero, con furia particolare, aranceti e giardini - che per loro non presentavano utilità di sorta - e quadri e mobi­lio delle abitazioni, in una parola tutto ciò che essi considera­vano non necessario per la vita ma segno di agio e di lusso. Risparmiavano invece il bestiame ed avevano cura di non di­struggere le scorte di grano.

Molti contadini erano convinti di essere autorizzati ad ap­propriarsi dei beni della nobiltà e degli ebrei da proclami im­periali. Che questa fosse la loro convinzione è dimostrato con particolare evidenza da quanto accadde nel villaggio di Kus- siey, nel distretto di Gorodnja... Il 26 e 27 ottobre alcuni con­tadini fecero ritorno a Kussiey dal villaggio di Dobrjanka, tra­sportando il bottino ricavato da un pogrom contro gli ebrei. Tutti furono allora convinti che una legge nuova permettesse a chiunque di prendersi quel che voleva dove voleva. L ’esi­stenza di questa nuova legge fu enunziata con certezza e con­fermata da due contadini di ritorno dal lavoro dai paraggi di Cernigov, Vasilij Sinenko e Kiril Evtusenko. Costoro affer­marono che i pogrom contro nobiltà ed ebrei si erano verifi­cati nel gubernija di Kiev e in altre province proprio in base a quella legge...

L ’atteggiamento tenuto dai saccheggiatori nei confronti degli ordini delle autorità è illustrato dal caso che segue, emerso dall’istruttoria giudiziaria e confermato nel processo. Subito dopo il pogrom di Repki la polizia arrestò e tradusse alle carceri di Cernigov settanta contadini colpevoli di avervi preso parte. Al trasporto dei prigionieri da Repki a Cernigov, su una distanza di trentatre verste, furono comandate soltan­

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to due guardie campestri disarmate, per giunta contadini del­lo stesso villaggio, molto probabilmente immischiati nella fac­cenda. Quando il convoglio si fermò per la notte a metà stra­da, a Rojcenskij, tre prigionieri dissero alle guardie che ave­vano ancora delle faccende da sistemare a casa, fecero ritorno a Repki la stessa notte, appiccarono il fuoco alla casa del con­tadino Fédor Redkij, che si era opposto al pogrom ed aveva informato le autorità; poi, per non rimanere indietro, prese­ro un carretto e raggiunsero i compagni. In carcere riferirono l ’accaduto.

9 -

Colloquio con Giovanni Lopez, calzolaio.F o n ie . R e g i s t r a z i o n e d i E . J . H o b s b a w m n e l s e t t e m b r e 1 9 5 5 a S a nGiovanni in Fiore, Calabria, nella bottega del Lopez.

Giovanni Lopez, calzolaio, di San Giovanni in Fiore, di circa 50 anni.

Sono nato nel 1908, nella mia vita ho fatto una cinquanti­na di mestieri: guardiano di capre, sbrigafaccende, sacresta­no, servitore, calzolaio, non posso neppure contarli tutti. Mio padre mori quando avevo sette od otto mesi e noi eravamo molto poveri, veramente molto poveri. Diventai guardiano di capre intorno ai sei anni, e mi convinsi che i ragazzi sono gli schiavi ed i servi di tutti. Poi mi presero i preti, diventai sa­crestano e fimasi con loro per anni. Poi ne ebbi abbastanza dei preti e li lasciai. Mi dissero: «è meglio che tu impari un mestiere». Cosi trovai un brav’uomo, che mi prese con sé, mi insegnò il mestiere di calzolaio e mi dette un salario decente. Penso che avevo ragione. Il Signore ha detto: «mangerai il pane con il sudore della fronte», e non con le mani pulite co­me i preti, ecco perché è meglio fare il ciabattino; però so an­cora un po’ di latino e posso quindi discutere coi preti.

