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P.I. Spa – Spedizione in abbonamento postale, Art.1, comma 1 – D.L. 353/2003 (convert. in L. 27.02.2004 N° 46) Art.1, DCB Varese - ISSN 0391-3600 MAGGIO - DEICEMBRE 2016 227 - 230 Foto: http://www.fpmagazine.eu/ita/FPmag_002-12/Progetti_4_Topografie_industriali-13/ DOSSIER: TUTELA DELLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO VACCINAZIONI: TRA SCIENZA E DIRITTO LE UNITA’ SPINALI E LE PERSONE CON LESIONE MIDOLLARE 20-21 GENNAIO 2017, CAMERA DEL LAVORO CORSO DI PORTA VITTORIA 43, MILANO: CONVEGNO DI MEDICINA DEMOCRATICA A 40 ANNI DAL SUO PRIMO CONGRESSO DI BOLOGNA (1976)

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Foto: http://www.fpmagazine.eu/ita/FPmag_002-12/Progetti_4_Topografie_industriali-13/

DOSSIER: TUTELA DELLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO

VACCINAZIONI: TRA SCIENZA E DIRITTO

LE UNITA’ SPINALI E LE PERSONE CON LESIONE MIDOLLARE

20-21 GENNAIO 2017, CAMERA DEL LAVORO

CORSO DI PORTA VITTORIA 43, MILANO:

CONVEGNO DI MEDICINA DEMOCRATICA A 40 ANNI

DAL SUO PRIMO CONGRESSO DI BOLOGNA (1976)

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Sede Nazionale e Sede Amministrativa Via dei Carracci, 2 - 20149 Milano

COMITATO DI REDAZIONE: Fulvio AURORA(direttore responsabile), Lino BALZA, AngeloBARACCA, Cesare BERMANI, Roberto BIANCHI,Sergio BOLOGNA, Marco CALDIROLI, RobertoCARRARA, Germano CASSINA, Carla CA -VAGNA, Gianni CAVINATO, Maria Luisa CLE-MENTI, Elisabetta COSANDEY, Angelo COVA,Fernando D’ANGELO, Piergiorgio DUCA, RinoERMINI, Enzo FERRARA (direttore), GiorgioFORTI, Giorgio GALLEANO, Pietro e Sara GALLI(grafici), Maurizio LOSCHI, Dario MIEDICO,Marcello PALAGI, Barbara PERRONE, RobertoPOLILLO, Maurizio PORTALURI, Chiara SAS SO,Matteo SPREAFICO, Vito TOTIRE, Laura VALSEC-CHI, Bruno VITALE. INOLTRE COLLABORANO EHANNO COLLABORATO A QUESTA RIVISTA:Carlo ALBERGANTI, Giorgio ALBERTINALE,Beppe BANCHI, Giuseppe BLANCO, MarioBRAGA, Ferruccio BRUGNARO, Paolo BULETTI,

Roberto CARMINATI, Marco CERIANI, MassimoCOZZA, Michele DE PASQUALE, Rossana DET-TORI, Elisabetta DONINI, Antonino DRAGO,Walter FOSSATI, Cristina FRANCESCHI, LidiaFRANCESCHI, Ida GALLI, Valerio GENNARO,Patrizia GENTILINI, Ma ria Grazia GIANNICHED-DA, Claudio GIORNO, Pietro GRILLAI, GiuseppeMARAZZINI, Maurizio MARCHI, Gilberto MARI,Gianni MATTIOLI, Bruno MEDICI, Claudio MEZ-ZANZANICA, Alfredo MORABIA, Corrado MON-TEFALCHESI, Celestino PANIZZA, Pietro PEROT-TI, Agosti no PIRELLA, Aris REBELLATO, GiuseppeREZZA, Franco RIGOSI, Marino RUZZENENTI,Aldo SACHERO, Nicola SCHINAIA, Anna SEGRE,Giovanni SERRAVALLE, Claudia SORLINI, GianniTAMINO, Flavia TRIOZZI, Bruno THIEME, EnzoTIEZZI, Lu ca TRENTINI, Attilio ZINELLI. IMPA-GINAZIONE: Giulia DEBBIA, An drea PRAVETTO-NI, Stefano DEBBIA.

5 per 1000E' possibile versare nella prossima dichiarazionedei redditi il 5 per mille dell'IRPEF all'Associazione“Medicina Democratica - Movimento di Lotta perla Salute O.N.L.U.S.”, in breve “MedicinaDemocratica – O.N.L.U.S.”. Come è noto, si trattadi un’associazione autogestita che opera senza finidi lucro attraverso il lavoro volontario e gratuito e lesottoscrizioni dei suoi associati e simpatizzanti, chenon ha mai goduto e che non gode di finanziamen-ti nè diretti nè indiretti da parte di chicchessia. Pertanto, se ne condividete l’operato e intendetesostenere le sue iniziative per affermare la Salute, laSicurezza e l’Ambiente salubre in fabbrica, cosìcome in ogni dove della società, nel rigoroso rispet-to dei Diritti Umani e contro ogni forma di esclu-sione, emarginazione, discriminazione e razzismo,Vi chiediamo di indicare il numero di CodiceFiscale 97349700159 dell’Associazione “MedicinaDemocratica - Movimento di Lotta per la SaluteO.N.L.U.S.”. N.B. Si ricorda che la scelta del 5 per mille nonsostituisce quella dell'8 per mille (dedicata, peresempio, al culto): le opzioni 5 per mille e 8 permille si possono esprimere entrambe.

BIMESTRALEN° 227-230 maggio-dicembre 2016

Autorizzazine del Tribunaledi Milano n° 23

del 19 gennaio 1977

Iscritta al RegistroNazionale della Stampa

(Legge 58/81 n. 416, art. 11) il30 ottobre 1985

al n° 8368317, foglio 657ISSN 0391-3600

EDIZIONE:Medicina Democratica

Movimento di Lottaper la Salute - O.n.l.u.s.

Tel. 02-4984678Fax 02-48014680

20100 Milano

REDAZIONE:e-mail:

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Che tempi sono questi ...

di Enzo FERRARA

Medicina Democratica numeri 227-230 maggio / dicembre 2016

Non è semplice aprire questo numero conun editoriale capace di testimoniare lavolontà condivisa di proseguire un percorsoche ci si aspetta colmo di difficoltà, speran-ze e come sempre anche di disillusioni, eassieme esprimere le emozioni e preoccu-pazioni che, dopo la scomparsa di LuigiMara impongono un’ulteriore assunzione diresponsabilità da parte di ciascuno in Me-dicina Democratica. L’incarico di responsa-bile editoriale, preso anche firmando questaintroduzione, si riferisce soprattutto a unlavoro di coordinamento, ed è più che altroformale in una redazione dove le responsa-bilità sono condivise e dove già tutti fannotutto e ognuno quel che può; risulta impor-tante però e denso di significato per il lasci-to pregiato e unico che raccogliamo, costrui-to in decenni di lavoro e impegno continuidei quali siamo profondamente riconoscen-ti a chi ci ha preceduto. Questo comitato di redazione arriva fortu-natamente, ma non per caso, ad assumerenuovi compiti con un piccolo bagaglio diesperienza che risulta ora preziosissimo: ilmoltiplicarsi delle ingiustizie e dei conflittinegli ultimi anni aveva costretto – e ancoracostringe – i curatori storici della rivista aulteriori incombenze come consulenti percercare giustizia nei procedimenti giudizia-ri; troppi, perché l’arretramento culturale epolitico sul piano dei diritti ha fatto dei tri-bunali ultimo luogo di difesa della salutepubblica e di un ambiente salubre per tutti.Il lavoro meticoloso di preparazione e stesu-ra delle perizie scombinava i tempi editoria-li impedendo ogni regolarità di uscita deinumeri di Medicina Democratica. Per que-sto si è sentito il bisogno di condivisione dellavoro editoriale e con Elizabeth, Laura,Antonio, Dario, Fulvio, Marco, Maurizio,

Stefano, Piergiorgio – aiutati nelle prime riu-nioni da Daniela e David, oggi da Carla –abbiamo iniziato a collaborare nei “cata-combali” scantinati di via dei Carracci aMilano, recuperando il senso di una reda-zione poco, pochissimo ancora, più ampia epartecipata del minimo indispensabile.Insieme, abbiamo ricostituito un primonucleo redazionale vario per esperienza,provenienza e forme di impegno, che riven-dica una propria autonomia, intenzionato aprogrammare, raccogliere e ordinare i con-tributi che con continuità arrivano in reda-zione. Mandavamo inizialmente i testiredatti a Castellanza per permetterne l’im-paginazione, con le illustrazioni di Sara ePietro frammezzate al testo, e poi la pubbli-cazione; ora sono condivisi tutti i passaggieditoriali fino alla scelta dell’immagine dicopertina. Speriamo di giungere a una mag-giore regolarità nell’uscita della rivista, pun-tando a una scadenza trimestrale. Sappiamo che la semplice volontà di farbene non è sufficiente, non vi è mai il tempoper svolgere gli incarichi assegnati e portareavanti le relazioni interne ed esterne allaredazione come queste meriterebbero.Mentre si avvicina l’appuntamento congres-suale di inizio 2017 – quaranta anni dopo ilprimo Congresso del 1976 a Bologna, e tantetensioni scuotono i mondi della sanità, dellavoro, dell’ambiente con disagi dai qualiMedicina Democratica non è immune, –sappiamo anche che dopo aver raccolto iltestimone occorre sostenerlo riaffermandola centralità della salute come fondamenta-le diritto dell'individuo e interesse della col-lettività e ricordando che la Costituzioneaffida alla Repubblica l’impegno per la effi-cace tutela dei diritti fondamentali con unimpegno non delegabile. Dal diritto alla

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Medicina Democratica numeri 227-230 maggio / dicembre 2016

salute di tutti e di ciascuno nasce e si svi-luppa poi ogni opportunità di confrontodemocratico e di riflessione anche sullecontroriforme che si scagliano oggi controtanti principi costituzionali mettendoli indiscussione sovente solo rincorrendo pre-giudizi economici, politici e sociali.Preoccupano i contenuti impliciti ed espli-citi di tante affermazioni dei potenti diturno, gravissime e miopi. Per esempio, lafallace contrapposizione fra lavoro e sicu-rezza, per cui salute e benessere possonoessere sacrificate alle esigenze del mercatoper soddisfare le – troppo poco approfondi-te e disonorevoli – urgenze della competiti-vità. Le risposte ad affermazioni come que-ste devono porsi oltre gli spazi di difesa dellavoro, che non può più affidare la sua cen-tralità né il simbolo alla fabbrica, non pos-sono però trovare soluzione completa nem-meno in prospettive incentrate solo sullatutela dei nuovi luoghi di lavoro che si pre-sentano ognuno diverso e perciò a rischio diisolamento. Occorre oggi concentrarsi sullanocività della intera catena di produzione econsumo e della sua organizzazione globa-lizzata, fino a verificare quale siano i rischida inquinamento – ambientale, culturale esociale – non solo dei processi di produzio-ne e consumo ma anche dei “contenuti”delle merci. La forza dell’ambientalismo simisura ora anche in funzione della suacapacità di sintesi con le questioni sociali, elo stesso vale per le questioni sociali perchéda qualunque parte la si guardi la contrap-posizione storica fra capitale e lavoro si rive-la in ogni caso insostenibile per l’ambientese restano invariate le modalità di produzio-ne industriale e di sfruttamento intensivodelle risorse.Soprattutto, mentre vediamo la crisi di tantiprincipi creduti saldi e sicuri, non accettia-mo la fine del modello di militanza attiva,coscienti dell’utilità e necessità di un conti-nuo impegno politico, educativo e proposi-tivo. L’arretramento dello stato sociale hatrascinato con sé tante associazioni e gruppipreoccupati più della propria sopravviven-za che delle finalità e aspirazioni che aveva-no motivato la loro esistenza. In questo sce-nario non sono condivisibili le letture dellarealtà proposte come uniche possibili, nésono assecondabili le soluzioni politiche

che non prevedano forme di partecipazioneampia dei diretti interessati in ogni settore.Va perciò confutato l’uso strumentale e reto-rico della insostenibilità del ServizioSanitario Nazionale (SSN) nato nel 1978pubblico, universale, solidale, finanziatoattraverso la tassazione progressiva, fondatosulla prevenzione e sulla partecipazione.Identicamente, va confutata la subdola pri-vatizzazione del SSN, osservando che comeminimo acuirebbe le diseguaglianze di salu-te ed economiche. La deriva in atto minainfatti le fondamenta stesse del sistemademocratico che si basa sull’eguaglianza,sul riconoscimento aperto dei conflitti –sempre esistenti fra interessi oggettivamentediversi – e sulla loro composizione compo-sta e trasparente senza cedimenti alle distor-sioni introdotte da lobby potenti e riccheche difendono solo i propri interessi. In questo inizio di percorso, per quantobreve, abbiamo recepito il desiderio diffusodi una maggiore apertura della rivista a testi-monianze e interventi offerti al singolo e allecomunità per dare voce all’impegno fon-dante e capillare che tanti gruppi sostengo-no in difesa delle comunità di cittadini elavoratori sovente, ma non necessariamen-te, assieme a Medicina Democratica – rima-sta fra le poche voci ancora capaci di unarete di sezioni non uniforme né priva dicontraddizioni, estesa però sull’intero terri-torio italiano. Abbiamo trovato appropriatoperciò mantenere la raccolta di esperienzeattorno a temi specifici (sicurezza e preven-zione; centrali a carbone; genere, donne esalute; agricoltura; TAV e trasporti …) nelformato dei dossier monografici che conno-tano tanti numeri della rivista e che neltempo hanno dato corpo a una collezionedivenuta riferimento storico delle tante lotteper la salute, l’ambiente, il lavoro e i diritti,che negli anni hanno attraversato l’Italia e ilmondo trovando accoglienza anche su que-ste pagine.La difficoltà di raccogliere queste esperienzeè sempre stata elevata, anche in periodi digrande impegno politico e lotte culturali. Imovimenti, infatti, sono ben capaci di muo-versi nei loro territori, ma difficilmentehanno il tempo per riflettere con visioneampia, in profondità, su quanto fanno eancor più difficilmente riescono a raccoglie-

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re e offrire informazioni complete su tuttoquel che realizzano. È l’urgenza del fare, manon va dimenticato che nel concetto deidossier provenienti dalla base attiva – daitempi del collettivo di redazione del nuovoSapere edito dalle edizioni Dedalo (Bari) diRaimondo Coga – c’è uno degli elementicentrali della lotta del potere, una confuta-zione anche dei modi di costruzione dellaconoscenza, che scaturisce dall’analisi criti-ca dei rapporti fra politica, scienza, cittadi-nanza e potere.Sarà compito di questa redazione condivi-dere e coordinare le iniziative di documen-tazione, mobilitazione, sensibilizzazione elotta che trovano attuazione a livello locale,nazionale e internazionale contro ogniforma di negazione del diritto alla salutecome bene individuale e collettivo, denun-ciando come immorale e irresponsabile –quando non efferato – il tentativo di affidarela tutela dei diritti al mercato esposto alleleggi della concorrenza e della speculazionein modo insostenibile perché intrinseca-mente obbligato alla “crescita”, a scapitodella collettività per massimizzare interessiche non sono di tutti. Osserviamo, inoltre,che in ogni occasione in cui si affidano giu-risdizioni, compiti educativi e tutela deidiritti a soggetti esterni alla comunità siammette un fallimento profondo del siste-ma sociale a questa correlato; è difficilecomprendere come potrebbe svolgere unruolo suppletivo chi non appartiene allacomunità che dovrebbe servire. Allo stessotempo, tali manifeste volontà si prestano afacili interpretazioni che puntano a un ulte-riore indebolimento del ruolo e delle fun-zioni del sistema democratico partecipato.Medicina Democratica non si propone per-ciò solo come una rivista di informazione,ma in più come strumento di riflessione,responsabilità e invito all’azione anchesecondo i capisaldi della controcultura, cheda sempre usano per la critica del sistemauna mistura di invenzione e realismo, ironiae radicalismo irridendo i bersagli eterni: lapresunzione di razionalità del potere e delleistituzioni che lo sostengono, recuperandocosì la libertà narrativa dei modi diversi divedere la realtà. Siamo inoltre preoccupati per le condizioniambientali e geopolitiche del mondo e per il

destino dei migranti e delle vittime di guer-re e dittature, per la spietatezza dei poterieconomici, politici e militari che agisconoin tutti i luoghi del pianeta. Sappiamo che ilconcetto di pace non può essere associatosolo alla assenza di violenza diretta, cerche-remo perciò di svelare anche le tante formedi violenza indiretta – come accade per uncerto uso del linguaggio, per la violenza digenere, per le conseguenze di pregiudizi esuperstizioni – e di violenza strutturaleassociata, per esempio, alle crescenti e igno-bili spese per gli armamenti e per le eserci-tazioni militari che a partire dalla Sardegna

opprimono aree e popolazioni del territorioitaliano. Dedicheremo perciò attenzione aitemi della nonviolenza, della riconciliazio-ne, della giustizia ambientale, del boicottag-gio delle spese e delle tecnologie di guerra.Per questi temi, non è più sufficiente adot-tare uno sguardo interno solo all’occidente,occorre una prospettiva globale capace diintrecciare esperienze diverse per proporreuna forma integrata di conoscenze tecno-scientifiche e attivismo, con passione comu-nicativa e partecipativa, parlando diretta-mente e assieme di scienza, tecnologia, poli-tica e scelte etiche. Tutto questo senza sover-chie illusioni: non ci sono prospettive disuccesso a breve per un’analisi responsabiledei problemi contemporanei né per gli esitidelle azioni da mettere in campo necessa-riamente. Sappiamo, tuttavia, che le lotteper la salute, il lavoro e l’ambiente necessi-tano oggi di profondità storica e di una pro-spettiva internazionale, mentre gli impattidell’intero ciclo produttivo globalizzatodevono essere messi in luce proponendo un

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deciso mutamento nella lettura politica eculturale dei movimenti che nel mondo ope-rano in difesa dei diritti, unendo le visionitroppo a lungo separate dell’ambientalismoe dell’equità sociale per ricomporre il quadroche correla le ingiustizie ambientali e le disu-guaglianze economiche, riconoscendoleentrambe come forme di violenza perpetratein termini di classe, etnia e nazione.Spiegava Giulio Maccacaro a Bologna nel1976 che ogni “comando” di base, quandospontaneo e autentico, non è oblazione aivertici ma volontà di partecipazione.Speriamo di riuscire a svolgere ognuno il

proprio compito in redazione e fuori di que-sta – ancora usando le parole del fondatoredi questa rivista, – “con tutta la lealtà, ladedizione e lo spirito unitario di cui siamocapaci. Siamo qui noi ma non per noi,compagni ma per altri compagni, tanti maper i ben più tanti che attendono daMedicina Democratica non solo un mes-saggio responsabile ma anche un'azioneefficace per la salute e la integrità di chi èoggetto di sfruttamento, emarginazione erepressione, onde questi ne emerga contutto il suo diritto e la sua capacità di porsiquale soggetto politico primario”.

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Sommario

Medicina Democratica numeri 227-230 maggio / dicembre 2016sommario 5

SommarioL’Editoriale di Enzo FERRARA 1

IL SESTANTEa cura di Enzo FERRARA e Marco CALDIROLI 7

DOSSIER

Salute e ambiente in fabbrica.Il Consiglio di fabbrica della Montedison di Castellanza (1969-1982) di Elena DAVIGO 15

Medicina Democratica 2016 tra politica e giustizia di Fulvio AURORA e Piergiorgio DUCA 47

Partecipazione oggi: una chimera?di Laura BODINI 59

Morti sul lavoro: gli eroi senza volto di Marco SPEZIA 70

L’approccio di “genere” come sostegno alla prevenzione, l’esempio francese Testo di Florence CHAPPERT Traduzione di Elisabeth COSANDEY 77

Preservare la salute delle lavoratrici: una riflessione sulla sanità di Margherita NAPOLETANO 81

Crisi economica e aumento della povertà di Michele MICHELINO 83

Morire di Lavorodi Samanta DI PERSIO 87

Le malattie professionali dal DPR 1124al passaggio al sistema misto: proposte di revisionitabellari e di modifiche all’attuale sistema imperniato sulla centralità dell’INAILdi Gino CARPENTIERO 89

La salute degli immigratidi Paolo FIERRO 93

Fare leggi non bastaIncontro con Felice Cassona cura di Enzo FERRARA 102

Sportello Salute di Medicina Democratica Firenze: due sentenze esemplari contro l’INAILdi Alessandro ROMBOLA’ 107

Risarcimenti e prevenzionedi Dario MIEDICO 109

SI ai diritti NO ai ricatti:salute, lavoro, ambiente, reddito e culturaa cura del Comitato Cittadini Lavoratori Liberi e Pensanti (Taranto) 112

Decreti “ad Ilvam”.Una storia simbolica dello stato presentedel costume legislativo italiano di Stefano PALMISANO 115

Su un licenziamento politico: per essersi schierato dalla parte sbagliatadi Riccardo ANTONINI 122

Riflessioni sulla evoluzione del lavoro nei Servizi Pubblici di Tutela della Salutenei luoghi di lavorodi Celestino PANIZZA 126

Pietro Mirabelli, vita e morte di un lavoratoreimpegnato nell’affermazione della sicurezza sul lavoro e della difesa della dignità dei lavoratoridi Gino CARPENTIERO 133

Repressione e discriminazione nei luoghi di lavoro di Gino CARPENTIERO 141

CONTRIBUTI

I Vajont, le storie si ripetonodi Lucia VASTANO 165

Vaccinazioni: tra Scienza e Dirittodi Beniamino DEIDDA a cura di Maurizio LOSCHI 168

INTERVENTI & ESPERIENZE

Le Unità Spinali e le Persone conLesione Midollare di Laura VALSECCHI e Beppe BANCHI 149

Merci dalla biomassadi Giorgio NEBBIA 156

LETTURE

Ecologia e giustizia socialedi Pier Paolo POGGIO 159

Commenti a “Il Salto” di Linda Grattondi Giorgio FORTI 161

RUBRICAScuola e societàdi Rino ERMINI 144

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20 GENNAIO ORE 14,30 – 18.30 AULA BUOZZIRelazioni introduttive:In ricordo di Luigi Mara – LAURA MARAGINO CARPENTIERO Il diritto alla salute nei luoghi di lavoro : vecchie e nuove malattie professionali La soggettività operaia e la non delega, un modello da attualizzare o una memoria storica ? – Centro per la Salute Giulio A. MaccacaroMARCO SPEZIA – Proposte di modifica al DLgs 81/08 alla luce anche delle proposte SacconiENZO CORDARO – Le proposte di AIBeL sullo stress lavoro correlato e sulle vessazioni sul lavoroDISCUSSIONE e altri interventiRICCARDO ANTONINI – La discriminazione nei luoghi di lavoro. Le proposte dei lavoratoriALESSANDRO ROMBOLA’ – Introduzione del reato di vessazioni sul lavoro nell’ordinamento giuridicoMAURIZIO LOSCHI – Ma l’INAIL è ancora utile ai lavoratori?LAURA BODINI – I servizi di prevenzione nei luoghi di lavoro ieri e oggiInterventiCONCLUSIONI : Quale difesa per difendere e migliorare la salute e la sicurezza in una situazione economica e lavorativa precaria MARCOCALDIROLI (v. presidente di MD)INIZIATIVE DI MOVIMENTO E DI LOTTA

21 GENNAIO ORE 9 – ASSEMBLEA PLENARIA AULA BUOZZIRELAZIONE INTRODUTTIVA: 1976 PRIMO CONGRESSO NAZIONALE – CON GIULIO MACCACARO NASCE MEDICINA DEMO-CRATICA – PIERGIORGIO DUCA (presidente di Medicina Democratica)INTERVENGONO:SENATRICE NERINA DIRINDIN (Commissione Igiene e Sanità – Senato della Repubblica)ALBERTO DONZELLI (Fondazione Allineare sanità e salute- Milano)ROSSANA BECARELLI (Rete Sostenibilità e Salute – Torino)BARBARA GRANDI (ANDRIA – Per l’assistenza appropriata in ostetricia e ginecologia – San Gimignano)

ore 10,30 gruppi di lavoro (WORK IN PROGRESS – I GRUPPI POTRANNO SUBIRE MODIFICHE):1. Salute e organizzazione sanitaria: Per una nuova Riforma Sanitaria e l’individuazione di un modello di finanziamento della sanitàche paghi la salute e non la malattia. (Ripartire dalla Costituzione e dalla riforma del 1978, operare una critica alle successive involuzio-ni e arrivare a nuove proposte sulla base dei principi condivisi).2. a) Salute e Lavoro (il superamento della pretesa contraddizione: servizi e strutture – partecipazione e prevenzione) e b) Ambiente eLavoro (comprensivi della questione energetica, dei rifiuti, dell’agricoltura)3. Salute della Donna (il superamento della discriminazione nei luoghi di vita e di lavoro: quali servizi e quali strutture – l’involuzionedella 194 – il riduzionismo nei consultori)4. Salute mentale (non si può tornare indietro dalla più grande riforma degli anni 70: quale riaffermazione e quale evoluzione nei servizie nelle strutture)5. a) I Livelli Essenziali di assistenza (quale medicina generale, quali ospedali: cura e riabilitazione) b) Epidemiologia e Prevenzione –Scienza e Formazione (critica dei conflitti di interesse che determinano una scienza funzionale agli interessi del mercato e della forma-zione universitaria)6. Disabilità, cronicità, non autosufficienza (ciò che viene ritenuto la causa dell’ ”enorme aumento della spesa sanitaria” che finisce peressere ridimensionato quando non escluso dal Servizio Sanitario Nazionale)7. La Salute e Servizi Sanitari in Europa (confronto con la Rete Europea per il diritto alla Salute tramite alcuni rappresentanti di Francia,Belgio, Spagna, Grecia)SI RICHIEDE A COLORO CHE INTENDONO PARTECIPARE AI GRUPPI DI ISCRIVERSI, DI PREPARARE UN BREVE DOCUMENTOINTRODUTTIVO CHE VERRA’ ESPOSTO NEL GRUPPO SCELTO – ELEZIONE DI UN COORDINATORE.

Ore 16,30 CONCLUSIONI: LE RETI PER LA DIFESA E L’AFFERMAZIONE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALEJEAN-LOUIS AILLON (Rete Sostenibilità e Salute)PAOLO FIERRO (Rete napoletana per il diritto alla salute)HAKIM BAYA (Rete europea per il diritto alla salute)

Medicina Democratica a 40 anni dalsuo primo Congresso (1976 Bologna)promuove un’iniziativa al fine diaffermare il diritto alla salute. Èun’opportunità che Medicina Demo-cratica vuole mettere a disposizionedi chiunque possa essere interessato.Per questa ragione si è pensato dicondividere la proposta con altreassociazioni, movimenti, sindacati,reti che lottano e sono impegnate peril medesimo fine. La molteplicità e lavarietà delle differenti espressioniassociative, di movimento e di orga-nizzazione possono costituire unaricchezza nella misura in cui si con-frontino e cerchino, senza nullatogliere alle loro peculiarità, una viacomune di azione di opposizione e diproposta.

MILANO, 20-21 GENNAIO 2017 CAMERA DEL LAVOROCORSO DI PORTA VITTORIA, 43

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UNA INIZIATIVA PER AFFERMARE IL DIRITTO ALLA SALUTE NEI LUOGHI DI LAVORO E DI VITA, AQUARANT’ANNI DALLA FONDAZIONE MEDICINA DEMOCRATICA A MILANO, IL 20 E 21 GENNAIO2017, PROPONE UNA DISCUSSIONE APERTA PER UNA AZIONE COMUNE DI OPPOSIZIONE E PROPOSTA

il sestante 7Medicina Democratica numeri 227-230 maggio / dicembre 2016

A quarant’anni dalla fondazione diMedicina Democratica e dalla mortedi Giulio A. Maccacaro proponiamouna iniziativa aperta a tutte le asso-ciazioni, reti e movimenti che hannoa cuore la tutela della salute ed inparticolare il diritto alla salute qualebene affermato costituzionalmente. La vittoria del NO al referendumsulla modifica della parte secondadella Costituzione Repubblicana, inun contesto di ripresa dell’interessedei cittadini ed in particolare dellegiovani generazioni, fa ben sperare.Medicina Democratica si è convinta-mente schierata per il NO segnalan-do in particolare il pericolo evidentenelle norme modificate sia di unritorno alla centralizzazione del siste-ma sanitario nazionale, comunquedecisivo per le politiche sul dirittoalla salute, sia dello spostamentodella “regia” verso pure regole eco-nomiche.Le modifiche costituzionali costitui-vano una tappa ulteriore della derivapolitica e sociale che sta portandoprogressivamente a ridurre il dirittoalla salute ad una sorte di opzionesottoposta alle esigenze di mercato ealle risorse disponibili (o che si sivogliono ritenere tali): si acuiscono lediseguaglianze, non si supera il con-trasto fra lavoro e salute e, in sintesinon si considera più fondamentale il

diritto alla salute di cui all’articolo 32della Costituzione Repubblicana.Per questo (si veda la locandina) or-ganizziamo un incontro con tutte lerealtà disponibili per il 20 e 21 gen-naio 2017, a Milano (Camera delLavoro). La base di discussione proposta èriassunta nel seguente decalogo.• Non è vero che la sanità pubblica èinsostenibile. Un sistema sanitario ètanto sostenibile quanto si vuole chelo sia. Al contrario un sistema sanita-rio nazionale è più efficace e menocostoso. Un sistema sanitario sosteni-bile non prevede comunque l’utiliz-zo illimitato delle risorse disponibilima persegue il fine di determinare lamigliore e più adatta risposta a secon-da dei differenti bisogni.• Le varie forme assicurative integra-tive o sostitutive di ogni natura ed ilcosiddetto secondo welfare, produ-cono livelli differenti di coperturasanitaria che colpiranno profonda-mente il solidarismo del SSN (basatosulla fiscalità generale) e tenderannoad aumentare il consumismo sanita-rio non migliorando l’appropriatezzadegli interventi. Gli attuali 35 mld di€ della spesa sanitaria privata italianapotrebbero così costituire solo il capi-tale iniziale per un mercato costituitosoprattutto da realtà private chehanno come naturale e principale

finalità quello della massimizzazionedegli utili aumentando così anche laspesa sanitaria complessiva.• L’ideologia della prestazione (fardipendere il mantenimento dellasalute da una serie di visite, esami,indagini) è deleteria; è solo al serviziodel sistema medico-industriale nellalogica neoliberista di crescita infinita.• La prevenzione (= andare allecause che producono malattie e disa-gi) è parte fondamentale del sistemasanitario e non può essere confusa,né sostituita da altre pratiche pur, sedimostrate utili, di diagnosi precoce:è assurdo prevedere interventi dicura per poi riportare le persone neiloro luoghi originari se non si sonorimosse le condizioni che le hannofatte ammalare.• Non si può estromettere la relazio-ne dal rapporto operatore-paziente;la visione olistica della persona è fon-damentale e quindi il cosiddetto“sociale” è parte sostanziale dell’in-tervento sanitario• La gratuità delle prestazioni in fun-zione del bisogno è dovuta in quantoil servizio sanitario deve essere soste-nuto dalle imposte, secondo la logicadella progressività.• L’utilizzo di forme privatistiche inambito pubblico deve essere profon-damente rivisto incentivando moda-lità di reale presa in carico continua-

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tiva del paziente anche consideran-do la possibilità di valorizzare coloroche aderiscano a progetti con questafinalità; la discussione sulle liste d’at-tesa deve essere contestuale a quellasull’efficacia degli interventi.• Il servizio sanitario nazionale è unsistema fondato sul decentramentoterritoriale, i responsabili devonoessere conosciuti ed individuati daicittadini in modo tale che possanoesercitare forme partecipate di con-trollo. Tali modalità sono rese sem-pre più ardue a causa delle continueconcentrazioni territoriali anche per iresponsabili istituzionali.• Il servizio sanitario nazionale deveessere riformato a partire dai principicostituzionali di cui agli articoli 3,32,41 della Costituzione, ripresi ed este-si dagli articoli 1 e 2 della legge diRiforma Sanitaria del 23 dicembre1978. Una nuova riforma sanitaria esociale non può prescindere dallariforma degli studi universitari edella formazione successiva.Per informazioni e per iscriversi aigruppi di lavoro previsti:www.medicinademocratica.org.

VACCINI, ESTENDERLI O LIMI-TARLI ? UNA QUESTIONE CON-TROVERSA CHE NON DEVEESSERE RISOLTA CON LACOSTRIZIONE E IL RICATTOIn questo numero ospitiamo unintervento di Beniamino Deidda alConvegno organizzato dalla sezionedi Savona di MD svoltosi nel giugno2016. In questo intervento il magi-strato inquadra la questione in termi-ni di evoluzione legislativa delle“caratteristiche della obbligatorietàdelle vaccinazioni e delle sanzionipreviste per legge, la sostenibilità del-l’obbligo alla luce delle norme costi-tuzionali e le possibili interpretazionialla luce della giurisprudenza”. Nelrimandare alla lettura del testosegnaliamo, tra le “novità” più recen-ti alcune discutibili iniziative. Una èquella dell’Ordine dei Medici (FNM-

CEO) ove, a fronte di una rassicuran-te e apodittica dichiarazione sullatotale innocuità di qualunque vacci-nazione, si condannano atteggia-menti critici da parte di singoli medi-ci (sui media, tanto per confermarnela approssimazione e l’ignoranza,questo è anche diventata una minac-cia di radiazione paragonandoli ai“santoni” che propongono di farecompletamente a meno della farma-copea). In ogni caso un documentopiù preoccupato a “mettere in riga” idissenzienti che a proporre un seriodiscorso sulle vaccinazioni, in parti-colare quelle “raccomandate”.Un’altra iniziativa è quella di alcuneamministrazioni. Il Consiglio Comunale di Trieste hadeliberato l’obbligo di vaccinazioneantidifterica, antitetanica, antipolio-mietica e antiepatite B ai fini dellaiscrizione agli asili nido e scuolematerne comunali. Analoga iniziati-va della Regione Emilia Romagna, lalegge regionale 19 (del 25.11.2016)determina l’obbligo di vaccinazione(per le quattro vaccinazioni obbliga-torie) quale “requisito di accesso aiservizi educativi e ricreativi pubblicie privati”. Queste iniziative entrano nel dibatti-to sulle vaccinazioni in modo tantoapprossimativo quanto costrittivonegando a priori la libertà di scelta (asua volta basata sul consenso infor-mato dei genitori) che dovrebbe esse-re alla base di qualunque sistemasanitario evoluto.In particolare non viene motivatoscientificamente il perché, al di sottodi una determinata percentuale dicopertura vaccinale della popolazio-ne, debbano necessariamente ripre-sentarsi patologie pressochè scom-parse nei nostri paesi non esclusiva-mente grazie all’intervento vaccinalema soprattutto grazie alle mutatecondizioni igieniche e sociali ... (que-ste sì che devono essere poste all’at-tenzione delle istituzioni per risolve-re le gravi condizioni igieniche “di

ritorno” connesse con l'estensione,negli ultimi anni, delle condizioni dipovertà!) Si considerano a priori ibambini come dei malati o deipotenziali malati; si crea una falsasicurezza poichè anche i bimbi vac-cinati possono essere portatori sani;si impone con l’uso di uno strumen-to ricattatorio l’applicazione di unalegge sulla quale il mondo civileaveva già maturato un principio discelta consapevole. Si determina una pesante discrimi-nazione in base all’età, alla zona diresidenza e allo stato di bisogno dellefamiglie; viene contrapposto ad unpresunto diritto, quello alla sicurez-za, un altro diritto, quello alla forma-zione, ricattando soprattutto le fami-glie più bisognose del servizio, col-pendo comunque minori chedovrebbero essere tutelati anchesotto questo profilo; nessuno verràmesso in condizione di eseguire solol’obbligo di legge, poichè al momen-to della vaccinazione non viene for-nita la quadrivalente ma l’esa o l’ep-tavalente comprensive di pertosse edinfezioni da Haemophilus influenza-le di tipo b. (su questo il CODA-CONS ha presentato un ricorso dicostituzionalità di tali provvedimen-ti); l’imposizione fa venire ulterior-mente meno l’obbligo informativodei medici vaccinatori verso le fami-glie (che deve essere comprensivodei possibili danni da reazioneavversa); da ultimo, ma non perimportanza, l’obbligo vaccinale con-trasta frontalmente con il principiodella non delega, e veicola inveceuna visione “immanente” delloStato come potere cui affidarsi acriti-camente.

ANCORA MORTI SUL LAVOROEVITABILI CAUSATI DALLA OR-GANIZZAZIONE DEL LAVORO EDALLA PRECARIETÀMentre stavamo definendo questonumero dedicato alla sicurezza sullavoro, come da copione, è arrivata la

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notizia di due distinti episodi acco-munati dal ruolo che la precarietà ela riduzione dei diritti dei lavoratorideterminano nella dinamica e nellamorte operaia.Gaetano D’Ambra, Christian Micaliz-zi, Santo Parisi e Ferdinando Pucciosono deceduti il 29 novembre neimeandri del traghetto Sansovino aMessina in uno modo atroce che haricordato a tutti la strage dellaMecnavi di Ravenna del 1987.Ancora una volta quale costante ininfortuni mortali multipli, dovutianche allo slancio di generosità deicolleghi che cercano di salvare ilprimo infortunato, è il lavoro inambienti confinati svolto in assenzadelle norme di sicurezza pur, norma-tivamente, sempre più stringenti,specifiche e che vietano ogni improv-visazione (Dpr 177 del 14.09.2011). Ma i lavoratori non hanno più laforza (contrattuale in primis) perrifiutarsi di venir esposti a rischi peri quali non sono preparati e attrezza-ti come pure il Dlgs 81/2008 (per ora)stabilisce chiaramente e vengonocostretti a svolgere attività che nonfanno parte delle loro mansioni“arrangiandosi” ed esponendosi cosìa gravi rischi. D’Aloisio Valentino invece, è dece-duto da solo il 18 novembre, in unmagazzino di un reparto non più pro-duttivo della Franco Tosi di Legnano,una azienda passata nel giro di pochianni da 5.000 dipendenti a 190.Grandi spazi vuoti in cui pochi lavo-ratori operano e alcuni, come l’infor-tunato, sono costretti ad accedere inluoghi abbandonati con ridotte possi-bilità di aiuto in caso di emergenza.Così Valentino è rimasto schiacciatoda arredi di un magazzino “dismes-so” ma operativo che gli sono preci-pitati addosso mentre cercava degliutensili. Precarietà del rapporto di lavoro,solitudine e costrizione a sopperirealle inadeguatezze dell’organizzazio-ne del lavoro sono alla base di eventi

del genere, il dossier contenuto inquesto numero cerca di fare il puntodando voce alle esperienze direttedai luoghi di lavoro.

UNA NEFASTA INIZIATIVA CON-TRO I LAVORATORI E LE LAVO-RATRICIIl Senatore Sacconi ha presentato unddl beffardamente denominato“disposizioni per il miglioramentosostanziale della salute e sicurezzadei lavoratori” con cui propone diazzerare e riscrivere da capo la nor-

mativa esistente, nello specifico ilDlgs 81/2008.Gli scopi della nuova norma nonsono quelli della riduzione degliinfortuni e delle malattie professio-nali (che continuano a crescerenono-stante la flessione produttiva), maquello di “semplificare“ la gestionedelle fabbriche riducendo le tuteledei lavoratori. Per rimanere solo ad alcuni puntisalienti possiamo evidenziare quantosegue.La definizione di lavoratore vigenteviene stravolta per ridurre ancora dipiù le tutele dei lavoratori “atipici”siarriva infatti a tutelare la “personaimpiegata in modo non episodicoper attività di lavoro”, un concettototalmente differente da quello esi-stente in cui la tutela è “universale”,qualunque sia la forma e la duratadella prestazione lavorativa ed è lega-ta principalmente al costituirsi di unqualunque rapporto di subordinazio-

ne. L’obbligo di valutazione dei rischi (dadimostrare documentalmente) è oggiuno degli adempimenti attuato piùformalmente che nel concreto, anzi-ché intervenire per migliorare la qua-lità di questi documenti se ne sem-plifica l’adozione con la previsionedi certificazioni di “professionisti”(ovviamente non sanzionabili se ilcontenuto del documento non èall’altezza della situazione). Tutta la revisione della parte “docu-mentale” viene condotta per sottrarlao rendere più difficile la vigilanza,ma se il documento non è all’altezzaanche le misure di prevenzione chene conseguono non lo saranno, inva-lidando e rendendo formale il pro-cesso di valutazione (da cui i lavora-tori continueranno ad essere concre-tamente esclusi o, al più, “consulta-ti”, non sappiamo più se dal datore dilavoro o dal professionista di passag-gio). Il sistema della vigilanza viene ridot-to ai minimi termini: è evidente l’in-tenzione di azzerare il ruolo delleASL facendo ritornare i compiti dicontrollo a livello ministeriale (lanuova “Agenzia” dell’Ispettorato dellavoro creata unitamente al jobs act).Non solo, i poteri di intervento ven-gono spuntati: mentre oggi quasitutte le violazioni hanno valenzapenale e l’organo di vigilanza inter-viene con atti sanzionatori, oltre aimporre gli interventi necessari, infuturo vi saranno blande “disposizio-ni esecutive” e atti sanzionatori solodi fronte a una mancata attuazione diqueste ultime. Una manna per ipadroni che, a fronte di rischi elevatiper i propri lavoratori, si vedrannosemplicemente invitati a intervenirecon conseguenze praticamente nulle,con una ampia depenalizzazioneproprio sugli aspetti principali(conformità macchine, luoghi dilavoro, esposizione a sostanze chimi-che ecc).Contestualmente, e non è certo para-

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dossale dati i proponenti, le sanzioniin capo ai lavoratori vengono incre-mentate e le responsabilità dei datoridi lavoro ridotte (in pratica spariscela colpa del datore per mancata vigi-lanza). Grave è anche la possibilitàdel datore di lavoro di sottoporre ilavoratori a sorveglianza sanitariaaggiuntiva non correlata con i rischilavorativi invalidando la tutela del-l’art. 5 dello Statuto dei Lavoratori(“Sono vietati accertamenti da partedel datore di lavoro sulla idoneità esulla infermità per malattia o infor-tunio del lavoratore dipendente”). Azzerati gli Accordi Stato-Regionesul tema della informazione e forma-zione fino a prevedere che tali obbli-ghi possano essere completamentedisattesi se il lavoratore è già “esper-to” per curriculum.Gli adempimenti definiti dall’insie-me delle direttive che si sono succe-dute nel tempo e specifiche per irischi vengono anch’essi azzeratiarrivando a prevedere un “nuovo”recepimento delle (stesse) normeeurope. Le direttive, che includonole misure essenziali (minime) di tute-la, saranno recepite burocraticamen-te tal quali senza possibilità di modi-fiche migliorative e che tenganoconto della realtà italiana. Nell’insieme norme che retrocedonoil livello della tutela della sicurezza aprima (perlomeno) del Dlgs 626/94 epeggiorative anche delle primenorme di tutela introdotte negli anni’50, sostituite proprio dal recepimen-to delle direttive europee. Non si trat-ta solo di un pessimo testo legislativoma di una inaccettabile messa indiscussione delle più elementaritutele sulla sicurezza e l’igiene dellavoro. Il disegno di legge va respin-to nella sua interezza e senza esita-zione. Facciamo appello affinchè taleproposta venga al più presto espulsadalla discussione parlamentare.

NON TUTTI I PROGETTI DI LEG-GE SUL TESTO UNICO DELLA

SICUREZZA LO PEGGIORANONello stesso periodo in cui Sacconipropone il suo nefasto pdl, altri par-lamentari hanno depositato un testoper la modifica della parte del Dlgs81/2008 sul ruolo del MedicoCompetente. Erede del Medico di Fabbrica ilMedico Competente, soggetto priva-to designato dal datore di lavoro,non ha finora eccelso nel suo ruolo aldi là delle intenzioni del legislatore.Per limiti dovuti alla sua “dipenden-za” dal datore di lavoro e, per lo più,concentrato nell’incremento di ac-certamenti sanitari, non sempre utili,non ha finora svolto un ruolo effica-ce nel miglioramento dei luoghi dilavoro. In molti casi ha “coperto” l’e-mergere di malattie professionali cuipure è tenuto alla denuncia. Chi losvolge seriamente rischia in ognimomento di essere “licenziato”.Nella relazione che accompagna ilpdl così vengono descritte le criticitàche si intende ridurre: “spesso ilmedico competente che sottopone avisita il lavoratore, pur riscontrandola necessità di ulteriori accertamentie analisi non li richiede per nonaggravare i costi che dovrebbe sop-portare il datore di lavoro; in caso divisita di idoneità alla mansione ilmedico competente può subire pres-sioni del datore di lavoro nel deter-minare l’esito a propria convenien-za, indipendentemente delle condi-zioni reali di idoneità o inidoneitàdel lavoratore; le visite medicheperiodiche per controllare lo stato disalute dei lavoratori e controllarne laidoneità alla specifica mansione(articolo 41, comma 2, lettera b), deldecreto legislativo n. 81 del 2008), inmolti casi non vengono effettuatemettendo a rischio la sicurezza indi-viduale dei lavoratori.”Il progetto di legge introduce, insostanza, una supervisione delleASL sull’operato dei medici compe-tenti, a partire dall’obbligo di sceltanell’ambito di un “albo” gestito dalle

singole ASL che arriva anche a defi-nire dei “costi standard” delle pre-stazioni.Una iniziativa che limiterebbe anchelo spadroneggiare delle cliniche pri-vate che forniscono tutti i servizi“chiavi in mano”, dal medico com-petente (scelto dalla clinica e pagato a“quantità”) alle prestazioni sanitarie.Ovviamente vi è molto altro da fare,non da ultimo una applicazione delprincipio che non è il lavoratore chedeve essere fisicamente “idoneo”alla sua mansione ma che la mansio-ne (i luoghi di lavoro, le attrezzature,le modalità lavorativa) devono essereidonee per il lavoratore consideran-do il suo stato di salute (e in momen-to in cui l’età pensionabile si incre-menta il tema interessa tutti).

TIRRENO POWER, UN RINVIO AGIUDIZIO CON LUCI E OMBRENel numero 222-224 abbiamo infor-mato sulle vicende relative alla cen-trale termoelettrica a carbone TirrenoPower di Vado Ligure, dai tentatividi realizzare una nuova megacentra-le sempre a carbone al sequestro ope-rato sulle sezioni esistenti per l’im-patto ambientale e sanitario. Il 20 luglio 2016 il PM ha richiesto laarchiviazione parziale delle posizio-ni degli amministratori pubblici (entilocali, provincia, regione) per i reatidi disastro colposo e di abuso d’uffi-cio a carico dei quattro Sindaci deiComuni di Vado Ligure e Quilianounitamente al Dirigente del SettoreAmbiente della Provincia di Savona,della Regione Liguria, del Ministerodell’Ambiente e relative commissio-ni VIA e AIA (IPPC).Medicina Democratica, Greenpeace,WWF e Uniti per la Salute hannopresentato distinte opposizioni allaarchiviazione di tali posizioni perquesti principali motivi. In primo luogo per l’evidenza delleomissioni di intervento da partedegli amministratori e in generaledella pubblica amministrazione per

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non aver utilizzato i poteri disponibi-li (in particolare la normativa sulleindustrie insalubri) per ostacolare ilpotenziamento della centrale e perintervenire efficacemente a frontedelle evidenze epidemiologiche eambientali degli effetti della attivitàdella stessa (emissioni in atmosfera,polveri dalla movimentazione delcarbone, scarichi idrici, in particola-re). Infatti, al di là della vicenda pro-cessuale, va rammentato il ruolo atti-vo della pubblica amministrazionenella tutela della salute pubblica, conparticolare riferimento alla figura delSindaco quale massima autorità sani-taria locale. Nella richiesta di archiviazione inve-ce i PM sembrano concordare con ledichiarazioni difensive che presenta-no un ruolo della pubblica ammini-strazione passivo, secondario e“accessorio” rispetto alle decisioniaziendali sia sul potenziamento dellacentrale che sulla gestione della stes-sa. Si afferma infatti che “i fattori chehanno determinato l’evento, invece,soggiacevano alla diretta percezione(e gestione) della Società, unica ingrado di conoscere l’effettiva veridi-cità delle comunicazioni inoltrateagli enti locali e centrali, sia nellaparte tecnica, relativa alle informa-zioni di natura strettamente ambien-tale (valori emissivi, risultati dellecampagne, effettivi interventi diabbattimento delle polveri e dimiglioramento delle emissioni), sianella parte programmatica, relativaai progetti da attuarsi (o dichiaratitali), alla tempistica degli stessi edalla effettiva realizzabilità o menodei medesimi, unica infine in gradodi adottare tecnologie, accorgimentio precauzioni varie, che se non sem-pre imposte dalla legge o dai singoliprovvedimenti autorizzativi, eranostate comunque da più parti (pubbli-che e private) sollecitate, auspicate,dovute a livello programmatico edinfine imposte per il futuro, ma mai,di fatto, prese in lontana considera-

zione dal Gestore”. Un ruolo degli enti quali “utili idio-ti”, marionette involontarie (?) delgestore, da coinvolgere per tranquil-lare la popolazione, in tavoli tecnici,incontri, assicurazioni, impegnipresi e disattesi, ma privi di ogni“forza contrattuale”.Infatti un altro aspetto che vieneposto in risalto nella opposizionealla archivizione è proprio quello diun ruolo di contrasto più figurativoche concreto da parte delle ammini-strazioni nonostante le evidenze,

anche epidemiologiche (perlomenoa partire dal 2008) degli effetti sanita-ri sulle popolazioni esposte, per nonparlare della letteratura scientificainternazionale che da decenni (alme-no dal 1995) ha dimostrato l’incre-mento di morbilità e mortalità con-nessi alla combustione del carbone. E’ proprio dalle indagini che emer-gono i comportamenti omissivi, col-posi, delle amministrazioni pubbli-che che hanno evitato di prenderetempestivi provvedimenti a tuteladella salute dei cittadini esponendo-li a rischi ambientali che sono evolu-ti fino a danni conclamati nonostan-te le conoscenze sempre più eviden-ti col passare del tempo e il cumulodegli impatti. Ancor meno condivisibili appaionole motivazioni per l’archiviazionedelle posizioni dei responsabili dellaRegione Liguria e del Ministerodell’Ambiente con particolare riferi-mento alla distorsione evidente e piùvolte denunciata relativa alla proce-

dura di Autorizzazione IntegrataAmbientale. Per superare le oggetti-ve difficoltà di autorizzazione deivecchi gruppi a carbone senza radi-cali modifiche impiantistiche (peral-tro considerate non fattibili dall’a-zienda e che, quindi, avrebberodovuto comportare la cessazionedella loro attività) la Regione, con-cordando con la direzione TirrenoPower, ha preteso di innestare le pro-cedure del “nuovo” sul “vecchio”. Inquesto modo i vecchi impianti sonostati “salvati” dalla chiusura permet-tendo il loro esercizio per lungotempo nelle inadeguate condizionipreesistenti (assenza di attuazionedelle migliori tecnologie disponibili)dal momento della scadenza degliobblighi comunitari connessi (otto-bre 2007).A fronte di atti della regione esplici-tamente finalizzati a sbloccare edaccelerare l’autorizzazione per lanuova sezione a carbone, il PM moti-va l’archiviazione affermando chel’ente bene ha fatto a privilegiare gliinteressi del proponente rispetto aquello delle popolazioni : “Il tentati-vo di vincolare l’ottenimentodell’AIA sull’esistente al progettoVL6, inoltre, appare penalmente irri-levante anche in relazione all’art. 3quater D.Lgs. n. 152/2006, secondocui anche i pubblici amministratoridevono tener conto del principiodello sviluppo sostenibile che impo-ne loro, nella scelta comparativa frainteressi pubblici e privati connotatada discrezionalità, di conferire prio-ritaria considerazione all’aspettoambientale, poiché dagli atti emergeche le decisioni della Giunta furonodettate proprio dal tentativo di darein certa misura corpo a questo prin-cipio senza sacrificare tanto il diver-so interesse pubblico all’occupazio-ne, quanto quello privato.”Con un decreto di 159 pagine il GIPFiorenza Giorgi il 13 ottobre ha pur-troppo rigettato l’opposizione allaarchiviazione di tali posizioni.

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Vedremo se la giusta severità saràapplicata agli evidenti misfatti delgestore.

LO SPEZZATINO ETERNIT II ,DOPO LA PRESCRIZIONE OGNIDECISIONE È UTILE PER NONDARE GIUSTIZIA ALLE VITTIME Avevamo da poco elaborato positiva-mente la sentenza della CorteCostituzionale (n. 200 del21.07.2016) con la quale, in sostanza,si disponeva il proseguimento delprocesso “Eternit II” dopo la inaccet-tabile sentenza della Corte diCassazione che ha falcidiato per pre-scrizione le importanti sentenze diprimo e secondo grado sul primoprocesso.Ricordiamo che il processo Eternit IIriguarda le responsabilità diSchimdheny Stephan quale respon-sabile della gestione della società peri siti di Napoli, Torino-Cavagnolo,Casale Monferrato, Reggio Emilia-Rubiera dei reati di omicidio (art. 575c.p., con l’aggravante dell’ “avereagito per motivi abietti o futili”) di258 persone (lavoratori, famigliari,residenti in prossimità degli impian-ti) che già rappresentano solo unafrazione di quelle realmente colpite. Il 29 novembre è arrivato come unfulmine la ordinanza del GIP Dr.ssaFederica Bompieri con cui si rinvia agiudizio l’imputato per omicidio col-poso (art. 589 c.p.) e, nel contempo,si “spezzetta” il processo rinviando-lo ai Tribunali competenti per sitodelle singole fabbriche (quindiNapoli, Vercelli, Reggio Emilia,Torino) redistribuendo i casi (il mag-gior numero riguarda CasaleMonferrato quindi il Tribunale diVercelli).Un processo “spezzatino” che ren-derà più difficile rendere giustiziaalle vittime: maggiore difficoltà delledifese delle parti civili a seguire i pro-cedimenti, probabile disomogeneitàdi approccio alle fasi processualianche per limiti culturali e tecnici

delle diverse sedi (basti pensare alladifferente considerazione nei tribu-nali della tesi della “trigger dose”ovvero della presunta dose inizialesufficiente a determinare la malattia,tale da riportare indietro l’orologiodella esposizione personale e dun-que delle responsabilità penali amomenti remoti, agevolmente pre-scrittibili). Se c’è una “lezione” da registrare dadecisioni del genere, apparentemen-te irreprensibili dal lato formale delfunzionamento della giustizia inItalia (ma su questi argomenti non visono paesi da prendere ad esempio),è che solo le iniziative di informazio-ne e costruzione di un sapere alter-nativo su cui fondare la lotta all’e-sposizione a sostanze tossiche (ilrischio zero rispetto ai cancerogeni,per esempio) costituiscono le unicheazioni sia per la prevenzione che perattivare azioni di riconoscimentodelle responsabilità e per otteneregiustizia per gli esposti.

INCENDI ALLA BASF IN GER-MANIA E ALLA RAFFINERIA ENIDI SANNAZZARO DE’ BUR-GUNDI, IL RISCHIO NELLA MO-VIMENTAZIONE DELLE SOSTAN-ZE INFIAMMABILI Il 18 ottobre un incendio coinvolgediverse pipeline in esercizio (di etile-ne e propilene) nel porto industrialeal servizio degli impianti chimiciBasf, a Ludwigshafen vicino aFrancoforte. Tre deceduti (due vigilidel fuoco e un marinaio), otto lavora-tori gravemente feriti, altri 22 conferite meno gravi. L’incendio ha interessato anche altresostanze chimiche bruciate in modo“controllato” per evitare ulterioriesplosioni : butilene, gas di pirolisi,etilesanolo. Secondo la BASF unapipeline vicina a quella da cui si èsviluppato l’incendio - contenentebutilene -era oggetto in quel momen-to di interventi di manutenzione daparte di una azienda esterna.

I due impianti di cracking (di tratta-mento del petrolio greggio per la pro-duzione di idrocarburi per produzio-ni chimiche) afferenti alla zona inte-ressata risalgono il primo al 1965 e ilsecondo al 1980 e sono in grado diprodurre 620.000 t/a di etilene e350.000 t/a di propilene.Nel sito vi sono ulteriori 20 impiantidi trasformazione – una PortoMarghera del Nord – l’etilene vieneutilizzato in particolare per la produ-zione di intermedi quali ossido dietilene, etilbenzene e per la produ-zione di materie plastiche quali ilmetil metacrilato e il polietilene. Ilpropilene è alla base della produzio-ne di plasticizzanti (butiraldiede),acido acrilico e ossido di propilene. Altre linee importanti esistenti nelsito sono quelle del butadiene (da cuile plastiche stireniche) e il cicloesa-no. Leggendo le reazioni all’eventoincidentale risultano preminenti lepreoccupazioni delle conseguenzedella riduzione della disponibilità diquesti intermedi per l’industria chi-mica mondiale.Nella stessa giornata, quattro personeerano rimaste ferite in un’altra esplo-sione, verificatasi nell’impianto dellaBASF di Lampertheim, una quindi-cina di chilometri più a nord.Primo dicembre, esplosione nellaraffineria ENI di Sannazzaro de’Burgundi con una enorme nube diprodotti della combustione. Nessunferito, la causa viene riferita a unafuoriuscita di idrocarburi da unatubazione o una valvola nell’impian-to Eni Slurry Technology realizzatosolo due anni fa.Vi sono diversi aspetti che accomu-nano i due casi , entrambi sonoimpianti sottoposti alla direttiva suirischi industriali rilevanti (direttiva“Seveso” oramai giunta al terzo“aggiornamento”), in entrambi i casila cause sono connesse alla movi-mentazione di prodotti infiammabilie a perdite dei sistemi di movimen-tazione (a seconda dei casi ciò deter-

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mina la formazione di nubi esplosiveo la formazione di “pozze” infiam-mabili innescabili da scintille o altrifattori che possono determinare aloro volta effetti domino su altriimpianti). Da ultimo sono accomunati daglisforzi degli enti per tranquillizzare lepopolazioni con le affermazioni piùdisparati, “non vi sono pericoli per lasalute”, “non vi sono nell’aria con-centrazioni significative di inquinan-ti”, “nessun pericolo per l’aria”,“assenza di significativi incrementidegli inquinanti”.Per dirla in modo più articolato«L’evoluzione e le condizioni meteodurante l’evento hanno fatto sì che ilfumo, una volta in quota, rimanesseconfinato negli strati un po’ più ele-vati della bassa troposfera, senzaricadute locali. Le eventuali ricaduteavverranno su una ampia distanzae, di conseguenza, con una rilevantediluizione degli inquinanti nellanube», comunica l’Arpa. Anchesecondo la BASF l’incendio non hadeterminato che “momentanei” pic-chi di ricadute di benzene (cancero-geno) e altri idrocarburi.Nel caso della raffineria ENI l’assen-za di “significativi” incrementi diinquinanti va considerata anche allaluce della vigente autorizzazione chepermette rilasci elevate di sostanzepericolose (ossidi di zolfo per 5.000t/a, ossidi di azoto per 2.700 t/a, pol-veri per 450 t/a per rimanere aimacroinquinanti).Da aprile 2016 è stato avviato il pro-cedimento di riesame della autoriz-zazione integrata ambientale dell’im-pianto (che ha una capacità di tratta-mento di 11 milioni di tonnellate enon è certo tra quelli che la pubbli-cità ENI indica tra le raffinerie tradi-zionali riconvertite per produrre bio-combustibili).Il 13 aprile 2011 un esponente diMedicina Democratica ha partecipa-to al “Workshop on the Seveso IIIdirective” presso la sede del Parla-

mento Europeo a Bruxelles.L’intervento e le successive propostedi emendamenti al testo della diretti-va in formazione hanno riguardatoin particolare alcuni aspetti poco oper nulla considerati nella direttiva oin quanto non ritenute meritevoli(incidenti rilevanti con rilasci disostanze cancerogene, mutagene e/oteratogene che non fossero anche tos-siche) o in quanto considerate inaltre direttive (trasporto ferroviario esu navi di sostanze pericolose) che sisono dimostrate inadeguate a garan-tire una vera tutela (basti pensare al

crimine ferroviario di Viareggio del2009 con l’incendio di Gas di petro-lio liquefatto trasferito da un impian-to del nord al sud – nonostante lenumerose raffinerie presenti nel sudItalia – per motivi di pura “economi-cità”).In Italia, con il Dlgs 105/2015 è statarecepita la nuova direttiva Seveso(2012/18) prodotta da quella discus-sione che, comunque, amplia le atti-vità soggette rispetto a quanto stabili-to in precedenza. Per tutti gli impian-ti soggetti (in Italia si tratta di 556 sitiv. http://www.minambiente.it/pagi-na/inventario-nazionale-degli-stabi-limenti-rischio-di-incidente-rilevan-te-0) è prevista la revisione e l’aggior-namento delle istruttorie, una normaspecifica (DM 29.09.2016) ha defini-to la disciplina per la consultazionedella popolazione sui piani di emer-genza esterna. Questi due incidentirilevanti ci ricordano la necessità che

le popolazioni esposte possano inter-venire e abbiano voce in capitolosugli impianti “sotto casa” ben oltrequanto la normativa, solo parzial-mente, prevede.

O MANGI QUESTA MINESTRA OSALTI ... IL PASTO.A tutti i genitori di alunni che con-sumano un pasto a scuolaCome ben saprete recentemente, par-tita da Genova e Torino ma allargata-si successivamente a moltissimealtre città in tutta Italia, si è sviluppa-ta nei confronti delle amministrazio-ni locali e nazionali la cosiddetta ver-tenza del panino.Tale vertenza ha trovato origine nelfatto che molti genitori, chi perchénon riesce a far fronte a costi semprecrescenti (ed a volte in modo deltutto ingiustificato ed abnorme) delpasto servito dalle mense, chi perchéne contesta la qualità e non riesce amodificarla, chi per semplici motividi scelte alimentari diverse, hannoritenuto utile scegliere di fornire aifigli un pasto preconfezionato a casae si sono visti opporre un netto rifiu-to da parte delle strutture scolastichee amministrative. Una prima senten-za pronunciata a Torino, facendo rife-rimento ad un diritto costituzionale,ha chiarito che non è corretto impor-re ad alcuno, e tantomeno a bambiniper i quali la potestà è in capo ai geni-tori, di nutrirsi in modo difforme alleproprie scelte.Pur sapendo che le sentenze, ed inparticolar modo quelle di primo e disecondo grado, valgono esclusiva-mente per chi ha partecipato al pro-cedimento, noi riteniamo che questasentenza abbia il pregio di richiama-re un principio giusto e condivisibi-le, che se venisse agito anche in altriTribunali non potrebbe che trovareconferma.Ma la strada dei tribunali è lunga ecostosa, mentre i nostri figli vanno ascuola ora ed il problema, se nonrisolto velocemente, potrebbe porta-

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re all’inaccettabile conseguenza chealcuni bambini possano, molto sem-plicemente, essere costretti a saltareil pasto.Non ci soffermiamo a lungo a spie-gare quali conseguenze nocive po-trebbe portare questa situazione su diloro, anche sotto un profilo psicolo-gico ed educativo, ma riteniamo chesia una possibilità che non può cheessere respinta da tutti.Eppure non può che essere la logicaconseguenza della rigidità presentatadall’attuale situazione: se (per qual-siasi motivo) non viene accolta l’of-ferta della mensa e gli alunni nonpossono portarsi il pranzo da casa difatto al bambino non verrà sommini-strato alcun alimento.Non v’è chi non veda l’assurdità diquesta situazione che, rovesciando ilsignificato di una precedente batta-

glia collettiva per l’istituzione delservizio della mensa scolastica, lorende di fatto obbligatorio per tuttiimpedendo l’esercizio di un elemen-tare diritto costituzionale ma, cosaancor più grave, vi arriva imponen-dolo attraverso un odioso ricatto ecioè utilizzando i minori come stru-mento coercitivo nei confronti dellescelte dei genitori.Proviamo a pensare, per analogia,come reagiremmo se l’offerta di altriservizi pubblici venisse in qualchemodo trattata con la stessa logica: afronte dell’offerta di trasporto pubbli-co con treni o bus ci verrebbe impe-dito di usare non solo l’auto maanche moto, biciclette, pattini oanche ... i piedi, mentre a fronte del-l’offerta del Servizio Sanitario Nazio-nale ci verrebbe impedito di potercicurare a pagamento anche solo per

l’asportazione di un dente o di sce-gliere il medico che più ci aggrada.Ovviamente la vertenza non è controi servizi pubblici, che ci si augura inaumento, in miglioramento ed acosti popolari, in modo da renderlisempre più appetibili ma contro l’i-naccettabile ed antidemocraticaimposizione.Per questo pensiamo che sia neces-saria una ampia mobilitazione dellefamiglie e dei cittadini, in modo dacostringere, senza dover far ricorsoad estenuanti vertenze legali, ilMinistero, le pubbliche amministra-zioni ed i Dirigenti Scolastici adaffrontare il problema in modo menorigido e rispondere con alternativeconcrete e rispettose dei diritti basi-lari delle persone alle necessità degliutenti.(A cura della Redazione)

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*Dalla tesi di lau-rea in WorldHistory pressol’Università diBologna, annoaccademico 2012-2013.

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Salute e ambiente in fabbrica. Il Consiglio diFabbrica della Montedisondi Castellanza (1969-1982)di Elena DAVIGO* Presentiamo degli ampi stralci di alcunicapitoli della Tesi di Laurea di Elena Davigoper gentile concessione dell’autrice. Si trattadei capitoli dedicati alla esperienza delConsiglio di Fabbrica e del Gruppo diPrevenzione e Igiene Ambientale (GPIA)della Montedison di Castellanza, “espe-rienza che ha condizionato e la cui storiasi è intrecciata con gli obiettivi più avanza-ti di lotta per un ambiente salubre dentro efuori le fabbriche superando, dalle origini,la dicotomia tra “lavoro e salute” proprioperché parte dall’azione del movimentooperaio all’interno dei luoghi di lavoro.Difendendo la propria salute e mettendo indiscussione le fondamenta “tecnico-scien-tifiche” della produzione capitalista, ilavoratori e le lavoratrici, difendono l’am-biente e mettono in discussione lo sfrutta-mento e lo spreco di risorse del pianeta.”(dalle premesse della Tesi).La tesi, dopo una ampia disanima dellastoriografia dell’ambiente, del movimentooperaio e della medicina, si occupa dell’e-voluzione della risposta scientifica e istitu-zionale al tema della salute dei lavoratoridalla fine dell’800 sino al boom economi-co.E’ in quest’ultimo contesto che ha signifi-cato la storia e il “metodo” del GPIA diCastellanza che possiede una dirompenteattualità pur nel mutato (drasticamentepeggiorato) orizzonte politico, culturale esociale odierno.Non si tratta unicamente di un significatostorico/storiografico ma in quegli strumen-ti, frutto della autonoma elaborazione ope-raia autoorganizzatasi, si vedono le radici– ancorchè in un contesto e con contenutidiversi - anche della normativa sulla sicu-rezza e l’igiene del lavoro vigenti.

Il libretto sanitario e di rischio è diventatala cartella sanitaria e di rischio che il medi-co competente deve redigere (e qui sta unadelle differenze fondamentali, il ritornodella gestione di questo strumento da partedel “tecnico”, stipendiato dal datore dilavoro, e il lavoratore considerato, sostan-zialmente, alla stregua di un “paziente”).L’obbligo di “valutazione di tutti i rischi” ediversi passaggi del Dlgs 81/2008 nei qualisi specificano le modalità richiamano lanecessità di partire dalla ricostruzione delciclo produttivo ma il ruolo dei lavoratori edella loro soggettività è disconosciuto. Illivello di dettaglio di molti documenti èlontanissimo dai risultati dei registriambientali redatti dal gruppo omogeneo.Il rappresentante dei lavoratori sicurezzaè, quasi sempre, una pallida figura istitu-zionalizzata rispetto ai delegati dei gruppiomogenei dell’esperienza che si ricorda inqueste righe.Dalla richiesta del MAC zero per i cancero-geni agli obblighi stringenti a carico deidatori di lavoro in caso di utilizzo (almenonel disposto legislativo) e alle restrizioni eproibizioni per effetto del regolamento euro-peo “REACH” sulle sostanze chimiche.Il rapporto con i tecnici del servizio pub-blico (dallo SMAL, alle USSL, alle USL,alle ASL e, in Lombardia, alle ATS) si ècompletamente istituzionalizzato: quandova bene il singolo tecnico applica corretta-mente i poteri “repressivi” e le disposizio-ni normative ma è quasi sempre solo.Per dirla in altro modo come si ricordanella tesi (dalla testimonianza di DarioMiedico) “Non è importante entrare in fab-brica, perché se tu non hai i lavoratorimaturi per un intervento tu puoi entrarcifinché vuoi, ma non succede esattamente

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niente”.Riproporre questa storia, con una visioneesterna e quindi senza rischi di agiografia,è ancor più significativo a pochi mesi dallascomparsa di uno dei suoi principali pro-tagonisti, Luigi Mara, e in un momentodecisivo per il rilancio della iniziativa diMedicina Democratica.

La RedazionePREMESSASi riportano dalla premessa, per conte-stualizzare la trattazione del tema che cioccupa, degli stralci che richiamano l’arti-colazione della tesi di laurea.

Il lavoro finale, così come è presentatonelle prossime pagine, si divide in dueparti.La prima, si apre con capitolo storiografico,attraverso il quale ho voluto delineare ilcampo di studi all’interno del quale si col-loca la ricerca svolta. Alla luce della pro-blematica proposta inizialmente, ho privi-legiato un approccio che tenesse parimen-ti in considerazione i contributi provenien-ti dalla storia dell’ambiente, quanto quellipiuttosto inscrivibili all’interno della storiadel movimento operaio e della storia dellamedicina.A questo capitolo ne seguono altri quattro,volti a indagare delle relazioni esistente trasalute dei lavoratori, ambiente di lavoro, erisposta scientifica e istituzionale, lungoun arco temporale di circa un secolo, a par-tire cioè dalla fine del 1800, momento incui la questione sanitaria delle classi subal-terne si impose a livello italiano ed euro-peo, sino agli anni del boom economico. Ilquadro che ne è emerso è quello di unscontro tra modello preventivo e modelloassicurativo, alla fine del quale fu quest’ul-timo a prevalere.La nascita della prima Clinica del Lavoro,con sede a Milano, segnò la legittimazionescientifica delle teorie volte a sostenere ilnesso causale tra patologia e professionesvolta, relazione che per alcuni versi non èscontata neppure ai giorni nostri. Il con-senso di cui allora godevano le teorie igie-niste, volte a individuare nella salubritàdell’ambiente una garanzia necessaria almantenimento del benessere fisico della

persona, ispirarono diverse importantiindagini igienico-ambientali a propositodelle condizioni abitative e lavorative incui si trovava la popolazione italiana.Tuttavia tali indagini, come gli studi che leavevano ispirate, furono destinate a rima-nere sulla carta. Un’utopia igienista, cuinon corrispose alcun tipo di intervento daparte della classe di governo.Sino alla Prima Guerra Mondiale l’unicointervento pubblico in ambito sanitario fuvolto all’istituzione dell’assicurazione pergli infortuni.Al regime, e al suo rapporto con la que-stione sanitaria della classi lavoratrici esubalterne, è dedicato il terzo capitolo.Almeno dal punto di vista propagandisti-co, la dittatura riportò la questione ambien-tale in primo piano, annoverando tra gliobiettivi della bonifica integrale la definiti-va sconfitta del morbo malarico, una dellepatologie che più affliggeva la popolazionedi allora. Si trattò tuttavia di un interventoasistematico e contraddittorio: il risana-mento delle Paludi Pontine, territorio peraltro a bassa densità abitativa, fu un casoisolato. Zone paludose e condizioni igieni-co abitative precarie continuarono a sussi-stere in molti territori d’Italia, soprattuttonel Mezzogiorno. È alla luce della stessacontraddittorietà che va compresa la politi-ca previdenziale tipica del ventennio: l’ob-bligo di assicurazione per le malattie pro-fessionali venne istituito per una classelavoratrice sottoposta a ritmi di lavoro este-nuanti, privata dei più basilari diritti sin-dacali. (…)Infine, una quarta fase, volta a segnare rot-ture e continuità rispetto alla prima partedel Novecento è da individuare nel perio-do che va dalla nascita della PrimaRepubblica agli anni ‘60. Durante i decen-ni di boom economico il quadro sanitariodella popolazione mutò notevolmente: lemalattie radicate in ambienti di vita e dilavoro insalubri, quali la tubercolosi o lamalaria, furono debellate grazie all’azionecongiunta del progresso scientifico e far-maceutico e dell’aumentato benessere perla maggior parte della popolazione.D’altro canto il legame tra patologie e con-testo ambientale non venne meno: l’au-mento delle malattie di tipo cronico dege-

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nerativo caratteristico del periodo fu deter-minato tanto da ritmi di vita frenetici quan-to da una corsa all’industrializzazione deltutto indifferente alla salvaguardia dellasalute ambientale e umana. Tuttavia lamedicina ufficiale, fiduciosa dei successiraggiunti in ambito farmacologico, fu sem-pre più tesa alla cura dei sintomi dellemalattie, e dimentica del contesto in cui lestesse venivano contratte. (…)È in questo contesto che va compresa lalotta del Consiglio di Fabbrica dellaMontedison di Castellanza, e più in gene-rale la nascita movimento operaio per lasalute sui luoghi di lavoro che caratterizzòi decenni Sessanta e Settanta delNovecento. Fu a fronte di un sistema voltoalla mercificazione del corpo e della suaintegrità – suggellata dal prevalere delmodello assicurativo su quello preventivo- nonché di un potere contrattuale ineditoper la classe operaia, che allora il sindaca-to inserì a pieno titolo la lotta contro lamonetizzazione della salute nella suaagenda programmatica. La vicenda diCastellanza, benché erede di pratiche estrumenti di lotta introdotti all’interno delsindacato, si sarebbe allora sviluppata inmaniera autonoma rispetto allo stesso: leprime indagini ambientali promosse dailavoratori furono condotte all’interno di unorganismo quale il Consiglio di Fabbrica,che nasceva mettendo in discussione ilruolo che il sindacato aveva assunto sinoad allora. (…)

CASTELLANZA: MEMORIA DI UNACITTÀ INDUSTRIALEAncora prima di iniziare a raccontare dellanascita del Consiglio di fabbrica diCastellanza, e delle vicende che lo caratte-rizzarono, sono necessarie alcune premesse.Sarebbe impossibile dire delle sue origini,o quanto meno limitante, senza compren-dere il contesto storico, politico ed econo-mico che fu da cornice. (…) Castellanza èuna cittadina in provincia di Varese, situa-ta a metà tra Varese e Milano. Abitata dapoco meno di 15.000 persone, il suo terri-torio è attraversato per intero dal fiumeOlona, … . Durante gli anni Settanta conta-va all’incirca lo stesso numero di cittadini,e si classificava come una città industriale,

al pari di tutto l’hinterland milanese. Il suoterritorio ospitava, oltre al petrolchimico, ilcotonificio Cantoni, la manifattura Tosi, latintoria Cerini. Oggi è tutto cambiato: tra lafine degli anni Settanta e i primi Ottantamolte fabbriche furono chiuse e da alloral’amministrazione avrebbe sempre di piùpotenziato il settore della cultura e dei ser-vizi, facendone una città dedita al turismoe al terziario in generale. Tuttavia un simi-le passato industriale, non è stato rimossodall’immaginario collettivo, ma continua avivere, oltre che nei racconti delle persone,all’interno degli edifici storici della città.

L’esempio più evidente è quellodell’Università Carlo Cattaneo, fondata nel1991 per iniziativa di trenta imprenditoridella provincia di Varese. Le sue residenzeper studenti e i suoi uffici sorgono all’in-terno dell’ex-cotonificio Cantoni, che siestendeva sull’Olona lungo un’area di piùdi 68.000 mq. Questa scelta architettonicanon rappresenta un caso isolato. Si haesperienza del passato industriale sempli-cemente passeggiando per le vie principalie secondarie della città. (..)Infine, a completare questo quadro, c’è l’exstabilimento Montedison, che si sviluppasu un’imponente area di più di 120 milametri quadrati. (…). Se si proviene dallastazione, diretti verso la città, il coacervo ditubature, cisterne, capannoni, appareimponente. Molti dei suoi impianti sonoad oggi non funzionanti e i suoi dipenden-ti ridotti ad un centinaio. Sono alcunescritte e volantini, campeggianti sulle muradella città, ad informare qualsiasi visitatoredelle vicende attuali che caratterizzano ilgrande scheletro industriale. “No Elcon” si

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legge. Sono gli slogan dei comitati cittadininati per impedire che la società israeliana,dedita al trattamento e smaltimento dirifiuti chimici e farmaceutici, prenda pos-sesso degli impianti. “Noi stiamo dallaparte dell’Olona”, dicono, temendo il peri-colo che una simile attività aumenti l’in-quinamento delle acque, già messe a duraprova da più di un secolo di produzioneindustriale (il progetto in questione è statorespinto dalla Regione Lombardia graziesia alla mobilitazione popolare che alleosservazioni tecniche presentate anche daMedicina Democratica e dal Centro per laSalute Giulio A. Maccacaro, la discussionesugli interventi di bonifica e la destinazio-ne delle aree dismesse è tuttora in corso efonte di scontri tra amministrazioni, forzepolitiche e sociali, ndr) .È infatti a cavallo tra Ottocento eNovecento che furono fondati i primi stabi-limenti. Più precisamente l’incontro traCastellanza e l’industria chimica avvenneagli albori del XX secolo, nel 1902, quandola sas Ing. Siles e C. vi fondò uno stabili-mento dedicato alla produzione di fertiliz-zanti (per i cittadini la fabbrica era deno-minata “l’acido” in quanto la produzione sibasava sui derivati dell’azoto e aveva come“sottoprodotto” l’acido nitrico, ndr) . (…) Lasocietà Siles ebbe vita breve a Castellanza,cambiando più volte nome fino ad esserefinalmente assorbita dalla Montecatini nel1927. Quest’ultima diversamente era natanel 1888 come industria mineraria. Erastata fondata per iniziativa di uomini d’af-fari italiani e stranieri, prendendo il nomedal borgo toscano in provincia di Pistoia,dove erano situati i giacimenti di rame daessa sfruttati. Le vicende che portarono laMontecatini a divenire una società di spic-co del settore chimico a livello nazionale,poi nel petrolchimico, sono diversificate.(...) Il legame tra la petrolchimica e l’avven-to della società dei consumi non fu casuale.I semilavorati ottenuti dalla trasformazionedel petrolio sarebbero stati in seguito impie-gati per la produzione di gomme, fibre sin-tetiche e plastiche, tutti prodotti per cui siregistrò un aumento della domanda in con-comitanza con l’aumento del benesseredella società civile. In Italia questo ramodella ricerca chimica fu strettamente legato

al nome di Giulio Natta, che nel 1963 fuinsignito di Nobel, premiato per aver sco-perto una struttura molecolare particolarechiamata polipropilene isotattico.Natta, lavorava per la Montecatini, che potécosì contare sul brevetto del prodotto tro-vandosi comunque in un momento di crisi,segnato soprattutto dall’incapacità dei diri-genti di gestire una società estremamenteramificata. In ogni caso la scoperta del poli-propilene avvenne a trent’anni di distanzadal primo incontro tra la Montecatini e ilsettore delle plastiche: nel 1934 proprioCastellanza era stato il palcoscenico di que-sta sperimentazione produttiva. Alloranella città lombarda fu istituito il primocentro di ricerca industriale sulle materieplastiche e lo stabilimento, originariamentedestinato alla produzione di superfosfati, furiconvertito per ottenere resine artificiali, erelativi prodotti intermedi : metanolo, for-maldeide e urea. Polimeri al pari del poli-propilene le resine sono semilavorati chepossono poi essere impiegate per gli usi piùdisparati.Fu l’incontro tra la Montecatini e la petrol-chimica, oltre che alla nazionalizzazionedell’energia elettrica avvenuta nel 1964, aportare nel 1966 alla fusione con la Edison.(...). Pochi anni dopo, nel ‘70, l’incapacitàdel gruppo dirigente di gestire efficacemen-te la fusione, e il fallimento nella coordina-zione dei diversi comparti produttivi esi-stenti, avrebbe portato alla decisione, daparte dello Stato, di acquistare importantiquantità delle azioni Montedison.Durante tutto il periodo in cui si sviluppò lalotta del Consiglio di Fabbrica diCastellanza la Montedison fu quindi permetà statale. Questo è un dato che va tenu-to in grande considerazione. Le rivendica-zioni degli operai, le accuse di condurreuna politica lavorativa criminale nei con-fronti della tutela della salute, assumonouna sfumatura differente se si pensa cheerano rivolte contro un’azienda in partepubblica. D’altronde lo stesso diritto allasalute era ribadito a più riprese nella stessaCostituzione. Questa dimensione della lottaera ben presente ai lavoratori, che cercaro-no di utilizzarlo a loro vantaggio, nella lorobattaglia per l’affermazione dei diritti deilavoratori. (…)

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NASCITA DEL GRUPPO DI PREVEN-ZIONE E IGIENE AMBIENTALE (GPIA)L’origine dell’esperienza di lotta che qui sivuole raccontare va collocata tra gli anni‘68 e ‘69 del Novecento, ed è strettamentelegata alla nascita di quello che, da quantilo istituirono, venne chiamato Gruppo diPrevenzione e Igiene Ambientale (GPIA).Questo gruppo, formato inizialmente da 6-7persone e ampliatosi col tempo, rappresen-tava un’avanguardia in materia di difesadella salute e dell’ambiente di lavoro.Benché la sua storia sia strettamente legata aquella del Consiglio di Fabbrica, la suanascita precede quella di quest’ultimo, edetermina il peculiare interessamentorispetto alle nocività industriali che avrebbecaratterizzato il Consiglio stesso per tutto ildecennio successivo. Insistere sul GPIA èdoveroso in questa sede, non solo in virtùdella sua funzione precorritrice, ma ancheperché la sua esistenza segna il caratteredistintivo della battaglia di Castellanzarispetto a tante altre lotte contro la monetiz-zazione della salute che caratterizzarono ilmovimento operaio nello stesso periodo. Daqueste Castellanza di certo prese a prestitoslogan e pratiche di lotta. “La salute non sivende”, e la “non delega” nella tutela dellasalute, erano motivi che scandivano le pro-teste e i comunicati, tanto nella cittadinalombarda quanto nelle altre fabbriche dicentro e nord e sud Italia.Tuttavia, se il resto del movimento si svolsein gran parte all’interno delle istituzioni sin-dacali, a Castellanza esso assunse un carat-tere assolutamente autogestito. Un modoradicale di intendere il principio della “nondelega”, si tradusse nella presa di distanzarispetto al sindacato stesso, o quanto menonella richiesta che esso rinnovasse la suarelazione rispetto ai lavoratori. (…)Negli anni immediatamente successivialla Seconda Guerra Mondiale, il sindaca-to non fu completamente estraneo alleproblematiche legate alla nocività nei luo-ghi di lavoro, ma al contrario bene a cono-scenza della necessità di difendere il dirit-to alla salute per tutti. D’altronde, benchéampiamente disatteso, tale principio eragià stato affermato nel 1948, all’internodella Costituzione. Allora la nascente Repubblica italiana

“democratica” e “fondata sul lavoro” - siimpegnava da una parte nella “tutela dellasalute come fondamentale diritto dell’indi-viduo e interesse della collettività”, dall’al-tra nella “tutela del lavoro in tutte le sueforme e applicazioni”. Di fatto tali principierano rimasti sulla carta, largamente inap-plicati negli anni successivi. I decenniCinquanta e Sessanta segnarono un perio-do di rapida industrializzazione. Dallanecessità di colmare il divario che separa-va l’Italia dal resto dell‘Europa, era seguitauna totale noncuranza nei confronti dinorme igienico-sanitarie e ambientali.

Allora era opinione diffusa quella secondocui lo sviluppo e il benessere sarebberostati raggiunti solo attraverso l’accettazionedi alcuni mali inevitabili, in ogni caso maliminori rispetto alla futura ricchezza pro-spettata. In un simile contesto le organiz-zazioni sindacali, pur a conoscenza delleproblematiche di salute legate in particolarmodo ad alcuni settori produttivi, qualiquelli chimico e petrolchimico, erano vitti-ma di questo tipo di discorso politico. Inun periodo non facile per il movimentooperaio, in sede contrattuale era privilegia-ta la negoziazione rispetto a obiettivi ditipo tradizionale. Riduzione degli orari dilavoro, garanzie contro licenziamenti,aumenti salariali, (perché no, anche legatia mansioni particolarmente nocive) eranotra le principali rivendicazioni.(…). La CGIL, e quindi la Filcep, fu laprima ad interessarsi della questione,segnando così un vantaggio rispetto aglialtri due sindacati, che stavano portandoavanti piattaforme rivendicative separate.L’anno precedente era stato caratterizzato

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da una certa ripresa della produzioneindustriale, e da un lieve incremento del-l’occupazione.L’atteggiamento del padronato non mostra-va tuttavia spiragli verso concessioni disorta per i lavoratori. (… ) Malgrado i tradi-zionali disaccordi tra CGIL, CISLe UIL, e laconseguente debolezza del fronte sindaca-le, il contratto firmato nel 1966 riportòdelle conquiste significative per i lavorato-ri chimici e farmaceutici. Oltre ad essereanticipatore di rivendicazioni che sarebbe-ro divenute centrali negli anni successivi,relative cioè al potere del sindacato in fab-brica o alla libertà dei lavoratori nei luoghidi lavoro, questo introduceva delle novitàa proposito della partecipazione operaiaall’attività di tutela della sicurezza in fab-brica, prevedendo l’introduzione deiComitati Aziendali di prevenzione e sicu-rezza. Composti dai 9 ai 15 membri, inparte tecnici stipendiati dalla dirigenza, inparte operai designati dai rappresentantidei lavoratori questi erano incaricati divigilare sull’applicazione di norme per lasicurezza, esaminare proposte atte amigliorarla e in generale destinati a pro-muovere la conoscenza e l’applicazione dinorme antinfortunistiche. Sino ad allora glienti e gli istituti preposti alla tutela dellasalute, legati o meno alla direzione deglistabilimenti, non avevano mai contempla-to la presa di parola dei lavoratori al lorointerno. In questo consisteva il potenzialeinnovativo dei Comitati, che anticiparonocosì alcuni diritti che sarebbero stati otte-nuti solo qualche anno più tardi, attraversolo Statuto dei Lavoratori. Ad oggi il giudi-zio sull’efficacia di questi nuovi organismiè duplice. Da un lato essi si rivelaronodegli strumenti inadeguati ad assolvere aldifficile compito cui erano preposti.L’idea del ruolo attivo degli operai all’in-terno dell’attività di controllo dell’ambien-te di lavoro, per quanto avanzata potesseessere, era fortemente limitata nella praticadal divario tecnico e culturale che li sepa-rava dai tecnici di professione, stipendiatidall’azienda.(…). D’altra parte si riconosce che propriol’introduzione dei Comitati, per quantomanchevole sotto alcuni aspetti, servì apromuovere quella sensibilizzazione all’ar-

gomento mancata sino ad allora. Di fatto laloro funzione venne confermata e potenzia-ta nel contratto di categoria successivo (…).In ogni caso la più grande novità in materiaambientale presente nel contratto del ‘69coincise con l’introduzione dei MAC(Maximum Allowable Concentration oMassima Concentrazione Ammessa), indiciche avrebbero sancito i limiti di concentra-zione per vapori, polveri, sostanze tossicheo nocive. I MAC di riferimento sarebberostati quelli stabiliti dall’AmericanConference of Governamental IndustrialHygienists, un’organizzazione statunitensenata nel 1938, impegnata in ambito di sicu-rezza sul posto di lavoro.Siamo arrivati agli anni 1967-1968, duran-te i quali nacque la protesta anche aCastellanza.Allora anche il petrolchimico Montedisonbeneficiò delle conquiste di quegli anni, edell’introduzione dei Comitati Paritetici.Fu proprio all’interno di quest’organo chesi originò il GPIA, collocandosi rispetto adesso, ora in posizione di continuità, ora dirottura. (…) a Castellanza alcuni lavoratori,partecipi del Comitato, ne accusarono ilmalfunzionamento: la pariteticità sembra-va loro più presunta che effettiva. Eranosemplicemente i numeri a dimostrarlo: seidelegati dei lavoratori erano quattro, men-tre venti i rappresentanti della direzione,come si poteva parlare di uguaglianza? Ilfatto che alla direzione spettassero anche lasegreteria e la presidenza dell’organo,rafforzava l’idea che l’organismo sindacalefosse più che altro una soluzione di com-promesso, che non faceva che rendere piùlampanti le contraddizioni del capitale.(…) In un primo tempo quindi questaavanguardia operaia cercò di modificare ilComitato dal suo interno, attraverso alcuneproposte che potessero rendere effettiva lapartecipazione dei lavoratori. A questoproposito le richieste alla direzione si arti-colarono su tre punti principali. Anzituttovennero chiesti degli esami radiografici,broncospirometrici e cardiologici per lemaestranze. In secondo luogo si domandòche le condizioni di sicurezza valide pergli operai Montedison fossero applicateanche per quelli delle imprese appaltatrici,ed infine che eventuali negligenze in tal

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senso fossero seguite dalla denuncia delleimprese stesse alla autorità competenti.La Montedison rispose con un netto rifiuto.Questo tuttavia non scoraggiò l’iniziativaoperaia, che al contrario proseguì al di fuoridelle strutture in cui si era originata, crean-done di nuove. È allora che si colloca lanascita del Gruppo di Prevenzione e IgieneAmbientale, il cui nome fu frutto di una pre-cisa scelta lessicale. L’ambiguità del termine“antinfortunistico”, che nulla diceva sull’at-tività che concretamente avrebbe dovutoessere svolta, venne ovviata attraverso l’in-troduzione di un più significativo “preven-zione”, destinata a divenire vera e propriaparola chiave dell’azione in seguito condot-ta all’interno e all’esterno della fabbrica.Non meno importante fu l’aggiunta dell’ag-gettivo “ambiente”, impiegato in quel con-testo per descrivere una tipologia di inter-vento pienamente inscrivibile all’internodel neonato movimento di ecologia politica.Il termine ambiente, così come fu usatodagli operai, assumeva una sfumatura disignificato specifica, che rifiutava di consi-derare separate la sfera naturale e quellasociale. (...) la distruzione dell’ambiente, equindi della salute, erano viste comeprofondamente legate alle dinamiche didominio capitalista. La sconfitta di una talelogica distruttiva - e quindi la salvaguardiadella salute, e dell’ambiente - sarebbe stataottenuta solo attraverso una radicale tra-sformazione della società. (…) la sua nasci-ta è strettamente legata al movimentonazionale che durante l’autunno caldovide l’affermarsi dei Consigli di fabbricacome organismi di rappresentanza deilavoratori. I Consigli soppiantarono la pre-cedente forma di rappresentanza sindaca-le, quella delle Commissioni Interne, invirtù dello stesso principio di non delegache aveva portato alla nascita del GPIA aCastellanza.

NASCITA DEL CONSIGLIO DIFABBRICA DELLA MONTEDISON DICASTELLANZALa Commissione Interna era un organismoelettivo aziendale, le cui origini risalgonoai primi decenni del Novecento. Soppressedurante il ventennio fascista, esse furonoripristinate nelle loro funzioni nel secondo

dopoguerra attraverso tre leggi consecuti-ve, rispettivamente nel 1947, nel 1953 enel 1966. Secondo la normativa avrebberodovuto essere elette all’interno di tutte leimprese in cui erano occupati più di 25lavoratori, e negli stabilimenti ogni lavora-tore, iscritto al sindacato o meno, avrebbeavuto il diritto di votare e di candidarsi. Icompiti dei delegati così eletti erano pura-mente consultivi, relativi alla facilitazionedella collaborazione reciproca tra lavorato-ri e dirigenza. Si trattava quindi di assicu-rarsi della corretta applicazione dei con-tratti di lavoro, di proporre interventi per

migliorare i servizi aziendali, e in generaledi dirimere le eventuali controversie tra ilavoratori e l’azienda. In ogni caso nella pra-tica dei fatti, consolidatasi nel corso deglianni, i tre maggiori sindacati nazionali -CGIL, CISL, UIL - erano divenuti i principa-li tramiti dell’organizzazione della rappre-sentanza, tanto che ogni Commissione risul-tava divisa in diverse correnti, afferenti aisindacati stessi (…). Nell’immediato dopo-guerra, la riconquista di questo istituto dirappresentanza fu accolta con estremofavore, vissuta dai lavoratori come possibi-lità di espressione diretta della lorovolontà, nonché simbolo della ripresa del-l’iniziativa collettiva. Tuttavia durante glianni Cinquanta e Sessanta, in concomitan-za con la nuova offensiva padronale da unlato e la disunione sindacale dall’altro, l’e-sistenza delle Commissioni entrò in crisi:soprattutto nelle piccole e medie imprese,la loro esistenza venne messa in discussio-ne. Allora, all’interno dei due maggiori sin-dacati, CGIL e CISL, iniziarono ad essereformulate ipotesi per una loro riforma o

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sostituzione.(…) Al di là delle discussioni interne alleorganizzazioni sindacali, le Commissionierano criticate anche dalla base dei lavora-tori, che lamentavano i vizi di formasubentrati nel sistema elettivo. Il fatto chefossero i delegati uscenti a organizzare leelezioni, aveva favorito il consolidarsi dimeccanismi di cooptazione. La ciclicariconferma degli eletti, era la causa di unasorta di professionalizzazione degli stessi.Inoltre i poteri di cui i delegati erano dota-ti sembravano insufficienti a renderne effi-cace l’azione. (…)Le critiche e le riflessioni qui sommaria-mente descritte spiegano la nascita deiConsigli di Fabbrica solo se inscritte all’in-terno del tempo in cui furono formulate,caratterizzato dall’affacciarsi dei movi-menti studentesco e operaio. La protestadel Sessantotto, attraverso il forte legameche cercò di instaurare con il mondo ope-raio, letteralmente travolse anche il mondosindacale. (…). Sulla scia della protestanacquero delle nuove forme di organizza-zione della rappresentanza, che vollerorappresentare un’alternativa rispetto aquelle esistenti. Erano i Consigli diFabbrica, similmente a quelli che avevanocaratterizzato il Biennio Rosso seguentealla Prima Guerra Mondiale. L’elezione deidelegati che formavano il Consiglio avve-niva in modo capillare, e comportava l’in-dividuazione di gruppi omogenei all’inter-no degli stabilimenti. Quella del gruppoomogeneo fu un’introduzione estrema-mente importante, su cui si ritornerà. Essocorrispondeva all’insieme di operai addet-ti allo stesso reparto, alla stessa lavorazionee quindi - per quanto concerne la tuteladella salute - sottoposti allo stesso tipo dinocività. Ogni gruppo così individuatoeleggeva uno o più rappresentanti, inmodo che il Consiglio che ne sarebbe risul-tato, sarebbe stato il più possibile espres-sione reale di quanto avveniva all’internodell’azienda. L’utilizzo dell’organo assem-bleare, come era stato per il movimentodegli studenti, divenne centrale nella faseconsiliare, una sorta di conferma quotidia-na del voto espresso inizialmente, che ser-viva a evitare la deriva della delega fidu-ciaria. Gli eletti inoltre si imposero come

interlocutori ufficiali in sede contrattuale,superando il semplice potere consultivotipico delle Commissioni.Benché i Consigli di Fabbrica fossero ini-zialmente del tutto restii a qualsiasi formadi istituzionalizzazione, una sorta di ratifi-cazione del cambiamento avvenuto avven-ne già l’anno seguente attraverso lo Statutodei Lavoratori (legge n.300/1970). Questoprevedeva l’introduzione delleRappresentanze Sindacali Aziendali(RSA), cui era riconosciuto il diritto di con-trattazione, ma che potevano essere elettesolo dagli iscritti al sindacato. Era una sortadi soluzione di compromesso (…). In ognicaso la formula espressa dai Consigli fu neifatti molto più duratura di quanto ci siaspettasse, tanto che essi continuarono adesistere, sino alla stipulazione dei contrattinazionali di lavoro del 1972, attraverso iquali furono riconosciuti come forma dirappresentanza aziendale al posto delleCommissioni Interne. Come queste ultime,erano elette da tutti i lavoratori, ma diver-samente il gruppo di eletti non era divisosecondo correnti sindacali.(… ). Nella cittadina lombarda venneroricalcate in maniera quasi simmetrica letappe che scandirono l’evoluzione deimodelli di rappresentanza aziendale alivello nazionale. Fino al 1969 nello stabi-limento Montedison venne eletta laCommissione Interna. Per un numero dilavoratori che nel corso del decennioSessanta si aggirava intorno ai 900-1.000organici in totale, tra impiegati e operai, idelegati eletti erano all’incirca otto o nove.Questi erano esponenti iscritti all’internodi uno dei tre sindacati nazionali, che difatto organizzavano la rappresentanza. (…)La percentuale di partecipazione alle ele-zioni era piuttosto alta, e molto spesso unabuona metà degli eletti venivano riconfer-mati di anno in anno. (…) È a cavallo traanni Sessanta e anni Settanta che nacque ilConsiglio di Fabbrica. I gruppi omogeneidi cui era emanazione, potevano esserecoincidenti con il reparto o meno, macomunque sempre corrispondenti a gruppidi operai colpiti dalla medesima nocività.In più, il CdF di Castellanza aveva una par-ticolarità: esso sin da subito rifiutò di for-mare un comitato esecutivo al suo interno,

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per far modo che le decisioni fossero presein maniera più concertata possibile.Ovviamente non bisogna pensare che tuttigli eletti fossero sempre presenti nello svol-gimento dell’attività del Consiglio, cheaveva luogo quotidianamente secondoritmi piuttosto serrati. Questo sarebbe statopraticamente impossibile visto che i dele-gati furono più di un centinaio nel corso ditutto il decennio Settanta - rappresentantidi uno stabilimento in cui gli organicisarebbero aumentati a 1500. (…)La nascita del Consiglio di Fabbrica e quel-la del Gruppo Pia a Castellanza furonoquasi contemporanee. L’esistenza delprimo venne ratificata con i contrattinazionali del 1972, quella del secondoattraverso un accordo aziendale firmatonel 1971. Il GPIA sarebbe divenuto parteintegrante del Consiglio, commissione dilavoro operante al suo interno. Di conse-guenza, ogni decisione presa in materia ditutela dell’igiene del luogo di lavoro riguar-dante ad esempio la richiesta di analisiambientali o mediche avrebbe dovutoessere ratificata dal CdF per divenire ese-cutiva. Nel frattempo il Gruppo PIA si eraampliato, arrivando a comprendere 20-25membri, ed aveva elaborato una propostaoperativa più strutturata. Il principio dinon delega inizialmente affermato, erastato arricchito da un’elaborazione teoricavolta a mettere in dubbio la neutralità deisaperi ufficiali. Si sosteneva che la scienza,oggettiva solo a parole, fosse in realtàespressione del potere capitalistico, e dellasua stessa logica di dominio. Il fatto che agarantire il rispetto delle norme igienicosanitarie sul luogo di lavoro fossero tecnicistipendiati dal padrone, rendeva di parte igiudizi formulati al termine di ogni indagi-ne ambientale, e di ogni visita medica.Contro una scienza sedicente oggettiva,che sembrava perpetuare le contraddizionitipiche del capitale, i lavoratori opposerol’elaborazione di un sapere operaio, la cuiefficacia venne dimostrata giorno dopogiorno, nella pratica quotidiana.Vennero elaborate delle precise metodolo-gie di intervento, attraverso cui conoscerela fabbrica, e tenere capillarmente sottocontrollo ogni impianto, garantendone ilcorretto funzionamento nella tutela della

salute dell’ambiente e della sicurezza deilavoratori.La scienza operaia nella pratica operavaattraverso l’utilizzo di alcuni strumentiprincipali, che non furono originariamenteintrodotti a Castellanza, bensì all’internodell’esperienza condotta presso laFarmitalia di Settimo Torinese dieci anniprima, diffusisi in seguito attraverso gli sta-bilimenti italiani, in concomitanza dell’a-vanzamento del movimento per la salute.Questi strumenti erano principalmente tre:il libretto sanitario di rischio, i registri didati biostatistici e il registro di dati ambien-

tali, e la validazione consensuale. Comerecita la sua stessa copertina, il librettosanitario si caratterizzava per due aspettifondamentali: era a “testo unico” e “perso-nale”. Il testo unico era quello che univa lasezione riguardante la salute dell’operaio equella a proposito delle nocività presentinell’ambiente in cui questi lavorava - oaveva lavorato - in un medesimo volume.La salute e l’ambiente divenivano partiintegranti della medesima diagnosi. Illibretto era quindi composto da una primaparte, in cui figuravano nell’ordine tutti gliinfortuni che avevano colpito il lavoratorenel corso della sua attività, i sintomi da luiaccusati nel periodo lavorativo, gli esamiclinici passati (se reperibili), ed infine lediagnosi effettuata dai medici e le relativeterapie prescritte. La seconda parte riguar-dava i rischi ambientali, e al suo internoerano trascritte le analisi ambientali rileva-te nel posto di lavoro del lavoratore, pre-sente e passato. Nel caso queste ultime nonfossero state reperibili, il lavoratore avreb-be dovuto appuntare quali erano stati i

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materiali da lui utilizzati e quali i rischi,anche potenziali, derivati dalla manipola-zioni di tali prodotti.Il libretto così compilato era personale perdue motivi: il lavoratore vi ricostruiva sog-gettivamente i sintomi accusati nei posti dilavoro precedenti e in quelli attuali e per-ché esso doveva stare nelle tasche del lavo-ratore.Erano entrambe conquiste rivoluzionarierispetto allo stato di cose precedente, in cuiil medico di fabbrica, stipendiato dall’a-zienda, era l’unico punto di riferimento inmateria di salute all’interno delle stabili-mento, formulando le diagnosi e custoden-do la storia clinica del paziente. Era unarivoluzione in senso letterale: chi sino adall’ora era stato oggetto di un sapere prove-niente dall’altro, diveniva il soggetto pro-duttore del sapere stesso. Concretamenteinoltre, il fatto che i dati clinici fosserocostantemente disponibili faceva sì chequesti fossero facilmente accessibili aimedici curanti del lavoratore, o a qualsiasimedico questi volesse interpellare, al con-trario di quanto gli stessi dati rimanevanocustoditi nell’infermeria dell’azienda, inquanto tali inaccessibili. I registri di datibiostatistici e ambientali si inscrivevanoall’interno dello stesso processo di riappro-priazione dei saperi, con l’unica differenzache in questo caso si trattava di un inter-vento collettivo e non individuale.Entrambi i registri erano compilati daigruppi omogenei; nel primo erano trascrit-ti i risultati delle analisi cliniche cui imembri del gruppo erano sottoposti. Nelsecondo erano riportate le analisi ambien-tali compiute sui vari fattori di rischio.Sia il libretto che i registri di dati biostati-stici e ambientali erano impiegati dal GPIAall’interno del suo meticoloso interventosull’ambiente di lavoro. Tale intervento eracomposto da alcune fasi principali. Inprima istanza erano individuati i gruppiomogenei, e realizzata la pianta della fab-brica, al fine di riconoscere i punti in cuierano presenti delle nocività. Nei punticosì individuati erano svolte delle misura-zioni, i cui risultati erano discussi e valida-ti con i lavoratori impiegati nell’impianto etrascritti sul registro di dati ambientali. Inquesta fase erano redatte anche delle

mappe di lavorazione, in cui si indicavanole materie prime impiegate nel determina-to impianto e le posizioni di lavoro corri-spondenti. In un secondo momento eranoeffettuate delle indagini mediche di scree-ning (cioè delle analisi generalizzate, disolito utilizzate quando all’interno delgruppo preso in esame il rischio di malat-tia è elevato), per ricavarne un quadro epi-demiologico delle realtà a rischio. In terzaistanza anche i risultati delle indagini cli-niche erano validati con gli operai interes-sati. Ne seguiva infine la decisione colle-giale degli obiettivi da raggiungere, chepotevano concernere la richiesta di ulterio-ri indagini cliniche, o quella di effettuarebonifiche, o interventi di ingegneria indu-striale.Le fondamenta di questo tipo di interventosono da ritrovare nell’introduzione della“validazione consensuale” una praticaconsistente nell’approvazione, da parte deilavoratori interessati, dei risultati finalidelle analisi effettuate dai tecnici. La sog-gettività dell’operaio, in ultima istanza,veniva ribadita prima, durante e dopo leindagini medico-ambientali.Risulta chiaro a questo punto lo strettolegame instaurato tra il Gruppo PIA e ilConsiglio di Fabbrica. (…) Un tipo di inter-vento ambientale, come era quello svolto,scandito da ritmi quotidiani, aveva biso-gno di inserirsi in una struttura organizza-tiva che fosse caratterizzata da un impegnopolitico ugualmente assiduo. La Commissione Interna, oltre a garantireuna forma di rappresentanza limitata, simobilitava con ritmi molto inferiori aquelli del Consiglio. Questo al contrario -soprattutto attraverso la pratica assemblea-re - svolgeva un’attività parimenti quoti-diana. Da una parte, con il Consiglio, ci siriappropriava del diritto di fare politica,tanto contro l’azienda, quanto contro i sin-dacati, accusati di eccessivo decisionismo.Dall’altra ci si riappropriava del propriocorpo, che sino ad allora era stato in baliadelle decisioni dei poteri forti. Così, l’ela-borazione di una vera e propria metodolo-gia scientifica alternativa in cui l’operaiofosse protagonista attivo, andò di paripasso con la creazione di nuove struttureattraverso cui organizzare la rappresentan-

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za dei lavoratori all’interno dello stabili-mento.Il contratto che nel 1971 ratificò l’esistenzadel GPIA rappresentava una conquistadegna di significato. L’azienda si impegna-va a riconoscere non solo la legittimitàdelle indagini igienico-ambientali cheerano già state avviate da qualche tempoall’interno dello stabilimento, ma anchel’esistenza di un vero e proprio sapere ope-raio, che avrebbe potuto essere legittima-mente espresso e preso in considerazioneaccanto a quello dei tecnici stipendiati dal-l’azienda, sino ad allora unici detentori delsapere scientifico riconosciuto.Negli accordi non era fissato un numerolimite per i partecipanti del GPIA.Nella pratica quotidiana esso era costante-mente integrato dalla presenza di almenoun lavoratore del reparto preso in esame.Si pensi ad esempio al momento in cui sitrattava di stabilire la sopportabilità dellaconcentrazione di polveri o sostanze noci-ve (MAC).Tale prelevamento avrebbe dovuto avveni-re nell’esatto luogo dove l’operaio ognigiorno respirava le sostanze presenti nell’a-ria, e non - come spesso accadeva - in luo-ghi distanti dalla lavorazione o addiritturaa lavorazione interrotta. L’estrema concre-tezza di questa conquista celava elabora-zioni teoriche sofisticate. L’affermazionedella validità di un sapere alternativo aquello tradizionale era strettamente legataal riconoscimento dell’intrinseca politicitàdella tecnologia e della scienza. Il tipo discienza che si voleva cambiare, super par-tes nelle parole ma non nei fatti, era com-battuta attraverso l’elaborazione di prati-che che potessero introdurre forme nego-ziate e condivise di apprendimento e cono-scenza.Nei contratti nazionali del 1972, quando siriconobbe la funzione dei Consigli diFabbrica, vennero riportate importanti vit-torie anche in tema di salute e ambiente.Furono introdotte le CommissioniAmbiente, il registro di dati ambientali e illibretto sanitario di rischio. Alle Commissioni erano attribuite funzionianaloghe a quelle che il GPIA aveva giàottenuto a livello aziendale l’anno prece-dente, incaricate quindi di coordinare e

rendere effettiva l’utilizzazione del registrodei dati ambientali e del libretto sanitariodi rischio, nonché del diritto ottenuto conlo Statuto dei Lavoratori, che sanciva lapossibilità per gli operai di servirsi di pro-pri medici o di designare Istituti specificiper lo svolgimento di indagini mediche eambientali. Malgrado questa sovrapposizio-ne Castellanza non rinunciò alla specificitàdel GPIA: “Questo non per una mera con-trapposizione di sigle rispetto allaCommissione Ambiente. Ma come stru-mento di lotta conquistato sino da allora(1969 n.d.r.) dai lavoratori [. . . ]

Il nostro gruppo operava da prima e si èconquistato spazi di azione molto più ampidi quelli riconosciuti alla CommissioneAmbiente” (GPIA del CdF Montedison diCastellanza, “La salute in fabbrica”, Savelli,1974) - avrebbero detto i delegati del CdFpiù tardi.Inoltre, il fatto che a Castellanza ogni deci-sione del GPIA fosse legata all’approvazio-ne del CdF, che organizzava in manierademocratica la rappresentanza nello stabi-limento, era da garanzia contro ogni peri-colo di deriva tecnicistica del GPIA stesso.Si impediva insomma che all’interno dellostabilimento fosse riproposta quella scis-sione tra tecnici e non-tecnici che si criti-cava nella società.Questa rivendicazione corrispondevaall’atteggiamento che nel corso di tutto ildecennio contraddistinse i rapporti rispet-to al sindacato. Gli operai di Castellanza,almeno sino alla fine degli anni Settanta,cercarono e ottennero la collaborazionecon la FULC di Varese nello svolgimentodella loro attività all’interno e all’esterno

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della fabbrica. Il rifiuto della delega nonsarebbe sfociato quindi in un rifiuto del sin-dacato, del tutto controproducente rispettoall’idea di creare rete. D’altronde in quelmomento storico esisteva un terreno riven-dicativo comune, che attribuiva al rifiutodella monetizzazione della salute un ruolocentrale nella gestione dei rapporti colpadronato. (…)Parimenti, la critica alla neutralità dellascienza, non sfociò nel rifiuto di un dialogocol mondo della scienza “ufficiale” ma piut-tosto nella ricerca di un’alleanza con quan-ti, pur essendo tecnici, condividevano lastessa critica rispetto ai saperi forti e, nellostesso momento storico, si impegnavanoper un rinnovamento interdisciplinare dellamedicina.

L’INCONTRO CON TECNICI ESTERNIALLO STABILIMENTO: LA COLLABO-RAZIONE CON MACCACARO E CON ILCONSORZIO ANTITUBERCOLARE DIMILANO(…) La collaborazione con medici di profes-sione che potessero essere parte della stessalotta, rappresentava un vantaggio per dueordini di motivi. Da una parte avrebbe com-portato un ampliamento della lotta verso l’e-sterno, dall’altro avrebbe significato poterdisporre di un sapere tecnico che potessedialogare ad armi pari con quello padrona-le. Se erano gli operai quindi, che attraversoun lavoro individuale e collettivo, attraversoi gruppi omogenei, ricostruivano il cicloproduttivo, segnalando possibili fattori dinocività, era poi con l’intervento dei tecniciche si svolgevano le misurazioni (audiome-triche, ad esempio, o relative alle concentra-zioni nell’aria di sostanze nocive). Ancorpiù nel caso di indagini cliniche ed epide-miologiche l’ausilio di conoscenze e stru-mentazioni specifiche si faceva quanto mainecessario. Il risultato fu la costituzione diuna vera e propria equipe interdisciplinare,in cui saperi differenti avrebbero collabora-to per un impegno preventivo a tutto tondo.Il contesto storico di allora era favorevole:all’interno del ‘68 universitario milanese - eitaliano in genere - le facoltà di medicinaerano state caratterizzate da proteste ricchedi conseguenze. La critica dei saperi ufficia-li prodotta, aveva dato origine a inedite

esperienze di medicina alternativa, e sensi-bilizzato una generazione di studenti rispet-to alle ripercussioni sociali del mestiere chesi accingevano a svolgere. (…) Allora, nelcorso del biennio 1970-1971, presso la citta-dina in provincia di Varese, vennero orga-nizzati una serie di incontri tra personaleinterno ed esterno allo stabilimento. Benchégli universitari contattati individuasseronella fabbrica il terreno di scontro con ilcapitale, è pur vero che nella maggior partedei casi essi non avevano mai avuto espe-rienza diretta di quell’ambiente. Il dibattitoverteva sulla priorità o meno della socializ-zazione e della gestione diretta da parte delgruppo operaio omogeneo dei dati ambien-tali e dei rischi potenziali. “Questo dibattitodurerà alcuni mesi [. . . ] e segna la nascitadell’egemonia del Gruppo PIA nel confron-to dei tecnici esterni” (G. Duca “Il controllodiretto dei lavoratori sulla nocività dell’am-biente di lavoro”, 1973 ) avrebbe scritto unostudente universitario a proposito della neo-nata collaborazione con il Consiglio diFabbrica. L’egemonia del Gruppo PIA con-sisteva nel suo ruolo di coordinazione del-l’attività che si intendeva svolgere. Agli ope-rai che ne facevano parte spettava il compi-to di mantenere i contatti con i gruppi omo-genei, di ordinare le indagini ambientali, omediche, necessarie e infine quello di vali-dare i risultati ottenuti con il Consiglio diFabbrica. I tecnici esterni si prestavano a for-nire consulenza e conoscenze specificherispetto a un tipo di intervento che d’altron-de era già stato ampiamente avviato all’in-terno dello stabilimento.Negli stessi anni gli operai di Castellanzapoterono contare anche, oltre all’appoggiodel personale medico volontario, sulla col-laborazione di alcuni Istituti dediti allamedicina del lavoro, già impegnati sul terre-no della tutela della salute all’interno dellefabbriche. Questi erano essenzialmente due:l’Istituto di Biometria di Milano, diretto daGiulio Maccacaro, il ConsorzioAntitubercolare di Milano, istituto pubblicoimpegnato da tempo in un’attività preventi-va territoriale.(…)A conoscenza di questo tipo di attività,Castellanza chiese la cooperazione delConsorzio intorno ai primi anni Settanta,

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agli albori dell’attività del Gruppo PIA. […]nel 1971 nello stabilimento era stato avviatoun intervento nel reparto fenoliche, nelquale venne presto riscontrata una concen-trazione troppo alta di polveri nocive. Nellavertenza intavolata con l’azienda fu quindiinserita la richiesta di effettuare indaginicardiologiche e broncospirometriche sututti i lavoratori interessati.Erano gli anni successivi allo Statuto deiLavoratori, il cui articolo 9 ammetteva lapossibilità che gli operai si avvalessero dipropri medici per svolgere gli esami clinici.Il CdF allora, già in contatto con Maccacaroe con l’Istituto di Biometria di Milano, e ingenerale con un gruppo di medici prove-nienti dalla stagione di lotte studentesche eoperaie, si rivolse al Consorzio per due ordi-ni di motivi. Questo, benché appartenente atutti gli effetti al «settore ufficiale dei medi-ci» sembrava offrire garanzie «tecniche epolitiche». Le garanzie tecniche erano relati-ve alla strumentazione e alle competenzescientifiche a disposizione, mentre quellepolitiche derivavano dal carattere eminente-mente pubblico della struttura, finanziatocom’era dalle casse comunali e provinciali.Al contrario delle indagini promosse e sov-venzionate dall’azienda, non esistevanoquindi conflitti di interesse. (…)La collaborazione col Consorzio e conl’IBSUM si consolidò. In misura inferiorevennero coinvolte anche altre realtà istitu-zionali, tra queste il Policlinico Borgo Romadi Verona, dove erano impiegati medici sen-sibili alle tematiche affrontate a Castellanza.Malgrado le specificità dei percorsi indivi-duali che portarono i diversi medici a coin-volgersi nell’esperienza, si possono rintrac-ciare dei denominatori comuni rispetto allaloro partecipazione. Eventuali divergenzeconseguenti a differenti percorsi politicierano superate attraverso un comune mododi concepire il ruolo del medico. Questiaveva il dovere di assolvere delle specificheresponsabilità sociali: la medicina dovevaessere al servizio delle persone, a prescinde-re dall’estrazione sociale. Nella prevenzionesi riconosceva il fine preponderante dell’at-tività medica, o per lo meno la principaledirettiva per l’elaborazione di una riformadel sistema sanitario.Parlare in questo caso di riforma non è

casuale: durante il decennio Settanta inItalia furono poste le premesse per il famosoprogetto di legge che sarebbe stato approva-to nel 1978 (legge 833/78) dando vita alServizio Sanitario Nazionale. […]

TUTELA DELL’OCCUPAZIONE, DELLASALUTE E DELL’AMBIENTE, PER UNINTERVENTO DENTRO E FUORI LAFABBRICA[…]Gli interventi condotti dal Gruppo Pia edal Consiglio di Fabbrica furono diversifi-cati, e durante il periodo considerato solle-

varono una vastissima gamma di questio-ni. Per comprendere la portata del lavorosvolto, basta pensare che nel corso deldecennio ogni reparto dello stabilimentofu sottoposto a misurazioni e controlli, daeffettuare attraverso la nuova metodologiaintrodotta, e che le indagini cliniche eranoimmediatamente effettuate laddove esiste-va il sospetto di nocività ambientale.Questo meticoloso lavoro, svolto quotidia-namente, sommato alle precarie condizio-ni igienico sanitarie che regnavano nellefabbriche sino agli anni Settanta, furonoalla base dell’estrema molteplicità dellecause di rischio denunciate. [...]Si possono infatti individuare alcuni filirossi comuni attraverso l’attività svoltanello stabilimento. Considerando la vicen-da secondo il suo ordine cronologico siindividua il primo obiettivo perseguito dalGruppo PIA nell’opera di sensibilizzazionerispetto agli altri lavoratori dello stabili-mento. Le tematiche affrontate non eranoper nulla scontate in quel contesto, cosìcome non lo era il rifiuto della monetizza-

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zione della salute. Come si vedrà in segui-to, la capacità del CdF di durare nel tempo,nonché quella di guadagnare spazi di inter-vento al di fuori delle mura della fabbrica,furono assolutamente conseguenti al gran-de consenso che esso seppe ottenere all’in-terno del contesto sociale-cittadino nelquale si inscriveva. Il secondo aspetto fon-damentale dell’esperienza di fabbrica stavanel rifiuto del ricatto tra occupazione eambiente, conquiste da sempre presentatecome alternative, tanto dalla dirigenzaquanto dal sindacato. [...]“Lasciar perdereil discorso della salute per salvaguardarel’occupazione, significa perdere su tutti edue i terreni, mentre una lotta corretta-mente condotta per la promozione dellasalute porta a uno sviluppo dell’occupa-zione stessa, come dimostrato dalla nostrae in altre realtà di fabbrica.” (dalla“Relazione sulla attività svolta” del CPIA,1976).Strettamente legata a questa questione erala terza caratteristica che qui si vuole met-tere in luce, ovvero l’individuazione del-l’obiettivo ultimo della lotta nell’elimina-zione delle nocività esistenti. Le lavorazio-ni che mettevano a repentaglio la salute deilavoratori dovevano essere modificate insenso sostenibile, attraverso la sostituzionedelle sostanze utilizzate o la messa in sicu-rezza degli impianti. Una simile riconver-sione - sosteneva il GPIA - avrebbe giovatoagli stessi bilanci aziendali. D’altro cantoesisteva una strenua opposizione delladirezione a cedere alle richieste degli ope-rai: la capacità di autonomia e autogestionedimostrata da questi ultimi non era ovvia-mente vista di buon occhio.

PRIMI INTERVENTIPer il GPIA, nel momento della sua nasci-ta, e ancora prima, quando operava comeavanguardia operaia all’interno delComitato Paritetico, il primo passo da com-piere nella battaglia contro la monetizza-zione della salute era di tipo informativo:era necessari coinvolgere il più gran nume-ro possibile di lavoratori all’interno dellastessa battaglia. [...]Subito dopo il coinvolgimento di mediciesterni alla fabbrica una delle prime inizia-tive fu quella di svolgere delle brevi visite

cliniche a gruppi di lavoratori. Non era néun intervento ortodosso, né risolutivo, maservì a informare e coinvolgere quantiall’interno della fabbrica sul tipo di attivitàche si intendeva svolgere. Tra le prime ini-ziative si ricorda anche lo svolgimento diuna ricerca a proposito della tossicità delmercurio, a Castellanza presente nelle cal-daie e in alcune apparecchiature utilizzate.Nella dispensa che fu fatta circolare eranoaccuratamente indicate le proprietà dellasostanza, i suoi possibili usi industriali -con specificati i reparti in cui era impiega-to a Castellanza - e i danni che avrebbepotuto arrecare alla salute umana.[…] L’iniziativa, che per altro aveva sem-plicemente carattere informativo e rispetta-va i termini dei contratti aziendali, fu dura-mente avversata dalla dirigenzaMontedison, che arrivò a minacciare dilicenziamento i responsabili.Sensibilizzare significava far sì che i risul-tati delle ricerche e delle indagini svoltefossero resi comprensibili da tutti, in modoche ogni lavoratore potesse accedervi.D’altronde alcuni meccanismi di coinvol-gimento erano già insiti alla stessa metodo-logia di analisi fondata sul gruppo omoge-neo, secondo cui erano gli operai presentinel reparto a dover partecipare attivamen-te alle misurazioni. In questo modo la col-laborazione con i medici da un lato e l’in-troduzione e l’utilizzazione di strumentiquali il libretto sanitario di rischio e i regi-stri di dati ambientali dall’altro, portò inbreve tempo alla presa di coscienza delproblema da parte della maggior parte deilavoratori in fabbrica.

FENOLICHE: LA TUTELA DELL’AM-BIENTE E DELL’OCCUPAZIONELe resine fenoliche sono dei polimeri otte-nuti dalla reazione tra fenolo e formaldei-de.[…] L’indagine ambientale all’interno del-l’impianto si svolse tra il 1971 e il 1972,seguendo la precisa metodologia che daallora si sarebbe consolidata attraversotutto il decennio.In primo luogo, di comune accordo tra tec-nici dell’azienda e operai, vennero indivi-duati i punti in cui svolgere le misurazioni,volte ad assicurarsi rispettivamente della

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concentrazione di sostanze nocive nell’ariae della rumorosità delle macchine. I cam-pioni ottenuti erano poi analizzati dal labo-ratorio dello stabilimento, il cui operato eratenuto sotto controllo dal GPIA, che siriservava tra l’altro la contestazione dell’e-ventuale metodo di analisi adottato. Comeera chiaro a quanti appartenenti al GruppoPIA, i principali pericoli all’interno delreparto erano rappresentati principalmen-te dalla presenza di fenolo e formaldeide.In particolare la storia che caratterizza que-st’ultimo composto è interessante per com-prendere quanto la legislazione in materiadi tutela della salute a lavoro si sia evolutanel corso di un trentennio - almeno neipaesi a capitalismo avanzato. Oggi consi-derata altamente cancerogena (causa dicancro alla nasofaringe e leucemia) (dalgennaio 2016 la Unione Europea ha clas-sificato la formaldeide come un cancero-geno riconosciuto, ndr), il MAC consentitoè passato a 0,37 mg/m3, uno dei più bassidell’industria chimica. Ai tempi della lottadi Castellanza non solo la concentrazioneconsentita era molto più alta (3 mg/m3) maaddirittura alcuni sui derivati erano utiliz-zati per le pastiglie per la gola Formitrol,oggi ritirate dal mercato. Per il fenolo ildiscorso da fare è analogo: negli anniSettanta, per un turno di lavoro di otto ore,la concentrazione nell’aria del fenolo nondoveva superare le 16 parti per milione,mentre oggi il limite di riferimento è pas-sato a 2 ppm.Alla fine delle misurazioni venne riscon-trata una concentrazione troppo alta di pol-veri nocive nell’aria, nonché la presenza diuna troppo alta rumorosità. (…). In genera-le la questione dei MAC fu ampiamentediscussa da più parti all’interno del movi-mento di lotta per la salute. Una differenzacosì notevole tra Occidente e Oriente (tra iMAC dell’ACGIH-USA e quelli vigenti inUnione Sovietica, ndr) sembrava la provalampante dell’arbitrarietà con cui le massi-me concentrazioni erano stabilite, o se nonaltro che esistevano scale di valori diffe-renti a capo del calcolo dei MAC stessi.Senza contare che nessun MAC avrebbepotuto essere fissato per fattori di rischiorelativi alla psiche e non al corpo. Il discor-so portato avanti dal GPIA si inscriveva in

questa polemica. “MAC Zero” era allora loslogan con cui si chiedeva l’eliminazionedelle sostanze nocive (cancerogeni, muta-geni, teratogeni) dai processi produttivi, o,in caso di impossibilità, lo svolgimentodella produzione in un ciclo chiuso e con-trollato, in modo che l’esposizione per ilavoratori fosse nulla.“Occorre capovolgere il concetto che tuttele sostanze industriali sono innocue fino aprova contraria, in quanto la prova avvie-ne sulla pelle dei lavoratori; occorre inveceche prima di introdurre ogni nuova sostan-za e ogni nuovo processo di lavorazione, si

verifichi preventivamente la loro nocività esiano introdotte quelle a dimostrata inno-cuità a breve, medio e lungo termine”(AA.VV “Attualità del pensiero e dell’ope-ra di Giulio A. Maccacaro”, Centro per laSalute G.A. Maccacaro, 1988) avrebberoscritto più tardi gli operai in memoria dellaloro lotta.Di fatto, appena ottenuti i risultati delleindagini, si richiese l’immediata bonifica emessa in sicurezza dell’impianto.L’azienda tuttavia, pur avendo firmato gliaccordi, rispose con la chiusura e smantel-lamento del reparto, da effettuarsi tra apri-le e marzo 1972. Di un simile provvedi-mento venne subito denunciata l’intentoantisindacale e ricattatorio, volto a scorag-giare qualsiasi intervento futuro. Si risposecon scioperi, blocchi della produzione, econ il proseguimento dei controlli ambien-tali in altri reparti dello stabilimento. Nelcorso dello stesso anno infatti era statasvolta un’indagine analoga nel repartoEsamina - prodotto intermedio ottenutodalla formaldeide. La denuncia di concen-

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trazioni di polveri nell’aria superiori a quel-le consentite era sfociata nell’effettiva boni-fica da parte della direzione dell’azienda.Tutte queste tematiche furono discusse insede di un’Assemblea aperta convocata dalConsiglio di fabbrica l’anno seguente aCastellanza. In quell’occasione, nel novem-bre 1973, la cittadina lombarda ospitò rap-presentanti sindacali, provenienti dalle pro-vincie di Varese, Milano, Novara, rappre-sentanti di Consigli di Fabbrica della zona(più di venticinque), più una serie di espo-nenti di gruppi politici parlamentari e extra-parlamentari.Il Manifesto di Milano, inviati de l’Unità,collettivi studenteschi, nuclei diAvanguardia Operaia e di Comunione eLiberazione erano ugualmente presenti.Venne allora denunciata l’incapacità dirigen-ziale della classe manageriale Montedisonche non sembrava in grado di coordinare inmodo efficiente la divisione ricerche e ladivisione produzione. L’obsolescenza delle tecnologie e la chiusu-ra di impianti ne sembrava una conseguen-za diretta. Diversamente, nella risoluzionedel problema degli inquinamenti si indica-vano nuove e più auspicabili direttive diricerca, la cui salvaguardia sembrava essen-ziale al progresso economico e culturale. Laposta in gioco era quindi più ampia di quel-la di una tradizionale vertenza aziendale. Leproposte formulate riguardavano il territo-rio, e le altre realtà lavorative esistenti al suointerno. Non solo: la lotta per l’eliminazionedella nocività, così come era combattuta aCastellanza, sfociava nella proposta di unmodello produttivo alternativo, e dello svi-luppo di nuove tecnologie che riscattasseroil settore chimico dal marchio di nocivitàche ad esso sembrava naturalmente legato.

CLOROMETILMETILETERE. DENTRO EFUORI LA FABBRICA, L’OBIETTIVO ÈELIMINARE LA NOCIVITÀ.Risale al 1973 la denuncia della nocività delclorometilmetiletere (CMME) e del biscloro-metilmetiletere (BCME). (…) Era stata larivista “Sapere” a riportare per prima lanotizia, all’interno di un vasto dossier dedi-cato al cancro professionale. Allora d’altron-de, era appena scoppiato il caso dell’IPCAdi Cirié (unitamente alla questione del

PVC): i lavoratori di una fabbrica di colo-ranti situata in una cittadina in provincia diTorino avevano denunciato la presenza disostanze nocive, causa di tumori alla vesci-ca. La questione aveva conquistato le crona-che nazionali, e i dirigenti dell’impresaerano stati denunciati dall’Ispettorato dellavoro, presunti colpevoli di non aversospeso la produzione di una sostanza cui lapericolosità sarebbe stata conosciuta giàdalla fine del secolo scorso. Assieme alpadrone i tecnici erano imputati di colpevo-le silenzio: “Mentre gli operai dell’IPCA siammalavano o morivano di cancro, ciascu-no dei tecnici faceva il proprio dovere. [. . . ]È la stessa linea di difesa degli imputati delprocesso di Norimberga: la differenza èpuramente quantitativa.” (“Anche questesono cancerogene. CMME, BCME”, inSapere, 770, marzo 1974) Nello stessoimportante dossier, che vedeva gli operai e itecnici collaborare insieme per la produzio-ne di una documentazione esaustiva a pro-posito dei tumori professionali, comparival’intervento del CdF di Castellanza. Mentresul territorio nazionale la produzione diCMME era ancora esistente, nella cittadinalombarda la stessa sostanza non era più uti-lizzata dal 1963 all’interno dello stabilimen-to, e dal 1972, all’interno del CentroRicerche ad esso legato. Tuttavia da unaparte si segnalava come la stessa produzio-ne non fosse stata eliminata dagli interessiMontedison, ma semplicemente trasferitapresso il centro di Codogno. In secondoluogo la nocività del CMME sussistevaancora a Castellanza in maniera indiretta, inquanto questo era prodotto spontaneamentedalla combinazione, nell’aria, delle emissio-ni di formaldeide e acido cloridrico. Nonultimo era infine il problema della contami-nazione di quanti avevano lavorato nelreparto incriminato sino a dieci anni prima.È proprio su questi tre punti che si mossel’offensiva del GPIA e del CdF. Nella verten-za aziendale, sviluppata lungo tutto il corsodel 1974, vennero congiuntamente affronta-ti l’aspetto clinico e quello ambientale. Inprimo luogo si chiese che quanti erano statiesposti a clorometilmetiletere, bisclorometi-letere e dimetiletere fossero sottoposti aesami clinici, da effettuare secondo unadeterminata periodicità, dato il periodo di

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latenza molto lungo per la formazione ditumori. Il gruppo di rischio individuato eramolto ampio, (considerato che il CMME siforma spontaneamente nell’aria, al di fuoridell’azienda) e comprendeva i lavoratoridelle imprese appaltatrici, nonché la popo-lazione esterna alla fabbrica. Tali esamiavrebbero permesso una diagnosi precocedel tumore polmonare.In secondo luogo si domandò all’azienda difornire un elenco dati a partire dal 1947 ditutti i lavoratori deceduti, pensionati o tra-sferiti che avessero avuto a che fare con lestesse sostanze in maniera diretta.L’intervento clinico curativo era così arric-chito da un’indagine epidemiologica cheavrebbe dovuto colmare le carenze dellamedicina del lavoro ufficiale. [...] Oltre aquesti interventi ex-post, finalizzati a rime-diare come possibile a quanto già avvenuto,il vero fine ultimo della vertenza rimanevaquello preventivo-ambientale. Nella richie-sta di eliminare la sostanza cancerogena -non solo a Castellanza - consisteva l’intentodi tipo trasformativo e il radicale rifiuto dimonetarizzazione della salute. Così nellastessa vertenza, nel punto relativo alCMME, si domandò l’installazione di depu-ratori catalitici sull’impianto formaldeide.L’accordo, firmato nell’agosto dello stessoanno, riportava una vittoria su tutta la lineaper il CdF. Le indagini cliniche venneroconcesse - benché su un gruppo più ristret-to a quello segnalato, limitate ai lavoratoridel reparto, laboratori e manutenzioni.Entro dicembre dello stesso anno si ottennel’installazione di depuratori catalitici su tuttigli impianti formaldeide. Furono infine for-niti i dati richiesti per l’indagine epidemio-logica. La socializzazione dell’esperienzaoltrepassò i confini dello stabilimento: nelcorso dello stesso anno alcuni delegati delConsiglio di Fabbrica parteciparono a dueimportanti congressi: rispettivamente unincontro nazionale tenutosi a Varese a set-tembre, e uno internazionale, in ottobre, consede a Firenze. A Varese il Congresso erastato organizzato dalla sede provincialedella FULC, per altro criticata dai lavoratoridi Castellanza per aver ostacolato sino all’ul-timo la partecipazione operaia. [...] Un con-testo diverso era invece quello di Firenze,che ospitò una conferenza organizzata

dall’Unione Internazionale contro il Cancro,che allora aveva sede pressol’Organizzazione Mondiale della Sanità, aGinevra.In entrambe le relazioni il concetto ribadito,in calce, dopo un’accurata descrizione dicome era stata svolta l’indagine, era il mede-simo: “Occorre capovolgere il concetto chetutte le sostanze industriali sono innocuefino a prova contraria, in quanto la provaavviene sulla pelle dei lavoratori”(Dall’intervento del Centro per la SaluteGiulio A. Maccacaro, al Congresso di Varesedella FULC, 16.09.1974)

LA TUTELA DELLE ACQUECome la tutela dell’aria testimoniava un’at-tenzione per l’ambiente esterno, così fu perla tutela delle acque. (…) L’accordo, nelquale l’azienda si impegnava alla realizza-zione degli impianti entro il 1976, venne fir-mato l’anno seguente.Rispetto al panorama istituzionale naziona-le una simile conquista rappresentavaun’intuizione non indifferente. Risale infat-ti solo al 1976 l’emanazione della primalegge sul controllo degli scarichi industriali.(…) L’approvazione della leggi Merli (Legge319/1976) rappresentò uno spartiacque fon-damentale nella storia della regolamentazio-ne delle nocività industriali, dando unarisposta, seppur parziale, a una delle temati-che più spesso sollevate dai gruppi di eco-logia politica di quel periodo. (…)Lo scoppio del reattore dello stabilimentoICMESA avrebbe determinato il passaggio,tanto presso il ceto politico quanto pressol’opinione pubblica, da una percezione delrischio ambientale quale problema esisten-te solo all’interno della fabbrica, a una più

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compiuta comprensione delle sue riper-cussioni ambientali. La ricostruzione dellebattaglie di Castellanza, dimostra comequeste fossero anticipatrici rispetto alletematiche ecologiste che avrebbero interes-sato il dibattito pubblico a partire daldecennio successivo (…)Nello stesso momento gli operai diCastellanza furono lungimiranti ancherispetto a un’altra questione che avrebbecaratterizzato tutto il decennio Ottanta, cheè la Riforma Sanitaria del 1978, d’altraparte indirettamente legata alla stessa que-stione ambientale. (…)

PER UNA RIFORMA TERRITORIALE EPREVENTIVA DELLA MEDICINA DELLAVORO. NASCONO LO SMAL EMEDICINA DEMOCRATICALa storiografia sugli SMAL è estremamenteesigua, tanto che le poche informazioni esi-stenti derivano da testimonianze scritte daquanti furono protagonisti in prima personadella loro nascita, e dell’attività svolta al lorointerno. SMAL, acronimo di “Servizi diMedicina per l’Ambiente di Lavoro”, è ilnome che in Lombardia fu assunto daCentri di Medicina del Lavoro, nati contem-poraneamente in altre zone del nord Italiacome diretta emanazione delle lotte studen-tesche e operaie contro la monetizzazionedella salute. (…)Corrispondevano all’esigenza di esportare aldi fuori delle mura degli stabilimenti quelleesperienze di controllo della nocività svoltaattraverso il modello scientifico operaio,fondato sulla soggettività del gruppo omo-geneo. In Lombardia, poco dopo la loronascita, gli SMAL sarebbero stati istituzio-nalizzati, inseriti all’interno dei quadri nor-mativi regionali di preparazione allaRiforma Sanitaria del 1978. All’internodella regione all’inizio degli anni Settantaerano infatti nati in questa prospettiva iComitati Sanitari di Zona, e gli SMAL eranodivenuti le loro basi operative in ambito dimedicina del lavoro. Le attività dei comitatierano ampie, comprendenti anche servizi dimedicina perinatale, scolastica e psichiatri-ca. Ogni Comitato comprendeva piùComuni, secondo le suddivisioni territorialisancite dalla legge stessa, ed era ammini-strato da un consiglio direttivo che, eletto

dai rispettivi consigli comunali, era espres-sione degli equilibri politici del territorio.La sua esistenza era limitata all’assoluzionedi queste funzioni e più in generale allanascita delle Unità Sanitarie Locali, cheavrebbero dovuto essere poste in esseredalla Riforma Sanitaria prevista da lì a pochianni.Queste dinamiche interessano particolar-mente in questa sede perché caratterizzaro-no anche il Consiglio di Fabbrica diCastellanza nel momento in cui esso fecepressione sugli Enti locali per trovare unospazio di espressione più ampio, e conti-nuare a svolgere la sua attività anche all’e-sterno dello stabilimento. In generale quan-to accadeva in fabbrica non era mai statoestraneo al Consiglio Comunale. Questonon solo perché nell’idea di egemonia ope-raia promossa dal CdF gli operai avrebberodovuto esportare la lotta all’esterno dellostabilimento, facendosi espressione anchedelle esigenze di quanti abitavano nel terri-torio circostante. Si trattava anche di unsemplice calcolo numerico: la forza lavoroimpiegata all’interno della fabbrica ammon-tava a 1500 organici, tra impianti e laborato-rio, mentre la popolazione di Castellanzanello stesso periodo era di circa 15000 per-sone. La capacità di coordinazione dellalotta rispetto a realtà politiche e Consigli difabbrica della zona, rendeva l’attività delCdF Montedison assolutamente degna dinota. (…) Nel 1973, la vertenza aziendaleche vedeva le due parti rispettivamentedecise a non cedere al fronte avversario fuoggetto di discussione all’interno delConsiglio Comunale. Il sindaco, espressionedella comunità, auspicava il superamentodella situazione di stallo, e la firma di unaccordo che salvaguardasse parimenti l’oc-cupazione, la sicurezza del posto di lavoro,la piena utilizzazione degli impianti nelrispetto della personalità degli addetti, latutela della salute in fabbrica e la messa inatto di quei provvedimenti atti a ridurre ilpiù possibile l’inquinamento.L’oggetto della contesa, per quanto concer-neva l’ambiente, verteva sulla riaperturadel reparto fenoliche, la depurazione degliscarichi, e in generale la richiesta di mag-giori investimenti per la ricerca in ambitodi nocività industriale. Le tensioni erano

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molte, e le minacce di ricorrere a provve-dimenti disciplinari da parte dell’aziendacontribuivano a creare un clima particolar-mente teso. (…)In ogni caso la giunta comunale ne discus-se proprio in riferimento alla Legge regio-nale 37/1972, ed all’interno della stessa,approvò alla fine del 1973 l’apertura di unservizio di Medicina del Lavoro in Via Coldi Lana, gestito dal Gruppo Permanente diLavoro, formato dal GPIA e da altriConsigli di fabbrica presenti sul territorio.La collaborazione rispetto al ConsorzioSanitario di Busto Est - circoscrizione dicui Castellanza faceva parte - non divenneda subito esecutiva. Durante i primi dueanni della sua esistenza il Centro svolsequindi un’attività del tutto indipendente eautogestita, di tipo informativo e coordina-tivo. Furono in prima istanza organizzatidei corsi di formazione rivolti alle altreesperienze di fabbrica del territorio. Corsisettimanali, tenuti da tecnici e medici,dedicati a differenti tematiche. Venneroaffrontate lezioni di tipo teorico-politico,volte a svelare i legami esistenti tra medi-cina e potere, altre a carattere storico, con-cernenti la nascita degli enti preposti allatutela della salute, e lezioni di tipo tecnico-pratico, dedicate all’illustrazione dell’atti-vità svolta sino ad allora, delle strumenta-zioni e delle metodologie introdotte. Inparticolare si voleva esportare e diffondereil modello proposto dal gruppo PIA, avan-guardia tecnica strettamente radicata allabase, che rendeva l’esperienza dellaMontedison di Castellanza un caso unico,anche rispetto alle contemporanee lotteper la salute. (…). Il personale operante nelCentro ma assunto dal Consorzio avrebbedovuto essere parte integrante del GruppoPermanente di Lavoro, e condividerne l’o-rizzonte politico teorico. Al Consorziosarebbe invece spettata la gestione degliaspetti economico-amministrativi.Così a partire dal 1976 nel Centro di Col diLana furono assunti a tempo pieno duemedici del lavoro, un ingegnere e tre infer-miere. Il centro era aperto a tutta la popo-lazione e a tutto il territorio.“A questo punto Luigi Mara si rendevaconto che era necessario avere una equipesanitaria, in questa prima fase, e sono

venuti, è venuto Luigi proprio, a cercareme - gli avevano fatto il mio nome, io nonlo conoscevo - semplicemente perchédiciamo politicamente gli davo una seriedi garanzie.” racconta Dario Miedico, ilprimo medico ad essere assunto. (…).Miedico si occupava di prevenzione sulterritorio. La sua era una figura professio-nale nuova, nata appunto con l’introduzio-ne dei Consorzi. Stipendiato quindi dalConsorzio stesso, la sua personale scelta dimilitanza politica lo vedeva legato al grup-po PIA di Castellanza. Le “garanzie politi-che” offerte erano date dall’aver svolto

negli anni precedenti la medesima attivitàpreventiva come consulente presso altriCdF del circondario Milanese. (…)Al posto di ingegnere fu assunto BrunoThieme, ugualmente proveniente da un’e-sperienza diretta in ambito di prevenzionenelle fabbriche. Era stato studente di inge-gneria informatica negli anni del movi-mento studentesco milanese. Dopo la lau-rea aveva declinato ogni naturale prosegui-mento del percorso di studi intrapreso, infavore di una collaborazione con la Clinicadel Lavoro di Milano. Diretta da AntonioGrieco, un esponente del PCI, anche l’atti-vità della clinica era cambiata notevolmen-te sulla scia delle lotte operaie per la salutedi quegli anni. Come ricorda Thieme stes-so, il fine allora era quello di bonificare gliimpianti, e la conoscenza medica da solanon sarebbe bastata ad assolverlo. (…)La costituzione di un’equipe interdiscipli-nare rappresentava la perfetta traduzionedell’ideale di lotta sostenuto sino ad allora.L’assunzione di personale proposto dalCentro di Col di Lana era certo una que-

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stione di lobbing che il CdF, forte del poterecontrattuale dentro l’azienda, riusciva aesercitare sul territorio.Le attività svolte in quegli anni furono innu-merevoli. (…) Il numero degli interventicondotti in altri stabilimenti aumentò note-volmente, alla luce ovviamente delle nuoveforze disponibili. Basti pensare che nelcorso del ‘76 ne vennero effettuati quasi unmigliaio, all’interno di più di sessanta stabi-limenti inscritti nello stesso Consorzio o inConsorzi limitrofi. Inoltre l’attività pubblici-stica venne ampliata. (…)Il riscontro positivo attenuto presso ambien-ti sindacali e medici, a livello nazionale einternazionale, fu alla base del rapporto diproficua collaborazione instaurato colConsorzio, la cui direzione era formata tantoda membri della DC che del PSI e del PCI. IlComune da parte sua avrebbe confermatoannualmente la fiducia riposta nei confron-ti del gruppo PIA. (…)

SEVESO, UN CRIMINE DI PACE«Non si è trattato di un incidente ma di undelitto. Data: 10 luglio1976; luogo: Seveso ealtri comuni della Brianza; colpevole:HOFFMANLA ROCHE di Basilea; complici:governanti e amministratori italiani divariolivello; arma: organizzazione scientifica diproduzioni tossiche; reato: lesioni e danni divaria natura e gravità: vittime: lavoratori,popolazione, ambiente.»Con queste parole si apriva il numero diSapere del novembre 1976, consacrato aquanto accaduto nel luglio precedente pres-so lo stabilimento chimico ICMESA aventesede a Meda, località della Brianza. Allora,l’esplosione di un reattore interno alla fab-brica aveva provocato la fuoriuscita di unanube diossina, sostanza altamente tossica,che aveva contaminato tutto il territorio cir-costante, investendo in particolar modo lacittadina di Seveso. Riassumere il dibattitostorico e storiografico sviluppatosi attorno aquanto accaduto in quella sede richiedereb-be uno sforzo notevole, tali ne furono l’im-patto e le ripercussioni tanto a livello nazio-nale che a quello internazionale. Sul pianoistituzionale gli echi dell’accaduto furonotanto ampi da ripercuotersi sulla stessaComunità Europea: nel settembre dello stes-so anno aveva avuto inizio un dibattito par-

lamentare relativamente al riconoscimentodel carattere sovranazionale delle problema-tiche ambientali. (…) Diretta conseguenzafu, qualche anno più tardi, l’approvazionedella prima direttiva europea in materia diprevenzione di grandi rischi, che prendevaemblematicamente il nome di DirettivaSeveso.Lo scoppio del reattore ICMESA fu ricco diconseguenze anche sul piano nazionale.Le autorità costituite, in continua contraddi-zione riguardo la necessità di affermare omeno lo stato di emergenza, si erano dimo-strate del tutto impreparate a gestire il peri-colo di contaminazione. Carenti o inesisten-ti le risposte dei partiti, sintomo del dibatti-to mai avvenuto a proposito dei rischiambientali e umani legati ad alcune produ-zioni industriali. (…) Anche il ruolo deiConsigli di Fabbrica e delle organizzazionisindacali non fu semplice: in un contesto incui venivano a mancare punti di riferimen-to politici e sociali vigeva il più grande diso-rientamento tra la popolazione. Se da unaparte erano formulate delle lamentele per lamancata evacuazione della popolazionedelle zone più a rischio, dall’altra c’eraanche chi, occupava la casa da cui era statoallontanato, forzando ogni divieto (la diossi-na è incolore e inodore, quindi la sua peri-colosità non era esperita in maniera diretta).Accadeva poi che i lavoratori dell’ICMESA,doppiamente colpiti dal disastro, venisseroadditati dagli abitanti del territorio comecomplici della dirigenza dell’azienda, rite-nuti colpevoli di aver conosciuto e taciuto irischi del sistema produttivo, conseguentialla mancanza di condizioni di sicurezza.È in un contesto simile che il comitato diredazione della rivista Sapere decise di pre-sentare il numero monografico su Seveso.Maccacaro, coordinatore dei diversi inter-venti, era appena scomparso. Nell’editorialepubblicato postumo, la precisazione lessica-le era d’obbligo: non era stato commesso unincidente, bensì un crimine, con suoi proprivittime e carnefici. Il direttore dell’IBSUM,nell’intento di fare chiarezza su quantoaccaduto, aveva affidato al GPIA diCastellanza un ruolo centrale, quello di pro-cedere oltre le pagine asettiche dei manua-li di chimica industriale, e di calarsi nellarealtà della fabbrica ICMESA per compren-

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derne il funzionamento. La relazione che neera conseguita analizzava accuratamentequanto avvenuto nello stabilimento,seguendo la metodologia scientifica alloraconsolidata. Mappe di produzione, mappedi lavorazione, comparazione dei diversibrevetti esistenti e analisi delle scelte pro-duttive effettuate, mettevano così in eviden-za i vizi di un sistema al servizio del capita-le. Rispetto alla tecnologia disponibile nellostabilimento ICMESA era stata effettuatauna precisa scelta a favore della “produtti-vità specifica”, che avevano diminuito icosti e i tempi di produzione, ma aumenta-to i rischi della formazione di diossina e direazioni incontrollabili. L’esplosione nonera quindi frutto del caso, nelle parole delGPIA, ma della precisa volontà di anteporrela “cultura del capitale” alla “cultura delsociale”.Maccacaro era persuaso che un’analisi diquesto tipo avrebbe potuto essere effettuatasolo dalla classe operaia, detentrice di unsapere concreto, capace quindi di risolverela contraddizione esistente tra la scienzaufficiale, puramente ideale, e la realtà pro-duttiva, in cui i lavoratori erano deliberata-mente privati della teoria stessa “.controtutto ciò [. . . ] non c’è che l’opposizione diuna soggettività operaia e popolare capacedi imporre la sua egemonia, in un nuovomodo di far scienza e far tecnica, per quellaautogestione di lavoro e di vita che è auto-gestione della salute. Perché è chiaro cheove questa manchi, come è mancata dentroe fuori l’ICMESA [. . . ] non ci sono garanzielegali e istituzionali poste a tutela della salu-te umana e ambientale” (G.A.Maccacaro,“Seveso, un crimine di pace” in Sapere,novembre-dicembre 1976). Il GPIA di Castellanza, la sua elevata prepa-razione tecnica raggiunta in anni di lotte,erano punto di riferimento per lo scienziato,che ne avrebbe cercato la collaborazioneall’interno del progetto di MedicinaDemocratica. Movimento di Lotta per laSalute, fondata proprio nel 1976. (…)

NASCE MEDICINA DEMOCRATICA,MOVIMENTO DI LOTTA PER LASALUTELa nascita di Medicina Democratica fu suc-cessiva a quella di altri gruppi simili quali

Magistratura Democratica e PsichiatriaDemocratica, che avevano rispettivamenteavuto luogo nel 1970 e nel 1973.Assolutamente indipendenti l’una dall’al-tra, tutte e tre avevano subito l’influenza delmovimento del ‘68 e della critica dei saperie dei poteri da esso prodotta. Erano acco-munate quindi dall’idea fondante secondocui anche saperi in apparenza neutrali - giu-risprudenza, psichiatria, medicina - in realtàsono prodotto di determinati rapporti dipotere. (…).La nascita di Medicina Democratica, dipoco posteriore, si inscrisse quindi nello

stesso clima di rinnovamento culturale. Isuoi stessi fondatori individuarono proprionel GPIA di Castellanza uno dei maggioripromotori della sua fondazione. Intervenutonel novembre del 1975 all’AssembleaNazionale dei Medici Democratici, il GPIA -rappresentante di altri CdF lombardi e non- chiedeva il superamento del carattereesclusivo del Comitato dei MediciDemocratici. Si chiedeva che quest’ultimo,costituito da soli “tecnici della salute”,venisse integrato attraverso la piena collabo-razione con quelle realtà di movimento -Comitati di Quartiere, Collettivi, Comitati dibase - che avevano pienamente contribuitoalla creazione del nuovo spazio politico, incui era stato elaborato un modello scientifi-co alternativo. Scriveva il GPIA nella mozio-ne presentata:“riteniamo indispensabile che si vada abreve termine alla costituzione di uno stru-mento di coordinamento della lotta e delleesperienze che il movimento dentro e fuorila fabbrica ha realizzato e sta realizzando,al fine di permettere una sua ulteriore cre-

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scita e unificazione su una linea che veda ilcontrollo e la gestione del movimento sulproblema della salute attraverso l’autoge-stione della stessa.”L’assemblea fondante il movimentoMedicina Democratica si sarebbe tenuta aBologna, nel maggio dell’anno successivo.Quanti presenti in quell’occasione formava-no un gruppo eterogeneo di tecnici, medici,Consigli di Fabbrica, Collettivi studenteschi,Comitati di quartiere. Come è facilmenteintuibile, non emerse un’unica voce all’in-terno dell’incontro. I diversi punti di vistaespressi allora possono essere riassunti indue posizioni principali. L’una, sostenutadal GPIA, vedeva il movimento come unluogo in cui socializzare le esperienze con-dotte dalle fabbriche e dalla popolazione nelterritorio. Coerentemente con la lineaespressa nel novembre ‘75, si auspicava lanascita di un organo che svolgesse una fun-zione di coordinamento, che, in atri termini,esportasse su scala nazionale l’attività che ilCentro per la Medicina del Lavoro svolgevasu scala locale. D’altra parte esisteva anchechi, tra i tecnici, pur riconoscendo l’ereditàdel movimento rispetto alle lotte studente-sche e operaie, avrebbero voluto dare vita adun’associazione più tradizionale, in cui tec-nici e medici, alla luce delle esperienzaaccumulate, avrebbero formato un gruppodi pressione rispetto alle riforme istituzio-nali allora in corso.Una deriva di questo secondo tipo era quan-to di più temuto dal GPIA: “siamo contrarie consideriamo subdola e pericolosa per ilMovimento la proposta che da più partiviene portata avanti della committenzaalternativa operaia, la quale rappresenta untentativo da parte dei tecnici e delle istitu-zioni che essi rappresentano, di recuperarela non-delega escludendo i lavoratori e lemasse popolari.” (Intervento all’assembleafondativa di Medicina Democratica delGPIA “La scienza che nasce dall’esperienzaoperaia”). Fu la posizione di Maccacaro aorientare definitivamente l’ago della bilan-cia. Coerente con il suo ideale marxista, loscienziato non poté che appoggiare lamozione operaista, ponendo con forza l’ac-cento sulla soggettività operaia, l’unica che“liberando sé libera anche gli altri uomini”.Non una scienza “per il movimento”, quin-

di ma “nel movimento”. (…). Erano d’al-tronde gli anni in cui stava per esplodere ilcaso amianto, e Medicina Democraticasarebbe stata in prima fila da un lato nelsostegno di quanti colpiti dalla nocività, dal-l’altro nella battaglia legale contro la diri-genza Eternit. Specchio di questa attivitàsarebbe stata la rivista omonima, pubblicataabbastanza regolarmente ogni due mesi, dal1975 sino ai giorni nostri. Nell’intento deisuoi fondatori essa avrebbe dovuto svolgereuna funzione unificante: “questo periodicoè e deve rimanere strumento di lavoro e dicoordinamento e non tribuna di opinioni”sarebbe stato scritto sul primo numero pub-blicato.Con la nascita di Medicina Democratica ilmovimento per la tutela della salute e del-l’ambiente sul luogo di lavoro toccava il suopunto più alto. Le lotte operaie in molti casierano riuscite a uscire dalle mura degli sta-bilimenti, trovando un riscontro nel territo-rio circostante. I Comitati di Zona prima, gliSMAL in seguito avevano segnato questopassaggio, realizzando l’aspirazione acostruire una medicina che fosse non solo alservizio della popolazione, ma della popo-lazione tout court, espressione di un nuovomodello partecipativo in ambito scientifico.Non bisogna idealizzare i risultati del movi-mento, peraltro composto da protestediscontinue, disomogenee, e attraversato dacontrasti interni. La nascita di MedicinaDemocratica voleva tuttavia rappresentarel’occasione per il superamento della fram-mentazione, e l’elaborazione di una lineapolitica unitaria, che potesse infonderemaggiore efficacia alle iniziative future. Unorganismo così costituito mirava da unaparte a esercitare un’importante influenzasul mondo istituzionale, dall’altro a radicar-si in molteplici realtà lavorative, svolgendouna sorta di sindacalismo di base rispetto atematiche legate alla medicina del lavoro.(…)

LICENZIAMENTI E CHIUSURA DELLOSMAL: NASCE IL CENTRO PER LASALUTE DEI LAVORATORI GIULIO A.MACCACAROLe vicende che caratterizzarono la storia delConsiglio di fabbrica di Castellanza a caval-lo tra i decenni Settanta e Ottanta del

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Novecento si comprendono alla luce delcontesto nazionale e internazionale di queltempo. Questo da una parte fu segnato dallacrisi dell’industria chimica, che si inscrive-va nella più ampia crisi economica globale,e d’altra parte dal concludersi della stagionedi riformismo italiano, avviata alla fine deglianni Sessanta, dietro la pressione del ciclodi lotte operaie che ebbe inizio in queglianni. La congiuntura negativa per la chimi-ca a livello mondiale colpì in particolarmodo l’Italia e il gruppo Montedison, cheaveva sempre stentato a decollare. Lasocietà da parte sua, cercò di risollevarsiattraverso un piano di ristrutturazioni, desti-nate a pesare sui lavoratori - anche quelli diCastellanza - in termini di mobilità, cassaintegrazione e licenziamenti. Per quantoconcerne invece le vicende più prettamentenazionali, il concludersi del decennioavrebbe visto finalmente approvatala Legge833/1978, legge di Riforma Sanitaria, attesadall’indomani del secondo conflitto mon-diale. La storia di Castellanza, come visto, fustrettamente legata a quella della Riformanella sua fase di gestazione, tanto che gliesiti della seconda avrebbero profondamen-te influenzato quelli della prima.