Ho fatto il servizio militare, ma dopo sono sempre rimasto qua, a San Giovanni. Ero figlio unico, ora sono sposato con due figli; il maschio è falegname ed ha una bella bottega, per­fino col motore elettrico, la femmina si sposerà a Natale. Al­lora resterò solo con mia moglie. Mio padre e mia madre era­no socialisti tutti e due. Dovete capire, a quei tempi non c’erail partito comunista. Conservo ancora le loro tessere ed i loro ritratti a casa, dove li ho tenuti nascosti durante il fascismo. Naturalmente io sono comunista. Il Signore disse: «cacciate dal tempio i profittatori». Mi piace quello che 1 preti dicono

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ma non quello clic fanno. Se tu mi dicessi che questa suola è di cuoio e io scoprissi invece che è di cartone, direi che sei un bugiardo. La Bibbia va d ’accordo con il comuniSmo. Conosci la parabola della vigna. Il Signore disse: «darò a lui quanto ho dato a te». Questa è la prova che dovrebbe esserci ugua­glianza. Se piove, dico che dovrebbe piovere per tutti. Ma se piove per me, operaio o calzolaio, e non per te, benestante o autorità, allora mi ribello. Guarda che non mi sto lamentan­do, Sono un buon calzolaio, lavoro per i carabinieri di qui e per i cantonieri. Il governo mi lascia lavorare perché sono un buon calzolaio e non perché sono comunista.

Il nostro paese, San Giovanni, è un bel paese, bene attrez­zato. Abbiamo quattro mulini, venti o venticinque anni fa ci hanno dato l'elettricità e lo scorso giugno abbiamo avuto an­che il telefono. C ’e un gran movimento e brava gente, il sin­daco è un brav’uomo, un capomastro. Eravamo schiavi e ora siamo liberi. Guarda tutti quei ritratti che ho al muro: Stalin, Togliatti. Li ho ritagliati dai giornali. Sotto il fascismo non avremmo potuto avere questo. La libertà è una gran cosa. Io vado d'accordo con la gente, anche con quelli che erano fasci­sti e che ora stanno rispuntando fuori. Non porto loro ranco­re, perché noi comunisti vogliamo soltanto il benessere e la felicità di tutti gli uomini. Vogliamo la pace, perché la guerra non porta mai nulla di buono. La ragione per cui discuto coni preti è che loro dicono si pace, ma con la spada, e io non so­no d’accordo. Io sono per la pace con tutti, ma non con i la­dri e gli imbroglioni. Tagliate loro le mani, dico.

10.

Due sermoni per gli scioperanti di Loray, nella Carolina del Nord, 1 9 2 9 .

I o n ie D a l l o « C h a r l o t t e O b s e r v e r » e dal « B a l t i m o r e S u n » , c i t a t i da p o i ’ ! ' , M itlk iw d s and Preachers c it .

i . «Non ho mai implorato aiuto. Non ho mai chiesto aiu­to a nessuno. Sarei quasi morto di fame se qualcuno non mi avesse aiutato, ma nessuno di Lorav mi ha aiutato; l’aiuto è venuto da qualcuno di fuori».

Ci furono acclamazioni... «Ma, - disse, - non dovete pen­sare che questa lotta per ottenere qualcosa da mettervi addos­so e da mangiare vi porterà in cielo, perché cosi non sarà. Voi dovete essere solo dei buoni soldati per il Signore, come Io siete mentre lottate e faticate per vivere. Si, alcuni di voi si

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sentono bruciare, ma non dimenticate che c'è un posto che brucia ancora più di questo che vi attende e che conduce al­l'interno ».

Il predicatore ordinò che alzassero la mano quelli che era­no stati salvati dal sangue di Cristo; soltanto una diecina al­zarono le mani. Egli raccontò delle sue esperienze, varie e nu­merose, e ricordò di aver visto tre compagni uccisi sul colpo. Dopo essersi riferito ai testi sacri, osservò molto sottilmen­te: «Non vorrei trovarmi nei panni di certuni della contea di Gaston, che conosco, i quali derubano Iddio». Questo provo­cò grandi applausi.