CRISI MONTEDISON E LICENZIAMEN-TI: DUE STRATEGIE DISTINTE PER LAFULC E IL CDFIn Italia l’industria chimica era sempre risul-tata debole nei confronti della concorrenzainternazionale. Nel ‘66, con la fusione traMontecatini ed Edison, tanto i capitali stata-li, quanto la finanza nazionale, avevanoindividuato nella creazione di un gruppo dielevate dimensioni la possibilità di rilancia-re il settore. Tuttavia tali speranze, rinnova-te in occasione della partecipazione statale edell’avvento alla direzione di Eugenio Cefis,erano state rapidamente frustrate. La crea-zione del colosso industriale, avvenutaall’insegna di una mancata riorganizzazioneproduttiva, aveva dato origine a un conglo-merato incoerente di numerose imprese,mai caratterizzate da una linea di sviluppounitaria. In secondo luogo i contrasti esi-stenti e mai sanati tra il gruppo dirigenteche, all’interno dell’Eni aveva promosso lanazionalizzazione dell’energia elettrica e ladirigenza dell’Edison, avevano ulteriormen-

te aggravato la congiuntura negativa.L’intervento dello Stato, divenuto all’iniziodegli anni Settanta proprietario di più dellametà delle quote azionistiche Montedison,non aveva infine sortito l’effetto sperato.(…)Nel 1977 Giuseppe Medici, senatore dellaDC, subentrò a Cefis nel ruolo di presidente.Godendo di una favorevole legislazione sta-tale (leggi 675 e 787) messa in atto lo stessoanno per arginare la crisi che colpiva il set-tore industriale nel suo complesso, questi ful’artefice di un ampio progetto di ristruttura-zione. Mediobanca si impegnò a fornire i

capitali, a patto che la Montedison ottenes-se il pareggio in bilancio entro il 1980, e chenon assumesse nuove partecipazioni in set-tori estranei alla chimica, o in generale insettori di cui non fosse garantita la renditaimmediata. I vincoli cui fu sotto-posta laMontedison, e la pressione esercitata dallacrisi finanziaria, chiarivano che dalla ristrut-turazione la società non sarebbe uscitaindenne, ma avrebbe subito un drastico ridi-mensionamento. (…) Nel biennio 1977-1978 i lavoratori più colpiti furono quantiimpiegati nell’azienda Montefibre. (…)Dopo l’annuncio di 10.000 licenziamenti, ela conseguente ondata di scioperi e proteste,la direzione aveva ribadito l’assoluta neces-sità di riduzione degli organici esuberantima smorzato le accuse del movimento ope-raio assicurando che i posti di lavoro sareb-bero stati garantiti all’interno di una pro-spettiva di mobilità territoriale e internazio-nale della forza lavoro eccedente. (…)Nel ‘78 lo stabilimento di Castellanza fu col-pito indirettamente, attraverso la decisionedella dirigenza aziendale di ridurre il lavoro

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affidato alle imprese appaltatrici.Avrebbero dovute essere licenziati 80 lavo-ratori. Una simile decisione rappresentavaun duplice attacco rispetto alle battagliecondotte sino ad allora. Da una parte i mem-bri del CdF avevano sempre cercato di coin-volgere gli operai delle ditte esterne all’in-terno della loro lotta. Durante la vertenzacondotta nel corso del ‘76 erano state chie-ste parità di diritti per entrambe le categoriedi lavoratori -assunti dall’impresa o dalleditte esterne - come ad esempio la possibi-lità per i secondi di avere parimenti accessoal servizio mensa. Il secondo attacco erasferrato più o meno direttamente contro leconquiste avvenute in ambito di tutela del-l’ambiente di lavoro. Era attraverso gliappalti infatti che si svolgevano i lavori dimanutenzione degli impianti. Una riduzio-ne del personale assunto non avrebbe potu-to efficacemente garantire il buon funziona-mento degli stessi.A questa provocazione da parte dell’azien-da i membri del consiglio avevano rispostoattraverso l’autogestione. “Una sorta di scio-pero alla rovescia [. . . ] come quando i nostripadri occupavano le terre - spiegava LuigiMara sulle colonne de Il Manifesto. La pro-testa aveva solo rimandato la decisione. Unattacco ancora più duro sarebbe avvenutonei mesi successivi, con il licenziamento dicinque delegati di fabbrica, accusati dall’a-zienda di aver provveduto a operazioni dimanutenzione non autorizzate nell’impian-to metanolo. Un simile provvedimento,tanto più grave alla luce di un incidentemortale avvenuto nello stabilimento l’annoprecedente, e di un esplosione avvenuta ilmese prima nello stesso impianto, aveva unforte carattere simbolico, volto a costringerela lotta del Consiglio di Fabbrica su posizio-ni difensive. Allora contro il licenziamento,e in generale contro l’attacco sferrato dalladirigenza aziendale, erano provenutedichiarazioni di solidarietà da più parti. Unampio gruppo di scienziati, collaboratoridella rivista “Sapere” o entrati in contatto inaltro modo con l’esperienza del CdF, avevalanciato un accorato appello in difesa deilavoratori: (…) erano state presentate dueinterpellanze parlamentari, rispettivamenteda un gruppo di senatori e da un gruppo dideputati. Luciana Castellina, tra questi ulti-

mi, si era fatta interprete della causa soste-nuta dai delegati di Castellanza tanto attra-verso la sua attività istituzionale che attra-verso quella editoriale. “Vogliamo unanuova ICMESA?“ avrebbe chiesto in con-clusione al suo intervento alla Camera. Nelluglio dello stesso anno Pietro Ingrao sisarebbe recato a Castellanza, esprimendo lasua solidarietà ai lavoratori dello stabili-mento Montedison, e più in generale all’in-tero movimento operaio.(…) I ricorsi effettuati contro i licenziamentifurono vinti uno dopo l’altro. L’attività delCdF proseguì ancora per il biennio seguen-te. I delegati presero parte a un simposiointernazionale su “Scienza e società” cheebbe luogo a Città del Messico, e ad un con-vegno sulle lotte per la salute dei lavoratori,presso l’Università di Camerino. Il GPIAavrebbe continuato a gestire il Centro diMedicina del Lavoro, insieme ad altriConsigli di Fabbrica della zona, collaboran-do in maniera sostanzialmente armonicatanto con il Comune che con il Consorzio.Una situazione simile non era tuttavia desti-nata a durare. (…) La dirigenza Montedison,dopo il drammatico fallimento della gestio-ne a partecipazione statale, si avviava dinuovo verso la privatizzazione. Le conse-guenze per i lavoratori sembravano disa-strose: si annunciavano 14.000 “esuberanti”per il settore chimico - questo il termine uti-lizzato in quella sede - di cui ben 12.000interni alla Montedison. Questa volta ancheCastellanza avrebbe fatto pienamente partedella ristrutturazione: all’inizio del 1981 sivociferava dell’intenzione della dirigenza diprocedere a 415 licenziamenti all’internodello stabilimento. In particolare si prevede-va la cessione dell’impianto amminoplasti aun’azienda svedese, la Resem, e un forteridimensionamento del Centro Ricerche.Erano scelte in perfetta coerenza rispettoalla linea dirigenziale nazionale, volta arisollevare le sorti dell’impresa attraversotagli sulla ricerca e il relativo disimpegno indeterminate aree produttive.Il Consiglio di Fabbrica da parte sua si sareb-be opposto strenuamente a una simile even-tualità, non solo perché avrebbe comportatola riduzione di posti di lavoro, ma ancheperché la linea generale adottata dallaMontedison contraddiceva le linee di svi-

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luppo su cui, in tempi meno sospetti, i dele-gati dei lavoratori avevano cercato di spin-gere gli investimenti dell’azienda.“Riteniamo anche che l’accanimento concui questi dirigenti Montedison perseguonola distruzione di questa realtà sia un segnoevidente della giustezza delle nostre analisie delle nostre motivate denunce circa ilparassitismo, la corruzione, l’incapacità diquesti stessi gruppi dirigenti”, avrebberodetto i delegati del Consiglio di Fabbrica inoccasione di un Consiglio Comunale aperto.Allora gli stessi avrebbero affermato conforza l’importanza dello stabilimento nelpanorama della produzione petrolchimicanazionale ed europea. Il ciclo produttivoche lo caratterizzava era unico in tutto ilgruppo Montedison, in particolare i suoiimpianti di formaldeide costituivano lamaggior capacità produttiva del continente.Nel Centro Ricerche i delegati individuava-no una sede in cui investire, per non lascia-re la produzione chimica, e la ricchezza daquesta potenzialmente derivabile, allamercé di capitali stranieri. Attraverso laminuziosa analisi delle lavorazioni svolte aCastellanza, si sottolineava il ruolo determi-nate ricoperto dalle lotte per tutela dell’igie-ne ambientale condotte nel corso del decen-nio precedente. Queste in primo luogo ave-vano garantito il buon funzionamento degliimpianti, e il potenziamento degli stessi, nelcostante rispetto della salute umana eambientale. Negli anni precedenti attraversole battaglie operaie si era giunti all’installa-zione di depuratori per gli scarichi liquidi egassosi, nonché all’introduzione di depolve-ratori e insonorizzazioni, per citare le con-quiste più importanti. D’altra parte, come siè visto, si era addirittura giunti a prospettareun vero e proprio piano di investimentialternativo a quello vigente. Il recupero disostanze interessanti dagli scarichi gassosi eliquidi e il reintegro delle stesse nel cicloproduttivo, sarebbe stato all’origine di untriplice risparmio: economico, ambientale eumano. (...).Così nel corso dei mesi successiviCastellanza avrebbe cercato di attirare su disé l’attenzione politica e mediatica, al fine dicondividere e rafforzare le sue ragioni nelrifiuto dei licenziamenti. Come era avvenu-to negli anni precedenti, diverse personalità

politiche sarebbero intervenute a sostegnodella lotta. (…) È d’altronde proprio in quelperiodo, nel febbraio del 1981, che matura-rono le prime frizioni tra delegati del CdF esindacato, rispetto a un accordo che que-st’ultimo aveva firmato con l’azienda, con-cernente la Cassa Integrazione per quasi 300operai. Il Consiglio aveva accusato la FULCdi essere arrivata all’accordo attraverso l’e-sercizio di forti pressioni sui lavoratori dellostabilimento, e il conseguente raggiungi-mento di una maggioranza effimera (di solitre voti). La FULC da parte sua avrebbe criticato la

posizione del Consiglio, pregiudiziale allaCigs, e la sua conseguente decisione di risol-vere il contenzioso per via legale. “Il sinda-cato afferma che la via legale non può esse-re sostitutiva del confronto sindacale“avrebbe scritto la FULC in un comunicatofatto circolare nello stabilimento mesi dopo.Così la gestione dell’attacco padronale eraproseguita in maniera separata e parallela: afianco alla contrattazione ufficiale, da cui ilCdF si vedeva progressivamente più estro-messo, venne portata avanti una battaglialegale. Se quest’ultima era sfociata nell’otto-bre 1981 con la richiesta del reintegro deilavoratori da parte della magistratura, laprima, sempre in ottobre, aveva subito unulteriore ripiegamento sulla difensiva, suc-cessivo all’ufficializzazione della cessionedell’impianto amminoplasti alla Resem. Neera seguita la sconfessione degli accordi difebbraio e l’invio di lettere di licenziamentoper 396 lavoratori.A quel punto avvenne la rottura definitiva.Forte della ricezione di 500 richieste daparte dei lavoratori dello stabilimento, la

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FULC si proclamò unica rappresentante insede contrattuale, sconfessando di fatto ilConsiglio. Rimasta sola negli accordi con ladirigenza questa riuscì a diminuire il nume-ro dei licenziati. Furono colpiti un centinaiodi lavoratori, tra questi, cinquanta eranodelegati (che si ricorda essere in totale 120circa). Questi ultimi da parte loro avrebberodenunciato le 500 lettere come il frutto diforti pressioni da parte dei capireparto, edelle minacce di licenziamento per quantisi fossero rifiutati di firmare.(… )“Poche volte abbiamo veduto una lotta cosìtenace, condotta da una organizzazionesindacale contro un gruppo di lavoratoripreparati, davvero tutt’altro che estremisti,produttivisti, tenaci, conoscitori a fondo delciclo, armati di sapere economico, giuridi-co, politico” avrebbero scritto a propositodel contenzioso, criticando ampiamentel’impreparazione tecnica e politica dimo-strata dalla FULC in quella e in altre occa-sioni. E ancora, “lo scandalo di Castellanzasta nel fatto che il sindacato accetta nonsolo i licenziamenti (e le casse integrazionidestinate a diventare licenziamenti), ma leaccetta là dove potrebbe non accettarle,appoggiando invece che smentire ilConsiglio di Fabbrica nei suoi piani tutt’al-tro che utopici di recupero di produttività.Scienziati, membri del Cnr, politici nonoffuscati lo hanno riconosciuto.” (da IlManifesto, 3.08.1982)(…) Estromessi non solo come legittimi rap-presentanti dei lavoratori ma addiritturaespulsi dallo stabilimento, la capacità d’a-zione dei delegati risultò assolutamentecompromessa.Dal licenziamento in poi questi intrapreserobattaglie legali, volte ad ottenere un reinte-gro in fabbrica attraverso l’intervento dellamagistratura. Il riconoscimento dell’irrego-larità dei licenziamenti, e il conseguenterientro in fabbrica sarebbero avvenuti mesidopo, ma all’interno di rapporti di forza daltutto mutati, che vedevano gli ex-delegatiostacolati dal sindacato, lottare per conser-vare minimi spazi di manovra. D’altro cantonello stesso momento gli operai avrebberodovuto affrontare un clima ostile ancheall’esterno della fabbrica, che avrebbe messoin discussione l’esistenza del Centro di

Medicina del Lavoro di Via Col di Lana.

RIFORMA SANITARIA E CHIUSURADELLO SMAL(…) Il bilancio storiografico sulla RiformaSanitaria è ad oggi parziale. Tale parzialitàderiva da un lato dal fatto che la maggiorparte di articoli e opere scritti in materia sidevono proprio a medici, principali prota-gonisti delle vicende che raccontano. (…).In ogni caso i primi giudizi storici sull’ap-provazione della Legge 833 sono stati piut-tosto tesi a descriverla come una riformamancata, frutto delle buone intenzioni deisuoi artefici, ma resa inefficace dai suoiattuatori. La legge, istitutiva del SistemaSanitario Nazionale (SSN), costituiva unsistema di tipo organico ed egualitario allaprecedente frammentazione di enti mutua-listici, divisi a seconda della categoria dilavoratori cui veniva assicurata assistenzasanitaria. Il SSN era un servizio, non un’as-sicurazione, cui si accedeva in quanto citta-dini, non in quanto lavoratori, e soprattuttogarantiva gli stessi diritti a tutti gli italiani.Sotto questo punto di vista non si potevanegarne il portato innovativo, tanto più cheun intervento razionalizzatore di quel tipoera atteso dall’indomani della SecondaGuerra Mondiale. La riforma introducevainoltre le Unità Sanitarie Locali (USL) che, adieci anni dall’introduzione delle regioni,corrispondevano alla stessa esigenza didecentramento amministrativo. Nel casodelle USL, la territorializzazione e la decen-tralizzazione dei servizi voleva rappresenta-re il passaggio da una concezione curativa auna preventiva della medicina, auspicatoda più parti e reso necessario dall’evolversidel quadro epidemiologico della popolazio-ne. Tuttavia gli ideali riformatori sembraro-no traditi nella pratica dall’incapacità dellaclasse politica e amministrativa di garantireil buon funzionamento delle nuove struttu-re.(…)D’altra parte, tra quanti hanno ricostruito lastoria della legge 833, c’è anche chi ha piut-tosto sottolineato la volontà conservatricedei suoi stessi autori, celata dietro false spe-ranze di cambiamento. (…)All’interno di questa seconda prospettiva iltesto finale della legge era criticato per esse-

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re ricco di enunciazioni di principio cuiperò non veniva fatta corrispondere l’istitu-zione di enti o organismi atti a concretizzar-le. Come era possibile che una buona leggenon avesse sortito nessun reale trasforma-zione dei servizi sanitari? I suoi contenutisembrarono volontariamente lacunosi, voltia ridurre gli spazi d’azione della base piut-tosto che a favorirli. (…) Le USL erano ser-vizi territoriali, ma la loro gestione era verti-cistica, affidata alle amministrazioni deicomuni cui queste erano a capo. “ Il ServizioSanitario Nazionale, inteso come comples-so di servizi a promozione, difesa, manteni-mento, recupero della salute della gente,viene realizzato senza la gente, cioè senzacoinvolgimento di quest’ultima, senza edu-cazione alla salute e senza stimoli all’autoeducazione sanitaria. Del nuovo sistemasanitario si travisava inoltre il significato diservizio pubblico, inteso più come serviziostatale che come servizio sociale.” (G.Cosmacini, Storia della medicina e dellasanità nell’Italia contemporanea, Laterza,1994).È piuttosto all’interno di questa seconda let-tura che si inquadra più compiutamente lavicenda del GPIA di Castellanza. Se negliSMAL si può individuare un istituto pro-motore della riforma, bisogna ammettereche questi organismi, e le realtà politicosociali di cui furono espressione, non trova-rono spazio nel testo della Legge 833. IServizi di Medicina e Ambiente di Lavoro,nella maggior parte dei casi nati prima dellalegge istituiva dei Consorzi Sanitari, aveva-no realizzato l’incontro tra lavoratori e tec-nici, e portato in quel modo al passaggio dauna medicina curativa a una preventiva.(…) con l’attuazione della Riforma gliSMAL furono riassorbiti dalle USL, inglo-bati in strutture di tipo tradizionale. Certonon fu solo il mancato riconoscimento isti-tuzionale a determinare la sorte degliSMAL. La fase di ripiegamento cui fucostretto il movimento operaio fu decisiva,così come l’affievolirsi dell’appoggio delmondo accademico-universitario. La preco-ce scomparsa di un personaggio chiavequale Giulio Maccacaro, venuto a mancarein una fase cruciale dell’attività intrapresa,contribuì a cambiare le carte in tavola. Inogni caso il centro di Medicina di Via Col di

Lana venne chiuso alla fine del 1980, all’in-terno del piano di attuazione della riformasanitaria. Non sembra ci siano stati partico-lari dibattiti in merito, semplicemente, conla nascita della nuova USL, il Comuneavrebbe revocato l’utilizzo dei locali cheaveva dato in usufrutto. Al personale medi-co e paramedico che era stato assunto dalConsorzio, ma gravitante attorno all’espe-rienza politica del Centro di Castellanza,venne offerto di proseguire l’attività all’in-terno della nuova USL.Si trattava tuttavia, per quanti fino ad alloraavevano lavorato col GPIA e con gli altri

CdF della zona, di assumere un ruolo diffe-rente. Se con il Consorzio gli interventi nelledifferenti realtà lavorative erano concordatecon i lavoratori appartenenti a quelle stesserealtà, la nuova attività sarebbe stata moltopiù tradizionale, e i tecnici avrebbero dovu-to rispondere esclusivamente al volere deldirettivo dell’Unità Sanitaria, a sua voltaespressione degli equilibri politico-partiticidel territorio. Tanto Dario Miedico quantoBruno Thieme rifiutarono l’offerta, preferen-do continuare a svolgere il loro lavoro inaltri contesti. Contemporaneamente l’azio-ne del GPIA in ambito di tutela dell’am-biente di lavoro sarebbe stata notevolmenteridotta. Da una parte questo era stato priva-to degli spazi e della strumentazione neces-saria a proseguire l’attività, dall’altra i suoimembri erano contemporaneamente impe-gnati nelle battaglie legali per ottenere lariassunzione.In particolare Miedico si mostrò contrario alruolo di ufficiali di polizia giudiziaria cheera stato assegnato ai dipendenti delle USL.Un potere simile permetteva di intervenire

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in qualsiasi realtà lavorativa si sospettasseroproblematiche concernenti la salute deidipendenti, forzando legalmente la volontàdei datori di lavoro, e, a seconda dei casi, deilavoratori stessi. Al contrario l’idea di ege-monia operaia appartenente a Miedico, eallo stesso Gruppo Pia di Castellana, indivi-duava solo nell’intervento concordato con ilavoratori un intervento passibile di risulta-ti.Qui sta proprio la posizione ideologica cor-retta di Castellanza. Non è importante entra-re in fabbrica, perché se tu non hai i lavora-tori maturi per un intervento tu puoi entrar-ci finché vuoi, ma non succede esattamenteniente. (…)

NASCITA DEL CENTRO PER LA SALUTEGIULIO A. MACCACAROIn un contesto in cui il GPIA vedeva forte-mente ridotti gli spazi per l’espressionedella propria attività, rimaneva tuttavia invita Medicina Democratica, che dalla suanascita si era collocata al di fuori del campodi forze istituzionali esistente. Pur in unafase di ripiegamento del movimento ope-raio, Medicina Democratica continuava adesistere come luogo di incontro delle diver-se realtà che negli anni precedenti eranostate protagoniste del movimento per il rin-novamento della medicina. Medici, tecnici,operai, continuavano a collaborare insieme,nella volontà che il patrimonio di esperien-ze e di conoscenze accumulato sino ad allo-ra non andasse perduto. Chiaramente esi-stevano delle divergenze interne, ma d’al-tronde queste erano sembrate evidenti sindall‘assemblea fondativa di Bologna. Inquella sede il nascituro Movimento si eracaratterizzato anche nell’intenzione di supe-rare i contrasti esistenti nella definizione diuna linea comune. Rispetto all’approvazio-ne della riforma ad esempio, il giudizio sulruolo di ufficiali di polizia giudiziaria daattribuire alle nuove USL non fu unanime.Molti vi avrebbero individuato una conqui-sta piuttosto che una sconfitta. FrancescoCarnevale, storico della medicina e medicopartecipe dell’esperienza di MD, in unbilancio di quell’epoca formulato a vent’an-ni di distanza, avrebbe riconosciuto l’estre-ma importanza delle lotte dei lavoratorinella produzione di un rinnovamento nella

teoria e nella pratica della medicina dellavoro Parimenti avrebbe sottolineato anchei limiti di un esperienza che non era desti-nata ad essere duratura.(…)Laura Bodini, ugualmente iscritta a MD,avrebbe dato un’interpretazione analogadell’esperienza operaia, riconoscendone daun lato il portato innovatore, ma eviden-ziando nei numerosi limiti dall’altro. Nellafase di “egemonia operaia” solo le fabbrichemolto grandi e particolarmente sindacaliz-zate erano riuscite ad avvalersi dell’articolo9 dello Statuto dei Lavoratori, a proporrequindi indagini sull’ambiente di lavoro e afar entrare i propri medici negli stabilimen-ti. Le piccole e medio aziende tuttavia, peraltro particolarmente numerose in Italia,sembravano essere rimaste a margine diquesto tipo di esperienza, di cui eppure siriconosceva tanto il carattere trasformativoquanto quello rivoluzionario. (…)In ogni caso a prescindere da questo dibatti-to, che riproponeva in altri termini quellosviluppato a Bologna a proposito del rap-porto reciproco previsto per tecnici e operai,dalle colonne della sua rivista il comitato diredazione di Medicina Democratica avrebbeespresso una critica unanime nei confrontidella riforma, quando ancora il suo testo,destinato a divenire definitivo, era discussonelle aule parlamentari. (…). Allora nonsolo venne criticata la mancata partecipa-zione “dal basso” all’interno delle USL, maanche il fatto che queste ultime non aveva-no nessun tipo di controllo sull’IstitutoSuperiore della Sanità, organo tecnico-scientifico gestito unicamente dalMinistero. Ulteriori carenze erano indivi-duate nella sopravvivenza di molti spaziprivati all’interno del nascente servizio pub-blico. (…) In altre sue parti poi la riformasembrava esplicitamente negare le conqui-ste del movimento operaio: in nessun puntoveniva citato l’articolo 9 dello Statuto deiLavoratori, e addirittura, fatto privo di pre-cedenti in ambito di legislazione sanitaria, siaccennava al diritto alla tutela del segretoindustriale.“Nell’esercizio delle funzioni ad esse attri-buite per l’attività di prevenzione e le unita’sanitarie locali, garantendo per quanto allalettera d) del precedente comma la tutela

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del segreto industriale, si avvalgono deglioperatori[. . . ] nell’ambito delle loro compe-tenze tecniche e funzionali, erogano le pre-stazioni di diagnosi, cura e riabilitazione”recitava il testo di legge, proprio all’internodell’articolo dedicato all’illustrazione del-l’attività preventiva degli enti locali.[…]Molti tra gli ex delegati del Consiglio diFabbrica, consumarono la definitiva rotturacol sindacato dei lavoratori chimici nel1982, attraverso l’invio della personale lette-ra di diffida alla sede FULC di Varese, in cuisi dichiarava di ritirare ogni potere di delegaalla Federazione sindacale dei chimici, non-ché la nuova adesione all’organo di rappre-sentanza denominato “Coordinamentodelle lavoratrici e dei lavoratori dellaMontedison di Castellanza”. Da allora inpoi quanti riuniti nel coordinamento avreb-bero continuato a operare come sede localedi Medicina Democratica, conducendo nellocale il tipo di attività proprio delMovimento a livello nazionale.Il lavoro volontario di molte lavoratrici emolti lavoratori avrebbe portato nel 1988alla nascita a Castellanza del Centro per lasalute dei Lavoratori Giulio A. Maccacaro.Al grande scienziato, che tanto aveva inse-gnato e tanto aveva imparato dal lavoro conil CdF, era dedicata la sede locale diMedicina Democratica. Al suo internoquanti erano stati protagonisti della stagionedi lotte durata lungo tutto il decennioSettanta avrebbero custodito l’eredità diquanto accaduto in quegli anni.L’operazione di conservazione della memo-ria sarebbe stata duplice. Da una parte ilCentro avrebbe continuato a essere punto di

riferimento per la popolazione del territoriocircostante, continuando a svolgere attivitàsindacale legata alla tutela della salute deilavoratori e dell’ambiente. D’altra parteall’interno dello stesso Centro sarebbe statocostruito un archivio, memoria di tutte lelotte condotte negli anni passati.Al giorno d’oggi il Centro esiste ancora, ed èsituato al centro della cittadina, accanto alpalazzo comunale. La sua attività neltempo, parallelamente a quella di MedicinaDemocratica, ha progressivamente abban-donato il campo della tradizionale contrat-tazione sindacale, individuando nella magi-stratura un interlocutore privilegiato. Se siguarda alla storia dei più importanti proces-si che nel corso dell’ultimo trentenniohanno visto grandi fabbriche accusate dimancata tutela dell’ambiente lavorativo sinoterà che Medicina Democratica figurasovente come parte civile, talvolta l’unica,contro gli accusati. I casi dell’Eternit, quellodella Thyssenkrupp o quello dell’Ilva diTaranto sono alcuni tra i più famosi esempidi molte vicende simili che costellano la sto-ria d’Italia. Volendo quindi tessere un filoconduttore all’interno della vicenda narrata,che colga le eredità tra presente e passatopiuttosto che le spaccature, si individuaproprio in questa nuova attività, di tipo sin-dacale e giudiziario, la continuità tra idecenni Settanta e Ottanta. Indagare sucome e perché gli spazi riservati al politico,siano stati piuttosto affidati all’azione e algiudizio della magistratura, e come l’idea digiustizia si sia evoluta nel corso del tempo,caricata di significati supplementari, è uninterrogativo interessante, che si apre allafine di questo lavoro.

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FONTIIl testo si fonda sulla consultazione di fonti ine-dite messe a disposizione presso l’archivio delCentro per la Salute Giulio A. Maccacaro, l’ar-chivio del Comune di Castellanza e l’archiviodella Camera del Lavoro di Varese.Sono inoltre state svolte interviste con quantifurono protagonisti dell’esperienza di lotta con-tro la nocività del Consiglio di Fabbrica dellaMontedison di Castellanza.

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*MedicinaDemocratica,Sezione di Milanoe Provincia.**Presidente diMedicinaDemocraticaO.n.l.u.s.

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Medicina Democratica 2016fra politica e giustizia

a cura di Fulvio AURORA* e Piergiorgio DUCA** Quest’anno si celebra il 40esimo anniversa-rio della nascita di Medicina Democratica. Ilconvegno in via di preparazione, stabilitoper il gennaio 2017, anche in corrisponden-za con l’anniversario della morte di GiulioMaccacaro, costituirà il momento privilegia-to in cui considerare la sua storia e andareoltre.In questi ultimi anni, MD si è costituita partecivile in numerosi processi penali, non solo,ma è intervenuta anche in procedimentiamministrativi davanti al TAR e al Consigliodi Stato. Da quindici anni a questa partequesta azione si è consolidata.

PERCHÉ?C’era una volta “la politica”. Il Movimentodi Lotta per la Salute, nato nelle fabbrichealla fine degli anni 60, rivendicava miglioricondizioni di lavoro nelle fabbriche, dovenegli anni 50 erano stati istituiti perfino ireparti “confino”, per isolare i lavoratori sin-dacalmente e politicamente più attivi dalresto. E’ a partire da questa nuova consape-volezza del “diritto alla salute” - d’altraparte sancito senza confini anche dallaCostituzione - anche nelle fabbriche e pertutti che nasce l’interesse ad estendere ilprincipio e la consapevolezza a tutti i citta-dini e al territorio, molto spesso investitodalle emissioni nocive delle fabbriche stes-se. Da qui la richiesta a gran voce e con laforza della mobilitazione e della lotta diriforme sociali, amministrative, istituziona-li. Al centro delle richieste che motivavanole grandi manifestazioni quella della parte-cipazione dei soggetti direttamente interes-sati (lavoratori e cittadini) espropriati dellaloro soggettività, divenuti consapevoli dipoter essere i soli a promuovere un realecambiamento. Da qui il no alla monetizza-

zione del rischio, il no alla delega della inda-gine sulle condizioni di nocività e di saluteai tecnici, il no al ricatto “lavoro o salute”, ilsì allo studio autogestito delle condizioni dilavoro e alla organizzazione di lotte mirate acambiare insieme alle condizioni di lavoro,la sua organizzazione e la stessa finalità pro-duttiva, ancora allo scopo di realizzare ildettato costituzionale: “L’iniziativa privata èlibera. Non può svolgersi in contrasto conl’utilità sociale o in modo da recare dannoalla sicurezza, alla libertà, alla dignitàumana.” (Art. 41) e di affermare condizionidi uguaglianza per chi fino allora era statomesso ai margini del vita sociale, politica,economica e culturale del paese. In un seminario di MD svolto a Rimini nel1972 dal titolo “Scienza del Lavoro e dellaSalute”, definendo il complesso delle acqui-sizioni culturali avvenute attraverso le lotteoperaie e la elaborazione culturale che que-ste avevano indotto, ci si rivolgeva alla isti-tuzione sanitaria e sociale, ai sindacati, allapolitica per definire un programma di mobi-litazione e di lotte che affermasse una voltaper tutte il diritto alla salute per tutti comediritto reale esigibile.Da questo contesto trasse forza il movimen-to di riforma sanitaria che trovò uno sboccoimportante con la approvazione della legge23 dicembre 1978 n. 833 di riforma sanita-ria, così come la legge 180 che stabiliva unnuovo e rivoluzionario approccio al malatoe alla malattia mentale, con la chiusura deimanicomi come luoghi non di assistenza ecura ma di isolamento e negazione dellapersona e di ogni sua dignità, fino alla legge194 per l’interruzione volontaria di gravi-danza che, regolamentando una pratica finoad allora criminalizzata, spezzava il merca-to nero dei “cucchiai d’oro” e si ripromette-

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va di abolire la piaga dell’aborto clandestinocon tutte le sue ricadute in termini di rischioper la vita stessa delle donne. Tutto ciò trovòallora un inizio, trovando radicamento nellelotte sociali e per i diritti civili (non dimen-tichiamo la approvazione dello Statuto deiDiritti dei Lavoratori) che alimentarono lanascita di una nuova coscienza civile collet-tiva e di nuove alleanze (non dimentichia-mo neppure il Movimento Studentesco diquegli anni).Ma veniamo ai giorni nostri: 21 Ottobre 2016prima pagina de “Il Manifesto”, il titolo:Renzi: “Se vince il No torniamo indietro di30 anni”. Magari!!!La politica, quella iniziativa di dibattito, ela-borazione, proposta, confronto, progetto,programma e lotta intesa a promuoveresempre migliori condizioni di vita e di lavo-ro per la comunità nel suo complesso, conparticolare attenzione ai molti che vengonoregolarmente ultimi, non esiste più, cancel-lata dal Mercato. Infatti non la politica, mala banca, la finanza, l’economia oggi dettanole regole e le priorità, in tutti i campi (ener-gia, istruzione, trasporti, educazione,sanità). I sindacati, quelle organizzazioni che purenel tempo qualche contributo di elaborazio-ne e organizzazione, almeno in alcune situa-zioni particolarmente combattive e vivaci(ricordiamo ad esempio Gastone Marri,INCA CGIL fondatore della rivista “La medi-cina dei lavoratori” che tante lotte seppedocumentare ed alimentare), oggi sonodeboli, divisi, diremmo anche confusi ecomunque sempre più istituzionalizzatiovvero allineati a quello che è diventato,promosso dalla destra ma accettato anchedalla “sinistra”, il pensiero unico dominan-te liberista. La sinistra-sinistra, troppo spesso soltantovelleitaria, ricca di buoni proponimenti chemai riescono a motivare il superamento didistinzioni, spesso molto cavillose e perso-nalistiche, per promuovere quella unità chesoltanto può dare la forza per realizzare unprogetto di reale rinnovamento culturale,sociale e politico.Al quadro sconsolante che alimenta conpieno diritto ogni sorta di pessimismo dellaragione, continuiamo però ad opporre, conl’ottimismo della volontà, la visione utopi-

stica ma essenziale dalla quale è sorta MDMovimento di Lotta per la Salute propo-nendo a sindacati di base e confederali, amovimenti e partiti che si rifanno alla sini-stra, a tutte le associazioni locali spontaneedei cittadini, una collaborazione che rimet-ta il diritto alla salute, con tutti i suoi corol-lari, al centro di un programma politico dilungo periodo.La salute va continuamente salvaguardata,non solo nei tempi migliori ma soprattuttoquando i tempi si fanno più bui, e questo vafatto a nostro avviso con tutti gli strumentiefficaci a disposizione. Da qui la decisione,quando è fondato, possibile e verosimil-mente efficace il farlo, il ricorso al giudice ealla magistratura per il conseguimento delnostro obiettivo, ovvero non il semplice,anche se mai trascurabile, risarcimento deldanno ma il riconoscimento del dolo, ladenuncia della cultura e dei disvalori di cuiè il prodotto, l’impegno a ripristinare, perquanto è possibile, la situazione dei territorie delle popolazioni. Per dimostrare come questo non si riducaad agire ex-post, smentendo così il fonda-mento stesso di MD che consiste nel pro-muovere la prevenzione, la difesa, la pro-mozione della salute, riprendiamo quantoaffermato da Luigi Mara (e verbalizzato) nelsuo ultimo intervento, qualche giornoprima che venisse stroncato da un malorefatale, all’Assemblea Nazionale di MD(Milano 30 aprile 2016).

LE RAGIONI DI UNA SCELTALuigi MARA … contesta quanto affermato(…), ovvero che i processi non servono aniente e che si possa fare prevenzione con iricorsi al TAR. A tale proposito Mara ricor-da che il momento di inizio della pratica delricorso di MD in sede giudiziaria risale alladecisione di difendere la parte socialmentepiù debole, a partire dalle vicende dei licen-ziamenti discriminatori che si verificarononelle grandi aziende (1980/81). In particola-re il Gruppo di Prevenzione e IgieneAmbientale del Consiglio di Fabbrica dellaMontedison di Castellanza decise, allora, diinvestire la magistratura, percorrendoanche per questa via la richiesta di verità egiustizia per le morti operaie che avvengonoquotidianamente nelle fabbriche, con l’o-

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biettivo di contribuire a (ri)dare dignità auomini ed a donne in carne ed ossa, da tuttidimenticati, sindacati compresi.In particolare ricorda che, prima di ottenerel’avvio del processo per le morti operaie alpetrolchimico e alla Montefibre di PortoMarghera, dal 1990 al 1994, sono state atti-vate indagini casa per casa dei lavoratorideceduti esposti al CVM/PVC. Sono staticosì ricostruiti i processi produttivi ed i rela-tivi gravissimi impatti sanitari su centinaiadi operai. Questo lavoro ha anche prodottoil fascicolo della Rivista di MedicinaDemocratica (nn. 92/93, gennaio-aprile1994) dedicato a quelle morti operaie ed aquegli inquinamenti, laguna compresa,fascicolo che venne presentato come espo-sto-denuncia alla Procura della Repubblicapresso il Tribunale di Venezia dal compian-to Gabriele Bortolozzo, proprio a nome diMedicina Democratica e anche a nomedello stesso Bortolozzo come Responsabiledella sezione di Venezia e provincia dellanostra Associazione. Il procedimento pena-le fu assegnato al PM Casson, che, con ipoteri del suo Ufficio e sviluppando le inda-gini, scoprì ulteriori casi di operai decedutia causa dell’esposizione lavorativa aCVM/PVC, acquisendo ulteriori elementi diconoscenza sugli effetti della nocività.All’apertura del processo nel 1994 avanti alGUP, e poi nel marzo 1995 avanti ilTribunale, le parti offese, persone fisicheerano oltre 550. A Porto Marghera, prima edurante il processo, sono state svolte decinee decine di assemblee e convegni con lapopolazione a rischio ed è stato promossoun referendum - (attraverso un Comitato nelquale faceva parte anche MedicinaDemocratica) - contro il raddoppio dellaproduzione degli impianti di PortoMarghera di CVM/PVC; un referendumvinto da MD assieme alla popolazioneveneziana. Non si può quindi negare cheproprio il ricorso al tribunale, con tutte lenostre molteplici iniziative concomitanti,fece crescere la conoscenza e, soprattutto, lacoscienza collettiva, insieme alla restituzio-ne di voce e dignità a quelle morti operaie(oltre 500) che altrimenti sarebbero staterimosse, come sempre capita agli ultimi.Quando si parla di attività processuali quin-di vanno valutati compiutamente anche i

fatti e le iniziative di informazione e di par-tecipazione promosse nei confronti e assie-me alle popolazioni interessate e non solo lasentenza finale. A Porto Marghera-Veneziasi sono svolti altri processi per quanto acca-duto nei successivi 12 anni e complessiva-mente queste iniziative hanno avuto conse-guenze importanti, prima fra tutte l’iniziodella bonifica dell’area, anche questo unrisultato non trascurabile della iniziale deci-sione presa. Come è noto successivamentecome associazione siamo andati anchealtrove.Le iniziative in sede giudiziaria sono state

utili naturalmente anche prima di PortoMarghera. Nel 1976 a Seveso, abbiamo pro-mosso, sempre come MedicinaDemocratica e Comitato Tecnico ScientificoPopolare di cui faceva parte anche Giulio A.Maccacaro, un “Tribunale Popolare” coin-volgendo direttamente la popolazione espo-sta e promuovendo una rigorosa, continua enotevole informazione sui possibili effettidell’avvelenamento da nube di diossine.Sono state anche qui e allora promosse, peranni, assemblee, manifestazioni e indaginiambientali/sanitarie, il tutto a favore dellapopolazione nel suo complesso. Questa atti-vità, tra l’altro, ha fatto emergere le gravissi-me responsabilità della multinazionale LaRoche per il crimine di pace da essa perpe-trato, contribuendo così a farla condannarein tribunale.A Massa Carrara dagli anni ‘70 abbiamosvolto come Medicina Democratica un’atti-vità ultradecennale, che accennerò solo peralcuni fatti salienti accaduti:J)- a seguito dell’’incendio del Magazzinodel pesticida Mancozeb alla Farmoplant di

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Massa (1979), assieme alla popolazione,MD dà vita all’“Assemblea permanente diMassa Carrara”;JJ)- dopo l’esplosione dell’impianto delpesticida Rogor (1988), l’ Assemblea perma-nente attuò un presidio davanti alla fabbri-ca, realizzando una struttura fisica presso laquale la popolazione auto organizzata effet-tuava un controllo, 24 ore su 24, sulle atti-vità inquinanti della fabbrica, promuoven-do al contempo iniziative e dibattiti e dotan-dosi di strumenti di comunicazione (pubbli-cazioni, volantini, manifesti, documenti,quaderni, libri), così alla fine ottenendo lacondanna dei responsabili, pur con peneirrisorie rispetto ai danni prodotti;JJJ)- non è da trascurare il fatto che proprioa seguito del successo delle iniziative sopraaccennate si riuscì a far smantellare quellafabbrica di morte, elaborando al contempoun progetto presentato alla CEE per la rea-lizzazione di un Centro di Ricerche per losviluppo delle tecniche di bonifica dei sitiinquinati, proprio a partire dallo stabili-mento della Farmoplant/Montedison diMassa Carrara così rispondendo concreta-mente alla richiesta di riconoscimento deldiritto al lavoro dei lavoratori dello stabili-mento. Il progetto fu accolto positivamentedai responsabili della Comunità Europeache si dichiarano disponibili a finanziarloper l’80% a fondo perduto. Senza entrarenei dettagli del boicottaggio attuato da partedelle autorità italiane contro la realizzazio-ne del progetto, si sottolinea che, anche inquella situazione, Medicina Democratica èriuscita a tenere assieme tutti i soggettisociali coinvolti per ben oltre un decennio,inclusi gli anarchici, che per la prima voltasono andati a votare sostenendo il quesitodel referendum proposto dal Comitatocostituito dall’ Assemblea permanente diMassa Carrara, da Medicina Democratica,dalle ACLI locali e da DemocraziaProletaria, contro tutti gli altri partiti, tutti isindacati, la lega delle cooperative, la Curia,la Montedison e la Confindustria.Referendum vinto con oltre il 77% dei votida parte della popolazione a rischio. Si ètrattato del primo referendum in Italia diquesta natura, finalizzato alla chiusura diuna fabbrica di morte. Venne fatta chiudere anche l’ANIC di

Carrara, che dal 1984 aveva inquinato il ter-ritorio con diossine emesse dagli impianti diproduzione dell’erbicida “FS1”, e si costrin-sero anche le autorità locali ed ENI/ANIC arealizzare le bonifiche ambientali negli anni‘90. Più recentemente nel processo alPetrolchimico di Mantova abbiamo vinto ela sentenza di ieri (29 aprile) è la prima inassoluto in cui viene riconosciuta la tossi-cità e la cancerogenicità del benzene, nono-stante tale proprietà alla comunità scientifi-ca risulti nota da molti decenni. Anche inquesto caso l’iniziativa giudiziaria è stataaccompagnata e seguita da assembleeinformative con la popolazione e con la par-tecipazione alle udienze, in primis delleparti civili. Partecipazione al processoEternit: coinvolte 3.600 parti civili e l’impat-to si è avuto a livello mondiale. MedicinaDemocratica in prima fila anche nel proces-so Thyssen Krupp: l’unica parte civile che èentrata in azienda per verificare diretta-mente le inaccettabili condizioni di lavoroche hanno determinato la strage di operai aTorino.A Manfredonia (contaminazione del territo-rio da arsenico) prima del procedimentopenale, MD ha fatto denunce pubbliche,assemblee informative e la ricostruzionepuntuale con i lavoratori delle condizioni dilavoro e ambientali. Messi sotto accusa daMD anche tecnici come i prof. Ambrosi eFoà per le loro indicazioni e prescrizioni suilivelli biologici di esposizione all’arsenicodei lavoratori del petrolchimico ANIC/ENI,smascherando la tentata banalizzazionedelle esposizioni al tossico dovute allaesplosione avvenuta nel settembre 1976 diuna colonna dell’impianto ammoniacacontenente decine di tonnellate di arsenico,sprigionate in atmosfera con il conseguenteinquinamento di un vasto territorio diManfredonia- Monte S. Angelo.L’esito nega-tivo di tale processo è dovuto ad unaimprovvida decisione del magistrato di uti-lizzare per una perizia un consulente (Prof.Russo) che aveva già attestato come com-pletata la bonifica effettuata nel 1976-1977.Alle motivazioni della ricusazione deposita-te dall’Avv. Giuseppe Mattina, legale diMedicina Democratica, nessuno ha maidato risposta, neppure il Presidente delCSM, carica allora ricoperta dal Presidente

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della Repubblica, Giorgio Napolitano. La strage ferroviaria avvenuta di Viareggio,29 giugno 2009. Anche in questo caso sonostate condotte assemblee prima del proces-so, manifestazioni promosse dal Comitatodei Famigliari delle Vittime edall’Associazione 29 Giugno, ogni annonella ricorrenza del 29 giugno e in moltepli-ci altre occasioni, ivi compresi i cortei e lapartecipazione ad ogni udienza del proces-so, attualmente in corso avanti il Tribunaledi Lucca, processo nel quale MedicinaDemocratica è costituita parte civile. Tutto questo considerato Luigi Mara sidichiara orgoglioso di aver contribuito a rea-lizzare tutte queste iniziative, naturalmentecon molti altri, e conclude che le stesse sonorisultate tutt’altro che inutili. Naturalmenteciò perché non sì è trattato solo di mettereuna firma in calce a un documento e didelegare l’azione ad a un legale, ma l’impe-gno di documentazione, elaborazione,informazione, raccolta dati e presentazionedi memorie è stato continuo ed assiduo.”

IL PROCESSO DI VIAREGGIOE partiamo ora dal processo di Viareggio chea 7 anni dalla strage sta concludendo il suoprimo grado (quando si dice la lentezzadella giustizia italiana). La previsione è chedopo si andrà in Appello e, quasi certamen-te, in Cassazione, per cui passeranno alme-no altri tre o quattro anni prima della con-clusione, con la concreta possibilità che laprescrizione venga ad annullare il tutto.Questa sarebbe una offesa intollerabile perle vittime, per i famigliari, per tutti i cittadi-ni di Viareggio che, presenti ad ogni udien-za, hanno contribuito a mantenere attival’attenzione con dibattiti, manifestazioni,appelli. Il Pubblico Ministero, nella suarequisitoria finale, ha chiesto pene relativa-mente elevate (16 anni di reclusione perl’amministratore delegato di RFI MauroMoretti, nel frattempo promosso a ammini-stratore delegato di Finmeccanica). Non èsuperfluo notare come per tutto questo siastata importante la mobilitazione. Cosìampia l’abbiamo vista solo nel processoETERNIT, dove vittime e cittadini di CasaleMonferrato giungevano numerosi ad ogniudienza ed occupavano tutto lo spazio riser-vato al pubblico. Se è vero che la condanna

non è né deve essere conseguenza dellamobilitazione, certo non si può negare cheessa influenza l’andamento del processo,soprattutto nei suoi tempi di esecuzione,evitando in tal modo una prescrizione-colpo di spugna finale, in attesa che questoesito venga impedito finalmente da unadiversa e più adeguata normativa della pre-scrizione. Succede, come è successo anche nonostan-te la mobilitazione nel caso del processoETERNIT, che la sentenza finale sia negati-va; succede ed è successo che ci siano inve-ce state condanne in altri processi con scar-

sa o nulla mobilitazione, ma in ogni caso lapartecipazione è sempre utile e MD si dàsempre da fare perché, con ogni mezzo, sirealizzi. La maggiore informazione pubblicache la mobilitazione induce è un valore insé: nessuno potrà fermare un movimentopopolare animato da una limpida presa dicoscienza collettiva dei diritti violati.

IL PROCESSO ETERNIT E LA PRESCRI-ZIONEAbbiamo parlato di prescrizione e di ETER-NIT. Il processo intentato contro Eternit, adoggi è stato Il più grande processo sulla salu-te e sicurezza sul lavoro, iniziato davanti alTribunale di Torino al seguito delle accusepresentate dal procuratore della RepubblicaRaffaele Guariniello. Più grande in relazioneal numero delle vittime, oltre 2200 (oltre3000 parti civili), ed relativamente all’impu-tato in campo: lo svizzero StephanSchmidheyni, uno degli uomini più ricchidel mondo, sostenuto e riverito dall’establi-shment, con una immagine autoalimentataanche con molta efficacia mediatica (il pote-

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re dei soldi e la mediocrità consenzientedegli intellettuali fanno miracoli) di filantro-po ed ecologo, di fatto si può definire l’im-peratore dell’amianto. Dopo un lungo estringente processo, prima davanti alGiudice dell’Udienza Preliminare (GUP) epoi davanti al giudice del dibattimento,quindi davanti alla Corte d’Assised’Appello, è approdato in Cassazione doveil Presidente, accogliendo la richiesta delProcuratore Generale, ha letto il dispositivodella sentenza: “annullato, senza rinvio perprescrizione” (19 novembre 2014). Un esitodisastroso per le vittime che non hannoottenuto una condanna nè un risarcimento,un esito disastroso per tutte le associazioni ei movimenti contro l’amianto a livello mon-diale. Delusa così la speranza che finalmen-te si dicesse una parola definitiva per lamessa al bando in tutto il mondo di unmateriale e di una serie di lavorazioni noteda molti decenni per essere cancerogene,anzitutto, ma anche nocive al di là della can-cerogenicità e che si desse l’avvio all’operadi bonifica globale e radicale, per prevenireulteriori morti e malati da amianto.Non è stato così: è intervenuta la prescrizio-ne. Il disastro non è stato considerato dolo-so ma colposo, e questo solo perché il codi-ce non lo prevedeva, perché come ebbe adire il Procuratore Generale la scelta fradiritto e giustizia non è per la giustizia maper il diritto. Ma non è finita: è partito unnuovo processo, sempre a Torino, per altrevittime che nel frattempo sono si sonoaggiunte. Così dopo un’interruzione di alcu-ni mesi, il 27 ottobre il processo è ripreso: siconcluderà ora secondo giustizia?La prima sentenza di ETERNIT è arrivata,dopo alcuni anni al seguito di lunghi eimportanti dibattiti davanti al GUP, soprat-tutto in primo grado e poi in Appello e lasopraggiunta prescrizione in Cassazione hagenerato in tutti un profondo senso di fru-strazione. Ma una associazione di lotta ha laforza di un collettivo, non si lascia scorag-giare dagli eventi avversi, da qui la decisio-ne di MD, insieme a tutti coloro che hannocompreso i pesanti limiti dovuto al mecca-nismo perverso con il quale si ottiene la pre-scrizione, di battersi ora contro di esso. Inquesta direzione il potersi confrontare con ilsenatore Felice Casson, vice presidente

della Commissione Giustizia, e stato fonda-mentale. Ottenere per via legislativa un ade-guamento normativo che sia rispettoso dellagiustizia, oltre che del diritto, è un’altra stra-da che il movimento deve imparare a per-correre con efficacia. In Italia ci sonomigliaia di leggi, molte delle quali approva-te e modificate con grande velocità, maattenzione a non toccare quelle che difen-dono i ricchi e potenti, soprattutto quandocolpevoli. L’impegno del senatore Cassonper rinormare la prescrizione, soprattutto incause collettive della gravità del processoETERNIT, è documentato e descritto in uncomunicato stampa che dice:“13 SETTEMBRE 2016 GTML’emendamento sui reati ambientali trovaadesioni e apre la strada a quello relativo atutti i processi. Il ddl in aula da domani.Dalle parti del governo non ci pensavanoproprio a una fiducia sulla riforma del pro-cesso penale. Non foss’altro perché i lavoriin commissione Giustizia già erano statiestenuanti e sembrava potesse bastare.Oltre un anno di stop per le difficoltà a tro-vare un’intesa tra Pd e Ncd sulla prescrizio-ne, poi a luglio l’insperata fumata biancacon il testo finalmente pronto per il rushfinale in Aula. Ma a ventiquattr’ore dall’e-same del Senato sull’ampio ddl piombaun’incognita enorme. A crearla saranno lemodifiche rilanciate proprio da uno dei duerelatori, Felice Casson, ex pm e, come amadefinirsi, «tecnico del diritto a disposizionedel Parlamento». L’ex sostituto procuratoredi Venezia rimette sul tavolo la proposta diinterrompere il decorso della prescrizionealla condanna di primo grado. Una logicache contraddice frontalmente quella dell’in-tesa trovata da Orlando, Zanda e D’Ascolain commissione, dove è stato dimezzatol’extended time previsto alla Camera perl’Appello. Non solo: Casson si arma di tuttopunto col corredo di un’altra proposta desti-nata a essere un vero e proprio grimaldelloperché assai più “potabile”. Si tratta di unemendamento che prevede un’eccezioneper tutti i reati collegati al disastro ambien-tale, compreso quello di “Morte come con-seguenza di inquinamento”.«Sono delitti legati a comportamenti subdo-li», spiega Casson, «penso all’Eternit diCasale Monferrato come al petrolchimico di

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Porto Marghera, di cui mi sono occupatopersonalmente: gli amministratori sapeva-no che i criteri di produzione provocavanol’esposizione degli operai ad agenti cance-rogeni, ma tenevano nascosta la questione».Ed è per questo che «analogamente a quan-to successo in Piemonte, negli anni Settantain Laguna diversi lavoratori morirono diangiosarcoma quando i reati erano già pre-scritti». Ecco perché «proponiamo che perquesta limitata tipologia di delitti la prescri-zione decorra non dal momento in cui ilreato viene commesso ma da quando il pmne ha notizia». E qui è difficile liquidare l’i-potesi con lo stigma dell’irragionevolezza.Tanto è vero che l’idea è piaciuta non soload alcuni senatori della sinistra dem comeLucrezia Ricchiuti, ma addirittura al capo-gruppo pd in commissione Giustizia BeppeLumia, che ha sottoscritto l’emendamento.Ora, sui reati ambientali Casson sfonda unaporta aperta anche con Renzi e Orlando, erischia di raccogliere una marea di consen-si in Aula. Ma proprio questo potrebbeattrarre l’attenzione anche sull’altra suaproposta che stoppa il cronometro dellaprescrizione dopo la condanna in primogrado per tutti i reati.Se facesse breccia anche quest’ultima, sal-terebbe tutto lo schema definito con Ncd. Èchiaro che i centristi minaccerebbero il dis-senso sull’intero provvedimento, e i cinque-stelle si infilerebbero di corsa in queste con-traddizioni. Ecco perché nonostante tutto,davvero il governo potrebbe essere costrettoa porre la fiducia. «Io non credo, il temadella prescrizione è un particolare in mezzoa un ddl che riforma il processo in genera-le», dice Casson. Ma il suo pare un ottimi-smo da tecnico, più che da parlamentare.”

LA FIBRONIT DI BRONI – IL RUOLO DEICONSULENTI – I RISARCIMENTIIl 20 ottobre abbiamo ascoltato presso la Vsezione del Tribunale di Milano la sentenzad’Appello contro gli imputati della Fibronitdi Broni. Dove come MD eravamo e siamoparte civile. (1) Tale processo è iniziato aVoghera nel 2012. Sentenza di assoluzione edi prescrizione. Non ce lo aspettavamo,visto che in primo grado era stata ricono-sciuta la responsabilità degli imputati conconseguente condanna.

Quindi i processi durano tantissimo e cor-rono inevitabilmente verso la prescrizione.In questo contesto si pone anche il ruolo deiconsulenti delle controparti. Gli imputati (ele aziende) sotto accusa scelgono i consu-lenti più paludati, in genere docenti univer-sitari. Non sappiamo quanto vengano paga-ti (anche se ne abbiamo sentore e si vociferadi cifre astronomiche, per comuni mortalisalariati, ovviamente ma anche per i peritinominati dal giudice: e questo non è bene enemmeno giusto che avvenga, se davvero lagiustizia deve essere eguale per tutti).Nel giorno del processo, quando vengono

chiamati, questi periti si recano in tribunalee parlano, parlano, parlano tanto che si puòpensare che più parlano e più vengonopagati, del resto gira una battuta nel mondoaccademico: “Se non puoi convincerli,confondili” e quale mezzo migliore perconfondere giudici giurati e quant’altro cheinondarli di parole, talora paroloni, a fiumi. Come detto anche i consulenti dei PM, equelli dei giudici, vengono pagati (natural-mente molto, molto, molto di meno dei pre-cedenti) e infine abbiamo i consulenti degliimputati, quelli delle parti civili, in partico-lare quelli di MD e AIEA: per questi ultimi,se va bene, si avrà il rimborso del viaggio. Questa straordinaria sproporzione (si passada qualche decina di euro, a qualchemigliaio per finire con le centinaia dimigliaia) non sembra favorire l’equità di giu-dizio. Forse anche in questo caso si tratta diottenere che il legislatore metta mano inmodo da garantire che non vi sia una siste-matica differenza di competenze disponibi-li sul mercato della giustizia, un po’ come sitenta, timidamente, da più parti di evitare

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con una norma limitante ad hoc che nelconfronto democratico possano “scenderein campo” dei magnati con finanziamentiillimitati per la loro campagna elettorale(auto o etero finanziati non importa) oppostia politici più tradizionali ed onesti cheentrano in campo con risorse certamentepiù ridotte. Anche in questo caso l’effettodestruente della enorme disparità economi-ca e finanziaria è del tutto evidente, ed èancora a ben vedere il motivo per il quale cisi oppone al fatto che una multinazionale,con un bilancio superiore al PIL della mag-gioranza dei paesi poveri rappresentaiall’ONU, possa fare causa ad un paese. Tuttoquesto è solamente giustificato se si accettache è il mercato a dettare le leggi e non chele leggi debbano normare il mercato.Accettato questo principio liberista, equità,giustizia, diritti universali e dignità dell’uo-mo diventano carta straccia. E forse qualcu-no (JP Morgan) è proprio questo che si pro-pone di ottenere attraverso la abolizionedelle Costituzioni socialisteggianti dei paesimediterranei che rappresenterebbero unaminaccia per il Mercato.Ma quelli visti sopra non sono gli unicimodi con i quali gli accusati cercano la viadella assoluzione. Ci sono anche le vittime ei parenti delle vittime, le altre parti civili, isindacati, gli enti pubblici, le associazioni,l’Inail. A tutti coloro che sono stati ricono-sciuti parte civile, in particolare alle vittime,viene offerto – nella gran parte dei processidi cui ci siamo occupati come MD – unasomma di denaro a condizione che escanodal processo nei gradi successivi. L’offertaviene spesso fatta anche ad enti e associa-zioni. Attenzione che questo non è un mododi riconoscere indirettamente la colpa e laresponsabilità da parte degli imputati. Difatto essi così non cambiano linea difensiva,non si dichiarano colpevoli, continuanoanzi a sostenere la loro estraneità e la lorototale innocenza, soltanto fanno sapere diessere particolarmente sensibili alle soffe-renze delle vittime, non da loro provocateovviamente ma da un destino cinico e baroevidentemente, e solo per umanità, non peraltro, si sono mosse a compiere quel passo.Un passo, nota bene, di cui la CorteGiudicante terrà conto, ma non nel sensodell’ammissione di colpa ma, al contrario,

per riconoscere attenuanti ed altro, arrivan-do a considerare quanti non accettassero labeneficenza come incalliti e assatanati for-caioli.Alla fine di questo “equivoco” commercioqualcuno si trova solo in tribunale. Ed èquello che è successo nel processo contro laThyssen Krupp a Medicina Democraticache, non accettando la transazione, haaspettato il giudizio finale in Cassazioneprima di ritirare quanto il giudice, alla finedel percorso, stabilisce come risarcimentoalla parte civile: si è trattato del 50% diquanto gli enti collettivi che avevano transa-to avevano ricevuto. Capita l’antifona? Ilpotere dei soldi induce ad accettare depo-tenziando quanto prima il processo. Se nonaccetti, comunque finisca il processo, anchecon una condanna degli imputati, quelloche ti è stato offerto non ti verrà riproposto equindi attento, considera bene quello chefai: ti conviene in ogni caso accettare e usci-re dal processo. Naturalmente non ce laprendiamo con le vittime che potrebberorischiare a fine processo, se rifiutassero latransazione, di non ottenere alcun risarci-mento, ma gli enti collettivi, soprattutto sepubblici, dovrebbero rifiutare questa formadi ricatto neanche tanto coperta e riconosce-re che il diritto alla giustizia non può esserepagato da nessun prezzo, è qualcosa che isoldi non devono poter comperare.Abbiamo infatti già detto che l’ampiezzadella platea delle parti civili può esercitarela pressione necessaria ad avere giustizia intempi utili mentre la fuoriuscita delle particivili induce facilmente allo slittamento deitempi e apre le porte alla prescrizione.

ALTRI PROCESSI: TEKSID TORINO –MONTEDISON DI MANTOVA: LASCIENZA FAI DA TE Il 21 ottobre è iniziato a Torino il processod’Appello contro gli imputati della Teksid(ex Ferriere Fiat). Un altro dei tanti processinel quale MD è stata ammessa come partecivile e che riguarda malati e morti peramianto. Il giudice ha rinviato ad una suc-cessiva udienza per ascoltare i consulentidelle parti, per un “aggiornamento scientifi-co”. In altri termini il giudice si è informatoe ritiene che vi siano nuovi studi e nuoveteorie in tema di esposizione ad amianto e

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di relazione causa-effetto. In recenti proces-si, sempre dove MD è parte civile, questenuove teorie sono state già presentate. Cosìalla Corte d’Appello del Tribunale diBrescia nel processo contro gli imputatidella Montedison di Mantova, dove è statasostanzialmente mantenuta la condanna diprimo grado. Così nei processi celebrati aMilano (Pirelli, Alfa Romeo, Breda) e anco-ra in quello celebrato a Pisa, di cui all’ultimaudienza di giugno (contro Enel diLarderello, rinviato ad una successiva nelmese di febbraio 2017 sempre per essereceleri..). Dunque in tema di amianto abbia-mo ascoltato dagli avvocati e/o dai consu-lenti delle difese come fosse una teoriascientifica confermata ovvero, la “teoria”della “trigger dose” o dose grilletto. Si trattainvece di una congettura formulata nel 2005che ha trovato subito l’obiezione di scien-ziati che ne hanno fatto rilevare l’inconsi-stenza, facendo altresì notare come chi laproponeva selezionasse, dell’ampia docu-mentazione disponibile sul tema, solo ilavori che potevano sembrare favorevoli,escludendo di considerare quelli invece,numerosi, del tutto contrari. Una procedurache in ambito scientifico è considerata ailimiti della frode e comunque indegna diessere presa in seria considerazione.Secondo essa lavoratori esposti all’amiantocolpiti da mesotelioma devono aver contrat-to la malattia subito all’inizio della esposi-zione. Una volta innescato il processo (scat-tato il grilletto) l’evoluzione successiva èinarrestabile e quindi le successive e piùrecenti esposizioni risultano del tutto inin-fluenti. Da qui la ricerca della responsabilitàpenale fra i dirigenti del periodo remoto(prima esposizione) che, purtroppo, nellagran parte dei casi, e non per caso dati i lun-ghi tempi di latenza del tumore, sono giàtutti deceduti. La Cassazione, in una sentenza definitivacontro Fincantieri di Palermo, ha taciutoquesta teoria di essere “frutto di artificio” (ilsospetto di frode scientifica viene conside-rato piuttosto consistente) in altri terminiinventata (Cassazione n. 2215/2014).Congetture, manipolazioni pseudoscientifi-che, fiumi di parole, argomenti retorici piùche argomentazioni razionali, tutto questo èquello che consulenti profumatamente

pagati sono chiamati a produrre in tribuna-le per ottenere il risultato voluto: il proscio-glimento degli imputati e la negazione dellagiustizia alle vittime, con magari un piccoloobolo.Tutto questo considerato per ritornare allaTeksid viene da chiedersi: che significachiedere tempo per un aggiornamentoscientifico? Si tratta di escludere ogni ragio-nevole dubbio o di dare modo al concretiz-zarsi (la fantasia di consulenti ben pagati efamosi è molto fervida, soprattutto quandosi tratta di produrre semplici congetturesenza preoccuparsi di validarne la consi-

stenza sulla base di evidenze ma solo di unarevisione di letteratura abbondantementemanipolata) di una nuova “teoria” elabora-ta ad hoc? Lo sapremo presto.

CLINICA SANTA RITA E STAMINAMedicina Democratica infine non è presen-te solo in processi penali, che riguardano lasalute nei luoghi di lavoro e l’inquinamentoambientale, ma si è pure costituita partecivile in procedimenti giudiziari che riguar-dano la sanità nel suo complesso. Si è costi-tuita infatti nei processi agli imputati deifatti verificatisi nella Clinica Santa Rita diMilano (che ora si chiama Istituto clinicoCittà Studi). Il primo processo si è chiusodefinitivamente in Cassazione con la con-danna dei principali imputati (il primo deiquali ha avuto 15 anni e sei mesi di reclu-sione per lesioni gravi) e il secondo, cuimanca il giudizio della Cassazione, si è con-cluso in Appello con la condanna all’erga-stolo del medesimo imputato. La pena peromicidio doloso ha riguardato il decesso di4 pazienti operati indebitamente dal chirur-

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go in questione. Ci siamo già pronunciatisulla correttezza e precisione del Tribunalee della Corte d’Appello: in questo caso piacesottolineare che è stato applicato il codicecome si doveva. Siamo però contrari allapena dell’ergastolo che toglie, in linea diprincipio, ogni speranza al riconosciuto col-pevole.Ma per ritornare all’origine, la nostra costi-tuzione era dovuta più al fattore che avevaindotto il comportamento criminoso con ireati contestati di lesioni gravissime, omici-di dolosi, truffa, e tale fattore, quello che noiconsideriamo il “primum movens”, è lamodalità stessa di finanziamento della strut-tura sanitaria tramite il pagamento per DRG(Diagnosis Related Group) che notoriamen-te induce comportamenti opportunisticiovvero indurre a documentare proceduremai effettuate, per gonfiare i rimborsi, o peg-gio, come in questo caso, procedure inap-propriate e addirittura dannose per ottenerelo stesso risultato (un rimborso gonfiato daparte della regione). Di fatto tutte le struttu-re sanitarie che erogano assistenza vengonofinanziate in base a questo meccanismo, unmeccanismo che coloro che lo hanno inven-tato hanno sempre escluso che dovesseessere applicato a questo scopo, un mecca-nismo che, come nella fattispecie, sui puòrivelare criminogeno, un meccanismo quin-di che non noi riteniamo debba esseremesso in discussione e cambiato.I gravissimi fatti avvenuti alla Santa Ritasono la punta di un iceberg, a nostro avviso,di ciò che realmente avviene. Il finanzia-mento a prestazione – quello dei DRG – èinfatti criticabile perché mette l’accentosulla quantità prima che sulla qualità, poisulla prestazione invece che sull’esito ovve-ro sul “prodotto”. Il cambiamento dovrebbeinvece avvenire nella direzione, che moltioggi cominciano ad auspicare, dell’allinea-mento, attraverso il finanziamento e il mec-canismo di finanziamento, della sanità conla salute, arrivando a premiare le struttureper la salute che promuovono e non per leprestazioni che erogano. Questo porta aselezionare casi più remunerativi e sacrifi-care casi meno remunerativi, ad esempiocon la conseguenza di dimettere precoce-mente anziani cronici non autosufficienti edisabili gravi, allo scopo di sostituirli nel

letto di degenza con casi a maggiore remu-nerazione, senza preoccuparsi dell’esito chesui primi un tale comportamento può avere(non ci si preoccupa della funzione chedovrebbe privilegiare il prodotto salute, ci sipreoccupa del funzionamento che privile-gia la quantità delle prestazioni ben remu-nerate erogate).Nel convegno che per il 40esimo anniversa-rio della fondazione di Md e in ricordo diGiulio Maccacaro deceduto proprio nel gen-naio 1977 ci esprimeremo anche con unacritica documentata al sistema sopra indica-to e con una proposta articolata di rilanciodi una nuova riforma sanitaria, per unasanità centrata sulla salute per una medici-na centrata sul paziente in una società cen-trata sull’uomo. Una sanità che vorremmofosse ribadito, a partire dai principi conte-nuti nell’art 1 della 833, deve essere univer-sale, gratuita, equa, solidale, partecipata,fondata sulla prevenzione e sulla difesa del-l’ambiente di vita e di lavoro.Del secondo processo che riguarda la que-stione sanitaria, quello conosciuto sotto ilnome di “Stamina”, celebrato a Torino, lacui prima parte si è conclusa con il patteg-giamento dei principali imputati, ci limitia-mo a sottolineare la necessità di non caderenel tranello non solo dei guaritori-praticonima anche di chi millanta cure nuove, senzale dovute cautele scientifiche che impongo-no la raccolta accurata delle evidenze. Siamo in un periodo in cui la facilità dicomunicazione (Internet) rende particolar-mente influenzabile quella che una voltaveniva chiamata “credulità popolare”. Imalati cronici, di malattie che non guarisco-no e spesso sono causa di sofferenza, sonoparticolarmente vulnerabili e influenzabili,soprattutto se la rete della assistenza univer-sale, pubblica e gratuita risulta non più facil-mente accessibile. Quindi l’impegno ad unacostante informazione e formazione sanita-ria critica non può cessare e senz’altro nondevono verificarsi commistioni fra “ciarla-tani” e strutture sanitarie istituzionali qualiquelle che nel caso Stamina si sono realiz-zate e che saranno argomento della secondaparte del processo che continuerà a Torinoin primavera. Verranno chiamati in causaallora anche gli Ospedali Civili di Brescia edil Comitato Etico che improvvidamente

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diede l’approvazione alla terapia della sta-mina con l’avallo persino della RegioneLombardia.

PROCESSI AMMINISTRATIVIMD si è rivolta anche alla giustizia ammini-strativa, quando regolamenti o delibereordinamentali contraddicevano leggi dellaRepubblica su temi sanitari, ambientali edel lavoro. Anche questa modalità si è rile-vata importante e va certamente presa inconsiderazione. Ad esempio si è presentato ricorso al TARdella Lombardia, insieme ad altre associa-zioni, per contestare un accordo di pro-gramma promosso da tutte le istituzioniinteressate (Comune di Novate Mezzola,provincia di Sondrio, Comunità montana,Regione Lombardia) per insediare un’indu-stria di vaglio e triturazione del granito (aduso finale per le massicciate ferroviarie del-l’alta velocità) su una discarica ex Falckinquinata da cromo esavalente posta a latodi un meraviglioso lago (Novate Mezzola),sito di interesse comunitario (SIC) e zona diprotezione speciale (ZPS). L’importanzanon è solo per il fatto in sè, ma anche per ilproblema del rapporto lavoro e salute: nellafattispecie si creerebbero, secondo i propo-nenti, nuovi posti di lavoro (ad una valuta-zione critica, pochi) in compenso si avrebbeil coinvolgimento della popolazione circo-stante, non disposta a veder distrutto unaparte del suo splendido panorama. Anchein questo caso si può fare appello ad undiritto costituzionale: “La Repubblica pro-muove lo sviluppo della cultura e la ricercascientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e ilpatrimonio storico e artistico dellaNazione” (art. 9) che, combinato al princi-pio di partecipazione democratica, si puòleggere come riconoscimento del dirittodelle comunità locali (leggi anche Valsusa)ad esprimere in parere vincolante per ladifesa della propria cultura, paesaggio, tra-dizioni senza dover subire le conseguenzedi decisioni prese in altre sedi spessoinfluenzate da interessi occulti (e taloraneanche troppo).In conclusione, a conferma di quanto LuigiMara sostenne nel suo ultimo discorso in

Assemblea, si può affermare che i processiai quali MD ha voluto e potuto partecipare,anche con la presentazione di memorie erelazioni tecniche elaborate con il contribu-to di propri esperti e tecnici, sono serviti.Anzitutto a dare maggiore visibilità al pro-blema della nocività del lavoro il che servesoprattutto ad aumentare il livello di consa-pevolezza generale e così a dare maggiorforza alle vittime, incluse le richieste dirisarcimento di cui MD in prima personanon si occupa (non siamo un patronato).Oggi, in Italia, dopo il processo ETERNITsono pochi ormai a ritenere che l’amianto

sia innocuo. La partecipazione nelle Aulegiudiziarie per un processo in cui ci si costi-tuisce parte civile, fa anche meglio conosce-re persone e situazioni importanti così darendere possibile quella tessitura di relazio-ni che sola può portare alla costruzionedella rete di coordinamento di quanti inItalia, singoli, associazioni, politici, sindaca-listi, avvocati, ricercatori, studenti, intellet-tuali, lavoratori, amministratori, singoli cit-tadini intendono perseguire come obiettivocomunque e condiviso la difesa e la promo-zione della salute e della sanità, attraverso lapartecipazione e la lotta. Infine, non trascu-rabile, è il fatto che l’impegno profuso talo-ra, purtroppo non sempre, ha pagato anchein termini di giustizia riconosciuta, e questofatto di per sé non è trascurabile, considera-to che il sistema giudiziario non è al di fuoridi quello sociale e politico generale e vaanch’esso coinvolto nel processo più ampiodi promozione di una democrazia semprepiù estesamente affermata e realizzata.

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NOTE1. TRIBUNALE DI MILANO V SEZIONE:ASSOLUZIONI E PRESCRIZIONI

PER GLI OPERAI E I CITTADINI CONTAMI-NATI DA AMIANTO A BRONI – LA GRANPARTE DECEDUTI - NESSUNA GIUSTIZIA: ASSOLTI I MANAGER FIBRONIT NEL PRO-CESSO D’APPELLO. ANNULLATA LA CON-DANNA A 4 ANNI INFLITTA IN PRIMOGRADO.

Questa mattina subito dopo mezzogiorno i giu-dici della Corte d’Appello della V sezione delTribunale di Milano hanno assolto per non avercommesso il fatto i due manager della Fibronitdi Broni (PV) imputati della morte di decine dioperai. Contestualmente hanno applicato peralcuni reati la prescrizione.Gli stessi imputati Claudio Dal Pozzo e GiovanniBoccini, erano stati condannati a 4 anni per omi-cidio colposo e disastro ambientale colposonella sentenza emessa nel luglio 2013, con giu-dizio abbreviato.La sentenza della Corte d’Appello che capovol-ge quella di primo grado è un pugno nello sto-maco ai famigliari dei lavoratori deceduti, agliammalati e quanti si ammaleranno in futuro eun pugno in faccia alle associazioni e comitatidelle vittime che da anni si battono per otteneregiustizia.Per il Tribunale nessuno è responsabile di que-ste morti.Ricordiamo che nel 1990 i cittadini di Broni si

sono trovati una “nevicata bianca”. Era l’amian-to fuoriuscito dalla FibronitAncora una volta la V Sezione del TribunalePenale di Milano ha preso in considerazione leargomentazioni dei padroni e manager trascu-rando quelle delle vittime e pure le molte con-danne su simili situazioni sancite da altriTribunali e dalla Corte di Cassazione.Certamente anche in questo caso, lette le moti-vazioni e verificate le decisioni della Procura,ricorreremo per Cassazione, attendendoci final-mente giustizia. Ed infatti il diritto non può esse-re astratto dalla giustiziaAnche se la Costituzione afferma che l’operaio eil padrone sono uguali e hanno gli stessi diritti,la condizione di completa subordinazione eco-nomica sancita dalla pratica quotidiana e nonmeno condizione sociale di classe fa sì che la“libertà” e la “uguaglianza” dei cittadini sia soloformale. Sembrerebbe infatti che in realtà “lalegge è uguale solo per i ricchi”. Tuttavia non ci arrendiamo. La nostra lotta nonsi arresta. Ci impegniamo fino in fondo per otte-nere giustizia per i cittadini e i lavoratori checontinuano a morire in silenzio dentro e fuori iluoghi di lavoro. Ed ancora ci battiamo contro laprescrizione dei reati, specialmente quelli dellavoro e dell’ambiente che lascia impuniti i col-pevoli.

Medicina Democratica, Associazione EspostiAmianto.Milano, 20/10/2016

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*SNOP, SocietàNazionaleOperatori della pre-venzione. http://www.snop.it

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Partecipazione oggi: unachimera?

di Laura BODINI* Alla base dell’avanzamento delle condizio-ni di salute, sicurezza e longevità tra le clas-si lavoratrici dei paesi capitalisti deve esi-stere l’intreccio di almeno quattro fattori:

• il progresso delle scienze mediche• lo sviluppo della produzione industriale eagricola • l’azione dello stato • le lotte sociali e le organizzazioni dei lavo-ratori”(Giovanni Berlinguer)

PREMESSAL’Italia ha sempre avuto una forte connota-zione di tutela delle condizioni di lavorodalla storia di Bernardino Ramazzini nelXVII secolo alla prima Clinica del Lavoronel mondo ( Milano 1906) e una serie digrandi esperienze e lotte, ma anche di nor-mative dedicate a questo tema. Questo breve capitolo di esperienza sullastoria dei servizi territoriali e sulla parteci-pazione per Medicina Democratica ( ricor-darsi che sono tra i vecchi soci fondatori !)prende origine dall’omologo che avevoscritto nel 2006 per i 100 anni della CGIL surichiesta di Antonio Pizzinato, al quale milega una conoscenza di almeno 45 anniQuindi cito da quel capitolo:“ Gli SMAL: i Servizi Medicina Ambienti diLavoro, ovvero i Servizi territoriali di pre-venzione nei luoghi di lavoro nascono inItalia con varie denominazioni, duranteanni di forte contestazione in tutti i campi. Si tratta della fine degli anni sessanta eprimi anni settanta e chi vi parla ne è statauna protagonista.Parliamo ad esempio della contestazionestudentesca nei licei e nelle università. Nella facoltà di Medicina, ad esempio,

divenne punto fermo lo studio delle causedelle malattie, dell’epidemiologia dellemalattie degenerative (i tumori, ad esem-pio), delle patologie da lavoro, degli infortu-ni, argomenti e temi scientifici allora quasiinesistenti nei testi ufficiali e nelle lezioni .Nel 1968 Medicina del Lavoro era una disci-plina facoltativa e tale rimase per ancoramolti anni.La parola “prevenzione“ entrò a pieno tito-lo nelle aule accademiche scuotendo animie camici.Nelle fabbriche gli “autunni caldi” ( periodidi grandi lotte operaie per migliori condi-zioni di lavoro, per leggi di tutela) ribaltaro-no tutti i punti di vista sulla materia. Milanoe Torino fecero scuola. Ma anche il grandelavoro di alcuni Consigli di Fabbrica: quellodi Castellanza per capirci.A Torino intorno a figure storiche, che pur-troppo ci hanno lasciato, come GastoneMarri e Ivar Oddone, la Quinta Lega dellaCGIL torinese “inventò” non solo le paroled’ordine ma nuovi approcci e metodi politi-co – tecnici di studio della patologia deilavoratori, o meglio degli operai. La salutenon si vende, la nocività si elimina.La lotta per la salute non è monetizzabile,contrariamente a quanto era accadutoanche sul versante dei contratti, fino a pochianni prima. E come la salute non è mone-tizzabile, l’analisi e gestione delle condizio-ni lavorative non sono delegabili. Comedimenticare le lezioni di Luigi Mara.Tecnici e operai (o, in senso lato, i lavorato-ri) possono lavorare insieme, ma senzadeleghe in bianco ai primi.Nella realtà milanese, Antonio Pizzinato etanti delegati di Consigli di Fabbrica venne-ro più volte nella Facoltà di Medicina occu-pata per spiegare i problemi del lavoro e

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delle condizioni di lavoro.L’esperienza e le lotte dei lavoratori, delgruppo operaio omogeneo di linea, diven-nero un punto nodale del lavoro sindacale,ma anche base di un paradigma scientifico,laboratorio vivente per uno studio parteci-pato delle condizioni di lavoro e di riflessio-ne sullo stato di salute .

Le parole “forno” e “treno” a noi ignari stu-denti ricordavano, al massimo, pane caldoe viaggi, non certamente l’inferno dantescodelle industrie siderurgiche (forni, treni dilaminazione) , così come la catena di mon-taggio da Tempi Moderni di Chaplin diven-ne reale, raccontata dai protagonistidell’Alfa Romeo di Milano. Nascevano i col-lettivi studenteschi. Nasceva il Movimentostudentesco di Medicina, le lezioni alterna-tive, la rivista “Medicina al servizio dellemasse popolari” che ospitò tante firme pre-stigiose e che affrontò tanti temi: dall’epide-mia di colera, agli aborti bianchi….dagliinfortuni ai tumori da lavoro.Alle Commissioni Interne erano subentratida tempo i Consigli di Fabbrica, e non erauna questione di lana caprina. Ci si parla-va dalla scuola ai luoghi di lavoro.Molti di quelli che avevano scelto di diven-tare medici si specializzarono in Medicinadel Lavoro e cercarono di potere lavorare“dalla parte” dei lavoratori o meglio, stu-diando le condizioni di lavoro e confron-tandosi soprattutto con i protagonisti dellavoro.Ci sono alcuni eventi sociali che rimarrannonella storia: 1. il Convegno del Patronato sindacaleINCA del 1964; 2. l’affermazione nei Contratti collettivi deiComitati sulla sicurezza (contratto chimicinel 1964, metalmeccanici nel 1966...); 3. l’introduzione dei limiti ( MAC TLV) nelcontratto dei lavoratori chimici (1969); 4. lo Statuto dei lavoratori ( 1970); 5. il Congresso Unitario Sindacale di Riminidel 1972;6. il Primo Congresso dei Servizi di preven-zione nel 1978. Sono di quegli anni scioperi e manifestazio-ni per la salute nei luoghi di lavoro.L’interesse scientifico e politico nei confron-ti delle condizioni di lavoro investì non sola-

mente le Facoltà di Medicina ed in partico-lare le Cliniche del Lavoro ad iniziare daquella di Milano (la prima Clinica del lavo-ro del mondo, fondata come la CGIL aiprimi del novecento) ma anche, seppur inun secondo tempo, altre facoltà scientifiche:il Politecnico di Milano, le facoltà di chimi-ca o facoltà umanistiche (lettere, sociologia,ecc.) sino a Giurisprudenza. Anche la magi-stratura fu scossa da questa ventata di rin-novamento: nascono organizzazioni diMagistrati (ad esempio MagistraturaDemocratica).Alcune Procure si occuperanno con grandeefficacia e determinazione dei processipenali e civili nelle cause di lavoro, sia perinfortuni, che per le malattie da lavoro. Fuun periodo importante, perché furono isti-tuite, seppur in pochissimi MandamentiGiudiziari, delle Sezioni Specializzate inmateria, quelle che, più avanti, in altricampi penali, si sarebbero chiamati pool. Sono anni di scioperi per avere condizionidi lavoro migliori in fabbrica ma anche ser-vizi pubblici per lo studio delle condizionidi lavoro.Agli inizi degli anni settanta alcuni Comunie Regioni governati da giunte di sinistra pro-muovono i servizi territoriali di prevenzionenei luoghi di lavoro con medici del lavoro etecnici. Gli SMAL (Servizi di Medicina per gliAmbienti di Lavoro) nascono prima dellabella Legge Regionale Lombardia, ( presi-dente Carlo Smuraglia) la n. 37 del 1972,che anticipò (promuovendo i servizi territo-riali in tutti i campi), anche nei contenuti, laLegge di Riforma Sanitaria (833/78).I primi SMAL in Italia nacquero nel 1972 –1973 in sequenza a Corsico, CiniselloBalsamo, Cormano, Sesto San Giovanni,Cologno Monzese, Paderno Dugnano, dopocentinaia di ore di sciopero (vedi slide/tabel-le allegate).I Servizi territoriali di Medicina del lavoronascono quindi come risposta istituzionalefortemente innovativa alle esigenze di salu-te in fabbrica, di lotta alle condizioni dilavoro, ma anche di interdisciplinarietà, diattenzione al territorio, di partecipazionedei lavoratori.Sono gli anni del boom economico e dellaintensificazione della produzione, della

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meccanizzazione in tutti i campi, segnatianche da un accrescersi di infortuni emalattie professionali.”(dal capitolo del libro del centenario dellaCGIL )

LA NASCITA DEI SERVIZI E L’INIZIODELLA PARTECIPAZIONE Lo Statuto dei Lavoratori ( 1970) definiva idiritti fondamentali dei lavoratori. Da unlato fu storico il famoso art. 9 che iniziavacosì: “I lavoratori, mediante loro rappresen-tanze….” Ciò significa che le lotte dei lavo-ratori, per ottenere strumenti istituzional-mente competenti a livello decentrato,aveva avuto una risonanza a livello delLegislatore nazionale del 1970. Appare doveroso ricordare però che, salvo iprimi anni di intensa attività di lotta per lasalute del movimento sindacale, questostrumento non fu valorizzato negli anni cheseguirono come ci si sarebbe aspettato. La Legge di Riforma Sanitaria del 1978sancì l’esistenza istituzionale dei Serviziterritoriali di prevenzione nei luoghi dilavoro, inseriti nella sanità pubblica, affi-dando loro sia compiti preventivi che divigilanza sul rispetto delle leggi , compiti inprecedenza svolti da istituzioni vecchie,burocratiche, fortemente contestate, slegatedal contesto territoriale e sostanzialmenteinefficaci quali l’allora Ispettorato delLavoro e ENPI.

LE CARATTERISTICHE DEGLI INTER-VENTI DEI PRIMI SERVIZI SMAL- Su richiesta dai lavoratori (art. 9 delloStatuto dei lavoratori );- grande partecipazione, aspettative sociali esindacali;- interdisciplinarietà dove possibile- metodo nuovo:• ricostruzione del ciclo produttivo, criteriodi globalità; • indagini di igiene industriale (i servizinascono con una strumentazione di igieneindustriale che spesso perderanno nel tempo) ma anche attenzione ai temi dellaergonomia;- raccolta della soggettività dei lavoratori(assemblee, questionari, registri )- visite mediche ed esami di base ( nei ser-vizi almeno spirometro e audiometro)

- sguardo non solo sull’analisi ma sulle solu-zioni ( che in quegli anni diventeranno partedelle piattaforme sindacali…. ) mancandole funzioni impositive di polizia giudiziariaIn questa fase di transizione – compresa tral’istituzione dei Servizi Territoriali di pre-venzione nei luoghi di lavoro (comunquesiano stati denominati) a livello delle singo-le regioni, o comunque tra l’entrata in vigo-re della Legge 833/78 di Riforma Sanitaria,ed il trasferimento ad essi dei compiti divigilanza – gli SMAL (per usare un terminelombardo) si trasformarono comunque daservizi quasi “volontari” e un po’ allo sbara-

glio in un campo operativo assai delicato, aservizi “istituzionali”, anche se in essi ope-ravano ancora dipendenti definibili funzio-nari di pubblico servizio, ancorché con fortespinta motivazionale.

LE FUNZIONI DI POLIZIA GIUDIZIARIAQuando, furono attribuite funzioni di vigi-lanza a noi degli SMAL !, ( preferendo i gio-vani ex- studenti contestatori ad ENPI eIspettorato del Lavoro) constatammo che ilLegislatore degli anni ’50 aveva fatto entrarein vigore leggi generali di qualità sostanzial-mente apprezzabile su igiene del lavoro,sicurezza, cantieri..., ben utilizzate nellanostra attività sanzionatoria fino all’avventodella normativa italiana di derivazionecomunitaria degli anni ’90 e per molti aspet-ti ancora oggi. In realtà sembra doveroso precisare che iltrasferimento effettivo delle funzioni di vigi-lanza dall’allora Ispettorato Provinciale delLavoro subì non pochi ritardi per resistenzedel Ministero del Lavoro e della PrevidenzaSociale (e non solo), cui faceva capo il

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medesimo Ispettorato. Ma i limiti di quell’epoca non erano legatialla qualità della normativa, ma alla asim-metria della sua applicazione. Nord/Sud,grandi fabbriche e piccole…presenzaSindacale SI/NO .Insomma dopo Riforma Sanitaria possiamosicuramente dire che c’era:• una maggiore presenza nel territorionazionale ma con grandi differenze di risor-se umane che persiste anche oggi creandouna diseguaglianza grave; • un peso importante delle funzioni di poli-zia giudiziaria con i poteri e doveri connes-si (potere di “entrare” in tutti luoghi di lavo-ro, acquisire documentazione tecnica esanitaria, potere prescrittivo , rapporto conmagistratura, …) Con le funzioni di poliziagiudiziaria si aggiungono inoltre importanticampi di intervento quali, ad esempio leinchieste sulle malattie professionali e sugliinfortuni significativi.Sino alla attribuzione dei compiti di vigi-lanza gli operatori SMAL (medici e tecnici)entravano solo nelle fabbriche fortementesindacalizzate, dove il Consiglio di Fabbricane richiedeva l’intervento, così come lebonifiche proposte dallo SMAL potevanoattuarsi solo se diventavano parte integrantedelle piattaforme aziendali .Questo però, pur non frenando gli entusia-smi di lavoratori e di noi primi operatori,costituiva un limite non trascurabile. Se l’in-tervento si limitava alle grandi aziende, l’as-setto del sistema produttivo italiano dell’e-poca (ma anche oggi !), caratterizzato da unastragrande maggioranza di aziende piccole,artigiane, cantieri, agricoltura, commercio,artigianato, pubblica amministrazione,poneva un quesito serio all’approccio ed almetodo allora seguito con entusiasmo. Ma allora a questo non si pensava e l’attivitàera molto intensa anche se forse asimmetri-ca. Sicuramente un metodo di lavoro percomparti produttivi, promosso da SNOPvedi sito www.snop.it (che nasce comecoordinamento spontaneo degli operatori aMilano ad un Convegno sulla siderurgia nel1977 e diventa società nel 1985) , un meto-do di lavoro che partiva dalla ricostruzionedel ciclo produttivo, proponendo soluzionipraticabili, sostenne servizi piuttosto“magri” tolto qualche eccezione, cercando

di attenuare le invitabili diseguaglianze ...generalizzando appunto analisi dei princi-pali rischi e relative soluzioni.

IERI E OGGINelle prime indagini condotte infatti si par-tiva giustamente dalle varie fasi del cicloproduttivo, dalle materie prime, da impian-ti e macchine, dalle mansioni. Si cercava didare una interpretazione alle cause dei varirischi (rumore, infortuni, ritmi, esposizionea sostanze, etc). Elementi appannatissimi nelle attualiValutazioni dei rischi dove la ricostruzionedel ciclo produttivo e/o organizzativo èmerce rara e ancora di più un programma disoluzioni con tempi definiti.Ai tempi degliSMAL I disturbi, le malattie dei lavoratorierano indagate direttamente per gruppoomogeneo di mansione. Oggi difficilmentevediamo relazioni sanitarie dei MediciCompetenti con un dettaglio per mansione,reparti e ragionamenti anche su disturbi,consumo di farmaci... I problemi non veni-vano semplicemente annotati vi era unosforzo per dare delle soluzioni e fare delleproposte sia di tipo organizzativo che ditipo tecnologico. Venivano studiate soluzio-ni soprattutto tecnologiche, imponendoaspirazioni, ausili di movimentazione, inso-norizzazioni, modifiche anche di sostanze(un esempio per tutti i coloranti canceroge-ni nell’industria tessile!).

OGGI BEN POCHE VALUTAZIONI DEIRISCHI O RIUNIONI IN AZIENDARAGIONANO E AGGIORNANO UNPLANNING DI SOLUZIONI TECNICHE,ORGANIZZATIVE.La nostra attività di indagine era moltointensa anche sul versante dell’igiene dellavoro: fare misurazioni di rumore, campio-namenti ambientali e personali, indaginimicroclimatiche erano allora frequentissi-me e spesso importanti per “ dimostrare”anche “ numeri alla mano” le condizioni dilavoro.

MA OGGI QUANTE INDAGINI DI IGIE-NE INDUSTRIALE SI VEDONO E SIFANNO ?In questi anni i Servizi si diffondono in varieRegioni, ed acquisiscono maggiori compe-

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tenze tecniche con l’arrivo su una base dimedici del lavoro motivatissimi , di opera-tori di formazione tecnica (periti, oggi tec-nici della prevenzione con formazione dilaurea ) ma purtroppo pochissime altre figu-re : ingegneri, chimici, psicologi…etc .) conenormi differenze regionali che verifichia-mo ancora oggi . Ma possiamo affermare che per almeno 15anni il lavoro dei servizi territoriali si èincentrato sulla metodologia della inchiestapartecipata.Con la acquisizione delle funzioni di poliziagiudiziaria, la libertà di entrare in tutti i luo-ghi di lavoro, di potere acquisire tutta ladocumentazione necessaria, di dare delleprescrizioni, il potere di intervento dei ser-vizi si accresce notevolmente. Siamo alla fine degli anni ottanta quandoperò la spinta sindacale si affievolisce note-volmente.Sono gli anni delle indagini per compartoproduttivo (legno, tessile, meccanico, galva-nico, gomma – plastica, calzaturiero, concia,agricoltura, siderurgia, fonderie, ceramicheetc) e viene prodotto molto materiale diricerca operativa.Sono gli anni delle decine di Seminari diLavoro sui rischi per comparti produttivi:vere miniere di elementi conoscitivi dellarealtà, sintesi di indagini e soluzioni.Sono gli anni d’oro della associazione deglioperatori della prevenzione SNOP, chenasce come coordinamento degli operatorinel 1977 a Milano e poi si consolida comeassociazione nel 1985, fondando nello stes-so la rivista e poi il sito www.snop.itQuesto “potere” (le funzioni di polizia giu-diziaria) serve per entrare in migliaia di“altri” luoghi di lavoro, oltre alle tradiziona-li grandi fabbriche: cantieri, piccole impre-se, agricoltura, servizi (ospedali, uffici, scuo-la, grande distribuzione) in precedenzamolto meno indagati. Nascono i PianiEdilizia e Agricoltura.Si parla di Terziario Arretrato con una feliceintuizioni che mise l’attenzione su lavori...quali la grande distribuzione, le imprese dipulizia, il lavoro nella raccolta dei rifiuti, illavoro dei cimiteriali….

IL RAPPORTO CON LA MAGISTRATURARitornando al discorso inerente il contesto

normativo, va rammentato che la revisione,delle norme penali - sanzionatorie con ilDecreto 758/94 ha alleggerito, razionalizza-to e snellito il lavoro della Magistraturapenale, dando una maggiore responsabilitàagli operatori pubblici del servizi di preven-zione , che ormai da anni avevano acquisitola qualifica di polizia giudiziaria e i servizile funzioni di vigilanza e controllo conampi poteri di condurre indagini, effettuaresopralluoghi, acquisire documentazioni tec-niche e sanitarie, dare prescrizioni per lamessa in sicurezza ed il miglioramentodelle condizioni di lavoro.

Questa normativa ha comportato anche unamaggiore efficacia dell’azione penale inquanto i datori di lavoro possono pagareuna multa, ma solamente dopo avere messoin sicurezza e risolto i problemi ed i rischievidenziati. In caso di mancata adempienzala Magistratura può procedere penalmente.Negli anni ‘90 ci sono state innumerevoliiniziative di confronto operativo tra opera-tori della prevenzione e operatori della giu-stizia. Ricordo le 3 grandi iniziative di Torino orga-nizzate da SNOP ( Società nazionale deglioperatori della prevenzione ) e MagistraturaDemocratica a cui parteciparono quelli chediventeranno i magistrati di riferimento:Claudio Castelli, Michele Di Lecce,Beniamino Deidda, Raffaele Guariniello;Walter Saresella…. ..Un bilancio positivo di 20 anni del DLgs758/94 è stato fatto in un partecipatissimoSeminario Ambiente & Lavoro /SNOP aBologna nell’ottobre del 2014 che ha visto eripreso in un ampio confronto tra operatoridella prevenzione e operatori della giustizia.

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LE NOVITÀ DELLE DIRETTIVE EURO-PEEDal 1989 ( o meglio dal 1991 con la 277 supiombo, amianto e rumore e poi con il 626del 1994) il contesto normativo anche inItalia deriva esclusivamente dal recepimen-to delle principali direttive europee).Si tratta di direttive che, pur concernendo le“prescrizioni minime“, rimangono impor-tantissime anche perché ampliano nelletematiche affrontate il campo legislativo,unificandolo in tutti i paesi UE.Gli elementi fondamentali delle direttiveeuropee sono stati :- l’allargamento dei campi di intervento tra-dizionale delle politiche di prevenzioneall’insieme dei fattori che hanno una inci-denza sulla salute dei lavoratori, compresiquelli ergonomici e organizzativi;- la formulazione dell’obbligo di sicurezza acarico degli imprenditori in termini incon-dizionati, ovvero l’obbligo di garantire lasicurezza tecnicamente fattibile;- la volontà di stimolare la partecipazionedei lavoratori;( che in Italia si è tradottanella nascita della figura dell’ RLS ( figurache non c’è in Europa);- la definizione dell’obiettivo della creazionedi servizi multidisciplinari o almeno di farepartecipare ai processi di salute e sicurezzamedici, tecnici, ricercatori, lavoratori;- l’allargamento della applicazione dellenormative a “ tutti” i luoghi di lavoro.Come noto ai lettori a livello europeo dopola riunione di Maastricht (1992) la produ-zione normativa è diminuita e la stessa orga-nizzazione della Divisione Generale V (affa-ri sociali) si è indebolita. Il programma SAFE presentato come ini-ziativa comunitaria centrale del periodo1996-2000 è stato respinto dal ConsiglioEuropeo. Oggi appare carente una legisla-zione europea e più in generale internazio-nale incisiva che affronti il legame che esistetra salute nel lavoro e rapporti sociali, ad ini-ziare dalla precarizzazione, dalla estremaflessibilità dei rapporti di lavoro, dal feno-meno degli appalti a cascata, alla presenzadi lavoratori extra-comunitari nelle fasi dilavoro più rischiose, dalla esportazionedelle lavorazioni più pericolose in paesi aminore tutela, etc Così come manca unaattenzione reale del legislatore verso quelle

forme di paura psicologica nei luoghi dilavoro, di discriminazione, di stress, diemarginazione

OGGI E SPERIAMO DOMANIParlare dell’oggi dei servizi senza una rico-gnizione puntuale sullo stato delle risorsededicate : umane, tecnologiche e formativenelle varie regioni e nelle varie sedi non èagevole. In un recente documento delCoordinamento Tecnico delle Regioni edelle Province Autonome è stato ribadita lanecessità di “fare il punto” su chi siamo. In vari anni SNOP avviò varie “OperazioniPrevenzione” nelle varie regioni appuntoper definire le forze in campo.Vi sono ancora enormi diseguaglianze terri-toriali tra Nord e Sud in Italia a tale propo-sito un documento utile è sempre quellodella Commissione Smuraglia del 1998 (Senato) e la recente aggiornamento unani-me sempre del Senato ( 2006),poi Tofani (2008) .

Ma oggi le attività portanti di un serviziosono o meglio dovrebbero essere:

conoscere per prevenire1) un sistema informativo solido, aggiorna-to ed informatizzato che permette unarazionale programmazione degli interventiin uin mondo così mutevole• le notifiche ( informatizzate !) dell’apertu-ra dei cantieri edili del territorio, l’aperturadi nuove aziende o dei piani amianto sia ain matrice compatta che friabile, proble-matica ancora molto presente in Italia dovel’amianto è stato largamente usato sia comemateria prima in molti settori che comecostituente di manufatti edili ( tetti , mura-ture) e industriali ( es. forni, impianti, serba-toi).Ma sull’Amianto i compiti e le attivitàdei servizi sono solide.- mappatura dell’amianto ancora presente(in collaborazione con Comuni, ammini-stratori, aziende)- ricerca attiva delle patologie amianto – cor-relate (in collaborazione con il RegistroMesoteliomi)- sorveglianza sanitaria ex-esposti (conServizi di Medicina del lavoro ospedalieri eCliniche del Lavoro)• oggi il sistema informativo flussi tra

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Regioni -INAIL-ASL permette in chiaro divedere infortuni, malattie professionali, lerelazioni sanitarie dei medici competenti,.Permette di sapere quali aziende di un set-tore hanno più infortuni da caduta, da inci-dente stradale, da macchinari o da altracausa…

Questo migliora e razionalizza le attivitàdi controllo e vigilanza : sopralluoghi, audit…in modo mirato e programmato.

E’ sicuramente importante per i servizi veri-ficare impianti, macchine, aspirazioni,mezzi di protezione personale, sorveglian-za sanitaria, soluzioni, ma è ( forse ancora )più importante che si sedimenti una menta-lità, una organizzazione , una partecipazio-ne, una consapevolezza della prevenzione,dello studio del ciclo produttivo, delle fasicritiche, delle soluzioni, dell’informazione,delle procedure sicure …..

Quindi l’audit aziendale con i protagonisti èdiventato parte integrante del nostro lavoro( e degli indicatori dei Piani Nazionali eRegionali di prevenzione ) sia la risposta adun esposto che una indagine superprogram-mata nei cantieri o nelle aziende.

LE ATTIVITÀ DI VIGILANZA E CON-TROLLO DEI SERVIZI SI SVOLGONOQUINDI SU 3 DIRETTRICI PRINCIPALI- le attività programmate proprio sulla basedella conoscenza del territorio:Cantieri edili, comparti produttivi tipici ,aziende a rischio per infortuni o patologieprofessionali, inchieste su infortuni gravi,inchieste su malattie professionali significa-tive, etc;- le attività su richiesta:Lavoratori, sindacato, cittadini, imprese,altri soggetti possono richiedere motivata-mente l’intervento dei servizi Queste attività sono oggi molto ridotte ediventate quasi marginali per un globaledisimpegno sindacale su questi temi, peruna precarizzazione del lavoro, etc., per unasostanziale mancata conoscenza dei dirittidei lavoratori , diritti che non sono pochi.- le attività di comunicazione, informazione,formazione e assistenza:Attività basilari ma poco formalizzate e defi-

nite che presuppongono tempi, risorse enuove capacità anche professionali (media-tori culturali, professionisti della comunica-zione, artisti dei siti-web etc) ma anche unerete esterna di organizzazioni di impresa esindacali, di RLS e professionisti interessatie coinvolti..Nel Servizio ideale e nella ASL ideale (equalcuna è realmente così in qualche regio-ne di Italia) vi sono:• un sito internet dove vi sono modulistica,sportello informativo (e-mail degli operatoriper temi, risposte a quesiti, etc ), schedeinformative, progetti e risultati delle attività; • calendario di incontri e corsi per operatori,per utenti, per RLS, per datori di lavoro, perle figure della prevenzione;•materiale informativo su tematiche impor-tanti generali (ad esempio diritti dei lavora-tori, rischio di caduta dall’alto in cantiere ) oterritoriali (comparto legno, tessile, agricolo,calzaturiero).• accesso a banche dati;• siti reti istituzionali.

LA PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORIIERI E OGGI. L’importanza della contrattazione deglianni ’70 e ’80 I problemi individuati dalla “mappa deirischi” (per reparto e gruppo omogeneo)diventavano in alcune aziende elementi dicontrattazione e si affermava che il rischionon andava monetizzato ma risolto e questierano i punti principali della contrattazione

• la sostituzione delle sostanze chimiche(ad esempio il benzene o l e amine aroma-tiche) da sostituire con altre meno nocive.Ricordiamo su questo tema le grandi lotte diLuigi Mara e di Medicina Democratica, maanche dei servizi delle zone tessili.• la sicurezza degli impianti, ai quali deveessere assicurata tutta la prevenzione possi-bile (aspirazioni, manutenzione) con la stes-sa larghezza di mezzi usata per gli interessidella produzione….anche se meno forti leanalisi sulle cause( e interventi ) sugli infor-tuni.• la prevenzione delle malattie professionaliprima che possano recare danni definitivi (con le conoscenze di allora).

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• La partecipazione e la conoscenza/condi-visione dei problemi diviene la base per ilcambiamentoQuanti fogli puntuali appesi a bacheche,nei reparti , distribuiti .. rispetto ai tomidegli ultimi 20 anni di valutazioni dei rischigeneriche, costose, asimmetriche.

MA OGGI LA PARTECIPAZIONE ÈSOLAMENTE IL RUOLO E LA DELEGA ARLS ?Recentemente nella mia ignoranza spazialeho capito che la figura del RLS non era pre-sente nel dettato delle direttive europee eche il peso che viene dato alla partecipazio-ne in Europa indica appunto lavoratori eloro rappresentanzeLa introduzione di questa figura nella legi-slazione italiana non sembra avere portato apiù di 20 anni dei cambiamenti epocalipossibili per molte ragioni:- la delega da parte delle forze sindacaliaziendali sino all’ abbandono chiamata oggi“la solitudine degli RLS “ che deve esserenon è un piccolo tecnico ma un grande col-lettore organizzato di idee, esigenze e pro-poste di soluzioni dal mondo e dal punto divista dei lavoratori, ma anche sostenutodalle rappresentanze dei lavoratori senzagelosie e particolarismi;- la mancanza di corsi specifici di compartoche diano una cassetta degli attrezzi specifi-ci nell’affrontare precise valutazioni deirischi, soluzioni e che sappiano contrastareburocratismi e genericità. A tale riguardorilanciamo il lavoro lombardo sulle schedestress che trovate sul sito della CIIPwww.ciip-consulta.it, la neonata iniziativaCasa degli RLS, all’interno del CentroCultura della Prevenzione a Milano;- il minore peso etico e specifico del temasalute e sicurezza nei contratti nazionali el’attenuazione della contrattazione articola-ta con punti specifici su salute, sicurezza,ambiente, organizzazione.

SICURAMENTE CI SONO DEGLI ASSISTPOSITIVI Nel Piano Nazionale Prevenzione 2015-2018 e nei Piani Regionali il rapporto traquesta figura ( RLS di impresa, sito, territo-riale…) è fortemente presente nelle attività enegli indicatori ( vedi figura 1 )

Quindi i servizi devono garantire una mag-giore partecipazione dei lavoratori, degliRLS cominciando finalmente ad utilizzaregli spazi che le normative europee garanti-sconoLa partecipazione attiva dei lavoratori seieri era affidata al Gruppo Omogeneo oggideve basarsi sulla rete degli RLS perché unacontinuità tra questi soggetti anche se asim-metrici , innanzitutto una continuità didiritti

indagine, raccolta di problemi ambientali,organizzativiproposte di soluzioniaccesso alle informazioniaccesso al sistema pubblico (ieri gli SMAL

oggi le ASL)

RLS : MA QUALI DOVERI ?Gli RLS rappresentano il pensiero collettivodei principali portatori di interessi (i lavora-tori rispetto la loro salute), sono consultati edevono esprimere le loro valutazioni e prio-rità , ma per orientare la sua posizione dirappresentanza , deve consultare colleghi ecompagni di lavoro in vari modi possibili:assemblea, consultazioni informali, comu-nicati, ecc.) Il suo peso è ineludibile non se si contrap-pone a priori ma se rappresenta gli interessidi salute e sicurezza dei lavoratori quindi cisi deve:• Organizzare la documentazione creandoun archivio;• curare il passaggio di consegne del mate-riale storico ai successori;• divulgare ai colleghi gli esiti;• verificare le scadenze previste• richiedere la riunione periodica straordi-naria quando ci sono variazioni rilevanti.Essere un vero riferimento e portavoce per ilavoratori , informandoli e ascoltando leloro proposte e problemi.Limiti ancora attuali: - labilità dell’interesse sindacale e della par-tecipazione dei lavoratori.- Differenze territoriali e regionali nelle risor-se, nell’interesse della politica, delle ammi-nistrazioni.- Conflitti tra Ministeri, assenza di quellodella Salute sui temi di salute e sicurezza sullavoro.

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Alla fine cito Paolo Gentile dal suo ultimolibro e-book: “Osservare e interpretare illavoro attraverso la esperienza dei lavorato-ri” ( edizioni Palinsesto)“… la riscoperta di un rapporto dialetticotra il lavoro, con i suoi protagonisti e i suoiproblemi, e l’accademia, con le sue teorie ei suoi modelli esplicativi. Il fil rouge che legai diversi argomenti trattati nel volume è rap-presentato dalla proposta metodologica diun modello di analisi ed intervento ergono-mico di tipo sociologico-partecipativo, chevuole ridimensionare la figura del tecnicoche in questi anni ha assunto un ruolo pre-ponderante. Gli esperti che devono adegua-re le aziende alla normativa hanno finitoper emarginare i lavoratori che hanno dele-gato a loro, al legislatore, alla magistratura,la ricerca di soluzione ai problemi presentinel luogo di lavoro: un ruolo da contestare afavore di una maggiore partecipazione deilavoratori. La partecipazione che è stataun’aspirazione delle classi lavoratrici perconquistare la propria emancipazione,diventa un bisogno delle organizzazioni percompetere nel mercato globale. Ma la ricet-ta funziona solo se il lavoratore avverte: verorispetto, vero coinvolgimento, vera respon-sabilizzazione. Tutelare la salute e la sicu-rezza dei lavoratori non è solo tutelarne l’in-tegrità fisica ma tener conto anche della per-

sonalità morale, della loro dignità, della lorolibertà. L’anarchismo metodologico nellaconoscenza del lavoro, la valorizzazionedell’osservazione spontanea dei lavoratoriper la realizzazione di un documento divalutazione dei rischi soggettivo, la centra-lità dei rischi organizzativi sono alcuni deglielementi originali che definiscono il model-lo epistemologico suggerito “.

NOTA SULLA RIFORMA SANITARIADEL 1978 • Istituisce il Servizio sanitario Nazionale tracui i servizi territoriali in tutte le Regioni;• prevede una legislazione di recepimentoregionale• trasferisce le funzioni di polizia giudiziariadall’Ispettorato del Lavoro (oggi DTL) anchealle USL (oggi ASL).Modelli all’epoca:Modello dell’Ispettorato del Lavoro: condu-zione individuale, uso della diffida senzarapporto alla Magistratura, gestione vertica-le pratiche. Personale soprattutto ammini-strativo e tecnico. Ambiti: lavoro minorile,femminile, notturno.Modello dei Servizi: multidisciplinarietà,ricostruzione ciclo produttivo, gestione oriz-zontale, partecipazione, rapporti con magi-stratura, programmazione per piani miratidi comparto, di rischio, ecc.

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ALLEGATI

Allegato 1. Alcuni padri e madri prima della Riforma Sanitaria

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Allegato 2. Mozione conclusiva del XXXVI Congresso della Società Italiana diMedicina del Lavoro (Pugnochiuso 8 - 10 novembre 1973).

Allegato 3. I Servizi di prevenzione territoriali prima della Riforma Sanitaria(anni ’70-’78).

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Allegato 4. Italia prima della Riforma sanitaria

Allegato 5. La legislazione regionale nel merito, prima o subito dopo laRiforma sanitaria.

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Morti sul lavoro: gli eroisenza volto

di Marco SPEZIA*

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*Ingegnere e tecni-co della salute e

della sicurezza sullavoro; Medicina

Democratica La Spezia.

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I DATI REALI E LA MENZOGNA DELLOSTATOIn Italia ogni anno avvengono più di unmilione di infortuni sul lavoro, 1.200 di que-sto sono infortuni mortali. Ciò significa,contando tutti i giorni dell’anno, che inItalia ogni giorno muoiono tre lavoratori perinfortunio (fonte Osservatorio Indipendentedi Bologna morti sul lavoro http://cadutisul-lavoro.blogspot.it).A tale cifra occorre aggiungere le malattieprofessionali, cioè le patologie contratte suiluoghi di lavoro a causa di agenti nocivi:ogni anno in Italia vengono denunciatecirca 5.000 malattie professionali, centinaiadi queste sono mortali.Occorre aggiungere che i dati sopra riporta-ti sono desunti da un’associazione di volon-tariato (l’Osservatorio Indipendente diBologna morti sul lavoro di Carlo Soricelli)e sono dati reali in quanto raccolti da unafitta rete di collaboratori che ogni giornoanalizzano gli articoli sui giornali e sui blog,le notizie alla radio e alla televisione.I dati ufficiali, quelli dell’INAIL (662 mortisul lavoro nel 2014) sono del tutto sottosti-mati e volutamente incompleti. Essi infattisono relativi solo ai lavoratori assicuratiINAIL (i lavoratori dipendenti) e non com-prendono quindi i lavoratori autonomi, ilavoratori atipici, i lavoratori familiari, ilavoratori in nero.I dati ufficiali inoltre parlano di lento, macostante calo del fenomeno infortunistico,anche mortale, mentre i dati del citatoOsservatorio parlano di lieve aumento dal2008 a oggi, che diventa più marcato se raf-frontato al numero di lavoratori occupati, incostante calo nel corso degli ultimi anni.In Italia è quindi in corso una vera e proprioguerra: i numeri riportati sopra lo conferma-

no. questa guerra conta ogni anno migliaiadi donne e uomini sacrificati in nome dellavoro e dimenticati da tutti: eroi senza voltoappunto.Eppure di questa guerra non si parla quasimai. I media riportano le notizie di infortu-nio solo raramente, in genere in brevi trafi-letti di cronaca. I media parlano di infortunisul lavoro o di malattie professionali soloquando l’effetto mediatico è importante(come nel caso della Thyssen Krupp, delcrollo della palazzina di Barletta, dell’esplo-sione della fabbrica di fuochi di artificio aBari, dell’Eternit di Casale Monferrato).Anche in questo caso la morte sul lavoroviene raccontata solo quando fa notizia,secondo le becere regole della comunicazio-ne. Becere regole che nascondono o minimiz-zano, assecondando i poteri politici,imprenditoriali e finanziari, un fenomenodevastante, per far credere che il mondo dellavoro nel sistema sociale italiano, sia unambiente “sano”.Menzogne che nascondo le pesanti e graviresponsabilità delle istituzioni e dei gruppidi potere, assolvendoli da quella che di fattoè il reato di omicidio volontario.

LE CAUSE E LE RESPONSABILITA’: LALEGISLAZIONE E LA NORMATIVAA fronte della strage sopra indicata, oltreallo sdegno e alla rabbia, è fondamentalericercare le cause reali e le responsabilitàindividuali e istituzionali.Le morti sul lavoro non sono dovute acarenze legislative e normative.L’Italia è sempre stata all’avanguardia nellalegislazione per la tutela della salute e dellasicurezza dei lavoratori. Già negli anni ’50 vennero emanati nume-

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rosi Decreti per la salvaguardia dei lavorato-ri sia nelle lavorazioni industriali, sia neicantieri. Queste leggi indicavano importantimisure di tutela sia della sicurezza che dellaigiene dei lavoratori. Esse erano talmentecomplete e innovative che sono sopravvis-sute fino ai nostri giorni, rimanendo in vigo-re sino al 2008 e venendo inglobate poi nellanormativa successiva.A partire dagli anni ’90 poi, queste normati-ve sono state integrate e adeguate ai progres-si tecnologici e scientifici, a seguito deinumerosi recepimenti delle DirettiveEuropee per la tutela della salute e dellasicurezza sul lavoro.Infine nel 2008 tutto il corpo legislativo inmateria di tutela di salute e sicurezza è statoincorporato e armonizzato nel DecretoLegislativo n.81 (il cosiddetto “Testo Unico”sulla sicurezza), un testo complesso (più di300 articoli e 52 allegati) che costituisce unabase fondamentale e tecnicamente adeguata.Oltre alle fonti legislative inoltre da annil’Italia è all’avanguardia nel settore dellaricerca tecnica per la riduzione degli infor-tuni e delle tecnopatie, prima con l’ENPI(Ente Nazionale Prevenzione Infortuni), poicon l’ISPESL (Istituto Superiore per laPrevenzione E la Sicurezza e sul Lavoro),ora con l’INAIL (Istituto Nazionale perl’Assicurazione contro gli Infortuni sulLavoro), affiancati dai Dipartimenti diPrevenzione delle Aziende Sanitarie Locali.Nella letteratura scientifica e nella normati-va tecnica italiana sono disponibili tutti glistrumenti tecnici e scientifici per ridurre,affiancati alla legislazione di merito, a livel-li trascurabili il fenomeno infortunistico epatologico legato alle attività lavorative.Va osservato che da sempre le classiimprenditoriali e i gruppi politici ad essicollegati, hanno cercato di diminuire le tute-le legislative per i lavoratori.Nei confronti del Testo Unico del 2008, ilgoverno Berlusconi, il governo Letta e oggi ilgoverno Renzi sono intervenuti con decretipeggiorativi, modificandone in parte i con-tenuti e diminuendo in tal modo le tuteleper i lavoratori.Ma in ogni caso il Testo Unico, assieme allefonti del diritto (Codice Civile, CodicePenale e Costituzione) costituiscono una

importantissima garanzia per la tutela dellasalute e della sicurezza dei lavoratori.Occorre osservare che il Testo Unico è unanorma di carattere penale, nel senso che ilmancato adempimento agli obblighi cheesso impone costituisce, nel caso vengaaccertato dagli organi di vigilanza (chevedremo dopo quali sono), comporta unreato penale.Eppure, nonostante tutto questo, i numeriparlano chiaro: la guerra continua, la stragenon si arresta.Qual è dunque il motivo, se le leggi e lenorme ci sono, perché si continui a morire ead ammalarsi sul lavoro ?La risposta è semplice ed è la stessa che siripete ogni qual volta si cerchi di proteggeregli sfruttati: la legge c’è ed è buona, ma volu-tamente non si applica e volutamente non sifa niente per farla applicare.Le responsabilità in tal senso sono chiare e imotivi sono evidenti.

LE CAUSE E LE RESPONSABILITA’: LALOGICA DEL PROFITTOLa prima e principale causa dello stillicidiodi morti sul lavoro e di malattie professio-nali, da cui discendono poi tutte le altrecome logica conseguenza, è la concezionecapitalista del lavoro che mette in primopiano la logica del profitto, al di là ogni altraconsiderazione etica o morale.Creare le condizioni affinchè il lavoro siasicuro e salubre ha un costo, per giunta uncosto non produttivo, perché non è finaliz-zato alla crescita dei ricavi.Tutte le misure di prevenzione e protezioneindicate come obbligatorie dalla legislazio-ne vigente comportano per il datore di lavo-ro (cioè il padrone) un costo.Facciamo solo qualche esempio:• la formazione dei lavoratori ha un costo, inquanto comporta il pagamento di un onora-rio o dello stipendio di chi eroga il corso ecomporta (visto che la formazione deve, perlegge, essere svolta in orario di lavoro) unmancato utilizzo della mano d’opera in atti-vità produttive;• la sorveglianza sanitaria ha un costo analo-go: quello del medico competente, deglispecialisti, delle strutture che eseguono visi-te mediche e accertamenti sanitari e di

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nuovo il mancato utilizzo del lavoratore inattività produttive;• rendere sicuri le attrezzature e i luoghi dilavoro, cioè realizzarli, comprarli o metterlia norma comporta il costo delle aziende cheeseguono i lavori di messa a norma;• le macchine sicure hanno minore produt-tività, perché comportano fermi di produ-zione se la macchina non è in condizioni disicurezza e la minore produttività è un costoindiretto;•mantenere le macchine e i luoghi di lavo-ro sicuri e salubri, mediante manutenzioniprogrammate, pulizia, igienizzazione com-porta il pagamento delle ditte di manuten-zione o di pulizia industriale;• i dispositivi di protezione collettiva (pon-teggi, coibentazioni, insonorizzazioni, ecc.)e quelli individuali (caschi, cinture di sicu-rezza, scarpe antinfortunistiche, ecc.) hannoun costo che non si traduce in maggiore pro-duttività;• procedure di lavoro sicure (ad esempio illavoro in coppia, le pause nelle attività piùfaticose, le fermate delle linee di produzio-ne per eseguire manutenzioni in sicurezza)hanno un costo.Tutti questi maggiori costi come già dettonon comportano una maggiore produttivitàe quindi non comportano un maggiore pro-fitto, inteso come differenza tra ricavatodella vendita e costo di produzione.Per dirla in altre parole, quello della sicu-rezza è un plusvalore che l’imprenditorenon ha nessuna intenzione di accollarsi, senon vi viene costretto.Per dirla con Karl Marx “Al padrone noninteressa nulla della vita e della salute del-l’operaio, se non ci sono le leggi che glieloimpongono”.Ma come vedremo dopo questa imposizio-ne, nonostante che le leggi ci siano, di fattonon sussiste, oppure sussiste in manierapercentualmente irrilevante.In conclusione, mancando la coercizione a“fare sicurezza”, i padroni non la fanno,riducendo il costo del lavoro e aumentandoil loro profitto, unica leva dell’economiacapitalista.

LE CAUSE E LE RESPONSABILITA’: LASTRUTTURA PRODUTTIVAQuanto detto sopra vale a livello generale,

per qualunque tipologia e dimensione diazienda.La struttura produttiva dell’economia italia-na amplifica però il fenomeno, portandoloalle estreme conseguenze.Infatti storicamente la struttura produttivaitaliana è sempre stata caratterizzata da unanotevole parcellizzazione delle realtà azien-dali con la maggior parte del tessuto lavora-tivo costituito da piccole aziende o da lavo-ratori autonomi.Ultimamente poi la tendenza delle grandiaziende è quella di esternalizzare tutte quel-le attività che non costituiscono “core busi-ness” e che (in ottica di flessibilità) convie-ne (anche economicamente) affidare inappalto.Ormai gli appalti sono caratterizzati da unacatena di subappalti, per cui poi alla fine chiesegue effettivamente il lavoro sono piccoleaziende con un imprenditore e pochi lavo-ratori o lavoratori “autonomi”.Questa parcellizzazione del lavoro rendeancora meno conveniente al piccoloimprenditore o al lavoratore autonomorispettare gli obblighi sanciti dalla normati-va vigente.Mentre infatti le grandi aziende hanno strut-ture finanziarie e di personale tali da poterammortizzare in maniera più semplice icosti per la sicurezza, per le piccole imprese(strette tra l’altro da contratti capestro impo-ste dai committenti) rispettare o non rispet-tare la normativa può fare la differenza trasopravvivere o fallire.Inoltre le piccole aziende, proprio perchénumericamente elevatissime e disperse sulterritorio, sono molto più difficili da con-trollare da parte degli organismi pubblicipreposti al controllo dell’applicazione dellanormativa.E’ facile in questi casi che le aziende risulti-no del tutto inadeguate a rispettare la nor-mativa e quindi di fatto del tutto fuori legge,inadempienti alle norme di diritto del lavo-ro in generale e sulla sicurezza in particola-re.Queste piccole aziende, sempre per motiviprettamente economici, ricorrono poi spes-so al lavoro nero e si appoggiano ai caporaliper trovare mano d’opera a basso prezzo ericattabile.Le grandi aziende poi sono quasi sempre

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pesantemente sindacalizzate e, quando ilsindacato ha cuore la salute e la sicurezzadei lavoratori (il che purtroppo spesso nonavviene), sa creare una massa critica di lavo-ratori organizzati disposti a battersi perdifendere i propri diritti.Nelle piccole aziende e tra i lavoratori auto-nomi il sindacato non esiste e i lavoratorisono lasciati da soli, sottoposti, loro malgra-do, alla legge del più forte.Inoltre, l’evoluzione del diritto del lavoroche ha sostanzialmente ufficializzato ilcaporalato tramite la creazione del lavorosomministrato (quello interinale), ha creatoun esercito di lavoratori che vengono ven-duti da un’aziendaall’altra, senza possibilitàdi svolgere un’accurata formazione, spessosenza avere diritto alla sorveglianza sanita-ria per i tempi brevi passati all’interno diun’azienda, senza poter acquisire quel mini-mo di esperienza e di sensibilità ai rischiche contraddistinguono invece i lavoratoridipendenti.Infine sia i dipendenti di piccole aziende,sia i lavoratori autonomi, sia i lavoratorisomministrati sono più suscettibili deidipendenti di aziende più grandi e struttu-rate al ricatto tra lavoro e sicurezza di cuiparleremo a seguire.

LE CAUSE E LE RESPONSABILITA’: ILRICATTO LAVORO O SICUREZZAMai come in questi ultimi anni, di fronte auna crisi profonda del settore produttivo, deiservizi e del lavoro in generale, si è assistitoin maniera così imponente al ricatto fattodagli imprenditori tra lavoro e sicurezza.Il bieco ricatto dei datori di lavoro è ormaidiventato uno slogan: “se vuoi lavorare,queste sono le condizioni; se questo lavoronon ti va bene perché è pericoloso o insalu-bre, vattene pure a cercarne un altro”.A questa logica rispondono tutte le aziendesenza distinzioni, dalla più grandi (bastipensare alla Thyssen-Krupp o alla ILVA diTaranto per fare due esempi di rilevanzamediatica) alle più piccole.Ovviamente però i lavoratori maggiormentea rischio (per i motivi che vedevamo prima)sono i lavoratori precari a vario livello (gliassunti a tempo determinato, i sommini-strati, i dipendenti di piccole aziende, i lavo-ratori autonomi).

LE CAUSE E LE RESPONSABILITA’: LACANCELLAZIONE DEL DIRITTO DELLAVORONelle dinamiche lavorative fin qui descritte,ha svolto e svolge un azione fondamentale edistruttiva, l’attacco incessante degli ultimidecenni, da parte dell’imprenditoria e deivari schieramenti politici che ne seguono ledirettive, al diritto del lavoro.Buona parte dei diritti (lo Statuto delLavoratori) e delle forme di lotta che i lavo-ratori avevano per farli valere stanno venen-do annullate da atti legislativi ispirati agliinteresse dei settori produttivi, economici e

finanziari che dettano le regole.Rimanendo nell’ambito della legislazionerelativa alla salute e sicurezza sul lavoro,come sopra accennato, da quando è statolicenziato, il Testo Unico ha subito continuemodifiche, in senso sempre di minore tute-la per i lavoratori e a solo vantaggio delleaziende.Con il paravento delle semplificazioni sonostate cancellate precise disposizioni orga-nizzative nate con lo scopo di difendere ilavoratori, sono stati ridotte le categorie dilavoratori tutelati dal Testo Unico, sono stateridotte le sanzioni in caso di inadempienza,unico vero deterrente per gli imprenditoriinadempienti.Con ultimo il “Jobs Act”, oltre a ridurre ingenerale tutti i diritti (costituzionali) deilavoratori, si è messo mano ancora al TestoUnico, limitando ulteriormente le garanzie.

LE CAUSE E LE RESPONSABILITA’: LAMANCANZA DI CONTROLLIA seguito di quanto sopra esposto e ritor-nando alla frase citata di Karl Marx è evi-

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dente che l’unico modo per garantire la vitae la salute dei lavoratori è il controllo dell’a-dempimento della normativa vigente e l’ap-plicazioni di sanzioni penali di naturamonetaria o detentiva agli inadempienti.Secondo il Testo Unico il compito di vigila-re sull’effettivo adempimento da parte delleaziende degli obblighi imposti dal TestoUnico stesso e nel contempo il compito dicomminare le sanzioni penali previste incaso di inadempienza spetta alle AziendeSanitarie Locali e, solo per quanto riguardala sicurezza antincendio, al Corpo dei Vigilidel Fuoco.

Queste strutture, i cui ispettori sono Ufficialidi Polizia Giudiziaria, con tutti i poteri chele fonti del diritto danno loro, sono però innumero irrilevante rispetto alle dimensionidel territorio e al numero di aziende da con-trollare, anche in funzione dell’assetto pro-duttivo italiano di cui si scriveva prima.Secondo dati forniti dalle ASL stesse,mediamente i loro ispettori sono in grado dicontrollare, nell’ambito di attività routinariee programmate (quindi al di là di infortunigravi), non più del 5% delle aziende del ter-ritorio di competenza. In altri termini unaazienda ha la probabilità di essere sottopo-sta a controllo di routine da parte delle ASLuna volta ogni 20 anni.E’ evidente, nell’ambito della logica del pro-fitto che governa tutto il fenomeno, che idatori di lavoro hanno maggiore interesse anon applicare la normativa, conseguendoquindi una riduzione di costi e un aumentodi ricavo, sapendo che così facendo la pro-babilità di subire un accertamento da partedell’organo di vigilanza è molto basso e che,in ogni caso in caso di accertamento, l’ina-

dempienza provocherebbe il pagamento diuna sanzione amministrativa ben inferioreal risparmio ottenuto in anni di attività fuorilegge.Ultimamente poi, nell’ambito delle misurecontro il diritto del lavoro varate dal gover-no Renzi nell’ambito del Jobs Act, è statointrodotto anche l’accorpamento delleDirezioni Territoriali del Lavoro (che anchese non controllano direttamente gli aspettilegati alla salute e alla sicurezza sul lavoro,controllano gli altri aspetti del diritto dellavoro, spesso legati direttamente ai primi) enel prossimo futuro delle Aziende SanitarieLocali preposte al controllo dell’adempi-mento del Testo Unico.Dietro quello che potrebbe essere una razio-nalizzazione del settore ispettivo e unauniformazione dei criteri dei controlli (oggispesso diversi da regione a regione) sinasconde in realtà la volontà di tenere sottocontrollo le attività ispettive, facendo dipen-dere la futura agenzia ispettiva nazionaledirettamente dal governo, con una continuae negativa ingerenza sulle attività che inve-ce gli ispettori dovrebbero compiere inpiena libertà senza alcuna influenza di tipopolitico.

LE CAUSE E LE RESPONSABILITA’: LECOMPLICITA’ GIUDIZIARIECome detto precedentemente le sanzioni acarico degli imprenditori inadempienti agliobblighi del Testo Unico sono di entità irri-soria, facendo venire meno ogni reale deter-renza all’apparato sanzionatorio.Va osservato però che, nel caso che tali ina-dempienze si risolvano in un infortunio ouna malattia professionale, a carico deldatore di lavoro inadempiente vengono for-mulate le accuse, a seconda dei casi, dilesioni colpose o di omicidio colposo, comeprevisto dal Codice Penale, il quale Codiceprevede come aggravante il mancato rispet-to della normativa di salute e sicurezza sullavoro, con pene non più solo amministrati-ve, ma anche detentive.Ma anche in questo caso l’effetto deterrenteviene spesso e volentieri a mancare a causadelle lungaggini dei processi che comporta-no in molti casi la prescrizione dei reati o dicondanne a pene detentive irrisorie (sospe-se per effetto condizionale) o addirittura a

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NOTE:(Questo articolo è stato pubblicato anche sullarivista on line “Giornale Comunista - La CittàFutura” (http://www.lacittafutura.it) L’autore promuove il “Progetto Sicurezza sul

lavoro: Know Your Rights !” con una news perio-dica diffusa con una mailing list e riportato sulsito di Medicina Democratica: www.medicina-democratica.it .

semplici sanzioni amministrative.In parole povere chi uccide o ferisce un lavo-ratore a causa della sua condotta criminalein galera non ci va mai.In questo ambito sembrava aver avuto uneffetto rivoluzionario la condanna in primogrado dei responsabili della Thyssen Kruppper la morte dei sette operai nell’incendiodel 6 dicembre 2007 non per il sempliceomicidio colposo, ma per il reato ben piùgrave di omicidio volontario, con la conse-guenza dell’aggravio della pena, dell’annul-lamento della possibilità della prescrizionee della sospensione condizionale dellapena.Tale sentenza, oltre a costituire un caso iso-lato, è stata prontamente annullata nel suosignificato, dalla Corte di Appello (con ilsuccessivo avvallo della Corte di Cassazio-ne) che ha derubricato l’omicidio da volon-tario a colposo.

LA SOSPENSIONE DEL DIRITTO ALLASALUTE E ALLA SICUREZZA: CHEFARE?A fronte della esposizione finora svolta laconclusione è ovvia: relativamente alla salu-te e alla sicurezza dei lavoratori è stato difatto sospeso il diritto di tutela dei lavorato-ri sancito dalla Costituzione e dai Codici.Questo sospensione di diritto alla salute ealla vita si sta via via inasprendo, anche acausa della mancanza di una opposizione

di classe numericamente significativa.Le azioni di lotta contro la guerra dei mortisul lavoro ci sono, ma sono condotte dapochi (sindacati di base, associazioni, singo-li lavoratori, professionisti), spesso scoordi-nati tra di loro e spesso senza l’appoggiodelle vittime della guerra stessa: i lavoratoriche subiscono il ricatto tra salute e sicurez-za e lavoro.In quest’ambito, oltre a continuare senza tre-gua la lotta da parte dei pochi che già oggi laportano avanti, è indispensabile creare dinuovo consapevolezza (che non può cheessere di classe) tra i lavoratori, perché è veroche questi sono ricattati, ma se reagiranno alricatto in pochi e senza coordinamento nonpotranno che perdere, mentre se lo farannoin tanti, se lo faranno tutti, il ricatto si ritor-cerà contro imprenditori e datori di lavoro.Per questo occorre diffondere e spiegare ilpiù possibile quelli che sono i diritti sancitidalla legislazione vigente e come fare perpretendere che i padroni li applichino, tra-mite manifestazioni e scioperi, ma anchetramite la denuncia agli organismi di vigi-lanza (ASL) e alla Procura della Repubblica.Soltanto se i lavoratori sapranno quali sonoi loro diritti per tutelare salute e sicurezza esi compatteranno con l’obiettivo di preten-dere che tali diritti vengano garantiti, sipotrà sperare in una inversione di tendenzanella strage quotidiana degli “eroi senzavolto”.

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http://www.labottegadelbarbieri.org/morti-sul-lavoro-gli-eroi-senza-volto/

http://www.labottegadelbarbieri.org/morti-sul-lavoro-gli-eroi-senza-volto/

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*Responsabile delprogetto “genere-salute e condizio-ne di lavoro(Anact) con lacollaborazione diPascale Mercieca,HélènePlassoux eLaurence Thery(Anact-Aract).

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L’approcio di “genere” comesostegno alla prevenzione,l’esempio francese

di Florence CHAPPERT*

Dal 2008, in Francia, la rete dell’Agenzianazionale per il miglioramento delle condi-zioni di lavoro (ANACT) ha sviluppato unmodello di analisi sulle disuguaglianze intermini di salute e di carriera tra gli uominie le donne. Questo modello ha portato allaapprovazione nell’agosto 2014 di una leggeche sancisce l’uguaglianza reale tra uominie donne. Le imprese con più di 50 lavorato-ri devono fornire degli indicatori di salute edi sicurezza sul lavoro tenendo conto delgenere e differenziarli nella valutazione deirischi in quanto l’impatto delle esposizionicambia secondo il sesso.La rete Anact-Aract è intervenuta, fino al2008, su richieste delle imprese che presen-tavano problemi legati a mestieri svolti dauomini o donne in un contesto caratterizza-to da mancanza di manodopera. La doman-da posta dalle imprese metalmeccaniche,edili o dalle società autostradali era laseguente: “Quali condizioni di lavorodevono essere predisposte per le donnenei mestieri tradizionalmente svolti dauomini?”Nel 2009, sotto l’effetto della crisi economi-ca, questo tipo di domandaha assuntomeno rilevanza e l’Anact, sollecitata dal“Servizio del diritto delle donne e per l’u-guaglianza”, ha deciso d’introdurre “l’ap-proccio tenendo conto del genere” nei suoimetodi per il miglioramento delle condizio-ni di lavoro. Si è pensato che la prevenzio-ne di certi problemi di salute sul lavoropotesse essere meglio affrontata e potesseprogredire tenendo in conto lo studio dellequestioni legate al genere.Quando nel 2009 abbiamo cercato dei datilegati al sesso sulla salute e sicurezza sullavoro e quando sono stati cercati dei risul-

tati da ricerche sul tema “genere e condizio-ni di lavoro” ci si è resi conto delle lacuneesistenti su questi temi. Abbiamo condivisoallora lo stesso interrogativo posto da KarenMessing del Quebec che nel 2000 intitolavail suo libro: Salute delle donne - la scienzasarebbe cieca ? Gli stessi studi epidemiolo-gici basati su analisi tipo”se sono cose ugua-li allora…” non erano sempre pertinenti percapire le differenze in termini di salute sullavoro tra le donne e gli uomini. In effetti,nelle imprese, si è rilevato che uomini edonne erano in situazioni professionalidisuguali perché non inseriti negli stessimestieri, nelle stesse condizioni di lavoro,negli stessi sviluppi di carriera e nella stessanecessità di conciliazione dei tempi tra vitae lavoro.

UNA TIPOGRAFIA HA APERTO LASTRADAL’intervento de l’Aract della bassa Norman-dia in una tipografia è stato il punto di par-tenza del modello di comprensione delledisuguaglianze di salute tra uomini edonne. L’impresa, nonostante i suoi investi-menti nei macchinari, non capiva perché ledonne presentavano più patologie muscolo-scheletriche e di conseguenze si assentava-no dal lavoro più spesso degli uomini.L’esperto ergonomo chiamato sul posto dilavoro ha dimostrato che sebbene lavorasse-ro tutti nel medesimo luogo, operai e ope-raie non svolgevano lavori uguali. Le donneavevano accesso a quattro tipi di operazionidifferenti, gli uomini a nove. L’esperto hainoltre notato che le attività attribuite allamaggior parte delle donne nelle fasi termi-nali della catena produttiva erano partico-larmente usuranti: sollevamento di pesi fino

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a 11 tonnellate al giorno con piccoli carichida sollevare ripetendo gesti con una caden-za elevata utilizzando eccessivamente artisuperiori e mani.Queste rilevazioni hanno suscitato stuporeall’interno della tipografia. Constatare chedopo gli investimenti effettuati il lavorodelle donne fosse diventato più pesantemetteva in luce che solo gli uomini avevanoavuto dei vantaggi perché con l’automazio-ne passavano alla sorveglianza delle mac-chine. Un approccio demografico ha per-messo di arricchire i dati sul personalefacendo vedere come si era evoluta la car-riera professionale di uomini e donne i qualiavevano iniziato a lavorare tutti nella ultimafase di lavorazione. Gli uomini lasciavanoquesta postazione dopo circa tre anni per-ché venivano loro offerte altre opportunitàall’interno o all’esterno dello stabilimento.Altri si licenziavano perché non ce la face-vano più ma le donne mantenevano il soli-to posto fino al pensionamento o alla dichia-razione di inidoneità.Il posto dove venivanotagliati i quaderni era riservato agli uominiperché ritenuto molto difficile anche se piùinteressante e soddisfacente.Infine, l’esperto ha verificato che il regimedelle pause e la compensazione monetariapenalizzava le donne obbligandole a fareuna pausa non pagata, mentre gli uominierano riusciti a negoziare una indennitàsupplementare in quanto il sistema automa-tizzato non si poteva fermare! Quando i risultati sono stati presentati alComitato d’Igiene e sicurezza le donne sisono molto rammaricate e hanno piantoscoprendo tutte queste ingiustizie.Fortunatamente, l’impresa non si è fermatadopo questo studio come succede nellamaggioranza dei casi. Ha capito che questesituazioni di disparità circa il lavoro usu-rante non potevano essere gestite solo con ilricambio di personale. Ha lavorato diretta-mente con i fornitori di quaderni per limita-re le sollecitazioni degli arti superiori e sulpeso dei carichi e ha ripensato le postazionidi lavoro. Ha rivisto anche i percorsi di car-riera riconoscendo le competenze acquisitedalle donne nel reparto finiture, il loro sensodi responsabilità per il buon funzionamentodella linea di produzione e ha permessoloro di accedere ai posti di aiuto-conduttore

o conduttore di macchine.Dopo questa sperimentazione nella tipogra-fia della Normandia, la rete Anact-Arctèintervenuta in altre 24 imprese tenendoconto sempre del “genere”. Queste espe-rienze multiple hanno permesso di affinareun modello di analisi delle disparità di salu-te al lavoro tra uomini e donne. E’ statoanche utilizzato per verificare le disugua-glianze nei percorsi di carriera, nel salario alfine di affermare il concetto: a lavoro-ugualesalario-uguale.Questo modello si sviluppa su 4 assi di ana-lisi:1. L’organizzazione del lavoro: le donne e gliuomini non esercitano le stesse mansioni,non occupano le stesse postazioni.2. Il lavoro: le donne e gli uomini sono espo-sti a fattori di rischio e al lavoro usurante inmodo diverso. Queste condizioni differentisono in parte invisibili soprattutto nelle pro-fessioni tipicamente femminili, con effettidiversi per la salute.3. Il percorso di carriera: uomini e donnehanno percorsi di carriera differenti.4. Il tempo: uomini e donne non hanno lestesse costrizioni di tempo nel lavoro e lestesse attività fuori dal lavoro (lavoro dome-stico e di cura)

I CASI DI INFORTUNI SONO IN AUMEN-TO PER LE DONNEDal 2012, l’Anact pubblica una analisi stati-stica secondo il sesso per ciò che riguarda gliinfortuni sul lavoro e sulle malattie profes-sionali riconosciute; dati forniti dalla Cassanazionale di assicurazione per i lavoratori.L’ultima fotografia statistica rivela che nel2013 le donne hanno due volte meno infor-tuni degli uomini. Questo dato si iscrive nelquadro di una diminuzione costante diinfortuni da una dozzina di anni (diminu-zione del 16% tra il 2001-2013), mamaschera però un trend asimmetrico pren-dendo in considerazione il sesso ( diminu-zione del 27% per gli uomini in tutti i set-tori delle attività lavorative) versus unaumento del 20% per le donne soprattuttonei settori marcatamente femminili.Sappiamo che le donne occupano posti inampi settori del mercato del lavoro da unadozzina di anni, ma sappiamo anche chesono esposte a fattori di rischio non ben

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riconosciuti e valutati e dove le politiche diprevenzione non sembrano efficaci per leattività svolte da loro. Sempre nel corso diquesti ultimi 12 anni, le malattie professio-nali dichiarate e riconosciute che per l’80%sono dovute a disturbi muscolo-scheletrici,fanno vedere un aumento per le donne (+160%) quasi due volte più veloce che per gliuomini (+79%). Nel 2013, le malattie pro-fessionali riconosciute si dividono in ugua-le misura tra uomini e donne.Gli interventi in aziende e gli studi sull’as-senteismo per malattia e per infortunio(fuori conteggio i congedi per maternità epaternità) dimostrano che in Francia ledonne si assentano di più ( 30% in piùsecondo la “Direction de l’animation de larecherche,des études et des statistiques”).Gli interventi della rete Anact-Aract indica-no quanto sia importante il ruolo delle con-dizioni di lavoro, anche se una parte di que-sto scarto di quattro giorni di malattia all’an-no in media è attribuibile alle assenze permalattia prima del congedo per maternità. Inostri interventi in aziende non hannodimostrato una correlazione tra il peso delleassenze e il numero dei figli. Nelle situazio-ni di “separato/a”, “divorziato/a” o “vedo-vo/a” le assenze sono più numerose siaquelle delle donne che degli uomini. Lenostre esperienze ci insegnano peraltro cheè rischioso divulgare dei dati sulle assenzedivisi per sesso quando questi dati sono sfa-vorevoli per le donne. Esiste sempre la ten-denza a mantenere vivi i pregiudizi e gli ste-reotipi che vogliono le donne più fragili,meno resistenti agli stress e cosi a discrimi-nare le donne licenziandole o rinunciandoad assumerle.

UNA NUOVA LEGGEI dati statistici e le esperienze condotte inaziende hanno consolidato l’approcciodella rete Anact-Aract e incoraggiato l’evo-luzione delle legislazioni.La legge per l’uguaglianza reale tra donne euomini adottata il 4 agosto del 2014 cambiaalmeno due aspetti della regolamentazione.In primo luogo, in materia di uguaglianzaprofessionale, le imprese con più di 50 sala-riati sono obbligate ad adottare “degli indi-catori per la salute e la sicurezza sul lavorosecondo il sesso alla stessa stregua degli

indicatori riguardanti la carriera o il sala-rio”.Il secondo aspetto in materia di prevenzio-ne dei rischi stabilisce che “la valutazionedei rischi tiene conto dell’impatto differen-ziato circa l’esposizione al rischio in funzio-ne del sesso.” Una lettura affrettata di questoultimo articolo, cosi stringato, sarebbe sba-gliata e potrebbe portare a conclusioni erra-te lasciando intendere che è più convenien-te allontanare le donne da certe mansioni,funzioni o mestieri, in virtù delle loro carat-teristiche.In Francia, le uniche disposizionidi legge che giustificano l’introduzione di

limitazioni in materia di salute e sicurezzariguardano solo la protezione della gravi-danza e della maternità. Introdurre la nozio-ne di impatto differenziato alla esposizionesecondo il sesso nella valutazione dei rischifa capire che le condizioni di esposizione alrischio sono differenti. Nella stessa aziendauomini e donne non svolgono le stessemansioni, non hanno gli stessi percorsi dicarriera, le stesse attività extra-lavoro eanche nel caso facessero lo stesso lavorol’impatto sulla salute è comunque diverso.Quindi, la nuova legge rinforza e arricchisceil quadro legislativo attuale e permette dielaborare meglio il documento di valutazio-ne dei rischi obbligatorio per le imprese e diadottare misure più efficaci di prevenzione.Risulta chiaro che queste nuove normevanno nel senso di adattare i sistemi di orga-nizzazione del lavoro e le politiche di pre-venzione tenendo presente le condizioni diesposizione ai rischi differenziate tra uomi-ni e donne. Tra i fautori della parità e dell’u-guaglianza c’è chi vede il pericolo nell’in-trodurre la questione della salute pensando

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che questo elemento possa discriminare ledonne nel mercato del lavoro. Prendere inconto la questione del genere può favorireuna evoluzione nella ergonomia e alleviareil peso di un lavoro gravoso. Può condurread una organizzazione del lavoro miglioree migliorare la prevenzione. Certo, le que-stioni legate al genere in materia di salute esicurezza sono complesse, permangonoanche certi tabù, in un contesto, come

quello francese, di neutralità e ugualitari-smo apparente. Ma le politiche di salute esicurezza sul lavoro crescono con l’approc-cio secondo il genere e segnano dei pro-gressi nel campo della prevenzione e pro-mozione della salute.

(Traduzione di Elisabeth Cosandey dallarivista dell’Istituto sindacale EuropeoEuropean Trade Union Institute, n.12/2015)

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*Rappresentantedei Lavoratori perla Sicurezza -Ospedale S.Raffaele - Milano.

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Preservare la salute dellelavoratrici: una riflessionesulla sanità

di Margherita NAPOLETANO*

In sanità, la percentuale di donne che lavo-rano, soprattutto come infermiere, si aggiraintorno all’ottanta. Negli ultimi anni, l’etàpensionabile per “vecchiaia” delle lavora-trici è passata dai 60 anni ai 67 anni, grazieall’invocata parità di genere, chiaramentefatta alzando l’asticella del traguardo per ledonne, invece che abbassarla per ledonne… E dire che le donne andavano inpensione prima per una sorta di compensa-zione delle maternità, che la società ricono-sceva. Altri tempi!La Regione Lombardia ha posto come obiet-tivo dei piani sanitari regionali la valutazio-ne degli effetti della Legge Fornero sullasalute dei lavoratori: prima ancora delle sta-tistiche, parlano le storie.I documenti di valutazione dei rischi insanità individuano, oltre al rischio biologi-co, il rischio da movimentazione dei carichie dei pazienti, il lavoro su turni e quello not-turno: i datori di lavoro comprano i solleva-tori meccanici e i telini ad alto scorrimentoper dimostrare che stanno facendo preven-zione; poi mandano il personale ai corsi diformazione, affinché sappiano come usare icosiddetti ausili. Ma il risultato di tutte que-ste misure, consultando lavoratori e lororappresentanti per la sicurezza è sempreinesorabilmente lo stesso: non c’è tempo! Inrealtà, non c’è abbastanza personale perpoter utilizzare quegli strumenti che con-sentirebbero al personale sanitario di con-cludere la propria carriera senza le numero-se malattie dell’apparato muscolo-scheletri-co. Fosse almeno facile ottenere il ricono-scimento della malattia professionale daparte dell’INAIL: invece, anche ora chealcune patologie sono tabellate, in pochisanno o riescono almeno ad ottenere un

risarcimento.Il lavoro notturno non viene riconosciuto,perché si sfiorano, ma non si superano le 80notti all’anno (soprattutto dove si introdu-ce, ahinoi sempre più frequentemente laturnazione di 12 ore). Quindi, il lavoro insanità non è, secondo la legge, usurante.Con l’avanzare degli anni, perciò, si ha unapercentuale altissima di lavoratrici conlimitazioni o prescrizioni del medico com-petente: spesso la scelta diventa tra rispetta-re il giudizio del medico o evitare il mob-bing.Ai fattori fisici, dunque, si aggiungono quel-li psicosociali e le lavoratrici arriverannoalla pensione con irrimediabili danni nelcorpo e nella mente.Esiste un modello alternativo? Il contrattodi lavoro di 36 ore era un modo per abbas-sare le ore lavorate e la fatica, ma con i tagliin sanità, che si traducono innanzitutto nelblocco delle assunzioni, aumenta la disoc-cupazione e a chi lavora viene chiesto difare straordinario, saltare i riposi, fare doppiturni. Occorre saper dire di no al ricatto: salva-guardare la propria salute e rivendicareassunzioni. Nella nota vicenda dell’Ospedale SanRaffaele, davanti alla prospettiva dei licen-ziamenti nel 2013, le lavoratrici e i lavora-tori hanno rifiutato il taglio dei posti dilavoro, accettando il taglio momentaneo deisalari: oggi che il bilancio è definitivamenterisanato, gli stipendi stanno lentamente tor-nando ai livelli pre-crisi, ma soprattuttosono stati assunte oltre 600 persone. Si ècercato di salvaguardare la qualità del lavo-ro e quella dell’assistenza. Non è stata unapasseggiata: c’è stata la stagione (fredda e

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nelle tende, per 200 giorni) delle lotte equella successiva della resistenza, ma oggipossiamo essere orgogliose di non averceduto alla logica del profitto e della merci-ficazione di lavoro e salute. L’ultima tappa

(per ora) è stata quella di salvaguardare ilcontratto nazionale della sanità pubblicaanche in una realtà privata, perché non cideve essere una sanità di serie A e una diserie B, né per i pazienti né per i lavoratori.

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*Presidente delComitato per laDifesa della Salutenei Luoghi di Lavoroe nel Territorio.http://comitatodi-fesasalutessg.jimdo.com

dossier 83

Crisi economica e aumentodella povertà

di Michele MICHELINO* La crisi non colpisce tutte le classi socialiallo stesso modo.Secondo una fotografia scattata da OxfamInternational alla vigilia del WorldEconomic Forum di Davos, aggiornata allafine dello scorso anno, i 62 super-miliardaripiù ricchi del mondo hanno un patrimonioche equivale a quello della metà più poveradella popolazione globale.L’Italia non è da meno: i dati del 2015mostrano che l’1% più abbienate degli ita-liani detiene il 23,4% della ricchezza nazio-nale netta, una quota che in valori assoluti èpari a 39 volte la ricchezza del 20% piùpovero dei nostri connazionali. Nel corsodegli ultimi 15 anni oltre metà della ric-chezza è finita a ingrossare i patrimoni del10% più possidente.

CON LA CRISI ECONOMICA (2008-2016)LA POVERTÀ IN ITALIA È IN CONTI-NUA CRESCITA.Gli ultimi dati Istat evidenziano che negliscorsi 3 anni, in Italia le persone in condi-zioni di povertà assoluta sono 4,6 milioni,comprese in 1,6 milioni di famiglie. Peggiorano le condizioni sia dei nucleifamiliari operai che degli impiegati. In parti-colare, soprattutto nell’Italia meridionale,sono relativamente indigenti quasi quattrofamiglie su dieci. La povertà è in aumentoanche al Nord sia in termini di famiglie (da4,2 del 2014 a 5,0% attuale), sia di persone(da 5,7 a 6,7%), e anche tra le famiglie conpersona di riferimento tra i 45 e i 54 anni dietà (da 6,0 a 7,5%).Inoltre secondo dati Eurostat riferiti al 2015,in Italia vi sarebbero a rischio povertà 17,4milioni di persone, in crescita di 2,4 milionidi unità rispetto al 2008, anno d’inizio dellacrisi. In valore percentuale, il +3,2% segna-

to in questi anni ci pone al quarto posto,dopo Grecia (+7,6%), Cipro (5,6%) eSpagna (+4,8%), ma in valore assolutosiamo primi in Europa.Anche sul fronte dell’occupazione l’Italia èagli ultimi posti in Europa con una disoccu-pazione giovanile superiore al 37% (mentrein Germania è intorno al 6%).Dopo tante chiacchiere sull’efficacia delJobs Act, i dati dicono che l’Italia è tra i trepaesi UE con il più basso tasso di occupa-zione nella fascia di età tra i 20 e i 64 anni,dati questi confermati anche dall’Osser-vatorio sul precariato dell’Inps, che rilevanoun rallentamento delle assunzioni, dopo ilboom dello scorso anno stimolato dagliincentivi fiscali previsti dal Jobs Act. Le assunzioni sono diminuite nei primi ottomesi dell’anno dell’8,5%, segnando un calodi 351.000 unità. A trainare il dato generaleverso il basso sono state le assunzioni atempo indeterminato, in calo del 32,9%,pari a -395.000 posti di lavoro stabili creati,anche se il saldo annuo (settembre 2015-agosto 2016) resta positivo a +518.000 unità.In ogni caso continuano ad aumentareanche i disoccupati saliti all’11,7%.Con il peggioramento delle condizionimateriali di lavoro e di vita, la situazione sifa sempre più esplosiva.Gli interventi messi in campo dal governoper fronteggiare la crisi sono soprattuttoorientati al mantenimento dei consumi pri-vati per cercare di evitare altre riduzionidella produzione. Il governo Renzi, dopo gli80 euro e dal 3 novembre 2016 con il bonuscultura di 500 euro per i 18enni da spende-re in attività culturali, sta studiando unprovvedimento per il contrasto alla povertà.Alla Camera, è in discussione il testo del ddlche delega il governo all’adozione di misu-

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re per i più deboli, compreso un emenda-mento che introduce il cosiddetto “redditodi inclusione”, cioè un fondo destinato afamiglie con minori, con disabilità, o dove cisiano over 55 disoccupati e senza ammor-tizzatori sociali. Intanto il debito Pubblico cresce, e crescepiù di quanto cresca il PIL: 0,3 % il PIL inun trimestre, 0,6 il debito in un solo mese. Nella crisi i padroni e il governo, nella dife-sa strenua del profitto, cercano di risparmia-re anche i pochi centesimi spesi per la sicu-rezza dei lavoratori lamentandosi, che lacompetitività e la produttività oraria dellavoro italiano cresce a un tasso molto infe-riore rispetto a quello di altri paesi UE,costringendo e in alcuni casi obbligando ilavoratori italiani a lavorare sempre di più.Come riportato in Tabella 1, i lavoratori ita-liani lavorano più dei giapponesi, altro chefannulloni. Tuttavia, anche se gli Italiani lavoranomolto, per gli ingordi padroni i profitti nonsono mai abbastanza e i lavoratori “rendo-no” sempre poco.Contratti e perdita del potere d’acquistoIn realtà i lavoratori Italiani sono anche fra ipeggio pagati in Europa Ad oggi i lavoratoridei settori privato e pubblico in attesa delrinnovo di un contratto collettivo nazionaledi lavoro, già scaduto o in scadenza nelcorso del 2016, sono oltre 12 milioni.Sempre secondo i dati Istat la crescita delleretribuzioni contrattuali orarie nel primo tri-mestre del 2016 è stata la più bassa mai regi-strata da 34 anni a questa parte. Questo dipende non solo dalla politica eco-nomico-sociale dei governi e dei padroni,ma anche dalla politica collaborazionistadei sindacati confederali e ormai anche dialcuni sindacati di “base” che, pur di farsi

riconoscere dalla controparte per sedere aitavoli di trattativa nazionale e ottenere pri-vilegi, permessi sindacali e altro non esista-no a sacrificare gli interessi dei lavoratori,compresi quelli dei loro iscritti, allontanatocosì la grande massa dei lavoratori da questeorganizzazioni.La crisi ha accelerato la trasformazione delsindacato in atto da decenni: da conflittua-le/ riformista a concertativo e di regime conla conseguente perdita di consenso, deficitdi rappresentanza soprattutto tra le nuoveforme di lavoro e i nuovi assunti dopo la“riforma” dell’art. 18.In Italia i lavoratori attivi sono circa22.903.000, (19.650.000 lavoratori del setto-re privato e 3 253.000 lavoratori del pubbli-co impiego) con un tasso medio di sindaca-lizzazione del 33,8 per cento (fonte“Corriere della Sera”, articolo di SergioRomano, maggio 2011, su dati Cnel). Si sache i dati delle tessere sindacali sono gene-ralmente sovrastimati; tuttavia anche appli-cando il tasso del 33,8 per cento il numerodei massimo dei lavoratori del privato iscrit-ti al sindacato è di 6.641.700, iscritti dallesole 5 confederazioni (Cgil, Cisl, Uil, UGL eConfsal) su un totale di 19.650.000, una per-centuale che sarebbe ancora più bassa se ilavoratori non avessero bisogno dei patro-nati sindacali per pensioni, dichiarazionidei redditi e servizi vari. A queste cifre biso-gna aggiungere le innumerevoli sigle deisindacati di base e autonomi, che secondoalcune stime sarebbero intorno ai 3 milioni,in ogni caso la stragrande maggioranza deilavoratori non è iscritta a nessun sindacato.Anche fra i pensionati, fra cifre dichiaratedai sindacati e quelli dell’INPS, ci sonodiscordanze. Da un articolo del Corrieredella sera del 13/04/2015 abbiamo appreso

Italia 1.734

Giappone 1.729

Spagna 1.689

Regno Unito 1.677

Finlandia 1.645

Francia 1.473

Germania 1.371

Tabella 1. Ore medie annue lavorate in diversi paesi mondiali (dati OCSE 2014).