2. Gli scioperanti, rifugiatisi sulla montagna, oggi sono tornati. II. J. C rabtree , ministro della Chiesa di Dio, inginoc­chiato su di un vecchio bancone, salvato dalla distruzione del quartier generale degli scioperanti, ha invocato l'aiuto di Dio sullo sciopero. iMentre il vecchio pregava, un gruppo di scio­peranti stava a testa china e, come egli si è avvicinato, una dozzina di essi si è associato all'«amen»... Poi il fratello Crab­tree si è messe.) a predicare. «Liberami, o Signore, dall’uomo perverso; tienimi lontano dall'uomo violento». «Chiamo Dio a testimoniare chi è stato violento in questo sciopero, - ha detto il predicatore. - Ma dobbiamo sopportare. Paul e Silas hanno dovuto tarlo, e ora essi cantano intorno al grande tro­no bianco. Tra pochi giorni anche voi andrete cantando per le strade di Lorav con un buon salario. I poveri sono vicini al Signore. Gesù Cristo stesso nacque a Betlemme in una vec­chia capanna. Fu percosso, trafitte' con le lance ed alla (ine in­chiodato ad una croce. E per che cosa.' Per il peccato. È il pec­cato la causa di questi disordini. Il peccato del ricco, di chi crede di essere ricco...

Tutti i ricchi che si trovano in mezzo a questa folla, alzino la mano. Io alzo la mia per primo. Mio padre possiede l'inte­ro mondo. Egli possiede ogni collina di questo mondo ed ogni zolla di queste colline».

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Un unionista del Lincolnshire: Joseph Chapman.Fonti' k f x c: r u s s a i . T h e R evo lt o f the F ie ld in L in es (Lincoln­shire ( ’uuntv Committee of the National Union of Agricoltura! Wor­kers), pp i? 7 , 138. Il brano è tratto da un opuscolo pubblicato da Chapman nel 1899. Si fece metodista prim itivo nel 1836 (a quattor­dici anni).

Sono stato tra i Primitivi del distretto di Alford per oltre trenta anni, Ho lavorato come predicatore per la causa di Cri­sto... Quando comparve ad Alford la prima unione sindacale, m’intcressai moltissimo ad essa... Non essendo stipendiato, di giorno lavoravo per vivere e di notte andavo a tenere discorsi per l'unione... Nell'anno 1872 è nata l'unione sindacale. Io, Joseph Chapman, con Joseph Arch e William Banks di Bo­ston abbiamo dato la nostra eloquenza, il nostro cervello, il nostro cuore, la nostra influenza per il progresso dell’unione. Noi non crediamo, che signori e dame, preti e mogli di preti debbano essere considerati sacri e i contadini soltanto stracci. Pensiamo che non sia giusto che l ’ozioso segga a banchetto ed all’operoso rimangano crosta e briciole. Oso affermare che ab­biamo fatto di pili noi in Inghilterra per l'emancipazione de­gli schiavi bianchi che tutto il clero moderno messo insieme... Credo che non sia lontano il momento in cui Dio manderà al­la sua Chiesa nuovi apostoli e profeti, che faranno visita ai poveri vecchi e si informeranno come possano vivere con i tre scellini alla settimana che passa loro la parrocchia, spese per carbone e luce a parte, e protesteranno energicamente contro tale crudeltà e pregheranno intensamente Dio perché uccidao converta i professori aridi e sterili. Avverto i presagi della grande unione che si verificherà quando il principe, il borghe­se ed il contadino si uniranno e collaboreranno per il bene co­mune. E tutti guidati dallo spirito di Dio. Cosi sarà un giorno e sarà grande come il mondo intero, il mondo unito.

1 1 .

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1 2 .

I «decisi» raccomandano un confratello.Fonie Memoirs ot the Scerei Societies of the South of Italy, parti­cularly the Carbonari, London 18 2 1, pp. 130 , 132 .

S.D.S.(La Decisione Salentina [loggia]. Salute) n, 5 Gran Massoni L.D.D.T.G.S.A.S.D.C.I.T.D.U. ecc.

(La Decisione [loggia] di Giove tonante spera di muovere guerra ai tiranni dell’universo ecc.),

II mortale Gaetano Callieri è un Fratello Deciso, n, 5, ap­partenente alla Decisione di Giove tonante, estesa sulla faccia della terra, per sua Decisione, ha avuto il piacere di apparte­nere alla Decisione Salentina Repubblicana. Invitiamo, per­ciò, tutte le Società filantropiche ad offrirgli il loro forte brac­cio e ad assisterlo nei momenti di bisogno, essendo egli arri­vato alla Decisione di avere libertà o morte. Datato il giorno 29 ottobre 18 17 .