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che: “Per l’Inps il numero dei pensionatiiscritti al sindacato è di 7.135.858 su15.778.000, cioè il 45,23%”. Secondo datidell’Istituto presieduto da Tito Boeri, le pen-sioni in pagamento sono 20.578.485. La sigla che beneficia del maggior numerodi trattenute è lo Spi-Cgil, con 2.486.820. Inflessione di circa mezzo milione in menorispetto ai 2.988.198 di iscritti dichiaratidallo stesso Spi a chiusura del 2013 (ultimodato disponibile). Anche per la Cisl lo scarto è notevole.Rispetto ai 2.006.515 pensionati dichiarati afine 2013 le trattenute risultanti all’Inpssono 1.614.359, quasi 400 mila in meno. Per la Uil, che nel 2014 ha denunciato572.951 tesserati tra i pensionati, le trattenu-te effettuate dall’Inps sono invece 493.303.Insomma, per le tre confederazioni, c’è unoscarto di quasi il 20% in meno tra i pensio-nati iscritti dichiarati e le trattenute effettua-te dall’Inps a favore delle stesse organizza-zioni. Anche altri sindacati si comportanoallo stesso modo. Le trattenute a favoredell’Ugl pensionati, il sindacato della destrache dice di essere la terza confederazione,dietro Cgil e Uil,sono appena 45.442 mentrelo stesso sindacato dichiarava nel 2012 alministero del Lavoro 458.032 tesserati. La Fip-Cisal, 82.576 trattenute sindacali con-tro 720 mila dichiarati e la Federpensionati-Confsal, con 15.806 trattenute contro416.700 iscritti dichiarati al ministero nel2012.Gli altri dati interessanti sono che i quasi 8milioni di trattenute effettuate mensilmentedall’Inps sulle pensioni vanno a favore diben 148 sigle, la metà delle quali con menodi mille iscritti.Ricatto occupazionale, peggioramento dellecondizioni di vita e lavoro, sicurezza e morti

sul lavoroDopo l’aumento degli infortuni sul lavoromortali registrato nel 2015, nel primo trime-stre 2016 le denunce registrano un decisocalo: tra gennaio e marzo - rileva l’Inail -sono arrivate 176 denunce infortuni mortalisul lavoro con un calo del 14,6% sullo stes-so periodo del 2015. L’anno scorso, sempresulla base di dati provvisori, le denunceerano state 1.172 con un aumento del 16%sulle 1.009 del 2014. Gli infortuni comples-sivi nel primo trimestre 2016 sono stati152.573. Naturalmente questi dati non ten-gono conto lei lavoratori in nero e altri lavo-ratori non iscritti all’INAIL.Guardando i dati degli ultimi sei anni ripor-tati da “Art. 21” (i dati sono disponibili solodal 2010), si vede come circa 500 infortunimortali sul lavoro ogni anno non sono statiriconosciuti come tali dall’Inail. (Cfr. Tabella2). Anche in questo caso dati “ufficiali”vanno presi con le pinze. A questo punto èlecito porsi una domanda. Se è vero che c’èun calo delle denunce d’infortunio mortaleche arrivano all’Inail (non nel 2015) comemai 500 infortuni mortali sul lavoro nonsono riconosciuti come tali dall’Inail? Larisposta è nel conflitto d’interessi dell’INAIL,perché è l’ente assicurativo che deve ricono-scere l’infortunio e nello stesso tempo pagar-lo, per cui ha tutto l’interesse a risparmiare.Le morti sul lavoro, gli infortuni, sono undramma che ha gravi conseguenze per levittime e per le loro famiglie, che oltre aldanno devono subire la beffa. Se un lavora-tore muore sul lavoro e non aveva né mogliené figli e non contribuiva al mantenimentodei genitori, ha diritto al solo assegno rim-borso spese funerarie, che dal 1° luglio 2015è 2.136,50 Euro: ecco cosa vale la vita di unlavoratore.

Anno Denunce per infortunioMortale

Infortuni mortali riconosciuti

Infortuni mortaliin fase di istruttoria

2010 1.501 997 2

2011 1.387 895 0

2012 1.347 851 5

2013 1.215 710 2

2014 1.107 662 26

Tabella 2.

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La verità storica dimostra che nella “demo-cratica Italia nata dalla Resistenza”, nelsistema capitalista in cui si produce per ilprofitto e non per soddisfare i bisogni del-l’umanità, il progresso è lastricato di sangueproletario, del sangue di lavoratori e cittadi-ni, esseri umani considerati come deinumeri o al più solo come una merce usa egetta.Il mercato, la produttività, la competitività,le guerre commerciali e militari e soprattut-to la ricerca del massimo profitto sono gliobiettivi di tutti i governi, comitati d’affaridelle multinazionali e della Confindustria. Questi obiettivi nella crisi si realizzanoancor più sulla pelle dei lavoratori e cittadi-ni calpestando il diritto alla salute, alla sicu-rezza, alla pace e a una vita decente.In Italia l’unico diritto riconosciuto è quellodi fare profitti, a questo sono subordinatitutti gli altri “diritti umani”. Le leggi, lenorme, una giustizia di classe che proteggein ogni modo i padroni, i manager e un inte-ro sistema economico, politico e sociale fon-dato sul capitalismo fa sì che la salute e vitaumana, davanti ai profitti, passino in secon-do piano.Ancora oggi nel 2016, nella “moderna edemocratica” società capitalista gli operaicontinuano a morire di lavoro e di non lavo-ro, come nell’Ottocento. In questa guerra delcapitale contro i lavoratori, negli ultimi annisono in forte aumento anche i suicidi dilavoratori disoccupati, cassintegrati o colpi-ti dalla repressione e dal dispotismo padro-nale nel totale silenzio delle istituzioni edella stampa. Il nostro Comitato e tutte le associazioni chefanno parte del Coordinamento Nazionale

Amianto da anni si battono in fabbrica e sulterritorio per il rischio zero. Basta con l’ipo-crisia di chi legittima e sostiene lo sfrutta-mento per realizzare maggiori profitti e poiin pubblico versa lacrime di coccodrillo. Pernoi anche un solo morto sul lavoro o malat-tia professionale è intollerabile e va impedi-ta.Il mercato capitalista detta ordini allo stato,che è privatizzato sempre più. Le campagnedi stampa dei giornali padronali contro l’i-nefficienza, la corruzione nel settore pubbli-co (cose che esistono e vanno combattute),non vogliono risolvere i problemi e miglio-rare le condizioni di vita e di lavoro dellemasse proletarie e popolari. In realtà servo-no a smantellare quel poco che rimane dellostato sociale, rendendo possibile le privatiz-zazioni di tutti i settori pubblici a comincia-re dalla sanità e dal sistema pensionistico,con il consenso di una parte della popola-zione e l’indifferenza di un’altra. Nel sistema capitalista, l’Imperialismoimpone ai popoli del mondo sfruttamento,discriminazioni razziali o sessuali, scambiodiseguale, commercio di armi, guerre, vio-lenze massacri, prestiti usurai impossibilida pagare, così mentre aumenta la ricchezzanelle mani di una minoranza aumentanoanche la miseria nella maggioranza dellapopolazione.Un altro mondo senza sfruttamento dell’uo-mo sull’uomo dove si produca per soddisfa-re i bisogni degli esseri umani è possibile enon è un’utopia. Si può cominciare organiz-zandoci in modo indipendente, lottando epartecipando in prima persona senza dele-gare ad altri i nostri interessi di lavoratoriinsieme agli sfruttati di tutto il mondo.

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*Giornalista.https://sdp80.word-press.com/

dossier 87

Morire di lavoro

di Samanta DI PERSIO* Mi sono laureata nel 2004 e l’anno dopo hofrequentato un master. Mi sono detta: “Seaccelero con i tempi, sarò appetibile per ilmondo del lavoro”. Avevo 25 anni. La ricer-ca di un lavoro stabile, in realtà, iniziò allo-ra e non è mai terminata. Anche se devodire di aver avuto la fortuna di capire checosa avrei voluto fare da grande: la giornali-sta. Attraverso questo mestiere avrei potutoraccontare le storie dei lavoratori precari.Ancora non sapevo che questi argomentivenivano considerati tristi, e sarebbe statoestremamente difficile trovare qualcunointeressato a pubblicarli, il gossip è semprepiù interessante da proporre per mistificarela realtà. Nonostante ciò, mi documentavo escrivevo gratuitamente per un settimanale.Il mondo del precariato era, ed è, infinito.Esistevano, ed esistono, svariate forme con-trattuali non a tempo indeterminato edaltrettante situazioni irregolari. Inoltre sco-prii, sui libri di scuola non c’era scritto danessuna parte, che di lavoro si moriva (epurtroppo si muore ancora). Nel 2006 ini-ziai a cercare gli infortuni, i nomi di tutti ilavoratori che avevano perso la vita sul lavo-ro. La prima storia, che mi accompagneràfinchè avrò vita, è quella di AndreaGagliardoni: un ragazzo di 23 anni, con uncontratto di formazione e lavoro. Andrealavorava in un fabbrica che stampava fron-talini per le lavatrici, una persona responsa-bile, che sperava nella trasformazione delsuo contratto a tempo indeterminato. Avevainiziato il suo turno di mattina da poco, lamacchina stampatrice sulla quale stavalavorando stava dando problemi, lui erasolo, come aveva visto fare dai suoi colleghimise il macchinario in pausa per risolvere econtinuare il lavoro. Ma il macchinarioripartì e gli spezzò l’osso del collo. Durante

le indagini emerse che la macchina stampa-trice doveva avere 3 sistemi di sicurezza,invece ne era rimasto solo uno. Erano statitolti: uno dal fabbricatore ed un altro dall’a-zienda, con l’unico obiettivo di velocizzarela produzione. Per i responsabili condanneirrisorie per omicidio colposo e sospensio-ne della pena. Una vita umana non valemolto di fronte al profitto. Un vuoto ed undolore incolmabile per sua madre. Questastoria rappresenta tutte le morti sul lavoro:la paura di perdere il posto di lavoro spessomette in condizioni di pericolo lo stessolavoratore, l’avidità di alcuni imprenditoriche vogliono il massimo profitto al minimocosto, anche quella della vita altrui, l’ingiu-stizia. In alcune circostanze c’è anche unsenso di disumanità spaventosa: vicinoBologna, nel 2006, era stato ritrovato in uncassonetto della spazzatura un cadavere,dalla perizia è emerso che si era infortunatoin una industria galvanica. “Se questo è unuomo”La tragedia di Andrea mi spinse a scrivereun libro che uscì nel 2008: “Morti bianche”edito da Casaleggio associati. Titolo che con-testai, ma l’editore non volle cambiarlo eforse è stato un bene perché cercando sugoogle appare ai primi posti, ed è importan-te per chi vuole informarsi, sapere cosa suc-cede in Italia, ovvero, che a distanza di anninon è cambiato nulla. La Legge Biagi non c’èpiù ma non è il Jobs act che fa scomparire ilsommerso, il lavoro irregolare. In questoPaese, manca da tempo immemore, l’appli-cazione dei diritti costituzionali, o meglio,per alcuni privilegiati sono applicati inmaniera scrupolosa, aggiungendone anchequalcuno. C’è un detto: “Pancia piena nonpensa quella vuota” ed è così. Insieme aMarco Bazzoni, operaio rls, abbiamo avvia-

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to una petizione contro l’incostituzionalitàdel Jobs act perché l’intento del legislatore èstato quello di privare i lavoratori dei lorodiritti per i quali sono state fatte tante batta-glie sindacali. È vero che le cose cambiano,che le esigenze degli anni ’70 non sono quel-le del 2016, ma il lavoro è sempre l’unicafonte di sostentamento dei cittadini, ancoranon viene inventato un modo per non paga-re il mutuo, per non pagare i libri ai figli, pernon pagare le bollette e tutte le altre spese acui ogni individuo deve far fronte. Il Jobs actè carta straccia, basta pensare che con unvecchio contratto part time del commercio,parliamo di 1.000 euro al mese compreso gliassegni familiari, non è stato concesso unfinanziamento per un elettrodomestico. Tornando alla sicurezza sul lavoro, se si puòlicenziare più facilmente con la nuova rifor-ma, un lavoratore è palesemente in una con-dizione di ricatto, se non nei fatti, sicura-mente a livello psicologico. Il Jobs act nonha portato nessun posto di lavoro in più, ilsommerso è la forma più diffusa perchè sel’obiettivo principale dello Stato è vivere di

tasse, senza fare alcun investimento, rinno-vamento,nessun taglio ai privilegi di alcuni,nessun taglio alle spese superflue (tipo quel-le militari), va da sé che anche gli imprendi-tori, soprattutto i piccoli, “tengono famiglia”e non possono sostenere i costi di un lavo-ratore e, se lo Stato glielo permette, cercanoescamotage. Basta pensare ai voucher, nes-suno andrà a controllare effettivamentequante ore di lavoro vengono effettuate, sap-piamo perfettamente che gli ispettori dellavoro o della Asl sono sotto organico e nonriescono a fare tutti i controlli necessari sulrispetto delle normative vigenti. Come alsolito bisogna affidarsi alla coscienza.Dall’altra parte, il lavoro è sempre più caren-te ed il lavoratore sempre più debole, ciòcomporta l’accettazione di situazioni, anchedi pericolo, pur di non perdere il lavoro.Insomma, il cammino è ancora lungo,siamo ancora troppo lontani dall’obbiettivo:al primo posto la prevenzione nei luoghi dilavoro per salvaguardare la vita di ogni esse-re umano che deve sostentare se stesso e lapropria famiglia.

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*Medico del Lavoro- Sezione di Medici-na DemocraticaPietro Mirabelli, Firenze.

dossier 89

Le malattie professionali dalDPR 1124 al passaggio al siste-ma misto: proposte di revisio-ni tabellari e di modificheall’attuale sistema imperniatosulla centralità dell’INAILa cura di Gino CARPENTIERO*

I LIMITI DELLA NORMATIVA VIGENTELa storia del sistema tabellare delleMalattie Professionali parte dal cosiddettoTesto Unico, vecchio ormai di oltre 50 anni,che è il DPR 1124/1965 - art.3 (1) e il suoallegato 4 e gli aggiornamenti delle varietabelle (il primo nel 1975 , il successivo nel1994 fino al l Dlgs 9 aprile. (Vedi scheda)Le malattie professionali “tabellate” sonoincluse in un primo provvedimento del1973 cui è succeduto un decreto del 2004oggetto di aggiornamento nel gennaio 2008.Nelle tabelle sono elencate le malattie pro-fessionali per le quali vige l’obbligo didenuncia all’INAIL. Esiste anche un obbli-go di segnalazione della malattia all’organodi vigilanza ASL da parte di qualunquemedico con finalità solo statistica.La mancata denuncia della malattia profes-sionale è sanzionata a carico del medicocompetente (ex “medico di fabbrica”).Tra i provvedimenti applicaivi interpretati-vi si colloca la sentenza 179/88 della CorteCostituzionale che, dichiarando incostitu-zionale il comma 1 dell’art.3, nella parte incui non prevede che l’assicurazione controle malattie professionali nell’industria “èobbligatoria anche per malattie diverse daquelle comprese nelle tabelle allegate, con-cernenti le dette malattie e da quelle causa-te da una lavorazione specificata o da unagente patogeno indicato nelle tabelle stes-se, purchè si tratti di malattie delle quali siacomunque provata la causa di lavoro” , hasegnato un importante spartiacque.Si è passati in pratica a un “Sistema Misto”

(tabellato/non tabellato) nel quale rimanecomunque una disparità: le malattie tabel-late hanno una corsia preferenziale inquanto per queste vale (o dovrebbe valere)il rischio presunto (presunzione del nessoeziologico tra esposizione lavorativa emalattia). Lavorare in attività che comporti-no la presenza del rischio potenziale deter-mina un agevole riconoscimento dellamalattia professionale, sta all’INAIL prova-re l’esistenza di eventuali cause o cancauseextra-professionali. Per le malattie nontabellate non basta la presenza del rischiopresuntivo: è il lavoratore che ha l’oneredella prova, deve dimostrare il nesso trapatologia in atto ed esposizione reale(dimostrazione spesso ardua in particolareper i tumori non tabellati, quando l’esposi-zione può risalire a molti anni prima, non-chè per le patologie da disfunzionalitàorganizzative e/o mobbing correlate).Le “tabelle” del DM 9.04.2008 “organizza-no” le malattie secondo l’agente espositivo,le lavorazioni per i quali è riconosciuto ilnesso eziologico (causa), e il periodo diindennizzabilità (vedi Appendice con unestratto relativo ai tumori professionali).L’elenco è inoltre organizzato in tre “liste” :lista I, contenente malattie la cui originelavorativa è di elevata probabilità; lista II,contenente malattie la cui origine lavorati-va è di limitata probabilità; lista III, conte-nente malattie la cui origine lavorativa èpossibile.La normativa del 2008 ha determinatoimportanti passi avanti nel riconoscimento

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delle patologie dell’apparato muscolo sche-letrico: sull’arto superiore, sul rachide lom-bosacrale, sulle patologie del ginocchio.Sono state inserite in tabella le tendinopa-tie, la sindrome del tunnel carpale, la ten-dinite di De Quervain, l’ernia discale lom-bosacrale.Rimangono ancora non tabellate l’erniadiscale e le discopatie cervicali (ci sonoalcune lavorazioni ove esiste sovraccaricoin regione cervicale in particolare nellamovimentazione pazienti, nell’uso conti-nuativo di carrelli elevatori muniti di transpallet, la guida di autobus soprattutto urba-ni). Non trovano ancora posto nelle “tabelle” laSindrome da Sensibilità Chimica Multiplae la Sindrome da Elettrosensibilità; i tumo-ri da CEM (Campi elettromagnetici) e quel-li da silice libera cristallina, il tumore dellamammella delle lavoratrici turniste nottur-ne, tutte le patologie psichiche e psicoso-matiche da disfunzionalità dell’organizza-zione del lavoro e/o da violenza morale sullavoro (mobbing).Alle patologie citate andrebbero aggiuntitutti i tumori riconosciuti in monografiedella IARC (vedi per es. cancro da esposi-zione a diesel e cancro da smog). Contemporaneamente è necessaria lamodifica della tabella allegata all’art.13 delDLgs 38 del 2000, carente sia per l’assenzadi alcune patologie,in particolare quelle dastress occupazionale, sia per una quantifi-cazione del danno biologico, inadeguata inmolti casi se la si confronta per esempiocon le tabelle della Società Italiana diMedicina Legale o con quelle del Tribunaledi Milano.E’ chiaro che poiché la revisione delletabelle avviene da parte di Commissioniche si riuniscono presso l’INAIL nazionale,è importante che la platea di partecipanti atali commissioni venga ampliata anche amembri di associazioni che da anni lavora-no sul territorio, come gli SPORTELLISALUTE di Medicina Democratica.Il fatto che l’INAIL si sia sempre più tra-sformato in un ente sempre più ostile ailavoratori, per cui anche le malattie profes-sionali tabellate riguardanti lavoratori espo-sti in lavori usuranti, quali gli ex esposti adamianto, gli OS, gli autisti di autobus, gli

edili etc vengono spesso pretestuosamenterespinte negando l’evidenza, pone a tuttinoi il compito di attuare forme di lotta atti-ve.

PROPOSTE DA METTERE IN DISCUS-SIONETenendo conto dello stato normativo edelle pratiche conseguenze cui sono sotto-posti i lavoratori e le lavoratici con patolo-gie lavoro-correlate nel “confronto” conl’ente assicuratore INAIL è possibile indivi-duare alcuni temi di intervento per una piùestesa tutela : 1. Ampliare ulteriormente le tabelle inse-rendo le tutte le patologie per le quali cisono evidenze scientifiche di certezza o diprobabilità.2. Riunificare la tabella Ministeriale exart.139 che è molto più ampia con quella exart.3 del DPR 1124 3. Allargare le lavorazioni da assicurare dicui all’articolo 1 del DPR 1124/65 a tutto illavoro operaio e impiegatizio.4. Per le patologie non tabellate all’oneredella prova per il lavoratore aggiungerequello a carico del datore di lavoro chedovrà dimostrare l’assenza o l’irrilevanzadel rischio esibendo il documento di valu-tazione dei rischi aziendali redatto in baseal “testo unico della sicurezza sul lavoro”(Dlgs 81/2008).5. Revisionare la tabella allegata all’art.13del DLgs 38 del 2000 sulla quantificazionedel danno biologico.

Un’ultima proposta che a mio avviso non èpiù procrastinabile, è rappresentata dal tra-sferimento presso le aziende sanitarie loca-li di almeno una parte dello staff medicoINAIL, separando in questo modo, almenoin prima battuta, la parte strettamentesanitaria da quella amministrativa/assicu-rativa.

In caso di mancato accoglimento dellarichiesta in primo grado, la visita medicacollegiale dovrà coinvolgere commissionimiste ASL-INAIL. In questo modo, aumen-tando i riconoscimenti di Malattie Profes-sionali sulla base di approfonditi accerta-menti medici, si ridurrebbero anche i con-tenziosi tra lavoratori e INAIL.

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Medicina Democratica numeri 227-230 maggio / dicembre 2016dossier 91

SCHEDA SUL QUADRO NORMATIVOVIGENTE • D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124:recante disposizioni sull’assicurazioneobbligatoria contro gli infortuni sul lavoro ele malattie professionali (v. in particolareartt. 3 e 211 ).• D.M. 18 aprile 1973 n. 203 : Elenco dellemalattie per le quali e’ obbligatoria ladenuncia, ai sensi e per gli effetti dell’art.139 del testo unico, approvato con decretodel Presidente della Repubblica 30 giugno1965, n. 1124, e successive modificazioni eintegrazioni.• D.P.R. 9 giugno 1975 n. 482:recante modificazioni e integrazioni alletabelle delle malattie professionali nell’in-dustria e nell’agricoltura, allegati numeri 4 e5 al decreto del Presidente della Repub-blica 30 giugno 1965, n. 1124.

• D.P.R. 13 aprile 1994 n. 336:recante le nuove tabelle delle malattie pro-fessionali nell’industria e nell’agricoltura.• D. Lgs. 23 febbraio 2000 n. 38:recante Disposizioni in materia di assicura-zione contro gli infortuni sul lavoro e lemalattie professionali, a norma dell’articolo55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n.144 art. 10.• D.M. 27 aprile 2004 e D.M. 14 gennaio2008:elenco delle malattie per le quali e’ obbliga-toria la denuncia, ai sensi e per gli effetti del-l’art. 139 del testo unico, approvato condecreto del Presidente della Repubblica 30giugno 1965, n. 1124, e successive modifi-cazioni e integrazioni.• D.M. 9 aprile 2008:nuove tabelle delle malattie professionalinell’industria e nell’agricoltura.

Tabella 1. Tumori tabellati (DM 9.04.2008)

Agente cancerogeno e vocedella tabella

Tipo di patologia Lavorazioni Periodo massimo di indennizzabilità

dopo fine lavoro

Voce 2 Arsenico K polmonare e epitelio-ma cutaneo

Tutte quelle che espongono alrischio

Illimitato

Voce 3 Berillio K polmonare Tutte quelle che espongono al rischio Illimitato

voce 4 Cadmio K polmonare+altri tumo-ri ICD 10 da specificare

Tutte quelle che espongono alrischio

Illimitato

Voce 5 Cromo K polmonare K seni paranasali K cavità nasali

Esposizione Cromo VIEsposizione a Cromo (non specificato)

Illimitato

Voce 8 Nichel K polmonare K seni paranasali K cavità nasali

Esposizione a nichel Illimitato

Voce 29 n-esano e idrocar-buri alifatici lineari e ciclici

Neoplasie da specificarein ICD 10

Esposizione a n-esano e idrocarb.alifatici lineari e ciclici

Illimitato

Voce 32 Idrocarburi aro-matici mononucleari

Leucemia mieloide (prev.mieloblastica acuta)

Esposizione a benzene Illimitato

Voce 33 Idrocarburi polici-clici aromatici

K polmonareEpitelioma cutaneoK della vescica Altre neoplasie (ICD 10 daspecificare)

Esposizione a Idrocarburi polici-clici aromatici in varie lavorazioni

Illimitato

Voce 34 Cloruro di Vinile monomero

Angiosarcoma epaticoAltre neoplasie (ICD 10da specificare)

Esposizione a Cloruro di Vinilemonomero

Illimitato

Voce 35 Derivati alogenati e/o nitricidegli idrocarburi alifatici

Neoplasie imprecisate(ICD 10 da specificare)

Esposizione a Derivati alogenati e/o nitrici degliidrocarburi alifatici

Illimitato

Voce 36Derivati alogenati e/o nitricidegli idrocarburi aromatici

Neoplasie imprecisate(ICD 10 da specificare)

Esposizione a Derivati alogenati e/o nitrici degliidrocarburi aromatici

Illimitato

Voce 39Ammine aromatiche ederivati

K della vescicaAltre Neoplasie imprecisate(ICD 10 da specificare)

Esposiz. A Benzidina, 4-aminodi-fenile,beta-naftilamina etc.Esposizione a ammine aromatichediverse dalle precedenti

Illimitato

Voce 43Aldeidi e derivati

Tumori del nasofaringe Esposizione a Formaldeide Illimitato

Voce 46Alcol Isopropilico-Produzione

K cavità nasali K seni parasanali

Esposizione a Alcol Isopropilico-Produzione

Illimitato

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NOTE1. La definizione di malattia professio-nale è, in sostanza, la malattia contrattanell’esercizio e a causa della lavorazio-ne cui è adibito il lavoratore. La malat-tia deve essere etiologicamente ricon-

ducibile ai rischi cui è esposto il lavo-ratore. Inoltre gli effetti devono esseretali da determinare una definitiva alte-razione dell’organismo comportanteuna riduzione della capacità lavorativa.

Medicina Democratica numeri 227-230 maggio / dicembre 201692 dossier

Agente cancerogeno e vocedella tabella

Tipo di patologia Lavorazioni Periodo massimo di indennizzabilità

dopo fine lavoro

Voce 47Eteri e loro derivati

K polmonare Esposizione a Bisclorometiletere eclorometiletere

Illimitato

Tumori del Sistemaemolinfopoietico

Esposizione a ossido di etilene Illimitato

Altre Neoplasie imprecisate (ICD 10 da specificare)

Esposizione ad Eteri e loro derivati Illimitato

Voce 57 Asbesto

Mesotelioma PleuricoMesotelioma PericardicoMesotelioma peritonealeMesotelioma dellaTunica Vaginale deltesticoloK polmonare

Esposizione a fibre di asbesto Illimitato

Voce 58Erionite

Mesotelioma PleuricoMesotelioma peritoneale

Estrazione e utilizzo dell’Erionite Illimitato

Voce 67Polveri di legno duro

K delle cavità nasaliK dei seni paranasali

Esposizione a Polveri di legno duro Illimitato

Voce 68Polveri di cuoio

K delle cavità nasaliK dei seni paranasali

Esposizione a Polveri di cuoio Illimitato

Voce 81 Radiazioni Ionizzanti

Tumori solidiTumori del sistema emo-linfopoietico

Esposizione a RadiazioniIonizzanti

Illimitato

Voce 84 Radiazioni U.V. compresele radiazioni solari

Epiteliomi cutanei dellesedi fotosensibili.Altre neoplasie non spe-cificate (melanoma?)

Esposti a radiazioni radiazioni solari(stabil. balneari, bordo navi, ediliziastradale, cave e miniere a cielo aperto

Illimitato

Legenda:K = Carcinoma ICD 10 = Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati (ICD-10) è ladecima revisione di ICD adottata nel 1990 dall’Assemblea Mondiale della Sanità (WHA) ed è in vigore dal 1Gennaio 1993.

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*MedicinaDemocratica,Napoli. Coulibaly Ibrahim -AssociazioneMande. Svitlana RavlukHryhorchuk -USBImmigrati Napoli.

dossier 93

La salute degli immigrati

di Paolo FIERRO* Una ricerca condotta dall’Istituto Italiano diMedicina Sociale e il “Dossier StatisticoImmigrazione” della Caritas, per quantodatati (2001), mettono chiaramente in evi-denza un divario netto tra i dati che riguar-dano i lavoratori italiani e quelli che riguar-dano gli immigrati: tra i lavoratori italianiavviene un infortunio ogni 25 persone allavoro, tra quelli extracomunitari uno ogni10. Questo è il differenziale di rischio, piùche doppio rispetto agli italiani, al quale vaincontro il lavoratore straniero. Gli immi-grati non solo vivono sulla loro pelle pocomeno di un decimo del totale degli infortu-ni indennizzati ma anche, al loro interno,sanno che in un caso su dieci sono destina-ti ad infortunarsi. I casi mortali (111) sonostati uno ogni 500 infortuni indennizzati eciò attesta un’incidenza molto allarmante.Dai dati ufficiali (Inail, Istat, Caritas) sem-brerebbe che il rilievo degli infortuni sullavoro o delle morti bianche riguardi quasiesclusivamente il Nord del paese .I fatti di Rosarno, nella Piana di Gioia Tauro,le recenti manifestazioni dei braccianti stra-nieri in Basilicata, dimostrano un vastissi-mo fenomeno di “lavoro nero” basato sullosfruttamento degli immigrati irregolari nelMeridione d’Italia. Dalle statistiche ufficialimancano quasi totalmente i dati degli infor-tuni sul lavoro e delle “morti bianche” checolpiscono i lavoratori immigrati in regionimeridionali (Calabria, Puglia, Basilicata,Campania) specie in agricoltura, nei ciclistagionali, e in edilizia . Del tutto assenti i dati relativi alle tecnopa-tie in regioni ove il sommerso è la regola. Aciò si aggiunga che se le condizioni sanitarienel Sud dell’Italia sono peggiori che nelresto del paese, gli immigrati in regionicome la Campania sono doppiamente dan-

neggiati. La nocività della Terra dei Fuochiad esempio colpisce tutta la popolazione,ma gli immigrati in particolare, che abitano,mangiano e lavorano nei siti più inquinati.La povertà e le condizioni di incertezza deidiritti degli immigrati portano a rapporti dilavoro di tipo schiavistico. La piaga delcaporalato, ben lontana dall’essere risolta dablande minacce governative, impone ilricatto dello sfruttamento al di fuori di ognigaranzia per la sicurezza ed il rispetto degliorari di lavoro. L’incidenza di tecnopatie,infortuni sul lavoro e morti bianche, netta-mente superiori tra i lavoratori immigratirispetto ai lavoratori italiani, dimostra quan-to affermiamo. Ai dati ufficiali bisognaaggiungere una percentuale del 30% dieventi lesivi non dichiarati perché relativi alvasto fenomeno della clandestinità checomunque entra nel mercato del lavoro. Tragli stranieri immigrati di salute non si parla,perché non appare come esigenza imme-diata o come diritto da esigere. Ma quandosui posti di lavoro succedono infortuni o cisi ammala, per cause lavorative o di altranatura, i lavoratori immigrati scoprono cheda ammalati o infortunati non servono più enessuno si preoccupa di riconoscere loro lamalattia ed il diritto di rientro al lavoro dopouna convalescenza. Essi capiscono, con l’e-sclusione dal mercato del lavoro, qualeimportanza ha la salute e che valore assumenel ciclo produttivo.In quel momento la cosa più difficile perl’immigrato è l’accesso al sistema sanitario.Per accedere ai servizi del sistema sanitarioun malato straniero trova mille difficoltà espesso avere delle cure risulta impossibile.Infatti dai registri dei ricoveri risulta che l’in-gresso dei pazienti immigrati avviene quasisempre in urgenza, spesso si tratta di perso-

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ne in fin di vita. La cosa più assurda e fre-quente è che gli immigrati provenientidall’Africa sono trasportati in reparti dimalattie infettive, perché per ignoranza epregiudizio razziale vengono considerati,senza ragione, contagiosi. Anche quandovivono in Italia da 5- 10 anni, i sanitari ita-liani pensano che possano portare malattietrasmissibili mentre è vero il contrario: gliimmigrati in gran parte giungono nel nostroPaese in buona salute ed in grado di sop-portare lavori duri ma, dopo lunghi periodiin difficili condizioni di vita ed abitative, siammalano. La mortalità totale e quellainfantile degli immigrati in Italia è semprepiù alta in qualunque realtà regionale, manelle regioni come la Campania essa rag-giunge tassi molto superiori alla medianazionale.Il nostro impegno principale sulla sanità èquello di aprire realmente l’accesso ai servi-zi ed alla prevenzione degli immigrati.L’obiettivo ha in sé un valore politico didiretta rivendicazione del diritto - come cit-tadini - di essere inclusi nel patto costitu-zionale. Questo è il motivo del nostro nettorifiuto di forme di sussidiarietà sanitaria,comunque formulata (Msf, Emergency,Opere Pie etc..) e di una legislazione cheancora considera l’immigrazione come unfenomeno marginale e passeggero.A sostegno delle nostre affermazionimostriamo alcuni dati Istat, chiarendo cheessi sono valutabili per difetto, poiché nonincludono gli immigrati irregolari e noncensiti, che spesso vengono etichettati comesconosciuti, specialmente in caso di deces-so .

Alleghiamo rilievi statistici e questionarioelaborati a Napoli per l’inchiesta da svilup-pare tra i lavoratori immigrati e gli immigra-ti Forzati (a cura di Medicina Democratica-Associazione MANDE e USB immigratiNapoli).

MORTALITÀ INFANTILE TRA GLIIMMIGRATI (ISTAT 2015)Dal 2006 a oggi i tassi di mortalità infantiledegli stranieri residenti in Italia sono statisempre più alti di quelli degli italiani e ildivario non si è ridotto, anche se perentrambi il trend è in discesa: il tasso degli

stranieri è sceso da 4,71 decessi per 1.000nati vivi residenti nel triennio 2006-2008 a4,55 nel triennio 2009-2011; quello degli ita-liani da 3,15 a 3,01 decessi per 1.000 nativivi residenti .Il divario del tasso di mortalità tra stranieried italiani è più alto nel periodo post-neo-natale (1,46 decessi per 1.000 nati vivi stra-nieri contro 0,80 degli italiani nel triennio2009-2011) che in quello neonatale (3,09contro 2,21), in quanto i fattori esogeni, lega-ti al disagio sociale, incidono nel mantenerealto il divario tra immigrati residenti ed ita-liani. Tale gap si riflette anche nella diversastruttura della mortalità tra i due gruppi: tragli stranieri infatti risultano più alti i rischidi morte soprattutto per malformazioni con-genite, a cui seguono i rischi per condizionimorbose del periodo perinatale e, anche seper una piccola quota, per le cause esterne.I risultati ottenuti dall’analisi delle causemultiple rispecchiano il divario esistente trastranieri residenti e italiani in quanto i tassirisultano ancora una volta più alti tra i primirispetto ai secondi. Tale trend si manifestaancora una volta tra i due gruppi considera-ti anche in presenza di sintomi mal definiti,in quanto, a parità di tasso per causa inizia-le, si osserva una crescita del tasso per causamultipla tra gli stranieri rispetto agli italiani(1,20 decessi per 1.000 nati vivi stranieri,0,75 per gli italiani); considerando comun-que una minore informazione a disposizio-ne del medico sul quadro patologico deglistranieri al momento della certificazione deldecesso. Dal confronto a livello nazionale, si è passa-ti ad un’analisi a livello regionale. Si puòcon sicurezza affermare che nella maggio-ranza delle regioni esiste un divario tra ita-liani e stranieri: i bambini stranieri sottol’anno di vita muoiono di più di quelli ita-liani e in media nazionale circa 1,5 volte.Esiste tuttavia una notevole variabilità sulterritorio, sia in termini di rapporto tra lamortalità dei cittadini italiani e stranieri, siain termini di livelli raggiunti: da un latoabbiamo regioni come la Campania e ilLazio in cui la mortalità infantile dei cittadi-ni stranieri è rispettivamente 2,2 e 2,7 voltequella degli italiani e con un tasso pari a 8,3decessi per mille nati vivi stranieri inCampania e 7,3 nel Lazio, o le due province

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Medicina Democratica numeri 227-230 maggio / dicembre 2016dossier 95

autonome (PA) di Trento e Bolzano dovepur non avendo tassi particolarmente alti, ilrapporto è rispettivamente di 2,1 e 3,4 voltea sfavore degli stranieri; dall’altro lato inve-ce ci sono situazioni in cui il rapporto è inlinea con quello nazionale ma i livelli dimortalità risultano decisamente elevati,come in Sicilia (4,47 morti tra gli italiani e7,33 per gli stranieri) e in Calabria.

MORTALITÀ GENERALE PER CAUSATRA GLI STRANIERI PER GENERECome riportato in Tabella 1, è evidente chela Campania presenta un eccesso di morta-lità percentuale sia per gli uomini (7° posto)che per le donne (3° posto). Nel conteggiosono escluse le morti di stranieri irregolari odi quelli classificati come sconosciuti chegiungono negli ospedali.

MORTI BIANCHE TRA I LAVORATORISTRANIERIIl bilancio delle morti bianche in Italia,secondo le statistiche del primo mese del2012 sul numero di vittime straniere è dav-vero allarmante: delle 31 morti registrate a

gennaio in Italia, un lavoratore su cinque, il20 per cento del totale, era straniero.Un indicatore che amplifica l’emergenzadella sicurezza nei luoghi di lavoro, recente-mente affrontato anche nella relazione inter-media redatta dalla Commissione parla-mentare di inchiesta sul fenomeno delle“morti bianche” e che cita la preoccupazio-ne, soprattutto nel settore edilizio, “per l’al-to numero di operatori extracomunitari,non preparati e non formati, che stannoarrivando in queste aree di lavoro e chesono maggiormente esposti ai rischi inassenza di un’adeguata formazione. Pertale ragione – prosegue la commissione –occorrerebbe coinvolgere maggiormente idatori di lavoro”. Note critiche che coinvol-gono in particolare il settore delle costruzio-ni e soprattutto le aziende più piccole. Laconferma, del resto, giunge dai dati delOsservatorio: sono stati 123, infatti, i lavora-tori che hanno perso la vita in edilizia nel2011. E, sebbene si tratti di un numero diinfortuni mortali inferiore rispetto al 2010(erano 148 i casi), non si può sottovalutarel’emergenza così come il fatto che la contra-

Tabella 1 . Mortalità generale per causa tra gli stranieri per genere.

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zione degli incidenti sia dovuta anche allacrisi economica del settore.Significativa e sconfortante, poi, la proiezio-ne dei lavoratori stranieri che perdono lavita nelle costruzioni: erano 25 nel 2010 esono diventati 29 nel 2011.Numeri cheassumono maggior rilevanza se confrontaticon il totale delle vittime nei due anni sopracitati: gli stranieri che hanno perso la vitanel 2010 erano 59 e sono saliti a 72 nel 2011.Delle 131 morti bianche straniere del bien-nio, 51 erano di origine rumena, 21 gli alba-nesi. Cinque le vittime sul lavoro marocchi-ne e altrettante senegalesi. Quattro mortibianche di origine tunisina e stesso numeroper quelle moldave. E ancora: puntando lalente d’ingrandimento sull’economia delmattone si osserva che la caduta dall’alto è

una delle cause principali di morte.E non si tratta sempre di altezze elevate. Nel2010 in 88 casi di morte per caduta dall’al-to, 17 lavoratori hanno perso la vita da un’al-tezza inferiore o uguale a 3 metri; nel 2011,poi, è andata peggio: delle 83 vittime, 22sono perite da un’altezza inferiore o ugualea 3 metri.Questo a riprova del fatto che non servanograndi altezze per morire.Ma è anche e soprattutto la dimostrazioneconcreta di come sia sempre più indispen-sabile richiamare l’attenzione degli ammini-stratori di questo Paese sulla necessità diagire non solo con le normative che già esi-stono e sono esaustive, bensì anche con unsistema di controllo diffuso e intenso che onne trascuri gli aspetti sanzionatori.

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Figura 1- Infortuni per settore dei lavoratori nati all’estero

Nord Ovest25%

Isole7%

Sud9%

Centro21%

Nord Est38%

Figura 2. - Incidenza percentuale degli infortuni dei lavoratori immigrati sul totale degliinfortuni (ripartizioni)

Ind. Meccanica 5%

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TUTELA DELLA SALUTE DEI MIGRAN-TI FORZATI: L’ESPERIENZA NAPOLE-TANALa migrazione è sempre una condizione disofferenza o almeno di grave difficoltà perchi è costretto a subirla non per scelta maper necessità.Quando l’allontanamento dal paese d’origi-ne rappresenta una fuga o un’ esilio permotivi politici chi ne è vittima sarà portato-

re di un vissuto particolare di violenza e/odi intimidazione che spesso si protrae conriverberi emotivi e conseguenze fisicheanche in terra straniera ed in condizioni dilontananza geografica dal paese d’origine.Se tale condizione può essere in qualchemodo metabolizzata con successo dall’esulein una situazione di accoglienza ben orga-nizzata, in un paese civile ed in presenza digaranzie democratiche, non altrettanto si

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Figura 3. - Incidenza percentuale degli infortuni dei lavoratori immigrati sul totale degliinfortuni in Italia per Regioni

Figura 4. - Quote percentuale di infortuni dei lavoratori immigrati per paese di nascita(primi sedici)

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può dire quando il paese ospite, o la fasepolitica che esso attraversa mostrano unatteggiamento di indifferenza o peggio diostilità verso il richiedente asilo o la vittimadi persecuzioni proveniente da terre stra-niere.Circa l’indifferenza, è stato scritto moltosulla difficoltà da parte delle vittime a rice-vere ascolto, quella difficoltà che non èdovuta alla barriera linguistica ma alla nega-zione della dovuta attenzione che viene vis-suta come ulteriore offesa, svilimento dellapropria sofferenza e quindi della propriapersona.Per tale motivo si è sottolineato più voltel’importanza dell’ascolto come primoapproccio nella riabilitazione delle vittimedi qualunque violenza e in particolare diquella subita dai migranti.Circa poi le condizioni di avversità nellequali possono venire a trovarsi i richiedentiasilo, in paesi che invece di sviluppare poli-tiche d’accoglienza verso le vittime di regi-mi autoritari, dispiegano una serie di osta-coli all’integrazione - riabilitazione dell’esu-le sino alla minaccia di rientro forzato neipaesi d’origine, è evidente che le le possibi-lità di tutela della salute si riducono inmaniera progressiva con la parallela cresci-ta di fenomeni di diffidenza ed atteggia-menti difensivi da parte dei soggetti chehanno subito l’esilio.E’ comprensibile a tutti che tale mancanzadi tutela e la minaccia di espulsione sonouna condizione di ulteriore sofferenza che sisomma al pregresso ed alle sue conseguen-ze. Come considerazione generale si può direche i paesi che sviluppano tali politicheavverse, proseguono l’azione persecutorianei confronti delle vittime. E’ evidente che, al di là delle articolazioniformali degli stati in questione, tali paesinon possano definirsi democratici.Questa premessa è doverosa per esaminarela complessità del problema della tuteladella salute dei migranti forzati, poichè talecondizione comporta sempre una scala dilesioni della persona che interessano la sferapsichica e quella somatica in un intrecciospesso indistricabile. Esistono vari gradi di penetrazione lesivadella condizione di esule nella sfera psico-

somatica di chi ne è portatore .Dalle sindromi ansiose di chi ha subitoforme di pressione, minacce e/o il distaccoforzato dal gruppo familiare sino alle gravi,talora gravissime conseguenze delle formeestreme di violenza come la tortura.Questa è la pratica di gran lunga più lesiva epiù frequente che possa esser rilevata nelcorso dell’attività di assistenza agli immi-grati che appartengono al settore dei rifugia-ti politici. Parliamo di frequenza relativa poichè isegni rilevabili sono spesso quelli più evi-denti. Cosa si intende per tortura ?L’associazione mondiale dei medici nelladichiarazione di Tokio del 1975 definisce latortura come “le sofferenze fisiche e menta-li inflitte in modo deliberato, sistematico edarbitrario da una o più persone che agisco-no da sole o su ordine di un’autorità perobbligare un’altra persona a fornire infor-mazioni, a fare una confessione o per qua-lunque altra ragione”.Mi permetto di aggiungere, tra le ragionisopra riportate, la tortura, la punizioneesemplare e l’intimidazione delle popola-zioni.Questa definizione consente di delinearealcune caratteristiche fondamentali dellatortura: 1) la pratica è intenzionale;2) può essere sistematica od occasionale;3) può essere indotta da ordini superiori,incoraggiata e tollerata dal potere ovveropuò essere una scelta del singolo o di grup-pi. Per quanto riguarda la nostra esperienza èpiuttosto frequente rilevare esiti cicatrizialidi traumi in varie parti del corpo.Essi vanno distinti sostanzialmente in cin-que gruppi: - lesioni indotte da pratiche rituali (tatuaggi,mutilazioni, incisioni, autolesionismi,etc..)per motivi religiosi, di appartenenza o diiniziazione;- lesioni indotte da incidenti (lavoro, dellastrada, sport, cadute accidentali etc..); - lesioni iatrogene (chirurgia ), ferite di guer-ra (arma da fuoco,da taglio ,schegge etc..) - lesioni da tortura .E’ bene vagliare tutta la gamma poichè, perla valenza medico legale della documenta-

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zione e delle diagnosi differenziali, tutte lepossibilità vanno considerate e raffrontatecon il racconto anamnestico.La presenza di lesioni ripetitive, con collo-cazione tipica (arti, volto, genitali ..), fa indi-rizzare l’indagine nei due gruppi estremi(rituali e torture ) e tuttavia in entrambi i casinon sempre è facile ricevere una spiegazio-ne.La difficoltà della lingua ed i fenomeni didiffidenza se non di omertà sia rispetto airitualismi che rispetto alle persecuzionipolitiche sono ostacoli non piccoli sullastrada della verità.Poche semplici parole sui diritti formal-mente concessi ai richiedenti asilo e sullacondizione concreta che essi devono affron-tare per avere accesso all’assistenza sanita-ria.Teoricamente lo status di rifugiato, esulepolitico o richiedente asilo produrrebbeautomaticamente l’accesso all’assistenzacon l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazio-nale (1). In tutti i casi previsti dalla normati-va l’assistenza si estende anche ai familiari acarico regolarmente soggiornanti. Per l’asilo politico e la richiesta di asilo si fariferimento all’articolo 1 del D.L. 30 dicem-bre 1989, n° 416, convertito nella legge 28febbraio 1990, n° 39, alle Convenzioni diGinevra del 28 luglio 1951 sui rifugiati poli-tici (ratificata con L. 24 luglio 1954, n° 722)e di New York del 28 settembre 1954 sugliapolidi (ratificata con L. n° 306 del 1° feb-braio 1962), al Protocollo di New York del31 gennaio 1967 ed alla Convenzione di

Dublino del 15 giugno 1990. Qualora la Questura competente subordiniil rilascio del permesso stesso all’iscrizioneal SSN, le Aziende Sanitarie Locali, almomento del primo ingresso, procederannoad iscrivere in forma provvisoria (tre mesi).L’iscrizione sarà poi formalizzata al momen-to della presentazione del permesso di sog-giorno e avrà validità, quindi, dalla data diingresso in Italia fino alla scadenza del per-messo stesso. L’iscrizione non decade nellafase di rinnovo del permesso di soggiorno(modifiche e integrazione D.P.R. 31.08.1999,n° 394 del D.P.R. n° 334 del 18.10.2004, arti-colo 42, comma 4).Questa è la condizione teorica che consenti-rebbe un accesso facilitato sia ai possessoridel permesso sia ai richiedenti asilo permotivi politici o umanitari .In realtà le lungaggini burocratiche e taloral’atteggiamento di programmatica restrizio-ne da parte dei diversi uffici deputati al rila-scio dei documenti costringono gli immi-grati a ricorrere alla richiesta di tesserinoSTP (tessera sanitaria per Stranieri Tempo-raneamente Presenti).Questa soluzione che sino a questo punto èconsentita con una certa facilità , potrebbenel prossimo futuro andare incontro a note-voli restrizioni data l’atmosfera politica dicrescente ostilità verso gli immigrati.

Intervento di Paolo Fierro al convegno “tute-la della salute dei migranti forzati”, tenutosiil 27-05-2009, presso la sede dell’Universitàdegli Studi di Napoli di via Costantinopoli.

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NOTE1. (Articoli 34 commi 1-2 Decreto Legge 25luglio 1998, n° 286; articolo 42 commi 1-2-3-4-5 del D.P.R. n. 394/1999; circolare 24marzo 2000 n° 5 del Ministero della Sanità).Hanno parità di trattamento con i cittadiniitaliani, per quanto riguarda l’assistenzasanitaria erogata in Italia, gli stranieri rego-larmente soggiornanti per: • attività di lavoro autonomo;• attività di lavoro subordinato;• iscrizione nelle liste di collocamento;• motivi familiari e ricongiungimento fami-liare;• asilo politico;• asilo umanitario, ai sensi della Conven-

zione di Dublino del 15 giugno 1990 (esen-tati dal pagamento del ticket alla pari deidisoccupati iscritti nelle liste di collocamen-to). Rientrano in questa categoria coloroche hanno un permesso di soggiorno permotivi di protezione sociale, i minori di anni18, le donne in stato di gravidanza e di puer-perio, fino ad un massimo di sei mesi, colo-ro che hanno un permesso di soggiorno permotivi umanitari e motivi straordinari, stra-nieri ospitati in centri di accoglienza;• richiesta di asilo sia politico che umanita-rio (costoro sono esentati dal pagamento delticket alla pari dei disoccupati iscritti nelleliste di collocamento).

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*Ricercatore pressoIstituto Nazionale diRicerca Metrologica

– INRIM, CentroStudi Sereno Regis e

Istituto di RicercheInterdisciplinari

sulla Sostenibilità;Medicina

Democratica ,Sezione di Torino.

102 dossier

Fare leggi non basta.Incontro con Felice Casson

a cura di Enzo FERRARA* Laureato in legge presso l’università diPadova, Felice Casson è stato nominatomagistrato nel 1980. Si è occupato comeGiudice Istruttore e Pubblico Ministero didiversi processi difficili degli ultimi decen-ni, soprattutto in tema di terrorismo, lottaalla corruzione, sicurezza ambientale, tuteladei lavoratori e della popolazione dallaesposizione ad agenti cancerogeni. Fra lesue inchieste, vi sono state quelle per la stra-ge di Peteano – compiuta da Ordine Nuovonel 1972 – che svelò l’Operazione Gladio,quelle per la tangentopoli veneta e il rogodel Teatro la Fenice di Venezia, e le inchie-ste sulle morti di operai per amianto allaFincantieri e per i veleni chimici allaMontedison, entrambe a Porto Marghera.Nel 2005, pochi mesi dopo la sentenza dicondanna nel processo al PetrolchimicoMontedison, Casson ha lasciato la magistra-tura svolgendo il ruolo di consigliere comu-nale a Venezia (dal 2005 al 2010 e di nuovodal 2015) e di senatore della Repubblica ita-liana dal 2006 e in questa veste ha fatto partefino al novembre 2008 della Commissioneparlamentare di inchiesta sul fenomenodegli infortuni sul lavoro con particolareriguardo alle cosiddette “morti bianche”.Dal 2013 è vice Presidente della Commis-sione Giustizia e Segretario COPASIR. Nelruolo di parlamentare ha presentato e soste-nuto disegni di legge in tema di lotta allacorruzione e alla criminalità organizzata,razionalizzazione dei sistemi processualicivili e penali, prevenzione e sicurezza deilavoratori esposti a sostanze tossiche e can-cerogene, delitti contro l’ambiente e per lasicurezza della popolazione, tutela dellepersone deboli delle vittime di reato. Felice Casson ha insegnato diritto dell’am-biente all’Istituto Universitario di Architet-

tura di Venezia e all’Università TelematicaInternazionale UNI-Nettuno. È membro delcomitato scientifico di IAES (InternationalAcademy Enviromental Sciences) diVenezia. Come autore, ha pubblicato:“Banda Armata” (Avvenimenti 1991), ilsaggio “L’opposizione del segreto di Stato”(in “Segreto di Stato o ragion di Stato?”, Attidi convegno, Potenza 1993), “Lo stato viola-to” (Il Cardo 1994), “La fabbrica dei veleni”(Sperling & Kupfer 2007), e “Le fabbrichedei veleni” (La Toletta 2015).

Enzo Ferrara: partiamo dalla sua esperien-za a Porto Marghera. Quali differenzeimportanti vede fra quel processo degli anni‘90 e per esempio i processi Eternit, di cuil’ultimo in corso a Torino. Felice Casson: la prima differenza è crono-logica, nel senso che il processo di PortoMarghera è nato da un’indagine partita nel-l’agosto 1994 a seguito della denuncia fattada un operaio, Gabriele Bortolozzo, e daMedicina Democratica. Questa è una carat-teristica che ritengo molto importante,intendo la presenza di un’associazione e dioperai che in quel momento ripetono unaguerra, una lotta di lunga durata contro que-sti mostri industriali come era PortoMarghera. Fino a quel momento c’era statauna forma di assuefazione da parte dellaclasse politica e sociale veneziana. La magi-stratura aveva sempre archiviato tutto. Devodire che solo la tenacia e la perseveranza diquesti soggetti sociali attivi ha permesso chepartisse una nuova indagine, basata sui datiforniti da loro, poi però estremamenteampliata perché si è rivelata una vicendaestremamente grave e anche molto com-plessa. E questo processo di Porto Marghera– ricordiamolo perché c’è sempre chi ha

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memoria corta – al di là dell’assoluzionegenerale di primo grado con varie formule,ha portato in secondo grado e in Cassazionea condanne degli amministratori delegati diMontedison e di dirigenti e vertici azienda-li, come i direttori generali e il responsabileigienico sanitario. Questo è stato un primorisultato importante.Va ricordato che questaindagine e questo processo si pongono inun’ottica particolare, perché fino a quelmomento se c’erano stati dei procedimentigiudiziari si erano limitati a mettere sottoprocesso o soltanto i responsabili locali osoltanto quelli nazionali. Le difese avevanoperciò gioco facile a scaricare le responsabi-lità degli uni sugli altri, quindi con conse-guenti complessità del procedimento perl’individuazione anche delle responsabilitàpersonali, oltre che del nesso causale. PortoMarghera invece si caratterizza con la segna-lazione al Tribunale di tutti i possibiliresponsabili, sia territoriali sia di verticenazionale di Montedison ed Enichem, pro-prio per invitare i giudici a stabilire se illivello di responsabilità fosse soltanto localeo soltanto nazionale oppure se non vi fosseuna convergenza fra i diversi livelli. Questoè stato un primo segnale con la formulazio-ne dell’omicidio colposo plurimo come ipo-tesi di reato, sostanzialmente, perché ognialtra ipotesi veniva subito o successivamen-te cancellata dalla corte di Cassazione.Enzo Ferrara: questo è l’esito giudiziarioauspicabile dopo il danno: il risarcimento ela bonifica; ma processi come quello diPorto Marghera hanno poi influenzato lecondizioni di lavoro e permesso anche l’o-pera di prevenzione dell’esposizione deilavoratori a sostanze nocive?Felice Casson: direi di sì, localmente, alme-no nella zona di Porto Marghera. Direi addi-rittura che quel processo – chiamiamolo ilgrande processo petrolchimico per differen-ziarlo da altri – ha segnato un passaggio.Perché contemporaneamente ce ne sonostati altri di processi che riguardavano fugheed emissioni pericolose di sostanze cance-rogene i cui responsabili sono stati anchecondannati. Inoltre c’è stato un altro proces-so importante, quello che riguardava laBreda Fincantieri di Porto Marghera per lemorti d’amianto – tra l’altro un processoall’interno del quale stati riconosciuti colpe-

voli i vertici di Breda Fincantieri anche perla morte di tre mogli di operai che lavavanoe stiravano le tute dei mariti, è stato il primocaso di contestazione in Italia anche di que-ste morti con sentenze di condanna definiti-ve. Questa situazione nel suo insieme, conle indagini e processi, certamente ha contri-buito a cambiare la sensibilità ambientaleall’interno e all’esterno della fabbrica.Perché io ricordo in maniera molto chiara enetta che prima, quando sono cominciate leindagini negli anni ‘90 i sindacati stavanodall’altra parte, salvo rare eccezioni. C’era loscontro, i sindacati non accettavano questotipo di indagini, non ancora almeno. Ed èstato faticoso, anche in dibattimento, arriva-re a far sì che le associazioni sindacali sicostituissero come parte civile. Poi l’hannofatto, segno di una maturazione anche ditipo sociale complessiva. Questo non vuoldire che all’interno del sindacato non si siamai fatto niente, perché rispetto all’ambien-te di lavoro degli anni ’70 nel petrolchimicoi sindacati hanno avuto sicuramente unruolo positivo per modificare le situazioniche c’erano prima, devastanti per la salutedei lavoratori. Situazioni che avevano del-l’incredibile. C’era una presa di coscienzadel ruolo importante dei sindacati che hadato origine a passaggi migliorativi dellecondizioni di lavoro – questo lo ha ricono-sciuto poi anche la magistratura – ma anco-ra insufficienti. Tutti questi processi,comunque, hanno contribuito a far crescerela consapevolezza nella società, nella classepolitica e direi anche nella magistratura,perché anche grazie a quella sentenza sononate in seguito sensibilità diverse e sonopartite anche altre azioni giudiziarie sul pas-sato. Enzo Ferrara: lei pensa che ci sia una corre-lazione tra la sentenza di Porto Marghera edi altri processi per reati ambientali è unasorta di declino industriale in Italia?Felice Casson: è un’accusa che qualchevolta viene fatta dagli industriali,ma è senzasenso direi che va rifiutata. Io ricordo adesempio che l’industria di Porto Margheraaveva cominciato a calare in manieraimportante la produzione e gli investimentiquantomeno della fine degli anni ’80. Altempo dei primi anni ’90, quando ENI deci-se di uscirne, il polo chimico di Porto

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Marghera era già in crisi. Questo ha avutoinizio ben prima delle indagini e dei pro-cessi che sono cominciati nel 1994/95. C’eragià stata una scelta di dismissione economi-ca industriale. Poi che ci sia sempre stato eci sia ancora una specie di ricatto occupa-zionale è verissimo. Io ricordo episodi vec-chi ed episodi recenti di interventi dei verti-ci industriali per intimorire, che invitavanoa state attenti perché se si fosse insistito sullatutela dell’ambiente e della salute si sarebbechiusa la fabbrica e la produzione sarebbestata portata altrove. Cito l’intervista delnovembre 1972 – vado a memoria ma èriportato anche nel mio libro “La fabbricadei veleni” e anche negli atti del processo –di Eugenio Cefis, allora Presidente delConsiglio di Amministrazione dellaMontedison. Diceva Cefis fondamentalmen-te: “se i pretori ci condannano per reatiambientali noi chiudiamo e andiamo via”.Una situazione analoga si è ripetuta dapper-tutto in Italia fino alle recenti vicende l’Ilvadi Taranto. È una costante direi addiritturamondiale, perché dappertutto le industriefanno quello che vediamo e che anche io hovisto durante le fasi del processo di PortoMarghera: mettono in pratica queste tattiche,si sono comportate e si comportano così neiprocessi, in questo modo ricattatorio.Enzo Ferrara: che lettura fa del cosiddettodecreto salva Ilva?Felice Casson: io ho evitato di votarlo, ripe-tutamente. Perché a mio modo di vederepresentava e presenta profili seri di illegitti-mità costituzionale, con commistioni traamministrazione e giurisdizione e con inter-venti della politica sull’attività giudiziaria egiurisdizionale assolutamente non consen-titi dalla costituzione. Inoltre non risolvequelli che sono i problemi di base, intervie-ne soltanto successivamente cercando disistemare gli interessi dell’industria, perònon pensando a quel che è della salute delterritorio e dei lavoratori. Sta per partire ilprocesso all’Ilva di Taranto, AmbienteSvenduto. Questi processi sono sempre dif-ficili, soprattutto per il problema di nessocausale che deve essere provato personal-mente. Ciò rende complicato il percorsogiudiziario. Evidentemente, oggi vi sonopoche soluzioni a pochi spazi per fare giu-stizia.

Enzo Ferrara: ultimamente molto processisi sono arenati sul limite della prescrizione.Potrebbe accadere anche per il procedimen-to in corso sulla strage ferroviaria di Viareg-gio, che sembra indirizzato su questa strada… Felice Casson: Io sono tuttora relatore alSenato di un disegno di legge per la riformadel processo penale, che riguarda anche iltema della prescrizione. Ho fatto due propo-ste specifiche: una di carattere generale,sistemico, per cambiare la prescrizioneriguardante tutti i reati. L’idea è di far cessa-re la decorrenza dei termini della prescri-zione a partire dalla sentenza di primogrado. Questo risolverebbe tanti processi etanti problemi legati ai tempi di prescrizio-ne in materia di corruzione, di reati ambien-tali e di morti sul lavoro. Non vedendoperaltro disponibilità nella maggioranza enel governo nell’accettare e portare avantiuna proposta del genere, ho comunque pro-posto un altro emendamento specifico cheriguarda i morti a causa del lavoro. In parti-colare io pensavo a quelli dell’amianto e delCVM (cloruro di vinile monomero, N.d.R.).Questo tipo di reati sono determinati dacomportamenti particolarmente subdoli,occulti nel senso che l’industriale – comedimostrato scientificamente e processual-mente – sa magari da anni e anni che unasostanza è tossica, cancerogena e in alcunicasi anche genotossica, ma evita di informa-re i sindacati, i lavoratori e la società intera.Nasconde questi dati. A un certo puntoquando sono verificate delle morti certa-mente causate dalla lavorazione di sostanzepericolosepuò essere già troppo tardi. Comeaccadde per il CVM nel processone di PortoMarghera per una serie di angiosarcomi delfegato, e abbiamo visto che soltanto per unodi questi casi è stato possibile dichiarare laresponsabilità penale, perché in tutti gli altricasi, gli eventuali reati erano già tutti pre-scritti, era passato tropo tempo. Questiangiosarcomi però erano stati segnalati a noimagistrati solo molto tempo dopo la mortedi quegli operai, avvenuta fino dai primianni ’70. Allora con questo emendamentopotremmo far decorrere la prescrizione per imorti causati da violazioni della legge diigiene e sicurezza sul lavoro, dal momentodella loro segnalazione alla Procura della

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Repubblica, dell’acquisizione della notiziadel reato. In questo modo si consentirebbeallo Stato di intervenire punendo gli even-tuali responsabili e soprattutto alle vittimedi avere giustizia. Ho esteso questo emenda-mento anche ai reati ambientali perchéspesso – sto pensando a tante discaricheocculte – vengono scoperti solo anni dopo,quando il reato è già prescritto, come è suc-cesso anche per Porto Marghera dove tantireati ambientali sono stati dichiarati pre-scritti. Se la prescrizione comincia a decor-rere da quando si ha la notizia di reato, si dàagli organi inquirenti e alla magistratura iltempo necessario per decidere. Questo dise-gno di legge sul processo penale è ancora inpiedi; al momento è sospeso per equilibri dimaggioranza. Verrà probabilmente ripresodopo il referendum del 4 dicembre. Enzo Ferrara: la partecipazione dei lavora-tori nelle fasi di elaborazione giuridica e pra-tica di difesa della loro salute, pensa chepossa essere meglio garantita da procedurecome la valutazione di impatto ambientale(VIA), sulla salute (VIS) e simili per quelloche riguarda le grandi opere o altre attivitàlegate a grandi impianti industriali?Felice Casson: io penso che se fossero fatteseriamente le valutazioni di impattoambientale, quelle strategiche, poi tutte levarie diversificazione che sono uscite anchenormativamente, se fossero fatte seriamentesarebbero sufficienti. Bisognerebbe tra l’altroanche introdurre dappertutto in tutte lesituazioni del nostro ordinamento quelloche in Francia chiamano il Debat Publique,cioè l’anticipare le valutazioni di impattosul territorio da parte dei cittadini, dellecategorie interessate, anche di quelle deilavoratori, ma in tempi predeterminati eanticipatori rispetto a ogni decisione.Questa potrebbe essere una soluzione anchemigliore. Il problema di fondo, però, credoche sia quello della composizione di questecommissioni. Se gli esperti che le compon-gono sono davvero ricercatori autonomi,scienziati e tecnici indipendenti è un conto.Se invece sono portatori di altri interessi osubiscono pressioni politiche di vario gene-re è ovvio che la tutela dei lavoratori è moltoa rischio. Enzo Ferrara: pensa che per tutti questireati che mettono insieme produzione indu-

striale, grandi opere, ambiente e salute deilavoratori la costituzione di una Procuranazionale possa essere una soluzione?Secondo la redazione di MD una tale pro-cura sarebbe utile anche in correlazione conquella Antimafia. Felice Casson: è una discussione che si fa damolti anni. Tendenzialmente, la primarisposta che devo darle è positiva perchéimplicherebbe una specializzazione deimagistrati, non solo di quelli inquirentidella Procura della Repubblica, ma anchedei GIP e dei tribunali. Questo sarebbe indi-spensabile perché con frequenza vediamo –

nel penale soprattutto ma qualche voltaanche nelle cause civili che riguardano lemalattie professionali e i morti di amianto –che non sempre i giudici hanno una prepa-razione adeguata. Sarebbe opportuno creareanche nella giurisdizione una formazioneparticolare. Per la Procura questo vale amaggior ragione perché i delitti ambientali,i reati che hanno a che fare con la morte deilavoratori sono davvero complessi e richie-dono molto lavoro. Per quanto mi riguarda– visto che nella mia professione ho trattatoanche il terrorismo – devo dire che per certiversi e certe situazioni, i reati ambientali equelli per le morti sul lavoro possono esseremolto più complicati perfino rispetto al ter-rorismo. Una Procura unica sarebbe certa-mente auspicabile. Il problema è che non siravvisa nessuna volontà politica in questosenso e portare una Procura del genere sottol’Antimafia o l’Antiterrorismo a mio mododi vedere sarebbe sbagliato. Perché chi famafia e terrorismo praticamente non saniente o quasi delle questioni ambientali, se

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non casualmente per conoscenza da un cur-riculum professionale precedente sui reatiambientali. Invece servirebbero davverouna formazione e una specializzazione inquesto settore di una categoria di magistrati.Comunque questa intenzione non c’è. Lodico perché quando in Parlamento l’annoscorso abbiamo pur faticosamente e dopodecenni fatto passare una normativa che haintrodotto i delitti ambientali, siamo staticostretti a situazioni di compromesso chenon hanno certo fatto uscire il testo miglio-re possibile. Per la stesura della legge tra l’al-tro c’era stata una collaborazione importan-te di Medicina democratica. Abbiamo senti-ti alcuni rappresentanti di MedicinaDemocratica in commissione Giustizia alSenato e alcune loro proposte sono stateinserite, fra cui quella di tutela dei lavorato-

ri dell’amianto. Però i compromessi deigruppi politici in Parlamento hanno portatoa un risultato ancora insoddisfacente, qual-cosa è stato fatto ma molto di più si potevafare. Per una Procura nazionale in materiaambientale credo che le difficoltà sarebberoancora maggiori. Inoltre, va osservato cheattualmente il sistema dei controlli è suddi-viso fra enti diversi; la situazione è negativaanche perché oltre ad avere diverse istitu-zioni abbiamo anche competenze diversifi-cate e c’è chi è preparato e chi non lo è, chisubisce le influenze della politica e delmondo economico e chi no. Anche in que-sto caso, bisognerebbe preparare i controllo-ri a fare i controllori davvero, avere ricerca-tori, scienziati e tecnici indipendenti, ingrado di resistere a pressioni esterne.

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*Avvocato,MedicinaDemocratica -Sezione PietroMirabelli, Firenze.

dossier 107

Sportello Salute di MedicinaDemocratica Firenze: due sentenze esemplari contro l’INAILdi Alessandro ROMBOLÀ*

Ormai da anni la Sezione di MedicinaDemocratica Pietro Mirabelli di Firenze hareso attivo un sportello salute.Tra le altre consulenze prestate ai lavoratori,vi è quella che gestisce con ( o, per megliodire, contro ) l’INAIL le vertenze di ricono-scimento della natura professionale di pato-logie da cui risultano affetti i lavoratori.Negli ultimi tempi il numero di tali casi haregistrato un notevole aumento dovuto adue diverse circostanze.La prima è ravvisabile in una oggettiva ridu-zione delle condizioni di sicurezza e salutedei lavoratori all’interno dei luoghi di lavo-ro; circostanza favorita anche da una sostan-ziale riduzione dei controlli da parte degliorgani statali adibiti alla prevenzione e con-trollo dovuta alle sempre minori risorse chelo stato destina a tali funzioni che, vicever-sa, dovrebbero semmai essere rafforzati; laseconda a novelle legislative che, nel nomedi un malinteso impegno alla semplificazio-ne burocratica e alla libertà d’impresa,hanno di fatto indebolito i poteri di control-lo ( e di repressione laddove fosse accertatala presenza di illeciti da parte datoriale) sulrispetto della vigente normativa in materiadi sicurezza sui luoghi di lavoro.Tra i molti casi seguiti, giova ricordare duerecenti sentenze che hanno visto ricono-sciuti i diritti dei lavoratori.Nel primo caso una lavoratrice del pubblicoimpiego statale ha chiesto l’assistenza diMedicina Democratica lamentando unostato di malattia provocato dalle avversecondizioni lavorative. La pratica INAIL si èconclusa con diniego da parte dell’ente assi-stenziale per carenza del nesso di causalità.A seguito di azione giudiziaria avanti alTribunale di Prato, alla lavoratrice è statoriconosciuto il diritto all’indennizzo in

quanto il giudice del lavoro ha riconosciutola natura professionale della patologia.Si tratta di una causa da segnalare per mol-teplici motivi.Innanzitutto è uno dei rari casi in cui vienericonosciuto il nesso di causalità per unamalattia che non rientra nelle tabelle INAIL.In questi casi, come noto, la costante giuri-sprudenza della Corte di Cassazione è uni-voca nel ribadire il principio che l’onere pro-batorio è interamente a carico del lavoratore.Nel corso dell’istruttoria svoltosi avanti alTribunale pratese, era stato provato, con laproduzione di documenti e le dichiarazionirese da numerosi testimoni, come partedatoriale avesse tenuto condotte mobbizzan-ti a danno della lavoratrice. Nonostante taliprove, il consulente medico legale nomina-to dal giudice aveva escluso che si potesseravvisare un nesso di causalità tra tali com-portamenti illeciti ( ancora più censurabili inquanto posti in essere da un ente pubblico)e la malattia della dipendente.A seguito delle note critiche dei consulentimedici di Medicina Democratica, il Giudice- disattendendo le conclusioni del Con-sulente Tecnico d’ Ufficio fatto rarissimo) -ha riconosciuto il diritto della lavoratriceritenendo che vi è responsabilità datorialeanche nel caso che le sue condotte illegitti-me siano semplici concause dell’insorgeredella patologia.Tale principio è decisivo nelle ipotesi dimalattie tabellate e lo stesso giudice di legit-timità ha iniziato a riconoscere la concausa-lità come elemento sufficiente per affermarel’obbligo di indennizzo a carico dell’INAIL.A tale riguardo si possono ricordare alcunerecenti sentenze della stessa Cassazione.Infatti: “nella materia degli infortuni sullavoro e delle malattie professionali, trova

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diretta applicazione la regola contenuta nel-l’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale traevento e danno è governato dal principiodell’equivalenza delle condizioni secondocui va riconosciuta efficienza causale adogni antecedente che abbia contribuito,anche in maniera indiretta e remota, allaproduzione dell’evento ( Cass. Civ sez lav17.06.2011 n. 13361).Anche in precedenza la Suprema Corteaveva rilevato come per il nesso di causalitàfosse sufficiente una situazione di fatto taleda assumere il ruolo di concausa nel deter-minismo dell’effetto dannoso ( cfr Cass. civsez. lav. 25.08.1986 n. 5175: Cass. civ. sezlav. n. 4808 del 30.05.1997; Cass. civ. sez.lav. n,. 2002 del 2.02.21005; Cass. civ. sez.lav. n. 1570 del 26.01.2010; Cass. civ. sez. IIIn. 20996 del 27.11.2012; Cass. civ. sez. III n.2185 del 31.01.2014).Ed ancora è stato osservato come “in mate-ria di rapporto di causalità , in base ai prin-cipi di cui agli artt. 40 e 41 cod.pen., qualo-ra la condotta abbia concorso, insieme a cir-costanze naturali, alla produzione dell’e-vento e ne costituisce un antecedente cau-sale, l’agente deve rispondere per l’interodel danno che altrimenti non si sarebbeverificato….devono essere addebitati all’a-gente i maggiori danni o gli aggravamentiche siano sopravvenuti per effetto della suacondotta anche a livello di con causalità enon di causa esclusiva” ( Cass. civ. sez. III n.9528 del 12.06.2012).In senso conforme si veda anche Cass. civ.sez. lav. n.13400 del 8.06.2007.

Il secondo caso riguarda invece una malat-tia tabellata.Una lavoratrice, dopo molti anni di lavorocome assistente in strutture di residenza peranziani, aveva chiesto il riconoscimento dimalattia professionale ricevendo però undiniego da parte dell’INAIL di Firenze conla consueta motivazione: carenza del nessodi causalità.Con l’assistenza medico legale e giudiziariadi Medicina Democratica, la lavoratricericorre al Giudice del Lavoro del Tribunaledi Firenze.Espletata la consulenza d’ufficio, viene rico-nosciuto il diritto della lavoratrice e l’INAILviene condannata al pagamento dell’inden-nizzo per inabilità avendo il giudice accer-tata la natura tabellata della patologia.Il caso viene segnalato in quanto è l’ennesi-ma riprova della politica troppo frequente-mente assunta dall’ente previdenziale,ovverossia negare il diritto del lavoratoreanche nelle ipotesi di malattie tabellate.Si tratta di una condotta assolutamente cen-surabile in quanto in tal modo viene negatoil diritto alla salute riconosciuto a tutti i cit-tadini ( nei casi di cui ci occupiamo deilavoratori) dalla carta costituzionale.Respingendo tale diritto, l’INAIL obbliga illavoratore affetto da patologie tabellate adun difficile percorso giudiziario.Tale comportamento dovrà essere denun-ciato con gli strumenti de caso da partedelle associazioni che operano a tutela deldiritto alla salute e quindi anche daMedicina Democratica.

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*MedicinaDemocratica,Sezione di Milano eProvincia.

dossier 109

Risarcimenti e prevenzione

di Dario MIEDICO*

Ritengo utile riprendere qui alcuni concettidi quanto già scritto nell’articolo dal titolo:“INAIL: ente previdenziale o ricco serbatoioper padroni e governo” pubblicato nel n.201-206 di Medicina Democratica del gen-naio 2012 nel quale si evidenziavano leprincipali carenze di una prassi che solita-mente impedisce ai lavoratori di vedersirisarcire i danni alla salute subiti al seguitodella propria attività lavorativa.Il nostro impegno per le condanne deiresponsabili e per l’indennizzo dei lavorato-ri e dei cittadini colpiti è però uno strumen-to importante anche per consentire unamaggiore presa di coscienza del diritto allasalute ed alla sicurezza non solo da partedelle vittime, che purtroppo spesso sonoormai anziane o decedute, quanto deglieredi e dei lavoratori nel loro insieme.Fin dalla sua nascita Medicina Democraticaè sempre stata in prima linea nel sostenerele ragioni dei lavoratori e dei cittadini nellevertenze contro la nocività della produzioneindustriale, nocività che si è sempre concre-tizzata sia dentro che fuori dalle fabbriche edei diversi posti di lavoro sotto forma diinfortuni, malattie professionali ed inquina-mento e distruzione del territorio, dell’aria edell’acqua circostante, spesso con malattia emorte per migliaia e migliaia di operai e dicittadini.Questo impegno di Medicina Democraticasi è tradotto nel tempo in variegate formeconcrete, a partire appunto dai cosiddetti“Sportelli Salute” che sono state di volta involta l’aiuto attraverso i propri tecnici nel-l’analisi del ciclo produttivo per individua-re le modalità e/o le quantità di fuoriuscitadelle sostante tossico nocive, nel compren-dere la loro specifica modalità di danneg-giamento della salute, nel raccogliere dati

sanitari, nel sostenere il ruolo di consulentinelle diverse vertenze giudiziarie, nel patro-cinare le stesse con i propri legali, ma anchenel costruire o nel partecipare ad assemblee,dibattiti, convegni, nei quali spiegare leragioni del proprio intervento e soprattuttonell’invitare i lavoratori ed i cittadini a farsipromotori e a partecipare in prima personaa queste battaglie per la salute.Grazie a questo impegno in diverse localitàsono state interrotte produzioni di morte,modificati processi produttivi, risarcitemigliaia di persone e, a volte, condannatidirigenti aziendali, amministratori incapacio corrotti, responsabili di omicidi inspiega-bilmente definiti bianchi o di lesioni gravis-sime alla salute ed alla capacità di lavoro edi vita autonoma.Riconoscere a Medicina Democratica que-sto fondamentale ruolo sostenuto a partiredagli anni 70, però, non può e non deve farpensare che in questa attività la nostraOrganizzazione sia stata sola o abbia l’interomerito dei risultati ottenuti.Fortunatamente le organizzazioni che si bat-tono su questo terreno sono state molte emolto impegnate sia a livello locale chenazionale, ed individualmente o a gruppi,soprattutto in quegli anni, lavoratori e citta-dini organizzati hanno promosso, denun-ciato e sostenuto numerosissime vertenzelegali e sindacali, ma in questo hanno trova-to al loro fianco decine e decine di tecnicidelle strutture di controllo e prevenzione, dimedici consapevoli, di legali schierati, dimagistrati onesti e coraggiosi, ed è questasinergia che ha consentito di ottenere inmoltissimi casi la corretta applicazione dinorme e leggi che erano state ottenute da unmovimento operaio che si era posto il pro-blema della tutela della propria salute, uti-

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lizzando anche in questa direzione la pro-pria capacità organizzativa ed il potere con-trattuale acquisiti in anni e anni di lotte.Non v’è chi non veda come nel corso diquasi cinquant’anni la situazione si siamodificata, non solo sotto il profilo dellapartecipazione alle lotte, ieri veramenteestesa, oggi ridotta a piccoli gruppi, masoprattutto sotto il profilo dei rapporti diforza, dove una classe operaia ed un movi-mento sindacale incapaci di difendere idiritti acquisiti, il lavoro fortemente preca-rizzato ed un governo che modifica costan-temente in senso peggiorativo le condizionidi vita e di lavoro di milioni di cittadini ren-dono sempre più difficile la difesa dellasalute e l’impegno in questo senso sia deilavoratori che dei tecnici disponibili a soste-nerli.Altrettanto evidente, però, è la contraddi-zione di un sistema che, pur avendone l’in-teresse,non può sconfessare platealmente leconcessioni del passato varate sotto il profi-lo della civiltà e della tutela della salutepubblica.Le leggi che vengono modificate in peggiodevono comunque mantenere formalmentei richiami ai principi costituzionali, per cuile modifiche vanno ad agire più sugli stru-menti di esercizio del diritto che sul dirittostesso ed inoltre questo non consente leaccelerazioni che la logica del profitto e del-l’egemonia di questo su ogni altro aspettodella vita pubblica vorrebbero.Questa contraddizione, di fatto, lascia note-voli spazi per un utilizzo di alcuni strumen-ti amministrativi e legali che il semplice rap-porto di forza tra le classi non consentireb-be.Anche sotto questo profilo Medicina Demo-cratica ha commentato e giudicato negativa-mente le proposte di modifica Costituzio-nale sottoposte a referendum, del quale infase di stesura di questo articolo non cono-sciamo ancora i risultati, ma siamo consa-pevoli dei nefasti effetti che potrebbero por-tare, qualora applicate, alla salute indivi-duale e collettiva poiché ridurrebbero ulte-riormente gli spazi di controllo da partedella popolazione che a livello locale inmolte occasioni si è opposta a opere grandio piccole estremamente nocive per il territo-rio ed i suoi abitanti.

È alla luce di queste considerazioni che cre-diamo debbano essere valutati gli sforzi diMedicina Democratica che hanno visto,negli ultimi anni, crescere esponenzialmen-te sia i procedimenti legali verso grandi epiccole aziende, nei quali le vittime poteva-no essere centinaia ma anche solamentepoche persone, ma anche gli Sportelli salu-te, nei quali operai, avvocati e tecnici dellasalute e dell’ambiente assistono lavoratori ecittadini che sono stati vittime di malattieprofessionali ed infortuni, oltre che di epi-sodi di malasanità o di ingiustizia.Ovviamente ciò non vuole dire che Medici-na Democratica abbia modificato la sua stra-tegia iniziale abbandonando quella di movi-mento a tutela della salute attraverso la pre-venzione per perseguire quella del risarci-mento economico dei danneggiati, e questonon solo perché continua a promuovere lapartecipazione di massa a qualunque ver-tenza alla quale partecipa ma, soprattutto,perché le due strade non sono divergenti epossono essere complementari nella comu-ne battaglia per la salute individuale e col-lettiva.Come? In diversi modi.Purtroppo la legge attribuisce al datore dilavoro il compito di tutelare la salute deisuoi dipendenti, e spesso anche per quantoriguarda l’inquinamento esterno questi agi-sce in regime di autocontrollo, ma nontiene conto del fatto che il datore non ne hainteresse perché i costi risparmiati attraver-so la mancata prevenzione sono destinatiad aumentare i profitti, e quindi agire perottenere significativi risarcimenti (non solodei lavoratori e dei cittadini vittime maanche di tutti coloro che si possono costi-tuire parte civile tipo sindacati, organizza-zioni ambientalistiche, istituzioni, ammini-strazioni pubbliche etc.) possono essere unvalido argomento per costringere i Consiglidi Amministrazione a destinare alla sicu-rezza somme ed attenzioni ben più adegua-te. Anche le denunce in sede penale, anostro giudizio, rivestono una importanzanotevole.Lungi da noi l’idea di far marcire in galeraqualcuno, ma la ricerca della verità e dellagiustizia in questi casi sono indispensabiliper provare non solo i danni ma anche leresponsabilità, sia individuali che collettive,

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sia dei datori di lavoro che di coloro cheavrebbero dovuto controllare e non lohanno fatto.In questo senso la condanna, quantomeno anon poter più esercitare il ruolo di ammini-stratore, dirigente o qualsiasi altra incom-benza anche nelle istituzioni pubbliche puòessere utile ad impedire che i responsabilipossano continuare a perpetuare gli stessidanni. Questi percorsi, processuali o anchesolo amministrativi, non potranno inoltreche essere utili ai colleghi delle vittime maanche a tutti coloro che chiederanno di esse-re adeguatamente informati, al fine di com-prendere meglio quali meccanismi hannofatto si che nonostante il pericolo fosse sottogli occhi di tutti non sia stato posto rimedioed il danno sia diventato definitivo.Particolarmente utile sarà quindi l’analisidelle condizioni che hanno portato all’infor-tunio o alla malattia professionale, perchémoltissimi elementi sono comuni a tutti gliinfortuni o alla contrazione di malattie pro-fessionali (non scordiamo in questo quantosia stata di aiuto nel passato l’epidemiologiaper consentire di definire professionalipatologie che prima sembravano del tuttoestranee all’ambiente di lavoro o alle sostan-ze prodotte), ed individuarli non può chefornire indicazioni precise per chiederemodifiche sostanziali degli impianti e del-l’organizzazione del lavoro nell’ottica diuna vera prevenzione primaria.Sarà quindi questa una vera e propria scuo-la, in particolare per gli RLS ma anche perqualsiasi lavoratore o cittadino, per impara-re a gestire dal basso le vertenze a tuteladella salute.A Savona, ma non solo, il rapporto tra tec-nici e lavoratori ha consentito di organizza-re anche specifici Corsi per RLS e lavoratorisindacalmente impegnati, nei quali non èstata fornita la generica informazione chequesti ricevono quando ad organizzare efinanziare i Corsi sono i datori di lavoro, masono stati particolarmente approfonditi idiritti degli RLS, le potenzialità del lororuolo, le modalità con le quali possono eser-citarlo ed infine anche i pericoli connessi aduna corretta esecuzione di questo ruolo se

praticato senza un adeguato supporto daparte dei colleghi che rappresentano, stantela capacità dei padroni di individuare e pre-venire (leggi punire in anticipo. In questoconoscono molto bene i principi della pre-venzione) i danni alle loro finanze che unRLS adeguatamente formato gli può procu-rare.Anche le specifiche vertenze nei confrontidell’INAIL hanno poi una loro valenza nonesclusivamente economica.Si pensi solo, ad esempio, all’elenco dellepatologie tabellate, per le quali il lavoratorenon dovrebbe più dimostrare il nesso dicausalità essendo lo stesso già presunto(anche se in realtà il comportamentodell’INAIL è tale che spesso di deve ricorre-re in tribunale per vedersi riconosciuto undiritto già acquisito), che si espande proprioin base al numero di richieste e di ricorsiche vengono fatti rispetto a nuove patologieprecedentemente non comprese.Il fatto di ottenere il riconoscimento di unamalattia professionale, inoltre, spesso apregli occhi ad altri lavoratori e, di conseguen-za, costringe tutti a rivedere l’organizzazio-ne del lavoro e ad inserire nel Documento diValutazione di Rischio situazioni e modalitàprima neppure prese in esame.Tutta questa serie di attività, quindi, che peressere agite richiedono non solo partecipa-zione diretta dei lavoratori ma soprattuttouno stretto lavoro sinergico tra le varie figu-re interessate, quindi anche tecnici, medici,legali, consentono non solo di risolvere nel-l’immediato qualche singola vertenza maanche di pensare ad obiettivi ad un livellopiù elevato: valga per tutti la vertenza esem-plare dei compagni di Matera che hannocoinvolto elementi di spicco a livello regio-nale per ottenere riconoscimenti per lemogli dei lavoratori esposti all’amianto allequali, una volta scomparsi i mariti, nessunopensava più.Si ritiene quindi che l’impegno di MedicinaDemocratica anche nelle singole vertenzeeconomiche, portate avanti sia a livelloamministrativo che nelle aule dei tribunali,stia a pieno titolo nella strategia che la defi-nisce Movimento di Lotta per la Salute.

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Si ai diritti No ai ricatti:salute, lavoro, ambiente, red-dito e cultura

a cura del Comitato Cittadini Lavoratori Liberi Pensanti (Taranto)*

Medicina Democratica numeri 227-230 maggio / dicembre 2016

*http://www.liberie-pensanti.it

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Il Comitato Cittadini Lavoratori Liberi ePensanti nasce il 30 Luglio 2012 con l’obiet-tivo di superare il conflitto ambiente-lavoro,al fine di vedere garantiti una volta per tuttela tutela della salute e dell’ambiente, coniu-gata alla piena occupazione.Per la prima volta, intorno al Comitato, siriuniscono operai Ilva, lavoratori, disoccu-pati, precari, studenti, professionisti, cittadi-ni che pretendono di essere al centro di ognidecisione politica sul futuro di Taranto.Ritengono complice del disastro ambientalee sociale che da cinquant’anni costringe lacittà di Taranto a dover svendere i diritti incambio del salario l’intera classe politica esindacale, colpevole di salvaguardare i pro-fitti dei Riva prima e dell’ amministrazionestraordinaria ora, a scapito della vita e dellasalute dei lavoratori.Il 2 Agosto del 2012, durante il comizio deisegretari nazionali di Cgil - Cisl - Uil, dopoaver chiesto, invano, la possibilità di espri-mere il proprio pensiero, un tre ruote (dive-nuto il simbolo del Comitato) con a bordoalcuni membri, irrompe in piazza dellaVittoria e Cataldo Ranieri prende la parola“Taranto, ecco la prima vittoria delComitato Cittadini e Lavoratori Liberi ePensanti. Non parlate più voi, parliamo noiche abbiamo subito le vostre bastardate,perchè fino ad oggi di noi ve ne siete fregati.Avete solo parlato e volete continuare a par-lare. Noi vogliamo i fatti. Chiedo scusa atutti quanti se ci siamo introdotti così pre-potentemente, ma è la rabbia dei cittadini edei lavoratori...Coloro che parlano sempre enon agiscono mai hanno ottenuto da noidemocraticamente una richiesta di interve-nire per poter dire la nostra opinione, manon ci hanno risposto... I lavoratori voglionoessere rappresentati da chi parla per i loro

diritti e qua, a Taranto, il sindacato non loha mai fatto. Per questo siamo vittime diquesto ricatto. Per la prima volta cittadini elavoratori sono insieme mentre azienda esindacato sono insieme, come sempre”.Il tema della sicurezza per i lavoratoridell’Ilva è una questione importante che ilComitato Cittadini e Lavoratori Liberi ePensanti ha sempre affrontato senza pelisulla lingua e senza timore alcuno di poteressere smentito.Nel corso degli anni, ma anche in quelli pre-cedenti il 2012, il Comitato, sempre con l’u-nico obiettivo di tutelare la vita e la salute dicittadini e lavoratori, ha portato alla luce,con denunce e documenti fotografici e fil-mati, fatti e misfatti di una fabbrica che nonha mai smesso di produrre nonostante glipseudo-sequestri della magistratura. E’ inu-tile dire che gli organi preposti al controlloed i sindacati non hanno mai evidenziato nèdenunciato quella che era e che è la realtàdell’Ilva: una fabbrica piena di amianto,decadente e senza liquidità per poter ottem-perare alle norme minime in materia disicurezza sul lavoro. Prova ne sono i setteincidenti mortali avvenuti dal 2012 e gliinnumerevoli incidenti causati dalla fati-scenza degli impianti.Da un censimento effettuato da Ilva e aggior-nato al 30 giugno 2014, l’amianto è presen-te nei seguenti impianti: Agglomerato 1(impianto dismesso, linee A e B); Sottopro-dotti (impianto dismesso); Batterie 1 e 2(impianto dismesso); AFO 1 (impiantovento caldo toro e collettore) e cowpers;AFO 2 (impianto vento caldo toro e collet-tore) e cowpers; AFO 3 (impianto dismes-so); AFO 4 (cowpers); AFO 5 (cowpers);QUA LAM LAB; Acciaieria 1, piano con-vertitori; Bra (impianto dismesso); ERW;

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Laminatoio a freddo; Cabine, sottostazioni ecarriponte; Carroponte 68 e 14 della CCO5ed ex BRA 1; FOP carroponte “pinza 0”(impianto dismesso); COB 1 (tubazionidismesse); ENE – Ponte nastro; ACCIAIE-RIA – Tubazioni dismesse e guarnizioni c/opiazzale verniciatori, capannone ex FOP 2 eCentralina Nafta; CCO 4 – PULPITOTAGLIO; IMA2/EST III Sporgente; ENE –sala pompe OCD III sporgente (impiantodismesso). Tale censimento è sicuramenteparziale in considerazione della necessità,rappresentata dall’ex Commissario Bondi,di effettuare ben 1300 interventi su amiantoche non possono non riguardare ancheimpianti diversi da quelli appena menzio-nati per un totale di circa 40 impianti comeaffermato dai tre commissari straordinari inoccasione di una ispezione effettuata daiparlamentari europei D’Amato, Evi, Ferrarae Pedicini. Sulla questione amianto ilComitato Cittadini e Lavoratori Liberi ePensanti ha prodotto diversi esposti:- ottobre 2014: contro l’Ilva per la presenzadi amianto che ricordiamo essere fuori leggedal 1992;- settembre 2015 e ottobre 2015: controFim/Cisl, Uil/Uilm e Fiom/Cgil in meritoall’art.50 decreto legislativo n.81/08 per lamancata applicazione delle misure di sicu-rezza e di protezione della salute dei lavora-tori;- febbraio 2016 esposto contro i sindacati dicategoria, Amat (azienda municipalizzataper il trasporto urbano) e Sindaco di Tarantoper aver i primi invitato i lavoratori a scio-perare con le tute di lavoro nonostante idivieto dello Spesal ad uscire dalla fabbricacon indumenti da lavoro indosso e i secon-di ed il terzo per aver ordinato che gli gliautobus, utilizzati per lo spostamento deglioperati dalla fabbrica al luogo da dove sareb-be partita la manifestazione, fossero rimessiin circolazione senza essere preventivamen-te igienizzati e decontaminati.Inoltre è indispensabile evidenziare chesolo dal 5 giugno 2015 è fatto il divieto ailavoratori di uscire dallo stabilimento conindumenti di lavoro. Fino a questa data ilavoratori IGNARI delle conseguenze,hanno portato le tute da lavoro nelle lorocase, presso le loro famiglie mettendo a

rischio di contaminazione i propri cari.Approfondimento a parte meritano i localiadibiti al servizio mensa, come documenta-no le foto, non possono per niente essereconsiderati luoghi sicuri per i lavoratorivisto lo stato in cui versano. Solo a partiredal 17 marzo 2016 l’azienda vieta, in osser-vanza ad una prescrizione dello Spesal delsettembre dell’anno prima, l’utilizzo delletute da lavoro nei locali adibiti alla mensa,tute che, è bene ricordarlo sono pericolose,per stessa ammissione dell’azienda, per lapresenza di sostanze cancerogene. Inoltrenel verbale di ispezione dello Spesal n°388/2015 del 25.09.2015 si legge – tra lealtre cose – che parte della pavimentazionedel refettorio DIM/SUD ex PLA/1 si presen-ta in condizioni tali da non consentirne unafacile pulizia e detersione; le bocchette diareazione delle mense ACC/1 e IMA/3 nonsono tenute in stato di pulizia e si presenta-no ricoperte di polvere nera; presso lamensa ACC/1 si verifica il distacco di fram-menti di pittura dal soffitto e presenza dialcune ragnatele; nei locali mensa ex PLA/1e IMA/3 operai di alcune ditte indossavanotute da lavoro visibilmente insudiciate. Ledomande alle quali nessuno sa o vuolerispondere, benchè meno i sindacati sono:le mense e i refettori dello stabilimento Ilvadi Taranto possono essere considerati luo-ghi sicuri per i lavoratori? Perché in trent’an-ni non è mai stato fatto niente?L’azione del Comitato per garantire la sicu-rezza e la tutela della salute non è rivoltasolo verso i lavoratori, ma anche verso i cit-tadini di Taranto ed in particolare verso ibambini del quartiere Tamburi.Il Comitato è stato il solo a denunciare ilbluff delle bonifiche al quartiere Tamburi ela falsa bonifica delle scuole materne, ele-mentari e medie dello stesso quartiere chenon sono dotate di un sistema di pre-filtrag-gio e di ricircolo dell’aria così come prevedeil Decreto ministeriale del 1975 sostituitodalla Legge n.23 de 11 gennaio 1996 inmateria di edilizia scolastica.Dalla sua nascita non è passato un solo gior-no senza che questo Comitato si sia spesoaffinché i cittadini di Taranto non venisserolasciati soli di fronte alle malattie terribiliprovocate dai fumi, dalle polveri e dai vele-

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ni di quei camini ed i lavoratori senza lavo-ro. Per questa ragione il Comitato è impe-gnato sul fronte della sanità elaborando, coni dottori dell’Ospedale “G.Moscati”, un pro-getto per avere a Taranto un Polo onco-ema-tologico con una struttura giuridicamenteautonoma e per ottenere, attraverso unaderoga al decreto ministeriale 70, una esen-zione ticket straordinaria per tutti i cittadiniresidenti nei Sin di Taranto e Statte.Le proposte del Comitato però vanno oltre:ha presentato una bozza di proposta dilegge che prevede un accordo interconfede-rale, così come avvenuto a Genova, attra-verso cui tutelare e garantire la salute dioperai e cittadini e la salvaguardia dei livel-li occupazionali dei dipendenti e dell’in-dotto attraverso:- l’elaborazione e l’attuazione di progetti dipubblica utilità (impiego dei lavoratori inesubero in lavori socialmente utili);- la chiusura programmata e la demolizionedello stabilimento (a carico dello Stato e uti-lizzando i fondi di coesione europea) chesarà oggetto della riconversione, impiegan-do i lavoratori (Ilva e indotto) nello sman-tellamento di tutte le strutture impiantisti-che, meccaniche ed elettriche;- la bonifica, previa nuova formazione ditutti i lavoratori (utilizzando il FondoSociale Europeo e/o i fondi per la formazio-ne continua per i dipendenti d’imprese pri-vate che sarebbero di competenza dellaRegione Puglia), del suolo, del sottosuolo edelle falde;

- la mobilità lunga finalizzata al prepensio-namento con un accordo, che stabiliscacosti, modi, tempi e beneficiari;- incentivi all’esodo (da quantificarsi e acarico dello Stato) e accesso al Fondo euro-peo di adeguamento alla globalizzazione(FEG/FEAG) per offrire un sostegno ai lavo-ratori “in esubero in conseguenza di tra-sformazioni rilevanti della struttura delcommercio mondiale dovute alla globaliz-zazione, nei casi in cui tali esuberi abbianoun notevole impatto negativo sull’econo-mia regionale o locale”- estensione dei benefici della legge sull’a-mianto fino a completamento della bonificadi tutti i reparti contaminati e chiediamoche siano effettuati screening sanitari gra-tuiti per tutti i lavoratori dello stabilimento,così come promesso dall’ex ministroBalduzzi a fine 2012: “Entro il 2013 il gover-no eseguirà lo screening per tutti i lavorato-ri”, ovviamente ciò non è mai stato fatto.Il Comitato ha sempre ribadito che l’unicavera scommessa, che la città di TarantoDEVE vincere salvaguardando lavoro esalute, sarà quella della chiusura program-mata di tutte le fonti inquinanti, della boni-fica e della formazione e reimpiego deglioperai che garantirebbe lavoro per i prossi-mi decenni, sviluppando inoltre, manodo-pera altamente specializzata. Negli anni ’60prima e negli anni ’90 poi fu fatta la sceltasbagliata (come lo stesso ex Presidente dellaRepubblica Napolitano ammise), facciamoin modo di non ripetere gli stessi errori!

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*Avvocato penali-sta, Brindisi.

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Decreti “ad ilvam”.Una storia simbolica dellostato presente del costumelegislativo italianodi Stefano PALMISANO* “[…] l’aggiudicatario [….] in qualità diindividuato gestore, può presentare appo-sita domanda di autorizzazione dei nuoviinterventi e di modifica del Piano dellemisure e delle attività di tutela ambientalee sanitaria approvato con decreto delPresidente del Consiglio dei ministri 14marzo 2014, o di altro titolo autorizzativonecessario per l’esercizio dell’impianto[….] La modifica del Piano delle misure edelle attività di tutela ambientale e sanita-ria o di altro titolo autorizzativo necessarioper l’esercizio dell’impianto, sono dispo-ste, nei quindici giorni successivi alla con-clusione dell’istruttoria, con decreto delPresidente del Consiglio dei ministri [….] Il decreto, che ha valore di autorizzazioneintegrata ambientale, tiene luogo ovenecessario della valutazione di impattoambientale e conclude tutti i procedimentidi autorizzazione integrata ambientale incorso presso il Ministero dell’ambiente edella tutela del territorio e del mare.Il piano di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014 siintende attuato se entro il 31 luglio 2015sia stato realizzato, almeno nella misuradell’80 per cento, il numero di prescrizioniin scadenza a quella data. [….] il termineultimo per l’attuazione del Piano, com-prensivo delle prescrizioni di cui al decre-to del Ministro dell’ambiente e della tuteladel territorio e del mare 3 febbraio 2014, n.53, è fissato al 30 giugno 2017. Tale termi-ne può essere prorogato, su istanza del-l’aggiudicatario [….] con il decreto delPresidente del Consiglio dei ministri diapprovazione delle modifiche del Pianodelle misure e delle attività di tutelaambientale e sanitaria e per un periodonon superiore a 18 mesi [….]”L’osservanza delle disposizioni contenute

nel Piano di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014,nei termini previsti dai commi 4 e 5 delpresente articolo, equivale all’adozione edefficace attuazione dei modelli di organiz-zazione e gestione, previsti dall’articolo 6del decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, ai fini della valutazione delle condot-te strettamente connesse all’attuazionedell’A.I.A. e delle altre norme a tutela del-l’ambiente, della salute e dell’incolumitàpubblica. Le condotte poste in essere inattuazione del Piano di cui al periodo pre-cedente non possono dare luogo a respon-sabilità penale o amministrativa del com-missario straordinario, dell’affittuario oacquirente e dei soggetti da questi funzio-nalmente delegati, in quanto costituisconoadempimento delle migliori regole preven-tive in materia ambientale, di tutela dellasalute e dell’incolumità pubblica e di sicu-rezza sul lavoro.”La brutale traduzione dal lessico normati-vo è sostanzialmente la seguente: 1) chi,entro il 30 giugno, presenterà un’offertavincolante per l’acquisto o l’affittodell’Ilva potrà proporre modifiche ancherilevanti al piano di risanamento ambien-tale, e queste gli saranno consegnate in ungrazioso pacchetto incartato con appositodecreto scritto su carta intestata dellaPresidenza del Consiglio dei ministri; talimodifiche potranno sostituire i contenutidell’Autorizzazione Integrata Ambientale.2) il termine di attuazione del piano delleprescrizioni ambientali, che già curiosa-mente “si intendeva attuato” se questeultime fossero state adempiute nell’80 %del loro totale, viene ulteriormente proro-gato, di 18 mesi; 3) come perla finale, nonpoteva mancare una doverosa estensionedell’immunità\impunità penale, ex lege,

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anche all’affittuario o all’acquirente e ailoro collaboratori.Queste sono le più significative novitàintrodotte dal decimo (decimo!) decretolegge “salva Ilva” (in corso di conversionementre si scrive questo pezzo) negli ultimisei anni; quella che è ormai diventata unasimpatica consuetudine di ogni Governodella Repubblica che si rispetti, in manieradel tutto indifferente rispetto al “colorepolitico” dell’esecutivo stesso, come impo-ne l’etichetta bipartisan sulle questionipolitico – economiche serie.L’unico elemento che in questo perspicuoprovvedimento legislativo risulta carente,rispetto ai più alti esemplari simili che lohanno preceduto, è una diretta ingerenzasu un provvedimento giudiziario di frescaadozione, ossia un’invasione di camponelle prerogative costituzionalmente sanci-te della magistratura (nel caso di specie,tarantina): ma solo perché in questo casonon ve n’era una specifica ed immediatanecessità.Come, tanto per capirci, si è fatto ai tempidel più luminoso tra i decreti “ad Ilvam”(come fu ribattezzato dalla dottrina giuridi-ca più acuminata): il n. 207 del 2012, quel-lo che intervenne dopo i fatti dell’estate -autunno 2012 (arresti domiciliari ai padro-ni delle ferriere e ai loro “collaboratori” eavvisi di garanzia a governanti e sottogo-vernanti per disastro ambientale e reaticonnessi, sequestro degli impianti, seque-stro dei semilavorati ecc….) per rimetterele cose a posto e quindi per restituire, difatto, la fabbrica nel suo complesso e i suoiprodotti ai suoi “legittimi” proprietari.In realtà, il nobile elenco di leggi e legginemiranti a precostituire deroghe, esenzionidal diritto comune, privilegi, immunità eimpunità a favore di padroni, gestori e pre-posti vari della “più grande acciaieriad’Europa” parte da prima: più precisa-mente, dal 2010, da quando, cioè, l’alloraministra Prestigiacomo, in piena emergen-za benzo(a)pirene, sponsorizzò appassio-natamente il decreto legislativo n. 155 che,in nome del recepimento della direttivaeuropea 2008/50/CE relativa alla “qualitàdell’aria ambiente e per un’aria più pulitain Europa”, rimandava al 2013 il divieto disuperamento di 1 nanogrammo a metro

cubo per il benzo(a)pirene.Fu solo il primo di una lunga serie di perlelegislative in cui “il contemperamentodelle esigenze della produzione, dell’am-biente e della salute”, come voleva la vul-gata ufficiale e, spesso, le stesse rubrichedei provvedimenti legislativi, ricevevainterpretazioni concrete tali che a tantecategorie avrebbero fatto pensare piuttostoche al “contemperamento”.Fino alla folgorante idea dell’immunitàpenale per decreto, sancita nel testo nor-mativo cui si è fatto riferimento sopra. Inpresenza di un’eventuale procedimentopenale, in origine solo il “commissariostraordinario”, con il decreto citato all’ini-zio anche “affittuario o acquirente e sog-getti da questi funzionalmente delegati,”ben potrebbero, quando dovessero esserchiamati a rendere conto delle loro con-dotte e delle conseguenze di queste ultimesull’ambiente e sulla salute pubblica, imi-tare la Lady de Winter dei Tre Moschettierie mostrare a pubblici ministeri e giudici ilsalvacondotto, sotto le nobili spoglie dilegge della Repubblica: “per ordine mio eper il bene dello Stato il latore della pre-sente ha fatto quello che ha fatto”.Per provare, però, a ricordare la natura el’entità della posta in gioco in questa bril-lante serie legislativa, è il caso di tornare aquello che, come si accennava, resta il piùnoto dei decreti “salva Ilva”: il 207\2012. Ma, soprattutto, è necessario scandagliare,pur sinteticamente, le vicende e le emer-genze in senso lato giudiziarie che quelprovvedimento legislativo hanno accom-pagnato, prima e dopo la sua emissione. A partire, per esempio, dall’altrettantocelebre provvedimento di sequestro degliimpianti del Gip Todisco, del luglio diquattro anni fa.Ma, ancor prima, dall’indagine epidemio-logica svolta in sede di incidente probato-rio nello stesso procedimento penale, laquale fornì queste difficilmente equivoca-bili conclusioni: “nei 13 anni di osserva-zione sono attribuibili alle emissioni indu-striali 386 decessi totali (30 per anno) ovve-ro l’1.4% della mortalità totale, la granparte per cause cardiache. Sono altresìattribuibili 237 casi di tumore maligno condiagnosi di ricovero ospedaliero (18 casi

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per anno), 247 eventi coronarici con ricor-so al ricovero (19 per anno), 937 casi diricovero ospedaliero per malattie respira-torie (74 per anno) (in gran parte nellapopolazione in età pediatrica, 638 casitotali, 49 per anno).” Partendo dai risultati del lavoro dei suoiperiti, il Gip osservava che “la gestione delsiderurgico di Taranto è sempre statacaratterizzata da una totale noncuranzadei gravissimi danni che il suo ciclo dilavorazione e produzione provoca all’am-biente e alla salute delle persone.”“Ancora oggi“ gli impianti dell’Ilva produ-cono “emissioni nocive“ che, come hannoconsentito di verificare gli accertamentidell’Arpa, sono “oltre i limiti“ e hanno“impatti devastanti“ sull’ambiente e sullapopolazione. Continuava il Giudice rilevando che “l’im-ponente dispersione di sostanze nocivenell’ambiente urbanizzato e non ha cagio-nato e continua a cagionare non solo ungrave pericolo per la salute (pubblica)“, ma“addirittura un gravissimo danno per lestesse, danno che si è concretizzato ineventi di malattia e di morte. [….] Chi gesti-va e gestisce l’Ilva”, chiosava l’estensore,“ha continuato in tale attività inquinantecon coscienza e volontà per la logica delprofitto, calpestando le più elementariregole di sicurezza».Insomma, “trattasi di un disastro ambien-tale inteso chiaramente come evento didanno e di pericolo per la pubblica incolu-mità idoneo ad investire un numero inde-terminato di persone”.I rilievi più pregnanti sotto il profilo dellagiustificazione, o meglio della doverosità,dell’emissione del provvedimento cautela-re reale erano, però, quelli per cui “l’atti-vità emissiva si è protratta dal 1995 ed èancora in corso in tutta la sua nocività”.Quest’ultima osservazione, peraltro, servein maniera ineguagliabile a lumeggiarepresupposti etici, fondamento “giuridico”e implicazioni sull’ambiente e sulla salutepubblica del decreto in esame.Nobile provvedimento legislativo che siscoprirà ben presto non esser proprio ispi-rato al principio – obiettivo che il giudiceTodisco, sulla scorta di quelle scopertefatte grazie ai suoi periti, caldeggiava

appassionatamente nella sua ordinanza:“la doverosa tutela di beni di rango costi-tuzionale che non ammettono contempe-ramenti, compromessi o compressioni disorta quali la salute e la vita umana“. Quella situazione, a giudizio del Gip,“imponeva l’immediata adozione delsequestro preventivo” degli impiantiresponsabili del “disastro ambientale” chesi stava consumando a danno dell’ambien-te e della salute dei cittadini di Taranto. Quei provvedimenti cautelari del GipTodisco venivano confermati sia dalTribunale del Riesame di Taranto che,

nella parte in cui venivano impugnati percassazione (ossia le sole misure degli arre-sti domiciliari), dalla Suprema Corte.Ciò imponeva, quindi, al governo “l’obbli-go” dell’emanazione del primo, verodecreto “ad Ilvam”, così fugando qualsiasieventuale dubbio sulla parte dalla qualestava l’esecutivo “dei professori” nel con-flitto (in quello specifico contesto spazio –temporale, non era possibile qualificarlo inaltro modo) tra le ragioni “della produzio-ne” (id est, del profitto) e quelle dell’am-biente e della salute pubblica.Alla salvezza della Dea Ilva (anche per l’e-vidente valenza simbolica, per non dire dirappresentanza, che essa aveva assunto neiconfronti della moltitudine di analoghi sta-bilimenti industriali sparsa per il territorio;quindi, in sostanza, di un pezzo qualifi-cante del sistema di produzione nazionale)si dedicavano, pertanto, gli sforzi indefessidi pletore di governanti, parlamentari, rap-presentanti istituzionali vari, “opinionisti”più o meno qualificati.Quelle fatiche titaniche fornivano risultati

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di alto pregio, in termini sia di produzionenormativa che, prim’ancora, di elaborazio-ne politico – culturale: la necessità di“coniugare a Taranto salute e lavoro”; laformale scoperta dell’esistenza di “stabili-menti industriali di interesse strategiconazionale” e la relativa necessità di salva-guardia degli stessi; e, infine, la “tuteladelle prerogative governative in materia dipolitica industriale” (molti si ricordavanosolo in quel preciso frangente del fatto cheil governo potesse avere qualcosa a che farecon la politica industriale) contro i pretesisconfinamenti, per non dire “le usurpazio-ni”, della magistratura.Sull’altare di quella totalizzante divinità,pertanto, si sacrificavano non solo l’am-biente del territorio di Taranto e la salute ela vita degli uomini, delle donne e deibambini che vi vivevano, ma anche quelche restava della decenza delle classi diri-genti di questo paese.Il combinato disposto di tali alate istanzenon poteva che trovare il suo logico sboccoin un prodotto legislativo all’altezza: ildecreto – legge 03/12/2012, n. 207.All’art. 1, c. 1, si legge già che “in caso distabilimento di interesse strategico nazio-nale, [….] qualora vi sia una assolutanecessità di salvaguardia dell’occupazionee della produzione, il Ministro dell’am-biente e della tutela del territorio e delmare può autorizzare, in sede di riesamedell’autorizzazione integrata ambientale,la prosecuzione dell’attività produttiva perun periodo di tempo determinato nonsuperiore a 36 mesi ed a condizione chevengano adempiute le prescrizioni conte-nute nel provvedimento di riesame dellamedesima autorizzazione, secondo le pro-cedure ed i termini ivi indicati, al fine diassicurare la più adeguata tutela dell’am-biente e della salute secondo le miglioritecniche disponibili.”Dopo “la poesia” contenuta nella presenta-zione dell’articolato (“assicurare la piùadeguata tutela dell’ambiente e della salu-te secondo le migliori tecniche disponibi-li”), già dal comma 2 si passa subito allaprosa: “Nei casi di cui al comma 1, le misu-re volte ad assicurare la prosecuzione del-l’attività produttiva sono esclusivamente ead ogni effetto quelle contenute nel prov-

vedimento di autorizzazione integrataambientale, nonché le prescrizioni conte-nute nel provvedimento di riesame.”Ma è soprattutto nel comma 4 che si rin-viene quella che è la indubitabile, veraratio legis: “Le disposizioni di cui alcomma 1 trovano applicazione anchequando l’autorità giudiziaria abbia adotta-to provvedimenti di sequestro sui beni del-l’impresa titolare dello stabilimento. In talecaso i provvedimenti di sequestro nonimpediscono, nel corso del periodo ditempo indicato nell’autorizzazione, l’eser-cizio dell’attività d’impresa a norma delcomma 1.”Omisso medio, l’art. 3, poi, statuisce ancheformalmente quella che è stata definita lavera e propria norma “ad Ilvam”: “1. Gli impianti siderurgici della societàILVA s.p.a. costituiscono stabilimenti diinteresse strategico nazionale a norma del-l’articolo 1. [….] 2. L’autorizzazione integrata ambientalerilasciata in data 26 ottobre 2012 allasocietà ILVA S.p.A. [….] contiene le pre-scrizioni volte ad assicurare la prosecuzio-ne dell’attività produttiva dello stabilimen-to siderurgico della società ILVA S.p.A. diTaranto a norma dell’articolo 1. 3. A decorrere dalla data di entrata in vigo-re del presente decreto, per un periodo ditrentasei mesi, la società ILVA S.p.A. diTaranto è immessa nel possesso dei benidell’impresa ed è in ogni caso autorizzata,nei limiti consentiti dal provvedimento dicui al comma 2, alla prosecuzione dell’at-tività produttiva nello stabilimento e allacommercializzazione dei prodotti, ivi com-presi quelli realizzati antecedentementealla data di entrata in vigore del presentedecreto, ferma restando l’applicazione ditutte le disposizioni contenute nel medesi-mo decreto.” Con il cameo della parte finale del comma3, sottolineata, introdotta in sede di leggedi conversione, ancora una volta in chiavedi esplicita, puntuale e concreta soluzione“ad un problema” che si era posto con unnuovo provvedimento del Gip che avevarigettato, limitatamente ai prodotti realiz-zati antecedentemente alla data di entratain vigore del medesimo decreto, l’istanzadi dissequestro di quanto originariamente

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sottoposto alla misura cautelare avanzatadai difensori degli indagati in seguito all’ap-provazione del decreto in esame. Pertanto,anche in questo caso, arrivava in temporeale la risposta legislativa ad hoc alla speci-fica questione processuale insorta.Un provvedimento legislativo di questafatta non poteva rimanere senza un’ade-guata risposta da parte dei suoi reali desti-natari, ossia i magistrati di Taranto. Una risposta che, ovviamente, doveva uti-lizzare gli strumenti che l’ordinamentoprevede in questi casi, il primo dei quali èil ricorso alla Corte Costituzionale per ilvaglio di legittimità della norma in que-stione.Tra i tre diversi ricorsi alla Consulta chepartivano da Taranto (dalla Procura, dalRiesame e dal Gip), quello decisamentepiù significativo ai fini di questo lavoro èultimo, il ricorso del Gip Todisco.All’interno della vasta griglia di motivi diillegittimità del decreto dedotti dal giudiceionico, quello senza dubbio più rilevante èl’irragionevole sacrificio che il provvedi-mento avrebbe comportato del diritto allasalute e della tutela dell’ambiente ad esclu-sivo vantaggio della tutela della libertà diiniziativa economica e di impresa.Secondo il rimettente, “come è noto il legi-slatore, nell’esercizio del suo potere di legi-ferare, nel bilanciamento dei vari interessicostituzionalmente protetti, può sceglierein modo discrezionale quale interessedebba prevalere sull’altro in ipotesi disituazioni in cui necessariamente un inte-resse deve essere compresso a favore di unaltro. La scelta tuttavia non deve esserearbitraria ed irrazionale. In linea di princi-pio quindi una disciplina che prevede laprevalenza di interessi legati all’iniziativaeconomica e all’occupazione rispetto aquelli legati alla salute può anche supera-re il giudizio di costituzionalità, ma se talebilanciamento”, proseguiva il Giudice, “sirisolve in una sostanziale e totale prevari-cazione di un interesse costituzionalmenteprotetto in danno di un altro esso è affettoda irragionevolezza ed arbitrarietà edassume carattere di incostituzionalità.”Il magistrato arrivava, quindi, al nodo dellavicenda sottopostale: “Nel caso che cioccupa non appare difficile individuare

nella normativa qui denunciata tali carat-teristiche che ne determinano il contrastocon la Carta Costituzionale. Invero, la tute-la della salute appare chiaramente messada parte in favore delle ragioni legate allaproduzione ed all’occupazione. Come èagevole desumere dal testo del provvedi-mento”, incalzava l’estensore, “l’attivitàproduttiva inquinante viene espressamen-te autorizzata nonostante essa sia dannosaper la salute e l’ambiente per un temponon superiore a 36 mesi a condizione chesiano adempiute le condizioni del provve-dimento di riesame AIA nei termini ivi

indicati [….]La risposta della Consulta arrivava nelmaggio 2013.Con la sentenza, n. 85, la Corte dichiaravain parte inammissibili ed in parte infonda-te le numerose questioni poste dal Giudiceper le indagini preliminari del Tribunale diTaranto, che aveva censurato tanto l’art. 1che l’art. 3 del decreto-legge n. 207 del2012.Dovendo anche in questo caso effettuareuna doverosa, sintetica selezione degliaspetti più pregnanti di questo provvedi-mento, la parte che merita una citazione èproprio quella con cui il Giudice delleleggi rispondeva al principale motivo dicensura del Gip, sopra riportato: quellorelativo al rapporto tra gli “interessi legatiall’iniziativa economica e all’occupazionerispetto a quelli legati alla salute”.Quella “risposta” stava perfettamente den-tro quel quadro normativo, ma prim’anco-ra politico – culturale, che si è sommaria-mente descritto prima.Con la non secondaria, e ancor meno

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confortante, particolarità che essa proveni-va dall’Organo preposto al controllo dilegittimità costituzionale delle leggi, equindi alla garanzia di rispetto dellaCostituzione nella produzione legislativa.Secondo il Giudice delle leggi, “tutti i dirit-ti fondamentali tutelati dalla Costituzionesi trovano in rapporto di integrazione reci-proca e non è possibile pertanto indivi-duare uno di essi che abbia la prevalenzaassoluta sugli altri. La tutela deve esseresempre ‘sistemica e non frazionata in unaserie di norme non coordinate ed in poten-ziale conflitto tra loro’ (sentenza n. 264 del2012). Se così non fosse, si verificherebbel’illimitata espansione di uno dei diritti,che diverrebbe “tiranno” (sic!) nei confron-ti delle altre situazioni giuridiche costitu-zionalmente riconosciute e protette, checostituiscono, nel loro insieme, espressio-ne della dignità della persona. Per le ragioni esposte,”, proseguiva laCorte, “non si può condividere l’assuntodel rimettente giudice per le indagini preli-minari, secondo cui l’aggettivo ‘fondamen-tale’, contenuto nell’art. 32 Cost., sarebberivelatore di un ‘carattere preminente’ deldiritto alla salute rispetto a tutti i dirittidella persona. Né la definizione data daquesta Corte dell’ambiente e della salutecome ‘valori primari’ (sentenza n. 365 del1993, citata dal rimettente) implica una‘rigida’ gerarchia tra diritti fondamentali. La Costituzione italiana, come le altreCostituzioni democratiche e pluraliste con-temporanee, richiede un continuo e vicen-devole bilanciamento tra princìpi e dirittifondamentali, senza pretese di assolutezzaper nessuno di essi.”La Consulta, a questo punto, si produceva inun’affermazione che non brilla di luce pro-pria per limpidezza, per ricorrere ad un pie-toso eufemismo: “La qualificazione come‘primari’ dei valori dell’ambiente e dellasalute significa pertanto che gli stessi nonpossono essere sacrificati ad altri interessi,ancorché costituzionalmente tutelati, nongià che gli stessi siano posti alla sommità diun ordine gerarchico assoluto” (sic!). Con questo fumoso assunto, dal vago sen-tore di capzioso sofisma, la CorteCostituzionale chiudeva definitivamentela partita del decreto 207 del 2012 (e della

relativa legge di conversione).E, per molti versi, spegneva le residue spe-ranze degli ultimi ingenui che si attardanoa ritenere che, quando la Costituzione qua-lifica un diritto come “fondamentale”,“primario”…. e impegna “la Repubblica” atutelarlo, ciò voglia dire che nessuno puòimpunemente calpestarlo quel diritto,neanche in nome della libertà d’iniziativaeconomica privata, ossia del profitto; che ildiritto alla salute non può non avere un‘carattere preminente’ rispetto a tutti glialtri “diritti della persona”, non può nonessere posto “alla sommità di un ordinegerarchico assoluto”. Perché “diritto alla salute” vuol dire dirit-to alla vita, e la vita non può non avere uncarattere preminente, non può non esserealla sommità di un ordine gerarchico asso-luto pure rispetto agli altri “diritti della per-sona”.Giacché risulta abbastanza arduo, sotto ilprofilo logico e biologico prima che giuridi-co, immaginare di poter tutelare qualchealtro diritto di una persona, dopo aver vio-lato il suo diritto alla vita. Come si accennava, mentre si scrive questopezzo è all’esame delle Commissioni riuni-te Ambiente e Attività produttive dellaCamera dei deputati la decima perla dellapregiatissima collana decretizia di cui adinizio dell’articolo stesso.Tra le previsioni relative alle eventualimodifiche del piano ambientale, oltre aquelle già descritte in apertura, il nuovotesto prevede in sostanza che i soggetti par-tecipanti alla procedura di trasferimento deicomplessi aziendali del gruppo ILVA possa-no presentare proposte di modifica delpiano ambientale e che tali proposte saran-no valutate da un “comitato di esperti” isti-tuito dal nuovo comma 8.2., escludendodalla valutazione ISPRA, e prevedendo lasua consultazione solo come possibilitàfacoltativa.ISPRA, ossia l’Istituto Superiore per laProtezione e la Ricerca Ambientale, che, losi rammenta, è l’Organo statale istituzional-mente preposto alla tutela dell’ambiente eche, in quanto tale, dovrebbe esser in gradodi offrire un tasso di competenza e di ter-zietà per definizione superiore a non meglioprecisato “comitato di esperti” nominato

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dal Ministero dell’ambiente. Ministero sullacui terzietà, se non anche competenza, nellaspecifica materia “Ilva” è lecito nutrire piùd’un dubbio, per come la stessa è stata gesti-ta dai vari soggetti che alla guida di queldicastero si sono succeduti negli ultimi seianni (uno dei quali, quello che, per le sueintemerate a difesa delle “esigenze dellaproduzione”, si è reso indimenticabile pro-tagonista delle giornate della calda estate del2012, due anni fa è stato anche arrestato perpeculato).Quando mai qualcuno avesse avuto dubbisui punti di partenza e, soprattutto, sui per-seguiti punti di arrivo anche di quest’enne-simo omaggio, per decreto, alla Dea Ilva.

Data l’aria che, in questa materia, tira anchenel Palazzo della Consulta, come soprariportato (nel caso in cui dovesse finire sottoesame di costituzionalità anche questodecreto), ai cittadini di Taranto che voglianofare pratica di prevenzione primaria e a tuttii cittadini e le cittadine italiani che voglianoprovare ad esercitare la nobile e salubre artedella solidarietà, anche come imprescindi-bile elemento di quella stessa prevenzione,non resta che provare, qui e ora, a far senti-re forte e chiara la loro opposizione.L’opposizione all’idea per cui ci si debbaammalare e morire in massa per l’acciaio,o per qualsiasi altra produzione industria-le.

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*Assemblea 29Giugno, Viareggio.

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Su un licenziamento politico:per essersi schierato dallaparte sbagliata

di Riccardo ANTONINI*

Sono stato licenziato il 7 novembre 2011.Una vertenza giudiziaria e politica che dura,oramai, da 5 anni. Dopo le due sentenze,due anni fa ho presentato il ricorso inCassazione. Sono ancora in attesa della datadell’udienza ... Come hanno scritto i familiari dell’Associa-zione “Il Mondo che vorrei”, nel documen-to approvato in questi mesi da diversiConsigli comunali, il licenziamento è “...strettamente e indissolubilmente legato allatragica notte del 29 giugno 2009”.Questo licenziamento è la “conseguenza”di una straordinaria mobilitazione che con-tinua da 7 anni e mezzo. Con la lotta si pos-sono strappare importanti risultati, ma perla lotta si pagano anche “prezzi” e questo èuno fra quelli.Al sottoscritto hanno tentato di negare ildiritto di critica e di cronaca su una vicendacome quella del “29 giugno 2009”; ognilavoratore, ogni lavoratrice, ha il diritto e ildovere di esercitare il diritto di espressioneattraverso la critica a scelte aziendali edattraverso la cronaca su questioni riguar-danti la sicurezza e la salute. Il 29 giugno èaccaduto un incidente sul lavoro trasforma-tosi nel disastro ferroviario che ha provoca-to una strage con trentadue Vittime e nume-rosi feriti di cui alcuni gravissimi che maidiventeranno ex-ustionati.E’ stata una strage annunciata. Solo nelmese di giugno erano avvenuti incidentianaloghi di cui due in Toscana: il 6 giugno aPisa S. Rossore ed il 22 giugno a Vaiano(Prato). I treni merci avevano lanciato ungrido d’allarme, rimasto inascoltato, come lestesse denunce dei ferrovieri; denunce sualtri disastri simili a Viareggio, sul fatto chenella gestione Moretti (AmmistratoreDelegato di ferrovie dal 2006 al 2014), sui

binari delle ferrovie hanno perso la vita cin-quantasei lavoratori.Ogni 58 giorni è caduto un lavoratore!Successivamente a quello di Viareggio il 12luglio scorso è accaduto il disastro adAndria (BA) con ventitre Vittime e cinquan-ta feriti e sono morti sui binari altri lavorato-ri: l’ultimo a Brescia: Nicola Franchini, ope-raio di 34 anni, dipendente di FerrovieNord, la notte del 21 ottobre scorso; altri duecolleghi sono rimasti feriti gravemente. Quella di Viareggio è una strage annunciata,prevedibile e prevista. Sarebbe evitabile, sefossero adottate quelle norme sulla sicurez-za che vengono invece omesse e/o violate.Una strage simile è prevedibile, ma non evi-tabile perché oggi i rapporti di forza nonconsentono di imporre quelle misure pre-ventive e protettive che possono evitarla, inquanto sono “misure” che costano e chequindi, per il loro costo, non stanno sul mer-cato, non sono competitive ed abbassano iprofitti.Lorsignori, con una logica a dir poco crimi-nale, utilizzano buone assicurazioni perchécosta meno risarcire le Vittime che predi-sporre quella sicurezza che avrebbe evitatole trentadue Vittime di Viareggio come dellealtre stragi. Dobbiamo denunciare, senzamezzi termini ed esitazioni, questa politicaaberrante. Subordinare la vita, la sicurezza,la salute, un ambiente salubre, al profitto edal mercato, è un crimine contro l’umanità.Sul mio licenziamento, sono state emessedue sentenze: di primo grado dal giudicedel lavoro Luigi Nannipieri il 4 giugno 2013al tribunale di Lucca; in Appello dal presi-dente Giovanni Bronzini e dai giudiciSimonetta Liscio e Gaetano Schiavone il 17luglio 2014 al tribunale di Firenze. IlTribunale di Firenze ha addirittura emesso

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un’ordinanza senza motivazioni, ritenendoinammissibile il ricorso.Queste sentenze di classe, genuflesse a pote-ri forti, allo Stato, al cav. Moretti: - offendo-no le Vittime di Viareggio e i lavoratori cadu-ti sui binari in questi anni; - istigano padro-ni e manager a continuare con la politica diabbandono della sicurezza nei luoghi dilavoro; - intimidiscono e minacciano i dele-gati Rls (Rappresentati dei Lavoratori per laSicurezza) ed i lavoratori impegnati in que-ste battaglie.E’ stata presa a pretesto la mia partecipazio-ne gratuita all’incidente probatorio per ifamiliari e il sindacato. A quattro mesi dal-l’incidente probatorio, l’azienda ha tentatocon intimidazioni e minacce di farmi desi-stere da questo impegno; non c’è riuscita neimiei confronti, ma ha ottenuto ciò con unmacchinista Rls, costretto a rinunciare. Averestromesso un Rls dall’incidente probatorio,ha penalizzato la ricerca della verità e delleresponsabilità nella strage di Viareggio. Nella commissione VIII Lavori al Senato,Moretti ha avuto la sfrontatezza di definirela strage di Viareggio “uno spiacevolissimoepisodio”. Quando sono stato licenziato, hodichiarato che è il mio licenziamento unospiacevole episodio, innanzitutto perché èrisolvibile, ma anche se non lo fosse nonsarebbe la fine del mondo. Definire, comeha fatto Moretti, la strage con trentadueVittime uno spiacevole episodio vuol direnon avere né il senso di quello che si affer-ma, né conoscere il significato delle parole,perché quella strage non è più risolvibile eper i familiari è stata la fine del mondo.Oltre all’incidente probatorio, contro di mehanno usato anche le offese a Moretti nellacontestazione del 9 settembre 2011 aGenova durante un dibattito alla festa delPd, per scrivere che il sottoscritto “si eraposto in una evidente situazione di conflittod’interessi”, aveva “violato l’obbligo difedeltà” ed aveva “ingiuriato e fatto violen-za” al cav. Moretti che, per questo, avevadepositato una denuncia-querela.Sui fatti di Genova il Giudice per le indagi-ni preliminari (Gip) ha accolto la richiesta diarchiviazione del Pubblico ministero,disponendo l’archiviazione del procedi-mento a mio carico. Il Pm aveva formulatola richiesta il 13 giugno 2013. Il 4 luglio

2013 l’avvocato di Moretti (Emilio Ricci)depositava al Tribunale di Genova l’atto diopposizione all’archiviazione.Il 2 maggio 2014 il Gip, con Ordinanza diarchiviazione, scriveva “non si verificaronosignificativi episodi di violenza … nell’occa-sione non vi fu alcuna ingiuria o minacciada parte di Antonini verso Moretti …Pertanto appare infondata la denuncia que-rela sia sotto il profilo dell’inesistenza deglielementi costitutivi del reato di violenza pri-vata … Sia sotto il profilo del reato di diffa-mazione, atteso che nessuno ha ascoltate leingiurie pronunciate all’indirizzo di Morettida parte dell’indagato … per questi motividebba accogliersi la richiesta di archiviazio-ne del PM e ne dispone l’archiviazione delprocedimento.” Sull’incidente probatorio, secondo l’azien-da, avrei violato l’art.2105 del Codice Civile(“obbligo di fedeltà”), al gruppo dirigentedelle ferrovie (Moretti, Elia e Soprano ...);tutti rinviati a giudizio per la strage ferrovia-ria e che poi sono stati anche promossi:Moretti a capo di Finmeccanica, Elia a capodella Holding di ferrovie. Il 20 settembre 2016, alla conclusione dellarequisitoria al processo di Viareggio, iPubblici ministeri hanno chiesto 16 anni dicondanna per Moretti e 15 per Elia (com-plessivamente 258 anni per 29 degli impu-tati).Vi sono delegati Rls delle ferrovie costituiti-si parte civile a differenza dello Stato che siè defilato dal processo accettando i risarci-menti dalle assicurazioni. Come avrebbepotuto costituirsi parte civile dopo che haripetutamente rinominato MorettiAmministratore delegato delle ferrovie edopo che lo ha promosso Ad inFinmeccanica?! Lo Stato o difende i suoiimputati o si schiera dalla parte delleVittime. E come sempre, ha fatto la sua peg-giore scelta. Il giorno successivo alla richie-sta di condanna a Moretti, il ministro delleInfrastrutture e dei trasporti, GrazianoDelrio, in una intervista televisiva ha dichia-rato che una simile richiesta è “enorme-mente sproporzionata”; pochi giorni dopoMoretti ha detto che se dovesse essere con-dannato non si dimetterà.Le motivazioni del mio licenziamento sonoinconsistenti e ridicole. L’accusadi aver par-

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tecipato all’incidente probatorio è un biecopretesto. L’accusa di aver offeso Moretti è unfalso pretesto. Sono stato dipendente infedele a Moretti,Elia, Margarita, Galloni, Soprano, eccetera.Se un numero maggiore di ferrovieri fossestato infedele a questi, non vi sarebbe stata lastrage di Viareggio. Il mio è stato un licen-ziamento politico, quindi discriminatorio. Simili sentenze non possono essere taciute,ma deve essere intensificata la denuncia, lacontroinformazione, la lotta. Infatti, piùvolte abbiamo promosso presìdi e volanti-naggi ai tribunali di Firenze, di Lucca e diLivorno (dopo che il giudice Nannipieri èstato trasferito a Livorno), ai quali hannopartecipato ferrovieri, familiari e cittadini.Non possiamo e non vogliamo chinare latesta, ma continuiamo ...Queste azioni sono il segno tangibile di una

mobilitazione che va avanti senza tentenna-menti e diserzioni. Non dare tregua allanostre controparti, agli avversari del movi-mento operaio e sindacale, ai “partigiani”delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni.Noi siamo partigiani della sicurezza, dellasalute, dell’ambiente.Perché questi diritti inviolabili, irrinunciabi-li e ineludibili, non si delegano, non simonetizzano, non si subordinano ad alcunanorma, ad alcun contratto, ad alcuna legge.Figuriamoci se si possono subordinare aiCodici etici di Consigli di Amministrazione.Dobbiamo imparare a non dimenticare edinsegnare a non mollare mai. Trasformare ildolore della memoria nel dovere dellamemoria! Senza memoria non c’è futuro.L’unica lotta persa è quella che si abbando-na

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Riflessioni sulla evoluzionedel lavoro nei Servizi Pubblicidi Tutela della Salute nei luo-ghi di lavorodi Celestino PANIZZA*

Medicina Democratica numeri 227-230 maggio / dicembre 2016

*Medico delLavoro, Medicina

Democratica,Brescia.

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Queste riflessioni sulla mia esperienza lavo-rativa di medico del lavoro dei ServiziPubblici di prevenzione e vigilanza per latutela della salute dei lavoratori (STSLL) sicontestualizzano nella realtà bresciana,caratterizzata almeno negli anni ’70 – ‘80dalla presenza di un forte sindacato, e da unforte conflittualità in un tessuto produttivodi piccolissime e medie imprese. La deno-minazione che ho usato per indicare i(l) ser-vizi(o) in cui ho svolto la mia attvità vuoleriasssumere un percorso, una “evoluzione“avvenuta nel tempo nel corso della quale itermini “Prevenzione”, “Tutela”, “Vigilan-za”, hanno assunto pesi diversi in un conte-sto sociale fortemente cambiato.Compio necessariamente delle semplifica-zioni facendo una periodizzazione cheidentifico in alcuni passaggi chiave e in unafase che ha preceduto la costruzione deiSTSLL, avvenuta con un apporto decisa-mente volontaristico da parte degli operato-ri, fino al momento attuale che mi paredestinato a concludere il forte legame con ilterritorio dei servizi stessi.

IL MODELLO OPERAIO E I SERVIZI DIMEDICINA AMBIENTE DI LAVORO La storia della salute sul lavoro a Brescia,almeno dai primi anni ‘70 fino ai primi anni80, riguarda l’esperienza di un consistentenucleo di delegati sindacali, il sindacato eun gruppo di operatori e medici che faceva-no riferimento al cosiddetto “modello ope-raio“ cioè a quel paradigma scientifico cheridisegnava l’approccio alla salute in fabbri-ca.Intorno al 1970-71 fu aperta a Brescia laFacoltà di Medicina e nell’ambito delComitato Unitario di Base degli studenti sidiscuteva anche di come dare concretezza

ad una idea di insegnamento legata al terri-torio, alla prevenzione ed anche ad una rap-porto diverso con la concreta pratica medica.Quel modello e gli strumenti operativi checomportava, furono oggetto di approfondi-menti al nostro interno e tenemmo semina-ri cui parteciparono, in alcune occasioni,medici del lavoro dei servizi da poco istitui-ti in Emilia Romagna.Mancavano del tutto, allora, interlocutoriistituzionali e servizi pubblici con i qualirapportarsi. Solo in qualche caso si attivaro-no il Centro di Prevenzione Antitubercolare(CPA) e l’ENPI con un approccio che neifatti non teneva conto della metodologiapartecipativa che si andava affermando.Fu anche per questa necessità di avere unaricaduta verso le istituzioni che si decise difondare su quell’esperienza i contenuti delcorso delle 150 ore (ottenute nel contrattodel 1973 dai metalmeccanici) sull’ambientedi lavoro alla Facoltà di Medicina.Il corso 150 ore sull’ambiente di lavoro fuper noi di particolare significato e fu ancheil primo punto di raccordo con l’esperienzatorinese e con Ivar Oddone che era l’ispira-tore della dispensa sindacale sull’ambientedi lavoro.Quelle esperienze hanno segnato fortemen-te il dopo, quando una parte di quegli stu-denti costituirono gli SMAL in provincia diBrescia, e poi nel 1982 i servizi territoriali diprevenzione delle USSL.Alla nascita di questi servizi, la vigilanzasull’applicazione delle norme di prevenzio-ne in fabbrica era pressoché nulla, quanto-meno sporadica. Gli Ispettori del Lavoro chesvolgevano controlli sulla materia eranodue in tutta la provincia e l’attivitàdell’Autorità Giudiziaria era significativanel solo mandato di Brescia città per l’im-

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pegno di alcuni pretori sensibili.Praticamente inesistente nel resto della pro-vincia. Alcune indagini negli anni ‘70 eranosvolte dall’ENPI o su richiesta dei Consiglidi Fabbrica dalle cliniche del lavoro diPavia o Verona. Nei fatti i controlli eranosporadici ed esclusivamente nelle aziendedi maggiori dimensioni.Parimenti, il controllo sanitario dei lavora-tori era quasi totalmente assente e quandosvolto, non mirato al rischio.A partire dal 1977 anche a Brescia furonoavviati i servizi territoriali di prevenzione(SMAL). Furono in qualche modo la rispo-sta alla domanda che nasceva in fabbrica el’applicazione della legge della RegioneLombardia n.37/72 che teneva conto deldibattito scientifico, del clima sociale e delleesperienze più avanzate di quegli anni edefiniva la metodologia di intervento deiservizi fondato sulla centralità del GruppoOperaio Omogeneo sul “recupero” dellasoggettività operaia sulla non delega. ABrescia, tuttavia, la risposta da parte delleistituzioni fu molto debole non solo per ilritardo con cui gli S.M.A.L. furono avviati,per la scarsità di dotazione di organici emezzi per effettuare indagini, ma soprattut-to per una gestione politica sostanzialmentesorda alle esigenze più innovative.Il fatto che gli operatori degli SMAL nonavessero potere di accesso ai luoghi di lavo-ro implicava necessariamente un rapportostretto con i consigli di fabbrica. L’interventodiretto in fabbrica di fatto era il risultato diun accordo sindacale. Nella mia realtà, svol-ta in provincia di Brescia, le prerogative sta-bilite dall’articolo 9 dello Statuto dei lavora-tori non erano praticate anche perché ilgoverno politico degli SMAL esigeva neifatti che gli interventi degli operatori fosserorichiesti dalle parti, quindi fortemente con-dizionato.Di conseguenza, l’agibilità era decisamentelimitata, ma questo imponeva che i delegatisindacali assumessero un ruolo diretto nelpromuovere conoscenze, coordinare espe-rienze, definire e negoziare soluzioni. Ilruolo nostro era prioritariamente quello diappoggio con le conoscenze tecniche e avolte con indagini ambientali e sanitarie.Il tema forte era la centralità dell’esperienza

operaia e della soggettività nell’analisi dellecondizioni di lavoro, ma si riproponevacostantemente nella discussione la neces-sità da parte sindacale di costruire un rap-porto con i tecnici attraverso la richiesta divisite mediche (spesso troppo enfatizzate) edi indagini ambientali e di avere servizipubblici che operassero in questo senso.Fu poi per me importante l’incontro con l’e-sperienza di Castellanza. Ricordo che con ilconsiglio di fabbrica di una delle pochissi-me aziende chimiche di Brescia facemmoun viaggio “clandestino” a Castellanza (nonben visto dal sindacato dei chimici) a chie-dere il supporto per la ricostruzione delciclo produttivo al gruppo Prevenzione eIgiene Ambientale e a Luigi Mara. Alla fine degli anni ‘70 l’esperienza sullasalute in fabbrica si caratterizzò anche perun salto di qualità. Si pose il problema didiffondere i risultati raggiunti nelle vertenzepiù significative e di mettere in comunica-zione i delegati fra di loro, costruendo unarete che potesse rafforzare la contrattazionea livello territoriale e costruire un rapportocostante tra servizi territoriali di prevenzio-ne e sindacato. Si trattava insomma di pas-sare dalla fabbrica al territorio.Lo strumento fondamentale di questo per-corso fu la costruzione delle “mappe grezzedi rischio”.Nel 1978 era stata pubblicata nuovamente ladispensa “L’ambiente di lavoro” con un sot-totitolo “la fabbrica nel territorio“ che ripor-tava un riflessione di impronta decisamenteradicale sulla difficoltà che incontrava ladiffusione del modello sindacale: “Quandoil problema dell’ambiente è visto come pro-blema da risolvere attraverso strumenti legi-slativi o tecnico-organizzativi che ne garan-tiscano definitivamente la soluzione, il risul-tato è sempre l’insuccesso. Quando invecela soluzione è vista in un processo di diffu-sione che ad ogni momento incontra nuovimodelli ed affronta nuovi problemi che sipongono a livelli superiori, allora il succes-so è possibile ad alcune condizioni. Se ilmodello sindacale riesce ad informare ilmodo di procedere di tutti quelli che incon-tra, se conserva il controllo da parte degliesposti sulla fonte del danno se riesce adunificare il controllo della fabbrica (il con-

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trollo dell’organizzazione del lavoro nellafabbrica) con il controllo del territorio, allo-ra è possibile costruire una esperienza eduna teoria del cambiamento.”Tra il 1979 e il 1981 operarono, soprattuttonella FLM commissioni ambiente di zona(in particolare in città, nella bassa, in ValTrompia) costituite da numerosi delegatisindacali giovani che attraverso una rete dicontatti con i delegati di fabbrica costruiro-no mappe grezze di rischio. La mappa grez-za costituiva, o meglio tendeva a essere, larappresentazione comune a tutti gli operaidei rischi ai quali erano esposti nelle diver-se postazioni di lavoro; l’insieme dellemappe, attraverso il lavoro fatto dai queidelegati, permetteva la rappresentazionecomune delle situazioni a maggior rischiodi un intero territorio sulla base della qualecostruire vertenze ed richiedere l’interventodegli SMAL.Un aspetto rilevante dell’attività era il fortecoordinamento che tenevamo tra operatoridegli SMAL sia a livello provinciale e poi alivello regionale. Fu costituito il coordina-mento Nazionale degli operatori dei Serviziche ebbe un importante ruolo culturale eche poi si trasformò nella SNOP (SocietàNazionale Operatori della Prevenzione).Certamente era un periodo di grande coin-volgimento con limiti peraltro non indiffe-renti: l’intervento era sostanzialmente limi-tato alle realtà sindacalizzate, mente era ine-sistente nelle stragrande maggioranza dellepiccole fabbriche, assenti i controlli nelleattività come l’edilizia o nei comporti delcosiddetto terziario. A questo si aggiungache il raccordo con le problematicheambientali era assente: al contrario di quel-lo che era avvenuto nel milanese gli uffici diigiene infatti erano inesistenti (se non aBrescia città) e molto limitata l’attività deiLaboratori Provinciali di Igiene e Profilassi.

CAMBIANO LE FUNZIONI DEI SERVIZIDI TSLL: 1982-1994Nel 1982, in applicazione della Legge833/78 i sevizi di TSLL (Tutela della Salutenei Luoghi di Lavoro) assunsero le funzionidi vigilanza e il potere di accesso ai luoghidi lavoro il potere di diffida e prescrizione. Queste attribuzioni furono variamente inter-pretate nella diverse realtà ma, al di là di

questi aspetti, con l’attribuzione delle fun-zioni di vigilanza ai servizi l’attività cambiòin buona parte di segno il modello di inter-vento. In concreto il rapporto con le preturedivenne più continuativo e stabile, condi-zionante e anche necessario sia per daresbocco concreto ai provvedimenti che veni-vano presi (che rimanevano altrimenti sullacarta) sia per contrastare l’invadenza deidecisori politici sulla nostra attività.Ricordoquel periodo segnato da un profondo con-trasto con il governo politico dei servizi, par-ticolarmente impegnato a garantire alpadronato il controllo sui nostri interventiche sfociavano anche in aperti conflitti evertenze per garantire l’autonomia operati-va.I compiti in forza dei poteri e delle incom-benze attribuite si estesero e l’attività si svi-luppò significativamente.Si cominciarono a svolgere indagini di poli-zia giudiziaria per infortuni sul lavoro emalattie professionali. Vennero pianificateindagini di comparto. Fu in quel periodoche il servizio ove operavo svolse ispezionie indagini nelle acciaierie, nelle galvaniche,in una realtà a forte insediamento siderurgi-co e metalmeccanico.Furono condotte indagini in settori fino adallora pochissimo tenuti sotto pressione,come la siderurgia, appunto, indagini chefecero emergere un numero elevatissimo dimalattie professionali e portarono anche alsequestro di impianti (ALFA ACCIAI eLucchini di Sarezzo le più significative).La presenza dei STSLL cominciava ad esse-re avvertita come concreta e per questo con-trastata da parte padronale perché giudicatatroppo rigida, “schierata” ed invasiva. Inogni caso l’approccio da parte padronale erasostanzialmente di resistenza alla nostraattività quando non di esplicito e duro attac-co (fu detto spregiativamente da un dirigen-te dell’acciaieria Lucchini: “abbiamo avutole Brigate Rosse e ora abbiamo le BrigateSanità”).L’inizio della sorveglianza sanitaria sui lavo-ratori sollevò il coperchio su una realtà peranni occultata di patologie mai diagnostica-te. Questo stato di cose ci obbligò ad orga-nizzare un sistema informativo per la gestio-ne delle segnalazioni e a pianificare l’attivitàin modo non casuale ma mirato alle realtà

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più critiche.Un’attività che, rispetto alla fase precedente,si tradusse in minore coinvolgimento parte-cipativo dei lavoratori e del sindacato,anche se dovuto soprattutto a fattori esterniai servizi. In ogni caso la ricerca di un rap-porto di partecipazione da parte degli ope-ratori non era più avvertita come una neces-sità, utile o anche praticabile.Per svariati motivi tra cui anche, ma nonsolo, le trasformazioni istituzionali interve-nute negli anni ‘80 con l’assunzione daparte delle U.S.S.L delle funzioni di poliziagiudiziaria e l’approccio dei servizi alle atti-vità lavorative, tale ricerca si era arricchitaper il volume di informazioni che conver-gono sui servizi, per un altro verso divenivaperò sempre più tecnicizzata. Così si èimpoverita la capacità di descrivere il lavo-ro, la componente umana del lavoro. La descrizione del lavoro, delle professioni,fu uno degli elementi più forti ed originalidella medicina del lavoro a partire daRamazzini, per passare a Devoto fondatoredella Clinica del lavoro di Milano. Egli volleuna clinica del lavoro, appunto, e non sem-plicemente una clinica dei lavoratori perchégiustamente sosteneva che è il lavoro adessere malato. Un passaggio che forse èavvenuto in negativo anche nei servizi diprevenzione.Questo passaggio è accompagnato anche daun cambio di paradigma nell’impostazionedel lavoro divenuta via via sempre meno“interdisciplinare” ed a volte con conflittifra le diverse componenti professionali deiservizi e che ha giocato e caratterizzato inmodo negativo la qualità del lavoro.Questo aspetto è di particolare interesse sulversante più propriamente scientifico poi-ché la valutazione dell’impatto del lavorosulla salute implica di tenere conto di diver-si punti di vista e l’approccio con interdisci-plinare che coinvolge più discipline: socio-logia, psicologia, chimica ecc.; non solo ilmodello clinico della malattia –saluteo nonsolo “tecnico-impiantistico” degli aspettidella salute (e sicurezza).Anche per questi motivi, nei fatti, era pocosviluppata l’attività di controllo nel settoredei servizi nei quali, a parte le aree di lavo-ro che riproducono il lavoro e le problema-tiche della fabbrica erano scarsi gli strumen-

ti di indagine e conoscenza.

LE NUOVE NORME 1994 – METÀ ANNI2000.Con il recepimento della normativa euro-pea, prima con il D.Lgs 277/91 e poi, com-piutamente con il D.Lgs 626/94, si compì unsalto di qualità negli obblighi in capo addatore di lavoro e, di conseguenza, nel ruolodei servizi di vigilanza.In quel periodo, tra l’altro, venne emanatoanche il D.Lgs 758/94 (impropriamentedefinito di depenalizzazione) che introdu-ceva un vincolo alla verifica dell’applicazio-

ne delle misure prescritte ai datori di lavoroda parte dei STSLL e un sistema “premiale”per i datori di lavoro che si adeguano alleprescrizioni, che diede maggiore autorevo-lezza all’azione degli operatori.Il D.Lvo 626/94 in particolare riconduce laquestione della sicurezza al nucleo centraledella gestione dell’impresa attraverso alcunipassaggi nodali:- la previsione degli effetti;- la definizione di un sistema di gestione delcomplesso della sicurezza con l’introduzio-ne di alcuni istituti del tutto nuovi in termi-ni di strutture (innanzitutto il Servizio diprevenzione e protezione obbligatorio nelleaziende), di meccanismi (partecipazione eformazione) e di ruoli (il Rappresentante deilavoratori per la Sicurezza, il Responsabiledel Servizio di prevenzione, il MedicoCompetente);- la definizione esplicita di una politica dimiglioramento;- l’importanza conferita ad “istituti” quali lapartecipazione e la formazione.Giocoforza l’applicazione della (ed il con-

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trollo sulla) normativa implicava una seriedi passaggi che richiedevano una letturadell’organizzazione delle imprese per lericadute che aveva sulla gestione della sicu-rezza.Scesero in campo stuoli di consulenti trop-po spesso improvvisati, che hanno caratte-rizzato l’applicazione dei nuovi obblighi nelsenso di una formale applicazione dellenorme e percepita come tale spesso supina-mente ben accettata dai datori di lavoro.“Governare” il mercato della prevenzione èdivenuto un punto importante anche se conpochi strumenti cogenti e di conseguenza

scarsi risultati.Migliorare la qualità dei DVR (Documentodi Valutazione dei Rischi), dell’azione for-mativa verso le figure aziendali della sicu-rezza, la gestione dei processi che avesse unsenso compiuto, la consultazione, la forma-lizzazione dei passaggi concretamente utilialla verifica delle condizioni di salute e sicu-rezza.Un discorso più approfondito meriterebbe-ro gli RLS. Questa figura molto debole, neifatti quasi sempre distinta dalla rappresen-tanza sindacale, era ed è facilmente assorbi-ta in una logica di gestione operativa degliaspetti di sicurezza in un contesto di impre-sa nel quale il ruolo di contrattazione daparte dei lavoratori diveniva sempre menoefficace per non dire assente.In ogni caso l’orizzonte nelle attività del ser-vizio di TSL si allargò. Si consolidò l’atten-zione agli aspetti ergonomici prima trascu-rati anche per la scarsa dimenticanza con glistrumenti di indagine sui rischi come lamovimentazione manuale carici o sui rischida traumi cumulativi degli arti superiori.

Soprattutto furono condotte indagini suvasta scala a livello nazionale come il moni-toraggio sullo stato di applicazione delD.Lgs 626/94.L’indagine nazionale condotta dalle ASL inquasi a 9.000 imprese per oltre 700.000addetti sullo stato dell’applicazione delD.Lgs 626/94 metteva in evidenza, accantoad un quadro in movimento o comunquenon del tutto negativo, la necessità dimigliorare l’organizzazione della sicurezza,la formazione degli addetti e la partecipa-zione dei lavoratori ai processi aziendali.Contestualmente vennero resi disponibili,tramite le Regioni, le base-dati di infortuni emalattie professionali che fornivano infor-mazioni epidemiologiche utilizzabili a livel-lo disaggregato territoriale dei fenomeniutili a mirare l’attività.Per quanto mi riguarda fu quello il periodopiù fecondo rispetto al ruolo esercitato dalleRegioni come Coordinamento tecnicoInterregionale ma anche da parte dellaRegione Lombardia nello stimolare e coor-dinare l’azione dei servizi.Un ruolo che successivamente si è progres-sivamente affievolito fino pressoché adesaurirsi.

IL CAMBIAMENTO NEL LAVORO -METÀ ANNI 2000Negli anni successivi e, in modo tumultuo-so, negli ultimi anni, i cambiamenti nelmondo del lavoro hanno avuto un impattorilevante sulle condizioni di salute e sicu-rezza e modificano il tradizionale inquadra-mento dei problemi nel quale la fabbrica,luogo di lavoro stabile e definito, connotavafortemente il problema.Nella seconda metà degli anni 2000 si sonoconsolidate tendenze già in atto e che pos-sono essere schematicamente riassuntecome segue.Aumento del lavoro autonomo. La discri-minante tra lavoratori dipendenti ed auto-nomi sembra andarsi progressivamenteindebolendo.Diminuzione dell’uso di contratti a tempoindeterminato o senza scadenza e corri-spondente aumento di contratti a tempodeterminato o a breve termine, come pureaumento dell’uso di contratti con agenzie dilavoro interinale.

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Aumento dell’impiego tramite le agenzie dilavoro interinale.La velocità del cambiamento e la comples-sità dell’organizzazione del lavoro possonocosì trasmettere nei lavoratori un sentimen-to di perdita di controllo sulla propria vita osul proprio lavoro (“nulla è definitivo”). Laprecarietà supera il confine tra lavoratori“permanenti” e “temporanei”. L’aumentodella pressione dei tempi di lavoro e l’in-tensificazione del lavoro medesimo com-portano un impatto analogo.Le ripercussioni del cambiamento nei rap-porti contrattuali sulla salute e sicurezzasono evidenti:Trasferimento del rischio verso lavoratoritemporanei e subappaltatori.Più eleveta incidenza degli infortuni tra ilavoratori delle agenzie interinali, probabil-mente dovuta ad un minore livello di espe-rienza e di formazione.I lavoratori con contratti a breve terminesono esposti a condizioni ergonomiche piùcritiche, rispetto a quelli con contratti atempo indeterminato.I lavoratori impiegati con contratto a tempodeterminato hanno un accesso più limitatoalla formazione (ivi compresa la formazioneinerente la SSL), meno controllo sul tempodi lavoro ed hanno minori prospettive dicarriera. L’impatto del lavoro a tempo parziale sullasalute e sicurezza: questa categoria di lavo-ratori a tempo parziale può avere accessoristretto alla formazione e viene adibita acompiti meno qualificati.Il peso dei lavori più pesanti ed usurantisostenti da lavoratori extracomunitari.Chi paga maggiori costi sono le categorie più“deboli”.Inoltre, almeno dalla fine anni ’90, la pre-senza di lavoratori stranieri, soprattutto neilavori manuali più faticosi è diventata pre-valente.Risulta così difficile ricostruire il quadrodell’esposizione lavorativa nel corso dellavita per cui il quadro epidemiologico dellasalute dei lavoratori tende a sovrapporsi conquello della popolazione generale più svan-taggiata. Un punto che ha, e sempre piùavrà, ricadute sulla possibilità concreta diindividuare nessi causali tra lavoro concre-tamente svolto e salute.