Firmato . . . .Pietro Gargaro (il Gran Maestro Deciso n. 1) Vito de Serio, Secondo Deciso Gaetano Caffieri, Registratore del Morto

Le lettere L .D .D .T . ecc. e qualche altra iniziale sono scritte col san­gue. 1 quattro puntini sopra il nome del Gran Maestro stanno ad in­dicare il suo potere di emettere sentenze di morte. Sugli angoli supe­riori del foglio figurano due teschi con la scritta «Tristezza» c «M or­te» , sugli angoli inferiori due gruppi di ossa incrociate, legate insieme da un nastro, con la scritta «Terrore» e « Lu tto» e due timbri: i fasci e il berretto frigio su una testa di morto fra due scuri; e un fulmine che, partendo da una nuvola, colpisce una corona e una tiara. La log­gia agiva a Lecce, in Puglia.

13-Alcuni giuramenti segreti.

1. La Corporazione dei cardatori di lana.F o n te Character, O b jects and E ffects o f Trades U nions, L o n d o n 1S34 , p. 66.

Io, A. B., cardatore di lana, trovandomi alla presenza au­gusta del potente Iddio, dichiaro volontariamente che perse­

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vererò nella lotta per sostenere una fratellanza, denominata Società di mutuo soccorso fra operai delle manifatture tessili e di altre industrie, e dichiaro solennemente e prometto che non mi opporrò mai ai suoi tentativi di difendere i salari, ma l ’assisterò lino al limite delle mie possibilità, in tutte le occa­sioni giuste e legittime, per ottenere una paga adeguata al no­stro lavoro. E chiamo Dio a testimone di questa mia solenne dichiarazione, che cioè né speranze, né paure, né ricompense, né punizioni e neppure la stessa morte mi indurranno mai, di­rettamente o indirettamente, a dare informazioni su alcunché che riguardi questa loggia, o ogni altra loggia della società; né lo scriverò, né farò in modo che si scriva, su carta, legno, sab­bia, pietra o qualsiasi altro mezzo che possa farlo sapere, a meno che non ne sia autorizzato dalle autorità dell'associazio­ne. E non permetterò mai che denaro appartenente all’associa­zione venga diviso o preso per qualsiasi altro scopo che non sia l'uso della società o il sostegno della professione. Perciò, Signore, aiutami e mantienimi fedele a questa solenne pro­messa; e se mai dovessi rivelare parte di questo solenne giura­mento, possa la società cui appartengo giustamente disprez­zarmi finché io viva, e possa ciò che ora sta davanti a me tra­scinare la mia anima in un perenne abisso di disperazione. Amen.

2. Il giuramento dei carbonari.Tonte. M cviotrs o f the Secret So cieties o f the South of h e y . 1S21,P-

Io, N. N., prometto e giuro sullo statuto generale dell'Or­dine e sopra questa spada, strumento vendicatore dello sper­giuro, di mantenere scrupolosamente il segreto della Carbo­neria; di non scrivere né disegnare né dipingere nulla che la riguardi, senza prima averne avuta autorizzazione scritta. Giu­ro di aiutare i mici Buoni Cugini in caso di bisogno, per quan­to possa, e di non fare mai nulla contro l ’onore delle loro fa­miglie. Io acconsento e desidero, se mi dovessi rivelare sper­giuro, che il mio corpo venga tagliato a pezzi, poi bruciato e le mie ceneri sparse al vento, affinché il mio nome venga ese­crato dai Buoni Cugini in ogni parte della terra. Cosi D io mi aiuti.

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3. Il rituale del giuramento delle Stagioni in sintesi (1834).

Fonie. A. c h e n u , Les conspirateurs, Paris 18.50, p. 20.

Copreaux, in qualità di padrino, mi bendò gli occhi e mi venne letto il seguente formulario:

- Sei repubblicano?- Lo sono.- Giuri odio alla monarchia?- Lo giuro.- Se intendi diventare membro della nostra società segre­

ta, sappi che devi obbedire a qualsiasi ordine dei tuoi capi. Giura ubbidienza assoluta.

- Lo giuro.- Ti proclamo quindi membro della Società delle stagioni.

Arrivederci, cittadino, ci rivedremo presto...- Eccoci qui, - disse Copreaux, - ora tu ci appartieni. An­

diamo a bere per darti il benvenuto.

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