Pur in questo contesto, la realtà concreta, amio parere, non corrisponde a quella gravis-sima che viene spesso riportata nei titolidalla stampa nazionale. Se rimaniamo aidati descrittivi del fenomeno infortunistico,il fenomeno è in netto miglioramento salvonegli ultimissimi anni, pur supponendouna maggiore sottonotifica di infortuni chetuttavia almeno per gli infortuni mortali noncredo realistica e tale da modificare il qua-dro generale. Neppure l’Italia sembra esserelontana da quella espressa dai più impor-tanti paesi d’Europa.

EPILOGOLe considerazioni sopra espresse sono allabase della difficoltà del servizio pubblico diprevenzione di essere effettivamente effica-ce nello svolgere i controlli che avvengopressoché sempre a valle di un contestoorganizzativo fortemente condizionato amonte. Difficile anche perché i lavoratoristessi in questi nuova situazione hanno pro-getti di vita non legati al luogo di lavoro e laloro partecipazione si affievolisce. Amaramente lo slogan “la salute non sivende” potrebbe essere attualizzato “la salu-te almeno non si regali!”.Si aggiunge a questa considerazione un ulte-riore elemento. La “medicina del lavoro” inquanto scienza si è progressivamente rivol-ta ai temi della sorveglianza sanitaria sulsingolo lavoratore legata a modelli di rischioantiquati. Il contributo alla conoscenza deirischi lavorativi si è molto affievolita (alme-no in Italia) ed è legata alla valutazione deirischi sulla base di modelli meccanicisticiquando non di esplicita impronta padrona-le, poi utilizzate nei processi penali dalledifese degli imputati di vittime del lavoro.Nel nuovo contesto “liquido” la sorveglian-za sanitaria dei lavoratori è tornata ad unruolo ove prevale la selezione dei lavoratorie si impoverisce la funzione di conoscenzadell’impatto del lavoro sulla salute se mai loè stata effettivamente.Il quadro descritto non mette in discussionela validità della norma e del percorso meto-dologico culturale che le è sotteso, ma indi-ca chiaramente che è necessario e urgenteagire per favorire il raggiungimento di unasua coerente ed efficace applicazione intutte le aziende italiane.

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Sarebbe negativo per il sistema procederecon semplificazioni legislative per affronta-re un problema sostanzialmente complesso.Anche per le piccole e piccolissime impre-se che sono spesso l’anello di una filiera pro-duttiva su cui non vi è un reale controllo, lacui situazione è oggettivamente più criticarispetto a quelle di maggiori dimensioni icontrolli vanno svolti costantemente. A mio parere si dovrebbe anche tenereconto che in alcune aree la tutela della salu-te dei lavoratori è velleitaria se non vengonoeliminate le sacche di illegalità e di sfrutta-mento con approcci repressivi opportuna-mente resi efficaci e coordinati con altriorganismi.In questo contesto credo tuttavia che il ruolodei servizi non debba limitarsi alla meravigilanza anche se la tendenza in atto haquesto segno anche per rispondere all’o-rientamento generale del governo dellasanità rivolto a contare le singole prestazio-ni e nei fatti orientando l’attività verso laframmentazione delle attività erogata inun’ottica mistificante di efficienza. Intanto sarebbe necessario anche recuperareuna competenza autonoma da parte deiSTSLL nella caratterizzazione dei rischilavorativi, perché no, con ricadute sulleconoscenze dell’impatto ambientale dellelavorazioni.D’altra parte dubito che il puro rafforzamen-to della repressione in assenza di strumentiche ne riducano la frammentarietà ed occa-sionalità sia efficace. L’azione di vigilanzadovrebbe essere sistematica anche pergovernare i meccanismi che incidono sullaorganizzazione del lavoro agendo comestrumento di regolazione del mercato sulpresupposto che la salute dei lavoratori e lecondizioni che la determinano, siano essereuna precondizione, un fattore produttivonon variabile, nell’esercizio dell’attivitàimprenditoriale. Penso per esempio al ruolo dei servizi diprevenzione, che abbiano un ruolo attivo diregolazione del mercato della consulenza edel sistema di supporto alle imprese.L’art. 41 della costituzione recita:

“L’iniziativa economica privata è libera.Non può svolgersi in contrasto con l’utilitàsociale o in modo da recare danno alla sicu-rezza, alla libertà e alla dignità umana. Lalegge determina i programmi e i controlliopportuni perché l’attività economica pub-blica e privata possa essere indirizzata ecoordinata a fini sociali.” Non a caso ilministro Tremonti aveva proposto di modi-ficare questa formulazione.Un approccio di questo tipo necessita diuna legislazione di supporto che riconducail ruolo della vasta area di consulenti inmateria di sicurezza e dei medici compe-tenti alla funzione di pubblica tutela di cuisono investi sottraendoli all’inevitabilericatto che la loro collocazione comporta.Infine dovrebbe essere sviluppata una nor-mativa a sostegno del ruolo degli RLSsoprattutto territoriali che devono essereeletti dai lavoratori come del resto previstodalle norme. La direzione che si prospettaora, viceversa, è di tutt’altro segno La tendenza semplificazione delle presta-zioni dei servizi verso controlli routinari dicontenuto povero e scarsamente efficace. La malcelata volontà di ricondurre i servizial Ministero del lavoro, che comporta a mioavviso il rischio serio di burocratizzare l’a-zione dei servizi, è una operazione fino adora ostacolata dal vincolo costituzionale cheattribuisce alle Regioni la competenza cheproposte di modifica costituzionale in esse-re potrebbero invece modificare.Ulteriore pericolo è la marginalizzazionedella prevenzione primaria nel nuovo con-testo organizzativo della Servizio SanitarioNazionale stretto tra riduzione delle dispo-nibilità economiche e necessità di dimostra-re la propria funzione con una politicaquantitativa delle prestazioni.A fronte di tali prospettive (e derive) potreb-bero essere ripensati attività, assetti e orga-nizzazione dei servizi con un ulterioreimpoverimento degli stessi allontanandosiancora di più dalle loro fondamenta, stori-che, sociali e scientifiche, dell’epoca degliSMAL, del protagonismo dei lavoratori edel coinvolgimento degli operatori.

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*Medico del Lavoro- Sezione di Medici-na DemocraticaPietro Mirabelli, Firenze.

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Pietro Mirabelli, vita e mortedi un lavoratore impegnatonell’affermazione della sicu-rezza sul lavoro e della difesadella dignità dei lavoratori a cura di Gino CARPENTIERO*

PREMESSAIl 12 marzo del 2005 si svolse a Firenze laconferenza-dibattito “Lavoratori senza rete.Conflitti tra salute, salario e sicurezza”.L’iniziativa era stata organizzata daMedicina Democratica in collaborazionecon il Dipartimento Lavoro, PRC Toscana. Il 20 maggio 2011 si è tenuto a Firenze unseminario “Liberare il lavoro” organizzato daMedicina Democratica e centrato sul temadella sicurezza e dell’organizzazione dellavoro nelle grandi imprese industriali e neicantieri. Parteciparono anche l’associazioneUniti contro la Crisi e Lavoro&Libertà. Tra queste due date si colloca la perdita diun sindacalista e delegato alla sicurezza neicantieri TAV-CAVET del Mugello, PietroMirabelli deceduto in Svizzera il 22 settem-bre 2010 a seguito di un infortunio sul lavo-ro che la ditta e il Procuratore PubblicoSvizzero tentarono liquidare come “imperi-zia” di Pietro. Un gruppo denominatoAmici di Pietro insieme alla famiglia diPietro e a Medicina Democratica di Firenzesi è battuto in questi 6 anni affinchè il pro-cedimento non venisse archiviato e fossefatta luce fino in fondo su una morte chenon ha nulla di casuale, come non è casua-le la storia dell’organizzazione capitalisticadel lavoro, incentrata sempre sul massimoprofitto e nel non considerare la vita umanaun bene assoluto (come soleva dire spessoPietro) .Questo lutto terribile da un punto di vistaumano è stato anche una perdita grave peril sindacato, nonostante lo stesso sinora nonabbia dato molti segnali di rammarico; nèdel resto caloroso supporto al delegato cala-brese era giunto dal suo sindacato (CGIL)

quando Pietro aveva deciso di ribellarsi con-tro l’organizzazione dei turni di lavoro. Pietro era stato uno dei relatori al convegnodel 2005 ed il grande assente in quello del2011. Come Amici di Pietro e come MedicinaDemocratica, che ha intitolato proprio aPietro Mirabelli la Sezione di Firenze-Pistoia, abbiamo cercato di portare avantinon solo la sua memoria (www.pietromira-belli.it), ma anche le sue lotte.

Di seguito riportiamo alcuni scritti per ricor-dare la figura di Pietro Mirabelli.

L’INFORTUNIO E LE INDAGINIPietro Mirabelli per quasi 10 anni RSU eRLS sui lavori dell’Alta Velocità Bologna-Firenze è morto il 22 settembre 2010 aSigirino ove lavorava come minatore nellagalleria Alptransit di Sigirino. Aveva 54anni, sposato con 3 figli. La dinamica dell’infortunio è così breve-mente ricostruibile: 2 operai un 38enne delCanton Obwaldo e un 31enne residente inItalia si trovavano nella cabina di un mac-chinario intenti a perforare la roccia dellagalleria. Durante la perforazione il bracciodel macchinario si è ritirato facendo cadereda un’altezza di circa 7-8 metri un blocco diroccia. La roccia ha investito Pietro chestava svolgendo un’operazione collateralecon una vanga in quanto si era accumulatamolta acqua durante le operazioni di scavo.Sul posto si sono recati la Croce Verde diLugano e i pompieri di Lugano con undiciuomini e sei veicoli, nonchè i pompieri diRivera con otto uomini e due veicoli. PietroMirabelli è stato trasportato all’ospedale e le

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sue condizioni erano apparse purtroppo sinda subito gravissime, tanto che i mediciavevano parlato di un operaio in fin di vita.Purtroppo non ce l’ha fatta ed è deceduto innottata all’ospedale.I primi risultati delle indagini del Procu-ratore Pubblico di Lugano trasmesse aMedicina Democratica dall’avvocato SergioSciuchetti di Lugano, indicato ai familiaridal Sindacato Svizzero, erano incredibil-mente assolutorie per l’azienda (trattasi diun Consorzio di aziende prevalentementeitaliane) e rigettavano tutte le responsabilitàsu Pietro (“si trovava nel posto sbagliato almomento sbagliato”). Medicina Democratica di Firenze ha lavora-to tramite tecnici che si sono offerti gratuita-mente ad una controperizia nel merito che èstata inviata all’Avvocato Sciuchetti.Quest’ultimo ha fatto proprie le osservazio-ni e le ha inviate al Procuratore, che peròavendo ormai in testa una verità precostitui-ta, ha proseguito per la sua strada ed haemesso all’inizio di Luglio 2011 un incredi-bile “Decreto di Abbandono”, che significanel linguaggio giurisprudenziale italiano:“Archiviazione”. L’avvocato e la famiglia, con l’aiuto dei tec-nici di Medicina Democratica e con unanuova audizione fatta il 22.07.2011 di alcu-ni dei testi, mai ascoltati prima dalMagistrato, procedevano a inviare unReclamo che si articolava su 5 punti argo-mentati analiticamente dei quali 3 fonda-mentali: 1. In una zona non in sicurezza si effettua-vano con il Jumbo attività di messa in sicu-rezza (fori per la posa degli agganci e posadella rete) e di produzione (fori per la posadelle cariche esplosive per la volata). 2. I “fori ai piedi del fronte (quelli nella parteinferiore del fronte) vengono chiamati “rile-vaggi”. Diversamente dagli altri non vengo-no effettuati perpendicolarmente all’assedel fronte, ma inclinati verso il basso. Per evitare che questi si otturassero a moti-vo della terra che cadeva nella lavorazionedei fori superiori, veniva inserita nel rile-vaggio una cannula in plastica. Prima diinserire la cannula in plastica, si trattava ditogliere la terra nel frattempo depositatasiintorno al buco. E’ questa la lavorazione che è andato forse asvolgere Pietro con la pala (badile), nono-stante come caposquadra avrebbe potuto

mandare lavoratori più giovani. L’OPERA-ZIONE CON LA POMPA PER ASPIRAREL’ACQUA ACCUMALATASI NON C’EN-TRA ASSOLUTAMENTE NIENTE ED E’STATA ACCREDITATA IN MANIERAIGNOBILE DAL PROCURATORE PERSCARICARE TUTTE LE RESPONSABILI-TA’ SU PIETRO.Conoscendo la meticolosità e la precisionedi Pietro, tale versione è sicuramente darigettare.I due operai che stavano perforando la roc-cia con il Jumbo hanno dichiarato di nonaver effettuato alcuna formazione prima dicominciare i lavori (uno dei due era statoassunto da pochi giorni). Quello che ha colpito Pietro Mirabelli èstato il nono infortunio dall’apertura deilavori come hanno confermato dalla sede diAlptransit. Questo ha testimoniato un pauroso abbassa-mento della guardia in atto anche inSvizzera sulla sicurezza del lavoro.Il Procuratore Generale di Lugano acco-gliendo il ricorso della famiglia di Pietro edell’avvocato di Lugano decideva la riaper-tura delle indagini inviando l’inchiesta a unaltro Procuratore Pubblico che ha ascoltatopiù testimoni e raccolte le testimonianze hanominato un Consulente Tecnico che harelazionato. A conclusione delle indagini ilProcuratore Pubblico ha rinviato a giudiziol’operaio che ha provocato l’incidente conuna manovra maldestra, il Capo Operaiodetto Capo Sciolta che avrebbe dovuto sor-vegliare la corretta esecuzione delle lavora-zioni e l’Ingegnere responsabile dellaSicurezza autore della stesura del Piano diSicurezza. Rimangono purtroppo fuori dalprocesso la committenza e l’azienda appal-tante. Per questo rinviamo al Comunicato diMedicina Democratica.Il processo non è ancora iniziato; la (diffici-le) scommessa è riuscire come parte civile adimostrare la non innocenza del datore dilavoro e della committenza per far aprire unnuovo filone di indagine, ma con un allun-gamento ulteriore dei tempi.

INTERVENTO DI PIETRO MIRABELLIALLA CONFERENZA-DIBATTITO “LA-VORATORI SENZA RETE. CONFLITTITRA SALUTE, SALARIO E SICUREZ-ZA”, FIRENZE 12.03.2005Buongiorno a tutti, sono Pietro Mirabelli

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lavoro sull’alta velocità, al cantiere Carlonedi Vaglia. Prima di passare all’argomentocentrale del mio intervento, volevo ricorda-re alcune cose a proposito del nostro rap-porto di delegati con il sindacato. A voltesembra che quando ci organizziamo suiluoghi di lavoro vogliamo distruggere il sin-dacato. Invece non è così. Un funzionariosindacale, che esce dall’università e va pra-ticamente a fare il sindacalista, sa tutto dileggi, al contrario di noi delegati. Su questitemi il funzionario ci brucia, ci mette K.O.Vivere quotidianamente sui luoghi di lavoro– la mia esperienza dura ormai da trent’an-ni – è però ben diverso e quando si parla diaccordi e di contratti a volte la base nonviene presa in considerazione. Un contoperò è prendere carta e penna e firmare, unconto è vivere le condizioni definite dai con-tratti. Cosa è successo nel nostro caso?Quando siamo stati assunti nei cantieri del-l’alta velocità del Mugello ci è stato detto dalresponsabile delle assunzioni: “Qui si lavo-ra a ciclo continuo.” All’inizio noi lavorato-ri non sapevamo nemmeno cosa significas-se, visto anche il nostro livello di cultura,che è in molti casi davvero basso. A nessu-no di noi è venuto in mente di dire di no findall’inizio, perché ci veniva chiesto di sce-gliere tra il lavoro o la disoccupazione. Chiaveva firmato non poteva però non sape-re… Io dico sempre che non è pensabile unmondo del lavoro senza sindacato, maall’interno del sindacato forse ogni tanto…se paragoniamo la CGIL a un albero, ognitanto questo albero andrebbe potato e i ramisecchi che non portano frutti tagliati. Con il ciclo continuo si sono procurati sol-tanto danni ai lavoratori e alle loro famigliee i benefici li ha visti solo l’impresa. Quandoabbiamo capito in cosa consistevano i nostriturni di lavoro ci siamo cominciati a ribella-re, perché man mano che passava il tempoil ritmo di lavoro diventava sempre piùpesante. Lavorare sei giorni consecutivi,notti comprese, è un dramma. Da quandoparti da casa per venire su al cantiere lavo-ri e basta, perché non c’è il tempo materialeper fare altro e vivere nei cantieri non è faci-le. Si torna in famiglia soltanto quandoabbiamo tre giorni di riposo, perché noi iturni 6+1, 6+2, 6+3 (cioè sei giorni di lavoroe uno di riposo, sei giorni di lavoro e due diriposo, sei giorni di lavoro e tre di riposo). I più vicini arrivano a casa bene, ma noi che

abitiamo in Calabria, Basilicata e Siciliapossiamo solo sfruttare i tre giorni di riposoconsecutivo. Ma i problemi non sono finiti, perché se imiei tre giorni di riposo capitano durante lasettimana, non riesco neanche a vedere imiei, che studiano o lavorano fuori casa. Se andiamo oggi a rileggere l’accordo qua-dro firmato dal sindacato con TAV nel1995, tutti ammettono che è una danno, manessuno organizza questo dissenso. Quattroanni fa mi sono preso la briga di raccoglierele firme in tutti i cantieri dell’alta velocitàtoscani: ho raccolto 800 firme in due giorni

di persone che alla domanda “approvi o noil ciclo continuo” rispondevano “no”.Nessuno ha avuto esitazione a firmare, anziqualcuno ne avrebbe messe due di firme! Quell’accordo è stato una cosa sbagliata. Ilsindacato si è difeso dicendo che con il ciclocontinuo sull’alta velocità è aumentata l’oc-cupazione, anche questo non si è verificato.Quando alzo la voce e dico che le squadredovevano essere formate da 13/15 personee questo non è mai successo, dimostro cheil personale di fatto manca. Sulle assunzio-ni si risparmia perché tanto meno uominiesperti riescono a fare il lavoro di una squa-dra completa, meglio è per l’azienda: maquesto ragionamento non è accettabile. Un’altra cosa che il sindacato ha sbagliatosulla nostra tratta, è la totale assenza di uncoordinamento tra tutti i delegati sindacalidella tratta Bologna – Firenze, che non hapermesso di affrontare insieme problemicomuni, che nel nostro caso neanche siconoscono. Eppure le sei notti consecutivein galleria nessuno le avrebbe accettate apriori. Il nostro lavoro è usurante: come si faper quarant’anni a lavorare nel sottosuolo,

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anche se inizi prestissimo? Non ci si arriva.In più noi cambiamo continuamente posto,saltiamo di palo in frasca, con i periodi dimobilità, di cassa integrazione non ci arri-viamo mai ai quarant’anni, moriamoprima. Mi sembra veramente un presa ingiro! È difficile per me oggi andare in pen-sione e penso a mio figlio che neanche trovalavoro. Un ragazzo che entra nel mercatodel lavoro nel 2006, quando ci andrà in pen-sione?Il sindacato deve lottare contro le leggi sulprecariato, sul lavoro interinale. L’unicacosa certa oggi per noi e per i giovani delfuturo è l’incertezza. Questa questione èurgente e deve essere affrontata e risolta.Invece sembra che più passa il tempo, più ilmondo è dei ricchi. Quando muore un lavo-ratore non interessa a nessuno, come moris-se un cane. Quando un lavoratore si infor-tuna il danno non è solo suo, ma di tutta lasocietà, perché vale di più un lavoratore cheproduce poco per sempre che un lavoratoresupersfruttato che poi si fa male e deve starefermo per forza. Ritornando al ruolo del sindacato si notaperò che tra il funzionario e il luogo di lavo-ro c’è ormai una grande distanza. Chi devevigilare sul luogo di lavoro sono gli RSU e gliRLS, che essendo votati direttamente dailavoratori dovrebbero raccogliere la lorofiducia. Quella dei delegati nei luoghi dilavoro dovrebbe essere una vera e propriamissione in difesa dei diritti, non nella loroconquista, perché oggi stiamo lottando perdifendere quei diritti conquistati dalle pre-cedenti generazioni. Il ruolo dei delegati èfondamentale per la tutela della salute deilavoratori, ma molti di noi si vendono e pas-sano dall’altra parte. Se andiamo a vederenel cantiere, in cui sono, chi è l’unico dele-gato rimasto nel ciclo continuo, quello sonoio, perché ho la testa dura! Gli altri sonospariti e dopo che ho lanciato questa accu-sa, nessuno è mai venuto a dirmi che non èvero. Quando bisognava fare il delegato sin-dacale e difendere i lavoratori in quei posti,chi c’era? Tanto vale allora comportarsi piùdignitosamente e dimettersi. Abbiamo fatto centinaia di segnalazionisulla violazione delle norme di sicurezza,tutte ignorate. E chi fa queste lotte viene iso-lato. Sono perfettamente consapevole deirischi a cui vado incontro: domani, cam-biando cantiere, se c’è una persona di cui

potranno fare a meno, quella sono io. Lo scoraggiamento arriva quando ti sentisolo, quando sei isolato e ti viene voglia digettare la spugna. In questi casi si ha paurama il coraggio vince, perché si lotta per unacausa giusta, i diritti dei lavoratori. E sonoorgoglioso di questo. Talvolta però i peggio-ri nemici li troviamo proprio tra i colleghi.Volevo adesso toccare un altro argomentoche riguarda i cantieri dell’alta velocità,quello del Sud Italia. I lavoratori che comeme fanno questo tipo di mestiere, in galleriae più in generale nell’edilizia, provengonoin gran parte dalle regioni meridionali. Vieni usato da anni come forza lavoro,preso e portato dove c’è bisogno, lontano dacasa. E nel Sud la disoccupazione è tutt’og-gi un gravissimo problema. Se si creasselavoro direttamente nelle nostre terre, forsesarebbe possibile anche dare uno schiaffoalla mafia. Un giovane nullafacente e insod-disfatto è a rischio e facilmente reclutabile.Sappiamo tutti che la mafia mette le radiciladdove c’è disoccupazione e ignoranza.Questi sono problemi che anche insieme alsindacato potrebbero essere affrontati. Infine volevo descrivere brevemente lenostre condizioni di vita nei cantieri.Viviamo in piccole camere, due per stanza,in uno spazio strettissimo, spesso con turnidifferenti, per cui quando uno dorme l’altroinvece si prepara per andare al lavoro o èlibero e vorrebbe fare altro. Mi porti a lavo-rare lontano da casa, dalla famiglia e dagliaffetti e non mi dai neanche le condizionidignitose minime, come dormire e mangia-re. Noi operai siamo talmente abituati aquesta vita che a volte e difficile riambien-tarsi quando torniamo a casa. Dopo trent’anni ormai ci si abitua, quelladiventa la routine, è come se ci svuotasseroil cervello. Con questo ringrazio tutti per l’attenzione evi saluto.

RICORDO DI STEFANO PIGHINI, AMICODI PIETRO MIRABELLI 23.09.2010Tutti muoiono. Niente è più sconvolgenteper il bambino che apprende il terribiledestino della vita. La morte, prima o poi arri-va. La chiesa si è posta nei secoli come ungigantesco argine istituzionale, psicologico,scenografico, culturale, simbolico, politico aquesto naturale deperimento cellulare chealla coscienza vigile dell’uomo pare una

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negazione della divinità. La chiesa è stata ungigantesco cinema all’aperto per innumere-voli generazioni. Prima che, appunto lavarietà delle morti fosse privatizzata dai variregisti, c’era un’unica regia, un unico copio-ne, ma infinite variazioni sul tema.Se la morte è uguale per tutti la vita non hasempre lo stesso prezzo. E’ strano che a dareil valore alla vita siano le ultime parole pro-nunciate sulla tomba del morto. Certo, nelricordo di ciascuno il morto vive a modosuo. Ma per il pubblico dei viventi, comenei programmi di pallone e in quelli diMinzolini, ha ragione chi parla per ultimo.Resto sempre stupito quando di fronte allebare di amici morti sento un prete addolo-rarsi per uno che non conosce nemmeno.Compunto e composto prende a parlaredelle sue qualità morali, delle sue meravi-gliose virtù, della sua modestia, della suagrazia nell’abbassare lo sguardo di fronte almistero di Dio. Mi capita spesso di guardarestupito gli astanti, che fingono di non senti-re, oppure stanno pensando ad altro, oppu-re semplicemente, sono grati al messo divi-no per averli sgravati dall’onere di giudicareessi stessi che cosa lascia un uomo chemuore.In fondo, questo è il messaggio, della vita sipuò dire ciò che si vuole ma della mortesolo il Signore può avere qualche voce incapitolo.

UN AMICOCosì è accaduto ad esempio in occasionedella morte di un mio caro amico, un mina-tore delegato CGIL che era stato eletto dailavoratori nei cantieri e che era anche undelegato sindacale sui temi della sicurezza,un cosiddetto RLS. Un lavoratore che avevacontribuito con il sudore e le lacrime a sban-care il Mugello per due lustri, e alla fine, l’al-legro treno da 300 km/h, lui e i suoi compa-gni calabresi e meridionali c’erano riusciti afarcelo passare sotto la montagna. Un mina-tore che si era esposto, e aveva pagato in varimodi. Dai ricatti, alle pressioni, ai consigliinteressati, alla solitudine, tutto l’armamen-tario di dissuasione che chi si “impegna”democraticamente per i propri e gli altruidiritti conosce benissimo. Dopo la fine deicantieri TAV, e la cassa integrazione, unaditta che si chiama come una lotteria,TOTO, gli aveva fatto firmare le dimissioniin bianco, così, come rompeva i coglioni, un

paio di calci e via.Anche con il sottoscritto, dopo una lungatelefonata si erano interrotti i rapporti. Iocredevo che le lotte funzionano solo quandosi rappresenta effettivamente qualcuno, equando questo ruolo di rappresentanzaviene meno anche la lotta si sgonfia. Pietroaveva un altro problema al momento. Eradisoccupato e con una famiglia lontana;deluso dal sindacato, dal partito, dai suoiamici, da me: chiedeva aiuto e nessuno siera alzato dalla poltrona per tendergli unamano. Pretendeva che qualcuno, a qualun-que titolo, lo aiutasse. Gli risultava assurdo

pensare che uno si muove solo se rappre-senti qualcosa o qualcun altro. Se uno habisogno che fai, ti scansi?La lingua civilizzata dell’intellettualismomilitante conosce per questo tipo di atteg-giamento tutta una serie di parole che fini-scono con –ismo, ma non interessano piùnessuno, men che meno il sottoscritto.Come un riflesso pavloviano ne avevo giàcontate circa una decina di queste parole, ementre mi esercitavo sull’undicesima migiunse la notizia della sua morte. In un atti-mo compresi che non importavano nullaquelle parole e in generale nessuna parola.Quello che contava era solo la sua assenza,pesante, immensa, un buco nero che si apri-va nella pancia. Compresi ad un prezzodisumano che Pietro aveva ragione. Si vieneal mondo per una pura casualità in una pan-cia qualunque e si ritorna alla terra secondodestini personali, ma anche seguendo preci-se traiettorie. Quando una mano è in cercadi appiglio e non lo trova dove dovrebbeessere, quel destino personale si intrecciacon una precisa traiettoria. Siamo noi viviche facciamo la storia dei morti. Per questo

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i morti ci chiamano e ci richiamano alnostro dovere in un modo che i vivi nonsono capaci di fare, e per questo il doloreche una scomparsa così provoca non puòtrovare acquiescenza nella messa domeni-cale o nel confessionale. Non ci sarà nessu-na resurrezione dei morti per noi.Ci ripensai e cambiai idea qualche giornodopo, ma solo a proposito delle parole. Essenon sono inutili, a volte sono dannose.

LA GUERRA DI PIETROUna celebrazione funebre, commossa e par-tecipata ha visto sfilare almeno duemila per-sone per le strade incerte e incomprensibilidi Pagliarelle, il piccolo paese inventato aipiedi della Sila. (come ci spiegò un giornoun grande vecchio del luogo zu’ Cicciu,Pagliarelle stava per “piccoli pagliai”, che icontadini ammassavano lì come giaciglioper le bestie). Sui muri pieni di necrologicon la foto di Pietro, nel riflesso degli occhilucidi di un vecchio, nelle parole dal palco,nella piccola piazza infiorata circolava,come un sibilo, un’espressione secca: Eroe.Maledetta istruzione, maledetta scuola emaledette saghe epiche. Non riesco a farmientrare in testa quella parola che funzionacome una scarica. “Eroe”. Brevemente elet-trica, dotata di una potente stratificazionesemantica, da lasciare senza fiato anche ilpiù spregiudicato dei filologi.Ogni comunità umana nel corso dei millen-ni ha elaborato figure eroiche. In Italia neglianni recenti questa parola è stata ripetuta eripetuta e ripetuta e ripetuta e ripetuta anco-ra per i militari uccisi in guerra, oppure peri mercenari uccisi in guerra. Solitamentequando viene ammazzato in guerra “unodei nostri” è un eroe in automatico.Ma la guerra di Piero non può essere la guer-ra di Pietro. Mirabelli non serviva per lautosoldo datori di lavoro interessati ad ammaz-zare. La guerra Pietro non la faceva per i suoipadroni, ma per i suoi compagni, la facevaall’ignoranza, alla disperazione, alla solitu-dine, alle condizioni di insicurezza in cuilui e quelli come lui erano costretti a lavora-re. La sua guerra la faceva in nome delladignità del lavoro. Ma non è questo il punto.Le guerre sono tutte uguali quando a moriresono degli innocenti, ma quando a moriresono dei colpevoli allora tutto cambia e laguerra assume una varietà di sfumaturequasi innumerevoli. Quando poi i colpevo-

li di una guerra potremmo essere noi, le cosesi fanno ancora più complicate. Ad un estre-mo, essa può persino essere una guerra giu-sta se una maggioranza silenziosa si mac-chia di crimini enormi. E allora guerra sia!Ma a morire in questa guerra dichiaratadevono essere le parole e non gli uomini.Una guerra contro le parole che miri a disar-marle. Perché non è da morti che bisogne-rebbe essere chiamati eroi, ma da vivi. Lì vedresti ancora dell’eroismo: l’uomo chedà la mano all’uomo quando questi puòancora ricambiare il favore. Da vivi invecegli uomini si ostacolano l’un l’altro e rara-mente si aiutano. Da vivo a Pietro gli dava-no dell’irresponsabile, del pazzo, dell’ec-centrico, del pericoloso. Lo scansavano enon andavano a votarlo al suo paese, se maicapitasse che fosse eletto, sai che tragedia! Iprofessionisti della politica gli avevano tesoanche qualche trappola, e volevano persinocandidarlo con personaggi impresentabili,lontani una galassia da lui per tutto tranneche per la provenienza geografica. InsommaPietro aveva tutto per essere un eroe trannela morte.Pietro era un eroe potenziale e un vero eroece lo hanno fatto diventare tutti quelli che,me compreso, lo hanno spinto a schifarequesto Paese e a lasciare passo passo, oradopo ora, minuto dopo minuto, questoPaese senza lavoro e dignità, mettendolosulla strada della Svizzera, come gli emigra-ti di antica data. E lassù, raccontava, si stavamolto peggio che in Italia, si rischiava anco-ra di più anche se pagavano meglio. Patriadei soldi sporchi, degli orologi, del cioccola-to e dei calci in culo.

BASTA EROIMa lasciamo stare il destino, la Svizzera cheti accoglie a braccia chiuse, il buco sottoter-ra. Peggio sarebbe non aprire gli occhi sullabecera retorica dell’eroe. Questa riesumazio-ne del capro espiatorio al contrario. Si pian-ge l’eroe perché la truppa sia mondata dalpeccato della colpa di non averlo seguito edifeso e capito. Si invoca l’eroe perché nes-suno rischi del suo, lo si piange quandomuore più perché manca lo scudo diAchille dal piè veloce dietro al quale pro-teggersi, che perché si amava l’uomo morto.Molto ho appreso in questo viaggio ai confi-ni della penisola, molto ho imparato dellamia vigliaccheria. Ma voglio cominciare a

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non usare più parole vuote e facili, comequelle dei preti, come quelle dei cronisti deltiggì, come quelle di tutte quelle personeche usano queste parole-totem senza capireche sono queste parole che le tengono pri-gioniere delle proprie debolezze. Comincioa pensare che i “martiri” di Nassirya, gli“eroi” afgani, i contractors italiani, mercena-ri che scannano a partita iva, siano davverovittime, autentici eroi delle nostre paure,prigionieri di parole amorevoli: oggi servito-ri della patria, domani martiri o eroi. Noisiamo l’ingranaggio collettivo, i mandantiocculti delle loro morti eroiche.Certo anche qui non tutti hanno la stessaquota di responsabilità.I pronunciatori di parole mitiche sgambetta-no felici, mentre qualche Savonarola diturno si “assume la propria responsabilità”.Poiché molti pronunciatori sono immunida responsabilità anche se dovrebbero sop-portarne una gran parte, non pensano nem-meno di dover avere scrupoli morali. Cosìanche assumersi la colpa non vale niente. E’come uno che per essere equo e responsabi-le non consuma più le merci. Se lo fanno inmolti, il prezzo delle merci scende e allorain pochi consumano di più di tutti, pagan-do meno, e godono anche quello che spette-rebbe ad altri.

UN UOMO LIBEROEcco più che il senso di colpa è il furto delgodimento che deve armare le nostre intelli-genze. Ma non quel godimento estatico del-l’appagamento momentaneo, quello invecedel contatto, del respiro e dello sguardo,della pelle e della vicinanza, del silenzio edell’imbarazzo che divide due esperienze divita ma può unirle in certe condizioni. Ilgodimento dell’essere-qui-per-te. Non l’es-sere-qui-per-me. Da quello nasce il senso dicolpa. E il senso di colpa si porta dietro ilrancore, ti fa scavare gallerie interminabili,senza uscita. Ti fa chiudere. Pietro eradepresso ma non aveva sensi di colpa, per-ché era sempre qui-anche-per-gli-altri. Seriusciva a scaldarsi un po’ ti scaldava anchea te. Pietro a sentirlo parlare e ridere ti face-va bene. Pietro a vederlo piangere per i suoicompagni morti ammazzati dal lavoro cheuccide come un killer seriale faceva piange-re dal dolore chi lo ascoltava. A vederlo lot-tare come un leone, a non darsi mai pervinto ti faceva salire la forza nelle braccia e

nella testa. In un’intervista che gira su you-tube gli ho visto un lampo negli occhi men-tre dice che solo i deboli perdono la speran-za. Pietro era come un lupo della Sila, unuomo libero, non un eroe.E alla fine, non ho capito niente di come vail mondo. L’ottusa pietra che uccide unuomo straordinario non è meno colpevoledi un proiettile che uccide un giovane mani-festante. L’accettazione dell’inaccettabile èottuso tanto quanto la pallottola e il sasso.Siamo pallottole e sassi. Pronunciamo paro-le che ci uccidono. Ci uccidiamo seppellen-doci di parole mitiche. E le parole poi una

volta pronunciate ci soggiogano, ci guidanocome fossimo ipnotizzati dal loro suono edalla forza evocativa che rimbomba in noi.Piangere un Eroe è da Uomini Veri; Uominiveri piangono Veri Eroi. Un Eroe è come undiamante, è per sempre… . Via, lontano dame quel groviglio di contraddizioni, diimprecazioni e di incomprensibili sceltepolitiche, quella testa calda, quella melamarcia di Pietro Mirabelli! Ora, solitaria,campeggia la sua figura di Eroe. Tutti posso-no pronunciare beati questa parola: la chie-sa che lo esalta e lo mette “nella compagniadei santi”, come diceva il vicevescovo aPagliarelle; il pasciuto trombone provincia-le assessorale che infioretta avverbi e super-lativi elementari; i suoi nemici che gli ren-dono l’onore delle armi dopo avergli augu-rato la morte, gli indifferenti, che lo scansa-vano al bar del paese quando era solo uneroe potenziale, e gli amici come me che sirincuorano di aver conosciuto un Eroe, unvero Uomo, dimenticando tutto quello chevive dietro le parole. Tutti a piangere ilmorto ammazzato, mentre gli operai che selo portano a spalla per l’ultimo viaggio, se li

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guardi in faccia, sono un libro aperto: sicagano sotto dalla paura di passare da eroi.

COMUNICATO STAMPA DI GINOCARPENTIERO E GIANLUCA GARETTIPER LA SEZIONE PIETRO MIRABELLI DIMEDICINA DEMOCRATICA FIRENZE -6.06.2016.LA RETORICA DEL SAN GOTTARDONASCONDE I CRIMINI CONTRO ILAVORATORII toni trionfalistici con cui è stata salutata l’i-naugurazione del Tunnel del San Gottardoalla presenza tra gli altri di Matteo Renzi,che è andato di persona a complimentarsicon le autorità svizzere, hanno fatto dimen-ticare il prezzo pagato alla costruzione del-l’opera: 11 morti sul lavoro (uno ogni 5 Kmcirca, considerando i 57 Km di lunghezzadell’opera).Uno di quegli 11 morti è il nostro amico ecompagno Pietro Mirabelli che noi diMedicina Democratica avemmo modo diconoscere nei primi anni 2000 ai tempidella costruzione della Tav Bologna-Firenze. Pietro, minatore calabrese, con unalto livello di coscienza di classe, si era bat-tuto in quegli anni in difesa dei diritti e delladignità dei lavoratori impegnati in quell’o-pera di 78 Km di cui 73 in galleria. Pietro sibattè in particolare contro il turno a ciclocontinuo, particolarmente gravoso per ilavoratori. Fu proprio grazie alla lotta diPietro e dei suoi compagni, appoggiati daMedicina Democratica e dall’associazioneambientalista IDRA, oltre che da un gruppodi ricercatori dell’Università di Firenze egrazie all’azione di controllo asfissiante delServizio di Prevenzione della ASL diFirenze che si riuscì a limitare il numero diincidenti mortali ( 5 complessivi, uno ogni15 Km).Ma finita la BO-FI Pietro non riuscì più a tro-vare lavoro in Italia: nessuno voleva assu-merlo, non perché non fosse un buon mina-tore, ma perché era ostinatamente dallaparte dei lavoratori.Andò così a lavorare nella primavera 2010al Tunnel del San Gottardo in Svizzera con

la ditta Condotte ove trovò la morte il 22 set-tembre di quello stesso anno in un infortu-nio sul lavoro la cui responsabilità era nonsolo della ditta appaltante ma anche dell’as-soluta assenza di controlli da parte delleautorità svizzere all’uopo preposte.Dopo oltre 5 anni un mese fa c’è stata la con-clusione delle indagini da parte dellaMagistratura Elvetica: ma incredibilmentesono stati rinviati a giudizio l’ingegnereresponsabile della sicurezza, un capo ope-raio responsabile della squadra presso cuilavorava Pietro e l’operaio, non formato allasicurezza sul lavoro, che compì la maldestraoperazione che provocò il distacco delmasso che uccise Pietro Mirabelli.Fuori dal processo rimangono i veri respon-sabili: il datore di lavoro e i dirigenti diCondotte, azienda in passato coinvolta inun processo per contiguità alla ‘ndrangheta,e la committenza svizzera il ConsorzioAlpTransit che ha preteso tempi e ritmi dilavoro insostenibili. Il rispetto dei tempi diconclusione dell’opera valgono bene un po’di morti operaie.Tutto questo il nostro Presidente delConsiglio non sa o, meglio, non vuole sape-re.

RINGRAZIAMENTIUn ringraziamento particolare al gruppodenominato “GLI AMICI DI PIETRO” com-posto da Stefano Pighini, che ha lavoratoall’assemblaggio degli ATTI dei 2 convegni2005 e 2011, Simona Baldanzi, scrittrice diun romanzo “operaista” del 2006 “Figlia diuna Vestaglia blu” nel quale Pietro Mirabelliè una delle figure centrali, Natalia Faraoni,Duccio Basosi e Lara Panzani, ricercatori edex membri del Collettivo di ScienzePolitiche dell’Università di Firenze (comeStefano Pighini). Infine un ringraziamentoparticolare ai due tecnici della Prevenzionedella ASL di Firenze, Alessandro Muller eMassimo Frilli, che hanno messo le loroconsolidate competenze sulle grandi opereal servizio della Controinchiesta sulle causedella morte di Pietro evitando la possibilevergognosa archiviazione del procedimento.

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*Medico del Lavoro- Sezione di Medici-na DemocraticaPietro Mirabelli, Firenze.

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Repressione e discriminazionenei luoghi di lavoro

di Gino CARPENTIERO*

EXCURSUS STORICOLa repressione e la discriminazione nei luo-ghi di lavoro sono sempre esistite nella sto-ria della lotta tra Capitale e Lavoro. Essesono dipese sempre dai rapporti di forza trale classi in ogni epoca storia.Per rimanere alla situazione italiana degliultimi 100 anni, si può ricordare che ilFascismo fu la risposta padronale alle gran-di lotte del movimento operaio del bienniorosso 1919-1920, con l’occupazione dellefabbriche e la maturazione di una situazio-ne pre-rivoluzionaria. Non è casuale chedietro le prime squadracce fasciste cheaggredivano operai, braccianti, antifascisti eche bruciavano le Case del popolo c’erano ipadroni agrari, ma anche gli industriali; laFIAT di Giovanni Agnelli aderisce al fasci-smo e procede alla repressione nei confron-ti dei lavoratori che avevano occupato l’a-zienda. Dopo la Liberazione, che come siricorderà, venne preceduta dagli scioperinelle grandi fabbriche del Nord Italia, ci fula lenta restaurazione padronale che rag-giunge il suo culmine a metà degli anni 50con la sconfitta della CGIL nelle elezionidelle Commissioni interne delle grandi fab-briche. Partì così la repressione degli operaicomunisti e socialisti nei luoghi di lavoro, eper la prima volta vennero creati alla FIAT ireparti confino ove venivano relegati i lavo-ratori scomodi. In quel periodo l’esperienzadell’ Olivetti di Ivrea, l’unica di capitalismoetico, fece da contraltare alla Torino-FIAT.Ma quella dell’Olivetti rimase un’esperien-za isolata : Adriano Olivetti era un impren-ditore sui generis in quanto era stato parti-giano ed era socialista; non entrò mai inConfindustria.Per garantire il benessere ai lavoratori

chiamò Cesare Musatti, Paolo Volponi,Franco Fortini, Francesco Novara (quest’ul-timo uno dei padri della Psicologia del lavo-ro) ed altri ancora.La fine degli anni ’60 e tutti gli anni ’70segnarono l’inizio di una grande controffen-siva operaia e sindacale. Le lotte operaiecontro la nocività in fabbrica e contro l’orga-nizzazione capitalistica del lavoro ottennerograndi risultati pur scatenando la controf-fensiva padronale; questa non potè impedi-re che si arrivasse a delle grandi conquisteda parte dei lavoratori: tra queste lo Statutodei Lavoratori, la Legge di Riforma Sanitariasopra tutte. Nel periodo d’oro 1969-1980 gliepisodi di repressione e discriminazionenei confronti delle avanguardie operaievenivano stoppati dall’azione collettiva deilavoratori. La sconfitta operaia alla FIAT nel-l’ottobre del 1980, dopo i famosi 35 giorni dioccupazione segnò lo spartiacque che, apartire dalla FIAT, estenderà la controffensi-va padronale in tutti i posti di lavoro. LaFIAT si scatenò di nuovo contro i lavoratoriche avevano diretto le lotte di quegli anniusando prima la cassa integrazione a ZEROORE e poi, di nuovo come negli anni 50, ireparti confino, una sorta di condanna all’i-solamento per i lavoratori scomodi, cheportò alcuni di loro al suicidio ed altri adabbandonare definitivamente la FIAT.L’ attuale AD della FIAT Sergio Marchionneha rinverdito i fasti dei reparti confino congli Operai dell’Alfa di Pomigliano inviatiper punizione a Nola.Per chi volesse approfondire quella che èstata la parabola della sconfitta operaiadall’80 in poi consiglio il libro inchiesta diGad Lerner dal titolo OPERAI (Operai.Viaggio all’interno della Fiat. La vita, le case,

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le fabbriche di una classe che non c’è più,Feltrinelli, prima edizione 1987, ristampa2010).

GLI ULTIMI VENTI ANNI FINO AINOSTRI GIORNINegli ultimi 20 anni la situazione delMovimento Operaio è ulteriormente peg-giorata: dalla Legge Treu del 1997 fino alJobs Act del 2015-16 con relativa abolizio-ne dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratoriper i nuovi lavoratori, si è creata una straor-dinaria precarizzazione del lavoro, con pro-gressiva drastica riduzione del numero dilavoratori a tempo indeterminato. Questiultimi sono stati additati da un’indegnacampagna mass-mediologica come dei pri-vilegiati e divenuti, soprattutto quandoimpegnati sindacalmente (RSU) o comeRLS, per la difesa dei diritti e della salutedei loro compagni di lavoro, oggetto disistematica repressione e discriminazioni,fino a vere e proprie vessazioni lavorative(mobbing): le grandi aziende private, quellepubbliche, le banche, le FF.SS., le aziendedi trasporto pubblico, etc si sono spessodistinte per tali azioni repressive e discri-minatorie. Negli ultimi 2-3 anni c’è statoqualche segnale importante, di presa dicoscienza, anche se non si può ancora par-lare di contrattacco dei lavoratori, in parti-colare nelle ex Regioni Rosse: “in Toscanaattivisti del mondo sindacale, in opposizio-ne alle pratiche fallimentari e disastrosedella concertazione, da alcuni mesi hannofatto proprio un metodo di lavoro e di lottasolidale e coordinato”.Così si apre l’introduzione agli ATTI DELCONVEGNO SULLA REPRESSIONE NEILUOGHI DI LAVORO, tenutosi a Firenze il29 novembre 2014 e di cui riproponiamo inquesto numero della rivista l’intervento diRiccardo Antonini, licenziato dalle FF.SS.per aver aiutato come perito, le famiglie col-pite nei loro affetti più cari nella strage fer-roviaria del 29 giugno 2009 a Viareggio.In Emilia i lavoratori della logistica orga-nizzati nel Sindacato di Base USB, in granparte extracomunitari lottano per la difesadei loro diritti pagando anche un prezzomolto salato (un lavoratore egiziano è statotravolto e ucciso da un TIR a Piacenzadurante un picchetto).

REPRESSIONE E DISCRIMINAZIONI NEICONFRONTI DEGLI OPERATORI DELLAPREVENZIONE DELLE AA.SS.LL.Gli operatori dei Servizi di PrevenzioneSalute e Sicurezza sul Lavoro non hannofatto eccezione, sia pure in maniera piùcontenuta rispetto ai lavoratori e aiDelegati Sindacali ed RLS, per quantoriguarda episodi di repressione e soprat-tutto di intimidazione nei loro confronti.Tre sono i casi noti, di cui due accaduti aFirenze e uno a Reggio Emilia. Il primocaso ha riguardato un medico del lavoroASL, G.C. (chi scrive) : su denuncia di unagrande azienda edile oggi fallita il medicoè stato accusato di abuso d’ufficio per unaprescrizione riguardante un lavoratoreedile sottoposto a vessazioni sul lavoro. IlPM aveva chiesto il rinvio a giudizio, il GIPprima e la Cassazione poi non hannoaccordato, archiviando il caso e condan-nando l’azienda fallita a pagare le speseprocessuali. Il secondo caso fiorentino hariguardato tre tecnici della PrevenzioneASL che a seguito dell’assoluzione di undatore di lavoro edile nel processo perlesioni colpose gravi per l’infortunio sullavoro di un operaio, si sono visti richiede-re un risarcimento dal datore di lavorostesso; la questione, dopo varie lettere inti-midatorie inviate dal datore di lavoro aitecnici, si è chiusa solo per la morteimprovvisa del padroncino che chiedeva ilrisarcimento.Il terzo caso accaduto a un medico dellavoro dell’ASL di Reggio Emilia (M.M.) èpurtroppo per ora andato peggio che neicasi fiorentini: il medico è stato accusatonon solo di abuso d’ufficio, ma anche diconcussione per avere, secondo l’incredibi-le accusa del PM, costretto con un atto coer-citivo, la prescrizione prevista dalla norma-tiva sulla sicurezza sul lavoro, un medicocompetente a denunciare delle malattie pro-fessionali che lo stesso aveva omesso, col-pevolmente, dato l’obbligo normativo, didenunciare all’Organo di Vigilanza. Questa volta il GIP non ha archiviato ed ilprocesso è in corso. Il medico competenteche ha operato la denuncia ha l’appoggio diConfindustria di Reggio Emilia. Sia nelprimo caso fiorentino che in quello reggianoi due medici ASL non sono stati difesi dai

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superiori del Dipartimento di Prevenzione eneppure dall’Ufficio Legale dell’Ente di cuierano dipendenti.

CONCLUSIONILa debolezza del movimento dei lavoratoriè alla base della repressione, la discrimina-zione e più in generale le intimidazioni neiluoghi di lavoro. Ci sono segnali di unaripresa di un nuovo Movimento Operaio,ma nel frattempo è necessario soprattuttoresistere e non far mancare la SOLIDARIE-TA’ alle vittime di azioni repressive da qual-siasi parte provengano. Il ripristino dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, l’abrogazio-

ne del Jobs Act, l’introduzione del reato dimobbing nel Codice Penale e le modifichenecessarie al D.Lgs 81 introducendo edampliando l’area che riguarda l’organizza-zione del lavoro, sicuramente non bastano,ma possono aiutare i lavoratori, che attual-mente sono quasi a mani nude nella lororesistenza contro gli attacchi del capitale.

“Non dimenticarlo mai: ora non è il mo-mento adatto per vincere, ma per combatte-re le sconfitte - Bertolt Brecht -”.Dall’introduzione agli ATTI del Convegno“La repressione nei luoghi di lavoro”Firenze, 29 novembre 2014

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Scuola e società

Salute e sicurezza nelle scuole e nell’insegnamento

di Rino ERMINIAnche nella scuola, dato il climagenerale imposto dal mercato e dalcapitalismo e tollerato e condivisoalmeno in buona parte dell’opinio-ne pubblica, passa il concetto chetutto ciò che non “rende” economi-camente non vale la pena di esserepreso in considerazione, un con-cetto sempre più pervasivo sia nel-l’organizzazione scolastica che neimetodi e nei contenuti dell’inse-gnamento. Secondo invece il nostro punto divista, nell’ambito dell’istruzione,dell’educazione e in generale dellaformazione delle generazioni futu-re, dovrebbero prevalere ben altreidee ed altri atteggiamenti, inprimo luogo le idee di benesserepsicofisico e di una società più giu-sta e solidale. Ragion per cui unodegli “oggetti” di insegnamento econtenuto specifico e importantedel processo educativo dovrebbeessere in primo luogo tutto ciò checoncerne la salute e la sicurezza,totali e assolute, per lavoratori eutenti cioè, per essere più chiari,per la donna, l’uomo e l’ambiente.Totali e assoluti vuol dire senzacompromessi, senza deroghe, conun livello di rischio sempre ugualea zero.Qualcuno dirà che ho iniziato subi-to col ripetere cose già dette nume-rose volte in questa rubrica e nonsolo. E’ vero. Sono pervicace. E nonsi può non esserlo. E’ doveroso con-tinuare a denunciare la situazionein cui siamo, richiamare i problemi

irrisolti, invitare i lavoratori e gliutenti di un servizio alla riflessione,alla conoscenza, alla ricerca di unastrada per modificare uno stato dicose sempre più devastato e deva-stante. E’ doveroso continuare adenunciare la situazione ancheperché la controparte sappia chenon demordiamo, che prima o poili prenderemo, magari per sfini-mento. Loro, non nostro. E’ dovero-so soprattutto continuare a richia-mare gli utenti e i lavoratori addet-ti ai servizi, in primo luogo la scuo-la, perché si rendano conto chenon esiste soluzione dei problemise non si agisce in prima persona,che qualunque soluzione deman-data ad altri, siano essi la contro-parte o i sindacati “concertativi”ochi per essi, sarà una soluzionebuona soltanto per il potere e undanno sicuro, o soltanto una solu-zione parziale, per i lavoratori, pergli utenti e la gente comune. Hoappena detto che per quanto attie-ne alla salute e alla sicurezza biso-gna partire dall’insegnamento. Mavisto che i migliori maestri di peda-gogia, ormai già da almeno un paiodi secoli e mezzo, da Rousseau inqua senza scomodarne di più anti-chi, ci dicono che il modo miglioredi insegnare ed educare è quellodell’esempio ancor prima delleparole, in fatto di sicurezza e salu-te un ottimo modo di insegnaresarebbe senza dubbio quello di ren-dere gli edifici scolastici, nel com-plesso e in ogni loro specifica strut-

tura, quindi compresi aule speciali,laboratori e aree esterne di loro per-tinenza, inequivocabilmente sicurie salubri. E se questo obiettivo siraggiungesse non per gentile eimprobabile concessione dellacontroparte, bensì per l’interesse, lacoscienza, la partecipazione eanche le lotte dei docenti e deglialtri “adulti” interessati alla scuola,faremmo anche, nei confronti deglistudenti, un’importante opera edu-cativa di partecipazione e di demo-crazia. Insomma, insegnare coifatti, con l’esempio, significherebbeprendere tre piccioni con una fava:ottenere ambienti sicuri e salubri,insegnare ambientalismo, insegna-re democrazia e partecipazione.Dico “insegnare” tanto per inten-derci, perché questo termine nonsempre è il migliore che si possautilizzare in un corretto rapportoeducativo e formativo docente-discente, peraltro sempre ricco dinon poche sfaccettature e comples-sità.Le strutture dovrebbero essereintanto a norma rispetto alle leggivigenti (cosa che già di per sépotrebbe avere grande significato),e da questa base partire per ulterio-ri verifiche, accertamenti, aggiusta-menti e passi avanti verso l’irrinun-ciabile livello zero in quanto arischi; insomma tendere al megliopossibile con un’attenzione edun’azione continue. Per scenderein qualche cosa di concreto emagari intenderci meglio, si

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Scuola e società

dovrebbero in primo luogo elimi-nare tutte le barriere architettoni-che ancora inaccettabilmente pre-senti, cioè tutte quelle strutture cheimpediscono una normale fruizio-ne del servizio da parte di chi per leragioni più disparate avesse pro-blemi di deambulazione, ecc.L’accesso ai vari locali di una scuo-la, a qualsiasi piano si trovino ecomunque siano dislocati, deveessere garantito a tutti, non solo inteoria, ma con concreti provvedi-menti e ristrutturazioni tecnicheche consentano di passare dallateoria alla pratica: a tutti si deveinsomma garantire la effettiva par-tecipazione alle attività didattichesenza esclusioni e limitazioni disorta.Oltre alle barriere architettoniche,bisogna eliminare quelle caratteri-stiche strutturali che hanno cattivainfluenza sulla salute e sulla sicu-rezza. Faccio un esempio. Se purenelle giornate di sole, a causa dellaconformazione e posizione deilocali, si è costretti a tenere la luceaccesa, è evidente che non va bene,sia per un discorso di risparmioenergetico sia perché la luce artifi-ciale tenuta per ore e ore durante lelezioni non è certo salutare per inostri occhi. Si tratta di un esempioapparentemente banale, ma insie-me ad esso non mancano altrigravi problemi: dall’affollamentodelle aule alle loro pareti che nonvengono imbiancate per anni acausa della mancanza di fondi, dalriscaldamento mal programmatoper cui si è costretti in pieno inver-no a spalancare le finestre per iltroppo caldo a un impianto elettri-co fatiscente, dai bagni impresenta-bili alle pulizie trascurate percarenza di personale, ecc.A proposito di aule da imbiancaremerita aprire una parentesi;potrebbe sembrare una divagazio-ne, ma è solo una riflessione. Non

sarò stato soltanto io ad aver cono-sciuto genitori che si organizzanoper imbiancare l’aula dove i lorofigli fanno lezione visto che la scuo-la per mancanza di fondi o altreragioni non provvede. Questa è permolti aspetti cosa assai discutibile,come discutibile è comprare lacarta igienica che manca, la cartaper le fotocopie che non c’è, e viadicendo. E’ un dato di fatto che inquesto modo siamo di fronte a cit-tadini che non solo pagano le tasse,ma devono pagarsi anche un servi-zio che dovrebbe spettare di dirit-to. Qui si potrebbe entrare nel meri-to di una questione: si deve orga-

nizzarsi per ottenere un diritto conla lotta oppure, là dove si può,intervenire autonomamente? Sareidecisamente a favore della primaipotesi, così a imbiancare l’aula ciandrebbero magari i disoccupatieventualmente assunti dall’entepubblico e il lavoro sarebbe pagatocon i soldi di tutti, quelli appuntodelle tasse. Qualcuno potrebbedirmi che l’ideale sarebbe fare lelotte e anche organizzarsi per auto-gestire un servizio. Beh, sì. Sarebbeallora come essersi messi sulla stra-da di una rivoluzione, ma chi oggidecide di intervenire nel modo cheho detto poco sopra lo fa più perun malinteso senso del dovere oper mostrare come a un sistema

pubblico che non funziona sidebba rispondere con l’iniziativaprivata. Per di più creando discri-minazioni e situazioni spiacevoli:ci sarà la classe che sta in un‘auladecente e chi (dove ci sono genitoriche la pensano diversamente) staràin un’aula sporca. Ecco, in piccolo,gli effetti dell’iniziativa privata. Cosa importantissima questa dellelotte, della partecipazione e là dovesi potesse della partecipazione chesi trasforma in autogestione intesecome percorso in vista di un cam-biamento radicale della società.Sono convinto che esse sarebberoun ottimo modo per risolvere i pro-blemi, cioè raggiungere obiettiviconcreti di trasformazione dellestrutture e renderle più adeguatealle esigenze di salute e sicurezza,ma anche perché la lotta e l’auto-gestione già in sé sarebbero porta-trici di salute e sicurezza e dibenessere, soprattutto dal punto divista psicologico. Insomma: lottaree partecipare farebbe bene, magarianche a prescindere dai risultati.Per fugare frustrazioni e pene,malesseri fisici e psichici e robasimile, niente può far bene comepartecipare, darsi da fare, organiz-zarsi e lottare contro il potere e leingiustizie. Altro che pastiglie con-tro la depressione!“Partecipazione” dei lavoratori edegli utenti. Non sarebbe nemme-no il caso in molte situazioni diimbastire chissà quali lotte e qualiazioni complicate. Per far aprire lefinestre al termine di un’ora dilezione, e quindi cambiare l’aria inun’aula satura dei fiati e dei batteridi venti o trenta corpi, non ci vor-rebbe che un po’ di attenzione, esoprattutto (sto parlando deldocente di turno) comprendere cheanche una apparente piccola que-stione può diventare importante.Non è disdicevole, è sempre unesempio, lasciare cadere per mez-

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Scuola e societàzora una lezione di greco anticoper spiegare come una concentra-zione di batteri possa creare qual-che serio danno, mentre non necrea una finestra aperta per qual-che minuto allo scopo di cambiarel’aria. “Prof., ma lei ha detto chel’aria di fuori è inquinata. Allora?Come la mettiamo?” Ottima occa-sione per accantonare anche unamezzora di latino, pur con tutto ilrispetto e tutto l’affetto per questeimportanti antiche lingue, e discu-tere di inquinamento dell’aria e diche cosa ciascuno di noi, da solo ocon altri, potrebbe fare per modifi-care una realtà negativa. Anzi, neparliamo subito.Un buon modo di salvaguardaresalute e sicurezza cui si potrebberodedicare attenzione, riflessione,organizzazione e lotte, riguardal’accesso agli edifici scolastici. Nonc’è bisogno che lo dica io quale è laqualità dell’aria che in genere sirespira. Certo, in un paese situatosulle colline marchigiane o su quel-le toscane l’aria sarà migliore chenel centro di Milano o di Firenze,ma non è di questo che stiamo par-lando. Stiamo parlando del fattoche la qualità dell’aria in generenon è buona e soprattutto se siparla di scuole situate nelle città oin agglomerati urbani di una certadimensione, diventa ancora peg-giore grazie ad utenti e lavoratoriche ci vanno con la macchina inve-ce che a piedi, in bicicletta o con imezzi pubblici; naturalmente gra-zie anche a chi penalizza i mezzipubblici a favore del mezzo priva-to; e grazie anche ai genitori che,anche quando abitano a duecentometri dalla scuola spesso tiranofuori il SUV per accompagnare ilfiglio (se no prende freddo o gli zin-gari lo rubano o frequenta cattivicompagni o i drogati gli passano ladroga e via ad elencar piangendo).

Subito qualcuno mi dirà: ma ioabito a 20 chilometri e non ci sononemmeno i mezzi pubblici. Sì,vero,ma io non facevo il tuo caso, parla-vo in generale. E qualcuno dirà cheè vero che gli zingari rubano i bam-bini. Io non ne ho mai visti. Ma unamadre che non ne poteva più deisuoi quattro figli una volta ebbe adirmi che sperava che gli rubasseroil secondo, il più farabutto di tutti,che io avevo in una mia classe. La donna era però molto consape-vole: purtroppo se anche l’avesserofatto glielo avrebbero restituito nelgiro di poche ore. E poi, via! Maquali zingari! È solo questione diignoranza e pessime abitudini.Stavo dicendo che se si facesseseria educazione ambientale pro-prio partendo dall’uso di altrimezzi che non la macchina pervenire a scuola, avremmo già datoun buon avvio alla soluzione delproblema. Non vorrei dire, ma hovisto scuole organizzare giornateambientali centrate sul venire ascuola con i mezzi pubblici, a piedio in bicicletta, dal preside al bidel-lo passando per i professori, nonobbligatorio perché si partiva dalpresupposto di non imporre nientea nessuno, e la cosa funzionavaperfettamente. Nel mio Istituto tec-nico agrario, in una di queste gior-nate, una mia studentessa di unaquarta classe venne a cavallo. Equando l’animale entrò nel piazza-le della scuola visibilmente “emo-zionato” dalla presenza di tantagente e defecò abbondantemente,due o tre studentesse (sempre lepiù sveglie, le ragazze, rispetto aimaschi) che stavano in quel perio-do occupandosi con la loro prof. dicompostaggio, corsero in predaalla felicità a prendere palette,scope e secchio per raccogliere losterco e metterlo nel compost.Questa è scuola. Una studentessa

venne col trattore. Quando le fecinotare che non era il massimo delrispetto dell’ambiente, mi risposeche lei essendo figlia di coltivatori estudentessa dell’Agrario ritenevasuo diritto che ambedue le cose sivedessero, e quindi almeno perquel giorno aveva voluto usare untale mezzo. “Professore”, tagliò poicorto, “visto che lei ha in antipatiail trattore, alla prossima giornataper l’ambiente verrò in groppa adun somaro”. “Ecco, brava, ricorda-melo poi in aula che parliamo del-l’opportunità di diminuire nelleaziende l’uso dei trattori per ridareun po’ di spazio agli animali da tiroe da lavoro, se non altro per il leta-me, una certa riduzione della“velocità” e una maggiore bellezzae varietà del nostro mondo”.Non sarebbe nemmeno male,quando si presenta la propria scuo-la per l’acquisizione dei nuoviiscritti, provare a mettere fra le sue“qualità” la richiesta pressante diarrivarci possibilmente con i mezzipubblici, a piedi o in bicicletta, sitratti di studenti o di genitori o dipersonale dipendente, ecc.Qualcuno ci riderebbe dietro, qual-cuno solo per questo tipo di posi-zione alla nostra scuola ci iscrive-rebbe il figlio, qualcuno riflettereb-be, altre scuole proverebbero acopiarci. Ecco già raggiunti dei pic-coli ma significativi obiettivi.A proposito dell’utilizzo dei mezzipubblici, bicicletta e piedi per veni-re a scuola (cosa che intantomigliora già di per sé la socialità ela salute perché ci si muove e siincontra altra gente) allo scopo diinquinare meno in generale e inparticolare intorno alla scuola,sono benvenute tutte quelle inizia-tive fatte da enti pubblici, famiglie,scuole e spesso singoli docenti egenitori che vanno in questa dire-zione. Io avevo un collega che pur

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Scuola e societàarrivando da lontano veniva allavoro ostinatamente con mezzipubblici, per tutto l’anno. E unostudente, anche lui abitante a unaventina di chilometri dall’istituto,che veniva in bicicletta. Facevanobene. Intanto davano esempio diforte coerenza e gli altri se non altrospesso partendo dal loro esempiodiscutevano e qualche domanda sela ponevano. Tornando alle inizia-tive di enti, ecc. testé accennate. Sivedono in certi paesi gruppi dibambini delle elementari chevanno o tornano da scuola accom-pagnati da un paio di genitori o divolontari, magari addirittura dellaprotezione civile. A volte questebambine e questi bambini sonoprovvisti di pettorina: vuole essereuna divisa o è per riconoscerli?Mah. Questi bambini vengonoaccompagnati per paura dello zin-garo e dell’extracomunitario o perfare moto, stare insieme, inquinaremeno, ecc.? Sarebbe importantechiarire. Nel primo caso sarebbecosa orrenda, nel secondo sarebbecosa buona e ben fatta. Non possonon dire che qualche tempo fa, inun paese campagnolo lungo ilTicino, essendo il mio giorno liberoe andando in macchina (abito lon-tano) alle otto di mattina verso ilfiume per una camminata, ho vistouna fila di una decina di bambinee bambini delle elementari, pettori-na addosso, avanti una signora edietro un signore di una certa età,anche loro in divisa; una funeandava dalla signora che ne regge-va un capo al signore che reggeval’altro e nel mezzo, attaccati, i bam-bini. Lo giuro. I bambini tenevanola fune con una mano (o vi eranoammanettati?) e camminavanomestamente come i condannatidell’Ottocento fra due gendarmi.Mi sono fermato per vedere meglio.Il signore e la signora si sono messi

in posa pensando che volessiammirarli. Invece avrei volutoscendere col coltello fra i denti, sca-gliarmi contro la colonna e liberarei bambini. Poi ho ripensato a DonChisciotte che fece una cosa analo-ga con una fila di carcerati, i qualiperò, una volta liberati, lo pestaro-no sonoramente. Ho proseguito. Misono dilungato, ma non mi sonoperso.A proposito di salute e sicurezzaesiste nelle scuole (e naturalmenteanche altrove) il problema delledipendenze. Questione importan-tissima. E difficile. Sembrerà aqualcuno che si voglia caricare la

scuola di ulteriori oneri, ma essa,quindi in primo luogo chi ci lavora,si deve porre il problema e cercaredi dare un contributo concreto aduna educazione in merito dellefuture generazioni. Per sgomberaresubito il campo, non si può contri-buire, anzi si fa danno, con paure,terrore, minacce, proibizionismo,silenzio, informazione scorretta etutto l’armamentario cui siamopurtroppo abituati. Ci vuole infor-mazione chiara, disponibilità aldialogo, educazione coi fatti. Io hopresente l’impressionante numerodi ragazze e ragazzi che in unascuola superiore fanno uso ditabacco. Un modo corretto di

affrontare la questione è appuntoquello di approntare delle lezioni,non casuali e improvvisate, mastrutturate e alle quali sia dataintanto importanza nel complessodell’attività didattica. Lezioni chesiano di tipo informativo, volte nona terrorizzare, ma a “informare”scientificamente. Dopo, dicevo, civogliono personale e opportunitàdi dialogo sia a livello individualeche di classe. Naturalmente nondovrebbe mancare un legame conaltre strutture (sanitarie, ecc.) pre-senti nel territorio. Infine, comeaccennavo poc’anzi, l’esempio,forse la cosa più importante. Se sifa un lavoro per la prevenzione sulfumo, a scuola e in tutte le sue per-tinenze non si fuma e il personale èil primo a non fumare, tassativa-mente. Che educazione possonodare colui o colei che fanno in clas-se il discorso che fumare fa male epoi all’intervallo o al bar si fa vede-re con la sigaretta in mano.Ho avuto esperienza di un Istitutoche dopo un paio di anni di “pre-parazione”, ha alla fine di taleperiodo stabilito che non si sarebbepiù fumato in quella scuola, com-presi gli spazi aperti (piazzale, giar-dini) o annessi (bar, ecc.). La cosa ha funzionato bene e credofunzioni ancora. E’ vero che essen-dosi sparsa la fama di questa scuo-la come luogo dove non si fumasono aumentati gli iscritti prove-nienti da famiglie di non fumatorie sono invece diminuiti quei gio-vincelli che non vedevano l’ora dipassare alle superiori per potersipavoneggiare pubblicamente ascuola con la sigaretta. Va da séche altre scuole, si son ben guarda-te anche soltanto dal pensare acerti provvedimenti proprio pertimore di perdere iscritti. Per quanto attiene all’aspetto edu-cativo, una scuola dove si decide di

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Scuola e società

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non fumare, spiegando le motiva-zioni di tale scelta, e dove si riescea mantenere l’impegno senza gran-di difficoltà, è la scuola stessa chediventa “educativa”. Insomma senessuno fuma, né fra gli adulti néfra i compagni, l’incentivo a farlo inbuona parte decade. Quanti hannoobiettato che tanto lo faranno altro-ve! Vero, ma da qualche parte biso-gna pur cominciare. E se comun-que non mi verrebbe in mente diproibire a qualcuno di fumare incasa sua o per la strada o in localiappositi, mi pare grande civiltàsmetterla di fumare nelle scuole,negli ospedali e in qualunque altroluogo pubblico. Personalmentenon sono proibizionista. Credo sol-tanto che una società civile debba,come ho detto sopra, informarecorrettamente, prevenire attraversol’educazione e mezzi e metodiappropriati, e là dove si verificasseil danno, provvedere alla curasenza chiedere nemmeno il nomené tanto meno giudicare.Tornando alla scuola di cui sopra eper dirla tutta, il problema più gros-so non sono stati gli studenti, maqualche professore e qualche bidel-lo: lasciando tranquillamente ilproprio posto ( bidelli) o approfit-tando dell’ora “buca” (i professori)gli uni e gli altri uscivano dallascuola per andare a fumare fuori,davanti all’ingresso. Pochissimi,veramente una esigua minoranza,ma brutta cosa dal punto di vistaeducativo e della coerenza. In que-sto tipo di attività cui ho accenna-to, quali devono essere le disciplinecoinvolte e quali le persone? Larisposta è semplice: tutte le disci-pline, quale più quale meno aseconda delle caratteristiche, dicia-mo anche della disponibilità deidocenti perché se uno deve fare lecose per forza il funzionamento

non è dei migliori, e a seconda del-l’organizzazione didattica internaall’istituto; e tutte le “categorie”interessate a quella scuola, daidocenti agli studenti, dai genitori alpersonale amministrativo, tecnicoe ausiliario, dalle amministrazionicomunali agli altri servizi presentisul territorio. Io so bene, come losanno in tanti, che molti docenti,dalle elementari alle superiori, emolte scuole, organizzano già dellebuone attività didattiche sulla salu-te e la sicurezza, l’inquinamento, laprevenzione delle dipendenze emolto altro. Di questo bisognerebbeprendere atto e riconoscere il meri-to. Fra parentesi, questo meritoandrebbe riconosciuto anche eco-nomicamente, non premiandosolo chi si impegna, come demago-gicamente si va dicendo e peraltropoi non si fa, ma incentivando “aagire” l’intera categoria dei lavora-tori della scuola con provvedimen-ti dignitosi sia dal punto di vistanormativo che salariale.Si deve infine per forza accennarealla “buona scuola” di Renzi? Nell’omonimo documento su 136pagine c’è la 75 che è dedicataall’edilizia scolastica. Tre sottotitolicondivisibili: scuole sicure, scuolenuove, scuole belle. Ho detto “sot-totitoli”, perché la storia finisce lì;lo striminzito contenuto è fatto dicifre roboanti che io, lo confesso,non sono in grado di verificare :centinaia di milioni di euro stan-ziati, migliaia i cantieri aperti,addirittura cantieri già chiusi pertermine lavori, cifre mirabolanti(ma poi, lo sono davvero?) da stan-ziarsi in futuro, e via di questopasso. Il quarto sottotitolo “altremisure di edilizia”, idem comesopra. Passata ormai da tempo lacanea mediatica e trascorsa qual-che faticosa protesta dei dipenden-

ti della scuola, di quel documentonon si è più parlato. La demagogiaè fatta così. D’altra parte se l’attua-le Esecutivo rappresenta (come iprecedenti) Confindustria, Banche,Finanza e quei milioni di famiglieche in questo Paese negli ultimidecenni hanno visto raddoppiati iprivilegi a scapito di chi ha vistodimezzate le proprie già scarserisorse, che altro ci vogliamo aspet-tare? La demagogia è il minimo checi possa capitare. A meno che persicurezza e salute non si intenda inquel documento la digitalizzazionedella scuola, o la riduzione del per-sonale, o l’ingresso del privato nelsettore dell’istruzione (un privatoche, come ognuno sa, nel propriocampo garantisce salute e sicurez-za alla grande, vedi i morti sul lavo-ro, l’amianto, la ricerca spasmodi-ca della deroga in fatto di vincoliambientali, ecc.); o non si intenda ilprecariato, che esiste tuttora; e,come si sa, la condizione di preca-rio, e meglio ancora quella di disoc-cupato, apportano a chi ne godesalute e benessere. Ma finiamola qui. Ho preferitoparlare di quello che nella scuoladi concreto già si fa o si potrebbefare in materia di salute e di sicu-rezza per le persone e per l’am-biente, soprattutto in relazionealla formazione delle future gene-razioni, che sono la chiave ditutto. Quelle future generazioni chealtri, e purtroppo non solo chi staal potere, pretende di educare almercato, alla concorrenza, alcapitalismo, al profitto, alla sotto-missione, al consumismo, allacarriera, all’assenza di regole,all’ignoranza, tutte cose che nellastoria, bisogna dirlo, hanno datogran prova di sé, basta guardarecome va il mondo.

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Le Unità Spinali e le Personecon Lesione Midollare

di Laura VALSECCHI*, Beppe BANCHI**

Medicina Democratica numeri 227-230 maggio / dicembre 2016

Medicina Democratica negli anni 80-90 haavuto un ruolo importante nella lotta per larealizzazione delle Unità Spinali Unipolari.L’Unità Spinale costituisce una Unità opera-tiva di alta specialità, espressamente desti-nata all’assistenza, alla cura e alla riabilita-zione delle persone con lesioni midollari diorigine traumatica e non, fin dal momentoimmediatamente successivo all’evento lesi-vo e ha lo scopo di permettere a queste per-sone il miglior stato di salute, il più altolivello di capacità funzionali compatibilicon la lesione e la maggiore partecipazionesociale. Essa opera all’interno di un’organiz-zazione dipartimentale ed è collocata all’in-terno di ospedali sede di DEA di secondolivello cui afferiscono unità operative tali dagarantire interdisciplinarietà, multiprofes-sionalità ed unitarietà degli interventi sianella fase precoce dell’emergenza che nel-l’assistenza neurochirurgica, ortopedica e/orianimatoria (Conferenza Stato-Regioni,

Aprile 2004).Negli anni ‘70 la lotta di alcune persone conlesione midollare a Firenze ha permesso didare il via alla creazione di questi Centrimultiprofessionali e multispecialistici.Importante ricordare Gabriella Bertini chefu sicuramente una delle prime persone adimpegnarsi, lottando fino a mettere a rischiola propria salute e la propria vita con scio-peri della fame, pur di ottenere la primaUnità Spinale Unipolare a Firenze.Grazie a Lei e a molte persone con para-tetraplegia battagliere come Lei le UnitàSpinali sono nate in Italia, a partire da quel-la di Firenze nel 1978 e poi in EmiliaRomagna, in Lombardia, nel Lazio, inSardegna, nel Veneto e così via fino allasituazione odierna.Nel primo decennio del secondo millenniola situazione delle Unità Spinali Unipolari(come modello organizzativo) è rappresen-tata dall’immagine dell’Italia (Cfr. Figura 1).

*MedicinaDemocratica,Sezione di Milanoe Provincia eCoordinamentoNazionaleOperatoriProfessionaliUnità Spinali(CNOPUS)**MedicinaDemocratica,Sezione di Firenze e AssociazioneToscana Paraplegicionlus.

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Figura 1. Situazione Unità Spinali in Italia (2000-2010)

Fonte: Coordinamento Nazionale Operatori Professionali Unità Spinali (CNOPUS)

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A queste strutture vanno aggiunte alcuniCentri di Riabilitazione che hanno dedicatoposti letto e che sono collocate soprattuttonel nord di Italia.Secondo uno studio svolto dalla FondazioneISTUD (Istituto Studi Direzionali con sede aStresa) nel 2011 vi sono circa 400 posti lettonelle Unità Spinali, circa 800 nei Centri diRiabilitazione, questi dati a fronte di unastima di 1.400-1600 nuovi casi di personecon lesione midollare annui sul territorionazionale.La FAIP (Federazione delle AssociazioniItaliane dei Paratetraplegici) riporta chevivono circa 70.000 persone con lesionemidollare in Italia.Inoltre da rilevazioni eseguite negli ultimianni nelle Unità Spinali si stima che in ogniUnità Spinale vi sia almeno il 40% dellaoccupazione dei posti letto per rientri perFollow up e soprattutto per complicanze(respiratorie, vescicali, intestinali, lesioni dapressione, fratture, scoliosi e problematichelegate alla crescita e all’invecchiamentodelle persone con lesione midollare).Da questi pochi dati se ne deduce che anco-ra oggi la situazione è molto critica e diso-mogenea nel territorio nazionale.La Federazione delle Associazioni Italianedei Paratetraplegici (FAIP) scrive e denun-cia (Documento per la Giornata Nazionaledella Persona con Lesione Midollare del 4aprile 2016 a Perugia (www.FAIP.it)): “La modifica sostanziale dell’eziologia dellalesione al midollo spinale ha subito negliultimi anni un cambiamento vedendo lacrescita vertiginosa dei casi di tetraplegiaalta e contemporaneamente l’aumentaredelle lesioni midollari incomplete, oltre allacrescita dell’età media. Questo ha compor-tato la necessità di un adeguamento delleprassi assistenziali e degli interventi riabili-tativi e abilitativi per la definizione di unquadro sanitario stabile e un progetto riabi-litativo complesso che abbia la finalità diriuscire ad individuare dei progetti di vitadignitosi. E’ diventata, quindi, ancor più pressante lanecessità che l’Unità Spinale diventi il nodocentrale di una rete che unisca i percorsi ria-bilitativi/abilitativi al territorio di residenzadella persona con lesione al midollo spina-

le.Nei Servizi dedicati (le Unità Spinali, ndr) sista verificando una crescente burocratizza-zione nel riconoscimento del diritto a pre-stazioni sanitarie essenziali, in particolareda parte di persone con lesione midollare“stabilizzata”, lunghe liste di attesa per trat-tamenti chirurgici e ricovero di persone conlesioni cutanee. Si percepisce una crescente e diffusa situa-zione di abbandono da parte di chi vienedimesso, con una scarsa e insufficienteattenzione da parte dei territori. Tale conse-guenza è dovuta anche alla carente integra-zione e dialogo con il territorio e i servizi esi-stenti. Persiste una difficoltà ad accedere a presta-zioni peculiari dovute alla condizione dellepersone con lesione midollare c. d. stabiliz-zate fuori dalle Unità Spinali. Tutto ciòdetermina un “limbo” per quanti vorrebbe-ro una risposta appropriata ed efficace alladomanda di salute. Inoltre, l’inadeguatezza dei livelli informati-vi, determina la sensazione di non esseretitolari del diritto alla salute, ma semplicidestinatari di prestazioni parcellizzate fuorida ogni progettualità o presa in carico. Si rende indispensabile definire livelli stan-dard di qualità strutturale, professionale edorganizzativa, accreditare e abilitare i diver-si servizi che oggi trattano persone con lesio-ne midollare. Si tratta quindi di avviare unaseria e precisa ricognizione sulle attivitàdelle diverse Unità Spinali operanti sul ter-ritorio regionale e nazionale per monitorareil livello di soddisfazione rispetto ai servi-zi/prestazioni erogati. Diventa fondamentale attivare un monito-raggio costante sulle risorse, sulle compe-tenze, sulle responsabilità e sulle dinamicheorganizzative e dell’intero sistema nei variterritori regionali”.

La FAIP insieme al CNOPUS (Coordina-mento Nazionale degli Operatori Professio-nali delle Unità Spinali), insieme ad altreSocietà Scientifiche che si occupano dellaCura e della Riabilitazione delle Personecon Lesione Midollare ha avviato unCoordinamento Intersocietario chiedendoal Ministero della Salute il riconoscimento

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di un Tavolo Nazionale che possa essere diriferimento per tutte le problematicheriguardanti i diversi Servizi che devonooperare per le persone con para-tetraplegia:La realizzazione delle Unità SpinaliUnipolari in ogni Regione, individuandorequisiti strutturali e organizzativi adeguatie specifici La realizzazione delle Unità SpinaliUnipolari che tengano conto dell’incidenzadella patologia e del numero delle personecon paratetraplegia oggi viventi che necessi-tano di controlli e di follow upL’individuazione dei Servizi Sociali eSanitari territoriali per garantire la più com-pleta inclusione sociale delle persone conlesione midollareLa prevenzione di ulteriori complicanze perscongiurare gravi situazioni clinicheLa predisposizione di un registro nazionalesull’incidenza della lesione midollareLa formazione dell’equipe multiprofessio-nale e il riconoscimento di figure professio-nali che devono far parte dell’equipe nelleUnità Spinali (Terapista occupazionale,Fisioterapista Respiratorio, AssistenteSociale, Psicologo, Chinesiologo)La definizione di necessità assistenziali e disostegno che possano accompagnare inmodo adeguato le persone con paraplegia etetraplegia nello sviluppo della loro vita(vita indipendente, attività assistenziali,caregiver, ecc.) tenendo conto delle gravisituazioni di tetraplegia e dell’invecchia-mento di tutte le persone, anche dei fami-gliari.

APPELLO PER LA REALIZZAZIONE DICASA GABRIELLAStruttura adiacente all’Unità Spinale diFirenze, per il mantenimento o il ripristinodelle migliori condizioni di salute e di vitadelle persone con lesione midollare

Molti di noi hanno conosciuto GabriellaBertini, paraplegica.Alcuni di noi hanno lesioni midollari, altriconoscono persone para e tetraplegiche,amici, compagni, familiari: ne comprendia-mo le difficoltà quotidiane e in molti casi lecondividiamo. Nel corso degli anni il nostroPaese si è fatto carico di queste difficoltà, sia

sul piano legislativo che su quello culturale:la garanzia di assistenza sanitaria e di welfa-re per tutti ha significato anche per le perso-ne con lesione midollare la cura specificadella loro patologia e la possibilità di reinse-rirsi nel tessuto sociale e produttivo. Questoprocesso positivo però segna il passo negliultimi decenni e la difficoltà personalerischia di non essere vissuta più come temacollettivo ma di nuovo come questione pri-vata e al più familiare. Noi intendiamoriportare all’attenzione della società il gran-de valore umano e culturale implicito nelladifesa del diritto alla qualità della vita per

tutti i cittadini, recuperando e valorizzandole potenzialità di ciascuno per il bene suo edella collettività. L’aumento della aspettati-va di vita è oggi un tema ricorrente per qua-lificare il livello di avanzamento di unasocietà, di un Paese, e la buona vita è com-ponente implicita dell’aspettativa. Ancheper le persone con lesione midollare e peraltre persone con handicap diversi l’aspetta-tiva di vita è aumentata, ma non corrispon-de a questo la creazione di un sistema chene garantisca la migliore qualità, a loro e ailoro caregivers. La nostra Regione ha realizzato, come noto,la prima Unità Spinale Unipolare nel nostroPaese, una struttura indispensabile per trat-tare la specificità della condizione di para etetraplegici; ma anche grazie alle UnitàSpinali la speranza di vita delle persone conlesione midollare è ormai molto aumentata.Con il loro invecchiamento si rendononecessarie altre modalità di assistenza pergarantire loro una dignità di vita in condi-zioni di autosufficienza.

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Gabriella Bertini, che con altri para e tetra-plegici manifestò il bisogno dell’UnitàSpinale, prima di lasciarci ha fatto rifletteretutti noi su questo tema: dopo il ricovero inUnità Spinale, il naturale invecchiamentonecessita di ulteriori risposte. E negli ultimianni della sua vita ha originato il progettoCasa Gabriella, una struttura non ospeda-liera ma ad essa collegata, nella quale lepersone dopo il necessario passaggionell’Unità Spinale potessero soggiornare pertempi più o meno lunghi, eventualmenteinsieme a familiari, avendo garanzia di assi-stenza sanitaria, durante il quale acquisire orecuperare le proprie capacità residue, evi-tando in molti casi ricoveri in Unità Spinaleil cui costo è molto alto con evidente rispar-mio per la sanità pubblica. E il terreno, diproprietà INAIL, dove Gabriella abitava dadecenni, contiguo all’Unità Spinale è parsoda subito il luogo ideale per questa realizza-zione.Negli ultimi anni quindi Gabriella e altri sisono impegnati per presentare le necessità ela possibile soluzione, costruendo una retefra i responsabili dei diversi settori –istitu-zionali, sanitari, INAIL- per dare corpo aquesto sogno. La malattia di Gabriella per un verso, i cam-biamenti dei responsabili, la scarsità dirisorse hanno determinato una battuta d’ar-resto in questo processo.Noi vorremmo che questa trattativa ripartis-se, vorremmo che i rappresentanti istituzio-nali della Regione e del Comune, i dirigentidella Sanità Toscana, i dirigenti di INAIL simettessero intorno a un tavolo per costruireuna soluzione al bisogno di continua dispo-nibilità di assistenza sanitaria, fuori dallastruttura ospedaliera, per le persone conlesione midollare come per altre personecon handicap diversi.Ricordiamo la quota ancora consistente dilesioni midollari occorse in ambito lavorati-vo per le quali il recupero di una capacitàlavorativa ed una buona integrazione socia-le è doveroso e coerente con le finalità isti-tuzionali dell’INAIL.Non possiamo non ricordare come in altriPaesi europei vi siano molteplici esperienzedestinate alla fase post acuta nelle quali ilrecupero, l’inserimento lavorativo, l’inseri-

mento sociale, vengono affrontati con lastessa cura con cui è gestita la fase acuta;esperienze di mantenimento delle capacitàche accompagnano le persone lungo tutta lavita, tenendo conto del naturale invecchia-mento.Riteniamo inoltre opportuno evidenziarecome il bisogno di cui si è detto sopra deri-vi dai dati forniti dal progetto svolto dalMinistero della Salute PROGETTO CCM2012 “La presa in carico delle persone conMielolesione nelle Regioni Italiane: imple-mentazione dei percorsi di cura integratiospedale-territorio e degli strumenti digestione” condotto durante nel periodo2014-2015 e presentato il 10 Aprile 2015alla “Giornata Nazionale della Personacon Lesione al Midollo Spinale”, a Romapresso il Ministero della Salute. Per lecaratteristiche dell’indagine è stato stimatosolo il numero di nuovi casi annui relati-vamente all’eziologia traumatica. Dati fon-damentali ma da integrare con le informa-zioni sui ricoveri ospedalieri ricavati attra-verso le SDO (scheda di dimissione ospe-daliera) in particolare sui giorni di degen-za, informazione non secondaria nellavalutazione del costo assistenziale.Il progetto ministeriale si è basato sullacasistica presso le Unità Spinali attual-mente presenti nel nostro Paese; i risultatimostrano valori di incidenza (nuovi casi)stimati fra 10 e 17 nuovi casi annui dilesione midollare traumatica per milionedi abitanti nel nostro Paese; rapportato allapopolazione della Toscana i nuovi casi diricovero in fase acuta presso l’UnitàSpinale a Firenze sono stimati in circa 50casi l’anno. Per avvicinarsi alla prevalenza (numerototale di malati, vecchi e nuovi) di lesionimidollari traumatiche, a questi 50 nuovicasi si devono aggiungere i circa 150 casil’anno (ogni caso è una persona residentein Toscana, a cui può corrispondere più diun ricovero nell’anno) che rappresentanopersone che si sono ricoverate avendocome patologia principale la lesionemidollare, come si evince dalle SDO; sonoquindi almeno 200 le persone ricoveratenell’anno, con lesione midollare traumati-ca.

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E’ un valore ancora sottostimato perché con-sidera solo i soggetti con lesione midollare(traumatici) che si sono ricoverati nell’anno.Nella letteratura scientifica, le indagini svol-te nei Paesi dell’Europa Occidentale forni-scono dati più elevati: 280 soggetti con lesio-ne midollare (traumatici) per milione di abi-tanti.Applicando questa prevalenza alla popola-zione toscana, queste stime portano a circa750 nell’anno il numero di persone conlesione midollare traumatica, nella solaToscana. E’ pertanto lecito pensare che solouna parte delle persone con lesione midol-lare traumatica sia effettivamente trattatanelle Unità Spinali e come tali registrate. Questo può trovare una parziale spiegazio-ne nell’analisi delle fasce di età della popo-lazione coinvolta in questi incidenti: lacurva relativa alla rilevazione ministeriale2014-2015 mostra senza ombra di dubbiocome sia cambiata l’incidenza specifica peretà dato che la classe modale è ora quella trai 70-79 anni: è verosimile che in molti casil’età avanzata induca a non registrare comeprimaria la lesione midollare e quindi a uti-lizzare percorsi terapeutici diversi, esterniall’Unità Spinale. Non sfugge che il numerocontenuto di posti letto dell’Unità Spinale el’alto costo della degenza giornaliera (480euro circa) possa condizionare la tipologiadel percorso assistenziale in persone in etàavanzata e con pluripatologie. Vero è che leconseguenze del ricovero ospedaliero perpersone para o tetraplegiche, se non ade-guatamente trattate, possono essere peggiorie di più lunga durata della patologia causadi ricovero.Infine è utile ricordare che il rapporto fralesioni traumatiche e non traumatiche è di 1a 4; queste ultime in alcuni casi possonoavere necessità prioritaria di ricovero inreparti diverso dall’Unità Spinale, ma nellafase post acuta potrebbero trovare in unastruttura come Casa Gabriella, collegatacon l’Unità Spinale, la risposta adeguataalle loro condizioni e necessità. Si tratta inquesto caso, considerato l’allungamentodella vita, di un bacino stimabile in più di1.000 persone nella sola Regione Toscana.E’ su questa base di analisi del bisogno cherivolgiamo un appello al presidente della

Regione Toscana, al sindaco di Firenze,all’assessore alle politiche sanitarie dellaRegione e del Comune, al Direttoredell’AOU Careggi, al Direttore nazionale diINAIL affinché si facciano concretamentegaranti del diritto delle persone con diver-se disabilità e si attivino per costruire lanecessaria soluzione che sia per l’ imme-diata vicinanza all’Unità Spinale diCareggi che per la storia e le persone chehanno vissuto e frequentato quei locali, daanni sede dell’unità fiorentina di MedicinaDemocratica, dovrebbe portare alla realiz-zazione di Casa Gabriella.

Primi firmatariBeniamino Deidda, magistrato; AnnibaleBiggeri, ordinario di Statistica medicaUniversità di Firenze; Gavino Maciocco,Direttore di Saluteinternazionale.info;Alessandro Santoro, prete delle Piagge FI;Piergiorgio Duca, Presidente di MedicinaDemocratica Onlus; Manuela Cappellini,Pres.Associazione Toscana ParaplegiciOnlus; Gian Luca Garetti, medico; BeppeBanchi, Medicina Democratica; PaoloSarti, consigliere Regione Toscana; SandraPilatesig, pittrice; Samira Jendubi, assisten-te personale; Laura Dell’Antonio; ZamattioLuca Paolo; Fabbri Rossella, impiegata;Alberto Barberis, pensionato; DuccioBraccaloni; Patrizia Suppo; John Gilbert;Maria Luna Bignardelli; Monica Sgherri,consigliera Regione Toscana; SilviaGiannoni; Anna Maria Di Vaio; EzioGallori, pres. Ass. Augusto CastrucciOnlus; Antonio Banetti; Maurizio Acerbo;Alma Raffi; Tommaso Fattori, consigliereRegione Toscana; Giulia Malavasi;

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Donatella Normile, impiegata; GabrieleZappoli, commesso; Anna Nocentini, pres.Ass. ADINA; Anna Gristina; AlessandraPuppo; Mario Eustachio De Bellis, inse-gnante; Claudio Bertuccelli; GiulianoCoradeschi; Emanuele Corsoni; MarcoZanchetta; Federico Ortu; Maja Spanu; SaraFrangini; Giovanni Vivarelli, presidenteassociazione Il Melograno; Franco Cilenti;Alessandro Bellucci, pensionato; MaurizioBarsella, CUB trasporti; Gabriele De Cecco;Patrizia Barbanotti; Adriana Latterio, inse-gnante; Anna Mattiuz; Tatiana Bertini, infer-miera; Lorenzo Zolfanelli, studente;Daniella Vangieri; Gea Ghisolfi, studente;Manuela Ena, operatore sociosanitario;Luciano Malavasi, impiegato; Arnaldo DiIenno, Claudia Chiquet; Stefano Carboni;Manuela Giugni; Angela Mori; LucaCiabatti; Carla Francone; Alberto L’Abate, exdocente universitario; Anna Luisa LeonardiL’Abate, ex insegnante; Paola Sabatini, exfisioterapista CUB sanità; Marco Paganini,medico, Medicina Democratica; VivianeZari Tsasa vicepresidente ATP; MarioScognamiglio, LSDH; Raffaello Belli; CinziaGurgola; Lorenzo Sestini; Patrizia Pepe;Lorenzo Bini; Umberto Materassi; ElsaArgirò; Beatrice Cioni; Soriano Ceccanti;Carmelo Manca; Corrado Caterina; RaffaeleGobetti; Ines Lorena Sireno; MassimoD’Amato, artista; Umberto Mucé, consiglierecomunale Scandicci; Laura Valsecchi, fisio-terapista; Giampiero Licinio, paraplegico,FAIP; Vincenzo Farabella, Presidente FAIP;Donato Santandrea, ex caposala UnitàSpinale; Fanny Di Cara, architetta; LinaSalazar; Brescia Marina; Antonio Imprescia;Maurizio Bruschi; Donatella Golini, assesso-re Sesto F.no; Monica Biondi; MarcellaBresci; Marzenka Matas; Virginia Pupi;Giovanna Sesti; Elena Pansini; SabinaGambacciani; David Salazar; EggerReinhilde; Gabriele Mirisola; Barbara Rotesi,O.S.S.; Paolo Piercecchi, O.S.S.; RobertoSoraggi, O.S.S.; Tiziano Cardosi; StefaniaMiliani; Gianna Miliani; Roberto Menichetti;Stefano Fusi; Alidina Marchettini;Gianfranco Tomassini; Massimo Torelli;

Laura Marcheselli; Giancarlo Coccheri,impiegato; Dmitrji Palagi, segretario PRC FI;Franco Bozzi, pensionato; Antonella Bozzi,C.I.G.S.; Ivana Parognini; Daniele Lorini, stu-dente; Roberto Travagli, impiegato; SlaukoSuber, cuoco; Manuela Ciriello, impiegata;Giuseppe Caiolo; Lorenzo Sodero, studente;Lorenzo Palandri, studente; DomenicoStumpo, funzionario; Benedetto Casu, stu-dente; Sandro Targetti; Roberta Bonini, pen-sionata; Luisa Petrucci; Antonio Andreotti;Esmeralda Camilleri; Lena Mazzi; StefanoQuaglia, impiegato; Carlo Domenico Rossi,tecnico radiologo; Monica Ganozzi, infer-miera; Maurizio Mazzariol; Irene Paganini;Corrado Lusi, autista; Monica Saltarelli,infermiera; Andreina Cini, infermiera;Antonella Bonciani, infermiera; PasqualinaPoussu, impiegata; Francesca Romano,O.T.A.; Rosolino Magno; Claudia Magno;Laurentia Fatu, infermiera; Roberta Rontini;Lucia Faieta; Angela Maria Ciaccheri; PaoloBartoli; Adolfo Ceramelli; Giulia Raffo;Xhovana Gjonaj; Mila Righi; Guido Martelli;Anastasia Barbuto; Fabio Gambone;Giuseppe Baiano; Erika Gambone; GiovannaDi Falco, O.S.S.; Grazia Menichelli, infer-miera; Lucia Mazzeschi, O.S.S.; Mario LaRussa; Nicoletta Artese, studente; SandraAlderighi, URP Careggi; Lorenzo Lodi, medi-co; Manuela Travaglini, infermiera; MassimoMassimi, impiegato; Antonio Carrabba;Bruno Bartoletti, Associazione ADiNA;Daniela Pieri; Francesca Ligios; LilianaTempesti; Bruno Cravedi, pensionato; AnnaLorini, insegnante; Andrea Del Vanga;Murgueytio Matilde, mediatrice culturale;Alberta Bigagli, poetessa; Fiorella Falteri;Ilaria Boccacci, psicoterapeuta; GisellaGallardo; Diana Vidal, O.S.S.; AngiolinaCapello; Paolo Bavazzano; Sara Lopez;Federico Bausani; Roberto Rosati; SergioSiro; Paolo Venturini; Giovanni Consolati,pensionato; Giuseppe Bologna; Lisa Abati,lavoratrice spettacolo; Filomena Crisci, tec-nico ASL; Gianluca Giorgi, insegnante;Massimo Ermini, pensionato; Felix OrlandoPalomo, operaio; Luigi Vecchio; PatriziaPapini;

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Medicina Democratica numeri 227-230 maggio / dicembre 2016

*Professore ordina-rio di Merceologia

nella Facoltà diEconomia e

Commercio (oraEconomia)

dell’Università diBari dal 1959 al

1995; ora professoreemerito; dottore

honoris causa inScienze economi-

che e sociali(Università del

Molise),inEconomia eCommercio

(Università di Bari;Università di Foggia

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Merci dalla biomassa

di Giorgio NEBBIA*

L’agricoltura e chi vi lavora rappresentano ilgrande motore della più grande fabbrica dibeni indispensabili per la nostra vita. La“fabbrica” dell’agricoltura funziona parten-do dai gas dell’atmosfera e dai sali del terre-no, per “produrre” una enorme varietà dimolecole: carboidrati, grassi, proteine. Edentro ciascuna “classe” di molecole la natu-ra si sbizzarrisce, in ogni pianta, a offrirevarietà e sostanze la cui conoscenza è anco-ra purtroppo in gran parte incompleta.L’agricoltura continua il suo ciclo nella zoo-tecnia, in quegli organismi “consumatori”che trasformano le sostanze organiche vege-tali in sostanze organiche animali, in protei-ne alimentari pregiate, ma anche in altrepreziose molecole, presenti nelle parti deglianimali che spesso sono gettate via comescarti per mancanza di una cultura dellachimica delle sostanze naturali. La chimicadei prodotti sintetici derivati dal petrolio hacome isterilito la fantasia e la curiosità deinaturalisti e dei chimici nei confronti deiprodotti zootecnici, oltre che agricoli.Nella biosfera sono presenti milioni di spe-cie vegetali e animali, la cui massa ammon-ta a miliardi di tonnellate: eppure, nono-stante la grandissima ricchezza della natura,le specie di piante e animali di interesse“economico” sono limitate a poche centi-naia e sono aumentate di poco anche dopola scoperta, da parte degli Europei, di “nuovimondi”: il continente americano, quelloafricano e i paesi dell’oriente asiatico.A mano a mano che aumentava la richiestadi merci e per rompere il monopolio che diesse avevano alcuni paesi che possedevanole colonie da cui tali merci venivano, è natoun vasto movimento scientifico per la ripro-duzione artificiale di molte di tali merci eper l’invenzione di “surrogati”.

Le condizioni geopolitiche ed i conflitti chehanno escluso alcuni paesi dall’accesso adalcune materie prime (si pensi alle autarchiedei periodi di guerra); o le occasionali ecce-denze di prodotti agricoli (nel periodo dellagrande crisi negli Stati Uniti); o il tempora-neo aumento di prezzo e scarsità di alcunematerie prime (durante la “crisi petrolifera”degli anni settanta del secolo scorso), hannoindotto di tanto in tanto a riesaminare lerisorse biologiche come fonti di materieprime e di merci; nel complesso, però, nelcorso degli ultimi decenni si sono perduteconoscenze tecniche, sementi, colture batte-riche, per cui diventa sempre più difficileuna resurrezione di iniziative industrialibasate su molte tecniche che erano impor-tanti in passato. Eppure l’ecologia, con la sua attenzione allascarsità di materie non rinnovabili e aidanni delle merci sintetiche non biodegra-dabili, ha portato a riesaminare materieprime e tecnologie in grado di fornire merciche possono essere ottenute, con impianticostruiti e funzionanti sul posto, dalle gran-di risorse naturali di origine biologica e con-tinuamente rinnovabili, sia nei paesi indu-striali, sia nei paesi emergenti e poveri.Un motivo di ottimismo per la ripresa del-l’uso merceologico di molte risorse biologi-che sta nella grandissima varietà di moleco-le che esse contengono: inoltre la produzio-ne commerciale di prodotti, soprattutto ali-mentari, nei paesi industriali comporta l’u-tilizzazione di tecniche di coltivazione, tra-sformazione e conservazione che generanograndi quantità di sottoprodotti ricchi dimolecole organiche che spesso creano pro-blemi di smaltimento e sono fonti di inqui-namento. Si pensi ai sottoprodotti e scartisia della stessa agricoltura e zootecnica sia

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Medicina Democratica numeri 227-230 maggio / dicembre 2016interventi & esperienze 157

dell’industria delle conserve, dell’industrialattiero-casearia, dell’industria della macel-lazione e trasformazione della carne, dellalavorazione del legname e della produzionedella carta, eccetera. Una più attenta cono-scenza della composizione chimica e fisicae dei caratteri di tali scarti potrebbe consen-tire di ottnere grandi quantità di merci usan-do come “materie seconde” tali sottopro-dotti che l’agricoltura offre ogni anno, chesono quindi rinnovabili; merci che, per ilcarattere delle materie di partenza, sonoanche biodegradabili alla fine della loro vitautile.Circa il 60 % della biomassa vegetale è costi-tuita da carboidrati come zuccheri, cellulo-se, amidi, che sono poi i primi materiali chesi formano nel processo di fotosintesi. Contre soli atomi, carbonio, idrogeno e ossigeno,la natura “fabbrica”, in una grandissimavarietà di combinazioni, materie diversissi-me, talvolta accumulate per la prima fase disviluppo dei semi, talvolta come materialida costruzione capaci di trasportare acqua esali inorganici dal suolo a decine di metri dialtezza. Di questa grande fantasia naturale viene uti-lizzata soltanto una piccola parte a finiumani. L’industria della carta, che assorbeogni anno molte centinaia di milioni di ton-nellate di materiali lignocellulosici, va a cer-care le proprie materie prime sulla basedella necessità di ottenere della “cellulosa”standard,adatta per i suoi cicli produttivi. Siformano quindi grandi quantità di sottopro-dotti e scarti che solo in parte sono utilizza-ti come fonti di energia o come materie utilie che in parte sono fonti di inquinamentodel suolo o delle acque.Una migliore conoscenza dei materialilignocellulosici —- le lignine accompagna-no le cellulose in ragione di circa una parteogni due o tre parti di cellulosa —- potrebbedare un contributo a nuovi processi di pro-duzione di carta e cartoni e anche ad opera-zioni della carta e dei cartoni usati.L’industria tessile utilizza un numero moltolimitato di fibre cellulosiche o proteiche,rispetto alla grande varietà di materiali offer-ti dalla natura. L’industria chimica produce,talvolta faticosamente, per sintesi partendodagli idrocarburi estratti dal sottosuolo,molecole che sono state e possono essere

ottenute, alternativamente, per via micro-biologica dai carboidrati.Le altre importanti macromolecole dellaclasse dei carboidrati sono gli amidi, sostan-ze con diversissima composizione e pesomolecolare, variabili da una specie vegetaleall’altra e suscettibili di trasformazione inmolti derivati, finora ben poco studiati. Peridrolisi chimica o microbiologica degliamidi si formano numerosissime sostan-ze,”le destrine”, molto variabili come carat-teristiche chimiche e fisiche e usate sololimitatamente. Simili considerazioni valgo-no per molti zuccheri, dai monosaccaridicome il glucosio, ai disaccaridi, agli zucche-ri “più rari”, di cui esistono grandi quantitàin natura. Molti di questi sono capaci di for-nire derivati, alcuni dei quali noti dal puntodi vista chimico, ma finora poco o nientestudiati dal punto di vista delle proprietàtecniche, che si presterebbero a molti impie-ghi merceologici.Le sostanze proteiche presenti in tutti i vege-tali ed animali, rappresentano le pietre fon-damentali per tutti i fenomeni biologici. Lanatura, con infinita fantasia, partendo da unlimitato numero di amminoacidi, una ven-tina, che sono le “pietre fondamentali” delleproteine, ha predisposto i comuni materialida costruzione per organi vitali tanto diver-si fra loro. Nelle pareti cellulari delle foglie,nel sangue animale, nelle ali delle farfalle,troviamo sostanze proteiche diversissimecome caratteri e funzioni; la diversità derivadalle proporzioni in cui sono presenti taliamminoacidi e della loro successione.Nonostante il grandissimo numero di pro-teine esistenti in natura, soltanto pochissi-me hanno ricevuto attenzione, al di fuoridegli usi alimentari e di quelli dell’industriaconciaria e tessile (seta, lana). Poche sostan-ze proteiche (quelle della caseina, dellazeina, dell’arachide) sono state utilizzate perla produzione di fibre artificiali, oggi abban-donate. Eppure ogni anno milioni di ton-nellate di proteine derivate dalle industriedi trattamento dei prodotti agricoli, dal sierodi latte, presenti nei residui dell’estrazionedei grassi, negli scarti della macellazione edelle operazioni conciarie, eccetera, vengo-no destinate ad usi poveri, come l’alimenta-zione del bestiame, o la concimazione deiterreni, quando addirittura non sono buttate

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vie costituendo fonti di inquinamento.Molte di queste proteine sono di origine ani-male, ricche di amminoacidi essenziali, epotrebbero essere utilizzate per l’integrazio-ne degli alimenti poveri, come quelli chestanno alla base della nutrizione di moltipaesi poveri.Le stesse considerazioni sulla fantasia dellanatura valgono per i lipidi, i costituenti deglioli e grassi di origine vegetale e animale, chepure sono prodotti industrialmente, soprat-tutto per l’alimentazione umana, in quantitàdi circa 100 milioni di tonnellate all’anno.Il successo dei tensioattivi sintetici e dellaglicerina sintetica ha ridotto il campo diapplicazione industriale dei grassi naturali:anche qui le considerazioni “ecologiche”hanno riportato in vita, nella detergenzadomestica, sia pure limitatamente, alcunitipi di saponi di origine agricola grazie allaloro biodegradabilità.Vi sono molte strade aperte per l’utilizzazio-ne, con successo, di coloranti naturali, digomme e resine, dei terpeni, di molte vita-

mine e degli steroli, soprattutto in tutti queicasi in cui le proprietà di interesse commer-ciale sono associate a strutture chimicheabbastanza complicate e non riproducibiliper via sintetica.La sfida della natura che offre, nei prodottivegetali e animali associati all’agricoltura,una così grande varietà e complicazione disostanze, si può accettare soltanto conaltrettanta fantasia chimica e di ricerca.Siamo di fronte ad una chimica difficile,ma proprio per questo i chimici e le impre-se dei paesi industrializzati come il nostropotrebbero impegnarsi, usando i raffinatistrumenti oggi disponibili, per crearenuove merci, processi e occasioni di occu-pazione, con vantaggio sia per i paesi indu-striali, sia per quelli emergenti e poveri,ricordando anche che molte soluzionisono già state trovate e poi sono stateabbandonate, con un impoverimento delpatrimonio di conoscenze, un processosimile alla perdita del patrimonio di biodi-versità.

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*Direttore dellaFondazione LuigiMicheletti diBrescia.

letture 159

Ecologia e giustizia sociale

di Pier Paolo POGGIO*

La Fondazione Luigi Micheletti, che conser-va il suo grande archivio, in occasione dei90 anni di Giorgio Nebbia ha organizzato unconvegno in suo onore con una fitta parteci-pazione di studiosi, ricercatori, ecologistiche si sono soffermati su singoli aspetti del-l’amplissimo lavoro di Nebbia o hannopreso spunto dalle sue posizioni per unariflessione sullo stato dell’arte in meritoall’ambiente e non solo. La pubblicazioneraccoglie gli atti della giornata, arricchiti daalcuni altri contributi. Si tratta di testi brevi ma molto densi di cuinon è possibile dar conto in dettaglio.Attraverso di essi si possono individuare inuclei principali, i centri di interesse, diun’attività che si è sviluppata ininterrotta-mente dai primi anni 50 ad oggi, comedocente universitario, militante nelle asso-ciazioni ambientaliste, parlamentare, gior-nalista, divulgatore.Un primo tema è quello dello studio dellemerci. Nebbia da sempre si definisce mer-ceologo in nome della disciplina che hainsegnato raccogliendo l’eredità preziosadel suo maestro Walter Ciusa. Lo fa con piùinsistenza da quando la merceologia è statafatta sparire, perché oggi quel che conta nonè la sostanza delle cose ma l’apparenza, nonil valore d’uso ma il valore di scambio e lasmaterializzazione spinta sino alla produ-zione di denaro per mezzo di denaro (D-D’).Quel che serve è invece conoscere le mercinelle loro componenti fondamentali: natura+ lavoro. Su questo terreno un grande capi-tolo della sua attività è consistito nello stu-dio delle frodi, che non a caso culminano inquelle finanziarie. La conoscenza dei pro-dotti, a partire da quelli alimentari, è essen-ziale per preservare la salute dei consuma-tori, e impedire che pratiche truffaldine

mettano in crisi sviluppi virtuosi quali l’af-fermazione dell’agricoltura biologica. SuNebbia merceologo e chimico al serviziodegli interessi collettivi si soffermano diver-si suoi allievi e colleghi, gettando anche lucesu aspetti altrimenti sconosciuti della suapersonalità (Giovanni Cannata, BenitoLeoci, Ugo Leone, Luigi Notarnicola, ElsaMaria Pizzoli).Lo studio delle merci, dei prodotti finiti,rimanda al ciclo produttivo; solo ricostruen-do l’intero ciclo di vita delle merci, dallematerie prime ai rifiuti, si riesce a gettareluce sui problemi fondamentali dellesocietà industriali. Su questo piano gli inter-locutori principali di Nebbia paiono esserestati Nicolas Georgescu-Roegen e BarryCommoner. Di qui nasce la constatazione everifica dell’insostenibilità ecologica delmodello capitalistico industriale, su cuibisogna semplicemente dire la verità, cosìcome sulla relazione tragica della specieumana con la natura, senza scorciatoieingannevoli quali lo sviluppo sostenibile ol’economia circolare; senza catastrofismi maanche senza gli inutili slogan di cui si nutreda troppo tempo la retorica politica. Su que-sto aspetto centrale del lavoro e della posi-zione di Nebbia sono da vedere i contributidi Giorgio Assennato, Walter Ganapini,Nicoletta Nicolini, Giovanna Ricoveri,Gianni Tamino.Al centro del ciclo produttivo ci sono, iericome oggi, la fabbrica e gli operai (anche sequesti sembrano diventati invisibili).Nebbia si è occupato come studioso maanche come militante di molti casi di fab-briche con alto impatto sull’ambiente e sullasalute dei lavoratori: dal Petrolchimico diBrindisi, alla Farmoplant, all’Acna etc.Proprio sul nodo del rapporto tra fabbrica e

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Luigi MichelettiIBAN: IT 07 T 02008 11232 000100331647Causale bonifico: donazione per attività istitu-zionali, indicando l’indirizzo per la spedizione.

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ambiente sono venute alla luce le debolezzedell’ambientalismo italiano, incapace dicogliere e far valere la fondamentale conver-genza tra le ragioni dei lavoratori e dei citta-dini per un ambiente sano dentro e fuoridalla fabbrica. La posizione di Nebbia costi-tuisce un’eccezione, piuttosto isolata, chediscende dalla irremovibile convinzioneche ambiente e giustizia sociale debbonomarciare unite. Su questo tema si soffermal’approfondito intervento di Paolo Cacciarima sono da vedere anche quelli di RobertoMusacchio, Marino Ruzzenenti, PatriziaSentinelli, Barbara Tartaglione e Pier paoloPoggio. La posizione di Nebbia nel contestodelle varie correnti dell’ambientalismo ita-liano e dell’azione di protezione della natu-ra sono oggetto dei contributi di AlfonsoAndria, Valerio Calzolaio, Edgar Meyer,Luigi Piccioni, Fulco Pratesi. Di grande rilie-vo nella produzione del nostro sono stati laquestione energetica e l’agricoltura, su cui sivedano rispettivamente gli interventi diCesare Silvi e Alberto Berton. Alla suaopzione nonviolenta come scelta etica radi-cata nell’indagine materialistica delle merci,incluse le armi “merci oscene per eccellen-za”, si riferiscono i contributi di MarinellaCorreggia e Enzo Ferrara, il quale argomen-ta l’esistenza di un nesso cogente tra ecolo-gia e nonviolenza.Sono infine da segnalare gli interventi digiovani ricercatori e attivisti come NicolaCapone, René Capovin, Marica Di Pierri.

Riporto alcune considerazioni di uno diloro: Nebbia è “uno scienziato umanista chesa bilanciare intuito con creatività artigia-nale, ricostruzioni storiche di ampio respirocon conoscenze tecniche circostanziate. Sevale questa lettura diventa facile capire ilsuo amore per un intellettuale geniale comeLewis Mumford, studioso ancora capace dipensare per risolvere problemi e non perrispettare protocolli disciplinari/…/. La(sua) convinzione di fondo è semplice: l’u-nico modo per arrestare la catastrofe ecolo-gica che il capitalismo ha scatenato è quel-lo di pensare le fonti di energia e le risorsenaturali come proprietà collettiva. Da quibisogna ripartire, anzitutto lottando control’appropriazione privata delle risorse; e illoro spreco. Quindi progettando uno svilup-po intelligente, capace di risanare l’ambien-te naturale e quello urbano, trasformandoradicalmente produzione e qualità dei con-sumi: in altre parole, tornando alla centra-lità del valore d’uso, pianificando cosa pro-durre e come produrre “(Daniele Balicco).Per chi fosse interessato a conoscere più indettaglio l’attività tuttora pienamente incorso di Giorgio Nebbia, oltre alle letturadella presente pubblicazione, consiglio diconsultare le pagine di “Altronovecento”(http://www.fondazionemicheletti.it/altro-novecento/), la rivista on line dellaFondazione Micheletti da lui animata confittissimi interventi e insaziabile curiositàper i temi sopra evocati e altri ancora.

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*Prof. Emerito allaFacoltà di Scienzedell’Universitàdegli Studi diMilano, sociodell’AccademiaNazionale deiLincei.Commeto a “IlSalto” L. Gratton IlSaggiatore S.p.A,Milano 2011.

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Commenti a “IL SALTO”di Linda Gratton

di Giorgio FORTI* Linda Gratton è professore di PraticaManageriale alla London Business School,dove è direttrice del programma Strategieper le Risorse Umane nelle Aziende diTrasformazione, che è uno dei programmipiù considerati tra quelli che si occupano dirisorse umane nel mondo dirigenziale del-l’economia in Occidente. Ha scritto nume-rosi libri, tra cui questo “The Shift: TheFuture of Work is Already Here”, pubblica-to in italiano nel 2011 da Il Saggiatore con iltitolo Il Salto.Il libro tratta dei problemi del lavoro, inten-dendo il lavoro ad alta qualificazione nelmondo industriale e finanziario quale appa-re oggi, ed estrapola al vicino futuro del2025 la situazione dei primi anni del nostrosecolo e dei decenni immediatamente pre-cedenti, per quanto riguarda i metodi diselezione dei dirigenti di azienda e dei tec-nologi ad alta qualificazione, tenuto contodei rapporti sociali, delle variazioni dellapopolazione e del rapido progresso tecnolo-gico che ci si deve aspettare, anzi è già quicon noi.La Gratton intende dare consigli ai giovani emeno giovani che entrano in carriera o lavogliono riconvertire, e raccomanda i modiper rimanere o entrare nella classe dirigente,e procurare a sé stessi una vita di lavorointeressante, varia e di successo nel mondoin cui il progresso tecnologico diventa sem-pre più rapido, ed i rapporti sociali semprepiù “globali”: nel senso che le moderne tec-nologie di comunicazione consentono, edesigono, rapporti di lavoro ed umani estesi atutto il globo in tempo reale. Per questo,spiega l’autrice, è necessario acquisire unaspecializzazione nel proprio campo di lavo-ro che consenta una reale “maestria”, peresser riconosciuti come “eccellenti” nel pro-

prio campo. La “cultura generale” (non bendefinita nel libro) non può sostituire questamaestria specializzata: il cui raggiungimen-to è dunque il primo “salto” (è lecito essereinsoddisfatti di questa traduzione dell’ingle-se “shift” scelta da traduttore ed editore) chesi deve compiere, e richiede duro lavoro edintelligenza. Il secondo salto è la capacità dicooperazione e di scelta dei collaboratori, suscala mondiale, ed il terzo è la trasformazio-ne di sé stessi da “consumatori avidi” a“produttori” entusiasti del proprio lavoro.Le forze che agiscono sulle trasformazionidelle strutture produttive sono cinque: laglobalizzazione, la tecnologia, le risorsedisponibili, l’ambiente (umano e fisico) el’energia disponibile. Il libro si serve moltodelle nozioni di psicologia “aziendale”; usoquesto aggettivo per cercar di definire le basiassai limitate di scienza psicologica di cuil’autrice fa uso in questo libro, pur essendonota come una cultrice di psicologia. E’ costante e lodevole l’insistenza dell’autri-ce sulla necessità della difesa dell’ambiente,senza peraltro entrare in dettagli su metodio principi che sarebbero fuori tema per ilsuo scopo: si limita ad alcune raccomanda-zioni per il risparmio energetico.Il libro è interessante soprattutto per le noti-zie che dà, con molta anche se unilateraledocumentazione bibliografica.Prima di commentarne l’impostazione ideo-logica, quella consapevole e voluta e quelladerivante forse meno consapevolmentedalla immersione dell’autrice nell’ambienteculturale in cui vive (quello delle societàoccidentali del benessere, in cui domina l’i-deologia politico-economica del “neo-liberi-smo”), è bene citare alcuni dati non esatti,che l’autrice invece presenta come indiscu-tibili.

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Il primo riguarda la previsione dell’aumen-to della durata della vita umana, che l’autri-ce riporta come destinata a superare i 100anni nel prossimo futuro. Cito testualmenteil suo appassionato appello ai bambini deinostri giorni: “Avete una vita straordinariadavanti. Molti di voi vivranno più dicent’anni: una cosa non immaginabile solodue decenni fa. Non solo avrete delle vitemolto lunghe, ma grazie alle scoperte scien-tifiche che ritarderanno l’invecchiamentosarete in grado anche di lavorare produtti-vamente per gran parte della vostra vita” (L.Gratton, Il Salto, Il Saggiatore S.p.A, Milano2011, pag 297). Si ignorano qui le scopertesulla durata della vita, che è una caratteristi-ca geneticamente determinata per la specienegli animali superiori, con distribuzionegaussiana dei valori, per cui i biologi parla-no di “morte programmata” ed alcuni deimeccanismi biochimici di essa sono statiscoperti. Sembra quasi che qui si confondal’aumento prevedibile della “speranza divita” dovuta al progredire delle scienzemediche ed al diffondersi dei servizi sanita-ri in Paesi che ne sono oggi pressochè privi,che portano e porteranno, si spera, alladiminuzione drastica della mortalità infan-tile nei Paesi del terzo mondo e, ovunque,della morte per malattie che si spera diven-teranno guaribili ( ad esempio il cancro, percui oggi non esistono metodi di cura chevadano all’origine della malattia, e vengonotrascurate colpevolmente azioni preventivepossibili. Per non parlare delle malattie delsistema nervoso centrale ( di solito non mor-tali ma invalidanti), per cui si comincia soloora ad usare farmaci di una qualche effica-cia, almeno in un numero limitato di casi).Questa nozione errata, e le conseguenze chel’autrice ne prevede per il vicino futuro, èprobabilmente influenzata dalla sottocultu-ra generata, in questo ed altri campi, dallapropaganda politico-economica diffusaintenzionalmente dai media delle societàaffluenti (anche con la collaborazione di“esperti”), sempre più dipendenti dalledirezioni politiche e finanziarie dei Paesidominanti il mondo d’oggi. Le ragioni diquesta propaganda sono probabilmente daricercarsi nella generale volontà dei governisostenitori dell’”economia di mercato” inuna delle sue più fondamentaliste applica-

zioni globali: prolungare la vita di lavoro ditutti i lavoratori e quindi alzare l’età di pen-sione. Sembra che la Gratton adotti pococonsapevolmente questo punto di vista,perché in altre parti del libro sembra esserinvece sostenitrice dei diritti all’autonomiadei lavoratori per quanto riguarda la pro-grammazione del loro lavoro, che essa pro-pone comunque sempre considerando soloil lavoro molto qualificato di persone chesvolgono funzioni “elevate” nella divisionedel lavoro delle società umane cosiddette“avanzate”.La Gratton insiste, giustamente, sull’impor-tanza fondamentale delle risorse e disponi-bilità energetiche per tutte le attività umanee per le nuove tecnologie (considera le risor-se energetiche una delle “5 forze”). Ne parlain diversi capitoli del libro, ma non sembraconsapevole del fatto che l’energia solare, dasola, può risolvere il problema, con tecnolo-gie certo migliorabili, ma già oggi disponibi-li. Arrivano sulla superficie del nostro pia-neta circa (ma con approssimazione buona,dopo le misure con i satelliti) 2x1024 joulesall’anno, e l’attuale consumo per tutte le atti-vità umane è oggi di circa 0,25x1021 joulesall’anno. Certo il consumo di energiaaumenterà di due-tre volte quando i miliar-di di umani che ora sono pressochè esclusidalle tecnologie moderne accederanno alloro uso, anche tenendo conto del necessa-rio risparmio energetico che dovrà venireattuato. Dunque, non ci si spiega la man-canza di precisione della Gratton su questopunto che tra l’altro sarebbe favorevole perle sue previsioni di benessere e vita feliceapportate dalle nuove tecnologie e dai tre“salti”. Forse, anche qui, la hanno influen-zata i mantra dei dirigenti delle società occi-dentali (tra i quali i petrolieri ed i finanzieria loro associati sono molto forti) che cerca-no di non parlar male del petrolio e deriva-ti, considerando che il fatturato del petroliogrezzo si aggira su circa un milione di dolla-ri al secondo, (al valore del grezzo di 50 dol-lari/barile). Eppure anche la Gratton è eco-logista, come risulta chiaramente dal suolibro, e quindi favorevole alla forte riduzio-ne dell’uso dei combustibili fossili.Come può la Gratton “prevedere“ che nel2025, tra 9 anni, 5 miliardi di umani (sugliattuali 7,4 miliardi, che allora saranno di

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più) avranno a disposizione e “manegge-ranno” le tecnologie di comunicazione glo-bale, quando lei stessa dice che oltre duemiliardi di umani oggi sono analfabeti? Il mondo a cui lei pensa è quello oggi rap-presentato dall’1% circa della popolazionemondiale, quindi le sue estrapolazioniriguardano questa società ristretta ed unaparte alcune volte più larga della popolazio-ne a cui lei allude nel capitolo in cui diceche coloro che hanno saputo raggiungere la“maestria” in una specialità tenderanno,tendono già adesso, a concentrarsi in zoneristrette. Queste serviranno di richiamoanche per altri umani, non “maestri” innulla, ma addetti a servizi accessori per iMaestri: barbieri, ristoratori, fornitori di variservizi (per gli addetti alle pulizie sia pureutilizzando metodi tecnologici avanzati).Tra questi addetti ai servizi vanno probabil-mente contati i pubblicisti che utilizzano imedia elettronici ed altri ancora, solo alcunidei quali saranno considerati “maestri” nel-l’arte loro, collocandosi così nell’élite, comedel resto si osserva già oggi. Anche gli altri “salti“ saranno determinati, oresi possibili, dalle “5 forze” che premono, edalle capacità degli eletti che compiono ilsalto nei rapporti umani globali tra cuiessenziale è l’amicizia (l’autrice a questoproposito ricorda il “De Amicitia” di Cice-rone, ma trascura altri “prodotti” dell’uma-na sapienza anche più importanti), che con-sentirà la formazione di gruppi collaborantial successo dell’impresa comune, in modoche le tecnologie ed il loro progresso velocesiano alla base di un progresso di civiltà, cheprocurerà una vita felice e prospera ai com-ponenti del gruppo.Per poco che conosca la storia della nostraspecie e la storia del mondo, l’autricedovrebbe saper osservare che le tecnologieed i loro progressi hanno come necessariapremessa il progresso del Sapere, dellaScienza che comprende le scienze umane.Sinora le nuove tecnologie hanno portatoanche progresso di civiltà e più piacevolevita umana, ma anche e soprattutto, dobbia-mo ammettere, disastri immani. Citerò solole meravigliose conoscenze (di un numeromolto ristretto di esseri umani) sulla struttu-ra del nucleo atomico, le teorie generali chehanno dato fiducia nelle possibilità di cono-

scenza delle strutture matematiche dell’Uni-verso: le applicazioni tecnologiche viste esubite da milioni di umani sono state lebombe di Hiroshima e Nagasaki, le centralielettriche basate sulla fissione ed i disastriche hanno provocato, provocano e provo-cheranno se si continua su quella strada.Questo non è stato cosa nuova del XX° seco-lo: tutti i sostanziali progressi tecnologicidella storia hanno avuto tra i primi e grossirisultati, la costruzione di armi sempre piùmicidiali: come può la Gratton pensare chequesto appartenga al passato, se apre gliocchi sul mondo di oggi?

Le nuove tecnologie affascinano anche me,ma vedo benissimo i pericoli, molto mag-giori dei vantaggi: i droni sono un esempiodi come un individuo da migliaia di km didistanza spara micidiali missili su personedi cui un satellite gli segnala la posizionecon grande precisione! E’ prevedibile che ildrone, o altra macchina diventi ancora piùmoderno: non avrà più bisogno di esser gui-dato, vede e sceglie l’obbiettivo in una certazona, e distrugge in modo del tutto autono-mo, senza più l’intervento umano diretto.Questo minaccia seriamente di arrivareprima dei trasporti senza guidatore, o altremeraviglie!Come può l’autrice pensare che le possibi-lità tecnologiche avanzate, oggi prevedibili,ed ancor più quelle non prevedibili, miglio-reranno di per sè i rapporti umani? Tutta lastoria delle civiltà e della nostra in cui vivia-mo dimostrano che la solidarietà umanapuò esistere solo sulla base di principi chenascono nella mente umana se pensati, col-tivati e messi in atto anche a costo di grandi

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impegni non retribuiti delle persone.Sappiamo, e la Gratton sa e riconosce, chegli umani non nascono uguali per intelli-genza, capacità e prestazioni; capacità disacrificio e continuità nell’azione. Dà anchealcuni esempi che inventa lei, e si può per-mettere di “crearli” anche irreali per esem-plificare i suoi suggerimenti per...il successoumano e una vita felice. Questo dipendedunque dallo scopo che i destinatari deiconsigli di questo libro si prefiggono, e qualeparte della società umana essi rappresenti-no. Ma se vogliono fondare una societàumana giusta, è più importante aver capitoche il progresso della civiltà e solidarietàumana si ha quando i “sapienti”, piuttostoche i “maestri” specializzati proposti in que-sto libro, siano abbastanza sapienti da capi-re che il considerare uguali gli umani chenascono disuguali (per gli effetti della ricom-binazione genetica, della riproduzione ses-suale e dell’ambiente), è una conquista dellaciviltà da cui non si deve recedere se si vuole

vivere in una società democratica e libera,dove anche i meno dotati possano avere ildiritto di vivere liberi e, possibilmente, feli-ci. La tecnologia può certo aiutare, ma non èil fattore principale per raggiungere questoscopo. Il libro della Gratton trascura un pro-blema gigantesco: gli esseri umani viventisono circa 7 miliardi e mezzo, e stannoaumentando. Circa 2 miliardi sono analfa-beti, come l’autrice riconosce. Quale pensache sarà il destino di quelli che, per qualcheragione strutturale o/e ambientale, non rie-scono a fare i tre “salti”che il libro consiglia?Molti di questi infelici pur dispongono diuno smartphone (pare siano due miliardiquelli venduti, ma più di uno alla stessa per-sona), quindi ... possono aver accesso allasottocultura diffusa oggi con questa tecnolo-gia, ma, a vederli dormire sulle panchinedelle nostre città, non sembra che possanobeneficiarne molto al fine di farsi una cultu-ra, tanto meno di entrare in una carriera cheporti alla vita prospera e felice.

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I Vajont, le storie si ripetono

di Lucia VASTANO*

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Dopo l'orazione di Marco Paolini (1997, Rai2), poteva sembrare difficile, se non inutile,raccontare la storia del Vajont dicendo qual-cosa di originale, qualcosa che tutta la gentenon sapesse già.In realtà la memoria degli italiani è moltocorta e fa fatica, anche su stragi come quelladel 9 ottobre 1963 e che costò 1910 vittimedi cui 487 bambini sotto i 15 anni, a diven-tare memoria collettiva, quella memoriacondivisa che fa crescere la coscienza di unpopolo e che insegna qualcosa d'importantee che dovrebbe indurci a dire: “Storie cosìnon si devono ripetere mai più, abbiamoimparato la necessità di non fidarci delpoteri economici quando stringono perico-lose e indecenti alleanze con la politica, lastampa, la magistratura e persino la chiesa.Abbiamo imparato il nostro dovere di citta-dini: vigilare su chi ci rappresenta per difen-dere il significato più profondo di democra-zia”.Ma non è così. Sembra davvero che la Storianon insegni nulla, nemmeno quando, comenel caso del Vajont, nelle varie fasi del pro-cesso, che le istituzioni hanno provato a boi-cottare in tutti i modi, si è arrivati ad unaquasi unica sentenza nella storia delledemocrazie mondiali: lo Stato italianodichiarato colpevole di omicidio colposoplurimo con l'aggravante della prevedibilità.Uno Stato che uccide i suoi cittadini concinica consapevolezza. E che per oltre 50anni si dimentica persino di chiedere scusa.E quando si degna a farlo è soltanto per lastrenue volontà di un pugno di Cittadini perla memoria del Vajont, pure poi rimprove-rati per essersi permessi di “mettere ilPresidente con le spalle al muro”.Come ho appurato in un'inchiesta che hofatto condurre dall'Istituto di ricerca S&G

Kaleidos di Milano (marzo 2012) meno diun italiano su tre conosce la storia della diga(uno su sette se si esclude la gente del NordEst). E di questi ben il 51% pensa che la digasia crollata. Ma la diga è invece ancora lì,forte e beffarda a testimoniare che anche chiè “eccellente” può essere criminale.Da oltre 15 anni mi occupo del dopo Vajont,di accompagnare i superstiti che hannoperso le loro famiglie e i loro paesi rasi lette-ralmente al suolo nella loro difficile ricercadi giustizia. Ho raccontato in un libro(Vajont, L'onda lunga e poi in quello dedi-cato ai bambini I palloncini del Vajont) levicende del prima, ma soprattutto del“dopo Vajont”, delle truffe, leggi ingiuste,violenze sulla memoria e la dignità dei fami-liari delle vittime che si sono susseguite nelcorso di questi 53 anni. Il Vajont non è anco-ra un capitolo chiuso della Storia d'Italia. Cisono ancora soldi che girano, violenze che sicompiono sulla pelle dei sempre più pochisuperstiti. Il Vajont, grazie a leggi scritte adhoc, è diventato uno dei business più reddi-tizi della storia italiana per le stesse casteche lo hanno provocato.Da tempo avevo un pensiero in testa, natodalla consapevolezza che il Vajont è stata laprima strage programmata, prevedibile,della nostra democrazia. Una specie di gran-de prova da riproporre negli anni a venire.Studiando il Vajont si può capire quello chesuccede dopo ogni strage, con le stesse iden-tiche dinamiche.È stato dunque questo l'intento primariomio e della mia co-regista Maura Crudeli nelcominciare a girare il docu-film I VAJONT:proporre la storia della diga come metaforadi tutte le altre stragi che sono venute dopoin cui il cinismo dei poteri uniti ha sempremesso al primo posto il profitto rispetto alla

*Sceneggiatrice eco-regista conMaura Crudeli delfilm documentario“I Vajont” prodottoda AIEA e MedicinaDemocratica

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sicurezza delle comunità, la difesa dell'am-biente e la dignità delle persone. Raccontarecon innumerevoli esempi come da quel lon-tano 1963 in poi il business della ricostru-zione è diventato un panino succulento daaddentare senza perdere tempo, magarianche sfregandosi le mani e ridendo nelcuore della notte dopo aver saputo di un ter-remoto. E che questo boccone succulento èsempre destinato a imprese che hanno lega-mi con la politica e le altre caste, fino adiventare un vero e proprio sistema di stam-po mafioso (stando alla definizione dellalegge del codice penale 416bis), con o senzala collaborazione della mafia ufficiale, quel-la che tutti ci siamo abituati a conoscere,quella della coppola e della pistola facile.Ma poco o niente vogliamo sapere dell'altramafia, quella zona grigia che ne è invecel'ossigeno e la benzina, senza la quale ilmafioso non potrebbe sopravvivere.La storia del Vajont si ripete e ci si stupisceche stupisca ancora i media che trattanoogni vicenda in cui si rivelano l'inadegua-tezza e anche le gravi responsabilità delloStato e delle sue istituzioni nel proteggerci –che sia un terremoto, un'inondazione, unponte che crolla, un treno che deraglia e faesplodere un quartiere di una città, dei lavo-ratori che muoiono cadendo da una torre obruciando in una fabbrica, o per amianto –come un fatto isolato, come un'eccezione diun sistema virtuoso, un errore venale, unproblema di incuria, di superficialità, dimancanza di mezzi, o di una burocrazia cherallenta gli interventi di messa in sicurezza.Quasi mai si arriva all'identificazione di unresponsabile. E anche quando questo succe-de, poi nei processi la maggior parte dellevolte il responsabile viene assolto, o magarisubisce una condanna ma di entità irrisoriache insulta la memoria delle vittime.Quello su cui bisogna cominciare a riflette-re, come diceva Montesquieu, è che in unademocrazia se una sua parte significativa ècorrotta è in realtà corrotto tutto il sistema.Altrimenti è come cercare di estirpare lemetastasi senza curare il carcinoma prima-rio.Succede anche che, per difendersi, le istitu-zioni cerchino di scaricare la responsabilitàsulle stesse vittime che non hanno fatto laloro parte per proteggersi, visto che magari

preferiscono comprarsi la macchina nuovaanziché mettere in sicurezza le loro case,preferiscono costruire abusivamente lì dovenon dovrebbero.È vero, in Italia non c'è coscienza per la pre-venzione, è vero che l'illegalità, la convin-zione che fare i furbi paghi sempre sonopatrimonio culturale comune a molti di noi.Ma, come si dice, il pesce puzza dalla testa:c'è sempre a monte qualcuno che non fa ilsuo dovere, magari per un pugno di voti oqualche mazzetta. C'è poi anche quella testache si chiama protezione civile che, innomen omen, dovrebbe in prima istanzaprevenire i disastri invece di organizzare,spesso in modo improvvisato, i soccorsi e leemergenze a strage avvenuta.Una prevenzione civile deve avere comepriorità quella di educarci tutti a comporta-menti virtuosi, dovrebbe insegnare ai citta-dini come comportarsi in caso di un'emer-genza, così come da anni fanno in moltipaesi del mondo. A volte basta poco per sal-varsi dal crollo della propria casa, da unfiume che esonda, o anche dalle conseguen-ze a breve o lungo termine di un lavoro cheuccide. Ovviamente la protezione civiledovrebbe evitare di rassicurare la gente, “pernon allarmarla” quando una montagna staper franare dentro un lago, o una casa dellostudente già fatiscente e barcollante, in zonasismica, non viene fatta evacuare.I VAJONT racconta che i “buoni”, leistituzionI che dovrebbero proteggerci,quasi mai fanno quello che dovrebbero permettere in sicurezza i nostri territori, perimpedire che un ponte sia costruito controppa sabbia e poco cemento, che un argi-ne sia pulito o che non si dia avvio ad unagrande opera che violenta i territori o chi liabita, che l'amianto smetta di inquinare euccidere, peggio della cocaina.I “buoni” raccontano che le disgrazie sonoinevitabili, non potevano essere previste,che non c'è un colpevole. Non si può pun-tare il dito sul medico che opera e fa quelloche può se poi succede che il paziente nonce la fa e muore.Rispetto alla messa in sicurezza del nostropaese ci sono sempre altre priorità. Perché?Il solito motivo: la ricostruzione è un pani-no succulento, ben più succulento di quat-tro soldi spesi per pulire l'argine di un

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fiume.Ne I VAJONT che ci inseguono purtroppoquotidianamente vediamo che le storie siripetono, con la medesima sceneggiatura,ogniqualvolta si compie un vero e proprioeccidio di innocenti in nome del profitto:succede a Broni, con i morti d'amianto dellaFibronit, all'Aquila con la ricostruzione e gliinterventi della cosiddetta protezione civile,succede a Viareggio con l'esplosione delvagone-cisterna, con i morti in fabbrica aPaderno Dugnano, con i ragazzi buttati giùdalla Torre piloti di Genova da una carrettadi mare, di proprietà di un armatore già alcentro di numerose altre inchieste.I VAJONT racconta di una stampa che sinutre delle emozioni del momento, ma poiabbandona i familiari delle vittime e le loroassociazioni, lasciandole sole per cercarequella giustizia che dovrebbe essere patri-monio comune di tutti noi mentre le istitu-zioni fanno di tutto per isolare i parenti edenigrarli, per invalidare la loro fame diverità con la paternalistica, ma vergognosavolontà di farli passare per persone “scon-volte, [che] sono impazzite per il dolore,incapaci di capire e valutare le circostanze”.Persone da compatire, ma anche da metterein guardia, non devono disturbare e interfe-rire con le indagini ufficiali. “Alla giustiziaci pensiamo noi!”. I parenti facciano il lorolavoro: piangere e restare a casa.Ne I VAJONT abbiamo anche voluto mette-re in luce che le democrazie che si pieganoal potere economico non sono prerogativadell'Italia. Ecco perché siamo andate anchein India, dove nel dicembre 1984 una mul-tinazionale chimica americana, la UnionCarbide, ha consapevolmente sacrificato lavita di 35mila persone. 35mila ultimi di unoslum nella città di Bhopal, uccisi da unanube tossica di isocianato di metile fuoriu-scita da una fabbrica di pesticidi dismessa

da anni, morti in nome del profitto persona-le dei proprietari che non avevano messo insicurezza la loro fabbrica abbandonata anco-ra colma di veleni e non hanno pagato, né difronte alle legge, né aiutando le famigliedelle vittime e dei feriti (oltre 600mila) enemmeno occupandosi delle generazionisuccessive, bambini che nascono ancoracon gravi malformazioni dovute alla tossi-cità ancora presente nel terreno e nella faldaacquifera, mai bonificate dalla UnionCarbide.Il lavoro che io e Maura abbiamo volutooffrire non ha dunque per sbaglio quel plu-rale nel titolo. Il nostro intento è stato quel-lo di metterci al fianco dei familiari delle vit-time, raccontare la loro disperata e dolorosalotta per avere giustizia, ma anche cercare dioffrire una speranza per il futuro.Da quando è uscito ufficialmente, anchenella versione inglese, I VAJONT sta racco-gliendo numerosi consensi, in diverseparti dell'Italia dove lo abbiamo proposto.È arrivato fino in Svezia a un importantefestival internazionale (Stories of theAnthropocene, Stoccolma, 27-29 ottobre2016) dove era rappresentato il mondointero, dagli Stati Uniti e dal Canada,all'India, al Brasile e a tante realtà Europee.Quello che ci sta facendo davvero piacere(oltre alla possibilità di finire su un'impor-tante rete Tv nazionale) è stata la rispostadi sindaci, associazioni e soprattutto scuo-le che vogliono proiettare I VAJONT, undocumentario che hanno sentito comevoce delle loro comunità, dei loro territoriferiti o minacciati.I VAJONT ha appena cominciato il suo per-corso. Siamo convinte che la strada è anco-ra lunga, ma ci rende molto orgogliose esse-re riuscite a dare il nostro contributo, anchese piccolo, alla difesa della gente e dei terri-tori. Un piccolo passo, ma già qualcosa.

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*MedicinaDemocratica,

Savona.

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Vaccinazioni: tra Scienza eDiritto

di Beniamino DEIDDA a cura di Maurizio LOSCHI*

La sezione di Savona di Medicina Demo-cratica, a fronte della campagna mediaticain corso e delle misure repressive minaccia-te nei confronti di chiunque si permetta diesprimere dubbi relativamente all’obbliga-torietà delle vaccinazioni in Italia, sia che sitratti di genitori che, adeguatamente infor-mati dei rischi e dei benefici individuali ecollettivi decidano di non far vaccinare ifigli, sia che si tratti di operatori sanitari che,sulla base di evidenze documentate, nonsostengano tutte le campagne vaccinali pro-poste, sia infine che si tratti delle associa-zioni di famiglie vittime di reazioni avverse,ha promosso, presso l’aula Magna del LiceoChiabrera-Martinilo di Savona, lo scorso 18giugno 2016 un pubblico dibattito dal titolo:

“Vaccinazioni: tra Scienza e Diritto”.Si riporta per esteso l’intervento al conve-gno, del Direttore della Scuola Superiore diMagistratura Beniamino Deidda nonchè, exProcuratore Generale presso la Corte diAppello di Firenze.

<< ... Mi pare necessario premettere che ilmio approccio alla questione che è oggettodi questo dibattito non è ideologico e cheaffronterò i problemi esclusivamente dalpunto di vista giuridico, cercando di coglier-ne le implicazioni. Per il giurista il dato dipartenza è la norma e la disciplina positivache da essa discende. Certo, poi le normepossono essere discusse e possono esserecambiate. Ma darsi da fare per modificarle ècompito dei cittadini, dei partiti, delle asso-ciazioni, non del giurista. Per il giurista lanorma è il punto di riferimento e con essabisogna fare i conti.Nel nostro caso il panorama normativo èsemplice. Con leggi che si sono succedutenell’arco di molti anni sono state dichiarate

obbligatorie quattro vaccinazioni. Nel tempo altre se ne sono aggiunte che illegislatore non ha definite obbligatorie, masolo raccomandate. Devo dire che mi sfuggela diversa natura delle due categorie di vac-cinazioni, ma forse questo dipende dallamia ignoranza in materia. Mi pare di capireche per un profano ‘raccomandare’ una vac-cinazione debba avere il significato di pre-venire le conseguenze dannose di alcunemalattie. Sotto questo profilo l’obbligatorietàlimitata ad alcuni vaccini e non ad altri nondiscende da una graduazione di importan-za; sembra più il portato di un atteggiamen-to strategico del legislatore che è andatomutando nel corso degli anni.Il mio intervento si propone di esaminare lecaratteristiche della obbligatorietà delle vac-cinazioni e delle sanzioni previste per legge,la sostenibilità dell’obbligo alla luce dellenorme costituzionali e le possibili interpre-tazioni alla luce della giurisprudenza.Rispetto ad un recente passato, sembraindubbia la tendenza, che si registra indiversi paesi occidentali, a una sensibilediminuzione della copertura vaccinale perle vaccinazioni più comuni. Ciò ha indottole autorità pubbliche a mettere in campoalcune discutibili strategie per contrastarequesto fenomeno.Voglio ricordare che con la diffusione deiprimi vaccini, il legislatore negli anni ‘60previde la obbligatorietà delle vaccinazioniper difterite, tetano e poliomielite (l’obbligodella vaccinazione antiepatite B fu introdot-to nel 1991, N.d.R.), con specifiche sanzionipenali a carico dei genitori che omettesserodi vaccinare i propri figli e con l’obbligo perle scuole di verificare l’avvenuta vaccina-zione come presupposto della frequenzascolastica. Con la legge di depenalizzazione

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689/81, il reato di omessa vaccinazione futrasformato in illecito amministrativo, tantoche l’ultimo obbligo di vaccinazione control’epatite B, introdotto con legge n. 165/1991,fu sanzionato solo in via amministrativa.Dopo di allora il Ministero della salute e illegislatore, anche alla luce della riformasanitaria introdotta con la legge n. 833/1978,hanno cambiato strategia, puntando sul-l’informazione e sulla persuasione, piutto-sto che sulla repressione. È questa la ragioneche spiega perché i vaccini introdotti suc-cessivamente (contro pertosse, meningite,varicella, ecc.) sono solo raccomandati enon obbligatori. Questo nuovo atteggiamen-to ha indotto il legislatore a sopprimere conil DPR n. 355/1999 il divieto di frequenzascolastica per i non vaccinati, che franca-mente era poco in linea con il principiocostituzionale dell’istruzione obbligatoriaper tutti i minori.Ho brevemente ricapitolato questi passaggi,per sottolineare la preoccupazione chedestano alcune recenti prese di posizione dimolte autorità pubbliche centrali e regionalidirette a contrastare il calo delle vaccinazio-ni registrato nel nostro paese. Si parla di rin-vigorire l’applicazione delle sanzioni (chein alcune regioni sono da tempo disapplica-te), di reintrodurre il divieto di frequenzascolastica per i non vaccinati e addirittura diprevedere sanzioni disciplinari, fino allaradiazione, per i medici che facciano propa-ganda antivaccinista. E, infine, si vorrebbeintrodurre la coercizione della vaccinazionead opera del Sindaco che si servirebbe deipoteri attribuitigli dall’art. 117 del D.Lgs.112/1998.Mi limito a dire che quei poteri di interven-to presuppongono che sia già in atto un’epi-demia e che dunque sia urgente intervenire,il che è difficilmente conciliabile con leordinarie campagne preventive di vaccina-zione. Il Sindaco potrebbe certo emanareun’ordinanza ripetitiva dell’obbligo previstodalla legge, ma l’eventuale violazione nonsarebbe sanzionabile con l’art. 650 del codi-ce penale, come ha già riconosciuto la I Sez.della Cassazione con sentenza n. 2671 del12 dicembre 1990.Queste difficoltà di concreta attuazionedegli obblighi hanno indotto taluni a ricor-rere al Tribunale dei minori sul presupposto

che i genitori che non rispettano l’obbligo divaccinare i figli sarebbero inidonei ad eser-citare la responsabilità genitoriale. Devodire che finora i Tribunali dei minori nonhanno generalmente effettuato interventideterminati dal mero rifiuto delle vaccina-zioni, a meno che non emergessero elemen-ti di trascuratezza nella cura e nell’educa-zione dei minori.Questa posizione assunta dalla magistraturaminorile (le cui ragioni sono ben illustratenel protocollo intervenuto tra la RegioneLombardia e il Tribunale dei Minori diMilano), ci introduce alla questione difondo: se, cioè, sia coercibile l’obbligo dieseguire le vaccinazioni alla luce dell’ordi-namento giuridico vigente.La risposta negativa è imposta da una cor-retta interpretazione dell’art. 32 della Costi-tuzione, secondo cui “nessuno può essereobbligato a un determinato trattamentosanitario se non per disposizione di legge”.Dunque l’obbligo di sottoporsi ad un deter-minato trattamento è possibile solo se previ-sto da una legge ordinaria. La legge peraltroè vincolata ad un ulteriore limite: nel sensoche in nessun caso possono essere violati “ilimiti imposti dal rispetto della personaumana”. Per pacifica interpretazione l’art.32 della Costituzione tutela una delle mas-sime espressioni della libertà, quella di nonessere sottoposti a cure o terapie che nonsiano liberamente scelte o accettate. È gene-ralmente condivisa l’opinione che solo unostato di necessità per la salute pubblica con-senta al legislatore l’imposizione di un trat-tamento sanitario. Secondo questa imposta-zione, dunque, l’articolo 32 della Costitu-zione consente di contemperare il dirittoindividuale alla salute e alle cure libera-mente scelte con l’interesse alla salute del-l’intera collettività. Tale contemperamentoperò, secondo l’interpretazione della CorteCostituzionale contenuta nella sentenza308/1990, permette anche l’imposizione ditrattamenti sanitari obbligatori, ma nonpostula il sacrificio della salute individualea quella collettiva. Ciò significa che è semprefatto salvo il diritto individuale alla salute,anche di fronte al generico interesse colletti-vo: nel nostro caso perciò il provato perico-lo per la salute individuale consentirebbel’esonero dall’obbligo di vaccinazione.

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A proposito di principi contenuti nel nostroordinamento, c’è da aggiungere che l’even-tuale introduzione della vaccinazione coat-ta per legge nel nostro ordinamento sarebbepreclusa dalla Convenzione di Oviedo,recepita in Italia con legge n.145/2001, che,com’è noto, ha stabilito il fondamentaleprincipio dell’autodeterminazione in mate-ria di salute. Il motivo del contrasto con laConvenzione è che, essendo la vaccinazio-ne un trattamento preventivo proposto apersone sane, in questo ambito non si puòconfigurare lo stato di necessità, cioè l’unicasituazione per la quale non è richiesto il

consenso del paziente o del suo rappresen-tante legale.A questo proposito è stato posto un proble-ma di una qualche importanza. Si è detto daparte di qualcuno: l’autodeterminazione vabene, ma l’autodeterminazione riguarda séstessi, non i propri figli minori, dunque latutela della salute dei minori non può esse-re lasciata all’apprezzamento dei genitori,ma va salvaguardata con l’intervento delgiudice o dell’autorità sanitaria. Si trattereb-be perciò di integrare la volontà del minore,che non ha capacità giuridica, con l’inter-vento di una autorità pubblica che si sosti-tuisce ai genitori. Questa obiezione ha trattoqualche vantaggio da alcune pronunziedella Corte di Cassazione che, decidendo intema di vaccinazioni obbligatorie, ha rileva-to che la vaccinazione non può essere rifiu-tata per una generica convinzione o perignoranza del genitore: devono essere divolta in volta indicate specifiche ragioni cherendono la vaccinazione pericolosa per lasalute del minore (Cass. Sez. I, 18.7.03 n.

11226, Cass. 8.7.05 n. 14384 e Cass. Sez. II,26.6.06 n.1474).Tuttavia l’interpretazione volta a sostituirela volontà del genitore con quella di un orga-no pubblico ha scarse possibilità di prevale-re, dal momento che esiste nel nostro ordi-namento l’incontestabile principio che lavolontà dell’incapace è sostituita da quelladel suo rappresentante legale, che è l’unicoautorizzato a darle voce. Fino a che dunquenon si pone nel nulla quella rappresentan-za, saranno i genitori ad esprimere lavolontà del minore. L’autodeterminazione sirealizza appunto con riguardo alla salute delminore attraverso la scelta dei suoi genitori.Sulla scorta di questo equivoco si è fatto tal-volta ricorso al giudice dei minori invocan-do l’art. 333 del Codice Civile, che consentel’intervento del giudice quando i genitoricon il loro comportamento pregiudicano ibeni fondamentali del minore. Non sonomancate le pronunzie di alcuni giudici chehanno ravvisato nel rifiuto delle vaccinazio-ni una condotta pregiudizievole per il mino-re, ma l’atteggiamento prevalente nella giu-risprudenza è quello di rimettere all’apprez-zamento dei genitori l’opportunità di vacci-nare o meno i figli minori, secondo le pro-prie convinzioni o conoscenze.Se questa conclusione è pacifica per quantoriguarda le vaccinazioni raccomandate, lalogica giuridica vorrebbe che la medesimadisciplina venisse applicata per quelleobbligatorie. Abbiamo già visto che esse nonsi differenziano nel merito e che l’obbligato-rietà o la raccomandabilità derivano daldiverso momento storico in cui venneroprescritte. Ma per tutte le vaccinazioni val-gono, senza differenze, i principi costituzio-nali della libertà di scelta e di autodetermi-nazione. La conclusione dal punto di vistagiuridico non può che essere questa: l’obbli-go giuridico della vaccinazione e la conse-guente repressione non reggono di fronte auna interpretazione delle norme costituzio-nalmente orientata, come dimostrano delresto le prassi vigenti nella gran parte delleregioni italiane dove l’obbligo e le relativesanzioni sono generalmente disapplicati.Si impone invece una scelta di diverso tipo,che non può che essere quella della infor-mazione e della responsabilità, evitandoche si perseguano interessi diversi da quelli

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della protezione della salute di tutti.L’ultima questione alla quale vorrei farecenno è relativa agli obblighi e alle respon-sabilità del medico in materia di vaccina-zioni. Periodicamente sui mezzi di informa-zione si apprende che viene stigmatizzatal’azione di alcuni medici impegnati a mette-re in evidenza le criticità o i possibili rischidi una vaccinazione di massa indiscrimina-ta, praticata senza indagini mirate e senza lanecessaria prudenza. Si rimprovera loro di“remare contro” le indicazioni che proven-gono dalle autorità sanitarie e spesso siminacciano sanzioni disciplinari per coloroche coltivano il dubbio sulla bontà, sempree comunque, di tutte le vaccinazioni.Su questi punti è bene ricordare alcuni prin-cipii che non possono essere disattesi.È vero innanzitutto che i medici nell’eserci-zio della professione devono attenersi alleconoscenze scientifiche e devono seguire lelinee guida e le buone pratiche accreditate econdivise dalla comunità scientifica. Nonsarebbe accettabile (e non gioverebbe allacredibilità della medicina) che ogni singolosi lasciasse guidare solo dalle proprie ideepiù o meno avanzate o bislacche. In questosenso il decreto Balduzzi, con il suo riferi-mento alle buone pratiche pacificamenteaccreditate dalla comunità scientifica, costi-tuisce una garanzia per gli stessi medici e lipone al riparo dalle conclusioni un po’ bal-zane di qualche giudice o consulente delgiudice. Ma è anche chiaro che l’elaborazio-ne delle linee guida e delle migliori pratichevive di confronti, di test, di conferme e di

prove che sono frutto della libera ricerca inmedicina. Tutto questo ha bisogno della par-tecipazione di tutti, delle discipline specia-listiche come della medicina generale,senza preclusioni e senza anatemi. Il terrenopiù adatto per favorire la buona elaborazio-ne di percorsi preventivi, diagnostici o tera-peutici, ecc. è costituito dalla libertà garanti-ta nell’articolo 33 della Costituzione: “l’artee la scienza sono libere e libero ne è l’inse-gnamento”.Ne consegue che soffocare il dissenso suquesta o quella terapia, quando esso sia fon-dato su ragionevoli dubbi o sul dibattito esi-stente in un certo momento storico è un attoscriteriato. Né può essere limitato il dissen-so o la libertà di ricerca solo perché le auto-rità sanitarie hanno scelto una via piuttostoche un’altra.Ma – si sente obiettare – se uno lavora per ilSSN non può tenere atteggiamenti che con-traddicono le scelte del servizio cui appar-tiene. Non discuto gli aspetti contrattuali deirapporti che legano i medici al SSN, masostengo che anche questi medici godonodelle garanzie costituzionali nell’eserciziodella loro professione. Minacciare sanzioni acoloro che, per motivate ragioni scientifiche,non si allineano alle decisioni o alle conclu-sioni delle autorità sanitarie non è rispettosodella libertà di ciascuno. È chiaro che pro-prio il confronto libero tra le varie posizionideterminerà infine le scelte più appropriate,ma non è certo soffocando il dissenso che siraggiungerà la migliore protezione dellasalute individuale e collettiva.>>

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Da : IO CHI Sentenze poetiche

“Miliardi di anniper scandire gestifra terra e mestierie in un attimo che dura oramaida quando è cominciata l’era industrialelavorare a cancellare terra, marearti e mestieri”

“Il ciclo si ricostruisceeccome se si ricostruisceanche se la storia dell’umanitàè veloce come il vento di bora”

“Il male è quelli che tirano indietrorispetto alla giustiziae alla verità del popolo”

“Ad alcuni è dato conosceread altri è dato vederead alcuni è dato saperead altri è dato parlaread alcuni è dato decideread altri è dato impazziread alcuni è dato ascoltaread altri è dato imbrogliare”

“I mostri siete voiche avete inventatoun domani senza speranza”

“Bisogna pagare ogni cosabisogna pagare tuttoanche il respiro”

Gabriella BERTINI